ASSEMBLEA COSTITUENTE
CXCVIII.
SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 23 LUGLIO 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI
indi
DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Verifica di poteri:
Presidente
Disegno di legge (Seguito della discussione):
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
Presidente
Cappi
Corbino
Scoccimarro
Rescigno
Carbonari
La Malfa, Relatore
Pella, Ministro delle finanze
Bonomi Paolo
Bertone
Uberti
Vigorelli
Clerici
Crispo
Bosco Lucarelli
Cannizzo
Castelli Edgardo
Micheli
Dugoni
Marinaro
Pesenti
Fabbri
Einaudi, Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio
Valiani
Sulla fissazione dell’ordine del giorno:
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Orlando Vittorio Emanuele
Presidente
Canepa
Giannini
Cevolotto
Valiani
Togliatti
Crispo
Gronchi
Nenni
Selvaggi
Labriola
Votazione nominale:
Presidente
Risultato della votazione nominale:
Presidente
Sull’ordine dei lavori:
Codignola
Gronchi
Croce
Presidente
Selvaggi
Gonella, Ministro della pubblica istruzione
Malagugini
La Malfa
Interpellanze e interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Pertini
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Targetti
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia allo 17.
AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Verifica di poteri.
PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella riunione odierna, ha verificato non essere contestabili le elezioni dei deputati:
Enrico Carboni, per la circoscrizione di Cagliari (XXXI), lista del Partito democratico cristiano;
Eliseo Giovanni Magrassi, per il Collegio unico nazionale, lista del Partito repubblicano italiano;
e, concorrendo negli eletti i requisiti previsti dalla legge elettorale, ne ha dichiarata valida l’elezione.
Do atto alla Giunta di questa sua comunicazione e, salvi i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.
Seguito della discussione del disegno di legge:
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.
Come l’Assemblea ricorda, abbiamo stamane rinviato i nostri lavori con l’intesa che tra Governo, Commissione ed i vari proponenti di emendamenti all’articolo 72 si cercasse di giungere ad una formulazione concordata. Comunico che l’accordo è stato raggiunto con la proposta di un emendamento così formulato:
«Aggiungere dopo il primo comma:
«Quando l’imponibile non supera le lire 400.000, fermo restando l’obbligo di pagamento delle rate di giugno e agosto 1947, l’imposta rimanente è riscossa in sedici rate uguali fino all’aprile 1950.
«Per le Opere pie, gli Istituti ed enti di beneficenza od assistenza legalmente costituiti e riconosciuti, gli Istituti di istruzione, i Corpi scientifici, le Accademie e Società storiche, letterarie, scientifiche, aventi scopi esclusivamente culturali, gli enti il cui fine è equiparato, a norma dell’articolo 29, lettera h) del Concordato, ai fini di beneficenza e di istruzione, le partecipanze ed università agrarie, il pagamento dell’imposta è fissato in trenta rate uguali fino all’aprile 1952».
«Aggiungere al quarto comma del testo governativo:
«L’abbuono è del 15 per cento, quando l’imponibile non superi le lire 400.000, e del 20 per cento per le Opere pie e gli altri enti di cui al terzo comma».
CAPPI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPI. Onorevoli colleghi, mi dispiace di non poter concordare col nuovo testo, che si dice concordato.
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Cappi, fa una dichiarazione di voto?
CAPPI. Non ho chiesto di parlare per dichiarazione di voto. Non posso insistere sul mio emendamento?
PRESIDENTE. No, se lei ritira il suo emendamento ha cinque minuti per potere dichiarare le ragioni per cui lo ritira. Altrimenti non posso darle la parola, se non per una dichiarazione di voto.
CAPPI. Farò allora una dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPI. Non posso votare l’emendamento proposto dal Governo. Non lo posso votare perché (non vorrei usare parole grosse) il votarlo, da parte mia e da parte di coloro che hanno aderito al mio emendamento, sarebbe una mancanza di lealtà. Non trovo altra parola. Perché ieri sera io e coloro che hanno aderito al mio emendamento – il quale proponeva una notevole rateazione a favore dei piccoli proprietari – abbiamo votato contro l’emendamento Scoccimarro-Pesenti, dichiarando che era però anche nel nostro intendimento venire incontro alla piccola proprietà. Solo che differivamo nel modo; e abbiamo detto che eravamo contrari all’esenzione, ma eravamo favorevoli ad una notevole rateazione che facilitasse il pagamento da parte dei piccoli proprietari.
Aggiungo che il Governo, pur senza fare cifre, ieri sera aveva detto di essere sulla stessa linea, cioè di essere disposto a concedere notevoli rateazioni.
Nell’adunanza di stamane, prima che si riprendesse la seduta, io avevo moderato i termini del mio emendamento e avevo aderito a portare a cinque anni, invece di dieci, la rateazione per le opere pie e gli enti morali, avevo aderito a portare a tre anni, invece di cinque, la rateazione per i piccoli patrimoni e a diminuire il limite imponibile da un milione e mezzo ad un milione.
Francamente, se io dovessi aderire ad un emendamento, il quale è pressoché irrisorio nei vantaggi che concede alla piccola proprietà – perché porta il termine di pagamento da un anno e qualche cosa a sedici mesi ed il minimo imponibile da 1.500.000 lire a 400.000 – mancherei a quello che è un mio profondo convincimento e potrei essere accusato di poca lealtà da parte di coloro (l’onorevole Scoccimarro, l’onorevole Pesenti ed altri) che avevano aderito al mio emendamento.
Per queste ragioni sono contrario all’emendamento proposto dal Governo e mantengo il mio.
CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento concordato dalla Commissione con alcuni dei presentatori. Voterò a favore, perché giudico che la formula – per quanto sia lontana dalle speranze che potevano essere nate in altri presentatori di emendamenti per cifre più alte – risponda a quel principio di venire incontro alle categorie che meno possono oggi affrontare il pagamento dell’imposta decennale.
In corrispettivo, rinuncio anche per parte mia a sostenere l’elevazione del minimo imponibile da 3 a 5 milioni, in quanto ritengo che gli oneri che i contribuenti sono chiamati ad assolvere con questa legge, con i temperamenti che sono stati già introdotti, specialmente in materia di accertamento di valori, rispondano alla possibilità di sopportazione della più larga parte di essi. Vi possono essere delle piccolissime frazioni della massa dei contribuenti che per ragioni di carattere personale o contingente non saranno in condizioni di pagare questa imposta, come non possono pagare nemmeno le altre. Da che mondo è mondo vi sono stati sempre dei contribuenti che non hanno potuto pagare l’imposta; né abbiamo noi sentito la necessità di turbare il normale assetto del sistema tributario per venire incontro a questi casi di carattere particolare.
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. Dichiaro, a nome del gruppo comunista, che noi voteremo per l’emendamento Cappi il quale, benché non risponda a tutte le esigenze espresse dal nostro emendamento, fra tutti gli altri è ancora il migliore, a nostro modo di vedere, che si presenta alla nostra votazione; ed è quello che più si avvicina a quelle che secondo noi sono le esigenze di difesa dei piccoli patrimoni.
RESCIGNO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RESCIGNO. Ritiro il mio emendamento per aderire a quello dell’onorevole Cappi.
CARBONARI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARBONARI. Dichiaro di associarmi all’emendamento Cappi.
LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Io ho già detto troppo in materia: aggiungerò semplicemente che l’accettazione dell’emendamento Cappi toglie ogni significato all’imposta straordinaria proporzionale.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Devo associarmi all’onorevole Relatore nel pregare l’Assemblea di misurare la portata dell’emendamento Cappi. Io ho l’impressione che si sia molto al di là di quella zona opinabile in cui si cerca il limite della giusta difesa dei piccoli proprietari. La Commissione, il Governo e diversi presentatori di emendamenti avevano ritenuto di trovare questo limite nelle 400.000 lire di valore accertato ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947; che significa, in linea di valori attuali, una cifra che oscilla fra il milione ed il milione e mezzo. Io vorrei pregare che in questo momento, davanti alla possibilità di uno schieramento dell’Assemblea favorevole ad un emendamento che tanto si sposta da quello concordato fra il Governo e la Commissione, vorrei pregare – ripeto – l’onorevole Cappi di misurarne tutta la portata e, nell’eventualità ch’egli ritenga di potere sia quanto ottenerne l’approvazione, di vedere se non meno il caso di limitarlo nella sua portata.
CAPPI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPI. Da quanto ho detto, ritengo di essere già andato incontro al desiderio espresso dall’onorevole Ministro delle finanze; perché, ripeto – ma è bene chiarire, perché il testo modificato non è ancora al banco della Presidenza – che, mentre ieri avevo proposto…
PRESIDENTE. Il testo modificato non è ancora pervenuto.
CAPPI. L’ho annunciato ora. Ad ogni modo ritengo di essere venuto incontro al desiderio del Ministro delle finanze mitigando il mio emendamento notevolmente, perché per le Opere Pie riducevo da dieci a cinque anni il termine di rateazione ed accettavo integralmente la formula proposta dal Governo e che abbiamo sentito leggere pochi minuti fa.
Per i patrimoni privati, non di enti, la rateazione che avevo proposto in cinque anni la riduco a tre anni, cioè al 31 dicembre 1950 e mentre prima avevo insistito perché la rateazione fosse concessa ai patrimoni non superiori all’imponibile di un milione e mezzo, ora la riducevo ad un milione e potrei, anche per desiderio di accordo, limitarla a 750 mila lire. (Commenti a sinistra).
Ma contro le osservazioni, e non polemizzo, del Presidente della Commissione di finanza, per il quale mi associo all’elogio fatto stamani dall’onorevole Basile e dall’onorevole Mazzei di essere un simpatico, perché antidemogogico, tutore degli interessi dello Stato, osservo che ieri sera l’onorevole Ministro delle finanze, pur senza fare cifre, aveva lasciato chiaramente intendere a tutta l’Assemblea che, se respingeva l’emendamento Scoccimarro, era però sulla linea di concedere notevoli facilitazioni, in tema di rateazione, ai piccoli proprietari. Ed osservo ancora che il pericolo per il bilancio dello Stato circa un minor gettito dell’imposta è eliminato dalla facilità del riscatto, perché il mio emendamento propone un abbuono del venti per cento a favore di chi riscatta e siamo sicuri che la maggior parte dei contribuenti riscatterà. Quindi le difficoltà di cassa dello Stato saranno minori. Concludendo, onorevole Presidente, il mio emendamento si concreta così: per la prima parte che riguarda gli enti morali – e che si può votare per divisione – concorda con l’emendamento del Governo; per i patrimoni privati per tutte le partite il cui imponibile sia inferiore a lire 750 mila, il termine è portato al 31 dicembre 1950 e l’abbuono, in caso di riscatto sarà del venti per cento.
Il comma aggiuntivo resterebbe pertanto così formulato definitivamente:
«Il termine di pagamento è portato a cinque anni per le Opere pie e gli Enti morali.
«Per tutte le partite il cui imponibile sia inferiore a lire 750 mila, il termine è portato al 31 dicembre 1950 e l’abbuono in caso di riscatto sarà del venti per cento.
«Coloro che avessero già effettuato il riscatto con l’abbuono del dieci per cento avranno diritto ad ottenere l’abbuono dell’ulteriore quindici per cento».
CORBINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Vorrei fare una proposta. La sostanza del dissidio è questa: il Relatore propone il pagamento entro tre anni; l’onorevole Cappi lo propone entro 3 anni. La cifra sarebbe di 400 mila per il Relatore e 750 mila per l’onorevole Cappi.
Io credo che si potrebbe consentire, su richiesta del contribuente, di effettuare il pagamento in tre anni, anziché in due, col pagamento del due per cento di interesse. E così potremmo trovare l’accordo.
PELLA, Ministro dette finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro dette finanze. È una materia difficilmente suscettibile di transazione per la sua stessa natura. Tutto quello che il Governo potrebbe consentire, sarebbe di ammettere, oltre le 400 mila lire, limite sino al quale opera un diritto di rateazione, una possibilità di rateazione da parte dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti che veramente ne abbiano la necessità, dietro pagamento eventualmente di quel due per cento cui accenna l’onorevole Corbino. Ma l’elevazione del minimo, quanto dire un diritto ugualmente operante per tutti, il Governo non potrebbe consentirla. Lascio naturalmente all’Assemblea la possibilità di una diversa determinazione.
BONOMI PAOLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BONOMI PAOLO. Io ho presentato un emendamento preciso, che in certo qual senso si può abbinare anche a quello del collega Cappi, abbinamento che tiene conto anche delle esigenze degli uffici finanziari. Io ho chiesto questo: tenuto conto che un poco da tutti i settori di quest’aula si è richiesto di considerare quelle che sono le condizioni dei piccoli proprietari di terreni e di case, io chiedo: per le partite di imposta inferiori alle ventimila lire (cioè mezzo milione) la rata di agosto dovrà purtroppo essere pagata prima che la legge entrerà in vigore; resteranno da pagare altre otto rate. Il valore di queste otto rate dovrebbe essere diviso per tre, cosicché abbiamo ventiquattro rate e andiamo all’agosto del 1951. Per le partite di imposta fra le 20 e le 40 mila lire (cioè valore un milione), invece che in otto rate, in sedici rate, di modo che anche per il fisco che ha già iscritto a ruolo queste partite, sarà semplice, dividendo per due e per tre, poter concedere questa facilitazione ai piccoli proprietari il cui valore patrimoniale non supera un milione da una parte e mezzo milione dall’altra.
In sostanza il mio si avvicina all’emendamento Cappi, ma io ritengo vada ancora più incontro ai piccolissimi proprietari e al fisco.
PRESIDENTE. Ritengo che il suo emendamento possa seguire quello dell’onorevole Cappi.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Bertone per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.
BERTONE. Io sono uno dei firmatari dell’emendamento Cappi, e ho firmato in piena coscienza, perché ritenevo che fosse giusto andare incontro alle esigenze di quelle categorie che l’emendamento contempla. Ma questo emendamento, come accade sempre, ha suscitato obiezioni ed eccezioni e per dirimere le eccezioni e le obiezioni stamane si è affidato al Governo ed alla Commissione di vedere come si potevano comporre queste divergenze. Oggi ci si comunica che il Governo e la Commissione, tenuto conto delle esigenze di coloro a cui si voleva pensare e delle esigenze non meno inderogabili del bilancio, dichiarano concordemente che sarebbero addivenuti alla soluzione di cui è stata data lettura. Dichiaro che, poiché la Commissione ed il Governo sono concordi nell’emendamento testé proposto, io lo accetto.
PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ritira la sua firma dall’emendamento dell’onorevole Cappi; a questo manca perciò una firma.
UBERTI. La pongo io.
PRESIDENTE. Sta bene. Poiché l’onorevole Cappi accetta l’emendamento del Governo nella sua prima parte, il suo emendamento si riduce al secondo comma.
VIGORELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VIGORELLI. Ho presentato un emendamento, riguardante una determinata categoria di enti di beneficenza, cioè gli enti pubblici di assistenza. Secondo questo emendamento, il termine della rateazione per tale categoria di enti dovrebbe essere portato a dieci anni.
Pongo il quesito se, votandosi l’emendamento del Governo, sia poi possibile votare il mio.
PRESIDENTE. Ricordo che l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Vigorelli è così formulato:
«Per le istituzioni pubbliche di assistenza, il termine di rateazione dell’imposta è dieci anni.
Questo emendamento, evidentemente deve essere votato prima di ogni altro, perché il termine in esso fissato è il massimo.
VIGORELLI. Desidererei parlare brevemente per illustrare il mio emendamento.
PRESIDENTE. Mi pare che ella, onorevole Vigorelli, lo abbia già illustrato abbondantemente nel corso dei suoi vari interventi.
VIGORELLI. Su questo argomento, onorevole Presidente, non ho mai parlato.
PRESIDENTE. Sono spiacente, ma non posso più darle facoltà di parlare.
Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Vigorelli.
(Dopo prova e controprova è approvato).
Avverto che il Governo ha chiesto che l’emendamento, concordato, sia posto in votazione per divisione. Si dovrà pertanto votare preliminarmente il primo comma che – come l’Assemblea ricorda – è così formulato:
«Quando l’imponibile non supera le lire 400 mila, fermo restando l’obbligo di pagamento delle rate di giugno e agosto 1947, l’imposta rimanente è riscossa in rate uguali fino all’aprile 1950».
LA MALFA, Relatore, Credo che si debba votare anzitutto il primo comma del testo della Commissione, che contiene una disposizione generale.
PRESIDENTE. Siccome su questo primo comma dell’articolo 72 non v’è discussione, s’intende senz’altro approvato. Debbono invece essere votate le aggiunte a questo primo comma dell’articolo 72. A questo punto, siamo in presenza di due emendamenti: uno concordato dalla Commissione e dal Governo, l’altro proposto dall’onorevole Cappi.
Si tratta ora di stabilire quale dei due emendamenti ha la precedenza nella votazione.
UBERTI. Prima l’emendamento Cappi, e dopo il testo concordato!
LA MALFA, Relatore, Se viene votato prima l’emendamento Cappi, avrei desiderato, a titolo personale, di sapere dal Governo quali conseguenze la votazione di questo emendamento ha su tutto il sistema di riscatto dell’imposta proporzionale e progressiva. Siccome l’imposta proporzionale è in riscossione, e se ne è già fatto un largo riscatto, prima di fare una dichiarazione di voto sull’emendamento Cappi, vorrei conoscere l’apprezzamento del Governo sulle conseguenze dell’agevolazione concessa dall’emendamento Cappi circa il riscatto.
PELLA, Ministro delle finanze. Certamente, le conseguenze sarebbero notevoli. Non è possibile determinarne la portata in cifra, sia pure soltanto approssimativa, perché – come già ho avuto occasione di accennare altra volta – la statistica dei patrimoni, secondo l’imposta ordinaria del 1939, con riferimento alle iscrizioni nei ruoli del 1947, contempla un scaglione unico per tutte le iscrizioni fino a due milioni; non è agevole quindi misurare la portata di una facilitazione che riguardi soltanto un settore di questo scaglione sino ai due milioni. Come orientamento, come misura grossolana della portata dell’emendamento dell’onorevole Cappi, è possibile osservare quanto segue. Se, come ritengo sia nei voti dell’onorevole Cappi, la concessione dell’abbuono del venti per cento dovesse operare come stimolante al ricorso al riscatto immediato di tutti i contribuenti che si trovano in determinato scaglione, allora, da un lato vi sarebbe un miglioramento nella situazione di tesoreria per un breve periodo di tempo, ma si correrebbe indubbiamente – dall’altro lato – il grave rischio di aver perduto per istrada il venti per cento sopra tutta una vasta zona di imponibile che certamente è molto notevole.
Se, invece, non dovesse operare lo stimolo del venti per cento, le conseguenze sarebbero ancora più gravi, in quanto ci troveremmo di fronte ad un assottigliamento del gettito dell’imposta, proprio in quel periodo di tempo in cui non si riscuote ancora l’imposta straordinaria progressiva.
Posso quindi dire all’onorevole La Malfa che, purtroppo, l’emendamento, se approvato, avrebbe ripercussioni notevolissime, o nel senso di compromettere il gettito di rate future, se fossero abbondanti i riscatti, oppure nel senso di attenuare il gettito iniziale qualora non si dovesse verificare la previsione formulata dall’onorevole Cappi di riscatti abbondanti e notevoli.
PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento dell’onorevole Cappi, secondo comma, essendo il primo caduto con l’approvazione dell’emendamento Vigorelli. La formulazione proposta dall’onorevole Cappi è la seguente:
«Per tutte le partite il cui imponibile sia inferiore a lire 750 mila, il termine è portato al 31 dicembre 1950 e l’abbuono, in caso di riscatto, sarà del venti per cento».
(È approvato).
Cade allora la prima parte dell’emendamento del Governo.
CLERICI. Onorevole Presidente, il mio emendamento all’emendamento aggiuntivo del Governo resta egualmente, rispetto all’emendamento dell’onorevole Cappi.
PRESIDENTE. Senza dubbio. Porrò ora in votazione l’emendamento proposto dagli onorevoli Clerici, Crispo ed altri, formulato nei seguenti termini:
«Il Ministro delle finanze può concedere le stesse rateazioni alle stesse condizioni al contribuente, che lo richieda, relativamente all’imposta su immobili sottoposti al regime vincolistico degli affitti».
Questo emendamento è stato già svolto; non credo che lei, onorevole Clerici, abbia altro da aggiungere.
CLERICI. Debbo solo osservare, onorevole Presidente, che è una facoltà che io propongo sia data al Ministero delle finanze anche per imponibili che siano superiori a quelli indicati, ma che si riferiscono esclusivamente ad immobili sottoposti al regime vincolistico degli affitti. In tali casi, e solo su richiesta degli interessati, il Ministero può, valutate tutte le circostanze, volta per volta concedere al contribuente la stessa facoltà, alle stesse condizioni.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.
LA MALFA, Relatore. Non lo conosco, perché non ho potuto interpellarla.
PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?
PELLA, Ministro delle finanze. Non posso esprimere parere favorevole, in quanto mi sembra troppo ampio e troppo vago il concetto enunciato nell’emendamento. L’Amministrazione finanziaria, se l’Assemblea lo ritiene, potrà valersi del suo potere discrezionale per concedere maggiori rateazioni, qualora esse siano richieste da giustificate e provate necessità dei contribuenti. Ma, soprattutto dopo l’approvazione delle agevolazioni di pagamento per gli imponibili inferiori alle lire 750.000, credo che venga meno la ragione di configurare una rateazione su un settore così vasto, quale è quello proposto dall’onorevole Clerici.
Perciò, sia pure accettando la raccomandazione di concedere rateazioni in casi speciali, non posso accettare l’emendamento così come è predisposto.
CLERICI. Potrei ritirarlo, ma non so come il Ministro intende presentare giuridicamente la questione…
PRESIDENTE. La prego di dichiarare esplicitamente se lo ritira o lo mantiene.
CLERICI. Lo potrei ritirare, qualora il Governo ritenesse di avere il diritto, accettando come raccomandazione il mio emendamento, di attuarlo attraverso circolari esplicative ai dipendenti Uffici finanziari. Dubito che ciò sia possibile senza una norma di legge.
PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?
PELLA, Ministro delle finanze. Nei limiti delle facoltà che in materia competono all’Amministrazione finanziaria, assicuro l’onorevole Clerici che queste maggiori rateazioni potranno venire accordate. Devo, però, subito aggiungere che saranno accordate con molta oculatezza e parsimonia.
CRISPO. Se l’onorevole Clerici ritirasse l’emendamento, dichiaro di mantenerlo io, che ne sono uno dei firmatari.
CLERICI. Io non lo ritiro affatto, e lo mantengo.
PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento Clerici.
(Non è approvato).
Segue un emendamento dell’onorevole Bonomi Paolo, Giacchero, ed altri, del seguente tenore:
«Le partite di imposta inferiori alle lire 20 mila verranno riscosse entro il mese di agosto 1950; quelle fra le lire 20 mila e le lire 40 mila entro il mese di aprile 1950».
Onorevole Bonomi, non le sembra che il suo emendamento sia assorbito dall’emendamento Cappi?
BONOMI PAOLO. Si sarebbe dovuto mettere in votazione prima dell’emendamento Cappi; ora lo ritengo assorbito da questo emendamento.
PRESIDENTE. Rimarne ora la seconda parte dell’emendamento concordato tra Commissione e Governo; il Governo propone che sia votata con l’intesa di successivo coordinamento con le deliberazioni già adottate, specialmente con gli emendamenti Vigorelli e Cappi.
Ricordo che l’emendamento è così formulato:
«Per le Opere pie, gli Istituti ed Enti di beneficenza ed assistenza legalmente costituiti e riconosciuti, gli Istituti di istruzione, i Corpi scientifici, le Accademie e Società storiche, letterarie, scientifiche aventi scopi esclusivamente culturali, gli enti il cui fine è equiparato, a norma dell’articolo 29 lettera h) del Concordato, ai fini di beneficenza e di istruzione, le Partecipanze ed Università agrarie, il pagamento dell’imposta è fissato in trenta rate uguali fino all’aprile 1952».
BERTONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTONE. Avevo accennato già stamani ad un fatto. Per quanto riguarda tutte le Opere pie e gli enti morali deve – mi pare – dominare un concetto tutto speciale. Quello che verseranno tutti insieme gli enti morali e le opere pie è assolutamente insignificante ai fini del gettito dell’imposta patrimoniale. Quindi, concedere una rateazione più o meno lunga disturba poco.
Mi permetto perciò di pregare il Governo e la Commissione di finanza che, per quanto riguarda le Opere pie in genere e gli enti morali, invece di cinque anni siano concessi dieci anni, per mettersi d’accordo con gli altri enti di assistenza, in modo che non ci sia una doppia bilancia: un settore che abbia cinque anni e un altro dieci.
PRESIDENTE. Allora lei propone un nuovo emendamento. Ha chiesto di parlare l’onorevole Relatore. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Onorevole Presidente, dopo l’accettazione dell’emendamento Cappi si può accettare il termine di dieci anni, perché queste disposizioni sono coordinate. Se si tiene un imponibile basso per i privati, si può restringere la concessione agli Istituti di beneficenza; ma se si allarga la concessione ai privati, è inutile mantenere il limite di cinque anni.
Propongo quindi che l’emendamento Vigorelli sia iscritto nella dizione della Commissione, che è più larga e riguarda molti Istituti, e alla fine si dica che l’imposta è riscossa in dieci anni; e così usciamo da questa questione.
PELLA, Ministro delle finanze. Concordo con le considerazioni dell’onorevole Relatore e ritengo anche io che l’emendamento dell’onorevole Vigorelli possa essere trasfuso nel secondo comma dell’emendamento unico, opportunamente coordinandolo.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta che il concetto informatore dell’emendamento dell’onorevole Vigorelli sia esteso a tutti gli enti previsti dall’articolo in questione.
(È approvata).
Pongo quindi ai voti – con questa intesa – il secondo comma del testo concordato tra Commissione e Governo.
(È approvato).
Vi è ora l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli:
«Sostituire il quarto comma con il seguente:
«Il contribuente ha facoltà di chiedere, entro il 15 settembre 1947, il riscatto con l’abbuono del dieci per cento dell’imposta dovuta ai sensi dell’articolo 68».
Onorevole Bosco Lucarelli, mantiene il suo emendamento?
BOSCO LUCARELLI. Lo mantengo, tanto più che questa mattina pareva che il Governo e la Commissione lo avessero accettato. È una proroga del termine di riscatto in correlazione con altre proroghe concesse.
PRESIDENTE. Qui si parla di abbuono del 10 per cento; ma l’aliquota è stata modificata. Eventualmente, in sede di coordinamento, si provvederà all’opportuna equiparazione.
Onorevole La Malfa, quale è il pensiero della Commissione?
LA MALFA, Relatore. Dipende dal Governo che termine vuol dare per il riscatto.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.
PELLA, Ministro delle finanze. Siamo ormai alla fine di luglio: si tratta di concedere una proroga di un mese e mezzo per facilitare i riscatti. Oggi siamo su una via di eccezionale larghezza, da quello che pare, ed allora non oppongo difficoltà a condizione che si aggiunga: «purché la somma sia integralmente versata entro il 30 settembre 1947»; cioè, entro il 15 presentare la domanda ed entro i 15 giorni successivi pagare integralmente la somma.
PRESIDENTE. Vuole precisare l’emendamento, onorevole Ministro?
PELLA, Ministro delle finanze. Signor Presidente, penso che la garanzia che io chiedevo possa essere meglio contemplata all’ultimo comma dell’articolo; ed allora, accettando l’emendamento Bosco Lucarelli, chiedo che sia emendato l’ultimo comma dell’articolo e si dica: «Il versamento del prezzo di riscatto deve effettuarsi in Tesoreria entro il 30 settembre 1947».
BOSCO LUCARELLI. Preferirei il 15 ottobre.
PRESIDENTE. Accetta onorevole Ministro?
PELLA, Ministro delle finanze. Non potrei accettare un termine più lungo per il versamento, perché, tenendo conto della dilazione concessa dal Governo, già attualmente la presentazione delle domande deve avvenire entro il 10 di agosto ed il pagamento entro il 18 di agosto, cioè vi sono 8 giorni di tempo. Perciò 15 giorni sono largamente sufficienti, anche perché è da ritenere che non tutti i contribuenti aspetteranno l’ultimo giorno per proporre la domanda di riscatto.
CANNIZZO. Desidererei sapere dal Ministro se le domande già presentate verranno equiparate a quelle da presentare. Vorrei sapere, cioè, se per le domande presentate il termine resterà il 30 agosto o si intende prorogato al 30 settembre. Vi possono essere errori di interpretazione. È una delucidazione che chiedo al Governo.
PELLA, Ministro delle finanze. Così come verrebbe emendato l’articolo, secondo la proposta dell’onorevole Bosco Lucarelli, è indubbio che il nuovo termine per il versamento opererebbe nei confronti di tutti i contribuenti.
PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli potrà essere così formulato:
«Il contribuente ha facoltà di chiedere, entro il 15 settembre 1947, il riscatto con l’abbuono previsto dalla presente legge dell’imposta dovuta ai sensi dell’articolo 68».
CORBINO. Non «dalla presente legge», perché per il riscatto dell’imposta ordinaria sono previsti altri termini. Quindi «del presente Titolo».
PRESIDENTE. È giusto. Pongo ai voti l’emendamento con la formulazione indicata.
(È approvato).
Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dal Governo all’ultimo comma dell’articolo 72:
«Il versamento del prezzo di riscatto deve effettuarsi in Tesoreria entro il 30 settembre 1947».
(È approvato).
Resta ora l’emendamento degli onorevoli Castelli Edgardo, Perlingieri e Balduzzi, che doveva essere discusso in sede di articolo 68, e che è stato rinviato in sede di articolo 72. L’emendamento propone l’aggiunta del seguente comma:
«L’usufruttuario può rivalersi verso il proprietario della quota di imposta afferente al valore della nuda proprietà, fatte le valutazioni ai sensi dell’articolo 14».
La Commissione ha dichiarato di essere contraria a questo emendamento.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà,
PELLA, Ministro delle finanze. Io comprendo la ragione di ordine equitativo che ha ispirato l’onorevole Castelli nel suo emendamento. Non devo però dimenticare che fondamentalmente l’imposta ordinaria sul patrimonio è imposta sul reddito, per quanto commisurata al patrimonio, e come tale grava sull’usufruttuario. Ora, il 4 per cento o è il riscatto di questa imposta o è il tributo sostitutivo di questa imposta. Unicamente per la preoccupazione di non snaturare la portata del 4 per cento, devo aderire al parere contrario della Commissione in merito all’emendamento.
CASTELLI EDGARDO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CASTELLI EDGARDO. A titolo di dichiarazione di voto, faccio presente che anche se si concepisce la straordinaria proporzionale come un riscatto, è sempre un prelievo sul capitale che si opera, e quindi non si tratta di un’imposta che si paga sul reddito, tanto più che i termini di soluzione sono assai brevi. È giusto che il nudo proprietario paghi la sua parte, almeno per quanto si riferisce al valore della nuda proprietà. In sostanza, con questo emendamento, si vuole fare al nudo proprietario, in sede di imposta proporzionale straordinaria, lo stesso trattamento per esso già stabilito in sede di imposta progressiva straordinaria: entrambe le imposte hanno la stessa base e la stessa fisionomia: non c’è ragione di una disparità di trattamento.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Castelli.
(Dopo prova e controprova è approvato).
Resta inteso che rimane deferita al coordinamento la collocazione di questo comma.
LA MALFA, Relatore, Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Volevo proporre che all’articolo 72 si riproducesse la norma dell’articolo 51, penultimo comma, nel quale si dice che «In tutti i casi di versamento diretto in Tesoreria, non compete alcun aggio all’esattore e al ricevitore provinciale».
PRESIDENTE. Il Governo è d’accordo?
PELLA, Ministro delle finanze. Sì.
PRESIDENTE. Pongo ai voti questa proposta di aggiunta, che potrà costituire un ultimo comma.
(È approvata).
L’articolo 72 si intende approvato con i vari emendamenti votati.
Passiamo all’articolo 73. Se ne dia lettura.
AMADEI, Segretario, legge:
«Per quanto non è previsto nel presente Titolo, si applicano le disposizioni del regio decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio. 1940, n. 100, e successive modificazioni.
«Per il riscatto si applicano le disposizioni dell’ultimo comma dell’articolo 51».
PRESIDENTE. Su questo articolo non sono state presentate proposte di modifica e, pertanto, si intende approvato nel testo proposto dal Ministero.
Vi sono ora proposte di articoli aggiuntivi. La prima è quella dell’onorevole Micheli, il quale ha formulato, unitamente all’onorevole Jacini, il seguente articolo 73-bis:
«Le cartelle fondiarie ed obbligazioni emesse ed in genere tutti i cespiti patrimoniali formati dopo il 13 aprile 1947, sono esenti dal 4 per cento».
L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
MICHELI. Pare a me che la cosa sia intuitiva per le disposizioni già stabilite in articoli antecedenti; però è opportuno precisare.
Rilevo che, poiché l’imposta straordinaria proporzionale è dovuta per i soli beni esistenti al 13 aprile 1947, sarebbe incongruo e contradittorio che quella ordinaria (di cui la straordinaria, sostanzialmente, rappresenta il riscatto) fosse dovuta per beni ancora, a quella data, inesistenti.
Ciò, invero, per la quasi totalità dei beni, non può verificarsi, attesoché l’articolo 40 del regio decreto-legge 12 ottobre 1939 n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100, stabilisce, applicando un comune principio tributario, che l’imposta ordinaria è dovuta dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui i cespiti acquistano o mutano consistenza.
Il fatto potrebbe verificarsi, invece, per le obbligazioni e gli altri titoli di cui agli articoli 26 e 36 dello stesso regio decreto-legge, in quanto la relativa imposta viene applicata, non dietro dichiarazione e mediante ruoli, ma mercé «ritenuta al momento della scadenza di ciascuna rata di interesse».
Ne deriverebbe, come si è detto, una vera incongruenza, che sarebbe anche fonte di numerosi inconvenienti pratici, giacché le cedole di taluni titoli sarebbero soggette alla ritenuta dell’imposta ordinaria e non a quella straordinaria, con incertezza nelle contrattazioni, difficoltà nei pagamenti ecc.
Ad evitare ciò, così da mantenere il parallelismo fra imposta ordinaria e straordinaria, è diretto il comma proposto.
PRESIDENTE. Quale è il pensiero del Relatore?
CASTELLI EDGARDO. Vi è anche un mio emendamento.
PRESIDENTE. È assorbito dell’emendamento Micheli.
CASTELLI EDGARDO. È giusto.
PRESIDENTE. Il Relatore è invitato ad esprimere il suo parere sull’emendamento dell’onorevole Micheli.
LA MALFA, Relatore. È questione di carattere generale. Tutti i cespiti sorti dopo l’accertamento dell’imposta ordinaria sul patrimonio, non sono soggetti a tassa. Non mi pare necessario dirlo esplicitamente.
Essendo inteso che la interpretazione è questa, si potrebbero pregare gli onorevoli proponenti di ritirare l’emendamento.
PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.
PELLA, Ministro delle finanze. Siamo d’accordo nel ritenere che questi cespiti sorti posteriormente alla data di applicazione dell’imposta (l’onorevole Micheli risolve il problema della data, facendo riferimento al 13 aprile, anziché al 28 marzo; non credo che la questione abbia importanza pratica) non debbano essere tassati.
Forse hanno preoccupato l’onorevole Micheli le conseguenze di una interpretazione letterale dell’articolo 68, il quale abilita l’amministrazione finanziaria ad applicare il quattro per cento, laddove possa esservi un’iscrizione a titolo d’imposta ordinaria sul patrimonio nel corso dell’anno 1947. Le interpretazioni letterali possono portare a risultati preoccupanti e forse qui effettivamente l’interpretazione letterale avrebbe portato al risultato di colpire qualche cespite sorto tra il 13 aprile e il 31 dicembre 1947.
Perciò, per quanto l’emendamento, nei confronti dello spirito con cui l’Amministrazione finanziaria interpreta l’articolo 68, sia superfluo, non ho difficoltà a dare parere favorevole per l’immissione formale di esso nella legge.
PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Micheli e Jacini.
(È approvato).
Passiamo all’articolo 74. Se ne dia lettura nel testo originario, accettato dalla Commissione.
AMADEI, Segretario, legge:
«L’imposta ordinaria sul patrimonio, istituita con il regio decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100, è soppressa con decorrenza dal 1° gennaio 1948».
PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti proposti, l’articolo si intende approvato.
Vi è ora un articolo 74-bis proposto dall’onorevole Corbino, che è del seguente tenore:
«Il Ministro delle finanze è autorizzato a dettare norme per accertare che i contribuenti, di cui alla presente legge, abbiano versato le quote dovute al Fondo di solidarietà nazionale, in base al decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 72.
«A tal fine di intendono riaperti i termini, ed il pagamento sarà esente da sopratassa e da multe».
L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.
CORBINO. Vorrei che questo emendamento fosse compreso nel capo XIV delle disposizioni finali. Ad illustrarlo basteranno poche parole.
Come voi ricorderete, con un decreto-legge del 1945, furono istituiti dei contributi speciali a favore del Fondo di solidarietà nazionale. Molti hanno adempiuto all’obbligo del versamento dei contributi; molti, seguendo il proverbio che «a pagare c’è sempre tempo», non hanno pagato né entro i termini, né dopo. Oggi ci troviamo di fronte ad una imposta straordinaria, rispetto alla quale i contribuenti sono divisi in due gruppi: quelli che hanno pagato nel 1945 e quelli che non hanno pagato. Io penso che dobbiamo adottare una disposizione diretta a non far perpetuare la vecchia mentalità ed il vecchio giudizio, che spesso si sente in Italia, che chi paga è scemo.
Ecco perché vorrei che il Ministro delle finanze fosse autorizzato a dettare norme per l’accertamento degli obblighi nascenti dalla legge sul Fondo di solidarietà nazionale, riaprendo i termini ed esentando i contribuenti dall’obbligo del pagamento di una sopratassa o di una multa, cosicché tutti saranno messi sullo stesso piede.
PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
LA MALFA, Relatore. Credo che si possa accettare il principio dell’onorevole Corbino. Vorrei però sentire il parere del Ministro delle finanze.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.
PELLA, Ministro delle finanze. Mi sembra che l’onorevole Corbino abbia colto l’occasione per richiamare l’attenzione dell’amministrazione finanziaria su di un tributo che merita ancora un’operazione di raccolta. Accetto con animo di cordialità questo invito, che può essere anche un piccolo rimprovero per quel che non è stato fatto finora.
Ad ogni modo, spingere l’amministrazione finanziaria a raccogliere dei tributi è sempre una cosa che fa piacere, perché costituisce un apporto. Io penso, però, che la parte essenziale dell’emendamento dell’onorevole Corbino sia la preghiera della remissione in termine per coloro i quali non hanno pagato. Nessuna difficoltà per parte mia.
PRESIDENTE. Onorevole Corbino, dove dovrebbe essere collocato l’articolo 74-bis?
CORBINO. Dovrebbe essere il primo del Capo XIV riguardante le disposizioni finali.
PRESIDENTE. Se ne prenderà nota per il coordinamento, ove risulti approvato. Pongo ai voti l’articolo 74-bis proposto dall’onorevole Corbino.
(È approvato).
PRESIDENTE. Si dovrebbe ora passare al Titolo III, Capo XIV: Disposizioni finali e transitorie.
LA MALFA, Relatore. Onorevole Presidente, sono d’avviso che dopo il Titolo II, prima di passare ai successivi articoli, si debba decidere la questione degli enti collettivi.
PRESIDENTE. Credo che si possa accogliere la proposta dell’onorevole La Malfa; vale a dire possiamo rimandare l’esame delle disposizioni finali a dopo esaurita la discussione sulle molte parti del decreto, rimaste in sospeso. Propongo pertanto di passare agli articoli la cui discussione è stata rimandata. Se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.
(Così resta stabilito).
Prendiamo allora in esame gli articoli rimasti in sospeso. Il primo è l’articolo 2, il cui testo proposto dalia Commissione è il seguente:
«Sono soggette all’imposta straordinaria le persone fisiche.
«Sono, altresì, soggetti all’imposta straordinaria le società, ditte ed enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato, con deduzione dell’ammontare delle partecipazioni alla società, ditta o ente, che risultino accertate al nome di persone fisiche, proporzionalmente agli investimenti della società, ditta o ente in Italia».
A questo articolo l’onorevole Dugoni ha proposto il seguente emendamento: Sostituire l’articolo con il seguente:
«Sono soggetti a questa imposta:
- a) le persone fisiche;
- b) gli enti collettivi che sono tassati di imposta di ricchezza mobile in base a bilancio».
Ha facoltà di parlare l’onorevole Dugoni:
DUGONI. Mi associo all’emendamento dell’onorevole Castelli Edgardo, che abbiamo redatto insieme e firmato questa mattina.
PRESIDENTE. Avverto che l’emendamento Castelli, sostitutivo dell’articolo, è il seguente:
«Sono soggette all’imposta straordinaria progressiva le persone fisiche.
«Gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale, secondo le norme del Titolo III». L’emendamento è firmato dagli onorevoli Castelli Edgardo, Scoca, Valiani, Dugoni, Pesenti ed altri. Si tratta, cioè, di un emendamento concordato tra le diverse parti dell’Assemblea.
Chiedo chi intende svolgere questo emendamento.
DUGONI. Rinunciamo a svolgerlo.
PRESIDENTE. Sta bene.
MARINARO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINARO. Onorevoli colleghi, mi sembra che questo emendamento mal si inquadri e direi, anzi, che non si possa inquadrare nel sistema della legge che stiamo approvando. Noi siamo in sede di convalida di un decreto legislativo; di un decreto, cioè, diverso da un decreto-legge, e voi già avete sentito accennare alla questione dall’onorevole Crispo, che l’ha sollevata con quella competenza che tutti gli riconosciamo.
Una cosa è il decreto legislativo, che presuppone una delega di poteri; una cosa è il decreto-legge, che consente una convalida davanti al Parlamento.
Ora, questa è una questione tanto discutibile, che domani potrebbe dar luogo a ricorsi davanti al Supremo collegio, con tutte le conseguenze che ognuno di noi può fin da questo momento prevedere.
È possibile, in questa sede, cambiare addirittura la natura del provvedimento che noi siamo chiamati ad emettere? Noi dobbiamo, tutt’al più, convalidare il decreto 29 marzo che ha già ottenuto la sua esecuzione. Si può dubitare che tutti quegli emendamenti proposti dalla Commissione di finanza e che hanno sostanzialmente inasprito il contenuto fondamentale del provvedimento fiscale siano legittimi o non legittimi; ma, indipendentemente da questa questione, io mi domando come si possa oggi, in questa sede, proporre una questione nuova, quella cioè…
PRESIDENTE. Onorevole Marinaro, mi pare che lei stia ponendo in sostanza una pregiudiziale.
MARINARO. Giungerò alla proposta di un ordine del giorno, onorevole Presidente.
PRESIDENTE. Allora mi corre l’obbligo di leggerle l’articolo 92 del Regolamento: «A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l’ordine del giorno puro e semplice, né alcun altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall’articolo 89».
MARINARO. Io dico questo, signor Presidente; che si tratta di un argomento del quale mi servo per giungere al rigetto dell’emendamento, per poi suggerire un ordine del giorno su cui chiederò la votazione dell’Assemblea.
Ora, dicevo, signor Presidente e onorevoli colleghi, che possiamo essere tutti d’accordo nel merito dell’emendamento proposto dagli onorevoli Castelli e Scoca, nel senso cioè che gli enti collettivi debbano essere anche tassati con un’imposta proporzionale; ma non è questa la sede opportuna. Io ritengo invece che il Governo debba provvedere con un disegno di legge a parte, con il quale venga disciplinata tutta la materia.
Mentre, quindi, mi oppongo all’emendamento presentato dagli onorevoli Castelli e Scoca, presento a mia volta un ordine del giorno così formulato: «L’Assemblea Costituente approva l’istituzione di un’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio a carico delle società e degli altri enti collettivi che svolgono un’attività economica produttiva di reddito di categoria B e dà mandato al Governo di predisporre il relativo provvedimento».
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. Confesso di essere alquanto sorpreso delle parole dell’onorevole Marinaro ed anche del fatto che qui non si discuta il testo di un progetto che riguarda gli enti collettivi che già è stato preparato. Debbo ricordare all’Assemblea che, discutendo questa legge, il Governo si era impegnato ad includere il problema della tassazione degli enti collettivi in questo provvedimento, per cui molti nostri voti erano condizionati a questa accettazione del Governo.
Noi abbiamo anche esaminato – e la Commissione ha pure esaminato – un progetto del Governo. Vi sono state riunioni, si è discusso degli enti che debbono o che non debbono essere tassati: io mi attendevo quindi che oggi la discussione venisse condotta su questo progetto e che gli oppositori svolgessero la loro opposizione in rapporto al progetto stesso.
Mi pare invece che oggi il Governo ci venga a dire: ieri ci siamo impegnati, oggi ritiriamo il nostro impegno e l’Assemblea faccia quello che vuole. Ora, francamente ciò mi pare poco corretto, perché se noi avessimo potuto prevedere questo, il nostro atteggiamento su alcuni articoli sarebbe stato diverso da quello che è stato. La nostra approvazione ad alcune soluzioni l’abbiamo concessa perché pensavamo che fosse già accettato il principio della tassazione degli enti collettivi. Ora il Governo pone di nuovo in discussione questo punto che sembrava già acquisito.
Se dovesse passare l’ordine del giorno Marinaro, io mi riservo di risollevare tutti quei problemi sui quali il nostro giudizio è stato quello che è stato, perché condizionato all’impegno assunto dal Governo, che ora verrebbe a mancare.
PESENTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PESENTI. L’ordine del giorno Marinaro non ha nessuna base…
PRESIDENTE. Infatti, non è proponibile.
PESENTI. L’Assemblea ha approvato già numerose variazioni al testo di legge presentato dal Governo, e, quando si è trattato dell’articolo 2, il Governo non ha fatto alcuna opposizione, ma ha soltanto chiesto che la discussione fosse rinviata, appunto perché si stava preparando un progetto che avrebbe colpito gli enti collettivi. D’altra parte, sorge proprio il dubbio a me che l’intervento di oggi dell’onorevole Marinaro sia dovuto forse a qualche pressione che io vorrei indicare – si scusi il dubbio – proveniente da qualche superiore di ufficio. Perciò io credo che l’ordine del giorno Marinaro sia intempestivo. Avrebbe dovuto essere svolto in altro momento.
PRESIDENTE. Debbo ripetere quello che ho già detto e cioè che l’ordine del giorno Marinaro non è ammissibile a norma dell’articolo 92 del Regolamento.
CRISPO. C’è l’articolo 87!
PRESIDENTE. Continui pure, onorevole Pesenti.
PESENTI. Confortato dal parere dell’onorevole Presidente dell’Assemblea, io chiedo che si discuta e si ponga in votazione appunto l’emendamento proposto dagli onorevoli Castelli, Scoca, Dugoni e da molti altri firmatari dell’emendamento che era stato proposto in un primo tempo da noi all’articolo 2; emendamento che noi ritiriamo.
Anche se il criterio dell’emendamento degli onorevoli Castelli, Scoca ed altri è leggermente diverso da quello che noi proponevamo, lo accettiamo, perché è il frutto di un accordo intervenuto fra l’onorevole Scoca, noi e altri presentatori di emendamenti.
PRESIDENTE. Onorevole Crispo, riferendomi ad una interruzione da lei fatta poco fa, le faccio osservare che è l’articolo 92 cui occorre richiamarsi.
L’articolo 87 dice, infatti:
«Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni.
Tali ordini del giorno sono votati prima che sia posto termine alla discussione generale.
L’ordine del giorno puro e semplice ha la precedenza di tutti gli altri ordini del giorno».
E quindi, nel caso, non è da applicarsi l’articolo 87, ma il 92.
CRISPO. Comunque, faccio osservare che se l’articolo 87 consente la presentazione di un ordine del giorno durante la discussione generale, poiché evidentemente noi non siamo più in questa ipotesi, non è consentito presentare un ordine del giorno.
PRESIDENTE. È giusto: entrambi gli articoli confermano l’inammissibilità dell’ordine del giorno Marinaro.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Desidero fare una osservazione in un certo senso in antitesi a quella dell’onorevole Scoccimarro, cioè fondata sul criterio opposto a quello da lui invocato.
Secondo il mio modesto parere, costituisce un serio inconveniente questa specie di generica divisione fra i componenti dell’Assemblea, fra coloro che sono al corrente delle segrete cose e coloro che le segrete cose ignorano. In linea di fatto, l’onorevole Scoccimarro afferma che dovrebbe rimettere in discussione una quantità di voti già dati da lui e dal suo Gruppo, in quanto molte disposizioni egli avrebbe votato col presupposto che il Governo avrebbe proposta una certa leggina o un completamento della legge attuale che, per chiamare le cose col loro nome, sarebbe puramente e semplicemente la proposta di una doppia imposizione.
Imperocché io non ho, astrattamente parlando, niente in contrario all’imposizione degli enti collettivi, ma ho invece una repugnanza molto precisa alla doppia imposizione. E volevo dire che, quando io ho votato tutte le aliquote che ho votato a carico delle persone fisiche, sono partito proprio dal presupposto che l’imposta sul cespite era quella, e non che ce ne sarebbe stata dopo un’altra sul medesimo cespite.
PRESIDENTE. Quindi voterà contro?
FABBRI. Non basta il fatto ch’io possa attenermi alla norma di votar contro: mi preme di chiarire che questa situazione logica opposta a quella dell’onorevole Scoccimarro è, secondo me, legittima da parte mia, poiché aveva a base il presupposto di un disegno di legge che è stato discusso, mentre invece l’onorevole Scoccimarro avrebbe avuto per presupposto una notizia di carattere riservato.
SCOCCIMARRO. Commissione di finanza! Non era riservata!
FABBRI. Questo ho voluto chiarire e poi integrerò le mie dichiarazioni in merito, se sarà il caso.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.
PELLA, Ministro delle finanze. Ho chiesto all’onorevole Presidente e chiedo alla vostra cortesia di poter dedicare qualche minuto al riepilogo di tutta questa complessa questione che stiamo per affrontare, soprattutto per dimostrare che da parte del Governo non vi è stata nessuna deviazione rispetto alle sue impostazioni iniziali del problema e rispetto agli affidamenti che ha avuto occasione di dare durante la discussione.
Non sarebbe la prima volta che dimostrazioni di buona volontà possono prestare il fianco a malintesi. Ricordo che durante il precedente Governo, quando si è discusso il decreto sull’imposta straordinaria del patrimonio, dinanzi alla Commissione parlamentare di finanza è stata sollevata per la prima volta la questione degli enti collettivi, questione che si è profilata in misura e con caratteristiche diverse da quella che era la questione così come considerata nella imposta patrimoniale del 1922. Poiché non sarà mai abbastanza ricordato – a scopo di chiarimento – che nella legge del 1922 vi erano, sì, degli enti collettivi tassati, ma questi non erano le società commerciali, non erano le Opere pie, non erano gli enti ecclesiastici; erano invece gli enti appartenenti ad una zona residuale, così come risultava dopo che si erano tolte le diverse esenzioni contemplate dalla legge. Nella Commissione parlamentare di finanza la questione si è presentata con carattere più ampio (ricordo che il precedente progetto dell’onorevole Scoccimarro in materia aderiva in sostanza alla linea della legge del 1922), in funzione di un duplice ordine di considerazioni. Da una parte considerazioni di natura scientifica che portavano ad affermare l’esistenza di una capacità contributiva degli enti collettivi indipendente, separata capacità contributiva che si affianca o magari si sovrappone a quella della singola persona fisica appartenente a quel determinato ente collettivo. Dall’altra parte, una considerazione d’ordine empirico, se così vogliamo chiamarla, determinata dalla preoccupazione che attraverso al frazionamento – e qui si mirava soprattutto alle società azionarie – dei titoli fra molte mani, potesse avvenire che larghe zone del patrimonio di queste società finissero per non subire il peso dell’imposta, in quanto afferenti a titolari di patrimoni inferiori al minimo imponibile.
Innanzi a questo duplice ordine di considerazioni, il Governo di allora, in persona del Ministro del tempo, ed anche in persona del Sottosegretario di allora che oggi ha l’onore di parlarvi, eccepì soprattutto, per quanto riguardava la teoria della capacità contributiva delle società, indipendente dalla capacità contributiva del singolo, che questa rappresentava un concetto su cui neppure la dottrina era concorde, ma che malamente sarebbe stata assimilata dalla opinione pubblica. Infatti, se è vero che esiste per le grossissime società la posizione dell’azionista che si sente distante dalla società e che quindi non sentirebbe soggettivamente una duplicazione se si tassasse contemporaneamente, ad esempio, il patrimonio della società e quello dell’azionista, per le azioni possedute, questo certamente non avviene per la zona delle medie e piccole società, nelle quali sarebbe vivamente sentita la doppia imposizione. Sorse quindi la difficoltà di trovare una soluzione pratica, di trovare un limite di demarcazione al di là del quale non sarebbe stato necessario procedere a un procedimento di compensazione nella tassazione rispettiva delle società e dei singoli. Nel corso delle discussioni affiorò il concetto dell’opportunità di impostare il problema sotto un altro aspetto. Vi era da tempo sul tappeto un problema di tassazione delle rivalutazioni delle società commerciali, problema sorto in dipendenza del processo di svalutazione monetaria iniziatasi nel 1940 e, speriamo, definitivamente concluso.
Or bene, attraverso a queste svalutazioni monetarie si sono create, nel patrimonio delle società, determinate plusvalenze rispetto a impostazioni di bilancio. Questo plusvalenze rappresentano in molti casi una parte preponderante del patrimonio sociale, per cui impostare il problema della tassazione delle rivalutazioni significava impostare quello di una tassazione suppletiva del patrimonio delle società commerciali e industriali. Ritenne il Governo del tempo che fosse via più tecnicamente corretta procedere alla tassazione di tali rivalutazioni con questo criterio: il complesso delle rivalutazioni, delle attività di bilancio porta, con l’applicazione di determinati coefficienti, su cui naturalmente lungo potrebbe essere il discorso, al manifestarsi di un valore dell’attivo largamente superiore a quello risultante dalle impostazioni di bilancio. Questo valore, che rappresenta la plusvalenza conseguente al variato metro monetario dei beni rispetto alla impostazione di bilancio, grosso modo può avere una triplice origine: o sono beni che dipendono dall’investimento di un capitale proprio della società ed in tal caso il maggior valore dei beni dipendente dalla svalutazione monetaria non è che il corrispettivo della rivalutazione del capitale versato dagli azionisti o delle riserve palesemente costituite e che già hanno scontato l’imposta. In questo caso ci troviamo non davanti a un incremento reale, ma davanti a un incremento puramente nominale. Questa zona di rivalutazione avrebbe dovuto essere colpita con criteri più moderati ed in relazione all’uso che la società avesse inteso di farne. Ma vi sono altre due zone di rivalutazione dell’attivo, le quali hanno una fisionomia tutta diversa, perché o dipendono dall’investimento in beni reali di capitali presi in prestito dalla società, o dipendono dall’investimento di riserve occulte della società. Nel primo caso, si tratta di investimento di danaro preso a prestito in lire buone e restituito in lire meno buone e pertanto la rivalutazione riguarda e costituisce un incremento reale che la società ha potuto conseguire a spese dei propri debitori; nel secondo caso trattasi di conversione in riserve palesi di quelle che erano riserve occulte. Nell’uno e nell’altro caso, secondo il sistema tributario attuale ci troviamo davanti a incrementi patrimoniali, che ancora non hanno sopportato un tributo né in via ordinaria né in via straordinaria. Questa, ad avviso del Governo di allora, era la zona su cui effettivamente si sarebbe potuto prelevare un tributo senza incappare nella eccezione della doppia imposizione. Ed era per questo che il Governo di allora assunse l’impegno di presentare un provvedimento che colpisse le rivalutazioni. Questo concetto fu accolto dalla Commissione di finanza a maggioranza e la Commissione all’unanimità invitò il Governo a presentare il progetto. Sopravvenuta la crisi, ho avuto l’onore di consegnare in via breve alla Commissione parlamentare il testo del progetto che era stato allora elaborato. La mia consegna aveva esclusivamente questo scopo: di dare la dimostrazione documentale che l’affermazione della esistenza di un progetto corrispondeva a verità. Successivamente le conversazioni attorno alla tassazione degli enti collettivi ripresero e molti contatti ebbero luogo fra Governo, Commissione parlamentare e Comitato ristretto della Commissione parlamentare. Dimostrazione di buona volontà da parte del Governo, non impegni in senso costituzionale da parte del Governo, il quale subito fin dall’inizio, affermò che qualora l’Assemblea avesse fatto prevalere il concetto della tassazione degli enti collettivi, il Governo avrebbe dato tutta la sua collaborazione affinché questo concetto ricevesse l’espressione concreta in sede legislativa la più sollecita possibile. Ed è in questo senso che fu predisposto anche un progetto di tassazione degli enti collettivi, che è stato nella sua dizione definitiva consegnato stamane, sempre in via breve e con lo stesso significato, alla Commissione parlamentare di finanza. Il nuovo progetto parte dal concetto di applicare una moderata aliquota con criterio proporzionale su tre categorie di enti collettivi: le società azionarie, le società di persone (accomandita semplice e collettiva), gli enti morali che svolgono una attività lucrativa.
In questo progetto si è avuto cura di esentare dal tributo tutto ciò che non significasse attività lucrativa, intesa questa attività come quella che appartiene alla zona della categoria B, in sede di imposta di ricchezza mobile, cioè il settore dell’attività industriale e commerciale. Sono escluse quindi le società immobiliari e gli enti possessori di un patrimonio immobiliare, in quanto proprio in questo campo occorre ricordare le osservazioni già fatte, che la tecnica dell’applicazione della legge sull’imposta straordinaria porterà a valutazioni così drastiche per cui il settore immobiliare, appartenga esso ai contribuenti individuali o ad enti collettivi, non potrebbe sopportare una tassazione suppletiva.
Diversa è la posizione nel settore dell’economia industriale e dell’economia commerciale. Qui difficilmente troveremmo ragioni di ordine sistematico, di ordine scientifico per superare l’eccezione della doppia imposizione. Però, se discendiamo dalla sfera del sistema e della teoria pura, per prendere contatto con quella realtà che tante volte è meno simpatica di come vorremmo trovarla, ma rappresenta una fatalità di cui dobbiamo tener conto, un duplice ordine di considerazioni è possibile di fare:
1°) io non so se sia vero – ma potrebbe anche esserlo – che nonostante la buona volontà del legislatore, nonostante la buona volontà dell’organo esecutivo, la tassazione del settore terriero e quella del settore edilizio finiscono per essere fatte in modo più rigoroso di quello che si segue per la tassazione del settore industriale e del settore commerciale. Se questo fosse vero (e lo abbandono al vostro giudizio), la tassazione suppletiva degli enti collettivi per questa zona avrebbe una funzione di integrazione dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio;
2°) (ragione di ordine pratico). Si tratta di una zona che certamente ha conseguito dei redditi negli anni scorsi, redditi che si è cercato di colpire con i tributi ordinari e con i tributi straordinari. La buona volontà dei Ministri che si sono succeduti (e non può essere messa in dubbio la buona volontà di eminenti colleghi che mi hanno preceduto) ha cercato in tutti i modi di colpire queste zone con l’imposta sul reddito, ma la tecnica dell’accertamento, ben nota agli onorevoli colleghi, arriva con un certo ritardo a colpire queste zone di reddito. Perciò questa tassazione degli enti collettivi potrebbe rappresentare una seconda volta uno strumento di perequazione, che consentirebbe di assorbire, attraverso un tributo sul capitale, quanto per avventura non è stato assorbito con lo strumento dell’imposta suo reddito. Per questo ritengo che, qualora l’Assemblea accedesse all’ordine di idee della tassazione degli enti collettivi, si potrebbero forse sottolineare queste due ragioni di ordine pratico che permetterebbero di superare quella eccezione di duplicazione, che certamente rende perplessi parecchi degli onorevoli colleghi.
Se si accede all’ordine di idee della tassazione degli enti collettivi con questo tributo proporzionale addizionale, io pregherei l’Assemblea – ed in tale senso è il progetto predisposto dal Governo – di aggiornare la disciplina delle rivalutazioni.
Voi sapete che la disciplina attuale presta il fianco a critiche ed osservazioni. Oggi ci troviamo davanti a possibilità di rivalutazioni secondo coefficienti che presuponevano il dollaro al cambio di cento lire. Ma sovratutto – secondo ordine di critiche – l’attuale disciplina aveva lasciato la porta aperta alla utilizzazione di residui di valutazione, secondo le leggi monetarie del 1927 e del 1936, senza obbligo di pagare alcun tributo, alcun pedaggio fiscale; poiché il venticinque per cento oggi esistente, non riguarda i residui di rivalutazione ancora possibili rispetto alle leggi monetarie del 1927 e del 1936. Evidentemente di tutto questo non può essere fatta colpa al Governo in carica, il quale però si è preoccupato e di chiudere questa porta e di dare una disciplina più aggiornata alle possibilità di rivalutazione, secondo l’attuale corso del dollaro, 225.
Ed è per questo che troverete nel progetto alcuni articoli che autorizzano ad adeguare le poste dell’attivo secondo un coefficiente di rivalutazione, che è ragguagliato al dollaro 225, ma entro il limite invalicabile della rivalutazione del capitale proprio e delle riserve palesi delle società, affinché queste rivalutazioni siano veramente e soltanto quelle, che economicamente rappresentano ombra e non cosa certa. Nessuna possibilità di rivalutazione per l’attivo eccedente la rivalutazione del capitale sociale e delle riserve, perché in questo caso noi creeremmo una zona di franchigia per la successiva applicazione dell’imposta di ricchezza mobile – categoria B. Per la rivalutazione, contenuta in questi limiti, noi contempliamo, qualora siano utilizzate in aumento di capitale, il pagamento di un altro quattro per cento. Però l’utilizzo ad aumento di capitale non può avere luogo sotto forma di azioni gratuite; può aver luogo soltanto sotto forma di aumento del valore nominale delle azioni. I tecnici della materia, che conoscono i riflessi psicologici della consegna d’un nuovo titolo, afferrano tutta la portata di questa limitazione. Ed affinché non si verifichi che, dopo aver tenuto un’assemblea, che aumenta il valore nominale, un’altra se ne possa tenere che deliberi il frazionamento dei titoli, si stabilisce che, per la durata di un anno, non possa aver luogo il frazionamento dei titoli, aumentati in dipendenza della rivalutazione.
Queste le linee generali del progetto.
Ora, onorevoli colleghi, un Governo che ha predisposto i due progetti – l’uno per la tassazione delle rivalutazioni; l’altro per la tassazione degli enti collettivi – io penso che debba essere dispensato da un giudizio severo, penso che gli si possa dare il riconoscimento di una buona volontà dimostrata per apprestare tutto il materiale necessario e sufficiente per dar seguito alla volontà dell’Assemblea.
La scelta dell’una, piuttosto che dell’altra strada, è di competenza dell’Assemblea.
Per queste considerazioni, che si riallacciano al senso di ossequio e di deferenza che il Governo ha verso l’autorità dell’Assemblea, attendiamo da voi, onorevoli colleghi, di sapere qual è la strada preferita. Una volta fatta la scelta, il Governo sarà a completa disposizione, perché gli articoli relativi trovino una immediata inserzione nel disegno di legge che stiamo discutendo. (Applausi al centro).
SCOCCIMARRO. Vorrei chiedere all’onorevole Ministro se il Governo ha una sua opinione in merito. Quale delle due vie preferisce seguire?
PELLA, Ministro delle finanze. Ritengo di aver risposto già in precedenza. Il Governo ritiene di non dover esprimere un suo pensiero ufficiale sulla questione di massima. Esso però ha dato la dimostrazione di esser pronto a seguire l’una e l’altra via. Non è a questa Assemblea che si possa fare il torto di desiderare di essere scaricata da questa responsabilità. Sono sicuro che l’Assemblea questa responsabilità della scelta l’assume volentieri. (Applausi al centro – Rumori a sinistra).
SCOCCIMARRO. Il Governo non è un organo tecnico; è organo politico e deve portare qui il suo giudizio sulla opportunità di scegliere l’una o l’altra via.
Una voce a destra. La terza via!
SCOCCIMARRO. La terza via è di non far niente. (Rumori al centro).
DUGONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Ho chiesto la parola proprio per esprimere la mia meraviglia e la meraviglia del nostro gruppo di fronte alla posizione presa dal Governo nel problema della tassazione degli enti collettivi. La parte storica, che è stata presentata così abilmente dal Ministro Pella, prova – se ce ne fosse bisogno – quale deviazione continua ci sia stata nel pensiero del Governo in questa materia. Il Governo prima ci ha parlato di tassazione delle rivalutazioni, poi si è venuti al concetto di tassare gli enti nell’ambito della legge sulla imposta patrimoniale. Ieri, di nuovo, ci siamo trovati di fronte ad un brusco voltafaccia del Governo, che ha detto all’Assemblea che non aveva più nessun pensiero. Cioè noi dobbiamo pensare che il Governo, che dovrebbe essere alla testa della Nazione, di fronte ad un problema così grave come quello della tassazione degli enti collettivi non ha un proprio pensiero. Mi chiedo se questo è un Governo o cosa è. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).
Una voce a sinistra. Non è un Governo. (Rumori al centro).
EINAUDI, Vicepresidente del consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Io mi associo completamente alle dichiarazioni che ha fatte il mio collega delle finanze (Commenti a sinistra) intorno ai propositi del Governo di lasciar libera l’Assemblea sulla decisione che deve prendere in questa materia delicata. Credo che parecchi dei miei colleghi abbiamo già compreso che le esitazioni che esistono su questo banco in materia di tassazione degli enti collettivi e di tassazione delle rivalutazioni rimontano alla mia persona e io ho il dovere di dire all’Assemblea le ragioni delle mie esitazioni e dei miei dubbi; libera l’Assemblea di dare il giudizio che riterrà in proposito opportuno. Credo utile che l’Assemblea conosca i motivi di questa mia esitazione.
Se avessi potuto in qualche modo persuadermi che la tassazione degli enti collettivi, in questa sede, ha un qualche fondamento, non avrei dubitato. Se io esito, in questa materia, è perché le argomentazioni che sono state presentate qui ed altrove, sono argomentazioni le quali – ai miei occhi – non hanno valore.
Non da oggi io sono di questa opinione: da decenni ho sempre combattuto la tesi avversaria. Mancherei quindi al mio dovere morale se, in questo momento, io non esponessi, per lo meno, la mia opinione.
Quali sono le ragioni dei miei dubbi in questa materia?
Una voce a sinistra. La Confindustria!
EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Non la Confindustria, perché non esisteva, quando trenta anni fa io cominciai a scrivere in questa materia. E credo che molti in quest’Aula sanno che le mie opinioni non derivano da nessuno. (Vivi applausi al centro). In questa materia sono persuaso che non bisogna ascoltare nessuno, salvo la propria coscienza.
Ora, quali sono le ragioni che sono state addotte, a favore della tassazione degli enti collettivi?
Ve ne è una che credo che in quest’Aula non sia stata ancora ricordata; una motivazione che ha avuto un’enorme diffusione in molti paesi stranieri e si intitola al nome dell’economista forse più celebre dei tempi moderni, il Keynes.
Secondo questa concezione, gli enti collettivi – sopratutto le società per azioni – dovrebbero essere tassati a parte, nei paesi dove li tassano, allo scopo di impedire ad essi di accumulare riserve esenti da imposte.
La argomentazione non è valida legalmente per il nostro paese, in quanto che – come tutti sanno – l’imposta di ricchezza mobile non colpisce il reddito distribuito agli azionisti, ma colpisce invece l’intero reddito prodotto, sia esso distribuito, sia esso mandato a riserva.
In altri paesi, dove il reddito tassato è il reddito distribuito, c’è una falla nella tassazione: non è invero soggetta all’imposta normale, quella che si chiama qui in Italia l’imposta di ricchezza mobile, la somma mandata a riserva. Epperciò, in quei paesi si dice che occorre istituire una imposta speciale per le società per azioni, allo scopo di tassare le somme mandate a riserva, e si ritiene che ciò debba accadere perché si crede – da coloro che sono fautori di questa norma – che il mandare somme a riserva, ossia il fare un risparmio di carattere societario collettivo, sia uno dei delitti capitali della società moderna. Si ritiene da costoro che le crisi economiche, che ogni tanto si verificano nel mondo, siano dovute all’eccessivo risparmio.
Io non voglio giudicare se questa teoria o tesi sia vera o falsa. È un qualche cosa che non ci interessa, né dal punto di vista giuridico, perché la nostra legge d’imposta tassa già le somme mandate a riserva; né dal punto di vista economico, poiché nessuno dubita qui, in questa Assemblea, che nel momento presente e nel nostro paese il mandare somme a riserva, il risparmiare non sia una delle necessità più impellenti del momento. È necessario mandare somme a riserva, allo scopo di compiere la ricostruzione di ciò che è stato distrutto dalla guerra.
Discuteremo dopo, discuteranno coloro che saranno qui fra quattro o cinque anni, quando tutto sarà ricostruito in Italia, discuteranno allora, essi, se sia conveniente favorire o non favorire il risparmio e mandare somme a riserva. Credo che nel momento presente la questione sia di fuori dalla realtà, ché oggi nessun dubbio può sussistere che, se una scelta deve essere fatta verso l’incoraggiare o lo scoraggiare il risparmio e l’inviare somme a riserva, il dubbio deve ricevere soluzioni nel senso per lo meno di non scoraggiare.
Una tassazione, quindi, la quale si fondi su questo motivo, non si può dire abbia un fondamento logico e reale, oggi.
Un secondo motivo che può spiegare una tassazione particolare degli enti collettivi fu già ricordato in questa seduta da parecchi oratori ed anche dal mio collega delle finanze; e consiste in una asserita maggiore capacità contributiva delle società per azioni, in confronto alle imprese private individuali ed anche alle imprese collettive minori.
Ciò è esatto. Nessuno si sognerebbe infatti di costituire una società per azioni, se cosiffatta maniera di società non fosse lo strumento utile per poter incrementare il reddito di coloro che attendono ad operazioni economiche. Se questo non fosse il risultato previsto, la costituzione di una società per azioni sarebbe un qualche cosa di veramente irrazionale.
La premessa è dunque indiscutibile: ma, da questa premessa, che cioè la società per azioni sia uno strumento di produzione di maggior reddito, non discende l’illazione che le società per azioni possano essere soggette a tassazioni particolari. Se è vero, come io ritengo che sia vero, ove le cose procedano razionalmente, che l’effetto è quello sopra enunciato, questo effetto che le società per azioni hanno di incrementare il reddito o di incrementare il patrimonio netto delle società, trova necessariamente la sua espressione visiva nel reddito delle azioni appartenenti agli azionisti e nel valore – e noi qui particolarmente guardiamo ai valori patrimoniali – nel valore, dicevo, delle società stesse.
La argomentazione serve quindi soltanto a dimostrare che il valore capitale delle azioni ammesse alla società per azioni o il valore capitale delle carature delle altre società, viene ad incrementarsi appunto per la capacità di reddito che hanno le società. Ma questo eventuale maggior valore capitale noi lo tassiamo già con la imposta progressiva sul patrimonio degli azionisti. La tassazione ulteriore degli enti collettivi sarebbe evidentemente, se dovuta a questo motivo, un bis in idem.
Una terza argomentazione che anche qui è stata ricordata – ed è un’argomentazione pratica, concreta – è quella che si riferisce alla maggiore possibilità che hanno i patrimoni mobiliari, che sono soprattutto quelli dai quali traggono vita le società per azioni, di essere sottovalutati ai fini dell’imposta patrimoniale progressiva, in confronto ai patrimoni immobiliari terrieri od edilizi.
Si dice cioè: ciò che in pratica succede è che i patrimoni consistenti in terreni ed in case sono valutati, ad esempio, cento e l’imposta patrimoniale progressiva straordinaria li colpisce su cento, mentre invece i patrimoni mobiliari sono tassati soltanto, di fatto, a causa dell’imperfetto funzionamento del nostro sistema tributario ordinario, su qualche cosa di meno di cento, supponiamo su 70 o 80.
È quindi corretto che vi sia questa speciale imposta sugli enti collettivi, la quale ripari alla, per così dire, dimenticanza della finanza in sede di imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. È un espediente che si adotta allo scopo di raggiungere la parità di trattamento tra i contribuenti immobiliari e i contribuenti mobiliari.
Alla tesi io contrappongo qualche osservazione che, ripeto, credo sia anch’essa concreta. Se la tesi è valida, essa vale per tutti i contribuenti mobiliari, e non soltanto per quei contribuenti i quali hanno la forma della società per azioni o delle altre società che sarebbero tassate in sede di tassazione particolare degli enti collettivi. Se la argomentazione è valida, essa si riferisce anche ai commercianti e agli industriali individuali, alle imprese individuali e, anzi, si riferisce con tanto maggior ragione a questi, poiché, se c’è una qualche sperequazione, la sperequazione opera massimamente a vantaggio dei contribuenti individuali, i quali non sono soggetti a quegli obblighi di tenere libri, di compilare bilanci, ecc., che sono certamente, nel campo delle società per azioni, un aiuto per la finanza per conoscere meglio il reddito imponibile e i valori capitali.
L’argomentazione è dunque troppo ampia perché possa essere applicata soltanto ad un gruppo di contribuenti. L’argomentazione porterebbe a stabilire un’altra imposta, la quale, per controbilanciare il maggiore peso della tassazione dell’imposta straordinaria progressiva sui patrimoni immobiliari, colpisca con un supplemento ulteriore i patrimoni mobiliari. Io non so se l’Assemblea voglia porsi su questa via; e prima di porsi su questa via, io desidererei che essa riflettesse un poco a ciò che è il significato morale dell’argomentazione medesima. In sostanza, quando noi diciamo: «Tu contribuente frodi la finanza, poiché la tua tassazione è fatta su basi più basse di quelle sulle quali sono fatte le tassazioni dei contribuenti proprietari di terreni e di case; e frodando tu la finanza, perché sei tassato o collabori a questa minore valutazione della tua sostanza, tu frodi, se non intenzionalmente, almeno di fatto; e poiché tu frodi noi ti facciamo pagare una seconda volta o ti facciamo pagare il 10 invece che il 5 percento, il 20 invece del 10 per cento», noi veniamo a legittimare la frode. Non è morale, non è onesto dire ad un contribuente: «Tu sei frodatore; e poiché sei frodatore, io aumento l’aliquota d’imposta a tuo carico»: poiché il contribuente che si sente fare questo discorso ha diritto di dire: «Tu, Stato, legittimi la mia frode, perché la accogli già fin dal principio; poiché già fin dall’inizio ammetti, riconosci, sovratassandomi in maniera che sarebbe ingiusta se io non frodassi, che io sia tassato su una base minore di quello che non sia la base degli altri contribuenti». I contribuenti possono replicare: «Fa il tuo dovere, tu, finanza: accerta l’intiero reddito o l’intiero valore, ma non parlare di frode, non legittimare la frode; non falsare il sistema tributario; non aumentare a torto le aliquote, le quali possono colpire anche i contribuenti che, pur trovandosi nella medesima mia categoria, sono stati tassati sull’intiero valore del loro patrimonio».
Io credo, quindi, che questa sia un’argomentazione pericolosa. Lo abbiamo visto di fatto in altre circostanze quanto sia pericolosa la argomentazione dell’aumentare le aliquote delle imposte per taluni contribuenti, perché si suppone essi frodino la finanza. Essa ha portato ad esagerazioni di enormi aliquote a carico di certi contribuenti nelle categorie B e C, dell’imposta di ricchezza mobile, perché i contribuenti di categoria D, ossia i dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici, dicevano sempre: «Noi paghiamo l’imposta di ricchezza mobile sull’intero ammontare del nostro stipendio. Neppure una lira del nostro stipendio sfugge all’imposta». (Interruzioni a sinistra).
GULLO FAUSTO. Onde una aliquota minore e una presunzione di frode dello Stato rispetto ai professionisti.
EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Lo Stato, appunto in considerazione di questa presunzione di frode fatta a carico dei professionisti, e non solo a carico dei professionisti ma anche degli impiegati privati e degli industriali e dei commercianti privati, ha aumentato sempre di più l’aliquota e l’ha aumentata in maniera scorretta, perché io dico che, se i contribuenti fanno il loro dovere, l’aliquota che colpisce i professionisti dovrebbe essere minore di quella che colpisce gli impiegati, ché il reddito degli impiegati è un reddito, a parità di somme (qui si parla sempre a parità di somme), costante che si percepisce in tutti i mesi dell’anno, che può essere riscosso anche durante i mesi di malattia e può dar luogo a pensioni…
Una voce a sinistra. Pensioni di fame!
EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. …mentre il reddito dei professionisti è incostante, non si percepisce in tempi di malattia e non si ottiene quando si è vecchi e si deve abbandonare il lavoro. Quindi, se si volesse fare giustizia vera, se l’aliquota dell’imposta sugli impiegati è dell’8 per cento, l’aliquota dell’imposta sui professionisti dovrebbe essere del 4 per cento, non del 16.
Io ricordo che tanti anni fa (credo che l’onorevole Corsi si sia recentemente ricordato di queste mie dimostrazioni) ho sostenuto la tesi che per togliere di mezzo questo argomento, il quale faceva sì che le aliquote dell’imposta di ricchezza mobile a carico delle categorie dei professionisti e degli industriali fossero aumentate troppo, occorreva esentare gli impiegati dello Stato da ogni e qualsiasi imposta di ricchezza mobile, così da togliere occasione al ripetersi di questo argomento. Ed ho avuto la soddisfazione, che per altre ragioni (ed anche allora dicevo che il momento di introdurre l’immunità degli stipendi degli impiegati pubblici dall’imposta sarebbe venuto quando si fosse dovuto aumentare il loro stipendio) il presente governo ha esentato i redditi degli impiegati, dando ad essi praticamente un aumento di stipendio. L’imposta sui redditi degli impiegati era del resto pura forma, non sostanza. Tutti gli impiegati sapevano fino a ieri che quando ricevevano uno stipendio di cento lire, non ricevevano cento lire ma 92 lire e nessuno si occupava del lordo. Dovendosi aumentare lo stipendio, è stato meglio abolire la ricchezza mobile e togliere così l’imbarazzo di una infinità di scritturazioni contabili che non rendevano un centesimo allo Stato, aumentavano il malcontento degli impiegati, e fornivano causa ad aggravamenti odiosi e dannosi di imposta a carico di altre categorie di contribuenti.
L’argomento della differenza di severità nell’accertamento non può dunque essere invocato, perché è un argomento che in materia di finanza non è morale. La finanza se vuole dare buoni risultati economici, se vuole condurre le imposte al massimo di rendimento, deve soprattutto osservare principî morali, non deve basarsi su ipotesi e presunzioni di frode da parte del contribuente. La finanza deve procedere dritto, tassare il contribuente per quello che ha e punirlo il giorno in cui scopre che egli ha occultato una parte del suo reddito. E le punizioni devono essere esemplari, non soltanto costituite da multe, le quali possono essere anche obliterate e condonate.
L’argomento fondamentale a proposito della tassazione degli enti collettivi è però, in sostanza, tolto di mezzo questo preliminare apparato ingombrante di falsi ragionamenti, quello delle rivalutazioni.
Nell’attuare la perequazione tra i contribuenti, si possono adottare avvedimenti utili a facilitare il calcolo del reddito. Si possono adottare criteri di stima fondati sul reddito medio, su coefficienti presuntivi; ma debbono essere criteri e coefficienti uguali per tutti.
In questo argomento delle rivalutazioni c’è qualche cosa che è serio e qualche cosa che serio non è.
Rivalutazioni: che cosa vuol dire? Se una legge dello Stato dicesse ad esempio che il metro è lungo 10 centimetri soltanto, il legislatore avrebbe perfettamente ragione di dire ciò: è in suo arbitrio di dirlo. Improvvisamente, ad esempio, io che sono alto 1,67 di altezza diventerei alto 16 metri e 70.
Sarebbe questa una buona ragione perché qualcuno mi dicesse: dammi una parte di quello che ti avanza, dell’incremento di altezza tua; dammi un pezzo di piede, dammi la testa? Tutti vediamo che questa è un’argomentazione priva di valore. Or bene, in tema di rivalutazioni bisogna distinguere fra ciò che è apparenza e ciò che è realtà. C’è dell’apparenza e c’è della realtà. Comincerò a dire ciò che è apparenza per passare poi a quello che è realtà.
L’apparenza è il cambiamento di nome monetario dato alle stesse cose che erano possedute dagli enti, sia privati che collettivi. Non c’è a questo riguardo nessuna differenza fra enti privati e collettivi. Siamo qui in materia di enti collettivi e si discorre di enti collettivi, ma l’argomentazione è valida per tutti. Quando una macchina, supponiamo una rotativa, la quale un tempo poteva essere acquistata per un milione di lire, in virtù della svalutazione monetaria viene a valere 100 milioni, io dico che qui c’è una variazione puramente nominale: non c’è nessuna variazione sostanziale nel patrimonio del contribuente; è la stessa rotativa che adempie ai medesimi fini di prima e che ha un altro nome monetario. È lo Stato il quale ha variato il metro monetario e invece di adoperare una lira lunga adopera una lira corta per misurare i valori e adoperando una lira corta quelle stesse attività patrimoniali le quali valevano uno vengono poi a valere venti, trenta, cinquanta e anche cento a seconda dell’epoca alla quale possiamo far risalire la variazione del metro monetario.
Se ci riferiamo all’ultima guerra diremo che il coefficiente sarà, ad esempio, 40; se ci riferiamo all’epoca anteriore al 1914 diciamo che il metro monetario è una centesima parte, o anche meno, di quello che era prima. Questa variazione monetaria è puramente nominale, apparente, e non muta nulla alla ricchezza ed alla capacità contributiva del contribuente. Ma, appunto per questo, una tassazione delle rivalutazioni apparenti del patrimonio proprio del contribuente – mi riferisco a tutti i contribuenti in generale – è senza fondamento logico, senza fondamento economico.
CRISPO. Intanto l’abbiamo già votata.
EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Quella che ha fondamento è un’altra rivalutazione: una diversa rivalutazione. Vi ha già accennato il mio collega delle finanze. Supponiamo che, invece di lavorare con capitali proprî, il contribuente abbia lavorato con capitali altrui presi a prestito; supponiamo che la stessa azienda giornalistica che aveva comperato la rotativa per un milione di lire tanti anni fa, l’avesse acquistata contraendo un debito di un milione di lire: adesso, quell’azienda giornalistica si trova a possedere una rotativa la quale vale cento milioni. Ma poiché il capitale con cui aveva comperato la rotativa non era suo – era di un altro – quel contribuente ha ottenuto un vero guadagno. Qui c’è una rivalutazione non apparente, ma una rivalutazione effettiva, una rivalutazione reale. E questa è vera materia di imposta: c’è un guadagno effettivo, un arricchimento sostanziale in confronto al patrimonio reale precedente.
Distinguiamo perciò tra quelle che sono le rivalutazioni nominali apparenti e quelle che sono le rivalutazioni reali, perché si riferiscono a beni che sono stati comperati prendendo a prestito la somma. In questo caso, giustizia astratta, piena, che cosa vorrebbe? Vorrebbe che i 99 milioni di differenza che sono stati appropriati dall’azienda giornalistica che ha comperato, facendo dei debiti, quella rotativa che oggi vale 100 milioni, fossero restituiti ai legittimi proprietari, ai creditori che hanno dato il danaro a prestito.
Il problema si è presentato infinite volte. Anche dopo la prima guerra mondiale si era presentato, sopratutto nei paesi a larga svalutazione come la Germania; non solo è stato discusso, ma ha dato luogo a provvedimenti legislativi di restituzione parziale a coloro che erano stati danneggiati dalla svalutazione monetaria. Bisogna riconoscere che in questa materia è molto difficile, quasi impossibile, nella maggior parte dei casi, andare rintracciando quei tali creditori i quali avevano dato a mutuo la somma al debitore che si è in questa maniera arricchito. Se si trattasse di transazione recentissima, la restituzione sarebbe pensabile; ma se si tratta di transazione non recentissima, il margine di errore sarebbe molto grande. Quando il tempo trascorso è lungo, l’arricchimento è avvenuto a carico di creditori che sono morti, che hanno venduto le ragioni di credito; ci sono stati trapassi per cui resta quasi impossibile rintracciare il vero danneggiato. In questo caso può intervenire lo Stato e dire: in questa materia di rivalutazioni sostanziali c’è un vero lucro, c’è un vero arricchimento di taluni contribuenti; non potendo andare a rintracciare e conoscere coloro i quali sarebbero i veri proprietari della somma che è andata a favore di taluni e a danno di altri, io, Stato, mi approprio di una parte dell’arricchimento. Orbene, qui mi tocca ricordare un’altra massima fondamentale tributaria: se le imposte vogliono essere imposte giuste, imposte corrette, non solo devono soltanto colpire tutti gli arricchimenti, solo e tutti gli arricchimenti effettivi e sostanziali, ma li devono colpire quando essi siano realizzati. È la massima fondamentale della nostra imposta di ricchezza mobile fin dal 1864; è la massima sulla quale riposa tutta la tassazione mobiliare, cioè tassare i redditi, gli arricchimenti che abbiano trovato la loro realizzazione. Se invece andiamo in un altro ordine di idee e tassiamo gli arricchimenti quando essi sono soltanto in potenza, ma non sono stati ancora realizzati, noi diamo la materia tributaria in pasto all’arbitrio; noi tassiamo soltanto la possibilità astratta che in avvenire, vendendosi quei cespiti imponibili, il contribuente realizzi un lucro.
Tutta la nostra legislazione, tutta la nostra giurisprudenza è informata al concetto di tassare questi arricchimenti, ma quando essi si siano realizzati. Cercare un’altra via sarebbe come dire: oggi i prezzi sono tali e tu ti sei arricchito, ma domani i prezzi possono essere diversi, possono essere ribassati, e tu, che non hai venduto, invece di aver guadagnato, hai perduto; ma noi siamo stati accorti e ti abbiamo tassato per tempo, aggiungendo un’altra perdita a quella che ti apprestavi a subire.
Se si tratta di queste rivalutazioni, la nostra legislazione vigente provvede già. È infatti pacifica giurisprudenza nel nostro sistema di imposte di ricchezza mobile che i maggiori prezzi che sono stati ottenuti formino materia di tassazione quando ci sia realizzo, e tutti sappiamo che l’imposta di ricchezza mobile non ha la mano leggiera nelle aliquote.
Possono, oltre alla appropriazione delle rivalutazioni da debiti, esservi altre ragioni di rivalutazioni effettive: da situazioni monopolistiche o da circostanze transitorie, le quali abbiano fatto aumentare il valore di singoli cespiti al di sopra dell’aumento mediamente dovuto alle svalutazioni. Trattasi, a parer mio, di cose non grosse dal punto di vista fiscale; ma in ogni caso ad esse provvede già l’imposta di ricchezza mobile. Riassumendo, la tassazione degli enti collettivi non riposa su alcun fondamento di ragione, o per quel che in essa vi è di corretto fiscalmente, ad essa provvede già pienamente la nostra imposta di ricchezza mobile, che a torto si dimentica, quasi che dal 1844 in poi essa non consentisse di tassare tutti i redditi e tutti gli arricchimenti meritevoli di tassazione.
Questi sono i dubbi che mi hanno angustiato in questi giorni, e mi hanno indotto di esporli all’Assemblea. Era mio dovere esporli, affinché l’Assemblea possa pronunciare il suo giudizio dopo aver ascoltato tutte le argomentazioni pro e contro. Ed è naturale che io mi associ pienamente alle dichiarazioni del collega Ministro alle finanze nel dire che, qualunque sia la deliberazione che vorrà prendere l’Assemblea, io, pur mantenendo la validità, quando non sia confutata da nuove argomentazioni a me ignote, delle mie critiche, mi inchinerò ad essa. (Vivi applausi al centro).
VALIANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VALIANI. Onorevoli colleghi. Voglio intrattenervi brevemente su questa questione della tassazione degli enti collettivi, perché sono stato il primo a sollevare la questione nella discussione generale. Devo dare atto al Ministro Pella della sua estrema buona volontà in questa questione e devo ringraziarlo della sua lealtà e della sua fermezza nel difendere sopratutto l’interesse del fisco che è superiore alle considerazioni dottrinarie esposteci dall’onorevole Einaudi e superiore anche agli interessi particolari che premono su questa Assemblea.
L’onorevole Pella ha resistito alle pressioni particolari e voglio dargli atto e ringraziarlo di ciò.
Quanto alla questione dell’una o dell’altra forma di tassazione, evidentemente potevano esserci motivi fondati di preferenza a colpire le rivalutazioni, nel momento in cui il Ministro Campilli venne davanti alla Commissione delle finanze e annunciò il suo progetto chiedendo alla Commissione stessa, la quale stava per orientarsi verso la tassazione degli enti collettivi, di sospendere ogni decisione in merito, inquantoché egli si impegnava a fare approvare in brevissimo tempo dal Consiglio dei Ministri la legge sulle rivalutazioni.
Ora però sono successi due fatti:
1°) Molte rivalutazioni sono già state fatte dopo la seduta del 20 aprile.
2°) Siamo alla fine di luglio, l’Assemblea va in vacanza e il Governo, se non va in vacanza, certamente riposa, e quindi esiste il rischio che la legge sulla rivalutazione finisca con l’essere approvata prima dal Consiglio dei Ministri e poi dall’Assemblea in ottobre, quando ancora altre rivalutazioni saranno state fatte. Di modo che l’interesse del fisco, malgrado gli argomenti di carattere teorico in favore della rivalutazione, non sarebbe salvaguardato nella stessa misura, in cui potrebbe esserlo con la tassazione degli enti collettivi.
Da calcoli sommari, che non sono molto esatti, ma che hanno una certa base di fondamento, con la tassazione degli enti collettivi, secondo lo stesso progetto ufficioso del Ministro Pella, si possono incassare 60 miliardi e forse anche di più; a questo progetto si potrebbero, infatti, apportare alcune modificazioni, che permetterebbero di colpire un po’ di più; ma, anche così com’è, esso dà un introito abbastanza sicuro e cospicuo; mentre il provvedimento sulle rivalutazioni, se giunge con qualche mese di ritardo ancora, rischia di darci molto di meno di quanto avrebbe dovuto dare in aprile. Un provvedimento di rivalutazione, in periodo inflazionistico, e, onorevole Einaudi, noi siamo purtroppo in periodo inflazionistico, anche se Ella, come Governatore della Banca d’Italia, da tre anni si rifiuta di ammetterlo ed agisce come se questo processo inflazionistico non esistesse, dicevo – dunque – in periodo inflazionistico una legge che colpisce le rivalutazioni è sempre un terno a lotto: può dar molto come può dar poco. Secondo gli argomenti esposti dall’onorevole Einaudi, gli accrescimenti di valori nominali non sempre si basano su effettivi accrescimenti di consistenze patrimoniali. Può anche darsi che così sia per la maggior parte dei piccoli e medi industriali, che in generale non sono costituiti in società anonime, e che guadagnano in danaro e perdono in scorte. Questa categoria è interessata però a che si colpisca di più l’altra categoria, la quale viene ad essere soprattutto colpita col provvedimento sulle tassazioni degli enti collettivi.
Non solo; io non conosco, purtroppo, il progetto sulle rivalutazioni, annunciato dall’onorevole Pella. Pur facendo parte della Commissione finanze e Tesoro, non me ne è stata data copia; immagino che l’onorevole Pella l’abbia data a titolo personale al Presidente della Commissione, pregandolo di non comunicarlo ancora alla Commissione stessa, inquantoché il Governo non si era pronunciato.
PELLA, Ministro delle finanze. È esatto.
VALIANI. Nulla da eccepire: non voglio fare nessuna speculazione politica sulla indecisione del Governo. Anzi, gli onorevoli Einaudi e Pella sono stati molto leali nel portare i loro dubbi davanti all’Assemblea. Permettano ora anche ai membri all’Assemblea di controbattere alcuni di questi dubbi e di esporne altri.
Uno di questi dubbi sul provvedimento delle rivalutazioni annunziate dall’onorevole Pella, che evidentemente devo giudicare nelle sue grandi linee, come l’onorevole Pella lo riassunse, riguarda il criterio del dollaro, il quale è considerato non più a cento, ma a 225.
Io ho ascoltato con molta gratitudine l’esposizione dell’onorevole Einaudi, perché ricordo con quanto godimento e interesse leggevo i suoi scritti quando, in prigionia, cercavo di completare i miei studi. Tuttavia, da uomo che ha qualche esperienza pratica, devo dire che uno degli errori più patenti del Governo e del governatore della Banca d’Italia fu di fissare a suo tempo il dollaro a 225, mentre doveva fissarlo a 400 o 500.
EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Era giusto a 225, allora.
VALIANI. Io tornavo in quei giorni dall’America, quando ella fissò il cambio del dollaro a 225; il rapporto reale tra i costi di produzione era allora 400-450. Noi scontiamo questo errore. Ci sono grosse società, che noi vorremmo tassare, le quali hanno guadagnato diecine di miliardi, perché hanno ricevut. prodotti in assegnazione ad un cambio e li hanno rivenduti ad un altro, molto più elevato.
Una voce. Prodotti tessili.
VALIANI. Non soltanto tessili. In periodo inflazionistico ognuno cerca di difendere con estremo accanimento i propri interessi. Gli argomenti che l’onorevole Einaudi ha addotti in un recente articolo, a giustificazione del contadino che deve difendere la propria stalla, valgono per tutti. Quando il Governo – non è il caso di giudicarlo per questo – mantiene il corso ufficiale del dollaro a 224 (e quindi nel provvedimento di rivalutazione si tiene conto di questo fatto), è inutile e vano parlare, come fa l’onorevole Einaudi, di giustizia tributaria. Se si tenesse fede alla giustizia tributaria, tutto questo disegno legge sulla patrimoniale bisognerebbe respingerlo. Malgrado che l’onorevole Einaudi abbia più volte sostenuto che si possono pagare le imposte sul patrimonio, l’Assemblea, nella stragrande maggioranza, accetta l’altra tesi, che esse si pagano solo sul reddito e per ciò, nonostante l’esistenza del brillante opuscolo dell’onorevole Einaudi, l’Assemblea – se fosse libera di scegliere – non accetterebbe questo provvedimento come un provvedimento di giustizia tributaria. C’è tutta una serie di tributi che sono oggi ingiusti, come ad esempio quel tre per cento sulle fatture. Quando quel tributo fu congegnato, il Governo del tempo non poteva pensare che la merce avrebbe cambiato quindici volte di mano prima di giungere in mano al consumatore, per cui la gente è costretta a frodare il fisco, perché, evidentemente, non può pagare quindici volte la tassa. È dunque un’imposta che ha una sola giustificazione, cioè il fatto di togliere il massimo possibile di moneta dalla circolazione e di darla al fisco. Se si fosse fatto il cambio della moneta – contro cui si possono pur addurre gli argomenti logici che l’onorevole Einaudi ha addotto – si poteva, con questo mezzo, frenare effettivamente l’inflazione ed allora noi potevamo prescindere dal provvedimento odierno. Ma non si è adottato, e dobbiamo dunque esigere il provvedimento sugli enti collettivi, che potrebbe dare 70 miliardi!
Il provvedimento sulle rivalutazioni non ci dà sufficienti garanzie al riguardo, e per questo mantengo l’emendamento nel quale si chiede la tassazione degli enti collettivi e che questa sia stabilita dall’Assemblea ora, e che, prima del voto finale sulla imposta patrimoniale, questo provvedimento sulla tassazione degli enti collettivi sia incorporato nella imposta stessa, come titolo III.
Onorevoli membri del Governo! Dovete dare atto all’Assemblea ed all’opposizione che è in questa Assemblea, che essa vi ha votato e vi voterà un provvedimento che una opposizione, in tempi normali, non voterebbe, perché è un’imposta molto dura e molto impopolare e sarà tanto più impopolare quanto più si pagherà; e tuttavia sarà pagata.
Bisogna dare atto alla severità dell’onorevole Pella, il quale ha fatto paura alla gente, ed ha fatto bene a far paura (i risultati sono brillanti): vi dico però che un’Assemblea dotata di minor senso di responsabilità non l’accetterebbe ed avrebbe mille ragioni per non accettarlo; voi non avete voluto, infatti, che si desse severa esecuzione ad altre imposte molto più giuste di questa, come quella sui profitti di monopolio realizzali in periodo di guerra, in periodo di autarchia e di occupazione tedesca. Noi voteremo dunque questa imposta, ma il Governo ci deve dare una contropartita, cioè dal momento che un’imposta è votata all’unanimità, o almeno, da una stragrande maggioranza dell’Assemblea, il Governo stesso deve venire incontro al voto di gran parte dell’Assemblea, la quale chiede che su questa strada si vada fino in fondo e che si riscuotano i 60 o 70 miliardi, che possono essere riscossi con la tassazione degli enti collettivi.
Chiedo dunque al Governo di non influenzare il voto dell’Assemblea, ma di lasciare libertà in questo voto. Lo dico come presentatore dell’emendamento, che è stato firmato anche da esponenti di diversi partiti – ci sono tra di essi democratici cristiani e uomini di sinistra – sicché la maggioranza già c’è per approvare la tassazione degli enti collettivi.
Chiedo che il Governo non forzi gli uomini del partito maggioritario e lasci che questi colleghi, che hanno firmato sapendo di interpretare il pensiero della maggioranza del loro partito, partito, malgrado tutto, legato alle masse popolari, partito che ha cura degli interessi del Paese; lasci che questi colleghi votino insieme all’onorevole Scoca e agli altri che hanno firmato l’emendamento.
Ripeto, queste considerazioni che ho voluto esporre non significano che io non tenga nel dovuto conto gli argomenti dell’onorevole Einaudi; gli argomenti dell’onorevole Einaudi hanno sempre grande peso, però, nel periodo in cui viviamo, nella situazione di emergenza che attraversiamo, noi dobbiamo basarci anche su alcuni elementi che l’onorevole Einaudi, per ragioni dottrinarie, sottovaluta. (Applausi a sinistra).
PESENTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PESENTI. Sono lieto che l’onorevole Einaudi abbia espresso chiaramente il suo parere. Sono lieto per due motivi: prima di tutto perché ha dato un esempio interessante di un Ministro che espone chiaramente il suo pensiero in disaccordo – con ogni probabilità – da quello di altri membri del Governo. Io penso che questo sia giusto e sia un esempio di democrazia; ma intendo ricordarlo perché, quando in altre occasioni era avvenuta la stessa cosa, e non dai banchi del Governo, ma soltanto dai settori della stampa, questo atteggiamento è stato a torto criticato.
Ma vi è un altro motivo che mi rende lieto del chiarissimo parere espresso dall’onorevole Einaudi: perché, se noi abbiamo ben compreso, l’onorevole Einaudi si è espresso contro sia la tassazione degli enti collettivi, sia la tassazione delle rivalutazioni, portando degli argomenti di carattere scientifico e degli argomenti di carattere pratico.
Io non voglio qui esporre tutti gli argomenti di carattere scientifico. Faccio rilevare soltanto brevemente che l’onorevole Einaudi ha dato degli indirizzi di politica economica, cioè ha ricordato che la tassazione degli enti, sia pure con particolari imposte sul reddito, è effettuata in alcuni paesi e corrisponde a quella dottrina economica che crede opportuno stimolare il consumo e limitare l’autofinanziamento. Questa è una dottrina di politica economica, che corrisponde a particolari situazioni in quei paesi.
Ma il problema è diverso nel campo fiscale; non si tratta di vedere se si deve o non si deve attuare una determinata politica economica, il che è da discutere in altra sede, ma tratta di vedere se esista una particolare capacità contributiva, cioè un soggetto particolare di imposta, nell’ente collettivo.
Ora, senza far torto all’onorevole Einaudi, questo punto non è affatto pacifico, perché, come l’onorevole Einaudi ritiene che non vi sia questa personalità particolare dal punto di vista fiscale, vi sono altri che pensano che questa personalità esiste, dal punto di vista economico…
EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Sono trent’anni che discutiamo!
PESENTI. Sono trent’anni che discutiamo, quindi evidentemente ciò vuol dire che il parere dell’onorevole Einaudi è un parere che può essere contestato, perché ci sono altri di diverso parere, ed io appartengo a coloro che sono di diverso parere, perché, se non vi fosse una diversa potenzialità economica – diversa dalla somma dei singoli – non so perché i singoli si unirebbero per costituire una determinata società, un determinato ente economico.
Comunque, non intendo entrare in questi argomenti, anche perché l’onorevole Einaudi potrebbe obiettare che qui si tratta di imposta sul patrimonio e non sul reddito, quantunque esista certo un legame tra le due entità.
Gli altri argomenti addotti dall’onorevole Einaudi non hanno, evidentemente, un carattere di obiezione scientifica: si tratta soltanto di considerazioni pratiche, di valutazioni. E io penso che di queste non è da discutere. Ma lasciamo da parte l’aspetto teorico della questione e veniamo a quella che è propriamente l’accusa di doppia imposizione che si farebbe tassando gli enti, se questi enti non fossero una cosa distinta dalle persone che li compongono, mentre, per me, economicamente sono distinti. Quali sono questi enti? Questi enti sono le fondazioni. Ebbene, le fondazioni non hanno dei soggetti particolari, singoli individui, che siano colpiti dalle imposte.
Per quanto riguarda le società per azioni: o i titoli azionari sono in possesso di piccoli azionisti che possono essere esenti dall’imposta in quanto al di sotto del minimo imponibile (del resto io penso che gli azionisti, anche se non sono piccoli, nonostante tutte le norme dello schedario dei titoli azionari, sfuggiranno facilmente), oppure questi titoli sono in possesso di società, ed è questo il caso più frequente. Ma anche qui c’è l’esenzione; perché le società non sono attualmente colpite, quindi di fatto non c’è una doppia tassazione.
Io credo perciò che le argomentazioni addotte dall’onorevole Einaudi per quello che riguarda la tassazione degli enti collettivi siano, da un punto di vista dottrinario, discutibili. È certo comunque che sono discusse e, per quello che riguarda il fatto pratico, bisogna dire che non corrispondono alla situazione di fatto.
Io non discuto la questione di politica economica, perché questa non è la sede, evidentemente; osservo solo che, se si volesse fare una politica che aiutasse il finanziamento, non si dovrebbe allora parlare soltanto di società, ma si dovrebbe parlare di tutti i contribuenti.
Vi è poi la questione della tassazione sulle rivalutazioni. Riconosco che le argomentazioni portate dall’onorevole Einaudi sono conseguenti, ma esse portano alla conclusione che, quando questo plusvalore diventa reddito, è già tassato e non dovrebbe quindi venire più considerato. Una tassazione invece che dovrebbe essere possibile, nei limiti delle argomentazioni dell’onorevole Einaudi, sarebbe quella delle plusvalenze in seguito ad investimenti fatti a credito. È questo un argomento che si discuterà dopo però, perché altrimenti, ove noi dovessimo discuterlo oggi, andremmo a finire come quel tale asino di Buridano che vi ho dianzi ricordato: andrà a finire cioè che si morirà di fame non sapendo scegliere e, se l’Assemblea sarà messa di fronte alla necessità di prendere una decisione, io credo che tale decisione non potrà essere se non quella che è stata già accettata in linea di massima dai membri della Commissione e da tutti coloro che hanno presentato emendamenti.
Io chiedo quindi che si voti sul principio della tassazione degli enti collettivi, principio generale a favore del quale noi abbiamo pure sacrificato qualche cosa, principio a favore del quale noi abbiamo almeno accettato il sistema empirico della proporzionalità che era stato suggerita dal progetto del Governo, in luogo della nostra più razionale, moderata progressività.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Io desidererei una spiegazione intorno alle ultime parole dell’onorevole Pesenti, perché qui, secondo la mia modesta opinione, si sta giocando a mosca cieca. Diceva poc’anzi l’onorevole Pesenti che egli e i suoi amici avrebbero accettato, come criterio della tassazione degli enti collettivi, quello proporzionale; mentre qui tutta la campagna che era stata fatta, era stata fatta a proposito della richiesta applicazione agli enti collettivi dell’imposta progressiva. Se si parla, invece, di proporzionale, parliamo di tutt’altra cosa, e dovremmo avere sott’occhio un testo, dovremmo leggere una norma precisa, perché non si può evitare quello che è il problema fondamentale, cioè quello della doppia tassazione, attraverso dei giochi di parole. Perché, per esempio, la legge del 1919, quella sull’imposta patrimoniale, diceva a chiarissime note che gli enti collettivi erano tassati; ma, però, dopo aver detto questo, spiegava che le società per azioni, le società di cui il capitale era diviso e veniva accertato alle persone fisiche, erano esenti. Qui si parla in modo cumulativo delle fondazioni, che sono una cosa, e delle società per azioni, che sono un’altra cosa; delle fondazioni, dove le persone fisiche non ci sono, e quindi è comprensibilissimo che le fondazioni paghino un’imposta; mentre, viceversa, se nell’espressione «enti collettivi» imponibili si comprendono anche le società per azioni, sorge una doppia imposizione nel momento in cui le azioni sono tassate anche nel patrimonio del singolo detentore in quanto le azioni sono nominative.
Qui, a mio parere, bisogna avere dei dati precisi; bisogna sapere di che imposta si tratta, cioè se della progressiva o della proporzionale; se l’espressione «enti collettivi» implica tutti gli enti collettivi o implica invece la possibilità dell’esenzione precisa per quei tali enti collettivi di cui il patrimonio è diviso fra le persone, e tassato alle singole persone.
Non è possibile passare alla votazione e chiedere il parere della Commissione, senza che i deputati conoscano approssimativamente la natura dell’imposta e il testo di questo progetto di legge che nessuno conosce.
Quindi, propongo una sospensione per essere edotti di che cosa si tratta. E poi vorrei fare un’ultima considerazione… (Commenti a sinistra). Permettete, un’ultima considerazione, che credo abbia il suo peso, cioè che tutto l’orientamento del Governo si è espresso relativamente ad una certa scelta, che esso rimetteva all’Assemblea, in ordine all’adozione o dell’imposta sulle rivalutazioni o dell’imposta sugli enti collettivi. Ora, qui si dimentica che una imposta sulle rivalutazioni c’è già in questo momento, e fortissima, e gravosissima per le società. E allora bisogna sapere se l’approvazione di principio dell’imposta sugli enti collettivi implichi automaticamente l’abrogazione di quell’altra imposta, perché altrimenti, quando noi scegliamo una, ne scegliamo una ma le società ne pagano due. Insomma, bisogna sapere qualche cosa di chiaro e preciso… (Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.
Presidenza del Presidente TERRACINI
Sulla fissazione dell’ordine del giorno.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo all’Assemblea di porre all’ordine del giorno della seduta di domani la discussione del disegno di legge sulla ratifica del trattato di pace.
ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Vorrei pregare il Presidente del Consiglio di non insistere nella sua proposta.
Vi è questo progetto di legge che ha la sua relazione, anzi le sue relazioni, il quale va automaticamente all’ordine del giorno. Ma che la discussione abbia a cominciare domani non mi sembra opportuno; e non mi sembra opportuno per ragioni esclusivamente – per ora – attinenti all’ordine dei lavori parlamentari.
Vuol dire che io mi interdico qualunque considerazione che sia attinente al problema in se stesso e a tutte le varie opinioni che si possano avere e professare su di esso.
È dunque una questione di pura tecnica parlamentare. L’Assemblea in questo momento dispone dei suoi lavori, all’infuori della politica, per il migliore andamento dei lavori stessi. Ora vi è una consuetudine per cui questa stagione rappresentava il limite delle nostre fatiche. La consuetudine ha sempre una sua ragione d’essere; è quindi inutile alludere agli effetti più o meno debilitanti della canicola. Vi è una tradizione per cui la Camera assai prima d’ora solea sospendere i suoi lavori. Questa volta, sotto la pressione di speciali urgenze, si era stabilito di prolungare questi lavori. E non credo di tradire nessun segreto, se dico che in una conversazione amichevole, che io ebbi col Presidente nostro, onorevole Terracini, egli mi disse, così, come in una conversazione (ripeto, senza alcuna preoccupazione politica, perché allora non ce n’era alcuna) che prevedeva che le vacanze si sarebbero potute prendere verso il 19 luglio. Questo come tempo, come giorno di calendario.
Come materia, occorreva definire due argomenti: la Regione, come parte della Costituzione, e la legge sull’imposta patrimoniale. L’uno e l’altro argomento non si sono ancora potuti definire. O meglio, uno sì: la Regione. Per l’altro mi dicono che occorreranno ancora due o tre giorni.
Dopo di che l’Assemblea avrebbe virtualmente preso le sue vacanze.
Si presenta ora questa proposta. Ripeto che io spero e credo ed auguro che altri eventuali oratori e lo stesso Presidente del Consiglio (perché senza di ciò riprenderei la parola) prescindano da ogni considerazione in merito al problema. Ma credo che tutta l’Assemblea sarà unanime, senza distinzione di partito, se io dico che è il più grave degli argomenti su cui l’Assemblea deve decidere, il più grave, non solo per la sua importanza storica, parola di cui si è tanto abusato, ma che mai è così vera come a proposito di questa deliberazione che dobbiamo prendere; ma anche dal punto di vista, oserei dire tecnico, cioè dell’Assemblea Costituente, io domando quale parte della Costituzione è più essenziale di questo progetto che dobbiamo discutere: quale parte della Costituzione è più costituzionale di questo articolo che dobbiamo votare e voteremo, perché tocca il territorio, tocca il diritto di sovranità dello Stato. È una constatazione obiettiva in cui credo che saremo tutti d’accordo.
Dunque, si tratta del più grave degli argomenti. E credo di essere interprete dei sentimenti unanimi dell’Assemblea. È una bella vanità la mia. Ma ci tengo: io vorrei dire cose sulle quali non vi possa essere alcun dissenso per ragioni politiche. Ritengo di essere interprete di tutta l’Assemblea dicendo che essa vuole che questa discussione sia degna dell’argomento.
C’è qualcuno che opina diversamente? C’è qualcuno che opina che si tratti di un peso fastidioso che bisogna rapidamente togliersi dalle spalle? E allora non si posson dare, credo, condizioni più sfavorevoli di queste all’alta discussione che occorre.
L’Assemblea, per rispetto a sé stessa, non dovrebbe consentire questa discussione, meno che in un caso: Annibale alle porle, «salus rei publicae suprema lex». Ci si dica che «rei publicae interest», che è essenziale all’interesse del Paese che l’Assemblea affronti ora la questione in tali condizioni di disagio e d’inferiorità sua in confronto dell’altezza e della nobiltà del tema: e allora ci sobbarcheremo.
Ma se questa ragione non c’è, perché dobbiamo affrontare la questione?
Da ciò la mia preghiera. Non so se devo fare riferimenti e se vengo meno al mio impegno di non toccare il merito della questione, se dico che nella discussione fatta in Commissione dei Trattati, alla quale ho preso parte, questo interesse essenziale dello Stato è stato affrontato. La maggiore comodità di un ambasciatore che deve discutere l’argomento non credo che si possa porre come una legge che imponga all’Assemblea di discutere e di deliberare in maniera non degna della gravità del tema.
Le ragioni che abbiamo ascoltato non parvero a me, né alla Commissione nella sua grande maggioranza, che avessero carattere di gravità.
Prego dunque il Presidente del Consiglio di non insistere. Il disegno di legge vada inscritto all’ordine del giorno. L’Assemblea termini gli argomenti per cui ancora tardivamente è convocata, e quando riprenderemo, allora verrà la questione. Verrà la questione di merito, perché vi è un rinvio di merito gravissimo che non giova abbinare, onorevole Presidente del Consiglio, perché moltissimi che accettano il disegno di legge, abbracciano la croce, per usare una frase cristiana; non trovano però che sia maturo il momento.
Ora non conviene questa questione, attinente in un tempo, ma in un tempo che radica nella natura del Trattato, non conviene porla quando non è necessario porla. Noi possiamo sperare – io spero e mi auguro cordialmente – che nella ripresa queste ragioni siano comprese. Allora la discussione sarà più franca, più netta, più semplice. Questa è la preghiera che rivolgo all’onorevole Presidente del Consiglio. (Vivi applausi a sinistra e a destra).
CANEPA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CANEPA. Chiedo che la questione del Trattato sia iscritta all’ordine del giorno di domani. Nella discussione noi esamineremo gli argomenti portati dall’onorevole Orlando.
ORLANDO VITTORIO EMANUELE. No, non è questo. Domani è tutt’altro. (Commenti).
CANEPA. Assumiamo la responsabilità di esaminare questa questione, lasciando naturalmente la facoltà a tutti di dire la propria opinione. (Interruzioni – Commenti).
Se permettono, dico la ragione dell’urgenza. Si tratta di sapere se l’Italia deve rimanere nello stato di minorità, nello stato di armistizio nel quale si trova (Interruzioni – Commenti) o se deve riacquistare la propria indipendenza. Voi non tenete conto di un fatto di cui non si è occupato l’onorevole Orlando, ma che pure l’onorevole Ministro degli esteri potrà confermare. Per il giorno 10 agosto, cioè fra pochi giorni, l’organizzazione delle Nazioni Unite discuterà la nostra domanda di ammissione alla organizzazione stessa (Interruzioni – Commenti). È l’organizzazione a cui appartengono i Paesi di tutto il mondo, eccetto noi e la Spagna. Questa è la verità. Ora, se noi saremo respinti, e lo saremo indubbiamente, se non avremo ratificato (Interruzioni – Commenti), noi continueremo in quello stato di soggezione nel quale ci troviamo. Considerate che l’onorevole Ministro degli esteri ha potuto ottenere nella Commissione di Parigi che l’Italia entrasse fra le cinque Nazioni componenti il Comitato esecutivo della organizzazione europea…
NOBILI TITO ORO. Il merito è stato escluso!
CANEPA. …soltanto perché la Commissione dei Trattati aveva dato parere favorevole al Trattato; altrimenti l’onorevole Ministro degli esteri non sarebbe andato a Parigi (Interruzioni – Commenti).
Pensate quale sarebbe la nostra condizione se, per la negata ratifica, non avessimo più voce in capitolo! (Commenti – Rumori).
GIANNINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi! Il nostro Maestro, onorevole Orlando, interpretando il sentimento di grandissima parte di questa Assemblea, ha posto un problema procedurale su una ragione che io ardisco di dire futile. Ed appunto per questo mi inchino all’ingegno di Vittorio Emanuele Orlando, che ha saputo trovare nella futilità della ragione il modo per mettere d’accordo le più varie e contrastanti tendenze. È chiaro che ad un uomo come Vittorio Emanuele Orlando non sarebbero mancati copia di argomenti da portare a sostegno di una tesi, se egli avesse voluto sostenere qualche cosa di più della piccola questione che ha voluto portare. Ciò prova che l’onorevole Vittorio Emanuele Orlando non ha voluto entrare nel merito, nel quale non è possibile entrare a quest’ora e in questo clima. Non entrerò nemmeno io nel merito, signor Presidente, onorevoli colleghi. Mi limito a chiedere che la proposta fatta dall’onorevole Vittorio Emanuele Orlando sia messa senz’altro in votazione e che la discussione sia chiusa. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Orlando aveva rivolto un invito al Presidente del Consiglio; l’onorevole Giannini lo riprende e lo traduce in una proposta formale. Chi domanda la parola a questo proposito?
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo ha presentato il 27 giugno un disegno di legge per la ratifica del Trattato. Esso è stato demandato alla Commissione dei Trattati, la quale ha discusso e deliberato nei giorni 8 e 9 luglio. Nel frattempo si è svolta la Conferenza di Parigi. Dopo la Conferenza di Parigi, precisamente il 17, si è avuta un’altra seduta della Commissione dei Trattati in cui, con riferimento anche ai risultati di Parigi, c’è stata non una decisione, ma un nuovo scambio di idee sull’argomento pro e contro la ratifica del Trattato stesso.
In seguito alle sedute dell’8 e del 9 luglio, l’Assemblea si è trovata dinanzi a due relazioni: una di maggioranza ed una di minoranza. Una di maggioranza per la ratifica immediata, un’altra di minoranza che espone le ragioni del rinvio con riferimento all’articolo 90 del Trattato, sostenendo che già queste ragioni dimostrano l’impossibilità di dare subito esecuzione, comunque sia, o rendere, col voto dell’Italia, eseguibile il Trattato.
Il Governo si è dato premura di tener conto delle ragioni esposte dalla minoranza, ha cercato una soluzione che potesse conciliare le proposte della maggioranza con quelle della minoranza, ha creduto di trovarle in un nuovo testo che ha presentato stamane e che credo sia stato distribuito, o comunque verrà distribuito domattina. Testo che, come vi è noto, accettando il disegno di legge della Commissione, vi aggiunge che questa ratifica si dovrà fare in base alla norma dell’articolo 90, cioè quando il Trattato sarà esecutivo in forza delle quattro ratifiche date dalle quattro Potenze.
Con ciò il Governo ha tenuto conto non solo delle obiezioni di logica, direi, che provenivano da una parte dei commissari, ma ha tenuto conto anche della situazione internazionale, preoccupato di dare una sensazione di equilibrio e di imparzialità assoluta in confronto alla tensione momentanea che, speriamo, passi rapidamente, preoccupato di prendere una posizione autonoma propria in correlazione oggettiva a quello che è il Trattato.
È evidente che io non ho il diritto di entrare nel merito della discussione, come non l’hanno fatto che fuggevolmente gli oratori precedenti. Ho il dovere, però, di dire qual è l’opinione del Governo, qual è, in particolare, l’opinione dei Ministri che si sono occupati in dettaglio, fino all’ultimo momento, di questo problema. È inutile che ci nascondiamo dietro una questione di procedura formale. Non solo è noto a noi tutto il corso che ormai questo progetto ha fatto, non solo è noto a noi, ma è noto a tutto il mondo. Il nostro atteggiamento risponde senza dubbio ad una attesa che non è semplicemente del Paese, ma una attesa che è anche al di fuori del Paese. L’Assemblea si trova innanzi ad un compito che è di sua responsabilità, poiché le disposizioni del decreto legislativo del 16 marzo 1946 prevedono che i trattati siano riservati all’Assemblea.
Io credo che il Paese mal capirebbe che in questa Assemblea si sia potuto discutere di tante cose più o meno importanti e si eviti di discutere e deliberare su quello che è un Trattato di immensa importanza e che si riferisce direttamente alla responsabilità dell’Assemblea.
Siamo stati nominati, egregi colleghi, per assumere la responsabilità più grave, per assumere la responsabilità della liquidazione della guerra e della conclusione della pace. Abbiamo innegabilmente una immensa responsabilità. Se fosse possibile allontanare questo calice e non berlo mai, vorremmo ricorrere ad ogni mezzo. Non è possibile. È nostro dovere, com’è nostro diritto, di affrontare questo problema, e dobbiamo affrontarlo in maniera che quando esso si presenta, la risoluzione riguardi tanto le ragioni pro e contro il Trattato stesso, quanto la posizione internazionale.
Il Governo, quindi, ha un obbligo particolare, per aver seguito tutte le trattative, per essere in grado di avere informazioni più dirette di quelle che possa avere il pubblico in generale, ha il dovere di dire la sua opinione all’Assemblea, la quale deciderà nella sua sovranità.
Il Governo, in base alle sue informazioni, è giunto alla conclusione della assoluta inopportunità di un rinvio, perché lo crede controproducente e nocivo agli sviluppi della nostra vita internazionale autonoma, appena iniziata.
Il Governo, consapevole della sua responsabilità, fa istanza perché l’Assemblea discuta e deliberi in una materia, che è esplicitamente riservata alla sua competenza.
Il Governo è sicuro che l’Assemblea, nel supremo interesse del Paese, anche se, per le particolari circostanze in cui la discussione si svolge, le costi fatica, saprà, in forma degna, coadiuvarlo con i suoi consigli e con le sue decisioni, nello sforzo che esso fa di trarre l’Italia dal suo stato armistiziale, di liquidare definitivamente, per quanto ci riguarda, la guerra, e iniziare, per quanto da noi dipende, e intensificare un periodo di dignità e di collaborazione internazionale.
Mi trovo nella situazione umiliante di essere di parere diverso da quello di un uomo come l’onorevole Orlando, al quale va tutta la mia devozione e la mia alta estimazione. Tuttavia, nei momenti di grave responsabilità, anche se per il Governo il rinvio potrebbe rappresentare un sollievo fisico e forse politico, un uomo deve agire secondo le informazioni che ha, secondo la convinzione che si è fatta, secondo la coscienza che ne risulta, secondo le responsabilità che lo muovono. Ed è per questo che prego l’Assemblea di assumere anche essa le responsabilità sue. (Vivi applausi al centro).
CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO. Poiché il Presidente del Consiglio ha annunziato di avere presentato un nuovo disegno di legge su questo argomento, domando che questo disegno di legge sia inviato alla Commissione dei Trattati, perché questa lo esamini e he riferisca all’Assemblea.
PRESIDENTE. Onorevole Cevolotto, mi consenta: io non ho ricevuto, nelle forme che dovrebbero essere seguite, un nuovo disegno di legge; ma ho ricevuto soltanto un nuovo testo, rielaborato negli articoli, del disegno di legge già distribuito.
Lei, onorevole Cevolotto, avrebbe potuto, se mai, protestare perché il disegno di legge era giunto all’Assemblea non per la via ordinaria, cioè con la presentazione in Aula e con dichiarazione del Ministro, ma in forma indiretta, ciò che non sarebbe compatibile con le norme che regolano la vita della nostra Assemblea.
Questo nuovo testo non è stato ancora distribuito, perché la materia relativa non è stata posta ancora all’ordine del giorno. Se l’Assemblea decide stasera in questo senso, il testo sarà distribuito.
CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO. Io non faccio una questione di procedura per la presentazione; faccio una questione di merito. Dal momento che c’è un nuovo testo, esso deve seguire la trafila normale, cioè andare prima alla Commissione dei Trattati per l’esame. Non si può prescindere da questo gradino, in qualunque modo il testo sia stato presentato. Io faccio la questione che il testo deve essere anzitutto esaminato dalla Commissione dei Trattati.
PRESIDENTE. Il Governo ha diritto di proporre emendamenti ai testi che presenta, non solo prima della discussione, ma anche nel corso stesso della discussione e lei comprende, onorevole Cevolotto, che quando il Governo si valesse di questa seconda facoltà, la richiesta che lei ora presenta non potrebbe assolutamente sostenersi e non potrebbe nemmeno sostenersi se l’emendamento fosse presentato prima della discussione del testo di legge.
Comunico che il nuovo testo dell’articolo unico è così formulalo: «Il Governo della Repubblica è autorizzato a ratificare il Trattato di pace tra le Potenze Alleate od Associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, dopo che esso sarà divenuto esecutivo a norma dell’articolo 90».
VALIANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VALIANI. Io chiedo che la proposta dell’onorevole Orlando, appoggiata dall’onorevole Giannini, abbia la precedenza su ogni altra questione e su ogni altra votazione. La questione che ha sollevato l’onorevole Cevolotto potrebbe essere dibattuta soltanto se, in via preliminare, fosse stata respinta la proposta dell’onorevole Orlando.
In suffragio della proposta dell’onorevole Orlando, e dopo che ha parlato il Presidente del Consiglio, mi permetto di osservare che proprio uno degli argomenti addotti dal Presidente del Consiglio, cioè le informazioni particolari di cui è in possesso ed il giudizio che, fuori del Paese, si può dare su questa questione, costituisce in realtà un argomento in favore della proposta dell’onorevole Orlando. Siamo stati eletti evidentemente per affrontare il Trattato, ma, in via pregiudiziale, siamo stati eletti per assumere, davanti al Trattato, un atteggiamento di fierezza e di resistenza. L’onorevole De Gasperi non può dimenticare le dichiarazioni che egli ha fatte a questo riguardo, a più riprese, ancora alla Consulta, dinanzi alla Commissione degli esteri della Consulta stessa ed anche in seguito. Questo vale anche per la grande maggioranza dell’Assemblea. E siccome le informazioni di cui il Governo è in possesso non sono in nostro possesso, ed essendo di natura così delicata, dovrebbero essere vagliate attentamente prima di essere sottoposte a discussione pubblica, e se la proposta dell’onorevole Orlando fosse respinta, mi domando se non convenga sollevare la questione dell’opportunità di fare una seduta segreta. Proprio questo argomento ed il fatto che l’attenzione sul problema è desta sia dentro che fuori i nostri confini, suggeriscono che se ne discuta senza eccessiva precipitazione.
Essendo stati eletti per opporre resistenza a questo Trattato, alla cui discussione e redazione non abbiamo potuto in alcun modo partecipare e che ci viene imposto, conviene procedere con estrema ponderatezza prima di discutere dell’argomento pubblicamente. Se si discute pubblicamente, è chiaro che oltre alle due tesi che si sono profilate con gli ordini del giorno già noti, oltre la tesi per la ratifica immediata e la tesi a favore della ratifica solo dopo che sia avvenuta la ratifica di tutte e quattro le Potenze, ci sarà anche la terza tesi presentata dall’onorevole Orlando e da alcune decine di colleghi, la tesi a cui personalmente aderisco, la tesi cioè che respinge senz’altro il Trattato.
Per queste considerazioni credo che la proposta dell’onorevole Orlando, che è una proposta che veramente rispecchia il desiderio della stragrande maggioranza del Paese, di porre cioè questa questione in una sfera più elevata, sia da accogliersi.
TOGLIATTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, credo si pensasse da qualcuno, e forse da molti, in questa Assemblea, che la proposta dell’onorevole Orlando, una volta fatta, dovesse essere posta in discussione e accettata o respinta senza dibattito. Era una strada possibile. Non so però se sarebbe stata aderente alla realtà, dato il rilievo che la questione ha preso nell’opinione pubblica, dato il modo come il Paese si interessa alla cosa e ci guarda, dato che il popolo vuol sapere qualche cosa e non si accontenterebbe di un voto senza giustificazioni: in realtà, parlare bisogna.
In ogni modo, ho ammirato la finezza con la quale l’onorevole Orlando ha tentato di ridurre tutto a una questione di procedura, anzi – egli ci ha detto – di «tecnica parlamentare», sostenendo la poca opportunità di affrontare un simile dibattito nei giorni canicolari, quando siamo stanchi, quando non si possono avere assemblee numerose, solenni, come questa, per esempio. Ho ammirato questa finezza dell’onorevole Orlando, la quale tendeva, come tutti abbiamo capito, a uno scopo ben determinato.
L’onorevole Presidente del Consiglio, nella replica che ha fatto, non poteva non allontanarsi da questo terreno, che è il terreno delle forme; non poteva non scendere sul terreno su cui è sceso, con la sua dichiarazione terminale, cioè sul terreno della sostanza.
È dal 27 giugno – questa è la data ricordata dall’onorevole Presidente del Consiglio – che siamo investiti di questo problema. Ne abbiamo discusso ampiamente; vi sono state due, tre, quattro riunioni della nostra Commissione degli esteri, vi è un rapporto di maggioranza e un rapporto di minoranza, i quali stanno ora davanti a noi. Siamo quindi investiti in pieno non soltanto dei problemi di forma e di convenienza, ma anche della sostanza, quantunque il dibattito di oggi sia un dibattito del tutto preliminare.
Ci troviamo di fronte a una proposta che ci viene dall’onorevole De Gasperi, dal suo Governo e dal suo partito. Essi ci propongono la rapida, rapidissima, immediata ratifica del Trattato di pace redatto dalle quattro grandi potenze per l’Italia e approvato dalla Conferenza dei Ventuno. Dobbiamo discuterlo oggi, domani, dopodomani; dobbiamo accettare o non accettare la proposta che ci viene fatta.
In sostanza, io interpreto la proposta dell’onorevole Orlando come il modo più cortese di non accettare la proposta del Governo; non in altro modo credo che possa essere interpretata.
Di conseguenza e per questo siamo d’accordo con la proposta dell’onorevole Orlando, e se verremo ai voti l’approveremo.
Devo però dire che una certa perplessità, nel nostro Gruppo, esiste, ed esiste per parecchi motivi.
Soprattutto, esiste perché non siamo ancora riusciti a capire il perché dall’onorevole De Gasperi, dal suo Governo e dal suo partito in questo momento e con tanta fretta ci viene chiesto di prendere posizione sul problema della ratifica.
Sul fondo, cioè sulla opportunità di ratificare o non ratificare, vi possono essere opinione diverse. Diverse possono essere le opinioni in questa Assemblea circa il ratificare o non ratificare; circa il giudizio da darsi del Trattato, dei suoi precedenti, del modo con cui si è ad esso arrivati, del modo come potremo eseguirlo, e così via. Sappiamo che esiste una grande parte dell’opinione pubblica italiana, la quale – a ragione o a torto – crede che la ratifica non debba essere data. Noi possiamo avere opinioni diverse da questa parte dell’opinione pubblica, ma non v’è dubbio che siamo però tenuti, come italiani, a rispettarla, e rispettarla vuol dire che il giorno in cui prendiamo una decisione contraria a quell’opinione, dobbiamo argomentarla a sufficienza e il Governo, e il Ministro degli esteri, hanno essi pure il dovere di argomentare a fondo la posizione che essi assumono al riguardo e che chiedono a noi di assumere.
È questo, onorevoli colleghi, il primo motivo per cui siamo perplessi; cioè, perché non abbiamo ancora sentito dal Governo l’esposizione precisa e completa dei motivi della sua fretta. Siamo anche perplessi, però, vorrei dire, per conto nostro. Anche per conto nostro, infatti, abbiamo cercato di andare a fondo della questione e ci siamo studiati di intenderla in ogni suo aspetto.
Del resto, gli argomenti che ci ha dato l’onorevole Presidente del Consiglio sono in fondo i medesimi che ci davano, qualche mese fa, esprimendosi a favore della firma e della ratifica, l’onorevole Nenni e altri uomini di questa Assemblea. Sono argomenti, però, contro cui allora lo stesso attuale Presidente del Consiglio insorgeva, dicendo che erano gli argomenti dei rinunziatari, gli argomenti dei capitolatori. E contro quegli argomenti insorgeva la stessa Democrazia cristiana.
Si dice che oggi la situazione è mutata. È vero: oggi non c’è più un Ministro socialista al Governo, contro cui occorra condurre una campagna per cacciarlo dal posto di Ministro degli esteri. (Proteste al centro). Si dice che è cambiata la situazione internazionale. Comprendo anche questo; ma la verità è che da qualche tempo vediamo la nostra politica estera svilupparsi in modo che non ci appare giustificato; vediamo compiersi da parte del Governo atti di politica estera che ci appaiono come affrettati e inconsiderati. Anche se questi atti di politica estera sono accompagnati da campagne di stampa che artificialmente li esaltano, non v’è dubbio che già parecchie volte abbiamo visto gli argomenti sviluppati da queste campagne di stampa essere contraddetti dalla realtà stessa.
Così, per esempio, è stata data l’adesione immediata a un piano, non so se americano o anglo-francese, cui hanno aderito alcune potenze europee ed altre no. Questa adesione è stata data senza che l’Assemblea fosse stata ascoltata, senza che la Commissione dei trattati fosse stata interpellata. E dire che proprio il giorno in cui il nostro Ministro degli esteri annunciò questa adesione, proprio quel giorno la Commissione dei trattati si riuniva e gli sarebbe stato molto facile presentarsi ad essa per comunicare quelle che erano le sue intenzioni.
Noi eravamo allora assai preoccupati e crediamo che anche una gran parte dell’opinione pubblica italiana fosse assai preoccupata del modo come si è svolta la fase preliminare della Conferenza di Parigi: preoccupata di una possibile rottura fra le grandi potenze, rottura di cui, quando si è compiuta, forse non si poteva ancora afferrare appieno il significato, ma che ora incominciamo a comprendere. Ma è proprio perché ora comprendiamo meglio il significato di quella rottura, che comprendiamo in pari tempo meglio quanto inconsiderata sia stata la affrettata adesione decisa dal nostro Governo.
Ma questi atti si vanno ripetendo. Così abbiamo avuto l’altrettanto affrettata adesione dei nostri rappresentanti a Parigi a determinate proposte per la ripresa economica della Germania. Questa adesione – e questo è il grave – non ha tenuto conto della posizione nettamente contraria assunta dalla Francia, quando noi dovremmo andare assolutamente d’accordo con la Francia, per la comune esigenza di difenderci da nuove possibili aggressioni tedesche
SFORZA, Ministro degli affari esteri. Un semplice scambio di idee è stato.
TOGLIATTI. Tutti questi fatti gettano una luce particolare sulla proposta che ci vien fatta di discutere domani e di approvare domani o dopodomani la ratifica. Non possiamo non valutare questa proposta, che ci viene fatta dall’onorevole Presidente del Consiglio, come elemento di una politica determinata, per la quale sentiamo non soltanto perplessità e dubbi, ma disapprovazione. In sostanza, in tutto ciò che si sta facendo da chi dirige oggi la nostra politica estera, sentiamo una fretta ingiustificata e sbagliata di inserire l’Italia in una determinata formazione politica internazionale in modo non coerente… (Commenti a destra).
GIANNINI. Questo è merito! (Commenti).
TOGLIATTI. …con gli interessi del popolo italiano. (Rumori a destra).
Onorevole Giannini, può darsi che sia merito (Commenti a destra); ma adesso le spiegherò perché sono stato costretto a entrare nel merito. È semplicissimo, onorevole Giannini. Il nostro Gruppo, per i motivi che io rapidissimamente ho esposto, e che potrei sviluppare se ci fosse una discussione di politica estera, avrebbe desiderato e desidererebbe una discussione generale sulla politica estera di questo Governo, ed è evidente che una discussione di politica estera avrebbe luogo in modo inevitabile, se domani si iniziasse il dibattito circa la ratifica del Trattato, cioè circa quel progetto di legge che il governo ci ha presentato.
In pari tempo, però, ci troviamo di fronte a una proposta procedurale di rinvio, la quale, in un certo senso, è senza dubbio un colpo di arresto che viene dato ad una politica verso cui noi sentiamo, ripeto, perplessità, dubbi e disapprovazione. (Commenti al centro). Di qui deriva una conclusione, la quale è che il nostro Gruppo, il quale pure desidererebbe una discussione a fondo di politica estera, perché la ritiene necessaria oggi al Paese, nonostante questo, dato il significato che inevitabilmente prende, onorevole Orlando, anche una proposta di procedura fatta con la finezza con la quale ella l’ha fatta, approva la sua proposta e la voterà. (Applausi a sinistra).
GRONCHI. Chiedo di parlare.
CRISPO. Chiedo di parlare prima dell’onorevole Gronchi, per una mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Crispo.
CRISPO. Vorrei fare una modesta osservazione: la questione sollevata dall’onorevole Orlando è una questione di sospensiva contemplata nell’articolo 93 del Regolamento; vale a dire, è una questione per la quale – come è detto nel testo dell’articolo 93 – si richiede il rinvio della discussione. Ora, mi permetto di ricordare che, a norma dell’ultimo capoverso dell’articolo 93, due soli deputati possono parlare a favore e due contro la proposta.
Era questo il rilievo che volevo permettermi di fare. (Approvazioni a destra).
PRESIDENTE. Onorevole Crispo, la prego di tener presente che l’articolo 93 si riferisce alle questioni già inserite all’ordine del giorno (Commenti) e che formano materia di discussione dell’Assemblea. Qui siamo in tema di fissazione dell’ordine del giorno, ed a questo proposito l’articolo 93 evidentemente non ha norme da dettare.
CRISPO. Mi permetto, signor Presidente di non essere del suo parere. Siamo innanzi tutto in tema di una norma procedurale la quale consente, evidentemente, l’interpretazione analogica, sicché… (Interruzioni – Commenti).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lascino parlare.
CRISPO. Dicevo, innanzi tutto, che in tema procedurale è norma ammessa l’interpretazione analogica. In ogni modo, qui vi è una pregiudiziale: se si debba o non porre all’ordine del giorno la discussione del Trattato di pace. Su questa questione si chiede il rinvio, ossia su questa questione si solleva la pregiudiziale. Mi pare che il caso sia perfettamente identico.
PRESIDENTE. Onorevole Crispo, si convinca che in questa sede l’interpretazione analogica non può applicarsi, perché il Regolamento prevede specificatamente tutte le questioni e le risolve, e non v’è dubbio che l’articolo 93 si riferisce ai problemi in discussione perché posti all’ordine del giorno e non, genericamente, a qualsiasi discussione che si svolga in Assemblea, quella ad esempio che si riferisce alla definizione dell’ordine del giorno su cui poi si dovrà discutere. E pertanto non ritengo che la sua osservazione possa arrestare questa discussione, che non è pregiudiziale su una materia, ma che si prefigge l’argomento su cui dovremo poi discutere.
Ha facoltà di parlare l’onorevole Gronchi.
GRONCHI. L’andamento che il dibattito di oggi ha preso sulla richiesta fatta dal Governo ha assunto il carattere di una vera e propria anticipazione sulla discussione di merito che noi faremo domani, se la proposta sospensiva o la preghiera di rinvio che l’onorevole Orlando ha fatto, non sarà accolta dalla Assemblea.
Non seguirò perciò né le argomentazioni dell’onorevole Valiani né quelle dell’onorevole Togliatti, al quale ultimo vorrei però osservare che le sue dichiarazioni mi richiamano l’immagine di un colpo sfuggito prima del tempo, perché la posizione che egli ha rivelato avrebbe avuto sede più appropriata e, nell’interesse stesso del suo partito, più opportuna, nell’esame della politica estera generale del Governo, considerata in relazione all’attuale disegno di legge. Tale posizione ha infatti una incidenza del tutto secondaria sulle ragioni che possono o meno consigliare un rinvio.
Siamo di fronte ad una richiesta che occorre considerare fondata, solo che non si creda che il Governo sia guidato da considerazioni estranee all’interesse del Paese. Esso ha chiesto la discussione immediata del suo progetto di legge.
Di fronte a questa richiesta è evidente che ogni ragione procedurale perde ogni valore; anzi, secondo me, fa perdere all’argomento quell’intrinseco grandissimo rilievo che esso invece ha nell’attuale momento veramente storico del nostro Paese.
Noi chiederemmo perciò che la proposta del Governo fosse posta senz’altro ai voti e che ogni discussione di merito (questa è preghiera rivolta ai colleghi di ogni settore) fosse rinviata all’esame e alla discussione del progetto di legge. (Applausi al centro).
NENNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NENNI. Il Gruppo socialista aderisce alla domanda di sospensiva dell’onorevole Orlando, nello spirito stesso con cui essa è stata formulata.
Noi riteniamo che ci siano ragioni di carattere internazionale che rendono difficile in questo momento affrontare il tema che il Governo ha chiesto sia posto all’ordine del giorno di domani, con la piena libertà di cui l’Assemblea avrebbe bisogno per esaminare il fondo della questione e la correlazione tra l’anticipata ratifica del Trattato e l’attuale situazione di politica internazionale.
Noi avremmo desiderato che prima di andare alla Conferenza di Parigi, e indipendentemente dalla questione della ratifica del Trattato, il Governo avesse detto all’Assemblea con quale programma andava a Parigi, con quali propositi.
Ciò non è stato possibile. In tali condizioni la discussione si potrà fare quando i lavori della Conferenza di Parigi siano abbastanza avanzati perché noi abbiamo elementi sufficienti di giudizio, o siano conclusi. Ma è difficile discutere l’azione del Governo proprio nel momento in cui questa si svolge ora per ora, minuto per minuto.
Il Governo non è venuto dinanzi all’Assemblea prima di andare a Parigi e, a mio giudizio, ha avuto torto. Verrà il momento in cui l’Assemblea gli chiederà conto e del perché non è venuto e della politica che ha fatto.
Ma in questo momento noi siamo convinti che la discussione non sarebbe nell’interesse del Paese. Noi socialisti accettiamo perciò la proposta dell’onorevole Orlando, con lo spirito con cui è stata formulata, senza cioè entrare nel merito, e nella convinzione che giovi al Paese, non affrontare la discussione del Trattato nelle presenti condizioni. (Applausi a sinistra).
SELVAGGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SELVAGGI. Onorevoli colleghi, devo confessare che sento un senso di malessere per la piega che queste dichiarazioni di voto, se vogliamo così chiamarle, hanno preso.
Si è entrati nel merito di un problema che è di capitale importanza, con eccessiva superficialità. È un problema che, come ha detto l’onorevole Orlando, è di carattere storico per il nostro presente e per il nostro futuro. Sugli orientamenti o tesi che ci possono essere su questo problema, non credo sia consentito a nessuno di fare delle speculazioni politiche, e soprattutto di dubitare della buona fede di ciascuno dei sostenitori delle opposte tesi.
Noi non dubitiamo minimamente della buona fede che spinge l’onorevole De Gasperi ed il suo Governo a presentare in questo momento il progetto di legge per la ratifica del Trattato di pace, imposto all’Italia al Lussemburgo. Riteniamo però, con la stessa buona fede, che questo non sia il momento opportuno per una discussione di un argomento tanto importante.
E non entro nel merito della questione, non avendo noi del Gruppo qualunquista nessun chiodo fisso di rovesciare il Governo. Noi vediamo il problema soltanto nell’interesse generale del Paese e riteniamo quindi che la formula – se così vogliamo dire – escogitata dall’onorevole Orlando sia l’unica che possa essere votata con preciso significato. Essa non ha un valore politico né nei confronti del Governo né nei confronti della ratifica che esso persegue.
C’è, oltre tutto, un argomento. L’onorevole De Gasperi ha accennato alla legge costitutiva dell’Assemblea, in base alla quale spetta di diritto all’Assemblea Costituente la discussione e la conseguente ratifica o meno degli Accordi internazionali. Se è questa l’interpretazione, credo che anche l’iniziativa del momento della discussione possa spettare soltanto all’Assemblea Costituente, la quale, individualmente o per gruppi, ha anche essa elementi sufficienti per stabilire se questo è o non è il momento opportuno.
A nome del mio Gruppo dichiaro quindi che noi voteremo la proposta dell’onorevole Orlando. (Applausi a destra).
Voci. Ai voti!
LABRIOLA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LABRIOLA. Voterò naturalmente la proposta dell’onorevole Orlando; ma il motivo personale per cui la voterò è un po’ differente da quello che hanno potuto invocare gli oratori precedenti. All’unica seduta della Commissione dei Trattati alla quale io fui presente – si tratta ormai di due o tre mesi addietro – allorché fu presentata la questione della firma al Trattato che si imponeva all’Italia, io feci la proposta di venire subito all’Assemblea e chiedere all’Assemblea la ratifica che si chiedeva del Trattato imposto all’Italia. Misi appunto in rilievo il fatto che la firma che il plenipotenziario italiano si disponeva a dare a nome dell’Italia a quel Trattato, non equivaleva alla ratifica. Ma nel mio concetto la questione poteva assumere un significato più alto. Il significato era questo: io credo che al Trattato medesimo non convenisse dare una importanza eccessiva. Posi in rilievo che la ratifica andava fatta dall’Assemblea, ma che non bisognava dare ad essa troppa importanza. Volevo pertanto che la questione venisse all’Assemblea solo per dare a questo atto il minor valore che si poteva. Proposi che il Trattato giungesse all’Assemblea all’ultimo momento di una discussione qualsiasi e quindi si desse la ratifica. Come imbattendosi in un cumulo di sassi e un po’ di immondizie basta un colpo di piede per mandare via tutto, così la ratifica da dare al Trattato, secondo me, non doveva avere un valore differente.
In quel momento l’onorevole De Gasperi – e credo anche altri colleghi che facevano parte della Commissione dei Trattati – non furono del mio avviso. Io rimasi solo nel sostenere questa tesi. Basta questa tesi per me per spiegare l’atteggiamento… (Rumori). L’onorevole Togliatti ha detto che una discussione di politica estera in questa Assemblea si impone e potrebbe venire in discussione in occasione appunto della ratifica del Trattato, ma sia per tutti evidente che non bisogna dare troppa importanza a questa ratifica. Io voterò la proposta sospensiva dell’onorevole Orlando. (Applausi).
PRESIDENTE. Avverto che sulla proposta Orlando-Giannini di non inserire all’ordine del giorno di domani la discussione sulla ratifica del Trattato di pace è stata presentata richiesta di votazione nominale. La richiesta è firmata dagli onorevoli Uberti, De Palma, Coccia, Angelucci, Clerici, Bubbio, Garbato, Monticelli, Mastino Gesumino, Angelini, Bosco Lucarelli, Taviani, Tozzi Condivi, Firrao e Bovetti.
Votazione nominale.
PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta Orlandi-Giannini di non includere, all’ordine del giorno di domani la discussione sulla ratifica del Trattato di pace, contrariamente alla richiesta del Presidente del Consiglio.
Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.
(Segue sorteggio).
Comincerà dal nome del deputato La Pira. Si faccia la chiama.
MOLINELLI, Segretario, Fa la chiama.
Rispondono sì:
Abozzi – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato – Azzi.
Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bellusci – Bencivenga – Benedetti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bonomelli – Bordon – Bruni – Bucci – Buonocore.
Cacciatore – Calamandrei – Camangi – Cannizzo – Caprani – Carmagnola – Carpano Maglioli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Condorelli – Coppa Ezio – Corbi – Corsini – Costa – Cremaschi Olindo.
D’Amico Michele – De Michelis Paolo – De Vita – Di Vittorio – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.
Fabbri – Facchinetti – Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.
Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gullo Fausto.
Imperiale – Iotti Nilde.
Jacometti.
Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – Landi – La Rocca – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Luisetti – Lussu.
Maffi – Maffioli – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Morandi – Moranino – Moscatelli – Musolino.
Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.
Orlando Vittorio Emanuele.
Pajetta Gian Carlo – Paolucci – Pastore Raffaele – Patricolo – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia –– Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Pistoia – Platone – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Pucci – Puoti.
Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Ruggeri Luigi – Russo Perez.
Saccenti – Sansone – Sardiello – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Secchia – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spano – Stampacchia.
Targetti – Tega – Tieri Vincenzo – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Trulli – Tumminelli.
Valiani – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vinciguerra – Vischioni.
Zanardi – Zuccarini.
Rispondono no:
Adonnino – Alberti – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.
Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bassano – Bastianetto – Belotti – Bennani – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchini Laura – Bocconi – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.
Caccuri – Caiati – Calosso – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Carìstia – Caronia – Carratelli – Cartìa – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Coppi Alessandro – Corsanego – Corsi – Cortese – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Croce.
D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni.
Einaudi – Ermini.
Fabriani – Fanfani – Fantoni – Ferrario Celestino – Fietta – Filippini – Firrao – Foresi – Franceschini – Fuschini.
Gabrieli – Galati – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Ghidini – Giacchero – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Gui – Gullo Rocco.
Jacini – Jervolino.
La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Longhena.
Macrelli – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Micheli – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Motolese.
Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.
Orlando Camillo.
Pacciardi – Pallastrelli – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pella – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti – Preti – Proia.
Quarello – Quintieri Adolfo.
Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Paolo – Rumor.
Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segala – Segni – Sforza – Simonini – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.
Taviani – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.
Uberti.
Valenti – Vallone – Valmarana – Vaironi – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villani.
Zaccagnini – Zagari – Zerbi.
Si sono astenuti:
Conti – Corbino – Crispo.
Malvestiti.
Rubilli.
Sono in congedo:
Ambrosini.
Bellavista.
Fedeli Aldo – Ferrarese.
Galioto.
Lombardo Ivan Matteo.
Pignatari.
Raimondi – Ravagnan.
Saragat.
Zotta.
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.
(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).
Risultato della votazione nominale.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:
Presenti 441
Votanti 436
Astenuti 5
Maggioranza 219
Hanno risposto sì 204
Hanno risposto no 232
(L’Assemblea non approva la proposta degli onorevoli Orlando e Giannini).
Dato l’esito della votazione, resta, pertanto, inteso che all’ordine del giorno di una delle sedute di domani si porrà il progetto di legge sulla ratifica del Trattato di Pace.
Sull’ordine dei lavori.
CODIGNOLA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CODIGNOLA. Mi dispiace di dover affliggere ancora una volta – la quarta volta – l’Assemblea intorno ad una questione rimasta tuttavia in sospeso, la questione cioè della discussione di una mozione da me presentata al Ministro della pubblica istruzione. Come i colleghi ricorderanno, ieri sera la questione è stata discussa e il collega onorevole Gronchi ha avuto a proporre che questa sera si decidesse quando discutere della mozione stessa. Successivamente poi l’onorevole Sansone propose che si discutesse questa mattina, ma la maggioranza respinse questa proposta.
Mi corre pertanto l’obbligo di richiamare nuovamente l’attenzione dell’Assemblea sul fatto che restano ormai due soli giorni alla data fissata dall’onorevole Ministro della pubblica istruzione per le elezioni dei membri del Consiglio Superiore. Se non si procederà domani mattina a questa discussione, nel frattempo avranno luogo le elezioni e sarà perfettamente inutile discuterne più.
Prego quindi l’onorevole Presidente di volere far presente all’Assemblea il carattere di urgenza che presenta questa discussione.
GRONCHI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Nella seduta dei capi-Gruppo, si era stabilito che si dovesse includere il minor numero possibile di altri argomenti negli ordini del giorno per il prosieguo dei nostri lavori parlamentari in questi ultimi giorni. Data comunque l’importanza e il carattere di urgenza della questione di cui si tratta, siamo favorevoli a proporre che domani venga tenuta una seduta notturna, appositamente per discutere della mozione in oggetto.
CROCE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CROCE. Vorrei unirmi alla richiesta che la questione venga, in qualche modo, affrontata nella seduta di domani, perché il momento delicatissimo in cui ci troviamo sconsiglia che le elezioni per il Consiglio Superiore vengano tenute frettolosamente: desta tale preoccupazione, nel mondo degli insegnanti, una simile eventualità, che io reputo assolutamente necessario che la discussione debba aver luogo nel giorno di domani.
PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta dell’onorevole Gronchi di fissare per domani una seduta notturna per la discussione della mozione. (Commenti).
SELVAGGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SELVAGGI. Io proporrei che si discutesse la mozione nella seduta antimeridiana perché, nella seduta dei capi-Gruppo, si erano formulate soltanto delle proposte, ma non si era stabilito nulla di definitivo. Io chiederei pertanto che la discussione sulla ratifica del Trattato di pace fosse fissata per la seduta pomeridiana, riservando invece quella antimeridiana allo svolgimento della mozione.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro della pubblica istruzione a pronunciarsi al riguardo.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Mi rimetto al voto dell’Assemblea.
MALAGUGINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MALAGUGINI. Circa quest’ultima proposta, vorrei pregare il collega Gronchi di riflettere che una discussione la quale avvenisse nella seduta notturna di domani non servirebbe allo scopo, in quanto metterebbe nella quasi impossibilità di prendere un provvedimento qualsiasi, di conferma o di rinvio delle elezioni, fissate per sabato prossimo.
C’è poi un’altra considerazione di carattere particolare che mi permetto di sottoporre alla sensibilità del collega Gronchi. Poiché alla discussione desidererebbe prender parte anche l’onorevole Croce, sarebbe bene evitare al venerando nostro collega il disagio di una seconda seduta notturna.
PRESIDENTE. Onorevole Gronchi, quale è il suo parere?
GRONCHI. Non perché io ritenga giustificata l’osservazione del collega Malagugini, ma per quanto egli ha detto nei riguardi dell’onorevole Croce, non insisto nella mia proposta.
PRESIDENTE. Rimane allora la proposta dell’onorevole Selvaggi di discutere domani nella seduta antimeridiana la mozione Codignola.
La pongo ai voti.
(È approvata).
LA MALFA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA. Faccio presente che se la Commissione avesse tempo domani di esaminare il progetto del Titolo III dell’imposta patrimoniale, riguardante gli enti collettivi, potrebbe presentarsi alla discussione dopodomani in una posizione, per dir così, più definita.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, desidero sottolineare che il lavoro che ci si prospetta, si presenta assai duro. Evidentemente al ritmo con il quale procede l’esame della patrimoniale, è da escludersi che questo disegno di legge possa essere approvato entro la giornata di sabato. (Commenti). Credo che tutti i colleghi siano convinti di ciò. Pertanto, se deve essere esaminata la materia della patrimoniale, discussa la mozione e discussa la ratifica del Trattato di pace, occorre predisporci senz’altro ad un ordine di lavori che si prolunghi oltre il tempo inizialmente previsto.
Per sabato non potremo perciò concludere la sessione dell’Assemblea. (Commenti).
Resta comunque inteso che domani si terranno due sedute: alle 10 per discutere la mozione Codignola, ed eventualmente per il seguito della discussione sull’imposta patrimoniale, e alle 17 per l’esame del disegno di legge sulla ratifica del Trattato di Pace.
(Così rimane stabilito).
Interpellanze e interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interpellanze con richiesta di risposta urgente:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere chi abbia autorizzato le autorità di pubblica sicurezza a limitare la libertà di propaganda vietando l’affissione di manifesti di critica al Governo, e quali misure il Governo intende prendere per richiamare tutte le autorità dello Stato al rispetto delle libertà democratiche.
«Togliatti, D’Onofrio, Secchia, Novella, Rossi Maria Maddalena».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per conoscere quali motivi abbiano finora impedito di dare all’Associazione nazionale reduci il riconoscimento giuridico elevandola ad Ente morale: per sapere se risulti lo stato di crisi emergente esistente nell’Associazione stessa, in conseguenza del mancato riconoscimento e di procedimenti autoritari messi in opera da taluni dirigenti, ed aggravato dai recenti provvedimenti dei prefetti di Milano e di Genova: per sollecitare in via di urgenza il riconoscimento giuridico di cui sopra, onde restituire ai reduci, attraverso un saggio controllo, la certezza della onesta tutela dei loro specifici interessi e diritti.
«Bonfantini, Bianchi Bianca, Rossi Paolo, Segala».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Se i lavori dell’Assemblea dovessero prolungarsi oltre la settimana, il Governo si riserva di determinare, nella seduta di lunedì prossimo, il giorno in cui intende discutere queste interpellanze.
PRESIDENTE. Sono inoltre pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:
«Al Ministro dei trasporti, per conoscere per quali valide ragioni non debba effettuarsi la domenica il servizio dell’autolinea Napoli-Piedimonte d’Alife; il che costringe la popolazione di quella zona a servirsi di autolinee private che effettuano il servizio in concorrenza con la linea sovvenzionata.
«Sansone».
«Al Presidente del Consiglio, dei Ministri, per conoscere:
1°) se, in previsione dell’Anno Santo 1950 – avvenimento che si annunzia di particolare importanza e significazione, e per cui un elevato numero di pellegrini, da ogni parte del mondo cattolico, affluirà in Italia – non ritenga di redigere un concreto piano, elaborato nei suoi dettagli organizzativi e tecnici, per mettere «a punto» l’attrezzatura turistica e ricettiva italiana e adeguarla alla eccezionale esigenza;
2°) se non reputi doveroso, da parte del Governo italiano, in omaggio alla portata universale della fausta e sacra ricorrenza – e congiuntamente nell’interesse della Nazione, che potrà ricevere dall’afflusso cospicuo di visitatori stranieri un benefico e provvidenziale apporto di valuta pregiata – di stabilire le indispensabili premesse, e provvedere gli stanziamenti finanziari occorrenti, perché l’Italia possa offrire ai pellegrini dell’Anno Santo 1950 il massimo desiderabile di conforto, col rendere efficiente l’attrezzatura alberghiera non soltanto della Capitale – dove convergeranno essenzialmente la folle – ma anche nelle zone a spiccato carattere turistico di cui la Penisola è doviziosamente ricca. Il patrimonio d’arte e di archeologia; la incomparabile e prestigiosa bellezza delle riviere, delle pianure e dei monti; i ricordi recenti – come i luoghi dello sbarco alleato, i campi di battaglia ed i Cimiteri di guerra – costituiscono un irresistibile richiamo di amore e di nostalgia;
3°) se non ritenga essenziale armonizzare l’attuazione del programma di opere pubbliche per la ricostruzione ed a sollievo della disoccupazione, alle esigenze relative al miglioramento della rete stradale e delle comunicazioni che si rende necessario realizzare per consentire un ordinato e soddisfacente movimento turistico;
4°) se non giudichi conveniente dar sollecito inizio ad una perfetta, moderna propaganda dei luoghi considerati nel paragrafo 2°, attraverso la pubblicazione di opuscoli editi con serietà di propositi e dignità di forma nelle varie lingue e da diffondersi nei vari paesi del mondo; con la ripresa di documentari cinematografici; con radiotrasmissioni nelle varie lingue, anche in collegamento con stazioni estere, perché si formi, intorno all’avvenimento dell’Anno Santo 1950, una fervida atmosfera di interesse e di attesa;
5°) se non creda di dover, tra l’altro – direttamente il Governo o attraverso organi ed enti che più si riterranno competenti ed idonei – predisporre la organizzazione di veri e propri peripli turistici attraverso i luoghi che offrano al forestiero motivi, risorse e conforti di maggiore attrattiva, fissando persino il costo di essi, comprensivo dal momento dello sbarco o dall’arrivo sul suolo italiano, di viaggi, albergo, vitto, tasse di soggiorno e di ogni altra eventuale prestazione, allo scopo di incoraggiare con opportuna tempestività, coloro i quali, per avventura, intendessero rinunciare al viaggio in Italia per non correre l’alea dell’imprevisto, nei riguardi della spesa;
6°) se non ritenga di suscitare, con proficue iniziative, negli italiani che dovranno aver comunque contatti con gli ospiti – funzionari, pubblici ufficiali, agenti, personale alberghiero e dei pubblici esercizi, guide e cittadini tutti – una fervida gara di cortesia dignitosa ed accogliente, perché la tradizionale gentilezza italica superi la aspettativa e si affermi come non ultima e non trascurabile espressione di civiltà e di consapevolezza;
7°) se non ravvisi, infine, l’opportunità di demandare ad una Commissione parlamentare di studio il compito di coordinare le varie iniziative in un piano unico da attuarsi con gradualità e che, fino d’ora, impegni la Nazione e la prepari materialmente e spiritualmente all’importante avvenimento.
«De Martino, Giordani, Rodinò Ugo».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere in quale modo intendano di provvedere perché siano rispettati gli impegni che lo Stato ha assunto, verso cittadini gravemente colpiti dall’insulto bellico, a mezzo dell’Ufficio di assistenza post-bellica di Parma, di quella Prefettura e Genio civile, impegnando ed in parte erogando 57.830.000 lire, ordinate dall’allora Ministro onorevole Gasparotto con la sua lettera all’assistenza post-bellica di Parma, in data 19 aprile 1946, e con le precise istruzioni contenute nell’altra del 14 maggio 1946, per l’erogazione a ricostruzione di case danneggiate o distrutte per rappresaglie contro i partigiani.
«In base ad esse l’Ufficio in parola, d’accordo coi sindaci, presidenti dei singoli Comitati comunali di ricostruzione, ha assegnato le somme, ha promosso ed accettato le cessioni dei contributi per la legge dei senzatetto, chiesti dal Genio civile con contratti per mano di notaio, ha anticipato, nelle forme regolari, le rate pattuite sulla base dello stato di avanzamento dei lavori, circa venti milioni di lire.
«Col passaggio della competenza al Ministero dei lavori pubblici ogni cosa è stata fermata con danno incalcolabile delle ricostruzioni incominciate e di tanti colpiti e danneggiati, i quali non comprendono e l’interrogante con loro, come la pubblica Amministrazione possa sottrarsi, pel semplice passaggio da un Ministero all’altro, ad impegni legalmente assunti.
«Micheli, Valenti».
Informo che il Governo si riserva di comunicare quando intende rispondere a queste interrogazioni.
PERTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERTINI. Ho presentato una interrogazione sui gravi fatti verificatesi nelle carceri di Poggioreale. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Comunico di avere inviato sul posto un alto funzionario per svolgere un’inchiesta e riferire. Mi riservo, pertanto, di dare una risposta sui fatti denunciati appena in possesso dei risultati dell’inchiesta.
PERTINI. Prendo atto della comunicazione del Ministro, da cui risulta che il fatto segnalato esiste e che è stata predisposta una inchiesta. Rimango in attesa di una risposta concreta.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Unitamente ad altri colleghi avevo presentato un’interrogazione al Ministro di grazia e giustizia II Ministro dichiarò di essere pronto a rispondere all’interrogazione. Noi chiediamo ora se può essere fissato il giorno di discussione dell’interrogazione stessa.
PRESIDENTE. Faccio presente ai colleghi che la eventuale fissazione di una seduta dedicata alle interrogazioni è subordinata al lavoro che l’Assemblea dovrà affrontare e concludere prima delle vacanze.
Vorrei comunque pregare i colleghi di considerare che il generoso e lodevole interesse di ciascuno per particolari, sia pure importanti, problemi, deve essere contenuto nei limiti ormai fissati all’attività dell’Assemblea.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare nei riguardi del Commissario della Società italiana di metapsichica, in relazione alle ripetute violazioni delle disposizioni statutarie da lui compiute ed alla sua pervicace resistenza agli inviti perentori rivoltigli dal Ministero della pubblica istruzione di rientrare nella legalità, convocando l’assemblea generale dei soci per la regolare elezione delle cariche sociali.
«Mortati».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno, oltreché giusto, estendere, nella stessa misura, al proprietario che coltiva la vigna in unione alla mano d’opera altrui il beneficio dell’esenzione dal pagamento dell’imposta di consumo, sul vino concesso dall’articolo 2 del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 177, al solo manuale coltivatore del fondo.
«Costringere il proprietario, che paga le non lievi imposte sulla vigna, che dà lavoro ai disoccupati, che dirige e controlla tale lavoro, che acquista concimi e insetticidi, a pagare il dazio sul bicchiere del proprio vino, che con la famiglia giornalmente consuma, e sul vino che somministra agli operai addetti ai lavori del vigneto, è semplicemente assurdo, per non dire iniquo.
Devesi rilevare, inoltre, che, negandosi la esenzione di cui sopra a questa benemerita categoria di piccoli proprietari, molte vigne cederanno il posto a colture meno faticose e remunerative, con grave danno per l’economia nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Paolucci».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere quali provvidenze precauzionali s’intenda adottare per evitare che la ripresa attività delle fabbriche di Borgofranco Ivrea: Società alluminio italiana, Società idroelettrica Borgofranco e Società Cheddite rechino serio danno con le esalazioni di gas nocivi alla vegetazione, ai raccolti e ai numerosi agricoltori della zona, come già precedentemente si è verificato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Scotti Alessandro».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non reputi necessario ed urgente promuovere provvedimenti i quali valgano ad assicurare ai comuni – meglio che non facciano ora le disposizioni contenute negli articoli 161 e seguenti del testo unico 14 settembre 1931, numero 1175 e successive modificazioni ed aggiunte – la percezione dell’imposta sulle industrie in confronto delle aziende industriali che hanno la propria sede principale o anche solo gli uffici nella capitale, o nei capoluoghi di regione o di provincia, come suole accadere, mentre tengono i propri impianti industriali di produzione nei comuni minori.
«E notorio che questi comuni, per ragioni certamente non ignote al Ministero delle finanze, riescono difficilmente ad ottenere un congruo riparto del reddito di ricchezza mobile accertato alle aziende dagli uffici distrettuali delle imposte ove le aziende stesse hanno la propria sede: generalmente la ottengono in misura inadeguata e con notevole dannoso ritardo. Accade così che comuni, nei quali vi sono stabilimenti industriali con migliaia di operai e dove, pertanto, i pubblici servizi costano assai più che nei comuni con popolazione rurale, devono sostenere spese gravose, in misura cospicua e sempre in aumento, senza riuscire a poterne trasferire anche solo una congrua parte sulle industrie ivi operanti.
«L’intervento del Ministro delle finanze, nel senso chiesto, è divenuto tanto più urgente ora, attese anche le disposizioni rivolte a contenere per quest’anno ed eliminare in seguito i contributi dello Stato ad integrazione dei bilanci comunali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bulloni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, perché chiarisca la ragione per la quale non sia ancora stato disposto il beneficio consentito dall’articolo 1664 del nuovo Codice civile concernente la bilaterale revisione dei prezzi per i contratti-appalto, quando vengono a verificarsi le condizioni previste dall’articolo stesso.
«Ciò, perché, nelle attuali condizioni di continuo rialzo del costo della mano d’opera e di quello delle merci, le imprese assuntrici di lavori in appalto per conto del Ministero dell’agricoltura e delle foreste non hanno ancora beneficiato del trattamento che è stato già disposto per i contratti assunti per conto del Ministero dei lavori pubblici, determinando:
1°) malcontento nell’ambiente delle imprese appaltataci, acuito dai continui ed annunciati stanziamenti in ordine di decine di miliardi per la realizzazione di nuove opere, mentre soano ancora in via di liquidazione lavori di contratti estinti, molti dei quali risalenti al 1941, liquidazioni ferme non tanto per la macchinosa burocrazia, quanto per le divergenze sorte nell’applicazione delle clausole contrattuali relative alle revisioni;
2°) l’esodo all’estero di molte imprese, in modo particolare di quelle più importanti e meglio attrezzate, che determinano – e maggiormente determineranno nell’avvenire – nocumento alla ricostruzione della Patria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rognoni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere per quali motivi non si sia dato ancora corso al decreto legislativo concernente la corresponsione della intera indennità di caroviveri al personale in effettivo servizio presso comandi, enti o reparti dell’Esercito e dell’Aeronautica militare, ove siano regolarmente costituite mense obbligatorie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Nobile».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere i motivi in base ai quali ufficiali superiori e generali pretermessi (prima dell’8 settembre 1943) per ragioni di salute o per mancanza del periodo di comando, siano stati collocati nella riserva con pensione normale e non si siano applicate ai medesimi le disposizioni speciali di cui al regio decreto legislativo 14 maggio 1946, n. 384; di tali disposizioni usufruiscono anche ufficiali discriminati e puniti per il loro comportamento dopo l’8 settembre 1943.
«La diversità di trattamento non solo è in contrasto coi precedenti di detti ufficiali pretermessi e spesso anche con la lodevole attività svolta dopo l’8 settembre 1943, ma mette i medesimi, con la limitata pensione ad essi concessa, in condizioni impossibili di vivere con le loro famiglie.
«Si chiede perciò, per evidenti ragioni di giustizia, che ai predetti ufficiali vengano estese le norme di cui al citato regio decreto legislativo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Numeroso, Riccio, Leone Giovanni, De Michele».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non creda necessario che la pubblica Amministrazione si pronunci sui ricorsi presentati dalle insegnanti elementari che parteciparono al concorso magistrale del gennaio 1942 (posti di prima categoria nelle scuole di Roma) contro la limitazione del numero dei posti messi a concorso, prima che siano banditi i nuovi concorsi, o che siano effettuati trasferimenti dalla provincia per l’anno scolastico 1947-48.
«L’urgenza di decidere i ricorsi suddetti si giustifica, a prescindere da considerazioni di buona amministrazione, con il pericolo che abbiano diversa destinazione posti che debbono essere reintegrati al concorso magistrale del 15 gennaio 1942. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bozzi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Governo, per sapere:
1°) se intende concretare la promessa, più volte fatta, di emanare un provvedimento che riconosca i debiti contratti dalle formazioni, partigiane e dai Comitati di liberazione nazionale che per esse hanno agito in zona libera;
2°) se non creda opportuno emanare tale provvedimento al più presto per limitare il danno già grave derivante dalla svalutazione della moneta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mezzadra».
PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 22.40.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10:
- – Svolgimento di una mozione dell’onorevole Parri ed altri sull’elezione del Consiglio superiore della pubblica istruzione.
- – Seguito della discussione sul disegno di legge:
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
Alle ore 17:
Discussione sul disegno di legge:
Approvazione del Trattato di pace tra le Potenze Alleate ed Associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. (23).