Come nasce la Costituzione

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SABATO 19 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCIII.

SEDUTA DI SABATO 19 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Per il decimo anniversario della morte di Guglielmo Marconi:

Merlin, Ministro delle poste e telecomunicazioni

Presidente

Interpellanze (Svolgimento):

Presidente

Bernini

Codignola

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Disegno di legge (Presentazione):

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Pallastrelli

Micheli

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Jacini

Perlingieri

Bertone

Corbino

Paris

Camangi

Vanoni

Adonnino

Cavallari

Sui lavori dell’Assemblea:

Scoccimarro

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Lussu

Fuschini

La Malfa

Corbino

Micheli

Mozione (Annunzio):

Presidente

Codignola

Pella, Ministro delle finanze

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Camangi

Pella, Ministro delle finanze

Benedettini

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia allo 9.30.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Cotellessa, Fedeli Aldo e Zotta.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge gli onorevoli Assennato e Cavallari in sostituzione rispettivamente degli onorevoli Scoccimarro e Di Vittorio, dimissionari.

Per il decimo anniversario della morte di Guglielmo Marconi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, onorevole Merlin. Ne ha facoltà.

MERLIN, Ministro delle poste e delle telecomunicazioni. Onorevoli colleghi! Se ricordare gli uomini insigni che con le loro opere hanno onorato la Patria e servito l’Umanità, è uno stretto dovere, l’Assemblea consentirà che io richiami brevemente la memoria di uno dei più grandi italiani, che in questo ultimo cinquantennio hanno reso grande ed onorato nel mondo il nome d’Italia.

Quest’uomo è Guglielmo Marconi.

Nato a Bologna il 25 aprile 1874, egli morì in Roma il 20 luglio 1937: domani ricorrono adunque dieci anni dalla sua morte.

Se la data della sua nascita è da annoverarsi tra i giorni più fausti nella storia del nostro popolo, quello della sua morte è giornata di lutto. Rivolgere, pertanto, alla sua grande figura in questo decimo anniversario un pensiero riconoscente è un dovere. Tanto più che si chiudono proprio quest’anno le celebrazioni del primo cinquantennio di quella sua geniale scoperta che nuove vie doveva aprire al lavoro umano ed alla civiltà.

Fu nel 1895, nella villa paterna di Pontecchio a Bologna che prese salda radice nella mente di Guglielmo Marconi, appena ventenne, l’idea che le onde elettriche, la cui esistenza era stata preveduta matematicamente dal Maxwell nel 1865 e poi dimostrata sperimentalmente da Hertz, da Lodge e da Righi, avrebbero potuto fornire il mezzo di telegrafare senza l’ausilio di fili conduttori.

L’esperienza riuscì; il genio aveva esattamente previsto. Ma anche coloro, come il Righi, che pure con i loro studi avevano preparato tale scoperta, non ebbero l’intuito geniale del Nostro. Essi non credevano che la scoperta delle onde elettriche avrebbe avuto le immense applicazioni che più tardi ebbe e che il giovane Marconi invece fino da allora previde.

Il Nostro nutrì la fede dei grandi inventori ed operò in conformità.

Egli fu l’inventore dell’antenna collegata direttamente o elettricamente alla terra.

Egli per primo concepì i mezzi adatti perché le onde elettriche potessero valicare le più alte montagne, vincere la curvatura della terra e superare la immensità degli spazi.

Il Nostro fu degno di Cristoforo Colombo, che guidò le nostre navi alla scoperta delle terre lontane, anche contro i dubbi della ciurma, che avrebbe voluto ritornare donde le navi erano partite.

È per questa sua fermezza che non conobbe soste che il Nostro corona la schiera dei grandi italiani che nel campo della scienza, onorarono la Patria.

Come Volta fu padre dell’elettricità, come il telefono è di Meucci, la dinamo di Pacinotti, il motore a campo rotante di Galileo Ferraris, così la radio è di Guglielmo Marconi. «Audere silenter», fu il motto che il grande osservò con un quarantennio di lavoro indefesso, di continui perfezionamenti, di quasi quotidiane conquiste.

Sulla grande scoperta di Guglielmo Marconi non cessa la inopportuna polemica di qualche voce discorde.

Proprio in questi giorni a New York si tiene un convegno internazionale delle telecomunicazioni ed è presente anche l’Italia, con rappresentanti nominati dal mio Ministero.

Ebbene, nella seduta del 5 giugno, avendo il Presidente del Congresso affermato che sono decorsi cinquant’anni dalla scoperta di Guglielmo Marconi, vi fu chi ha voluto contraddire a questo giusto riconoscimento.

Ma i delegati italiani, con chiara e ferma protesta, hanno dimostrato che fu proprio il grande italiano che ha realizzato per primo il successo delle radiocomunicazioni, perché nessuno di coloro che lo precedettero nella preparazione seppe realizzare le grandi ed utili applicazioni concrete, che Marconi attuò, e seppe superare gli ostacoli per raggiungerle.

Con ciò la delegazione italiana non ha certo inteso di mancare al dovere di rendere omaggio agli altri grandi uomini dei differenti Paesi, che hanno concorso a sviluppare la tecnica della radio.

Del resto se v’è scoperta, che, pur rendendoci orgogliosi come italiani, ci fa superare gli egoismi di un vieto nazionalismo per assurgere a maggiori doveri di solidarietà con tutti i popoli, è appunto questa subito attuata a servizio, non di un solo Paese o di un solo popolo, ma di tutta l’Umanità.

La scoperta di Guglielmo Marconi fu, prima di ogni altra applicazione, rivolta a salvare vite umane, soprattutto tra la gente del mare. Dal salvataggio miracoloso del Republic del 1909 a quello del Titanic nel 1913 e via via, da allora ad oggi, attraverso il richiamo del grido disperato di aiuto che si diffonde sugli oceani e parte delle navi in pericolo, sono migliaia e migliaia di creature che devono al Nostro la vita.

Tutte le miracolose applicazioni successive sono note a tutti.

Applicazioni alle arti, alla musica, alla letteratura, alla divulgazione delle idee politiche e sociali con i servizi radio; alla radioassistenza nella navigazione, al Radar che guida il navigante tra tutti gli scogli e che è l’occhio luminoso della nave, al telefono senza fili, che già comincia ad affermarsi in molti paesi, compreso il nostro.

Nel campo industriale, in quello medico, perfino nella chirurgia, dalla scoperta di Marconi si fanno discendere innovazioni che sembrano prodigi.

È perciò, che, se vi è un rimpianto è quello che questo Grande sia morto troppo presto, quando forse molto ancora poteva attendersi dal suo genio luminoso.

Il Governo ha voluto rendere omaggio alla memoria di Guglielmo Marconi anche in seno all’Assemblea Nazionale, nel primo decennio dalla morte, non solo per adempiere un dovere, ma anche perché, nelle strettezze in cui l’Italia si dibatte e nelle difficoltà dell’ora, sia di conforto ricordare a noi stessi che, nel libro eterno della vita, l’Italia ha ancora dei crediti da far valere verso l’Umanità. (Applausi generali).

PRESIDENTE. Sarebbe da parte mia prova di presunzione e vanità volere aggiungere parola alle alte e pensate espressioni con cui il Ministro onorevole Merlin ha celebrato il nome, l’opera e la gloria di Marconi.

D’altronde già in altre cornici, ugualmente solenni – seppure per diversa dignità – più volte, nel corso delle settimane passate, gl’italiani hanno rivendicato al proprio genio e riconsacrato alla comune civiltà dei popoli lo scopritore delle leggi misteriose delle onde elettriche poste poi da lui, quasi per miracolo, a servizio dell’umanità.

A Bologna, in quella Università degli studi, dinanzi ad una accolta di dotti e di scienziati i quali, nella scia del suo insegnamento e delle sue esperienze, vanno svolgendo a sempre nuove conquiste la sua prima invenzione; a Milano, in occasione della Fiera pur ora chiusa, fra folle di lavoratori che, con perizia d’arte, traggono dalla materia bruta i sottilissimi congegni in cui quell’invenzione si traduce in azione benefica e feconda, tutto fu detto che poteva esprimere riconoscenza, ammirazione, glorificazione.

A noi, rappresentanti del popolo – di un popolo che, da traversie terribili portato quasi a ultima rovina, sta traendosene con tenacia incomparabile di sacrificio – basti aggiungere che una gente che genera intelletti tanto potenti come quello che sospinse e guidò Marconi per le strade nuovissime della scienza più nuova, sa che, per sventure che la colpiscano, non ha ragione di disperare.

Ricordando oggi qui il grande bolognese, noi lo ringraziamo anche per questa certezza di continuità di vita, di progresso, di vittorie pacifiche e civili sulle forze naturali ch’Egli ha donato all’Italia; ed auspichiamo che solo in quest’opera – per il suo grande esempio – voglia nell’avvenire il nostro popolo cercare e trovare i propri lauri e la propria gloria maggiore. (Vivissimi applausi).

Svolgimento di interpellanze.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento di due interpellanze presentate dall’onorevole Lozza e dall’onorevole Codignola, assieme con altri firmatari, al Ministro della pubblica istruzione. Poiché le due interpellanze trattano materia analoga, esse saranno svolte contemporaneamente.

Ne do lettura;

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere con quali intendimenti ha proceduto al bando precipitato delle elezioni per il Consiglio superiore della pubblica istruzione, secondo un nuovo decreto legislativo non ancora pubblicato; e se non creda che tale provvedimento non possa valere a indebolire il prestigio delle nostre istituzioni scolastiche.

«Lozza, Preti, Binni, Bernini, Condorelli, Cifaldi, Parri».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali siano i motivi di urgenza che lo hanno consigliato ad emanare il decreto 30 giugno 1947, relativo al nuovo ordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, decreto che non offre sufficienti garanzie democratiche, presenta notevoli deficienze tecniche ed è stato emesso senza l’osservanza di precise disposizioni di legge. Gli interpellanti chiedono, altresì, per quali ragioni un decreto di tanta importanza, che ha evidenti aspetti costituzionali, sia stato sottratto alla competenza dell’Assemblea Costituente.

«Codignola, Lami Starnuti, Carboni Angelo, Lussu».

PRESIDENTE. L’onorevole Bernini, che è uno dei presentatori della prima interpellanza, ha facoltà di svolgerla.

BERNINI. Onorevoli colleghi! Il collega onorevole Calamandrei ha già discusso, nella seduta di martedì, per quanto riguarda l’ordinamento universitario ed in sede di altra interpellanza, i noti provvedimenti del Ministro della pubblica istruzione, relativi alla costituzione ed alla nomina del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Pertanto io mi limiterò a trattare di quanto riguarda le scuole medie ed elementari: cercherò di essere oltre che breve più che sia possibile, schematico, grato al Ministro se nella sua risposta vorrà cortesemente seguire lo stesso sistema. Ciò, mi pare, renderà più chiara e più conclusiva la nostra discussione. Ecco quelli che per me sono i punti essenziali.

Primo punto, al quale io darei questo titolo: carattere fondamentale di ogni sincero sistema elettorale. Ai sistemi elettorali della civiltà moderna si può credere come si può anche non credere, come pure si può credere e non credere alla democrazia; ma, una volta che noi crediamo al sistema elettorale, è necessario a parer mio che questo sia il più sincero possibile, sia tale da rispecchiare il più possibile la volontà, il pensiero, di coloro che sono chiamati a votare.

Se così non avviene, si ricade nei sistemi pseudo-elettorali di cui abbiamo avuto molti saggi nel recente passato. A parer mio, nessun argomento, per quanto valido, può essere portato a limitare il carattere, l’espressione, la pratica di un tal metodo.

Qualcuno potrà opporre degli argomenti diversi, ma allora si risponde: o si cerca un altro metodo per poter fronteggiare le necessità del momento; oppure, se ad esso si ricorre, lo si deve fare con piena e scrupolosa adeguatezza.

Questa premessa, che vorrei non fosse sembrata a voi troppo lunga, ha questo scopo: di dimostrare ciò che, io credo, tutti voi, onorevoli colleghi, nel profondo della vostra coscienza, pensate, cioè che l’argomento principale che l’onorevole Ministro ha portato per difendere questa precipitazione, malgrado lo scarsissimo numero di giorni che egli ha messo a disposizione del corpo elettorale, pure così vasto, come quello degli insegnanti medi ed elementari, sia un argomento che non ha valore.

Egli dice: occorre urgenza perché il Consiglio superiore deve risolvere urgentissime questioni.

A dire la verità, se io sono bene informato – e prego l’onorevole Ministro di smentirmi se sono stato inesatto – queste questioni riguardano quasi esclusivamente l’ordinamento universitario. Vuole, l’onorevole Ministro, dirci cortesemente quali sono i provvedimenti importantissimi e inderogabili – provvedimenti di carattere generale e non particolare – relativi alla scuola media ed elementare, la cui soluzione, per legge, è legata al parere del Consiglio superiore, e tali che non possono essere rinviati senza grave danno?

Analoga considerazione io potrei fare anche per i due paralleli Consigli delle biblioteche e delle belle arti, i quali, non dico che siano una innovazione, ma è certo che la loro formazione non mi pare urgente. Il primo – quello delle biblioteche – non è mai esistito in Italia, se non in quel tale pletorico ed inutile Consiglio nazionale dell’educazione, belle arti e scienze, fondato da Bottai; il secondo è esistito nel passato, ma non mi pare che fosse così urgente ricostituirlo.

Ma potrei dire di più e, per essere breve – a meno che l’onorevole Ministro non desideri che io specifichi maggiormente – io sorvolerò su altri particolari. Potrei dirgli, per esempio, che nella legge sullo stato giuridico che è stata da lui presentata vi sono già degli organi i cui compiti sono quelli che dovrebbero essere demandati al Consiglio superiore.

In conclusione, a parer mio, non esistono in democrazia questioni tanto gravi da costringere a ricorrere ad un sistema elettorale viziato. In democrazia, deve sempre esistere la possibilità di fronteggiare situazioni urgenti, anche senza elezioni non sincere. In questo caso particolare poi – mi permetta l’onorevole Ministro – c’era un modo molto semplice: che ella, per esempio, persuadesse il Consiglio superiore dimissionario a rimanere ancora un po’ in carica, il che non sarebbe stato difficile ad ottenersi, secondo le parole dell’onorevole Calamandrei, solo che si fosse usato un po’ di garbo.

Ma io mi propongo di dimostrare, onorevoli colleghi, che il sistema studiato dal Ministro della pubblica istruzione nasce viziato nella sua struttura e nella sua prima applicazione. Prima di tutto, me lo permetta l’onorevole Ministro – non vorrei che le mie parole sembrassero offensive, ma non lo sono – questa riforma è nata clandestina. Credo che ne sapessero soltanto alcuni uomini attorno al Ministro. Perché dunque egli, che ha a sua disposizione un abbondante notiziario, non dette qualche cenno di ciò che andava facendo?

In tal caso, l’attenzione degli insegnanti, degli interessati, degli studiosi si sarebbe rivolta al problema che egli stava per affrontare; ci sarebbero state discussioni in proposito e probabilmente sarebbero stati evitati gli errori che sono stati commessi: non è questa, signor Ministro, la vera democrazia. Invece il decreto è scoppiato come una bomba, sbalordendo tutti, compresi, credo, parecchi amici politici del signor Ministro.

Il tempo concesso per la preparazione delle elezioni è assurdamente breve: quindici giorni. Ciò è evidente; non credo che io avrò bisogno di dimostrarlo con documenti. Se il signor Ministro desidererà, porterò comunque anche i documenti. Il provvedimento fu noto negli ambienti ufficiali e non ufficiali non prima del 10 corrente ed anche dopo. Per di più, si sono colti gli insegnanti per gran parte fuori delle scuole ed anche fuori sede. Nessuno infatti può negare che in questi giorni tutte le scuole elementari sono chiuse.

L’onorevole Ministro, rispondendo all’onorevole Calamandrei, ha affermato, se non erro, che la maggior parte dei professori è in questi giorni ancora occupata con gli esami di Stato. Ora, ciò non è esatto, perché solo una modesta minoranza di essi è tutt’ora occupata con gli esami di Stato. È poi ben vero – ahimè – che né professori, né maestri possono pagarsi la villeggiatura, ma ciò non significa che essi debbano trovarsi là dov’è la sede scolastica. La miglior prova di ciò sta nel fatto che si sono dovute dare norme per le votazioni fuori sede. Dimostrerò, se occorre, quanto queste norme siano difettose ed erronee. Concludendo: si sono dati circa quindici giorni per la preparazione di elezioni generali che interessano più di un centinaio di migliaia di insegnanti, perfettamente ignari di tutto questo fino a poco tempo fa, e per di più, almeno per la gran parte, fuori sede.

Secondo punto, che io intitolerei, se non vi spiace, un argomento specioso: il carattere tecnico delle elezioni. Non so se l’onorevole Ministro l’abbia detto, ma certo qualcuno l’ha detto e qualcuno ancora lo dirà, con aria sorpresa, incerta: «Ma che bisogno c’è di preparazione a queste elezioni scolastiche? Queste non sono mica elezioni politiche o sindacali; queste sono elezioni tecniche, e basta».

Dato e non concesso per un momento che siano solo tecniche, solo elezioni di tecnici, che cosa vuol dire questo? Vuol dire che il professore, il maestro dovrà votare a caso per il suo direttore, ispettore o collega, perché non conosce altri nomi, e non per un uomo, anche lontano, che dopo maturo esame appaia più idoneo di tutti gli altri? Anche se le elezioni fossero tecniche, solo tecniche, sarebbero sempre necessari accordi preventivi, delle liste nazionali o qualche cosa di simile. Con questo criterio, col criterio che è la conseguenza necessaria dello Stato di fatto, i voti andranno dispersi fra un numero stragrande di candidati per un numero così esiguo di posti; e così si frustrerà il valore, lo scopo delle elezioni.

Lascio giudicare a voi, o colleghi, che siete tutti più o meno pratici di materia elettorale. Ma, badate bene, così non andrà di fatto. Voi vedrete – e io sono facile profeta – che i voti per gran parte andranno concentrati su un numero relativamente limitato di candidati. Come sarà avvenuto questo, signor Ministro? Quali le ragioni di questo mistero? Le ragioni sono queste: manca il tempo materiale per concentrarsi sulle liste elettorali, dopo che è stato reso noto il decreto ministeriale, tale lavoro da una certa parte probabilmente sarà stato fatto prima; oppure soltanto organizzazioni ben efficienti, con strutture periferiche, con appoggi politici potranno rapidamente proporre liste e nomi di candidati e farli prevalere. Ma è poi certo che queste elezioni sono sole tecniche, almeno nel senso che il signor Ministro intende? Non mi pare. Anche noi, onorevoli colleghi costituenti, siamo, o almeno dovremmo essere, in parte dei tecnici; il che non esclude affatto che siamo anche dei politici. Il problema non sta dunque nello scegliere puri tecnici, il che oggi meno che mai può riuscire, e tanto meno nel campo dell’istruzione; il problema sta nello scegliere fra i tecnici politici quelli che diano maggiori garanzie di probità e di capacità.

Terzo punto: onorevole signor Ministro, i Consigli provinciali scolastici sono dei corpi tecnici? Questa è la domanda precisa che mi permetto di fare. Se sono dei corpi tecnici, perché – se è vero quello che ha pubblicato un giornale – il suo Ministero ha invitato i Provveditorati agli studi a far conoscere, badate, «presi gli opportuni accordi con codesta prefettura» se le persone (cito i termini precisi) segnalate per i Consigli scolastici svolgano o abbiano svolta attività politica ed eventualmente in quale partito? (Commenti – Interruzioni al centro).

BERNINI. Perché interrompete? Questi sono fatti a cui potrete contrapporre altri fatti.

TONELLO. Questa è roba incredibile E si parla di democrazia!

RESCIGNO. Si può riferire ai precedenti fascisti.

TONELLO. Macché fascisti! È ignobile!

BERNINI. Ora passiamo ad esaminare il suo decreto legge, signor Ministro. Devo premettere che, sinceramente, dobbiamo ringraziarla di avere restituito il principio elettivo anche ai professori medi e agli insegnanti elementari, secondo il desiderio più volte espresso dalla classe. Ma tutto si ferma lì.

Si è detto che questo decreto-legge si ispira e ricalca gli analoghi del 1906 e 1911. Ne è stato affermato, mi pare anche da lei, solennemente il carattere democratico ed elettivo. Mi spiace di non essere assolutamente di questo parere.

Vediamo un po’: questo Consiglio superiore non è democratico in confronto a quello precedente che era interamente elettivo, mentre questo in parte è elettivo ed in parte discende dal Ministro. Ma ciò ha importanza secondaria.

L’onorevole Ministro, nel suo Notiziario (mi pare del 1° corrente) dopo aver dato il testo del decreto, lo spiega con alcune tavole ed insiste con un bellissimo esempio di chiarezza pedagogica, ma non con altrettanto buon esempio di esattezza sostanziale.

Seconda sezione, scuola secondaria: membri totali 12, di cui 7 eletti e 5 nominati.

Terza sezione, scuole elementari: membri totali 12, di cui 7 eletti e 5 nominati.

Se così fosse, il carattere democratico sarebbe relativamente dimostrato.

Confrontiamo con la legge del 1906. Questa sì che era una legge democratica, sinceramente democratica! Formava così la Giunta per l’insegnamento secondario: 4 scelti dal Ministro, 3 eletti dalla classe. La legge del 1911 formava così la sezione della Giunta della scuola elementare: 6 scelti dal Ministro, 5 eletti dalla classe.

Si dirà: allora la proporzione è eguale. Vi prego di volermi pazientemente seguire in questo modesto computo di chiarimento.

Fra i 7 eletti l’onorevole Ministro mette anche i 3 professori universitari, che possono sì essere stati eletti dai corpi accademici, sebbene, fra parentesi, una parte di essi non sia stata eletta perché è stata scelta dall’onorevole Ministro e nulla vieta che egli possa anche scegliere per questo secondo organismo quegli stessi che egli ha scelto per il primo. Dunque, questi universitari, in parte, sono stati scelti per la prima sezione, ma per le altre sezioni non sono stati eletti, sono stati scelti. Possono dunque considerarsi molto più scelti che non eletti. D’altra parte siamo uomini, e tutti uomini di partito. Il Ministro della pubblica istruzione, chiunque sia, di qualunque partito sia, potendo liberamente scegliere fra i professori universitari della sezione della scuola media ed elementare, chi andrà a scegliere? Ditemelo voi, di tutte le parti dell’Assemblea, compresa la mia. Forse quelli che personalmente, ideologicamente e scientificamente gli sono avversi? O non sceglierà piuttosto, come è sempre avvenuto, come sempre avverrà e come non si può pretendere che non avvenga, quelli che gli sono vicini in qualunque senso? Badate poi che, fra questi professori universitari scelti e non eletti, c’è anche il Presidente. E rinuncio, almeno per ora, ad approfondire ulteriormente i confronti fra le leggi del 1906 e del 1911 e la presente. Io non ho diritto di farvi perdere del tempo: lo farò solo nel caso in cui l’onorevole Ministro ritenga che io non abbia sufficientemente dimostrato il mio assunto.

Quinto punto: Perché gli insegnanti medi ed elementari non possono autogovernarsi? Crede lei, onorevole Ministro, che gli insegnanti elementari e medi saranno straordinariamente lusingati – permettete la parola che è detta senza offesa – dalla intrusione fra di loro, in numero di ben tre, in questioni strettamente tecniche ed amministrative, di professori universitari i quali molto spesso, pure essendo di un grande valore scientifico al quale ci inchiniamo, non hanno pratica alcuna né gusto né si sono mai occupati di queste questioni? Crede lei, onorevole Ministro, che gli insegnanti medi ed elementari si accontenteranno facilmente della espressione ufficiale: «per conferire maggior prestigio ed autorità a queste due ultime sezioni, si è creduto opportuno immettere in esse tre professori universitari…». Crede lei che non giudicheranno questo, più come una intrusione, che come un aumento di prestigio e di autorità delle due sezioni? Questo toglierà prestigio e suonerà sfiducia nella capacità di auto-governo di queste categorie che sono degne di rispetto; suonerà quasi offesa alla classe degli insegnanti elementari e medi.

Passo al sesto punto che intitolerò in questo modo: «La formula del ne varietur».

Scorrendo ora quel suo trionfale articolo «Lo spirito della riforma», che apre il numero del 1° luglio del Notiziario, l’occhio mi è caduto su una frase: «In occasione di una riforma di tanta portata…». Certo questa riforma è di molta portata, d’immensa portata, di portata certo maggiore di quanto ella ora non voglia far credere. Ma perché, se è di tanta portata, ella l’ha preparata in modo così clandestino?

Perché non si è ricordato in quel momento, me lo permetta, di una piccola ma significativa formula che forse si è sperduta nella sua memoria? La formula del ne varietur la ricorda ora signor Ministro? Oh, noi italiani dimentichiamo così facilmente! Abbiamo già dimenticato ciò che è avvenuto a distanza di poco più di due anni dalla terribile odissea del nostro popolo; ma questa formula del ne varietur fu la formula alla quale, prima della formazione del, mi pare, secondo Ministero De Gasperi, per esplicita richiesta del Partito socialista, non so bene se lo stesso Presidente del Consiglio o la Democrazia cristiana si impegnarono. La dichiarazione relativa comparve anche nei giornali. Ci fu un comunicato ufficiale, secondo cui non si sarebbe fatto nulla che variasse gli ordinamenti della scuola, non si sarebbe fatto nulla di essenziale, perché ciò sarebbe stato causa di discordia. Non so se ella, signor Ministro, abbia cooperato alla formazione di questa sì bella formula di carattere, diciamo così, canonicale.

Ora, fra noi, quelli che si intendono appena un poco di latino e anche quelli che per sfortuna loro non si intendono di latino, capirono subito che questa bella formula canonicale doveva avere un valore. Con questa formula, con questi patti precisi, con questo esplicito impegno, ella, signor Ministro, è diventato Ministro della pubblica istruzione. Ora, io le sarei grato se ella ci dichiarasse se la ritiene ancora valida o no oggi che non c’è più il tripartito, ma il Governo di colore.

Se, come credo e spero, ella la ritiene ancora valida, perché certo non è lecito a un Governo transitorio modificare, senza il controllo preventivo del Parlamento e del Paese, ella probabilmente mi dirà che quanto ella ha fatto non intacca le grandi strutture, ed io le rispondo che le grandi strutture si sgretolano anche scostando pietra da pietra e con lo stillicidio delle gocce.

Ella stessa ha detto che questa riforma è «di tanta portata». Veda un po’ se anch’essa non può rientrare nel ne varietur, almeno fino a che non abbia la sanzione della discussione pubblica e degli organi dell’Assemblea Costituente.

Settimo punto che chiameremo «obbligatorietà del voto».

Certamente, tutti gli errori e tutti i difetti della legge impallidiscono di fronte all’obbligo del voto.

Certo a voi, onorevoli colleghi, non importa di conoscere la mia personale e modesta opinione sul voto obbligatorio. Né ciò è strettamente pertinente a questa questione.

A voi poco importa sapere che io ho modestamente detto e scritto che non capisco il voto obbligatorio.

Non riesco a capire come si possa obbligare uno o considerare sia pur dovere morale un atto di uno il quale, sottraendosi ad esso, dimostra di non comprenderne il valore e di non saperlo esercitare. Ma lasciamo andare questo. A parte il voto politico, io non credo che si sia mai verificato il caso di voto obbligatorio per un consesso tra amministrativo e sindacale. Bisogna che lo dica – ed arrossisco nel dirlo – che questo non l’hanno mai sancito nemmeno i fascisti, se non sbaglio…

COCCIA. Non facevano votare! Lo credo bene che non l’hanno sancito.

BERNINI. …o non lo hanno sancito nelle leggi. Veramente questo è un principio nuovo. Ella, onorevole Ministro, ha il vanto di avere introdotto nella legislazione italiana un principio assolutamente originale. Ed il voto obbligatorio è convalidato da sanzioni. Si dirà che tale principio è sancito nella legge elettorale, ma a parte che quella è una legge votata da un organismo legislativo, a parte che quello non è un voto obbligatorio, ma è un obbligo morale senza sanzioni pratiche, oltre al resto, questa per gli insegnanti è una vera e propria sanzione disciplinare sancita dalle oscure parole dell’ordinanza ministeriale che leggo: «Le autorità competenti terranno conto nelle note informative della mancata partecipazione al voto da parte di capi di istituto e di insegnanti».

Le note informative – lo dico per quelli di voi che avessero la singolare fortuna di non intendersi di scuola – sono quelle da cui può dipendere l’avvenire del maestro, il trasferimento di un professore, la sua carriera. Vuole ella, signor Ministro, sostenere che questa segnalazione nelle note informative non ha nessuna portata reale? Faccia pure, se lo crede, ma badi che è una tesi ben difficile a sostenere, e ancor più difficile ad essere creduta.

Ottavo punto: Ritornando ancora al principio del ne varietur e all’applicazione che esso possa avere avuto, io vorrei farle una domanda. Ella, pochi mesi fa, a chi l’accusava di concedere troppo facilmente parifiche di istituti privati, rispondeva trionfalmente, con cifre che dovevano dimostrare l’esiguità del numero delle parifiche da lei concesse. Di ciò perfino nel discorso-programma dell’onorevole De Gasperi c’è un accenno. La memoranda discussione avvenuta qui dentro sugli articoli 27 e 28, ha dimostrato come sia stata pressoché unanime la condanna dell’istituto della parifica. Noi sosteniamo che una delle cause principali dello stato di tremenda decadenza e disordine della scuola media è questa. L’immenso numero dei diplomati che escono dalla scuola italiana, creando un problema per il futuro, vera causa del disordine sociale, nasce dalla diffusione sempre maggiore della parificazione. Nel testo dell’articolo 27 votato fu tolta la parola «parifica» e sostituita con l’altra, più giusta, «parità».

Da tutto ciò l’onorevole Ministro poteva e doveva trarre l’ispirazione alla sua azione.

Ora, spiacerebbe all’onorevole Ministro dire a questa Assemblea il numero delle parifiche da lui recentemente concesse?

E ho finito.

Fra pochi giorni, forse, sotto l’incubo di oscuri pericoli, una parte più o meno grande d’insegnanti medi ed elementari dovrà votare, per nomi di gente che non conosce o per il primo nome che sia suggerito.

Sarà questa l’educazione che noi daremo al popolo italiano, dopo più di 20 anni d’oscure minacce, di plebisciti, di adunate e di votazioni coatte?

In questo modo noi gioveremo alla ricostruzione morale del nostro popolo, o non l’indurremo a pensare che non c’è più da sperare da nessuno?

Vorrei che ella, signor Ministro, fosse persuaso che nessuna ragione personale, o differenza ideologica mi induce a dir ciò, ma solo l’onesto desiderio di giovare alla nostra Patria.

Comunque, certo d’interpretare non solo il pensiero, se pure indistinto, della gran maggioranza degli insegnanti, io, a nome del Partito socialista che qui rappresento, propongo al Governo di presentare al più presto possibile una nuova legge, poiché il decreto legge, così com’è, mi pare d’avere dimostrato sia troppo difettoso.

In subordine, la prego vivamente, signor Ministro, la invito, la prego, di voler rinviare a tempo idoneo le votazioni per le elezioni delle sezioni insegnanti medi ed elementari, del Consiglio superiore della pubblica istruzione. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgere la sua interpellanza.

CODIGNOLA. Onorevoli colleghi! Dovrebbe recar meraviglia che, dopo la prima denuncia fatta qui dall’onorevole Calamandrei, alcuni giorni addietro, e dopo l’intervento così preciso e circostanziato dell’onorevole Bernini, possa esservi ancora qualche cosa da dire su questo straordinario decreto del Ministro della pubblica istruzione: straordinario nel suo contenuto, non meno che nella sua forma; decreto il cui regolamento di esecuzione è stato emanato prima che il decreto stesso venisse pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Già vi è stato detto, infatti, dall’onorevole Calamandrei che il decreto è apparso sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 luglio, mentre il Notiziario della scuola e della cultura – organo ufficiale del Ministero della pubblica istruzione – reca, già in data 1° luglio, l’ordinanza del Ministro, che prescrive quali debbano essere le modalità per le elezioni. Ma per mio conto non starò ora a ripetervi gli argomenti, già esposti così brillantemente dall’onorevole Calamandrei e dall’onorevole Bernini: mi limiterò soltanto ad alcune indicazioni di carattere tecnico sopra il modo con cui questo decreto – rispetto al quale i motivi d’urgenza pare che abbiano prevalso su qualsiasi altra considerazione – è stato preparato.

Quell’articolo del Notiziario della scuola e della cultura, intitolato «Lo spirito della riforma», citato testé dall’onorevole Bernini (fascicolo del 1° luglio 1947), afferma: «La grande maggioranza dei consiglieri è prescelta mediante libere elezioni, mentre si è riservata al Ministro la facoltà di nomine dirette, entro limiti modesti e per membri che sono in massima parte funzionari dell’Amministrazione non eleggibili». Non ripeterò quello che è stato detto al riguardo dall’onorevole Bernini, ma mi limiterò a precisare alcuni punti.

Il vecchio Consiglio superiore, ricostituito dopo la caduta del fascismo, era costituito di 35 membri, di cui 25 eletti dagli insegnanti, 9 cooptati dagli stessi eletti e due designati dall’Associazione liberi docenti. In sostanza, l’intera composizione del Consiglio superiore della pubblica istruzione era tale da escludere completamente il diritto di nomina da parte del Ministro della pubblica istruzione: si tratta esclusivamente di membri eletti, o cooptati, o designati dagli interessati.

Ora, per quanto almeno riguarda l’istruzione superiore, il nuovo decreto, segna, dal punto di vista democratico, un preciso passo indietro, e non affatto un passo avanti, perché di fronte ai 36 membri elettivi, contemplati dal decreto precedentemente in vigore e che avrebbe dovuto scadere solo al 31 ottobre prossimo venturo, noi abbiamo, secondo la nuova struttura ideata dall’onorevole Gonella, questa situazione: il nuovo Consiglio superiore è costituito di 46 membri, divisi in tre sezioni: la prima, della istruzione superiore, che assume le competenze del vecchio Consiglio superiore; la seconda, della istruzione media, classica, scientifica, magistrale e tecnica; la terza, dell’istruzione elementare.

Per quanto riguarda l’istruzione superiore, di fronte alla vecchia legge, che prevedeva, come dicevo, membri esclusivamente elettivi, noi abbiamo ora soltanto una maggioranza di membri elettivi, in quanto si è cominciato ad introdurre il principio della nomina di alcuni membri da parte del Ministro. Tuttavia, per la prima sezione del Consiglio superiore, i membri elettivi restano tuttora in maggioranza; ma per le altre due sezioni, su 12 membri, 5 sono eleggibili, 4 di nomina del Ministro e 3 scelti dal Ministro tra i professori universitari che fanno parte della prima sezione. Siccome però della prima sezione fanno parte anche professori universitari di nomina del Ministro, è evidente, come ha fatto osservare testé l’onorevole Bernini, che la maggioranza della seconda e della terza sezione può essere costituita di membri non elettivi.

C’è poi un’altra osservazione da fare. E precisamente, vorrei domandare all’onorevole Ministro perché, tra i membri di sua nomina sia della seconda che della terza sezione, sia stabilito senz’altro che debbano esservi il professore di scuola media non governativa, ed il direttore o insegnante di scuola elementare non governativa. Onorevole Ministro! Noi non abbiamo personalmente nessuna prevenzione verso di lei, ma ella si deve render conto che esiste un giudizio diffuso nel Paese, nei riguardi del suo modo di intendere i rapporti della scuola pubblica con quella privata. Questa norma alimenta nuove preoccupazioni al riguardo, né noi comprendiamo perché, mentre ai professori statali è riconosciuto il diritto di eleggersi i propri rappresentanti, questo diritto non lo si debba riconoscere agli insegnanti di scuole non statali.

Ma passiamo al Consiglio superiore delle antichità e delle belle arti, che è una creazione completamente nuova. Questo Consiglio si costituisce di cinque sezioni, ciascuna delle quali composta di cinque membri, e di questi cinque membri due sono elettivi e tre di nomina ministeriale. In questo caso dunque l’onorevole Ministro ha ritenuto che non si potesse far credito alle capacità democratiche degli elettori; e, mentre per le università si è riconosciuto il principio della maggioranza dei membri elettivi, e per la scuola media ed elementare tale maggioranza può esistere o non esistere, per il caso del Consiglio superiore delle belle arti si è addirittura gettata la maschera, mi si perdoni l’espressione, e si è stabilito, per legge, che la maggioranza non può essere di membri elettivi. Da notare poi che nessuna delle sezioni di questo Consiglio può deliberare se non siano presenti almeno quattro membri; di modo che, ammesso che siano presenti due membri non elettivi, più un membro di nomina ministeriale (nel caso si avrebbe, sia pur casualmente, una maggioranza elettiva), la sezione non è in grado di funzionare.

Ma un’altra novità, veramente incomprensibile dal punto di vista giuridico, ci presenta il decreto, ed è il modo come vi sono regolate le cosiddette Giunte. Come tutti sapete, la Giunta è per definizione un organo più ristretto del Consiglio di cui fa parte. Ora, ci troviamo invece davanti a questa strana situazione: che per la prima sezione esiste una vera e propria Giunta, costituita da un certo numero di Consiglieri (11, di cui 7 scelti dal Ministro: e poiché dei 28 membri della sezione, 6 sono di nomina ministeriale, come s’è detto dianzi, la Giunta può di fatto essere costituita tutta, meno un membro, di consiglieri di nomina ministeriale) ma per la seconda e la terza sezione, l’articolo 10 del decreto afferma che «le attribuzioni in materia d’istruzione media ed istruzione elementare, ecc., sono deferite rispettivamente alla seconda e alla terza sezione, le quali, in tal caso, ciascuna nella propria integrale composizione, funzionano da Giunta». Cioè, in certi casi il Consiglio diventa Giunta, e non esiste praticamente la Giunta come organo distinto dal Consiglio. Ma non basta: scopriamo che esiste una Giunta anche del Consiglio superiore per le accademie e biblioteche solo perché essa appare dallo schema riassuntivo posto alla fine del decreto (il decreto non ne fa alcun cenno), ed anche in questo caso è stabilito che il Consiglio superiore per le accademie e biblioteche può trasformarsi in una Giunta composta da tutti i membri del Consiglio. Tutto questo lo dico non tanto perché si tratti di un problema di grande interesse in sé e per sé, quanto per dimostrare il modo frettoloso e poco serio col quale questo decreto è stato fatto.

Per quanto riguarda il voto obbligatorio, ha parlato già largamente l’onorevole Bernini, ma io vorrei far presente all’Assemblea lo strano rapporto che corre fra le parole usate dalla ordinanza ministeriale diramata dall’onorevole Gonella e certe proposte che erano state portate a suo tempo davanti a questa Assemblea in sede costituzionale. Dice infatti l’ordinanza dell’onorevole Gonella: «In considerazione del dovere morale di cooperare alla costituzione dei supremi Consigli della scuola, le autorità competenti terranno conto, nelle note informative, della mancata partecipazione al voto da parte di capi di istituto e di insegnanti». Ora, io ho ancora qui sottocchio un emendamento a suo tempo proposto a questa Assemblea dagli onorevoli Cremaschi e Mortati, a proposito dell’articolo 45 del progetto di Costituzione, che suonava così: «L’esercizio del diritto di voto è dovere politico e morale» (esso quindi comporta delle sanzioni). Voi ricorderete certamente che vi fu allora una lunghissima discussione proprio sulla parola «morale», perché si era prospettata da altri l’opportunità di definire l’esercizio del diritto di voto soltanto come dovere civico. Fu infatti in questo secondo senso che l’Assemblea decise.

Ora, onorevole Gonella, non le pare che ella avrebbe pur potuto tenere conto di questo precedente, di questa manifestazione di volontà, di questo parere esplicitamente espresso dall’Assemblea, la quale, fino a prova contraria, rappresenta il Paese? Come è mai possibile che ella, dopo che qui si è discusso per giornate intorno a questo problema, sul modo cioè di configurare la natura del voto politico, ritorni sulla soluzione già deliberata, nel caso di votazioni interessanti la Scuola, le quali pure rivestono una indiscutibile importanza?

Ma, a parte questo, la votazione che dovrà essere fatta fra pochi giorni presenta almeno delle garanzie formali tali da offrire la sicurezza e la tranquillità che non si verifichino brogli? È naturale che brogli possono sempre accadere: ma incombe tuttavia al legislatore il dovere di fare il possibile perché essi non avvengano. Guardiamo invece che cosa accade nell’applicazione del decreto del Ministro Gonella. Il decreto prevede il caso di docenti i quali votino fuori della loro sede. Prevedere questo caso era effettivamente una esigenza inderogabile, dal momento che il Ministro Gonella ha avuto tanta fretta di indire le elezioni in un’epoca in cui le scuole sono chiuse. Ora, nel caso dei liberi docenti, nel caso degli incaricati e degli assistenti universitari, i verbali di scrutinio vengono trasmessi direttamente dai rettori al Ministero, di modo che il Ministero ha una relativamente facile possibilità di eseguire il dovuto controllo. E per quelli di loro che si presentino a votare in una sede universitaria diversa dalla propria, è previsto l’obbligo di «presentare» un documento dal quale risulti la loro qualità di incaricato, di aiuto o di assistente, di libero docente, e la loro identità.

Che cosa avviene invece per i professori medi e gli insegnanti elementari che votino fuori sede? Avviene che i verbali non vanno in questo caso direttamente al Ministero, ma vengono raccolti dai singoli provveditorati. Ora, se è logico pensare che il provveditore agli studi, per esempio di Roma sia pienamente in grado di esercitare un controllo nei confronti dei professori medi e degli insegnanti elementari che insegnano e votano in sedi comprese nella sua giurisdizione, in qual modo potremo noi pensare che egli possa esercitare analogo controllo per un professore medio o per un insegnante elementare che appartenga ad una sede scolastica estranea alla sua giurisdizione, per esempio venga a votare a Roma dalla Sicilia?

Eppure, si badi, l’ordinanza ministeriale stabilisce in tal caso che maestri e professori potranno votare fuori della loro sede su semplice presentazione della carta di identità. E, si noti, a norma del decreto possono solo votare maestri e professori di ruolo e in attività di servizio. Ora, io mi permetto di domandare all’onorevole Ministro: qual è quella carta d’identità dalla quale risulta che il titolare di essa è un maestro o professore di ruolo, e in attività di servizio? Probabilmente sulla carta d’identità non figurerà neppure la qualifica professionale, perché molto probabilmente risulterà soltanto che quei professori e quei maestri sono degli impiegati dello Stato: ma quand’anche risultasse la qualifica professionale, potrebbe ciò costituire una sufficiente garanzia?

E non è veramente straordinario che mentre nel caso in cui un controllo è possibile, il Ministero abbia pensato a richiedere, oltre la carta d’identità, un altro documento di riconoscimento, e che nel caso in cui il controllo è impossibile questa duplice richiesta non sia stata fatta?

Vediamo ora come è organizzata la elezione dal punto di vista del metodo di votazione. Ciascun elettore vota per un numero di candidati pari a quelli che dovranno ricoprire i posti del Consiglio superiore. Cioè, il diritto delle minoranze non è rispettato. Se c’era un caso in cui il Ministero avrebbe dovuto garantire un’adeguata rappresentanza alla minoranza, era questo, in cui le elezioni vengono indette d’improvviso, nel giro di pochi giorni, senza che vi sia la possibilità per le varie correnti di preparare e di diffondere proprie liste. A dire il vero, delle liste già ci sono, già circolano nelle scuole, ma credo che l’onorevole Gonella non si offenderà se gli dico che queste liste sono di una sola parte, hanno un solo colore. Ho visitato alcuni centri in questi giorni, e dovunque vari amici, e non soltanto di partito, mi sono venuti a chiedere: «Qui esistono delle liste dell’Azione cattolica, che girano per le scuole. (Commenti a sinistra). (Può essere una voce non vera, però è una voce diffusa). Che cosa dobbiamo fare? Astenerci? Ci sono altre liste di partito?». Cosicché noi veniamo a trovarci in questa situazione; che, o passerà la lista, diciamo, dell’Azione cattolica, ovvero ci troveremo di fronte a quel grave inconveniente, che ho già avuto occasione di segnalare, che cioè porteremo nella scuola una lotta di partiti, e una lotta particolarmente aspra, perché le minoranze non sono protette, per cui ciascuno cercherà di adottare qualunque mezzo per stravincere e per buttar fuori gli avversari. Ora, io mi chiedo se sia questo un modo di tutelare la democraticità della scuola e di favorire, in generale, la vita democratica del Paese.

E veniamo alla procedura con la quale il decreto è stato emesso. Per quanto io sappia, il decreto avrebbe dovuto essere preventivamente portato dal Ministro Gonella a conoscenza di tutti i membri del Consiglio dei Ministri, e non soltanto a conoscenza dei Ministri del Bilancio e del Tesoro. Tuttavia, a me non risulta – può darsi che sia male informato – che tutti gli altri Ministri siano stati preventivamente avvertiti; e, quel che è più grave, l’onorevole Gonella ha forse dimenticato che esiste una disposizione di legge – il decreto-legge 9 febbraio 1939, n. 273 – che stabilisce una speciale procedura per i provvedimenti relativi agli organi consultivi dello Stato. Dice questo decreto-legge: «I provvedimenti legislativi che importino il conferimento di nuove attribuzioni al Consiglio di Stato, ovvero alla Corte dei conti, nonché la soppressione o la modificazione di quelle esistenti o che comunque riguardino l’ordinamento e le funzioni dei predetti consessi in sede consultiva, o di controllo, ovvero giurisdizionale, sono adottati previo parere rispettivamente del Consiglio di Stato in adunanza generale o della Corte dei conti a sezioni riunite».

Questo decreto è stato giustamente interpretato fin dalla sua emanazione, e con prassi costante fino al 25 luglio 1943, nel senso che il preventivo esame da parte del Consiglio di Stato fosse richiesto in tutti i casi in cui si trattasse di modificare la struttura o le funzioni di tutti gli organi consultivi dello Stato, e non soltanto del Consiglio di Stato in sede consultiva. E l’onorevole Ministro può insegnarmi che fino al 25 luglio 1943 questa prassi è stata osservata. In seguito vi è stata sì qualche incertezza, qualche oscillazione ma poi essa è stata nuovamente superata, tanto è vero che proprio quest’anno, in occasione della ricostituzione del Consiglio superiore delle miniere – decreto 27 gennaio 1947, n. 73 – il preambolo della legge assicura: «udito il parere del Consiglio di Stato».

Per quale ragione dunque, onorevole Ministro, Ella ha ritenuto di poter andare oltre questa disposizione di legge? Non credo davvero che vi siano ragioni di urgenza tali che giustifichino l’opportunità di evitare il regolare corso di questa procedura. Tanto più che il decreto di cui si parla ha due aspetti diversi: da una parte costituisce una vera e propria trasformazione, nella sua struttura e nei suoi compiti, del Consiglio superiore, perché, mentre il vecchio Consiglio era in sostanza un organo limitato all’istruzione superiore, avremo ora tre Consigli superiori: dell’istruzione superiore, dell’istruzione media, dell’istruzione elementare, oltre a quelli delle belle arti, e delle accademie e biblioteche; si tratta cioè veramente di nuovi compiti e di nuove funzioni, rispetto a cui andava osservata la procedura disposta dalla legge del 1939. Ma da un’altra parte, il decreto è nient’altro che un regolamento di organizzazione; e anche sotto questo profilo, il Consiglio di Stato era competente ad esaminarlo, e trattandosi di regolamento di organizzazione di un organo tanto importante nella vita dello Stato, sarebbe stato costituzionalmente corretto sottoporglielo.

Per quale ragione dunque ciò non è stato fatto? Spero che l’onorevole Gonella saprà indicarci i motivi per cui si è seguita una procedura così straordinaria.

E voglia l’onorevole Ministro chiarire anche perché il decreto non sia stato portato all’esame di questa Assemblea. So bene che si può discutere circa la natura costituzionale del Consiglio superiore della pubblica istruzione, ma personalmente non ho dubbi che si tratti di un organo tanto importante da incidere direttamente sulla struttura costituzionale dello Stato. Comunque, il problema può essere discutibile, ma non spettava a lei decidere, onorevole Ministro: spettava all’Assemblea stabilire la propria competenza e rinviare eventualmente il provvedimento al Ministro per l’esecuzione.

Per quale ragione ciò non è stato fatto, quasi che non esistesse un’Assemblea Costituente, cui competono determinati poteri stabiliti dalla legge?

Ricorderò infine quell’ultimo grave inconveniente, quell’ultima grave preoccupazione che fu già indicata qui dall’onorevole Calamandrei: la partecipazione cioè alle elezioni per il nuovo Consiglio superiore di quei professori che ottennero a suo tempo la cattedra in luogo di professori antifascisti o ebrei, professori che voteranno in un certo determinato modo, evidentemente per la tutela, vorrei dire legittima, dei loro interessi. Poiché lo Stato non pensa alla tutela degli interessi di coloro che furono sacrificati, saranno i privilegiati a tutelare per loro conto gli interessi propri. E non nascondo che anche questo aspetto ci lascia gravemente perplessi.

Come avete veduto, io mi sono limitato ad illuminare aspetti esclusivamente tecnici, su cui spero potere ottenere qualche chiarimento; ma, per finire, vorrei richiamare l’attenzione dell’onorevole Ministro sullo stato veramente grave di preoccupazione e di disagio nel quale continua a versare la nostra scuola. Ella non può credere, onorevole Ministro, quanto questo suo ultimo provvedimento sia stato accolto con senso di sbigottimento da parte di moltissimi insegnanti, che credono nella scuola, che fanno il loro dovere, e che sono costretti a domandarsi: a che cosa vuol giungere il Ministro della pubblica istruzione? Vuol giungere forse alla «clericalizzazione» del Ministero dell’istruzione pubblica? Se è così, ci si dica chiaro.

Ma speriamo che questo non sia. Noi ricordiamo il suo passato di uomo politico, noi abbiamo fiducia ch’ella comprenda che cosa significhi la scuola e la difesa dei suoi valori. Se continuiamo su questa strada, onorevole Ministro, questi valori saranno distrutti, e noi non potremo più, quando gli insegnanti avranno definitivamente perso ogni fiducia nella direzione della scuola, così facilmente recuperarli! (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Desidero vivamente di mantenere la discussione su quel terreno tecnico, nel quale è stata posta, e accetto senz’altro di rispondere direttamente alle interpellanze, prescindendo da questioni secondarie, che trascinerebbero in lungo questa nostra discussione, o che ci condurrebbero fuori tema: questioni, che, comunque, possono essere sempre oggetto di altre interrogazioni o interpellanze.

Di tali questioni fuori tema cito un solo esempio: l’onorevole Bernini mi ha chiesto delle statistiche sulle scuole private e sulle parificazioni. Se desidera che questo argomento sia oggetto di una particolare interrogazione, sono pronto a rispondere anche per lunedì; ma non è questo l’argomento della presente interpellanza. Però sinceramente le dico, onorevole Bernini, che avrei avuto piacere, se lei, oltre ricordare la questione del numero delle parifiche – che è certamente inferiore a quello degli altri anni – avesse anche ricordato che quest’anno, per mia iniziativa e per la prima volta, si sono introdotte in tutte le scuole private le Commissioni governative di esame di Stato, Commissioni composte di professori statali estranei alle scuole private (Applausi al centro). Credo che questo sia una dimostrazione dello spirito spassionato, che anima questa mia politica di vigilanza: la quale non è né clericale né anticlericale, avendo il solo fine di controllare e migliorare la scuola di qualsiasi tipo essa sia.

Ciò premesso, vengo all’esame concreto dei problemi.

Naturalmente, per me il problema più grave è quello al quale ha accennato alla fine del suo discorso l’onorevole Codignola: si tratta di vedere se sono stati superati i limiti di competenza del Ministero e, quindi, implicitamente, anche i limiti di competenza del Governo nei confronti dell’Assemblea Costituente. Nell’interpellanza scritta è detto: «Gli interpellanti chiedono per quali ragioni un decreto di tanta importanza, che ha evidenti aspetti costituzionali, sia stato sottratto alla competenza dell’Assemblea Costituente». In sostanza, stamane, sia pure con qualche titubanza, è stato qui ripetuto un analogo rilievo, citando lesti legislativi, che interessano il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Anche a questo proposito – mi dispiace di ripetermi in qualche cosa – debbo essere molto chiaro. L’articolo 3 della legge sulla Costituente (16 marzo 1946) dice testualmente: «Durante il periodo della Costituente e fino alla convocazione del Parlamento, a norma della nuova Costituzione, il potere legislativo resta delegato, salva la materia costituzionale, al Governo, ad eccezione delle leggi elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati internazionali, le quali saranno deliberate dall’Assemblea».

Non è questo il momento di fare delle disquisizioni su che cosa la scienza giuridica intenda per materia costituzionale, materia, nel cui ambito l’onorevole Codignola fa entrare anche questo provvedimento sul Consiglio Superiore. Mi limito solo a citare un eloquente paragone di un illustre giurista, il Donati, il quale diceva che il diritto pubblico si può paragonare a un grande albero, il cui tronco è il diritto costituzionale, e i cui rami sono il diritto amministrativo. Cioè, il diritto amministrativo è intimamente connesso col diritto costituzionale; però non si identifica col diritto costituzionale, alla stessa maniera che i rami non si identificano col tronco. Indubbiamente, stretti rapporti vitali ci sono tra norme di diritto amministrativo e norme di diritto costituzionale; ma, come i rami non sono il tronco, così le norme di carattere amministrativo non sono le norme di carattere costituzionale.

Ora conviene chiedersi: si può considerare organo di carattere costituzionale il Consiglio Superiore di un Ministero? Questa è la domanda, alla quale bisogna rispondere. E all’onorevole Codignola, che è – e in ciò sono con lui – uno zelante difensore del diritto costituzionale, vorrei rivolgere questa domanda: perché non ha presentato una interpellanza in difesa delle prerogative costituzionali dell’Assemblea quando sono stati istituiti Consigli Superiori di altri Ministeri, quando è stato nientemeno che abolito un Ministero, il Ministero dell’assistenza post-bellica, quando è stato istituito non un semplice Consiglio Superiore, ma addirittura un nuovo Ministero, il Ministero del bilancio? Abolizioni ed istituzioni, che sono state attuate per mezzo di un decreto legislativo e con la massima urgenza, cioè con la stessa procedura, che è stata adottata per l’istituzione del Consiglio Superiore della pubblica istruzione. Io penso che l’istituzione di un Ministero sia una materia costituzionale di ben più larga portata che l’istituzione di un organo interno e consultivo di un’Amministrazione.

D’altra parte, richiamo l’attenzione su un altro rilievo essenziale: se il Consiglio dei Ministri fosse andato oltre i suoi poteri, vi era poi sempre la Corte dei conti, la quale, in questo caso, non avrebbe registrato il provvedimento. Ugualmente, se fosse stato necessario, come ha detto l’onorevole Codignola, un preventivo parere del Consiglio di Stato, la Corte dei conti non avrebbe registrato un provvedimento senza il preventivo parere del Consiglio di Stato, o, comunque, la Corte dei conti lo avrebbe registrato con riserva. Invece, come è noto, la Corte dei conti ha registrato il decreto istitutivo del nuovo Consiglio Superiore senza riserva; ed era logico che così avvenisse, perché questo è un procedimento legislativo regolare e normale per l’istituzione di questi organismi tecnici dell’amministrazione.

Quindi, e non so se mi illudo di persuadere con queste argomentazioni, vorrei che non restasse alcun dubbio su ciò: la Corte dei conti, organo competente a giudicare la regolarità formale dei decreti legislativi, ha creduto di registrare senza riserve il provvedimento sul Consiglio Superiore, e, quindi, ha implicitamente riconosciuto che il Ministro e il Consiglio dei Ministri sono rimasti nell’ambito dei loro poteri, e che hanno seguita una procedura regolare.

D’altra parte non confondiamo, onorevole Codignola, come lei confonde nel testo, che ha citato, il carattere costituzionale di organi, quali il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, col carattere amministrativo del Consiglio Superiore. Il Consiglio di Stato è un organo giurisdizionale vero e proprio; cioè un organo, che ha il fine di risolvere le controversie che possono sorgere tra lo Stato e gli individui, oppure fra individui e lo Stato, mentre il Consiglio Superiore della pubblica istruzione non è affatto un organo con funzioni giurisdizionali; al massimo, sarà un organo che può avere anche delle funzioni disciplinari, interne all’Amministrazione stessa.

Il secondo tema, sul quale si sono intrattenuti ambedue gli interpellanti, è il tema della «massima urgenza». Anche qui mi si permetta anzitutto di ricordare il testo fondamentale, su cui poggiano gli argomenti, che intendo illustrare, cioè la famosa aggiunta al secondo comma del Regolamento della Camera, decisa nella seduta del 17 settembre 1946: aggiunta, che fu una precisazione utile fatta da questa Camera su questa materia.

Ora, l’aggiunta dice: «Il Presidente dell’Assemblea, al quale saranno inviati dal Governo, salvo i casi di massima urgenza, tutti i disegni di legge deliberati dal Consiglio dei Ministri, li trasmetterà alle Commissioni competenti».

Naturalmente li trasmetterà per avere semplici pareri (come anche le interpellanze hanno il fine di manifestare dei pareri); poiché tutti sappiamo che il potere legislativo, finché dura la Costituente, è delegato al Governo, salvo la limitata materia prevista dalla legge istitutiva della Costituente.

Questi principî hanno avuto un chiarimento preciso anche da parte degli organi governativi; ed una circolare della Presidenza del Consiglio, inviata a tutti i Ministeri, (5 ottobre 1946) e dettante norme per la condotta dei singoli Ministeri, dice: «Soltanto nei casi di massima urgenza, da valutarsi dal Consiglio dei Ministri, sarà consentito di procedere ad emanazione di decreti legislativi, prescindendosi dalla preventiva deliberazione delle Commissioni».

Quindi, l’apprezzamento della «massima urgenza» è demandato alla discrezione del Governo, che, in questa materia, è sottoposto sì ad un sindacato, ma non al sindacato di un’Assemblea legislativa, bensì al sindacato della Corte dei conti; la quale, come abbiamo visto, ha registrato il provvedimento in questione.

Ma si può obiettare: queste sono ragioni formali, sono degli schermi, dietro i quali ci si nasconde per mascherare il proposito di non accettare una discussione, di non accettare un controllo. E, per rispondere a queste obiezioni, ho il dovere di ribadire che la massima urgenza era «in re», era nelle cose, nella necessità di dar corso a provvedimenti, che possono essere rinviati solo con grave danno della vita scolastica. A questo proposito devo nuovamente ricordare che è sul tappeto del Consiglio Superiore la formazione delle commissioni giudicatrici di cinquanta quattro concorsi universitari: ora, l’operazione di spoglio delle elezioni di queste commissioni dev’essere fatta per legge dal Presidente del Consiglio Superiore. Come è noto, il Presidente e vari membri si sono dimessi; quindi non vi è l’organo, che è necessario per eseguire questa operazione indispensabile per la nomina delle commissioni giudicatrici dei concorsi. E qui non si tratta solo degli interessi di giovani, che hanno il diritto e la legittima aspirazione di entrare nella carriera universitaria, ma si tratta soprattutto sugli interessi della scuola, la quale non può essere ancora lasciata con queste cattedre scoperte, senza grave danno dell’insegnamento.

C’è poi un gruppo notevole di giovani, che aspirano alla libera docenza. Il concorso è stato bandito; bisogna nominare le Commissioni giudicatrici per la libera docenza. Siccome la nomina di queste Commissioni non è di competenza del Ministro, ma del Consiglio Superiore, con la paralisi di tale Consiglio resterebbe paralizzata tutta la procedura per l’espletamento delle libere docenze. Se noi avessimo rinviato a fine ottobre la nomina del Consiglio Superiore, avremmo finito per danneggiare sia coloro che aspirano ad entrare in ruolo, sia coloro che aspirano ad avere la libera docenza.

Ed infine c’è un problema, che, oltre avere un aspetto scolastico, ha anche un aspetto eminentemente morale e politico. Si tratta della revisione dei concorsi a cattedre universitarie. In tale campo si è già perduto troppo tempo. Bisogna che noi rivediamo al più presto quei concorsi contro i quali è stato presentato un ricorso. E vi sono anche in questa Assemblea e tutti li conosciamo uomini di scienza, come l’onorevole Giua, l’onorevole Paolo Rossi e l’onorevole Pesenti, i quali, per non subire le umiliazioni e gli arbitrî della dittatura, hanno preferito abbandonare l’insegnamento. Ora, è giusto che costoro che aspirano a coprire una cattedra o hanno diritto di coprirla, vedano entro il più breve tempo appagate le loro aspirazioni. (Applausi al centro).

Questo rinvio della revisione dei concorsi comporterebbe un’ulteriore dilazione di una procedura anche troppo differita non a causa della carenza degli organi amministrativi, ma a causa dei termini e delle condizioni fissate dalle leggi stesse. Quindi la soluzione migliore era quella di accelerare l’elezione del Consiglio Superiore.

L’onorevole Bernini osserva che questi problemi, che ora ricordo, riguardano solo l’ordinamento universitario. Che c’entra la scuola media o la scuola elementare?

Posso convenire su questa osservazione; però faccio presente che non era opportuno costituire tre Consigli Superiori distinti: uno per l’istruzione universitaria, uno per l’istruzione secondaria ed uno per l’istruzione elementare. Si è già criticato il numero dei Consigli Superiori (della pubblica istruzione, delle belle arti, delle accademie e biblioteche). Se io avessi promosso la costituzione di altri due distinti Consigli Superiori, uno per la scuola secondaria ed uno per la scuola elementare, si sarebbe giustamente detto che si operava un’inflazione di organi consultivi.

Però, si potrebbe rispondere: ma, allora, perché non fate le elezioni distinte, prima per le università, poi per la scuola secondaria, e successivamente per la elementare?

Sarebbe molto comodo. Anch’io l’avrei desiderato. Ma bisogna scegliere fra queste due alternative: o si costituiscono tre Consigli Superiori, e allora le elezioni si possono scaglionare nel tempo; oppure il Consiglio Superiore è uno solo, sia pure diviso in sezioni, e allora non è possibile eleggere una sola sezione e farla funzionare, prima che sia eletta l’altra, salvo che una norma speciale e transitoria lo preveda. Data l’unità dell’organismo, è tecnicamente impossibile che l’organismo possa esistere, quando alcuni organi non sono ancora istituiti.

È inoltre chiaro che la rappresentanza della scuola secondaria e di quella elementare risponde ai precisi interessi della scuola e degli educatori, i quali, attraverso associazioni e sindacati, hanno esplicitamente espresso il desiderio che la scuola secondaria e l’elementare abbiano i loro rappresentanti nel Consiglio Superiore, sia pure entro limiti che, pur essendo modesti, non furono affatto considerati umilianti, al contrario di ciò che pensa l’onorevole Bernini, inquantoché professori medi e maestri hanno coscienza della gradualità dei vari tipi di scuole nella comune dignità dell’insegnamento. I sindacati hanno inviato ordini del giorno, in cui esprimono il loro compiacimento, perché finalmente è stata accolta l’aspirazione degli educatori d’ogni grado di scuola ad avere una rappresentanza in seno al Consiglio Superiore della pubblica istruzione.

L’onorevole Codignola dice che il provvedimento istitutivo del Consiglio Superiore è stato emesso senza l’osservanza delle precise disposizioni di legge.

Vorrei domandare: quale inosservanza? E poi, quale legge? Desidero che l’onorevole Codignola chiarisca l’una e l’altra cosa.

A questo proposito, devo ricordare che la riforma era così «clandestina», che il 9 giugno, cioè un mese e mezzo prima delle elezioni del nuovo Consiglio Superiore, io ho esplicitamente dichiarato al Congresso Nazionale dei professori universitari italiani tenuto a Roma che, entro il più breve tempo, si sarebbe arrivati alle elezioni del nuovo Consiglio Superiore; e devo aggiungere che l’annunzio è stato sottolineato da un applauso, certamente non diretto alle mie parole, ma all’affermazione della opportunità di procedere, al più presto, alle elezioni di un Consiglio Superiore, che ormai da decenni non è più elettivo, ma di nomina ministeriale.

Inoltre, ho reso noto ai sindacati universitari, ed ho discusso coi loro dirigenti, il problema della rappresentanza degli incaricati, dei liberi docenti e degli assistenti; ed ho largamente notificato l’elaborazione del disegno, il quale era tutt’altro che «clandestino», perché veniva studiato dagli organi competenti e dalle rappresentanze sindacali, al cui consiglio e parere io mi sono rimesso. Quindi alla loro testimonianza mi appello. Essi avevano chiesto due rappresentanti per i liberi docenti, due per gli assistenti e due per gli incaricati. Ho fatto presente che questi sei rappresentanti erano troppi in rapporto ai professori di ruolo. Obiettivamente, i dirigenti dei sindacati mi hanno detto: ci possiamo limitare ad un rappresentante per i liberi docenti, uno per gli assistenti ed uno per gli incaricati. Quindi discussione c’è stata, e c’è stato pure l’accoglimento dei voti espressi dalle categorie. Ugualmente posso dire dell’Associazione Nazionale professori universitari, con cui ho avuto vari scambi di idee; e debbo notare che questa Associazione, nel momento presente, rappresenta tutta la categoria. Ciò dovevo precisare, per quanto riguarda le informazioni da me fornite agli interessati.

E veniamo al Consiglio dei Ministri. Onorevole Codignola, mi spiace per lei, ma è molto male informato. La questione del Consiglio Superiore è stata discussa non una sola volta, ma due volte: infatti da un Consiglio è stata rinviata ad un altro, ed è stata esaminata nel frattempo da una Commissione composta da me e dal Ministro Einaudi, dal Ministro Del Vecchio e dal Ministro Segni, cioè da tre illustri esperti della scuola. E in una riunione conclusiva del Consiglio dei Ministri è stato definitivamente approvato il provvedimento. Ad ogni modo queste sono procedure interne al corpo deliberante, che non possono essere sottoposte a sindacato; ma, se si vuole sindacare anche questo, debbo dire che anche qui si è proceduto con massima legalità e con massima regolarità. Il 30 giugno il Capo dello Stato ha firmato il decreto, decreto che è stato reso noto dalla radio e, mediante un comunicato ministeriale, dalla stampa. Registrato dalla Corte dei conti il 9 luglio, il decreto legislativo è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’11 luglio.

Si capisce che, riconosciuta la massima urgenza per il decreto istitutivo del Consiglio Superiore, ne derivava una certa urgenza anche per le norme relative alle elezioni. A questo proposito devo ribadire un punto: forse non era presente l’onorevole Codignola, quando ho chiarito (in sede di discussione della interpellanza dell’onorevole Calamandrei) che se è vero che sono state date disposizioni per le elezioni il 1° luglio, cioè quando il decreto non era stato ancora pubblicato, è anche vero che questa è la normale procedura, che si usa seguire, quando un provvedimento è – come si suol dire – «in corso di pubblicazione». In questa fase si predispone la disciplina di atti, i quali si effettuano non prima, ma dopo la pubblicazione. È un procedimento normalissimo, perché si predispongono norme per atti, che non hanno esecuzione prima della pubblicazione. Ripeto che l’urgenza delle norme sulle elezioni è in istretto rapporto con l’urgenza della costituzione dell’organo.

Si dice che si son volute strozzare o addomesticare le elezioni. Se tale fosse stata la nostra intenzione, non avremmo comunicato a tutti le norme per le elezioni, prima ancora che il provvedimento istitutivo del Consiglio Superiore fosse pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

È questo un caso in cui la burocrazia deve essere elogiata; non trattandosi di una questione di aumento di spese, si è potuto procedere con una certa rapidità. Anche se si dovevano attendere i famosi quindici giorni – assolutamente non richiesti, perché il decreto entrava in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione – pure l’intervallo di quindici giorni c’era, come ho già rilevato.

Si aggiunge: si poteva mantenere in vita il Consiglio Superiore dimissionario. Questa è un’altra richiesta, che mi è stata presentata stamane, ed alla quale ora rispondo. Le soluzioni possibili, come dicevo, rispondendo all’onorevole Calamandrei, erano tre:

1°) si poteva mantenere in vita il Consiglio, come era, qualora i membri dimissionari avessero accettato di continuare nella loro cooperazione;

2°) alcune delle fondamentali attribuzioni del Consiglio Superiore potevano essere assunte dal Ministro: (evidentemente non ho voluto esagerare nell’usare di queste facoltà);

3°) potevo – e la legge me ne dava la facoltà – nominare ventitré nuovi membri che avrebbero preso il posto dei ventitré membri dimissionari. Chiunque nominassi, le mie nomine indubbiamente sarebbero state interpretate come un’opera di clericalizzazione del Consiglio Superiore: lo ha detto l’onorevole Codignola.

A proposito dei sei membri di nomina ministeriale, dei quali ha parlato l’onorevole Codignola, mi permetto di osservare all’onorevole Codignola stesso che, fra le poche nomine di rilievo da me direttamente promosse, ci sono quelle della famosa Commissione «clandestina» per l’inchiesta nazionale sulla riforma della scuola. Ora, l’onorevole Codignola deve sapere che questa commissione, da me nominata, non comprende neppure un mio amico politico, neppure un membro del mio partito. (Interruzioni – Commenti).

Voci al centro. Male! Male!

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Comunque, il mio desiderio di mantenere in vita il vecchio Consiglio Superiore lo ho confermato in maniera chiara con un provvedimento legislativo.

Lei sa bene, onorevole Codignola, che il Consiglio scadeva il 16 ottobre 1946. Ora, il 15 ottobre, su espresso desiderio del Consiglio stesso, io ho provveduto, con un immediato provvedimento legislativo, a mantenere in vita per un altro anno il Consiglio Superiore. Infatti, il decreto 15 ottobre 1946, approvato per mia iniziativa, dice: «Il Consiglio Superiore della pubblica istruzione, così come è attualmente composto, durerà in carica fino a nuova disposizione, e, comunque, non oltre il 16 ottobre 1947».

Quindi, la prova della buona volontà mi pare che, da parte mia non era mancata. Se ad un certo momento l’organismo è venuto meno, esso è venuto meno, perché ci sono state le dimissioni, le quali potevano essere anche ritirate.

Si poteva facilmente riparare alle vacanze in seno all’organismo, se queste dimissioni fossero state delle iniziative individuali, se, cioè, ci fosse stata la possibilità di svolgere un’opera di chiarificazione presso i singoli membri dimissionari; ma siccome queste dimissioni furono date in seguito alla diffusione fra i membri, di una circolare, con la quale venivano invitati a dimettersi, vi era la prova che si trattava di un’organizzazione, con le caratteristiche di un’azione concordata, di fronte alla quale ho creduto opportuno di prendere atto delle dimissioni stesse.

Vi è ad ogni modo l’articolo 25 della legge istitutiva del nuovo Consiglio Superiore, il quale dice: «Ogni altra disposizione contraria al presente decreto è abrogata». Ora, siccome il decreto del 15 ottobre precisava che: «Il Consiglio Superiore della pubblica istruzione, così come è attualmente composto, durerà in carica fino a nuove disposizioni», questo articolo 25 è appunto la nuova disposizione, che pone termine alla vita del Consiglio stesso.

Ma l’onorevole Bernini mi ricorda il ne varietur in materia scolastica di cui parlò il Presidente De Gasperi. Egli è un egregio professore di latino, e quindi prendo nella dovuta considerazione queste due parole. Dunque, il ne varietur, dove è andato a finire? Gli rispondo che, quando il Presidente annunciava quella formula dell’allora Governo tripartito, non era possibile prevedere che ventitré membri del Consiglio Superiore della pubblica istruzione si sarebbero dimessi: la violazione del ne varietur si deve dunque eventualmente ricercare in questa nuova presa di posizione di membri del Consiglio Superiore, presa di posizione, la quale portava alla logica conseguenza di istituire un Consiglio Superiore, appunto per non variare, perché, se si fosse rimasti in una situazione di vacanza di questo organo consultivo, con la vacanza e con la conseguente assenza di un controllo del Ministro ci sarebbe stata veramente una variazione sostanziale.

Ma – egli aggiunge – perché avete variata la legge?

L’abbiamo variata – e ciò risulta da documenti, che tengo a disposizione dell’onorevole Bernini e di qualsiasi altro membro dell’assemblea – perché in senso favorevole alle variazioni attuate si sono espressi i voti delle associazioni nazionali e locali rappresentative delle categorie di insegnanti, le aspirazioni dei quali era pur necessario tener presente.

Poi lei sa, onorevole Bernini, che ogni giorno si impone, per così dire, un nuovo stato di fatto, il quale può suggerire l’opportunità di introdurre modificazioni normative. Così è di recente avvenuto per quanto riguarda le leggi relative ai concorsi per i provveditori e i docenti dei vari ordini di scuole. Tali leggi hanno dovuto infatti subire modificazioni, anche perché varie categorie dei reduci, avanzando richieste riconosciute legittime pure dall’onorevole Bernini – quando egli era Sottosegretario alla pubblica istruzione – aspiravano ad ottenere dei giusti riconoscimenti. Perché, dunque, quando nuove circostanze inderogabili si impongano, non si dovrebbero modificare le disposizioni?

L’onorevole Codignola osserva: non offre garanzie democratiche questo Consiglio Superiore, perché è scarsamente rappresentativo. Ebbene, rispondo che non è esatto che nel Consiglio Superiore costituito secondo la legge del 1944 tutti i membri fossero elettivi, perché, come l’interpellante stesso ricorda, c’erano membri di nomina ministeriale su designazione delle categorie, oltre i cooptati. Di fatto, né durante né dopo il fascismo, si ebbero finora elezioni, e credo di non commettere un’indiscrezione, se dico che, prima di concludere l’elaborazione di questo decreto legislativo, ho voluto sentire il cortesissimo ed illuminato parere del professore De Ruggiero, il quale è stato con me concorde nell’ammettere che si doveva addivenire ad una revisione di quella che pure era una sua legge, al cui mantenimento – non fosse altro che per amor proprio – avrebbe pur dovuto tenere. Egli invece mi disse: è opportuno rivedere la legge. Quindi il principio della revisione della legge è stato accettato, cordialmente e simpaticamente, perfino da colui che era stato l’autore della legge stessa.

Nella nuova legge, trenta sono gli eletti, sedici sono i nominati; e, ripeto, i nominanti a motivo della loro funzione, in gran parte appartengono all’amministrazione centrale e periferica. Si prevede la nomina semplicemente perché non sembra opportuno introdurre il delicatissimo sistema elettorale anche nella cerchia delle varie categorie dei funzionari.

Perché non si sono previste le elezioni anche nelle scuole non statali? Questo interrogativo mi ha posto l’onorevole Codignola. Si immagini l’onorevole Codignola che cosa sarebbe successo, se io avessi proposto di porre la scuola non statale sullo stesso piano delle scuole statali, e avessi indetto anche in quella elezioni! Immagino quale pioggia di interpellanze sarebbe caduta sul mio capo! Ad ogni modo rispondo che per una ragione molto semplice non si sono predisposte elezioni nelle scuole private: la ragione è che nelle scuole pubbliche votano esclusivamente i professori di ruolo, e che nelle scuole non statali non c’è alcun professore che possa rigorosamente essere considerato di ruolo. Se nelle scuole private fosse stata introdotta l’elezione, si sarebbe avuta questa situazione assurda: nelle scuole pubbliche non avrebbero votato i professori che non sono di ruolo, mentre nelle scuole non statali avrebbero votato i professori non di ruolo. Lei vede che basta questa considerazione, per escludere l’opportunità di indire le elezioni in seno alla scuola non statale.

Mi dispiace che l’onorevole Bernini abbia detto che nella seconda e terza Sezione vi è un’«intrusione» di elementi universitari. Io credo che i professori medi e i maestri eletti non considereranno un’intrusione la presenza di tre professori universitari – che mi auguro siano i loro maestri – i cui consigli saranno ascoltati e seguiti. Comunque, malgrado questa che egli definisce «intrusione», resta il fatto che, sia nella Sezione media sia nella Sezione elementare, la maggioranza è di professori medi e di maestri elementari. Gli universitari, poi, non sono quattro, come qui si osserva, ma tre, perché – come dice la legge – ha funzione di Presidente uno degli universitari già membri della Sezione media o elementare.

E veniamo alle Giunte del Consiglio Superiore. Le Giunte sono costituite con un criterio di parità. Al fine di eliminare anche l’impressione di una inferiorità di dignità della Sezione delle secondarie e della Sezione delle elementari, si è stabilito che ogni Giunta sia composta di un uguale numero di membri: dodici membri la Giunta per le Università, dodici quella per le scuole secondarie, e dodici quella per le scuole elementari. Si è qui raggiunta la parità di rappresentanza; proprio quella parità, che desiderano gli onorevoli interpellanti. Naturalmente, se la Sezione delle scuole medie e la Sezione delle scuole elementari è composta di dodici membri, è evidente che la Giunta coincide con la Sezione stessa. Io non trovo in ciò niente di anormale: si semplificano le cose. Si capisce che i membri della Sezione partecipano ad ogni riunione plenaria come membri del Consiglio.

Ultima questione, e spero di aver finito. È la questione più grave, a detta dell’onorevole Bernini: si puniscono – egli dice – quelli che non votano.

È qui in questione un principio, che è già stato accolto per la democratica elezione di questa Assemblea; cioè l’esercizio del voto (non il voto) è un obbligo. Così dice la democratica legge elettorale della Costituente. Non voglio ora addentrarmi nella grave questione della natura morale, civica o politica, di questa obbligazione. Quello che a me preme mettere in rilievo, è che l’ordinanza ministeriale non prevede per l’inadempienza alcuna sanzione penale.

CODIGNOLA. È penale.

TONELLO. Altro che penale!

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Vedremo. Si sa che vi è un diritto al voto, ma vi è anche un dovere; il dovere dell’educatore di contribuire alla costituzione di questo che è l’organo consultivo supremo della pubblica istruzione. Perché posso sostenere che non furono stabilite vere e proprie sanzioni per l’inadempienza di questo dovere? Perché l’ordinanza dice: «Le autorità competenti terranno conto nelle note informative della mancata partecipazione al voto da parte di Capi-istituto e di insegnanti». (Commenti e rumori a sinistra).

Che cosa vuol dire «terranno conto»? Non è scritto che la mancata partecipazione al voto importi una punizione, come ha detto l’onorevole Bernini. E sa perché? Permettetemi che attiri la vostra attenzione anche sulla formula che, nell’ordinanza sulle elezioni, viene immediatamente dopo la predetta formula, e precisamente sull’articolo 25, il quale dice: «Coloro che voteranno o cercheranno di votare due o più volte, saranno sottoposti agli organi disciplinari per l’applicazione delle sanzioni». (Commenti a sinistra).

Qui è molto chiara la distinzione fra quando si è voluto introdurre una sanzione punitiva (come nel caso di un voto fraudolentemente ripetuto) e quando si è voluto semplicemente dire che «si tiene conto» (come nel caso della mancata votazione).

Ed, a calmare la loro indignazione, invito gli onorevoli interpellanti a tener presente che cosa sono le note informative, nelle quali si tiene conto della mancata partecipazione al voto. Non so se tutti sappiano che nelle note informative si tiene conto dei giorni di assenza degli insegnanti, e, sempre nelle note, si dice se l’assenza è giustificata o ingiustificata. Ora, se si tiene conto dell’assenza dalle lezioni, non vedo quale profonda differenza ci sia rispetto al tener conto dell’assenza da un’operazione, che, in fondo, s’inquadra nel complesso dei doveri scolastici ed educativi dell’insegnante. Si tiene conto, per esempio, della sua partecipazione all’attività della biblioteca, dei gabinetti, ecc., nonché di altre attività, che sono semplicemente parascolastiche. Ciò premesso, non vedo perché non si possa tener conto anche della partecipazione dell’insegnante all’elezione dei suoi rappresentanti in un organo, che è organo della scuola stessa; d’altra parte – e su questo insisto – al «tener conto» (fatto puramente constatativo) non è specificatamente aggiunta alcuna sanzione, sanzione, che invece è prevista per l’altro caso citato, cioè per l’eventuale e abusivo voto multiplo.

Così chiarite le cose, deve ad ogni modo apparire molto evidente che, anche se si fosse esagerato, questa esagerazione confermerebbe a fortiori che non si volevano fare i pasticci in casa con elezioni addomesticate fra gli amici, ma si voleva fare proprio il contrario, cioè allargare il più possibile il corpo elettorale, rendere proprio per tutti più impegnativo e cosciente l’esercizio del diritto di voto. (Applausi al centro).

Quindi, se avevo bisogno di un argomento decisivo per rispondere alle critiche su una presunta votazione addomesticata, questo argomento mi è proprio offerto dalla norma che stabiliva di tener conto dei non votanti, poiché il fine evidente di tale norma non poteva essere altro che quello di allargare al massimo il corpo elettorale, di non guardare in faccia nessuno, di desiderare solo libere elezioni su larga base. Impegnare a votare non significa togliere la libertà di scegliere per chi votare, libertà che resta integra.

Ma – aggiungono gli onorevoli Bernini e Codignola – non vi sono garanzie di serietà del voto.

Io dovrei rifarmi ai precedenti di queste procedure, e dovrei dire che per le Università abbiamo seguito, tale e quale, la procedura elettiva per la formazione delle commissioni giudicatrici dei concorsi universitari. Queste elezioni sono avvenute varie volte, e non hanno dato luogo ad alcun inconveniente. Per determinare il sistema elettivo da adottarsi nelle scuole medie ed elementari, abbiamo ricercato negli archivi del Ministero le norme che venivano seguite quando vi erano membri elettivi nel Consiglio Superiore e, più o meno, le disposizioni dell’ordinanza ministeriale sono ricalcate sulla falsa riga delle norme in vigore nell’epoca prefascista.

Perciò credo che non dobbiamo fare una offesa gratuita ai provveditori, ai capi d’istituto, ai presidi e ai direttori didattici (cioè agli organi locali e tecnici della scuola incaricati di dirigere e controllare le operazioni elettorali), pensando che essi si possano prestare a brogli. D’altra parte tutto il sistema elettivo è ben controllato, perché anche i possibili inconvenienti prospettati dall’onorevole Codignola sono stati previsti, e si è cercato di porvi riparo, in quanto che dopo aver fatto lo scrutinio locale, i provveditori mandano al Ministero insieme coi verbali dello spoglio delle votazioni anche le liste di coloro che hanno votato. Sicché, nella prospettata ipotesi di quel tal professore di Bari, che votasse a Bari e a Roma, c’è la possibilità per il Ministero di controllare il voto doppio, possibilità, che non avrebbe di per sé il provveditore di Bari o di Roma.

Si fa infine la questione della rappresentanza delle maggioranze e delle minoranze. Si capisce che, se si trattasse di una votazione politica, di una lotta fra partiti o correnti politiche, il problema della rappresentanza della maggioranza e della minoranza avrebbe un maggior rilievo. Noi riteniamo utile seguire il sistema già in uso nelle elezioni universitarie, e generalmente in uso – almeno che io sappia – nelle elezioni dei membri di organismi tecnici di questo genere. Le questioni poi relative alla propaganda elettorale non interessano il Ministero. Questo detta le norme relative al sistema elettivo, ed ha, oltre il diritto, anche il dovere di disinteressarsi della propaganda che possono fare le associazioni sindacali e i gruppi di professori al di fuori della scuola. Noi ci rivolgiamo con le nostre circolari non ai propagandisti, ma ai provveditori ed ai capi-istituto. E che i professori finiscano per votare – come qui si è detto – il primo nome che capita, penso che non corrisponda a verità, perché penso che i nostri educatori abbiano la chiara coscienza del loro preciso dovere di inviare loro degni rappresentanti in questo supremo organo consultivo e rappresentativo della scuola. Sono certo perciò che non si ridurranno – come qui si è affermato – al misero espediente di votare il primo nome che verrà loro in mente.

Ed ho finito. Mi limito a ribadire l’inopportunità di prorogare la elezione del Consiglio Superiore per tutti i motivi che ho esposti, che ritengo siano obiettivi, e che avevo già illustrati rispondendo all’interpellanza dell’onorevole Calamandrei. Non mi sembra che contro questi motivi siano state avanzate argomentazioni tali da farmi abbandonare la linea prescelta.

Che il vecchio Consiglio rimanga in carica è difficile, dato l’atteggiamento di coalizione dimissionaria, che ha assunto una parte del Consiglio Superiore. Non è opportuno prospettare la proroga della elezione, perché nei mesi di agosto e di settembre le scuole sono chiuse, e dovremmo rinviare le elezioni a fine ottobre, sicché lo spoglio elettorale avverrebbe in novembre, con grave pregiudizio per la soluzione di urgenti problemi.

Non ho detto – come mi si fa dire – che la maggioranza dei professori alla fine di luglio siano in scuola; ho detto che è aperta la maggioranza delle scuole, poiché, anche se non ci sono tutti i professori, ci sono le Commissioni per gli esami di abilitazione e di maturità. Comunque, come è noto, e l’ho ricordato stamane, i professori possono votare fuori sede, nel luogo in cui si trovano. Quindi l’esercizio del voto non è difficile e non comporta sacrifici da parte dell’elettore.

Devo perciò concludere, ribadendo l’opportunità che la elezione del nuovo Consiglio Superiore avvenga nei termini fissati dalla legge e dalle circolari ministeriali. (Applausi al centro).

Presentazione di un disegno di legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro degli affari esteri ha chiesto di parlare per la presentazione di un disegno di legge. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare alla Camera il seguente disegno di legge: «Approvazione dello scambio di note effettuato in Roma, tra l’Italia e la Francia il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane».

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro degli affari esteri della presentazione di questo disegno di legge. Sarà inviato alla Commissione competente.

Si riprende la discussione sullo svolgimento di interpellanze.

PRESIDENTE. L’onorevole Bernini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BERNINI. Onorevoli colleghi, la risposta dell’onorevole Ministro della pubblica istruzione mi pone veramente in un gravissimo imbarazzo; perché, se io dovessi rispondere punto per punto a tutto quello che egli ha detto, egregi colleghi, noi dovremmo fare le ultime ore del pomeriggio. Io mi limiterò a dire che l’onorevole signor Ministro non ha tenuto conto quasi per nulla di quello che ho detto. Lo capisco, egli aveva già preparato il suo discorso.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Lei l’aveva scritto, io no. (Commenti).

BERNINI. Io l’avevo scritto perché ci penso sempre molto a ciò che devo dire. Ripeto, onorevole Ministro, lei mi costringe ad esemplificare. Lei non ha risposto affatto a quello che è stato l’inizio del mio modesto discorso. Io ho affermato che, quando si bandiscono le elezioni, se le elezioni debbono essere sincere, bisogna porre il corpo elettorale in condizione di poter votare. Ho dimostrato, anche con i dati, che il corpo elettorale non potrà votare a distanza, avendo saputo solo il 10 luglio che esso doveva votare. Osserverò ancora, dato che io non posso fermarmi a confutare tutto quello che egli ha detto, che tutto il suo discorso ha peccato soprattutto di quello che i grammatici chiamano il difetto di preterizione, cioè di omissione. Il signor Ministro ha detto, ma nello stesso tempo non ha detto: ha detto quello che gli pareva utile dire ed ha omesso tutto quello che gli pareva utile omettere.

Mi trovo in imbarazzo, anche perché dopoa di me dovrà parlare il mio collega ed amico l’onorevole Codignola; e non vorrei che c’ingolfassimo nell’esposizione dei medesimi argomenti.

Quindi mi limiterò a due punti. Avevo rivolto al Ministro due domande: a nessuna di queste due domande precise il signor Ministro ha risposto. Ad una ha risposto con una scappatoia, alla seconda non ha neppure accennato. Io gli avevo domandato se è vero che dal Ministero della pubblica istruzione è partita una lettera o una circolare, indirizzata ai provveditori agli studi, in cui s’invitava a indagare sopra l’attività politica passata, presente ed anche futura di cittadini proposti a far parte dei Consigli scolastici.

Lei non ha risposto, signor Ministro. Ora mi permetto ancora di insistere su questa domanda. Il signor Ministro non risponde; risponderò io per lui. Il 14 marzo 1947, con numero di protocollo 1303, è partita dal Ministero, a firma del direttore generale della istruzione elementare, una lettera.

Se credete, darò lettura dei termini principali.

BERTOLA. È poca delicatezza che un ex Sottosegretario sveli certe cose, anche se sono vere.

TONELLO. Fa molto bene.

BERTOLA. Mi stupisce altamente.

TONELLO. Noi non abbiamo confessionali.

BERNINI. Il Ministro prima è stato invitato a rispondere se è vero o non è vero. Poi risponderò alla censura.

La lettera è questa:

«Si prega di far conoscere – presi gli opportuni accordi con codesta Prefettura – se le persone segnalate nella nota cui si risponde, per la scelta, da parte di questo Ministero, del membro del Consiglio scolastico provinciale particolarmente competente nei problemi della scuola elementare, svolgano od abbiano svolto attività politica, ed eventualmente in quale partito. Analoga informazione la signoria vostra si compiacerà di dare anche nei riguardi degli ultimi quattro membri, di cui all’articolo 2 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 55, facendo altresì conoscere se Ella abbia osservazioni da far presente al Ministero, in merito alle segnalazioni pervenute dagli organi competenti».

TONELLO. Ufficio spionaggio si vogliono far divenire i provveditorati!

BERNINI. Non ho finito. La lettera fu trasmessa al provveditore agli studi di Pescara a fu trasmessa a molti altri provveditori agli studi. Alcuni di essi risposero onestamente in questo senso: che erano stati scelti uomini non per ragioni politiche, ma perché competenti. Il Ministro depennò questi nomi (il Ministro o chi per lui) e ne mise altri.

Alcuni provveditori onestamente replicarono che questi non risultavano competenti. Malgrado ciò, costoro furono riconfermati nella funzione. E il Ministro ha il coraggio di parlare di consessi di carattere tecnico!

E lei, onorevole Ministro, non ha risposto nemmeno alla seconda domanda. Io l’avevo pregata di dirmi quante parificazioni ha fatto quest’anno. Lei si è rifugiato in una modesta scappatoia. Ma perché rispondere così? Vuole che risponda io? Lei, se era così sicuro di se stesso, doveva dire: «Ma io glie lo dico subito; non ho niente da nascondere».

Lo dirò io. Lei ha fatto 303 parificazioni. (Commenti). 303 parificazioni di scuole e di classi. Mi pare che sia un discreto numero.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Troppo poche.

Una voce al centro. Molto bene.

BERNINI. Ripeto, io non posso soffermarmi in nessun altro punto.

Io avevo prevenuto il signor Ministro in quella che sarebbe stata la sua giustificazione della punizione per i non votanti. Io avevo detto: «Non adotti questa giustificazione» ed invece il Ministro l’ha voluta adottare. Si dice ad un direttore, ad un ispettore scolastico, ad un provveditore «se quel tale non vota, tenetene conto». Signor Ministro, per lei, questa è la medesima cosa che tener conto dei giorni di assenza dell’insegnante. Se questo, signor Ministro, le sembra un argomento, se lo tenga, però non persuaderà nessuno, neppure quelli dell’altra parte.

Ed ora lei mi ha risposto che non intende di rinviare le elezioni. Lei ha detto l’argomento, che pure io avevo già previsto, che il corpo del Consiglio superiore è uno e non si può dividere. Io le rispondo con l’articolo 2 del suo testo di legge. Il Consiglio superiore della pubblica istruzione funziona normalmente per sezioni. Quando si dice che funziona normalmente…

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Bisogna che ci sia, per funzionare!

BERNINI. Con un po’ di buona volontà, ella avrebbe potuto benissimo rimandare le elezioni per la seconda e terza sezione. Non l’ha voluto fare. E così sia!

Ogni insegnante – e questo io non lo dico solo a questa Assemblea, ma lo dico a tutti i miei colleghi d’Italia, maestri e professori, a tutti quelli che leggeranno domani il resoconto di queste mie parole, che non valgono che per il sentimento di libertà e di giustizia da cui sono ispirate – si regolerà secondo la sua coscienza. Ci sarà, signor Ministro, chi si rifiuterà di votare, rifiutandosi di obbedire ad un ordine incostituzionale ed iniquo (Rumori), un ordine che, oltre il resto, non viene neanche da un decreto-legge, ma viene addirittura da una ordinanza ministeriale.

Si vedrà poi se esiste in Italia un’autorità superiore, un organo superiore, il quale riconfermi che si può stabilire questo voto obbligatorio con una ordinanza ministeriale, e si vedrà se questo organo potrà dare ragione a lei o a noi. Ci sarà anche chi voterà scheda bianca. Non si illuda, signor Ministro: chi voterà scheda bianca voterà contro il suo provvedimento. Ci sarà chi voterà il primo nome che capita. Un povero maestro, che non ha contatti con nessuno, per chi dovrà votare se non gli arriverà l’elenco della democrazia cristiana? (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

UBERTI. Gli arriva il suo discorso!

BERNINI. Ci sarà chi voterà i nomi suggeritigli, con molta riservatezza, e che si trovano negli elenchi che girano di casa in casa e di parrocchia in parrocchia, per non mettersi contro colui che desidera si voti in quel modo. (Rumori al centro).

Ma, comunque, dato che le preghiere e le persuasioni non sono valse a niente, dato che gli argomenti che abbiamo portato qui non hanno potuta convincerla, dobbiamo dirle che noi facciamo nostro il deliberato di quel Sindacato della scuola media, diretto da uomini di tutti i partiti ed in maggioranza da uomini della Democrazia cristiana. Il Sindacato ha votato un ordine del giorno, col quale ha chiesto il rinvio delle elezioni. Se ciò non avvenisse, ne riterrebbe provvisori i risultati, in quanto non derivanti da adeguata preparazione.

Noi facciamo nostro questo ordine del giorno del Sindacato professori. Qualunque sia il risultato di queste elezioni, noi lo considereremo spurio e provvisorio. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CODIGNOLA. Onorevoli colleghi, nel mio primo intervento, io mi limitai ad indicazioni di carattere tecnico; mi limiterò, in questo secondo intervento, a rispondere ad alcune osservazioni del Ministro, riservandomi, infine, di accennare al problema di politica scolastica.

L’onorevole Gonella ha dichiarato che il Consiglio superiore è organo soltanto consultivo, e non giurisdizionale; e che quindi non può ad esso applicarsi quella norma di legge, che riguarda il Consiglio di Stato in sede consultiva. Rispondo che quella disposizione dice esplicitamente che essa riguarda anche le funzioni consultive del Consiglio di Stato; ed essa è stata successivamente interpretata nel senso di applicarsi a tutti gli organi consultivi dello Stato. E l’onorevole Gonella dovrà convenire che, per lo meno per il Consiglio superiore delle miniere, tale procedura è stata adottata non più tardi di alcuni mesi fa.

Né vi erano ragioni di massima urgenza, perché il vecchio Consiglio superiore, come ben ha detto l’onorevole Calamandrei, poteva benissimo essere richiamato in vita in via provvisoria, per affrontare i problemi universitari più urgenti. L’onorevole Gonella non ha ritenuto non dico suo dovere, ma suo obbligo di cortesia, rispondere ai membri dimissionari, neppure con un biglietto, neppure chiedendo loro se fossero disposti a collaborare ancora per uno o due mesi, per il bene della scuola, in modo da far fronte ai problemi più urgenti.

UBERTI. Non dovevano dare le dimissioni. (Interruzioni a sinistra).

CODIGNOLA. L’onorevole Gonella poteva benissimo mantener fermo il vecchio ordinamento, e provvedere alla sostituzione dei membri dimissionari, sostituzione che poteva essere fatta esclusivamente per l’ordine universitario, anche per via elettiva. In base al decreto De Ruggiero, non c’era bisogno, che questi nuovi membri li nominasse lui, perché tale decreto prevede, in via generale, il sistema elettivo; e soltanto in via provvisoria il Ministro De Ruggiero li aveva dovuti personalmente nominare; sicché quel decreto lasciava pienamente aperta la possibilità che si ricostituissero regolari organi elettivi.

Se quindi l’onorevole Gonella non voleva seguire la via di invitare i dimissionari a restare fino alla normale scadenza del termine, avrebbe potuto indire le elezioni per le sole università; e tutto ciò senza modificare in nulla l’attuale struttura del Consiglio superiore.

Obbligatorietà del voto: ancora due parole su questo argomento. Poiché l’onorevole Gonella ha mostrato qualche dubbio sul valore da attribuirsi all’espressione «tener conto», vorrei ricordare agli onorevoli colleghi che in altri tempi, in quei tempi in cui l’onorevole Gonella svolgeva insieme con noi una azione politica di natura antifascista, il Ministro della istruzione di allora diramò una circolare che prescriveva di tenere conto – nella compilazione delle note di qualifica degli insegnanti – della collaborazione prestata alla Gil (Rumori al centro), e dell’atteggiamento degli insegnanti nei riguardi delle manifestazioni del Governo nazionale.

Il «tener conto» adottato nelle circolari dei Ministri fascisti aveva un significato chiaro; era un bollo d’infamia che si voleva imporre sulla cartella dell’insegnante per l’avvenire. Non vorrei che questa medesima politica venisse adottata oggi in altra forma, per gli insegnanti che si rifiutino di votare, ché vi saranno certamente degli insegnanti medi ed elementari i quali, nonostante la loro miseria, conservano una dignità e, per non votare per la lista cattolica, si rifiuteranno di votare. Perché, ed è questo che io voglio ancora sottolineare, il metodo della votazione è antidemocratico e il decreto è illegale. (Rumori al centro).

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Ma perché è illegale?

CODIGNOLA. Sulla illegalità del decreto altri organi saranno chiamati a giudicare. Ma io domando all’onorevole Ministro se proprio agli insegnanti, che sapranno dimostrare di possedere questa dignità, egli ritenga giusto di applicare una sanzione.

GONELLA. Ministro della pubblica istruzione. Ma ho già detto che non è una sanzione!

CODIGNOLA. Non credo che sia utile continuare a discutere sull’aspetto tecnico della questione, anche perché lo stesso onorevole Gonella ha dimostrato di non desiderare che codesto aspetto venga approfondito.

Passerò invece all’aspetto politico che, finora, avevo trascurato. Mi è stato chiesto, un momento fa, da un collega democratico cristiano: «Perché si sono dimessi i membri del Consiglio superiore?». Debbo far notare che fra questi membri figurano uomini eminenti, di chiara fama, tra i quali l’onorevole Colonnetti, il professor Jemolo, che non appartengono certamente alla nostra parte. Perché alla base di tutto questo, onorevole Gonella, al di là della questione del Consiglio superiore, sta una preoccupazione più generale, che già rilevammo quando parlavamo del problema della scuola in sede costituzionale, una preoccupazione che pare ella faccia tutto quello che può per renderla più grave. Questa preoccupazione, questa impressione, che non è soltanto in noi, uomini politici di sinistra, ma in gran parte del Paese che si occupa di queste cose, soprattutto negli uomini della scuola, è che al Ministero della pubblica istruzione non vi siano più garanzie, e non si sia quindi più sicuri dell’avvenire della scuola. (Commenti al centro).

Noi stiamo in questo momento discutendo sul problema del Consiglio superiore. Ma vuole l’onorevole Gonella assumere un atteggiamento tale, ogni volta che si tratti di problemi scolastici di così ampia risonanza, da indurci a richiedere un’inchiesta generale sulla scuola? Se lo crede, possiamo anche farlo: e non mancherebbero le occasioni. Vi è, per esempio, il problema del funzionamento della segreteria particolare del Ministro (Commenti a sinistra), che sarebbe bene venisse discussa in questa Assemblea; vi è il problema delle parificazioni; vi è il problema della riforma della scuola, affidata a quel signor Severi, che ci è noto come largamente compromesso col regime fascista. (Commenti al centro). Vi è il problema dei trasferimenti arbitrari dei provveditori agli studi, per cui sono stati mandati via provveditori che avevano dietro di sé un passato magnifico di resistenza al regime e di eccezionale competenza, per sostituirli con uomini che potrebbero essere ampiamente discussi. Vi è una sua circolare a carattere nettamente poliziesco, circa le lezioni private, per cui si richiede la denuncia dei parenti dei professori, fino al quarto grado, che facciano lezioni private.

Vi è il problema del modo con cui vengono fatti gli esami di Stato. Noi diamo atto all’onorevole Gonella del tentativo da lui fatto di regolare in qualche modo la questione dell’esame di Stato nel suo insieme, ma non siamo affatto sodisfatti del modo concreto con cui questa intenzione si è messa in atto.

Vi è il caso del riconoscimento dei titoli di studio agli studenti delle scuole Salesiane di Egitto, al contrario di quello che si è fatto per le scuole italiane in Isvizzera.

Sono tutte questioni che meritano una considerazione. Del resto, io ho voluto fare soltanto un accenno a queste questioni, e non sono stato ispirato da sentimenti di partito o animato da spirito di faziosità. Ho posto dei problemi tecnici… (Interruzioni – Commenti al centro).

FUSCHINI. Questa non è una discussione di interpellanza: l’interpellanza ha un argomento determinato.

TONELLO. Noi abbiamo il dovere di giudicare e di denunciare i fatti.

CODIGNOLA. Questo problema della scuola, dicevo, non deve dividere il Paese politicamente; è un problema che deve unirci, non disunirci. Perciò bisogna risolvere queste questioni di comune accordo. L’onorevole Gonella, ogni volta che gli segnaliamo qualche cosa, si alza nelle spalle e dice che non c’è nulla da modificare a quello che si è fatto e che si chiede di rivedere. Ma l’Assemblea Costituente ha pur qualche potere, ha qualche cosa da dire e questo diritto non le si può contestare.

Tutto questo vi dico con assoluta sincerità, e, ripeto, senza spirito di faziosità o interesse di partito. Io non posso non ricordare quanto il Ministro Gonella ha fatto durante il periodo della resistenza, particolarmente per noi giovani; ma ad un certo momento ci siamo veduti costretti a domandare: al Ministero della pubblica istruzione c’è ancora quell’antifascista di cui abbiamo letto per anni gli scritti sull’Osservatore Romano? O c’è forse oggi accanto a lui qualcuno che rende tanto criticabile questo governo della scuola?

È per tutto questo che noi ci dichiariamo non sodisfatti della risposta che ci ha dato l’onorevole Gonella. Ed a questo riguardo io mi riservo di trasformare l’interpellanza in mozione, affinché la discussione possa diventare la più ampia possibile: l’Assemblea Costituente non intende lasciare da parte questo che è uno dei problemi fondamentali della ricostruzione del Paese. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. E così esaurito lo svolgimento delle interpellanze.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: «Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio».

Si riprende l’esame del disegno di legge all’articolo 57. Se ne dia lettura nel testo governativo accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I contribuenti che impediscono ai funzionari ed ai Collegi giudicanti l’esercizio delle facoltà indicate all’articolo 44 sono soggetti alla pena pecuniaria da lire 2000 a lire 250.000.

«Coloro che, richiesti di presentare atti o fornire notizie a termine dell’articolo 44, vi si rifiutino o non vi ottemperino entro il termine fissato, che non può mai essere inferiore a 30 giorni dalla data di notifica della richiesta, incorrono nella pena pecuniaria prevista nel comma precedente».

PRESIDENTE. A questo articolo non è stato presentato alcun emendamento e pertanto si intende approvato.

Si passa all’esame dell’articolo 58. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che non presenti l’inventario previsto nell’articolo 33, lettera g), o lo presenti in modo incompleto od infedele incorre nell’ammenda da lire 15.000 a lire 5.000.000».

PRESIDENTE. Anche a questo articolo non è stato presentato alcun emendamento e quindi si intende approvato nel testo governativo accettato dalla Commissione.

Si passa all’esame dell’articolo 59. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le società, associazioni ed enti che non ottemperino agli obblighi fissati dal presente decreto sono soggetti alle sanzioni non di carattere penale previste nei precedenti articoli ed i loro legali rappresentanti alle sanzioni di carattere penale.

«La società è solidalmente responsabile coi propri rappresentanti, dirigenti o funzionari del pagamento delle penalità».

PRESIDENTE. Non essendo stato presentato alcun emendamento, su questo articolo, si intende approvato nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

Si passa all’esame dell’articolo 60 (Capo XI: Privilegi e prescrizioni). Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il credito dello Stato per l’intero ammontare del tributo ha privilegio speciale su tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data di pubblicazione del presente decreto, salvi i diritti dei terzi costituiti anteriormente alla data stessa.

«È in facoltà dell’Intendenza di finanza di rinunziare, in tutto o in parte, a tale privilegio speciale per tutti gli immobili o per alcuni o parte di essi, contro prestazione, ove il resto del patrimonio non costituisca sufficiente garanzia per la riscossione del credito erariale, di garanzia riconosciuta idonea dall’Amministrazione.

«La Finanza ha, inoltre, privilegio sulla generalità dei mobili che appartengono al debitore dell’imposta al momento della riscossione. Questo privilegio è posposto a tutti i privilegi generali e speciali, di cui agli articoli 2751 e 2752 del Codice civile.

«Nei casi di esecuzione forzosa e di fallimento, la Finanza ha il diritto di esser collocata per la totalità della imposta, il cui ammontare sarà determinato con le norme dell’articolo 52».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati due emendamenti dall’onorevole Micheli, del seguente tenore:

«Dopo il secondo comma, aggiungere:

«Il privilegio stesso non prevale alle ipoteche iscritte per garanzia di mutui concessi dagli Istituti di credito fondiario e dagli enti pubblici per il raggiungimento dei fini istituzionali o per l’investimento di fondi, purché il capitale mutuato non ecceda la metà del valore accertato in via definitiva ai sensi del presente decreto.

«In via subordinata e alternativa, aggiungere in fine:

  1. a) Peraltro, in detti casi, la collocazione avverrà per la sola quota di imposta proporzionalmente corrispondente al valore di ciascun immobile, qualora tale limitazione occorra per consentire la collocazione di mutui ipotecari concessi dagli Istituti di credito fondiario e dagli enti pubblici per il raggiungimento dei fini istituzionali o per l’investimento dei fondi e purché il capitale mutuato non ecceda la metà del valore accertato in via definitiva ai sensi del presente decreto.
  2. b) Peraltro, in detti casi, la collocazione avverrà sopra metà soltanto del prezzo ricavato per ciascun immobile, qualora tale limitazione occorra per consentire la collocazione di mutui ipotecari concessi dagli Istituti di credito fondiario e dagli enti pubblici per il raggiungimento dei fini istituzionali o per l’investimento dei fondi e purché il capitale mutuato non ecceda la metà del valore accertato in via definitiva ai sensi del presente decreto».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerli.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sopra l’articolo 60 e soprattutto sopra gli opportunissimi emendamenti presentati dall’onorevole collega Micheli, il quale certamente li svilupperà in modo esauriente e perciò io parlo solo, ripeto, per richiamare l’attenzione sopra la questione che si discuterà e che è della massima importanza. Qui in quest’Aula io ho sentito più di una volta raccomandare l’intensificazione della produzione dell’agricoltura italiana, ho sentito più e più volte proclamare la necessità…

PRESIDENTE. Onorevole Pallastrelli, lei sta parlando a vuoto.

PALLASTRELLI. Onorevole Presidente, mi spiace dissentire da lei, perché quanto sto dicendo è molto attinente al tema.

PRESIDENTE. No, mi perdoni: lei parla a vuoto, perché non ha emendamenti propri e i soli che sono stati presentati a quest’articolo, quelli dell’onorevoli Micheli, non sono stati ancora svolti.

PALLASTRELLI. Ma io parlo precisamente a sostegno di essi, anzi per richiamare la viva attenzione dei colleghi sull’ordine del giorno Micheli che certo penserà lui ad illustrare. Io del resto ho finito.

Dico soltanto questo: che se non si accoglie il primo l’emendamento dell’onorevole Micheli – e vorrei fermarmi a questo, non a quelli presentati in via subordinata – cesserà la possibilità di fare del credito agrario e quindi, di conseguenza, la possibilità di fare tutti quei miglioramenti che da tutte le parti dell’Assemblea si invocano, e che anche da disposizioni di legge sono messi come un obbligo, perché questi miglioramenti devono servire a far progredire l’agricoltura e aumentare la produzione cioè il pane per il popolo.

Ho voluto richiamare l’attenzione dei colleghi sopra questo emendamento, non certo per indugiarmi a dar la dimostrazione della sua importanza, poiché questo sarà fatto in modo esauriente dall’onorevole Micheli con l’esperienza e la tecnica che egli possiede.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di parlare.

MICHELI. L’articolo 60 stabilisce il privilegio speciale a favore dello Stato sopra tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data del 28 marzo 1947, salvo i diritti anteriormente acquisiti dai terzi.

La portata vincolativa di tale disposizione è evidente. Il privilegio suddetto viene a costituire un ostacolo grave, l’ho già detto e ripetuto, alla commerciabilità dei beni immobiliari e alle operazioni di mutuo da garantirsi con prima ipoteca. L’inconveniente, la cui gravità è evidente, troverebbe un correttivo nell’istituto parziale e totale del riscatto, come ebbi occasione di spiegare più a lungo ieri, sempre che si potesse trovare una procedura la quale non ostacolasse le operazioni di vendita e di mutuo. L’attività creditizia con questo articolo viene ad avere un arresto proprio nel momento in cui il contribuente si trova nella necessità di far ricorso ai mutui, anche per procurarsi i mezzi di sodisfare il suo debito d’imposta verso l’Amministrazione finanziaria, oltre che per pensare ai lavori di ricostruzione.

Non ci dobbiamo illudere: coloro che hanno grandi quantità di liquido non sono i proprietari di immobili. Gli immobili in questi ultimi anni sono costati una quantità di quattrini a coloro che li possedevano, attraverso i vincoli, attraverso le necessità e i disastri bellici, attraverso l’aumento notevolissimo dei prezzi delle materie prime e della mano d’opera. Coloro i quali hanno grandi quantità di immobili, hanno scarsissime quantità di liquidi disponibili; e allora essi non hanno altro riparo che o vendere o contrarre dei debiti, e si rivolgono a questo scopo agli istituti appositi: agli enti che esercitano il credito immobiliare sotto le varie forme: agrario, fondiario, edilizio, di miglioramento, ecc., tutte forme queste, alcune delle quali hanno preso ultimamente un grande sviluppo perché concorrono efficacemente a quella che è la rinascita del Paese e la sua ricostruzione; nonché gli enti pubblici che sono obbligati ad investire i propri fondi, fra l’altro in mutui garantiti da prima ipoteca. Perché abbiamo anche questi, abbiamo Enti pubblici, anche non esclusivamente di credito, che in base ai loro statuti, approvati per legge, hanno questo obbligo di stabilire una parte, anche cospicua, dei loro capitali in mutui di prima ipoteca e sono seriamente preoccupati della conseguenza che può avere la formula che la proposta di legge ha adottato all’articolo 60 del decreto. La stessa Commissione permanente si è resa interprete di un tale stato di disagio generale e di questa necessità che si viene ogni giorno più aggravando ed ha proposto un emendamento al secondo comma dell’articolo, il quale emendamento consente all’Intendenza di finanza di rinunciare totalmente o parzialmente al suddetto privilegio, contro garanzie sufficienti. Ma il rimedio è inoperante per le ragioni che ho spiegato ieri, perché nelle Intendenze sono i funzionari che devono valutare le garanzie richieste, ed allora andremo incontro a perizie, a documentazioni e a perdite di tempo che finiscono col fermare tutto. Il contribuente perde la pazienza, ma non la perde l’esattore che gli manda a casa l’intimazione. E allora il contribuente è iugulato e si deve lasciare strozzare da chi, non ha obbligo di fare alcuna denuncia.

Nasce qui l’opportunità che il Governo pensi alle necessità che domani si possono determinare anche nel largo ambito della piccola, della modesta finanza. I possessori di miliardi sono fortunatamente pochi, ma tutti gli altri sono gente modesta. Non dico che siano tutti piccoli proprietari nel senso classico della parola: molte altre volte ho parlato qui a favore della piccola proprietà, che oramai è accettata anche da quelli che la combatterono; ma qui non si tratta di essa, ma della media proprietà, e specialmente di quella media proprietà di fondi rurali da bonificare o da ricostruire o da spezzettare, e della media proprietà di fabbricati per mettere a posto i quali ci vuole un occhio della testa. Oramai la proprietà edilizia è in condizioni difficili, per cui è necessario che resti aperta – anzi direi spalancata – la porta degli istituti che si occupano di credito fondiario, verso i quali abbiamo tutti fatto una grande propaganda, perché cerchino in questo periodo di rendere più facile l’accesso alle loro operazioni.

Amici miei, l’accesso, con queste disposizioni, si ferma e non si riesce a concludere più niente!

Questo stato di cose mi ha consigliato un emendamento in via principale e due emendamenti in via subordinata ed alternativa, da aggiungere in fine dell’articolo. Detti emendamenti tendono a liberare i beni per la metà del loro valore, perché, quando i beni sono gravati dallo Stato per la metà del loro valore, mi pare che esso sia a posto. Perché vuole colpire tutto? Ebbene, sono cifre talmente iperboliche che ci saranno solo in teoria. Anche nella pratica? Io non credo. Ad ogni modo, di fatto, noi abbiamo che la metà dei beni è sempre garanzia sufficiente.

Ecco perché mi sono ispirato a questo concetto: che il Governo e la Commissione tengano presente questa necessità e cerchino di liberare i beni per metà del loro valore dal privilegio speciale, nei casi in cui si tratti di mutui concessi da istituti di credito fondiario o da enti pubblici che siano obbligati di questi mutui a fare un impiego per legge. Ed ecco che attraverso questo piccolo temperamento noi riusciremo a tenere aperta questa porta a favore del piccolo contribuente, perché bisogna pure permettere ai piccoli contribuenti, che non hanno quattrini alla mano, di trovarne in modo conveniente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Ho già riferito sulle questioni prospettate dal collega Micheli. Nella legislazione 1920-22 il problema si pose e le norme sulla rinunzia dello Stato al privilegio, come le norme sul riscatto parziale, furono intese ad ovviare agli inconvenienti prospettati dall’onorevole Micheli.

Ora la Commissione, col secondo comma dell’articolo 60, ha ancora allargato i limiti della garanzia per gli Istituti di credito fondiario, ma non può andare al di là di questi limiti e non può accettare l’emendamento Micheli, non può cioè accettare una disposizione a tenore della quale il credito dello Stato sia subordinato o venga in second’ordine rispetto al credito degli Istituti fondiari. Quindi la Commissione dà parere sfavorevole all’accoglimento degli emendamenti Micheli.

Ritengo che come nell’applicazione della legge 1920-22 non sorsero inconvenienti di fatto, così ora siano sufficienti le due garanzie suddette.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro delle finanze di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Confesso che ho avuto qualche difficoltà per resistere al fascino delle argomentazioni brillanti e sottili degli onorevoli Pallastrelli e Micheli. Purtroppo la necessità della difesa dell’Erario mi impone di associarmi al Relatore nel non accogliere le argomentazioni proposte, né in linea principale né in linea subordinata.

Desidero sottolineare, come ha già fatto il Relatore, che per quanto riguarda i mutui che dovranno essere concessi in avvenire, vi è sufficiente garanzia nelle disposizioni relative al riscatto parziale e alla possibilità per l’Intendenza di finanza di liberare i cespiti dal peso del privilegio.

Per quanto riguarda i mutui passati, io credo non si possa dimenticare che in linea di fatto essi sono stati accesi da tempo se non remoto, certamente antico, mutui accordati su valore peritale, su perizie eseguite con criteri di prudenza e con uno scarto applicato sul detto valore.

Quindi, anche nell’ipotesi che sul valore di quel determinato immobile gravato da ipoteca dovesse prima insinuarsi l’imposta, protendersi la mano dell’erario, resterebbe sempre una sufficientemente larga garanzia per il mutuante che ha l’ipoteca.

È il sistema della legge del 1922, a cui spesso ci riferiamo, come volentieri ci si riferisce all’esperienza del passato.

Non ritengo che vi siano elementi per dovere abbandonare i suoi insegnamenti.

JACINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

JACINI. Volevo fare osservare, a giustificazione del mio voto favorevole all’emendamento degli onorevoli Pallastrelli e Micheli, che gli Istituti di credito agrario, specialmente quelli dipendenti dalle Casse di risparmio, per disposizione statutaria fondamentale non possono dar mutui se non su ipoteca di primo grado: quando lo Stato li previene col suo privilegio, ciò significa fermare le operazioni di credito agrario ed accrescere le difficoltà che si frappongono alla ricostruzione agraria del Paese.

Io avevo fatto presente al Ministero dell’agricoltura e delle foreste la gravità di questo problema e ne avevo avuto assicurazione che la cosa sarebbe stata studiata. Constato con dolore dalle parole dell’onorevole Ministro delle finanze che lo studio della questione non ha portato a modificare su questo punto la legge. Ora mi appello all’Assemblea perché misuri la gravità e le conseguenze di questa disposizione.

Non si tratta di conferire un privilegio a determinati istituti a danno dello Stato. Si tratta di rendere possibile, in base agli statuti tradizionali degli istituti medesimi la continuazione del credito agrario, indispensabile per la rinascita della nostra agricoltura.

LA MALFA, Relatore. C’è la possibilità di rinuncia, se ci sono garanzie.

JACINI. Quanto meno io raccomando al Ministro di studiare la possibilità che nell’accertamento si possano isolare quei determinati edifici così da consentire il riscatto dell’imposta.

LA MALFA, Relatore. C’è già.

JACINI. Non mi sembra sufficiente.

LA MALFA, Relatore. Ma come? È autorizzato, il riscatto parziale.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. Condivido le preoccupazioni dell’onorevole Micheli ma sono costretto a votare contro l’emendamento. Qui si tratta di credito privilegiato dello Stato e non di precedenza tra gradi ipotecari, ed il privilegio precede ogni garanzia ipotecaria. Proporre il privilegio alla ipoteca, significa annullare il carattere privilegiato del credito dello Stato.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Credo che si potrebbe venire ad una soluzione conciliativa. Il problema è indubbiamente grave e merita di essere ben considerato. Tra l’altro, vi sono in questo momento moltissime operazioni in corso che sono in istruttoria più o meno avanzata, fatte dall’Istituto di San Paolo di Torino, dalle Casse di risparmio, dal Credito fondiario. Sono molte decine, forse centinaia; e gli Istituti di credito non possono più chiudere queste operazioni perché sono obbligati dai loro statuti a non fare mutui se non hanno prima garanzia ipotecaria. In queste condizioni io credo che, poiché vi sarà largo margine per poter lasciare la garanzia a favore dello Stato e un margine per l’Istituto di credito, credo, ripeto, che si potrebbe raccomandare al Governo ed alla Commissione di finanza che sia segnalato in modo specifico all’attenzione del Ministero delle finanze questo; che ogni qual volta sia presentata all’esame una di queste operazioni che sono in corso e da conchiudere, l’Amministrazione finanziaria voglia considerarla con un occhio di benevolenza del tutto speciale, inducendo l’Amministrazione finanziaria locale a far sì che l’operazione possa essere conchiusa e che l’Istituto fondiario possa avere quelle garanzie che ritiene sufficienti e che gli sono, d’altra parte, imposte dallo Statuto e dalla legge. Mi auguro di avere il consenso sia della Commissione di finanza che del Ministro delle finanze.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero aggiungere a quello che ho detto prima che i mutui per il credito di miglioramento agrario sono mutui che vengono erogati di mano in mano che i miglioramenti sono fatti in base a dei piani stabiliti col Ministero dell’agricoltura e delle foreste, cioè in base a collaudi e allo stato di avanzamento di detti lavori.

Quindi non è denaro che si mutui per andarlo a spendere in altre cose: è denaro che aumenta il valore della proprietà e che garantisce maggiormente anche il Ministero delle finanze. Ora, se il Ministero delle finanze in questo momento non crede di aderire alla nostra tesi io penso che si ponga in urto completamente con tutto quello che è il programma, che parte dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste per il credito agrario di miglioramento, che è una cosa ben diversa da tutte le altre forme di credito. E se vogliamo, come dicevo prima, vedere che questo programma di lavoro e di miglioramento si eseguisca in base – ripeto – allo stato di avanzamento dei lavori, non possiamo che approvare la proposta dell’onorevole Micheli. Si pensi che dal marzo scorso, cioè da quando è venuta fuori questa legge dell’imposta patrimoniale, tutti gli Istituti di credito fondiario riuniti insieme hanno finito per concludere che devono chiudere gli sportelli ed hanno detto anche al Ministero dell’agricoltura e delle foreste che per il credito agrario di miglioramento non faranno più niente. Prego l’onorevole Ministro di tenere in considerazione questo e di vedere prima di assumersi la responsabilità di questa cessazione del Credito agrario, che, ripeto, si tradurrà poi anche in danno enorme per il popolo italiano per la mancanza di produzione di quel grano che comprerete all’estero con dollari sonanti di vedere e di riflettere molto bene se sia il caso di respingere l’emendamento proposto o invece di trovare il modo di venire incontro alla giusta proposta di emendamento che si discute.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che la soluzione si possa trovare lasciando intatto il testo del progetto, ma pregando il Ministro delle finanze perché, di concerto col Ministro del tesoro e col Ministro dell’agricoltura e delle foreste, emani un provvedimento che esoneri gli Istituti che esercitano il credito agrario di miglioramento, e quindi anche le Casse di risparmio, dall’obbligo di richiedere la prima iscrizione ipotecaria quando nel valore dei fondi, in relazione alla quota di imposta dovuta dal contribuente, ci sia margine sufficiente per garantire il credito dell’Istituto in seconda iscrizione.

In questo modo, con una disposizione che dovrebbe avere valore soltanto per la durata del periodo in cui i beni dovranno essere immobilizzati per effetto dell’imposta sul patrimonio, credo si possano risolvere e il problema fondamentale di assicurare alla Finanza il primo privilegio per la sua imposta, e l’altro, non meno fondamentale, di non turbare le opere di miglioramento agrario.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Mi dispiace di non essere affatto d’accordo con l’onorevole Pallastrelli.

La Commissione ha ricevuto memoriali di rappresentanti di Istituti di credito fondiario e ha esaminato la questione. Essa ha accolto l’emendamento all’articolo 60 dopo scambi di vedute con rappresentanti di Istituti di credito fondiario, i quali si sono dichiarati sodisfatti e si sono dichiarati anche sodisfatti del fatto che, essendo stato anticipato il riscatto, mentre con la legge del 1920-22 si doveva attendere l’iscrizione a ruolo, col sistema scelto non appena fatta la dichiarazione da parte del contribuente, il riscatto e quindi le operazioni dell’Istituto di credito fondiario possono avere il loro corso.

Ad ogni modo, quando all’articolo 60 si dice: «È in facoltà dell’intendenza di finanza di rinunziare, in tutto o in parte, a tale privilegio speciale per tutti gli immobili o per alcuni o parte di essi, contro, prestazione, ove il resto del patrimonio non costituisca sufficiente garanzia per la riscossione del credito erariale, di garanzia riconosciuta idonea dall’Amministrazione», non può sorgere nessuna difficoltà, perché si tratta soltanto di far presente all’Amministrazione che il resto del patrimonio copre l’imposta oppure che una parte del patrimonio – e questo è un accordo a tre fra Amministrazione, Istituto di credito agrario o fondiario e contribuente – di istituire a garanzia una parte. Quindi non c’è nulla nella legislazione che intralci le operazioni di credito fondiario.

Ho l’impressione che accettando gli emendamenti dell’onorevole Micheli si faccia precedere l’ipoteca degli istituti privati al privilegio dello Stato. E questo è inammissibile. Aggiungo che ciò non è stato richiesto dalla rappresentanza degli Istituti di credito fondiario; non è stato richiesto da nessuno.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero dire all’onorevole La Malfa che c’è un equivoco. Lei parla sempre di Istituti di credito fondiario, mentre quelli dei quali parlo io sono gli Istituti di credito fondiario per miglioramento agrario.

Se lei interrogasse quegli Istituti che fanno il credito agrario…

LA MALFA, Relatore. Siamo nello stesso caso.

PALLASTRELLI. …sentirebbe che direbbero che di fronte al credito erogato, in base allo stato di avanzamento dei lavori su approvazione del Ministero dell’agricoltura, quindi Stato anche questo, si tratta di un credito ben diverso da quello ricordato da lei e che non si può fare fintanto che c’è questo privilegio del Ministero delle finanze.

LA MALFA, Relatore. Ad ogni modo, io vorrei rispondere all’onorevole Corbino che, accettando la sua proposta, probabilmente si diminuiscono le garanzie anche per gli istituti privati; invece l’accordo a tre, fra contribuenti, Istituti di finanziamento e Amministrazione, dà la garanzia perfetta per tutti e tre, senza che nessuno debba vedere diminuite le proprie garanzie rispetto agli altri.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io desideravo sapere quale fosse il pensiero del Ministro, perché accogliere la cosa come raccomandazione, non conta niente. Accettare un emendamento come raccomandazione è qualcosa che rassomiglia all’acqua fresca. Sono stato Ministro anche io e so che questa è una scappatoia elegante che troppo spesso in pratica non serve a nulla. Quindi io desidererei sapere se il Ministro è disposto a prendere un impegno per un provvedimento legislativo che riguardi:

1°) gli Istituti di credito i quali per legge sono obbligati a dare mutui per una certa quantità dei loro depositi con prima ipoteca;

2°) i mutui di credito agrario di miglioramento, inquantoché siccome sono pagati, come ha detto benissimo il mio collega onorevole Pallastrelli, con l’avanzarsi dei lavori eseguiti, viene ad aumentarsi correlativamente la garanzia dello Stato;

3°) quando questo criterio fosse stato adottato, allora con un articolo incidentale o anche preciso al riguardo si potrebbe dar modo agli Istituti di credito fondiario di stabilire un regolamento nel senso di ottenere la medesima procedura, vale a dire di pagare essi pure il mutuo a rate quando fosse un mutuo di ricostruzione o di costruzione nuova. Sacrificheremo gli altri. Pazienza! Questi sono i tre concetti attraverso i quali io e i colleghi che hanno parlato in questo senso vorremmo eliminare questo problema, alla soluzione del quale io spero che il Ministro vorrà dedicare tutta quanta la sua attenzione perché il problema diventa grave e ormai a Roma e altrove di mutui non se ne fanno più.

Devo per ultimo aggiungere al collega La Malfa che io tutte queste proposte le ho considerate con i rappresentanti degli Enti di credito fondiario, non le ho inventate io! Io, come vecchio notaio stipulante anche per crediti fondiari, quando ho visto arrivare questa proposta di legge, mi son dato carico di ciò e sono andato dai rappresentanti di questi Enti per sentire dalla loro voce se avevano le mie stesse preoccupazioni e così si sono insieme predisposti questi emendamenti; anzi, me ne avevano suggeriti anche altri, ma io ho limitato le loro richieste, e quindi ho cercato di portare qui quello che per la mia pratica in materia, ritenevo che fosse sufficiente e che ritenevo fosse accettabile. Il Governo non vuole modificare nessuna legge. Se il Ministro mi dice: stia tranquillo che io provvederò in questo senso nel triplice concetto a cui lei ha accennato, allora mi accontento e ritiro i miei emendamenti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Premetto che devo mantener fermo il pensiero del Governo, già espresso in senso contrario all’accoglimento degli emendamenti.

Sul piano delle raccomandazioni – e l’onorevole Micheli vorrebbe qualche cosa di più della raccomandazione, tipo acqua fresca – desidero entrare un po’ nel merito della questione.

Essa è stato ormai circoscritta ai futuri mutui agrari – secondo l’onorevole Pallastrelli – fondiari e agrari – secondo l’onorevole Micheli.

Vi sono due ordini di idee da esaminare: uno economico-sostanziale ed uno giuridico-formale.

Sul piano sostanziale, se si tratta di fare in modo che effettivamente per i nuovi mutui possa costituirsi una idonea garanzia, non diminuita dal privilegio, che è configurato dalla legge a favore della Finanza, assicuro ampiamente l’onorevole Bertone che gli articoli 53 e 60 dovranno trovare la più larga applicazione possibile.

Se oggi tutte le operazioni di mutuo sono arenate – come accennava l’onorevole Pallastrelli, e non ho motivo di dubitarne – ciò dipende dal fatto che questa legge, essendo tuttora davanti all’Assemblea, per quanto già messa in applicazione dagli uffici, nella coscienza dell’opinione pubblica non è considerata ancora una legge definitiva; e pertanto non si può ancora valutare l’esatta portata degli articoli 53 e 60. Ma, allorquando la legge, approvata dall’Assemblea, avrà i suoi crismi definitivi e gli uffici finanziari potranno applicare i due articoli, penso che le pratiche di mutuo attualmente giacenti, non rimarranno ulteriormente in sofferenza e potranno procedere speditamente.

L’Amministrazione finanziaria, ripeto, si impegna in questo momento di fare tutto il possibile, perché la politica del finanziamento per il miglioramento agrario e fondiario non sia turbata da applicazioni troppo rigorose del sistema dei privilegi stabiliti a suo favore.

Vi è un secondo ordine di idee, quello di cui si è fatto interprete l’onorevole Corbino, il quale, preoccupato del fatto che le leggi e gli statuti dei singoli istituti impongono, per la concessione di finanziamenti, l’ipoteca di primo grado, suggerisce che, d’accordo col Ministro del tesoro e cogli enti interessati, si adotti un nuovo provvedimento, forse di carattere transitorio, per cui più non si richieda, sempre che sussista la necessaria garanzia, la ipoteca di primo grado, ma possa accettarsi quella di secondo grado.

Qui non ci troviamo più sul terreno della individuale e sostanziale garanzia; ma si tratta di rimuovere un ostacolo che è opposto dalla lettera della legge.

Su questo punto ritengo non vi sia difficoltà da parte del collega del Tesoro – senza anticipare alcuna conclusione in verun senso – di prendere in esame la raccomandazione dell’onorevole Corbino, con attenta e favorevole disposizione.

Con questi chiarimenti, io penso che il proponente dell’emendamento, onorevole Micheli, dovrebbe sentirsi sufficientemente tranquillizzato.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, insiste nel suo emendamento?

MICHELI. Dipende dall’onorevole Ministro.

Il concetto che mi pare noi abbiamo espresso in forma precisa tanto io che il collega Pallastrelli, è che i mutui, che vengono erogati attraverso mandati, in base allo stato di avanzamento dei lavori, siano tali da aumentare, gradatamente, la garanzia dello Stato. Io desideravo che il Ministro almeno entrasse in questo concetto. Nella sua esposizione, molto garbata e cortese, la questione non è stata completamente sviscerata, ma limitata ad una dichiarazione generica, senza impegno vero e proprio di concretarla domani. Il punto del mutuo agrario di miglioramento: diamo denaro in base allo stato di avanzamento dei lavori; domandiamo che questo possa esser fatto anche per i mutui fondiari, specie di ricostruzione in modo che si porti agli Istituti di credito fondiario un vantaggio in questo senso ed anche nell’altro, mentre oggi alcuni di questi debiti sono fatti dai proprietari per pagare altri debiti o per andare altrove. Con questo si sarebbe certi che i mutui fondiari verrebbero a costituirsi solo col sistema dei mutui di miglioramento agrario per le ricostruzioni e costruzioni nuove, ecc. Pare a me che questo criterio possa essere accettato dal Ministro e che possa accordarsi al riguardo col suo amico, che ha in mano le redini del Tesoro, affinché possa venirmi incontro, e permettermi di fare una ritirata strategica con qualche decoro.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Effettivamente avrei potuto spendere qualche parola di più su questo specifico argomento. La norma secondo la quale si accorda il credito in relazione al conseguito miglioramento può essere operante in pieno agli effetti dell’applicazione dell’articolo 60.

Non può però essere operante al punto da far rinunciare in partenza al privilegio a favore dello Stato, perché si richiederebbe troppa fiducia a priori in ordine alla diligenza di tutti gli organi i quali debbono fornire allo Stato la certezza che effettivamente esista un miglioramento, che tale miglioramento sia realizzabile in eventuale sede di esecuzione forzata, che il denaro sia versato proprio soltanto quando il miglioramento esiste, che i piani di miglioramento non siano inficiati da errori, ecc.

Ma, ripeto, tutte queste argomentazioni, che hanno un fondamento sostanziale – come sono state illustrate dall’onorevole Pallastrelli e dall’onorevole Micheli – potranno portare ad una larga applicazione dell’articolo 60, tale da risolvere il problema di cui stiamo discutendo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io sono lieto che il Ministro accenni ad una larghissima applicazione dei concetti che io ho espressi; però, siccome verba volant, per quanto siano raccolte stenograficamente queste dichiarazioni, io non posso domani andare dal procuratore delle imposte con il resoconto stenografico tanto più che non credo che ai verbali della Costituente quei signori diano soverchia importanza!

Io vorrei allora aggiungere (salvo la forma del coordinamento): «e questo particolarmente nei casi di mutui di nuove costruzioni, ricostruzioni e miglioramenti agrari». Vorrei aggiungere cioè una frase che sarebbe un principio di avviamento più concreto. Infatti, se l’avviamento dovesse essere costituito soltanto dalle parole dette ora dal Ministro, ciò non sarebbe secondo me sufficiente.

Si potrebbe aggiungere eventualmente anche questa frase: «in cui le rate dei mutui stessi vengano sovvenute in base allo stato di avanzamento dei lavori».

Si dirà: la legge ha inteso che ci sia una certa discrezionale facoltà nei funzionari per applicare questo criterio ed esaminare questi mutui con quella benevolenza che il legislatore ha inteso di adottare.

PRESIDENTE. Prego, l’onorevole Micheli, di fare pervenire alla Presidenza un emendamento per iscritto.

MICHELI. Se il Relatore ed il Governo lo accettano, provvedo immediatamente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa, a nome della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Mi sembra che la seconda parte dell’articolo 60 sia sufficiente. Si tratta di casi concreti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Sulla proposta di aggiunta all’emendamento, fatta dall’onorevole Micheli, non posso che essere d’accordo con il Relatore, secondo cui si tratta di casi concreti.

Il sistema da adottare potrebbe essere questo: l’onorevole Micheli trasformi l’emendamento in un ordine del giorno, che il Governo sin da questo momento dichiara di accettare a titolo di raccomandazione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Micheli se intende ritirare il suo emendamento.

MICHELI. Veramente sulla raccomandazione io, absit iniuria verbo, mi sono già dichiarato. L’ordine del giorno non viene ad avere un significato vero e proprio per l’attuazione. Mantengo perciò il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento dell’onorevole Micheli, avvertendo che tanto la Commissione quanto il Governo si sono su di esso pronunciati sfavorevolmente.

(Non è approvato).

Onorevole Micheli, chiede che sia posto in votazione anche il suo emendamento subordinato?

MICHELI. No, vi rinuncio.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 60 risulta approvato nella formulazione proposta dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 61. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’azione della Finanza, per la rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti per l’imposta straordinaria sul patrimonio, si prescrive entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui scade il termine utile per la presentazione delle dichiarazioni, a norma delle disposizioni contenute nel presente decreto.

«Entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui scade il termine predetto, si prescrive l’azione per l’accertamento in confronto di quei contribuenti che non provvidero alla presentazione della dichiarazione».

PRESIDENTE. A questo articolo non è stato presentato alcun emendamento; esso ei intende pertanto approvato.

Si passa all’articolo 62, del quale si dà lettura nel testo governativo accolto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I funzionari dell’Amministrazione delle imposte, i componenti dei Collegi giudicanti e tutti coloro che, secondo le rispettive attribuzioni, intervengono nell’accertamento, nell’applicazione e nella riscossione dell’imposta, sono tenuti al segreto d’ufficio e sono passibili delle pene comminate dal Codice penale per la violazione del segreto stesso.

«Per quanto non è previsto nel presente capo si applicano le disposizioni di cui ai regio decreto 17 settembre 1931, n. 108».

PRESIDENTE. Anche a questo articolo non è stato presentato alcun emendamento e pertanto si intende approvato.

Si passa ora al Capo XII (Cespiti danneggiati dalla guerra).

Avanti di procedere all’esame dell’articolo 63, primo degli articoli di questo Capo, dobbiamo prendere in considerazione tre articoli aggiuntivi presentati dall’onorevole Paris. Essi sono formulati nei seguenti termini.

Art. 62-bis.

«I patrimoni danneggiati da eventi bellici e per i quali è stata presentata domanda di risarcimento entro il 31 dicembre 1946, anche se ripristinati, senza però il concorso dello Stato, godono della esenzione dai pagamento della imposta fino a coprire il danno subito o parzialmente se il danno assorbe l’imposta dovuta, se rientrano nella tabella sottostante e nella progressione in essa indicata.

Per

3.000.000

esenzione

fino al

100%

del danno

»

4.000.000

»

»

80%

»

»

5.000.000

»

»

60%

»

»

6.000.000

»

»

40%

»

»

7.000.000

»

»

20%

»

«Per i patrimoni intermedi la percentuale d’esenzione è determinata dalla seguente formula:

P = 100 – (X – 3.000.000.20) 10 – 6 dove P rappresenta la % ed X l’imponibile.

«Per fruire dell’esenzione di cui al comma precedente il contribuente deve farne esplicita domanda nella dichiarazione di patrimonio, indicando l’entità del danno, quale risulta da un duplicato della richiesta di risarcimento».

Art. 62-ter.

«Il riconoscimento e la valutazione del danno di cui al precedente articolo, dipendono dal giudizio preso in comune accordo dagli intendenti di finanza e dai procuratori delle imposte dirette».

Art. 62-quater.

«L’importo dell’esenzione sarà detratto dall’ammontare del risarcimento che eventualmente lo Stato corrisponderà, secondo norme che saranno emanate in materia di risarcimento danni di guerra».

L’onorevole Paris ha facoltà di svolgerli.

PARIS. Questa imposta è giustamente chiamata straordinaria perché deve servire ad affrontare una situazione finanziaria straordinaria. È uno sforzo notevole che il Paese è chiamato a compiere, ma è evidente che questo sforzo deve essere equamente distribuito su tutti, secondo le possibilità presenti dei contribuenti.

Ma il Capo XII mi pare non tenga sufficientemente conto di quelli che sono stati i sacrifici subiti nel passato dai contribuenti che hanno avuto i loro cespiti danneggiati dalla guerra, in modo particolare dai piccoli contribuenti, perché i patrimoni medi e grandi, anche se hanno subito dei danni, li hanno subiti in un’entità che non ha mai pregiudicato la loro consistenza e soprattutto la loro capacità di ripresa.

Ora, il disegno di legge impone al patrimonio danneggiato l’imposta nella stessa misura di un patrimonio illeso. Ma il contribuente ha avuto i suoi redditi dimezzati, diminuiti ormai da anni; è, in un certo senso, un credito che ha aperto verso lo Stato; un credito di cui non ha mai goduto nessun interesse. Ed allora, come mai è chiamato a contribuire nella stessa misura degli altri?

Secondo il mio modesto avviso, questa è una ingiustizia; ma è soprattutto grave, perché questi piccoli contribuenti, che non hanno avuto nessuna situazione favorevole né durante i venti anni di fascismo, né di congiuntura, né attraverso la lavorazione delle materie U.N.R.R.A., sono ora assorbiti nella fase di riassestamento dei loro patrimoni; e adesso, imporre dei nuovi gravami può pregiudicare questo loro sforzo e differire la piena produttività delle loro gestioni, dei loro patrimoni, per degli anni. È quindi un danno che ne viene alla Nazione intera. Oltre a questo è un’ingiustizia che va a colpire quelle zone, nelle quali la guerra particolarmente ha infierito, e ai danni alle cose, ai danni alle persone, si aggiungono anche i danni voluti dalla legge. Quelle Provincie, cioè, che hanno una economia disastrata, che si trovano nella fase di ricostruzione, ora sono chiamate a dare questo notevole contributo.

Il disegno di legge esonera dalla valutazione i danni; ma è troppo poco; perché, si voleva forse arrivare a tassare il patrimonio quale era prima che fosse colpito dalla guerra? È una cosa assurda. Ora, per i piccoli patrimoni, facilitare la loro ripresa è una cosa che tornerà a vantaggio del Paese intero, in quanto questi piccoli patrimoni sono quelli che maggiormente contribuiscono, che non hanno mai chiesto nulla allo Stato, che non lo ricattano, che sono frutto di lavoro, che appartengono a lavoratori i quali compiono in questa loro piccola proprietà un lavoro pesantissimo.

Quindi gli articoli aggiuntivi che io ho proposto e che si limitano ai patrimoni dai tre ai sette milioni e non dànno una esenzione totale, ma con una progressione da cento a venti, intendono più che altro significare un incitamento alla ricostruzione, un premio per coloro che hanno ricostruito e non hanno atteso di vedere come si mettevano le cose. Ma di questa esenzione nell’articolo 62-quater è previsto il riassorbimento, se lo Stato sarà in grado di risarcire i danni di guerra. Sicché viene ad essere più che altro un anticipo su quello che lo Stato sarà in grado di dare.

È una categoria di contribuenti abbastanza vasta quella interessata, lo riconosco; però il limite di esenzione e i limiti di categoria a cui questa esenzione sarà applicata non rappresentano una grande cifra, e, d’altro canto, se noi accettiamo la maggiore aliquota esposta dalla Commissione nel disegno di legge – aliquota maggiore di quella proposta nel disegno del Governo – crediamo che il gettito dell’imposta non venga a diminuire dando a questi piccoli contribuenti, questa facilitazione e questo riconoscimento dei loro meriti. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si è resa conto delle ragioni che hanno portato il collega Paris a formulare i suoi emendamenti; ma non ha potuto accoglierli. In definitiva, nel Capo XII, è ammessa la detrazione dei danni di guerra dall’imponibile quale risulta dalle imposte ordinarie. Il contribuente, quando fa la dichiarazione dell’imponibile, può detrarre il danno subito. Quindi in sostanza il patrimonio viene valutato per quello che risulta.

PARIS. Ci mancherebbe che venisse colpito il contribuente per quanto non ha più!

LA MALFA, Relatore. Il colpire il residuo significa valutare fiscalmente una situazione personale. Questa è un’imposta personale. La condizione patrimoniale di un contribuente può essere stata menomata da mille ragioni, fra cui gli eventi bellici. Prendete, per esempio, il caso di un possessore di titoli di Stato che è stato rovinato dall’inflazione. Quale indice possiamo prendere per misurare la potenzialità contributiva? Quella che risulta al 28 marzo. Non possiamo valutare tutte le circostanze che hanno portato alla riduzione del patrimonio, circostanze che dipendono – in grandi linee – dalla guerra, ma anche da altri fattori compresa l’inflazione.

D’altra parte c’è un principio generale: ed è quello che non possiamo compensare un credito dello Stato per imposta con un debito che lo Stato ha e che non ha definito. Se questo principio non fosse applicato in tutti i campi, noi dovremmo compensare i crediti dello Stato per imposta coi debiti dello Stato per forniture. Ma possiamo introdurre questo principio del compenso? È impossibile. Ammetterlo significherebbe aprire una falla nel sistema, una falla molto pericolosa.

È quindi necessario mantenere fermi certi principî generali, fra cui il principio che una legge fiscale non può costituire mai occasione per creare situazioni privilegiate a particolari categorie di cittadini.

Pertanto, la Commissione prega l’onorevole Paris – nonostante si renda conto delle sue ragioni – di non insistere. La zona sinistrata è valutata e facilitata ampiamente in sede di accertamento dell’imponibile; qualche facilitazione si è fatta negli articoli dal 63 in poi. Al di là di questo non si può andare.

PRESIDENTE. Il Ministro è invitato ad esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Occorre riconoscere che l’onorevole Paris ha affrontato in modo veramente organico ed encomiabile un problema che certamente è nella coscienza di tutti gli italiani. I tre articoli che egli propone, se potessero trovare accoglimento, avrebbero certamente il merito, in una sintesi rapidissima, di affrontare il problema su cui l’attenzione di tutti i presenti si è certamente concentrata da tempo.

L’onorevole La Malfa ha esposto le ragioni per cui purtroppo non si può accedere ad un ordine di idee di questo genere.

Quando adopero la parola purtroppo e quando le dico, onorevole Paris, che sono dolente di non potere accedere ai suoi emendamenti, la prego di ritenere che, non soltanto chi le parla, ma il Governo desidera dare alle sue parole un significato che va oltre quello che può essere il significato tradizionale di locuzioni del genere.

Non è dato prevedere a quali conseguenze potrebbe dischiudere l’ingresso, l’ammissione del principio della compensazione, molto più ove si consideri che, a quanto pare, di recente il Consiglio di Stato avrebbe negato che il danneggiato di guerra sia titolare di un diritto soggettivo perfetto, azionabile nei confronti dello Stato per conseguire il risarcimento.

Ma, a parte ciò, quel che è indubitabile è che, in atto, al debito certo e liquido del contribuente, non potrebbe contrapporsi un di lui credito altrettanto certo e liquido verso l’Amministrazione; donde la impossibilità di una compensazione.

Come conciliare tutto questo, col legittimo desiderio dell’onorevole Paris che questa categoria voglia una manifestazione tangibile da parte del Governo?

Il Ministro del tesoro qui presente può confermare che il problema del risarcimento dei danni di guerra è, in atto, oggetto della assidua cura del Governo in vista di avviarlo ad una sollecita, equa soluzione.

Nel frattempo, ha osservato l’onorevole Paris, l’imposta viene messa in riscossione.

E allora io vorrei pregare l’onorevole Paris di dare un adeguato peso all’articolo 67, che configura la possibilità di una lunga rateazione per i titoli dei patrimoni danneggiati dalla guerra.

Pur essendo dolente di non potere accettare i tre articoli aggiuntivi, credo che si possa creare una situazione di fatto attraverso la quale si realizzi il desiderato sincronismo fra il tempo del pagamento dell’imposta e quello della riscossione di una parte del risarcimento.

PRESIDENTE. Onorevole Paris, mantiene i suoi articoli aggiuntivi?

PARIS. Li ritiro.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’articolo 63. Se ne dia lettura nel testo governativo che la Commissione aveva accettato.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I cespiti che hanno subito danni in dipendenza di eventi bellici, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile sopradetto, diminuito della percentuale del danno accertato.

«Nella determinazione del valore definitivo dei cespiti indicati nell’articolo precedente, si ha riguardo alle condizioni dei cespiti stessi alla data del 28 marzo 1947».

PRESIDENTE. La Commissione fa ora pervenire un emendamento per il quale il primo comma verrebbe sostituito con il seguente:

«Fermo restando l’obbligo di cui all’articolo 34, i proprietari di cespiti danneggiati da eventi bellici, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, possono dichiarare in detrazione l’ammontare del danno subito».

L’onorevole Relatore ha facoltà di illustrare tale emendamento.

LA MALFA, Relatore. Vi è anche un emendamento Camangi su questo articolo.

PRESIDENTE. È vero. L’onorevole Camangi ha proposto con un suo emendamento, che reca anche le firme degli onorevoli Perassi, Paolucci, Magrini, De Vita, Zuccarini, Magrassi, Pacciardi, Facchinetti e Sardiello, di sopprimere, alla fine del primo comma, la parola «accertato».

Ma con l’emendamento della Commissione, l’emendamento Camangi viene a cadere.

Invito l’onorevole La Malfa a illustrare l’emendamento della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non ha creduto con questo emendamento di introdurre alcuna variante di carattere sostanziale, ma soltanto di chiarire i dubbi che erano sorti.

Innanzi tutto l’onorevole Camangi ha sollevato il dubbio che danno accertato volesse dire accertato dall’autorità statale. Siccome questi accertamenti di danni non sono stati fatti per moltissimi casi, il contribuente si sarebbe trovato in imbarazzo. La Commissione ha preferito la dizione «danni subiti»; cioè il contribuente dichiara i danni che a suo giudizio ha subito il patrimonio. D’altra parte, la dizione del testo governativo poteva dare l’impressione che il contribuente dovesse denunciare la differenza fra l’imponibile ed il danno senza dare né l’imponibile né il danno. La Commissione ha preferito che il contribuente dichiarasse il valore del danno e che questo fosse portato in detrazione in maniera che, all’atto in cui ricevono la dichiarazione, gli uffici finanziari sanno quale è il danno dichiarato e possono fare gli accertamenti sul danno e sull’imponibile. È una facilitazione dal punto di vista della dichiarazione, ma non modifica la sostanza dell’articolo.

PRESIDENTE. Allora il suggerimento contenuto nell’emendamento dell’onorevole Camangi è stato accettato.

CAMANGI. Mi dichiaro sodisfatto del nuovo testo della Commissione che accoglie il mio emendamento e lo ritiro.

PRESIDENTE. Quale è il pensiero del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Se questo è il pensiero definitivo della Commissione e dell’Assemblea in questa materia che riguarda una categoria di persone che ha già largamente sofferto, il Governo non intende insistere in troppi dettagli per la tutela dell’interesse fiscale. Ma mi sembra che la prima formulazione sia migliore, in quanto noi sappiamo perfettamente che le valutazioni fiscali sono assai più moderate di quelle che possono essere le valutazioni extra fiscali di un determinato cespite.

Ora, se un cespite è diminuito di valore per danni di guerra, fra le due vie – denunciare il valore della parte residua o denunziare il valore fiscale originario, deducendo l’importo dal danno secondo la stima del privato – io preferisco la prima via, perché con la seconda vi può essere una naturale tendenza del danneggiato ad ampliare la portata del danno e quindi ad impostare una sottrazione, i cui termini non sarebbero omogenei.

Ripeto, però, che non insisto nell’osservazione.

LA MALFA, Relatore. Il dichiarante denuncia l’imponibile come tutti gli altri contribuenti secondo l’articolo 34, e denuncia il valore del danno subito.

PELLA, Ministro delle finanze. «Imponibile»: valore che appartiene alla categoria dei valori fiscali. «Danni»: cifra che appartiene alla categoria dei valori determinati dal singolo, con criteri personali di valutazione.

Non sono termini omogenei sotto il profilo della valutazione.

LA MALFA, Relatore. Se non c’è un danno accertato dal fisco, il contribuente non può che denunciare il valore che egli attribuisce alla parte danneggiata.

PELLA, Ministro delle finanze. Nell’articolo 63 dicevamo che in questo caso la dichiarazione può essere fatta per un valore minimo pari all’imponibile diminuito della percentuale del danno accertato.

LA MALFA, Relatore. Perché «diminuito della percentuale»? Non ci sono valori omogenei nel testo.

PELLA, Ministro delle finanze. Se si trattasse di un’altra questione, il Governo insisterebbe. Qui però ci troviamo davanti al settore «danni di guerra». Ho l’impressione che la formulazione proposta dalla Commissione sia molto più a vantaggio del contribuente che non della Finanza, a prescindere dal giudizio sulla bontà o meno della formulazione.

Ripeto, tuttavia, che si tratta di un settore che ha sofferto parecchio: perciò, anche se attraverso questo emendamento si avranno dichiarazioni inferiori a quelle che dovrebbero essere, non sarà il Governo a dolersene.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. I termini non sono omogenei nel progetto, perché il progetto dice: «possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile sopradetto, diminuito della percentuale del danno accertato». Quindi il termine è l’imponibile. Ora, se noi vogliamo rendere omogenei i due termini, a me pare che in definitiva il contribuente opererà in maniera di calcolare il suo danno e indicarne la percentuale rispetto all’imponibile. Non vedo che cosa si possa indicare d’altro. È troppo evidente. Onde io credo che sia preferibile alla Finanza avere sia pure due valori non omogenei ma su cui deve operare, che avere una percentuale.

Ad ogni modo, se si volesse parlare di percentuale, si potrebbe chiarire nel testo della Commissione, cioè si dovrebbe indicare «ai fini della detrazione la percentuale del danno subito», ma in maniera che i due valori non vengano diminuiti a priori dal contribuente.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Vorrei spiegare il concetto da cui era partito il testo governativo. Noi prendiamo un valore di partenza per dichiarazione provvisoria e quindi per accertamento provvisorio che è il valore accertato e quindi dell’imposta sul patrimonio del 1946. Si fa l’ipotesi che da questo valore o nel computo di questo valore non si sia ancora tenuto conto di un danno di guerra sopravvenuto. Allora il problema da risolvere è questo: come tener conto di questo danno di guerra in maniera da non fare pagare, sia pure provvisoriamente, una quota di imposta su una parte di un cespite che è stato distrutto dalla guerra? Per arrivare a questo risultato, bisogna portare i due valori, valore imponibile provvisorio e valore del danno da dedursi dall’imponibile accertato ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio, sul terreno della omogeneità. Ed è sembrato che il criterio meno faticoso fosse quello di stabilire la percentuale del cespite complessivo del danno subito in maniera che si operasse in questo modo: valore imponibile per il 1946, totale del cespite 100; danno subito in percentuale un terzo; 100 – 33 resta 67 che è il valore su cui si applica provvisoriamente l’imposta. Mi sembra un concetto certamente semplice ed automatico in cui c’è un solo elemento di discrezionalità, che è quello di determinare la percentuale, ma è più controllabile di quanto non sia il determinare il valore del danno subito.

A questo criterio di ridurre il più possibile la discrezionalità della valutazione della percentuale, accennava il testo governativo quando parlava di danno accertato.

Quando questo non c’era, la discussione fra Amministrazione finanziaria e contribuente verteva su un elemento più facilmente rilevabile di quanto non sia un elemento di valore che era l’elemento percentuale del danno al complesso fisico del cespite sottoponitele all’imposta.

Fra il criterio di portare in detrazione da lire espresse in termini fiscali, lire espresse in termini che potevano essere di fantasia del contribuente, questo criterio sembra più logico dell’altro in cui si detraggono magari animali allevati all’ultimo momento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Corbino. Ne ha facoltà.

CORBINO. Si potrebbe trovare la soluzione ritornando al vecchio testo governativo e dicendo nelle ultime tre righe del primo comma: «sono dichiarati per un valore pari all’imponibile sopradetto, portando in detrazione la percentuale del danno subìto». Si capisce che sulla percentuale del danno subito sorgerà la contestazione col fisco.

LA MALFA, Relatore. Propongo: «possono essere dichiarati per un valore pari all’imponibile portando in detrazione la percentuale sull’imponibile corrispondente al danno subìto».

VANONI. Io lascerei da parte il «subìto».

LA MALFA, Relatore. Sì, possiamo dire del danno.

Allora il nuovo testo potrebbe essere questo:

«I cespiti che hanno subìto danni in dipendenza di eventi bellici, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile, portando in detrazione la percentuale dell’imponibile corrispondente al danno».

ADONNINO. Il valore percentuale del danno a quale momento si riferisce: ad oggi o a quanto il danno è avvenuto?

CORBINO. È percentuale.

ADONNINO. La percentuale è una comparazione proporzionale fra due cifre: queste debbono riferirsi allo stesso momento. Come si raggiunge – nel caso nostro – questa identità di momenti? Noi abbiamo un imponibile attribuito ad ogni immobile rustico, poniamo nel 1940 (cioè la media 1936-39), quando nacque la patrimoniale ordinaria; abbiamo un imponibile odierno attribuito allo stesso immobile, imponibile che è poi quello del 1940, moltiplicato per 10; e abbiamo un danno di guerra, valutato in cifre, secondo i valori del momento in cui il danno avvenne, poniamo nel 1944. Non c’è identità di momenti; come si stabilisce la percentuale? Occorre rifare tutte le valutazioni degli immobili danneggiati, e rifarle al periodo base 1936-39; oppure riportare tutte le valutazioni degli immobili danneggiati, fatte negli ultimi anni, al valore che avevano nel 1936-39, mediante una scala fissa di svalutazioni. Ma tutto questo occorrerebbe dirlo, perché dall’articolo non si deduce.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. C’è un valore, che si assume come base, ai fini dell’imposta ordinaria del patrimonio del 1947. Questo valore è quello originario, anteguerra, moltiplicato per cinque, se si tratta di fabbricati, per dieci, se si tratta di terreni.

Probabilmente, qui si fa l’ipotesi del fabbricato.

Orbene, quando diciamo che da questo valore si detrae la percentuale corrispondente al danno, mi pare che si autorisolva il problema proposto dall’onorevole Adonnino. Una volta che escludiamo quel tale criterio della detrazione di lire da lire, per togliere invece dal valore 1947 un’aliquota corrispondente al danno, il problema si risolve nel momento stesso in cui viene posto.

PRESIDENTE. Allora il Governo accetta la modifica proposta dall’onorevole La Malfa. Si ritorna perciò al primitivo testo governativo con la variazione proposta.

L’onorevole Cavallari ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Nel caso in cui alcuni cespiti abbiano subito danni di guerra dichiarati risarcibili ai sensi dell’articolo 2 della legge 26 ottobre 1940, n. 1543, e successive modificazioni, l’ammontare del danno accertato agli effetti della predetta legge potrà essere detratto dall’imponibile, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947».

Lo mantiene?

CAVALLARI. Avevo proposto il mio emendamento per chiarire il comma, ma di fronte alla limpidezza cristallina della dizione del testo ora proposto dalla Commissione, aderisco al testo da questa formulato e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento al primo comma proposto dalla Commissione ed accettato dal Governo, secondo il quale si torna per il primo comma, al testo governativo con la seguente modifica alla fine: «possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile, portando in detrazione la percentuale dell’imponibile corrispondente al danno».

(È approvato).

Al secondo comma dell’articolo 63 non sono stati proposti emendamenti.

LA MALFA, Relatore. Faccio presente che al secondo comma vi è un errore materiale: le parole: «indicati nell’articolo precedente» vanno sostituite con le parole: «indicati nel comma precedente».

PRESIDENTE. D’accordo, si tratta di un errore materiale.

L’articolo 63 si intende allora approvato con l’emendamento testé votato.

Sui lavori dell’Assemblea.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Prima di proseguire nella discussione sulla patrimoniale, prego l’onorevole Presidente di voler fissare l’ordine del giorno per lunedì prossimo.

PRESIDENTE. Salvo diversa decisione dell’Assemblea, nella giornata di lunedì si dovrebbe continuare al mattino la discussione sulla patrimoniale e svolgere nel pomeriggio la mozione presentata dagli onorevoli Lussu ed altri relativa allo Statuto sardo.

SCOCCIMARRO. Prego il Ministro delle finanze di far sapere se può partecipare ai lavori dell’Assemblea nella mattinata di lunedì.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Ministro è sempre a disposizione dell’Assemblea per la continuazione della discussione; però nella mattinata di lunedì ho un impegno al Ministero, impegno che ho rinviato continuamente per i lavori che mi hanno qui immobilizzato.

Prego, se è possibile, di destinare la mattinata di lunedì ad altro argomento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Lussu, presentatore della mozione, che si dovrebbe discutere nel pomeriggio di lunedì, se ha difficoltà a che la discussione, invece che nella seduta pomeridiana, sia portata nella seduta antimeridiana.

LUSSU. Aderirei volentieri a questa proposta, ma è stato ufficialmente comunicato due volte, qui in quest’Aula, che la mozione sarà discussa lunedì nel pomeriggio e credo che uno spostamento non sia ora possibile.

PRESIDENTE. Abbiamo difficoltà, poiché non possiamo sentire il Governo su questo punto.

SCOCCIMARRO. Desidero far presente che lunedì in questa Assemblea ci sarà, come di solito avviene in tal giorno, un numero esiguo di deputati, specialmente al mattino.

Non sarebbe opportuno – a mio avviso – discutere problemi così importanti e così gravi quali quelli che dovranno essere risolti nelle prossime sedute dinanzi ad un’Assemblea poco numerosa.

Perciò prego la Presidenza di rinviare la discussione sull’imposta patrimoniale a martedì mattina.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Siccome abbiamo deciso che lunedì l’Assemblea discuta nella seduta pomeridiana la mozione dell’onorevole Lussu, si potrebbe abolire la seduta antimeridiana e sostituirla con una seduta notturna.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che lunedì si potrebbe tenere seduta notturna per l’esame della patrimoniale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si associa alla proposta fatta dall’onorevole Fuschini di tenere seduta notturna lunedì.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Poiché penso che l’onorevole Scoccimarro non sia favorevole alla seduta di lunedì sera, per timore che vi possano essere delle votazioni alle quali mancherebbe un gran numero di deputati, noi potremmo anche fare un accordo amichevole, e cioè che, qualora sorgesse qualche questione grossa, la votazione si potrebbe rimandare a martedì mattina, e andare poi avanti negli altri argomenti sui quali l’accordo possa essere raggiunto. Credo che su questo terreno potremo votare a favore della proposta di tenere seduta notturna lunedì.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Debbo esprimere la mia contrarietà alle sedute notturne, salvo casi di assoluta necessità. Questi però debbono essere casi veramente straordinari; penso quindi che lunedì, dopo che sarà stata discussa la mozione sullo statuto sardo, potremo riprendere la discussione e continuarla fino alle 21 o anche fino alle 21.30. Se pertanto sorgerà quella tale questione grave di cui prima ipoteticamente si discorreva, per la quale sia necessario un maggior numero di colleghi presenti, la rimanderemo all’indomani mattina.

È bene tener presente che le sedute notturne implicano un lavoro complesso. Vi sono alcuni fra noi ed anche qualcuno che fa parte del personale della Camera, i quali così finirebbero per non poter tornare alle loro case nella notte. La notte, onorevoli colleghi, è fatta per riposare e per studiare.

Noi gli argomenti li discutiamo qui dopo averli studiati: e quando li studiamo, se facciamo le sedute a lungo metraggio in questo modo? Io credo che, ove noi si sia sicuri, sin d’ora, dell’assenza di molti colleghi per lunedì, non dovremmo credere che vi sarebbe un maggior concorso in una seduta notturna.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Uno dei motivi per i quali avevo fatto questa proposta era la preoccupazione di dover discutere di emendamenti di estrema importanza con un numero molto ristretto di deputati. Ora, se questo avviene il pomeriggio ed anche la sera, credo rischieremo di perdere del tempo, perché vi sarà certamente qualcuno che chiederà l’accertamento del numero legale.

PRESIDENTE. Poiché si sono espresse opinioni diverse, pongo in votazione la proposta che lunedì mattina non si tenga seduta.

(È approvata).

Pongo ora in votazione la proposta che nella seduta pomeridiana di lunedì si discuta della mozione sullo Statuto sardo.

(È approvata).

Pongo infine in votazione la proposta che lunedì si debba anche tenere una seduta notturna.

(Non è approvata).

LA MALFA, Relatore. Faccio presente all’onorevole Scoccimarro che, facendo seduta nel pomeriggio di lunedì, sarebbe stato facile richiamare l’attenzione dei colleghi sulla gravità dei problemi che si dovessero discutere nella eventuale seduta notturna.

Si sarebbe potuto perciò sospendere la decisione sui lavori dell’Assemblea e rinviarla alla seduta pomeridiana.

LUSSU. D’accordo.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, l’Assemblea potrà sempre, eventualmente, prendere nuove decisioni nella seduta pomeridiana di lunedì.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

PRESIDENTE. Si riprende la discussione sull’imposta patrimoniale.

Passiamo all’articolo 64. Se ne dia lettura, nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La quota in conto mobilio, arredamento e gioielli, prevista nell’articolo 25, sarà congruamente diminuita quando risulti che tali cespiti sono ridotti a un valore inferiore in seguito a danni dipendenti da eventi bellici, regolarmente denunciati ai sensi della legge 26 ottobre 1940, n. 1543».

PRESIDENTE. Su questo articolo l’onorevole Cavallari ha presentato il seguente emendamento:

«Alla parola: denunciati, sostituire la parola: accertati».

L’onorevole Cavallari ha facoltà di parlare.

CAVALLARI. Avevo proposto questo emendamento all’articolo 64, in quanto ritenevo che fosse utile controllare da parte del fisco i danni che siano stati denunciati per quanto riguarda i mobili. Siccome, però, trovo che nella formulazione testé approvata per quanto riguarda i beni immobili non vi è la parola «accertati», ma «denunciati», non voglio mettere i danneggiati nelle cose mobili in condizioni più sfavorevoli rispetto ai danneggiati possessori di beni immobili.

Per questi motivi ritiro l’emendamento all’articolo 64.

PRESIDENTE. Sta bene. L’articolo 64 si intende allora approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 65, per il quale la Commissione ha accettato il testo governativo. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Nel caso in cui il cespite danneggiato in dipendenza di eventi bellici sia stato, alla data del 28 marzo 1947, in tutto o in parte, ripristinato dal contribuente con mezzi propri, dal valore definitivo, accertato a norma dell’articolo precedente, è portata in detrazione una somma pari al valore del ripristino.

«Quando il ripristino sia stato effettuato con il contributo statale, dal valore del cespite è portata in detrazione una quota proporzionale all’ammontare dei mezzi propri investiti dal contribuente».

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Faccio rilevare che dopo la parola «accertato», nel primo comma, bisognerebbe dire: «a norma dell’articolo 63» anziché «a norma dell’articolo precedente».

PRESIDENTE. È giusto. Metto ai voti questo emendamento del Relatore.

(È approvato).

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 65 si intende approvato con questa modifica.

Passiamo all’articolo 66, uguale nel testo del Governo e della Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e nei cui confronti venga accertato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore per un valore superiore a quello risultante dalle quote previste all’articolo 25, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso, nel limite dell’eccedenza del valore definitivamente accertato per danaro, depositi e titoli al portatore indicati nella dichiarazione, rispetto a quello risultante dalle quote sopra richiamate».

PRESIDENTE. A questo articolo, vi è un emendamento sostitutivo proposto dall’onorevole Cavallari, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso».

L’onorevole Cavallari ha facoltà di svolgerlo.

CAVALLARI. L’emendamento che ho proposto all’articolo 66 era ispirato al concetto che ritenevo, e ritengo tuttora, che l’articolo così come è stato redatto, fosse di giovamento soprattutto ed esclusivamente per coloro che versavano in buone condizioni economiche, in quanto prendeva in considerazione il caso in cui il contribuente avesse tanto denaro da superare la quota di cui all’articolo 25.

Ma, discutendo di questo emendamento in seno alla Commissione, si è addivenuti all’accordo che nella prossima seduta molto facilmente la Commissione presenterà un suo testo sopra l’articolo 66, che verrà compilato, e a cui potrò dare la mia adesione.

Il principio del mio emendamento è stato accolto dalla Commissione che dovrà formulare un nuovo testo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. L’articolo 66 ha dato luogo ad una lunga discussione in seno alla Commissione, implicando conseguenze diverse dal punto di vista della situazione patrimoniale del contribuente.

Rettificando un poco la dichiarazione del collega Cavallari, dichiaro che la Commissione avrebbe deciso di mantenere l’articolo 66, col leggero emendamento che esporrò ed eventualmente, siccome ha accettato il principio (io personalmente sono stato contrario a questa accettazione), di aggiungere un altro articolo.

Quindi, se l’Assemblea crede, si può approvare l’articolo 66, con una rettifica che sarebbe questa: «Il contribuente che alla data del 28 marzo 1947 non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici ed abbia dichiarato un importo di denaro, ecc.», cioè, sostituire la dichiarazione di una liquidità maggiore della quota presuntiva, invece dell’accertamento.

Questo non pregiudicherebbe la questione sollevata dal collega Cavallari che eventualmente andrebbe risolta in altra sede.

PRESIDENTE. Allora, la modificazione qual è precisamente, onorevole Relatore?

LA MALFA, Relatore. «Per eventi bellici e abbia dichiarato». Poi si va avanti fino alla quint’ultima riga: «nel limite dell’eccedenza del valore dichiarato per danaro, depositi e titoli al portatore». Poi si cancella: «indicati nella dichiarazione» e si mette: «rispetto a quello risultante dalle quote richiamate». Cioè si continua l’articolo com’era.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Vorrei fare anzitutto una proposta di sospensiva, dato l’emendamento abbastanza radicale che si prepara. Ma se questa mia proposta venisse superata, vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea su alcuni punti.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alla proposta dell’onorevole Vanoni.

LA MALFA, Relatore. Osservo che sull’articolo 66, con gli emendamenti che ho presentato, la Commissione è d’accordo. Non vi sono punti di dissenso. Se ci dovesse essere un articolo aggiuntivo la Commissione lo proporrebbe in sede di articolo 67.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta di sospensiva dell’onorevole Vanoni.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Annunzio di una mozione.

PRESIDENTE. Annuncio all’Assemblea che è stata presentata la seguente mozione:

L’Assemblea Costituente,

considerato che nella questione del nuovo ordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, il Ministro ha volontariamente trascurato di interpellare la Rappresentanza nazionale, sia pure attraverso la sua apposita Commissione legislativa e di consultare tutte le categorie interessate;

ritenuto inoltre del tutto ingiustificata la procedura d’urgenza adottata dal Ministro della pubblica istruzione per la sostituzione del Consiglio superiore di detto Ministero, tuttora in carica;

riscontrando nel comportamento del Ministro un grave difetto di valutazione della importanza e delicatezza politica della materia

invita

il Governo a sospendere l’esecuzione del provvedimento, a risolvere la vertenza coll’attuale Consiglio superiore della pubblica istruzione ed a sottoporre il nuovo ordinamento all’Assemblea Costituente.

«Parri, Bernini, Ghiostergi, Codignola, Foa, Cianca, Lussu, Binni, Fornara, Carmagnola, Moscatelli, Faralli, Cacciatore, Malagugini, Barbareschi, Nasi, Mariani, Montemartini, Costa, Nobili Oro, Mariani, Bennani, Della Seta, Di Giovanni».

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Quale firmatario di questa mozione, prego il Presidente di prospettare al Governo l’opportunità che sia discussa di urgenza perché le elezioni del Consiglio Superiore della pubblica istruzione sono state indette per il giorno 26 luglio: altrimenti non si farà in tempo ad intervenire.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo si riserva di esprimere il suo avviso circa la data della discussione di questa mozione.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

GAMANGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMANGI. Avevo presentato un’interrogazione al Ministro delle finanze ed il Ministro ne aveva riconosciuta l’urgenza, dichiarando che era pronto a rispondere. Pregherei di fissarne la data.

PELLA, Ministro delle finanze. Confermo di riconoscerne l’urgenza.

Risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Anche io faccio presente di avere presentato un’interrogazione di urgenza della quale attendo risposta.

PRESIDENTE. Il Governo risponderà nella prossima seduta dedicata alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, di fronte alla unanime insurrezione del popolo di Padova, manifestata attraverso i voti del Consiglio comunale, della Deputazione provinciale, degli insegnanti medi, dell’A.N.P.I., di tutti i partiti politici, intenda recedere dal provvedimento col quale ha sostituito nell’ufficio di provveditore degli studi di Padova il professore Zamboni Adolfo, mai iscritto al partito fascista, eroico cospiratore, partigiano, con l’ex squadrista Biagini Paolo, fascista e repubblichino.

«Cevolotto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze, per sapere se sono a conoscenza della decisione adottata dalla Direzione generale del demanio concernente la concessione in affitto del villaggio alpino denominato Colonia Val-Grande di Comelico (Belluno) e, se non l’approvano, quali provvedimenti intendono prendere.

«Ghidetti, Pellegrini, Cevolotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non intenda attuare il ripristino delle preture soppresse dal passato regime in provincia di Caserta e aggregare al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere i mandamenti di Capriati al Volturno e Roccamonfina, così da far coincidere la circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa provinciale.

«Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i motivi che ancora ostano alla sistemazione degli insegnanti elementari reduci e fuori ruolo, i quali, sebbene abilitati prima del 1940, non poterono partecipare per ragioni dipendenti dallo stato di guerra ai concorsi indetti ed espletati dall’anno 1940 al 1942 e per i quali fu riservata la metà dei posti, in conformità del decreto 6 gennaio 1942, n. 27.

«Giova tener presente che per i perseguitati politici e razziali già venne disposto provvedimento positivo; per cui ragioni giuridiche, di moralità e di equità consigliano l’adozione di eguale trattamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno adottare urgenti misure per rimuovere sollecitamente gli esplosivi depositati nel Forte di Santa Teresa, in località Baracche di La Spezia, che per essere nelle immediate vicinanze di un importante complesso industriale e di una zona abitata, rappresenta un grave pericolo per la incolumità delle maestranze e della popolazione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Barontini Anelito, Novella, Minella Angiola, Negro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno emanare un provvedimento legislativo che riconosca l’estensione al personale amministrativo degli Istituti tecnici dipendenti dagli enti locali, del trattamento economico di carriera, stabilito per il personale a carico dello Stato con il decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 107, provvedimento sulla di cui opportunità conviene lo stesso Ministero della pubblica istruzione, il quale si è dichiarato «pienamente favorevole, pur non potendo prenderne l’iniziativa, che spetta al Ministero dell’interno». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, sulle accuse che un deputato alla Costituente ha mosso in pubblica seduta contro il comandante della celere di Padova, signor Brighenti, sui risultati dell’inchiesta che il Ministero dell’interno avrà certamente promosso, sulle misure che il Ministro ha preso o intende prendere. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«De Michelis, Merighi, Tega, Grazia Verenin».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno, iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 14.10.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 21 luglio 1947.

Alle ore 17:

  1. – Svolgimento della mozione degli onorevoli Lussu, Lombardi Riccardo, Cianca, Calamandrei, Laconi, Spano Velio, De Vita, Mazzei, Parri, Cevolotto, Veroni, Mastino Gesumino, Di Giovanni, Grieco, Uberti, Carboni Angelo, Binni, Fiorentino, Schiavetti, Tosato, Fuschini, Giua, sullo Statuto autonomo della Sardegna.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

  1. – Interrogazioni.