Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 25 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 25 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegno di legge (Seguilo della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

La Malfa, Relatore

Marinaro

Corbino

Cannizzo

Pella, Ministro delle finanze

Tozzi Condivi

De Vita

Scoccimarro

Scoca

Dugoni

Pesenti

Foa

Perlingieri

Micheli

Caroleo

Bertone

Cappi

Zerbi

Molinelli

Condorelli

Togliatti

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Mazza.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Proseguendo nella discussione degli articoli rimasti in sospeso, dovremmo riprendere l’esame dell’articolo 2. Chiedo all’onorevole Relatore a qual punto sono i lavori della Commissione in merito all’articolo stesso.

LA MALFA, Relatore. Questa mattina la Commissione si è riunita. Sull’articolo 2, in linea di principio, essa aveva comunque già deciso a maggioranza di accettare l’emendamento Castelli Edgardo, Scoca ed altri. La Commissione non avrebbe quindi nulla in contrario ad iniziare la discussione con l’articolo 2. Poiché tuttavia l’Aula è in questo momento pressoché deserta, data l’importanza che riveste l’articolo, proporrei, se l’onorevole Presidente non ha nulla in contrario, di iniziare questa mattina i nostri lavori dall’articolo 3, salvo poi a ritornare sull’articolo 2, se la situazione numerica dell’Assemblea lo consiglierà.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Dato che il Presidente della Commissione propone di incominciare l’esame dell’articolo 3, lasciando indietro l’articolo 2, proporrei senz’altro di approvare una sospensiva sull’articolo 2. Come infatti l’onorevole Presidente della Commissione sa…

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Relatore, onorevole Marinaro, propone non già di rimandare, ma di sospendere momentaneamente.

MARINARO. Ma se fossimo d’accordo fino da questo momento…

PRESIDENTE. Ma lei comprende che una proposta di sospensiva riveste un carattere di molta importanza.

SCOCCIMARRO. Si tranquillizzi, onorevole Marinaro, perché non saremmo d’accordo noi.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, l’esame dell’articolo 2 è momentaneamente sospeso. Si passa dunque all’articolo 3. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Ai fini dell’imposta straordinaria, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, dopo il 28 marzo 1937.

«È fatta eccezione per i beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dalla moglie anteriormente al matrimonio o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri, conseguiti durante il matrimonio, o fondi provenienti da accensione di debiti.

«Ai medesimi fini, si considerano nei patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 28 marzo 1937, quando la cessione dipenda:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico;
  2. b) da trasferimenti a titolo oneroso, salvo non sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data predetta o acquisti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri o di fondi provenienti da accensioni di debiti.

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati, della quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati e svolti due emendamenti: uno dall’onorevole Adonnino e uno dall’onorevole Condorelli, rispettivamente del seguente tenore:

«All’ultimo comma, aggiungere:

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, la quota proporzionale di imposta afferente i beni ceduti farà carico, mediante il rimborso, all’intestatario fino alla somma che egli avrebbe pagato per il bene ceduto ove esso fosse stato compreso nel suo patrimonio, e, per il di più, al contribuente e all’intestatario in proporzione della ripartizione del valore del patrimonio originario».

Adonnino.

«Prima dell’ultimo comma inserire il seguente:

«Il cumulo non si opera ove prima del 28 marzo 1947 i beni siano stati ulteriormente trasferiti a soggetti diversi dal coniuge e dai discendenti del primo cedente».

«Alla fine dell’ultimo comma aggiungere: e non oltre l’importo della quota proporzionale di imposta che il cessionario avrebbe dovuto pagare se i beni stessi fossero stati computati nel suo patrimonio».

Condorelli.

Chiedo al Relatore di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.

LA MALFA, Relatore. Gli emendamenti degli onorevoli Adonnino e Condorelli riguardavano la facoltà del contribuente di rivalersi verso gli intestatari dei beni cumulati e facevano eccezione al principio della ripartizione proporzionale dell’imposta fra i discendenti.

La Commissione ha esaminato attentamente il problema in tutti i suoi aspetti, ma non ha trovato una disposizione migliore di quella che è già nel testo governativo: qualsiasi altra soluzione – compresa quella prospettata dagli onorevoli Adonnino e Condorelli – presenta inconvenienti molto gravi, e possibilità di sperequazione tra i vari discendenti. La norma del testo governativo, invece, stabilendo la possibilità di ripartizione proporzionale della quota, rispetta in un certo senso la volontà dell’ascendente che, dividendo il suo patrimonio fra i discendenti in proporzioni diverse, ha voluto che il rapporto patrimoniale fra i discendenti fosse quello.

Ora, con una quota proporzionale d’imposta si mantiene quel rapporto. Faccio un esempio pratico; se un figlio ha trecento milioni di lire e un altro cento milioni, con un carico tributario – supponiamo – su un patrimonio complessivo di un miliardo, del 50 per cento, applicando la quota proporzionale, il figlio che ha avuto trecento milioni se li vede ridurre a centocinquanta e quello che ha avuto cento milioni, a cinquanta. Questa norma fa sì che i rapporti patrimoniali tra ascendente e discendenti si mantengano nella stessa proporzione dopo l’applicazione dell’imposta.

Credo che, non avendo la possibilità di applicare un principio più opportuno, sia da mantenere almeno il criterio di rispettare la volontà dell’ascendente.

Per quanto riguarda poi l’emendamento Condorelli la Commissione manifesta parere contrario. Essa si è infatti prospettati due casi: ha supposto che il discendente avesse ceduto a titolo oneroso il bene ad un terzo; al posto del bene che dovrebbe essere cumulato si sostituisce un controvalore del bene stesso, e quindi si cumula il controvalore. Se, invece, il discendente ha ceduto ad un suo discendente, supponiamo, il bene a titolo gratuito, per donazione, ecc., si può far risalire questo bene all’ascendente primo. E quindi, in un certo senso, il principio del cumulo affermato nell’articolo bisogna portarlo fino alle estreme conseguenze. La Commissione non ha visto che avvenga, né il caso di duplicazione dell’imposta, né il caso di aggravamento dell’imposta stessa.

Per queste ragioni ha respinto l’emendamento Condorelli.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Volevo soltanto chiarire questo: probabilmente il primo emendamento Condorelli si sarebbe potuto prendere in maggiore considerazione se avesse detto «siano stati ulteriormente trasferiti a titolo oneroso», perché si andrebbe incontro a questa ipotesi: il padre cede il bene al figlio; il figlio lo ha venduto e non ha più niente, e, quindi, il padre non ha più possibilità di rivalsa dell’imposta.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Questo caso è stato considerato dalla Commissione; ma è un caso generale, che rientra cioè in una disposizione generale, mi pare nell’articolo 24. Se un contribuente ha ceduto un bene o lo ha consumato, evidentemente non può essere tassato. Ma non è una disposizione specifica per il fatto del cumulo. Ogni volta che un contribuente ha venduto un cespite patrimoniale e per ragioni di consumo non ha potuto mantenerlo, il controvalore la finanza non lo tassa. Ma questo è un principio che non riguarda solo il cumulo. In qualsiasi caso un cespite sia venuto meno, si dà luogo all’esenzione rispetto a quel cespite. Senza introdurre qui una disposizione specifica (e vorrei sentire in proposito l’interpretazione del Governo) è evidente che quando un contribuente in buona fede dimostra di aver consumato un cespite, la Finanza non può fiscalmente indagare su questa situazione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Cannizzo. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Potrei obiettare all’onorevole La Malfa questo: che va bene quello che dice lui, ma la prova del consumo in questo caso dovrà darla il genitore e non il figlio. Si supponga che il padre abbia ceduto un bene al figlio ed il figlio l’abbia venduto. Giuoca nei riguardi del figlio la presunzione che il controvalore sia in possesso del figlio. Però il padre potrebbe non essere in condizione di dare la prova del consumo perché il padre può ignorare quanto concerne il figlio. Sono due cose distinte ed è auspicabile che si definisca bene questo punto.

LA MALFA, Relatore. Io credo che la prova del consumo la debba dare sempre il figlio. Ad ogni modo, nelle istruzioni, questo potrà essere oggetto di una disposizione specifica. Credo che i processi verbali di tutte le nostre discussioni debbano essere trasmessi al Ministero perché è bene che la Finanza dia tassative istruzioni in questa materia. Ma è inutile farne oggetto di disposizione di legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Per brevità mi associo alle conclusioni dell’onorevole Relatore e chiedo la conferma del testo che è stato posto in discussione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore.

LA MALFA, Relatore. La Commissione proporrebbe solo, nell’ultimo comma del testo governativo dell’articolo 3, di modificare la dizione: «ha il diritto di rivalersi» in quella di: «può rivalersi».

PELLA, Ministro delle finanze. Le due espressioni mi sembrano equivalenti, ma non ho difficoltà ad adottare la formula «può».

TOZZI CONDIVI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOZZI CONDIVI. Sempre agli effetti del cumulo, io crederei forse opportuno per la Finanza che al terzo capoverso, invece di dire: «Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti», si dicesse: «Ai medesimi fini, si possono considerare». E ciò per un caso che può verificarsi ai danni dello Stato. Facciamo il caso che il genitore abbia un patrimonio di 3 milioni e che ne ceda 2 al figlio, che ne ha 2 per conto suo. Il figlio ne avrebbe così 4. Se, con la presunzione, 2 ritornano al padre, non paga il figlio né il padre. Il figlio può infatti dire: io posseggo 2 milioni e non pago niente. Ma il padre ne possiede 3 e non paga neanche lui. Quindi la Finanza viene a perdere. Invece la Finanza potrebbe tassare il figlio.

LA MALFA, Relatore. Comprendo l’obiezione, ma credo che questo principio ci porterebbe a dare troppa licenza alla Finanza. Se si ritiene necessario fare il cumulo, allora bisogna lasciare che tutte le conseguenze abbiano luogo, anche se sono a sfavore della Finanza. Non si può rendere questo istituto così elastico.

PELLA, Ministro delle finanze. Apprezzo la preoccupazione del collega, ma devo chiedere anche qui la conferma del testo governativo.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento dell’onorevole Adonnino.

(Non è approvato)

PRESIDENTE. Pongo ai voti il primo emendamento dell’onorevole Condorelli.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo emendamento dell’onorevole Condorelli.

(Non è approvato).

Dovrò ora porre ai voti la modificazione proposta dalla Commissione all’ultimo capoverso dell’articolo 3: sostituire alle parole «ha il diritto» la parola «può».

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Pregherei la Commissione di mantenere ferma la formula del Governo. Se mettiamo «può», diventa una facoltà; e l’esercizio di una facoltà non è trasmissibile agli eredi.

LA MALFA, Relatore. Dal punto di vista della successione l’obiezione dell’onorevole De Vita può avere qualche fondamento. Se l’ascendente non ha esercitato questa facoltà possono sorgere delle difficoltà di questo genere. Allora forse conviene lasciare «ha il diritto».

PRESIDENTE. Il Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Ho manifestato la mia indifferenza in materia.

PRESIDENTE. Allora, poiché la Commissione ritira il suo emendamento, l’articolo 3 si intende approvato definitivamente nel testo proposto.

Passiamo all’articolo 8, anch’esso rimasto in sospeso: se ne dia lettura nel testo della Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Sono esenti dall’imposta straordinaria sul patrimonio i seguenti cespiti:

1°) i capitali corrispondenti a contributi che, per legge o per contratto, siano stati versati a Casse di previdenza, o di soccorso, istituite contro i rischi di malattia, infortuni, vecchiaia ed invalidità; a Casse di previdenza o Casse di pensione per gli impiegati privati, od a Casse di pensione per vedove o orfani, contemplate alle lettere c) ed f) dell’articolo 2 del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966;

2°) i capitali corrispondenti a rendite vitalizie o ad altre rendite di carattere temporaneo;

3°) il prezzo di riscatto delle somme assicurate sulla vita, fatta eccezione per i contratti di assicurazione a premio unico, stipulati dopo il 10 giugno 1940;

4°) le chiese ed ogni altro edificio destinato al culto, col mobilio, gli arredi sacri, i reliquari e qualunque altro oggetto di spettanza della chiesa;

5°) gli immobili dichiarati esenti da tributi ordinari e straordinari in forza dell’articolo 16 del trattato tra la Santa Sede e l’Italia, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810;

6°) i titoli del Prestito della Ricostruzione autorizzato con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 26 ottobre 1946, n. 262, che non siano stati convertiti in titoli 5 per cento;

7°) le cose mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, quando facciano parte di collezioni o serie notificate ai sensi dell’articolo 5 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, oppure siano soggette a pubblico uso o godimento;

8°) le rendite dei benefici ecclesiastici maggiori e minori».

PRESIDENTE. Al n. 8 dell’articolo 8 è stato proposto questo emendamento:

«Sostituire il n. 8°) col seguente:

le rendite dei benefici ecclesiastici maggiori e minori che abbiano diritto a congrua o che, con la detrazione di imposta, rientrino nelle categorie aventi diritto a congrua.

«Scoccimarro, Dugoni, Pesenti, Maffi, Corbi, Farina, Bardini, Moranino, D’Onofrio, Barontini Anelito».

L’emendamento è stato già svolto.

La Commissione ha facoltà di esporre il suo parere.

LA MALFA, Relatore. L’emendamento dell’onorevole Scoccimarro ed altri colleghi riproduce una disposizione – direi, quasi, negli stessi termini – che era contenuta nella legge sull’imposta patrimoniale del 1922.

Quella legge tassava i benefici ecclesiastici: il che è esposto nella relazione, dove c’è una nota che illustra specificamente questo punto. Tuttavia quella legge distingueva i benefici ecclesiastici in nuda proprietà e usufrutto e considerava le rendite dei benefici ecclesiastici come usufrutto.

Naturalmente la dizione del testo governativo è molto più larga perché esenta tutte le rendite dei benefici ecclesiastici, rientrino o non rientrino nell’istituto della congrua. La Commissione ha discusso questo emendamento e, a maggioranza, l’ha respinto.

L’argomento della maggioranza è che anche quando le rendite dei benefici ecclesiastici non rientrano nell’istituto della congrua, per disposizione interna della Chiesa, le rendite maggiori servono a coprire necessità, a colmare o completare le rendite minori, cioè c’è una compensazione, nell’ambito dei beni ecclesiastici, fra rendite maggiori, più pingui, e rendite minori. La maggioranza della Commissione si è espressa dunque in senso contrario all’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esporre il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei, per spiegare il parere del Governo contrario all’emendamento, aggiungere qualche altra considerazione a quelle riassunte dall’onorevole Relatore, considerazioni che si riallacciano al sistema di esenzioni contemplate dall’articolo 8.

Dobbiamo toner presente che, per il numero 2 dell’articolo 8, sono esenti dall’imposta straordinaria i capitali corrispondenti a rendite vitalizie o ad altre rendite di carattere temporaneo. Orbene, tali rendite possono avere provenienza diversissima, e derivare sia da puro lavoro, sia da puro capitale. Al numero 2 è prevista per tutte l’esenzione, anche per quelle che provengono da puro capitale. Il numero 8, in definitiva, estende il principio dell’esenzione, indicato nel n. 2, ai capitali corrispondenti ad una determinata categoria di rendite, quelle che provengono dai benefici ecclesiastici. Le rendite dei benefici ecclesiastici rappresentano la remunerazione di quella altissima attività spirituale che svolge l’investito del beneficio. Il Governo non vedrebbe per quale ragione, dopo avere esentato le rendite che derivano da puro capitale, non si dovessero esentare le rendite dei benefici ecclesiastici maggiori o minori. Per un senso di perequazione, sul piano morale, il Governo aggiunge la cennata considerazione per sostenere il suo parere contrario all’emendamento dell’onorevole Scoccimarro ed altri.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Lei ha già svolto il suo emendamento; la prego pertanto di limitarsi ad una breve dichiarazione.

SCOCCIMARRO. Desidero far notare che, nonostante le dichiarazioni del Relatore e dell’onorevole Ministro, io mantengo l’emendamento per queste ragioni: 1°) nell’articolo 8, mentre al numero 2 si parla di capitali corrispondenti a rendite, al numero 8°) si parla invece solo di rendite; quindi non si può per analogia porre sullo stesso piano i due punti; 2°) non v’è ragione per la quale su questo problema la legge attuale debba essere più generosa di quella del 1920. Penso che se ragioni di mutamento ci fossero, sarebbero da attuarsi piuttosto in senso inverso date le maggiori necessità e i maggiori bisogni che oggi ha il Paese; 3°) l’argomento portato in sede di Commissione, che cioè la Chiesa parifica le rendite dei benefici ecclesiastici, non può essere una ragione sufficiente per noi, perché quella è una misura interna che oggi esiste e domani potrebbe non esistere. Essa può, caso mai, dare al Ministro delle finanze la possibilità di una particolare valutazione delle rendite che derivano da tale conguaglio. Nella legge bisogna prescindere dalle disposizioni interne della Chiesa. E non mi pare nemmeno giustificata la ragione che si richiama all’attività spirituale del titolare delle rendite, perché qui si tratta della constatazione oggettiva di un reddito e non, in generale, dell’attività di chi usufruisce e gode di quel reddito: se si dovesse accettare il criterio del Ministro, allora tutta la nostra legislazione in materia, anche quella che riguarda altre imposte, dovrebbe essere modificata.

Riassumendo, io mantengo l’emendamento: 1°) perché esso corrisponde alle disposizioni esistenti nelle leggi finanziarie su questi problemi; 2°) perché non è opportuno che per l’attuale imposta straordinaria vi siano norme più lievi di quelle del 1920, dato che oggi la situazione del Paese è più grave ed esige maggiori sacrifici; 3°) perché, infine, ogni disposizione interna della Chiesa non può valere in questa sede mentre, se mai, può valere in sede di applicazione della legge per i criteri che il Ministro intenderà applicare in merito.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Relatore. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Io ho espresso, com’era mio dovere, il parere della maggioranza della Commissione. Dichiaro che, personalmente, voterò l’emendamento Scoccimarro.

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Io voterò contro l’emendamento Scoccimarro, innanzitutto per una ragione tecnica. Mentre si tratta di imposta sul patrimonio, cioè di imposta sul capitale, nell’emendamento si fa menzione di rendite dei benefici ecclesiastici. È la stessa cosa come si dicesse che dall’imposta di cui ci occupiamo fossero esenti gli stipendi degli impiegati dello Stato o degli impiegati privati. Perché evidentemente le rendite dei benefici ecclesiastici sono il frutto del capitale e non il capitale. È la stessa cosa come se si dicesse che il frutto di certi determinati beni, e non i beni capitali, sono esenti da questa imposta che contempla come oggetto di imposizione il capitale, ossia il patrimonio.

A parte ciò, io ritengo che l’esenzione qui stabilita non abbia una ragion d’essere specifica in questa legge, inquantoché incide in quella norma del Concordato, che tutti sappiamo, per cui il fine di culto e di religione è equiparato al fine di assistenza e di beneficenza.

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Noi voteremo a favore dell’emendamento Scoccimarro per una questione di giustizia fiscale.

Noi crediamo sia principio veramente insuperabile che tutti i patrimoni, i quali non siano sottratti, per la destinazione, per effetto del Trattato del Laterano, alla legge fiscale italiana, devono rientrare nella normalità della tassazione.

Notiamo anche che, secondo noi, non conviene alla democrazia cristiana di prendere posizione a favore di specifiche esenzioni, che contrastano con i principî del diritto finanziario italiano. (Proteste al centro). E quindi, per rimanere fedeli alla questione di principio della eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge fiscale, noi voteremo a favore del proposto emendamento.

PESENTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Pesenti, è firmatario dell’emendamento Scoccimarro, che è stato svolto abbondantemente.

PESENTI. Siccome l’onorevole Scoca ha motivato il suo voto contrario all’emendamento con due argomentazioni, che non ritengo giuste, è necessario che io risponda.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

PESENTI. L’onorevole Scoca ha affermato che qui nominare le rendite è un errore, in quanto che sarebbe come nominare stipendi e salari. E allora è chiaro che non ci dovrebbe essere esenzione, e non dovrebbero essere nominate. Se, invece, il nominarle ha un significato, allora siano colpiti i benefici e non le rendite che ne derivano.

Quanto alla questione che questi benefici sarebbero compresi nel Concordato, è opinione non soltanto mia, ma di parecchi colleghi democristiani, che non siano compresi nel Concordato. Se eventualmente lo fossero, non ci sarebbe bisogno di nominarli particolarmente nella esenzione stabilita all’articolo 8.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento all’articolo 8 proposto dall’onorevole Scoccimarro ed altri.

(Non è approvato).

L’articolo 8 si intende quindi approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 12. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Contro le valutazioni dei terreni, eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte dirette con i coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti la non corrispondenza dei fondi alla qualità di coltura risultante dal catasto. Gli Uffici distrettuali delle imposte possono, a loro volta, rettificare le risultanze catastali, quando esse non corrispondono alla qualità di coltura, salvo il diritto del contribuente di ricorrere, contro la rettifica, alle Commissioni suddette.

«Contro le valutazioni dei fabbricati eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte con i coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono, ai soli fini della imposta straordinaria sul patrimonio, ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti l’assegnazione del fabbricato alla categoria o alla classe, quando la destinazione o le caratteristiche di esso siano, in atto, notevolmente diverse da quelle dell’unità tipo, approvate dalla Commissione censuaria centrale come rappresentative della categoria o classe cui il fabbricato è stato assegnato».

PRESIDENTE. A questo articolo gli onorevoli Foa, Pesenti, Scoccimarro e Valiani hanno proposto il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Qualora il valore dei fabbricati risultante dall’applicazione dei coefficienti di cui all’articolo 9 sia superiore di almeno un quinto al valore medio effettivo del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, il contribuente può chiedere all’ufficio distrettuale delle imposte l’accertamento del valore effettivo e l’applicazione dell’imposta in base ad esso. Contro l’accertamento dell’ufficio è concesso il ricorso alle Commissioni amministrative. Il ricorso non sospende l’iscrizione a ruolo dell’imposta».

L’emendamento è stato già svolto.

L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione in proposito.

LA MALFA, Relatore. La Commissione prega l’onorevole Foa di ritirare questo emendamento, perché esso complicherebbe le cose.

FOA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Dato che l’unico emendamento all’articolo 12 è stato ritirato, questo articolo s’intende approvato nella formulazione di cui è stata data testé lettura.

Passiamo all’articolo 15, del quale pure era rimasto sospeso l’esame. Se ne dia lettura, nel testo formulato dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I censi, canoni, livelli ed altre prestazioni di carattere perpetuo o enfiteutico, compresi i canoni da colonia perpetua, si tengono in conto in ragione del 100 per 5 del rispettivo ammontare, a meno che, per convenzione o per legge, non debbasi applicare, per il riscatto, un saggio diverso.

«Nel caso in cui il canone sia stabilito in natura, il suo valore si determina in base alla media dei prezzi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947».

PRESIDENTE. Su questo articolo è stato presentato il seguente emendamento dall’onorevole Cifaldi:

«Al secondo comma, dopo la parola: media, aggiungere: decennale».

L’onorevole Cifaldi non è presente.

CANNIZZO. Faccio mio l’emendamento.

PERLINGIERI. Anch’io.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione, in merito a questo emendamento.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento Cifaldi, in questa dizione: «Il valore si determina in base alla media dei prezzi del periodo 1937-1946».

PRESIDENTE. Qual è l’avviso del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo ricorda le ragioni che avevano suscitato qualche perplessità sulla bontà del testo ministeriale emendato dalla Commissione, in relazione alle norme di diritto comune per il riscatto di questi oneri. Perciò, allo scopo di non turbare l’armonia dei criteri di valutazione contemplati dalla legge, il Governo non dà parere favorevole al nuovo emendamento, anche perché ritiene che la regola della valutazione decennale, agli effetti del diritto comune, possa trovare una revisione in funzione delle variazioni monetarie che si sono verificate.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Cifaldi nella formulazione indicata dalla Commissione.

(Non è approvato).

L’articolo 15 si intende quindi approvato nel primitivo testo proposto.

Passiamo all’articolo 19. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Per i titoli indicati nell’articolo precedente, non quotati in borsa, nonché per le quote delle società assoggettate all’imposta di negoziazione, si adottano i valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, accertati con la procedura relativa all’imposta di negoziazione.

«Quando si tratti di quote di partecipazione in società non soggette all’imposta di negoziazione, il valore è determinato valutando il patrimonio della società, ai sensi del precedente articolo 17, e ripartendone l’importo tra i soci in proporzione alle quote di spettanza di ciascuno».

PRESIDENTE. Avverto che per questo articolo, il Governo ha ora presentato un nuovo testo, così formulato:

«Per i titoli azionari non quotati in borsa, nonché per le quote di partecipazione in società ed enti, si adottano i valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, tenendo conto dei criteri di valutazione valevoli per l’imposta di negoziazione, ed in ogni caso, per quanto riguarda le aziende industriali e commerciali, del valore dei vari elementi che ne compongono il patrimonio, ai sensi del precedente articolo 17.

«Gli Uffici distrettuali delle imposte dirette, entro il termine stabilito nel secondo comma dell’articolo 61 del presente decreto, notificano alle società od enti, aventi sede nella propria circoscrizione, l’accertamento del valore dei titoli e delle quote, relativamente al periodo di tempo indicato nel comma precedente. Contro tale accertamento la società od ente può, entro il termine perentorio di giorni trenta dalla notifica, presentare ricorso alla Commissione per la valutazione dei titoli, competente per territorio.

«Per la risoluzione delle vertenze si osservano le norme valevoli per l’accertamento dell’imposta di negoziazione; la rappresentanza dell’Amministrazione finanziaria è affidata, nel giudizio di primo grado, ad un funzionario dell’Amministrazione provinciale delle imposte dirette e, nel giudizio di secondo grado all’ispettore compartimentale per le imposte dirette competente per territorio.

«Il valore definitivamente accertato nei confronti della società od ente in conformità dei commi precedenti si assume come valore definitivo dei titoli e delle quote di partecipazione agli effetti dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio dovuta dai singoli proprietari dei titoli e delle quote medesime.

«Per le obbligazioni, le cartelle di prestito ed ogni altro titolo di credito non quotato in borsa, si adotta la valutazione in base alla quale è stata liquidata l’imposta di negoziazione per l’anno 1947.

«Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai titoli azionari quotati in borsa, quando nel semestre 1° ottobre 1946-31 marzo 1947 non esistano almeno tre prezzi di compenso nella borsa in cui furono quotati».

Quale è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta il nuovo testo governativo.

PRESIDENTE. Al vecchio testo dell’articolo 19 era stato presentato un emendamento dall’onorevole Foa, insieme agli onorevoli Pesenti, Scoccimarro e Valiani. L’emendamento è del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Per le azioni non quotate in borsa e per le quote di partecipazione in società il valore è determinato valutando il patrimonio della società secondo le disposizioni del capo quarto della presente legge.

«Per le obbligazioni e gli altri titoli di credito non quotati in borsa si adottano i valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947 accertati con la procedura relativa alla imposta di negoziazione».

L’onorevole Foa mantiene l’emendamento?

FOA. Non abbiamo ragione di mantenere il nostro emendamento perché il Governo ha accettato, nel nuovo testo, i nostri criteri.

PRESIDENTE. Anche gli onorevoli De Mercurio e Mazzei, avevano presentato un emendamento al vecchio testo dell’articolo. L’emendamento era così formulato:

«Al primo comma, sostituire le parole: del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, con le altre: dei trimestre 1° gennaio 1947-31 marzo 1947».

Poiché gli onorevoli De Mercurio e Mazzei non sono presenti, l’emendamento si intende decaduto.

LA MALFA. Relatore. Vorrei rivolgere una domanda all’onorevole Pella, circa l’ultimo comma dell’articolo 19. Noi abbiamo scelto, come periodo di valutazione dei titoli azionari, il trimestre gennaio-marzo, mentre qui si fa ancora riferimento al semestre ottobre-marzo. Credo che occorra rettificare.

PELLA, Ministro delle finanze. Non ho difficoltà a rettificare, riducendo ad un trimestre, qualora l’onorevole Relatore insista. Desideravo far presente, però, che quest’ultimo comma non riguarda il periodo di riferimento per la valutazione: è un periodo di tempo stabilito per esaminare se almeno vi sia stato un certo numero di prezzi di compenso perché le valutazioni possano avere un significato.

Tuttavia nessuna difficoltà, ripeto, ad accogliere la proposta.

SCOCCIMARRO. C’è anche il primo comma da rettificare, onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo nel senso di armonizzare tutto l’articolo in sede di coordinamento, per fare riferimento al trimestre.

PRESIDENTE. Allora, l’articolo 19 si intende approvato nel nuovo testo proposto dal Governo, con riserva di procedere, in sede di coordinamento, alle rettifiche accennate.

LA MALFA, Relatore. Sostanzialmente, è l’accettazione dell’emendamento De Mercurio-Mazzei, cioè il riferimento al periodo 1° gennaio-31 marzo 1947.

PELLA, Ministro delle finanze. Avendo il Governo presentato un articolo sostitutivo, per cui non esiste più il testo precedente, mi sembra – da un punto di vista formale – che non abbia ragione di discutersi e di mettersi in votazione un emendamento che presuppone il vecchio testo.

Dal punto di vista sostanziale, rilevo che il nuovo testo, ratificato nella seduta odierna, contiene già il principio uniformato dell’emendamento dell’onorevole De Mercurio, per cui, ad avviso del Governo, questo emendamento non dovrebbe essere più posto in votazione.

PRESIDENTE. D’accordo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Volevo accennare, indipendentemente dalla questione particolare, alla questione di procedura, per ciò che si riferisce al testo nuovo con l’emendamento sostitutivo.

Noi abbiamo sostenuto in altra adunanza che il cambiamento di testo doveva essere considerato come emendamento sostitutivo; il Presidente, che reggeva allora le sorti della discussione, sosteneva invece il contrario ed applicò l’articolo 70, appunto perché riteneva che emendamento sostitutivo non fosse quello che il Presidente dei Settantacinque aveva proposto.

Questo dico perché vorrei che non passasse inosservata la prassi che il Presidente – certo, più che altro per economia di discussione – ha seguito allora, che sarebbe perfettamente in contradizione con quanto ha detto l’onorevole Ministro ora, ma che, del resto, nella pratica applicazione porta allo stesso risultato inquantoché gli emendamenti presentati non decadono, perché allora verrebbe a venir meno un diritto dei presentatori, ma devono essere ripresi e – per la virtù che il Presidente sa così bene disporre – trovar modo che vengano coordinati nella discussione, prima, e successivamente nel testo nuovo.

Ecco perché ho creduto opportuno che sorgesse una voce a ricordare come potrebbe essere anche erronea l’interpretazione– che allora si è voluta dare, eliminando l’emendamento sostitutivo per ricalcare invece un privilegio non mai esistito nel nostro Regolamento, a favore del testo nuovo.

PRESIDENTE. Si tratta di casi diversi, onorevole Micheli: là era la Commissione che presentava un testo, qua è invece il Governo. Comunque è stato qui praticato proprio quello che è il suo desiderio.

MICHELI. Sono d’accordo con lei, onorevole Presidente; le faccio però osservare che la differenza che ella ha posto in relazione al mio breve dire non ha ragione di essere, perché c’è per analogia la medesima situazione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Si passa all’articolo 23. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Quando la esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti.

«Per i crediti derivanti da rapporti con imprese commerciali e sempre che si tratti di atti inerenti all’esercizio dell’impresa, la esistenza del debito può venire provata in base alle scritture contabili dell’impresa creditrice regolarmente tenute.

«Quando si tratti di rapporti con aziende di credito indicate alle lettere a), b), c) e d), dell’articolo 5 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito nella legge 7 marzo 1938, n. 141, ed al regio decreto-legge 17 luglio 1937, n. 1400, convertito nella legge 7 aprile 1938, n. 636, la esistenza del debito può essere provata in base agli estratti dei saldi conti, certificati conformi alle scritturazioni da uno dei dirigenti dell’Istituto».

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato un emendamento dall’onorevole Caroleo, soppressivo del primo comma. Ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Come ho accennato in altra occasione, se si vuol stabilire un principio concreto e conforme a quelle che possono essere anche le esigenze della finanza, bisognerebbe dire che si ammettono in detrazione soltanto i debiti che abbiano una data certa anteriore al 28 marzo 1947. La formula della Commissione mi sembra invece non rispondente ai principî elementari del diritto; mi sembra inaccettabile il principio di questa declaratoria di inesistenza, quando vi sia l’accordo fra il debitore e il creditore senza alcun rispetto dei diritti del terzo, che alle volte possono essere invece anche meritevoli di maggiore tutela.

Io penso quindi che, in sostituzione del comma di cui ho chiesto la soppressione, si potrebbe inserire qualche espressione in questo articolo, la quale chiarisse appunto che i debiti di cui si ammette la detrazione debbano risultare da titoli con data certa anteriore al 28 marzo 1947.

PRESIDENTE. Ma allora, onorevole Caroleo, il suo non è soltanto un emendamento soppressivo, ma è in pari tempo anche un emendamento aggiuntivo. Dovrebbe perciò far pervenire formale proposta.

Segue un emendamento, a firma degli onorevoli De Vita, Villabruna, Bertone, Arcangeli, Uberti, Giordani, Valenti, Magrassi e Della Seta, così formulato:

«Al primo comma, dopo le parole: il rapporto giuridico è, sopprimere la parola: dichiarato».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. L’emendamento che io propongo non è soltanto formale, ma anche sostanziale. Dice l’articolo 23: «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti».

Dichiarato inesistente da chi? Ovviamente non può dichiarare inesistente un debito l’amministrazione finanziaria, perché non è competente; è competente l’autorità giudiziaria. Ma se l’autorità giudiziaria dovesse dichiarare l’esistenza o l’inesistenza di un debito dovrebbe essere sospeso l’accertamento.

Io sono contrario alla disposizione nel suo complesso, perché mi sembra eccessivo modificare rapporti essenzialmente civili, come sono i rapporti di debito e di credito, avendo di mira soltanto un fine tributario. Penso che per modificare le norme del Codice civile sarebbe stato necessario un dibattito più ampio.

Comunque, in via subordinata, qualora il Governo e la Commissione ritengano opportuno mantenere l’articolo, propongo almeno che sia emendato nel senso da me proposto, sopprimendo la parola «dichiarata».

SCOCA. Presento un emendamento all’articolo che stiamo discutendo. Mi pare preferibile che l’ultima parte dell’articolo sia modificata in questo senso: «è inesistente fra le parti», e che si tolga il resto.

PRESIDENTE. L’onorevole Perlingieri ha proposto il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, sopprimere: anche fra le parti, e aggiungere: fra le parti, salvo i diritti dei terzi».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERLINGIERI. Non credo, onorevole Presidente, che sia necessario illustrare la mia proposta, perché essa si attiene a principî elementari, fondamentali del diritto.

L’articolo 23 stabilisce la declaratoria di inesistenza di un rapporto giuridico, prevedendo l’ipotesi dell’evasione dall’imposta da parte del creditore tenuto a denunciare il credito ai fini dell’imposta stessa. Ora, non vi è dubbio che la creazione, modifica o estinzione di un rapporto giuridico produce effetti tra i soggetti del rapporto. Rispetto al terzo è res inter alios, non può né giovare né nuocere. Noi non potremmo, quindi, legare il terzo ad una responsabilità per fatto altrui, nel senso che, dichiarata l’inesistenza del debito, questa dichiarazione possa portare pregiudizio al terzo, estraneo al rapporto. Faccio due esempi: il debitore, oltre ad avere il creditore, tenuto a denunciare il proprio credito, può avere un altro creditore, il quale può fondare sulla sua dichiarazione di debito, fatta ai fini dell’imposta, per stabilire l’insolvenza di esso debitore e far fissare la data di cessazione dei pagamenti da parte dello stesso. Se il debito viene dichiarato inesistente erga omnes, è ovvio che la dichiarazione di debito, fatta dal debitore non potrà più costituire la base per la determinazione dello stato di insolvenza e della data di cessazione dei pagamenti.

Il creditore, tenuto a denunciare il credito, può, a sua volta, avere un «terzo» creditore, estraneo all’altro rapporto creditorio. Con la declaratoria di inesistenza del credito non denunciato noi metteremmo questo terzo creditore in balia dell’altro creditore, suo debitore, e sottrarremmo a lui la garanzia generale, costituita dall’intero patrimonio dell’obbligato. È evidente che tutto questo è antigiuridico, e, perciò, inammissibile.

Quindi: noi dobbiamo limitare la sanzione della inesistenza del debito, unicamente rispetto ai titolari del rapporto giuridico ih oggetto.

Per esprimere il mio pensiero in termini giuridici più appropriati, mi permetto di proporre che l’emendamento, formulato così: «inesistente tra le parti, salvo i diritti dei terzi», sia, dal punto di vista formale, così precisato: «fra le parti, senza pregiudizio dei terzi».

In questi termini, mi pare che l’Amministrazione delle finanze non possa trovare difficoltà. Qual è il suo fine? Quello di garantire l’esazione dell’imposta. Questo si raggiunge allorquando si stabilisce la sanzione dell’inesistenza del debito negato dal creditore. Ma non possiamo andare oltre, sino a pregiudicare e consentire che si possa pregiudicare il patrimonio del «terzo».

Affido a queste considerazioni, che mi sembrano elementari, l’accoglimento del mio emendamento.

CANNIZZO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Mi pare che bisognerebbe invece discutere sull’opportunità di mantenere la parola «inesistente». Che cosa si vuole dire? È un rapporto giuridico che si vuole dichiarare sciolto o è un rapporto giuridico di cui si dichiara l’inesistenza fin da quando è sorto?

Questa questione può avere gravissimi riflessi, anche in materia di sanzioni, perché è stato proposto un emendamento che riguarda i crediti fittizi.

Anzi, mi ricordo che quell’emendamento fu rimandato, perché non trovammo come collegarlo con l’articolo 23. Secondo quest’articolo, la dichiarazione del creditore verrebbe equiparata al pagamento; quindi atterrebbe piuttosto allo scioglimento del negozio giuridico anziché alla esistenza del rapporto giuridico. Questo è molto grave, perché, a prescindere dai rapporti fra amministrazione finanziaria e il contribuente, non è risolta la questione dei terzi. Infatti, supposto che il terzo voglia far valere gli stessi diritti cedutigli dal creditore, non so come li possa far valere senza che il debitore di buona fede, che abbia dichiarato un debito effettivamente esistente e negato dal creditore, possa ottenere che sia iscritto nel passivo il suo debito.

Quindi accederei all’ipotesi dell’onorevole Caroleo di sopprimere il primo capoverso. Del resto può supplire l’articolo 22, nel quale si parla di «debito a carico del contribuente, di cui sia riconosciuta l’effettiva sussistenza». Chi ammette un debito ne deve dare le prove, le quali possono risultare anche da una dichiarazione del creditore contestuale alla denuncia fatta dal debitore. Non so poi se sia opportuno introdurre addirittura questa sanzione che equiparerebbe al pagamento la dichiarazione del creditore. Ed appunto anche perché il termine «inesistente» si potrebbe prestare ad interpretazioni non previste, io ritengo (e questa è anche una mia dichiarazione di voto) che sia opportuno ripiegare sull’emendamento soppressivo dell’onorevole Caroleo.

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Caroleo l’ha ritirato perché ne ha proposto uno sostitutivo.

CAROLEO. Subordinatamente.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Nella legge del 1922 la disposizione era esattamente la stessa e non pare che abbia dato luogo a molti inconvenienti. Perché la legge del 1922 diceva: «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura che non risulti da atto pubblico è denunciato dal debitore e negato dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti anche fra le parti, senza che sia ammessa prova contraria».

La Commissione naturalmente ha soppresso quello che sarebbe stato – direi – superfluo nel testo governativo, riproducendo la disposizione del 1922. Comunque, per queste considerazioni, la Commissione, rispetto ai vari emendamenti proporrebbe questa dizione: «Il rapporto giuridico è considerato inesistente a tutti gli effetti fra le parti», per dare l’impressione che dopo lo accertamento di questa situazione del creditore e del debitore viene la conseguenza legislativa della inesistenza, che non è una inesistenza ab origine.

CANNIZZO. Io direi: «è risolto».

DE VITA. Ma la dichiarazione può farla l’autorità giudiziaria.

LA MALFA, Relatore. L’osservazione dell’onorevole De Vita è giusta. Ma il «considerato» fa discendere l’inesistenza dal fatto che debito e creditore hanno negato il rapporto reciproco. Dicendo: «inesistente fra le parti a tutti gli effetti», sono salvi i diritti dei terzi. L’inesistenza si limita al solo rapporto fra le parti. Così insisto perché si lasci: «è considerato inesistente a tutti gli effetti fra le parti».

CAROLEO. Ma l’inesistenza del rapporto principale implica anche quella dei rapporti accessori. Con questa formula, pertanto i diritti dei terzi sono pregiudicati.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro delle finanze di esporre il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Forse, se avessimo maggior tempo, potremmo lavorare di cesello per trovare la formulazione migliore. Ad ogni modo, credo che sia esatto quanto ha detto l’onorevole Relatore, cioè, che, trattandosi di riprodurre le disposizioni già esistenti nel 1920, disposizioni che non hanno dato luogo ad inconvenienti, molte preoccupazioni degli onorevoli colleghi non abbiano ragion d’essere.

Convengo col Relatore innanzi tutto per mantenere il primo comma dell’articolo, poi per accogliere sostanzialmente l’emendamento De Vita e quindi rendere non necessaria una declaratoria di inesistenza. Sostituendo la parola «dichiarato», con l’altra «considerato», ritengo che lo scopo principale dell’emendamento De Vita sia raggiunto, in quanto non sarà più necessaria la declaratoria di una particolare autorità.

Sono d’accordo col Relatore nel sopprimere la parola «anche», onde esprimo parere favorevole per questa formulazione. «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunciato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è inesistente».

Per quanto riguarda i diritti dei terzi, penso anche io che non possano essere lesi nel caso di collusione fra creditore e debitore.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. La questione ha una certa gravità. Io mi preoccupo dei diritti dei terzi, i quali restano sacrificati da una presunzione di legge che può non aver fondatezza nella realtà delle cose.

Proporrei una nuova formula che forse potrebbe sodisfare le varie tesi; propongo cioè che dopo le parole «è negata dal creditore» si dica: «il credito è inesigibile nei confronti del debitore».

Preferisco che non si parli di inesistenza, perché parlando di inesistenza, qualunque forma si adoperi, il rapporto è sempre distrutto fra le parti e quindi rimangono distrutti anche i rapporti collegati.

Vorrei, in altri termini, limitare la sanzione alla inesigibilità e quindi alla non azionabilità del diritto di credito fra le parti. Questa mia proposta potrà non sodisfare tutti, ma mi pare che si venga incontro con essa al desiderio espresso da varie parti. Propongo di dire, dunque, che il credito è «inesigibile», non «inesistente».

PRESIDENTE. Domando il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei chiedere se per avventura la formula dell’onorevole Scoca non peggiori la situazione nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Infatti, il termine «inesigibilità» sostituito al termine «inesistenza» verrebbe a negare un diritto d’azione nei confronti del debitore, in modo da mantenere ferma l’esistenza del credito. Probabilmente – mi scusino i giuristi presenti, se sbaglio – si verificherebbe la trasformazione di una obbligazione civile in una obbligazione naturale.

Potendosi sempre verificare l’accordo fraudolento rispetto a un terzo, l’amministrazione finanziaria si preoccupa che per salvaguardare il diritto di un terzo in malafede si possa rendere inoperante la sanzione nei confronti dei due contribuenti che si mettono d’accordo fra di loro.

Vogliono gli onorevoli colleghi, giacché la discussione ormai si allarga, vedere se non ritengano di ripiegare su un’altra formula che si riallacci all’emendamento Perlingieri, il quale dice: «salvi i diritti dei terzi»?

PERLINGIERI. Modifica senza pregiudizio.

PELLA, Ministro delle finanze. In questo caso desidererei che si dicesse: «diritti dei terzi», perché vorrei aggiungere, «risultanti da atti aventi data certa anteriore al 28 marzo 1947».

PERLINGIERI. Questo è implicito, perché il terzo che non ha il titolo anteriore non ha azione.

PELLA, Ministro delle finanze. È la conseguenza di atti aventi data certa, non essendo ammissibile una prova in base a documenti che non abbiano data certa; né sarebbe ammissibile una prova testimoniale. Rientreremmo nel grande solco della prassi tributaria la quale accetta gli atti aventi data certa e cerca di non essere danneggiata da altre prove.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Penso che la parola «dichiarato» si possa sostituire con la parola «considerato». La formulazione dell’articolo potrebbe essere questa:

«…il rapporto giuridico è considerato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti, salvo i diritti dei terzi».

LA MALFA, Relatore. Tutto sommato, manteniamo la nostra proposta: «considerato inesistente a tutti gli effetti fra le parti…».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dichiaro che sono molto perplesso sull’opportunità di introdurre questo articolo. La Finanza deve pensare a sé stessa e non preoccuparsi dei rapporti più o meno onesti e fraudolenti che possono correre fra le parti, né preoccuparsi dei diritti dei terzi.

Ora è evidente che introdurre questo articolo significa aprire la porta alla possibilità di frodi architettate fra debitore e creditore. Due individui si mettono d’accordo per cedere un debito, magari in cifre imponenti, che fino a ieri ha pagato la ricchezza mobile in categoria A2, che è iscritto in ruolo; questo debito conviene alle parti cancellarlo di fronte al fisco per sottrarsi a tutti gli oneri continuativi e per sottrarsi anche all’imposta straordinaria che viene attuata con questo progetto.

L’accordo fra le parti, chi lo può misurare? Chi può sapere quali accorgimenti possono accompagnarlo? Verrà dichiarato estinto questo debito e le parti avranno già creato un altro titolo che non è più questo. Il fisco sarà frodato; le parti saranno a posto; i terzi forse saranno danneggiati, ma di questo non ci dobbiamo preoccupare. La verità è che volendoci preoccupare degli interessi della Finanza, dobbiamo dire che con questo articolo gli interessi della Finanza sono messi in grave pericolo. (Approvazioni a sinistra).

Io non direi niente. Se domani c’è un creditore che dice che non è creditore, la Finanza farà tutte le sue indagini. Presterà fede? – Cancellerà il debito. Non presterà fede? – Ricorrerà a tutte le prove dirette ed indirette per tutelare il proprio diritto. Ma togliere alla Finanza il diritto di tutelare i propri interessi con un articolo il quale le impone di cancellare dai suoi ruoli un debito che fino a ieri c’era, a me pare eccessivo e pericoloso.

Faccio la proposta che questo articolo venga cancellato.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. A me pare che la preoccupazione dell’onorevole Bertone sia eccessiva, perché la finanza è difesa dalla lettera a) dell’articolo 22, il quale non ammette in detrazione qualsiasi debito fondato sulla semplice dichiarazione del debitore, ma dice: «tutti i debiti a carico del contribuente, di cui sia riconosciuta l’effettiva sussistenza alla data del 28 marzo 1947». Però i pericoli di frode mi sembrano non difficili.

Io riterrei opportuno di fare menzione della salvezza del diritto dei terzi, ma non vorrei che così si aprisse una breccia a danno della finanza. Quindi io proporrei di aggiungere: «sono salvi i diritti dei terzi, fermi i diritti della finanza», in questo senso che quando il terzo viene, prova che invece il debito sussisteva e lo vuole riscuotere, in sostituzione del primo creditore, si dia prima la prova che è stata pagata l’imposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il suo parere.

LA MALFA, Relatore. Ricordo agli onorevoli colleghi che questa disposizione era nella legge del 1922. La legge del 1922 era essa stessa frutto di esperienza e direi anche di giurisprudenza.

Se modifichiamo quella disposizione, riapriamo questioni che in sede giurisprudenziale sono state risolte. Quindi manterrei fermo il concetto della Commissione di aggiungere dopo «dichiarato» «è considerato inesistente, a tutti gli effetti, fra le parti».

Implicitamente sono salvi i diritti dei terzi, ma rimaniamo sulla scia di una disposizione che è stata già applicata e che ha avuto i suoi vantaggi.

Io non so misurare gli effetti di cambiamenti, in questa sede, senza avere tutti i dati del problema. Quindi insisterei nel mantenimento della formula.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di parlare.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo con l’onorevole Relatore nella formula che si vorrebbe pregare l’onorevole Presidente di mettere in votazione.

L’onorevole Bertone, ha manifestalo la preoccupazione che un articolo, a prima vista lesivo del diritto comune, per dare una maggiore difesa alla finanza, si possa tradurre in un’arma contro la finanza stessa, cioè possa servire non a simulare dei debiti, ma a far cadere dei crediti esistenti.

Con la eliminazione della parola «anche», così come propone l’onorevole La Malfa, cade la preoccupazione dell’onorevole Bertone, perché quando si dice «il rapporto giuridico è considerato inesistente a tutti gli effetti fra le parti», questa disposizione di ordine sanzionistico opera soltanto tra debitore e creditore e la finanza rimane estranea all’inesistenza, mentre non lo sarebbe stato se si fosse lasciata la parola «anche», perché «anche» avrebbe potuto significare che il credito cade e fra le parti e per la finanza.

BERTONE. Chiedo che queste considerazioni del Ministro risultino comunque bene a verbale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Relatore. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Volevo dire che nella disposizione del 1922 la dizione era esattamente questa: «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura che non risulti da atto pubblico».

Ora, nel testo governativo della nuova legge, questo inciso «che non risulti da atto pubblico» è stato soppresso. Noi della Commissione abbiamo ritenuto che sia stato soppresso, perché quando risulta da atto pubblico il debitore non può negarle. Comunque, se volete, questo inciso possiamo metterlo.

Voci. No, non è necessario.

PRESIDENTE. Allora passiamo alla votazione degli emendamenti. Pongo anzitutto in votazione l’emendamento dell’onorevole Caroleo.

(Non è approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole De Vita.

DE VITA. Sostanzialmente il mio emendamento è stato accolto dalla Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora segue l’emendamento dell’onorevole Perlingieri. Lo mantiene?

PERLINGIERI. Lo mantengo e chiedo che sia votato per divisione. La prima parte è accettata dalla Commissione; la seconda parte «senza pregiudizio dei terzi» chiedo che sia messa ai voti separata.

LA MALFA, Relatore. Credo che si possa accettare la formula «Considerato a tutti gli effetti tra le parti».

PRESIDENTE. Si dovrà porre prima in votazione l’emendamento Scoca, che modifica l’articolo. Onorevole Scoca, mantiene il suo emendamento?

SCOCA. Mi pare che le formule, dopo i chiarimenti avuti in Assemblea, si equivalgano. Quindi sono disposto a ritirare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene, allora siamo di fronte al testo definitivo proposto per il primo comma dal Governo e dalla Commissione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. L’onorevole Relatore, accennava poco fa al testo della legge del 1922, nella quale era scritto che l’annullamento dei debiti non riguardava quelli risultati da atto pubblico. Ritengo sia opportuno conservare questa dizione, perché, quando nell’articolo 23 si dice che la disposizione si applica a tutti i crediti, di qualsiasi natura, possono esservi compresi quelli nascenti da atto pubblico, i quali non possono essere affetti da presunzione di inesistenza.

Pertanto, sarebbe bene, a mio avviso, conservare l’inciso.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Ritengo che la menzione dell’atto pubblico sia stata eliminata a ragion veduta. Essa non eliminerebbe una quantità – non so dire in quali proporzioni – di possibili simulazioni. Può darsi, poi, il caso che il debito sia stato estinto e che si faccia rivivere in questa sede.

Ecco perché ritengo possa essere approvata la dizione generica della legge.

BERTONE. Non insisto.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo con l’onorevole Scoca.

PRESIDENTE. Metto ai voti il primo comma dell’articolo 23, nel testo emendato proposto dalla Commissione, con la soppressione cioè della parola «anche» e con la sostituzione della parola «considerato» alla parola «dichiarato»:

«Quando la esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è considerato inesistente, a tutti, gli effetti, fra le parti».

(È approvato).

Metto ai voti l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Perlingieri: «senza pregiudizio dei terzi».

(Non è approvato).

SCOCA. Bisogna intendersi. Il fatto che sia stata esclusa l’aggiunta potrebbe dar luogo a disparità di interpretazione. Sia ben chiaro che non abbiamo votato l’emendamento aggiuntivo, in quanto lo consideriamo pleonastico.

La sostanza è questa: che i diritti dei terzi sono sempre salvi.

PERLINGIERI. Se avessi avuto simile esplicita assicurazione, non avrei insistito sulla votazione della seconda parte del mio emendamento.

LA MALFA, Relatore. Mi pare che il concetto sia ben chiaro. L’hanno affermato tanto la Commissione quanto il Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo.

PRESIDENTE. Restano agli atti le dichiarazioni che sono state fatte. Si è precisato che benché l’emendamento Perlingeri sia stato respinto, non si è inteso portare alcun danno ai diritti dei terzi, i quali rimangono salvi anche secondo la formulazione approvata.

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 23 si intende approvato con le modificazioni apportate al primo comma.

Si dovrebbe ora passare all’esame dell’articolo 25.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Chiederei al Presidente della Commissione se non sarebbe molto più opportuno ritornare all’articolo 2 e votarlo ora in quanto che, senza questa votazione, i lavori della Commissione possono essere in parte intralciati. Secondo la proposta del Governo, si rimetteva all’Assemblea la decisione di approvare o meno l’emendamento presentato dagli onorevoli Castelli, Scoca, Valiani, Pesenti, cioè firmato da membri di diversi settori dell’Assemblea, perché fosse istituita una imposta proporzionale sugli enti collettivi. Senza questa approvazione di principio io credo che la Commissione non possa proseguire i suoi lavori.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, rammento quanto è stato detto ieri sera dal Presidente, onorevole Terracini, il quale, su questo punto, ha accennato alla questione, ponendola nei suoi termini precisi. Il Governo ha presentato alla Commissione, ma non ancora alla Presidenza dell’Assemblea per la distribuzione ai deputati, il testo di un nuovo Titolo da inserirsi nel decreto. Facendo mie le considerazioni del Presidente Terracini, ritengo che prima di porre in discussione l’emendamento all’articolo 2, sia opportuno, per non autorizzare giusti rilievi di onorevoli colleghi, distribuire all’Assemblea il nuovo testo, a meno che non si voglia accogliere il concetto di delegare il Governo ad emanare un successivo provvedimento legislativo.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io credo che, in questioni di questo genere, è l’Assemblea, in definitiva, che deve decidere.

PRESIDENTE. Senza dubbio, onorevole Scoccimarro. Il Presidente dell’Assemblea ha però indicato il programma di lavoro che si potrebbe adottare.

SCOCCIMARRO. Qui c’è un emendamento composto di due righe, sul quale l’Assemblea può pronunciarsi. Si provvederà poi all’inserzione nella legge di un titolo organico i già pronto.

PRESIDENTE. Come l’Assemblea sa, il Governo ha presentato un Titolo III che è i in esame presso la Commissione. Ora l’Assemblea – come fu osservato giustamente da qualche collega – ha diritto di conoscere il testo presentato dal Governo, perché potrebbe rilevare che non è possibile adottare una decisione intorno agli emendamenti se non si conoscono le conseguenze legislative dell’affermazione del principio e della regola generale.

SCOCCIMARRO. L’Assemblea può decidere in linea di principio la tassazione degli enti collettivi. Si discuterà poi sui diversi modi nei quali quel principio può realizzarsi.

PRESIDENTE. Rammento che vi è un emendamento Castelli-Scoca, all’articolo 2, concernente gli enti collettivi, così formulato:

«Sono soggette all’imposta straordinaria progressiva le persone fisiche.

«Gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale, secondo le norme del Titolo III».

Ora l’Assemblea può votare un emendamento che si richiama al Titolo III, di cui ignora il contenuto?

Io credo, onorevole Scoccimarro, che si potrebbe eliminare la frase «secondo le norme del Titolo III», e approvare poi un ordine del giorno invitando il Governo a formare queste norme.

SCOCCIMARRO. Non posso accedere alla sua proposta, perché ritengo che un semplice ordine del giorno si risolverà in nulla. Io penso che questo problema deve essere risolto e deciso nella votazione dell’imposta straordinaria.

PRESIDENTE. È stato dunque proposto di passare all’esame dell’emendamento sull’articolo 2, che ha per oggetto gli enti collettivi. Su questa proposta dobbiamo decidere.

MARINARO. Io propongo la sospensiva!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Scoca. Ne ha facoltà.

SCOCA. Se non erro, la difficoltà di procedere all’esame ed alla eventuale approvazione dell’articolo 2 dipende dal fatto che il secondo comma di quest’articolo dice che «gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale, secondo le norme del Titolo III».

Ora, siccome questo Titolo III non lo conosciamo, si dice che prima di esaminare e di approvare quest’articolo si debbano conoscere le norme del Titolo III. Se questa fosse la difficoltà, sarebbe una difficoltà che si potrebbe facilmente eliminare, ed io, come firmatario dell’emendamento, non ho difficoltà – e credo che non ne possano avere neanche gli altri colleghi – a cancellare la frase «secondo le norme del Titolo III», cioè il richiamo ad un Titolo che oggi l’Assemblea non ha sott’occhi.

In sostanza, potremmo approvare l’applicazione di una imposta con carattere proporzionale che colpisca gli enti collettivi, e ci riserveremmo di presentare successivamente tutti quegli emendamenti che nell’insieme formeranno il Titolo III.

SCOCCIMARRO. Dichiaro di essere d’accordo con quanto ha proposto l’onorevole Scoca.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Come ho già accennato, faccio una proposta formale di sospensiva…

PRESIDENTE. L’avverto onorevole Marinaro, che per la sospensiva occorre una proposta scritta con quindici firme.

MARINARO. Si stanno raccogliendo.

La mia proposta è giustificata da varie considerazioni.

Prima di tutto, è un dato di fatto che ieri sera è stato distribuito ai singoli membri della Commissione di finanza un Titolo III che non è contemplato nella legge che noi stiamo convalidando.

Questo Titolo III, secondo tale comunicazione ufficiosa, disciplina interamente tutta la materia degli enti collettivi.

Davanti a questa situazione, mi sembra inutile affermare in una sede, che non è la sede naturale, un principio che è disciplinato interamente nel Titolo III, che è stato comunicato alla Commissione di finanza e che sarà quanto prima portato a conoscenza dell’Assemblea.

Ma, oltre che per questa ragione, io penso che, anche per esigenze di tecnica giuridica, l’affermazione della tassabilità degli enti collettivi non possa trovar sede nell’articolo 2. Il decreto legislativo 29 marzo è composto di due titoli, il primo dei quali s’intitola «Imposta straordinaria progressiva sul patrimonio», e l’articolo 2 stabilisce i soggetti passivi dell’imposta, che sono le persone fisiche. Ora noi non possiamo inserire in questo articolo 2, che prevede soltanto l’imposizione per le persone fisiche, anche gli enti collettivi, che persone fisiche non sono. Sarebbe – a mio modesto avviso – un non senso dal punto di vista giuridico. La sede naturale deve essere un titolo a parte, come appunto è stato predisposto. Da questo punto di vista mi pare che non ci possa essere dubbio.

Noi non diciamo: Respingete l’emendamento; diciamo: Siccome siamo chiamati a discutere in giornata tutto il Titolo III, discuteremo della materia degli enti collettivi quando discuteremo il Titolo, e non vediamo l’opportunità di procedere all’esame questa mattina, tanto più che l’emendamento così come fino a questo momento è formulato – mi consentano i firmatari – mi sembra anche poco riguardoso per l’Assemblea. Infatti, come lo stesso signor Presidente ha fatto rilevare, si fa esplicitamente riferimento ad un Titolo III che l’Assemblea ancora non conosce.

Allo stato attuale, quindi, non c’è che da adottare questa soluzione: sospendere l’esame dell’emendamento e rinviare la discussione al momento in cui discuteremo tutto il Titolo III.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Vorrei chiarire alcuni termini di fatto di questo emendamento.

L’onorevole Marinaro ieri, in sede di Commissione, aveva sollevato, mi pare, un’eccezione molto più ampia, cioè quella della possibilità di inserire la tassazione degli enti collettivi nel sistema di questa legge. Eccezione ampia, perché non riguardava il momento in cui si deve discutere degli enti collettivi – se discuterne, cioè o deliberare quando il Titolo III sia stato distribuito – ma ampia nel senso che l’onorevole Marinaro non ammetteva che si potesse introdurre questa tassazione nel sistema del provvedimento presentato dal Governo.

Io vorrei chiarire, come ho fatto ieri al Presidente dell’Assemblea, onorevole Terracini, che la Commissione, quando ha preso in esame il disegno di legge mandato dal Governo e, quindi, il decreto legislativo, si è trovata di fronte ad una impostazione del problema degli enti collettivi, fatta già dal Governo. Perché fatta dal Governo? Perché – e vorrei anticipare quello che dichiarerò quando si discuterà della materia – perché la legislazione del 1920-22 applicava già l’imposta progressiva agli enti collettivi. Quindi, nella nostra tradizione legislativa, la tassazione degli enti collettivi è un dato legislativo. Non ci possono essere eccezioni di principio. Non ci sono neanche ragioni dottrinarie. Il Governo ha detto all’Assemblea, nella relazione: ritengo che non siano da tassare gli enti collettivi. Ma è evidente che con ciò il Governo implicitamente ammetteva che questo problema esiste e riguarda il merito stesso del provvedimento legislativo.

Badate poi che, nella relazione ministeriale. si tratta di opportunità e non già di eccezione di principio; la Commissione si è ritenuta quindi in dovere, di fronte all’Assemblea, di riesaminare il problema. Essa ha tuttavia deciso a maggioranza, nella sua prima deliberazione, nel senso indicato dal Governo, ha deciso cioè di non tassare gli enti collettivi.

Ma nel contempo ha legato il provvedimento dell’imposta a un altro provvedimento sulla rivalutazione dei patrimoni che il Governo doveva presentare.

Questo, comunque, non ha importanza. Quando in Assemblea alcuni colleghi hanno presentato degli emendamenti intesi a stabilire la tassazione degli enti collettivi, il problema si è naturalmente ripresentato, come già si era presentato in sede di Commissione. Tutto ciò si è svolto dunque in maniera perfettamente normale, nella sede propria della legislazione. Si tratta sempre di considerare se questo tipo di imposta straordinaria sia o non sia da applicare agli enti collettivi.

I due schemi di Titolo III che il Governo ha inviato alla Commissione sono due proposte di emendamenti su cui il Governo non ha assunto alcuna responsabilità. Voi sentirete al riguardo il parere della Commissione; poi sentirete se il Governo accetta o meno gli emendamenti. Per il caso in cui il Governo decida la tassazione degli enti collettivi, la Commissione si troverà in grado di dire all’Assemblea: Questo è il Titolo III che viene presentato quale emendamento.

Io non ritengo che si possano sollevare eccezioni sospensive di principio. L’Assemblea può passare, a nostro giudizio, tranquillamente alla discussione di sostanza sull’articolo 2, cioè al problema se accettare o meno l’emendamento Castelli Edgardo, Scoca ed altri.

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione sulla proposta di sospensiva dell’onorevole Marinaro e di altri colleghi, che hanno fatto pervenire analoga domanda alla Presidenza, io tengo a stabilire che il Titolo III, di cui ha parlato in questo momento il Relatore onorevole La Malfa, è completamente ignorato dalla Presidenza e dall’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Ho già spiegato che non è un atto formale del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Vi è veramente la possibilità che si possa muovere l’appunto al Governo d’una mancanza di riguardo nei confronti della Presidenza e nei confronti dell’Assemblea.

Prego di considerare che così non è, perché dobbiamo riportarci a come si sono svolte le cose. Il Governo ha desiderato che l’Assemblea risolvesse la questione di principio, ma ha desiderato, nello stesso tempo, dare la dimostrazione che con questo non intendeva sottrarsi alla più rapida attuazione delle deliberazioni dell’Assemblea sulla questione stessa. Poiché tali deliberazioni potevano essere orientate verso due diverse soluzioni, il Governo ha approntato due strumenti tecnici che potrebbero servire per l’una o per l’altra delle soluzioni del problema. Naturalmente, siccome si tratta di un anticipo di buona volontà, non si poteva dare un’espressione costituzionale e formale a tale manifestazione del Governo; quindi, non era possibile provvedere ad una presentazione formale all’onorevole Presidente.

Il Governo desiderava dare questa dimostrazione di buona volontà, soprattutto in relazione a qualche appunto che in materia era stato formulato. E la sola via pratica era quella di comunicare, a titolo personale, al Presidente della Commissione, gli elaborati del Ministero in questa materia.

Ecco perché debbo pregare gli onorevoli colleghi di non vedere nulla in tutto questo che possa significare mancanza di riguardo nei confronti dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Si dovrà allora passare alla votazione sulla proposta dell’onorevole Marinaro di sospensiva della discussione nell’articolo 2. Per questa votazione è pervenuta richiesta di appello nominale dall’onorevole Marinaro stesso e da altri.

Ricordo comunque che l’emendamento Castelli-Scoca ed altri è stato così modificato:

«Sono soggette all’imposta straordinaria progressiva le persone fisiche.

Gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale».

Viene tolto cioè il riferimento alle norme del Titolo III.

DE VITA. Mi permetto di far presente che vi è anche un mio emendamento che non è stato svolto.

LA MALFA, Relatore. È assorbito.

DE VITA. È assorbito ? Ma io non ho firmato l’emendamento preparato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Votiamo prima la proposta di sospensiva.

L’onorevole Marinaro ed i colleghi che hanno sottoscritto la domanda di appello nominale, insistono ?

MARINARO. Insistiamo. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Marinaro, vuole dire con precisione come formula la sua proposta di sospensiva?.

MARINARO. Premesso in via di principio, che noi, anche di questo settore, siamo favorevoli all’istituzione di un’imposta straordinaria a carico delle società e degli altri enti collettivi, sosteniamo soltanto che questa materia dovrà trovare la sua sede di discussione quando si discuterà tutto il Titolo III. (Commenti).

L’articolo 2 disciplina l’istituzione di una imposta progressiva personale, a carico delle persone fisiche, mentre in questo caso si tratta di un’imposta straordinaria proporzionale a carico degli enti collettivi. Non è dunque questa la sede per disciplinare tale materia. E poiché questa materia verrà in discussione nella seduta pomeridiana di oggi, io chiedo la sospensiva perché la materia sia esaminata oggi, in quella sede.

ZERBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZERBI. Parlo per dichiarazione di voto, a strettissimo titolo personale; personalmente convengo col mio Gruppo sull’opportunità della tassazione degli enti collettivi, ma purtroppo non mi ha persuaso nemmeno l’emendamento. Voterò per la sospensiva, perché mi pare che nemmeno la rinuncia a citare esplicitamente il Titolo III superi la questione dell’opportunità e della deferenza verso i membri dell’Assemblea che non sono contemporaneamente membri della Commissione di finanza. Evidentemente i membri della Commissione di finanza possono esprimere i loro voti con una consapevolezza maggiore di quanto possiamo fare noi che non siamo ancora a conoscenza del Titolo III. (Commenti a sinistra).

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Parlo per dichiarazione di voto. Intendo che sia ben chiaro che l’onorevole Zerbi ha parlato a titolo personale. Il Gruppo democristiano vota contro la sospensiva. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Insiste l’onorevole Marinaro nella richiesta di appello nominale?

MARINARO. Insisto.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta di sospensiva dell’onorevole Marinaro.

Estraggo a sorte il nome del deputato da cui comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Fusco.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario. Fa la chiama.

Rispondono sì:

Coppa Ezio.

Marinaro.

Perrone Capano.

Zerbi.

Rispondono no:

Alberti – Allegato – Amadei – Amendola – Angelini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Carìstia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartìa – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colonnetti – Conci Elisabetta – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Crernaschi Olindo.

D’Aragona – De Caro Gerardo – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dossetti – Dozza – Dugoni.

Ermini.

Fabriani – Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchéro – Giolitti – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jacini – Jacometti.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marconi – Mariani Enrico – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mattarella – Mattei Teresa – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Morandi – Mora– nino – Morini – Moro – Moscatelli – Murgia – Musolino.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Ponti – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Priolo.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Scoca – Scoccimarro – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Spallicci – Spano – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zappelli – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Conti.

Quintieri Quinto.

Schiratti.

Sono in congedo:

Ambrosini.

Bellavista.

Fedeli Aldo.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Mazza.

Pignatari.

Raimondi – Ravagnan.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sulla proposta di sospensiva dell’onorevole Marinaro:

Presenti                   309

Votanti                    306

Astenuti                  3

Maggioranza           154

Hanno risposto sì     4

Votanti……………………… 306

Astenuti………………………. 3

Maggioranza………………. 154

Hanno risposto si .        4 1


Hanno risposto no    302

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi. Ritengo che si debba rimandare il seguito della discussione ad altra seduta…

Voce a sinistra. No, no!

PRESIDENTE. …in considerazione soprattutto di un fatto. Durante la votazione sono venuti al banco della Presidenza alcuni colleghi i quali hanno domandato se, dopo la votazione, si sarebbe proseguito nell’esame dell’articolo 2. Io ho creduto, data l’ora, di rispondere che la discussione sarebbe stata ripresa nella seduta successiva. Credo che, in queste condizioni, l’Assemblea non possa continuare nella discussione.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Sono molto spiacente di questo contrattempo, ma penso che se noi non proseguiamo ora nella discussione, l’esito della votazione non avrebbe significato. Siccome il responso del voto è stato contro la sospensiva, noi non possiamo accettare nessuna sospensiva. Si tratta di non perdere ulteriormente tempo.

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, ella equivoca fra sospensiva e sospensione. Qui si tratta di sospensione della discussione. Respinta la sospensiva, si tratta di riprendere in altro momento l’esame dell’emendamento sul quale deve ancora svolgersi la discussione.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Mi rendo perfettamente conto, signor Presidente, di quello che è il suo scrupolo di coscienza, ma vorrei fare osservare che sul testo emendato dell’articolo già svolto sono d’accordo tutti i gruppi dell’Assemblea, la Commissione ed il Governo. L’assenza di qualche deputato non può provocare un diverso esito della votazione. Pregherei quindi il Presidente di mettere subito ai voti l’emendamento.

PRESIDENTE. Ho già detto che non posso mettere in votazione l’emendamento, se prima non si svolge la discussione.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei ricordare una giusta osservazione fatta giorni or sono in questa Aula dall’onorevole Corbino, il quale disse: L’Assemblea in problemi di questo genere deve decidere subito per non permettere speculazioni fuori di questa Aula.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Onorevoli colleghi, la discussione su questo emendamento si era effettivamente svolta per intero. Doveva rispondere il Relatore e doveva dire la propria opinione il Ministro. Per quanto mi riguarda, posso dire brevemente il mio pensiero. Non so quale sia l’opinione del Ministro. In effetti l’Assemblea ha davanti a sé soltanto un problema di cortesia verso il Presidente.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta che si proceda nella discussione.

(Dopo prova e controprova, la proposta è approvata).

Si procede allora nella discussione. Siamo all’articolo 2, che come l’Assemblea ricorda, è stato proposto dalla Commissione nella seguente formulazione:

«Sono soggette all’imposta straordinaria le persone fisiche.

«Sono altresì, soggetti all’imposta straordinaria le società, ditte ed enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato, con deduzione dell’ammontare delle partecipazioni alla società, ditta o ente, che risultino accertate al nome di persone fisiche, proporzionalmente agli investimenti della società, ditta o ente in Italia».

Rileggo il testo dell’emendamento presentato dagli onorevoli Castelli Edgardo, Scoca, Valiani, Dugoni, Pesenti, Mazzei, Bertone, Tosi, Baracco nella sua definitiva formulazione:

«Sostituire l’articolo col seguente: «Sono soggette all’imposta straordinaria progressiva le persone fisiche.

«Gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Dichiaro di essere favorevole all’emendamento dal punto di vista sostanziale. Solo mi permetto di far rilevare una questione di collocamento. Noi abbiamo un disegno di legge che comincia così: Titolo I – Imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. Noi ora, all’articolo 2° del Capo I, dichiariamo: «Gli enti collettivi sono sottoposti alla imposta proporzionale». Io vorrei pregare di affermare il principio, e poi in sede di inizio del Titolo II – dove manca il titolo del Titolo (si guardi alla pagina 46 del documento), si dovrebbe mettere: «Imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio»; Capo XIII: Sul patrimonio dei contribuenti e delle persone fisiche; Capo XIV: Sugli enti collettivi.

Mi pare che in questo modo si approvi il principio e si faccia una cosa che non dirò dal punto di vista formale per la scienza, ma dal punto di vista formale per la tipografia (Si ride), risponde alla logica.

SCOCCIMARRO. Sono d’accordo con la proposta dell’onorevole Corbino. Propongo che si voti subito l’emendamento e si disponga poi in sede di coordinamento, nel senso ora indicato dall’onorevole Gorbino.

CONDORELLI. L’espressione che si usa: «enti collettivi» mi lascia dubbioso. Le società per azioni non sono certamente degli enti collettivi per il vigente codice civile. D’altro canto, le fondazioni si vogliono escludere dalla tassazione? Le fondazioni non sono enti collettivi, ma sono enti morali, perché il concetto di enti collettivi corrisponde all’altro di universitas personarum, per cui non rientrano nella nozione di enti collettivi né le società per azioni, che sono il principale obietto di questa tassazione, né le fondazioni che, secondo me, non devono sfuggire alla tassazione. Basterebbe ricordare certe fondazioni colossali, le quali indubbiamente devono pagare il loro contributo. Parlo di alcune banche che sono fondazioni e che certamente sfuggono al concetto. Secondo me, la intestazione è errata e se noi oggi facessimo un voto in questo senso, avremmo fissato con una legge che sia le società, che invece vogliamo colpire, sia le fondazioni, che devono essere colpite, non sono tassate.

TOGLIATTI. Propongo la chiusura della discussione.

PRESIDENTE. È stata chiesta la chiusura della discussione. Domando se è appoggiata.

(È appoggiata).

Pongo allora ai voti la proposta di chiusura.

(È approvata).

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ho chiesto la parola per dire il parere della Commissione, perché credo che sia questo il momento giusto. Comunque, rispondo alla obiezione dell’onorevole Condorelli: ormai, nella legislazione finanziaria l’espressione «enti collettivi» ha il preciso significato di istituti ed enti che comprendono società e fondazioni. La dizione della legge del 1922 era: «L’imposta è dovuta dalle persone fisiche e dagli enti collettivi». All’articolo 3 si diceva: «L’imposta non si applica alle società per azioni».

CONDORELLI. Allora, le società per azioni erano enti collettivi; ora non lo sono.

LA MALFA, Relatore. In tutta la legislazione finanziaria è questa la dizione usata per distinguere le persone fisiche dagli enti.

In quanto alla sostanza, dovrei rispondere a tutti gli oratori e principalmente all’onorevole Einaudi, ma mi pare che l’Assemblea si sia orientata sul problema. Devo soltanto esprimere il giudizio della Commissione che è stato favorevole all’accettazione dell’emendamento Castelli Edgardo ed altri.

PRESIDENTE. Qual è l’avviso del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Come ho già accennato l’altro giorno, il Governo si rimette completamente all’Assemblea.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento dell’onorevole Castelli Edgardo ed altri.

(È approvato).

Resta inteso che nel coordinamento si deciderà sulla definitiva collocazione di questa disposizione, secondo quanto ha osservato l’onorevole Corbino.

(Così rimane stabilito).

C’è ora un emendamento del Governo del seguente tenore:

«Aggiungere il seguente comma:

«Dal valore delle azioni o di quote di partecipazione in società costituite in Italia si detrae una quota-parte proporzionale al valore dei beni posseduti dalle società all’estero, ivi assoggettabili a tributi straordinari».

LA MALFA, Relatore. La Commissione propone di sopprimere questo emendamento e di limitare l’articolo 2 all’emendamento Castelli ed altri non votato.

Tutto quanto riguarda la disciplina delle società, anche all’estero, lo riporteremo al titolo riguardante gli enti collettivi.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Quando ebbi l’onore di annunciare questo emendamento, una diecina di giorni fa, vi fu una quasi concorde opinione che si trattasse di un emendamento superfluo, dato che, in sostanza, era naturale che non si potesse tassare quella parte di patrimonio dichiarata esente.

Devo però mantenere l’emendamento stesso a scopo di migliore chiarimento, salvo studiare il collocamento più opportuno.

Forse, non è felice il collocamento all’articolo 2, essendo questo modificato secondo l’emendamento Castelli. Non sarebbe neanche troppo felice collocarlo nel titolo che riguarda la nuova imposta proporzionale sugli enti collettivi.

Cercheremo nella prossima seduta la sede più opportuna.

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.25.