Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 22 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cxcv.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 22 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARDETTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Romano

Moro

Fuschini

Codignola

Camposarcuno

Persico

Nobile

Paris

La seduta comincia alle 10.30.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo l’onorevole Pignatari.

(È concesso).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che in sostituzione dell’onorevole Cicerone, dimissionario, ho chiamato a far parte della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge l’onorevole Carboni.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Siamo giunti all’articolo 122 per il quale vi è una proposta della Commissione di rinviarlo, perché in esso si fa riferimento agli organi di controllo; e non si è ancora affrontato questo problema.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il motivo è evidente. Sono state rinviate le norme sullo scioglimento dei Consigli regionali e sulle dichiarazioni di incostituzionalità delle leggi regionali. Un caso analogo di norme da rinviare è quello dei controlli amministrativi sugli atti delle regioni e degli enti locali. Si tratta anche qui di conoscere prima quali sono i criteri ed i principî che regolano gli organi fondamentali dello Stato in queste varie materie. Poiché si tratta in ogni modo di questioni e momenti secondari della vita regionale, che si possono rinviare, senza che sia turbata la determinazione, che abbiamo fatto, della struttura e del funzionamento fondamentale della Regione, anche per il 122, propongo il rinvio.

PRESIDENTE. Vi è dunque questa proposta della Commissione. Se nessuno chiede di parlare in proposito, resta stabilito che l’esame dell’articolo 122 viene rinviato e sarà ripreso quando saranno stati risolti i problemi che si riferiscono alla materia degli Statuti regionali.

(Così rimane stabilito).

L’onorevole Romano ha richiamato l’attenzione sul fatto che egli ha presentato la seguente proposta di articolo 121-bis.

«I Comuni e le Provincie esercitano la potestà regolamentare nei modi e nei limiti che la legge stabilirà».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che questa norma possa essere esaminata dopo le altre, perché è una norma aggiuntiva. Non vedo come possa essere collocata qui, dove si parla di altri argomenti. Ad ogni modo, se si deve entrare in materia, dichiaro che il Comitato non è favorevole a questa disposizione, perché stabilire che la legge determinerà i modi di fare i regolamenti, da parte di Comuni e Provincie, non è necessario, perché questi regolamenti sono ammessi fin d’ora.

Se mettiamo la parola «regolamento» entriamo nel dibattito che abbiamo voluto evitare; non parliamo di regolamento ma di norma legislativa della Regione. L’articolo proposto, quindi, non lo si ritiene né necessario – ché questo potere vi sarà sempre, la legge lo determinerà sempre – né opportuno perché farebbe aprire la questione dei regolamenti. Ad ogni modo, ripeto, non credo che dovrebbe essere collocato qui; si dovrebbe esaminare, in ogni caso, a proposito delle Provincie e dei Comuni. Comunque, la Commissione non è favorevole.

PRESIDENTE. Onorevole Romano, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Lo mantengo, e rilevo che all’articolo 121 si prendono in esame i Comuni. Ecco perché avevo collocato qui il mio emendamento.

Effettivamente l’articolo aggiuntivo proposto non fa che affermare quanto già è acquisito al nostro ordinamento giuridico; ma io penso che quanto in esso è detto debba trovare il suo posto naturale nella Carta costituzionale.

Procedendo al nuovo ordinamento dello Stato, noi abbiamo riconosciuto l’esistenza della Regione, della Provincia e del Comune. Per la Regione, abbiamo stabilito all’articolo 109 la potestà di emanare norme giuridiche relativamente ad alcune materie che incidono sulla fisionomia etnica della Regione; non può quindi farsi a meno di affermare in quale maniera la Provincia ed i Comuni debbano emettere quei comandi nei quali si concretizza la loro vita. Specie il Comune, che è un piccolo Stato, le cui molteplici funzioni sintetizzano la vita del Paese. Sia il Comune che la Provincia debbono poter emettere delle norme, che possono riguardare materie diverse. Vi possono essere norme di polizia, che in virtù di un pubblico interesse impongono limiti negativi. Altre norme possono sottoporre i singoli, che vogliono spiegare una determinata attività, o al vincolo della preventiva denunzia da dare all’autorità amministrativa, o al vincolo della preventiva autorizzazione. Si può presentare la necessità di imporre limiti alla proprietà individuale, di imporre ai cittadini prestazioni di opere per l’espletamento di servizi pubblici; vi può essere la necessità di norme che disciplinino i servizi pubblici, di norme riguardanti l’igiene sanitaria, l’urbanistica, ecc.

A tutto questo si provvede con regolamenti: quindi necessità di una potestà regolamentare. E vero che questo è un istituto già acquisito dal nostro ordinamento giuridico, ma per ampiezza di espressione ritengo che sia naturale l’impostazione di questa norma nella Carta costituzionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il collocamento non può essere qui, dopo articoli che abbiamo rinviato ma non depennato e quindi torneranno a suo tempo. L’emendamento aggiuntivo Romano riguardante le Provincie ed i Comuni dovrebbe venire dopo l’articolo 121. Nel merito, il Comitato ritiene che l’esercizio di poteri regolamentari delle Provincie e dei Comuni nelle forme e nei modi di legge è istituto acquisito, che non ha d’uopo in una norma di Costituzione. Si aggiunga che questa nostra Costituzione delinea la figura delle Provincie e dei Comuni in un modo estremamente sintetico; e non entra in determinazioni più particolari, quale sarebbe questa dei regolamenti. Infine, e per il Comitato è decisivo, voi sapete perché non abbiamo voluto parlare di potestà e norme regolamentari, pur ammettendole, per la Regione. Tacere per la Regione, e parlare per gli altri enti locali, sarebbe asimmetria.

PRESIDENTE. L’onorevole Romano conserva il suo emendamento?

ROMANO. Molte cose sono acquisite nell’ordinamento giuridico: si è parlato del diritto al lavoro; si è parlato anche del paesaggio, ecc. Comunque io insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Romano.

L’onorevole Moro ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che aderendo alle considerazioni fatte dal Presidente della Commissione, circa la superfluità di questa norma, noi voteremo contro l’emendamento Romano.

(L’emendamento non è approvato).

PRESIDENTE. Segue l’articolo 123. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le Regioni sono così costituite:

Piemonte;

Valle d’Aosta;

Lombardia;

Trentino Alto-Adige;

Veneto;

Friuli e Venezia Giulia;

Liguria;

Emiliana lunense;

Emilia e Romagna;

Toscana;

Umbria;

Marche;

Lazio;

Abruzzi;

Molise;

Campania;

Puglia;

Salento;

Lucania;

Calabria;

Sicilia;

Sardegna.

«I confini ed i capoluoghi delle Regioni sono stabiliti con legge della Repubblica».

PRESIDENTE. Per questo articolo è pervenuta alla Presidenza una proposta del seguente tenore: «L’Assemblea rinvia la discussione dell’articolo 123 alla ripresa dei lavori». La proposta è firmata dagli onorevoli Fuschini, Nasi, Salvatori, Colitto, Spallicci, Mazza, Cannizzo, Carboni, Balduzzi e numerosi altri. L’onorevole Fuschini ha facoltà di svolgerla.

FUSCHINI. Mi pare che la ragione del rinvio di questo articolo 123 sia evidente. L’articolo 123 comporterà una discussione che non può essere compiuta in breve termine. Siccome ci troviamo di fronte allo scorcio dei lavori parlamentari – e del resto anche l’Assemblea è stanca del lungo lavoro fatto – credo che questa discussione, la quale riscalderà gli animi – perché si difendono interessi ritenuti legittimi per molti sensi – debba essere fatta in una situazione di quiete spirituale ed anche fisica.

Per questo io ho sottoscritto questa proposta, perché sia rinviata la discussione alla ripresa dei lavori parlamentari; cioè, questo sarà il primo argomento da discutere, salvo imprevisti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si tratta di una questione di tecnica e di procedura dei lavori, che non implica un senso piuttosto che un altro di soluzione e non ha nessun significato sostanziale.

Il Comitato, che ha esaminato stamane la proposta, pur dolendosi che col rinvio si debba prolungare la discussione, ha ritenuto che, allo scopo di evitare, in questo scorcio di lavori, una affrettata e non completa disamina del problema, si debba rinviare.

Il Comitato, pertanto, aderisce alla proposta dell’onorevole Fuschini.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di rinvio.

(È approvata).

Si passa all’articolo 124, che nel progetto è del seguente tenore:

«Lo statuto di ogni Regione è stabilito in armonia alle norme costituzionali, con legge regionale deliberata a maggioranza assoluta dei consiglieri e a due terzi dei presenti; e deve essere approvato con legge della Repubblica».

Il Comitato ha proposto la seguente nuova formulazione, comprensiva anche dell’articolo 119, che fu rinviato appunto per la sua connessione con l’articolo 124:

«Ogni Regione ha uno Statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione, all’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione ed alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

«Lo Statuto è adottato con legge deliberata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri, ed è approvato con leggi della Repubblica».

Ricordo che l’articolo 119 era nel progetto così formulato:

«Gli statuti regionali regolano l’esercizio dei diritti d’iniziativa e del referendum popolare in armonia con i principî stabiliti dalla Costituzione per le leggi della Repubblica.

«Gli statuti regionali regolano altresì il referendum su determinati provvedimenti amministrativi».

Sull’articolo 119 l’onorevole Codignola aveva presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Gli statuti regionali regolano l’esercizio dei diritti d’iniziativa e di referendum popolare nei limiti delle attribuzioni deferite dalla presente Costituzione alla Regione».

L’onorevole Codignola, vi inviste?

CODIGNOLA. Rinunzio, perché la nuova formulazione proposta dalla Commissione mi sodisfa.

PRESIDENTE. Sempre sull’articolo 119 l’onorevole Perassi aveva presentato il seguente emendamento:

«Fondere gli articoli 119 e 124 nel seguente:

«Ogni Regione ha uno Statuto, il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi dello Stato, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione, all’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione ed alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

«Lo Statuto è adottato con legge deliberata del Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri».

Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’emendamento Perassi è stato sostanzialmente accolto dalla Commissione. La differenza sola è questa: la Commissione ha ritenuto di aggiungere che lo Statuto, pur essendo adottato con legge della Regione, deve essere approvato con legge della Repubblica, perché riguarda materia di grande importanza e non deve mancare il coordinamento fra i criteri vigenti per le varie Regioni.

PRESIDENTE. Poiché l’Assemblea decise di esaminare contemporaneamente i due articoli, esaminiamo subito anche gli emendamenti presentati sull’articolo 124.

L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

Lo Statuto di ogni Regione è stabilito in armonia alle norme costituzionali con legge deliberata a maggioranza assoluta dei consiglieri, e deve essere approvato con legge della Repubblica».

L’onorevole Codignola insiste?

CODIGNOLA. Rinunzio.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente, che risulta dalla fusione e coordinazione del primo, secondo e terzo alinea dell’articolo 109, dell’articolo 119, del secondo comma dell’articolo 121 e dell’articolo 124 del progetto:

«Lo Statuto di ogni Regione è stabilito, in armonia con la Costituzione e le leggi della Repubblica, mediante legge deliberata dal Consiglio regionale, alla presenza della maggioranza dei consiglieri e con il voto favorevole dei due terzi dei presenti.

«Esso conterrà le norme per l’organizzazione interna della Regione, per la modificazione delle circoscrizioni provinciali e comunali, per l’ordinamento della polizia locale urbana e rurale, per l’esercizio del diritto di iniziativa popolare e di referendum, e per quanto altro occorra all’adempimento dei compiti affidati all’ente».

Poiché l’onorevole Mortati è assente, l’emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Camposarcuno ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere:

«Ogni Statuto regionale deve contenere le norme per la propria revisione».

L’onorevole Camposarcuno vi insiste?

CAMPOSARCUNO. Insisto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non ritiene di potere accettare l’emendamento Camposarcuno, redatto poco felicemente e tale da far pensare che la revisione possa esser fatta soltanto dalla Regione.

PRESIDENTE. Onorevole Camposarcuno, conserva il suo emendamento?

CAMPOSARCUNO. Il mio emendamento non ha bisogno di giustificazione, in quanto ogni statuto regionale deve contenere le disposizioni che possono dare la possibilità di modificarlo, quando le condizioni locali ed ambientali lo rendano necessario. È una norma che io penso sia utile inserire nella Costituzione, perché lo statuto regionale possa, a suo tempo, essere modificato, se le circostanze rendono ciò necessario. Perciò lo mantengo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto, per l’emendamento Camposarcuno, che la Commissione non lo ritiene opportuno.

PRESIDENTE. Vi è ora un emendamento dell’onorevole Persico al nuovo testo, così formulato:

«Al secondo comma, alle parole: con legge della Repubblica, sostituire le altre: dal Presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato».

Onorevole Persico, lo mantiene?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ha considerato che gli statuti regionali conterranno norme in materia molto delicata, ad esempio, per il regolamento e le funzioni dell’Assemblea, che la Costituzione, come vi ricordate, non ha creduto di disciplinare direttamente, ma di rinviare agli statuti. Sembra al Comitato necessario che, all’approvazione degli statuti, occorra una legge dello Stato.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione.

Sul primo comma non vi sono emendamenti; esso sarà quindi votato nel testo proposto dalla Commissione, che è del seguente tenore:

«Ogni Regione ha uno Statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione, all’esercizio del diritto d’iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione ed alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali».

NOBILE. Chiedo di parlare, per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Voterò contro questa dizione, perché ritengo che lo Statuto dovrebbe essere uguale per tutte le Regioni.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 124, nel testo proposto dalla Commissione, testé letto.

(È approvato).

Sul secondo comma di questo articolo 124 vi è l’emendamento dell’onorevole Persico:

«Al secondo comma, alle parole: con legge della Repubblica, sostituire le altre: dal Presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato».

Pongo pertanto in votazione la prima parte del testo della Commissione, così formulata:

«Lo statuto è adottato con legge deliberata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri».

(È approvata).

Dovrò ora porre ai voti l’emendamento Persico, sostitutivo della seconda parte del comma.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. La preoccupazione per la quale ho proposto l’emendamento è questa: lo statuto della Regione viene già approvato con una legge regionale e con una maggioranza qualificata, cioè assoluta. Poi, secondo il testo concordato dal Comitato di coordinamento, questo statuto regionale, già approvato con questa maggioranza…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non approvato, ma adottato.

PERSICO. In sostanza dovrebbe essere approvato con una legge dello Stato, cioè dalla Camera e dal Senato, attraverso un curriculum legislativo che può durare comodamente qualche anno; per cui tale statuto resterebbe in sospeso per un tempo indeterminato, con danno di quelle che debbono essere le funzioni della Regione. Io ho proposto di abbreviare questo curriculum, che non serve a nulla, perché noi abbiamo già la legge regionale, poi avremo la legge della Camera e del Senato, ecc., e si verrebbe a creare una superfetazione inutile.

Occorre che ci sia invece un organo amministrativo che esamini lo statuto regionale sotto il profilo formale e sostanziale, e questo organo è il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, il quale darà un parere, dopo di che lo statuto regionale verrebbe approvato dal Presidente della Repubblica. Vi sarebbe così un parere interno, espresso in adunanza generale dal Consiglio di Stato, sotto il profilo della legalità formale e sostanziale e poi l’approvazione da parte del Presidente della Repubblica. Con questo sistema si risparmierà tempo, e si arriverà ad avere, con una certa rapidità, la serie degli statuti regionali.

Forse l’onorevole Nobile è nel vero quando vorrebbe uno statuto standardizzato per tutte le Regioni; ma, siccome ogni Regione ha le sue caratteristiche peculiari, non è inopportuno che ogni Regione abbia uno statuto diverso; è opportuno però che tali statuti entrino in vigore con una certa rapidità, e non siano soggetti a lungaggini di approvazioni.

Noi sappiamo per esperienza che molte volte una legge, attraverso il palleggiamento che viene a determinarsi tra Camera e Senato, può rimanere per tre o quattro anni non approvata, così da andare addirittura sommersa per la chiusura della legislatura. Questo è avvenuto per molte leggi, e noi lo ricordiamo anche come esperienza personale.

Dichiaro perciò di mantenere l’emendamento da me proposto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non è favorevole all’emendamento dell’onorevole Persico, per le ragioni già dette. A me personalmente, l’intervento del Consiglio di Stato sarebbe gradito: e si potrà sempre sentirne il parere; ma non sembra che il Capo dello Stato, cui spetta promulgare ogni legge dello Stato, sia il più adatto ad approvare una legge regionale; è per lo meno una cosa un po’ strana.

L’onorevole Persico si preoccupa giustamente che non vi siano delle lungaggini; ma, se noi deferiamo il potere di approvazione di questi statuti al potere esecutivo, esponiamo le Regioni a pericoli e lentezze maggiori, perché, evidentemente, il potere esecutivo può non approvare, e quindi ritardare finché vuole. Mentre che, se noi deferiamo al Parlamento questo compito, vi saranno le varie correnti politiche che stimoleranno l’approvazione, specialmente nel Senato a base regionale. Si potranno adottare procedure ben rapide, e ricorrere a deleghe del Parlamento al potere esecutivo, restando però fermo che il potere di approvazione è del Parlamento.

Io credo che il testo della Commissione tuteli gli interessi della Regione più di quello che non avverrebbe con la formulazione proposta dall’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Persico del seguente tenore:

«ed è approvato dal Presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato».

(Non è approvato).

Pongo ai voti la formulazione della Commissione:

«ed è approvato con legge della Repubblica».

(È approvato).

L’articolo risulta pertanto approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Vi è ora l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Camposarcuno:

«Ogni statuto regionale deve contenere le norme per la propria revisione».

La Commissione ha dichiarato di non essere favorevole a questo emendamento aggiuntivo.

CAMPOSARCUNO. Domando se lo statuto regionale deve contenere o meno le norme per la sua eventuale revisione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nulla lo vieta.

CAMPOSARCUNO. Questo non può essere inserito?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato si è opposto.

PRESIDENTE. Il Comitato ha fatto una dichiarazione esplicita a questo proposito. Onorevole Camposarcuno, mantiene il suo emendamento?

CAMPOSARCUNO. Sì.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Camposarcuno.

(Non è approvato).

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola aveva proposto il seguente articolo aggiuntivo:

«La Repubblica garantisce il pieno e libero sviluppo, nell’ambito della Costituzione, delle minoranze etniche e linguistiche esistenti sul territorio dello Stato».

Egli l’ha successivamente sostituito col seguente:

«La Repubblica detta norme per la protezione delle minoranze linguistiche».

L’onorevole Codignola ha già svolto il suo emendamento.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini per manifestare il parere della Commissione in merito al suddetto emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ha ritenuto che si possa accogliere questa proposta dell’onorevole Codignola, ma è del parere che non debba essere collocata qui nel Titolo delle Regioni, perché non è il luogo adatto. Si tratta, infatti, di leggi generali dello Stato che debbono tutelare le minoranze linguistiche. La disposizione dovrà essere messa in altro luogo, che decideremo a suo tempo.

PRESIDENTE. Porrò allora ai voti l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Codignola, accettato dalla Commissione, restando inteso che la norma – ove fosse approvata – sarà collocata al posto debito in occasione della redazione definitiva del testo della Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io proporrei di sostituire alla parola «protezione» la parola «tutela».

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola accetta la sostituzione della parola «tutela» alla parola «protezione»?

CODIGNOLA. Sì.

PARIS. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARIS. Bisognerebbe distinguere fra le Regioni che non hanno uno statuto speciale e le Regioni che lo hanno, perché la Repubblica non dovrebbe intervenire quando l’Assemblea Costituente ha sanzionato col suo voto uno Statuto particolare ad una Regione. Quindi, accetto l’emendamento se non va inserito in sede di Regione.

PRESIDENTE. Come si è detto, questo articolo si approva con l’intesa che in sede di coordinamento sia collocato nella sede più adatta, allorché si procederà alla redazione definitiva.

Pongo allora in votazione l’emendamento dell’onorevole Codignola così modificato:

«La Repubblica detta norme per la tutela delle minoranze linguistiche».

(È approvato).

Come l’Assemblea ricorda, l’articolo 123 è stato rinviato. Per connessione anche la discussione sull’articolo 125 si intende rinviata.

Rinvio ad altra seduta il seguito della discussione.

La seduta termina alle 11.15.

LUNEDÌ 21 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 21 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Mozione (Svolgimento):

Presidente

Abozzi

Laconi

Mastino Pietro

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Lussu

Mortati

Mastino Gesumino

Carpano Maglioli

Mannironi

Tosato

Carboni Enrico

Chieffi

Spano Velio

Codacci Pisanelli

Colitto

Dugoni

Cianca

Fuschini

Togliatti

Piccioni

Carboni Angelo

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Dugoni

Sui lavori dell’Assemblea:

Codignola

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Fuschini

La Malfa

Pella, Ministro delle finanze

Uberti

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta pomeridiana precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati onorevoli Ambrosini, Arata e Condorelli.

(Sono concessi).

Svolgimento di una mozione.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento della seguente mozione firmata dagli onorevoli Lussu, Lombardi Riccardo, Cianca, Calamandrei, Laconi, Spano Velio, De Vita, Mazzei, Parri, Cevolotto, Veroni, Mastino Gesumino, Di Giovanni, Grieco, Uberti, Carboni Angelo, Binni, Fiorentino, Schiavetti, Tosato, Fuschini e Giua:

«L’Assemblea Costituente,

considerato:

che l’istituzione degli Alti Commissari e delle Consulte regionali poneva la Sicilia e la Sardegna, per le condizioni particolari alle due grandi Isole, in una identica situazione politica;

che l’articolo 108 della Costituzione in esame attribuisce alla Sicilia e alla Sardegna forme e condizioni particolari di autonomia;

che la Consulta Nazionale e il Governo dei Comitati di liberazione nazionale avevano, già nel 1946, deliberato di estendere in via provvisoria alla Sardegna lo Statuto autonomo della Sicilia, provvedimento del quale la Consulta regionale sarda non credette opportuno avvalersi, preferendo elaborare con esame approfondito il suo particolare progetto di Statuto;

che lo Statuto per la Sardegna, approvato nelle sedute del 15-29 aprile 1947, dopo sei mesi di lavori ininterrotti, è stato dalla Consulta regionale sarda presentato al Governo;

che, se seguitasse il regolare andamento della discussione sulla Costituzione, l’Assemblea Costituente non potrebbe esaminare lo Statuto sardo neppure in settembre, per cui le elezioni regionali in Sardegna non potrebbero aver luogo entro l’anno, mettendo così l’Isola in uno stato ingiusto di disparità rispetto alla Sicilia,

delibera:

che per lo Statuto sardo sia adottata la stessa procedura usata per lo Statuto siciliano;

e pertanto l’Assemblea Costituente autorizza il Governo all’approvazione immediata dello Statuto presentato dalla Consulta sarda, sì da rendere possibile in Sardegna la convocazione dei comizi elettorali entro l’anno, riservandosi, come per lo Statuto siciliano, per la fine dei lavori dell’Assemblea Costituente, il diritto di un maggiore esame per coordinare lo Statuto con la nuova Costituzione della Repubblica».

ABOZZI. Chiedo di parlare per una questione pregiudiziale sulla mozione dell’onorevole Lussu.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Onorevoli colleghi, pare a me che la mozione presentata dall’onorevole Lussu e da altri colleghi non possa essere discussa, perché in netto contrasto con la dizione e lo spirito della legge, cioè del decreto legislativo luogotenenziale 25 luglio 1944 e del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946 ed anche, voglio dire ad abbondanza, in netto contrasto con l’articolo 108, secondo comma, del progetto di Costituzione della Repubblica italiano: articolo che è stato già approvato dall’Assemblea. Premetto che la natura costituzionale dello statuto sardo non può essere messa in dubbio; sono le leggi costituzionali quelle che si riferiscono alla organizzazione in cui lo Stato si concreti, alle parti essenziali dell’ordinamento giuridico. Ora, indubbiamente, le Regioni sono elementi essenziali dello Stato; attraverso le Assemblee regionali lo Stato vuole e agisce. Ma anche se le Regioni dovessero essere tenute in un piano meno dignitoso, nel piano in cui sono tenute oggi le Province ed i Comuni, la legge che le istituisce o ne determina la struttura è legge costituzionale.

Basta, per essere convinti della mia tesi, richiamare alla memoria il molto citato articolo 3 del molto citato decreto legislativo 16 marzo 1946 nel quale si dice «durante il periodo della Costituente, e fino a convocazione del Parlamento, a norma della nuova Costituzione, il potere resta delegato, salvo la materia costituzionale, al Governo». Ne consegue che poiché il periodo della Costituente dura ancora e poiché lo Statuto sardo è di natura costituzionale, l’Assemblea ha il diritto esclusivo ad esaminare e discutere lo Statuto sardo, e a discuterlo, non in sede di coordinamento, ma in sede di ordinamento, non di seconda mano, ma di prima mano, non in seconda visione (permettetemi questo ricordo cinematografico) ma in prima.

L’Assemblea Costituente è nata per fare le leggi costituzionali e per fare la Costituzione. Il suo fine specifico, il suo fine fondamentale, è questo; questa è la sua ragione di vivere e di operare e se si spogliasse delle sue prerogative mostrerebbe forse di non apprezzare sufficientemente l’alta dignità che le hanno dato il voto popolare e la legge stessa.

Si tratta, a mio giudizio, di diritti indisponibili di potestà che non si possono cedere, così come non è cedibile il diritto di vivere: se il diritto alla vita fosse ad altri ceduto si avrebbe da una certa parte un omicida e dall’altra un consenziente all’omicidio: una forma indiretta di suicidio. Non credo che l’Assemblea Costituente voglia ricorrere a tale forma di morte.

Per essere maggiormente convinti della mia tesi, basta rivivere nella memoria la storia della Costituente. Un primo decreto legge, quello del 2 agosto 1943, stabiliva la convocazione di una Assemblea legislativa normale; ma più tardi si pensò che una Assemblea normale non potesse né dovesse deliberare la Costituzione della Repubblica; e si volle una particolare Assemblea, che fu la Costituente. Più tardi furono emanate le norme integrative, quelle del 16 marzo 1946.

Dico per incidenza che il potere legislativo delegato al Governo può apparire strano. Tuttavia, penso che nella mente del legislatore non vi volesse essere un depotenziamento dell’Assemblea, ma un potenziamento, poiché eran riservate ad essa le supreme leggi, quelle che formano l’aristocrazia della legislazione. Si è voluta dunque un’Assemblea che avesse uno scopo specifico: la Costituzione e le leggi costituzionali. Ne consegue che l’articolo 3 del decreto luogotenenziale ha carattere rigido; e nelle norme a carattere rigido quello che non è espressamente detto, è escluso. In quell’articolo 3 si dice: «II Governo può sottoporre all’Assemblea qualunque argomento, per il quale ritenga opportuno la deliberazione di essa». Ma non è detto che l’Assemblea possa cedere al Governo il suo potere costituente. Se questo accadesse, il Governo avrebbe il suo potere specifico, quello di esecuzione, il potere legislativo normale, che gli è delegato dalla legge, ed in più il potere costituente delegato dall’Assemblea.

Onorevoli colleghi, se il signor De Montesquieu riaprisse i suoi pensosi occhi alla luce del giorno, guarderebbe con alta meraviglia questa strana confusione di poteri e guarderebbe con alto stupore quello che potrebbe accadere nella prima Assemblea democratica della giovane Repubblica.

Né si dica che i diritti dell’Assemblea sono salvi, perché essa, in sede di coordinamento, dovrà coordinare lo statuto con la nuova Costituzione.

Dico subito che una cosa è esaminare e deliberare su una legge, non ancora approvata, ed altra cosa è esaminare una legge già approvata. D’altra parte, troppo spesso, non soltanto i filosofi, ma anche i politici e gli uomini di legge usano parole non precise nel significato e soprattutto nei limiti.

Nello statuto siciliano vi è questa dizione, che dovrebbe essere estesa allo statuto sardo: «Lo statuto sarà sottoposto all’Assemblea Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato».

Onorevoli colleghi, sembrano parole lucide, chiare, trasparenti, ma non sono né lucide, né chiare, né trasparenti. Ed infatti può sorgere una voce audace, in quest’Aula – dovrei dire audacissima – per dire: Voi, Assemblea Costituente, potete armonizzare quelle norme che non sono armonizzate con la Costituzione generale, ma non potete fare altro perché a questa armonizzazione si riduce l’opera di coordinamento. Quelle parti che non contrastano con la Costituzione, indifferenti per così dire sotto il punto di vista dell’armonizzazione, non potete toccarle anche se fossero cattive o pessime perché la vostra opera consiste solo nel coordinare, nel ridurre la dissonanza a consonanza. Ed anche se questo limite giuridico non ci fosse, rimarrebbe sempre, onorevoli colleghi, un limite morale. Riformare, correggere, sopprimere uno statuto, che è stato già concesso, è cosa pericolosa, perché gli stessi regionalisti sardi penserebbero di essere defraudati di un diritto acquisito. Io dico che è più savio in politica concedere a tempo poco, ed essere in grado di mantenerlo, piuttosto che concedere fuori tempo molto e non poterlo mantenere. Vorrei essere profeta fallace, onorevoli colleghi, ma non penso che sarà cosa molto facile per questa Assemblea alterare, correggere o sopprimere la parte dello statuto siciliano, segnalata dall’onorevole Einaudi, che potrebbe concedere di battere moneta allo staterello siciliano.

Si vuole dunque che sia adottata, per lo statuto sardo, la stessa procedura usata per lo statuto siciliano. Ma, onorevoli colleghi, la situazione è molto diversa: diversa la situazione di fatto e diversa la situazione di diritto.

Quando lo statuto siciliano fu approvato, la Costituente non era più nella mente di Dio; era già nella mente degli uomini ma non funzionava e non era neppure eletta. Il Governo aveva allora piena potestà legislativa e poiché – se abbia fatto bene o male, è altro conto – si era indotto ad approvare, con un decreto legislativo, uno statuto che aveva natura costituzionale, altro non poteva fare che rinviarlo all’Assemblea Costituente futura. Penso, in verità, che potesse e dovesse essere più chiaro, riguardo ai poteri della Costituente nei confronti dello statuto siciliano: doveva non parlare di coordinamento che poteva sembrare una parola limite e dire invece che la Costituente aveva il diritto di esaminare integralmente lo statuto e di discuterlo ex novo. Quando fu approvato lo statuto siciliano, la Costituente non c’era, ma oggi c’è, ed è viva e operante, è nel suo diritto assoluto di esaminare, di approvare e di discutere le leggi costituzionali: e non può essere privata, per nessuna ragione, di questo diritto, e neppure può privarsene.

Dico di più: se il Governo, seguendo una interpellanza già presentata dall’onorevole Lussu, avesse creduto di approvare lo statuto sardo con un decreto legislativo, avrebbe fatto atto illegale, ma la Costituente avrebbe subita e non voluta la privazione del suo diritto. D’altra parte, non si può neppure dimenticare che lo statuto siciliano è stato, prima dell’approvazione, esaminato da una Giunta a cui fu deferito lo studio del provvedimento legislativo. C’è stata una relazione e c’è stato un relatore. Oggi si vuole che l’Assemblea Costituente, senza uno studio, senza un esame, senza neppure una visione superficiale, possa scaricare sulle spalle del Governo l’approvazione per decreto legislativo dello statuto sardo.

E questo dovrebbe farlo proprio quella Assemblea che ha già approvato l’articolo 107 della Costituzione che dice che tutti gli statuti particolari devono essere approvati con legge costituzionale.

PRESIDENTE. Forse la sua intenzione, onorevole Abozzi è di svolgere semplicemente la pregiudiziale. L’argomento deve essere pertanto appena toccato o sfiorato, senza entrare nel merito. Ora mi sembra che ella stia entrando in pieno nel merito. La pregherei pertanto, onorevole Abozzi di mantenersi nei limiti essenziali, richiesti per dare al suo intervento un carattere pregiudiziale.

ABOZZI. È difficile, onorevole Presidente, intendere dove finisce lo svolgimento della pregiudiziale e dove si entra effettivamente nel merito vero e proprio. Nella materia che tratto la pregiudiziale è anche merito. E per il merito varrà. Comunque sto per finire.

Il Governo può fare una cosa sola: presentare all’Assemblea Costituente, perché lo discuta e lo approvi, il disegno di legge per lo statuto sardo: non può fare di più.

Voglio anche ricordare che la delega era un fatto eccezionale per tutte le Assemblee legislative, giustificata da una pubblica calamità, da una ragione tecnica (formazione di codici), dalla grande importanza di una legge minacciata dalla imminente chiusura della sessione. Ma quale ragione dovrebbe giustificare un atto illegittimo dell’Assemblea? Dov’è la pubblica calamità? Dove la ragione tecnica? È forse imminente la fine della Costituente? Se le elezioni regionali dovessero farsi in ritardo, non per questo la Sardegna sprofonderebbe nel suo mare.

La Consulta sarda ha già approvato questo statuto tre mesi fa e non ha espresso voti per anticipate elezioni. La Consulta ha detto soltanto che mandava alla Costituente, perché fosse discusso, il suo progetto, ma non perché fosse approvato per decreto legislativo.

Ho parlato non per fare un ostruzionismo ormai inutile ma perché penso che le Assemblee devono essere fiere ed orgogliose dei loro diritti, e ho voluto difendere questo orgoglio e questa fierezza. Sono certo che l’Assemblea sentirà la grandezza del suo esercizio che la consacra alla Storia e che non consente cessione della sua potestà.

PRESIDENTE. L’onorevole Abozzi ha sollevato la questione pregiudiziale nei riguardi della mozione presentata dall’onorevole Lussu. Un altro membro dell’Assemblea può ancora prendere la parola per sostenere la tesi dell’onorevole Abozzi. Si sono iscritti poi a parlare contro gli onorevoli Laconi e Mastino.

Ha facoltà di parlare onorevole Laconi.

LACONI. Io non ho intenzione di ribattere gli argomenti particolari addotti dall’onorevole Abozzi a sostegno della sua pregiudiziale. La questione è estremamente semplice: la pregiudiziale avanzata dall’onorevole Abozzi non può essere accolta perché non è una pregiudiziale, in quanto investe il merito della mozione, la quale appunto propone alla Camera una particolare procedura per gli statuti sardi.

Chiedo pertanto alla Presidenza che voglia respingere la pregiudiziale dell’onorevole Abozzi e dar luogo senz’altro alla discussione della mozione dell’onorevole Lussu.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Mastino Pietro.

MASTINO PIETRO. L’onorevole Abozzi, nel sostenere pregiudizialmente che la mozione presentata dall’onorevole Lussu non debba essere discussa e tanto meno approvata, non ha portato ragioni che giustifichino la pregiudiziale stessa.

Ogni suo argomento si è ridotto – me le consenta l’onorevole Abozzi – ad una petizione di principio, in quanto egli ha solo affermato come non sia possibile approvare la mozione di cui si tratta perché la Costituente non può delegare i propri poteri: non ha detto altro che questo.

Egli ha fatto invero un esempio, ha proceduto ad una similitudine, ha parlato cioè del caso in cui taluno voglia suicidarsi, per affermare che tale diritto non dovrebbe essergli concesso. Ma, mi permetta l’onorevole Abozzi che io gli dica come nella mozione, così come essa è stata presentata, non si accenni ad alcun proposito di suicidio, in quanto anzi si legge in essa propriamente l’opposto, cioè come la Costituente, che oggi è chiamata a dare al Governo l’autorizzazione ad approvare lo Statuto sardo e in seguito ad indire le relative elezioni, si riservi però il diritto di procedere al coordinamento dello Statuto sardo con lo Statuto nazionale.

E non è ciò forse la conferma, onorevoli colleghi, della potestà massima attribuita alla Costituente, quella cioè di decidere in materia costituzionale? L’onorevole Abozzi non ha dunque fatto altro se non affermare che la Costituente non può cedere le proprie facoltà: egli però non ha detto per quale motivo non possa cederle; egli ciò non ha menomamente dimostrato quanto sostiene. Ha detto, sì, che in Sardegna non è avvertito come urgente questo problema, e che le condizioni che consigliavano la concessione dell’autonomia siciliana erano assai diverse da quelle relative alla Sardegna in quanto non vi era allora la Costituente, mentre oggi c’è; ma con ciò è entrato nel merito, almeno in parte e noi – lo ripeto ancora – siamo in attesa di sapere per quali ragioni la Costituente dovrebbe, secondo lui, respingere pregiudizialmente la mozione presentata dall’onorevole Lussu.

Per queste considerazioni, esorto l’Assemblea a respingere la pregiudiziale Abozzi.

PRESIDENTE. Se, come ho detto prima, vi è un collega che desidera prendere la parola a favore, ne ha facoltà.

Non essendovi alcuno che intenda avvalersi di questo diritto, do la parola all’onorevole Ministro di grazia e giustizia, il quale si pronuncerà a nome del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, intervengo in questa discussione per disposizione del Presidente del Consiglio assente oggi da Roma. Per quanto si riferisce alla pregiudiziale sollevata dall’onorevole Abozzi, vorrei pregare, a nome del Governo, l’onorevole Abozzi di non insistere. Ciò dico tanto più in quanto la discussione, così come è affiorata attraverso la pregiudiziale, non si può dire che abbia veramente fornito argomenti che risolvano una questione di pregiudiziale alla votazione del problema che è ormai all’ordine del giorno dell’Assemblea. Questa ha il diritto di discutere e di prendere le sue deliberazioni in proposito.

Le questioni non sono più che di merito; e allora è meglio discutere nel merito e vedere quali decisioni possano prendersi da parte dell’Assemblea e del Governo in una questione così importante per la vita della Sardegna.

ABOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Non insisto nella pregiudiziale. Quel che ho detto varrà per il merito.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alla discussione di merito. L’onorevole Lussu ha facoltà di svolgere la mozione.

LUSSU. Onorevoli colleghi, ringrazio l’Assemblea per aver voluto acconsentire che, prima di prendere le vacanze, si discuta questo problema. E, per quanto sia assente il Presidente del Consiglio, non posso dispensarmi dall’obbligo di ringraziare un così alto rappresentante del Governo, quale il Ministro di grazia e giustizia, per aver distratto dalle sue occupazioni, che sappiamo molto complesse, il tempo necessario per essere presente a questa discussione. Io credo pertanto, nei riguardi dell’Assemblea e del Governo, di interpretare il pensiero di tutti i rappresentanti sardi dell’Assemblea Costituente, nel considerare il fatto come un atto di deferenza e di interesse per l’Isola, al quale noi siamo sensibili.

Questo problema apparirà, io credo, malgrado le obiezioni di procedura sollevate – sulle quali peraltro non si è insistito – così come è realmente, più un problema tecnico che politico.

Naturalmente, tutto è politico in questa Aula, ma quando ad una mozione come questa appongono la firma rappresentanti così insigni di quasi tutti i partiti politici, il fatto diventa tecnico e non politico. E io credo che avrei potuto domandare la firma anche all’onorevole Guglielmo Giannini, ed egli l’avrebbe data – cavalleresco com’è – per dimostrare che non ha dei risentimenti verso l’Isola per l’accoglienza piuttosto rumorosa che gli è stata fatta in occasione della sua prima visita a Cagliari e a Sassari. Ma non l’ho voluto fare, per non mettere in contrasto il leader dell’Uomo Qualunque con l’onorevole Abozzi, il quale – come ognuno sa – avendo per ideale l’impero, sia pure in forme liberali-democratiche, mal sopporta l’istituto della Regione, specie in Sardegna, perché questo ne frustrerebbe la grandezza unitaria mediterranea. Non diversamente, onorevole collega Abozzi, nel passato i rappresentanti sardi del partito spagnolo offrivano la loro azione e la loro coscienza all’impero dei re di Castiglia.

Il problema è tecnico, perché, in sostanza, non si tratta d’altro che di trovare il modo di estendere alla Sardegna le possibilità di rendere vitale ed efficiente il suo statuto autonomo, così come è avvenuto per la Sicilia. La Sicilia ha avuto lo statuto; ha avuto le elezioni, il suo Parlamento, il suo Governo regionale. Perché la Sardegna non l’ha? Come si può fare in modo che la Sardegna l’abbia? Ecco il problema; ed è un problema tecnico.

E quando un uomo politico dell’autorità dell’onorevole Nitti – le cui simpatie o antipatie per la Regione sono arcinote – esaminando questa mozione l’ha considerata giusta e ragionevole, io credo che si prepari un porto sereno e ospitale per questo statuto autonomo sardo che arriva su una nave ritardataria ma senza strumenti di guerra a prua o a poppa o nascosti nella stiva.

Io vorrei subito rassicurare i miei colleghi siciliani. Essi non credano che noi sardi presumiamo di competere con la grande Isola sorella che noi riconosciamo maggiore per ricchezza di vita, per popolazione più numerosa e soprattutto più industre, e per tradizioni perenni di civiltà. Da noi, nel passato, non re o baroni insigni, ma solo proconsoli venali o incapaci. Nella nostra povera storia civile dell’Isola, di illustre non abbiamo che una donna, che non era neppure re ma giudice, come i re del popolo d’Israele, contro la quale, come capita a tutte le donne, anche alle migliori, in questo momento si cominciano ad appuntare dei mormorii critici. Ed abbiamo la sofferenza millenaria del nostro piccolo popolo che non è ancora civilmente unito, ma che per l’intensità delle sue sofferenze noi vediamo capace di esprimere aspirazioni moderne di giustizia umana.

Io riconosco che a noi mancano molti degli elementi che creano così avventurosa e drammatica la vita in Sicilia. A noi mancano i latifondi, i feudatari, i baroni, i gabelloti e la mafia. Lo dico con tutto rispetto, a noi manca perfino il Finocchiaro Aprile. (Si ride).

E a noi manca quel tipo illustre che ha la Sicilia: un principe Don Francesco Paternò Castello duca di Carcaci, pretendente al trono dell’Isola. Non abbiamo più neppure i briganti. È doloroso ma è così! La nostra Isola ne ha perduto il primato, che è passato incontrastato alla Sicilia, e il bandito Giuliano tiene alta la maglia gialla. (Si ride). Da noi, da quando Giovanni Giolitti abbandonò la direzione degli affari pubblici, il brigantaggio, che attorno alle Prefetture costituiva centri di propaganda e di pressione elettorale governativa, è finito. Il brigantaggio è finito! Solo rimangono delle piccole bande leggere che si accontentano di modesti prelevamenti di bestiame o di sequestrare sulle strade maestre un viandante più imprudente che denaroso, e non fanno né del marxismo, né dell’antimarxismo come il bandito Giuliano; e si contentano di piccole, normali, modeste azioni di furfanteria comune.

Sia ben chiaro che non intendiamo in alcuna forma presentarci come antagonisti o competitori della Sicilia.

Ma sta di fatto questo: che nel 1943, appena liberate le prime parti del nostro territorio nazionale, fu creato in Sicilia ed in Sardegna l’istituto dell’Alto Commissariato, e immediatamente dopo l’istituto della Consulta regionale.

Questi due istituti furono istituiti per le due isole, perché isole. Nel decreto luogotenenziale che costituì le Consulte regionali fu fatto obbligo a queste di elaborare e poi presentare al Governo un proprio statuto di organizzazione autonoma nell’Isola.

A questo punto è doveroso che io riconosca che sulla via dell’autonomia i tempi sono stati accelerati in Sicilia e ritardati in Sardegna. Non intendo qui rievocare i fattori politici che hanno determinato questa discordanza di lavori e di tempi fra la Sicilia e la Sardegna. Ma quelli che sono stati al Governo subito dopo la liberazione, e principalmente il Presidente del Consiglio Bonomi, poi il Presidente Parri ed infine il Presidente De Gasperi sanno come i rappresentanti massimi dei partiti politici, i dirigenti responsabili, innanzi tutto del Partito sardo d’azione, che era il partito autonomista per antonomasia, abbiano svolta la loro azione per avviare l’Isola pacificamente ed ordinatamente alla ricostruzione comune dello Stato, avendo costante cura di evitare di portare difficoltà ai Governi del Comitato di liberazione nazionale. Era nell’ordine naturale delle cose che la guerra di aggressione fascista, conclusasi così vergognosamente per il regime che l’aveva provocata, portasse le isole, appena liberate, a forme irrequiete di agitazione politica, a forme – diciamo pure – morbose che non solo hanno la spiegazione ma, io aggiungo, la giustificazione nella psicologia collettiva che non è mai politica razionale pura: a vere e proprie forme di deviazione politica. Contro queste forme ha reagito, e duramente, il partito che io ho l’onore di rappresentare all’Assemblea Costituente; e questa non è stata l’ultima delle cause per cui alle elezioni amministrative e politiche è stato battuto.

Certo, siamo stati battuti. Ma abbiamo la coscienza tranquilla, convinti, come siamo, che si può essere autonomisti, autonomisti spinti e persino federalisti, ad una condizione; che non si perdano mai di vista gli interessi generali dello Stato e che non si venga mai meno a quella lealtà doverosa verso la grande, comune Nazione italiana.

Così noi siamo arrivati alla Repubblica, e io spero all’autonomia, lentamente, ma senza versare sangue di fratelli.

I partiti politici dell’Isola, tutti i partiti responsabili, hanno su questo agito in perfetta concordanza.

Questa io credo la ragione originaria della discordanza nel tempo e nel lavoro tra la Sicilia e la Sardegna.

La Consulta regionale siciliana, sotto la pressione degli avvenimenti (l’onorevole Finocchiaro Aprile e l’onorevole Varvaro erano allora a Ponza) accelerò i suoi lavori di elaborazione dello statuto autonomo e in 15 giorni di sedute continue preparò il suo statuto che finì per essere approvato il 23 dicembre 1945 e presentato, immediatamente dopo, al Governo. Questo, il 4 aprile 1946, lo trasmetteva alla Consulta nazionale per avere il parere delle tre Commissioni riunite: Affari politici e amministrativi, Giustizia, Finanze e tesoro. Una Giunta nominata dal Presidente della Consulta nazionale iniziò subito l’esame dello statuto siciliano.

Fu a questo momento che presso la Giunta e presso il Governo intervennero i rappresentanti sardi alla Consulta nazionale per ottenere, dato che i lavori in Sardegna procedevano con un certo rilento che si poteva prevedere sarebbe continuato per parecchio tempo, che provvisoriamente lo Statuto autonomo per la Sicilia fosse passato anche alla Sardegna in attesa che la Consulta regionale elaborasse, con tutta tranquillità, il suo Statuto.

La giunta delle tre Commissioni, riunita alla Consulta nazionale, aderì alla nostra richiesta, come risulta dal bollettino del maggio 1946 del Ministero della Costituente, e apportò una aggiunta all’articolo 42.

Dice testualmente il verbale: «È stato aggiunto il seguente articolo 42-bis: Le norme dell’articolo 1 e dei Titoli 1, 2, 3, 4, 5, 6 sono estesi alla Sardegna».

Il Presidente del Consiglio di allora, onorevole De Gasperi (sempre l’onorevole De Gasaperi Presidente del Consiglio…), aderì alla richiesta e si impegnò di far passare alla Sardegna provvisoriamente, lo statuto siciliano in attesa che la Consulta regionale sarda elaborasse il suo proprio statuto. Beninteso riservandone il coordinamento alla futura Assemblea Costituente.

Senonché avvenne un fatto imprevisto: la Consulta regionale sarda ritenne di non accettare questa offerta. Un po’ per un certo spirito romantico contro l’autonomia per decreto reale, un po’ per spirito di corpo, diciamo così, per cui intendeva il suo statuto elaborarlo da sé e non averlo, sia pure in forma provvisoria, dalla Sicilia, e poi, soprattutto, per avere il tempo di elaborare con tutta calma il suo statuto particolare. Ecco perché la Sicilia ha avuto lo statuto e la Sardegna non l’ha avuto ancora.

La Consulta regionale sarda ha agito bene o ha agito male? L’uno e l’altro insieme, io credo. Certo, se i consultori regionali sardi fossero appartenuti all’alta scuola politica che ispira l’azione dell’onorevole De Gasperi, essi avrebbero accettato. L’onorevole De Gasperi è ancora molto giovane ed io gli auguro di tutto cuore di conservarsi tale ancora per lungo tempo non fosse altro che per il piacere che avremmo di assistere qui ai suoi vivaci interventi come deputato di opposizione ai futuri governi. L’onorevole De Gasperi, pure così giovane, è ancora caposcuola a tutti e ha insegnato come si prende ogni occasione e di ogni occasione si profitta rinunciando ad ogni forma di romanticismo. La politica pare sia ormai l’arte di prendere tutto quello che è possibile prendere e che è possibile avere.

La Consulta regionale sarda rifiutò, ma non fu certo la via della minore resistenza che la Consulta sarda sceglieva, perché infatti si rimise immediatamente al lavoro, e si può dire che dopo le elezioni politiche non abbia fatto altro: riunioni di tecnici, riunioni di Commissioni speciali, riunioni plenarie a Cagliari, a Sassari, a Nuoro, riunioni con i rappresentanti sardi all’Assemblea Costituente, a Cagliari, a Roma, ed infine tutta una serie di riunioni plenarie che portarono al mese di aprile all’approvazione in ultima lettura, dopo la prima, la seconda e la terza, dello statuto sardo, che fu approvato il 29 aprile scorso e poco dopo presentato al Governo.

Ora la situazione è questa: il Governo se tiene stretto come una cosa molto preziosa, il che lusinga noi rappresentanti sardi, all’Assemblea Costituente; se lo tiene stretto e non lo lascia andare. Non lo trasmette all’Assemblea Costituente perché l’Assemblea Costituente non ha la possibilità di esaminarlo (ed infatti non l’ha) e non se ne occupa esso stesso perché, rispettoso com’è delle prerogative dell’Assemblea Costituente, riconosce la competenza e le facoltà spettanti esclusivamente in questa materia all’Assemblea Costituente. Sicché questo statuto sardo, formatosi in nove mesi, giace al Viminale come un corpo morto.

Scopo di questa mozione è, con la vostra collaborazione, onorevoli colleghi e con la collaborazione del Governo, ridare calore e vita a questo freddo statuto sardo, secondo giustizia.

Senonché, alcuni scarsamente innamorati dello statuto siciliano, e per i quali lo statuto sardo non esprime maggiori forme di seduzione, dicono: ne riparleremo quando l’Assemblea Costituente dovrà coordinare gli statuti particolari con la Carta generale costituzionale della Repubblica.

E quando, di grazia? Questo è il punto critico del problema. Siamo ormai alle vacanze e la fine della discussione non si potrà avere che dopo le vacanze. Ma neppure allora, cioè alla fine di agosto o a settembre, potrà essere affrontato il coordinamento tra gli statuti particolari e la Carta costituzionale dello Stato. Già alcune settimane fa, quando noi sostenevamo che il problema del coordinamento si potesse affrontare immediatamente finita la discussione sulle Regioni, alcuni colleghi sostenevano che non lo si poteva e che sarebbe stato necessario attendere la discussione generale del progetto di Costituzione, per coordinarne i principî fondamentali con gli statuti regionali. Si poteva, allora, alcune settimane fa, avere delle opinioni discordanti in materia; oggi non più, oggi tutto è chiaro. L’altro giorno, infatti, è stato rinviato l’esame degli articoli 117, 118 e 119 sull’ordinamento regionale, cioè gli articoli che sono legati alla seconda Camera, al potere esecutivo ed alla Corte costituzionale; il che vuol dire che, prima di riprendere la discussione su quegli articoli, dovremmo discutere i primi tre Titoli ed il Titolo VI che è l’ultimissimo della seconda parte del progetto in discussione. E alla fine della discussione dell’intera Carta costituzionale, riprenderemmo quella sulle autonomie. Pertanto il coordinamento non potrà aversi che a dicembre. Lo statuto sardo, in conclusione, non potrebbe discutersi che a dicembre. Le elezioni regionali sarde non si potrebbero, quindi, avere entro quest’anno, ma solo l’anno venturo.

Che cosa diciamo noi? Che, dato il grave ritardo che ne deriverebbe, ritardo che non è dovuto a nessuno, ma che tuttavia è grave, noi chiediamo che si esca da una procedura, che non risponde più agli interessi generali, e che si affronti subito, con una procedura particolare, lo statuto sardo, senza entrare in merito, così come si è fatto per lo statuto siciliano, di modo che si possano avere le elezioni regionali in Sardegna entro l’anno; a dicembre poi si discuterà lo statuto sardo.

Vi sono delle obiezioni: le vedremo subito.

La procedura suggerita dalla mozione è questa: l’Assemblea Costituente autorizza oggi stesso il Governo ad approvare immediatamente lo statuto sardo con decreto legge presidenziale.

Qualcuno ha già fatto nei corridoi l’altro giorno, quando ho presentato per la prima volta la mozione, una questione di diritto costituzionale: il Governo non può approvare nulla, perché la materia è di competenza esclusiva dell’Assemblea Costituente.

Io sono un modesto cultore di diritto pubblico e mi guardo bene dal credere di esporre un’opinione autorevole di fronte a colleghi, che in quest’Assemblea devono, a giusto titolo, considerarsi maestri. Ma l’onorevole Orlando, che è maestro di tutti noi, grandi e piccoli, e che io ho sentito il dovere e il riguardo di consultare, prima di presentare questa mozione, ha trovato la procedura costituzionalmente corretta. Anzi, io devo dichiarare che, dietro il suo suggerimento, he modificato il testo iniziale. Il testo attuale è suo: autorizzazione esplicita dell’Assemblea Costituente al Governo. Certamente la sovranità e la competenza in materia costituzionale è dell’Assemblea Costituente, solo dell’Assemblea Costituente, ed appunto per questo «l’Assemblea Costituente autorizza – dice la mozione presentata – il Governo». La sovranità è di chi autorizza, non di chi è autorizzato: il Governo altri non è, come sempre, d’altronde, che l’organo esecutivo della volontà della rappresentanza popolare.

A nessuno sfugge, peraltro, e neppure a me, che, questa eccezione di forma nasconde ed investe una vera e propria questione di sostanza, che è la sostanza dello statuto autonomo sardo.

Si deve proprio autorizzare il Governo ad approvare lo statuto sardo con la stessa procedura con cui fu approvato lo statuto siciliano, cioè quasi ad occhi chiusi, quasi senza discuterne? Io riconosco che questa è obiezione seria, ma, appunto per rispondere a questa obiezione, io mi sono dilungato nelle premesse e spero che, arrivato verso la fine, l’obiezione venga a scadere. Onorevoli colleghi, credete voi che io parli qui per gusto accademico, o non piuttosto per rispondere ad un appello che viene a noi rappresentanti sardi in questa Assemblea da questo minuto popolo sardo, che non essendo addentro a tutte le difficoltà di procedura e di ordine costituzionale crede di essere ingiustamente trattato con questo ritardo, per esso inesplicabile?

Noi sentiamo talmente questo motivo psicologico, noi rappresentanti sardi, che in un certo senso ci sentiamo colpevoli. Io ricordo – e sento una certa riluttanza a dirlo qui, pubblicamente – che, quando lo Stato era in sfacelo e molti cittadini, come secondo natura, del resto, nell’infuriare delle onde, si cercavano una zattera di salvezza per proprio conto, e quando il Ministro della guerra faceva degli sforzi inauditi per tentare di riorganizzare un esercito od una parvenza di esercito, io ricordo che nel fuggi fuggi generale noi, rappresentanti consapevoli del popolo sardo, ci siamo presentati in Sardegna ad esso ed abbiamo detto: Coraggio! Ancora un piccolo sforzo, nell’interesse generale, e l’autonomia l’abbiamo in modo certo!

I sardi, contadini, pastori, lavoratori, tutti accorsero ai distretti per tentare, ancora una volta, di partecipare alla ricostruzione dello Stato in sfacelo ed in rinascita. Io ricordo che l’onorevole Bonomi – Presidente del Consiglio in quel momento – colpito da queste spettacolo di solidarietà nazionale, mi disse più volte: l’autonomia certamente bisogna concederla al più presto.

Accorsero tutti del popolo minuto, dovunque, a dare modestamente la propria opera, ed essi furono, nei limiti delle possibilità generali, nel sud, i modesti partigiani, che abbandonati i campi e le officine contribuirono a salvare il Paese.

Io credo che non si debbano dimenticare e noi, rappresentanti sardi, sentiamo che sarebbe un errore non lieve dimenticarli. Essi non si spiegano questo ritardo. E quali sono le considerazioni che voi, onorevoli colleghi, potreste trovare per spiegare che tutto ciò che noi sosteniamo, è contro gli interessi generali o contro la ragione o contro la Costituzione? Si tratta di approvare lo statuto sardo così come è stato approvato lo statuto siciliano; con questa differenza: che allora il Governo aveva in sé tutti i poteri, legislativo ed esecutivo, e tutt’al più aveva bisogno del parere della Consulta. Oggi la situazione è cambiata. I poteri sovrani in materia legislativa e costituzionale appartengono a questa Assemblea. Questa è la sola differenza.

Lo statuto sardo è stato pubblicato in alcune centinaia di copie che non sono arrivate a tutti i colleghi deputati all’Assemblea Costituente. Non saprei a chi attribuirne la trascuratezza. Comunque, un centinaio di deputati l’hanno avuto, compresi i membri della Commissione.

E noto che lo statuto sardo è, rispetto a quello siciliano, direi più modesto. Io personalmente lo riconosco assolutamente insufficiente. Ma esso è stato il frutto di un compromesso fra i vari partiti politici. Io non voglio entrare in merito allo Statuto sardo: lo darò a dicembre quando se ne riparlerà. Oggi mi limito semplicemente a fare un accenno ai punti differenziatori fra i due statuti.

Checché si pensi, io sono di opinione che lo statuto siciliano è stato un atto governativo di saggezza politica. Vi sono, è vero, dei dettagli audaci, che si possono considerare anche, se volete, come errori, ma è un atto che onora il Governo che lo ha emanato; perché, per evitare quei piccoli errori di dettaglio, io vi chiedo dove si sarebbe andati a finire se non fosse stato approvato. Io dico che si sarebbe commesso un errore politico irreparabile. Lo si vede tutti i giorni, se si dà uno sguardo alla situazione generale, e lo si vedrà ancora meglio domani. Quando voi pensate che tra non molto l’onorevole Finocchiaro Aprile può diventare Ministro del Governo, del Governo unitario, voi capite quanta strada si è fatta sulla via della unità dello Stato, della lealtà e della chiarezza nazionale.

Lo statuto sardo è il risultato di un compromesso che lo statuto siciliano non ha avuto. Nell’articolo 21 dello statuto siciliano, il Presidente regionale ha il rango di Ministro; nello statuto sardo, all’articolo 59, non c’è nessun rango. Voi riconoscerete che questo è notevole: rinunziare, e rinunziare volontariamente, a non essere Ministro è una cosa che non capita tutti i giorni. Non fosse altro che per questo, lo statuto sardo dovrebbe meritare il consenso entusiastico di tutti i colleghi deputati, se non dei Ministri.

L’articolo 14 dello statuto siciliano pone la legislazione esclusiva, nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano; l’articolo 4 dello statuto sardo pone la potestà legislativa in armonia con la Costituzione e coi principî dell’ordinamento giuridico dello Stato, nel rispetto degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.

L’articolo 38 dello statuto siciliano dice che lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell’esecuzione dei lavori pubblici. Quanto strepito e quanto sdegno sono stati sollevati a proposito di questa disposizione! Sembrava che lo Stato italiano, secondo gli economisti ufficiali e più competenti, dovesse rovinarsi per questo contributo straordinario da versarsi annualmente alla Sicilia. Ma, francamente, io mi permetto definire questo sdegno puramente esagerazione, se non esaltazione antiautonomista, perché, non essendo precisato in quell’articolo quale somma lo Stato centrate dovrà versare alla Sicilia, è chiaro che fino a quando sarà in carica un Ministro come l’onorevole Einaudi, o uno della sua scuola, lo Stato centrate non verserà alla Sicilia neppure la somma necessaria per costruire un abbeveratoio di bestiame.

Anche a questa parte, puramente fumosa, letteraria, lo statuto sardo ha rinunziato.

Insomma, a mio parere, l’Assemblea Costituente può, con serena coscienza, autorizzare il Governo ad approvare lo statuto sardo, così come in piena coscienza il Governo può approvarlo.

Metteteci in condizione di fare questo primo grande esperimento, che, reclamandolo come un diritto, noi sentiamo sarà per l’Isola l’inizio di una vita nuova, che noi vediamo come vita di democrazia popolare, d’iniziativa popolare e di diretta responsabilità democratica, nella legalità repubblicana, concepita non già come una imposizione dall’alto, ma come un consapevole limite da porsi volontariamente alla propria azione autonoma.

Non vi è dubbio che noi abbiamo di fronte dei vantaggi generali ed abbiamo anche di fronte delle possibilità di svantaggi reali e di pericoli. Il maggior pericolo, a mia opinione – mi sia permesso – è quello che deriva da questo fatto: che, perdurando questa strana composizione governativa, alle elezioni regionali in Sardegna possa avere una grande prevalenza il partito della Democrazia cristiana. Ma io dico che noi siamo capaci di affrontare questo pericolo con la stessa serenità e con la stessa coscienza democratica con cui affrontiamo il pericolo, anzi il danno certo ed attuale, della composizione del nostro Governo di oggi.

Non c’è dubbio che per noi in Sardegna è questa una questione che viene considerata essenziale: non è un fatto secondario. E noi tutti, rappresentanti politici, ci sentiamo obbligati per gli impegni da noi stessi assunti a chiarire il problema di fronte a questa Assemblea, il che fino a questo momento non si può dire sia stato ancora fatto.

Io so che ci sono delle diffidenze, ma noi sentiamo di aver bisogno di iniziare subito questa nostra esperienza di democrazia moderna. L’onorevole Grazi, il collega e compagno socialista Grazi, quando è intervenuto a proposito della discussione sulla Regione – nella discussione generale, mi pare – ha parlato molto acremente contro l’istituto dell’autonomia anche in Sardegna, pur dichiarandosi amico e fratello dei sardi, fra i quali ha vissuto circa venti anni. Ebbene, vorrei dire all’onorevole Grazi, che giustamente dobbiamo considerare rappresentante meritevole di serie forze popolari, che non basta questo amore per i sardi per comprendere il nostro problema centrale. Io vorrei ricordare al collega onorevole Grazi che egli, a mio parere, si comporta su questo problema come tanti si comportano dopo che sono venuti nell’Isola o dalla Lombardia, o dal Veneto, o dalla Liguria, o dalla Toscana, cioè considerandosi infinitamente più capaci e guida indispensabile, per cui meccanicamente, nella loro psicologia, sono venuti ad assumere un atteggiamento quasi di superiorità anche se fraterno. È esattamente quello che accadeva nel passato quando un cittadino di Pisa, molti secoli fa, era re in Sardegna.

Non basta infatti questo affetto per i sardi, il quale si cambia poi molto spesso in una concezione di guida dal di fuori: noi abbiamo bisogno di ben altro: noi abbiamo bisogno di vita nostra. È vero: noi sardi siamo terribilmente arretrati, ma questa è la storia del nostro piccolo popolo, storia che non è stata mai la sua storia, ma quella dei conquistatori e dei dominatori che vi hanno governato. Un socialista sardo che non sia autonomista non può essere un socialista.

Al pari delle province dei centri più vivi del sud d’Italia, quale poi fu il regno di Napoli, la Sardegna usciva dall’Impero bizantino con annunzi luminosi di vita autonoma propria. Ma tutto si arresta e sopravviene tenebrosa la notte con le invasioni e con le dominazioni straniere, malgrado i falsi ed effimeri bagliori di grandi re e baroni; nel Sud, i Normanni o i re germanici; da noi, gli Aragonesi e gli spagnoli. La nostra pesante, comune arretratezza è la pesante eredità di quell’epoca. Questa è, nonostante tutti gli sfruttamenti di un’oligarchia economica e finanziaria che domina ancora, la causa originaria della differenza emersa fra Nord e Sud. Là, nel Nord, vi sono state grandezze vitali, popolari, di vita autonoma; là le Repubbliche e i Comuni, affrancandosi una volta dall’imperatore e una volta dal Papa, hanno prodotto luci di civiltà, non solo per l’Italia, ma per l’Europa. Da noi, nulla. Nel Nord, anche le Signorie sono state un progresso di fronte a noi. Noi non abbiamo avuto altro che plebi e baroni ugualmente servili.

Dateci la possibilità di riprendere contatto con la nostra stessa vita. Noi sentiamo che dobbiamo ricominciare la nostra vita e avere fiducia in noi stessi: lavorare di più – io lo riconosco, lo riconosciamo tutti noi rappresentanti dell’Isola – studiare di più, e conoscere i nostri problemi e quelli degli altri; studiare di più in tutto; sacrificare di più l’individuale al collettivo, e sperimentare di più; entrare più profondamente in questa vita di civiltà moderna d’Italia, d’Europa e del mondo; spezzare questo incantesimo tenebroso di isolamento, che è diventato psicologico dopo essere stato prima naturale; e dobbiamo – noi lo sentiamo – universalizzarci.

Ma per questo è necessario avere presupposti di vita autonoma.

Voi mi perdonerete, onorevoli colleghi, se io ho parlato con questo tono; ma voi riconoscerete che noi rappresentanti sardi in questa Assemblea non abbiamo parlato che poco o nulla della Sardegna; a differenza dei vecchi rappresentanti isolani tradizionali, che venivano qua dentro regolarmente ad esporre lamentele sulla Sardegna – vanamente – e che credevano di essere utili ai loro mercanteggiando un acquedotto di villaggio o una strada di campagna con la fiducia ai Governi, di sinistra o di destra, poco importa. Noi abbiamo spezzato questa tradizione; e io credo che questo si può definire un fatto rivoluzionario. Noi abbiamo coscienza che la rinascita dell’Isola sarà più opera dei sardi e di quanti altri vivono con loro che non dei Governi di Roma.

Perciò io credo che voi mi perdonerete se io ho parlato con questo tono su questo problema, che non è sardo, ma nazionale, e che ci tocca tutti, legati come siamo tutti allo Stato nazionale e alla comune Nazione italiana.

E quanto alle diffidenze, è chiaro che queste obbiezioni di carattere costituzionale nascondono diffidenze profonde. Ma noi sentiamo che la Sardegna, con questa sua esperienza autonoma, non si allontana dalla vita dello Stato o dall’unità nazionale, ma vi si avvicina e vi entra e vi partecipa per la prima volta, perché per la prima volta ha coscienza che questo nostro Stato è anche finalmente il suo Stato. E vi partecipa nella vita comune, vivendo in comune la stessa storia, le stesse ansie, gli stessi pericoli e le stesse speranze. Noi ci auguriamo che parteciperà anche – e l’augurio è profondo – alle stesse comuni gioie. (Applausi).

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che è stato presentato alla Presidenza il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

ritenuta la necessità di affrettare l’attuazione dell’autonomia speciale della Sardegna sancita nell’articolo 108 del progetto di Costituzione,

delibera:

di invitare la Commissione competente a esaminare nel più breve termine lo schema di Statuto presentato dall’Alto Commissario e dalla Consulta regionale sarda e a predisporre un progetto di legge costituzionale inteso a realizzare tale attuazione».

I firmatari dell’ordine del giorno sono gli onorevoli Mortati, Tosato, Fuschini, Moro, Giordani, Cappi, Bosco Lucarelli, De Palma, Codacci Pisanelli.

Darò, a suo turno, facoltà di parlare all’onorevole Mortati per svolgere il suo ordine del giorno.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Laconi.

LACONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 14 giugno noi indirizzammo al Presidente del Consiglio una interpellanza per sollecitare l’approvazione dello statuto regionale sardo da parte del Governo e la sollecita convocazione dei comizi elettorali.

Il Governo credette di non poter rispondere a questa interpellanza. L’onorevole De Gasperi il 21 giugno precisò testualmente che «il Governo non si sente impegnato ad assumere alcuna iniziativa per lo svolgimento di questa interpellanza perché essa verte su materia costituzionale sulla quale sola competente a pronunciarsi è l’Assemblea Costituente».

Io ritengo, sia mio dovere constatare che il Governo, in questa occasione, non ha dimostrato una consapevolezza sufficiente di quelli che sono i suoi compiti e le sue funzioni nei confronti dell’Assemblea. È compito peculiare del Governo, infatti, conoscere le necessità del Paese, avvertire i problemi che nel Paese si agitano e prospettare all’Assemblea quelle soluzioni che ritenga più opportune, quand’anche adottarle o meno esorbiti dalle sue competenze.

Il Governo non ha dimostrato in questo caso una sufficiente sensibilità. Spetta quindi a noi deputati sardi farci parte diligente: ed è a questo titolo che noi abbiamo presentato all’Assemblea Costituente la mozione attualmente in discussione.

La situazione può essere rapidamente ricapitolata. Il decreto del 27 gennaio 1944, n. 21, emanato dal primo Governo nazionale dopo la caduta del fascismo, istituiva in Sardegna un Alto Commissariato, e successivamente altro decreto creava accanto a questo Alto Commissariato una Giunta consultiva ove avevano rappresentanza i diversi partiti dei Comitati di liberazione nazionale.

Il 18 marzo 1944 un decreto simile veniva emanato per la Sicilia: altro Alto Commissariato, altra Giunta consultiva.

Il 28 dicembre 1944 nuovo decreto accanto agli Alti Commissariati per la Sicilia e per la Sardegna vengono create le Consulte regionali, espressione delle organizzazioni, politiche, economiche, culturali locali. Ad esse la legge attribuisce come compito specifico quello di: «formulare proposte per l’ordinamento regionale» delle due Isole.

La Consulta siciliana esaurì questo compito nel corso del 1945.

Il progetto Salemi, che fu frutto dei suoi lavori, venne presentato al Governo, e il 15 maggio 1946 fu approvato con apposito decreto dal Governo italiano. Come giustamente ha ricordato poco fa l’onorevole Lussu, in quel momento noi sardi avremmo potuto ottenere facilmente che lo statuto siciliano venisse esteso anche alla Sardegna. Vi fu anzi nelle rappresentanze sarde alla Consulta nazionale un movimento in questo senso.

Si oppose la Consulta sarda la quale – giustamente, io penso – rivendicava a sé il diritto di esprimere il pensiero e la volontà dei sardi attraverso uno Statuto aderente alle esigenze particolari dell’Isola. La Consulta ha quindi iniziato i suoi lavori – lavori che non sono stati facili non esistendo precedenti in materia ed essendo estremamente laboriose le ricerche dei dati necessari – ha iniziato i suoi lavori e li ha portati a compimento attraverso una discussione che è durata ben sei mesi e che è culminata con un pubblico dibattito alla Consulta regionale sarda. Il 29 aprile di quest’anno finalmente lo Statuto regionale sardo è stato approvato dalla Consulta e l’Alto Commissario per la Sardegna lo ha presentato al Governo.

A questo punto il Governo, io penso, aveva due possibilità, non una sola, onorevoli colleghi: due strade davanti a sé. Poteva richiamarsi al precedente siciliano e procedere quindi all’approvazione dello Statuto con la riserva del coordinamento con la Costituzione, che rimane in ogni caso di competenza dell’Assemblea. Ovvero poteva rimettere alla Costituente lo Statuto regionale sardo ai termini del decreto 16 marzo 1946 il quale appunto attribuisce integralmente all’Assemblea la competenza in materia costituzionale.

Indubbiamente, la seconda procedura è più corretta; ma il Governo, se avesse avvertito la necessità politica di venire incontro alle esigenze della Sardegna ed alla volontà unanime del popolo sardo, avrebbe dovuto – io penso – almeno porre in discussione la procedura dinanzi alla Camera. Ciò era nelle sue possibilità e – io penso – anche tra i suoi doveri. Sta di fatto che al Governo è mancata ogni sensibilità per i problemi sardi, e me ne è testimonianza il fatto che abbia lasciato cadere la nostra interpellanza, come poco fa ho ricordato all’Assemblea; e me ne è ulteriore testimonianza il fatto che in questo momento i banchi del Governo siano così spopolati e manchi perfino il Presidente del Consiglio mentre si dibatte una questione di tanto rilievo nazionale.

Ho detto che esistono due strade, due procedure possibili. Non è infatti assodato in modo assoluto, non è certo in modo inequivocabile che soltanto la procedura prevista dal decreto del 16 marzo 1946 sia consentita e giuridicamente possibile. Non è affatto assodato, perché da tutto ciò che io ho ricordato poco fa all’Assemblea, dal fatto cioè che fin dal gennaio del 1944 sia stato costituito l’Alto Commissariato per la Sardegna, si desume che qui non si tratta affatto di una riforma costituzionale da iniziare: qui si tratta di una riforma costituzionale già iniziata e attualmente in corso, onorevoli colleghi.

La riforma costituzionale è stata iniziata dal decreto del dicembre 1944 – se non da quelli precedenti – il quale appunto stabilisce all’articolo 1 – e mi si dica che queste norme non sono di rilievo costituzionale – che è istituito un Alto Commissariato per la Sardegna, il quale sopraintende a tutta l’Amministrazione civile e militare, nonché agli Istituti di diritto pubblico dell’Isola; dirige e coordina l’azione dei prefetti ed esplica tutte le attività dell’Amministrazione centrale salvo la giustizia, l’istruzione superiore, l’amministrazione militare e finanziaria. Non solo; all’Alto Commissario è pure rimessa la potestà di emanare, sentita la Consulta, norme di attuazione delle leggi dello Stato in materia di agricoltura, commercio, industria, lavoro, comunicazioni ed approvvigionamento. Con lo stesso decreto, la Consulta regionale è stata investita della facoltà di formulare proposte per l’ordinamento regionale. Non è quindi esatto che noi in questo momento dobbiamo parlare di una riforma da iniziare. Noi dobbiamo parlare unicamente di una riforma che è già in corso, sia per quanto concerne l’ordinamento amministrativo, sia per quanto concerne le funzioni legislative, e per il cui perfezionamento si è dato mandato a un organo speciale, rappresentativo, in certa misura, di presentare un progetto. Evidentemente la riforma è già in atto. Per la Sicilia questa riforma è stata condotta a compimento dopo la costituzione di questa Assemblea, in quanto dopo tale costituzione, ai sensi delle leggi già emanate, sono stati convocati i comizi elettorali ed emanate le norme per l’attuazione dello Statuto.

Evidentemente per la Sicilia si è tenuto conto del fatto che ci si trovava dinanzi a una riforma in corso di attuazione. La stessa esigenza si propone in questo momento per la Sardegna. Io non dico che sia pacifico il riferimento al precedente siciliano. Io vi dico che vi è un caso nuovo, per il quale si pone un problema nuovo di procedura ed io dico che se il Governo avesse avvertito la necessità politica di adottare una procedura nuova, era suo dovere proporre alla Camera la questione ed invitare la Camera a risolvere il quesito.

Si fanno delle obiezioni a questa procedura speciale che noi proponiamo per l’approvazione dello Statuto sardo. Poco fa, queste obiezioni ce le ha riassunte l’onorevole Abozzi.

Si osserva che il decreto 16 marzo 1946 preclude qualsiasi possibilità di delegare il potere costituzionale ad altro organo, al Governo. È esatto questo? A me non pare che sia esatto.

L’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, stabilisce unicamente che la funzione legislativa «resta» delegata, salvo la materia costituzionale, al Governo e cioè stabilisce, implicitamente, che la materia costituzionale non «resta» delegata. Ma ciò non significa affatto che la Costituente di sua iniziativa e in base ai suoi poteri non possa delegare la funzione legislativa su una determinata materia costituzionale al Governo riservando a sé il coordinamento di quella legge che risulterà con la Costituzione dello Stato. Non è escluso, e non potrebbe in alcun modo essere escluso, in quanto l’Assemblea è sovrana.

Vero è che nella sovranità dell’Assemblea non può essere compresa la potestà di spogliarsi dei suoi poteri, ma delegare una funzione non è spogliarsi dei poteri; delegare una funzione legislativa su una materia determinata riservandosi il coordinamento non significa affatto spogliarsi del potere costituzionale, significa soltanto adottare una procedura speciale. Ed è appunto questo che noi chiediamo alla Camera: che ravvisi in questo momento la necessità di adottare una procedura speciale ed accelerata.

Si noti inoltre che la Consulta sarda ha steso il progetto conoscendo lo Statuto regionale siciliano, già approvato dal Governo, e conoscendo inoltre il progetto di ordinamento regionale della Commissione dei Settantacinque. Evidentemente essa è stata guidata da criteri che sono ormai adottati dalla maggioranza della Camera. Io non penso che non si possano formulare delle critiche allo Statuto regionale sardo; allorché questo Statuto verrà a questa Assemblea per il coordinamento, anche noi formuleremo delle critiche a questo Statuto, formuleremo delle critiche ed in questo momento intendiamo avanzare delle riserve che possono essere di suggerimento al Governo all’atto in cui, lo spero, per voto della Camera, dovrà emanare con legge lo Statuto sardo. Queste riserve concernono soprattutto quella parte dello Statuto regionale sardo che riguarda la Provincia. Ormai l’Assemblea Costituente ha in questa materia assunto già una posizione precisa ed io penso che il Governo, il quale conosce l’indirizzo seguito dall’Assemblea Costituente, ed ha sotto gli occhi il progetto di ordinamento regionale che è stato approvato da questa Assemblea, possa facilmente correggere le deficienze dello Statuto sardo a questo proposito.

Non esistono quindi, onorevoli colleghi, né difficoltà di ordine formale, né difficoltà di ordine sostanziale. La procedura speciale può essere tranquillamente e serenamente adottata da questa Assemblea.

Ora vi è da vedere se sussistono quei motivi particolari, eccezionali, che possono consigliare all’Assemblea di adottare una procedura speciale. È pacifico che l’Assemblea non può adottare la procedura che noi le proponiamo se non ravvisa necessità particolari ed urgenti.

Vi sono questi motivi particolari? Si dice che non vi sono.

Io ho sentito da più parti obiettare che, dato che ormai sono secoli che questo problema matura, e sono almeno decenni che questa soluzione viene agitata, non vi sarebbe una ragione particolare per adottare particolari procedure e venire all’approvazione dello Statuto con urgenza.

È vero che il problema della Sardegna è ormai secolare; ma è anche vero che questo problema si è esasperato nel corso degli ultimi decenni e particolarmente a seguito delle due ultime guerre e del fascismo. E dovevano pur sussistere degli speciali motivi d’urgenza, se il Governo fin dal gennaio 1944 ritenne di dover adottare per la Sardegna una particolare riforma per quanto sapesse perfettamente che organi costituzionali dovevano essere creati nel nostro Paese, i quali sarebbero stati più di esso competenti ad emanare la riforma costituzionale.

In che consiste questo aggravamento della situazione? La guerra, come sbocco finale di tutta una politica, che è in contraddizione con gli interessi e le necessità della Sardegna, ha determinato una crisi estrema nell’Isola. Altre Regioni, almeno nelle loro categorie produttive e possidenti, hanno potuto avere dalla guerra determinati vantaggi, attraverso le forniture allo Stato. La Sardegna manca completamente di industrie manifatturiere e di rilievo bellico; non ha avuto quindi nessun vantaggio dalla guerra. Unica produzione industriale di interesse bellico è quella estrattiva del carbone, che è però in mano allo Stato. Ed anche a questa produzione, durante il periodo della guerra e dopo, sono state imposte particolari condizioni di vendita a prezzo politico, che non hanno potuto non riverberarsi sui salari delle maestranze e hanno, quindi, avuto influenza negativa sulla vita dell’Isola.

Unica risorsa della nostra Regione è la produzione agricola e zootecnica, la quale, durante la guerra, ha dovuto soffrire i blocchi più severi, in quanto l’isolamento della Sardegna e la necessità di alimentare, oltre ad un milione e 200 mila abitanti, 200 mila soldati, ponevano le autorità locali nella necessità di esercitare un particolare rigore. La Sardegna ha dovuto soffrire integralmente i prezzi politici ed i gravami fiscali ed è uscita terribilmente impoverita dalla guerra. Voi non avete forse idea del grado cui è giunto questo impoverimento, della deficienza non solo di prodotti industriali, ma anche di prodotti agricoli, che si verificò in Sardegna nell’immediato dopo-guerra. Sembra incredibile! Ma una popolazione di un milione e 200 mila abitanti su un territorio di 2 milioni e 400 mila ettari, ad un determinato momento, dopo la guerra, si è trovata senza gli alimenti necessari per la stessa esistenza.

Non è vero che manca l’iniziativa. Basterebbe vedere, in questi ultimi anni, il risorgere delle nostre città distrutte, il miracolo di Cagliari, che, forse, in tutta Italia è la città più rapidamente ricostruita, unicamente per la volontà e lo sforzo dei suoi abitanti; basterebbe guardare a questo fenomeno, per constatare che non è l’iniziativa che manca. Anche durante la guerra, mentre durava l’isolamento dalla Penisola, vi è stato tutto un fiorire di piccole iniziative nell’artigianato e nella piccola industria; per anni noi ci siamo vestiti e calzati coi prodotti locali che le nostre donne e gli artigiani filavano, tessevano e conciavano; tutto ciò sta a dimostrare che non manca la volontà. Mancano, invece, le condizioni, perché possa fiorire l’iniziativa individuale; e queste condizioni sono venute meno ancora di più, quando si è riaperto il mercato nazionale e si sono ristabiliti i traffici tra il Continente e la Sardegna. Ci siamo trovati allora dinanzi a un enorme afflusso di carta moneta svalutata, che accaparrava le ultime risorse del nostro mercato. E ci siamo trovati dinanzi ad una corrente di importazione di prodotti industriali a prezzi altissimi, alla cui concorrenza pure non poteva reggere la piccola produzione locale per la inferiorità del prodotto. Abbiamo così attraversato un periodo, in cui la speculazione era regina nell’Isola. La Consulta regionale ha tentato di porre rimedio a questa situazione e di frenare l’esportazione dei prodotti locali, che minacciava di impoverire completamente la Sardegna e di privarla degli stessi prodotti necessari all’alimentazione dei suoi abitanti.

Anche i Governi passati hanno, in qualche misura, fatto degli sforzi per l’aumento della produzione e per lo sviluppo economico dell’Isola, specie attraverso le leggi Gullo e Segni che, soprattutto nelle zone settentrionali dell’Isola, hanno avuto applicazione estesa, corrispondendo ai bisogni immediati della popolazione. Il Governo ha tentato di venirci in aiuto, favorendo la produzione, e promuovendo l’industrializzazione dell’Isola con la creazione del famoso Banco di Sardegna, che non ha però potuto tradursi in realtà per deficienza di capitali, ed è venuto incontro, in una certa misura, alle necessità della Sardegna, con un complesso di lavori pubblici, per combattere la disoccupazione.

Ma quando si poteva sperare che attraverso l’aiuto del Governo nazionale e l’azione regolatrice degli organi locali si potesse avviare in qualche modo l’Isola ad uscire dalle tristi necessità del dopo-guerra, sono intervenuti fattori al disopra della volontà umana: la siccità, le cavallette, le epizoozie, le alluvioni che hanno percorsa e devastata in ogni parte l’Isola. Oggi, onorevoli colleghi, qualunque cosa possano dire gli indici in mano al Governo, la Sardegna è la regione di fatto più povera d’Italia. E già pesa, purtroppo, su questa nostra terribilmente impoverita isola, la minaccia di nuovi mali, forse non minori di quelli passati. Già pesa la minaccia di aggravamenti fiscali, che porteranno gran parte dei piccoli proprietari alla liquidazione parziale o totale delle proprie attività patrimoniali, con conseguenti, profonde e sfavorevoli modificazioni della distribuzione della proprietà terriera.

A questo punto, onorevoli colleghi e signori del Governo, noi deputati sardi abbiamo il dovere di dirvi che occorre fermarsi, che occorre risalire la china, che occorre battere strade nuove. Non si può attendere l’ultima ora e non si possono attendere manifestazioni che nessuno di noi desidera e che aggraverebbero ulteriormente le condizioni di un popolo giunto all’estremo delle sue risorse e della sua pazienza. Badate, onorevoli colleghi, che questa sensazione non è unicamente nostra.

Le stesse autorità, gli stessi pubblici poteri dell’Isola hanno la sensazione che la situazione è giunta al suo punto cruciale. L’Alto Commissario vi ha proposto, signori del Governo, un piano quinquennale di opere pubbliche e di provvedimenti urgenti per la Sardegna e si è associato, come ci ha comunicato, alla nostra proposta per una sollecita convocazione dei comizi elettorali. Evidentemente, anche le autorità isolane hanno la precisa sensazione che è necessario adottare rimedi pronti ed efficaci. Noi vi chiediamo l’una e l’altra cosa: vi chiediamo di adottare il piano quinquennale presentato dall’Alto Commissariato – che raccoglie, in sostanza, le proposte già formulate dalla Consulta regionale e dalle Amministrazioni locali – e vi chiediamo di darci la possibilità di rielaborare una parte almeno della legislazione nazionale, per renderla adeguata ai bisogni ed alle necessità preminenti della nostra Regione.

L’autonomia non è una panacea. Non pensiamo che essa possa risolvere miracolosamente tutti i nostri problemi, ma siamo sicuri che l’autonomia ci consentirà almeno, per ora, di porre rimedio alle necessità più urgenti della nostra terra e di iniziare l’opera di rinnovamento. Il compito che ci sta di fronte non è né semplice né agevole. Ne abbiamo coscienza. Si tratta intanto di stabilire, nell’Isola, un livello civile di vita.

Voi forse non avete un’idea, signori del Governo, delle condizioni di vita che vigono attualmente in Sardegna. Io vorrei che voi consideraste attentamente talune cifre che ci ha fornito lo stesso Alto Commissariato: dei 320 comuni dell’Isola, 60 sono privi di acquedotti; 130 hanno acquedotti incompleti; 120 non possono assicurare l’approvvigionamento idrico delle popolazioni in estate; non c’è nessun comune fornito sufficientemente di acqua, neppure i capoluoghi di provincia. Vi sono 215 comuni sforniti completamente di fognature; 38 hanno fognature incomplete; 77 comuni non hanno cimiteri; 48 hanno dei cimiteri insufficienti. Queste sono cifre, onorevoli colleghi. Questa è la situazione reale dell’Isola. Non si parli poi delle comunicazioni e delle strade. La Sardegna ha 0,195 chilometri di strade per chilometro quadro di territorio, contro 0,275 della Lucania, che è la regione più sfornita di strade di tutta la Penisola.

Nella stessa zona di Oristano, la più fertile dell’Isola, vi sono vasti territori in cui i contadini non possono raggiungere i propri fondi per mancanza di strade. Non vi è dunque da stupirsi se, allo stato attuale, il 77 per cento del territorio dell’Isola è incolto e se le rese per tutte le coltivazioni sono largamente inferiori alla media nazionale.

Occorrono evidentemente metodi nuovi, occorre iniziare una larga azione nel settore dei lavori pubblici e del rimboschimento e della bonifica; occorre dare un incoraggiamento all’iniziativa locale, e occorre incoraggiare soprattutto il movimento delle cooperative, sia nel settore agricolo che in quello della zootecnia, che già per iniziativa locale, e senza nessun aiuto, attraverso le sole strade aperte dai decreti Gullo e Segni, ha avuto un enorme inatteso sviluppo.

La organizzazione della produzione in Sardegna è ancora primitiva e vi è tutta un’opera da condurre su questo terreno. Abbiamo oggi 8,6 capi bovini per chilometro quadrato contro 48,8 delle Regioni del nord. Per quanto riguarda la produzione zootecnica, siamo ancora, come sapete, ai metodi più primitivi di conduzione, al pascolo brado. Occorrerà, quindi, in questo campo, favorire tutte quelle iniziative che tendano ad uno sviluppo industriale e commerciale e promuovere tutte le forme di economia associata.

Noi non pensiamo, onorevoli colleghi, di tagliare i ponti con l’Italia. Posso dirlo a nome di tutti i sardi: è ben lontano da noi un proposito di questo genere. Sappiamo troppo bene che nessuna opera potrebbe essere nemmeno iniziata se non ci soccorresse l’aiuto iniziale di tutti gli italiani e del capitale privato e di quello statale. Pensiamo anzi che la riforma che vi proponiamo è parte integrante delle grandi riforme strutturali che l’Assemblea Costituente dovrà iniziare e che la futura Assemblea legislativa dovrà completare.

La riforma autonomistica in Sardegna è parte integrante della riforma agraria, e non avrebbe significato e valore se non venisse intesa e promossa in quel quadro ed in quella prospettiva.

Vi è chi si è chiesto per quali ragioni noi comunisti, che abbiamo assunto una posizione moderata per l’ordinamento regionale nazionale, abbiamo invece fin dal primo momento sostenuto la necessità di concedere statuti propri e autonomie ampie alle Isole e alla Sardegna, in particolare. Queste ragioni sussistono e non sono superficiali.

Non vi adduciamo soltanto ragioni geografiche, non vi adduciamo soltanto quei motivi storici, di carattere estrinseco, che sono stati forniti per altre Regioni: è tutto il modo in cui la Sardegna si è inserita nell’Italia una, è il modo in cui si sono sviluppati i rapporti della Sardegna col Piemonte prima, e con l’Italia poi, che ci suggerisce, in questo momento, di adottare per la Sardegna un ordinamento particolare.

L’annessione della Sardegna non è risultata, come un fatto politico necessario, da quel processo di unificazione economica e di rinnovamento sociale che ha determinato il Risorgimento italiano: l’annessione della Sardegna è stato un atto diplomatico e militare e la sua economia non ha potuto inserirsi nell’economia nazionale, perché si trovava ancora allo stadio pre-capitalistico.

Quando la legge delle Chiudende nel 1820 e l’editto per l’abolizione del feudalesimo nel 1836 istituirono in Sardegna la proprietà privata, vi fu un movimento insurrezionale che durò per 15 anni nell’Isola: erano le comunità contadine che sostenevano i diritti di ademprivio conquistati attraverso una lotta secolare contro i signori, e li sostenevano in quanto, attraverso il rinnovamento che era stato introdotto dalla nuova legislazione piemontese – adatta a situazioni economiche e sociali più avanzate – essi non vedevano altra prospettiva se non quella di un progressivo impoverimento.

Sicché, l’apertura del mercato nazionale – che è avvenuta intorno al 1848 allorché vi è stata l’unificazione doganale col Piemonte – per la Sardegna non ha portato quei vantaggi che ha portato per le altre Regioni; l’ha, anzi, aperta indifesa all’opera di sfruttamento del capitale mercantile e, in un secondo momento, del capitale industriale, l’uno e l’altro interessati a strapparle unicamente materie prime, allo stato grezzo e semilavorate. Sicché tutto l’ordinamento produttivo sardo nelle sue prospettive di progresso e di sviluppo si è trovato in costante e netta contraddizione con l’economia capitalistica italiana e con l’ordinamento sociale e giuridico italiano.

Si dirà che queste contraddizioni sono ormai risolte e superate. Non sono superate, onorevoli colleghi, e non lo sono perché non fu mai rinnovato il sistema produttivo, perché tuttora, accanto alle immense ciminiere di Monteponi di Carbonia, il pastore sardo guida le pecore con il suo vincastro per lande inseminate, perché ancora il contadino scava con l’aratro a chiodo la terra, perché ancora due economie e due mondi coesistono nell’Isola senza compenetrarsi. E da questa contraddizione scaturisce ancora sulle labbra del pastore e del contadino isolano il grido che guidava i padri nelle lotte contro il Piemonte: «torrare a su connottu» (vogliamo tornare a quello che hanno conosciuto i nostri padri); «sos muros a terra» (vogliamo abbattere la proprietà privata), grido che non risponde certo ad una chiara prospettiva politica, che non indica forse esattamente la strada di rinnovamento dell’economia isolana, ma esprime la ribellione dell’uomo semplice contro uno stato di cose ingiusto e il rimpianto dei tempi passati, migliori forse del presente.

Per questo, onorevoli colleghi, sin da quando si manifestò in Sardegna, un movimento culturale e politico degno di questo nome, esso assunse caratteri profondamente regionali ed autonomistici.

Questa inspirazione si ritrova in tutta la letteratura isolana, e in quella popolare e in quella colta; questo indirizzo corre nella letteratura, nella propaganda, in tutta l’attività politica che ha avuto luogo in Sardegna da un secolo a questa parte.

Riassunta venticinque anni fa in un programma politico dalla corrente che faceva capo al Partito sardo d’azione, condivisa dalle frazioni più avanzate del movimento socialista, la rivendicazione autonomistica è oggi patrimonio di tutti i Partiti dell’Isola e costituisce la comune rivendicazione di tutti i sardi.

La necessità, onorevoli colleghi, che noi vi prospettiamo scaturisce e risulta, quindi, da motivi che sono insieme immediati e remoti. Noi siamo entrati in Italia per un fatto diplomatico e militare; abbiamo partecipato ai sacrifici e alle lotte comuni del popolo italiano, in quanto abbiamo sentito che troppi fattori ci legavano profondamente alla vita nazionale. Ma oggi chiediamo di avere diritto di cittadinanza in questa Nazione rinnovata non soltanto come Cittadini italiani, ma anche come parte attiva nella vita economica e sociale del Paese.

Noi vi chiediamo oggi di consentirci che, attraverso l’autonomia, noi consolidiamo la partecipazione della Sardegna alla vita nazionale. Non è che questo, onorevoli colleghi, quello che noi vi chiediamo; non sono che questi i motivi per i quali noi vi proponiamo l’adozione di una procedura speciale la quale comporterà la sollecita approvazione delle statuto e la convocazione dei comizi elettorali entro l’anno. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Mortati. Ne ha facoltà.

MORTATI. Onorevoli colleghi, la questione sollevata dall’onorevole Lussu presenta due aspetti: l’uno che vorrei definire di opportunità e che naturalmente implica un giudizio di merito politico; l’altro che è invece di costituzionalità e quindi puramente di forma. Per quanto riguarda l’aspetto che ho chiamato di opportunità politica e che si compendia nella questione se convenga o meno disporre un’immediata entrata in vigore del proposto Statuto sardo, confesso che mi sorge qualche dubbio.

È bene, onorevoli colleghi, che noi poniamo mente ad una circostanza, che cioè questo Statuto dovrà essere sottoposto a revisione fra qualche mese, e, in questa sede, potrebbe subire modificazioni sostanziali rispetto a ciò che è stato proposto dalla Consulta regionale sarda. L’immediata sua entrata in vigore potrebbe indurre le popolazioni sarde nella convinzione di una definitività dell’assetto che si introduce, che sarebbe causa di delusioni, o di inconvenienti, senza parlare poi dell’inconveniente di dovere instituire uffici o competenze, che potrebbero, subito dopo, essere eliminati o modificati. Diverso, evidentemente, il caso dello Statuto siciliano, entrato in vigore quando non si poteva prevedere come prossima la data del coordinamento con la nuova Costituzione, di là da venire. In sostanza la preoccupazione legittima è quella di provvedere al più presto possibile alle elezioni. Ma, per sodisfare a questa esigenza, mi pare che non sarebbe difficile provvedere, anche senza l’attuazione dell’intero Statuto, facendo entrare in vigore solo la parte dell’organizzazione, salvo, nel frattempo, ad operare il coordinamento che dovrà esser fatto dall’Assemblea, in modo da consentire che quando i nuovi organi saranno investiti della carica potrà darsi inizio all’attività regionale nella sua forma definitiva.

Ma, in ogni caso, a me pare che prevalente in questo momento sia la questione di forma; cioè l’accertamento del come giungere a questo risultato cui tutti tendiamo, di realizzare nel più breve termine possibile l’autonomia sarda, che è già stata consacrata solennemente nell’articolo 108 della Costituzione. Ora, è appunto su questo problema che io desidero intrattenere brevemente l’Assemblea.

E, anzitutto, a questo proposito mi pare che bisogna con molta fermezza respingere le accuse, già enunciate dall’onorevole Lussu e ricalcate con una certa particolare acredine dall’onorevole Laconi, intorno ad una presunta inadempienza del Governo, ad una presunta sua insensibilità politica. Si è detto che il Governo ha tardato a prendere i provvedimenti che sarebbero stati di sua competenza per realizzare la rapida attuazione dello Statuto sardo. Io osservo che questo rimprovero è del tutto gratuito ed infondato. Il Governo, venuto in possesso di questo Statuto, ha fatto l’unica cosa che poteva fare, ha seguito l’unica via che gli era consentito seguire: cioè trasmettere alla Presidenza dell’Assemblea, lo Statuto stesso, affinché prendesse i provvedimenti di sua competenza.

Che i provvedimenti fossero di competenza dell’Assemblea, è indubbio; dato che il carattere costituzionale dei medesimi è da tutti ammesso, a cominciare dagli onorevoli Lussu e Laconi. Evidentemente, se si tratta di atto di indole costituzionale, il Governo non poteva fare altro che eccitare la competenza dell’Assemblea attraverso il deposito dello Statuto ad esso pervenuto, nelle mani della sua Presidenza.

Ora, ciò posto e chiarito, qual è la procedura da seguire per realizzare la desiderata attuazione dello Statuto sardo?

L’onorevole Lussu propone un’autorizzazione, che dovrebbe essere data dall’Assemblea in questo momento – a conclusione della votazione sulla mozione stessa – un’autorizzazione al Governo ad approvare ed attuare, cioè a dar subito vigore a questo Statuto. L’onorevole Lussu ha citato l’autorità di un illustre parlamentare e costituzionalista, cioè dell’onorevole Orlando. Sono dolente che l’onorevole Orlando non sia presente nell’Aula, perché ci avrebbe potuto illustrare a voce questa sua opinione circa la regolarità della procedura suggerita. Con tutto il rispetto dovuto all’eminente Maestro, debbo dissentire dall’opinione a lui attribuita: non è possibile che l’Assemblea dia l’autorizzazione ad attuare lo Statuto sardo, cioè l’autorizzazione a modificare l’assetto fondamentale dello Stato per questa parte, attraverso un semplice voto a conclusione della discussione sulla mozione. Già – osservo incidentalmente – è errata la parola «autorizzazione», perché, se mai, bisognerebbe pensare ad una delega; delega che a me sembra possibile, che a me sembra consentita dalla Costituzione provvisoria che attualmente ci regge e che è consacrata nel decreto legislativo luogotenenziale 16 maggio 1946. Io ritengo legittima la delega, perché precisamente questa Costituzione provvisoria, ha carattere di flessibilità e quindi consente all’organo supremo, che è l’Assemblea Costituente, di apportare ad essa delle modifiche. Un’applicazione recente della flessibilità di questa Costituzione provvisoria abbiamo fatto noi stessi quando, poche settimane or sono, abbiamo approvato la proposta di prorogare i termini fissati dall’articolo 4 alla vita dell’Assemblea Costituente. Evidentemente, se l’Assemblea Costituente ha potuto modificare la disposizione costituzionale relativa al termine, con eguale legittimità, potrebbe trasferire al Governo l’esercizio di una potestà di sua competenza, quale è quella di modificare la Costituzione attuale, sancendo a favore della Sardegna una determinata legislazione speciale.

Quindi, che una delega (non già un’autorizzazione) sia possibile a tenore della Costituzione provvisoria attuale, io non credo dubbio. Si tratta, però, della forma. Come attuare questa delega? Evidentemente, non con un voto generico su una mozione, ma attraverso l’unica forma possibile, cioè l’approvazione di un disegno di legge che determini precisamente il modo, la forma, i limiti di attuazione di questo Statuto da compiere dal Governo. Non sarebbe possibile allo stato delle cose concedere una delega generica, per l’attuazione di questo Statuto che nessuno di noi conosce, non essendo stato distribuito ai membri dell’Assemblea. Siccome questo Statuto si trova attualmente presso una Commissione dell’Assemblea, spetta a questa Commissione di esaurirne l’esame (nel caso che l’abbia iniziato) o di iniziarlo (nel caso che non l’abbia ancora iniziato) e presentare all’Assemblea le proposte relative.

È necessario quindi, per il momento, rimettersi all’apprezzamento di questa Commissione circa la linea da seguire. Sarà questa Commissione che, in base alla valutazione delle singole disposizioni dello Statuto, potrà proporre all’Assemblea o l’attuazione immediata dell’intero Statuto o l’attuazione provvisoria di alcune parti dello Statuto stesso, e precisamente di quelle parti che si riferiscono agli organi, e quindi all’elezione dell’Assemblea regionale. Sarà insomma la Commissione competente che dovrà illuminarci circa le vie da seguire e proporci quel disegno di legge di natura costituzionale, il quale dovrà poi essere approvato dall’Assemblea Costituente con la procedura normale.

A me pare che seguire un’altra via sarebbe non solo illegittimo, ma anche inopportuno. Qualcuno può pensare che la questione d’indole formale abbia poca importanza. A me non pare. Le questioni di forma sono questioni di grande importanza per un popolo civile perché ad esse sono legati valori di straordinaria importanza, i valori della certezza del diritto e della stabilità delle istituzioni. Non possiamo, dunque, esporre questa materia così delicata ad accuse di incostituzionalità e ad incertezze, accuse di incostituzionalità ed incertezze che sorgerebbero se venisse seguita la via suggerita dall’onorevole Lussu.

È appunto per questo, ed anche per una questione di sostanza che – come accennavo – consiste nella necessità di valutare nel merito questo Statuto per potere giudicare quale parte di esso possa senza danno essere attuata, è – dicevo – tenendo presente questa duplice considerazione, di sostanza e di forma, che io propongo l’ordine del giorno già letto e che comporta il deferimento alla Commissione delle proposte relative al mode migliore per giungere alla rapida attuazione dello Statuto sardo.

A quest’ordine del giorno io attribuisco valore di emendamento e chiedo che, come tale, esso sia posto in votazione prima della mozione. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Mastino Gesumino. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Onorevoli colleghi, parlo unicamente perché intendo precisare il mio pensiero, che è in parziale disaccordo con quello espresso testé dall’onorevole Mortati.

Certamente l’onorevole Mortati ha giuridicamente ragione allorché afferma la possibilità della delega da parte dell’Assemblea al Governo dell’esercizio di uno dei propri poteri costituzionali. Penso però – e su queste punto prego l’assemblea di volermi attentamente seguire – che il problema sia stato mal posto allorché si volle restringere la possibilità della immediata attuazione dello Statuto autonomista sardo alla delega che l’Assemblea può oggi dare al Governo.

Io penso che l’Assemblea utilmente intervenga ora presso il Governo, al fine di dare maggiore autorità al provvedimento che si vuole ottenere da esso. Ritengo però che il Governo – malgrado le critiche, direi, di obbligo, dell’onorevole Laconi – non avesse veste per potere prima autonomamente intervenire nell’argomento, in quanto la Sardegna aveva già una prima volta, attraverso la Consulta regionale, manifestato il desiderio di autonomamente decidere sullo Statuto della propria autonomia e di voler attendere che la sua decisione avesse la consacrazione di questa Assemblea. Ma io ritengo che di questa delega formale dell’Assemblea, pur sempre opportuna, il Governo non avesse necessità; e qui mi richiamo al principio indiscutibile della continuità dell’ordinamento giuridico italiano come della continuità di qualunque ordinamento statale: continuità che lega necessariamente la legislazione attuale alla legislazione scaturita dai Governi dei Comitati di liberazione. Ora, si è detto – anzi, ripetuto varie volte – che la Sardegna avrebbe potuto ottenere da parecchio tempo l’autonomia stessa, che, per decreto-legge, fu concessa alla Sicilia; ma non si è precisato che nel decreto che concedeva l’autonomia alla Sicilia era detto con chiarezza di espressione, e quindi con assoluta tassatività di norma, che la Sardegna aveva diritto di ottenere la stessa autonomia che veniva concessa alla Sicilia. Quindi, la legge che approvava lo Statuto siciliano non esauriva il suo compito in questa approvazione, ma aveva una efficacia che oltrepassava i limiti dello Statuto siciliano, in quanto concedeva un preciso diritto alla Sardegna. Ora, amici e colleghi, l’esercizio di questo diritto sardo non era limitato nel tempo; in modo che non si può dire (sarebbe una eresia giuridica e si affermerebbe cosa immorale) che non avendo la Sardegna esercitato questo diritto che le derivava dalla legge, immediatamente dopo l’approvazione dello Statuto siciliano, abbia perduto la facoltà di esercitarlo ora.

Le norme comuni di diritto hanno sempre affermato, fin dai tempi della legislazione romana, che non si possa presumere la rinuncia ad alcun diritto; e qui, non ci sarebbe bisogno di ricordarlo, siamo in tema di diritto pubblico e quindi la rinuncia dovrebbe essere circondata da speciali garanzie. Non è, pertanto, presumibile che la Sardegna abbia, con la sua volontà, rinunciato a questo suo diritto. Se così è, la Sardegna, che non ha esercitato il diritto allorché pure ne aveva facoltà, ha conservato il potere di esercitarlo ora. Lo esercita attraverso la mozione dell’amico onorevole Lussu, che io ho firmato e che risponde all’ardente desiderio di tutta la gente sarda.

Vi dicevo che sarebbe anche socialmente e moralmente strano che si opponesse a questo desiderio sardo unicamente il punto di vista del tempo trascorso. Ora, voglio fare un’affermazione e non credo di lasciarmi trascinare – in questa mia affermazione – dal mio profondo e, direi quasi, appassionato attaccamento alla mia terra. Noi sardi abbiamo anche in questa occasione dimostrato quella serietà, quel senso di disciplina, quel senso di decoro e quel senso di personalità autonoma che sono le caratteristiche più profonde della nostra razza millenaria. Noi, che avremmo potuto ottenere un vantaggio al quale aspiravano coscientemente o incoscientemente le generazioni trascorse e quelle viventi, rinunciammo perché volemmo meditare, esaminare se i termini e le forme dell’autonomia concessa alla Sicilia rispondessero alle necessità pratiche della Sardegna. Compiuto questo esame, la Sardegna presenta all’Assemblea un proprio Statuto regionale e chiede le venga riconosciuto un diritto consacrato dalla legge. Non credo che né l’Assemblea, né il Governo, si possano sottrarre all’obbligo che dalla legge deriva.

L’unica obiezione della cui fondatezza io mi rendo conto (badate, io tratto il problema unicamente dal punto di vista giuridico, quindi non credo necessario, come ha creduto l’amico Abozzi, riferirmi ai languenti occhi del signor De Montesquieu e neppure, se me lo consente l’amico Laconi, disturbare nel loro galoppo i quattro Cavalieri dell’Apocalisse) può essere superata purché noi ci soffermiamo a valutare i soli dati concreti del problema che ci viene sottoposto.

L’obiezione fondamentale è questa: l’Assemblea è stata chiamata a dare una delega al Governo. Ora, io ho sentito sussurrare intorno a me il dubbio, dubbio che scaturiva da una preoccupazione di ordine morale oltre che intellettuale, sulla possibilità di dare autorizzazione a compiere un atto della cui sostanziale portata non si conoscono i termini; perché, effettivamente, lo Statuto sardo è ignoto alla massima parte di voi e se io non temessi di dare l’impressione di essere maligno nella stessa linea in cui maligno è stato l’onorevole Laconi, potrei dire che forse neppure il Governo ancora lo conosce.

L’obiezione è certamente forte, però non mi pare che distrugga la fondatezza del ragionamento. Certo, l’Assemblea è sostanzialmente chiamata a compiere un atto di fede, un atto di fede nella Sardegna e nel senso di responsabilità dei sardi.

Ora, capisco che per molti di noi è difficile compiere questo atto di fede. Durante la discussione sulle autonomie regionali io ho sentito vari eloquenti colleghi parlare con vero terrore delle possibili attività delle future Assemblee regionali. Immaginavano che le Assemblee dovessero essere composte di persone o esagitate o inconsapevoli, le quali, in preda ad improvvisi strani furori, non avrebbero avuto altra idea che quella di sconvolgere la legislazione dello Stato e compiere le più impensate sciocchezze. Io non so se questo ragionamento sia esatto rapportato alle Regioni per le quali gli amici e colleghi parlarono. Certo deve essere respinto in rapporto alla Sardegna. I colleghi sanno che per quanto riguarda amor di Patria, attaccamento ai doveri verso la Nazione, la Sardegna, che per questa Italia, che tanto l’ha dimenticata, ha dato il sangue migliore dei suoi figli ed ha scritto pagine immortali di eroismo, non può ricevere lezioni da alcuno. (Applausi).

Per quanto riguarda il merito, cioè la capacità dei sardi di auto-amministrarsi con dignità, con pacatezza e con serenità, io prego l’Assemblea di voler credere che la Sardegna darà ancora una volta la dimostrazione di essere degna della fiducia, della Patria. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Carpano Maglioli. Ne ha facoltà.

CARPANO MAGLIOLI. A nome del Partito socialista, porto l’adesione alla mozione dell’onorevole Lussu e degli altri colleghi firmatari nella certezza di rispettare, in atto concreto di democrazia, la volontà del popolo sardo degno della nostra solidarietà, per le sue altre virtù civiche. E mi è particolarmente caro rendere questo omaggio come piemontese. Così si potrà accelerare la realizzazione dell’autonomia, sicuri di vedere avviata questa tormentata e meravigliosa nostra Isola a forme di civiltà più alte. Non mi pare si debba dimenticare che la nostra adesione trae anche fondamento dalla necessità doverosa di rispettare l’impegno assunto fin dal 1946 dal Governo del Comitato di liberazione nazionale, né io penso che si debbano avere preoccupazioni formali perché queste preoccupazioni potranno essere superate dall’opera di coordinamento che farà l’Assemblea Costituente a questo Statuto presentato dalla Consulta sarda; l’attuazione pratica dello Statuto sardo servirà anzi a dare indicazioni concrete al lavoro di coordinamento superando utilmente ogni eventuale preoccupazione di forma.

Con questo sentimento e con questi intendimenti, il gruppo parlamentare socialista dà cordiale la sua adesione alla mozione degli onorevole Lussu e colleghi e confida che la Camera, approvandola, vorrà rendere questo omaggio al popolo sardo. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Mannironi. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Onorevoli colleghi, io penso che questa discussione, già così ampia, debba essere ricondotta ad un criterio e ad un fine soprattutto pratico perché mi pare che possono essere opportunamente conciliate le esigenze affermate e contenute nella mozione Lussu con i criteri giuridici, costituzionali, pratici e tecnici enunciati nell’ordine del giorno firmato dall’onorevole Mortati ed altri.

Perché non possano nascere equivoci sulla portata di questo mio intervento, devo dichiarare subito e preliminarmente che sono d’accordo in pieno con i presupposti fondamentali posti a base della richiesta contenuta nella mozione Lussu. Cioè io riconosco che è urgente provvedere all’attuazione dell’autonomia sarda, riconosco che lo Statuto studiato presentato dalla Consulta regionale sarda merita la nostra piena fiducia e la nostra adesione. Dico questo, io che lo Statuto conosco in quanto vi ho collaborato per la sua redazione. Purtroppo dobbiamo chiedere ai colleghi un atto di fiducia o, direi, addirittura un atto di fede perché essi dovrebbero accingersi a prendere una grande decisione con grave responsabilità su una materia che purtroppo ignorano.

Ma, dicevo, se tecnicamente e costituzionalmente noi oggi non possiamo dare al Governo una delega pura e semplice attraverso una semplice mozione, e se dobbiamo presentare invece un regolare disegno di legge che dovrà seguire la sua trafila pure regolare, con il deferimento allo studio di una speciale Commissione, se tutto questo ha da essere fatto, io credo che praticamente noi verremo a guadagnarci e verrà a guadagnarci soprattutto l’autonomia della Sardegna. Io sono seriamente preoccupato, onorevoli colleghi, della vicenda che questa autonomia potrebbe avere, facendo le cose troppo affrettatamente e prevenendo troppo col desiderio la realizzazione delle nostre aspirazioni.

Infatti, se ottenessimo dal Governo l’approvazione dello Statuto proposto dalla Consulta sarda, ci troveremmo in questa strana situazione: che lo Statuto, approvato per ipotesi nel mese di agosto, al mese di dicembre o novembre potrebbe essere sottoposto a revisione anche sostanziale; dico anche sostanziale, perché la portata della parola «coordinamento», di cui si parla nello Statuto siciliano e nella mozione Lussu, ha avuto un chiarimento abbastanza persuasivo nelle discussioni svoltesi in seno alle Commissioni riunite della Consulta nazionale, alle quali giustamente ha fatto richiamo l’onorevole Lussu. In quella occasione da parte dell’onorevole Molinelli si diceva che una delle tesi profilate consisteva nell’affermare che il provvedimento legislativo, che si sarebbe dovuto emanare, poteva essere soggetto ad emendamenti, per il coordinamento con la nuova Carta costituzionale dello Stato italiano.

Lo stesso onorevole Gilardoni, relatore, aveva affermato che non si poteva neppure pensare ad una limitazione dei poteri della Costituente, la quale era assolutamente sovrana ed avrebbe sempre potuto fare giustizia di tutte le leggi preesistenti ed a tutte sostituire principî nuovi.

Ora, se la parola «coordinamento» può significare modifica sostanziale dello Statuto, credo che tutti ce ne dobbiamo seriamente preoccupare, proprio per le ragioni cui accennava l’onorevole Mortati, quando diceva che in materia costituzionale, sovrattutto, oltre che in tutta la legislazione comune, è necessario porre il popolo di fronte alla certezza del diritto.

Quali ripercussioni si potrebbero avere in Sardegna, se domani il Governo promulgasse sic et simpliciter lo Statuto proposto dalla Consulta sarda ed a distanza di pochissimi mesi, poi, l’Assemblea Costituente ritoccasse questo Statuto, dando la sensazione di ridurre una concessione già fatta dal Governo?

Tutto questo produrrebbe indubbiamente, se non sconvolgimenti, delusioni profonde e disorientamenti, dei quali noi ci dobbiamo preoccupare.

Non credo che gli argomenti di natura pratica, che modestamente sto esponendo, possano essere superati dagli argomenti, direi ad effetto, proposti e profilati dagli onorevoli Lussu e Laconi; i quali sostengono l’urgenza indilazionabile delle elezioni ed affermano che la soluzione radicale di tutti i problemi che affliggono la nostra terra, possa essere rappresentata dalle elezioni dell’Assemblea regionale.

Mi permetto di contestare la verità di questo assunto. Io non penso che la concessione dell’autonomia per la Sardegna possa costituire la bacchetta magica, capace di risolvere con un sol colpo tutti gli annosi problemi che ci affliggono. Non penso neppure che le elezioni possano servire a decongestionare tutto l’insieme ed il complesso dei problemi stessi e non penso, soprattutto, che sia utile indire delle elezioni per costituire un’Assemblea la quale dovrebbe essere organo di un potere e di un ente che non è ancora definitivamente creato nella struttura, nella fisionomia e nei poteri.

Dico questo soprattutto in relazione alla tesi profilata dall’onorevole Mortati, che ha accennato alla possibilità costituzionale che si possa, ad un certo momento, disporre per l’entrata in vigore parziale dello Statuto sardo. Credo che soluzioni di questo genere siano ibride e pericolose. Penso che lo Statuto deve entrare in vigore integralmente, quando sarà definitivo e non quando potrà pendere su di esso la spada di Damocle di una riforma o di un ritocco da parte dell’Assemblea Costituente.

Quindi, onorevoli colleghi, per concludere, dirò che mi parrebbe utile che il collega Lussu ed il collega Mortati si intendessero, per trovare una soluzione che salvi questa esigenza, cioè l’urgenza di arrivare rapidamente ad ottenere l’approvazione costituzionalmente definitiva dello Statuto sardo, e che eviti, insieme, di esporre lo stesso Statuto ad una perdita di tempo, a possibili ritocchi finali che varrebbero a svalutarlo nell’opinione del popolo sardo. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi, Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di parlare.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi! Voi avete inteso, da parte mia, il desiderio che l’Assemblea, superando la questione pregiudiziale, affronti nel merito gli argomenti presentati dalla mozione Lussu ed altri onorevoli colleghi. Tengo subito, per quanto già detto da altri onorevoli colleghi, a precisare che non mi sembra esatto quanto è stato detto dall’onorevole Laconi, circa la mancata sensibilità del Governo su questo problema dell’autonomia sarda. Non so se l’onorevole Laconi volesse riferirsi a questo Gabinetto o ad altri precedenti; l’attuale Gabinetto ha poche settimane di vita e fra i tanti problemi che l’assillano ed a cui deve provvedere, credo che non abbia trascurato quello che riguarda la Sardegna, che è invece profondamente sentito, come tutti gli altri problemi che riguardano la vita del nostro Paese. Quindi non credo di dover difendere il Governo; né, d’altra parte, la constatazione della mancata presenza del Presidente del Consiglio può, diciamo così, diminuire l’importanza di questa discussione, perché ho premesso che il Presidente del Consiglio, assente da Roma, mi ha incaricato di venire dinanzi all’Assemblea ad esprimere l’opinione del Governo, senza domandare il rinvio di questa discussione. Di questo l’Assemblea deve prendere atto e credo che l’onorevole Lussu, presentatore della mozione, deve riconoscere che il Governo si è messo subito a disposizione dell’Assemblea.

Fatte queste premesse, nessuno può dubitare della volontà del Governo di definire la questione dell’autonomia sarda per l’importanza assunta presso l’opinione pubblica del Paese e per l’impegno preso dal Governo e sancito formalmente nell’articolo 108 della Costituzione già votato dall’Assemblea.

Ora, mi pare che questa questione riguardi un problema tecnico e in questo senso l’onorevole Lussu l’ha presentata. Il Governo è qui per sentire quali sono le opinioni dell’Assemblea, perché tutti siamo d’accordo nel ritenere che questa questione è squisitamente costituzionale in quanto entra in quella che è l’organizzazione dello Stato stesso in una sua parte, quale è una delle sue grandi Isole, e non può che essere materia spettante all’Assemblea Costituente. Questo è il punto tecnico della questione. La Consulta regionale sarda, con sua deliberazione 11 maggio 1946, come è stato rilevato anche da parte dei colleghi che hanno recentemente parlato, ha ribadito il principio che il regime autonomistico risponde ad esigenze particolari dell’Isola ed affermato che la Sardegna intende ottenere la propria autonomia dalla Costituente, unica Assemblea chiamata a decidere sul nuovo ordinamento dello Stato. Quindi la stessa Sardegna, attraverso la Consulta regionale, che è l’organo chiamato ad elaborare lo Statuto, precisò con questo ordine del giorno presentato al Governo fino dall’11 maggio 1946, che era suo intendimento che lo Statuto venisse formulato da essa ed approvato dall’Assemblea Costituente. Questa posizione assunta dalla Sardegna, spiega la differente via che ha preso lo Statuto sardo nei confronti di quello siciliano, perché lo Statuto siciliano, poté essere approvato dal Governo, prima che l’Assemblea Costituente fosse stata convocata. Invece, avendo la Consulta sarda elaborato lungamente il suo Statuto, tanto che è pervenuto al Governo soltanto il 9 maggio scorso, è avvenuto che si è trovato che la Costituente è l’unica competente a provvedere in materia costituzionale. Il Governo ha immediatamente trasmesso lo Statuto, preparato dalla Consulta regionale sarda, al Presidente dell’Assemblea Costituente, il quale lo ha trasmesso alla Commissione dei Settantacinque. Questa è stata la regolare procedura. Che cosa c’entra in tutto questo il Governo? Quale altra via doveva seguire il Governo, se non quella dell’Assemblea, che è stata investita non appena è pervenuta la richiesta dalla Consulta sarda? Quindi, da questo punto di vista, nessuna osservazione si può fare all’opera del Governo, che è stato molto sensibile nel trasmettere lo Statuto all’organo competente, ed a rispondere alla presente interpellanza appena presentata. Il Governo è a disposizione dell’Assemblea per sentire quale è la sua opinione.

Dato quanto si è detto, quali sono le vie che si possono seguire? Questo è il punto importante sul quale dobbiamo intenderci.

Il Governo, anche per questo, si rimette a quello che l’Assemblea crederà: ma ha il dovere di richiamare l’Assemblea stessa a quelle che sono le linee fondamentali dell’attuale ordinamento costituzionale: ordinamento che è un ponte tra un regime costituzionale ormai distrutto ed un nuovo regime che la Costituente dovrà approvare.

La situazione è basata sulla legge del 16 marzo 1946: mentre il Governo ha tutto il potere legislativo, la materia costituzionale è di competenza dell’Assemblea Costituente, insieme a quelle leggi che devono far parte della competenza dell’Assemblea Costituente in base all’articolo 3 della predetta legge.

Può il Governo sostituirsi ai poteri dell’Assemblea Costituente, in questo momento? Questo è il problema, e il collega Mortati, che è maestro in materia, ve lo ha detto, nella forma più chiara ed esplicita. Io non posso fare altro che associarmi a quanto egli ha detto.

Effettivamente, in questo momento, tutta la materia costituzionale è in mano all’Assemblea Costituente. E io aggiungo ancora, come Ministro di grazia e giustizia, che l’autorità giudiziaria ritiene di dover intervenire sull’esame della costituzionalità delle leggi che il Governo attuale emana in base alla distinzione dei poteri disposta dalla legge 16 marzo 1946.

Vedete, dunque, la situazione in cui il Governo oggi si trova: ha tutte le responsabilità e tutti i poteri che gli derivano dalla legge del 16 marzo 1946, per la legislazione, nella temporanea mancanza dei normali organi legislativi; ma, d’altra parte, ha dei limiti di ordine generale in quanto la materia costituzionale appartiene all’Assemblea Costituente.

Altra questione è se l’approvazione dello Statuto sardo, che è materia essenzialmente costituzionale, possa essere delegata al Governo. L’onorevole Mortati l’ha risoluta e ha detto: «Io non trovo ragioni assolute perché questa delega non possa avvenire». C’è qualcuno che la discute. Si tratta di vedere se i poteri dell’Assemblea Costituente possano o non essere delegati.

Mi pare assurdo arrivare al massimo che l’Assemblea possa delegare completamente i suoi poteri; ma certamente qualche provvedimento l’Assemblea può delegare, in quanto non si parte dal concetto delegatus non potest delegare: qui non si tratterebbe di delegare l’intera funzione, ma un singolo provvedimento. È un atto della sua sovranità e nessuno potrebbe contestarne la validità.

In ogni modo, il problema giuridico deve impostarsi così: una particolare attività costituzionale può essere delegata; ma bisogna intendersi sulla forma che deve avere la delegazione.

Non metto in dubbio che l’Assemblea possa dire al Governo: Approvate lo Statuto sardo; vedete la maniera in cui deve essere approvato, se confermando quanto ha emesso la Consulta sarda oppure, come dice l’onorevole Laconi, tenendo conto dei principî già approvati dalla Costituente per quanto riguarda le Provincie. È una delegazione di poteri che intendete affidare al Governo; ed è curioso che sia proprio io, che rappresento il Governo, a preoccuparmi dei poteri eccessivi che ci volete dare.

Ma il punto su cui voglio richiamare la vostra attenzione è essenzialmente quello della forma. Credete voi, onorevoli colleghi, che sia sufficiente un ordine del giorno? Ma un ordine del giorno, onorevoli colleghi, è un atto politico. Un ordine del giorno è un atto che si esaurisce in una funzione politica e non potrà mai diventare un fatto giuridico.

Non può dunque il Governo fare una legge costituzionale soltanto perché un ordine del giorno dell’Assemblea gliene ha deferita la facoltà; la volontà dell’Assemblea non si manifesta giuridicamente se non con legge. Ecco la bontà delle odierne ragioni apportate dall’onorevole Mortati; sostanzialmente io non vedo soluzione giuridica se non attraverso una delega legislativa.

Noi costruiremmo, in caso contrario, onorevoli colleghi, un edificio che potrebbe sgretolarsi, perché potrebbe essere attaccato nella sua costituzionalità. Siete voi, onorevoli colleghi, che dovete meditare sulla vostra responsabilità. Io non posso se non dirvi: anticipiamo pure i tempi, se volete, ma mettiamoci però su di un piede costituzionale. Così soltanto noi faremo opera degna per la Sardegna, noi faremo opera degna per l’Italia.

Io ho sentito poco fa la voce commossa dell’onorevole Laconi, ho udito che molti comuni in Sardegna non hanno neppure il cimitero, ho provato una grande impressione. Mi auguro, insieme con voi, che a tale triste stato di cose la Regione sarda riesca, quanto prima e nel miglior modo, ad ovviare. È chiaro che in questo sono d’accordo con voi.

Vi dico però anche: troviamo una via giusta, troviamo una via legale, troviamo una via che non faccia sì che i nostri atti possano essere inficiati di incostituzionalità.

Non ho altro da aggiungere. Il Governo si rimette a quello che l’Assemblea deciderà. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo la parola, ha facoltà di parlare l’onorevole Lussu in qualità di presentatore della mozione. Con il suo discorso la discussione sarà chiusa.

Onorevole Lussu, mentre ella ha la parola, la prego di esprimere anche il suo avviso sull’ordine del giorno dell’onorevole Mortati ed altri, il quale deve evidentemente essere considerato come un emendamento alla sua mozione.

LUSSU. Onorevoli colleghi, dopo quando è stato detto, io ho il dovere di parlare brevissimamente. Io ho qui presente l’ordine del giorno degli onorevoli colleghi Mortati, Tosato ed altri. Si tratta di tutti colleghi che io altamente stimo per avere collaborato con loro lungamente nei passati mesi alla seconda Sottocommissione; non nascondo però che ho provato una certa amarezza nell’apprendere come questo ordine del giorno rechi le firme di colleghi come l’onorevole Tosato e l’onorevole Fuschini i quali avevano aderito alla mozione che io ho presentato.

Ho detto che ho provato una certa amarezza perché preferirei essere sempre d’accordo con questi colleghi che altamente stimo.

Io, francamente, trovo che quest’ordine del giorno complica le cose. Già il primo firmatario e sostenitore di esso è l’onorevole Mortati, la cui cultura ed intelligenza e profondità di pensiero giuridico è da tutti noi conosciuta; ma è anche vero che tutti coloro che hanno avuto dimestichezza con lui trovano l’intelligenza del collega Mortati eccessivamente complessa. Là c’è tutto l’universo! E tutte le volte che egli vede un problema, anziché semplificarlo, appunto per questa sua grande e complessa intelligenza che lo anima, lo complica. Questa è l’esperienza dei colleghi che hanno collaborato con lui.

Ora mi sia permesso mettere in rilievo il carattere strano della prima parte di quest’ordine del giorno dove, facendo riferimento allo Statuto per l’autonomia sarda, si riferisce esclusivamente all’articolo 108 quasi che solo l’articolo 108 desse diritto alla Consulta regionale sarda e al popolo sardo di presentare un suo statuto.

Mi sia permesso di protestare contro quest’ordine di cose che capovolge la realtà della situazione e dei fatti. E siccome viene da un collega esperto in materia, quale l’onorevole Mortati, io devo pensare che c’è tutta una serie di retroscena che io ignoro.

Ma non è solo l’articolo 108! Ci sono i decreti legislativi reali e luogotenenziali, i quali hanno creato gli Alti Commissariati e le Consulte, decreti che hanno dato a noi il diritto e l’obbligo di presentare lo Statuto, e ci sono gli impegni del Governo quando aveva il potere legislativo ed esecutivo. Quindi non è solo l’articolo 108, ma è tutto l’insieme del passato al quale è legato questo nostro diritto costituzionale; e in un certo senso vi sono impegnati la dignità e il prestigio dello stesso Governo, per quanto il Governo bene faccia a rimettersi completamente all’Assemblea.

Ho ragione, quindi, di ritenere che questa mia sorpresa sia troppo logica perché non sia presa in considerazione dall’onorevole Mortati e da voi tutti.

E poi, la questione di sostanza. Io non l’accenno neppure. L’ho già esposta e mi stupisce come l’onorevole Mortati non abbia prestato attenzione a quanto io avevo precedentemente detto e che il collega onorevole Mastino Gesumino ha ripetuto così chiaramente.

Questione di fatto. Ma il Governo aveva già esteso alla Sardegna lo Statuto siciliano, e il fatto che la Consulta sarda, nell’intendimento di elaborare meglio il suo Statuto, vi ha rinunciato, non fa cadere il diritto acquisito.

È vero che la Consulta sarda ha, nell’ordine del giorno ricordato dall’onorevole Ministro Grassi rinunziato, nel maggio scorso, a una procedura di urgenza, ma è anche vero che l’Alto Commissario per la Sardegna, generale Pinna, che rappresenta tutta la Consulta, ha inviato una lettera, a me presentatore della mozione, per dirmi che è d’accordo nel ritenere urgenti le elezioni in Sardegna e l’attuazione dello Statuto sardo e mi ha annunziato di voler fare in questo senso un intervento presso il Governo. Quindi, onorevole Mannironi, il suo pensiero non concorda con quello di tutti i rappresentanti legittimi del popolo sardo.

Io vorrei aderire volentieri a un accordo con l’onorevole Mortati; ma io dico che mettersi d’accordo è impossibile. Ritengo che la questione, così come è stata prospettata da me, è perfettamente costituzionale. Mi dispiace che qui non sia l’onorevole Presidente Orlando, ma i colleghi mi riconosceranno di avere agito con perfetta lealtà e con senso di responsabilità quando, prima di presentare la mozione, ho voluto interpellare tutti gli ex Presidenti del Consiglio: l’onorevole Ferruccio Parri e gli onorevoli Orlando e Nitti. Avrei sentito anche l’onorevole Bonomi, ma in questi giorni non mi fu possibile vederlo.

Ho interpellato dunque questi tre uomini altamente qualificati e responsabili per esprimere un pensiero in materia, e ritenevo di essere nel giusto presentando questa mozione.

Io mi chiedo perché l’onorevole Mortati, nella complessità del suo pensiero costituzionale, debba trovare tutto questo senza importanza.

V’è la questione sollevata ultimamente dal collega onorevole Grassi, Ministro di grazia e giustizia: può il Governo arrogarsi il diritto di sostituirsi all’Assemblea? Può l’Assemblea delegare? E come delega? Ma è semplice: delega votando la mozione, ed essa dà così la sua approvazione implicitamente, perché, in sostanza, quando l’Assemblea Costituente delega al Governo l’applicazione immediata dello Statuto sardo, ciò significa che l’Assemblea Costituente l’approva.

Ricordo qui un disegno di legge presentato in questi giorni per il Trattato di pace. Il disegno di legge presentato dal Ministero dice: «Articolo primo: È approvato il Trattato di pace fra le Potenze alleate, ecc.». Il testo invece della Commissione dice: «Il Governo della Repubblica è autorizzato a ratificare, ecc.». Voi vedete che cosa significa questo; nella prima parte l’Assemblea approva; nella seconda parte il Governo della Repubblica è autorizzato. Il che significa che l’Assemblea autorizzando approva.

Questa è un’Assemblea politica, anche se è costituente. Anzi, da costituente, lo è ancora di più. È un’Assemblea politica, e la politica non realizza mai nella minuzia e nell’infinitesimo i principî teorici, astratti. Ma interpreta la realtà politica quale è.

La tesi che ho avuto l’onore di illustrare credo sia una tesi giusta, ragionevole e costituzionalmente corretta.

Ecco perché pregherei i firmatari onorevoli Mortati, Tosato ed altri, di voler riflettere sul problema che è di sostanza e di forma.

Col procedimento da loro proposto, in settembre non si può presentare un disegno di legge costituzionale inteso a realizzare l’autonomia sarda, perché per far questo occorre che sia prima discussa qua dentro tutta la parte riguardante le Regioni, che rimarrà sospesa per parecchi mesi, e inoltre tutti i titoli del progetto di Costituzione. Noi non possiamo neppure a settembre presentare un disegno di legge in questo senso: è impossibile. Le elezioni non si potrebbero fare che l’anno venturo, perché questo progetto di legge costituzionale non potrebbe essere presentato qui che a dicembre. Ecco perché pregherei gli onorevoli Mortati e Tosato di ritirare il loro ordine del giorno e di votare con serena coscienza la nostra mozione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Al punto in cui è giunta la discussione, non posso dare ancora la parola nel merito. Se ella, onorevole Laconi, ha ancora qualche cosa da dire, ne avrà la possibilità successivamente, restando nei limiti di una dichiarazione di voto.

TOSATO. Chiedo di parlare in merito alla presunta contraddizione nella quale sarei caduto, secondo quanto ha detto l’onorevole Lussu.

PRESIDENTE. Non mi è possibile darle la facoltà di parlare, salvo che si tratti di fatto personale; ella però dovrà attenersi al fatto personale.

TOSATO. Sta bene. Parlo per fatto personale. Io, insieme con l’onorevole Fuschini, ho firmato la mozione dell’onorevole Lussu ed anche l’ordine del giorno dell’onorevole Mortati.

Non credo che per questo io e l’onorevole Fuschini siamo caduti in contraddizione. Noi siamo perfettamente d’accordo con l’onorevole Lussu sulla somma opportunità di affrettare, per quanto è possibile, l’attuazione della autonomia in Sardegna; però l’onorevole Lussu non può dimenticare quello che è già stato detto dal Ministro Grassi, che per delegare al Governo la facoltà di provvedere alla pubblicazione totale o parziale dello Statuto sardo non basta un ordine del giorno, non basta una mozione: occorre un progetto di legge; e perché l’Assemblea possa approvare un disegno di legge bisogna anzitutto che sia investita da un disegno di legge. Si tratta di una forma di passaggio assolutamente necessaria. Ora, l’ordine del giorno da noi presentato è precisamente inteso allo scopo di passare all’attuazione, più rapida possibile, dell’autonomia in Sardegna, attraverso le forme necessarie. L’Assemblea ritiene di incaricare una Commissione della presentazione di un disegno di legge? Preferisce dare l’incarico al Governo? L’Assemblea deciderà. Comunque, la pretesa contraddizione rilevata dall’onorevole Lussu non esiste.

PRESIDENTE. Questo sarà deciso con la votazione.

Ci troviamo, dunque, di fronte a tre proposte: la proposta contenuta nella mozione dell’onorevole Lussu che è molto chiara e precisa (si tratta di delegare al Governo la facoltà di approvare od emanare lo Statuto sardo); vi è la tesi, che è stata sostenuta dal Ministro di grazia e giustizia, che, non contestando questa facoltà, osserva tuttavia che essa deve essere data al Governo non con una mozione, ma con un disegno di legge, poiché una legge che deleghi il potere legislativo e costituzionale può avvenire soltanto attraverso forme legislative. Vi è infine la proposta dell’onorevole Mortati, che mi sembra non coincida con la tesi sostenuta dall’onorevole Ministro secondo la quale il progetto di legge che dovrebbe essere presentato all’Assemblea non dovrebbe essere un progetto di delega al Governo del potere di emanare lo Statuto sardo, ma un progetto di legge conclusivo dell’esame di merito sul progetto di Statuto elaborato dalla Consulta sarda. Si tratta di proposte di portata diversa ed è per questo che io ritengo debbano essere tenute separate fra di loro, per la chiarezza delle nostre conclusioni.

MORTATI. Vorrei chiarire che la mia proposta non è in contradizione con quella del Ministro di grazia e giustizia.

PRESIDENTE. Penso, comunque, che la proposta dell’onorevole Mortati non coincida immediatamente con la tesi sostenuta dal Ministro di grazia e giustizia. La tesi del Ministro Grassi mira a precisare un momento, direi, giuridico del problema. La proposta dell’onorevole Mortati entra nel merito e propone una soluzione di merito. Comunque la proposta dell’onorevole Mortati, da assumere in veste di emendamento e non di ordine del giorno, deve trovare la sua ubicazione nel testo della mozione presentata dall’onorevole Lussu, perché soltanto in questa maniera può essere messa in votazione come emendamento.

Mi pare che la proposta dell’onorevole Mortati debba essere inserita nella mozione dell’onorevole Lussu, subito dopo la frase «è stato dalla Consulta regione sarda presentato al Governo»; a questo punto, dopo i «considerata» andrebbe inserito l’emendamento Mortati, nella parte deliberativa: «delibera di invitare la Commissione competente», ecc.

Onorevole Mortati, è d’accordo?

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Io accetto pienamente questa sua proposta, perché il punto da lei designato è quello in cui esattamente si inserisce il mio emendamento. Vorrei però far presente che la mia proposta non si distacca affatto da quella dell’onorevole Grassi. Ed in questo senso io vorrei chiarire quanto mi pareva di avere già precisato, che cioè l’emendamento proposto non esclude la possibilità che si possa da parte della Commissione proporre di delegare al Governo di attuare provvisoriamente l’intero Statuto. Anzi devo ricordare che in una redazione originaria questa possibilità era espressamente enunciata.

PRESIDENTE. Ma il testo originale non lo ha fatto pervenire alla Presidenza.

MORTATI. Ho ritenuto opportuno di eliminare l’inciso, perché non apparisse limitato l’ambito di decisione affidata alla Commissione. Ci sono vie possibili, che non è utile determinare a priori. Sarà la Commissione che dopo l’esame dello schema, che è pregiudiziale, potrà con vera conoscenza della situazione, presentare le proposte più idonee.

In ogni caso, per eliminare ogni equivoco e per facilitare un’intesa, modifico il mio ordine del giorno aggiungendovi l’inciso finale, che originariamente vi era contenuto: «anche mediante il conferimento di apposita delega al Governo».

PRESIDENTE. Salvo all’onorevole Lussu di dichiarare se di fronte a questa modifica che l’onorevole Mortati si dichiara pronto ad apportare al suo emendamento sia disposto ad accettarlo, ritengo personalmente che anche con questo emendamento il problema che oggi è posto all’Assemblea non è risolto perché i presentatori della mozione intendevano con essa di decidere il problema e non di rimetterlo per la decisione alla Commissione che è stata già investita, in seno al più grande Comitato dei Settantacinque, di esaminare il progetto di Statuto sardo. Mi pare pertanto che la modificazione proposta dall’onorevole Mortati lascerebbe ancora in sospeso la decisione, ma è l’onorevole Lussu che deve, in definitiva, rispondere.

Ha quindi facoltà di parlare l’onorevole Lussu.

LUSSU. Evidentemente, con la proposta Mortati si arriva ad una sospensiva, il che non era nelle nostre intenzioni. Noi pensavamo esattamente il contrario: noi credevamo che oggi stesso l’Assemblea Costituente avrebbe potuto definire il problema.

E chiarisco in questo senso: se la mozione che parecchi colleghi ed io abbiamo presentato viene approvata oggi dall’Assemblea Costituente, evidentemente, immediatamente dopo, noi presenteremmo un disegno di legge così concepito: Articolo 1. Il Governo della Repubblica è autorizzato ad approvare, ecc. Mi pare chiaro. Il problema è risolto oggi stesso. Questo è il senso della nostra mozione.

PRESIDENTE. Allora l’onorevole Lussu dichiara che neppure la nuova formulazione dell’emendamento Mortati può essere da lui accettata. Restiamo, quindi, di fronte all’emendamento Mortati, come ad un emendamento alla mozione dell’onorevole Lussu ed in quanto emendamento (da inserire eventualmente, se fosse accolto, nel punto indicato poco fa) deve avere la precedenza nella votazione.

CARBONI ENRICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ENRICO. Dichiaro che voterò per l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Lussu non perché abbia della storia della Sardegna una visione così nera come egli l’ha avuta, né perché credo le condizioni attuali della Sardegna così gravi come quelle indicate dall’onorevole Laconi, ma perché ritengo che, effettivamente, l’autonomia, nei limiti in cui noi l’abbiamo chiesta nel nostro Statuto, costituisca la prima base per l’elevazione sociale, morale e politica della mia Isola.

CHIEFFI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIEFFI. Dichiaro di votare contro la mozione Lussu, perché ritengo che essa non risponda agli interessi del popolo sardo, in quanto la Sardegna desidera avere uno statuto definitivo, che non possa, in nessuna maniera, essere mutato in sede di coordinamento con la Costituzione.

Non è esatto affermare che in Sardegna vi sia una aspirazione così pressante e viva per l’approvazione dello statuto in via provvisoria. Evidentemente, questo risponde ad una esigenza personale dell’onorevole Lussu. (Commenti).

SPANO VELIO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SPANO VELIO. Evidentemente sarebbe difficile a me, come deputato sardo e come cofirmatario della mozione Lussu, prescindere da questa mia doppia qualità. Comunque, è certo che, se avessi assistito, senza avere già idee ben definite in proposito, a questo dibattito, mi sarei convinto della necessità che la mozione Lussu venga approvata.

Due obiezioni sono state fatte di carattere giuridico: una generale e l’altra particolare.

Quella generale potremmo esprimerla in questi termini: «Ci troviamo di fronte a materia costituzionale ed è l’Assemblea Costituente che deve decidere in proposito».

Eravamo informati di questo; ce ne aveva del resto informati l’onorevole Abozzi, dicendoci che la Costituente è nata per dare la Costituzione allo Stato italiano. Questo lo sapevamo; ma sapevamo anche – e gli interventi degli onorevoli Lussu e Laconi ne hanno dato la prova – che tutta una serie di questioni di carattere costituzionale è stata regolata, in via provvisoria, dal Governo.

Questo ci riporta dagli argomenti di carattere giuridico agli argomenti di carattere pratico e politico. Si tratta di sapere se, sul terreno politico, questa misura è urgente o no per la Sardegna.

Alle obiezioni mosse dall’onorevole Chieffi è stato risposto in una interruzione. Non si tratta di esigenza personale dell’onorevole Lussu, ma se mai di tutta una serie di altre persone, tra le quali i deputati democristiani Mastino e Carboni.

Altra obiezione di carattere politico contro la nostra mozione avanzata da alcuni colleghi al seguito dell’onorevole Mortati: si è prospettato il pericolo che attraverso l’emanazione da parte del Governo della statuto approvato dalla Consulta regionale sarda, ci si metta sulla via della incostituzionalità. Ma a questa obiezione ha risposto lo stesso onorevole Mortati, secondo il quale la delega al Governo – e ci inchiniamo di fronte alla sua autorità giuridica – è possibile.

Le due obiezioni giuridiche si riportano quindi sul terreno delle considerazioni politiche. Su questo terreno sono state presentate altre due obiezioni. Una esposta dall’onorevole Mannironi, il quale dice che lo statuto deve essere approvato, ma quando sia definitivo; non prima. Ma questa non è in realtà un’obiezione in quanto varrebbe per ogni legge, per ogni norma costituzionale. Il fatto che a dicembre lo statuto regionale sardo, approvato oggi, possa essere sottoposto a revisione dell’Assemblea Costituente, non ne nega l’urgenza e la necessità di approvare lo Statuto medesimo. È dunque su questo terreno che dobbiamo discutere: urgenza e necessità che questo Statuto venga approvato.

Si tratta oggi di togliere la Sardegna dallo stato di incertezza in cui si trova, quello stato di incertezza di cui si sono resi interpreti tutti i firmatari della mozione, tra cui ci sono i deputati del suo partito e della nostra Regione, onorevole Mannironi, ma che è stato avvertito anche dalla Consulta regionale sarda che ha chiesto l’approvazione di questa mozione, e dall’Alto Commissario, che si è reso interprete – venendo in questi giorni a Roma – dello stato d’animo che vi è nella Sardegna, la quale reclama appunto lo Statuto regionale.

Si è detto che l’autonomia non è una bacchetta magica che risolve tutti i problemi. Siamo perfettamente d’accordo. Appunto per questo noi deputati sardi, abbiamo domandato all’Assemblea Costituente di mettere i sardi in condizione di far vedere quel che sapranno fare sulla via dell’autonomia: mettiamoli alla prova. Gli unici competenti a giudicare se la questione sia politicamente urgente o non urgente, sono i sardi stessi dei quali i deputati dell’Isola in questa Assemblea si sono fatti interpreti.

LUSSU. L’Alto Commissario pure!

SPANO VELIO. Esatto: anche l’Alto Commissario.

Quando si dice: rimettiamo il progetto alla Commissione ed affrettiamo i tempi, sappiamo che si tratta, non dico di una ipocrisia, ma di una illusione. L’esperienza ci ha dimostrato che non è possibile «affrettare i tempi» in questa materia, e noi andremmo troppo lontano nel tempo se seguissimo la via suggerita dall’ordine del giorno presentato dall’onorevole Mortati.

Per tutte queste ragioni, che riconducono il problema dal terreno giuridico a quello politico, pensiamo che la mozione debba essere votata e per queste ragioni voteremo a favore della mozione Lussu e contro quella Mortati.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per che cosa, onorevole Lussu?

LUSSU. Per una pregiudiziale, onorevole Presidente! (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, non è possibile! Le faccio presente che siamo in sede di votazione e di dichiarazioni di voto. Non lo dimentichi.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che il Groppo democratico cristiano voterà a favore dell’emendamento Mortati, perché intende risolvere la questione nella maniera più breve, e perché ritiene questa la sola via costituzionale, e la più breve, perché il problema è già dinanzi alla Commissione competente che deve esaminare la questione, ed anche propendendo subito per l’approvazione della mozione, come propone il progetto di legge a cui si accennava poco fa, sarebbe necessario tornare poi dinanzi alla Commissione e così non si guadagnerebbe il tempo che si vuole guadagnare. È questa la sola via costituzionale; perché seguendo un’altra strada, ci troveremmo – come ha detto il Ministro della giustizia – di fronte ad un decreto incostituzionale e bisogna evitare questa eventualità, di fronte a cui la magistratura finirebbe per dire che non sappiamo fare il nostro dovere. Così facendo noi vogliamo non differire, ma accelerare l’esaudimento di questa aspirazione sarda, mettendo la Regione di fronte ad uno statuto che non possa essere inficiato di incostituzionalità.

Per queste ragioni, noi voteremo a favore dell’emendamento Mortati.

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Avrei visto con piacere che i deputati della Sardegna avessero parlato in questa Assemblea in perfetto accordo fra di loro. Sarei stato lieto, in tal caso, di unirmi a loro, facendo tacere nella mia coscienza qualsiasi argomentazione giuridica, di cui non avrei tenuto conto, infiammato dalla stessa passione dei deputati sardi per la loro regione.

Ma poiché i sardi hanno parlato non perfettamente d’accordo tra di loro, dichiaro che sarei portato a votare sia contro la mozione Lussu, sia contro l’emendamento Mortati, perché sono perfettamente d’accordo con quanto diceva poco fa il Guardasigilli, e cioè che le deleghe di un potere costituzionale o di un potere legislativo non possono aver luogo se non attraverso leggi. Ma, per venire incontro a quelli che sono i desideri della Sardegna, manifestati attraverso l’appassionata parola dell’onorevole Lussu, dichiaro che voterò a favore dell’ordine del giorno Mortati, perché mi sembra che esso giunga al traguardo, cui i sardi vogliono giungere, al più presto e col più rigoroso rispetto della legge.

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Lo scopo a cui tende l’emendamento Mortati, è completamente diverso dalla mozione proposta dall’onorevole Lussu.

PRESIDENTE. È per questo che è un emendamento: l’onorevole Mortati ha dichiarato di trasformare il suo ordine del giorno in emendamento.

DUGONI. Siamo su due piani completamente diversi; cioè l’onorevole Lussu propone una mozione la quale è presentata all’Assemblea nella sua veste di Assemblea legislativa; l’emendamento dell’onorevole Mortati sposta la competenza dell’Assemblea come Assemblea Costituente, cioè trasforma il problema, da legislativo, in costituzionale. Quindi l’intervento del Governo, la dichiarazione fatta poi dall’onorevole Grassi, soprattutto, hanno consacrato al dibattito il carattere di dibattito in sede legislativa. L’onorevole Mortati non può spostare questo dibattito con un semplice emendamento in sede costituzionale. Per questo io credo che noi non possiamo accettare la proposta dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Non credo di poter concordare con la sua opinione, onorevole Dugoni. L’Assemblea oggi è stata convocata come seduta di Assemblea Costituente. Noi oggi ci troviamo di fronte ad una mozione che investe il problema costituzionale specificamente. Anche i problemi costituzionali debbono essere risolti per mezzo di legge. L’affermazione quindi che ella ha fatto ora mi pare non risponda alla realtà.

Si sono affacciati invece dei dubbi se il problema in discussione abbia un carattere costituzionale o meno, ma non confrontando il testo di una mozione col testo di un emendamento. Quanto all’emendamento, che propone una cosa diversa dalla mozione, onorevole Dugoni, quante volte, nel corso dei nostri lavori, sono stati presentati emendamenti sostitutivi, i quali cercavano di giungere a conclusioni completamente diverse da quelle proposte nel testo in esame?

Pertanto, io ritengo che l’onorevole Mortati si sia valso di una disposizione di Regolamento presentando il suo emendamento che, come tale, deve essere posto in votazione.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Un mese fa, circa, furono presentate delle interrogazioni dall’onorevole Laconi, dall’onorevole Lussu, e da me e anche – credo di non errare – dall’onorevole Chieffi e da altri colleghi di parte democristiana, dirette ad ottenere che il Governo, omettendo qualunque delega da parte dell’Assemblea Costituente, approvasse lo Statuto autonomo per l’isola della Sardegna.

Ora, per quelle ragioni, che certo non erano ragioni di esigenze personali, che spinsero l’onorevole Chieffi a formulare quella interrogazione, ragioni che non intendo richiamare, per brevità, dichiaro di votare a favore della mozione del collega Lussu.

MANNIRONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Dichiaro che sono spiacente di votare contro la mozione Lussu. Concordo nella sostanza della sua richiesta; però dichiaro che sono costretto a votare contro, perché mi pare che la sua proposta comporti per lo Statuto sardo – che egli vorrebbe fare approvare dal Governo – un carattere di provvisorietà che gli è dannoso e pericoloso.

Voto contro, anche perché mi pare che l’esigenza delle elezioni regionali non sia così pressante, anche se di contrario avviso si sia manifestato l’Alto Commissario per la Sardegna, persona rispettabilissima, verso la quale abbiamo il massimo riguardo, ma che può anche errare nella valutazione dei fatti contingenti e nell’interpretazione dello stato d’animo del popolo sardo. Dichiaro che questa supposta urgenza delle elezioni non ci può fuorviare nelle decisioni finali, Se anche le elezioni regionali dal dicembre o novembre fossero rimandate a gennaio o febbraio, la soluzione praticamente sarebbe uguale; con la differenza però che, se il brevissimo differimento di esse dovesse portare all’approvazione dello Statuto definitivo e non provvisorio, noi renderemmo un vero servigio alla Sardegna. Per me l’essenziale è ottenere la definitiva e rapida approvazione dello Statuto speciale dall’Assemblea o dal Governo, che però sia regolarmente delegato con una legge dell’Assemblea che fissi chiaramente i termini del mandato. Il che non si può ottenere solo attraverso la mozione Lussu.

CIANCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Sono veramente stupito dell’andamento di questa discussione; ed esprimendo il mio stupore, credo di rendere omaggio ai motivi che debbono animare i deputati quando assumono le loro responsabilità.

Prima di dare la mia firma alla mozione presentata e svolta dall’onorevole Lussu, ho letto questa mozione, mi sono reso conto degli obiettivi ch’essa si prefiggeva e delle strade che bisognava battere per raggiungere tali obiettivi. Nello stesso momento in cui ho firmato questa mozione, ho aderito in pieno alle motivazioni in essa contenute; ho, quindi, il diritto di esprimere il mio stupore per il fatto che alcuni firmatari di questa mozione, rinnegando le ragioni che in questa mozione sono contenute e gli obiettivi precisi che questa mozione si prefigge, abbiano dato oggi la loro firma ad un ordine del giorno il quale, per dichiarazione concorde, è in contrasto assoluto con questa mozione.

MANNIRONI. Non è vero! (Commenti al centro).

CIANCA. Questo è stato riconosciuto dallo stesso onorevole Presidente, quando ha dichiarato le ragioni per cui metteva in votazione l’emendamento: egli ha ribadito il carattere di assoluto disaccordo tra la mozione Lussu e l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Mortati. Qui non si tratta di fare delle sottigliezze, le quali, ripeto, soprattutto quando si tratti di problemi di tanta importanza, non dovrebbero trovar sede in una Assemblea Costituente. Perché io ho aderito a questa mozione? Ho aderito per ragioni che non sono affatto di carattere personale: obbediscono a calcoli personali, onorevole Chieffi, soltanto coloro i quali, nella loro vita politica, debbono giustificare diversità di atteggiamenti secondo la diversità dei periodi politici.

Non per ragioni personali dunque, ma per ragioni obiettive dichiaro di votare a favore della mozione Lussu, veramente convinto di rispondere in tal modo agli interessi della Sardegna, di cui non soltanto si sono resi interpreti i deputati dell’Isola, ma lo stesso Commissario il quale, nella lettera indirizzata all’onorevole Lussu, ha affermato che tutti i deputati della Consulta, rappresentanti del popolo sardo, rivendicano urgentemente lo Statuto. (Commenti).

Una voce al centro. Non è vero che tutti i deputati della Consulta abbiano chiesto questo!

CIANCA. Se fosse così, avrei male inteso la lettera del Commissario. Ma in questa lettera è detto testualmente:

«È mia convinzione che l’attuazione dell’ordinamento regionale in Sardegna costituisca oramai una esigenza urgente che non potrebbe essere dilazionata senza danno per gli interessi dell’Isola. E d’altronde il diverso atteggiamento preso nei confronti della Sicilia non potrebbe trovare giustificazione, stante la palese identità della situazione delle due Isole». (Commenti al centro).

Io mi trovo pertanto di fronte a due diverse interpretazioni degli interessi della Sardegna: l’interpretazione del deputato Chieffi e l’interpretazione di una gran parte dei deputati sardi, nonché dell’Alto Commissario della Sardegna. Coerente all’atteggiamento che ho assunto quando ho firmato la mozione e conscio di obbedire agli interessi della Sardegna secondo l’interpretazione della maggioranza degli elementi responsabili, voterò a favore della mozione Lussu e contro l’ordine del giorno dell’onorevole Mortati.

FUSCHINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi,…

Una voce al centro. Un altro sardo?

FUSCHINI. No, non sono sardo e voi lo sapete benissimo.

Io dichiaro, onorevoli colleghi, che ho sottoscritto la mozione dell’onorevole Lussu per quel vivo senso di simpatia e di solidarietà che io ho sempre sentito verso l’isola di Sardegna e verso le sue gloriose popolazioni, anche in confronto del trattamento diverso che è stato fatto all’isola di Sardegna rispetto all’isola di Sicilia.

Naturalmente io ho aderito alla mozione con il desiderio di andare incontro a quelle che sono le aspirazioni dei sardi di aver presto il loro statuto e di poter avere la loro regolare amministrazione regionale. Io ho sottoscritto la mozione dell’onorevole Lussu e l’onorevole Lussu sa in qual modo io l’abbia sottoscritta; ma debbo dichiarare che, esaminando poi più attentamente la sua proposta e avendo avuto notizia…

Voci a sinistra. Contradizione! Contradizione!

FUSCHINI. Molte volte la forma di solidarietà di carattere parlamentare costringe, in un primo momento, a prescindere da certe più analitiche considerazioni; Qui non si tratta di contradizione; qui si tratta semplicemente di un punto che è opportuno chiarire nello stesso interesse della Sardegna. Noi abbiamo cioè potuto constatare che lo Statuto sardo, inviato dal Governo alla Presidenza della Costituente e da questa inviato alla Presidenza dei Settantacinque, è ancora sul tavolo della Presidenza dei Settantacinque. Mi risulta che il Presidente della Commissione aveva già predisposto la nomina della Sottocommissione che avrebbe dovuto esaminare il progetto. Il ritardo è dipeso da una valutazione diversa sullo stato dei lavori dell’Assemblea in merito alla Regione.

Ora io dico: se l’Assemblea Costituente oggi prende la decisione che è indicata nell’ordine del giorno dell’onorevole Mortati, io ritengo che dal punto di vista dello sviluppo dei lavori parlamentari, la proposta Mortati sia più sollecita, più conclusiva di quello che non possa essere la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge, al quale si dia l’impronta di una delega dell’Assemblea. E questo perché il disegno di legge che certamente il Governo, per la sua dichiarazione, verrebbe a presentare all’Assemblea, dovrebbe seguire la procedura dell’esame da parte della Commissione, e dalla Commissione dovrebbe venire all’Assemblea. Invece oggi alla Commissione vi è già: basta sollecitare i lavori di questa Commissione, perché il risultato più sollecito, desiderato dall’onorevole Lussu – e che era, in fondo, anche la mia aspirazione – si possa completamente raggiungere.

Per queste ragioni io aderisco e voto l’ordine del giorno Mortati. (Applausi al centro).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Ho chiesto di parlare, perché l’ultima dichiarazione di voto che ho ascoltato, quella dell’onorevole Fuschini, ha suscitato in me parecchi dubbi e mi trovo nel rischio di non più capire. Infatti, noi abbiamo in Italia due grandi Regioni – lascio da parte le piccole zone mistilingui di frontiera – alle quali tutti siamo stati d’accordo nel garantire un particolare statuto autonomo: la Sicilia e la Sardegna.

Ora, è un fatto che tutti noi, che partecipavamo ai precedenti Governi, e a quelli precedenti anche alle elezioni di questa Assemblea Costituente, siamo stati d’accordo che a queste due Regioni, anche se non erano ancora stati definiti i poteri della Regione in sede di Costituente, si dovesse in ogni modo garantire l’ordinamento autonomo regionale; e si dovesse garantire non in quella forma in cui era stato precedentemente provvisoriamente organizzato con la creazione dei Commissariati, ma in forma democratica. Alla Sicilia tutto questo è stato dato; alla Sardegna no. Errore? Dimenticanza? Necessità di rinvio di fronte ad altri problemi più urgenti? Non discuto, e non elevo nessuna accusa; però constato che questa diversità di trattamento tra la Sicilia e la Sardegna deve oggi essere eliminata; e deve essere eliminata presto.

Ora, io ho ascoltato qui due dichiarazioni di voto, provenienti dal Partito della Democrazia cristiana: quella dell’onorevole Mannironi e quella dell’onorevole Fuschini.

L’onorevole Fuschini dice: «Io sono per la proposta fatta dall’onorevole Mortati, perché questa è la proposta che consente la realizzazione più rapida».

L’onorevole Mannironi invece dice: «No, io sono contro la proposta dell’onorevole Lussu, perché non voglio le elezioni in Sardegna a breve scadenza».

MANNIRONI. No, ho detto che votavo contro la mozione Lussu, unicamente perché portava ad una soluzione che aveva un carattere di provvisorietà; mentre è mio desiderio che si dia alla Sardegna, quanto prima, uno statuto che sia definitivo. Tanto più questo ho motivo di chiedere di fronte soprattutto alle riserve che oggi stesso sono state sollevate dall’onorevole Laconi.

TOGLIATTI, Ho ascoltato l’onorevole Mannironi e ho inteso bene ciò ch’egli ha detto. Adesso egli afferma che non vuole si conceda ai sardi l’autonomia sino a che non si sia sicuri che si tratta di qualche cosa di definitivo.

Ma la Sicilia? Anche la Sicilia sa di avere qualche cosa di non completamente definitivo. Però essa ha il suo Parlamento regionale, il quale è una realizzazione democratica di autogoverno che ha profondamente sodisfatto i siciliani di tutte le correnti politiche. Non si tratta di cosa definitiva, si tratta di un primo esperimento, ma si tratta però di una realizzazione, di qualche cosa che adempie le promesse fatte nel passato.

L’onorevole Mannironi dice: no, per i sardi questo non è necessario; aspettiamo, per i sardi, che tutto sia perfetto e perfezionato e fino ad allora non facciamone nulla.

Io constato che vi è qui una diversità di giudizio, e che precisamente vi è un giudizio di sfavore a danno del popolo sardo (Proteste al centro) che dev’essere respinto. Ma ho anche sentito l’onorevole Mannironi dire che egli non voleva le elezioni presto in Sardegna. (Interruzioni al centro). Onorevole Mannironi, se desidera che non si polemizzi contro di lei, non faccia vedere così apertamente quello che pensa, impari da quei colleghi del suo Gruppo che sanno così bene nascondere il loro pensiero! (Proteste al centro). Se ella ha ormai fatto capire che non desidera le elezioni presto, mi permetta di polemizzare anche su questo punto. Io affermo che la richiesta di una pronta consultazione elettorale in Sardegna dovrebbe essere favorita dal vostro Partito. Siete proprio voi che dovreste sollecitare una consultazione nazionale; sarebbe sempre una consultazione che vi permetterebbe di verificare se il popolo sardo è d’accordo col vostro Governo, oppure se, come noi affermiamo, esso è d’accordo con la maggioranza del popolo italiano che di questo Governo disapprova e respinge tanto la composizione quanto la politica. (Interruzioni al centro).

Rimane il fatto che 48 ore or sono voi eravate d’accordo con la richiesta di realizzazione immediata di un regime di autonomia democratica per il popolo sardo e, passate 48 ore, avete cambiato la vostra posizione e non riuscite a dare nessuna plausibile spiegazione di questa contradizione. Rimane il fatto che al popolo sardo devono essere dati tutti i vantaggi politici, e sollecitamente, che sono stati dati al popolo siciliano. Il popolo sardo è altrettanto maturo quanto il popolo siciliano per eleggere rapidamente, democraticamente e liberamente il proprio Parlamento regionale e crearsi così il proprio Governo regionale dopo una libera consultazione democratica. Se questo non viene fatto, vuol dire che vi sono altre ragioni che ve lo impediscono di fare. Esse sono probabilmente quelle che il collega Mannironi ha lasciato intravedere. Quali esse siano, però, ciò non toglie che procedendo a questo modo voi andate contro i buoni principî di un reggimento democratico!

Il nostro Gruppo voterà pertanto per ha mozione Lussu.

MANNIRONI. Chiedo di parlare per fatte personale.

PRESIDENTE. Se si tratta di una semplicissima rettifica, ne ha facoltà.

MANNIRONI. Devo dichiarare che l’onorevole Togliatti non ha interpretato chiaramente e fedelmente il mio pensiero. Può darsi che mi sia espresso male e che il torto sia mio. Comunque, tengo a ripetere quello che ho detto: non sono contrario alle elezioni; voglio soltanto che non si facciano le elezioni in base ad uno statuto che non sia completo e definitivo. Questo voglio evitare. Perché è inutile che oggi noi procediamo…

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, non argomenti più! (Commenti al centro).

PICCIONI. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Non è colpa mia se devo affliggere l’Assemblea con una terza dichiarazione di voto da parte del gruppo democratico cristiano. (Interruzione del deputato Togliatti).

La colpa questa volta è dell’onorevole Togliatti il quale ha posto la questione in termini, direi, del tutto nuovi, troppo scoperti dal punto di vista politico, e non già di contenuto autonomistico o regionalistico.

E appunto per questo io devo cominciare col respingere nettamente l’impostazione che l’onorevole Togliatti ha dato al problema, almeno nei confronti di quel particolare, non certo insignificante, che si riferisce alla convocazione dei comizi elettorali regionali per la Sardegna.

Non c’è da supporre minimamente, lo creda, onorevole Togliatti, che da parte nostra ci sia qualsiasi apprensione nei confronti di qualsiasi convocazione elettorale. (Applausi al centro).

Direi piuttosto il contrario, se si dovesse partire nella valutazione di una iniziativa elettorale da un presupposto di vantaggio di partito. Ritengo a questo proposito che il momento attuale dovrebbe essere considerato da un punto di vista elettoralistico tutt’altro che sfavorevole al successo della Democrazia cristiana.

Non avrei voluto dir questo, perché si tratta di un problema che esula dalla questione di cui l’Assemblea Costituente è investita oggi, anche se ci si possa sconfinare per quell’inciso posto nel testo della mozione presentata dall’onorevole Lussu che investe prevalentemente il problema della convocazione dei comizi elettorali da farsi per l’Ente regione in Sardegna; non ci si è detto però perché non si potrebbe fare un mese prima o un mese dopo tale convocazione col solo fine di dare un’organizzazione rappresentativa di carattere amministrativo regionale alla Sardegna, per porla sullo stesso piano della situazione siciliana.

Su questa equiparazione delle due situazioni siamo d’accordo e siamo sempre stati d’accordo nella Commissione dei Settantacinque e nella discussione dell’articolo 108 del progetto di Costituzione qui in Assemblea.

Ma se la Sardegna, dico all’onorevole Togliatti espressamente, non si trova oggi nella stessa situazione politica amministrativa della Sicilia, questo non credo possa essere addebitato né al Governo né tanto meno alla democrazia cristiana; che se, quando fu approvato lo Statuto siciliano in quella forma particolare che era necessaria in quel momento, fosse stato presentato anche lo Statuto per la Sardegna, evidentemente oggi la situazione della Sardegna sarebbe sullo stesso piano di quello della Sicilia. E quando nel testo della mozione si dice che, dopo sei mesi di lavoro alla Consulta sarda, soltanto ai primi di maggio di questo anno è stato approvato il testo dello Statuto regionale, mi pare che questo sia un dato di fatto preciso che esclude qualsiasi possibilità di responsabilità sia nei confronti del Governo sia nei confronti di qualsiasi Gruppo politico e particolarmente del Gruppo politico democristiano. Ma oggi s’invoca la stessa procedura seguita per l’approvazione dello Statuto siciliano; si dimentica un altro dato di fatto che è essenziale, sostanziale, per una conclusione di questo genere, caro onorevole Lussu. Quale? Che quando fu approvato lo Statuto siciliano non c’era un’Assemblea Costituente; c’era il Governo con potere legislativo, costituito in quel modo che l’onorevole Togliatti ben sa, perché ne faceva parte lui medesimo. Ma oggi tutta la materia costituzionale mi pare sia per legge deferita alla competenza esclusiva dell’Assemblea Costituente.

LUSSU. Lei non ha ascoltato il mio discorso.

PICCIONI. Questo non lo dico per contrastare le sue opinioni; ma per dire che il richiamo al precedente siciliano è del tutto fuori luogo dal punto di vista costituzionale. (Interruzioni a sinistra – Commenti).

GULLO FAUSTO. La legge c’era!

PICCIONI. Ma non c’era la Costituente. Questa onorevoli colleghi è materia costituzionale: per la materia costituzionale c’è apposta l’Assemblea Costituente. Quindi il richiamo al precedente siciliano è del tutto estraneo alla valutazione della questione che deve fare oggi l’Assemblea Costituente. Che cosa rimane? Per quanto sardi essi siano, non mi sembra che la posizione dei colleghi comunisti sia del tutto convergente al medesimo fine ed alla posizione dell’onorevole Lussu, fiero autonomista; perché, nell’attuazione dell’esperimento regionalista – cioè, del nuovo ordinamento regionalista – essi si sono dimostrati se non avversi, infinitamente più cauti di qualsiasi altro Gruppo della Camera Questo valga anche nei confronti dell’attuazione siciliana per la quale il Gruppo democristiano si batté anche perché le elezioni per il nuovo ordine regionale siciliano venissero fatte anche prima del coordinamento dello Statuto speciale. Oggi dunque il problema, così come è stato posto, a che cosa si riduce? Ad una sola cosa: a far sì che sia affrettata il più possibile la possibilità che la Sardegna abbia il proprio ordinamento regionale democratico. Tutto qui è l’obiettivo che si è prefisso la mozione dell’onorevole Lussu e degli altri firmatari.

Ora, questa maggiore celerità di conclusioni attraverso quale procedimento si può raggiungere al di fuori di ogni speculazione particolare? Attraverso quale procedimento? Questa è stata la sostanza del dibattito di oggi.

Attraverso la delega al Governo? La delega costituzionalmente, è stato detto, è possibile, ma presuppone quel disegno di legge a cui si riferiva l’onorevole Lussu, che sarebbe presentato dopo l’approvazione della sua mozione; per dare il via al disegno di legge è necessaria la nomina di una Commissione che lo prenda in esame, esamini lo Statuto, riferisca all’Assemblea stessa, la quale allora, deciderà la delega al Governo, la quale delega al Governo, ricordo ancora all’onorevole Lussu, non può essere così genericamente e sommariamente concepita, ma deve presupporre anche da parte del Governo l’esame del progetto di Statuto di cui sarebbe investito.

Ora, noi diciamo: poiché lo Statuto è stato elaborato dalla Consulta sarda, poiché esso si trova già davanti ad una Commissione della Costituente, che cosa è più facile e più celere? Far sì che la Commissione della Costituente esamini lo Statuto, lo approvi, lo porti in seno all’Assemblea stessa per l’approvazione; oppure, se la Commissione stessa, così come ha detto l’onorevole Mortati, ritiene più semplice e più rapido che venga demandato all’approvazione del Governo, riferirà in questo senso in seno all’Assemblea, la quale deciderà al riguardo.

Questo non significa né diminuire la nostra adesione alla necessità e opportunità che la Sardegna sia messa in condizioni pari alla Sicilia, né, in qualche modo da parte nostra, voler ritardare che questo atto sia posto in essere; significa soltanto seguire obiettivamente, al di fuori di ogni e qualsiasi speculazione di gruppo, quella che è la forma e la procedura più rapida e più corretta coi presupposti costituzionali che noi dobbiamo tenere sempre presente.

Per queste considerazioni io dichiaro di votare a favore dell’emendamento Mortati. (Applausi al centro).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per fatto personale, perché non è stato dall’onorevole Piccioni esattamente interpretato il mio pensiero.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. La prego, una rettifica semplice e lineare, senza nuove argomentazioni.

TOGLIATTI. Semplice e lineare, senza nuove argomentazioni.

L’onorevole Piccioni non ha esattamente interpretato il mio pensiero e non ha esattamente interpretato il pensiero del Gruppo comunista (Commenti al centro) soprattutto in quanto ha cercato di rilevare una contradizione che esisterebbe fra la posizione sempre presa dal nostro Gruppo relativamente ai problemi dell’autonomia regionale in generale e la posizione che noi abbiamo presa e stiamo difendendo a proposito della rapida attuazione dello Statuto regionale sardo.

L’onorevole Piccioni ci dice: «Voi siete stati troppo cauti quando si è discusso della Regione in generale e ora siete troppo avanzati». No, onorevole Piccioni. È probabile, anzi è certo, che siamo stati cauti nell’approvare la estensione a tutte le Regioni di un regime di autonomia con tendenza al federalismo, perché qualora tale regime fosse stato applicato nel senso che allora venne proposto vedevamo affiorare gravi pericoli per l’unità nazionale, politica ed economica del nostro Paese.

In questo senso siamo stati cauti, ma desidero fare rilevare all’Assemblea che noi sin dal primo momento e sempre abbiamo fatto eccezione per la Regione siciliana e per la Regione sarda e per quelle altre particolari zone di confine per cui sempre abbiamo chiesto un particolare statuto di autonomia. Oggi ci troviamo di fronte alla richiesta di attuazione di questo statuto particolare proprio per una di queste Regioni. Abbiamo, quindi, il dovere di essere coerenti con la posizione che abbiamo difeso. Abbiamo voluto uno statuto particolare di autonomia per la Sardegna fin dal primo momento. Dobbiamo volere che esso venga attuato con la più grande rapidità, così come già è stato fatto per la Sicilia.

Per questo, onorevole Piccioni, riassumendo il mio pensiero, le dirò che se è vero che noi siamo stati più cauti di quanto ella non sia stato nella discussione generale sulle autonomie regionali, siamo però, in pari tempo, per quanto riguarda l’attuazione delle posizioni da noi difese, molto più sinceri di lei e molto più coerenti. (Applausi a sinistra).

CARBONI ANGELO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ANGELO. Non voglio meritare l’accusa di incoerenza perché nell’ordine del giorno appare il mio nome come firmatario dell’ordine del giorno Lussu. È un errore in quanto il firmatario è Carboni Enrico e non sono io. Questa dichiarazione faccio perché intendo votare per l’emendamento Mortati e non vorrei che mi si dicesse che sono in contradizione con la firma apposta nella mozione.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Malgrado le dichiarazioni dell’onorevole Togliatti, le quali fanno dubitare della bontà della tesi che io ho con profonda convinzione sostenuto davanti all’Assemblea, voterò per la mozione Lussu. Dico che le dichiarazioni dell’onorevole Togliatti fanno dubitare, perché s’insinua in esse il proposito di trasformare le elezioni sarde, che devono condurre alla elezione degli amministratori della Sardegna, in una esasperata lotta politica.

LACONI. Dei legislatori.

MASTINO GESUMINO. Ad ogni modo, io e l’onorevole Carboni Enrico, che rappresentiamo la provincia di Cagliari, la quale demograficamente supera per importanza le altre due provincie sarde insieme, votando per la mozione Lussu, dimostriamo all’onorevole Togliatti che la Democrazia cristiana non ha nessuna preoccupazione elettoralistica.

I fatti disperderanno la presunzione, se effettivamente sussista nell’onorevole Togliatti, e dimostreranno quale sia effettivamente la verità sostanziale della situazione elettorale in Sardegna.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la prima parte della mozione dell’onorevole Lussu ed altri fino al punto in cui potrebbe venire inserito l’emendamento Mortati:

«L’Assemblea Costituente, considerato:

che l’istituzione degli Alti Commissari e delle Consulte regionali poneva la Sicilia e la Sardegna, per le condizioni particolari alle due grandi Isole, in una identica situazione politica;

che l’articolo 108 della Costituzione in esame attribuisce alla Sicilia e alla Sardegna forme e condizioni particolari di autonomia;

che la Consulta Nazionale e il Governo dei Comitati di liberazione nazionale avevano, già nel 1946, deliberato di estendere in via provvisoria alla Sardegna lo Statuto autonomo della Sicilia, provvedimento del quale la Consulta regionale sarda non credette opportuno avvalersi, preferendo elaborare con esame approfondito il suo particolare progetto di Statuto;

che lo Statuto per la Sardegna, approvato nelle sedute del 15-29 aprile 1947, dopo sei mesi di lavori ininterrotti, è stato dalla Consulta regionale sarda presentato al Governo».

(È approvata).

Si dovrà ora votare la seconda parte della mozione nel testo risultante dall’emendamento presentato dall’onorevole Mortati:

delibera di invitare la Commissione competente ad esaminare nel più breve termine lo schema di Statuto presentato dall’Alto Commissario e dalla Consulta regionale sarda ed a predisporre un progetto di legge costituzionale inteso a realizzare tale attuazione, anche mediante il conferimento di apposita delega al Governo».

Questo è il testo dell’emendamento Mortati, dopo che l’onorevole Mortati stesso ha inserito l’ultimo inciso, con il quale pensava di venire incontro alle esigenze dell’onorevole Lussu. L’onorevole Lussu ha però dichiarato che questa sua esigenza non è stata soddisfatta.

Il testo dell’onorevole Mortati è quindi un emendamento al testo dell’onorevole Lussu.

Pongo in votazione questo testo.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Pertanto il testo completo dalla mozione, che l’Assemblea Costituente ha approvato, risulta così formulato:

«L’Assemblea Costituente, considerato:

che l’istituzione degli Alti Commissari e delle Consulte regionali poneva la Sicilia e la Sardegna, per le condizioni particolari alle due grandi Isole, in una identica situazione politica;

che l’articolo 108 della Costituzione in esame attribuisce alla Sicilia e alla Sardegna forme e condizioni particolari di autonomia;

che la Consulta Nazionale e il Governo dei Comitati di liberazione nazionale avevano, già nel 1946, deliberato di estendere in via provvisoria alla Sardegna lo Statuto autonomo della Sicilia, provvedimento del quale la Consulta regionale sarda non credette opportuno avvalersi, preferendo elaborare con esame approfondito il suo particolare progetto di Statuto;

che lo Statuto per la Sardegna, approvato nelle sedute del 15-29 aprile 1947, dopo sei mesi di lavori ininterrotti, è stato dalla Consulta regionale sarda presentato al Governo;

delibera di invitare la Commissione competente ad esaminare nel più breve termine lo schema di Statuto presentato dall’Alto Commissario e della Consulta regionale sarda ed a predisporre un progetto di legge costituzionale inteso a realizzare tale attuazione, anche mediante il conferimento di apposita delega al Governo».

Il seguito dello svolgimento dell’ordine del giorno è rinviato ad altra seduta da destinarsi.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

«Al Ministro dell’industria e commercio, per conoscere perché alla flottiglia motopescherecci dell’importante porto di San Benedetto del Tronto vengono assegnate mensilmente quantità di gasolio appena sufficienti per 6 giorni e 21 ore di moto in modo da danneggiare gravemente quella fiorente attività. Questo, mentre ad altre flottiglie di altri porti – quale ad esempio quella di Anzio – si fanno assegnazioni esuberanti, per modo che non vengono neppure ritirate.

«Tozzi Condivi».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle finanze, per sapere se non ritengano opportuno sospendere l’entrata in vigore del decreto legislativo 24 maggio 1947, n. 589, oppure apportarvi delle sostanziali modifiche, tali da non pregiudicare la ripresa e lo sviluppo del turismo nel nostro Paese.

«Paris, Persico, Mazzoni, Bordon, Canepa».

«Al Ministro delle finanze e all’Alto Commissariato per l’alimentazione, per sapere se il frutto tributario e la limitazione o disciplina dei consumi, che si vogliono perseguire col decreto legislativo 24 maggio 1947, n. 589, compensino il grave turbamento che la prossima applicazione di tale decreto porterà in un vasto settore dell’attività commerciale con evidenti riflessi nocivi e per il turismo e per la categoria di prestatori d’opera; e se di conseguenza non creda di sospenderne l’applicazione o, se mai, di apportarvi quelle radicali modifiche che valgano ad evitare i prospettati inconvenienti.

«Schiratti».

«Al Ministro di grazia e giustizia, per sapere se sia esatto il riferimento, che un giornale della capitale ha pubblicato in questi giorni, di un’intervista nella quale il Ministro avrebbe espresso opinioni, fatto apprezzamenti e preannunciato propositi in pieno contrasto con l’azione che lo Stato, attraverso i suoi vari organi, deve compiere in difesa del suo nuovo ordinamento.

«Targetti, Malagugini, Carpano Maglioli, Vernocchi, Lussu, Maffi, Cianca, Macrelli, Cevolotto, Longo, Parri, Codignola, Priolo».

«Al Presidente del Consiglio e al Ministro della giustizia, per conoscere, in relazione alle recenti dichiarazioni dell’onorevole Ministro di giustizia, se il Governo non creda che l’amnistia, istituto di cui si è per il passato deplorevolmente abusato, debba essere riservata alla deliberazione dell’Assemblea, secondo previsto nel progetto di Costituzione.

«Rossi Paolo, Bocconi, Lami Starnuti, Ghidini, Carboni Angelo, Pera, Mazzoni, D’Aragona, Piemonte, Grilli, Caporali, Zanardi».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’industria, per conoscere se e quali provvedimenti intendano adottare per eliminare l’attuale inconveniente derivante all’industria torinese in particolare e piemontese in genere, dal fatto che il Comitato centrale per la ripartizione dei prodotti destinati all’industria, con sede in Milano, favorisce naturalmente l’industria lombarda.

«Geuna».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del commercio con l’estero, per conoscere se non ritengano disporre che la Commissione Alta Italia per il commercio con l’estero – con sede in Milano – sia formata, oltreché dal rappresentante veneto, da quello ligure e dai due lombardi, anche da almeno un rappresentante del Piemonte, che ha importanza preponderante nell’economia nazionale.

«Geuna».

Chiedo al Governo quando intende rispondere a queste interrogazioni.

PELLA, Ministro delle finanze. Dichiaro che risponderò alle interrogazioni di competenza dei mio Ministero nella prima seduta in cui saranno poste all’ordine del giorno le interrogazioni.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Risponderò, nella prima seduta destinata alle interrogazioni, a quelle che sono di competenza del mio Ministero e lo farò con piacere anche per chiarire alcune errate interpretazioni che sono state fatte sulla stampa a proposito di una mia intervista.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Dugoni. Ne ha facoltà.

DUGONI. Il 4 luglio l’onorevole Lami Starnuti ha presentato una interrogazione al Ministro delle finanze per conoscere il valore delle materie prime concesse agli industriali dalla repubblica di Salò.

Mi associo a questa interrogazione e ne chiederei la discussione d’urgenza.

PELLA, Ministro delle finanze. Dichiaro che il Governo desidera rispondere al più presto a queste interrogazioni. Faccio presente in proposito l’opportunità che la interrogazione dell’onorevole Lami Starnuti sia estesa anche al Ministro del tesoro e a quello della difesa, in quanto una parte dell’interrogazione riguarda la competenza di queste Amministrazioni.

DUGONI. Provvederemo in conformità del suggerimento del Ministro.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Codignola. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Alla fine della seduta di sabato due interpellanze rivolte al Ministro della pubblica istruzione sono state trasformate in mozione. Come ho già fatto rilevare in quella seduta, questa mozione deve essere discussa nei prossimi giorni, in quanto per il 26 luglio sono indette le elezioni per il nuovo Consiglio Superiore della pubblica istruzione.

Pregherei pertanto l’onorevole Presidente di voler nuovamente informare l’onorevole Ministro della pubblica istruzione dell’urgenza di questa mozione, pregandolo di voler fissare la discussione per domani o dopo domani, perché vi sono molte migliaia di insegnanti in tutta Italia che attendono di sapere come devono regolarsi.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. La discussione di questa mozione dovrà essere fissata d’intesa col Presidente del Consiglio dei Ministri. Comunque, mi interesserò al riguardo.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora stabilire un programma di lavoro, tenendo presente che esso dovrà essere molto intenso se si vuole concludere i lavori entro la settimana, e comporterà una prosecuzione delle sedute pomeridiane, dopo un breve intervallo, nelle serate.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Riterrei opportuno che si cercasse di portare a termine il più presto possibile l’esame del disegno di legge sull’imposta patrimoniale, rimandando l’esame sul titolo della Regione. Il disegno di legge riveste infatti carattere di grande importanza e sarebbe quanto mai opportuno portarlo innanzi senza altre interferenze, compreso il progetto di Costituzione.

È da notare altresì che gli ultimi articoli che sono da esaminare richiederanno probabilmente una lunga discussione. Io penso quindi che se noi li inframmezzeremo con l’esame dell’articolo 123 del progetto di Costituzione, rischieremo di rimandarne troppo la approvazione.

Propongo pertanto che si tengano domani tre sedute, antimeridiana, pomeridiana e serale, tutte dedicate all’esame del disegno di legge sull’imposta patrimoniale.

Conseguentemente, propongo che non venga posto per domani all’ordine del giorno il seguito della discussione sul progetto di Costituzione.

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Domani, per la patrimoniale, avremo gli articoli forse più importanti, quelli sulla proporzionale e sulla progressiva: non credo perciò che nella seduta antimeridiana si raggiungerà il numero sufficiente di intervenuti per poter discutere e decidere su tale argomento.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Io chiederei che per domani si facessero soltanto due sedute, perché avrei bisogno di qualche ora per concertarmi con alcuni colleghi di Governo sulla patrimoniale. Questo per la stessa celerità dei lavori. A partire da dopo domani, sono favorevole alle tre sedute giornaliere.

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Se si dovessero fare due sedute domani, sarebbe preferibile tenerne una nel pomeriggio e una la sera.

PRESIDENTE. Propongo allora che domani mattina si tenga seduta per proseguire la discussione del progetto di Costituzione.

Nella seduta pomeridiana si proseguirà la discussione del disegno di legge sulla imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, con l’intesa che i lavori potranno eventualmente essere protratti nella tarda serata.

(L’Assemblea approva).

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Mi permetto di far presente che domani mattina, alle ore 9, è convocato il Comitato di coordinamento per l’esame dell’articolo 123 e seguenti del progetto di Costituzione. Non è quindi possibile essere in aula alle 9.30.

PRESIDENTE. In considerazione di quanto fatto presente dall’onorevole Uberti, la seduta antimeridiana di domani comincerà alle 10.30.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, sulla urgente necessità di facilitare la costruzione di case in favore dei lavoratori, che, sinistrati di guerra, hanno perduto alloggio ed i modesti averi.

«Per risolvere la tragica e dolorante situazione di molti cittadini, l’interrogante domanda che siano estesi i sussidi dello Stato, secondo il decreto n. 261, del 10 aprile 1947, alle cooperative composte di famiglie danneggiate, che stanno sorgendo a Bologna in difesa di un alto principio, che afferma il diritto per gli uomini del lavoro ad una casa sana e libera da ogni sfruttamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zanardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere i provvedimenti che si intendono adottare a carico del sindaco di Ariccia (provincia di Roma) che, nonostante l’invito rivoltogli dal prefetto di Roma e la deliberazione affermativa del Consiglio comunale a riassumere in servizio impiegati discriminati, ne rifiuta la riammissione, sottoponendo la civica amministrazione a gravosi dispendi, per la continuità dei servizi.

«E per conoscere, altresì, quali provvedimenti intende adottare a carico del medesimo sindaco e della intera amministrazione comunale in relazione al recente, arbitrario, deliberato della Giunta municipale di licenziare personale, e tra questo quello del servizio razionamento consumi, che è regolato da speciali disposizioni e che, data la temporaneità, è effettuato per conto dello Stato, che ne rimborsa le somme pagate per il personale e spese di ufficio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cannizzo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni del ritardo all’approvazione dell’organico dell’ospedale civile di Udine, ritardo che ha messo viva inquietudine in quel benemerito personale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non sia tempo di provvedere a far funzionare la pretura del mandamento di Francavilla Sicilia (provincia di Messina) che dal gennaio 1945 trovasi senza il titolare dottor Ferruggia Carmelo, richiamato col grado di capitano dei carabinieri e addetto quale sostituto procuratore del Tribunale militare di Catania.

«Se nella eventuale difficoltà di conseguire un immediato ricollocamento in congedo del titolare di detta pretura non creda di voler disporre che la Corte di appello di Messina provveda celermente all’applicazione in detta pretura di altro magistrato della circoscrizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Salvatore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere perché non si è ancora provveduto al ripristino dell’ufficio del registro e delle Commissioni mandamentali per le imposte dirette ed indirette del comune di Trentola.

«Tale provvedimento è stato richiesto dalle popolazioni interessate e dalle autorità locali e risponde ad effettive esigenze di quell’importante centro giudiziario e di affari in genere. Si tratta di un mandamento di circa 100.000 abitanti, servito da strade in cattive condizioni e da mezzi di trasporto limitati, che rendono difficile e dispendioso l’accesso alla sede lontana di Aversa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Numeroso».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se non credano opportuno dare ai competenti uffici da essi dipendenti precise direttive per la definizione di moltissime pratiche di pensione, per ferite od infermità a causa di servizio, richieste da militari che hanno per qualche tempo prestato servizio anche nelle formazioni della pseudo repubblica fascista. Molti di questi militari si sono trovati in tali condizioni non per loro domanda od atto di adesione, ma costretti; e tanti di essi hanno anche reso servizi alle forze della liberazione.

«La mancanza ed incertezza di direttive per i vari casi che la predetta situazione presenta – arrestando lo svolgimento delle pratiche – sono di gravissimo danno a quanti possono avere diritto alla pensione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette, per le quali si chiede la risposta scritta, saranno inviate ai Ministri competenti.

La seduta termina alle 21.45.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 17:

Seguito della discussioni sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

SABATO 19 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCIII.

SEDUTA DI SABATO 19 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Per il decimo anniversario della morte di Guglielmo Marconi:

Merlin, Ministro delle poste e telecomunicazioni

Presidente

Interpellanze (Svolgimento):

Presidente

Bernini

Codignola

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Disegno di legge (Presentazione):

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Pallastrelli

Micheli

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Jacini

Perlingieri

Bertone

Corbino

Paris

Camangi

Vanoni

Adonnino

Cavallari

Sui lavori dell’Assemblea:

Scoccimarro

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Lussu

Fuschini

La Malfa

Corbino

Micheli

Mozione (Annunzio):

Presidente

Codignola

Pella, Ministro delle finanze

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Camangi

Pella, Ministro delle finanze

Benedettini

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia allo 9.30.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Cotellessa, Fedeli Aldo e Zotta.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge gli onorevoli Assennato e Cavallari in sostituzione rispettivamente degli onorevoli Scoccimarro e Di Vittorio, dimissionari.

Per il decimo anniversario della morte di Guglielmo Marconi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, onorevole Merlin. Ne ha facoltà.

MERLIN, Ministro delle poste e delle telecomunicazioni. Onorevoli colleghi! Se ricordare gli uomini insigni che con le loro opere hanno onorato la Patria e servito l’Umanità, è uno stretto dovere, l’Assemblea consentirà che io richiami brevemente la memoria di uno dei più grandi italiani, che in questo ultimo cinquantennio hanno reso grande ed onorato nel mondo il nome d’Italia.

Quest’uomo è Guglielmo Marconi.

Nato a Bologna il 25 aprile 1874, egli morì in Roma il 20 luglio 1937: domani ricorrono adunque dieci anni dalla sua morte.

Se la data della sua nascita è da annoverarsi tra i giorni più fausti nella storia del nostro popolo, quello della sua morte è giornata di lutto. Rivolgere, pertanto, alla sua grande figura in questo decimo anniversario un pensiero riconoscente è un dovere. Tanto più che si chiudono proprio quest’anno le celebrazioni del primo cinquantennio di quella sua geniale scoperta che nuove vie doveva aprire al lavoro umano ed alla civiltà.

Fu nel 1895, nella villa paterna di Pontecchio a Bologna che prese salda radice nella mente di Guglielmo Marconi, appena ventenne, l’idea che le onde elettriche, la cui esistenza era stata preveduta matematicamente dal Maxwell nel 1865 e poi dimostrata sperimentalmente da Hertz, da Lodge e da Righi, avrebbero potuto fornire il mezzo di telegrafare senza l’ausilio di fili conduttori.

L’esperienza riuscì; il genio aveva esattamente previsto. Ma anche coloro, come il Righi, che pure con i loro studi avevano preparato tale scoperta, non ebbero l’intuito geniale del Nostro. Essi non credevano che la scoperta delle onde elettriche avrebbe avuto le immense applicazioni che più tardi ebbe e che il giovane Marconi invece fino da allora previde.

Il Nostro nutrì la fede dei grandi inventori ed operò in conformità.

Egli fu l’inventore dell’antenna collegata direttamente o elettricamente alla terra.

Egli per primo concepì i mezzi adatti perché le onde elettriche potessero valicare le più alte montagne, vincere la curvatura della terra e superare la immensità degli spazi.

Il Nostro fu degno di Cristoforo Colombo, che guidò le nostre navi alla scoperta delle terre lontane, anche contro i dubbi della ciurma, che avrebbe voluto ritornare donde le navi erano partite.

È per questa sua fermezza che non conobbe soste che il Nostro corona la schiera dei grandi italiani che nel campo della scienza, onorarono la Patria.

Come Volta fu padre dell’elettricità, come il telefono è di Meucci, la dinamo di Pacinotti, il motore a campo rotante di Galileo Ferraris, così la radio è di Guglielmo Marconi. «Audere silenter», fu il motto che il grande osservò con un quarantennio di lavoro indefesso, di continui perfezionamenti, di quasi quotidiane conquiste.

Sulla grande scoperta di Guglielmo Marconi non cessa la inopportuna polemica di qualche voce discorde.

Proprio in questi giorni a New York si tiene un convegno internazionale delle telecomunicazioni ed è presente anche l’Italia, con rappresentanti nominati dal mio Ministero.

Ebbene, nella seduta del 5 giugno, avendo il Presidente del Congresso affermato che sono decorsi cinquant’anni dalla scoperta di Guglielmo Marconi, vi fu chi ha voluto contraddire a questo giusto riconoscimento.

Ma i delegati italiani, con chiara e ferma protesta, hanno dimostrato che fu proprio il grande italiano che ha realizzato per primo il successo delle radiocomunicazioni, perché nessuno di coloro che lo precedettero nella preparazione seppe realizzare le grandi ed utili applicazioni concrete, che Marconi attuò, e seppe superare gli ostacoli per raggiungerle.

Con ciò la delegazione italiana non ha certo inteso di mancare al dovere di rendere omaggio agli altri grandi uomini dei differenti Paesi, che hanno concorso a sviluppare la tecnica della radio.

Del resto se v’è scoperta, che, pur rendendoci orgogliosi come italiani, ci fa superare gli egoismi di un vieto nazionalismo per assurgere a maggiori doveri di solidarietà con tutti i popoli, è appunto questa subito attuata a servizio, non di un solo Paese o di un solo popolo, ma di tutta l’Umanità.

La scoperta di Guglielmo Marconi fu, prima di ogni altra applicazione, rivolta a salvare vite umane, soprattutto tra la gente del mare. Dal salvataggio miracoloso del Republic del 1909 a quello del Titanic nel 1913 e via via, da allora ad oggi, attraverso il richiamo del grido disperato di aiuto che si diffonde sugli oceani e parte delle navi in pericolo, sono migliaia e migliaia di creature che devono al Nostro la vita.

Tutte le miracolose applicazioni successive sono note a tutti.

Applicazioni alle arti, alla musica, alla letteratura, alla divulgazione delle idee politiche e sociali con i servizi radio; alla radioassistenza nella navigazione, al Radar che guida il navigante tra tutti gli scogli e che è l’occhio luminoso della nave, al telefono senza fili, che già comincia ad affermarsi in molti paesi, compreso il nostro.

Nel campo industriale, in quello medico, perfino nella chirurgia, dalla scoperta di Marconi si fanno discendere innovazioni che sembrano prodigi.

È perciò, che, se vi è un rimpianto è quello che questo Grande sia morto troppo presto, quando forse molto ancora poteva attendersi dal suo genio luminoso.

Il Governo ha voluto rendere omaggio alla memoria di Guglielmo Marconi anche in seno all’Assemblea Nazionale, nel primo decennio dalla morte, non solo per adempiere un dovere, ma anche perché, nelle strettezze in cui l’Italia si dibatte e nelle difficoltà dell’ora, sia di conforto ricordare a noi stessi che, nel libro eterno della vita, l’Italia ha ancora dei crediti da far valere verso l’Umanità. (Applausi generali).

PRESIDENTE. Sarebbe da parte mia prova di presunzione e vanità volere aggiungere parola alle alte e pensate espressioni con cui il Ministro onorevole Merlin ha celebrato il nome, l’opera e la gloria di Marconi.

D’altronde già in altre cornici, ugualmente solenni – seppure per diversa dignità – più volte, nel corso delle settimane passate, gl’italiani hanno rivendicato al proprio genio e riconsacrato alla comune civiltà dei popoli lo scopritore delle leggi misteriose delle onde elettriche poste poi da lui, quasi per miracolo, a servizio dell’umanità.

A Bologna, in quella Università degli studi, dinanzi ad una accolta di dotti e di scienziati i quali, nella scia del suo insegnamento e delle sue esperienze, vanno svolgendo a sempre nuove conquiste la sua prima invenzione; a Milano, in occasione della Fiera pur ora chiusa, fra folle di lavoratori che, con perizia d’arte, traggono dalla materia bruta i sottilissimi congegni in cui quell’invenzione si traduce in azione benefica e feconda, tutto fu detto che poteva esprimere riconoscenza, ammirazione, glorificazione.

A noi, rappresentanti del popolo – di un popolo che, da traversie terribili portato quasi a ultima rovina, sta traendosene con tenacia incomparabile di sacrificio – basti aggiungere che una gente che genera intelletti tanto potenti come quello che sospinse e guidò Marconi per le strade nuovissime della scienza più nuova, sa che, per sventure che la colpiscano, non ha ragione di disperare.

Ricordando oggi qui il grande bolognese, noi lo ringraziamo anche per questa certezza di continuità di vita, di progresso, di vittorie pacifiche e civili sulle forze naturali ch’Egli ha donato all’Italia; ed auspichiamo che solo in quest’opera – per il suo grande esempio – voglia nell’avvenire il nostro popolo cercare e trovare i propri lauri e la propria gloria maggiore. (Vivissimi applausi).

Svolgimento di interpellanze.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento di due interpellanze presentate dall’onorevole Lozza e dall’onorevole Codignola, assieme con altri firmatari, al Ministro della pubblica istruzione. Poiché le due interpellanze trattano materia analoga, esse saranno svolte contemporaneamente.

Ne do lettura;

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere con quali intendimenti ha proceduto al bando precipitato delle elezioni per il Consiglio superiore della pubblica istruzione, secondo un nuovo decreto legislativo non ancora pubblicato; e se non creda che tale provvedimento non possa valere a indebolire il prestigio delle nostre istituzioni scolastiche.

«Lozza, Preti, Binni, Bernini, Condorelli, Cifaldi, Parri».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali siano i motivi di urgenza che lo hanno consigliato ad emanare il decreto 30 giugno 1947, relativo al nuovo ordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, decreto che non offre sufficienti garanzie democratiche, presenta notevoli deficienze tecniche ed è stato emesso senza l’osservanza di precise disposizioni di legge. Gli interpellanti chiedono, altresì, per quali ragioni un decreto di tanta importanza, che ha evidenti aspetti costituzionali, sia stato sottratto alla competenza dell’Assemblea Costituente.

«Codignola, Lami Starnuti, Carboni Angelo, Lussu».

PRESIDENTE. L’onorevole Bernini, che è uno dei presentatori della prima interpellanza, ha facoltà di svolgerla.

BERNINI. Onorevoli colleghi! Il collega onorevole Calamandrei ha già discusso, nella seduta di martedì, per quanto riguarda l’ordinamento universitario ed in sede di altra interpellanza, i noti provvedimenti del Ministro della pubblica istruzione, relativi alla costituzione ed alla nomina del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Pertanto io mi limiterò a trattare di quanto riguarda le scuole medie ed elementari: cercherò di essere oltre che breve più che sia possibile, schematico, grato al Ministro se nella sua risposta vorrà cortesemente seguire lo stesso sistema. Ciò, mi pare, renderà più chiara e più conclusiva la nostra discussione. Ecco quelli che per me sono i punti essenziali.

Primo punto, al quale io darei questo titolo: carattere fondamentale di ogni sincero sistema elettorale. Ai sistemi elettorali della civiltà moderna si può credere come si può anche non credere, come pure si può credere e non credere alla democrazia; ma, una volta che noi crediamo al sistema elettorale, è necessario a parer mio che questo sia il più sincero possibile, sia tale da rispecchiare il più possibile la volontà, il pensiero, di coloro che sono chiamati a votare.

Se così non avviene, si ricade nei sistemi pseudo-elettorali di cui abbiamo avuto molti saggi nel recente passato. A parer mio, nessun argomento, per quanto valido, può essere portato a limitare il carattere, l’espressione, la pratica di un tal metodo.

Qualcuno potrà opporre degli argomenti diversi, ma allora si risponde: o si cerca un altro metodo per poter fronteggiare le necessità del momento; oppure, se ad esso si ricorre, lo si deve fare con piena e scrupolosa adeguatezza.

Questa premessa, che vorrei non fosse sembrata a voi troppo lunga, ha questo scopo: di dimostrare ciò che, io credo, tutti voi, onorevoli colleghi, nel profondo della vostra coscienza, pensate, cioè che l’argomento principale che l’onorevole Ministro ha portato per difendere questa precipitazione, malgrado lo scarsissimo numero di giorni che egli ha messo a disposizione del corpo elettorale, pure così vasto, come quello degli insegnanti medi ed elementari, sia un argomento che non ha valore.

Egli dice: occorre urgenza perché il Consiglio superiore deve risolvere urgentissime questioni.

A dire la verità, se io sono bene informato – e prego l’onorevole Ministro di smentirmi se sono stato inesatto – queste questioni riguardano quasi esclusivamente l’ordinamento universitario. Vuole, l’onorevole Ministro, dirci cortesemente quali sono i provvedimenti importantissimi e inderogabili – provvedimenti di carattere generale e non particolare – relativi alla scuola media ed elementare, la cui soluzione, per legge, è legata al parere del Consiglio superiore, e tali che non possono essere rinviati senza grave danno?

Analoga considerazione io potrei fare anche per i due paralleli Consigli delle biblioteche e delle belle arti, i quali, non dico che siano una innovazione, ma è certo che la loro formazione non mi pare urgente. Il primo – quello delle biblioteche – non è mai esistito in Italia, se non in quel tale pletorico ed inutile Consiglio nazionale dell’educazione, belle arti e scienze, fondato da Bottai; il secondo è esistito nel passato, ma non mi pare che fosse così urgente ricostituirlo.

Ma potrei dire di più e, per essere breve – a meno che l’onorevole Ministro non desideri che io specifichi maggiormente – io sorvolerò su altri particolari. Potrei dirgli, per esempio, che nella legge sullo stato giuridico che è stata da lui presentata vi sono già degli organi i cui compiti sono quelli che dovrebbero essere demandati al Consiglio superiore.

In conclusione, a parer mio, non esistono in democrazia questioni tanto gravi da costringere a ricorrere ad un sistema elettorale viziato. In democrazia, deve sempre esistere la possibilità di fronteggiare situazioni urgenti, anche senza elezioni non sincere. In questo caso particolare poi – mi permetta l’onorevole Ministro – c’era un modo molto semplice: che ella, per esempio, persuadesse il Consiglio superiore dimissionario a rimanere ancora un po’ in carica, il che non sarebbe stato difficile ad ottenersi, secondo le parole dell’onorevole Calamandrei, solo che si fosse usato un po’ di garbo.

Ma io mi propongo di dimostrare, onorevoli colleghi, che il sistema studiato dal Ministro della pubblica istruzione nasce viziato nella sua struttura e nella sua prima applicazione. Prima di tutto, me lo permetta l’onorevole Ministro – non vorrei che le mie parole sembrassero offensive, ma non lo sono – questa riforma è nata clandestina. Credo che ne sapessero soltanto alcuni uomini attorno al Ministro. Perché dunque egli, che ha a sua disposizione un abbondante notiziario, non dette qualche cenno di ciò che andava facendo?

In tal caso, l’attenzione degli insegnanti, degli interessati, degli studiosi si sarebbe rivolta al problema che egli stava per affrontare; ci sarebbero state discussioni in proposito e probabilmente sarebbero stati evitati gli errori che sono stati commessi: non è questa, signor Ministro, la vera democrazia. Invece il decreto è scoppiato come una bomba, sbalordendo tutti, compresi, credo, parecchi amici politici del signor Ministro.

Il tempo concesso per la preparazione delle elezioni è assurdamente breve: quindici giorni. Ciò è evidente; non credo che io avrò bisogno di dimostrarlo con documenti. Se il signor Ministro desidererà, porterò comunque anche i documenti. Il provvedimento fu noto negli ambienti ufficiali e non ufficiali non prima del 10 corrente ed anche dopo. Per di più, si sono colti gli insegnanti per gran parte fuori delle scuole ed anche fuori sede. Nessuno infatti può negare che in questi giorni tutte le scuole elementari sono chiuse.

L’onorevole Ministro, rispondendo all’onorevole Calamandrei, ha affermato, se non erro, che la maggior parte dei professori è in questi giorni ancora occupata con gli esami di Stato. Ora, ciò non è esatto, perché solo una modesta minoranza di essi è tutt’ora occupata con gli esami di Stato. È poi ben vero – ahimè – che né professori, né maestri possono pagarsi la villeggiatura, ma ciò non significa che essi debbano trovarsi là dov’è la sede scolastica. La miglior prova di ciò sta nel fatto che si sono dovute dare norme per le votazioni fuori sede. Dimostrerò, se occorre, quanto queste norme siano difettose ed erronee. Concludendo: si sono dati circa quindici giorni per la preparazione di elezioni generali che interessano più di un centinaio di migliaia di insegnanti, perfettamente ignari di tutto questo fino a poco tempo fa, e per di più, almeno per la gran parte, fuori sede.

Secondo punto, che io intitolerei, se non vi spiace, un argomento specioso: il carattere tecnico delle elezioni. Non so se l’onorevole Ministro l’abbia detto, ma certo qualcuno l’ha detto e qualcuno ancora lo dirà, con aria sorpresa, incerta: «Ma che bisogno c’è di preparazione a queste elezioni scolastiche? Queste non sono mica elezioni politiche o sindacali; queste sono elezioni tecniche, e basta».

Dato e non concesso per un momento che siano solo tecniche, solo elezioni di tecnici, che cosa vuol dire questo? Vuol dire che il professore, il maestro dovrà votare a caso per il suo direttore, ispettore o collega, perché non conosce altri nomi, e non per un uomo, anche lontano, che dopo maturo esame appaia più idoneo di tutti gli altri? Anche se le elezioni fossero tecniche, solo tecniche, sarebbero sempre necessari accordi preventivi, delle liste nazionali o qualche cosa di simile. Con questo criterio, col criterio che è la conseguenza necessaria dello Stato di fatto, i voti andranno dispersi fra un numero stragrande di candidati per un numero così esiguo di posti; e così si frustrerà il valore, lo scopo delle elezioni.

Lascio giudicare a voi, o colleghi, che siete tutti più o meno pratici di materia elettorale. Ma, badate bene, così non andrà di fatto. Voi vedrete – e io sono facile profeta – che i voti per gran parte andranno concentrati su un numero relativamente limitato di candidati. Come sarà avvenuto questo, signor Ministro? Quali le ragioni di questo mistero? Le ragioni sono queste: manca il tempo materiale per concentrarsi sulle liste elettorali, dopo che è stato reso noto il decreto ministeriale, tale lavoro da una certa parte probabilmente sarà stato fatto prima; oppure soltanto organizzazioni ben efficienti, con strutture periferiche, con appoggi politici potranno rapidamente proporre liste e nomi di candidati e farli prevalere. Ma è poi certo che queste elezioni sono sole tecniche, almeno nel senso che il signor Ministro intende? Non mi pare. Anche noi, onorevoli colleghi costituenti, siamo, o almeno dovremmo essere, in parte dei tecnici; il che non esclude affatto che siamo anche dei politici. Il problema non sta dunque nello scegliere puri tecnici, il che oggi meno che mai può riuscire, e tanto meno nel campo dell’istruzione; il problema sta nello scegliere fra i tecnici politici quelli che diano maggiori garanzie di probità e di capacità.

Terzo punto: onorevole signor Ministro, i Consigli provinciali scolastici sono dei corpi tecnici? Questa è la domanda precisa che mi permetto di fare. Se sono dei corpi tecnici, perché – se è vero quello che ha pubblicato un giornale – il suo Ministero ha invitato i Provveditorati agli studi a far conoscere, badate, «presi gli opportuni accordi con codesta prefettura» se le persone (cito i termini precisi) segnalate per i Consigli scolastici svolgano o abbiano svolta attività politica ed eventualmente in quale partito? (Commenti – Interruzioni al centro).

BERNINI. Perché interrompete? Questi sono fatti a cui potrete contrapporre altri fatti.

TONELLO. Questa è roba incredibile E si parla di democrazia!

RESCIGNO. Si può riferire ai precedenti fascisti.

TONELLO. Macché fascisti! È ignobile!

BERNINI. Ora passiamo ad esaminare il suo decreto legge, signor Ministro. Devo premettere che, sinceramente, dobbiamo ringraziarla di avere restituito il principio elettivo anche ai professori medi e agli insegnanti elementari, secondo il desiderio più volte espresso dalla classe. Ma tutto si ferma lì.

Si è detto che questo decreto-legge si ispira e ricalca gli analoghi del 1906 e 1911. Ne è stato affermato, mi pare anche da lei, solennemente il carattere democratico ed elettivo. Mi spiace di non essere assolutamente di questo parere.

Vediamo un po’: questo Consiglio superiore non è democratico in confronto a quello precedente che era interamente elettivo, mentre questo in parte è elettivo ed in parte discende dal Ministro. Ma ciò ha importanza secondaria.

L’onorevole Ministro, nel suo Notiziario (mi pare del 1° corrente) dopo aver dato il testo del decreto, lo spiega con alcune tavole ed insiste con un bellissimo esempio di chiarezza pedagogica, ma non con altrettanto buon esempio di esattezza sostanziale.

Seconda sezione, scuola secondaria: membri totali 12, di cui 7 eletti e 5 nominati.

Terza sezione, scuole elementari: membri totali 12, di cui 7 eletti e 5 nominati.

Se così fosse, il carattere democratico sarebbe relativamente dimostrato.

Confrontiamo con la legge del 1906. Questa sì che era una legge democratica, sinceramente democratica! Formava così la Giunta per l’insegnamento secondario: 4 scelti dal Ministro, 3 eletti dalla classe. La legge del 1911 formava così la sezione della Giunta della scuola elementare: 6 scelti dal Ministro, 5 eletti dalla classe.

Si dirà: allora la proporzione è eguale. Vi prego di volermi pazientemente seguire in questo modesto computo di chiarimento.

Fra i 7 eletti l’onorevole Ministro mette anche i 3 professori universitari, che possono sì essere stati eletti dai corpi accademici, sebbene, fra parentesi, una parte di essi non sia stata eletta perché è stata scelta dall’onorevole Ministro e nulla vieta che egli possa anche scegliere per questo secondo organismo quegli stessi che egli ha scelto per il primo. Dunque, questi universitari, in parte, sono stati scelti per la prima sezione, ma per le altre sezioni non sono stati eletti, sono stati scelti. Possono dunque considerarsi molto più scelti che non eletti. D’altra parte siamo uomini, e tutti uomini di partito. Il Ministro della pubblica istruzione, chiunque sia, di qualunque partito sia, potendo liberamente scegliere fra i professori universitari della sezione della scuola media ed elementare, chi andrà a scegliere? Ditemelo voi, di tutte le parti dell’Assemblea, compresa la mia. Forse quelli che personalmente, ideologicamente e scientificamente gli sono avversi? O non sceglierà piuttosto, come è sempre avvenuto, come sempre avverrà e come non si può pretendere che non avvenga, quelli che gli sono vicini in qualunque senso? Badate poi che, fra questi professori universitari scelti e non eletti, c’è anche il Presidente. E rinuncio, almeno per ora, ad approfondire ulteriormente i confronti fra le leggi del 1906 e del 1911 e la presente. Io non ho diritto di farvi perdere del tempo: lo farò solo nel caso in cui l’onorevole Ministro ritenga che io non abbia sufficientemente dimostrato il mio assunto.

Quinto punto: Perché gli insegnanti medi ed elementari non possono autogovernarsi? Crede lei, onorevole Ministro, che gli insegnanti elementari e medi saranno straordinariamente lusingati – permettete la parola che è detta senza offesa – dalla intrusione fra di loro, in numero di ben tre, in questioni strettamente tecniche ed amministrative, di professori universitari i quali molto spesso, pure essendo di un grande valore scientifico al quale ci inchiniamo, non hanno pratica alcuna né gusto né si sono mai occupati di queste questioni? Crede lei, onorevole Ministro, che gli insegnanti medi ed elementari si accontenteranno facilmente della espressione ufficiale: «per conferire maggior prestigio ed autorità a queste due ultime sezioni, si è creduto opportuno immettere in esse tre professori universitari…». Crede lei che non giudicheranno questo, più come una intrusione, che come un aumento di prestigio e di autorità delle due sezioni? Questo toglierà prestigio e suonerà sfiducia nella capacità di auto-governo di queste categorie che sono degne di rispetto; suonerà quasi offesa alla classe degli insegnanti elementari e medi.

Passo al sesto punto che intitolerò in questo modo: «La formula del ne varietur».

Scorrendo ora quel suo trionfale articolo «Lo spirito della riforma», che apre il numero del 1° luglio del Notiziario, l’occhio mi è caduto su una frase: «In occasione di una riforma di tanta portata…». Certo questa riforma è di molta portata, d’immensa portata, di portata certo maggiore di quanto ella ora non voglia far credere. Ma perché, se è di tanta portata, ella l’ha preparata in modo così clandestino?

Perché non si è ricordato in quel momento, me lo permetta, di una piccola ma significativa formula che forse si è sperduta nella sua memoria? La formula del ne varietur la ricorda ora signor Ministro? Oh, noi italiani dimentichiamo così facilmente! Abbiamo già dimenticato ciò che è avvenuto a distanza di poco più di due anni dalla terribile odissea del nostro popolo; ma questa formula del ne varietur fu la formula alla quale, prima della formazione del, mi pare, secondo Ministero De Gasperi, per esplicita richiesta del Partito socialista, non so bene se lo stesso Presidente del Consiglio o la Democrazia cristiana si impegnarono. La dichiarazione relativa comparve anche nei giornali. Ci fu un comunicato ufficiale, secondo cui non si sarebbe fatto nulla che variasse gli ordinamenti della scuola, non si sarebbe fatto nulla di essenziale, perché ciò sarebbe stato causa di discordia. Non so se ella, signor Ministro, abbia cooperato alla formazione di questa sì bella formula di carattere, diciamo così, canonicale.

Ora, fra noi, quelli che si intendono appena un poco di latino e anche quelli che per sfortuna loro non si intendono di latino, capirono subito che questa bella formula canonicale doveva avere un valore. Con questa formula, con questi patti precisi, con questo esplicito impegno, ella, signor Ministro, è diventato Ministro della pubblica istruzione. Ora, io le sarei grato se ella ci dichiarasse se la ritiene ancora valida o no oggi che non c’è più il tripartito, ma il Governo di colore.

Se, come credo e spero, ella la ritiene ancora valida, perché certo non è lecito a un Governo transitorio modificare, senza il controllo preventivo del Parlamento e del Paese, ella probabilmente mi dirà che quanto ella ha fatto non intacca le grandi strutture, ed io le rispondo che le grandi strutture si sgretolano anche scostando pietra da pietra e con lo stillicidio delle gocce.

Ella stessa ha detto che questa riforma è «di tanta portata». Veda un po’ se anch’essa non può rientrare nel ne varietur, almeno fino a che non abbia la sanzione della discussione pubblica e degli organi dell’Assemblea Costituente.

Settimo punto che chiameremo «obbligatorietà del voto».

Certamente, tutti gli errori e tutti i difetti della legge impallidiscono di fronte all’obbligo del voto.

Certo a voi, onorevoli colleghi, non importa di conoscere la mia personale e modesta opinione sul voto obbligatorio. Né ciò è strettamente pertinente a questa questione.

A voi poco importa sapere che io ho modestamente detto e scritto che non capisco il voto obbligatorio.

Non riesco a capire come si possa obbligare uno o considerare sia pur dovere morale un atto di uno il quale, sottraendosi ad esso, dimostra di non comprenderne il valore e di non saperlo esercitare. Ma lasciamo andare questo. A parte il voto politico, io non credo che si sia mai verificato il caso di voto obbligatorio per un consesso tra amministrativo e sindacale. Bisogna che lo dica – ed arrossisco nel dirlo – che questo non l’hanno mai sancito nemmeno i fascisti, se non sbaglio…

COCCIA. Non facevano votare! Lo credo bene che non l’hanno sancito.

BERNINI. …o non lo hanno sancito nelle leggi. Veramente questo è un principio nuovo. Ella, onorevole Ministro, ha il vanto di avere introdotto nella legislazione italiana un principio assolutamente originale. Ed il voto obbligatorio è convalidato da sanzioni. Si dirà che tale principio è sancito nella legge elettorale, ma a parte che quella è una legge votata da un organismo legislativo, a parte che quello non è un voto obbligatorio, ma è un obbligo morale senza sanzioni pratiche, oltre al resto, questa per gli insegnanti è una vera e propria sanzione disciplinare sancita dalle oscure parole dell’ordinanza ministeriale che leggo: «Le autorità competenti terranno conto nelle note informative della mancata partecipazione al voto da parte di capi di istituto e di insegnanti».

Le note informative – lo dico per quelli di voi che avessero la singolare fortuna di non intendersi di scuola – sono quelle da cui può dipendere l’avvenire del maestro, il trasferimento di un professore, la sua carriera. Vuole ella, signor Ministro, sostenere che questa segnalazione nelle note informative non ha nessuna portata reale? Faccia pure, se lo crede, ma badi che è una tesi ben difficile a sostenere, e ancor più difficile ad essere creduta.

Ottavo punto: Ritornando ancora al principio del ne varietur e all’applicazione che esso possa avere avuto, io vorrei farle una domanda. Ella, pochi mesi fa, a chi l’accusava di concedere troppo facilmente parifiche di istituti privati, rispondeva trionfalmente, con cifre che dovevano dimostrare l’esiguità del numero delle parifiche da lei concesse. Di ciò perfino nel discorso-programma dell’onorevole De Gasperi c’è un accenno. La memoranda discussione avvenuta qui dentro sugli articoli 27 e 28, ha dimostrato come sia stata pressoché unanime la condanna dell’istituto della parifica. Noi sosteniamo che una delle cause principali dello stato di tremenda decadenza e disordine della scuola media è questa. L’immenso numero dei diplomati che escono dalla scuola italiana, creando un problema per il futuro, vera causa del disordine sociale, nasce dalla diffusione sempre maggiore della parificazione. Nel testo dell’articolo 27 votato fu tolta la parola «parifica» e sostituita con l’altra, più giusta, «parità».

Da tutto ciò l’onorevole Ministro poteva e doveva trarre l’ispirazione alla sua azione.

Ora, spiacerebbe all’onorevole Ministro dire a questa Assemblea il numero delle parifiche da lui recentemente concesse?

E ho finito.

Fra pochi giorni, forse, sotto l’incubo di oscuri pericoli, una parte più o meno grande d’insegnanti medi ed elementari dovrà votare, per nomi di gente che non conosce o per il primo nome che sia suggerito.

Sarà questa l’educazione che noi daremo al popolo italiano, dopo più di 20 anni d’oscure minacce, di plebisciti, di adunate e di votazioni coatte?

In questo modo noi gioveremo alla ricostruzione morale del nostro popolo, o non l’indurremo a pensare che non c’è più da sperare da nessuno?

Vorrei che ella, signor Ministro, fosse persuaso che nessuna ragione personale, o differenza ideologica mi induce a dir ciò, ma solo l’onesto desiderio di giovare alla nostra Patria.

Comunque, certo d’interpretare non solo il pensiero, se pure indistinto, della gran maggioranza degli insegnanti, io, a nome del Partito socialista che qui rappresento, propongo al Governo di presentare al più presto possibile una nuova legge, poiché il decreto legge, così com’è, mi pare d’avere dimostrato sia troppo difettoso.

In subordine, la prego vivamente, signor Ministro, la invito, la prego, di voler rinviare a tempo idoneo le votazioni per le elezioni delle sezioni insegnanti medi ed elementari, del Consiglio superiore della pubblica istruzione. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgere la sua interpellanza.

CODIGNOLA. Onorevoli colleghi! Dovrebbe recar meraviglia che, dopo la prima denuncia fatta qui dall’onorevole Calamandrei, alcuni giorni addietro, e dopo l’intervento così preciso e circostanziato dell’onorevole Bernini, possa esservi ancora qualche cosa da dire su questo straordinario decreto del Ministro della pubblica istruzione: straordinario nel suo contenuto, non meno che nella sua forma; decreto il cui regolamento di esecuzione è stato emanato prima che il decreto stesso venisse pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Già vi è stato detto, infatti, dall’onorevole Calamandrei che il decreto è apparso sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 luglio, mentre il Notiziario della scuola e della cultura – organo ufficiale del Ministero della pubblica istruzione – reca, già in data 1° luglio, l’ordinanza del Ministro, che prescrive quali debbano essere le modalità per le elezioni. Ma per mio conto non starò ora a ripetervi gli argomenti, già esposti così brillantemente dall’onorevole Calamandrei e dall’onorevole Bernini: mi limiterò soltanto ad alcune indicazioni di carattere tecnico sopra il modo con cui questo decreto – rispetto al quale i motivi d’urgenza pare che abbiano prevalso su qualsiasi altra considerazione – è stato preparato.

Quell’articolo del Notiziario della scuola e della cultura, intitolato «Lo spirito della riforma», citato testé dall’onorevole Bernini (fascicolo del 1° luglio 1947), afferma: «La grande maggioranza dei consiglieri è prescelta mediante libere elezioni, mentre si è riservata al Ministro la facoltà di nomine dirette, entro limiti modesti e per membri che sono in massima parte funzionari dell’Amministrazione non eleggibili». Non ripeterò quello che è stato detto al riguardo dall’onorevole Bernini, ma mi limiterò a precisare alcuni punti.

Il vecchio Consiglio superiore, ricostituito dopo la caduta del fascismo, era costituito di 35 membri, di cui 25 eletti dagli insegnanti, 9 cooptati dagli stessi eletti e due designati dall’Associazione liberi docenti. In sostanza, l’intera composizione del Consiglio superiore della pubblica istruzione era tale da escludere completamente il diritto di nomina da parte del Ministro della pubblica istruzione: si tratta esclusivamente di membri eletti, o cooptati, o designati dagli interessati.

Ora, per quanto almeno riguarda l’istruzione superiore, il nuovo decreto, segna, dal punto di vista democratico, un preciso passo indietro, e non affatto un passo avanti, perché di fronte ai 36 membri elettivi, contemplati dal decreto precedentemente in vigore e che avrebbe dovuto scadere solo al 31 ottobre prossimo venturo, noi abbiamo, secondo la nuova struttura ideata dall’onorevole Gonella, questa situazione: il nuovo Consiglio superiore è costituito di 46 membri, divisi in tre sezioni: la prima, della istruzione superiore, che assume le competenze del vecchio Consiglio superiore; la seconda, della istruzione media, classica, scientifica, magistrale e tecnica; la terza, dell’istruzione elementare.

Per quanto riguarda l’istruzione superiore, di fronte alla vecchia legge, che prevedeva, come dicevo, membri esclusivamente elettivi, noi abbiamo ora soltanto una maggioranza di membri elettivi, in quanto si è cominciato ad introdurre il principio della nomina di alcuni membri da parte del Ministro. Tuttavia, per la prima sezione del Consiglio superiore, i membri elettivi restano tuttora in maggioranza; ma per le altre due sezioni, su 12 membri, 5 sono eleggibili, 4 di nomina del Ministro e 3 scelti dal Ministro tra i professori universitari che fanno parte della prima sezione. Siccome però della prima sezione fanno parte anche professori universitari di nomina del Ministro, è evidente, come ha fatto osservare testé l’onorevole Bernini, che la maggioranza della seconda e della terza sezione può essere costituita di membri non elettivi.

C’è poi un’altra osservazione da fare. E precisamente, vorrei domandare all’onorevole Ministro perché, tra i membri di sua nomina sia della seconda che della terza sezione, sia stabilito senz’altro che debbano esservi il professore di scuola media non governativa, ed il direttore o insegnante di scuola elementare non governativa. Onorevole Ministro! Noi non abbiamo personalmente nessuna prevenzione verso di lei, ma ella si deve render conto che esiste un giudizio diffuso nel Paese, nei riguardi del suo modo di intendere i rapporti della scuola pubblica con quella privata. Questa norma alimenta nuove preoccupazioni al riguardo, né noi comprendiamo perché, mentre ai professori statali è riconosciuto il diritto di eleggersi i propri rappresentanti, questo diritto non lo si debba riconoscere agli insegnanti di scuole non statali.

Ma passiamo al Consiglio superiore delle antichità e delle belle arti, che è una creazione completamente nuova. Questo Consiglio si costituisce di cinque sezioni, ciascuna delle quali composta di cinque membri, e di questi cinque membri due sono elettivi e tre di nomina ministeriale. In questo caso dunque l’onorevole Ministro ha ritenuto che non si potesse far credito alle capacità democratiche degli elettori; e, mentre per le università si è riconosciuto il principio della maggioranza dei membri elettivi, e per la scuola media ed elementare tale maggioranza può esistere o non esistere, per il caso del Consiglio superiore delle belle arti si è addirittura gettata la maschera, mi si perdoni l’espressione, e si è stabilito, per legge, che la maggioranza non può essere di membri elettivi. Da notare poi che nessuna delle sezioni di questo Consiglio può deliberare se non siano presenti almeno quattro membri; di modo che, ammesso che siano presenti due membri non elettivi, più un membro di nomina ministeriale (nel caso si avrebbe, sia pur casualmente, una maggioranza elettiva), la sezione non è in grado di funzionare.

Ma un’altra novità, veramente incomprensibile dal punto di vista giuridico, ci presenta il decreto, ed è il modo come vi sono regolate le cosiddette Giunte. Come tutti sapete, la Giunta è per definizione un organo più ristretto del Consiglio di cui fa parte. Ora, ci troviamo invece davanti a questa strana situazione: che per la prima sezione esiste una vera e propria Giunta, costituita da un certo numero di Consiglieri (11, di cui 7 scelti dal Ministro: e poiché dei 28 membri della sezione, 6 sono di nomina ministeriale, come s’è detto dianzi, la Giunta può di fatto essere costituita tutta, meno un membro, di consiglieri di nomina ministeriale) ma per la seconda e la terza sezione, l’articolo 10 del decreto afferma che «le attribuzioni in materia d’istruzione media ed istruzione elementare, ecc., sono deferite rispettivamente alla seconda e alla terza sezione, le quali, in tal caso, ciascuna nella propria integrale composizione, funzionano da Giunta». Cioè, in certi casi il Consiglio diventa Giunta, e non esiste praticamente la Giunta come organo distinto dal Consiglio. Ma non basta: scopriamo che esiste una Giunta anche del Consiglio superiore per le accademie e biblioteche solo perché essa appare dallo schema riassuntivo posto alla fine del decreto (il decreto non ne fa alcun cenno), ed anche in questo caso è stabilito che il Consiglio superiore per le accademie e biblioteche può trasformarsi in una Giunta composta da tutti i membri del Consiglio. Tutto questo lo dico non tanto perché si tratti di un problema di grande interesse in sé e per sé, quanto per dimostrare il modo frettoloso e poco serio col quale questo decreto è stato fatto.

Per quanto riguarda il voto obbligatorio, ha parlato già largamente l’onorevole Bernini, ma io vorrei far presente all’Assemblea lo strano rapporto che corre fra le parole usate dalla ordinanza ministeriale diramata dall’onorevole Gonella e certe proposte che erano state portate a suo tempo davanti a questa Assemblea in sede costituzionale. Dice infatti l’ordinanza dell’onorevole Gonella: «In considerazione del dovere morale di cooperare alla costituzione dei supremi Consigli della scuola, le autorità competenti terranno conto, nelle note informative, della mancata partecipazione al voto da parte di capi di istituto e di insegnanti». Ora, io ho ancora qui sottocchio un emendamento a suo tempo proposto a questa Assemblea dagli onorevoli Cremaschi e Mortati, a proposito dell’articolo 45 del progetto di Costituzione, che suonava così: «L’esercizio del diritto di voto è dovere politico e morale» (esso quindi comporta delle sanzioni). Voi ricorderete certamente che vi fu allora una lunghissima discussione proprio sulla parola «morale», perché si era prospettata da altri l’opportunità di definire l’esercizio del diritto di voto soltanto come dovere civico. Fu infatti in questo secondo senso che l’Assemblea decise.

Ora, onorevole Gonella, non le pare che ella avrebbe pur potuto tenere conto di questo precedente, di questa manifestazione di volontà, di questo parere esplicitamente espresso dall’Assemblea, la quale, fino a prova contraria, rappresenta il Paese? Come è mai possibile che ella, dopo che qui si è discusso per giornate intorno a questo problema, sul modo cioè di configurare la natura del voto politico, ritorni sulla soluzione già deliberata, nel caso di votazioni interessanti la Scuola, le quali pure rivestono una indiscutibile importanza?

Ma, a parte questo, la votazione che dovrà essere fatta fra pochi giorni presenta almeno delle garanzie formali tali da offrire la sicurezza e la tranquillità che non si verifichino brogli? È naturale che brogli possono sempre accadere: ma incombe tuttavia al legislatore il dovere di fare il possibile perché essi non avvengano. Guardiamo invece che cosa accade nell’applicazione del decreto del Ministro Gonella. Il decreto prevede il caso di docenti i quali votino fuori della loro sede. Prevedere questo caso era effettivamente una esigenza inderogabile, dal momento che il Ministro Gonella ha avuto tanta fretta di indire le elezioni in un’epoca in cui le scuole sono chiuse. Ora, nel caso dei liberi docenti, nel caso degli incaricati e degli assistenti universitari, i verbali di scrutinio vengono trasmessi direttamente dai rettori al Ministero, di modo che il Ministero ha una relativamente facile possibilità di eseguire il dovuto controllo. E per quelli di loro che si presentino a votare in una sede universitaria diversa dalla propria, è previsto l’obbligo di «presentare» un documento dal quale risulti la loro qualità di incaricato, di aiuto o di assistente, di libero docente, e la loro identità.

Che cosa avviene invece per i professori medi e gli insegnanti elementari che votino fuori sede? Avviene che i verbali non vanno in questo caso direttamente al Ministero, ma vengono raccolti dai singoli provveditorati. Ora, se è logico pensare che il provveditore agli studi, per esempio di Roma sia pienamente in grado di esercitare un controllo nei confronti dei professori medi e degli insegnanti elementari che insegnano e votano in sedi comprese nella sua giurisdizione, in qual modo potremo noi pensare che egli possa esercitare analogo controllo per un professore medio o per un insegnante elementare che appartenga ad una sede scolastica estranea alla sua giurisdizione, per esempio venga a votare a Roma dalla Sicilia?

Eppure, si badi, l’ordinanza ministeriale stabilisce in tal caso che maestri e professori potranno votare fuori della loro sede su semplice presentazione della carta di identità. E, si noti, a norma del decreto possono solo votare maestri e professori di ruolo e in attività di servizio. Ora, io mi permetto di domandare all’onorevole Ministro: qual è quella carta d’identità dalla quale risulta che il titolare di essa è un maestro o professore di ruolo, e in attività di servizio? Probabilmente sulla carta d’identità non figurerà neppure la qualifica professionale, perché molto probabilmente risulterà soltanto che quei professori e quei maestri sono degli impiegati dello Stato: ma quand’anche risultasse la qualifica professionale, potrebbe ciò costituire una sufficiente garanzia?

E non è veramente straordinario che mentre nel caso in cui un controllo è possibile, il Ministero abbia pensato a richiedere, oltre la carta d’identità, un altro documento di riconoscimento, e che nel caso in cui il controllo è impossibile questa duplice richiesta non sia stata fatta?

Vediamo ora come è organizzata la elezione dal punto di vista del metodo di votazione. Ciascun elettore vota per un numero di candidati pari a quelli che dovranno ricoprire i posti del Consiglio superiore. Cioè, il diritto delle minoranze non è rispettato. Se c’era un caso in cui il Ministero avrebbe dovuto garantire un’adeguata rappresentanza alla minoranza, era questo, in cui le elezioni vengono indette d’improvviso, nel giro di pochi giorni, senza che vi sia la possibilità per le varie correnti di preparare e di diffondere proprie liste. A dire il vero, delle liste già ci sono, già circolano nelle scuole, ma credo che l’onorevole Gonella non si offenderà se gli dico che queste liste sono di una sola parte, hanno un solo colore. Ho visitato alcuni centri in questi giorni, e dovunque vari amici, e non soltanto di partito, mi sono venuti a chiedere: «Qui esistono delle liste dell’Azione cattolica, che girano per le scuole. (Commenti a sinistra). (Può essere una voce non vera, però è una voce diffusa). Che cosa dobbiamo fare? Astenerci? Ci sono altre liste di partito?». Cosicché noi veniamo a trovarci in questa situazione; che, o passerà la lista, diciamo, dell’Azione cattolica, ovvero ci troveremo di fronte a quel grave inconveniente, che ho già avuto occasione di segnalare, che cioè porteremo nella scuola una lotta di partiti, e una lotta particolarmente aspra, perché le minoranze non sono protette, per cui ciascuno cercherà di adottare qualunque mezzo per stravincere e per buttar fuori gli avversari. Ora, io mi chiedo se sia questo un modo di tutelare la democraticità della scuola e di favorire, in generale, la vita democratica del Paese.

E veniamo alla procedura con la quale il decreto è stato emesso. Per quanto io sappia, il decreto avrebbe dovuto essere preventivamente portato dal Ministro Gonella a conoscenza di tutti i membri del Consiglio dei Ministri, e non soltanto a conoscenza dei Ministri del Bilancio e del Tesoro. Tuttavia, a me non risulta – può darsi che sia male informato – che tutti gli altri Ministri siano stati preventivamente avvertiti; e, quel che è più grave, l’onorevole Gonella ha forse dimenticato che esiste una disposizione di legge – il decreto-legge 9 febbraio 1939, n. 273 – che stabilisce una speciale procedura per i provvedimenti relativi agli organi consultivi dello Stato. Dice questo decreto-legge: «I provvedimenti legislativi che importino il conferimento di nuove attribuzioni al Consiglio di Stato, ovvero alla Corte dei conti, nonché la soppressione o la modificazione di quelle esistenti o che comunque riguardino l’ordinamento e le funzioni dei predetti consessi in sede consultiva, o di controllo, ovvero giurisdizionale, sono adottati previo parere rispettivamente del Consiglio di Stato in adunanza generale o della Corte dei conti a sezioni riunite».

Questo decreto è stato giustamente interpretato fin dalla sua emanazione, e con prassi costante fino al 25 luglio 1943, nel senso che il preventivo esame da parte del Consiglio di Stato fosse richiesto in tutti i casi in cui si trattasse di modificare la struttura o le funzioni di tutti gli organi consultivi dello Stato, e non soltanto del Consiglio di Stato in sede consultiva. E l’onorevole Ministro può insegnarmi che fino al 25 luglio 1943 questa prassi è stata osservata. In seguito vi è stata sì qualche incertezza, qualche oscillazione ma poi essa è stata nuovamente superata, tanto è vero che proprio quest’anno, in occasione della ricostituzione del Consiglio superiore delle miniere – decreto 27 gennaio 1947, n. 73 – il preambolo della legge assicura: «udito il parere del Consiglio di Stato».

Per quale ragione dunque, onorevole Ministro, Ella ha ritenuto di poter andare oltre questa disposizione di legge? Non credo davvero che vi siano ragioni di urgenza tali che giustifichino l’opportunità di evitare il regolare corso di questa procedura. Tanto più che il decreto di cui si parla ha due aspetti diversi: da una parte costituisce una vera e propria trasformazione, nella sua struttura e nei suoi compiti, del Consiglio superiore, perché, mentre il vecchio Consiglio era in sostanza un organo limitato all’istruzione superiore, avremo ora tre Consigli superiori: dell’istruzione superiore, dell’istruzione media, dell’istruzione elementare, oltre a quelli delle belle arti, e delle accademie e biblioteche; si tratta cioè veramente di nuovi compiti e di nuove funzioni, rispetto a cui andava osservata la procedura disposta dalla legge del 1939. Ma da un’altra parte, il decreto è nient’altro che un regolamento di organizzazione; e anche sotto questo profilo, il Consiglio di Stato era competente ad esaminarlo, e trattandosi di regolamento di organizzazione di un organo tanto importante nella vita dello Stato, sarebbe stato costituzionalmente corretto sottoporglielo.

Per quale ragione dunque ciò non è stato fatto? Spero che l’onorevole Gonella saprà indicarci i motivi per cui si è seguita una procedura così straordinaria.

E voglia l’onorevole Ministro chiarire anche perché il decreto non sia stato portato all’esame di questa Assemblea. So bene che si può discutere circa la natura costituzionale del Consiglio superiore della pubblica istruzione, ma personalmente non ho dubbi che si tratti di un organo tanto importante da incidere direttamente sulla struttura costituzionale dello Stato. Comunque, il problema può essere discutibile, ma non spettava a lei decidere, onorevole Ministro: spettava all’Assemblea stabilire la propria competenza e rinviare eventualmente il provvedimento al Ministro per l’esecuzione.

Per quale ragione ciò non è stato fatto, quasi che non esistesse un’Assemblea Costituente, cui competono determinati poteri stabiliti dalla legge?

Ricorderò infine quell’ultimo grave inconveniente, quell’ultima grave preoccupazione che fu già indicata qui dall’onorevole Calamandrei: la partecipazione cioè alle elezioni per il nuovo Consiglio superiore di quei professori che ottennero a suo tempo la cattedra in luogo di professori antifascisti o ebrei, professori che voteranno in un certo determinato modo, evidentemente per la tutela, vorrei dire legittima, dei loro interessi. Poiché lo Stato non pensa alla tutela degli interessi di coloro che furono sacrificati, saranno i privilegiati a tutelare per loro conto gli interessi propri. E non nascondo che anche questo aspetto ci lascia gravemente perplessi.

Come avete veduto, io mi sono limitato ad illuminare aspetti esclusivamente tecnici, su cui spero potere ottenere qualche chiarimento; ma, per finire, vorrei richiamare l’attenzione dell’onorevole Ministro sullo stato veramente grave di preoccupazione e di disagio nel quale continua a versare la nostra scuola. Ella non può credere, onorevole Ministro, quanto questo suo ultimo provvedimento sia stato accolto con senso di sbigottimento da parte di moltissimi insegnanti, che credono nella scuola, che fanno il loro dovere, e che sono costretti a domandarsi: a che cosa vuol giungere il Ministro della pubblica istruzione? Vuol giungere forse alla «clericalizzazione» del Ministero dell’istruzione pubblica? Se è così, ci si dica chiaro.

Ma speriamo che questo non sia. Noi ricordiamo il suo passato di uomo politico, noi abbiamo fiducia ch’ella comprenda che cosa significhi la scuola e la difesa dei suoi valori. Se continuiamo su questa strada, onorevole Ministro, questi valori saranno distrutti, e noi non potremo più, quando gli insegnanti avranno definitivamente perso ogni fiducia nella direzione della scuola, così facilmente recuperarli! (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Desidero vivamente di mantenere la discussione su quel terreno tecnico, nel quale è stata posta, e accetto senz’altro di rispondere direttamente alle interpellanze, prescindendo da questioni secondarie, che trascinerebbero in lungo questa nostra discussione, o che ci condurrebbero fuori tema: questioni, che, comunque, possono essere sempre oggetto di altre interrogazioni o interpellanze.

Di tali questioni fuori tema cito un solo esempio: l’onorevole Bernini mi ha chiesto delle statistiche sulle scuole private e sulle parificazioni. Se desidera che questo argomento sia oggetto di una particolare interrogazione, sono pronto a rispondere anche per lunedì; ma non è questo l’argomento della presente interpellanza. Però sinceramente le dico, onorevole Bernini, che avrei avuto piacere, se lei, oltre ricordare la questione del numero delle parifiche – che è certamente inferiore a quello degli altri anni – avesse anche ricordato che quest’anno, per mia iniziativa e per la prima volta, si sono introdotte in tutte le scuole private le Commissioni governative di esame di Stato, Commissioni composte di professori statali estranei alle scuole private (Applausi al centro). Credo che questo sia una dimostrazione dello spirito spassionato, che anima questa mia politica di vigilanza: la quale non è né clericale né anticlericale, avendo il solo fine di controllare e migliorare la scuola di qualsiasi tipo essa sia.

Ciò premesso, vengo all’esame concreto dei problemi.

Naturalmente, per me il problema più grave è quello al quale ha accennato alla fine del suo discorso l’onorevole Codignola: si tratta di vedere se sono stati superati i limiti di competenza del Ministero e, quindi, implicitamente, anche i limiti di competenza del Governo nei confronti dell’Assemblea Costituente. Nell’interpellanza scritta è detto: «Gli interpellanti chiedono per quali ragioni un decreto di tanta importanza, che ha evidenti aspetti costituzionali, sia stato sottratto alla competenza dell’Assemblea Costituente». In sostanza, stamane, sia pure con qualche titubanza, è stato qui ripetuto un analogo rilievo, citando lesti legislativi, che interessano il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Anche a questo proposito – mi dispiace di ripetermi in qualche cosa – debbo essere molto chiaro. L’articolo 3 della legge sulla Costituente (16 marzo 1946) dice testualmente: «Durante il periodo della Costituente e fino alla convocazione del Parlamento, a norma della nuova Costituzione, il potere legislativo resta delegato, salva la materia costituzionale, al Governo, ad eccezione delle leggi elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati internazionali, le quali saranno deliberate dall’Assemblea».

Non è questo il momento di fare delle disquisizioni su che cosa la scienza giuridica intenda per materia costituzionale, materia, nel cui ambito l’onorevole Codignola fa entrare anche questo provvedimento sul Consiglio Superiore. Mi limito solo a citare un eloquente paragone di un illustre giurista, il Donati, il quale diceva che il diritto pubblico si può paragonare a un grande albero, il cui tronco è il diritto costituzionale, e i cui rami sono il diritto amministrativo. Cioè, il diritto amministrativo è intimamente connesso col diritto costituzionale; però non si identifica col diritto costituzionale, alla stessa maniera che i rami non si identificano col tronco. Indubbiamente, stretti rapporti vitali ci sono tra norme di diritto amministrativo e norme di diritto costituzionale; ma, come i rami non sono il tronco, così le norme di carattere amministrativo non sono le norme di carattere costituzionale.

Ora conviene chiedersi: si può considerare organo di carattere costituzionale il Consiglio Superiore di un Ministero? Questa è la domanda, alla quale bisogna rispondere. E all’onorevole Codignola, che è – e in ciò sono con lui – uno zelante difensore del diritto costituzionale, vorrei rivolgere questa domanda: perché non ha presentato una interpellanza in difesa delle prerogative costituzionali dell’Assemblea quando sono stati istituiti Consigli Superiori di altri Ministeri, quando è stato nientemeno che abolito un Ministero, il Ministero dell’assistenza post-bellica, quando è stato istituito non un semplice Consiglio Superiore, ma addirittura un nuovo Ministero, il Ministero del bilancio? Abolizioni ed istituzioni, che sono state attuate per mezzo di un decreto legislativo e con la massima urgenza, cioè con la stessa procedura, che è stata adottata per l’istituzione del Consiglio Superiore della pubblica istruzione. Io penso che l’istituzione di un Ministero sia una materia costituzionale di ben più larga portata che l’istituzione di un organo interno e consultivo di un’Amministrazione.

D’altra parte, richiamo l’attenzione su un altro rilievo essenziale: se il Consiglio dei Ministri fosse andato oltre i suoi poteri, vi era poi sempre la Corte dei conti, la quale, in questo caso, non avrebbe registrato il provvedimento. Ugualmente, se fosse stato necessario, come ha detto l’onorevole Codignola, un preventivo parere del Consiglio di Stato, la Corte dei conti non avrebbe registrato un provvedimento senza il preventivo parere del Consiglio di Stato, o, comunque, la Corte dei conti lo avrebbe registrato con riserva. Invece, come è noto, la Corte dei conti ha registrato il decreto istitutivo del nuovo Consiglio Superiore senza riserva; ed era logico che così avvenisse, perché questo è un procedimento legislativo regolare e normale per l’istituzione di questi organismi tecnici dell’amministrazione.

Quindi, e non so se mi illudo di persuadere con queste argomentazioni, vorrei che non restasse alcun dubbio su ciò: la Corte dei conti, organo competente a giudicare la regolarità formale dei decreti legislativi, ha creduto di registrare senza riserve il provvedimento sul Consiglio Superiore, e, quindi, ha implicitamente riconosciuto che il Ministro e il Consiglio dei Ministri sono rimasti nell’ambito dei loro poteri, e che hanno seguita una procedura regolare.

D’altra parte non confondiamo, onorevole Codignola, come lei confonde nel testo, che ha citato, il carattere costituzionale di organi, quali il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, col carattere amministrativo del Consiglio Superiore. Il Consiglio di Stato è un organo giurisdizionale vero e proprio; cioè un organo, che ha il fine di risolvere le controversie che possono sorgere tra lo Stato e gli individui, oppure fra individui e lo Stato, mentre il Consiglio Superiore della pubblica istruzione non è affatto un organo con funzioni giurisdizionali; al massimo, sarà un organo che può avere anche delle funzioni disciplinari, interne all’Amministrazione stessa.

Il secondo tema, sul quale si sono intrattenuti ambedue gli interpellanti, è il tema della «massima urgenza». Anche qui mi si permetta anzitutto di ricordare il testo fondamentale, su cui poggiano gli argomenti, che intendo illustrare, cioè la famosa aggiunta al secondo comma del Regolamento della Camera, decisa nella seduta del 17 settembre 1946: aggiunta, che fu una precisazione utile fatta da questa Camera su questa materia.

Ora, l’aggiunta dice: «Il Presidente dell’Assemblea, al quale saranno inviati dal Governo, salvo i casi di massima urgenza, tutti i disegni di legge deliberati dal Consiglio dei Ministri, li trasmetterà alle Commissioni competenti».

Naturalmente li trasmetterà per avere semplici pareri (come anche le interpellanze hanno il fine di manifestare dei pareri); poiché tutti sappiamo che il potere legislativo, finché dura la Costituente, è delegato al Governo, salvo la limitata materia prevista dalla legge istitutiva della Costituente.

Questi principî hanno avuto un chiarimento preciso anche da parte degli organi governativi; ed una circolare della Presidenza del Consiglio, inviata a tutti i Ministeri, (5 ottobre 1946) e dettante norme per la condotta dei singoli Ministeri, dice: «Soltanto nei casi di massima urgenza, da valutarsi dal Consiglio dei Ministri, sarà consentito di procedere ad emanazione di decreti legislativi, prescindendosi dalla preventiva deliberazione delle Commissioni».

Quindi, l’apprezzamento della «massima urgenza» è demandato alla discrezione del Governo, che, in questa materia, è sottoposto sì ad un sindacato, ma non al sindacato di un’Assemblea legislativa, bensì al sindacato della Corte dei conti; la quale, come abbiamo visto, ha registrato il provvedimento in questione.

Ma si può obiettare: queste sono ragioni formali, sono degli schermi, dietro i quali ci si nasconde per mascherare il proposito di non accettare una discussione, di non accettare un controllo. E, per rispondere a queste obiezioni, ho il dovere di ribadire che la massima urgenza era «in re», era nelle cose, nella necessità di dar corso a provvedimenti, che possono essere rinviati solo con grave danno della vita scolastica. A questo proposito devo nuovamente ricordare che è sul tappeto del Consiglio Superiore la formazione delle commissioni giudicatrici di cinquanta quattro concorsi universitari: ora, l’operazione di spoglio delle elezioni di queste commissioni dev’essere fatta per legge dal Presidente del Consiglio Superiore. Come è noto, il Presidente e vari membri si sono dimessi; quindi non vi è l’organo, che è necessario per eseguire questa operazione indispensabile per la nomina delle commissioni giudicatrici dei concorsi. E qui non si tratta solo degli interessi di giovani, che hanno il diritto e la legittima aspirazione di entrare nella carriera universitaria, ma si tratta soprattutto sugli interessi della scuola, la quale non può essere ancora lasciata con queste cattedre scoperte, senza grave danno dell’insegnamento.

C’è poi un gruppo notevole di giovani, che aspirano alla libera docenza. Il concorso è stato bandito; bisogna nominare le Commissioni giudicatrici per la libera docenza. Siccome la nomina di queste Commissioni non è di competenza del Ministro, ma del Consiglio Superiore, con la paralisi di tale Consiglio resterebbe paralizzata tutta la procedura per l’espletamento delle libere docenze. Se noi avessimo rinviato a fine ottobre la nomina del Consiglio Superiore, avremmo finito per danneggiare sia coloro che aspirano ad entrare in ruolo, sia coloro che aspirano ad avere la libera docenza.

Ed infine c’è un problema, che, oltre avere un aspetto scolastico, ha anche un aspetto eminentemente morale e politico. Si tratta della revisione dei concorsi a cattedre universitarie. In tale campo si è già perduto troppo tempo. Bisogna che noi rivediamo al più presto quei concorsi contro i quali è stato presentato un ricorso. E vi sono anche in questa Assemblea e tutti li conosciamo uomini di scienza, come l’onorevole Giua, l’onorevole Paolo Rossi e l’onorevole Pesenti, i quali, per non subire le umiliazioni e gli arbitrî della dittatura, hanno preferito abbandonare l’insegnamento. Ora, è giusto che costoro che aspirano a coprire una cattedra o hanno diritto di coprirla, vedano entro il più breve tempo appagate le loro aspirazioni. (Applausi al centro).

Questo rinvio della revisione dei concorsi comporterebbe un’ulteriore dilazione di una procedura anche troppo differita non a causa della carenza degli organi amministrativi, ma a causa dei termini e delle condizioni fissate dalle leggi stesse. Quindi la soluzione migliore era quella di accelerare l’elezione del Consiglio Superiore.

L’onorevole Bernini osserva che questi problemi, che ora ricordo, riguardano solo l’ordinamento universitario. Che c’entra la scuola media o la scuola elementare?

Posso convenire su questa osservazione; però faccio presente che non era opportuno costituire tre Consigli Superiori distinti: uno per l’istruzione universitaria, uno per l’istruzione secondaria ed uno per l’istruzione elementare. Si è già criticato il numero dei Consigli Superiori (della pubblica istruzione, delle belle arti, delle accademie e biblioteche). Se io avessi promosso la costituzione di altri due distinti Consigli Superiori, uno per la scuola secondaria ed uno per la scuola elementare, si sarebbe giustamente detto che si operava un’inflazione di organi consultivi.

Però, si potrebbe rispondere: ma, allora, perché non fate le elezioni distinte, prima per le università, poi per la scuola secondaria, e successivamente per la elementare?

Sarebbe molto comodo. Anch’io l’avrei desiderato. Ma bisogna scegliere fra queste due alternative: o si costituiscono tre Consigli Superiori, e allora le elezioni si possono scaglionare nel tempo; oppure il Consiglio Superiore è uno solo, sia pure diviso in sezioni, e allora non è possibile eleggere una sola sezione e farla funzionare, prima che sia eletta l’altra, salvo che una norma speciale e transitoria lo preveda. Data l’unità dell’organismo, è tecnicamente impossibile che l’organismo possa esistere, quando alcuni organi non sono ancora istituiti.

È inoltre chiaro che la rappresentanza della scuola secondaria e di quella elementare risponde ai precisi interessi della scuola e degli educatori, i quali, attraverso associazioni e sindacati, hanno esplicitamente espresso il desiderio che la scuola secondaria e l’elementare abbiano i loro rappresentanti nel Consiglio Superiore, sia pure entro limiti che, pur essendo modesti, non furono affatto considerati umilianti, al contrario di ciò che pensa l’onorevole Bernini, inquantoché professori medi e maestri hanno coscienza della gradualità dei vari tipi di scuole nella comune dignità dell’insegnamento. I sindacati hanno inviato ordini del giorno, in cui esprimono il loro compiacimento, perché finalmente è stata accolta l’aspirazione degli educatori d’ogni grado di scuola ad avere una rappresentanza in seno al Consiglio Superiore della pubblica istruzione.

L’onorevole Codignola dice che il provvedimento istitutivo del Consiglio Superiore è stato emesso senza l’osservanza delle precise disposizioni di legge.

Vorrei domandare: quale inosservanza? E poi, quale legge? Desidero che l’onorevole Codignola chiarisca l’una e l’altra cosa.

A questo proposito, devo ricordare che la riforma era così «clandestina», che il 9 giugno, cioè un mese e mezzo prima delle elezioni del nuovo Consiglio Superiore, io ho esplicitamente dichiarato al Congresso Nazionale dei professori universitari italiani tenuto a Roma che, entro il più breve tempo, si sarebbe arrivati alle elezioni del nuovo Consiglio Superiore; e devo aggiungere che l’annunzio è stato sottolineato da un applauso, certamente non diretto alle mie parole, ma all’affermazione della opportunità di procedere, al più presto, alle elezioni di un Consiglio Superiore, che ormai da decenni non è più elettivo, ma di nomina ministeriale.

Inoltre, ho reso noto ai sindacati universitari, ed ho discusso coi loro dirigenti, il problema della rappresentanza degli incaricati, dei liberi docenti e degli assistenti; ed ho largamente notificato l’elaborazione del disegno, il quale era tutt’altro che «clandestino», perché veniva studiato dagli organi competenti e dalle rappresentanze sindacali, al cui consiglio e parere io mi sono rimesso. Quindi alla loro testimonianza mi appello. Essi avevano chiesto due rappresentanti per i liberi docenti, due per gli assistenti e due per gli incaricati. Ho fatto presente che questi sei rappresentanti erano troppi in rapporto ai professori di ruolo. Obiettivamente, i dirigenti dei sindacati mi hanno detto: ci possiamo limitare ad un rappresentante per i liberi docenti, uno per gli assistenti ed uno per gli incaricati. Quindi discussione c’è stata, e c’è stato pure l’accoglimento dei voti espressi dalle categorie. Ugualmente posso dire dell’Associazione Nazionale professori universitari, con cui ho avuto vari scambi di idee; e debbo notare che questa Associazione, nel momento presente, rappresenta tutta la categoria. Ciò dovevo precisare, per quanto riguarda le informazioni da me fornite agli interessati.

E veniamo al Consiglio dei Ministri. Onorevole Codignola, mi spiace per lei, ma è molto male informato. La questione del Consiglio Superiore è stata discussa non una sola volta, ma due volte: infatti da un Consiglio è stata rinviata ad un altro, ed è stata esaminata nel frattempo da una Commissione composta da me e dal Ministro Einaudi, dal Ministro Del Vecchio e dal Ministro Segni, cioè da tre illustri esperti della scuola. E in una riunione conclusiva del Consiglio dei Ministri è stato definitivamente approvato il provvedimento. Ad ogni modo queste sono procedure interne al corpo deliberante, che non possono essere sottoposte a sindacato; ma, se si vuole sindacare anche questo, debbo dire che anche qui si è proceduto con massima legalità e con massima regolarità. Il 30 giugno il Capo dello Stato ha firmato il decreto, decreto che è stato reso noto dalla radio e, mediante un comunicato ministeriale, dalla stampa. Registrato dalla Corte dei conti il 9 luglio, il decreto legislativo è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’11 luglio.

Si capisce che, riconosciuta la massima urgenza per il decreto istitutivo del Consiglio Superiore, ne derivava una certa urgenza anche per le norme relative alle elezioni. A questo proposito devo ribadire un punto: forse non era presente l’onorevole Codignola, quando ho chiarito (in sede di discussione della interpellanza dell’onorevole Calamandrei) che se è vero che sono state date disposizioni per le elezioni il 1° luglio, cioè quando il decreto non era stato ancora pubblicato, è anche vero che questa è la normale procedura, che si usa seguire, quando un provvedimento è – come si suol dire – «in corso di pubblicazione». In questa fase si predispone la disciplina di atti, i quali si effettuano non prima, ma dopo la pubblicazione. È un procedimento normalissimo, perché si predispongono norme per atti, che non hanno esecuzione prima della pubblicazione. Ripeto che l’urgenza delle norme sulle elezioni è in istretto rapporto con l’urgenza della costituzione dell’organo.

Si dice che si son volute strozzare o addomesticare le elezioni. Se tale fosse stata la nostra intenzione, non avremmo comunicato a tutti le norme per le elezioni, prima ancora che il provvedimento istitutivo del Consiglio Superiore fosse pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

È questo un caso in cui la burocrazia deve essere elogiata; non trattandosi di una questione di aumento di spese, si è potuto procedere con una certa rapidità. Anche se si dovevano attendere i famosi quindici giorni – assolutamente non richiesti, perché il decreto entrava in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione – pure l’intervallo di quindici giorni c’era, come ho già rilevato.

Si aggiunge: si poteva mantenere in vita il Consiglio Superiore dimissionario. Questa è un’altra richiesta, che mi è stata presentata stamane, ed alla quale ora rispondo. Le soluzioni possibili, come dicevo, rispondendo all’onorevole Calamandrei, erano tre:

1°) si poteva mantenere in vita il Consiglio, come era, qualora i membri dimissionari avessero accettato di continuare nella loro cooperazione;

2°) alcune delle fondamentali attribuzioni del Consiglio Superiore potevano essere assunte dal Ministro: (evidentemente non ho voluto esagerare nell’usare di queste facoltà);

3°) potevo – e la legge me ne dava la facoltà – nominare ventitré nuovi membri che avrebbero preso il posto dei ventitré membri dimissionari. Chiunque nominassi, le mie nomine indubbiamente sarebbero state interpretate come un’opera di clericalizzazione del Consiglio Superiore: lo ha detto l’onorevole Codignola.

A proposito dei sei membri di nomina ministeriale, dei quali ha parlato l’onorevole Codignola, mi permetto di osservare all’onorevole Codignola stesso che, fra le poche nomine di rilievo da me direttamente promosse, ci sono quelle della famosa Commissione «clandestina» per l’inchiesta nazionale sulla riforma della scuola. Ora, l’onorevole Codignola deve sapere che questa commissione, da me nominata, non comprende neppure un mio amico politico, neppure un membro del mio partito. (Interruzioni – Commenti).

Voci al centro. Male! Male!

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Comunque, il mio desiderio di mantenere in vita il vecchio Consiglio Superiore lo ho confermato in maniera chiara con un provvedimento legislativo.

Lei sa bene, onorevole Codignola, che il Consiglio scadeva il 16 ottobre 1946. Ora, il 15 ottobre, su espresso desiderio del Consiglio stesso, io ho provveduto, con un immediato provvedimento legislativo, a mantenere in vita per un altro anno il Consiglio Superiore. Infatti, il decreto 15 ottobre 1946, approvato per mia iniziativa, dice: «Il Consiglio Superiore della pubblica istruzione, così come è attualmente composto, durerà in carica fino a nuova disposizione, e, comunque, non oltre il 16 ottobre 1947».

Quindi, la prova della buona volontà mi pare che, da parte mia non era mancata. Se ad un certo momento l’organismo è venuto meno, esso è venuto meno, perché ci sono state le dimissioni, le quali potevano essere anche ritirate.

Si poteva facilmente riparare alle vacanze in seno all’organismo, se queste dimissioni fossero state delle iniziative individuali, se, cioè, ci fosse stata la possibilità di svolgere un’opera di chiarificazione presso i singoli membri dimissionari; ma siccome queste dimissioni furono date in seguito alla diffusione fra i membri, di una circolare, con la quale venivano invitati a dimettersi, vi era la prova che si trattava di un’organizzazione, con le caratteristiche di un’azione concordata, di fronte alla quale ho creduto opportuno di prendere atto delle dimissioni stesse.

Vi è ad ogni modo l’articolo 25 della legge istitutiva del nuovo Consiglio Superiore, il quale dice: «Ogni altra disposizione contraria al presente decreto è abrogata». Ora, siccome il decreto del 15 ottobre precisava che: «Il Consiglio Superiore della pubblica istruzione, così come è attualmente composto, durerà in carica fino a nuove disposizioni», questo articolo 25 è appunto la nuova disposizione, che pone termine alla vita del Consiglio stesso.

Ma l’onorevole Bernini mi ricorda il ne varietur in materia scolastica di cui parlò il Presidente De Gasperi. Egli è un egregio professore di latino, e quindi prendo nella dovuta considerazione queste due parole. Dunque, il ne varietur, dove è andato a finire? Gli rispondo che, quando il Presidente annunciava quella formula dell’allora Governo tripartito, non era possibile prevedere che ventitré membri del Consiglio Superiore della pubblica istruzione si sarebbero dimessi: la violazione del ne varietur si deve dunque eventualmente ricercare in questa nuova presa di posizione di membri del Consiglio Superiore, presa di posizione, la quale portava alla logica conseguenza di istituire un Consiglio Superiore, appunto per non variare, perché, se si fosse rimasti in una situazione di vacanza di questo organo consultivo, con la vacanza e con la conseguente assenza di un controllo del Ministro ci sarebbe stata veramente una variazione sostanziale.

Ma – egli aggiunge – perché avete variata la legge?

L’abbiamo variata – e ciò risulta da documenti, che tengo a disposizione dell’onorevole Bernini e di qualsiasi altro membro dell’assemblea – perché in senso favorevole alle variazioni attuate si sono espressi i voti delle associazioni nazionali e locali rappresentative delle categorie di insegnanti, le aspirazioni dei quali era pur necessario tener presente.

Poi lei sa, onorevole Bernini, che ogni giorno si impone, per così dire, un nuovo stato di fatto, il quale può suggerire l’opportunità di introdurre modificazioni normative. Così è di recente avvenuto per quanto riguarda le leggi relative ai concorsi per i provveditori e i docenti dei vari ordini di scuole. Tali leggi hanno dovuto infatti subire modificazioni, anche perché varie categorie dei reduci, avanzando richieste riconosciute legittime pure dall’onorevole Bernini – quando egli era Sottosegretario alla pubblica istruzione – aspiravano ad ottenere dei giusti riconoscimenti. Perché, dunque, quando nuove circostanze inderogabili si impongano, non si dovrebbero modificare le disposizioni?

L’onorevole Codignola osserva: non offre garanzie democratiche questo Consiglio Superiore, perché è scarsamente rappresentativo. Ebbene, rispondo che non è esatto che nel Consiglio Superiore costituito secondo la legge del 1944 tutti i membri fossero elettivi, perché, come l’interpellante stesso ricorda, c’erano membri di nomina ministeriale su designazione delle categorie, oltre i cooptati. Di fatto, né durante né dopo il fascismo, si ebbero finora elezioni, e credo di non commettere un’indiscrezione, se dico che, prima di concludere l’elaborazione di questo decreto legislativo, ho voluto sentire il cortesissimo ed illuminato parere del professore De Ruggiero, il quale è stato con me concorde nell’ammettere che si doveva addivenire ad una revisione di quella che pure era una sua legge, al cui mantenimento – non fosse altro che per amor proprio – avrebbe pur dovuto tenere. Egli invece mi disse: è opportuno rivedere la legge. Quindi il principio della revisione della legge è stato accettato, cordialmente e simpaticamente, perfino da colui che era stato l’autore della legge stessa.

Nella nuova legge, trenta sono gli eletti, sedici sono i nominati; e, ripeto, i nominanti a motivo della loro funzione, in gran parte appartengono all’amministrazione centrale e periferica. Si prevede la nomina semplicemente perché non sembra opportuno introdurre il delicatissimo sistema elettorale anche nella cerchia delle varie categorie dei funzionari.

Perché non si sono previste le elezioni anche nelle scuole non statali? Questo interrogativo mi ha posto l’onorevole Codignola. Si immagini l’onorevole Codignola che cosa sarebbe successo, se io avessi proposto di porre la scuola non statale sullo stesso piano delle scuole statali, e avessi indetto anche in quella elezioni! Immagino quale pioggia di interpellanze sarebbe caduta sul mio capo! Ad ogni modo rispondo che per una ragione molto semplice non si sono predisposte elezioni nelle scuole private: la ragione è che nelle scuole pubbliche votano esclusivamente i professori di ruolo, e che nelle scuole non statali non c’è alcun professore che possa rigorosamente essere considerato di ruolo. Se nelle scuole private fosse stata introdotta l’elezione, si sarebbe avuta questa situazione assurda: nelle scuole pubbliche non avrebbero votato i professori che non sono di ruolo, mentre nelle scuole non statali avrebbero votato i professori non di ruolo. Lei vede che basta questa considerazione, per escludere l’opportunità di indire le elezioni in seno alla scuola non statale.

Mi dispiace che l’onorevole Bernini abbia detto che nella seconda e terza Sezione vi è un’«intrusione» di elementi universitari. Io credo che i professori medi e i maestri eletti non considereranno un’intrusione la presenza di tre professori universitari – che mi auguro siano i loro maestri – i cui consigli saranno ascoltati e seguiti. Comunque, malgrado questa che egli definisce «intrusione», resta il fatto che, sia nella Sezione media sia nella Sezione elementare, la maggioranza è di professori medi e di maestri elementari. Gli universitari, poi, non sono quattro, come qui si osserva, ma tre, perché – come dice la legge – ha funzione di Presidente uno degli universitari già membri della Sezione media o elementare.

E veniamo alle Giunte del Consiglio Superiore. Le Giunte sono costituite con un criterio di parità. Al fine di eliminare anche l’impressione di una inferiorità di dignità della Sezione delle secondarie e della Sezione delle elementari, si è stabilito che ogni Giunta sia composta di un uguale numero di membri: dodici membri la Giunta per le Università, dodici quella per le scuole secondarie, e dodici quella per le scuole elementari. Si è qui raggiunta la parità di rappresentanza; proprio quella parità, che desiderano gli onorevoli interpellanti. Naturalmente, se la Sezione delle scuole medie e la Sezione delle scuole elementari è composta di dodici membri, è evidente che la Giunta coincide con la Sezione stessa. Io non trovo in ciò niente di anormale: si semplificano le cose. Si capisce che i membri della Sezione partecipano ad ogni riunione plenaria come membri del Consiglio.

Ultima questione, e spero di aver finito. È la questione più grave, a detta dell’onorevole Bernini: si puniscono – egli dice – quelli che non votano.

È qui in questione un principio, che è già stato accolto per la democratica elezione di questa Assemblea; cioè l’esercizio del voto (non il voto) è un obbligo. Così dice la democratica legge elettorale della Costituente. Non voglio ora addentrarmi nella grave questione della natura morale, civica o politica, di questa obbligazione. Quello che a me preme mettere in rilievo, è che l’ordinanza ministeriale non prevede per l’inadempienza alcuna sanzione penale.

CODIGNOLA. È penale.

TONELLO. Altro che penale!

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Vedremo. Si sa che vi è un diritto al voto, ma vi è anche un dovere; il dovere dell’educatore di contribuire alla costituzione di questo che è l’organo consultivo supremo della pubblica istruzione. Perché posso sostenere che non furono stabilite vere e proprie sanzioni per l’inadempienza di questo dovere? Perché l’ordinanza dice: «Le autorità competenti terranno conto nelle note informative della mancata partecipazione al voto da parte di Capi-istituto e di insegnanti». (Commenti e rumori a sinistra).

Che cosa vuol dire «terranno conto»? Non è scritto che la mancata partecipazione al voto importi una punizione, come ha detto l’onorevole Bernini. E sa perché? Permettetemi che attiri la vostra attenzione anche sulla formula che, nell’ordinanza sulle elezioni, viene immediatamente dopo la predetta formula, e precisamente sull’articolo 25, il quale dice: «Coloro che voteranno o cercheranno di votare due o più volte, saranno sottoposti agli organi disciplinari per l’applicazione delle sanzioni». (Commenti a sinistra).

Qui è molto chiara la distinzione fra quando si è voluto introdurre una sanzione punitiva (come nel caso di un voto fraudolentemente ripetuto) e quando si è voluto semplicemente dire che «si tiene conto» (come nel caso della mancata votazione).

Ed, a calmare la loro indignazione, invito gli onorevoli interpellanti a tener presente che cosa sono le note informative, nelle quali si tiene conto della mancata partecipazione al voto. Non so se tutti sappiano che nelle note informative si tiene conto dei giorni di assenza degli insegnanti, e, sempre nelle note, si dice se l’assenza è giustificata o ingiustificata. Ora, se si tiene conto dell’assenza dalle lezioni, non vedo quale profonda differenza ci sia rispetto al tener conto dell’assenza da un’operazione, che, in fondo, s’inquadra nel complesso dei doveri scolastici ed educativi dell’insegnante. Si tiene conto, per esempio, della sua partecipazione all’attività della biblioteca, dei gabinetti, ecc., nonché di altre attività, che sono semplicemente parascolastiche. Ciò premesso, non vedo perché non si possa tener conto anche della partecipazione dell’insegnante all’elezione dei suoi rappresentanti in un organo, che è organo della scuola stessa; d’altra parte – e su questo insisto – al «tener conto» (fatto puramente constatativo) non è specificatamente aggiunta alcuna sanzione, sanzione, che invece è prevista per l’altro caso citato, cioè per l’eventuale e abusivo voto multiplo.

Così chiarite le cose, deve ad ogni modo apparire molto evidente che, anche se si fosse esagerato, questa esagerazione confermerebbe a fortiori che non si volevano fare i pasticci in casa con elezioni addomesticate fra gli amici, ma si voleva fare proprio il contrario, cioè allargare il più possibile il corpo elettorale, rendere proprio per tutti più impegnativo e cosciente l’esercizio del diritto di voto. (Applausi al centro).

Quindi, se avevo bisogno di un argomento decisivo per rispondere alle critiche su una presunta votazione addomesticata, questo argomento mi è proprio offerto dalla norma che stabiliva di tener conto dei non votanti, poiché il fine evidente di tale norma non poteva essere altro che quello di allargare al massimo il corpo elettorale, di non guardare in faccia nessuno, di desiderare solo libere elezioni su larga base. Impegnare a votare non significa togliere la libertà di scegliere per chi votare, libertà che resta integra.

Ma – aggiungono gli onorevoli Bernini e Codignola – non vi sono garanzie di serietà del voto.

Io dovrei rifarmi ai precedenti di queste procedure, e dovrei dire che per le Università abbiamo seguito, tale e quale, la procedura elettiva per la formazione delle commissioni giudicatrici dei concorsi universitari. Queste elezioni sono avvenute varie volte, e non hanno dato luogo ad alcun inconveniente. Per determinare il sistema elettivo da adottarsi nelle scuole medie ed elementari, abbiamo ricercato negli archivi del Ministero le norme che venivano seguite quando vi erano membri elettivi nel Consiglio Superiore e, più o meno, le disposizioni dell’ordinanza ministeriale sono ricalcate sulla falsa riga delle norme in vigore nell’epoca prefascista.

Perciò credo che non dobbiamo fare una offesa gratuita ai provveditori, ai capi d’istituto, ai presidi e ai direttori didattici (cioè agli organi locali e tecnici della scuola incaricati di dirigere e controllare le operazioni elettorali), pensando che essi si possano prestare a brogli. D’altra parte tutto il sistema elettivo è ben controllato, perché anche i possibili inconvenienti prospettati dall’onorevole Codignola sono stati previsti, e si è cercato di porvi riparo, in quanto che dopo aver fatto lo scrutinio locale, i provveditori mandano al Ministero insieme coi verbali dello spoglio delle votazioni anche le liste di coloro che hanno votato. Sicché, nella prospettata ipotesi di quel tal professore di Bari, che votasse a Bari e a Roma, c’è la possibilità per il Ministero di controllare il voto doppio, possibilità, che non avrebbe di per sé il provveditore di Bari o di Roma.

Si fa infine la questione della rappresentanza delle maggioranze e delle minoranze. Si capisce che, se si trattasse di una votazione politica, di una lotta fra partiti o correnti politiche, il problema della rappresentanza della maggioranza e della minoranza avrebbe un maggior rilievo. Noi riteniamo utile seguire il sistema già in uso nelle elezioni universitarie, e generalmente in uso – almeno che io sappia – nelle elezioni dei membri di organismi tecnici di questo genere. Le questioni poi relative alla propaganda elettorale non interessano il Ministero. Questo detta le norme relative al sistema elettivo, ed ha, oltre il diritto, anche il dovere di disinteressarsi della propaganda che possono fare le associazioni sindacali e i gruppi di professori al di fuori della scuola. Noi ci rivolgiamo con le nostre circolari non ai propagandisti, ma ai provveditori ed ai capi-istituto. E che i professori finiscano per votare – come qui si è detto – il primo nome che capita, penso che non corrisponda a verità, perché penso che i nostri educatori abbiano la chiara coscienza del loro preciso dovere di inviare loro degni rappresentanti in questo supremo organo consultivo e rappresentativo della scuola. Sono certo perciò che non si ridurranno – come qui si è affermato – al misero espediente di votare il primo nome che verrà loro in mente.

Ed ho finito. Mi limito a ribadire l’inopportunità di prorogare la elezione del Consiglio Superiore per tutti i motivi che ho esposti, che ritengo siano obiettivi, e che avevo già illustrati rispondendo all’interpellanza dell’onorevole Calamandrei. Non mi sembra che contro questi motivi siano state avanzate argomentazioni tali da farmi abbandonare la linea prescelta.

Che il vecchio Consiglio rimanga in carica è difficile, dato l’atteggiamento di coalizione dimissionaria, che ha assunto una parte del Consiglio Superiore. Non è opportuno prospettare la proroga della elezione, perché nei mesi di agosto e di settembre le scuole sono chiuse, e dovremmo rinviare le elezioni a fine ottobre, sicché lo spoglio elettorale avverrebbe in novembre, con grave pregiudizio per la soluzione di urgenti problemi.

Non ho detto – come mi si fa dire – che la maggioranza dei professori alla fine di luglio siano in scuola; ho detto che è aperta la maggioranza delle scuole, poiché, anche se non ci sono tutti i professori, ci sono le Commissioni per gli esami di abilitazione e di maturità. Comunque, come è noto, e l’ho ricordato stamane, i professori possono votare fuori sede, nel luogo in cui si trovano. Quindi l’esercizio del voto non è difficile e non comporta sacrifici da parte dell’elettore.

Devo perciò concludere, ribadendo l’opportunità che la elezione del nuovo Consiglio Superiore avvenga nei termini fissati dalla legge e dalle circolari ministeriali. (Applausi al centro).

Presentazione di un disegno di legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro degli affari esteri ha chiesto di parlare per la presentazione di un disegno di legge. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare alla Camera il seguente disegno di legge: «Approvazione dello scambio di note effettuato in Roma, tra l’Italia e la Francia il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane».

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro degli affari esteri della presentazione di questo disegno di legge. Sarà inviato alla Commissione competente.

Si riprende la discussione sullo svolgimento di interpellanze.

PRESIDENTE. L’onorevole Bernini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BERNINI. Onorevoli colleghi, la risposta dell’onorevole Ministro della pubblica istruzione mi pone veramente in un gravissimo imbarazzo; perché, se io dovessi rispondere punto per punto a tutto quello che egli ha detto, egregi colleghi, noi dovremmo fare le ultime ore del pomeriggio. Io mi limiterò a dire che l’onorevole signor Ministro non ha tenuto conto quasi per nulla di quello che ho detto. Lo capisco, egli aveva già preparato il suo discorso.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Lei l’aveva scritto, io no. (Commenti).

BERNINI. Io l’avevo scritto perché ci penso sempre molto a ciò che devo dire. Ripeto, onorevole Ministro, lei mi costringe ad esemplificare. Lei non ha risposto affatto a quello che è stato l’inizio del mio modesto discorso. Io ho affermato che, quando si bandiscono le elezioni, se le elezioni debbono essere sincere, bisogna porre il corpo elettorale in condizione di poter votare. Ho dimostrato, anche con i dati, che il corpo elettorale non potrà votare a distanza, avendo saputo solo il 10 luglio che esso doveva votare. Osserverò ancora, dato che io non posso fermarmi a confutare tutto quello che egli ha detto, che tutto il suo discorso ha peccato soprattutto di quello che i grammatici chiamano il difetto di preterizione, cioè di omissione. Il signor Ministro ha detto, ma nello stesso tempo non ha detto: ha detto quello che gli pareva utile dire ed ha omesso tutto quello che gli pareva utile omettere.

Mi trovo in imbarazzo, anche perché dopoa di me dovrà parlare il mio collega ed amico l’onorevole Codignola; e non vorrei che c’ingolfassimo nell’esposizione dei medesimi argomenti.

Quindi mi limiterò a due punti. Avevo rivolto al Ministro due domande: a nessuna di queste due domande precise il signor Ministro ha risposto. Ad una ha risposto con una scappatoia, alla seconda non ha neppure accennato. Io gli avevo domandato se è vero che dal Ministero della pubblica istruzione è partita una lettera o una circolare, indirizzata ai provveditori agli studi, in cui s’invitava a indagare sopra l’attività politica passata, presente ed anche futura di cittadini proposti a far parte dei Consigli scolastici.

Lei non ha risposto, signor Ministro. Ora mi permetto ancora di insistere su questa domanda. Il signor Ministro non risponde; risponderò io per lui. Il 14 marzo 1947, con numero di protocollo 1303, è partita dal Ministero, a firma del direttore generale della istruzione elementare, una lettera.

Se credete, darò lettura dei termini principali.

BERTOLA. È poca delicatezza che un ex Sottosegretario sveli certe cose, anche se sono vere.

TONELLO. Fa molto bene.

BERTOLA. Mi stupisce altamente.

TONELLO. Noi non abbiamo confessionali.

BERNINI. Il Ministro prima è stato invitato a rispondere se è vero o non è vero. Poi risponderò alla censura.

La lettera è questa:

«Si prega di far conoscere – presi gli opportuni accordi con codesta Prefettura – se le persone segnalate nella nota cui si risponde, per la scelta, da parte di questo Ministero, del membro del Consiglio scolastico provinciale particolarmente competente nei problemi della scuola elementare, svolgano od abbiano svolto attività politica, ed eventualmente in quale partito. Analoga informazione la signoria vostra si compiacerà di dare anche nei riguardi degli ultimi quattro membri, di cui all’articolo 2 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 55, facendo altresì conoscere se Ella abbia osservazioni da far presente al Ministero, in merito alle segnalazioni pervenute dagli organi competenti».

TONELLO. Ufficio spionaggio si vogliono far divenire i provveditorati!

BERNINI. Non ho finito. La lettera fu trasmessa al provveditore agli studi di Pescara a fu trasmessa a molti altri provveditori agli studi. Alcuni di essi risposero onestamente in questo senso: che erano stati scelti uomini non per ragioni politiche, ma perché competenti. Il Ministro depennò questi nomi (il Ministro o chi per lui) e ne mise altri.

Alcuni provveditori onestamente replicarono che questi non risultavano competenti. Malgrado ciò, costoro furono riconfermati nella funzione. E il Ministro ha il coraggio di parlare di consessi di carattere tecnico!

E lei, onorevole Ministro, non ha risposto nemmeno alla seconda domanda. Io l’avevo pregata di dirmi quante parificazioni ha fatto quest’anno. Lei si è rifugiato in una modesta scappatoia. Ma perché rispondere così? Vuole che risponda io? Lei, se era così sicuro di se stesso, doveva dire: «Ma io glie lo dico subito; non ho niente da nascondere».

Lo dirò io. Lei ha fatto 303 parificazioni. (Commenti). 303 parificazioni di scuole e di classi. Mi pare che sia un discreto numero.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Troppo poche.

Una voce al centro. Molto bene.

BERNINI. Ripeto, io non posso soffermarmi in nessun altro punto.

Io avevo prevenuto il signor Ministro in quella che sarebbe stata la sua giustificazione della punizione per i non votanti. Io avevo detto: «Non adotti questa giustificazione» ed invece il Ministro l’ha voluta adottare. Si dice ad un direttore, ad un ispettore scolastico, ad un provveditore «se quel tale non vota, tenetene conto». Signor Ministro, per lei, questa è la medesima cosa che tener conto dei giorni di assenza dell’insegnante. Se questo, signor Ministro, le sembra un argomento, se lo tenga, però non persuaderà nessuno, neppure quelli dell’altra parte.

Ed ora lei mi ha risposto che non intende di rinviare le elezioni. Lei ha detto l’argomento, che pure io avevo già previsto, che il corpo del Consiglio superiore è uno e non si può dividere. Io le rispondo con l’articolo 2 del suo testo di legge. Il Consiglio superiore della pubblica istruzione funziona normalmente per sezioni. Quando si dice che funziona normalmente…

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Bisogna che ci sia, per funzionare!

BERNINI. Con un po’ di buona volontà, ella avrebbe potuto benissimo rimandare le elezioni per la seconda e terza sezione. Non l’ha voluto fare. E così sia!

Ogni insegnante – e questo io non lo dico solo a questa Assemblea, ma lo dico a tutti i miei colleghi d’Italia, maestri e professori, a tutti quelli che leggeranno domani il resoconto di queste mie parole, che non valgono che per il sentimento di libertà e di giustizia da cui sono ispirate – si regolerà secondo la sua coscienza. Ci sarà, signor Ministro, chi si rifiuterà di votare, rifiutandosi di obbedire ad un ordine incostituzionale ed iniquo (Rumori), un ordine che, oltre il resto, non viene neanche da un decreto-legge, ma viene addirittura da una ordinanza ministeriale.

Si vedrà poi se esiste in Italia un’autorità superiore, un organo superiore, il quale riconfermi che si può stabilire questo voto obbligatorio con una ordinanza ministeriale, e si vedrà se questo organo potrà dare ragione a lei o a noi. Ci sarà anche chi voterà scheda bianca. Non si illuda, signor Ministro: chi voterà scheda bianca voterà contro il suo provvedimento. Ci sarà chi voterà il primo nome che capita. Un povero maestro, che non ha contatti con nessuno, per chi dovrà votare se non gli arriverà l’elenco della democrazia cristiana? (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

UBERTI. Gli arriva il suo discorso!

BERNINI. Ci sarà chi voterà i nomi suggeritigli, con molta riservatezza, e che si trovano negli elenchi che girano di casa in casa e di parrocchia in parrocchia, per non mettersi contro colui che desidera si voti in quel modo. (Rumori al centro).

Ma, comunque, dato che le preghiere e le persuasioni non sono valse a niente, dato che gli argomenti che abbiamo portato qui non hanno potuta convincerla, dobbiamo dirle che noi facciamo nostro il deliberato di quel Sindacato della scuola media, diretto da uomini di tutti i partiti ed in maggioranza da uomini della Democrazia cristiana. Il Sindacato ha votato un ordine del giorno, col quale ha chiesto il rinvio delle elezioni. Se ciò non avvenisse, ne riterrebbe provvisori i risultati, in quanto non derivanti da adeguata preparazione.

Noi facciamo nostro questo ordine del giorno del Sindacato professori. Qualunque sia il risultato di queste elezioni, noi lo considereremo spurio e provvisorio. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CODIGNOLA. Onorevoli colleghi, nel mio primo intervento, io mi limitai ad indicazioni di carattere tecnico; mi limiterò, in questo secondo intervento, a rispondere ad alcune osservazioni del Ministro, riservandomi, infine, di accennare al problema di politica scolastica.

L’onorevole Gonella ha dichiarato che il Consiglio superiore è organo soltanto consultivo, e non giurisdizionale; e che quindi non può ad esso applicarsi quella norma di legge, che riguarda il Consiglio di Stato in sede consultiva. Rispondo che quella disposizione dice esplicitamente che essa riguarda anche le funzioni consultive del Consiglio di Stato; ed essa è stata successivamente interpretata nel senso di applicarsi a tutti gli organi consultivi dello Stato. E l’onorevole Gonella dovrà convenire che, per lo meno per il Consiglio superiore delle miniere, tale procedura è stata adottata non più tardi di alcuni mesi fa.

Né vi erano ragioni di massima urgenza, perché il vecchio Consiglio superiore, come ben ha detto l’onorevole Calamandrei, poteva benissimo essere richiamato in vita in via provvisoria, per affrontare i problemi universitari più urgenti. L’onorevole Gonella non ha ritenuto non dico suo dovere, ma suo obbligo di cortesia, rispondere ai membri dimissionari, neppure con un biglietto, neppure chiedendo loro se fossero disposti a collaborare ancora per uno o due mesi, per il bene della scuola, in modo da far fronte ai problemi più urgenti.

UBERTI. Non dovevano dare le dimissioni. (Interruzioni a sinistra).

CODIGNOLA. L’onorevole Gonella poteva benissimo mantener fermo il vecchio ordinamento, e provvedere alla sostituzione dei membri dimissionari, sostituzione che poteva essere fatta esclusivamente per l’ordine universitario, anche per via elettiva. In base al decreto De Ruggiero, non c’era bisogno, che questi nuovi membri li nominasse lui, perché tale decreto prevede, in via generale, il sistema elettivo; e soltanto in via provvisoria il Ministro De Ruggiero li aveva dovuti personalmente nominare; sicché quel decreto lasciava pienamente aperta la possibilità che si ricostituissero regolari organi elettivi.

Se quindi l’onorevole Gonella non voleva seguire la via di invitare i dimissionari a restare fino alla normale scadenza del termine, avrebbe potuto indire le elezioni per le sole università; e tutto ciò senza modificare in nulla l’attuale struttura del Consiglio superiore.

Obbligatorietà del voto: ancora due parole su questo argomento. Poiché l’onorevole Gonella ha mostrato qualche dubbio sul valore da attribuirsi all’espressione «tener conto», vorrei ricordare agli onorevoli colleghi che in altri tempi, in quei tempi in cui l’onorevole Gonella svolgeva insieme con noi una azione politica di natura antifascista, il Ministro della istruzione di allora diramò una circolare che prescriveva di tenere conto – nella compilazione delle note di qualifica degli insegnanti – della collaborazione prestata alla Gil (Rumori al centro), e dell’atteggiamento degli insegnanti nei riguardi delle manifestazioni del Governo nazionale.

Il «tener conto» adottato nelle circolari dei Ministri fascisti aveva un significato chiaro; era un bollo d’infamia che si voleva imporre sulla cartella dell’insegnante per l’avvenire. Non vorrei che questa medesima politica venisse adottata oggi in altra forma, per gli insegnanti che si rifiutino di votare, ché vi saranno certamente degli insegnanti medi ed elementari i quali, nonostante la loro miseria, conservano una dignità e, per non votare per la lista cattolica, si rifiuteranno di votare. Perché, ed è questo che io voglio ancora sottolineare, il metodo della votazione è antidemocratico e il decreto è illegale. (Rumori al centro).

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Ma perché è illegale?

CODIGNOLA. Sulla illegalità del decreto altri organi saranno chiamati a giudicare. Ma io domando all’onorevole Ministro se proprio agli insegnanti, che sapranno dimostrare di possedere questa dignità, egli ritenga giusto di applicare una sanzione.

GONELLA. Ministro della pubblica istruzione. Ma ho già detto che non è una sanzione!

CODIGNOLA. Non credo che sia utile continuare a discutere sull’aspetto tecnico della questione, anche perché lo stesso onorevole Gonella ha dimostrato di non desiderare che codesto aspetto venga approfondito.

Passerò invece all’aspetto politico che, finora, avevo trascurato. Mi è stato chiesto, un momento fa, da un collega democratico cristiano: «Perché si sono dimessi i membri del Consiglio superiore?». Debbo far notare che fra questi membri figurano uomini eminenti, di chiara fama, tra i quali l’onorevole Colonnetti, il professor Jemolo, che non appartengono certamente alla nostra parte. Perché alla base di tutto questo, onorevole Gonella, al di là della questione del Consiglio superiore, sta una preoccupazione più generale, che già rilevammo quando parlavamo del problema della scuola in sede costituzionale, una preoccupazione che pare ella faccia tutto quello che può per renderla più grave. Questa preoccupazione, questa impressione, che non è soltanto in noi, uomini politici di sinistra, ma in gran parte del Paese che si occupa di queste cose, soprattutto negli uomini della scuola, è che al Ministero della pubblica istruzione non vi siano più garanzie, e non si sia quindi più sicuri dell’avvenire della scuola. (Commenti al centro).

Noi stiamo in questo momento discutendo sul problema del Consiglio superiore. Ma vuole l’onorevole Gonella assumere un atteggiamento tale, ogni volta che si tratti di problemi scolastici di così ampia risonanza, da indurci a richiedere un’inchiesta generale sulla scuola? Se lo crede, possiamo anche farlo: e non mancherebbero le occasioni. Vi è, per esempio, il problema del funzionamento della segreteria particolare del Ministro (Commenti a sinistra), che sarebbe bene venisse discussa in questa Assemblea; vi è il problema delle parificazioni; vi è il problema della riforma della scuola, affidata a quel signor Severi, che ci è noto come largamente compromesso col regime fascista. (Commenti al centro). Vi è il problema dei trasferimenti arbitrari dei provveditori agli studi, per cui sono stati mandati via provveditori che avevano dietro di sé un passato magnifico di resistenza al regime e di eccezionale competenza, per sostituirli con uomini che potrebbero essere ampiamente discussi. Vi è una sua circolare a carattere nettamente poliziesco, circa le lezioni private, per cui si richiede la denuncia dei parenti dei professori, fino al quarto grado, che facciano lezioni private.

Vi è il problema del modo con cui vengono fatti gli esami di Stato. Noi diamo atto all’onorevole Gonella del tentativo da lui fatto di regolare in qualche modo la questione dell’esame di Stato nel suo insieme, ma non siamo affatto sodisfatti del modo concreto con cui questa intenzione si è messa in atto.

Vi è il caso del riconoscimento dei titoli di studio agli studenti delle scuole Salesiane di Egitto, al contrario di quello che si è fatto per le scuole italiane in Isvizzera.

Sono tutte questioni che meritano una considerazione. Del resto, io ho voluto fare soltanto un accenno a queste questioni, e non sono stato ispirato da sentimenti di partito o animato da spirito di faziosità. Ho posto dei problemi tecnici… (Interruzioni – Commenti al centro).

FUSCHINI. Questa non è una discussione di interpellanza: l’interpellanza ha un argomento determinato.

TONELLO. Noi abbiamo il dovere di giudicare e di denunciare i fatti.

CODIGNOLA. Questo problema della scuola, dicevo, non deve dividere il Paese politicamente; è un problema che deve unirci, non disunirci. Perciò bisogna risolvere queste questioni di comune accordo. L’onorevole Gonella, ogni volta che gli segnaliamo qualche cosa, si alza nelle spalle e dice che non c’è nulla da modificare a quello che si è fatto e che si chiede di rivedere. Ma l’Assemblea Costituente ha pur qualche potere, ha qualche cosa da dire e questo diritto non le si può contestare.

Tutto questo vi dico con assoluta sincerità, e, ripeto, senza spirito di faziosità o interesse di partito. Io non posso non ricordare quanto il Ministro Gonella ha fatto durante il periodo della resistenza, particolarmente per noi giovani; ma ad un certo momento ci siamo veduti costretti a domandare: al Ministero della pubblica istruzione c’è ancora quell’antifascista di cui abbiamo letto per anni gli scritti sull’Osservatore Romano? O c’è forse oggi accanto a lui qualcuno che rende tanto criticabile questo governo della scuola?

È per tutto questo che noi ci dichiariamo non sodisfatti della risposta che ci ha dato l’onorevole Gonella. Ed a questo riguardo io mi riservo di trasformare l’interpellanza in mozione, affinché la discussione possa diventare la più ampia possibile: l’Assemblea Costituente non intende lasciare da parte questo che è uno dei problemi fondamentali della ricostruzione del Paese. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. E così esaurito lo svolgimento delle interpellanze.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: «Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio».

Si riprende l’esame del disegno di legge all’articolo 57. Se ne dia lettura nel testo governativo accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I contribuenti che impediscono ai funzionari ed ai Collegi giudicanti l’esercizio delle facoltà indicate all’articolo 44 sono soggetti alla pena pecuniaria da lire 2000 a lire 250.000.

«Coloro che, richiesti di presentare atti o fornire notizie a termine dell’articolo 44, vi si rifiutino o non vi ottemperino entro il termine fissato, che non può mai essere inferiore a 30 giorni dalla data di notifica della richiesta, incorrono nella pena pecuniaria prevista nel comma precedente».

PRESIDENTE. A questo articolo non è stato presentato alcun emendamento e pertanto si intende approvato.

Si passa all’esame dell’articolo 58. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che non presenti l’inventario previsto nell’articolo 33, lettera g), o lo presenti in modo incompleto od infedele incorre nell’ammenda da lire 15.000 a lire 5.000.000».

PRESIDENTE. Anche a questo articolo non è stato presentato alcun emendamento e quindi si intende approvato nel testo governativo accettato dalla Commissione.

Si passa all’esame dell’articolo 59. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le società, associazioni ed enti che non ottemperino agli obblighi fissati dal presente decreto sono soggetti alle sanzioni non di carattere penale previste nei precedenti articoli ed i loro legali rappresentanti alle sanzioni di carattere penale.

«La società è solidalmente responsabile coi propri rappresentanti, dirigenti o funzionari del pagamento delle penalità».

PRESIDENTE. Non essendo stato presentato alcun emendamento, su questo articolo, si intende approvato nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

Si passa all’esame dell’articolo 60 (Capo XI: Privilegi e prescrizioni). Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il credito dello Stato per l’intero ammontare del tributo ha privilegio speciale su tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data di pubblicazione del presente decreto, salvi i diritti dei terzi costituiti anteriormente alla data stessa.

«È in facoltà dell’Intendenza di finanza di rinunziare, in tutto o in parte, a tale privilegio speciale per tutti gli immobili o per alcuni o parte di essi, contro prestazione, ove il resto del patrimonio non costituisca sufficiente garanzia per la riscossione del credito erariale, di garanzia riconosciuta idonea dall’Amministrazione.

«La Finanza ha, inoltre, privilegio sulla generalità dei mobili che appartengono al debitore dell’imposta al momento della riscossione. Questo privilegio è posposto a tutti i privilegi generali e speciali, di cui agli articoli 2751 e 2752 del Codice civile.

«Nei casi di esecuzione forzosa e di fallimento, la Finanza ha il diritto di esser collocata per la totalità della imposta, il cui ammontare sarà determinato con le norme dell’articolo 52».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati due emendamenti dall’onorevole Micheli, del seguente tenore:

«Dopo il secondo comma, aggiungere:

«Il privilegio stesso non prevale alle ipoteche iscritte per garanzia di mutui concessi dagli Istituti di credito fondiario e dagli enti pubblici per il raggiungimento dei fini istituzionali o per l’investimento di fondi, purché il capitale mutuato non ecceda la metà del valore accertato in via definitiva ai sensi del presente decreto.

«In via subordinata e alternativa, aggiungere in fine:

  1. a) Peraltro, in detti casi, la collocazione avverrà per la sola quota di imposta proporzionalmente corrispondente al valore di ciascun immobile, qualora tale limitazione occorra per consentire la collocazione di mutui ipotecari concessi dagli Istituti di credito fondiario e dagli enti pubblici per il raggiungimento dei fini istituzionali o per l’investimento dei fondi e purché il capitale mutuato non ecceda la metà del valore accertato in via definitiva ai sensi del presente decreto.
  2. b) Peraltro, in detti casi, la collocazione avverrà sopra metà soltanto del prezzo ricavato per ciascun immobile, qualora tale limitazione occorra per consentire la collocazione di mutui ipotecari concessi dagli Istituti di credito fondiario e dagli enti pubblici per il raggiungimento dei fini istituzionali o per l’investimento dei fondi e purché il capitale mutuato non ecceda la metà del valore accertato in via definitiva ai sensi del presente decreto».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerli.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sopra l’articolo 60 e soprattutto sopra gli opportunissimi emendamenti presentati dall’onorevole collega Micheli, il quale certamente li svilupperà in modo esauriente e perciò io parlo solo, ripeto, per richiamare l’attenzione sopra la questione che si discuterà e che è della massima importanza. Qui in quest’Aula io ho sentito più di una volta raccomandare l’intensificazione della produzione dell’agricoltura italiana, ho sentito più e più volte proclamare la necessità…

PRESIDENTE. Onorevole Pallastrelli, lei sta parlando a vuoto.

PALLASTRELLI. Onorevole Presidente, mi spiace dissentire da lei, perché quanto sto dicendo è molto attinente al tema.

PRESIDENTE. No, mi perdoni: lei parla a vuoto, perché non ha emendamenti propri e i soli che sono stati presentati a quest’articolo, quelli dell’onorevoli Micheli, non sono stati ancora svolti.

PALLASTRELLI. Ma io parlo precisamente a sostegno di essi, anzi per richiamare la viva attenzione dei colleghi sull’ordine del giorno Micheli che certo penserà lui ad illustrare. Io del resto ho finito.

Dico soltanto questo: che se non si accoglie il primo l’emendamento dell’onorevole Micheli – e vorrei fermarmi a questo, non a quelli presentati in via subordinata – cesserà la possibilità di fare del credito agrario e quindi, di conseguenza, la possibilità di fare tutti quei miglioramenti che da tutte le parti dell’Assemblea si invocano, e che anche da disposizioni di legge sono messi come un obbligo, perché questi miglioramenti devono servire a far progredire l’agricoltura e aumentare la produzione cioè il pane per il popolo.

Ho voluto richiamare l’attenzione dei colleghi sopra questo emendamento, non certo per indugiarmi a dar la dimostrazione della sua importanza, poiché questo sarà fatto in modo esauriente dall’onorevole Micheli con l’esperienza e la tecnica che egli possiede.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di parlare.

MICHELI. L’articolo 60 stabilisce il privilegio speciale a favore dello Stato sopra tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data del 28 marzo 1947, salvo i diritti anteriormente acquisiti dai terzi.

La portata vincolativa di tale disposizione è evidente. Il privilegio suddetto viene a costituire un ostacolo grave, l’ho già detto e ripetuto, alla commerciabilità dei beni immobiliari e alle operazioni di mutuo da garantirsi con prima ipoteca. L’inconveniente, la cui gravità è evidente, troverebbe un correttivo nell’istituto parziale e totale del riscatto, come ebbi occasione di spiegare più a lungo ieri, sempre che si potesse trovare una procedura la quale non ostacolasse le operazioni di vendita e di mutuo. L’attività creditizia con questo articolo viene ad avere un arresto proprio nel momento in cui il contribuente si trova nella necessità di far ricorso ai mutui, anche per procurarsi i mezzi di sodisfare il suo debito d’imposta verso l’Amministrazione finanziaria, oltre che per pensare ai lavori di ricostruzione.

Non ci dobbiamo illudere: coloro che hanno grandi quantità di liquido non sono i proprietari di immobili. Gli immobili in questi ultimi anni sono costati una quantità di quattrini a coloro che li possedevano, attraverso i vincoli, attraverso le necessità e i disastri bellici, attraverso l’aumento notevolissimo dei prezzi delle materie prime e della mano d’opera. Coloro i quali hanno grandi quantità di immobili, hanno scarsissime quantità di liquidi disponibili; e allora essi non hanno altro riparo che o vendere o contrarre dei debiti, e si rivolgono a questo scopo agli istituti appositi: agli enti che esercitano il credito immobiliare sotto le varie forme: agrario, fondiario, edilizio, di miglioramento, ecc., tutte forme queste, alcune delle quali hanno preso ultimamente un grande sviluppo perché concorrono efficacemente a quella che è la rinascita del Paese e la sua ricostruzione; nonché gli enti pubblici che sono obbligati ad investire i propri fondi, fra l’altro in mutui garantiti da prima ipoteca. Perché abbiamo anche questi, abbiamo Enti pubblici, anche non esclusivamente di credito, che in base ai loro statuti, approvati per legge, hanno questo obbligo di stabilire una parte, anche cospicua, dei loro capitali in mutui di prima ipoteca e sono seriamente preoccupati della conseguenza che può avere la formula che la proposta di legge ha adottato all’articolo 60 del decreto. La stessa Commissione permanente si è resa interprete di un tale stato di disagio generale e di questa necessità che si viene ogni giorno più aggravando ed ha proposto un emendamento al secondo comma dell’articolo, il quale emendamento consente all’Intendenza di finanza di rinunciare totalmente o parzialmente al suddetto privilegio, contro garanzie sufficienti. Ma il rimedio è inoperante per le ragioni che ho spiegato ieri, perché nelle Intendenze sono i funzionari che devono valutare le garanzie richieste, ed allora andremo incontro a perizie, a documentazioni e a perdite di tempo che finiscono col fermare tutto. Il contribuente perde la pazienza, ma non la perde l’esattore che gli manda a casa l’intimazione. E allora il contribuente è iugulato e si deve lasciare strozzare da chi, non ha obbligo di fare alcuna denuncia.

Nasce qui l’opportunità che il Governo pensi alle necessità che domani si possono determinare anche nel largo ambito della piccola, della modesta finanza. I possessori di miliardi sono fortunatamente pochi, ma tutti gli altri sono gente modesta. Non dico che siano tutti piccoli proprietari nel senso classico della parola: molte altre volte ho parlato qui a favore della piccola proprietà, che oramai è accettata anche da quelli che la combatterono; ma qui non si tratta di essa, ma della media proprietà, e specialmente di quella media proprietà di fondi rurali da bonificare o da ricostruire o da spezzettare, e della media proprietà di fabbricati per mettere a posto i quali ci vuole un occhio della testa. Oramai la proprietà edilizia è in condizioni difficili, per cui è necessario che resti aperta – anzi direi spalancata – la porta degli istituti che si occupano di credito fondiario, verso i quali abbiamo tutti fatto una grande propaganda, perché cerchino in questo periodo di rendere più facile l’accesso alle loro operazioni.

Amici miei, l’accesso, con queste disposizioni, si ferma e non si riesce a concludere più niente!

Questo stato di cose mi ha consigliato un emendamento in via principale e due emendamenti in via subordinata ed alternativa, da aggiungere in fine dell’articolo. Detti emendamenti tendono a liberare i beni per la metà del loro valore, perché, quando i beni sono gravati dallo Stato per la metà del loro valore, mi pare che esso sia a posto. Perché vuole colpire tutto? Ebbene, sono cifre talmente iperboliche che ci saranno solo in teoria. Anche nella pratica? Io non credo. Ad ogni modo, di fatto, noi abbiamo che la metà dei beni è sempre garanzia sufficiente.

Ecco perché mi sono ispirato a questo concetto: che il Governo e la Commissione tengano presente questa necessità e cerchino di liberare i beni per metà del loro valore dal privilegio speciale, nei casi in cui si tratti di mutui concessi da istituti di credito fondiario o da enti pubblici che siano obbligati di questi mutui a fare un impiego per legge. Ed ecco che attraverso questo piccolo temperamento noi riusciremo a tenere aperta questa porta a favore del piccolo contribuente, perché bisogna pure permettere ai piccoli contribuenti, che non hanno quattrini alla mano, di trovarne in modo conveniente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Ho già riferito sulle questioni prospettate dal collega Micheli. Nella legislazione 1920-22 il problema si pose e le norme sulla rinunzia dello Stato al privilegio, come le norme sul riscatto parziale, furono intese ad ovviare agli inconvenienti prospettati dall’onorevole Micheli.

Ora la Commissione, col secondo comma dell’articolo 60, ha ancora allargato i limiti della garanzia per gli Istituti di credito fondiario, ma non può andare al di là di questi limiti e non può accettare l’emendamento Micheli, non può cioè accettare una disposizione a tenore della quale il credito dello Stato sia subordinato o venga in second’ordine rispetto al credito degli Istituti fondiari. Quindi la Commissione dà parere sfavorevole all’accoglimento degli emendamenti Micheli.

Ritengo che come nell’applicazione della legge 1920-22 non sorsero inconvenienti di fatto, così ora siano sufficienti le due garanzie suddette.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro delle finanze di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Confesso che ho avuto qualche difficoltà per resistere al fascino delle argomentazioni brillanti e sottili degli onorevoli Pallastrelli e Micheli. Purtroppo la necessità della difesa dell’Erario mi impone di associarmi al Relatore nel non accogliere le argomentazioni proposte, né in linea principale né in linea subordinata.

Desidero sottolineare, come ha già fatto il Relatore, che per quanto riguarda i mutui che dovranno essere concessi in avvenire, vi è sufficiente garanzia nelle disposizioni relative al riscatto parziale e alla possibilità per l’Intendenza di finanza di liberare i cespiti dal peso del privilegio.

Per quanto riguarda i mutui passati, io credo non si possa dimenticare che in linea di fatto essi sono stati accesi da tempo se non remoto, certamente antico, mutui accordati su valore peritale, su perizie eseguite con criteri di prudenza e con uno scarto applicato sul detto valore.

Quindi, anche nell’ipotesi che sul valore di quel determinato immobile gravato da ipoteca dovesse prima insinuarsi l’imposta, protendersi la mano dell’erario, resterebbe sempre una sufficientemente larga garanzia per il mutuante che ha l’ipoteca.

È il sistema della legge del 1922, a cui spesso ci riferiamo, come volentieri ci si riferisce all’esperienza del passato.

Non ritengo che vi siano elementi per dovere abbandonare i suoi insegnamenti.

JACINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

JACINI. Volevo fare osservare, a giustificazione del mio voto favorevole all’emendamento degli onorevoli Pallastrelli e Micheli, che gli Istituti di credito agrario, specialmente quelli dipendenti dalle Casse di risparmio, per disposizione statutaria fondamentale non possono dar mutui se non su ipoteca di primo grado: quando lo Stato li previene col suo privilegio, ciò significa fermare le operazioni di credito agrario ed accrescere le difficoltà che si frappongono alla ricostruzione agraria del Paese.

Io avevo fatto presente al Ministero dell’agricoltura e delle foreste la gravità di questo problema e ne avevo avuto assicurazione che la cosa sarebbe stata studiata. Constato con dolore dalle parole dell’onorevole Ministro delle finanze che lo studio della questione non ha portato a modificare su questo punto la legge. Ora mi appello all’Assemblea perché misuri la gravità e le conseguenze di questa disposizione.

Non si tratta di conferire un privilegio a determinati istituti a danno dello Stato. Si tratta di rendere possibile, in base agli statuti tradizionali degli istituti medesimi la continuazione del credito agrario, indispensabile per la rinascita della nostra agricoltura.

LA MALFA, Relatore. C’è la possibilità di rinuncia, se ci sono garanzie.

JACINI. Quanto meno io raccomando al Ministro di studiare la possibilità che nell’accertamento si possano isolare quei determinati edifici così da consentire il riscatto dell’imposta.

LA MALFA, Relatore. C’è già.

JACINI. Non mi sembra sufficiente.

LA MALFA, Relatore. Ma come? È autorizzato, il riscatto parziale.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. Condivido le preoccupazioni dell’onorevole Micheli ma sono costretto a votare contro l’emendamento. Qui si tratta di credito privilegiato dello Stato e non di precedenza tra gradi ipotecari, ed il privilegio precede ogni garanzia ipotecaria. Proporre il privilegio alla ipoteca, significa annullare il carattere privilegiato del credito dello Stato.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Credo che si potrebbe venire ad una soluzione conciliativa. Il problema è indubbiamente grave e merita di essere ben considerato. Tra l’altro, vi sono in questo momento moltissime operazioni in corso che sono in istruttoria più o meno avanzata, fatte dall’Istituto di San Paolo di Torino, dalle Casse di risparmio, dal Credito fondiario. Sono molte decine, forse centinaia; e gli Istituti di credito non possono più chiudere queste operazioni perché sono obbligati dai loro statuti a non fare mutui se non hanno prima garanzia ipotecaria. In queste condizioni io credo che, poiché vi sarà largo margine per poter lasciare la garanzia a favore dello Stato e un margine per l’Istituto di credito, credo, ripeto, che si potrebbe raccomandare al Governo ed alla Commissione di finanza che sia segnalato in modo specifico all’attenzione del Ministero delle finanze questo; che ogni qual volta sia presentata all’esame una di queste operazioni che sono in corso e da conchiudere, l’Amministrazione finanziaria voglia considerarla con un occhio di benevolenza del tutto speciale, inducendo l’Amministrazione finanziaria locale a far sì che l’operazione possa essere conchiusa e che l’Istituto fondiario possa avere quelle garanzie che ritiene sufficienti e che gli sono, d’altra parte, imposte dallo Statuto e dalla legge. Mi auguro di avere il consenso sia della Commissione di finanza che del Ministro delle finanze.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero aggiungere a quello che ho detto prima che i mutui per il credito di miglioramento agrario sono mutui che vengono erogati di mano in mano che i miglioramenti sono fatti in base a dei piani stabiliti col Ministero dell’agricoltura e delle foreste, cioè in base a collaudi e allo stato di avanzamento di detti lavori.

Quindi non è denaro che si mutui per andarlo a spendere in altre cose: è denaro che aumenta il valore della proprietà e che garantisce maggiormente anche il Ministero delle finanze. Ora, se il Ministero delle finanze in questo momento non crede di aderire alla nostra tesi io penso che si ponga in urto completamente con tutto quello che è il programma, che parte dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste per il credito agrario di miglioramento, che è una cosa ben diversa da tutte le altre forme di credito. E se vogliamo, come dicevo prima, vedere che questo programma di lavoro e di miglioramento si eseguisca in base – ripeto – allo stato di avanzamento dei lavori, non possiamo che approvare la proposta dell’onorevole Micheli. Si pensi che dal marzo scorso, cioè da quando è venuta fuori questa legge dell’imposta patrimoniale, tutti gli Istituti di credito fondiario riuniti insieme hanno finito per concludere che devono chiudere gli sportelli ed hanno detto anche al Ministero dell’agricoltura e delle foreste che per il credito agrario di miglioramento non faranno più niente. Prego l’onorevole Ministro di tenere in considerazione questo e di vedere prima di assumersi la responsabilità di questa cessazione del Credito agrario, che, ripeto, si tradurrà poi anche in danno enorme per il popolo italiano per la mancanza di produzione di quel grano che comprerete all’estero con dollari sonanti di vedere e di riflettere molto bene se sia il caso di respingere l’emendamento proposto o invece di trovare il modo di venire incontro alla giusta proposta di emendamento che si discute.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che la soluzione si possa trovare lasciando intatto il testo del progetto, ma pregando il Ministro delle finanze perché, di concerto col Ministro del tesoro e col Ministro dell’agricoltura e delle foreste, emani un provvedimento che esoneri gli Istituti che esercitano il credito agrario di miglioramento, e quindi anche le Casse di risparmio, dall’obbligo di richiedere la prima iscrizione ipotecaria quando nel valore dei fondi, in relazione alla quota di imposta dovuta dal contribuente, ci sia margine sufficiente per garantire il credito dell’Istituto in seconda iscrizione.

In questo modo, con una disposizione che dovrebbe avere valore soltanto per la durata del periodo in cui i beni dovranno essere immobilizzati per effetto dell’imposta sul patrimonio, credo si possano risolvere e il problema fondamentale di assicurare alla Finanza il primo privilegio per la sua imposta, e l’altro, non meno fondamentale, di non turbare le opere di miglioramento agrario.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Mi dispiace di non essere affatto d’accordo con l’onorevole Pallastrelli.

La Commissione ha ricevuto memoriali di rappresentanti di Istituti di credito fondiario e ha esaminato la questione. Essa ha accolto l’emendamento all’articolo 60 dopo scambi di vedute con rappresentanti di Istituti di credito fondiario, i quali si sono dichiarati sodisfatti e si sono dichiarati anche sodisfatti del fatto che, essendo stato anticipato il riscatto, mentre con la legge del 1920-22 si doveva attendere l’iscrizione a ruolo, col sistema scelto non appena fatta la dichiarazione da parte del contribuente, il riscatto e quindi le operazioni dell’Istituto di credito fondiario possono avere il loro corso.

Ad ogni modo, quando all’articolo 60 si dice: «È in facoltà dell’intendenza di finanza di rinunziare, in tutto o in parte, a tale privilegio speciale per tutti gli immobili o per alcuni o parte di essi, contro, prestazione, ove il resto del patrimonio non costituisca sufficiente garanzia per la riscossione del credito erariale, di garanzia riconosciuta idonea dall’Amministrazione», non può sorgere nessuna difficoltà, perché si tratta soltanto di far presente all’Amministrazione che il resto del patrimonio copre l’imposta oppure che una parte del patrimonio – e questo è un accordo a tre fra Amministrazione, Istituto di credito agrario o fondiario e contribuente – di istituire a garanzia una parte. Quindi non c’è nulla nella legislazione che intralci le operazioni di credito fondiario.

Ho l’impressione che accettando gli emendamenti dell’onorevole Micheli si faccia precedere l’ipoteca degli istituti privati al privilegio dello Stato. E questo è inammissibile. Aggiungo che ciò non è stato richiesto dalla rappresentanza degli Istituti di credito fondiario; non è stato richiesto da nessuno.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero dire all’onorevole La Malfa che c’è un equivoco. Lei parla sempre di Istituti di credito fondiario, mentre quelli dei quali parlo io sono gli Istituti di credito fondiario per miglioramento agrario.

Se lei interrogasse quegli Istituti che fanno il credito agrario…

LA MALFA, Relatore. Siamo nello stesso caso.

PALLASTRELLI. …sentirebbe che direbbero che di fronte al credito erogato, in base allo stato di avanzamento dei lavori su approvazione del Ministero dell’agricoltura, quindi Stato anche questo, si tratta di un credito ben diverso da quello ricordato da lei e che non si può fare fintanto che c’è questo privilegio del Ministero delle finanze.

LA MALFA, Relatore. Ad ogni modo, io vorrei rispondere all’onorevole Corbino che, accettando la sua proposta, probabilmente si diminuiscono le garanzie anche per gli istituti privati; invece l’accordo a tre, fra contribuenti, Istituti di finanziamento e Amministrazione, dà la garanzia perfetta per tutti e tre, senza che nessuno debba vedere diminuite le proprie garanzie rispetto agli altri.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io desideravo sapere quale fosse il pensiero del Ministro, perché accogliere la cosa come raccomandazione, non conta niente. Accettare un emendamento come raccomandazione è qualcosa che rassomiglia all’acqua fresca. Sono stato Ministro anche io e so che questa è una scappatoia elegante che troppo spesso in pratica non serve a nulla. Quindi io desidererei sapere se il Ministro è disposto a prendere un impegno per un provvedimento legislativo che riguardi:

1°) gli Istituti di credito i quali per legge sono obbligati a dare mutui per una certa quantità dei loro depositi con prima ipoteca;

2°) i mutui di credito agrario di miglioramento, inquantoché siccome sono pagati, come ha detto benissimo il mio collega onorevole Pallastrelli, con l’avanzarsi dei lavori eseguiti, viene ad aumentarsi correlativamente la garanzia dello Stato;

3°) quando questo criterio fosse stato adottato, allora con un articolo incidentale o anche preciso al riguardo si potrebbe dar modo agli Istituti di credito fondiario di stabilire un regolamento nel senso di ottenere la medesima procedura, vale a dire di pagare essi pure il mutuo a rate quando fosse un mutuo di ricostruzione o di costruzione nuova. Sacrificheremo gli altri. Pazienza! Questi sono i tre concetti attraverso i quali io e i colleghi che hanno parlato in questo senso vorremmo eliminare questo problema, alla soluzione del quale io spero che il Ministro vorrà dedicare tutta quanta la sua attenzione perché il problema diventa grave e ormai a Roma e altrove di mutui non se ne fanno più.

Devo per ultimo aggiungere al collega La Malfa che io tutte queste proposte le ho considerate con i rappresentanti degli Enti di credito fondiario, non le ho inventate io! Io, come vecchio notaio stipulante anche per crediti fondiari, quando ho visto arrivare questa proposta di legge, mi son dato carico di ciò e sono andato dai rappresentanti di questi Enti per sentire dalla loro voce se avevano le mie stesse preoccupazioni e così si sono insieme predisposti questi emendamenti; anzi, me ne avevano suggeriti anche altri, ma io ho limitato le loro richieste, e quindi ho cercato di portare qui quello che per la mia pratica in materia, ritenevo che fosse sufficiente e che ritenevo fosse accettabile. Il Governo non vuole modificare nessuna legge. Se il Ministro mi dice: stia tranquillo che io provvederò in questo senso nel triplice concetto a cui lei ha accennato, allora mi accontento e ritiro i miei emendamenti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Premetto che devo mantener fermo il pensiero del Governo, già espresso in senso contrario all’accoglimento degli emendamenti.

Sul piano delle raccomandazioni – e l’onorevole Micheli vorrebbe qualche cosa di più della raccomandazione, tipo acqua fresca – desidero entrare un po’ nel merito della questione.

Essa è stato ormai circoscritta ai futuri mutui agrari – secondo l’onorevole Pallastrelli – fondiari e agrari – secondo l’onorevole Micheli.

Vi sono due ordini di idee da esaminare: uno economico-sostanziale ed uno giuridico-formale.

Sul piano sostanziale, se si tratta di fare in modo che effettivamente per i nuovi mutui possa costituirsi una idonea garanzia, non diminuita dal privilegio, che è configurato dalla legge a favore della Finanza, assicuro ampiamente l’onorevole Bertone che gli articoli 53 e 60 dovranno trovare la più larga applicazione possibile.

Se oggi tutte le operazioni di mutuo sono arenate – come accennava l’onorevole Pallastrelli, e non ho motivo di dubitarne – ciò dipende dal fatto che questa legge, essendo tuttora davanti all’Assemblea, per quanto già messa in applicazione dagli uffici, nella coscienza dell’opinione pubblica non è considerata ancora una legge definitiva; e pertanto non si può ancora valutare l’esatta portata degli articoli 53 e 60. Ma, allorquando la legge, approvata dall’Assemblea, avrà i suoi crismi definitivi e gli uffici finanziari potranno applicare i due articoli, penso che le pratiche di mutuo attualmente giacenti, non rimarranno ulteriormente in sofferenza e potranno procedere speditamente.

L’Amministrazione finanziaria, ripeto, si impegna in questo momento di fare tutto il possibile, perché la politica del finanziamento per il miglioramento agrario e fondiario non sia turbata da applicazioni troppo rigorose del sistema dei privilegi stabiliti a suo favore.

Vi è un secondo ordine di idee, quello di cui si è fatto interprete l’onorevole Corbino, il quale, preoccupato del fatto che le leggi e gli statuti dei singoli istituti impongono, per la concessione di finanziamenti, l’ipoteca di primo grado, suggerisce che, d’accordo col Ministro del tesoro e cogli enti interessati, si adotti un nuovo provvedimento, forse di carattere transitorio, per cui più non si richieda, sempre che sussista la necessaria garanzia, la ipoteca di primo grado, ma possa accettarsi quella di secondo grado.

Qui non ci troviamo più sul terreno della individuale e sostanziale garanzia; ma si tratta di rimuovere un ostacolo che è opposto dalla lettera della legge.

Su questo punto ritengo non vi sia difficoltà da parte del collega del Tesoro – senza anticipare alcuna conclusione in verun senso – di prendere in esame la raccomandazione dell’onorevole Corbino, con attenta e favorevole disposizione.

Con questi chiarimenti, io penso che il proponente dell’emendamento, onorevole Micheli, dovrebbe sentirsi sufficientemente tranquillizzato.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, insiste nel suo emendamento?

MICHELI. Dipende dall’onorevole Ministro.

Il concetto che mi pare noi abbiamo espresso in forma precisa tanto io che il collega Pallastrelli, è che i mutui, che vengono erogati attraverso mandati, in base allo stato di avanzamento dei lavori, siano tali da aumentare, gradatamente, la garanzia dello Stato. Io desideravo che il Ministro almeno entrasse in questo concetto. Nella sua esposizione, molto garbata e cortese, la questione non è stata completamente sviscerata, ma limitata ad una dichiarazione generica, senza impegno vero e proprio di concretarla domani. Il punto del mutuo agrario di miglioramento: diamo denaro in base allo stato di avanzamento dei lavori; domandiamo che questo possa esser fatto anche per i mutui fondiari, specie di ricostruzione in modo che si porti agli Istituti di credito fondiario un vantaggio in questo senso ed anche nell’altro, mentre oggi alcuni di questi debiti sono fatti dai proprietari per pagare altri debiti o per andare altrove. Con questo si sarebbe certi che i mutui fondiari verrebbero a costituirsi solo col sistema dei mutui di miglioramento agrario per le ricostruzioni e costruzioni nuove, ecc. Pare a me che questo criterio possa essere accettato dal Ministro e che possa accordarsi al riguardo col suo amico, che ha in mano le redini del Tesoro, affinché possa venirmi incontro, e permettermi di fare una ritirata strategica con qualche decoro.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Effettivamente avrei potuto spendere qualche parola di più su questo specifico argomento. La norma secondo la quale si accorda il credito in relazione al conseguito miglioramento può essere operante in pieno agli effetti dell’applicazione dell’articolo 60.

Non può però essere operante al punto da far rinunciare in partenza al privilegio a favore dello Stato, perché si richiederebbe troppa fiducia a priori in ordine alla diligenza di tutti gli organi i quali debbono fornire allo Stato la certezza che effettivamente esista un miglioramento, che tale miglioramento sia realizzabile in eventuale sede di esecuzione forzata, che il denaro sia versato proprio soltanto quando il miglioramento esiste, che i piani di miglioramento non siano inficiati da errori, ecc.

Ma, ripeto, tutte queste argomentazioni, che hanno un fondamento sostanziale – come sono state illustrate dall’onorevole Pallastrelli e dall’onorevole Micheli – potranno portare ad una larga applicazione dell’articolo 60, tale da risolvere il problema di cui stiamo discutendo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io sono lieto che il Ministro accenni ad una larghissima applicazione dei concetti che io ho espressi; però, siccome verba volant, per quanto siano raccolte stenograficamente queste dichiarazioni, io non posso domani andare dal procuratore delle imposte con il resoconto stenografico tanto più che non credo che ai verbali della Costituente quei signori diano soverchia importanza!

Io vorrei allora aggiungere (salvo la forma del coordinamento): «e questo particolarmente nei casi di mutui di nuove costruzioni, ricostruzioni e miglioramenti agrari». Vorrei aggiungere cioè una frase che sarebbe un principio di avviamento più concreto. Infatti, se l’avviamento dovesse essere costituito soltanto dalle parole dette ora dal Ministro, ciò non sarebbe secondo me sufficiente.

Si potrebbe aggiungere eventualmente anche questa frase: «in cui le rate dei mutui stessi vengano sovvenute in base allo stato di avanzamento dei lavori».

Si dirà: la legge ha inteso che ci sia una certa discrezionale facoltà nei funzionari per applicare questo criterio ed esaminare questi mutui con quella benevolenza che il legislatore ha inteso di adottare.

PRESIDENTE. Prego, l’onorevole Micheli, di fare pervenire alla Presidenza un emendamento per iscritto.

MICHELI. Se il Relatore ed il Governo lo accettano, provvedo immediatamente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa, a nome della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Mi sembra che la seconda parte dell’articolo 60 sia sufficiente. Si tratta di casi concreti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Sulla proposta di aggiunta all’emendamento, fatta dall’onorevole Micheli, non posso che essere d’accordo con il Relatore, secondo cui si tratta di casi concreti.

Il sistema da adottare potrebbe essere questo: l’onorevole Micheli trasformi l’emendamento in un ordine del giorno, che il Governo sin da questo momento dichiara di accettare a titolo di raccomandazione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Micheli se intende ritirare il suo emendamento.

MICHELI. Veramente sulla raccomandazione io, absit iniuria verbo, mi sono già dichiarato. L’ordine del giorno non viene ad avere un significato vero e proprio per l’attuazione. Mantengo perciò il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento dell’onorevole Micheli, avvertendo che tanto la Commissione quanto il Governo si sono su di esso pronunciati sfavorevolmente.

(Non è approvato).

Onorevole Micheli, chiede che sia posto in votazione anche il suo emendamento subordinato?

MICHELI. No, vi rinuncio.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 60 risulta approvato nella formulazione proposta dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 61. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’azione della Finanza, per la rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti per l’imposta straordinaria sul patrimonio, si prescrive entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui scade il termine utile per la presentazione delle dichiarazioni, a norma delle disposizioni contenute nel presente decreto.

«Entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui scade il termine predetto, si prescrive l’azione per l’accertamento in confronto di quei contribuenti che non provvidero alla presentazione della dichiarazione».

PRESIDENTE. A questo articolo non è stato presentato alcun emendamento; esso ei intende pertanto approvato.

Si passa all’articolo 62, del quale si dà lettura nel testo governativo accolto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I funzionari dell’Amministrazione delle imposte, i componenti dei Collegi giudicanti e tutti coloro che, secondo le rispettive attribuzioni, intervengono nell’accertamento, nell’applicazione e nella riscossione dell’imposta, sono tenuti al segreto d’ufficio e sono passibili delle pene comminate dal Codice penale per la violazione del segreto stesso.

«Per quanto non è previsto nel presente capo si applicano le disposizioni di cui ai regio decreto 17 settembre 1931, n. 108».

PRESIDENTE. Anche a questo articolo non è stato presentato alcun emendamento e pertanto si intende approvato.

Si passa ora al Capo XII (Cespiti danneggiati dalla guerra).

Avanti di procedere all’esame dell’articolo 63, primo degli articoli di questo Capo, dobbiamo prendere in considerazione tre articoli aggiuntivi presentati dall’onorevole Paris. Essi sono formulati nei seguenti termini.

Art. 62-bis.

«I patrimoni danneggiati da eventi bellici e per i quali è stata presentata domanda di risarcimento entro il 31 dicembre 1946, anche se ripristinati, senza però il concorso dello Stato, godono della esenzione dai pagamento della imposta fino a coprire il danno subito o parzialmente se il danno assorbe l’imposta dovuta, se rientrano nella tabella sottostante e nella progressione in essa indicata.

Per

3.000.000

esenzione

fino al

100%

del danno

»

4.000.000

»

»

80%

»

»

5.000.000

»

»

60%

»

»

6.000.000

»

»

40%

»

»

7.000.000

»

»

20%

»

«Per i patrimoni intermedi la percentuale d’esenzione è determinata dalla seguente formula:

P = 100 – (X – 3.000.000.20) 10 – 6 dove P rappresenta la % ed X l’imponibile.

«Per fruire dell’esenzione di cui al comma precedente il contribuente deve farne esplicita domanda nella dichiarazione di patrimonio, indicando l’entità del danno, quale risulta da un duplicato della richiesta di risarcimento».

Art. 62-ter.

«Il riconoscimento e la valutazione del danno di cui al precedente articolo, dipendono dal giudizio preso in comune accordo dagli intendenti di finanza e dai procuratori delle imposte dirette».

Art. 62-quater.

«L’importo dell’esenzione sarà detratto dall’ammontare del risarcimento che eventualmente lo Stato corrisponderà, secondo norme che saranno emanate in materia di risarcimento danni di guerra».

L’onorevole Paris ha facoltà di svolgerli.

PARIS. Questa imposta è giustamente chiamata straordinaria perché deve servire ad affrontare una situazione finanziaria straordinaria. È uno sforzo notevole che il Paese è chiamato a compiere, ma è evidente che questo sforzo deve essere equamente distribuito su tutti, secondo le possibilità presenti dei contribuenti.

Ma il Capo XII mi pare non tenga sufficientemente conto di quelli che sono stati i sacrifici subiti nel passato dai contribuenti che hanno avuto i loro cespiti danneggiati dalla guerra, in modo particolare dai piccoli contribuenti, perché i patrimoni medi e grandi, anche se hanno subito dei danni, li hanno subiti in un’entità che non ha mai pregiudicato la loro consistenza e soprattutto la loro capacità di ripresa.

Ora, il disegno di legge impone al patrimonio danneggiato l’imposta nella stessa misura di un patrimonio illeso. Ma il contribuente ha avuto i suoi redditi dimezzati, diminuiti ormai da anni; è, in un certo senso, un credito che ha aperto verso lo Stato; un credito di cui non ha mai goduto nessun interesse. Ed allora, come mai è chiamato a contribuire nella stessa misura degli altri?

Secondo il mio modesto avviso, questa è una ingiustizia; ma è soprattutto grave, perché questi piccoli contribuenti, che non hanno avuto nessuna situazione favorevole né durante i venti anni di fascismo, né di congiuntura, né attraverso la lavorazione delle materie U.N.R.R.A., sono ora assorbiti nella fase di riassestamento dei loro patrimoni; e adesso, imporre dei nuovi gravami può pregiudicare questo loro sforzo e differire la piena produttività delle loro gestioni, dei loro patrimoni, per degli anni. È quindi un danno che ne viene alla Nazione intera. Oltre a questo è un’ingiustizia che va a colpire quelle zone, nelle quali la guerra particolarmente ha infierito, e ai danni alle cose, ai danni alle persone, si aggiungono anche i danni voluti dalla legge. Quelle Provincie, cioè, che hanno una economia disastrata, che si trovano nella fase di ricostruzione, ora sono chiamate a dare questo notevole contributo.

Il disegno di legge esonera dalla valutazione i danni; ma è troppo poco; perché, si voleva forse arrivare a tassare il patrimonio quale era prima che fosse colpito dalla guerra? È una cosa assurda. Ora, per i piccoli patrimoni, facilitare la loro ripresa è una cosa che tornerà a vantaggio del Paese intero, in quanto questi piccoli patrimoni sono quelli che maggiormente contribuiscono, che non hanno mai chiesto nulla allo Stato, che non lo ricattano, che sono frutto di lavoro, che appartengono a lavoratori i quali compiono in questa loro piccola proprietà un lavoro pesantissimo.

Quindi gli articoli aggiuntivi che io ho proposto e che si limitano ai patrimoni dai tre ai sette milioni e non dànno una esenzione totale, ma con una progressione da cento a venti, intendono più che altro significare un incitamento alla ricostruzione, un premio per coloro che hanno ricostruito e non hanno atteso di vedere come si mettevano le cose. Ma di questa esenzione nell’articolo 62-quater è previsto il riassorbimento, se lo Stato sarà in grado di risarcire i danni di guerra. Sicché viene ad essere più che altro un anticipo su quello che lo Stato sarà in grado di dare.

È una categoria di contribuenti abbastanza vasta quella interessata, lo riconosco; però il limite di esenzione e i limiti di categoria a cui questa esenzione sarà applicata non rappresentano una grande cifra, e, d’altro canto, se noi accettiamo la maggiore aliquota esposta dalla Commissione nel disegno di legge – aliquota maggiore di quella proposta nel disegno del Governo – crediamo che il gettito dell’imposta non venga a diminuire dando a questi piccoli contribuenti, questa facilitazione e questo riconoscimento dei loro meriti. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si è resa conto delle ragioni che hanno portato il collega Paris a formulare i suoi emendamenti; ma non ha potuto accoglierli. In definitiva, nel Capo XII, è ammessa la detrazione dei danni di guerra dall’imponibile quale risulta dalle imposte ordinarie. Il contribuente, quando fa la dichiarazione dell’imponibile, può detrarre il danno subito. Quindi in sostanza il patrimonio viene valutato per quello che risulta.

PARIS. Ci mancherebbe che venisse colpito il contribuente per quanto non ha più!

LA MALFA, Relatore. Il colpire il residuo significa valutare fiscalmente una situazione personale. Questa è un’imposta personale. La condizione patrimoniale di un contribuente può essere stata menomata da mille ragioni, fra cui gli eventi bellici. Prendete, per esempio, il caso di un possessore di titoli di Stato che è stato rovinato dall’inflazione. Quale indice possiamo prendere per misurare la potenzialità contributiva? Quella che risulta al 28 marzo. Non possiamo valutare tutte le circostanze che hanno portato alla riduzione del patrimonio, circostanze che dipendono – in grandi linee – dalla guerra, ma anche da altri fattori compresa l’inflazione.

D’altra parte c’è un principio generale: ed è quello che non possiamo compensare un credito dello Stato per imposta con un debito che lo Stato ha e che non ha definito. Se questo principio non fosse applicato in tutti i campi, noi dovremmo compensare i crediti dello Stato per imposta coi debiti dello Stato per forniture. Ma possiamo introdurre questo principio del compenso? È impossibile. Ammetterlo significherebbe aprire una falla nel sistema, una falla molto pericolosa.

È quindi necessario mantenere fermi certi principî generali, fra cui il principio che una legge fiscale non può costituire mai occasione per creare situazioni privilegiate a particolari categorie di cittadini.

Pertanto, la Commissione prega l’onorevole Paris – nonostante si renda conto delle sue ragioni – di non insistere. La zona sinistrata è valutata e facilitata ampiamente in sede di accertamento dell’imponibile; qualche facilitazione si è fatta negli articoli dal 63 in poi. Al di là di questo non si può andare.

PRESIDENTE. Il Ministro è invitato ad esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Occorre riconoscere che l’onorevole Paris ha affrontato in modo veramente organico ed encomiabile un problema che certamente è nella coscienza di tutti gli italiani. I tre articoli che egli propone, se potessero trovare accoglimento, avrebbero certamente il merito, in una sintesi rapidissima, di affrontare il problema su cui l’attenzione di tutti i presenti si è certamente concentrata da tempo.

L’onorevole La Malfa ha esposto le ragioni per cui purtroppo non si può accedere ad un ordine di idee di questo genere.

Quando adopero la parola purtroppo e quando le dico, onorevole Paris, che sono dolente di non potere accedere ai suoi emendamenti, la prego di ritenere che, non soltanto chi le parla, ma il Governo desidera dare alle sue parole un significato che va oltre quello che può essere il significato tradizionale di locuzioni del genere.

Non è dato prevedere a quali conseguenze potrebbe dischiudere l’ingresso, l’ammissione del principio della compensazione, molto più ove si consideri che, a quanto pare, di recente il Consiglio di Stato avrebbe negato che il danneggiato di guerra sia titolare di un diritto soggettivo perfetto, azionabile nei confronti dello Stato per conseguire il risarcimento.

Ma, a parte ciò, quel che è indubitabile è che, in atto, al debito certo e liquido del contribuente, non potrebbe contrapporsi un di lui credito altrettanto certo e liquido verso l’Amministrazione; donde la impossibilità di una compensazione.

Come conciliare tutto questo, col legittimo desiderio dell’onorevole Paris che questa categoria voglia una manifestazione tangibile da parte del Governo?

Il Ministro del tesoro qui presente può confermare che il problema del risarcimento dei danni di guerra è, in atto, oggetto della assidua cura del Governo in vista di avviarlo ad una sollecita, equa soluzione.

Nel frattempo, ha osservato l’onorevole Paris, l’imposta viene messa in riscossione.

E allora io vorrei pregare l’onorevole Paris di dare un adeguato peso all’articolo 67, che configura la possibilità di una lunga rateazione per i titoli dei patrimoni danneggiati dalla guerra.

Pur essendo dolente di non potere accettare i tre articoli aggiuntivi, credo che si possa creare una situazione di fatto attraverso la quale si realizzi il desiderato sincronismo fra il tempo del pagamento dell’imposta e quello della riscossione di una parte del risarcimento.

PRESIDENTE. Onorevole Paris, mantiene i suoi articoli aggiuntivi?

PARIS. Li ritiro.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’articolo 63. Se ne dia lettura nel testo governativo che la Commissione aveva accettato.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I cespiti che hanno subito danni in dipendenza di eventi bellici, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile sopradetto, diminuito della percentuale del danno accertato.

«Nella determinazione del valore definitivo dei cespiti indicati nell’articolo precedente, si ha riguardo alle condizioni dei cespiti stessi alla data del 28 marzo 1947».

PRESIDENTE. La Commissione fa ora pervenire un emendamento per il quale il primo comma verrebbe sostituito con il seguente:

«Fermo restando l’obbligo di cui all’articolo 34, i proprietari di cespiti danneggiati da eventi bellici, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, possono dichiarare in detrazione l’ammontare del danno subito».

L’onorevole Relatore ha facoltà di illustrare tale emendamento.

LA MALFA, Relatore. Vi è anche un emendamento Camangi su questo articolo.

PRESIDENTE. È vero. L’onorevole Camangi ha proposto con un suo emendamento, che reca anche le firme degli onorevoli Perassi, Paolucci, Magrini, De Vita, Zuccarini, Magrassi, Pacciardi, Facchinetti e Sardiello, di sopprimere, alla fine del primo comma, la parola «accertato».

Ma con l’emendamento della Commissione, l’emendamento Camangi viene a cadere.

Invito l’onorevole La Malfa a illustrare l’emendamento della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non ha creduto con questo emendamento di introdurre alcuna variante di carattere sostanziale, ma soltanto di chiarire i dubbi che erano sorti.

Innanzi tutto l’onorevole Camangi ha sollevato il dubbio che danno accertato volesse dire accertato dall’autorità statale. Siccome questi accertamenti di danni non sono stati fatti per moltissimi casi, il contribuente si sarebbe trovato in imbarazzo. La Commissione ha preferito la dizione «danni subiti»; cioè il contribuente dichiara i danni che a suo giudizio ha subito il patrimonio. D’altra parte, la dizione del testo governativo poteva dare l’impressione che il contribuente dovesse denunciare la differenza fra l’imponibile ed il danno senza dare né l’imponibile né il danno. La Commissione ha preferito che il contribuente dichiarasse il valore del danno e che questo fosse portato in detrazione in maniera che, all’atto in cui ricevono la dichiarazione, gli uffici finanziari sanno quale è il danno dichiarato e possono fare gli accertamenti sul danno e sull’imponibile. È una facilitazione dal punto di vista della dichiarazione, ma non modifica la sostanza dell’articolo.

PRESIDENTE. Allora il suggerimento contenuto nell’emendamento dell’onorevole Camangi è stato accettato.

CAMANGI. Mi dichiaro sodisfatto del nuovo testo della Commissione che accoglie il mio emendamento e lo ritiro.

PRESIDENTE. Quale è il pensiero del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Se questo è il pensiero definitivo della Commissione e dell’Assemblea in questa materia che riguarda una categoria di persone che ha già largamente sofferto, il Governo non intende insistere in troppi dettagli per la tutela dell’interesse fiscale. Ma mi sembra che la prima formulazione sia migliore, in quanto noi sappiamo perfettamente che le valutazioni fiscali sono assai più moderate di quelle che possono essere le valutazioni extra fiscali di un determinato cespite.

Ora, se un cespite è diminuito di valore per danni di guerra, fra le due vie – denunciare il valore della parte residua o denunziare il valore fiscale originario, deducendo l’importo dal danno secondo la stima del privato – io preferisco la prima via, perché con la seconda vi può essere una naturale tendenza del danneggiato ad ampliare la portata del danno e quindi ad impostare una sottrazione, i cui termini non sarebbero omogenei.

Ripeto, però, che non insisto nell’osservazione.

LA MALFA, Relatore. Il dichiarante denuncia l’imponibile come tutti gli altri contribuenti secondo l’articolo 34, e denuncia il valore del danno subito.

PELLA, Ministro delle finanze. «Imponibile»: valore che appartiene alla categoria dei valori fiscali. «Danni»: cifra che appartiene alla categoria dei valori determinati dal singolo, con criteri personali di valutazione.

Non sono termini omogenei sotto il profilo della valutazione.

LA MALFA, Relatore. Se non c’è un danno accertato dal fisco, il contribuente non può che denunciare il valore che egli attribuisce alla parte danneggiata.

PELLA, Ministro delle finanze. Nell’articolo 63 dicevamo che in questo caso la dichiarazione può essere fatta per un valore minimo pari all’imponibile diminuito della percentuale del danno accertato.

LA MALFA, Relatore. Perché «diminuito della percentuale»? Non ci sono valori omogenei nel testo.

PELLA, Ministro delle finanze. Se si trattasse di un’altra questione, il Governo insisterebbe. Qui però ci troviamo davanti al settore «danni di guerra». Ho l’impressione che la formulazione proposta dalla Commissione sia molto più a vantaggio del contribuente che non della Finanza, a prescindere dal giudizio sulla bontà o meno della formulazione.

Ripeto, tuttavia, che si tratta di un settore che ha sofferto parecchio: perciò, anche se attraverso questo emendamento si avranno dichiarazioni inferiori a quelle che dovrebbero essere, non sarà il Governo a dolersene.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. I termini non sono omogenei nel progetto, perché il progetto dice: «possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile sopradetto, diminuito della percentuale del danno accertato». Quindi il termine è l’imponibile. Ora, se noi vogliamo rendere omogenei i due termini, a me pare che in definitiva il contribuente opererà in maniera di calcolare il suo danno e indicarne la percentuale rispetto all’imponibile. Non vedo che cosa si possa indicare d’altro. È troppo evidente. Onde io credo che sia preferibile alla Finanza avere sia pure due valori non omogenei ma su cui deve operare, che avere una percentuale.

Ad ogni modo, se si volesse parlare di percentuale, si potrebbe chiarire nel testo della Commissione, cioè si dovrebbe indicare «ai fini della detrazione la percentuale del danno subito», ma in maniera che i due valori non vengano diminuiti a priori dal contribuente.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Vorrei spiegare il concetto da cui era partito il testo governativo. Noi prendiamo un valore di partenza per dichiarazione provvisoria e quindi per accertamento provvisorio che è il valore accertato e quindi dell’imposta sul patrimonio del 1946. Si fa l’ipotesi che da questo valore o nel computo di questo valore non si sia ancora tenuto conto di un danno di guerra sopravvenuto. Allora il problema da risolvere è questo: come tener conto di questo danno di guerra in maniera da non fare pagare, sia pure provvisoriamente, una quota di imposta su una parte di un cespite che è stato distrutto dalla guerra? Per arrivare a questo risultato, bisogna portare i due valori, valore imponibile provvisorio e valore del danno da dedursi dall’imponibile accertato ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio, sul terreno della omogeneità. Ed è sembrato che il criterio meno faticoso fosse quello di stabilire la percentuale del cespite complessivo del danno subito in maniera che si operasse in questo modo: valore imponibile per il 1946, totale del cespite 100; danno subito in percentuale un terzo; 100 – 33 resta 67 che è il valore su cui si applica provvisoriamente l’imposta. Mi sembra un concetto certamente semplice ed automatico in cui c’è un solo elemento di discrezionalità, che è quello di determinare la percentuale, ma è più controllabile di quanto non sia il determinare il valore del danno subito.

A questo criterio di ridurre il più possibile la discrezionalità della valutazione della percentuale, accennava il testo governativo quando parlava di danno accertato.

Quando questo non c’era, la discussione fra Amministrazione finanziaria e contribuente verteva su un elemento più facilmente rilevabile di quanto non sia un elemento di valore che era l’elemento percentuale del danno al complesso fisico del cespite sottoponitele all’imposta.

Fra il criterio di portare in detrazione da lire espresse in termini fiscali, lire espresse in termini che potevano essere di fantasia del contribuente, questo criterio sembra più logico dell’altro in cui si detraggono magari animali allevati all’ultimo momento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Corbino. Ne ha facoltà.

CORBINO. Si potrebbe trovare la soluzione ritornando al vecchio testo governativo e dicendo nelle ultime tre righe del primo comma: «sono dichiarati per un valore pari all’imponibile sopradetto, portando in detrazione la percentuale del danno subìto». Si capisce che sulla percentuale del danno subito sorgerà la contestazione col fisco.

LA MALFA, Relatore. Propongo: «possono essere dichiarati per un valore pari all’imponibile portando in detrazione la percentuale sull’imponibile corrispondente al danno subìto».

VANONI. Io lascerei da parte il «subìto».

LA MALFA, Relatore. Sì, possiamo dire del danno.

Allora il nuovo testo potrebbe essere questo:

«I cespiti che hanno subìto danni in dipendenza di eventi bellici, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile, portando in detrazione la percentuale dell’imponibile corrispondente al danno».

ADONNINO. Il valore percentuale del danno a quale momento si riferisce: ad oggi o a quanto il danno è avvenuto?

CORBINO. È percentuale.

ADONNINO. La percentuale è una comparazione proporzionale fra due cifre: queste debbono riferirsi allo stesso momento. Come si raggiunge – nel caso nostro – questa identità di momenti? Noi abbiamo un imponibile attribuito ad ogni immobile rustico, poniamo nel 1940 (cioè la media 1936-39), quando nacque la patrimoniale ordinaria; abbiamo un imponibile odierno attribuito allo stesso immobile, imponibile che è poi quello del 1940, moltiplicato per 10; e abbiamo un danno di guerra, valutato in cifre, secondo i valori del momento in cui il danno avvenne, poniamo nel 1944. Non c’è identità di momenti; come si stabilisce la percentuale? Occorre rifare tutte le valutazioni degli immobili danneggiati, e rifarle al periodo base 1936-39; oppure riportare tutte le valutazioni degli immobili danneggiati, fatte negli ultimi anni, al valore che avevano nel 1936-39, mediante una scala fissa di svalutazioni. Ma tutto questo occorrerebbe dirlo, perché dall’articolo non si deduce.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. C’è un valore, che si assume come base, ai fini dell’imposta ordinaria del patrimonio del 1947. Questo valore è quello originario, anteguerra, moltiplicato per cinque, se si tratta di fabbricati, per dieci, se si tratta di terreni.

Probabilmente, qui si fa l’ipotesi del fabbricato.

Orbene, quando diciamo che da questo valore si detrae la percentuale corrispondente al danno, mi pare che si autorisolva il problema proposto dall’onorevole Adonnino. Una volta che escludiamo quel tale criterio della detrazione di lire da lire, per togliere invece dal valore 1947 un’aliquota corrispondente al danno, il problema si risolve nel momento stesso in cui viene posto.

PRESIDENTE. Allora il Governo accetta la modifica proposta dall’onorevole La Malfa. Si ritorna perciò al primitivo testo governativo con la variazione proposta.

L’onorevole Cavallari ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Nel caso in cui alcuni cespiti abbiano subito danni di guerra dichiarati risarcibili ai sensi dell’articolo 2 della legge 26 ottobre 1940, n. 1543, e successive modificazioni, l’ammontare del danno accertato agli effetti della predetta legge potrà essere detratto dall’imponibile, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947».

Lo mantiene?

CAVALLARI. Avevo proposto il mio emendamento per chiarire il comma, ma di fronte alla limpidezza cristallina della dizione del testo ora proposto dalla Commissione, aderisco al testo da questa formulato e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento al primo comma proposto dalla Commissione ed accettato dal Governo, secondo il quale si torna per il primo comma, al testo governativo con la seguente modifica alla fine: «possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile, portando in detrazione la percentuale dell’imponibile corrispondente al danno».

(È approvato).

Al secondo comma dell’articolo 63 non sono stati proposti emendamenti.

LA MALFA, Relatore. Faccio presente che al secondo comma vi è un errore materiale: le parole: «indicati nell’articolo precedente» vanno sostituite con le parole: «indicati nel comma precedente».

PRESIDENTE. D’accordo, si tratta di un errore materiale.

L’articolo 63 si intende allora approvato con l’emendamento testé votato.

Sui lavori dell’Assemblea.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Prima di proseguire nella discussione sulla patrimoniale, prego l’onorevole Presidente di voler fissare l’ordine del giorno per lunedì prossimo.

PRESIDENTE. Salvo diversa decisione dell’Assemblea, nella giornata di lunedì si dovrebbe continuare al mattino la discussione sulla patrimoniale e svolgere nel pomeriggio la mozione presentata dagli onorevoli Lussu ed altri relativa allo Statuto sardo.

SCOCCIMARRO. Prego il Ministro delle finanze di far sapere se può partecipare ai lavori dell’Assemblea nella mattinata di lunedì.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Ministro è sempre a disposizione dell’Assemblea per la continuazione della discussione; però nella mattinata di lunedì ho un impegno al Ministero, impegno che ho rinviato continuamente per i lavori che mi hanno qui immobilizzato.

Prego, se è possibile, di destinare la mattinata di lunedì ad altro argomento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Lussu, presentatore della mozione, che si dovrebbe discutere nel pomeriggio di lunedì, se ha difficoltà a che la discussione, invece che nella seduta pomeridiana, sia portata nella seduta antimeridiana.

LUSSU. Aderirei volentieri a questa proposta, ma è stato ufficialmente comunicato due volte, qui in quest’Aula, che la mozione sarà discussa lunedì nel pomeriggio e credo che uno spostamento non sia ora possibile.

PRESIDENTE. Abbiamo difficoltà, poiché non possiamo sentire il Governo su questo punto.

SCOCCIMARRO. Desidero far presente che lunedì in questa Assemblea ci sarà, come di solito avviene in tal giorno, un numero esiguo di deputati, specialmente al mattino.

Non sarebbe opportuno – a mio avviso – discutere problemi così importanti e così gravi quali quelli che dovranno essere risolti nelle prossime sedute dinanzi ad un’Assemblea poco numerosa.

Perciò prego la Presidenza di rinviare la discussione sull’imposta patrimoniale a martedì mattina.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Siccome abbiamo deciso che lunedì l’Assemblea discuta nella seduta pomeridiana la mozione dell’onorevole Lussu, si potrebbe abolire la seduta antimeridiana e sostituirla con una seduta notturna.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che lunedì si potrebbe tenere seduta notturna per l’esame della patrimoniale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si associa alla proposta fatta dall’onorevole Fuschini di tenere seduta notturna lunedì.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Poiché penso che l’onorevole Scoccimarro non sia favorevole alla seduta di lunedì sera, per timore che vi possano essere delle votazioni alle quali mancherebbe un gran numero di deputati, noi potremmo anche fare un accordo amichevole, e cioè che, qualora sorgesse qualche questione grossa, la votazione si potrebbe rimandare a martedì mattina, e andare poi avanti negli altri argomenti sui quali l’accordo possa essere raggiunto. Credo che su questo terreno potremo votare a favore della proposta di tenere seduta notturna lunedì.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Debbo esprimere la mia contrarietà alle sedute notturne, salvo casi di assoluta necessità. Questi però debbono essere casi veramente straordinari; penso quindi che lunedì, dopo che sarà stata discussa la mozione sullo statuto sardo, potremo riprendere la discussione e continuarla fino alle 21 o anche fino alle 21.30. Se pertanto sorgerà quella tale questione grave di cui prima ipoteticamente si discorreva, per la quale sia necessario un maggior numero di colleghi presenti, la rimanderemo all’indomani mattina.

È bene tener presente che le sedute notturne implicano un lavoro complesso. Vi sono alcuni fra noi ed anche qualcuno che fa parte del personale della Camera, i quali così finirebbero per non poter tornare alle loro case nella notte. La notte, onorevoli colleghi, è fatta per riposare e per studiare.

Noi gli argomenti li discutiamo qui dopo averli studiati: e quando li studiamo, se facciamo le sedute a lungo metraggio in questo modo? Io credo che, ove noi si sia sicuri, sin d’ora, dell’assenza di molti colleghi per lunedì, non dovremmo credere che vi sarebbe un maggior concorso in una seduta notturna.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Uno dei motivi per i quali avevo fatto questa proposta era la preoccupazione di dover discutere di emendamenti di estrema importanza con un numero molto ristretto di deputati. Ora, se questo avviene il pomeriggio ed anche la sera, credo rischieremo di perdere del tempo, perché vi sarà certamente qualcuno che chiederà l’accertamento del numero legale.

PRESIDENTE. Poiché si sono espresse opinioni diverse, pongo in votazione la proposta che lunedì mattina non si tenga seduta.

(È approvata).

Pongo ora in votazione la proposta che nella seduta pomeridiana di lunedì si discuta della mozione sullo Statuto sardo.

(È approvata).

Pongo infine in votazione la proposta che lunedì si debba anche tenere una seduta notturna.

(Non è approvata).

LA MALFA, Relatore. Faccio presente all’onorevole Scoccimarro che, facendo seduta nel pomeriggio di lunedì, sarebbe stato facile richiamare l’attenzione dei colleghi sulla gravità dei problemi che si dovessero discutere nella eventuale seduta notturna.

Si sarebbe potuto perciò sospendere la decisione sui lavori dell’Assemblea e rinviarla alla seduta pomeridiana.

LUSSU. D’accordo.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, l’Assemblea potrà sempre, eventualmente, prendere nuove decisioni nella seduta pomeridiana di lunedì.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

PRESIDENTE. Si riprende la discussione sull’imposta patrimoniale.

Passiamo all’articolo 64. Se ne dia lettura, nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La quota in conto mobilio, arredamento e gioielli, prevista nell’articolo 25, sarà congruamente diminuita quando risulti che tali cespiti sono ridotti a un valore inferiore in seguito a danni dipendenti da eventi bellici, regolarmente denunciati ai sensi della legge 26 ottobre 1940, n. 1543».

PRESIDENTE. Su questo articolo l’onorevole Cavallari ha presentato il seguente emendamento:

«Alla parola: denunciati, sostituire la parola: accertati».

L’onorevole Cavallari ha facoltà di parlare.

CAVALLARI. Avevo proposto questo emendamento all’articolo 64, in quanto ritenevo che fosse utile controllare da parte del fisco i danni che siano stati denunciati per quanto riguarda i mobili. Siccome, però, trovo che nella formulazione testé approvata per quanto riguarda i beni immobili non vi è la parola «accertati», ma «denunciati», non voglio mettere i danneggiati nelle cose mobili in condizioni più sfavorevoli rispetto ai danneggiati possessori di beni immobili.

Per questi motivi ritiro l’emendamento all’articolo 64.

PRESIDENTE. Sta bene. L’articolo 64 si intende allora approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 65, per il quale la Commissione ha accettato il testo governativo. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Nel caso in cui il cespite danneggiato in dipendenza di eventi bellici sia stato, alla data del 28 marzo 1947, in tutto o in parte, ripristinato dal contribuente con mezzi propri, dal valore definitivo, accertato a norma dell’articolo precedente, è portata in detrazione una somma pari al valore del ripristino.

«Quando il ripristino sia stato effettuato con il contributo statale, dal valore del cespite è portata in detrazione una quota proporzionale all’ammontare dei mezzi propri investiti dal contribuente».

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Faccio rilevare che dopo la parola «accertato», nel primo comma, bisognerebbe dire: «a norma dell’articolo 63» anziché «a norma dell’articolo precedente».

PRESIDENTE. È giusto. Metto ai voti questo emendamento del Relatore.

(È approvato).

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 65 si intende approvato con questa modifica.

Passiamo all’articolo 66, uguale nel testo del Governo e della Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e nei cui confronti venga accertato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore per un valore superiore a quello risultante dalle quote previste all’articolo 25, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso, nel limite dell’eccedenza del valore definitivamente accertato per danaro, depositi e titoli al portatore indicati nella dichiarazione, rispetto a quello risultante dalle quote sopra richiamate».

PRESIDENTE. A questo articolo, vi è un emendamento sostitutivo proposto dall’onorevole Cavallari, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso».

L’onorevole Cavallari ha facoltà di svolgerlo.

CAVALLARI. L’emendamento che ho proposto all’articolo 66 era ispirato al concetto che ritenevo, e ritengo tuttora, che l’articolo così come è stato redatto, fosse di giovamento soprattutto ed esclusivamente per coloro che versavano in buone condizioni economiche, in quanto prendeva in considerazione il caso in cui il contribuente avesse tanto denaro da superare la quota di cui all’articolo 25.

Ma, discutendo di questo emendamento in seno alla Commissione, si è addivenuti all’accordo che nella prossima seduta molto facilmente la Commissione presenterà un suo testo sopra l’articolo 66, che verrà compilato, e a cui potrò dare la mia adesione.

Il principio del mio emendamento è stato accolto dalla Commissione che dovrà formulare un nuovo testo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. L’articolo 66 ha dato luogo ad una lunga discussione in seno alla Commissione, implicando conseguenze diverse dal punto di vista della situazione patrimoniale del contribuente.

Rettificando un poco la dichiarazione del collega Cavallari, dichiaro che la Commissione avrebbe deciso di mantenere l’articolo 66, col leggero emendamento che esporrò ed eventualmente, siccome ha accettato il principio (io personalmente sono stato contrario a questa accettazione), di aggiungere un altro articolo.

Quindi, se l’Assemblea crede, si può approvare l’articolo 66, con una rettifica che sarebbe questa: «Il contribuente che alla data del 28 marzo 1947 non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici ed abbia dichiarato un importo di denaro, ecc.», cioè, sostituire la dichiarazione di una liquidità maggiore della quota presuntiva, invece dell’accertamento.

Questo non pregiudicherebbe la questione sollevata dal collega Cavallari che eventualmente andrebbe risolta in altra sede.

PRESIDENTE. Allora, la modificazione qual è precisamente, onorevole Relatore?

LA MALFA, Relatore. «Per eventi bellici e abbia dichiarato». Poi si va avanti fino alla quint’ultima riga: «nel limite dell’eccedenza del valore dichiarato per danaro, depositi e titoli al portatore». Poi si cancella: «indicati nella dichiarazione» e si mette: «rispetto a quello risultante dalle quote richiamate». Cioè si continua l’articolo com’era.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Vorrei fare anzitutto una proposta di sospensiva, dato l’emendamento abbastanza radicale che si prepara. Ma se questa mia proposta venisse superata, vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea su alcuni punti.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alla proposta dell’onorevole Vanoni.

LA MALFA, Relatore. Osservo che sull’articolo 66, con gli emendamenti che ho presentato, la Commissione è d’accordo. Non vi sono punti di dissenso. Se ci dovesse essere un articolo aggiuntivo la Commissione lo proporrebbe in sede di articolo 67.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta di sospensiva dell’onorevole Vanoni.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Annunzio di una mozione.

PRESIDENTE. Annuncio all’Assemblea che è stata presentata la seguente mozione:

L’Assemblea Costituente,

considerato che nella questione del nuovo ordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, il Ministro ha volontariamente trascurato di interpellare la Rappresentanza nazionale, sia pure attraverso la sua apposita Commissione legislativa e di consultare tutte le categorie interessate;

ritenuto inoltre del tutto ingiustificata la procedura d’urgenza adottata dal Ministro della pubblica istruzione per la sostituzione del Consiglio superiore di detto Ministero, tuttora in carica;

riscontrando nel comportamento del Ministro un grave difetto di valutazione della importanza e delicatezza politica della materia

invita

il Governo a sospendere l’esecuzione del provvedimento, a risolvere la vertenza coll’attuale Consiglio superiore della pubblica istruzione ed a sottoporre il nuovo ordinamento all’Assemblea Costituente.

«Parri, Bernini, Ghiostergi, Codignola, Foa, Cianca, Lussu, Binni, Fornara, Carmagnola, Moscatelli, Faralli, Cacciatore, Malagugini, Barbareschi, Nasi, Mariani, Montemartini, Costa, Nobili Oro, Mariani, Bennani, Della Seta, Di Giovanni».

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Quale firmatario di questa mozione, prego il Presidente di prospettare al Governo l’opportunità che sia discussa di urgenza perché le elezioni del Consiglio Superiore della pubblica istruzione sono state indette per il giorno 26 luglio: altrimenti non si farà in tempo ad intervenire.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo si riserva di esprimere il suo avviso circa la data della discussione di questa mozione.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

GAMANGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMANGI. Avevo presentato un’interrogazione al Ministro delle finanze ed il Ministro ne aveva riconosciuta l’urgenza, dichiarando che era pronto a rispondere. Pregherei di fissarne la data.

PELLA, Ministro delle finanze. Confermo di riconoscerne l’urgenza.

Risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Anche io faccio presente di avere presentato un’interrogazione di urgenza della quale attendo risposta.

PRESIDENTE. Il Governo risponderà nella prossima seduta dedicata alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, di fronte alla unanime insurrezione del popolo di Padova, manifestata attraverso i voti del Consiglio comunale, della Deputazione provinciale, degli insegnanti medi, dell’A.N.P.I., di tutti i partiti politici, intenda recedere dal provvedimento col quale ha sostituito nell’ufficio di provveditore degli studi di Padova il professore Zamboni Adolfo, mai iscritto al partito fascista, eroico cospiratore, partigiano, con l’ex squadrista Biagini Paolo, fascista e repubblichino.

«Cevolotto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze, per sapere se sono a conoscenza della decisione adottata dalla Direzione generale del demanio concernente la concessione in affitto del villaggio alpino denominato Colonia Val-Grande di Comelico (Belluno) e, se non l’approvano, quali provvedimenti intendono prendere.

«Ghidetti, Pellegrini, Cevolotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non intenda attuare il ripristino delle preture soppresse dal passato regime in provincia di Caserta e aggregare al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere i mandamenti di Capriati al Volturno e Roccamonfina, così da far coincidere la circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa provinciale.

«Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i motivi che ancora ostano alla sistemazione degli insegnanti elementari reduci e fuori ruolo, i quali, sebbene abilitati prima del 1940, non poterono partecipare per ragioni dipendenti dallo stato di guerra ai concorsi indetti ed espletati dall’anno 1940 al 1942 e per i quali fu riservata la metà dei posti, in conformità del decreto 6 gennaio 1942, n. 27.

«Giova tener presente che per i perseguitati politici e razziali già venne disposto provvedimento positivo; per cui ragioni giuridiche, di moralità e di equità consigliano l’adozione di eguale trattamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno adottare urgenti misure per rimuovere sollecitamente gli esplosivi depositati nel Forte di Santa Teresa, in località Baracche di La Spezia, che per essere nelle immediate vicinanze di un importante complesso industriale e di una zona abitata, rappresenta un grave pericolo per la incolumità delle maestranze e della popolazione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Barontini Anelito, Novella, Minella Angiola, Negro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno emanare un provvedimento legislativo che riconosca l’estensione al personale amministrativo degli Istituti tecnici dipendenti dagli enti locali, del trattamento economico di carriera, stabilito per il personale a carico dello Stato con il decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 107, provvedimento sulla di cui opportunità conviene lo stesso Ministero della pubblica istruzione, il quale si è dichiarato «pienamente favorevole, pur non potendo prenderne l’iniziativa, che spetta al Ministero dell’interno». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, sulle accuse che un deputato alla Costituente ha mosso in pubblica seduta contro il comandante della celere di Padova, signor Brighenti, sui risultati dell’inchiesta che il Ministero dell’interno avrà certamente promosso, sulle misure che il Ministro ha preso o intende prendere. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«De Michelis, Merighi, Tega, Grazia Verenin».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno, iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 14.10.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 21 luglio 1947.

Alle ore 17:

  1. – Svolgimento della mozione degli onorevoli Lussu, Lombardi Riccardo, Cianca, Calamandrei, Laconi, Spano Velio, De Vita, Mazzei, Parri, Cevolotto, Veroni, Mastino Gesumino, Di Giovanni, Grieco, Uberti, Carboni Angelo, Binni, Fiorentino, Schiavetti, Tosato, Fuschini, Giua, sullo Statuto autonomo della Sardegna.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

  1. – Interrogazioni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 18 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCII.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 18 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Cappi

Micheli

Veroni

De Vita

Rescigno

La Malfa, Relatore

Corbino

Crispo

Adonnino

Condorelli

Pella, Ministro delle finanze

Bertone

Arata

Scoccimarro

Clerici

Bosco Lucarelli

Veroni

Caroleo

Preziosi

Cannizzo

Dugoni

Bubbio

Tozzi Condivi

Fabbri

Scoca

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Proseguendo nell’esame degli emendamenti, passiamo al Capo IX: Riscatto dell’imposta.

Si dia lettura dell’articolo 51 nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che, all’atto della dichiarazione di cui all’articolo 30 e in ogni caso non oltre il 15 settembre, versi in Tesoreria, in unica soluzione, l’importo dell’imposta accertatogli in via provvisoria, sulla base della dichiarazione stessa, ha diritto ad un premio di riscatto dell’8 per cento.

«Tale premio di riscatto è aumentato al 12 per cento per i patrimoni costituiti, per almeno due terzi, da cespiti immobiliari.

«Il contribuente, che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della Ricostruzione 3,50 per cento, può versare, fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto, titoli del prestito suddetto, da computarsi al prezzo di emissione».

PRESIDENTE. Un primo emendamento a questo articolo, proposto dall’onorevole Cappi, è così formulato:

«Ripristinare il testo proposto dal Governo, con le seguenti modificazioni all’ultimo comma: sostituire alle parole: 20 per cento, le altre: 30 per cento, e aggiungere: purché il contribuente dimostri di essere tuttora in possesso dei titoli sottoscritti».

Ricordo all’Assemblea che il testo governativo era del seguente tenore:

I contribuenti possono versare in Tesoreria, in unica soluzione, con l’abbuono dell’interesse composto del 7 per cento, in ragione d’anno, l’importo complessivo di tutte le rate d’imposta straordinaria ancora da scadere.

«Il riscatto può essere chiesto tanto per l’importo accertato in via provvisoria quanto per quello accertato in via definitiva.

«Il riscatto deve essere domandato al competente Ufficio distrettuale delle imposte dirette entro il giorno 10 del mese precedente a quello della scadenza della prima rata d’imposta ed il versamento in Tesoreria deve essere effettuato entro il mese di scadenza della rata stessa.

«Il riscatto deve essere domandato entro il 30 novembre di ciascun anno con effetto dalle rate a scadere dalla prima dell’anno successivo, ed il versamento in Tesoreria deve essere effettuato entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello in cui la domanda è presentata.

«Non è ammesso il riscatto delle sole ultime sei rate bimestrali».

«In tutti i casi di versamento diretto in Tesoreria non compete alcun aggio all’esattore ed al ricevitore provinciale.

«Il contribuente, che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della Ricostruzione 3,50 per cento, può versare, fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto, titoli del prestito suddetto, da computarsi al prezzo di emissione».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CAPPI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento parte da un presupposto che vorrei fosse condiviso dal Governo e dalla Commissione, cioè che il fisco abbia interesse ad agevolare il riscatto dell’imposta. A questo scopo, a me sembra che meglio risponda il primitivo testo del progetto, anziché quello emendato dalla Commissione. Infatti, il testo del progetto governativo recava al primo comma che: «I contribuenti possono versare in Tesoreria, in una soluzione, con l’abbuono dell’interesse composto del 7 per cento, in ragione di anno, l’importo complessivo di tutte le rate d’imposta straordinaria ancora da scadere». Questo pagamento del riscatto poteva avvenire «entro il mese di scadenza della prima rata d’imposta»; praticamente, entro il 10 gennaio 1948. La Commissione ha portato due modifiche a questo testo. Anzitutto ha disposto che il versamento debba avvenire non oltre il 15 settembre: la data sarà spostata perché abbiamo spostato i termini della dichiarazione, ma dovrebbe essere, probabilmente, entro il 15 novembre o, al massimo, entro il 30 novembre. Cosicché, appena fatta la dichiarazione, il contribuente dovrebbe versare l’intero prezzo di riscatto che, specialmente per i patrimoni di una certa entità, non sarà una cifra esigua. Ora, le disponibilità di liquido non sono poi grandissime: pare a me che lasciare il termine fino al 10 gennaio 1948 sarebbe molto utile, perché invoglierebbe ad esercitare il riscatto.

La Commissione, poi, ha modificato in un altro punto il testo governativo. Cioè, mentre il testo governativo dava un abbuono, a chi versava in unica soluzione, dell’interesse composto del 7 per cento, in ragione d’anno, cioè nel periodo di tempo che restava a pagare le rate d’imposta, la Commissione ha ridotto questo premio di riscatto all’8 per cento, ed al 12 per cento per i patrimoni costituiti, per almeno due terzi, da cespiti immobiliari. Sembrerebbe a me, allo scopo di invogliare al riscatto, che si potrebbe aumentare questo premio al 10 per cento, ad esempio, su per giù trattandosi di un anno e mezzo ad un tasso del 7 per cento.

La seconda parte del mio emendamento è, a mio avviso, più importante.

Il testo del progetto, mantenuto integro in questo punto dalla Commissione, dice che coloro i quali esercitano il riscatto dell’imposta hanno facoltà, fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto, di versare titoli del Prestito della ricostruzione calcolati al valore di emissione, cioè a 97,50. Questo vantaggio a favore dei sottoscrittori del Prestito della ricostruzione è un punto che abbiamo già toccato altre volte. Io avevo proposto emendamenti ad altri articoli, sostenendo che si desse qualche altro vantaggio a questi sottoscrittori; ma la Commissione ed il Governo furono di parere diverso.

Su questi vantaggi, invece, insisterei. Concretamente, io propongo che i sottoscrittori del prestito abbiano la facoltà di versare, in conto del prezzo di riscatto, fino alla concorrenza del 30 per cento, titoli del Prestito della ricostruzione. Però vorrei fare una restrizione a questa facoltà, che io concederei a coloro i quali posseggono ancora i titoli originari sottoscritti. E la ragione è evidente; perché se, coloro che hanno sottoscritto il prestito hanno ancora i titoli sottoscritti e se li sono visti scendere a 75 o 76, mi sembrano meritevoli del vantaggio; ma se qualcuno ha approfittato del ribasso avvenuto ed ha comprato il prestito della ricostruzione, a 75 o giù di lì, questo vantaggio sarebbe una ingiustizia ed un lucro non giustificato, qualora il titolo potesse essere dato in pagamento sulla base del prezzo di emissione di lire 97,50. In questo caso, il vantaggio non sarebbe giustificato.

Ripeto ancora che questo mi sembra oltre che un atto di giustizia per i sottoscrittori del prestito, un mezzo per invogliare ad esercitare il riscatto.

Se è vero che lo Stato deve passare questi due o tre anni più difficili in materia di cassa – perché poi è sperabile che le imposte ordinarie aiutino ad equilibrare il bilancio – mi pare che lo Stato abbia tutto l’interesse al riscatto. È vero che dovrà prendere il 30 per cento in titoli; ma, a parte il fatto che guadagnerà l’interesse del 5 per cento che non dovrà corrispondere su questi titoli, il 70 per cento lo prenderà però in denaro contante. Non solo; faccio anche osservare che la norma non peserà molto sul bilancio dello Stato; non saranno molti, cioè, i sottoscrittori che hanno ancora i titoli originari, perché i grossi sottoscrittori del Prestito, coloro che hanno sottoscritto al Prestito per creare un debito da portare in detrazione del loro patrimonio, costoro erano esperti, prevedevano che il Prestito sarebbe sceso e lo hanno venduto. Quelli che hanno ancora i titoli originari del prestito sono, quindi, in genere, i piccoli e medi risparmiatori, che li hanno tenuti come investimento di denaro. E quando si pensi che il riscatto dell’imposta ordinaria parte da 100.000 lire – e riguarda cioè anche i piccoli risparmiatori – mi sembra una ragione di maggiore opportunità e giustizia che sia dato questo vantaggio.

Cosicché, proporrei che il premio di riscatto fosse portato (se non si vuole ripristinare integralmente il testo del Governo) rispettivamente dall’8 al 10 per cento e dal 12 al 14, e, soprattutto, che il termine fosse portato al 10 gennaio 1948.

In secondo luogo, propongo che vi sia facoltà di versare all’atto del riscatto il 30 per cento, anziché il 20, in titoli del prestito della ricostruzione, purché il contribuente dimostri di essere tuttora in possesso dei titoli sottoscritti.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Micheli del seguente tenore:

«Al primo comma, alle parole: accertatogli in via provvisoria sulla base della dichiarazione stessa, sostituire: liquidato secondo la dichiarazione stessa».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. Svolgerei tutti insieme i tre emendamenti a questo articolo, perché sono collegati, e ciò anche con maggiore brevità della discussione.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgere anche gli altri due emendamenti proposti per questo articolo, che sono così formulati:

«Dopo il secondo comma, aggiungere:

«Rimane impregiudicato il diritto alle rettifiche da effettuarsi sulle risultanze dell’accertamento definitivo, ma ciò nei soli confronti del contribuente, restando salvi i diritti acquisiti dai terzi sui beni inclusi nella dichiarazione, purché in essa, quanto ai valori, siano osservate le disposizioni di cui al Capo VI».

«Aggiungere, in fine:

«Qualora il riscatto sia stato esercitato prima che l’accertamento dell’imposta sia divenuto definitivo, gli interessi imputati in conto imposta, ai sensi del precedente articolo, sono rimborsati in relazione all’ammontare della imposta che risulti non dovuta e al tempo trascorso dal versamento al rimborso».

MICHELI. L’articolo 51 è stato già emendato dalla Commissione riguardo al riscatto totale dell’imposta, riscatto che, secondo il principio accettato dall’emendamento proposto dalla Commissione, può essere effettuato anche in base alla denunzia del contribuente, anziché sull’accertamento provvisorio e definitivo. La dizione proposta dalla Commissione non mi pare rispecchi pienamente il principio al quale effettivamente l’emendamento si ispira, che è quello di rendere il più possibile agevole il riscatto, prima ancora che gli uffici procedano agli accertamenti, al fine evidente di agevolare gli incassi della Tesoreria, ma anche per ridurre al minimo, come sarebbe doveroso, lo stato di incertezza che minaccia di paralizzare tutti gli affari, particolarmente nella contrattazione dei beni immobili.

L’espressione letterale usata dalla Commissione è tale, a mio parere, da rendere possibile un’incertezza nell’interpretazione della norma, in quanto si parla di importo dell’imposta accertata in via provvisoria: la parola «accertata» lascia subito supporre quello che, nella normale procedura fiscale, vuol dire accertamento, mentre l’emendamento tende chiaramente ad evitare, ai fini del riscatto, ogni lungaggine procedurale e a basare l’operazione stessa sulla domanda, sempreché sia redatta nei modi prescritti dallo stesso provvedimento di legge.

A garanzia dunque del fisco e per meglio coordinare le disposizioni dell’articolo in esame con quelle di cui all’articolo 53 che tratta del riscatto parziale, sembra logico proporre che, dopo il secondo comma del testo della Commissione, ne venga aggiunto uno nuovo per chiarire come debba venire lasciato impregiudicato il diritto del fisco, nei soli confronti naturalmente del contribuente, restando cioè salvi i diritti acquisiti dai terzi sui beni risultanti dalle dichiarazioni; perché siano osservate le disposizioni di cui al Capo VI del decreto che regola appunto la materia delle dichiarazioni cui il contribuente è tenuto.

Tale aggiunta è altresì indispensabile nei confronti dei terzi, in quanto, in caso diverso, il riscatto consentito sui valori dichiarati, per le ragioni dianzi esposte, non eliminerebbe le incertezze intorno alla commerciabilità dei beni, per evitare le quali l’emendamento viene proposto.

Si tratta quindi di richiamarsi al principio che già è stato riconosciuto per il riscatto parziale.

L’ultimo emendamento non ha, per vero, bisogno di svolgimento, perché con esso io mi limito a richiedere che gli interessi siano, ai sensi dell’articolo precedente, rimborsati in relazione all’imposta che non risulta dovuta. È una cosa che si impone ed è di così palmare evidenza che mi pare non abbia bisogno da parte mia di ulteriore svolgimento.

PRESIDENTE. Segue un emendamento al secondo comma dell’onorevole Veroni. Ne do lettura:

«Al secondo comma, alle parole: immobiliari, aggiungere le parole: e per i patrimoni costituiti per oltre la metà del loro valore di fabbricati soggetti a vincolo».

L’onorevole Veroni ha facoltà di svolgerlo.

VERONI. Signor Presidente, questo emendamento si riferisce agli immobili che siano soggetti a vincolo. Poiché però la Commissione ha già stabilito, sotto questo riguardo, e precisamente all’articolo 10, che gli immobili soggetti a vincolo godranno di un beneficio generale nella valutazione, rinunzio al mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue un emendamento dell’onorevole De Vita, soppressivo dell’ultimo comma. L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. Ho presentato un emendamento inteso a sopprimere l’ultimo comma dell’articolo 51 il quale dice che il contribuente che dimostra di aver sottoscritto al prestito della ricostruzione può versare fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto titoli del prestito suddetto, da computarsi al prezzo di emissione.

Testé l’onorevole Cappi ha proposto l’aumento al 30 per cento dei titoli che possono essere versati in conto riscatto. Io faccio notare che, oltre all’agevolazione accordata in sede di accertamento di imposta ai sottoscrittori al prestito della ricostruzione, non trovo giustificata quest’altra agevolazione in sede di pagamento dell’imposta.

CAPPI. Del riscatto.

DE VITA. Riscatto, ma sempre pagamento dell’imposta. Fatto si è che i possessori dei titoli si liberano di questi titoli al prezzo di emissione. Ora, io penso che questa sia una agevolazione per i grossi capitalisti, perché i piccoli risparmiatori, sottoscrittori al prestito della ricostruzione, difficilmente raggiungono il minimo imponibile.

Un’altra considerazione. Questa norma potrebbe determinare anche perturbamenti più o meno profondi nel mercato finanziario dei titoli, per aumenti in un primo momento determinati da una maggiore richiesta dei titoli versati in pagamento dell’imposta; ma siccome lo Stato non può tenere questi titoli, quando esso li rivende, potrà determinarsi un ribasso dei titoli di Stato.

Per questi motivi io chiedo la soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 51.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha facoltà di illustrare il seguente emendamento da lui presentato:

«All’ultimo comma, alle parole: fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto, sostituire le parole: fino alla concorrenza del 40 per cento dell’ammontare del riscatto».

RESCIGNO. Aderisco al 30 per cento proposto dall’onorevole Cappi e mi permetto di far osservare all’onorevole De Vita che la sua preoccupazione non ha ragione di esistere, in quanto il beneficio viene concesso a coloro i quali hanno sottoscritto il Prestito, non a coloro che l’hanno acquistato adesso.

In secondo luogo, poi, il vantaggio, cioè il premio che si vuol dare, è precisamente per i medi risparmiatori, quelli cioè che hanno mostrato di avere fiducia nella rinascita e nella ricostruzione della Patria.

PRESIDENTE. Lei rinuncia al suo emendamento?

RESCIGNO. Sì, aderisco alla misura del 30 per cento proposta dall’onorevole Cappi.

PRESIDENTE. Invito il Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Coll’emendamento all’articolo 51 la Commissione ha spostato completamente il principio ed i criteri del riscatto quali erano posti nella legge sull’imposta patrimoniale del 1920-22 e ripetuti in questa legge.

Nella legge sull’imposta patrimoniale del 1920-22 il riscatto era ammesso dopo l’accertamento provvisorio avanti l’iscrizione della prima rata a pagamento. Per rendere più esigibile l’imposta, cioè per «mobilizzare», come si dice, l’imposta, la Commissione ha anticipato la possibilità del riscatto all’atto della dichiarazione del contribuente. Il contribuente fa una dichiarazione provvisoria di valore. Gli Uffici finanziari sono autorizzati ad accettare un riscatto su questa dichiarazione dei contribuente. Naturalmente rimane fermo il diritto della finanza di rivedere i valori denunciati e di fare gli accertamenti provvisori e definitivi. Con questo sistema, la Commissione, se tutte le date fossero state mantenute ferme – e la data di dichiarazione al 13 luglio – calcolava di guadagnare circa sei mesi per il riscatto; e, quindi, di far influire, di far giocare l’imposta sin dai primi mesi dell’esercizio 1947-48.

Con lo spostamento delle date di denuncia non si può naturalmente tener fermo il termine di riscatto assegnato dalla Commissione e la Commissione avrebbe perciò deciso di portare questo termine al 30 novembre, mantenendo fermo il criterio già adottato di dare al contribuente due mesi per la possibilità del riscatto a partire dalla dichiarazione.

La Commissione non è favorevole all’emendamento Cappi nel senso di ripristinare il termine del Governo e di portare la data ultima di riscatto fino al 10 gennaio, perché più si prolunga il periodo del riscatto e più in certo senso il riscatto vien fatto negli ultimi mesi. Bisogna che anche qui ci sia una pressione sul contribuente, pressione esercitata in maniera che il contribuente non porti il riscatto molto lontano nel tempo. Questo risponde al criterio tenuto presente dalla Commissione di anticipare sempre più gli effetti dell’imposta.

Naturalmente il riscatto è un atto volontario e se il contribuente è in condizioni di liquidità e trova vantaggioso l’abbuono, lo può fare al 30 novembre.

RUSSO PEREZ. Altro che in condizioni di liquidità! Il contribuente è addirittura morto, è schiacciato!

LA MALFA, Relatore. Mi è stato comunicato dal Ministro delle finanze che in Piemonte l’80 per cento dell’imposta proporzionale sul patrimonio è stato riscattato.

RUSSO PEREZ. Vuol dire che là sono ricchi; noi siamo poveri.

LA MALFA, Relatore. Quindi, dicevo che dato il nuovo principio sul quale è fondato tutto il sistema del riscatto dell’imposta progressiva, la Commissione mantiene fermo il concetto e aderisce a spostare il termine al 30 novembre.

In quest’ordine di idee accetterebbe l’emendamento dell’onorevole Micheli inteso a sostituire alla parola «accertato» la parola «liquidato», cioè: l’importo dell’imposta liquidato in via provvisoria. Naturalmente, resta fermo il diritto della Finanza di fare l’accertamento provvisorio e definitivo. È una liquidazione provvisoria che viene fatta.

L’emendamento dell’onorevole Veroni è stato ritirato.

Per quanto riguarda gli altri due emendamenti dell’onorevole Micheli, questi sposterebbero di molto i rapporti fra la Finanza ed il contribuente, sia per quanto riguarda gli interessi (c’è una norma generale in materia finanziaria per cui non si tiene mai conto degli interessi ai fini del rapporto fra contribuente e Finanza) sia per quanto riguarda i rapporti e i diritti dei terzi. Col riscatto i diritti dei terzi, degli istituti fondiari e degli altri istituti che si occupano della proprietà immobiliare sono – a parere della Commissione – convenientemente tutelati.

Estendere la salvaguardia del diritto dei terzi sull’intero patrimonio è – a parere della Commissione – estremamente pericoloso e quindi pregherei l’onorevole Micheli di non insistere su questi due emendamenti.

Rimane il prestito della ricostruzione. Nell’Assemblea si sono manifestati due pareri nettamente contrari: quello dell’onorevole De Vita, che vorrebbe sopprimere l’ultimo comma, e quello dell’onorevole Rescigno e dell’onorevole Cappi che vorrebbe aumentare la quota.

Fra questi due pareri, la Commissione manterrebbe il testo governativo già accettato. Non crede che ci sia possibilità di speculazione sulla concessione perché il contribuente, per aver diritto alla quota di riscatto, deve dimostrare di aver sottoscritto al Prestito. Ora, che cosa può essere avvenuto? Che il contribuente abbia sottoscritto, poi abbia venduto il titolo e poi l’abbia ricomprato. Sono operazioni che possono essere avvenute, ma non possiamo seguirle. Se il contribuente dimostra di aver sottoscritto, e di avere quindi avuto fiducia nel Prestito, non possiamo chiedergli altro. Non possiamo indagare le successive operazioni, tanto più che è difficile stabilire l’identità materiale dei titoli e cioè che colui che ha sottoscritto possegga gli stessi titoli che ha sottoscritto. È vero che c’è una ricevuta provvisoria, ma non c’è nemmeno il numero del titolo. La Commissione ha ritenuto che questo accertamento non si possa fare. D’altra parte, il contribuente ha sottoscritto; oggi presenta per il riscatto un titolo: i due atti, iniziale e finale, sono completi. Per queste ragioni, è preferibile mantenere la formula quale è, e non portarla al 30 per cento, perché questo potrebbe costituire un vantaggio eccessivo per certe categorie. Ma dobbiamo tener presente che noi ammettiamo i Buoni del tesoro ordinario, il Prestito Soleri ed il Prestito della ricostruzione. Non vorrei che l’imposta diventasse una conversione di titoli.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei domandare alla Commissione se con il testo che ha presentato restano escluse le norme per il riscatto dell’imposta sui valori differenziali fra l’accertamento provvisorio e l’accertamento definitivo. Non è detto niente per questa parte dell’imposta, mentre nel testo originario era consentita la facoltà del riscatto entro la fine di ogni anno.

LA MALFA, Relatore. È giusta l’osservazione dell’onorevole Corbino; ma mi permetto di far rilevare che nel congegno della vecchia imposta patrimoniale si poteva riscattare quasi ogni momento. Ma ciò aveva l’inconveniente che si fissavano a priori delle condizioni di riscatto che può essere conveniente variare nel tempo.

CORBINO. Siamo d’accordo: è soltanto al momento in cui l’accertamento provvisorio diventa definitivo che sorge l’obbligo del pagamento di nuova imposta.

LA MALFA, Relatore. Questa questione è stata esaminata e si è detto: siccome passeranno dei mesi e la Finanza avrà modo di accertare le condizioni del riscatto, lasciamo che questa seconda operazione sia legalmente regolata quando gli uffici finanziari siano in condizione di prendere una posizione. La questione non è chiusa. Il Governo la esaminerà nel momento opportuno.

CORBINO. Per quello che concerne la data, il Presidente della Commissione propone il 30 novembre; io dico che si potrebbe fissare il 31 dicembre con l’obbligo di effettuare il pagamento entro il 10 febbraio: analogamente a quello che stiamo facendo per la decennale.

Insomma, prima della prima rata del 1948 dovrebbe essere avvenuto il riscatto.

PRESIDENTE. Che cosa pensa la Commissione di questa proposta dell’onorevole Corbino?

LA MALFA, Relatore. Non so cosa ne pensi il Governo. Però si dovrebbe anche versare entro il 31 dicembre, perché l’articolo suona così:

«Il contribuente che all’atto della dichiarazione, ecc.», quindi si fissa una data ultima.

PRESIDENTE. Allora la Commissione è d’accordo?

LA MALFA, Relatore. Mi rimetterei alla valutazione del Governo.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Vorrei chiedere un chiarimento alla Commissione. Vorrei sapere come si coordina la norma dell’articolo 51 con la disposizione che abbiamo già votato questa mattina di cui all’articolo 46; vorrei sapere cioè se, essendo a base del riscatto tanto l’importo accertato in via provvisoria, quanto quello in via definitiva, anche il riscatto sarà eventualmente soggetto a revisione nel caso in cui le Commissioni non accettassero gli accertamenti dell’ufficio. Faccio presente che, praticamente, si verificherà che quando si sarà già riscattato si sarà anche pagato e da parte del contribuente sorgerà la preoccupazione di dover tornare su quello che è stato già fatto se per caso l’accertamento posto a base del riscatto non fosse accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di rispondere.

LA MALFA, Relatore. Intendo l’obiezione dell’onorevole Crispo, ma non mi pare che ci sia un inconveniente di questo genere perché il riscatto non modifica in nulla i rapporti esistenti dal punto di vista fiscale, fra contribuente e fisco.

Il riscatto vuol dire pagamento anticipato ed il corrispettivo del pagamento anticipato è l’abbuono di imposta. Il debito di imposta fino al riscatto è coperto dal riscatto. Quello che la Finanza pretende in più di imposta sarà regolato in pagamenti rateali, con premi, ma fino all’ammontare del riscatto, compreso l’abbuono, si tratta di un debito di imposta saldato. Quindi non c’è nessuna incompatibilità fra l’articolo 51 e l’articolo 46.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Chiedevo precisamente questo: se, avvenuto il riscatto, questo copra interamente il debito del contribuente.

LA MALFA, Relatore. No.

CRISPO. Questo chiedevo appunto per sapere se si debba trovare il modo di coordinare l’articolo 46 con l’articolo 51.

CORBINO. La liquidazione è in via provvisoria.

CRISPO. Anche in via definitiva. Fino a quando non si sarà verificata la prescrizione, anche l’accertamento definitivo sarà soggetto a revisione.

LA MALFA, Relatore. Nel momento in cui il contribuente dichiara certi valori mobiliari, su quelli la Finanza fa una liquidazione di imposta e quella è coperta dal riscatto. Se la liquidazione sarà maggiore il contribuente dovrà pagare la differenza.

CRISPO. Non è questo il mio pensiero. Su questo concetto del rapporto fra accertamento provvisorio e accertamento definitivo siamo d’accordo. Io mi riferisco all’accertamento fatto in via definitiva. Siccome questo accertamento di cui all’articolo 46 può restare sub judice fino alla prescrizione dell’azione da parte della Finanza, che cosa avverrà del riscatto che si sarà adempiuto sull’accertamento definitivo quando per caso la Commissione ritenesse che l’accertamento dell’ufficio fosse da rivedere?

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Questo meccanismo del riscatto solleva in me un dubbio che mi pare implichi un inconveniente grave. In questo momento io stesso non saprei come ovviare a questo inconveniente, ma lo segnalo. Dico, dunque, che questo sistema potrà essere un grave ostacolo per chi abbia da vendere. Chi abbia da vendere una proprietà immobiliare, trova questa proprietà immobiliare legata per un tempo che (lo abbiamo visto ora) può essere molto lungo; perché il riscatto lo fa parzialmente su quello che provvisoriamente è stato accertato, e tutto il resto, cioè il di più tra il provvisorio e il definitivo, deve essere cospicuo e quindi la proprietà immobiliare resta immobilizzata per una parte cospicua.

Queste operazioni di accertamento definitivo saranno lunghissime: si tratta di 60 milioni di particelle, per ogni particella bisogna fare la moltiplicazione per quello che sarà intanto stabilito dalla Commissione censuaria centrale, e poi ci sono altri 30 milioni di particelle di fabbricati urbani. Quando si è fatta la risistemazione del catasto nel 1928, ci son voluti 5000 impiegati i quali hanno lavorato per un anno e mezzo: tenuto presente che l’Amministrazione non ha macchine calcolatrici e che tutto questo si fa a mezzo di avventizi che sono poco pratici, ciò che dà luogo anche a moltissimi errori. Ora, se a tutto ciò aggiungete le necessarie contestazioni, vedrete che non siamo troppo lungi dal vero quando diciamo che questi accertamenti possono durare sei, sette anni. Dunque noi immobilizziamo per lo meno una parte della proprietà immobiliare e rendiamo difficili le vendite per tutto questo tempo.

Non saprei in questo momento proporre una maniera per ovviare all’inconveniente, ma comunque lo sottopongo a voi perché ne teniate conto.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Desidererei far notare che i contribuenti potranno avere pure questa preoccupazione, che i riscatti possano essere anche un criterio per quegli accertamenti presuntivi di cui all’articolo 46. Una persona, appena è accertata l’imposta sul patrimonio, crede di doverla riscattare, ma deve temere che domani questo riscatto sia un’arma per un accertamento presuntivo che sarebbe possibile fino a due anni dopo. Io desidererei che la Commissione ed il Governo considerassero questo aspetto del problema. Quello che ha detto l’onorevole Adonnino non è che la ripetizione, sotto questo profilo, di quello che era stato detto dall’onorevole Fabbri e da me questa mattina. È vero che la legge in altre parti prevede la possibilità di ridurre il privilegio del Governo per l’esazione dell’imposta su determinati immobili, ma fino a quando questa imposta non sarà definitivamente liquidata, l’accertamento, se una parte del patrimonio si può liberare e rendere commerciabile, non si può fare.

Desidererei che tutte queste cose si guardassero, perché noi potremmo provocare il disastro di parecchi patrimoni.

PRESIDENTE. Chiedo quale sia in proposito il pensiero del Relatore.

LA MALFA, Relatore. Se ho ben capito, l’onorevole Crispo pensa al caso che il riscatto sulle dichiarazioni del contribuente possa essere, come debito di imposta, maggiore di quello che si è accertato. Ora io direi che il riscatto, così come è stato congegnato dalla Commissione, toglie qualsiasi preoccupazione di questo genere. Il riscatto viene fatto su dichiarazione del contribuente e sull’imponibile che già risulta, quindi il riscatto è fatto su un debito di imposta minimo possibile; il contribuente non può dichiarare un valore superiore a quello che la Finanza accerterà. Non può sorgere nessun caso di questo genere.

Mi spiego. Il riscatto copre il debito di imposta: una somma x; se la somma è x più venti, si regolerà il rapporto per quel venti. Per l’imposta x la questione è chiusa col riscatto.

FABBRI. Quel venti si può riscattare?

LA MALFA, Relatore. Faccio presente che non è più possibile dar fondo a tutta la materia. Il Governo stabilirà con suo provvedimento le condizioni in cui si dovrà riscattare quella quota.

FABBRI. Con una futura legge.

LA MALFA, Relatore. Con una futura leggina.

Rispondo alle preoccupazioni dell’onorevole Adonnino.

Nel 1920 questa questione del privilegio fiscale e della incommerciabilità dei beni immobili, in conseguenza del privilegio, diede origine ad ampie discussioni, a dibattiti dottrinari, a preoccupazioni legislative. Si risolse questa questione col riscatto parziale e colla possibilità di liberare gli immobili, attraverso garanzie particolari.

Se leggete gli atti parlamentari di quell’epoca, notate che non si poté fare più di questo; e questa fu la soluzione, che ovviò agli inconvenienti denunziati dagli istituti di Credito fondiario. Quell’esperienza è stata trasferita in questa legge. Quindi, gli onorevoli colleghi non abbiano la preoccupazione che si determini il disastro. Molte disposizioni di questa legge sono passate alla prova del fuoco della legislazione del 1920-22.

Ad ogni modo, la Commissione, anche in questa materia, ha cercato di essere larga di criteri. All’articolo 60 si dice:

«È in facoltà dell’Intendenza di finanza di rinunziare, in tutto o in parte, a tale privilegio speciale per tutti gli immobili o per alcuni o parte di essi, contro prestazione di garanzia riconosciuta idonea dall’Amministrazione».

Questo vuol dire che se il contribuente deve vendere un immobile, esso deve mettere la Finanza in condizione di tutelare il suo credito. La Finanza non può andare al di là di questo; non può fare di più.

La Commissione non ha richiesto neanche la garanzia speciale, se il resto del patrimonio è capiente, per tutelare il pagamento dell’imposta.

La Commissione non può distruggere il principio generale che lo Stato deve garantirsi il pagamento dell’imposta.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Crispo ha fatto ora pervenire il seguente emendamento aggiuntivo all’ultimo comma:

«L’accertamento definitivo, posto a base del riscatto, non può essere in alcun caso modificato».

LA MALFA, Relatore. In sede di riscatto non si possono fare queste affermazioni; il riscatto è una pura operazione di convenienza del contribuente.

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Ringrazio l’onorevole Relatore della sua risposta e convengo che, allo stato attuale delle cose, dato il meccanismo che creiamo, egli non poteva dirmi altro; ma io ho il dovere di far presente che l’inconveniente rimane e rimane in quanto che la situazione nostra non è come quella del 1922: nel 1922 il debito complessivo si sapeva. Se ne riscattò una parte, per il di più si sa quanto si deve avere.

LA MALFA, Relatore. Ma no; non è così!

ADONNINO. Comunque, ci sia stato o no nel 1922 questo inconveniente; esso nel 1922 si verificò per brevi mesi, mentre ora per lunghi anni potremmo restare in questa situazione, che cioè il di più non si saprà. Come si fa a dire che il di più è garantito su questo fondo o su questo palazzo? La stessa Finanza non potrà essere tranquilla né sarà in grado di rendere tranquillo il proprietario. Io stesso non so quale sistema proporre per ovviare, ma dato il meccanismo, l’inconveniente è innegabile ed è tanto più grave in quanto dura per lungo tempo e costituisce un immobilizzo della proprietà, particolarmente ora che siamo in vista delle riforme strutturali, della proprietà terriera specialmente, e non so in quale misura inciderà.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Faccio mio il rilievo dell’onorevole Adonnino, ma io ne avevo fatto un altro: data la presenza dell’articolo 49 in questa legge, le parti ed i contribuenti temeranno di esercitare il riscatto, perché esercitandolo, dànno vita alla più forte delle presunzioni che legittimerebbe un ulteriore accertamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

«Dopo il secondo comma, aggiungere:

«Per il riscatto della quota complementare di imposta, per eventuali accertamenti superiori al valore della dichiarazione saranno dettate norme con successivo provvedimento».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CORBINO. Illustro subito il mio emendamento. Abbiamo tre tipi di riscatto da contemplare: il riscatto dell’imposta dovuta all’atto della presentazione della dichiarazione; poi l’eventuale riscatto per quello che concerne la differenza di imposta per la differenza di accertamento; poi la probabilità di dover riscattare uno dei cespiti del patrimonio nel caso di vendita a terzi.

Al primo caso provvede l’articolo previsto dalla Commissione col primo capoverso dell’articolo 51. Per il secondo caso ho proposto un emendamento con cui dico così: «Per il riscatto della quota complementare di imposta, per eventuali accertamenti superiori al valore della dichiarazione, saranno dettate norme con successivo provvedimento». Evidentemente noi in questa occasione potremo invocare dal Governo norme chiarificatrici, anche per quello che concerne il riscatto parziale in applicazione dell’articolo 46; così supereremo quest’ostacolo e possiamo andare avanti.

CRISPO. Vi è una terza ipotesi…

CORBINO. L’ipotesi della vendita è contemplata nell’articolo 53.

CRISPO. Non l’ipotesi della vendita; ma l’ipotesi che si sia fatto il riscatto dopo constatata la differenza tra l’accertamento provvisorio e l’accertamento definitivo e che l’accertamento definitivo, dopo che si è esercitato il riscatto, sia soggetto a revisione.

CORBINO. Noi abbiamo ammessa questa ipotesi come conferma di una legislazione già in atto!

FABBRI. Che non c’è!

CORBINO. In tutti gli altri casi di legge questa facoltà dell’amministrazione l’abbiamo già. Qui gli ostacoli sono più gravi: su che cosa possono influire? Evidentemente possono influire sui trasferimenti a titolo oneroso. Ora, l’articolo 53, ultimo comma, contempla questo caso ed esclude i terzi dall’obbligo di qualsiasi rapporto col fisco, perché dice: «…nei confronti del contribuente, delle rettifiche in più o in meno…».

Ad ogni modo io credo che, avendo noi approvato l’articolo 46, non possiamo qui risolvere tutti i casi che si possono presentare. Diamo, quindi, al Governo mandato di emettere, con successivo provvedimento, le norme che contemplano la possibilità del riscatto pelle eventuali differenze di accertamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Cercherò di riassumere brevemente il pensiero del Governo sui diversi argomenti che sono stati toccati nella interessante discussione di questo inizio di seduta. In primo luogo sono d’accordo sullo spostamento al 31 dicembre 1947 del termine del 15 settembre, di cui all’articolo 51, per la presentazione della domanda di riscatto e versamento in Tesoreria in unica soluzione, dell’imposta derivante dalla liquidazione sui valori dichiarati.

Sono d’accordo nella analisi fatta sull’argomento del riscatto, il quale può concettualmente riflettere tre zone distinte del patrimonio tassabile. La prima zona, quella risultante dalla dichiarazione, che è comune a tutti i contribuenti; la seconda zona: quella derivante dall’eventuale supplemento che potrà risultare dovuto in seguito all’accertamento da parte dell’ufficio, e sarà una zona pressoché comune a tutti i contribuenti anche questa.

C’è poi una certa zona che preoccupa l’onorevole Crispo in particolar modo, ed è quella derivante da eventuali nuovi accertamenti di iniziativa delle Commissioni giudicanti ai sensi dell’articolo 46.

Per le ragioni dette stamani, io penso che questa terza zona rappresenterà l’eccezione; però dobbiamo porla nel campo delle cose concrete, e quindi regolarla ai fini del riscatto.

L’onorevole Corbino, presentando un suo emendamento (sebbene esso sia l’ultimo ad essere stato presentato, ne parlerò prima per connessione di argomento) ha chiarito una posizione che deriva dal cambiamento di sistema per la riscossione adottato dalla Commissione nei suoi emendamenti.

Effettivamente, stabilito il concetto, secondo la Commissione, che l’imposta scade col 31 dicembre 1948 per la generalità dei contribuenti, salvo la scadenza del 31 dicembre 1949 per i contribuenti che hanno un patrimonio prevalentemente immobiliare, ed adottato il concetto che i pagamenti successivi dànno luogo ad un interesse compensativo o dimora del 2 per cento, evidentemente, se non si dicesse altro, il riscatto non potrebbe che riguardare quella parte, di cui si anticipa il pagamento, cioè quella parte relativa alla dichiarazione.

Poiché sarebbe materia più teorica che pratica considerare un supplemento di pagamento di imposta derivante da accertamento che potesse maturare entro il 31 dicembre 1948 o entro il 31 dicembre 1949, io accetto l’emendamento dell’onorevole Corbino come raccomandazione al Governo di adottare facilitazioni a favore di quei contribuenti che anche posteriormente al 1948-49, intenderanno rinunciare alla facoltà di proroga dei tre anni o dei cinque anni, che sarebbe accordata secondo gli emendamenti della Commissione.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Cappi, il quale vorrebbe portare al 30 per cento la quota del 20 per cento in Prestito della ricostruzione, io avrei risposto favorevolmente, se questo riscatto, nel sistema della Commissione – che sembrava dovesse restare definitivo – avesse dovuto riguardare soltanto il patrimonio risultante dalla dichiarazione provvisoria.

In tal caso mi sarebbe stato facile concludere che, se il Governo già configurava un 20 per cento per il riscatto sull’intero patrimonio, nessuna difficoltà vi poteva essere di portare al 30 per cento la quota di titoli afferente alla dichiarazione provvisoria.

Ma, riportati i termini della questione nelle dimensioni iniziali, in forza dell’emendamento Corbino, credo di dover pregare l’onorevole Cappi di non insistere sullo spostamento dal 20 al 30 per cento.

Vi è una seconda questione sollevata dall’onorevole Cappi, in ordine alla dimostrazione di possesso dei titoli sottoscritti.

Mi riallaccio, a questo punto, alle considerazioni svolte dall’onorevole De Vita in materia di facilitazioni in favore dei sottoscrittori del Prestito della ricostruzione 3,50 per cento. Il Governo, stabilendo di accettare il 20 per cento a favore dei sottoscrittori del Prestito, e in genere a favore dei possessori del Prestito, ai fini del riscatto, senza aggiungere il requisito del continuato possesso dei titoli, o, quanto meno, del possesso al momento del riscatto, si era preoccupato di difendere tecnicamente il corso del titolo 3,50 per cento. Infatti, se è vero che concedendo il pagamento in titoli anche a favore di persone che non fossero gli originari sottoscrittori, si dava a prima vista l’impressione di favorire la speculazione, è da osservare, invece, approfondendo meglio la materia, che proprio questi acquisti fatti sul mercato avrebbero portato a quella difesa del corso dei titoli, che rappresenta forse, la migliore facilitazione nell’interesse di tutti ì sottoscrittori.

Orbene, questo punto di vista può anche essere modificato, dopo il provvedimento di conversione facoltativa del Prestito. Non esiste più una fondamentale preoccupazione di difesa del corso in favore dei sottoscrittori, quando al sottoscrittore è offerta la possibilità di conversione al 5 per cento. Ed è per questa considerazione che, pur non nascondendomi la difficoltà della dimostrazione del possesso, quale deriva dalla seconda parte dell’emendamento Cappi, non mi oppongo – e mi perdoni la Commissione se, per una volta, non sono perfettamente d’accordo con le sue conclusioni – non mi oppongo alla seconda parte dell’emendamento.

Per quanto riguarda il primo emendamento dell’onorevole Micheli, io penso che l’onorevole collega sia d’accordo con l’onorevole Relatore, quando questi suggerisce di modificare l’emendamento, nel senso di sostituire alla parola «accertatogli», la parola «liquidatogli»; mantenendo ferme le parole «in via provvisoria, sulla base della dichiarazione stessa», perché, se adottassimo l’intera frase «liquidatogli secondo la dichiarazione» potrebbe nascere qualche dubbio e cioè si potrebbe dubitare che esso abbia una portata di liquidazione definitiva dell’imposta, ciò che non è.

Mi perdonerà l’onorevole Micheli, se, per gli altri due emendamenti, non posso dare parere favorevole, per le ragioni che ha esposte il Relatore e che faccio mie.

Vorrei ancora dire all’onorevole De Vita che non è intenzione dello Stato di rimettere in circolazione i titoli del 3,50 per cento ricevuti in pagamento; l’intenzione precisa è di distruggere i titoli ricevuti in pagamento. Non possiamo metterci nella situazione del debitore il quale, dopo aver ritirato una cambiale, anziché essere buon amministratore e quindi anziché distruggerla, cerca il modo di rimetterla di nuovo allo sconto, cioè di rimetterla in circolazione.

Era giusta la preoccupazione dell’onorevole De Vita prima di questa assicurazione; desidero, perciò, dargli atto che l’intenzione del Governo è di far sì che non vengano più messi in circolazione i titoli ritirati in pagamento parziale.

Vi è poi il grosso argomento – forse più grosso a parole che non a fatti concreti – che affiora periodicamente nella discussione: quello degli intralci che si opporrebbero alla circolazione dei beni immobili in dipendenza dei privilegi cautelativi che vengono riservati alla Finanza dalla legge in discussione. Io penso, onorevoli colleghi, che siamo tutti d’accordo nell’ammettere che esiste in ordine gerarchico una preoccupazione numero uno, che è quella di garantire l’esazione dell’imposta a favore dell’erario.

Questo fa sì che tutte le altre passino in secondo piano.

È da osservare, però, che quando si fa riferimento ad un’esperienza del 1922, si dimentica che ci si trovava allora in una situazione più preoccupante dell’attuale, perché si trattava di un’imposta che si pagava per un periodo decennale e, per la categoria dei cespiti immobiliari, addirittura in un periodo di venti anni. E se gravi inconvenienti non si sono verificati per un’imposta che teoricamente avrebbe immobilizzato tutto il settore immobiliare per venti anni, io dovrei pensare – prima conclusione – che minor preoccupazione ci dovrebbe essere per un’imposta la quale dovrebbe in parte immobilizzare questo settore per quattro o per sei anni solamente.

Ma non credo neppure in questa immobilizzazione, perché gli articoli 53 e 60 della legge dovrebbero essere sufficientemente idonei ad eliminare le preoccupazioni degli onorevoli Condorelli ed Adonnino. L’articolo 53, infatti, all’ultimo comma, sia nella formulazione del Governo che in quella della Commissione, affronta proprio l’ipotesi peggiore da questo punto di vista, l’ipotesi cioè di un contribuente il cui patrimonio non abbia ancora formato oggetto di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

In questo caso, è data facoltà all’Amministrazione finanziaria di determinare provvisoriamente il valore dell’intero patrimonio e il valore dello stabile che si vorrebbe riscattare ai fini della vendita, affinché si possa liberare lo stabile dal vincolo del privilegio.

E voi vedete bene, onorevoli colleghi, come si dica chiaramente che tale valutazione provvisoria serve solo ai fini della liberazione del privilegio, del riscatto del privilegio. È evidente che se il Governo e la Commissione si sono preoccupati di formulare questa ipotesi, ciò è stato appunto per venire incontro al massimo grado a queste liberazioni parziali degli immobili, che si intende di riscattare.

Ma questo primo motivo di tranquillità è inoltre rafforzato dal disposto dell’articolo 60, là dove si dice (e si dice qualche cosa che non è la ripetizione dell’articolo 53, ma che si aggiunge all’articolo 53), essere in facoltà dell’intendenza di finanza di rinunciare in tutto o in parte al privilegio speciale per tutti gli immobili, o per alcuni di essi, o parte di essi, contro prestazione, ecc., e questo indipendentemente dalle procedure di riscatto.

Ora, arrivati a questo punto – e prendo veramente atto dell’onesta dichiarazione dell’onorevole Adonnino: «io non so che cosa potrei proporre» – debbo concludere che oltre questi limiti, per sedare le legittime preoccupazioni dei contribuenti, non sarebbe possibile andare senza compromettere seriamente l’interesse dell’Amministrazione finanziaria alla riscossione.

Io prego gli onorevoli Condorelli e Adonnino di volere, là dove sentano preoccupazioni in questa materia, fare opera di persuasione o dare assicurazioni, a nome dell’Amministrazione finanziaria, che tutto sarà fatto perché la legittima libera circolazione dei beni immobili non soffra per queste disposizioni.

Un’ultima preoccupazione ha fatto presente l’onorevole Condorelli, ed è questa: che il fatto del riscatto possa rappresentare un indice ai fini dell’accertamento presuntivo. Dichiaro che l’Amministrazione finanziaria chiarirà, in sede di istruzioni, che il fatto del riscatto non deve essere considerato come indice presuntivo ai fini della determinazione di eventuali quote addizionali ai sensi dell’articolo 26 e successivi della legge.

Tutto questo ritengo che l’Amministrazione debba fare per incoraggiare le operazioni di riscatto, che penso saranno effettuate dai contribuenti in larga misura.

E anche per questo, siccome ho l’impressione che si diffonda troppo una voce secondo cui l’Amministrazione, in via induttiva, penserebbe di colpire i contribuenti che riscattano (e personalmente sono preoccupato anche delle ragioni per cui questa voce viene così largamente diffusa) io pregherei gli onorevoli colleghi di farsi interpreti, in omaggio a chiare necessità di ordine civico, delle dichiarate intenzioni dell’Amministrazione in ordine a questa materia. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Allora, possiamo passare finalmente ai voti.

CRISPO. Aspettavo chiarimenti dall’onorevole Ministro sul mio emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo perdono all’onorevole Crispo. L’onorevole Crispo propone che l’accertamento definitivo posto a base del riscatto, non possa essere in alcun modo modificato. Ora, credo di essere nel vero, quando affermo che il pagamento del debito di imposta, qualunque sia la forma in cui abbia luogo, o nella via normale, attraverso le consuete rateazioni, o nella vita anticipata di un riscatto, non può interferire con la liquidazione dell’ammontare del debito.

Indipendentemente da qualsiasi considerazione di merito, siccome si viene a proporre una questione di ordine generale, che cioè una determinata modalità di pagamento possa influenzare quello che è il definitivo accertamento dell’onere d’imposta, mi duole di non potere accettare l’emendamento dell’onorevole Crispo.

CRISPO. Ma il concetto mio si riferisce alla definitività dell’accertamento. È inconcepibile il definitivo accertamento con la possibilità di revisione. Se l’accertamento è definitivo, non consente ulteriori decisioni. Non è la modalità del pagamento, ma dell’accertamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Con queste credo che l’onorevole Crispo voglia arrivare alla seconda zona dicendo: se c’è il riscatto, non si arriva alla terza zona dell’articolo 46; ed è appunto per questo che io non posso dare parere favorevole a qualche cosa che contenga una limitazione nella applicazione dell’articolo 46 in dipendenza dell’anticipato pagamento dell’imposta. È cioè per la difesa dell’articolo 46, su cui abbiamo tanto battagliato stamane, che mi induco a non accettare l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ha fatto pervenire il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Se il riscatto è fatto negli anni successivi, il premio di cui sopra è ridotto rispettivamente al 6 e all’8 per cento. Non è ammesso il riscatto dell’ultimo anno dell’imposta».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BERTONE. Il progetto del Governo ammetteva il riscatto negli anni successivi, ogni anno meno l’ultimo. Viceversa, il progetto della Commissione – nel lodevole intendimento di procurare all’erario un forte gettito – ha incoraggiato il riscatto con agevolazioni maggiori ma limitandolo, però, al primo anno.

A me pare che la limitazione del diritto di riscatto al primo anno sia per riuscire forse troppo gravosa al contribuente. Chi si trova a dover pagare al primo anno, magari d’un colpo, uno o due milioni per il riscatto, forse non ce la fa; o anche il piccolo proprietario che non possa pagare tre o quattro centomila lire, il primo anno per il riscatto, è probabile che nell’anno successivo sia in condizioni di potere riscattare le rate d’imposta che ancora ha da pagare.

Perciò io proporrei che il riscatto possa operarsi anche nelle annate successive, meno l’ultima, non essendo più urgente il bisogno di incassare, dal momento che l’imposta viene pagata normalmente nelle rate bimestrali.

D’altra parte io penso che far sì che la Tesoreria non abbia l’immediata disponibilità di tutte le somme che possono rappresentare il riscatto dell’imposta sia una cosa utile anche per la stessa Tesoreria. È inutile che ce lo nascondiamo, qualche volta la Tesoreria è un po’ il figliuol prodigo: se ci sono larghi mezzi si spendono. Viceversa noi abbiamo bisogno di assicurare entrate all’erario per una serie di anni che non sappiamo quanti saranno, ma che non saranno pochi. Quindi se un gettito straordinario – che ci auguriamo alto ed imponente – viene pagato non tutto in una volta ma ripartito in tre o quattro anni, questo rappresenterà un sollievo non solo per il contribuente ma anche per la cassa dell’erario ed una garanzia che queste somme saranno spese forse meglio appunto perché ripartite in diverse annate.

Quindi prego la Commissione ed il Governo di volere prendere in benevola considerazione questo emendamento che in fondo risponde al concetto primitivo del Governo.

Potrebbe darsi che questo rientri nella formula già adottata dall’onorevole Corbino e non avrei nessuna difficoltà ad accedervi. Se in quel provvedimento integrativo, che sarà adottato successivamente, s’introducesse oltre quanto è già stato suggerito dall’onorevole Corbino anche questa possibilità di rimandare il riscatto nelle annate successive, mi appagherei, e non avrei ragione d’insistere.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Questa mattina, approvando l’articolo 48 proposto dalla Commissione abbiamo accettato di dividere i contribuenti per il termine di un anno nel caso di patrimoni prevalentemente mobiliari e di due anni nel caso di patrimoni immobiliari, e si è consentito al contribuente di chiedere una dilazione rispettivamente in quattro e sei anni. Evidentemente il contribuente che chiede la dilazione in quattro per uno o in sei per due anni, non può ricevere l’agevolazione del riscatto perché il massimo che gli si può concedere è che paghi subito l’imposta dovuta risparmiando solo il due per cento d’interessi applicati come mora per il ritardato pagamento. Tuttavia credo che il concetto espresso dall’onorevole Bertone non si debba lasciar cadere così. Noi potremmo pregare il Governo che, in sede di emanazione di quelle disposizioni che contemplano il riscatto dalla seconda «zona», come l’ha brillantemente definita il Ministro, detti qualche norma per il caso che il riscatto sia chiesto prima della scadenza dell’anno o dei due anni entro i quali l’imposta avrebbe dovuto essere pagata.

Credo che questo possiamo farlo a titolo di raccomandazione.

PRESIDENTE. Quale è il pensiero della Commissione?

LA MALFA, Relatore. Il caso contemplato dall’onorevole Bertone si pone nell’anno o nei due anni in cui c’è il debito d’imposta. Può sorgere la possibilità di riscatto dopo la scadenza del 30 novembre e prima del 31 dicembre 1948-49.

Appunto perciò la Commissione non ha voluto regolare questo caso perché dopo il 30 novembre il Governo potrà, in base all’esperienza, prendere opportuni provvedimenti. Mi associo alla raccomandazione ed accetterei l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Corbino per le quote integrative.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Sono d’accordo con il Relatore.

ARATA. Chiedo la parola per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

ARATA. È previsto o no un accertamento definitivo? In che cosa consiste l’accertamento definitivo? Lo si ha a dichiarazione? Con il concordato?

Ecco la mia domanda: Quante forme di riscatto abbiamo? Tre riscatti, cioè un riscatto in base a dichiarazione del contribuente; un secondo, che dovrebbe essere definitivo, in base a concordato; ed un terzo in base ad un eventuale accertamento delle Commissioni provinciali?

PRESIDENTE. L’onorevole Pella ha facoltà di parlare.

PELLA, Ministro delle finanze. In ordine al concetto della definitività di accertamento riassumo brevemente quale è il corso normale della procedura:

1°) dichiarazione del contribuente, oppure omessa dichiarazione del contribuente;

2°) attività accertatrice dell’ufficio in sede di rettifica della dichiarazione presentata oppure in mancanza della dichiarazione presentata;

3°) eventuale concordato col contribuente, oppure discussione davanti ai collegi, in modo da ottenere una decisione passata in giudicato, oppure una sentenza passata in giudicato qualora per questioni di diritto, esaurito il contenzioso amministrativo, si passasse davanti alla Magistratura ordinaria.

Allorquando noi ci troviamo davanti a un concordato o davanti a una decisione o una sentenza passata in giudicato, il patrimonio è definitivamente accertato, secondo il linguaggio tecnico tributario. È vero che in questo caso il concetto è inesatto perché l’articolo 46 lascia la possibilità di una ulteriore integrazione. Ma, onorevoli colleghi, non è la prima volta che in sede tecnica si incontrano termini che assumono un determinato significato, il quale si può scostare dal significato generale volgare. Abbiamo discusso sulle ragioni, a mio avviso insuperabili, per le quali sarebbe stato un errore sopprimere l’articolo 46.

Per quanto riguarda il problema dal riscatto, salvo la porta aperta dall’onorevole Corbino col suo emendamento, in cui si inserisce poi a titolo di raccomandazione l’emendamento dell’onorevole Bertone, è opportuno tener presente che il riscatto ha un significato se viene proposto entro il 31 dicembre 1948, per quanto riguarda i patrimoni prevalentemente mobiliari, entro il 31 dicembre 1949 per quanto riguarda i patrimoni prevalentemente immobiliari. Se entro quell’epoca ci si trova davanti ad un accertamento definitivo nel senso tributario della parola, quindi anteriore all’eventuale applicazione dell’articolo 46, può essere proposto un problema di riscatto rispetto a questo intero patrimonio in forza dell’emendamento dell’onorevole Corbino. In forza del testo che stiamo votando adesso, il riscatto sarebbe proponibile soltanto fino ai limiti della dichiarazione. Se invece quella definitività si verifica posteriormente al 31 dicembre 1948 o al 31 dicembre 1949, il problema del riscatto non può essere proposto che nei confronti del patrimonio dichiarato.

PRESIDENTE. Onorevole Cappi, mantiene il suo emendamento?

CAPPI. Rinuncio all’emendamento per la parte concernente il ripristino del testo governativo, purché il termine per il riscatto sia portato, come il Governo ha accettato, al 31 dicembre.

Per quanto riguarda invece l’aumento dal 20 al 30 per cento della quantità dei titoli del Prestito della ricostruzione da versarsi in conto riscatto, sono costretto ad insistere.

Propongo inoltre che il premio di riscatto sia elevato dall’8 al 10 per cento e, nel caso di patrimoni costituiti per almeno due terzi da cespiti immobiliari, dal 12 al 14 per cento.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Micheli insiste nei suoi emendamenti?

MICHELI. Il primo emendamento è stato accettato, in quanto che io pure accetto le parole «in via provvisoria». Quanto agli altri due, giacché tanto la Commissione che il Governo ritengono di non poterli accettare, li ritiro.

PRESIDENTE. Procediamo allora alla votazione degli emendamenti. Iniziamo con la modifica proposta dall’onorevole Corbino per il primo comma dell’articolo 51, la sostituzione cioè della data del 31 dicembre a quella del 15 settembre.

Pongo ai voti la proposta di modifica dell’onorevole Corbino.

(È approvata).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Micheli. Al primo comma alle parole «accertatogli in via provvisoria» sostituire le parole «liquidatogli in via provvisoria».

(È approvato).

Pongo ai voti l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Corbino che diviene terzo comma nel testo della Commissione:

«Per il riscatto del deposito dovuto per maggiori accertamenti in confronto della dichiarazione, saranno dettate norme con successivo provvedimento».

BERTONE. Si potrebbe inserire come emendamento la mia raccomandazione, dire cioè: «Per l’eventuale riscatto dopo il primo anno sarà provveduto a ridurre il premio rispettivamente al 6 e all’8 per cento».

PELLA, Ministro delle finanze. Prego l’onorevole Bertone di limitarsi alla raccomandazione, perché dobbiamo armonizzare il concetto di riscatto dopo il primo anno col concetto dell’interesse aggiuntivo. Questo è l’aspetto delicato, che può suggerirci di restare sul terreno della raccomandazione.

BERTONE. Quando dico «per l’eventuale riscatto» dico che potrebbe anche non ammettersi.

PRESIDENTE. Credo che l’onorevole Bertone possa contentarsi della raccomandazione.

BERTONE. Purché risulti a verbale che la mia proposta è accettata dal Governo come raccomandazione.

PRESIDENTE. Resta inteso così; ella rinuncia all’emendamento e lo trasforma in raccomandazione che il Governo accetta.

Pongo ai voti l’emendamento Corbino, già letto.

(È approvato).

LA MALFA, Relatore. Desidero rilevare un errore di carattere tipografico. Nella seconda colonna dello stampato, a pagina 41, a fianco del comma: «In tutti i casi di versamento diretto in Tesoreria non compete alcun aggio all’esattore ed al ricevitore provinciale», manca la parola «identico», poiché quel comma rimane anche nel testo proposto dalla Commissione.

PRESIDENTE. D’accordo. Comunque era già stata data lettura dell’articolo nel testo esatto.

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Cappi tendente ad elevare dal 20 al 30 per cento l’ammontare del riscatto che può essere versato con titoli del Prestito della ricostruzione aggiungendo la precisazione: «purché il contribuente dimostri di essere tuttora in possesso dei titoli sottoscritti».

Ricordo che il Governo e la Commissione hanno dichiarato di essere contrari a questo emendamento.

(Non è approvato).

Vi è poi un secondo emendamento dello stesso onorevole Cappi, che propone di elevare il premio di riscatto dall’8 al 10 per cento nel primo comma e dal 12 al 14 per cento nel secondo.

Quanto alla data in cui il versamento del prezzo del riscatto deve essere effettuato, Governo e Commissione sono concordi nel fissarla al 31 dicembre, e tale data è accettata dall’onorevole Cappi che rinunzia al termine del 10 gennaio 1948 inizialmente indicato.

Pongo dunque ai voti innanzi tutto la fissazione della data al 31 dicembre.

(È approvata).

Dovrò ora porre ai voti la proposta Cappi che porta i premi di riscatto rispettivamente al 10 e al 14 per cento.

LA MALFA, Relatore. Debbo un chiarimento all’onorevole Cappi ed è questo: per l’imposta proporzionale, riscattando si ha un abbuono del 10 per cento d’imposta. Ma in quel caso si tratta di 10 rate, qui si tratta di 6 rate, e l’8 per cento, comparato alla proporzionale, è un giusto tasso. Per queste ragioni di carattere obiettivo, la Commissione non accetta l’emendamento. Gli abbuoni vanno riferiti al tempo di anticipo del pagamento.

PRESIDENTE. Prego il Ministro delle finanze di esprimere il proprio parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo non sarebbe stato contrario ad aumentare queste agevolazioni per il riscatto, soprattutto con il significato di rimettere all’Assemblea la decisione al riguardo. È esatto però che, quando si è detto l’8 per cento, «in funzione del cambiamento del sistema dell’imposta che scade al 31 dicembre, ecc.» si cercò un equivalente anche rispetto al 10 per cento per la proporzionale. Vorrei pregare l’onorevole Cappi di trasformare in raccomandazione questo suo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Cappi, è d’accordo?

CAPPI. Sono d’accordo.

SCOCCIMARRO. Se non ho mal compreso mi pare che il Ministro abbia detto che accetta questa proposta a titolo di raccomandazione, ma in questa materia mi pare che la raccomandazione non vada. Qui si decide una aliquota od un’altra e qui il Governo non può mutare, di sua iniziativa l’aliquota. (Commenti).

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Una cosa è certa; che tutto quanto viene accettato a titolo di raccomandazione, agli effetti di un successivo provvedimento legislativo quale è quello che potrà nascere dall’ordine di idee enunciate dall’onorevole Corbino, fa parte di quel materiale preparatorio che viene appunto accolto con il cortese riguardo che è dovuto alla collaborazione che l’Assemblea può dare al Governo.

Tutto questo potrà entrare in un eventuale successivo provvedimento legislativo.

PRESIDENTE. Allora, onorevole Cappi, dopo le spiegazioni date dal Ministro delle finanze, conferma di ritirare il suo emendamento?

CAPPI. Sì.

CRISPO. Domando la parola.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro di far mio l’emendamento Cappi.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Cappi, fatto proprio dell’onorevole Crispo, con il quale si propone di portare il premio di riscatto dall’8 al 10 per cento e dal 12 al 14 per cento.

(Non è approvato).

Vi è infine l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo:

«L’accertamento definitivo posto a base del riscatto non può essere in alcun modo modificato».

Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

L’articolo 51 si intende approvato con gli emendamenti testé votati.

DE VITA. Faccio presente che vi era anche un mio emendamento soppressivo dell’ultimo comma.

PRESIDENTE. Tale emendamento può ritenersi assorbito dalle votazioni effettuate.

Vi è la proposta di un articolo aggiuntivo 51-bis presentato dall’onorevole Clerici.

Mi sembra più opportuno che l’onorevole Clerici la ripresenti, se crede, come aggiunta all’articolo 60.

CLERICI. Sta bene.

PRESIDENTE. Segue l’articolo 52 che la Commissione accoglie nel testo ministeriale.

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’Amministrazione finanziaria può, in qualsiasi momento, disporre d’ufficio il riscatto della imposta straordinaria sul patrimonio, quando vi sia fondato motivo che possa venir meno la garanzia del credito erariale».

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’articolo 53.

Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«È autorizzato il riscatto parziale per i singoli cespiti o per una frazione di essi, mediante il pagamento della corrispondente quota d’imposta, sempre quando l’Amministrazione finanziaria ritenga sufficientemente garantito dal restante patrimonio il residuo debito, ovvero quando venga offerta altra garanzia idonea.

«La somma da versare per il riscatto parziale si determina in base all’ammontare dell’imposta che si ottiene applicando al valore del cespite cui il riscatto si riferisce l’aliquota corrispondente al valore dell’intero patrimonio a norma dell’articolo 29.

«Il valore dell’intero patrimonio e quello della porzione di esso per la quale si chiede il riscatto sono determinati di ufficio, ai soli fini del riscatto stesso, in via provvisoria e senza pregiudizio, nei confronti del contribuente, delle rettifiche in più o in meno da effettuarsi sulle risultanze dell’accertamento definitivo».

PRESIDENTE. Su questo articolo, l’onorevole Micheli ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, sopprimere le parole: sempre quando l’Amministrazione finanziaria ritenga sufficientemente garantito dal restante patrimonio il residuo debito, ovvero quando venga offerta altra garanzia idonea».

«Sostituire il terzo comma col seguente: «Il riscatto parziale avviene con le modalità e gli effetti, anche nei confronti dei terzi, di cui al precedente articolo 51, determinandosi la parte di imposta da riscattare in proporzione dei valori dichiarati per ciascun cespite».

«Aggiungere, in fine:

«il riscatto parziale può essere chiesto ed accordato in ogni momento per le rate di imposta ancora dovute, durante il periodo di ratizzazione previsto dall’articolo 48».

Ha facoltà di svolgerli.

MICHELI. Come l’altra volta, continuerò ad esaminare brevissimamente gli emendamenti.

L’onorevole Ministro ha accennato all’importanza dell’istituto del riscatto e si è augurato che in larga misura accorrano i contribuenti a farne uso, dichiarando anche che, con questo, lo Stato intendeva di andare incontro alle legittime aspirazioni di coloro i quali chieggono che la commerciabilità degli stabili non venga turbata. Però ha aggiunto argomentazioni che vengono un poco a sminuire questa sua preambola dichiarazione…

Una voce a sinistra. Preambola?…

MICHELI. Non piace? La sostituiremo con qualche parola migliore; per ora affidiamo il nostro allobrogo modo di esprimerci all’onorevole Targetti, affinché voglia risciacquarlo in Arno!

Dicevo, appunto, che l’onorevole Ministro nella seconda parte, disse che effettivamente non c’era questa ragione di preoccuparsi gravemente della questione che si era messa in discussione nei riguardi del riscatto, perché effettivamente vi era stato l’esperimento dell’altra legge.

È vero, l’esperimento dell’altra legge c’è stato, molti anni fa, in altre situazioni, ed essa soprattutto è ben diversa da questa, per il sacrificio che si chiede ai contribuenti, attraverso aliquote molto più formidabili, le quali renderanno per molti più gravoso e più difficile il riscatto. D’altronde egli ha detto che, nel rispondere, si valeva dell’esperienza dell’Amministrazione; ora, io faccio osservare che l’Amministrazione non può possedere che una esperienza unilaterale non già quella di coloro i quali per l’arte e la professione loro controllano la formazione dei contratti e la stipulazione di essi e che si sono trovati, per un numero di anni notevolissimo, in mezzo a questo genere di affari.

E qui conviene accennare a quello che è l’ostacolo grave è cioè la difficoltà per la quale si rimandano tante stipulazioni. Posso assicurare l’onorevole Ministro che sempre sino a questi ultimi tempi, ogni volta che si faceva un atto, la tribolazione principale era proprio quella di andare ad appurare se la tassa sul patrimonio era pagata o meno e questo ha portato spesso incagli notevolissimi.

Io non affermo già che questi non si possano eliminare; al contrario dico che si possono eliminare con il riscatto, ma appunto per ciò lo Stato deve favorire il riscatto, anche per favorire la commerciabilità degli stabili, venendo ad ovviare ad una situazione che si annuncia veramente grave perché le Casse di risparmio e gli Istituti di credito fondiario hanno delle regole in materia che sono molto precise e rigide nella richiesta delle garanzie. Ecco dunque perché dico che la tassa sul patrimonio, per gli enti fondiari, è un forte ostacolo al loro funzionamento.

Ora, una quantità di contribuenti dovrà pure provvedere a pagare la patrimoniale con dei debiti. Finora c’era stato un flusso notevole di richieste oggi tutte ferine come se fosse calata una saracinesca. Ora, di tutto questo non possiamo non preoccuparci; e allora io dico: onorevole Ministro, bisogna in tutti i modi favorire il riscatto, renderlo snello, agevole, facilitarlo.

Di quello generale abbiamo già parlato; ma esso servirà a pochi: ed è di quello parziale che ora in modo particolare ci dobbiamo interessare, perché è il riscatto parziale che può maggiormente agevolare la commerciabilità degli stabili. Difficilmente infatti uno vende tutto il suo patrimonio e difficilmente si determinerà a riscattare l’intera tassa patrimoniale. L’onorevole Ministro lo sa e lo ha anche accennato: c’è la contrarietà generale al riscatto nella pubblica opinione; tanta gente, troppa sia pure, dice: a pagare c’è sempre tempo.

Ma vi è un secondo punto della questione; ed è che questi signori dicono anche: Se tu paghi, dimostri di avere quattrini in abbondanza e quindi ecco che tu sarai preso di mira dalla Finanza, che ti metterà in uno schedario speciale, sempre in vista!

Non basta dunque, onorevole Ministro, la sua dichiarazione che Ella non terrà conto di questo, perché c’è da tener presente la mentalità dei funzionari i quali, in quel benedetto metodo induttivo tanto in voga ora, come faranno a non trarre le illazioni che ho sopra prospettato?

Noi dunque, per avviare le pratiche di riscatto, dobbiamo essenzialmente agevolarle ed è soprattutto su quelle parziali che noi maggiormente ci dobbiamo fondare, anche perché sono quelle che rendono meglio il criterio, a cui appunto si è ispirata la Commissione, almeno a parole, di voler consentire la maggiore possibile libertà agli stabili.

Ora, il primo comma, così come è stato presentato nel testo del decreto, subordina l’operazione di riscatto parziale alla condizione che l’Amministrazione finanziaria ritenga sufficientemente garantito dal restante patrimonio il residuo debito, ovvero che venga offerta altra garanzia idonea. E allora noi, con questo criterio, veniamo a mettere in essere una delle garanzie, col sostituirne una coll’altra; e non vorrei che questi, in pratica, fosse un ostacolo alla concessione del riscatto parziale, perché la nuova garanzia richiede un apprezzamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, che deve essere basato sopra accertamenti e valutazioni i quali senza dubbio sono tali da neutralizzare il beneficio che la norma si propone, di rapido incasso da una parte per lo stato e della libera commerciabilità dei beni per il contribuente. È vero che è detto nell’articolo stesso che si deve fare in via provvisoria, ma in via provvisoria non vuol mica dire in via rapida, breve… ma che dopo dovrà passare al definitivo, e quindi altri esami, accertamenti. Le parole del Ministro a bene sperare danno ragione, ma ridebimus infra.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, veda di stringere!

MICHELI. Onorevole Presidente, mi pare d’esser stato stretto finora, ed io restringerò ancor di più, e la Commissione non so se potrà fare altrettanto nei suoi piacevoli favoleggiari.

Parmi necessario, per coordinare le disposizioni in materia di riscatto, di sopprimere nel primo comma le parole che ammettono che quando non si ritenga questo sufficientemente garantito, si possa sostituire con idonea garanzia. Non mi persuade troppo perché lasciamo una certa, forse troppa, latitudine ai funzionari. A maggiore garanzia dell’Amministrazione e per coordinare meglio le norme relative al riscatto, ho proposto anche l’altra forma: «Il riscatto parziale avviene con le modalità e gli effetti di cui all’articolo 51, determinandosi la parte di imposta da riscattare in proporzione dei valori dichiarati per ciascun cespite».

Tenuto presente, inoltre, che mentre il riscatto totale può effettuarsi per l’improrogabile data, ora portata al 31 dicembre, il riscatto parziale deve – mi pare che sia implicito nelle dichiarazioni fatte, ma non c’è nulla scritto; ed è per questo che io lo chieggo – avvenire anche durante l’intero periodo della rateazione dell’imposta, per le rate ancora da scadere.

Quindi, mi pare sia opportuno fare un esplicito cenno in coda a questo articolo, con un altro comma il quale dica: «Il riscatto parziale può essere chiesto ed accordato in ogni momento per le rate di imposta ancora dovute, durante il periodo di ratizzazione previsto dall’articolo 48».

Non voglio altro aggiungere, signor Presidente, per dimostrarle che sono stato di stretta osservanza.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa è invitato ad esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti dell’onorevole Micheli.

LA MALFA, Relatore. Considero in blocco tutti e tre gli emendamenti dell’onorevole Micheli.

Questa questione del riscatto parziale, istituto che è stato introdotto per favorire i movimenti della proprietà immobiliare, ha dato luogo ad esperienze nel 1920-22, ed è stato il limite massimo di libertà di contrattazione che si è potuto dare al contribuente, non venendo meno alla necessità di garantire in maniera assoluta l’Amministrazione finanziaria.

Quindi, la Commissione non è favorevole ad accogliere gli emendamenti primo e secondo dell’onorevole Micheli.

Accetterebbe invece il concetto espresso nel terzo emendamento Micheli, però con una dizione un po’ più aderente alle necessità della determinazione di quando si può fare il riscatto. Io presento questo emendamento senz’altro.

PRESIDENTE. Si tratta dunque di un emendamento all’emendamento dell’onorevole Micheli.

Prego l’onorevole Ministro di esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, lei insiste nei due primi emendamenti? La Commissione ed il Governo si sono espressi negativamente.

MICHELI. La Commissione è stata così cortese nei miei riguardi che mi rimetto completamente a quanto vorrà fare: prenda i miei tre emendamenti e ne faccia quel tanto che crede sia opportuno. A me importava che fosse accolto il mio principio.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione, aderendo al concetto espresso nel terzo emendamento dell’onorevole Micheli, ha formulato l’ultimo comma dell’articolo nei seguenti termini:

«Il riscatto parziale dev’essere domandato al competente Ufficio distrettuale delle imposte dirette entro il giorno 10 del mese precedente a quello della scadenza di ciascuna rata d’imposta e si riferisce a tutte le rate non ancora scadute. Il versamento in Tesoreria dev’essere effettuato entro il mese di scadenza della rata stessa».

Il Ministro accetta questa formulazione?

PELLA, Ministro delle finanze. Accetto la nuova formulazione, soprattutto pensando a quel nuovo provvedimento che potrà nascere dall’emendamento dell’onorevole Corbino con la raccomandazione dell’onorevole Bertone.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione questo emendamento nella formulazione testé letta:

(È approvato).

L’articolo 53 si intende approvato con questo emendamento.

Passiamo all’articolo 54 (Capo X, Sanzioni).

Se ne dia lettura nel testo governativo accettato dalla Commissione:

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che ometta di presentare la dichiarazione nei termini stabiliti è soggetto al pagamento di una sopratassa pari all’ammontare dell’imposta definitivamente accertata, ed è punito con l’ammenda da una metà all’intera somma dell’imposta stessa.

«La sopratassa stabilita nel comma precedente è ridotta ad un terzo, nei casi in cui il contribuente presenti la dichiarazione entro 60 giorni dalla scadenza del termine, e l’ammenda non si applica.

«Ove il contribuente presenti la dichiarazione nei termini stabiliti dall’articolo 30, omettendo l’indicazione di uno o più cespiti, è soggetto ad una sopratassa pari alla quota proporzionale di imposta definitivamente accertata sui cespiti omessi, ed è punito con l’ammenda dalla metà all’ammontare della quota stessa.

«La soprattassa prevista nel comma precedente è ridotta ad un terzo, ove il contribuente dichiari i cespiti stessi entro 60 giorni dalla scadenza del termine, e l’ammenda non si applica.

«Ove il contribuente dichiari un valore imponibile inferiore a quello minimo determinato secondo le norme degli articoli da 34 a 37, è soggetto ad una pena pecuniaria pari alla differenza tra l’imposta liquidata sul valore determinato secondo le norme degli articoli sopra citati e quella liquidata sul valore dichiarato.

«La pena pecuniaria non si applica quando l’imposta di cui l’Erario sarebbe stato defraudato non supera il quinto dell’imposta dovuta».

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato il seguente emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli:

«Sostituirlo col seguente:

«Il contribuente che omette di presentare la dichiarazione nel termine stabilito è punito con una sopratassa del venti per cento.

«La sopratassa è ridotta alla metà se è presentata nei trenta giorni dal termine.

«Una eguale sopratassa del 20 per cento si applica per i cespiti omessi nella dichiarazione, e detta sopratassa è ridotta alla metà se i cespiti omessi vengano successivamente dichiarati nei 60 giorni dal termine».

Onorevole Bosco Lucarelli, mantiene l’emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Sì.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Lo svolgerò brevissimamente.

A me sembra che l’articolo 54, come è stilato nel testo, porti una eccessività nelle penalità, eccessività che poi diventa ancor più gravosa se l’Assemblea approvasse l’emendamento degli onorevoli Scoccimarro e Veroni che vi aggiunge l’arresto fino ad un anno.

VERONI. Onorevole Bosco Lucarelli questo era legato al giuramento. Non essendo stato approvato il giuramento, l’emendamento mio e dell’onorevole Scoccimarro e il suo non hanno più ragione di essere.

BOSCO LUCARELLI. Io mi preoccupo dell’importo della sovratassa che è pari all’ammontare dell’imposta, tanto più che vi si aggiunge un’ammenda che va dalla metà dell’imposta all’intera imposta stessa. Il che significa che fra sovratassa e ammenda si può raggiungere il duecento per cento dell’imposta. Ora bisogna tener presente che i grossi contribuenti, ì grossi capitalisti difficilmente ometteranno la denunzia. Se qualche omissione vi sarà essa si verificherà tra i piccoli e i medi contribuenti. Forse la mia proposta sarà troppo tenue. Ma, fra il troppo dell’articolo 54 e il troppo tenue del mio emendamento, si può anche trovare una giusta via di mezzo.

Le cose sono ancora più gravi quando le stesse norme si applicano per i cespiti che non sono stati denunziati. Ora, l’omissione della denunzia di un determinato cespite può anche dipendere da cause occasionali che possono anche non essere frutto di un dolo. Né l’Amministrazione può assodare se c’è dolo o no. Allora, in questa omissione parziale, è tanto più gravosa la norma che può portare la penalità ad un duecento per cento fra sovratassa e multa. In altri termini, si assorbirebbe completamente il patrimonio. Ma questo non sembra giusto né regolare né opportuno, perché sopprimere interamente il cespite non è buona regola finanziaria.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Scoccimarro e Veroni hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Dopo il secondo comma aggiungere il seguente:

«Trascorso inutilmente tale termine, il contribuente è punito, oltre che con le pene pecuniarie di cui al primo comma, con l’arresto fino ad un anno».

«Al terzo comma, dopo le parole: stabiliti dall’articolo 30, omettendo, aggiungere la parola: però».

L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di svolgerli.

SCOCCIMARRO. Desidero confermare che le ragioni per cui avevo presentato l’emendamento aggiuntivo al secondo comma non esistono più, e quindi lo ritiro.

All’onorevole Bosco Lucarelli vorrei osservare che se il giuramento fosse stato accettato, avrei anche potuto comprendere una attenuazione dell’aspetto finanziario della sanzione, ma siccome quella proposta è stata respinta, a me pare che il testo presentato dal Governo sia abbastanza equilibrato.

Rinunzio anche all’altro emendamento, puramente formale.

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha posto il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per i depositi e conti presso istituti di credito e casse postali, omessi in tutto o in parte nella dichiarazione, la pena sarà corrispondente all’entità dei valori occultati. Questi, se ancora disponibili all’atto dell’accertamento d’ufficio, resteranno avocati allo Stato, in soddisfacimento della pena pecuniaria predetta».

Lo mantiene?

CAROLEO. Essendo rimasto il segreto bancario, ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Resta allora soltanto l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli. Onorevole Bosco Lucarelli lo mantiene?

BOSCO LUCARELLI. Lo mantengo, salvo che il Governo non dichiari di attenuare la sovratassa.

PRESIDENTE. Domando il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione è di parere contrario.

PRESIDENTE. Qual è il parere dell’onorevole Ministro delle finanze?

PELLA, Ministro delle finanze. Contrario.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, mantiene ugualmente il suo emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Lo ritiro.

PREZIOSI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli.

PRESIDENTE. Dovrò allora mettere ai voti l’emendamento Bosco Lucarelli fatto proprio dall’onorevole Preziosi.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero chiedere all’onorevole Presidente, in relazione a due modifiche o integrazioni che il Governo intenderebbe proporre per la migliore efficacia nel sistema di sanzioni, se sono stati presentati altri emendamenti.

PRESIDENTE. No.

PELLA, Ministro delle finanze. Nel sistema delle sanzioni pregherei di introdurre due modifiche; una in senso d’integrazione delle sanzioni, perché rileggendo l’articolo 54 osservo che non esiste una specifica sanzione nel caso che sia stato dichiarato un debito inesistente.

Infatti l’articolo 56 non è idoneo per colpire questa ipotesi. L’articolo 56 contempla la cosiddetta frode contabile.

Poi avrei voluto affrontare il problema della sorte delle sanzioni nell’ipotesi di concordato, tenendo conto che il concordato è strumento di primissimo ordine per permettere all’Amministrazione finanziaria di arrivare alla definizione delle contestazioni.

Una voce. Che cosa propone per il concordato?

PELLA, Ministro delle finanze. Le vie possono essere due. Premetto che, nell’ipotesi di concordato, ritengo debbano concedersi attenuazioni alle sanzioni, altrimenti succede che una volta commessa la violazione il contribuente ha tutto l’interesse a portare la contestazione il più a lungo possibile, in quanto non ha nessun vantaggio a definire celermente.

L’agevolazione di cui si tratta potrebbe trovarsi in primo luogo nel quadro della legge organica del settembre 1931 che riguarda le dichiarazioni e le sanzioni in materia di imposte dirette. Il sistema – se la memoria non mi tradisce – è il seguente: le sanzioni per omessa dichiarazione sono ridotte alla metà o anche ad un quarto, se si tratta di ritardo inferiore al mese nella presentazione della dichiarazione, per le sopratasse a carattere civile e ad un quarto per l’ammenda, che ha carattere penale; mentre invece nel caso di infedele dichiarazione il concordato importa l’annullamento della sopratassa.

Se poi non vogliamo rientrare nel sistema tributario della legge del settembre 1931, potremmo adottare un diverso criterio.

Devo dichiarare che l’Amministrazione non ritiene sottinteso il richiamo alla legge del 1931, perché con il capo che stiamo discutendo, il quale s’inizia con l’articolo 54, regoliamo per intero tutta la materia; per cui malamente potrebbe sostenersi l’applicabilità delle disposizioni della legge del settembre 1931.

PRESIDENTE. Comunico che viene ora presentato alla Presidenza il seguente emendamento aggiuntivo al terzo comma dell’articolo. Esso è del seguente tenore:

«Al terzo comma, dopo le parole: o più cespiti, aggiungere: o dichiarando debiti che risultino fittizi».

L’emendamento reca le firme degli onorevoli Castelli Edgardo, Scoca, Coccia, Veroni, Nasi, Tosi, Castelli Avolio, Arcaini, Pesenti e Bassano.

Il Governo e la Commissione dichiarano di essere favorevoli a questo emendamento.

CANNIZZO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Io desidererei un chiarimento, vale a dire se per debito fittizio si debba intendere anche il debito di cui non si riesce a giustificare l’impiego.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che convenga adottare una formula che non lasci possibilità di equivoci. Se questa formula deve essere vasta, possiamo mettere in relazione la vastità della formula con la gravità della sanzione, eventualmente per attenuare quest’ultima. Io penso che dobbiamo configurare la sanzione per tutte quelle ipotesi in cui il debito denunciato nella dichiarazione non venga, per una qualsiasi ragione, ammesso in detrazione in sede di definizione dell’accertamento.

Se adottassimo una formula diversa, comprenderemmo soltanto una parte di questa ipotesi e forse incapperemmo in quella che è già contemplata nell’articolo 56.

Io pregherei cioè di considerare l’ipotesi del debito esposto e non ammesso. Lascio agli onorevoli proponenti di esaminare se possa trovare accoglimento un altro concetto; la legge del settembre 1931, se non erro, esonera dalla sanzione, quando l’esistenza del cespite da dichiarare poteva essere fondatamente messa in discussane. Anche qui si ammette la possibilità di un apprezzamento della buona fede in ordine alla esistenza del debito esposto. Comunque, salvo questo correttivo, pregherei di adottare la formula più ampia possibile.

PRESIDENTE. Allora, se non c’è nessuna modificazione di questo emendamento…

CANNIZZO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Mi sembra molto grave questa situazione per cui pregherei il Governo di cercare di attenuare la disposizione, perché già in base a quelle che abbiamo detto stamani, parlando di presunzione e di debito contratto per vivere, oggi si può arrivare a una conseguenza ancora più grave; che ci sia un debito del quale non si può dimostrare l’impiego.

PELLA, Ministro delle finanze. Possiamo parlare di «debito inesistente».

DUGONI. Attenzione, si peggiora la situazione!

LA MALFA, Relatore. È molto più grave una sanzione per debito inesistente. «Debito fittizio», mi pare una espressione che dia il concetto di dolo o frode; «debito inesistente», non esiste per ragioni obiettive perché il creditore lo nega. C’è una disposizione che dice: se il creditore nega il debito, il debito non esiste.

Io direi di mantenere la formula «debito fittizio» che è una presunzione di frode al fisco.

CANNIZZO. Io intendo riferirmi a un’altra cosa; il debito che viene detratto dal passivo perché il contribuente non ne può dimostrare l’impiego. C’è l’articolo 22. Non dobbiamo aggiungere ingiustizia ad ingiustizia.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Mi pare che qui rientriamo in pieno nella questione che era stata rinviata quando abbiamo discusso l’articolo 23. All’articolo 23 il testo della Commissione diceva: «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunciato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negato dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti», ecc. Abbiamo discusso su questa formulazione e non ci siamo trovati d’accordo e si è pertanto rinviata la decisione su tutto l’articolo.

Ora rientriamo in pieno nella stessa questione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Relatore. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Fittizio per me vuol dire che il debito è detraibile, cioè la Finanza lo deve mettere in detrazione, ma è fittizio nel senso che c’è una frode. Se il debito è inesistente, oppure se esiste e la Finanza non lo mette in detrazione, non si può applicare la sanzione.

BERTONE. Quale debito più fittizio di quello dichiarato di una persona che afferma di non essere stata mai creditore?

LA MALFA, Relatore. Se il creditore dichiara che il debito non esiste, evidentemente ci può essere un suo interesse. Allora, in quel caso, non è una dichiarazione fittizia, è una dichiarazione di debito inesistente. Fittizio è un debito che alla Finanza risulta come debito nel senso che ha tutti gli elementi per essere detraibile, e dall’accertamento risulta che è un debito fittizio.

BERTONE. Ma chi dichiara la fittizietà? La questione dei debiti deve essere affrontata organicamente.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Io cercherei di chiarire il problema dicendo che si deve parlare di passività invece che di debito per avere un concetto più generico e mantenere la parola «fittizio» oppure una parola che in altri termini contenga il concetto di dolosità. Si potrebbe adoperare, per esempio, la parola «simulazione». Si può parlare di passività simulata. Fittizio e simulato sono due concetti che si avvicinano.

CANNIZZO. In sostanza «fittizio» e «simulato» sono la stessa cosa; però io proporrei di introdurre questo: «I debiti, i quali, pur non risultando detraibili, sono veri»; in questo caso non vengono colpiti dall’imposta

Ci sono due criteri. Il credito è vero o simulato; se vero, può essere detraibile? no. I crediti veri non detraibili credo siano assimilati ai fittizio. Questo è il mio timore.

Prego di introdurre una formula tale, da escludere che gli uffici finanziari possano dare questa interpretazione molto restrittiva alla dizione «debito fittizio».

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Nella passata seduta ho fatto la proposta che questa materia fosse sottoposta a revisione più approfondita, perché molto delicata, anche per interferenze di carattere legale e giuridico.

Siccome questa sanzione è una specie di conseguenza dell’articolo 23, faccio proposta formale perché questa materia sia rinviata allo studio dell’articolo 23; dopo di che collocheremo una sanzione anche in questo campo, a suo tempo.

TOZZI CONDIVI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOZZI CONDIVI. Una formula, sia pure ristretta, potrà dirimere la questione e lasciare minore possibilità di discussione. Direi: «debito già detratto dall’ufficio e riconosciuto fittizio».

Spiego questo mio concetto. Il contribuente presenta questo debito, lo discute con l’ufficio, il quale riconosce che è inesistente, in qualsiasi forma che non sia fraudolenta; l’ufficio detrae il debito; se poi accerta, in un secondo tempo, che il debito è fittizio, allora la sanzione deve essere applicata.

L’onorevole Bertone sosteneva che questa fittizietà potrà essere accertata attraverso l’azione giudiziaria; questo non importa. La sanzione verrà applicata quando verrà riconosciuta la fittizietà.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Bisogna riassumere i termini della questione. Vi sono debiti e debiti; vi sono debiti che saranno ammessi in detrazione, e debiti che non saranno ammessi in detrazione.

I debiti proposti nella dichiarazione e non ammessi poi in detrazione, hanno l’effetto che può avere la mancata dichiarazione di un cespite attivo. Cioè, il danno per la Finanza è di avere un’iscrizione provvisoria inferiore a quella che si sarebbe avuta, nell’ipotesi che il debito non fosse stato dichiarato. Questo è un danno comune a tutti i debiti, che non saranno ammessi; sia quelli che nascono da un comportamento fraudolento del contribuente, sia quelli che nascono da un comportamento di buona fede del contribuente. Ed è per questo che io, per la ipotesi del debito denunciato e non ammesso in detrazione, propongo di adottare quella stessa sanzione, di carattere civile, che è adottata nei confronti di chi dichiari per i cespiti in attivo valori inferiori a quelli minimi voluti dalla legge.

Ciò salvo migliore controllo e la inserzione dell’emendamento, là dove l’onorevole Castelli Avolio lo ritenga opportuno. Mi sembra così raggiunto un primo risultato. Se teniamo conto – e lo dico per tranquillità dell’onorevole Cannizzo – che noi abbiamo già posto il principio, che penso sarà accolto, di una attenuazione delle sanzioni nella ipotesi di concordato e siccome, con tutta probabilità, nel caso di presentata dichiarazione, le sanzioni di carattere civile finiranno per essere condonate, evidentemente il problema che poniamo presuppone la presentazione di una dichiarazione. Perciò io credo che il dichiarante, che in buona fede ha insinuato un debito, che poi non può essere ammesso in detrazione, avrà delle conseguenze solo se riterrà di affrontare il giudizio delle Commissioni. Sotto questa luce desidererei venisse messo il problema. Perciò, quale prima conclusione, prego di considerare l’ipotesi del debito inesistente e non soltanto del debito fittizio e di inserire la sanzione nel sistema delle sanzioni per chi dichiara un valore inferiore al minimo voluto dalla legge.

Esiste poi l’ipotesi del dolo, ma questa ipotesi è affiancata, alla messa in atto di una qualche cosa che è o una registrazione contabile o l’improvvisazione di un documento o l’iscrizione in un inventario. È l’ipotesi della frode contabile, contemplata dal successivo articolo 56 che si sovrappone alla sanzione di carattere civile, che riguarderà tutti i debiti.

D’altra parte, l’articolo 54 rientra nel sistema delle sanzioni in materia di imposte dirette perché trae origine (cito a memoria, e se sbaglio vi prego di correggermi) dall’articolo 18 della richiamata legge del 17 settembre 1931.

Per quanto riguarda i debiti fittizi, è necessario adottare un trattamento più grave, trattamento più grave che deriva dall’applicazione dell’articolo 56 che contempla l’ipotesi di un reato, e nella specie, un delitto; siamo al di là della contravvenzione ed infatti si parla di multa, non di semplice ammenda.

Perciò credo che la questione finisca per potersi risolvere senza rinvio.

È necessario che questa sanzione si riferisca alla dichiarazione di debiti inesistenti, inserendo l’ipotesi là dove si prevede il caso del contribuente che dichiara un valore imponibile inferiore a quello minimo determinato.

Prego l’onorevole Castelli Avolio di esaminare l’articolo e di concludere se l’inserzione nel punto che egli indica porti alle conclusioni alle quali il Governo vuole arrivare. Porta a quelle conclusioni? Allora non è il caso di rinviare.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Ritengo che in questa materia occorra andar cauti, per non mettere il fisco in una situazione difficile per l’accertamento della veridicità o della simulazione, ma io credo che si debba abbinare l’articolo 23 e sono per il rinvio.

Credo che noi potremo uscire da questo groviglio di difficoltà stabilendo il principio che possono detrarsi soltanto i debiti di data certa anteriore al 28 marzo 1947.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io sono favorevole al rinvio anche perché desidererei dal Governo un chiarimento su questo punto: che cosa avviene se nelle dichiarazioni il contribuente dichiara un debito vero e reale, fatto per sottoscrivere al prestito, e questo non dica, dal momento che si è voluta stabilire la disposizione – secondo me illogica e antigiuridica – che quel debito non si deduce?

Il debito è vero e reale – questa è l’ipotesi fatta dalla legge – ed il contribuente non aggiunge, per esempio, il perché lo ha fatto. Che cosa succede se il fisco scopre che il debito è vero e reale ma che il contribuente lo fece per sottoscrivere al prestito?

Gli impegni di esenzione assunti dal Governo dove vanno a finire?

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Bubbio, di rinviare la decisione su questa questione a quando sarà discusso l’articolo 23.

(È approvata).

Passiamo all’articolo 55, sul quale non sono stati presentati emendamenti. Se ne dia lettura nel testo governativo, accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Colui che, pur avendo un patrimonio che non raggiunge il minimo imponibile, è tuttavia tenuto a presentare la dichiarazione ai sensi dell’articolo 30, incorre, ove la ometta, nell’ammenda da lire 5000 a lire 30.000.

«Se presenta la dichiarazione con un ritardo non superiore a 60 giorni dalla scadenza del termine, l’ammenda è ridotta ad un terzo».

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’articolo 56, pure accettato dalla Commissione nel testo governativo. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque, allo scopo di occultare o sottrarre all’imposta straordinaria progressiva attività patrimoniali, altera i registri contabili, o omette negli inventari la iscrizione di attività, o vi iscrive passività inesistenti, o forma scritture od altri documenti fittizi preordinati a nascondere in tutto o in parte la verità, ovvero commette altri fatti fraudolenti diretti allo stesso fine, è punito con la multa da lire 10.000 a lire 5.000.000.

«Qualora gli atti di cui al precedente comma riguardino le società indicate nell’articolo 31, sono soggetti alla multa anche i rappresentanti legali delle società stesse».

PRESIDENTE. Su questo articolo è stato presentato un emendamento riguardante il primo comma, a firma degli onorevoli Rossi Paolo, Arata ed altri.

L’emendamento è così formulato:

«Alle parole: è punito con la multa da lire 10.000 a 5.000.000, sostituire le seguenti: è punito con la reclusione fino a 6 mesi e con la multa da lire 50.000 a 5.000.000».

L’onorevole Arata ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

ARATA. Noi intendiamo soltanto aggiungere alla penalità puramente pecuniaria contemplata nell’articolo 65, una pena detentiva, aumentando altresì il minimo della sanzione da lire 10 mila a lire 50 mila. Se vogliamo che in Italia si instauri un costume tributario è necessario incominciare a fare qualche cosa di serio. Purtroppo, l’Italia è la Nazione maggiormente generosa verso gli evasori nei confronti del fisco.

Ora, qui la materia prevista dall’articolo 56 contempla delle falsità ideologiche vere e proprie.

CRISPO. Sarà il Codice penale che provvederà.

ARATA. Questi non sono fatti punibili in base al Codice penale. Io penso, con i colleghi firmatari dell’emendamento, che un inasprimento delle sanzioni sia, oltre che giuridicamente, anche moralmente accettabile.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Noi potremmo superare l’emendamento Arata, facendo un rinvio al Codice penale per i reati che sono previsti in questa materia e che sono perseguibili con pene ancora più gravi di quelle che il proponente indica nel suo emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione mantiene il testo del Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo al parere della Commissione.

Se può servire come formula di transazione, non ho difficoltà a suggerire di cominciare l’articolo 58 con un richiamo alle disposizioni del Codice penale: «Ferme restando le maggiori pene stabilite dalla legge, ecc.».

Effettivamente, l’articolo 58, s’aggiunge alle norme del Codice penale comune, perché colpisce una forma di falso ideologico sul piano dell’atto privato, mentre il Codice penale comune colpisce il falso ideologico soltanto negli atti pubblici.

PRESIDENTE. Passeremo ora alla votazione sull’emendamento proposto dagli onorevoli Rossi Paolo, Arata ed altri.

CRISPO. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro di votare contro, innanzi tutto perché ritengo che la sanzione pecuniaria contemplata nell’articolo 56 sia già di per sé eccessiva, una volta che consente una latitudine che va da un minimo di dieci mila lire ad un massimo di cinque milioni. Ma voto contro per un’altra ragione ancora, perché cioè non è possibile configurare in una legge speciale un reato di falso ideologico in scrittura privata, dal momento che, secondo le norme del Codice penale, non si riconosce la possibilità di configurare un falso ideologico in iscrittura privata punibile; cosicché si verrebbe a stabilire una contraddizione evidente fra il Codice penale che non contempla questo reato e l’attuale legge. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. E tutte le leggi annonarie?

CRISPO. Non capisco che cosa c’entrino le leggi annonarie!

Per queste ragioni dichiaro di votare contro.

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Desidero dichiarare, signor Presidente, che voterò contro, ma non già per le ragioni addotte dall’onorevole Crispo, perché ritengo perfettamente lecito che l’Assemblea possa creare una figura di reato una volta che essa sta a legiferare e una volta che non è in contrasto con la norma fondamentale del Codice penale.

Voterò contro, perché ritengo che in questa materia tanto più le pene sono gravi, tanto meno si applicano: è un concetto che ho ripetuto anche in seno alla Commissione, è un concetto la cui veridicità è confermata dall’esperienza. (Interruzione del deputato Gavina – Commenti).

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento.

(Dopo votazione per alzata e seduta e per divisione, è approvato – Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ricordo all’Assemblea che, come è stato ieri deciso, l’esame di questo disegno di legge dovrà proseguire in seduta notturna. (Commenti).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Sono stato io a chiedere ieri sera la seduta notturna. Essendo però venuto a conoscenza dell’intenzione del Relatore di chiedere il rinvio della discussione appena si sarà giunti all’articolo 68, dato che la Commissione non ha avuto tempo di esaminare gli emendamenti presentati al Titolo II e al nuovo Titolo sugli enti collettivi, penso che sarebbe inutile venire qui alle 22, per andarcene dopo poco.

Perciò propongo senz’altro il rinvio della discussione a domani mattina. (Approvazioni).

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione deve esaminare tutti gli emendamenti relativi all’imposta straordinaria patrimoniale proporzionale e deve esaminare il titolo aggiuntivo sugli enti collettivi.

Quindi si può scegliere: o esaurire tutti gli articoli fino all’imposta straordinaria proporzionale stasera, e domattina la Commissione si riserva di esaminare gli emendamenti sull’imposta proporzionale e sugli enti collettivi in modo che l’Assemblea possa discutere nel pomeriggio di lunedì; oppure rinviare gli articoli fino all’articolo 67 a domattina. Ma perderemmo un giorno.

Io sarei favorevole ad esaurire gli articoli stasera fino al 67, e lasciar libera la Commissione domattina per esaminare l’imposta straordinaria proporzionale e sugli enti collettivi e rinviare quindi la seduta da stasera a lunedì nel pomeriggio. E ciò perché, onorevoli colleghi, se noi esauriamo gli articoli fino al 67, domattina la Commissione sarà stanca e non potrà esaurire due argomenti: la proporzionale e gli enti collettivi. Quindi noi non siamo in grado di riferire su questi due titoli importantissimi che nella seduta di lunedì.

PRESIDENTE. Faccio osservare che, data la necessità di procedere speditamente nei lavori, una sospensione fino a lunedì non è possibile.

LA MALFA, Relatore. Onorevole Presidente, bisogna risolvere questo problema: se la Commissione non ha a disposizione la mattinata di domani per esaminare questi due importanti argomenti, li dovrà esaminare lunedì nel pomeriggio.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, domattina vi sarà seduta alle 9.30 per lo svolgimento di due interpellanze rivolte al Ministro della pubblica istruzione. Nel frattempo la Commissione potrà continuare i suoi lavori e giungere in seduta quando l’Assemblea avrà esaurito le interpellanze.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea sul fatto che siamo di fronte a due problemi di estrema importanza che non possono essere liquidati dalla Commissione in breve volgere di tempo.

C’è un problema nuovo per il quale abbiamo un progetto di Governo. La Commissione deve avere il tempo di esaminarlo e non è da pensare che la Commissione possa sbrigarsene in mezz’ora o in un’ora. Io che per primo ero favorevole a fare sedute notturne anche tutti i giorni, non ritengo che ora sia il caso di fermarsi poco tempo stasera per poi dover lasciare e riprendere domani. Invece è molto più opportuno che la Commissione abbia stasera la possibilità di riunirsi e di riferire domani in Assemblea. Ma se ci convochiamo stasera, questa possibilità per la Commissione viene a mancare.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io mi associo alla proposta Scoccimarro. La seduta notturna di oggi giungerebbe impensatamente e per molti di noi improvvisata.

PRESIDENTE. Non è affatto improvvisata. Era già stata predisposta.

MICHELI. Il lavoro che dovrebbe fare così l’Assemblea non sarebbe utile. È molto più utile che si riunisca la Commissione in modo da poter domani riferire.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il suo avviso.

LA MALFA, Relatore. Devono essere ancora approvati, per arrivare alla imposta proporzionale, dodici articoli. Credo che la seduta di domani sarà impegnata per l’esame di questi dodici articoli. Ecco perché proponevo di esaminarli stasera.

PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta dell’onorevole Scoccimarro, alla quale si è associato l’onorevole Micheli, di non tenere seduta stasera.

La pongo ai voti.

(È approvata).

Domani vi sarà seduta alle 9.30 per lo svolgimento delle due interpellanze al Ministro della pubblica istruzione e per il seguito della discussione del decreto sull’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, discussione che potrà farsi dopo che la Commissione, tenendo seduta stasera e domattina, avrà concluso il suo esame.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere se ritengano tollerabile la situazione creata all’Opera nazionale invalidi di guerra, cui sono stati assegnati mezzi assolutamente inadeguati ad assolvere i compiti che le sono attribuiti dalla legge e che sono sempre più onerosi, sia per il crescente numero degli assistiti, sia per l’aumento dei costi, particolarmente degli apparecchi ortopedici e dei ricoveri ospedalieri e sanatoriali.

«Vigorelli, Bastianetto, Facchinetti, Fantuzzi, Carignani, Cavallari, Russo Perez».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere se, visto lo stato di arretratezza delle pratiche di pensione di guerra, le quali vanno accumulandosi in modo deplorevole, non ritengano di prendere radicali provvedimenti al fine:

1°) di mettere immediatamente la Direzione generale delle pensioni di guerra in grado di disporre di locali adatti e di personale adeguato, assegnandole gli uni e gli altri in numero sufficiente alle sue improrogabili necessità;

2°) di fare funzionare soddisfacentemente tutte le Commissioni mediche per le pensioni di guerra, dotandole della necessaria attrezzatura e del personale relativo.

«Cavallari, Russo Perez, Bastianetto, Fantuzzi, Giacchèro, Carignani».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro del tesoro, per sapere se – mentre appare doveroso sollecitare i lavori della Commissione interministeriale per la riforma della legislazione delle pensioni di guerra – non ritengano frattanto assolutamente equo ed urgente accogliere le richieste dell’Associazione nazionale mutilati ed invalidi di guerra in ordine:

1°) all’adeguamento delle pensioni di guerra e relative indennità accessorie, in misura non inferiore a quanto accordato ai dipendenti statali;

2°) alla concessione di razioni viveri – come vigenti per i militari – a favore dei grandi invalidi, dei tubercolotici delle prime quattro categorie e dei mutilati incollocabili per legge.

«Carignani, Bastianetto, Giacchèro, Facchinetti, Cavallari, Fantuzzi, Russo Perez».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’interno e della pubblica istruzione, per sapere come intendano provvedere al ricovero ed all’educazione professionale dei minori infortunati civili, per cui in atto viene provveduto sporadicamente senza alcuna organicità e coordinamento; e se conoscono che di oltre 10 mila minori, i ricoverati non assommano che a poche centinaia.

«Per conoscere, inoltre, se intendono superare le difficoltà che si frappongono acché i collegi dell’ex G.I.L. vengano ceduti all’Opera nazionale per gli invalidi di guerra, che è l’Ente preposto per legge all’assistenza dei minori invalidi di guerra, e le ragioni per cui non è stato ancora assegnato alla predetta Opera l’ex collegio di Monte Mario in Roma.

«Bastianetto, Giacchèro, Carignani, Russo Perez».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano II Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi.

«Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatori, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini.

«Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione di prezzi.

«Miccolis».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’istruzione pubblica e del lavoro e previdenza sociale, per conoscere le ragioni che ritardano, pur in clima di progresso e di tutela del lavoro, la trasformazione dell’insegnamento della medicina del lavoro da complementare in fondamentale; e se non ritengano utile ed indispensabile, ai fini del concetto anzidetto, richiamare l’attenzione delle Facoltà mediche su tale necessità e su quella delle scuole di specializzazione nella materia medesima, specie nelle sedi universitarie, ove è notevole lo sviluppo dell’industria e dell’agricoltura industrializzata. È tempo di dare al lavoro la più ampia tutela anche e soprattutto con la formazione di medici specializzati e per la prevenzione e cura delle malattie dei lavoratori.

«Caso, Coppa, Capua, De Maria, Merighi, Fornara, Spallicci, Marconi, Rivera, Cavallotti, Maffi, Del Curto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni del lento procedere dei lavori per la sistemazione del porto di Riposto, in provincia di Catania, e soprattutto le ragioni per le quali non è stata ancora presa in considerazione e posta all’esame tecnico la costruzione del molo a nord della Chiesa della Lettera, costruzione che ha carattere di urgenza ed è indispensabile per evitare l’ulteriore insabbiamento dell’ormai ridottissimo specchio di acque e l’effettiva utilizzazione delle opere già eseguite. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Condorelli, Bonino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare ili Ministro della pubblica istruzione, per aver notizie – in relazione alla interpellanza annunziata nella seduta dell’Assemblea dell’11 settembre 1946, e rimasta senza discussione e senza risposta, per quanto seguita dalla interrogazione 13 febbraio 1947 – sulla irregolare situazione e sul funzionamento del Provveditorato agli studi di Siracusa, nel quale venne illegalmente riassunto (a seguito dell’assunzione fattane dal Comando alleato al tempo dell’occupazione) quale reggente il professore Agnello Giuseppe, già nominato preside del liceo di Castrovillari; e sulla illegale di lui permanenza nell’arbitraria reggenza, contro le precise segnalazioni dei giornali di diversi partiti sulla illegalità della di lui nomina e situazione, e malgrado la pendenza di un procedimento penale contro di lui, conseguenza di un oltraggioso libello ai danni dell’interrogante, a causa e nell’esercizio della funzione parlamentare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Giovanni».

Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della marina mercantile, della difesa e dei lavori pubblici, sul caso veramente singolare del piroscafo inglese Fisch Pool, affondato nel porto di Siracusa.

«Sta in fatto che il Comando delle forze navali britanniche del Mediterraneo nel dicembre 1945 aveva autorizzato il signor Malfitano Giovanni di Siracusa a recuperare il carico del piroscafo inglese Fisch Pool, affondato nel porto di Siracusa, con assegnazione del 50 per cento del recupero.

«Per assolvere al compito assunto il Malfitano provvide ai mezzi occorrenti, con enorme dispendio.

«Successivamente il Comando navale italiano, succeduto a quello britannico, ratificava la concessione, previa assicurazione assistita e controllata da un ufficiale del Comando marina di Messina ed a condizione che, oltre all’assegnazione del 50 per cento del recupero, fossero sgombrati gli esplosivi e fosse rimosso lo scafo della nave, senza altro compenso; condizioni pienamente accettate. All’uopo, venne redatto dal competente ufficio, con l’accettazione del Malfitano, apposito disciplinare. Senonché, all’atto dell’inizio dei lavori, sopravvenne un inspiegabile e tardivo ordine telegrafico di sospendere, ed interpostisi nella vertenza il Ministero della marina ed il Ministero dei lavori pubblici, sorpassando la concessione legalmente consentita dal Comando navale britannico a favore del Malfitano, ratificata dall’autorità italiana, venne disposto esperimento d’asta; al quale il Malfitano dovette necessariamente restare estraneo, limitandosi a protestare con atto del 21 febbraio 1947, notificato all’ufficio del Genio civile di Siracusa, a tutela dei propri diritti quesiti.

«L’aggiudicazione venne fatta ad una ditta di Genova e non s’intende come, e perché, il Ministero dei lavori pubblici disponeva lo stanziamento (secondo notizia apparsa nei giornali) della somma di lire 4 milioni per i lavori di sgombero!

«Intanto il ritardo di circa due anni alla esecuzione dei lavori, sollecitato ripetutamente dal Malfitano, aveva peggiorato le condizioni della nave e del carico; rimasto esposto ai marosi invernali, riducendo le possibilità del ricupero; e mentre il Malfitano aveva assunto l’obbligo della resa del 50 per cento, alla nuova ditta veniva ridotta al 32 per cento oltre l’accollo a carico dello Stato della spesa di lire 4 milioni. Tutto ciò, a parte il danno alle maestranze portuali siracusane, per essersi spostato, a favore di una ditta di Genova, che vi provvederà con mezzi e personale propri, un lavoro essenzialmente destinato all’impiego di mezzi e mano d’opera di Siracusa, e l’inevitabile responsabilità dello Stato a risarcire al Malfitano i danni ben gravi, per la arbitraria rottura degli impegni contratti e legalmente ratificati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, per sapere come intendono risolvere il problema riguardante le richieste di revindica da parte dei legittimi proprietari (associazioni, ecc., o loro rappresentanti ed aventi causa) dei beni – specialmente immobili – dei quali il partito fascista li ha spogliati con la violenza o con atti di trasferimento viziati per la illiceità della causa, per violenza o per frode. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quale fondamento abbia la notizia diffusa che opera di sabotaggio abbia determinato il ritardo della costruzione del ponte ferroviario fra Bussi e Torre dei Passeri, con il conseguente procrastinarsi dell’apertura al traffico dell’intera tratta Pescara-Roma.

«Si chiede inoltre se non si ritenga necessario assicurare a tale percorso un più conveniente materiale risultando che sulla Sulmona-Roma si usano carri merci per trasporto viaggiatori, mentre la linea Pescara-Roma per la sua importanza non deve essere considerata un tronco secondario e trascurabile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cotellessa».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, per sapere se non ritengano opportuno promuovere, siccome richiedono evidenti motivi di giustizia, la modificazione dell’articolo 16 del decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261, nel senso di stabilire che i maggiori contributi fissati da questo decreto legislativo per le case coloniche vadano non soltanto alle case coloniche che si trovano «in borgate agricole», ma anche alle case coloniche sparse nei singoli poderi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

Lami Starnuti.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere le ragioni per le quali gli agricoltori della provincia di Massa e Carrara da circa un anno non ricevono nemmeno risposta dall’ispettorato compartimentale dell’agricoltura di Firenze alle richieste di collaudo dei lavori di riparazione e ricostruzione di fabbricati rurali e case coloniche compiuti sin dal 1946. La stessa sorte hanno le istanze che chiedono autorizzazione a iniziare i lavori ancora da eseguire.

«Questa inspiegabile condotta dell’ispettorato compartimentale non solo non facilita la ricostruzione di quella plaga, che è fra le più danneggiate dalla guerra, ma ha suscitato e suscita il più vivo malcontento fra i numerosi interessati, i quali hanno contratto debiti per eseguire le opere di ricostruzione, fiduciosi nel concorso di cui al decreto-legge 12 febbraio 1933, n. 215 e nelle promesse del Ministero dell’agricoltura. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lami Starnuti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, perché consideri se non sia il caso – in attesa di una legge che disciplini in modo organico l’intera materia – di emanare una norma che consenta la alienabilità, almeno tra farmacisti, delle farmacie considerate in pianta stabile, che per la vigente legislazione non sono alienabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare ili Ministro dei trasporti, per conoscere se non ritenga opportuno, non essendosi creduto di dare subito inizio ai lavori di ricostruzione del tronco ferroviario Vairano-Isernia, disporre che siano eseguiti subito almeno i lavori di ricostruzione della parte del tronco Vairano-Roccaravindola, che sono di agevole esecuzione e non importano ingenti spese, perché non vi sono opere d’arte da ricostruire ed hanno, d’altra parte, importanza davvero vitale, perché il tronco stesso serve tutta la zona del Venafrano, Masteroduni ed i comuni numerosi dell’Alto Volturno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno estendere le leggi emanate per la ricostruzione delle carriere amministrative, anche ai maestri elementari, che per ragioni politiche non poterono partecipare al concorso bandito con decreto-legge 8 luglio 1937, n. 1327, col quale si provvide alla sistemazione dei maestri forniti di abilitazione alla direzione didattica aventi cinque anni di incarico nella direzione delle scuole rurali. Vi sono maestri, che al concorso non poterono partecipare per mancanza di tale ultimo requisito, essendo stati in precedenza dimessi dall’incarico, appunto per ragioni esclusivamente politiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare ili Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno estendere agli orfani della guerra 1915-18 i beneficî concessi agli orfani della seconda guerra mondiale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Mi­nistro della pubblica istruzione, perché con­sideri se non sia opportuno trasferire nei con­vitti, che non hanno economi, viceeconomi e istitutori di ruolo, quei funzionari di ruolo, che appartengono a convitti rimasti chiusi per cause dipendenti dalla guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Mi­nistro del tesoro, per conoscere le ragioni per le quali occorre che gli interessati attendano anni prima di poter riscuotere le pensioni, cui hanno diritto. Vi sono persone, che han­no dato più figli in un solo giorno alla Pa­tria e, pur nel lutto e nella miseria, dopo cin­que anni non ancora riescono ad avere quanto loro spetta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Mi­nistro del lavoro e della previdenza sociale, perché consideri se non sia necessario elevare l’attuale limite di lire 1500 (articolo 5 del re­gio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636) per l’obbligatorietà delle assicurazioni sociali per gli impiegati, dato che detto limite è oggi di gran lunga superato da tutte le categorie im­piegatizie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Mi­nistro del lavoro e della previdenza sociale, perché consideri se non sia opportuno, per riparare a una situazione di vera ingiustizia, autorizzare l’ufficio contributi unificati e per esso le Commissioni comunali, di cui all’arti­colo 4 del decreto legislativo luogotenenziale 8 febbraio 1945, n. 75, a redigere elenchi di lavoratori agricoli a giornata, suppletivi de­gli elenchi compilati per l’anno agrario 1940- 1941, essendosi accertato che moltissimi lavo­ratori, che pure erano braccianti agricoli, non chiesero la iscrizione, ignorando, per il loro tenore di vita, le relative disposizioni, ed a redigere gli elenchi base per l’annata predetta nei comuni, in cui non lo furono affatto. (L’in­terrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri degli affari esteri e della difesa, per conoscere se e quali nuove informazioni siano giunte al Governo circa la sorte dei militari dell’Armir ed in particolare per sapere se, in relazione ad una precedente interrogazione presentata dall’interrogante fin dal 23 aprile 1947, siano alfine pervenute le richieste informazioni sulla serietà del giornalista americano Stevenson che, con lettere datate da Cabul e pubblicate nel giornale II Buon Senso di Milano nel marzo scorso, nonché sul periodico l’Unione Monregalese, ha affermato che esistono confinati in Siberia sedicimila prigionieri italiani; e soprattutto se sia stata controllata l’attendibilità di tali affermazioni, le quali, specialmente in provincia di Cuneo, che ha dato decine di migliaia di alpini all’Armir, hanno suscitato nuove speranze in tante famiglie, imploranti una soluzione definitiva al loro dubbio angoscioso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se, in adesione ai voti elevati da ogni regione, non si ritenga doveroso di concedere la croce di guerra ai militari periti nella Campagna russa, in riconoscimento del supremo sacrificio compiuto in condizioni inenarrabili da decine di migliaia di giovani, scomparsi nella ritirata dal Don, senza lasciare traccia né del nome, né della data del decesso, né del luogo di loro sepoltura. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Russo Perez, Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se non credano giusto ed umano un adeguato aumento del misero emolumento di complessive lire 19.500, dato a fine d’anno scolastico agli insegnanti delle scuole sussidiate, per le quali lo Stato non ha il peso del pagamento, né di aule scolastiche, né di bidelli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se loro risulti che il pacco U.N.R.R.A., concesso dal precedente Ministero De Gasperi, è stato distribuito, in provincia di Salerno, solamente agli impiegati residenti nel capoluogo e non anche a quelli residenti negli altri comuni, degni pur essi di aiuto, e se intendano dare disposizioni alla S.E.P.R.A.L. di Salerno, perché tale fatto non abbia a ripetersi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere se ritengano opportuno, in considerazione della benefica attività che svolge il Centro radiomedico internazionale (C.I.R.M.) per l’assistenza radio-sanitaria agli equipaggi delle navi italiane ed estere in navigazione, per l’assistenza al personale dei semafori e del piccolo naviglio della Marina militare, ed infine per l’assistenza radio-aero-sanitaria alle popolazioni delle piccole isole del Mediterraneo, distaccare dei medici militari ponendoli alle dipendenze della direzione di esso C.I.R.M., che non ha alcun contributo dallo Stato e svolge la sua azione per l’opera disinteressata di un gruppo di medici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno inscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 9.30:

  1. – Svolgimento di interpellanze.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 18 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 18 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Per lo svolgimento di una interpellanza:

Bernini

Presidente

Interrogazione (Svolgimento):

Segni, Ministro dell’agricoltura e foreste

Bulloni

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progres­siva sul patrimonio. (14).

Presidente

Castelli Avolio

Pella, Ministro delle finanze

Arcaini

Corbino

Micheli

De Mercurio

Tosi

Badini Confalonieri

Russo Perez

Dugoni

Cannizzo

Cappi

Vanoni

La Malfa, Relatore

Cifaldi

Scoca

Caroleo

Fabbri

Condorelli

Clerici

Bertone

Veroni

Scoccimarro

Balduzzi

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Per lo svolgimento di una interpellanza.

BERNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. Ieri sera, in fine di seduta, l’onorevole Presidente ha comunicato di aver avuto comunicazione dal Ministro della pubblica istruzione che egli non avrebbe potuto rispondere all’interpellanza da me e da altri colleghi rivoltagli, e che doveva essere discussa stamattina, perché impegnato per la seduta del Consiglio dei Ministri. Chiedeva, quindi, il rinvio dell’interpellanza. Il Presidente dichiarò che avrebbe domandato al Ministro se sarebbe stato possibile svolgerla nel pomeriggio di oggi o domattina.

PRESIDENTE. Rammento che il Presidente dell’Assemblea si era impegnato di sentire il Ministro questa mattina. La cosa non è stata possibile. Spero comunque che il Ministro della pubblica istruzione possa essere interpellato e che, in fine di seduta, l’onorevole Bernini possa avere una risposta.

BERNINI. Lei ha prevenuto quello che avrei detto. Mi permetto di far presente – a commento dell’argomento addotto dall’onorevole Ministro Gonella – che vedo qui presenti membri del Governo che dovrebbero anch’essi essere impegnati nel Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. Faccio rilevare che il Consiglio dei Ministri comincia fra poco e che il Ministro dell’agricoltura e delle foreste è presente per rispondere ad una interrogazione, mentre la sua, onorevole Bernini, è un’interpellanza che richiede maggior tempo per la discussione. Ad ogni modo, non è questo il momento per discutere in merito.

BERNINI. Conto allora che ella, in mattinata, possa darmi una risposta, e faccio nuovamente presente che non si può rinviare la discussione dell’interpellanza a lunedì, data l’estrema urgenza di essa.

 

Svolgimento di una interrogazione.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento della seguente interrogazione dell’onorevole Bulloni: «Ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quale fondamento abbia la notizia recata da un giornale romano del mattino, secondo la quale una ricca proprietaria di terre si sarebbe resa colpevole di istigazione nel reato di sottrazione all’ammasso di notevole quantità di grano e, fermata, sarebbe stata rilasciata a seguito di illeciti interventi; e per conoscere, altresì, quali provvedimenti intendano adottare, nel caso il fatto risponda a verità, per prevenire che altri fatti del genere si ripetano e per punire i responsabili di così gravi violazioni della legge e della solidarietà nazionale».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il giorno 6 luglio una squadra della U.P.S.E.A., composta da un funzionario dell’U.P.S.E.A. e da alcuni agenti di polizia, procedeva, in località Corcolle, al controllo di un’aia in cui veniva eseguita la trebbiatura.

Dal primo controllo eseguito risultava una differenza fra le annotazioni nei registri della trebbia e la quantità di grano controllata esistente nei magazzini dell’azienda. In conseguenza, il giorno successivo veniva dall’Arma dei carabinieri proceduto ad accertamenti, dai quali in un primo momento risultava questo: che si trattava di una compartecipazione fra il proprietario dell’azienda Fratelli De Amicis e un gruppo di coloni, compartecipazione non individuale, ma collettiva per cui la registrazione dei risultati della trebbiatura si sarebbe dovuta effettuare a trebbiatura ultimata per tutti i compartecipanti.

Erano stati fermati, in seguito all’accertamento del primo giorno, sia il gestore della trebbia, sia una certa signorina De Amicis. Ma trascorse le 24 ore, siccome non sembrava accertato il reato, questi furono messi in libertà perché non potevano essere trattenuti col fermo; furono però continuate le indagini. Nei giorni successivi risultò questo: che la compartecipazione era in parte collettiva e in parte individuale, in modo che si spiega l’errore in cui, sulla prima fase di indagini, era caduto il maresciallo dei carabinieri che procedeva alle indagini, perché un gruppo di coloni gestiva una compartecipazione collettiva, cioè in cui i singoli coloni compartecipavano come una sola unità, mentre per gli altri coloni vi era una compartecipazione individuale.

Siccome era mutato lo stato di fatto e di diritto in base al quale il maresciallo dei carabinieri aveva agito, l’U.P.S.E.A. e lo stesso maresciallo sporsero denuncia all’autorità giudiziaria contro i proprietari e contro il gestore dell’azienda con regolare verbale che fu trasmesso all’autorità giudiziaria il 14-15 corrente.

L’autorità giudiziaria, investita della controversia, potrà, in base alla legge vigente sugli ammassi, emettere o non emettere mandato di cattura secondo che riterrà ricorrano gli estremi del primo capoverso dell’articolo 19 della legge sugli ammassi.

Ad ogni modo, risulta da tutte le indagini che nessuna interferenza vi è stata nell’operato dell’U.P.S.E.A. e in quello del maresciallo dei carabinieri; che in seguito alle indagini esperite in una fase successiva si procedette alla denuncia, in quanto si riscontrarono in base agli elementi acquisiti quegli estremi di reato che in una prima fase erano stati invece esclusi. L’incertezza del maresciallo dei carabinieri dipende principalmente dall’esistenza del doppio contratto già accennata.

I primi interrogati dichiararono che si trattava di gestione collettiva, mentre le indagini successive hanno dimostrato l’esistenza di questi due gruppi di compartecipanti che hanno portato alla regolare denuncia all’autorità giudiziaria, che è in corso.

Non ho altro da aggiungere; ripeto solo che nessuna interferenza ha turbato le indagini.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BULLONI. Prendo atto con soddisfazione della risposta dell’onorevole Ministro, il quale ha assicurato che in ordine all’episodio cui si riferiva la mia interrogazione, ispirata esclusivamente dalla preoccupazione di difendere la dignità dell’istituto parlamentare, tanto gli incaricati del controllo agli ammassi, quanto la polizia giudiziaria hanno potuto fare compiutamente il proprio dovere senza esserne ostacolati da illegittimi superiori interventi intesi ad eludere la legge in una materia tanto grave e socialmente delicata.

Mi sia soltanto concesso di aggiungere che, a mio parere, anche in quel delicato servizio, minori forse sarebbero gli inconvenienti e le evasioni, se la stampa sempre fosse serena, responsabile e severa, negando credito a voci incontrollate circa scandali e soperchierie destituite, come in questo caso, di qualsiasi fondamento.

FARALLI. Ma il fatto esiste. C’è la denuncia all’autorità giudiziaria; quindi non è destituito di fondamento.

BULLONI. Si trattava di sapere se vi fossero state illecite interferenze per ottenere il rilascio dell’arrestata, e queste sono risultate escluse. (Commenti).

PRESIDENTE. L’interrogazione è così esaurita.

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente la istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Rammento all’Assemblea che nella seduta di ieri fu votato e respinto un emendamento soppressivo del secondo comma dell’articolo 44.

Proseguiremo oggi nell’esame degli emendamenti.

L’onorevole Foa, unitamente ai colleghi Dugoni, Scoccimarro, Fornara, Carpano Maglioli, Valiani, Codignola, Cianca, Calamandrei, Targetti e Morandi, aveva presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente: «Nei confronti delle banche e delle aziende di credito la facoltà di cui al comma precedente è limitata all’accertamento della reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dai contribuenti».

Un emendamento analogo era stato presentato dagli onorevoli Arcaini, Scoca, Cappi, Valmarana, Braschi, Clerici, Titomanlio Vittoria, Malvestiti, Bertone, Balduzzi, così formulato:

«Al secondo comma aggiungere le parole: nei confronti delle quali l’Amministrazione finanziaria ha però facoltà di richiedere che l’ispettorato del credito accerti la reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dal contribuente».

L’onorevole Foa ha ora comunicato, anche a nome degli altri firmatari, di ritirare il suo emendamento, concordando, con i firmatari del secondo emendamento, la seguente nuova proposta:

«Al secondo comma dell’articolo 44, aggiungere le parole: nei confronti delle quali l’Amministrazione finanziaria ha però facoltà di accertare, valendosi dell’Ispettorato del credito, la reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dal contribuente».

L’onorevole Castelli Avolio ha facoltà di parlare per esprimere il parere della Commissione.

CASTELLI AVOLIO. La Commissione aderisce; essa si è trovata d’accordo nel dare questo potere di accertamento all’Amministrazione finanziaria; l’esercizio di esso verrebbe ora fatto attraverso gli organi dell’Ispettorato di credito che sono particolarmente competenti in proposito.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo è pienamente d’accordo sull’emendamento; prega soltanto di sostituire alle parole «Ispettorato del credito», che possono non essere sufficientemente idonee, le parole «degli organi preposti alla vigilanza sul credito», perché l’Ispettorato rappresenta soltanto una parte degli organi, cui può essere chiesto di intervenire.

CASTELLI AVOLIO. Siamo d’accordo, perché nella dizione proposta dal Ministro potranno essere compresi gli organi periferici.

PRESIDENTE. Domando ai proponenti se accettano la modifica proposta dal Governo.

ARCAINI. Nessuna difficoltà.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ieri avevo dichiarato che avrei votato contro; ma oggi dichiaro di votare a favore dell’emendamento nella forma concordata.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento Arcaini-Foa nella nuova dizione concordata:

«Aggiungere al secondo comma le parole: nei confronti delle quali l’Amministrazione finanziaria ha però facoltà di accertare, valendosi degli organi preposti alla vigilanza sul credito, la reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dal contribuente».

(È approvato).

Segue l’emendamento presentato dall’onorevole Micheli:

«Aggiungere come terzo comma:

«Restano ferme le disposizioni dell’articolo 17 del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966».

Su questo emendamento, che il proponente ha svolto ieri, il Governo e la Commissione hanno espresso parere contrario. L’onorevole Micheli insiste?

MICHELI. Non insisto.

PRESIDENTE. L’articolo 44 risulta pertanto approvato con l’emendamento testé accolto dall’Assemblea.

Passiamo all’articolo 45. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I notai e tutti coloro che, non esercitando l’industria del credito, abbiano, a qualunque titolo, valori in deposito, spettanti a soggetti indicati nell’articolo 2, sono tenuti a denunziare all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione risiedono, il cognome, il nome, la paternità, ed il domicilio del depositante, e, qualora ad essi sia noto, anche l’ammontare e la natura dei valori depositati».

PRESIDENTE. Sull’articolo 45 è stato presentato e già svolto dall’onorevole De Mercurio il seguente emendamento:

«Modificare le prime tre righe nel modo seguente:

«I notai, le banche e tutti coloro che, esercitando l’industria del credito abbiano a qualunque titolo, valori in deposito, cassette di sicurezza comprese, spettanti a soggetti…».

L’onorevole Castelli Avolio ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CASTELLI AVOLIO. La Commissione è contraria, anzi riterrebbe che l’emendamento proposto non dovrebbe nemmeno essere messo ai voti, perché assorbito dalla votazione di ieri sul segreto bancario ed anche da quella di oggi.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo al parere espresso dalla Commissione.

DE MERCURIO. Non sono d’accordo e chiedo che il mio emendamento sia messo in votazione.

PRESIDENTE. Dovrò chiedere all’Assemblea se ritiene che l’emendamento dell’onorevole De Mercurio possa essere posto in votazione.

TOSI. Vi è una pregiudiziale: l’attuale emendamento contrasta con la votazione di ieri mattina ed anche con quella di pochi minuti fa. (Commenti).

PRESIDENTE. Dinanzi alla pregiudiziale sollevata, faccio presente all’onorevole De Mercurio che dovrò metterla ai voti.

TOSI. Sulla pregiudiziale, se messa ai voti, chiederemo l’appello nominale.

PRESIDENTE. Onorevole De Mercurio, insiste?

DE MERCURIO. L’Assemblea ieri ha espresso un parere sfavorevole. Oggi si può chiedere che la questione venga riproposta.

PRESIDENTE. Onorevole De Mercurio, il regolamento è chiaro: non si potranno riprodurre, sotto forma di emendamenti o di articoli aggiuntivi, gli ordini del giorno respinti nella discussione generale, nel qual caso può essere opposta la pregiudiziale. Evidentemente, nel nostro caso, ci troviamo di fronte ad una pregiudiziale.

DE MERCURIO. Faccio osservare che l’articolo 45 è circoscritto a determinati istituti, come i notai, già compresi nel progetto di legge. Io ho aggiunto le banche e gli istituti di credito. Mi sembra, quindi, che possa essere messo ai voti.

TOSI. La questione è appunto per le banche!

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Mi pare che neppure si possa trattare di porre in votazione la pregiudiziale. Ora si chiede di porre nuovamente in discussione un argomento già discusso e votato, che non può, quindi, essere più messo in discussione, né votato.

PRESIDENTE. Nel dissenso, desidero che sia l’Assemblea a decidere.

RUSSO PEREZ. Sono d’avviso che non si possa mettere in votazione una proposta che fa riaffacciare dalla porta ciò che è uscito dalla finestra.

PRESIDENTE. Confermo l’intenzione della Presidenza di lasciare la decisione all’Assemblea. Faccio presente all’onorevole De Mercurio che vi è una domanda di appello nominale sulla pregiudiziale. (Commenti).

DE MERCURIO. Dichiaro di ritirare il mio emendamento mantenendo le riserve fatte.

PRESIDENTE. Sta bene.

Segue l’emendamento dell’onorevole Micheli, del seguente tenore:

«Sopprimere le parole: a qualunque titolo».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. La mia proposta è semplice. Si tratta di togliere le parole «a qualunque titolo», per questa ragione; sono accennati i depositi che vengono fatti presso i notai. Ora, vi è una legge la quale stabilisce che i depositi che i notai ricevono dai loro clienti, attraverso le disposizioni che vengono stabilite nelle sentenze e nelle disposizioni dell’autorità giudiziaria, debbono da essi venire dichiarati regolarmente mese per mese. Per questi non c’è questione; ma, se noi mettiamo «a qualsiasi titolo», veniamo a togliere quella segretezza del mandato di fiducia che viene affidata dalle parti al notaio, il quale è un confessore straordinario dal punto di vista degli interessi materiali, e che noi dobbiamo rispettare.

Non si può coartare un pubblico professionista che, con questa sua veste, ha ricevuto un deposito dalla fiducia di un cittadino, a darne pubblica notizia.

Se noi mettiamo «a qualsiasi titolo», veniamo ad impegnare lui stesso a violare questo segreto professionale, che noi abbiamo ammesso non si debba violare per le banche, e sembrerebbe strano se non fosse contemplato allo stesso modo per i notai, i quali sono pubblici ufficiali incaricati della pubblica fede.

Per questo io prego l’Assemblea, il Ministro e la Commissione di voler dare un benevolo sguardo a questa mia proposta e di approvarla, anche per non creare una gravissima diversità di trattamento fra le banche, alle quali si presenteranno infinite occasioni, ed i notai che ne avranno un numero limitato. Evidentemente, se rimane l’articolo, i clienti si dovranno rivolgere agli avvocati, agli ingegneri, ai geometri, a qualsiasi cittadino eliminando forzatamente il notaio che per destinazione sconterebbe di mantenere il consuetudinario incarico.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, a nome della Commissione, l’onorevole Castelli Avolio.

CASTELLI AVOLIO. La Commissione ritiene che l’espressione «a qualunque titolo» si debba riferire ai depositi, non già al concetto espresso dall’onorevole Micheli. Del resto siamo d’accordo con l’onorevole Micheli che, se ci sono disposizioni speciali della legge notarile, il nostro testo non vuole abrogare quelle disposizioni speciali. Con la frase «a qualunque titolo» ci riportiamo a qualsiasi valore in deposito presso questi pubblici ufficiali. Quindi siamo contrari all’abolizione della frase.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego di mantenere le parole «a qualunque titolo», e debbo francamente aggiungere che non condivido la interpretazione del rappresentante la Commissione.

Credo che l’onorevole Micheli non debba temere che l’Amministrazione finanziaria non si renda conto della delicatezza della questione.

Osservo, peraltro, che sotto argomenti di ordine squisitamente morale, possono manifestarsi situazioni meritevoli di essere controllate e l’Amministrazione non desidererebbe restare disarmata in tali casi. Perciò prego di approvare l’articolo 45 così come è formulato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Micheli. Ne ha facoltà.

MICHELI. Di fronte alle dichiarazioni fatte dal rappresentante della Commissione, il quale ha dichiarato che con questo articolo non si intende modificare quanto la legge notarile stabilisce intorno al segreto professionale, ritiro il mio articolo, il quale effettivamente non era affatto un paravento come si è voluto affermare ma una disposizione opportuna che deve esplicarsi in modo parallelo alla concessione fatta alle banche.

Certo, io ho la massima stima dell’Amministrazione finanziaria e del suo discreto procedere. Peraltro, onorevole Ministro, tenga presente che lo stesso riguardo e la stessa comprensione non può essere sempre usata dai componenti la medesima. I funzionari sono infiniti per numero, e queste brave persone, anche nella esplicazione del loro mandato, possono talvolta dimenticare quella comprensione della quale ella è notevole esempio. Ora, bisogna effettivamente che questa nuova psicologia da lei enunciata entri effettivamente, e non solo teoricamente nei rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria del Paese, in quanto purtroppo diversi casi si danno e chi parla è uno che nella sua vita professionale si è trovato in tante occasioni del genere, e ne può parlare con sicura coscienza. Ad ogni modo, date le delucidazioni dal rappresentante della Commissione ritira l’emendamento.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Intendo precisare, a nome della Commissione, che l’interpretazione…

MICHELI. Ma lei parla personalmente.

DUGONI. Parlo a nome della Commissione. L’interpretazione della Commissione è che la disposizione della legge attuale ha il suo pieno vigore e non tocca a noi decidere fra la legge sul notariato e questa quale prevalga: sarà una questione che andrà risolta in sede di applicazione.

PRESIDENTE. Ma l’emendamento è stato ritirato!

DUGONI. Bisogna però, pur sempre, precisare questo.

PRESIDENTE. L’articolo 45, essendo stato ritirato l’emendamento che aveva presentato l’onorevole Micheli, si intende approvato nel testo proposto dal Governo, al quale la Commissione non ha apportato modifiche.

Passiamo ora all’articolo 46. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le Commissioni giudicanti hanno tutte le facoltà conferite dall’articolo 44 ai funzionari delle imposte.

«Le Commissioni di prima istanza hanno, inoltre, la facoltà di eseguire d’ufficio accertamenti non proposti dagli Uffici distrettuali e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio, anche se già inscritti a ruolo.

«Sono applicabili, ai fini del presente decreto, le disposizioni contenute nell’articolo 15 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436.

«La facoltà concessa dal comma precedente alle Commissioni di prima istanza cessa col 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui si verifica la prescrizione dell’azione della finanza, a norma dell’articolo 61 del presente decreto».

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato un primo emendamento a firma degli onorevoli Cannizzo, Siles, Russo Perez, Condorelli, Venditti, Rescigno, Cimenti, Perugi, Colitto e Jacini, del seguente tenore:

«Al secondo comma, dopo le parole: Le Commissioni di prima istanza hanno, inoltre, aggiungere le parole: basandosi su dati certi e non presuntivi».

L’onorevole Cannizzo ha facoltà di svolgerlo.

CANNIZZO. Onorevoli colleghi, l’emendamento che io ho proposto è dovuto alla constatazione che io ho avuto agio di fare che il criterio meccanico che la legge aveva stabilito era venuto meno, obliterandosi e che si sono introdotte delle presunzioni le quali possono ledere molte volte gli interessi dei contribuenti. Non vi è dubbio, infatti, che il sistema meccanico di accertamento era il più adatto, tanto vero che la Commissione ha fatto delle riserve, osservando che l’accertamento meccanico era garanzia di perequazione. Ora però noi troviamo nella legge vari articoli tra cui il 26 e il 22, che introducono il criterio induttivo. Nell’articolo 26 si notano due ordini di presunzioni: il primo sarebbe quello dato dal tenore di vita, l’altro sarebbe quello di ritenere che tutte le somme che sono pervenute dalla alienazione di beni e di titoli si trovino ancora nel patrimonio del contribuente.

Non c’è bisogno di dire che molte volte queste presunzioni possono giocare a danno del contribuente. Quello che io noto, e desidero che l’Assemblea noti con me, è che queste presunzioni giocheranno molto più a danno dei piccoli contribuenti anziché dei grandi, perché è evidente che colui il quale possiede sei o settecento milioni può tenere un tenore di vita pressoché uguale a chi possegga un miliardo.

La sperequazione invece si nota nei confronti della piccola gente che ha avuto già falcidie notevoli nel suo patrimonio e che vive molto spesso alla giornata.

In altri termini, noi faremo il processo non ai grandi patrimoni, non a coloro che hanno speculato e guadagnato, perché purtroppo l’Assemblea non ha trovato modo di colpire questa gente, ma noi faremo il processo a coloro che hanno un patrimonio di appena tre o quattro milioni, cioè a quella gente che avrà un reddito intorno alle mille lire giornaliere, cifra che tutti sappiamo oggi essere insufficiente a vivere.

Noi potremo avere il caso di colui che possiede un patrimonio di 3 milioni; ne ha alienato per un milione. Oggi in base alle presunzioni non considerando che quel milione sarà servito per integrare il reddito insufficiente degli altri due milioni, su quel milione avremo la presunzione che è ancora in sue mani. E avremo poi ancora l’accertamento basato sul tenore di vita che farà crescere il patrimonio da due milioni, quale effettivamente è, a quattro o più milioni.

Questo mi sembra assurdo, perché per i grandi patrimoni sarà possibile giustificare l’impiego delle somme ricavate vendendo o mutuando, ma per i piccoli patrimoni la legge le chiede una prova che è diabolica: la prova del consumo. Ora io mi domando se qualcuno di voi sappia che in borsa nera si rilasciano quietanze o fatture. Chi ha venduto per vivere, non può dare la prova del consumo. Questa prova del consumo era logico darla per ammessa in determinati casi ma, purtroppo, questo non è stato fatto.

Lo scopo del mio emendamento è un altro. Il Ministro, le autorità ministeriali hanno garantito alla Commissione che vi saranno delle circolari e delle norme integrative che ovvieranno a questi inconvenienti. Mi meraviglio che queste spiegazioni non siano state date già all’Assemblea; ad ogni modo, è augurabile che l’Assemblea le conosca. Ma in attesa di queste spiegazioni, che hanno indotto la Commissione delle finanze a non attenuare la gravità delle disposizioni dell’articolo 26 e anche dell’articolo 22 – perché colui che contrae un debito può trovarsi nelle stesse condizioni – e fino a quando le autorità ministeriali non avranno dato queste disposizioni che potranno concretarsi in circolari, si verificherà questo: che gli Uffici finanziari potranno anche applicare queste norme con discernimento – e noi abbiamo la massima fiducia negli Uffici finanziari, anche perché fidiamo che siano emanate le circolari promesse; ma altra cosa sarà per le Commissioni. Le Commissioni, onorevoli colleghi, nei piccoli centri specialmente, hanno delle impressioni eminentemente subiettive, che possono falsare la verità delle cose. Le Commissioni non analizzeranno tante tragedie familiari che noi sappiamo si svolgono quotidianamente; si vedrà all’ingrosso la situazione, e non si esamineranno i dettagli. Si ignoreranno tutte le sventure delle famiglie; e non si ammetterà che vi è gente che ha preferito vendere i propri beni e non conservarli per conservare la propria onestà. Ed io mi rivolgo proprio ai settori di sinistra, facendo loro notare che la presunzione del tenore di vita agirà proprio contro i piccoli patrimoni e non contro i grandi. Ho già detto, infatti, che colui che possiede un miliardo avrà probabilmente lo stesso tenore di vita di colui che possiede un miliardo e duecento milioni. È la stessa cosa. Ma voi vi dovete preoccupare con noi di eliminare queste ingiustizie. E se è stato riconosciuto opportuno lasciare questa indagine agli Uffici finanziari, per dar modo loro di accertare induttivamente, non credo che alle Commissioni si possa dare eguale facoltà, perché nelle Commissioni giocano elementi personali, giudizi di valutazione, direi anche elementi politici a favore o contro determinate persone appartenenti a determinati partiti.

Del resto, il disegno di legge, nel primo comma dell’articolo 46, fa espresso riferimento all’articolo 44; ed io desidererei proprio che le Commissioni dovessero limitare la loro indagine a quanto è detto nell’articolo 44, cioè alla facoltà di ispezionare i registri, di farsi rilasciare atti, di farsi produrre tutti i documenti giustificativi necessari; ma non lasciare loro il criterio presuntivo perché là dove vi è criterio di presunzione, vi è anche libertà di arbitrio, e noi non possiamo sapere a favore o a danno di chi giocherà l’arbitrio.

Devo ancora far presente che nei piccoli centri – mi preoccupo specialmente dei piccoli centri – non è giusto che noi obblighiamo il contribuente a confessare le sue miserie, a dire le sue pene, a sciorinare i tristi espedienti per vivere alle Commissioni, le quali sono composte da persone che si conoscono e che potrebbero non avere il dono della discrezione.

Del resto, il contribuente è passato attraverso tre vagli: perché l’articolo 46 stabilisce che si può benissimo ricorrere anche dopo l’accertamento definitivo e il concordato. Quindi l’Ufficio finanziario avrà un primo accertamento provvisorio, poi quello definitivo, poi il concordato. Sono tre vagli ed è logico supporre che tutti gli elementi siano stati esaminati e sviscerati dagli uffici finanziari. Ecco perché mi permetto di insistere sul mio emendamento che, secondo me, è molto più giovevole ai piccoli che ai grossi contribuenti.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Tosato, così formulato:

«Al terzo comma, alle parole: nell’articolo 15 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436, sostituire le parole: negli articoli 15 e 21 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436».

L’onorevole Tosato non è presente.

CAPPI. Faccio mio l’emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di illustrarlo.

CAPPI. Il terzo comma dell’articolo 46 dice: «Sono applicabili ai fini del presente decreto le disposizioni contenute nell’articolo 15 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436».

Si tratta di una di quelle disposizioni inserite nei testi di legge – come diciamo noi avvocati – per relazione, sulle quali molte volte sfugge l’attenzione di chi deve interpretare la legge.

Si tratta di questo: l’articolo 15 di questo decreto 27 maggio 1946, che regolava l’imposta sui profitti straordinari di guerra, dice che le Commissioni provinciali hanno facoltà, di propria iniziativa, di aumentare la misura degli accertamenti proposti dagli Uffici e proporre ex novo gli accertamenti di cespiti omessi.

Io non ho difficoltà a riconoscere questa facoltà alle Commissioni provinciali, ma il decreto 27 maggio 1946, oltre all’articolo 15, recava anche l’articolo 21, il quale dava al contribuente facoltà di ricorrere anche in merito alla Commissione centrale. Questo articolo 21 non è stato più richiamato nell’articolo 46 e questo mi pare illogico perché erano articoli connessi; giacché, se noi diamo alle Commissioni provinciali la facoltà di procedere ex novo ad accertamenti, è giusto che vi sia un grado di appello.

Ecco in che cosa consiste dunque l’emendamento proposto. L’obiezione che si può fare è che si aumenteranno i ricorsi alla Commissione centrale; ma chi è pratico sa che i ricorsi si affollano ugualmente, anche quando si tratta di questioni di merito, sotto il profilo di illegittimità o di difetto di motivazione.

Poi, la ragione determinante è questa: che l’autorità finanziaria ha facoltà di iscrivere a ruolo l’imposta anche prima della decisione definitiva. Quindi un danno da questi ricorsi non deriva alla riscossione dell’imposta.

Insisto pertanto nell’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo, unitamente ad altri colleghi, ha fatto pervenire un emendamento soppressivo del secondo comma. Ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. Onorevoli colleghi, con questo emendamento si chiede che si sopprima il primo capoverso, o secondo comma, dell’articolo 46.

La dizione del primo capoverso dell’articolo è la seguente: «Le Commissioni di prima istanza hanno, inoltre, la facoltà di eseguire d’ufficio accertamenti non proposti dagli Uffici distrettuali e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio, anche se già iscritti a ruolo».

A me sembra evidentemente eccessiva e, direi, vessatoria questa facoltà concessa alla Commissione di prima istanza, la quale dovrebbe funzionare in un secondo organo di accertamento sovrapponendolo all’organo proprio deputato all’accertamento fiscale. Si comprenderebbe eventualmente l’esercizio di questa facoltà ove si aggiungesse: nei casi di errori evidentemente riconosciuti o nei casi di omissioni conclamate; ma una facoltà posta così al di sopra del compito proprio dell’organo competente non solo, a mio avviso, costituisce un duplicato ma costituisce un enorme pregiudizio del contribuente perché fino all’eventuale verificarsi della prescrizione dell’azione da parte della finanza lascia sospesa la condizione del contribuente perfino nei casi in cui, a seguito di concordato già avvenuto, si sia verificata la iscrizione a ruolo. Sicché questo contribuente non saprà mai definitivamente quello che dovrà pagare ed il modo con il quale sarà stato accertato; e sarà eternamente sub judice, costituito in secondo grado da questa commissione la quale potrebbe divenire uno strumento odioso di vessazione secondo i particolari ambienti nei quali si vive.

Per queste ragioni mi sembra che questo comma debba essere soppresso.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Mi permetto di richiamare l’attenzione sia dell’onorevole Crispo che dell’onorevole Cannizzo, che hanno presentato due emendamenti al capoverso dell’articolo 46, sul fatto che quel capoverso non rappresenta una novità del nostro sistema tributario, ma l’applicazione a questa particolare legge di un sistema che è universalmente adottato in materia d’imposte dirette. Il fatto che la Commissione di prima istanza abbia la funzione di procedere ad accertamenti od a revisioni di concordati, costituisce norma essenziale del nostro sistema di accertamento delle imposte dirette. È inutile ricordare le ragioni di questa norma: sono ragioni di controllo effettuato da parte della Commissione sull’attività degli organi periferici dell’Amministrazione finanziaria; sono ragioni di maggiore conoscenza delle situazioni di fatto che giustificano determinati accertamenti. Prendere in questa sede una deliberazione diversa da quella che è la normale situazione dell’accertamento di tutte le altre imposte dirette, avrebbe un particolare significato restrittivo, di riduzione delle possibilità di accertamento di questa imposta, di una imposta cioè che è la più difficile ad accertare e che richiede la maggiore collaborazione per l’accertamento esatto.

Così, per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Cannizzo, sottolineo il fatto che qui non si tratta di una facoltà autonoma della Commissione distrettuale di poter procedere ad accertamenti in base ad elementi forniti: le sue osservazioni interessano prevalentemente l’articolo 26, non l’articolo 46: era in quella sede che si doveva discutere se fosse o no conveniente ammettere accertamenti in base a deduzioni o richiedere accertamenti in base a dati precisi e documentati.

In realtà, non bisogna avere delle preoccupazioni nei riguardi dell’accertamento in base a dati presuntivi, perché c’è tutta una esperienza, una tradizione amministrativa di queste forme di accertamento che danno una sufficiente garanzia al contribuente che i suoi diritti fondamentali di difesa saranno sempre tutelati.

Se si riconosce all’ufficio la possibilità di procedere all’accertamento in base a semplice presunzione, non si vede come si possa negare questa facoltà alla Commissione distrettuale, che è una Commissione avente dal punto di vista morale una posizione di preminenza.

A me sembrerebbe una grave contradizione se noi ammettessimo l’accertamento presuntivo effettuato da parte degli uffici e negassimo questa facoltà alla Commissione cui è accordato il diritto di procedere all’accertamento.

La Commissione deve avere istituzionalmente in questa funzione di accertamento tutte le facoltà che sono riconosciute agli uffici distrettuali che procedono all’accertamento dell’imposta.

Per queste ragioni io sono, personalmente, contrario all’emendamento dell’onorevole Crispo ed a quello dell’onorevole Cannizzo.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. La mia osservazione, alla quale non mi pare si adatti la risposta dell’onorevole Vanoni, si riferisce a questo punto del comma: facoltà di eseguire d’ufficio; perché è innegabile che la Commissione, in seguito a reclamo o a ricorso, possa provvedere. Quello che io propongo è che si neghi la facoltà di un accertamento da parte dell’ufficio competente.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non può accettare l’emendamento dell’onorevole Cannizzo, per le ragioni già ampiamente svolte dall’onorevole Vanoni. E soprattutto vorrei aggiungere per questo: l’onorevole Cannizzo dice che in fondo questo sistema della legge colpisce i possessori di patrimoni immobiliari e fa sfuggire quelli che volgarmente si chiamano borsari neri. Ora, nel sistema della legge, la presunzione serve in pratica ad andare a colpire, attraverso il tenore di vita, proprio quelli che possono sfuggire alla legge. Quindi negare questa facoltà al momento stesso in cui abbiamo questa preoccupazione non è opportuno. Il tenore di vita è un dato presuntivo che può servire benissimo per questa categoria di persone.

La Commissione, invece, accetta l’emendamento dell’onorevole Tosato come maggiore garanzia per il contribuente.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Crispo, confermo il parere già espresso dall’onorevole Vanoni, che si tratta cioè di una disposizione che già esiste in materia di ricchezza mobile.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Per brevità mi limito ad associarmi alle conclusioni del Relatore, favorevoli all’emendamento Tosato, contrario all’emendamento dell’onorevole Cannizzo, sebbene essi siano stati brillantemente illustrati.

Si tratta, in sostanza, di difendere quell’accertamento induttivo che è il sostitutivo del mancato censimento della ricchezza al portatore. Qualsiasi emendamento che significasse demolire la procedura di accertamento induttivo, non potrebbe che trovare contrario il Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Cannizzo, ritira il suo emendamento?

CANNIZZO. Ritiro il mio emendamento; però desidero che il Governo ed anche la Commissione prendano atto della necessità che circolari o norme fondamentali siano fatte in modo da essere applicate dagli uffici; e dico questo perché le Commissioni potrebbero benissimo non adattarsi alle circolari in quanto è norma costante di giurisprudenza che le circolari possono non tener luogo di leggi.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero cogliere l’occasione per assicurare l’onorevole Cannizzo che il problema di una migliore regolamentazione del sistema induttivo, che trova già applicazione in alcuni tributi erariali e locali, è un problema che il Governo si è già posto e che risolverà nel senso desiderato dall’onorevole Cannizzo, cioè di fornire al contribuente le possibilità normali di difesa procedurale contro eventuali deviazioni dell’Amministrazione finanziaria. Però l’arma dell’accertamento induttivo è un’arma che il Governo desidera mantenere in vita e potenziare. La questione sarà di delineare gli elementi in base ai quali si fa l’accertamento, ma una volta individuati gli elementi e gli indizi, il contribuente non potrà lamentarsi se l’Amministrazione fa ricorso a questa procedura. Il problema è comune all’imposta complementare sul reddito, all’imposta di famiglia e ricorrere, per quanto in termini diversi, in questa imposta di cui stiamo discutendo.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo mantiene il suo emendamento?.

CRISPO. Lo mantengo.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Dichiaro di votare favorevolmente all’emendamento Crispo, il quale chiede la soppressione del capoverso dell’articolo 46, in ordine alla facoltà concessa alla Commissione di prima istanza di poter sempre procedere d’ufficio anche quando è intervenuto un concordato fra l’Ufficio distrettuale e il contribuente stesso. Evidentemente, questa disposizione vuole riferirsi alla possibilità che l’Ufficio delle imposte abbia trascurato di fare il proprio dovere e quindi la Commissione, al suo posto, possa procedere all’accertamento. Ma io chiedo che venga almeno fissato un termine entro il quale la Commissione di prima istanza possa avvalersi di questa facoltà di accertamento. Desidererei in questa sede che fosse chiarito che la Commissione, la quale tutela gli interessi di tutti, debba tutelare contemporaneamente gli interessi del fisco e del contribuente. La Commissione ha questa facoltà. Ma fino a quando? Certamente ci deve essere un termine entro il quale questa facoltà può esercitarsi.

PRESIDENTE. Onorevole Cifaldi, presenta allora un emendamento?

CIFALDI. Faccio una dichiarazione di voto. Preferirei, se l’onorevole Presidente mi consente, di avere solo un chiarimento dal Relatore, in modo che resti a verbale.

PRESIDENTE. Sta bene. Qual è il pensiero del Relatore?

LA MALFA, Relatore. Alla Commissione pare che qui, a garanzia del contribuente, valgano i termini normali di prescrizione.

CIFALDI. Qual è il termine di prescrizione?

LA MALFA, Relatore. Tre anni.

CIFALDI. Sono molti, in verità.

PRESIDENTE. Onorevole Cifaldi, può formulare un emendamento e presentarlo.

LA MALFA, Relatore. Prego gli onorevoli colleghi di considerare che, quando si presenta un emendamento all’ultim’ora, evidentemente la Commissione deve dare un giudizio nella situazione in cui si presenta l’emendamento. Per questa ragione, prego gli onorevoli colleghi di presentare gli emendamenti almeno 24 ore prima, in modo che la Commissione possa dare il parere motivato.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. In termini pratici, se la preoccupazione dell’onorevole Cifaldi è quella di non lasciare aperta all’infinito la facoltà prevista dall’articolo 46, il Governo non avrebbe difficoltà ad ammettere il principio, che ritiene sottinteso, che questa facoltà deve essere esercitata entro i termini dell’articolo 61.

CIFALDI. Che è la prescrizione.

PELLA, Ministro delle finanze. La prescrizione specifica della legge.

CRISPO. In tre anni ci possono essere dieci accertamenti, l’uno successivo all’altro.

CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare per un breve chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. La facoltà data dal secondo comma dell’articolo 46 è comune in materia di imposta.

La Commissione di prima istanza, in base all’articolo 45 della legge fondamentale sulla ricchezza mobile del 1877, può accertare. In questo caso non è la Commissione che notifica l’accertamento, ma si richiede agli uffici; e questi devono notificare l’avviso di accertamento.

Quindi, il potere accertatore, su iniziativa della Commissione di prima istanza, è sempre dell’Amministrazione finanziaria, e precisamente dell’ufficio distrettuale delle imposte.

Il «termine», non è materia di prescrizione, perché, quando esiste il giudizio amministrativo, questo può durare anche venti anni (si può andare innanzi alla Commissione centrale, poi dinanzi all’Autorità giudiziaria); non si prescrive l’azione della finanza, quando è istituito il giudizio.

Quindi, volere legare questa facoltà della Commissione al termine prescrizionale sarebbe assurdo.

Si dice: Allora le Commissioni di prima istanza possono accertare, attraverso gli Uffici finanziari, senza dare giustificazione o motivazione del proprio operato. Ritengo che questo inconveniente non sussista perché, una volta ammesso il principio fondamentale, in materia di imposte dirette, della facoltà della Commissione di prima istanza di accertare, vuol dire che con questo potere sono connesse anche le facoltà date all’Amministrazione. Ora, in materia di imposta progressiva, oltre all’accertamento deduttivo, e cioè all’indicazione dei singoli cespiti, c’è la norma sostanziale del capoverso dell’articolo 26, che si riferisce al tenore di vita; ma naturalmente in questo caso, qualsiasi ufficio deve avere gli elementi su cui basare la propria tassazione.

Del resto, riprendendo l’argomento dell’abolizione del secondo comma dell’articolo 46, faccio notare che questo secondo comma è legato al terzo, sicché, se si dovesse abolire il secondo comma, bisognerebbe abolire anche il terzo, che – e non è stato detto – in sostanza vuol significare questo: che, quando c’è differenza di metà, la Commissione di prima istanza ed anche quella di seconda istanza (cioè la Commissione provinciale) possono aumentare e modificare l’accertamento. In questo caso, quando la Commissione di seconda istanza, cioè la Commissione provinciale, prende essa l’iniziativa, modifica l’accertamento ed allora giudica quale giudice di prima istanza e, giudicando quale giudice di prima istanza, non si può negare al contribuente il diritto di adire anche per il merito, cioè anche per la valutazione, la Commissione centrale.

CRISPO. Gli vorreste negare anche questo diritto?

CASTELLI AVOLIO. Ma no, noi non lo neghiamo.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Si potrebbe trovare una soluzione nel senso che alla fine del secondo comma, dove è detto «…e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio, anche se già iscritti a ruolo», si potrebbe aggiungere «entro sei mesi dalla data dell’accertamento».

PRESIDENTE. Sta bene. Un emendamento in tal senso perviene ora alla Presidenza a firma dell’onorevole Cifaldi. Esso propone di aggiungere al secondo comma le parole: «nel termine di sei mesi dalla data di accertamento degli uffici distrettuali».

Chiedo all’onorevole Crispo se mantiene il suo emendamento soppressivo.

CRISPO. Lo mantengo.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Prima che l’onorevole Relatore si esprima, vorrei dire due parole sul mio emendamento. Vi sono due ipotesi: l’ipotesi che vi sia già l’accertamento di ufficio fatto dall’Ufficio distrettuale delle imposte, e vi è la possibilità, per la Commissione di prima istanza, di fare l’accertamento per suo conto. In questa ipotesi, il mio emendamento propone di fissare il termine di sei mesi dall’accertamento dell’Ufficio, nel quale la Commissione di prima istanza ha la facoltà di procedere all’accertamento di sua iniziativa.

Quando manca l’accertamento d’ufficio, vi è un termine di tre anni, in cui la Commissione può fare l’accertamento stesso. Nel mio emendamento è quindi prevista la doppia ipotesi delle facoltà della Commissione di prima istanza.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Vorrei fare un’osservazione all’onorevole Cifaldi. Potrei avere qualche perplessità sulla prima facoltà data alle Commissioni distrettuali, che consiste nel fare l’accertamento d’ufficio, quando non sia preceduto dall’accertamento dell’Ufficio finanziario. Ma il termine apposto per la seconda ipotesi, quando vi è stato accertamento di ufficio, mi pare che significhi voler distruggere i poteri dell’Ufficio, perché legare a sei mesi dalla data del concordato o dell’accertamento d’ufficio il potere delle Commissioni distrettuali di elevare gli accertamenti fatti dall’Ufficio, vuol dire togliere loro praticamente questa facoltà.

A prescindere da questa considerazione, c’è poi la questione giuridica fondamentale, relativamente ai termini di prescrizione.

Se per eseguire l’accertamento vi è il termine di cui all’articolo 61 di questa legge, viceversa quando l’accertamento dell’Ufficio è fatto, questo termine, secondo me, non vale più perché è messa in moto la macchina del controllo sull’accertamento. Ed allora l’accertamento si può sempre fare finché non abbia giudicato, in ultima istanza, l’organo di controllo.

Per queste ragioni non potrei accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Cifaldi.

CIFALDI. L’osservazione dell’onorevole Scoca si comprende per il caso in cui venisse ancora un ricorso alla Commissione di prima istanza; ma quando si parla dell’ipotesi di una attività iniziale della Commissione di prima istanza, vi è un accertamento che fa l’Ufficio distrettuale, e vi è poi una facoltà della Commissione di prima istanza. È ovvio che se c’è l’accertamento dell’Ufficio distrettuale, il contribuente, che ha fatto il suo reclamo, ricorre alla Commissione, avverso le cui decisioni può ricorrere anche l’Ufficio distrettuale.

Qui si dice che la facoltà iniziale della Commissione di prima istanza coesiste con quella dell’ufficio distrettuale, solamente in aggiunta, ma per un termine di sei mesi.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Le ipotesi che noi dobbiamo considerare sono sostanzialmente queste: che vi sia stato un accertamento d’ufficio, contro il quale non vi è stato ricorso, e quindi l’accertamento di ufficio sia diventato definitivo; che vi sia stato un concordato, ed anche qui abbiamo un accertamento definitivo.

La facoltà concessa alla Commissione di prima istanza di intervenire rispetto a questi due accertamenti, che normalmente sono diventati definitivi, è una facoltà che ha come suo presupposto la necessità di correggere una situazione particolare; cioè si suppone che vi sia stato o un gravissimo errore da parte dell’Amministrazione finanziaria, o addirittura una collusione fra Amministrazione finanziaria, funzionario singolo e contribuente. Ora, il fare intervenire la Commissione distrettuale nei termini che sono stati detti, quando la nostra Amministrazione non ha l’obbligo di comunicare gli accertamenti fatti, significherebbe svuotare quasi interamente la facoltà che si riconosce col capoverso dell’articolo 46. Bisogna, quindi, lasciare un termine sufficientemente lungo perché la competente Commissione, resa edotta di questa situazione irregolare, che si verifica in limitatissimi casi, possa intervenire per correggerla. Stabilire sei mesi dalla notifica dell’accertamento o dalla conclusione del concordato, significherebbe obliterare interamente la facoltà di rettifica concessa alla Commissione. Invece, lasciando il normale termine di prescrizione, che nel caso in cui sia stata presentata una dichiarazione è del secondo anno posteriore a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata (è non è un termine eccessivamente lungo), io credo che si ottenga il duplice risultato di avere una sufficiente certezza del contribuente e di dare alla Commissione la possibilità di intervenire nei casi più clamorosi di irregolarità che si verificassero.

Per questa ragione, prego il collega Cifaldi di ritirare il suo emendamento che complicherebbe inutilmente il sistema, introducendo una situazione che non esiste in nessun’altra parte delle nostre imposte.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Mi pare che la disposizione dell’articolo 46 ci imponga di guardare un po’ alla condizione di quel contribuente del quale ci siamo tanto preoccupati nella seduta di ieri, fino al punto da negare l’opportunità che, specialmente il contribuente infedele, potesse essere legato all’Amministrazione finanziaria da un giuramento.

Oggi si tratta di guardare la questione con un senso di umanità. Sono d’accordo con l’onorevole Crispo: questo potere delle Commissioni andrebbe soppresso, perché, in sostanza, si fonda su un grave discredito degli uffici distrettuali, che si rendono responsabili di quelle collusioni cui accennava poco fa l’onorevole Vanoni, e che debbono essere deferite al potere giudiziario. Si tratterà di concussione, di peculato, ecc., ma in sostanza in certi casi non è un potere discretivo delle Commissioni che può togliere alla competenza del magistrato ciò che è precisamente un reato. D’altra parte, il cittadino ha e deve avere – per quei principî di serietà e di libertà che sono indispensabili – una tutela per quei rapporti conclusi ed attuati con l’Ufficio delle imposte. Non vogliamo nemmeno fissare un termine minimo entro il quale questo potere eccezionale di discredito e di sospetto dei propri uffici da parte dell’Amministrazione finanziaria centrale debba operare?

Se non si accede alla giusta proposta dell’onorevole Crispo, bisogna per lo meno scendere alla subordinata dell’onorevole Cifaldi, per coerenza con quello che qui andiamo approvando, ora a favore ora contro il contribuente. Bisogna che ci sia una linea di coerenza in tutte le manifestazioni ed espressioni della legge che disciplina questa materia.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuto ora un altro emendamento a firma degli onorevoli Crispo, Nasi, Badini Confalonieri ed altri, con il quale si chiede la soppressione delle parole: «o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio».

L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Di fronte a questo emendamento presentato all’ultimo momento, la Commissione trova qualche difficoltà a decidere; ma, in via di massima, è contraria. Dovrebbe, altrimenti, chiedere la sospensiva su questo emendamento.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro delle finanze di esprimere l’avviso del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego l’onorevole Relatore della Commissione di non insistere sulla proposta di sospensiva, anche perché il Governo deve insistere, a sua volta, per l’approvazione dell’articolo 46, nei commi che sono in discussione, nel loro testo originario.

È stato esattamente illustrato, in particolare dall’onorevole Vanoni, che si tratta della riaffermazione di un principio che già è stato accolto per gli altri tributi e che non è, in fondo, se non la ripetizione dell’articolo 43 della legge organica sull’imposta di ricchezza mobile. E un disposto che ritorna in tutte le leggi, quasi una disposizione di rito; e mi verrebbe il desiderio di sottolineare l’identità (o quasi) di numero dell’articolo 43 di quella legge con l’articolo 46 di questa.

Ora, quando si fa una questione di fiducia o di sfiducia nell’opera dell’Amministrazione finanziaria, affermo subito che non vedo nel disposto di questo articolo un qualsiasi significato di sfiducia in tale opera. È anzi, al contrario, la stessa Amministrazione finanziaria che chiede una attestazione di fiducia nella propria opera.

Per quanto riguarda il termine, è naturale che, se si chiede un’integrazione per correggere eventuali errori, tutto questo debba avvenire entro i normali termini della prescrizione.

Gli onorevoli Crispo ed altri si preoccupano che tutto ciò possa costituire un’arma defatigatoria attraverso lo zelo delle Commissioni, le quali potrebbero agire indiscriminatamente.

Ma io posso assicurare fin d’ora, in base alla consuetudine del passato, che le Commissioni faranno uso di questo rimedio in misura assai limitata e solo quando, nell’ipotesi di cespiti già concordati, sussista un divario notevole fra la realtà riscontrata dalle Commissioni e l’eventuale cifra già concordata.

Tenendo conto di questa prassi, pregherei gli onorevoli presentatori dell’emendamento di non insistere, ma di volere accogliere il testo proposto per il primo ed il secondo comma.

Colgo l’occasione per proporre che nell’ultimo comma, ove è detto: «La facoltà concessa dal comma precedente alle Commissioni di prima istanza cessa con il 31 dicembre dell’anno successivo, ecc.», si sopprimano le parole «alle Commissioni di prima istanza», perché le norme portate dagli articoli 15 e 21 del decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 435, secondo l’emendamento Tosato, si riferiscono alle Commissioni provinciali e non a quelle di prima istanza.

È vero che vi sono Commissioni provinciali che funzionerebbero in prima istanza, ma, siccome potrebbe nascere equivoco, riterrei più opportuno sopprimere le parole «alle Commissioni di prima istanza».

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Volevo chiedere soltanto all’onorevole Ministro che cosa pensa circa la facoltà di poter modificare i concordati intervenuti tra i contribuenti e l’ufficio.

PELLA, Ministro delle finanze. Ritengo che si debba mantenere questa facoltà, ma non avrei difficoltà ad accettare un emendamento che stabilisse un determinato scarto minimo per l’esercizio di questa facoltà, che stabilisse, cioè, che la revisione del concordato è possibile quando l’errore sia almeno, ad esempio, di un quarto rispetto al valore concordato.

CIFALDI. Vi sia almeno questo!

PRESIDENTE. Vorrei che la Commissione esprimesse il suo parere sulla proposta soppressiva dell’onorevole Ministro.

Onorevole La Malfa, la proposta è di sopprimere nell’ultimo comma dell’articolo 46 le parole «alle Commissioni di prima istanza».

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. Si può allora passare ai voti.

Sul primo comma dell’articolo non vi sono emendamenti.

Sul secondo comma, vi è anzitutto l’emendamento radicale dell’onorevole Crispo, il quale ne chiede la soppressione.

Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Pongo ora ai voti l’emendamento dell’onorevole Cifaldi di aggiungere al secondo comma le seguenti parole:

«nel termine di sei mesi dalla data di accertamento degli Uffici distrettuali».

(Non è approvato).

Vi è poi un terzo emendamento degli onorevoli Crispo, Nasi, Badini Confalonieri ed altri, con cui si chiede la soppressione delle parole: «o concordate fra i contribuenti e l’Ufficio».

CRISPO. Non ho ancora illustrato questo emendamento.

PRESIDENTE. Può parlare brevemente sotto forma di dichiarazione di voto.

CRISPO. Vorrei far notare ai colleghi che il concordato, in sostanza, è una intenzione di transazione fra l’ufficio e il contribuente. Ora sembra che questa disposizione dovrebbe nientemeno derogare alle norme del Codice civile, ove la transazione ha un carattere definitivo. Non si può tornare sul concordato intervenuto fra l’ufficio e il contribuente. Ecco perché, mi sono permesso di proporre la soppressione per lo meno delle parole «o concordato fra i contribuenti e l’ufficio». E ciò anche per un’altra ragione: che se l’Amministrazione finanziaria ha interesse perché i concordati si facciano, non vi sarà invece nessuno che sia disposto a farli.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Dissento dall’onorevole Crispo che definisce il concordato come una transazione, perché transazione non è. È inutile qui ripetere gli argomenti che la dottrina ormai ha addotto a questo proposito per risolvere una questione che si agitava da tempo. La transazione è sulla misura. Il concordato non è transazione per il semplice fatto che non è nella disponibilità dell’Amministrazione di potere non esigere un’imposta che sia dovuta. Quindi manca l’elemento essenziale del concordato perché l’Amministrazione non può rinunciare alla esazione dell’imposta. Ad ogni modo, non è questa una ragione per potere accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Crispo.

Per quanto riguarda lo stesso emendamento, si deve anche ripetere che se questa – come ha detto il Ministro e come è stato detto da altre parti – è una norma che già esiste nella nostra legislazione finanziaria, non mi pare che proprio in sede di un’imposta straordinaria occorra abolirla o rivederla. Si potrà abolirla o rivederla, ma non in questo momento ed in questa occasione.

CAROLEO. C’è un progresso anche in materia di leggi finanziarie!

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Crispo soppressivo delle parole: «o concordate fra i contribuenti e l’Ufficio».

(Non è approvato).

Pongo ora ai voti l’emendamento dell’onorevole Tosato, fatto proprio dall’onorevole Cappi:

«Al terzo comma, alle parole: nell’articolo 15 del regio decreto legislativo del 27 maggio 1946, n. 436, sostituire le parole: negli articoli 15 e 21 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436».

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Siccome questo emendamento estende sostanzialmente la competenza di merito delle Commissioni centrali in alcuni casi gravissimi, cioè in quello in cui la Commissione di seconda istanza ha rivisto l’accertamento dell’ufficio, se non si desse questa competenza, vi sarebbe un giudizio di primo grado e non vi sarebbe doppio grado di giurisdizione. Voteremo quindi a favore dell’emendamento.

(L’emendamento è approvato).

PRESIDENTE. Vi è ora da votare la soppressione nell’ultimo comma delle parole: «alle Commissioni di prima istanza» proposta dal Ministro delle finanze.

PELLA. Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Siccome sorge la minaccia di un’altra questione, meglio è risolverla in partenza. Sono d’accordo nel limitare la soppressione alle tre parole «di prima istanza»; lasciamo pure le due parole «alle Commissioni», se questo vale ad eliminare qualche perplessità.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta di soppressione delle parole:

«di prima istanza».

(È approvata).

L’articolo 46 si intende allora approvato, dopo gli emendamenti testé accolti dall’Assemblea, nel seguente testo:

«Le Commissioni giudicanti hanno tutte le facoltà conferite dall’articolo 44 ai funzionari delle imposte.

«Le Commissioni di prima istanza hanno, inoltre, la facoltà di eseguire d’ufficio accertamenti non proposti dagli Uffici distrettuali e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio, anche se già inscritte a ruolo.

«Sono applicabili ai fini del presente decreto, le disposizioni contenute negli articoli 15 e 21 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436.

«La facoltà concessa dal comma precedente alle Commissioni cessa col 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui si verifica la prescrizione dell’azione della finanza, a norma dell’articolo 61 del presente decreto».

CRISPO. Mi pareva di avere udito che l’onorevole Ministro volesse proporre un emendamento tendente a stabilire che la facoltà di cui all’articolo 46 si dovesse esercitare quando vi fosse una differenza di un quarto.

Per questo non ho presentato un emendamento confidando in quello che il Ministro aveva detto.

PELLA, Ministro delle finanze. Io mi riferivo a quello che accade in linea pratica; che le Commissioni non si muovono, qualora non riscontrino una differenza di notevole rilievo tra le cifre concretamente concordate e quelle che a loro avviso avrebbero dovuto essere accertate. Per cui concludevo che, se fosse stato proposto un emendamento che stabilisse uno scarto minimo, ciò rientrando nella prassi, io avrei espresso parere favorevole.

CRISPO. Allora, ho male interpretato il pensiero del Ministro. Comunque, propongo un emendamento aggiuntivo, così formulato:

«La facoltà di cui al comma precedente può essere esercitata soltanto nel caso di differenza non inferiore a un quarto».

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Io ritenevo che l’articolo fosse votato senza possibilità di aggiunta in questo senso. Voglio ripetere che se nell’articolo si ha la riproduzione di una norma che già esiste, non è questo il momento e l’occasione per introdurre modificazioni. D’altra parte, in linea generale, finché l’onorevole Ministro dice che questo è nella prassi, fino a questo punto posso andare; ma un emendamento quale quello ora proposto non potrei votarlo favorevolmente, perché si avrebbe una disposizione che andrebbe a tutto svantaggio dei piccoli contribuenti e a tutto vantaggio dei grandi contribuenti, in quanto, se ci fosse un concordato di un miliardo di lire, la facoltà di rivedere da parte della Commissione sorgerebbe solo quando ci fosse uno scarto di ben 250 milioni.

Mi pare quindi che una disposizione così congegnata, tradotta in legge, non potrebbe essere accolta con tranquillità.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa, nella sua qualità di Relatore, ha facoltà di esprimere il parere della Commissione su questo nuovo emendamento aggiuntivo che è ammissibile in quanto, onorevoli colleghi, non eravamo ancora all’esame dell’articolo successivo.

LA MALFA, Relatore. Ho già espresso il parere della Commissione in occasione di altro emendamento presentato all’ultim’ora. Interpellata, seduta stante, la Commissione e trovatala discorde, ho dovuto accennare alla necessità di una sospensiva.

Comunque, per quello che mi è dato esprimere come parere, sarei contrario all’accoglimento di questo nuovo emendamento.

Mi rimetto, d’altra parte, al parere del Governo.

Il Governo ha espresso parere favorevole, ne assuma la responsabilità, ma non mi si chieda di esprimere un giudizio della Commissione, che non esiste.

Devo dire che con la introduzione dell’articolo 21, la Commissione centrale ha competenza nelle vertenze relative all’imposta straordinaria sui profitti di guerra ogni qual volta il patrimonio superi il doppio di quello dichiarato dal contribuente e sia inferiore a quello proposto dall’ufficio. C’è, quindi, una garanzia per il contribuente. Siccome abbiamo esteso l’articolo 21 all’imposta progressiva, qualora Commissioni centrali…

PELLA, Ministro delle finanze. Qui siamo ancora al comma secondo. Non sarei d’accordo di considerare esteso questo larghissimo limite nella sfera di applicazione del secondo comma.

LA MALFA, Relatore. Esattissimo; ma voglio dire che qualunque sia la situazione che si crea nella Commissione di prima istanza fra il contribuente e la Commissione, c’è sempre questa possibilità e questa garanzia per il contribuente, che mi sembra sufficiente.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne fa facoltà.

FABBRI. Io voterò a favore dell’aggiunta proposta dall’onorevole Crispo, perché faccio osservare che in sostanza con il sistema difeso dalla Commissione – e mi pare fatto proprio dal Governo – si crea una incertezza sulle dimensioni del patrimonio che finisce per durare sei o sette anni, il che paralizza tutta la vita economica di un commerciante o di un’industriale. Qui, infatti, vi sono due anni successivi alla dichiarazione, poi quattro anni di prescrizione successivi alla scadenza del primo termine, poi queste facoltà indefinite delle Commissioni di poter intervenire d’ufficio nonostante i concordati e nonostante che tutto sia finito.

Ora, l’argomento dell’onorevole Scoca che se si tratta di una facoltà normale è inutile sopprimerla, in questa occasione dovrebbe essere precisato da parte sua, nel senso di dimostrare che questa facoltà normale, e per un numero di anni corrispondente a quello che sto indicando io, già esiste. Secondariamente, qualora esistesse per un singolo rapporto, non avrebbe mai l’importanza e l’ampiezza che si verifica in questo caso in cui è la totalità del patrimonio di un contribuente che resta a discrezione delle Commissioni, elette con criteri più o meno politici, durante sei o sette anni. Mi pare che sia una cosa veramente enorme come disturbo del normale funzionamento di un sistema economico-politico, il quale è quello che è, ma se si vuole che sussista non bisogna impedirgli di svolgersi in condizioni normali e conformi alla sua natura.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Devo indicare un grave inconveniente, che si comincia già a delineare: il pericolo per l’acquirente della rispondenza per questa imposta, che alcune volte può essere ingente, può paralizzare il commercio degli immobili anche per lungo tempo. Tanto più che potranno esserci variazioni tali nel mercato che potrebbero rendere vane le garanzie delle somme, che si dessero in prestito con garanzie ipotecarie.

Sarà vero che il sistema dell’articolo 46 si trova pressoché in tutte le leggi fiscali; ma dobbiamo tener presente la specialità di questa imposta, che incide sul patrimonio. La sua incertezza può portare alla impossibilità di movimento sia dei capitali che degli stessi immobili.

Prego l’Assemblea di riflettere su questa gravità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero far presente all’onorevole Crispo che la formulazione dell’emendamento da lui proposto forse non aderisce al risultato che voleva raggiungere, perché il secondo comma, cui l’emendamento fa riferimento, configura tre ipotesi: prima, mancato accertamento da parte dell’ufficio; seconda, accertamento in corso di discussione; terza, accertamento concluso col concordato.

Ora, ritengo che, col suo emendamento, l’onorevole Crispo volesse fare riferimento alla terza ipotesi, e penso che esso dovrebbe essere integrato in tal senso.

Per quanto riguarda il pensiero del Governo, mi faccio carico delle argomentazioni dell’onorevole Scoca, che hanno notevole peso.

Devo, però, aggiungere che il concordato è lo strumento essenziale, attraverso cui si definisce la massima parte delle contestazioni sui diversi tributi, cioè il 90 per cento almeno. Guai se non fosse così! Perché, se più di un dieci per cento dovesse andare davanti ai collegi giudicanti, la riscossione dei tributi sarebbe ritardata al punto da esserne compromessa.

La concessione di uno scarto di sicurezza può più facilmente permettere la stipulazione di concordati.

Pensando a questa ragione di ordine pratico, sostanzialmente aderisco al concetto dell’emendamento.

DUGONI. La Commissione è contraria.

PRESIDENTE. Avverto che è in preparazione una modificazione dell’emendamento.

LA MALFA, Relatore. Devo protestare, in maniera assoluta; non si possono presentare emendamenti all’ultim’ora.

PRESIDENTE. Si può risolvere la questione con un parere negativo della Commissione.

CRISPO. Sulla protesta elevata dal presidente della Commissione, mi permetto di osservare che vi è una disposizione categorica nel Regolamento, che dà facoltà di presentare emendamenti, a condizione che siano sottoscritti da dieci deputati. Io esercito precisamente questa facoltà.

LA MALFA, Relatore. Sono dolente, di fronte ad un emendamento presentato all’ultim’ora, di dovere esprimere parere contrario. È un motivo di deferenza verso i colleghi che mi spinge a porre la questione della presentazione degli emendamenti. Se essi presentano gli emendamenti all’ultim’ora, la Commissione o chiede la sospensiva su ogni articolo, per dare tono di serietà ai lavori, o è costretta a esprimere parere negativo. Come volete che su questioni di grande importanza la Commissione dia in quattro e quattr’otto il suo parere? (Approvazioni).

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Crispo ha così definitivamente formulato il suo emendamento, proposto come articolo 46-bis:

«La facoltà di cui al secondo comma dell’articolo 46, può essere esercitata nel solo caso in cui la differenza non sia inferiore al quarto, in rapporto alle cifre fissate dagli Uffici o concordate».

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 47.

Se ne dia lettura nel testo ministeriale accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per la riscossione dell’imposta straordinaria progressiva si applicano le disposizioni vigenti per la riscossione dell’imposta di ricchezza mobile.

«I ruoli dell’imposta straordinaria non sono soggetti alla pubblicazione disposta dalla vigente legge di riscossione».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, si intende approvato.

Segue l’articolo 48. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I contribuenti possono chiedere che il pagamento abbia luogo, anziché in un anno, e rispettivamente due per i patrimoni costituiti per almeno due terzi da cespiti immobiliari, in quattro e sei anni di sei rate bimestrali ciascuna. In tal caso essi corrisponderanno all’Erario, a partire dal secondo e rispettivamente dal terzo anno, un interesse del 2 per cento all’anno da aggiungersi all’annualità d’imposta».

PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un primo emendamento dell’onorevole Cappi del seguente tenore:

«Ripristinare il testo proposto dal Governo».

Ricordo all’Assemblea che il testo proposto dal Governo era così formulato:

«L’imposta straordinaria progressiva è dovuta in rate bimestrali entro il 31 dicembre 1951.

«Quando il patrimonio sia costituito, per almeno due terzi, da cespiti immobiliari, la relativa imposta straordinaria è dovuta in rate bimestrali entro il 31 dicembre 1953, con l’obbligo, per il contribuente, di corrispondere all’Erario l’interesse del 5 per cento, in ragion d’anno, a decorrere dal 1° gennaio 1952».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgere il suo emendamento. Ricordo che egli ne ha presentato uno analogo anche all’articolo 49.

CAPPI. Credo che il mio emendamento si illustri da sé, tanto è semplice. Ad ogni modo, dico solo che lo scopo che mi ha indotto a proporre il ripristino del testo proposto dal Governo, sia per l’articolo 48 sia anche per il successivo articolo 49, è stato quello di rendere più facile ed agevole ai contribuenti il pagamento dell’imposta. Stiamo pur fermi sulle aliquote alte e nel rigore contro le evasioni; ma mi sembra giusto che i contribuenti, anche per la convenienza del fisco, abbiano agevolazioni di forma e di tempo per il pagamento di questa imposta. Questa è la ragione per cui ho presentato i miei emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo – unitamente agli onorevoli Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano, Rubilli – ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma del testo ministeriale sostituire il seguente:

«Per il patrimonio costituito in prevalenza da immobili urbani, il pagamento dell’imposta avrà luogo in sei annualità, a cominciare dal termine della imposta proporzionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. L’emendamento è chiaro ed obbedisce a questa finalità: rendere meno gravoso il canone, in quanto la contestualità del pagamento dell’una e dell’altra imposta ed il gravame del tributo a me sembra un onere eccessivo, talvolta impossibile ad essere sostenuto. Con l’emendamento da noi proposto per gli immobili, cioè per i patrimoni costituiti in prevalenza da immobili urbani, il pagamento dell’imposta progressiva ha luogo dopo che sia stato esaurito il pagamento dell’imposta proporzionale.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dagli onorevoli Clerici, Alberti, Bovetti, Cavalli, Saggin, Baracco:

«Dopo il primo periodo del testo della Commissione, aggiungere:

«Quando il patrimonio sia costituito per almeno quattro quinti da immobili sottoposti al regime vincolistico dei fitti, i contribuenti possono chiedere che il pagamento abbia luogo, in rate bimestrali, sino a cinque anni dalla cessazione del regime vincolistico e comunque non oltre il 31 dicembre 1957».

L’onorevole Clerici ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. La ragione del mio emendamento è in sostanza la stessa di quella dell’emendamento presentato dall’onorevole Crispo e da altri colleghi. Però, ritengo che il mio emendamento risponda meglio a criteri di chiarezza e di giustizia.

Osservo subito che qualora l’Assemblea ritenesse di votare l’antico articolo 48, il mio emendamento, così com’è proposto, starebbe anche a quell’articolo. Intanto, prego l’onorevole Crispo di vedere se sia possibile fondere i nostri due emendamenti.

Il mio emendamento è più giusto e più chiaro di quello degli altri colleghi, perché, invece di parlare di un patrimonio costituito «in prevalenza» da immobili urbani, parla di patrimonio costituito per almeno quattro quinti da immobili sottoposti a regime vincolistico. La prevalenza è un concetto elastico che darebbe luogo a discussioni ed alla necessità di interventi e di circolari da parte del Ministro, cose che sono sempre da evitarsi perché tendono a creare nuove norme, anziché limitarsi ad interpretare la legge. Nel mio emendamento la norma è categorica, perché prevede i quattro quinti del patrimonio e contempla nel caso di un patrimonio vistoso, tutto il patrimonio, perché l’altro quinto è rappresentato da quel patrimonio presuntivo di gioielli, titoli al portatore, e via dicendo, contemplato all’articolo 25. Né parlando di quattro quinti sottoposti a regime vincolistico, si cade in termini non generici. Vi sono infatti degli immobili urbani (come le costruzioni nuove, quelle ricostruite o riattate, o quelle di cui il proprietario ha in disponibilità i locali per avere da essi, amichevolmente o con altri mezzi, sloggiato gli inquilini), per i quali i proprietari percepiscono dei fitti che sono dieci, venti volte superiori a quelli degli immobili vincolati. Per costoro, evidentemente non vi dovrebbe essere agevolazione; l’agevolazione vi sarà per coloro che sono sottoposti a regime vincolistico.

Infine, ritengo opportuno che il termine di pagamento sia messo in correlazione allo stesso vincolo, come appunto dice il mio emendamento.

Osservo inoltre che il mio emendamento è in relazione ad un altro emendamento, che ho presentato all’articolo 72, e che riguarda la suddivisione dell’imposta straordinaria proporzionale per coloro che versano nelle stesse condizioni previste nell’emendamento presentato all’articolo 48, ed è in relazione ancora ad un ordine del giorno mio, che per ragioni regolamentari non può essere proposto e discusso in questa sede, e che riguarda quella parte notevole di proprietari di case i quali, lungi dal soffrire, in queste condizioni raggiungono dei guadagni straordinari. Parlo di coloro che affittano o subaffittano stanze ed appartamenti in luoghi di cura e di villeggiatura, e che ottengono 40-50 mila lire, ed anche centomila, per stagione e per locale. Per costoro, io invoco da parte del Governo un provvedimento di rigore. (Approvazioni).

Per questo dico che non si può, per ragioni di giustizia, parlare indiscriminatamente di proprietari immobiliari urbani o meno, ma si devono stabilire delle categorie specifiche, perché vi sono categorie che soffrono, come quelle sottoposte a regime vincolistico e che non traggono neppure il necessario per provvedere alle spese dell’immobile, ed altre categorie, invece, che sono favorite dalle circostanze attuali, che fanno una vera speculazione e che possono e debbono e debbono essere considerate alla stregua dei borsari neri. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa, per esprimere il giudizio della Commissione sugli emendamenti.

LA MALFA, Relatore. L’articolo 48 è una delle disposizioni fondamentali della legge, ed io debbo esporre le ragioni per cui la Commissione ha modificato in questa materia i criteri governativi.

Una delle preoccupazioni della Commissione è stata quella di trovare un mezzo per rendere percepibile l’imposta nel più breve tempo possibile; perché, se è vero che i contribuenti possono avere difficoltà di pagamento, una delle ragioni fondamentali dell’imposta è quella di produrre una liquidità immediata a favore dello Stato; non solo, ma anche perché l’influenza anti-inflazionistica dell’imposta si esercita solo se l’imposta non è troppo diluita nel tempo. Altrimenti l’imposta non avrebbe un risultato di carattere monetario.

In che cosa consiste la modificazione dell’articolo 48? La Commissione ha fatto sorgere il debito di imposta in un anno per i patrimoni prevalentemente mobiliari, in due anni per i patrimoni prevalentemente immobiliari. A questa modifica è legata anche una modifica del sistema del riscatto.

Si è cercato di anticipare la possibilità del riscatto, all’atto della dichiarazione del contribuente, anziché all’atto della prima iscrizione in ruolo, cioè la si è portata molto vicina nel tempo. Per potere, poi, indurre al riscatto, si sono dovuti aggravare i termini, la pressione sul riscatto dell’imposta essendo in relazione diretta ai termini che si pongono per il pagamento.

Come vedete, dunque, l’aggravamento sta in questo: che il debito d’interesse per il contribuente è stato anticipato; e mentre la legge lo faceva sorgere dopo il 1951, l’emendamento della Commissione lo fa sorgere dopo il 1948-49. Avete un forte premio di riscatto per chi paga prima ed un aggravamento di condizioni per chi paga dopo.

Io avrei fatto pesare di più gli interessi rendendoli crescenti nel tempo, perché le due leve (riscatto e rateazione) debbono agire in maniera che il contribuente man mano che si vale della rateazione abbia un rischio od un costo della rateazione. Ma la maggioranza della Commissione non è stata del mio parere molto più rigido.

Nell’anticipare l’obbligo del contribuente di pagare un interesse, ne abbiamo diminuito la misura. Il 5 per cento del testo governativo diventa un 10 per cento, dato che si pagano rate bimestrali; e questo saggio di interesse percepito dallo Stato, è apparso molto grave. Abbiamo portato il saggio al 2 per cento e l’abbiamo anticipato.

Ritornare, come vuole il collega Cappi, al testo proposto dal Governo significherebbe attenuare la pressione anti-inflazionistica che la Commissione ha avuto di mira. Ora, badate, qui noi non abbiamo dati sicuri per stabilire se un’imposta è liquida o più o meno liquida; sono questioni psicologiche, di valutazione, di intuito, di considerazioni sulla situazione generale. Nell’Assemblea a questo proposito ci sono due sensazioni: ci sono gli onorevoli colleghi che ascoltano i contribuenti, e hanno la sensazione che i contribuenti non possono pagare; c’è la Commissione ed il Governo che sentono che il contribuente può pagare, non solo, ma deve pagare.

Chi ha ragione? È una valutazione di carattere particolare. Hanno ragione coloro che credono che l’imposta possa essere pagata? Io ho l’impressione di sì.

Badate, l’imposta proporzionale è certamente gravosa per i piccoli contribuenti; però, si è avuto un notevole riscatto dell’imposta. In sede generale, cosa vuol significare un accelerato riscatto dell’imposta?

Vuol dire che c’è la possibilità, la liquidità necessaria per pagare l’imposta. E devo anche rilevare che, da quando qui dentro si parla di gravezza di imposta, di impossibilità di pagare, ecc., i contribuenti riscattano molto di meno. È una grave responsabilità che l’Assemblea si assume. Se, in definitiva, vi è una possibilità che questa imposta venga riscattata celermente, cioè che il contribuente paghi perché è stato previdente, perché in campagna i contadini hanno detto: «verrà l’imposta, accantoniamo per l’imposta», non possiamo come legislatori essere più realisti del re.

CRISPO. Allora, aboliamo la discussione!

LA MALFA, Relatore. Questo è lo scopo dell’imposta: non possiamo arrestare questo movimento. Può darsi che ci siano dei casi da considerare; ma non poniamo questi problemi in sede generale. Quando un’imposta la rateiamo troppo lungamente, quella liquidità che il mercato ha per pagare un’imposta va in fumo e va in fumo anche la legge, perché uno scopo fondamentale della legge si perde.

In materia di imposta proporzionale, abbiamo già dei segni di liquidità; credo che questi segni di liquidità si possano ritenere esistenti anche per l’imposta progressiva.

Prego, quindi, gli onorevoli colleghi di avere riguardo alle esigenze di politica generale, oltre che alle legittime esigenze dei contribuenti.

Per queste ragioni, non sarei favorevole ad accogliere l’emendamento dell’onorevole Cappi e pregherei il collega di non insistervi.

La Commissione non è nemmeno favorevole agli altri due emendamenti, per queste ragioni. In effetti, la distinzione di termini che fa la legge, che fa il sistema del decreto legislativo e l’emendamento della Commissione, fra patrimoni immobiliari e patrimoni mobiliari, non riguarda, naturalmente, il cespite in sé. Ma, si dice: «Un patrimonio che ha una certa percentuale di cespiti immobiliari ha possibilità liquide minori dell’altro». Se aggiungiamo un altro criterio, per esempio il regime vincolistico – come vorrebbe l’onorevole Clerici – il fatto che una casa sia soggetta a regime vincolistico fa sì che di questo si tenga conto nella valutazione del reddito e nella valutazione del patrimonio. Non possiamo tener conto dello stesso fenomeno due volte, perché allora creiamo due condizioni privilegiate. Se noi, valutando una casa soggetta a regime vincolistico, ne facciamo una valutazione patrimoniale molto minore di una casa che non è soggetta a regime vincolistico – e l’abbiamo detto – evidentemente non possiamo poi facilitare il pagamento, perché l’imposta gravante su quell’imponibile è molto minore di quella che grava sull’altro. È quindi un fatto obiettivo dato dalla composizione patrimoniale che può indurci a quella divisione nella rateazione. Ma andare ad altre manifestazioni che hanno una portata ed un significato soprattutto per quel che riguarda la valutazione dell’imponibile, ci sembra fuor di luogo.

La Commissione quindi, per le ragioni che ho ora esposte, esprime parere contrario ai due emendamenti Crispo e Clerici.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro delle finanze a pronunciarsi a nome del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda la richiesta dell’onorevole Cappi di ripristinare il testo ministeriale, siccome questo promana dal Governo, mi rimetto all’Assemblea.

Per gli emendamenti presentati dagli onorevoli Crispo e Clerici, per le ragioni esposte dall’onorevole Relatore, cui pienamente mi associo, debbo esprimere parere nettamente contrario all’accoglimento.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro che potrei rinunziare al mio emendamento e aderire a quello dell’onorevole Clerici nel caso in cui il collega Clerici acconsentisse, là dove è detto «per almeno quattro quinti», a dire invece «per almeno tre quarti».

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici acconsente?

CLERICI. Acconsento.

PRESIDENTE. Passiamo dunque alle votazioni.

Dovrò porre anzitutto ai voti l’emendamento dell’onorevole Cappi, il quale propone di ripristinare il testo proposto dal Governo. Non essendo però presente l’onorevole Cappi, si intende che vi abbia rinunciato.

VANONI. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Sta bene. Lo pongo ai voti, ricordando che la Commissione ha espresso parere contrario e il Governo si è rimesso all’Assemblea.

(Non è approvato).

L’onorevole Crispo ha rinunciato al suo emendamento.

Resta quindi l’emendamento presentato dall’onorevole Clerici, ed altri, cui l’onorevole Crispo si è associato, con la modifica delle parole «quattro quinti» in «tre quarti».

Lo pongo ai voti, ricordando che la Commissione ha espresso parere contrario e il Governo si è associato al parere della Commissione.

(Non è approvato).

Essendo stati respinti tutti gli emendamenti proposti, l’articolo 48 si intende approvato nel testo proposto dalla Commissione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei chiedere alla Commissione, senza farne oggetto di una proposta specifica, se non riterrebbe opportuno, per il pagamento degli interessi, di farli decorrere non dal secondo e dal terzo anno, ma almeno dal quarto e dal quinto. Io credo infatti che presupporre che un’imposta di tal natura sia pagata nel primo anno significhi pensare una cosa che non avverrà. E un’imposta così grave questa, che nessuno la pagherà nel primo anno. Ora, obbligare il contribuente a pagare fin dal primo anno gli interessi d’una imposta che si riconosce deve essere diluita nel tempo, mi pare un po’ grave. Quindi chiedo alla Commissione se non creda opportuno fissare che il pagamento degli interessi avvenga non dal primo e secondo anno, ma dal quarto o quinto.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si è già espressa ed è già avvenuta la votazione su questo problema. Mi dispiace, onorevole Bertone.

BERTONE. Anche poco fa l’onorevole Crispo, ad articolo approvato, ha proposto un emendamento aggiuntivo, che è stato votato.

LA MALFA, Relatore. Faccio osservare che quello che l’onorevole Bertone dice era, in fondo, l’emendamento Cappi, che è stato respinto.

BERTONE. Io non ho votato per l’emendamento Cappi: sono per il testo della Commissione, con la sola variante accennata.

PRESIDENTE. Se vuole fare una proposta formale, onorevole Bertone, la invito a far pervenire alla Presidenza il suo emendamento.

La Commissione mantiene, ad ogni modo, il suo parere contrario?

LA MALFA, Relatore, La Commissione si è già espressa: naturalmente è contraria.

BERTONE. Rinuncio al mio emendamento.

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 49.

Se ne dia lettura nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’imposta straordinaria progressiva su patrimoni il cui ammontare raggiunga il minimo imponibile viene iscritta a ruolo, in via provvisoria, salvo conguagli, in base alla dichiarazione presentata dal contribuente ed è messa in riscossione a partire dalla rata del febbraio 1948.

«L’imposta iscritta a titolo provvisorio o definitivo in ruoli, la cui riscossione si inizia dopo la rata del febbraio 1948, viene ripartita in quote uguali nelle rate residue.

«L’imposta iscritta in ruoli, la cui riscossione s’inizia dopo la scadenza dei due termini fissati dall’articolo 48, a seconda della composizione del patrimonio imponibile, è pagata in sei rate bimestrali con l’interesse corrispondente di cui all’articolo 48».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Cappi ha proposto il seguente emendamento:

«Ripristinare il testo proposto dal Governo».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAPPI. Vi rinuncio, essendo stato respinto l’analogo emendamento da me proposto all’articolo precedente.

PRESIDENTE. Sta bene.

L’onorevole Veroni ha facoltà di svolgere il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per la riscossione dell’imposta progressiva compete all’esattore l’aggio contrattuale, esclusa l’addizionale prevista dagli articoli 5 e 8 del decreto legislativo luogotenenziale 18 giugno 1945, n. 424».

VERONI. Questo emendamento contiene lo stesso principio che il legislatore ha previsto per la riscossione dell’imposta straordinaria proporzionale, all’articolo 72.

Questa disposizione va, evidentemente, riprodotta nell’articolo 49.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. E il Governo?

PELEA, Ministro delle finanze. Anche il Governo accetta l’emendamento.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Mi dichiaro contrario a questo emendamento, perché esso determina una situazione di sperequazione tra diverse categorie di contribuenti.

Noi oggi, in materia di aggi di riscossione esattoriali, ci troviamo esattamente in questa posizione: che per far fronte alle aumentate spese di riscossione, si sono aggiunti agli aggi contrattuali dei super-aggi, particolarmente elevati. Questo era dovuto al fatto che i ruoli di riscossione non avevano avuto quell’incremento della loro consistenza che hanno avuto le spese di riscossione.

Oggi noi diamo agli esattori una nuova imposta da riscuotere. La politica logica sarebbe questa: che in relazione all’aumento della cifra di riscossioni si riducano tutti gli aggi di riscossione, e non solo quelli inerenti all’imposta straordinaria sul patrimonio, e che quindi si faccia un’opera di perequazione fra i contribuenti che pagano l’aggio di riscossione sulle normali imposte ed i contribuenti che sono chiamati a pagare l’imposta straordinaria.

La logica sarebbe quindi questa: che l’aggio fosse uniforme per tutte le imposte. Se oggi si determina un nuovo carico tributario per cui quelle spese di riscossione si ripartiscono su una maggior somma da riscuotere, il vantaggio della diminuzione dell’aggio dovrebbe essere accordato a tutti i contribuenti e non solo a quelli cui la diminuzione è concessa ai fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio.

Quindi io voterò contro questo emendamento, suggerendo al Governo di svolgere quell’opera di riduzione delle aggiunte agli aggi esattoriali che è inerente alla nuova situazione che si determina in conseguenza del maggior carico in relazione alla posizione degli esattori, in maniera da poter arrivare ad una perequazione graduale ma definitiva degli aggi esattoriali per tutte le imposte.

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Vorrei rispondere all’onorevole Vanoni che, proprio per cominciare questa graduale perequazione degli aggi, noi proponiamo che, essendosi determinata con l’imposta proporzionale la riscossione di un aggio per gli esattori, ugualmente si faccia per la progressiva.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Corbino così formulato:

«Nel primo e nel secondo comma dell’articolo 49 sostituire: febbraio 1948, con: agosto 1948».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CORBINO. L’emendamento è così chiaro che non credo abbia bisogno di particolare illustrazione. Noi abbiamo prorogato i termini per la denuncia. Ho l’impressione che, per quanto presto si possa fare, gli uffici non saranno in condizione di notificare le cartelle dei pagamenti entro febbraio. Senza spostare i termini generali che abbiamo accettato nella proposta della Commissione, si potrebbe prorogare di sei mesi il gettito globale dell’imposta entro i quattro o sei anni al massimo di termine entro il quale l’imposta dovrà essere pagata.

Devo aggiungere che io non vorrei modificare le condizioni previste per il riscatto, salvo la proroga del termine del 15 settembre di cui all’articolo 71, in maniera da lasciare al contribuente lo stimolo di riscattare l’imposta.

Non è che io tenga molto a questa proposta, ma volevo far presente che ancora durante il 1948 molti contribuenti dovranno pagare la decennale. Ora, se noi ritardiamo i pagamenti alla data del 10 agosto, siccome i pagamenti sarebbero iniziati con valori provvisori, nelle ultime tre rate del 1948 l’onere della progressiva non sarebbe troppo elevato, e quindi noi semplificheremmo il problema del pagamento per una notevole categoria di contribuenti.

PRESIDENTE. Invito il Relatore ad esprimere il suo parere sull’emendamento Corbino.

LA MALFA, Relatore. In un certo senso ho risposto implicitamente all’onorevole Corbino esponendo il pensiero della Commissione, cioè nel senso di rendere esigibile in febbraio quest’imposta, se tecnicamente è possibile l’esazione in febbraio. D’altra parte, l’imposta figura già nel preventivo 1947-48 per 30 miliardi. Ora, si possono anche abolire questi 30 miliardi dal preventivo, ma io credo che sia bene che nel preventivo del nuovo esercizio figurino entrate per l’imposta straordinaria progressiva.

Se tecnicamente non ci sono difficoltà, e il Ministro ha assicurato che non ce ne sono, la Commissione insiste.

Risponderei poi, se mi permette l’onorevole Presidente, al collega Vanoni che la sua tesi è giusta per quanto riguarda la ripartizione dell’aggio fra tutti i contribuenti. Ma, prendendo in considerazione l’emendamento Veroni, si è dovuto considerare l’entrata in riscossione di molti miliardi. Se in attesa della ripartizione tradizionale avessimo lasciato questa addizionale, evidentemente avremmo creato un maggior male.

La soluzione è empirica e contingente, ma pone riparo ad un inconveniente contro il quale non abbiamo per il momento un sistema migliore. Quindi mi associo alla tesi Vanoni, come raccomandazione per una sistemazione futura, ma ritengo opportuno in questo momento applicare l’emendamento Veroni.

PRESIDENTE. Prego il Ministro delle finanze di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero assicurare il collega Vanoni che già è allo studio presso la Direzione generale competente il problema delle perequazioni degli aggi e dello smantellamento di tutte le sovrastrutture esistenti attualmente.

Mi faccio veramente carico del concetto di perequazione che ispira l’ordine di idee espresso dall’onorevole Vanoni, in contrasto con l’emendamento Veroni, e dico all’onorevole Veroni che proprio il Ministero, per diversi giorni, ha meditato sul problema ed ha dovuto alla fine obbedire alla considerazione empirica e contingente – come bene ha detto l’onorevole La Malfa – di agire in qualche modo in attesa dei risultati migliori che si spera di conseguire con la revisione di tutto il problema.

Non assumo impegni formali, ma vorrei che l’Assemblea credesse alla buona volontà del Ministero di esaminare questa materia con la celerità necessaria, il che potrebbe forse permettere il risolvere, almeno fino ad un certo punto, il complesso problema prima che risultasse di attualità la riscossione dei ruoli. Non è una promessa, perché non vorrei convertire quella che è una buona intenzione in un impegno formale.

Per queste ragioni devo confermare il parere favorevole del Governo all’emendamento Vanoni.

Per quanto riguarda l’emendamento Corbino, che ha come presupposto la probabile impossibilità del Governo di mettere in riscossione i ruoli compilati in base alle dichiarazioni dei contribuenti il 10 febbraio 1948, posso assicurare che col termine del 30 settembre fissato per le dichiarazioni dei possessori di patrimoni superiori a 3 milioni, è possibile di mettere in riscossione i ruoli con la rata di febbraio.

Vorrei fare ancora una volta – e mi sembra che sia la seconda – un appello all’onorevole Corbino, alla sua squisita sensibilità in ordine alle necessità del Tesoro, perché non insista nel suo emendamento.

Sono stati inscritti nel preventivo 1947-48, 30 miliardi, che possono essere riscossi, e non vedrei francamente la ragione di rinunciare per sei mesi a questa riscossione.

Per questi motivi mi duole di non poter accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Corbino.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Ritengo che l’emendamento dell’onorevole Veroni, così come è stato inquadrato dal Governo, troverebbe posto molto meglio nelle norme transitorie, che non nella legge definitiva.

Quanto all’aggio minore, difficilmente riuscirete a ridurre su una cifra importante l’aggio sulle altre riscossioni dell’imposta.

Voglio aggiungere un’altra considerazione che rientra nell’ordine d’idee della Commissione. La Commissione ha studiato tutto questo sistema dell’articolo 48 per rendere più allettevole il riscatto dell’imposta. Ora, se voi riducete l’aggio di riscossione, che è uno dei vantaggi che si viene ad attuare nel riscatto dell’imposta, evidentemente riducete anche l’allettamento. Quindi io ritengo che se veramente siamo sulla strada della perequazione degli aggi e, tenendo conto che oggi si fa pagare il 15 per cento di aggio di riscossione al piccolo proprietario che paga l’imposta fondiaria, mentre si fa al 3 e 50 per cento nell’imposta sul patrimonio, questa perequazione sarà ben difficile a raggiungere. Se vogliamo mettere una norma transitoria, finché nuove norme siano emanate, potrei anche accettare; se si vuol fare entrare la norma nel testo definitivo della legge, allora credo che la perequazione sarà difficile a raggiungere.

SCOCCIMARRO. Propongo che si metta ai voti l’emendamento Veroni, salvo a deciderne la collocazione.

VERONI. D’accordo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Veroni, sul quale vi è il parere favorevole del Governo e della Commissione riservandone la collocazione.

(È approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole Corbino. Domando al proponente se intende mantenerlo.

CORBINO. Lo ritiro; però vorrei far rilevare al Ministro che la preoccupazione si può riferire al Bilancio e non alla Tesoreria. In sostanza, la massima parte dei contribuenti, nei primi sei mesi, pagherà l’imposta prelevando da quello che ha di disponibilità bancarie: quindi il Tesoro dovrà cedere da una parte quello che incasserà dall’altra. Questo è quello che sta accadendo in questi giorni per il riscatto della patrimoniale decennale, perché la massima parte dei riscatti viene fatta con i prelevamenti dai depositi bancari. Comunque, non insisto.

PRESIDENTE. L’articolo 49 si intende approvato nel testo della Commissione, con il comma aggiuntivo testé votato, salvo a decidere la definitiva collocazione di tale comma.

Passiamo all’articolo 50 che la Commissione accetta nel testo governativo. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«È ammesso il pagamento, in buoni del tesoro ordinari, al valore nominale, con deduzione dello sconto al giorno del versamento».

PRESIDENTE. Su questo articolo l’onorevole Balduzzi ha proposto il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Sono accettati in pagamento come contante, in base al prezzo di emissione, più interessi maturati, i buoni del Tesoro quinquennali 5 per cento a premi, emessi in forza del decreto legislativo luogotenenziale 12 marzo 1945, n. 70».

L’onorevole Balduzzi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BALDUZZI. Onorevoli colleghi, mi riferisco al decreto legislativo luogotenenziale 12 marzo 1945, n. 70, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 marzo di detto anno, relativo all’emissione dei Buoni del tesoro 5 per cento a premi, Buoni del tesoro che vanno sotto la denominazione di «prestito Soleri».

In questo decreto c’è l’articolo 3 il quale, tra l’altro, reca: «Il prezzo di emissione è stabilito, ecc.

«Essi (Buoni del tesoro) saranno anche accettati come contante, in base al prezzo di emissione, più interessi maturati:

  1. a) in sottoscrizione del grande Prestito della ricostruzione nazionale…;
  2. b) in pagamento di una eventuale futura imposta personale straordinaria sul patrimonio».

Come vedete, è un impegno preciso preso dal Governo del tempo in ordine ad una istituenda imposta straordinaria sul patrimonio ed io ritengo doveroso richiamare espressamente detto impegno nella legge in esame. Mi si dirà che dal punto di vista finanziario non è opportuno. Si potrà aggiungere anche che è superfluo, in quanto è già una disposizione di legge. Al che io però mi permetto osservare che ritengo invece tale richiamo doveroso, come dicevo poc’anzi, perché è un atto di lealtà che andrà a tutto vantaggio del credito dello Stato, il quale ha sempre bisogno di fare ricorso al credito.

Notate poi che la norma dettata dal decreto summenzionato sarà a tutto vantaggio delle classi abbienti, le quali hanno la possibilità di seguire le norme legislative, e di farsi suggerire da tecnici e competenti la convenienza di utilizzare questi Buoni del tesoro per pagare l’imposta.

La disposizione invece sfuggirà a quel ceto medio, cui l’imposta patrimoniale in esame sarà particolarmente gravosa, quel ceto medio che costituisce la classe più benemerita perché è quella che risponde sempre allorché lo Stato ha necessità di emettere prestiti.

Per questo motivo, mi auguro che l’emendamento venga accolto.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Il collega Balduzzi ha ragione, ma quanto egli propone è già sancito in una norma di legge! Se ne potrà fare oggetto di una circolare: «Si accettano in pagamento come contante anche i Buoni del tesoro quinquennali, ecc.». Ma non si fa altro che ripetere una norma legislativa esistente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Comprendo le considerazioni dell’onorevole Balduzzi, ma credo che l’emendamento sia veramente superfluo dal punto di vista tecnico, perché è evidente che se quella facoltà di pagamento è contemplata dalla legge di emissione, non è necessario ripeterla nell’articolo oggi in discussione. Se poi ci si riferisce alla conoscenza o non conoscenza della norma, credo che non si aumenti molto la conoscenza di essa con la citazione di un decreto, di una data, di un numero. Siccome, da parte dell’onorevole Balduzzi è stato autorevolmente detto che il prestito Soleri è ammesso in pagamento e la Commissione e il Governo lo riconfermano, penso che questo scopo di chiarimento davanti all’opinione pubblica sia già sufficientemente raggiunto, ed è per questo che ritengo di non poter accogliere l’emendamento proposto.

BALDUZZI. Ritiro il mio emendamento, pur osservando che la norma è stata di fatto richiamata per i Buoni del tesoro ordinari, cosa questa che potrebbe generare equivoco.

PELLA, Ministro delle finanze. Siccome può sollevarsi l’eccezione che, dichiarandosi in una legge posteriore a quella di emissione del prestito ammesso il pagamento in Buoni del tesoro ordinari, si potrebbe forse dar motivo di ritenere che non sia ammesso il pagamento in altri Buoni, credo che la formula potrebbe essere la seguente: «È ammesso il pagamento anche in Buoni del tesoro ordinari».

LA MALFA, Relatore. No, perché ci sono altre serie di buoni.

PELLA, Ministro delle finanze. L’articolo 50 dice: «È ammesso il pagamento in Buoni del tesoro ordinari al valore nominale, ecc.».

Siccome resta fermo che il pagamento in contanti è la via normale, se noi aggiungiamo la parola «anche» in Buoni del tesoro ordinari, questo «anche» lo si spiega pensando alla via del pagamento in contanti e si salva così la preoccupazione dell’onorevole Balduzzi, che, però, ripeto, non avrebbe ragion d’essere.

LA MALFA, Relatore. È meglio non modificare nulla, perché si rischia di complicare anziché specificare.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Balduzzi ha dichiarato di ritirare il suo emendamento, dopo le assicurazioni date dal Ministro, l’articolo 50 si intende approvato nel testo proposto.

Il seguito della discussione è rinviato alle 17 di oggi.

La seduta termina alle 12.55.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 17 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cxc.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 17 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Per l’onomastico del Capo provvisorio dello Stato:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Tonello

Nobile

Lussu

Piemonte

Uberti

Laconi

Targetti

Camposarcuno

Colitto

Bubbio

Dominedò

Codignola

Biagioni

Costa

Persico

Rescigno

Recca

Caroleo

Carbonari

Monterisi

Moro

Nitti

Interpellanze ed interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Bernini

Lussu

Cingolani, Ministro della difesa

Rivera

Faralli

Macrelli

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Scoccimarro

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Parri ha chiesto congedo all’Assemblea con questa lettera che leggo:

«A seguito della grave sciagura che a Loano ha funestato una colonia della Fondazione solidarietà nazionale, La prego di voler chiedere all’Assemblea di autorizzarmi ad un’assenza di alcuni giorni, necessari per i provvedimenti del caso».

L’onorevole Vigorelli, vicepresidente dell’Ente organizzatore di queste colonie, ha chiesto, a sua volta, congedo con la stessa motivazione.

L’Assemblea avverte l’estrema pietà dell’accaduto, particolarmente sottolineata dall’innocenza delle vittime. Accogliendo la richiesta dei nostri due colleghi, sento che essi portano con loro il sentimento di tutta l’Assemblea.

A nome di questa, desidero esprimere solidarietà con le famiglie delle vittime, con la popolazione milanese tutta che, per la seconda volta, in breve volger di tempo, è colpita da una così grave, dolorosa sciagura ed anche con l’Istituto che aveva organizzato questa colonia, e che rappresentando l’eroismo dei nostri partigiani, aveva desiderato raccogliere sui loro figli non lutti come quelli che piangiamo, ma un poco di serenità e di gioia. (Segni di assenso).

(I congedi sono concessi).

Per l’onomastico del Capo provvisorio dello Stato.

PRESIDENTE. Nella ricorrenza dell’onomastico del Capo provvisorio dello Stato, gli ho inviato il seguente telegramma:

«Assemblea Costituente già raccoltasi sul suo nome unanime senso fiducia et ammirazione in occasione recente soluzione grave congiuntura politica mezzo mio rinnova oggi ricorrendo data che celebra il suo nome in serena festività espressioni affettuosa profonda deferenza».

Il Capo provvisorio dello Stato si è compiaciuto di rispondere con il seguente telegramma:

«Gli auguri della Assemblea Costituente giungono particolarmente graditi all’animo mio che non saprà mai manifestare adeguatamente i sentimenti di gratitudine per le continue prove di benevolenza da parte della Rappresentanza nazionale, a cui ricambio infiniti voti augurali e cordialissimi saluti». (Vivissimi, generali, prolungati applausi).

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

I nostri lavori sono stati sospesi ieri sera in seguito alla constatazione della mancanza del numero legale; dobbiamo oggi riprenderli al punto, in cui essi si erano arrestati.

Come l’Assemblea rammenta, nella seduta di ieri è stato posto ai voti l’articolo 116 nel testo proposto dal Comitato di redazione.

La prima parte di esso è stata approvata in questa formulazione:

«Un Commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato».

Sulla seconda parte:

«e le coordina con quelle esercitate dalla Regione»,

era stato presentato dall’onorevole Amadei il seguente emendamento sostitutivo:

«e coordina con esse quelle esercitate dalla Regione».

Indetta la votazione su tale emendamento – per appello nominale su richiesta degli onorevoli Cremaschi Carlo, Uberti, Camposarcuno ed altri – e fatta la chiama, risultò dal computo dei voti la mancanza del numero legale.

Poiché i presentatori della domanda di appello nominale hanno ora comunicato alla Presidenza di rinunziarvi, pongo ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Amadei, per alzata e seduta.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il testo della Commissione: «e le coordina con quelle esercitate dallo Stato».

(È approvato).

L’articolo 116 rimane quindi formulato secondo il testo proposto dalla Commissione:

«Un Commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Dobbiamo ora passare all’articolo 117.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRES0IDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Quando noi abbiamo deciso di modificare l’ordine dei lavori e di anticipare la materia della Regione, abbiamo, nello stesso tempo, determinato che, quando questa materia si fosse trovata in connessione con altre di titoli diversi, così che non fosse possibile deliberare, senza avere sott’occhi le soluzioni adottate per queste altre materie, si sarebbe allora dovuto, per tali punti, rinviare.

Ciò che propongo ora è conseguenza del criterio di massima allora stabilito. L’articolo 117 riguarda lo scioglimento dei Consigli regionali, e dispone che debba intervenire una deliberazione conforme della Camera dei senatori. Qualcuno ha annunziato, nel Comitato di redazione, che si proporrebbe di sostituire la Camera dei deputati a quella dei senatori. D’altra parte vi sono emendamenti che farebbero intervenire la Corte costituzionale. Non sembra opportuno decidere, prima che la Costituzione non abbia definito d’esistenza e la natura di tali organi. Formalmente non sappiamo ancora se vi sarà una Camera dei senatori ed una Corte di garanzia.

Viene poi l’articolo 118, per il quale si riproduce la stessa ragione di rinvio. Tutta l’economia dell’articolo riposa sull’intervento della Corte costituzionale, in materia di dichiarazione di incostituzionalità delle leggi della Regione. Evidentemente, fino a che non si sa se e cosa sia la Corte costituzionale, questa materia non può essere regolata.

Viene, infine, l’articolo 119, che riguarda il referendum ed il diritto di iniziativa che si esercita non solo sulle leggi regionali, ma anche su determinati provvedimenti amministrativi; e dice che gli statuti regionali debbono regolare questa materia in relazione ed in armonia con le norme generali stabilite sul referendum. Il Comitato ha fatto il rilievo che – in materia di referendum regionale – v’è un consenso che potrebbe non esservi in materia di referendum nazionale ed ha ritenuto che non sia il caso, qui, di un vero e proprio rinvio a quando si sarà deciso sul referendum per le leggi dello Stato; salvo provvedere, in sede di coordinamento, quando anche queste norme saranno stabilite. Vi è però una necessità di chiedere rinvio; nel senso che l’articolo 124 si occupa degli statuti regionali, in cui dovrebbero essere regolate appunto le modalità per il referendum nella Regione. È, dunque, opportuno esaminare insieme il 117 ed il 124; e qui si tratta o di farlo subito, a proposito del 117, o di rinviare (come si vede è un rinvio diverso dagli altri) al prossimo articolo 124.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. L’Assemblea si trova di fronte, improvvisamente, ad una proposta di rinvio di tre articoli di notevole importanza, in blocco, quasi per dividere le discussioni, rimandarne una ed affrontarne un’altra. Ci sono delle strane premure in questa discussione… (Rumori).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma no, onorevole Micheli!

MICHELI. …che non riesco a comprendere e che ho piacere che comprendano gli altri colleghi, coloro che hanno rumoreggiato, indubbiamente per avere compreso. Ora… (Interruzione del deputato Preti). …Ora – e mi scusi l’onorevole Preti se io non rispondo alla sua interruzione, perché risponderò più volentieri ai discorsi che egli farà, piuttosto che alle sue interruzioni, che da qualche tempo sembrano alquanto insipide (Si ride) ora, dal punto di vista della procedura, non si può discutere, in questo momento, del rinvio in blocco di tre articoli, le cui cause di rinvio sono fra di loro diverse.

Incominciamo dall’articolo 117. Io riterrei opportuno che fosse messa in discussione la domanda di rinvio proposta dal signor Presidente della Commissione. Io non sarei del suo avviso, con mio grande rammarico, perché il rinvio è motivato dal fatto che nell’articolo 117 vi è un accenno alla Camera dei senatori, Camera dei senatori che ci sarà, e che potrebbe anche non esserci, che si sapeva che c’era nel progetto o che non c’era nella mente di molti di noi. E allora la questione è incerta ed io non potrei accettare, quindi, questa ragione di rinvio. La Camera dei senatori la possiamo mettere in riserva.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, perché la questione del suo intervento è decisiva.

MICHELI. Non è decisiva, onorevole Ruini, perché, fra le altre cose, debbo ripetermi, lei non sa nemmeno questo: se l’Assemblea l’approverà, o meno.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Appunto per questo, non si può parlarne ora.

MICHELI. L’accenno, quindi, alla Camera dei senatori non sarebbe poi quella difficoltà insormontabile. Ed ecco che l’articolo 117 si presta anche ad una discussione di principio assai grave, quale quella della Camera dei senatori. Se vogliamo discuterla ora io sono pronto, e sono pronti certamente anche altri colleghi che da tempo si sono preparati ed hanno represso il loro dissenso su questo argomento. A me pare che, unicamente per questo, non valga la spesa di rimandare tutto l’importante articolo, che stabilisce la competenza del Consiglio regionale. Ritengo sia opportuno, dal momento che abbiamo approvato la Regione, di concretarla nel modo migliore possibile. Non mi sembra lecito, che da parte di coloro che sono stati i più autorevoli, vivaci ed efficaci sostenitori della Regione si venga ad eliminare tutta una parte la quale serve a fissare le linee vere e proprie della Regione. Noi con questo rinvio avremo creato una Regione appariscente, solo e «vana fuor che nell’aspetto», come direbbe il poeta. Io credo che una buona volta ci dobbiamo spiegare chiaramente. Noi desideriamo completamente fissare tutte le linee della Regione, affinché si sappia come deve essere e come deve funzionare domani. Questo continuo rinvio di configurazione, di attribuzioni…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma quali altre cose si sono rinviate, onorevole Micheli?

MICHELI. Lei ora ha proposto di rinviare diversi articoli, ed io parlo, intanto, sull’articolo 117.

DUGONI. È questione di logica… (Interruzione del deputato Tonello).

MICHELI. Onorevole Tonello, e chi ha nominato lei custode della logica; forse l’onorevole Dugoni? (Ilarità).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, con l’onorevole Micheli le interruzioni non valgono, perché sa rispondere a tutte! (Si ride).

Continui, onorevole Micheli.

MICHELI. Le sono grato, onorevole Presidente, di questa constatazione di fatto. Ed allora, ritornando alla questione in discussione, io penso ancora che non si debba rinviare questa discussione. L’abbiamo appena incominciata. Siamo arrivati al punto nel quale noi dobbiamo disegnare e stabilire quella che effettivamente dovrà essere la Regione attraverso i suoi organi.

Per quanto riguarda il Consiglio regionale, chi ha raccontato al Presidente della Commissione che l’Assemblea approverà il testo presentato…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. …Nessuno ha raccontato niente; è la Commissione che ha deciso così.

MICHELI. Sta bene ricordarlo ora, si tratta dell’antico progetto che il nostro valorosissimo collega Ambrosini ha predisposto attraverso tante diuturne e diligenti fatiche e che la Camera, la Commissione e lei hanno spesso modificato in modo così notevole. Col consenso ed il voto dell’Assemblea, beninteso; capisco, onorevole Ruini cosa intenda significare il suo gesto larghissimo, e lo potrei amplificare anche, se crede, perché ho le braccia ancora più comprensive delle sue; sta di fatto che il progetto è stato presentato dall’onorevole Ambrosini come relatore, ma è stato in molti punti variato, ed in qualcuno anche sostanzialmente. Ed allora, che cosa mi viene a raccontare lei che questo è il progetto della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sì, della Commissione dei Settantacinque e delle Sottocommissioni.

MICHELI. Sia pure, ma quello modificato frettolosamente stamane. Ad ogni modo, ritengo che non sia il caso di rinviare l’articolo 117.

Per quanto riguarda gli articoli 118 e 119, ne parleremo poi, perché sono altre le ragioni che il signor Presidente della Commissione ha creduto di addurre, ed altre saranno le eccezioni che io o altri dell’Assemblea potremo presentare.

Per questo io penso non sia il caso di accettare la proposta di rinvio ma invece di discutere, quando saremo al punto controverso e cruciale, della Camera dei senatori; e, se la maggioranza dell’Assemblea non riterrà di impegnarsi per una Camera dei senatori, che effettivamente può anche non essere nel cuore di molti di noi, cercheremo di eliminarla, il che faremo presentando un semplice emendamento, e sentiremo allora se il signor Presidente potrà o meno accettarlo in virtù dei suoi poteri. Per ora la mia proposta è in questo senso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio precisare all’onorevole Micheli che non vi sono storie da raccontare, ma vi è stato, ed egli lo dovrebbe sapere, un continuo esame di proposte, passate successivamente come attraverso a crogioli. Prima decideva la Sottocommissione, poi intervenivano i Comitati di coordinamento fra le Sottocommissioni; ha, infine, deliberato in adunanza plenaria la Commissione dei Settantacinque. I documenti sono lì; è un lavoro imponente che si può discutere, ma si deve rispettare, onorevole Micheli; non ho bisogno che nessuno mi racconti, come facezie, cose che sono serie.

L’onorevole Micheli parte, a quanto sembra, dall’assillante desiderio di completare il titolo della Regione e di non fare rinvii. Teme, poi, che vi sia una manovra per affrettare altri temi e deciderli di sorpresa.

Tutto ciò non è esatto. Che cosa è avvenuto? Domando perdono al nostro Presidente se ricordo che egli, che è stato autorevole Presidente della seconda Sottocommissione, ha messo in luce l’opportunità di esaminare la questione dei rinvii; in relazione anche a ciò che abbiamo stabilito quando anticipammo il titolo della Regione.

E indubbio che per l’articolo 117 vi sia la connessione e la necessità di rinvio. L’onorevole Micheli dice che possiamo anche respingere l’intervento del Senato in materia di scioglimento dei Consigli regionali. Sia pure, ma per decidere se farne senza o no bisogna sapere se c’è il Senato, se è a base regionale, e cosa sia. D’altra parte l’onorevole Codignola propone l’intervento della Corte costituzionale; il che mi sembra inammissibile; ma per decidere bisogna sapere se c’è e quale fisionomia ha la Corte costituzionale.

Volete discutere subito? E sia; ma sarà una discussione campata, per un punto decisivo, nell’aria.

L’onorevole Micheli ha parlato, con frase energica, di un «blocco» di disposizioni essenziali che si vorrebbero rinviare. Ma non sono disposizioni che toccano, nella sua essenza, l’istituto della Regione: ciò che riguarda l’istituzione e le funzioni essenziali della Regione l’abbiamo stabilito. Si rinvia soltanto il modo di scioglimento del Consiglio regionale; e non è questione da tragicizzare. Decidete come volete; l’importante è che non si perda più tempo in questioni procedurali.

Io non so se l’ho già ricordato all’Assemblea: uno scrittore belga di molto valore, il Lavelege, diceva che gli italiani, quando si mettono a discutere per una settimana, impiegano sei giorni sulle questioni di procedura e l’ultimo giorno si mettono a correre per esaurire la sostanza.

Non credo che se noi rinviamo una materia non essenziale, e non attinente alla istituzione della Regione possiamo incorrere per questo in inconvenienti gravi come quelli temuti dall’onorevole Micheli.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Le ragioni addotte dal Presidente della Commissione mi paiono così evidenti che non valeva la pena di fare la lunga discussione che abbiamo fatto, resa pesante dall’ora e dalla noia del pomeriggio. L’onorevole Micheli si dà l’aria di tutore e di guardiano della nascente istituzione; ma egli si convinca che non si può attribuire ad un organo che ancora non abbiamo istituito, cioè al Senato, delle funzioni di tutela.

Di più noi non vogliamo nemmeno toglierlo; vogliamo solo che questo argomento sia trattato al momento dovuto: verrà il momento di sollevare questa questione e allora metteremo a posto il Senato. Molte volte, del resto, nel passato, si sono trasferite delle questioni da un articolo ad un altro; mi pare, quindi, che nessuna insidia possa celarsi nel fatto che l’Assemblea, eventualmente, accetti la proposta della Commissione. Questo perciò io mi auguro che avvenga e che si possa andare avanti.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io una volta tanto, su questo argomento, sono quasi completamente d’accordo con l’onorevole Micheli. Non vedo infatti perché si debba rinviare la discussione di tutto l’articolo, quando l’unica questione che non si può oggi risolvere è quella dell’organo legislativo il quale debba deliberare lo scioglimento. A me pare che, se noi ci limitassimo a rinviare le nostre eccezioni su questo corpo che non sappiamo ancora quello che sarà, per deliberare soltanto dopo che sarà stata espletata la discussione sul titolo del Parlamento, tutto il resto potrebbe essere discusso e deliberato ora.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io credo che, se noi perdiamo del tempo su questa questione di procedura – mi duole il dirlo – si debba attribuire la colpa alla Commissione. Se la Commissione infatti avesse rispettato l’ordine scritto precedente dei lavori, non si sarebbe perduto questo tempo. Ma debbo aggiungere che, con queste proposte di sospensione, di rinvio, qualcuno di noi – ed io sono fra questi – si sente in certo modo preoccupato.

Dirò poi all’onorevole Tonello che noi non pensiamo per niente che la Regione sia insidiata da lui; ma non potrei certo dire la stessa cosa nei confronti dell’illustre collega onorevole Ruini. L’onorevole Ruini incomincia, infatti, ad apparirci come una balia colta, ma estremamente pericolosa, di questa nostra bambina che è la Regione. Ieri, davanti alla culla, ci ha fatto danzare…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma io non c’entro! Avevo preparato le discussioni. Fu il Comitato a dire, ed io consentii, che era opportuno il rinvio. Non c’è manovra perturbatrice. Anzi…

LUSSU. Allora, quand’è così, passo le mie critiche al Comitato, perché in realtà, quando il Comitato propone una questione in cui molti di noi non sono d’accordo, certamente esso fa una cosa che vorrei giudicare per lo meno non utile, perché ci fa perdere del tempo.

Chiedo pertanto al Comitato: perché si deve rinviare la discussione sugli articoli 117, 118 e 119?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’ho spiegato.

LUSSU. Quelli di noi che hanno preso parte ai lavori della seconda Sottocommissione sanno che queste difficoltà le abbiamo in quella sede sempre superate affrontandole immediatamente e facendo di tutto per non rinviare nulla. Questa è stata la procedura seguita in seno alla seconda Sottocommissione ed io credo che la medesima procedura dovrebbe essere rispettata ora.

Debbo, inoltre, farvi considerare che non è già questa una questione politica, ma è una questione tecnica.

Affrontiamo, dunque, senz’altro la discussione: poi vedremo i singoli punti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma decidiamo, insomma!

LUSSU. Mi permetta, onorevole Ruini, perché si deve rinviare l’articolo 117? Perché si parla del Senato? Ma il Senato è una delle due Camere che figurano nel progetto di Costituzione; e vedremo che molti di noi sono favorevoli, invece, a che entri la prima Camera e non la seconda. Quindi, la seconda Camera può essere abolita del tutto, e, comunque, può essere messo un riferimento a quello che faremo dopo. Ma la questione deve essere affrontata immediatamente, perché noi entreremo nel vivo della questione stessa. (Commenti). Non c’è nessuna ragione di rinviare. L’articolo 118…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma parliamo del 117!

LUSSU. Parlo di questione analoga. L’articolo 118 contempla la competenza della Corte costituzionale. Ora la Corte costituzionale potrà avere anche un aspetto diverso da quello fissato nel progetto; e noi subordineremo le nostre decisioni a quella che sarà la figura definitiva della Corte costituzionale, ma non vi è nessuna ragione al mondo perché si rinvii le discussioni. Lo stesso si dica per il referendum. È chiaro che sono questi problemi che vanno affrontati tutti immediatamente, e che non si deve rinviare nulla.

PRESIDENTE. Faccio osservare che c’è una proposta concreta di tutto il Comitato di coordinamento, unanime. (Commenti – Interruzione del deputato Miccolis).

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Vorrei far presente che siccome l’inceppo è costituito dal Senato, e nell’articolo si parla di proposta del Consiglio dei Ministri su deliberazione conforme della Camera dei senatori…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’è più il Consiglio dei Ministri; è il testo vecchio.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la prego, anche lei, non interrompa!

PIEMONTE. …si potrebbe, per il momento, parlare genericamente di organi legislativi e procedere nella discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, lei entra nel merito. Non stiamo discutendo l’articolo. Potrà fare la sua proposta quando passeremo all’esame dell’articolo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Siccome si è parlato da parte dell’onorevole Tonello di insidia, io credo di aver diritto di replicare a lui, per assicurarlo che le insidie nella mia mente non esistono.

TONELLO. Chiedo di parlare. (Commenti).

MICHELI. Non aggiungo altro per lei!

Ho chiesto la parola per rispondere solamente al Presidente Ruini contestando quanto egli ha affermato, che cioè nella Costituzione nessun rinvio si è fatto. Onorevole Presidente, veda gli articoli accantonati in fondo al testo del progetto. Veda, inoltre, il titolo secondo «Capo dello Stato» ed il titolo terzo. Noi abbiamo rinviato tutti questi titoli, che per il nuovo regime e per la Costituzione ed il funzionamento del nuovo Stato repubblicano italiano erano importantissimi, per andare difilati alla Regione. Quindi i rinvii ci sono stati. Questo per la esattezza storica delle cose da me affermate e non per altro! Siccome le smentite (io ho parlato in modo piuttosto preciso) dànno fastidio anche a me, io respingo onorevole Ruini, la sua negativa e dico: Si ricordi che la prima parte (per non parlare di altre minori), per la quale si è fatto il rinvio è quella dei titoli, che ho ora citato, per parlare subito della Regione. Del resto faccio osservare che ieri un emendamento dell’onorevole Camposarcuno…

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, non entri nell’esame dell’articolo, la prego!

MICHELI. Dico questo per dimostrare la consistenza e la verità della mia proposta. Io sono perfettamente a posto e mi perdoni l’onorevole Ruini se non posso consentire il suo richiamo in questa materia. L’onorevole Camposarcuno tendeva ad incardinare la competenza in materia del Consiglio di Stato a sezioni riunite. Quindi era un’altra forma. Allora non vi poteva essere, come qualcuno suggeriva, una mia invenzione per mandare le cose in lungo. Esisteva effettivamente nel fascicolo a stampa, che ci si presenta ogni giorno, un emendamento che affermava una cosa ben diversa, e quelli di noi che sono nell’incertezza se ammettere o no la Camera dei senatori, si sarebbero adattati ben volentieri a creare una competenza particolare al Consiglio di Stato, che ella presiede così degnamente, onorevole Ruini.

Dopo questo non ho altro da aggiungere (Applausi), lieto di ottenere il vostro applauso una volta tanto.

PRESIDENTE. Vi è dunque una proposta formale del Comitato, unanime, di rinviare la discussione dell’articolo 117 nel testo della Commissione. Le motivazioni sono state esposte dal Presidente della Commissione. I colleghi che hanno fatto obiezioni hanno esposto anch’essi i loro argomenti.

Pongo in votazione la proposta del Comitato, di rinviare cioè la discussione dell’articolo 117 a quando si sarà risolto il problema delle materie in esso toccate, sia pure per incidenza.

(Dopo prova e controprova è approvata).

Dovremmo ora passare all’articolo 118. Da parte del Comitato unanime vi è però la proposta di rinviare anche l’articolo 118 per i motivi già espressi dall’onorevole Ruini. La proposta del Comitato dice testualmente:

«Rinviare l’articolo in quanto in esso si fa riferimento alla Corte costituzionale».

Onorevole Micheli, lei si era riservato di dire le ragioni per cui si opponeva al rinvio dell’articolo 118.

MICHELI. L’articolo 118 mi pare sia collegato con il 117, perché se si richiede che il Consiglio regionale debba essere rinviato evidentemente valgono anche qui le ragioni che si riferiscono all’articolo 118. Non insisto, per omaggio alla decisione dell’Assemblea nell’oppormi al rinvio di questo secondo articolo, per quanto, per le ragioni esposte, io non possa approvarlo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta del Comitato di rinviare la discussione dell’articolo 118.

(È approvata).

Una proposta di rinvio il Comitato fa anche per l’articolo 119. Esso propone, infatti, di rinviarlo all’articolo 124.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio ribadire che qui non è un rinvio come gli altri due. Vi è un nesso fra il 119 e il 124. Vediamoli assieme, subito, o fra breve quando verrà in discussione il 124.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io dico, per non fare una opposizione che potrebbe ad una parte dell’Assemblea sembrare sterile e infeconda, che si potrebbe anticipare la discussione dell’articolo 124 in sede di articolo 119. Ed allora, siccome l’articolo 124 dice: «Lo Statuto di ogni Regione è stabilito in armonia alle norme costituzionali, con legge regionale deliberata a maggioranza assoluta dei consiglieri ed a due terzi dei presenti; e deve essere approvato con legge della Repubblica», ciò che effettivamente il Comitato ritiene è che vi sia un collegamento tale da dovere sospendere anche questo. Siccome l’articolo 124 non ha collegamento con altri articoli, chiedo che per economia della discussione si discutano abbinati gli articoli 119 e 124; e credo con questo di venire incontro ai desideri del Comitato facendo conto di quella sua unanimità che una volta tanto ci è stata fatta sapere.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Poiché in realtà si tratta di due articoli che si fondono in uno, tanto vale portare la materia dell’articolo 124 nell’articolo 119.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non ha nulla in contrario.

PRESIDENTE. Porrò dunque in votazione la proposta di rinviare l’articolo 119 all’articolo 124.

MICHELI. La mia proposta era dello stesso tenore e deve essere essa messa in votazione.

PRESIDENTE. Quando c’è il rinvio, è questo che deve essere posto in votazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei rammentare all’Assemblea ed al Presidente della Commissione che i motivi che suggerivano il rinvio dell’articolo 119 non consistevano unicamente nell’affinità di questo articolo con il 124, bensì anche in un’altra considerazione che io feci presente stamani alla Commissione dei Diciotto, cioè il fatto che nell’articolo 119 c’è un riferimento ai principî stabiliti dalla Costituzione per il referendum nazionale. Ora, è difficile risolvere questa questione prima che si esamini se vi sarà il referendum esteso a tutta la Repubblica; perché è chiaro che se vi sarà il riferimento ad esso in questo punto potrà essere fatto; ma se non vi sarà una procedura qualsiasi deve essere prevista in questa sede.

So bene che vi è una proposta dell’onorevole Perassi per cui il riferimento non si farebbe alla procedura adottata per il referendum nazionale, bensì allo Statuto particolare delle Regioni. Ma su questo non tutti siamo d’accordo. Insomma vi è un dissenso, per cui io penso che la questione dell’esistenza o meno di un referendum nazionale deve essere pregiudizialmente risolta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare osservare all’onorevole Laconi, che egli stesso, questa mattina, in Comitato, ha riconosciuto che per il referendum regionale vi possono essere ragioni in cui tutti sono unanimi anche se vi sono dubbi per il referendum nazionale. Non vi è dunque ragione di aspettare che la Costituzione stabilisca le norme per il referendum sulle leggi dello Stato.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Devo chiarire semplicemente che non mi riferivo a un legame fra il referendum regionale ed il referendum nazionale. Già stamani ho dichiarato che le questioni sono differenti, e si può prendere posizione in modo diverso. La questione che preoccupa è di procedura. Quando si parla di referendum, si deve pure o prevedere esplicitamente la procedura in questa sede o fare riferimento a una procedura nazionale prevista in altro luogo, o riferirsi allo Statuto. Sono tre tipi di proposte, ma perché si risolva la questione pregiudiziale di scegliere fra queste tre diverse proposte per la procedura, è evidente che dobbiamo conoscere i termini della questione; cioè conoscere se esiste o non esiste una procedura nazionale, se esiste o non esiste uno Statuto al quale fare riferimento. È una questione che non può essere risolta prima che siano risolte le due questioni pregiudiziali e che vi sia o non vi sia un referendum nazionale e che vi siano o meno gli statuti regionali. Per questo insisto non contro la proposta dell’onorevole Ruini, con la quale concordo, ma contro la proposta dell’onorevole Uberti e prego che si ritorni eventualmente a quella proposta che fu accettata stamane dal Comitato dei Diciotto. Votazione di principio per il referendum regionale, salvo l’approvazione dell’articolo nei suoi dettagli e nel suo contenuto procedurale.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Sono perfettamente d’accordo con la proposta fatta dall’onorevole Uberti che coincide colla mia dichiarazione. Ma desidero rappresentare all’Assemblea quello che è il mio pensiero. Si è parlato tanto di preoccupazioni; ne ha espresse il nostro Presidente della Commissione e ne ha espressa qualcuna anche il Presidente della nostra Assemblea; potrò averne ed esporne, se egli me lo permette, qualcuna anche io. La mia preoccupazione è questa: che noi dobbiamo arrivare a discutere con calma e serenità le questioni più importanti che sono inserite nella Costituzione e fra esse quella del referendum. La questione del referendum c’è; lo abbiamo visto discutere in tante occasioni, nei comizi elettorali, nei giornali; se ne è parlato spesso per tante ragioni; qui nell’articolo 119 è accennato di volo, ma non lo possiamo sorpassare. Ecco perché io temo che quando noi arriviamo all’articolo 124 con quei criteri, che ha già così opportunamente spiegati l’onorevole Laconi ed ai quali io in gran parte aderisco, quando si dice che lo statuto di ogni Regione è stabilito in armonia con le norme costituzionali precisamente e semplicemente e quando vedo che nell’articolo 124 di referendum non si parla…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è…

MICHELI. Io ho il testo dell’onorevole Ambrosini…

PRESIDENTE. Quello è superato.

MICHELI. Me ne rincresce che si sia fatto senza opportuno richiamo. Ed allora, se così è, l’articolo 124 del nuovo testo, che sostituisce quello dell’onorevole Ambrosini, mi spinge a fare un’altra dichiarazione che io mi sarei astenuto dal fare per non inciprignire la discussione, ma che adesso devo fare di fronte alla presentazione del nuovo testo, ed è questa.

Sono parecchi mesi che noi discutiamo della Regione; abbiamo un testo sopra il quale abbiamo concretato tutti i nostri studi ed abbiamo informato le nostre discussioni. All’ultima ora, ci si presenta qui un gruppo (non dirò un blocco se la parola non piace) di articoli i quali vengono a cambiare in modo notevole e importantissimo tutto quello che è lo spirito informatore dello statuto che abbiamo in mano da quattro mesi. Io sento con molto piacere che il Comitato è unanime, non so però, se il Comitato avesse convocato la Commissione dei Settantacinque, se ci sarebbe stata la stessa unanimità. La Commissione dei Settantacinque è stata messa da tempo nel dimenticatoio. Io, per esempio, che ne faccio parte da qualche tempo, non sono stato convocato mai, mentre invece se avessi partecipato a questa sostituzione d’infante, avrei avuto l’occasione di esporre questi miei convincimenti allora e non li avrei portati qui col rammarico di far perdere (secondo alcuni, o di far guadagnare secondo il mio convincimento) del tempo all’Assemblea. Certo è che noi ci troviamo di fronte a 4-5 articoli nuovi, i quali congegnano diversamente da quello che era proposto, l’organizzazione regionale. Le Provincie sono state considerate in altro modo; l’articolo 123 elimina tacitamente le Regioni minori sorte ora con tante speranze e stabilisce una categoria di Regioni le quali non so che basi abbiano, se storica o tradizionale, perché il Comitato non si spiega: dobbiamo capire ed intuire noi. L’articolo 124 è quello appunto che parla incidentalmente del referendum. Ed allora io domando, illustrissimo signor Presidente, se sia consentito che noi siamo chiamati a discutere improvvisamente queste proposte cambiate all’ultima ora in questo modo, delle quali noi abbiamo avuto conoscenza in particolari confidenze di corridoio, alterne alle volte e contrastanti; e che vengono a cambiare in modo notevolissimo l’impostazione della discussione.

Ecco perché, o signori, io credo che di fronte a questo, sia opportuno, per lo meno, che se il Comitato ha diritto di fronte ad un emendamento che un deputato propone di chiedere 24 ore per poterlo esaminare e discutere, abbiamo il diritto anche noi di chiederne altrettante per potere esaminare tutta questa complessa materia variata nel modo che ho chiaramente spiegato.,

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Targetti. Ne ha facoltà.

TARGETTI. A me sembra che non ci possono essere dubbi sulla necessità di discutere insieme il disposto del 119 e quello del 124. Basta ricordare che nell’uno si parla dell’esercizio dell’iniziativa individuale e del diritto di referendum secondo gli statuti regionali, mentre di statuti regionali non si è ancora parlato. È l’articolo 124 che li prevede. Questi legami tra il 119 e il 124 sono evidenti e indissolubili.

Si può anticipare, come mi sembra abbia proposto l’onorevole Uberti, la discussione del 124? Mi sembra che a questa proposta osti una ragione procedurale insuperabile. Se si anticipa la discussione di un articolo, si viene ad impedire l’esercizio del diritto di presentare emendamenti all’articolo stesso. Oggi che si discutono articoli precedenti l’articolo 124, chi si proponga di presentare emendamenti a quest’articolo, non ha l’obbligo di essere presente. Ma gli si toglierebbe questo diritto se si discutesse l’articolo immediatamente. Si può, insomma, posporre la discussione di un articolo, ma non anticiparla.

In quanto alla proposta dell’onorevole Laconi, di limitarci in questo momento della nostra discussione ad una affermazione del principio sia dell’esercizio dell’iniziativa individuale sia dell’esercizio del diritto di referendum, neppure questa mi sembra accettabile. Non siamo in tema di discussione generale; non siamo quindi in una sede, in cui si possa affermare un principio o l’altro, in un ordine del giorno. Noi stiamo approvando articoli di legge, stiamo facendo la Costituzione.

Quindi, non vi è possibilità di andare incontro alla proposta dell’onorevole Laconi.

Bisogna rassegnarsi a rimandare la discussione dell’articolo 119 al momento in cui discuteremo l’articolo 124.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. All’onorevole Micheli devo dire che i Settantacinque non sono stati convocati per questa semplicissima ragione: quando cominciò la discussione del progetto di Costituzione presentato all’Assemblea, i Settantacinque proposero, essi stessi, e l’Assemblea confermò, con particolare deliberazione, che, per agevolare il ritmo dei lavori, il Comitato dei Diciotto avrebbe funzionato in luogo dei Settantacinque, pronunziandosi sugli emendamenti.

Tutte le mattine io convoco i Diciotto; alle volte ne intervengono pochi. Se fossero Settantacinque, come potrebbe funzionare il Comitato?

Non facciamo, quindi, questioni che non esistono.

L’onorevole Micheli ha parlato di metodo strano del Comitato, il quale propone all’ultim’ora degli emendamenti.

Intendiamoci bene! È l’Assemblea: essa propone continuamente emendamenti; di questi emendamenti, secondo l’onorevole Micheli, il Comitato non dovrebbe tener conto.

MICHELI. Non è vero.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per non decidere su due piedi e per dar modo all’Assemblea di riflettere, il Comitato, esaminati gli emendamenti, ed in occasione delle riflessioni che sollevano, formula esso stesso emendamenti alle sue prime proposte. Se non lo facesse, non terrebbe conto del lavoro dell’Assemblea. Le nuove formule vengono subito comunicate all’Assemblea per evitare discussioni tumultuose ed eventualmente sospensive per riesami.

Nel tema che oggi consideriamo, si sono presentati due emendamenti: uno dell’onorevole Perassi e l’altro dell’onorevole Mortati.

Il Comitato, nel desiderio di raggiungere un largo consenso e di perfezionare sempre le sue proposte, ha accolto sostanzialmente questi due emendamenti. A pagina 11 del fascicoletto di emendamenti che avete sott’occhio c’è l’emendamento Perassi, che è stato in gran parte accettato dal Comitato. Stamattina l’onorevole Mortati ha proposto un emendamento che non è stato ancora pubblicato, ma ne abbiamo tenuto conto. Facciamo tutti gli sforzi per rendere rapida e coordinata una discussione che diventerebbe caotica coi metodi dell’onorevole Micheli.

Lasciando stare i duelli sulla procedura, potremmo discutere subito gli articoli che riguardano le Province ed i Comuni: ne abbiamo parlato per due mesi e c’è una serie di emendamenti che potremo discutere in tutta tranquillità. Vi è poi il pensiero della Commissione che, come resumé, tenendo conto degli emendamenti stessi, ha formulato un suo nuovo testo. Dedichiamo a tale materia la giornata di oggi; quando saremo all’articolo 124, riprenderemo la questione degli statuti e del referendum.

PRESIDENTE. Abbiamo dunque una proposta conciliativa dell’onorevole Ruini. Come l’Assemblea ha udito, da tre diverse parti è stata sostenuta la tesi del rinvio: l’onorevole Micheli, perché non ha avuto tempo di prendere visione del nuovo testo, ritiene che è un diritto riconosciuto di poterlo esaminare; l’onorevole Targetti, per motivi di procedura; c’è poi la proposta del Comitato. L’onorevole Laconi, per parte sua ha fatto una proposta transattiva.

Io ritengo, d’accordo con l’onorevole Targetti, che non sia questa la sede per votare un principio. Siamo davanti a degli articoli e dobbiamo decidere in merito a questi articoli.

C’è poi la proposta dell’onorevole Uberti, che si differenzia da una proposta di rinvio più o meno lunga. Egli propone di affrontare subito, senz’altro, l’esame dell’articolo 124, nel quale è assorbito l’esame dell’articolo 119, ma poiché ci troviamo di fronte a una proposta formale di rinvio da parte della Commissione, e questa proposta non ammette emendamenti, la pongo in votazione. Con ciò mi pare che anche l’onorevole Micheli veda sodisfatto il suo desiderio di aver tempo per esaminare il nuovo testo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, volevo mettere in votazione questa proposta di rinvio, se lei permette.

MICHELI. Io non debbo permetterle nulla, onorevole Presidente. Poiché posso aver usata qualche parola più ardita e conclusiva di quella che il Presidente della Commissione mi ha attribuita, debbo dire che non volevo nemmeno lontanamente assumere la sua funzione (Si ride) in alcun modo. Volevo avvertire solo questo: la situazione per me è questa: ci sono proposte di rinvio per tre articoli.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma per due articoli è stato già deciso!

MICHELI. Ad ogni modo c’erano proposte per tre articoli. Per i primi due è stato votato. Per il terzo articolo, c’è la proposta dell’onorevole Uberti, di riunire la discussione nell’articolo 124. Ma, la mia decisione è indipendente da questi tre articoli, perché si riferisce agli articoli 120, 121, 123 e 124. Quindi, mi riservo di svolgere la mia proposta a questo riguardo.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la proposta di rinvio della discussione dell’articolo 119 a quando si discuterà l’articolo 124.

(È approvata).

Si dovrà ora passare all’esame degli articoli 120 e 121 secondo il nuovo testo proposto dalla Commissione.

Ricordo all’Assemblea che il testo dell’articolo 120 del progetto era del seguente tenore:

«La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali che può suddividere in circondari per un ulteriore decentramento.

«Nelle circoscrizioni provinciali sono istituite Giunte nominate da Corpi elettivi nei modi e coi poteri stabiliti da una legge della Repubblica».

Vi era poi il successivo articolo 121, così formulato:

«Il Comune è autonomo nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali della Repubblica.

«Con legge della Regione, su richiesta della maggioranza delle popolazioni interessate, possono essere creati nuovi Comuni o modificate le circoscrizioni esistenti».

Il Comitato di redazione presenta ora il seguente nuovo testo in cui i due articoli sono unificati:

«Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano i compiti e le funzioni.

«Le Province e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale.

«La istituzione di nuove Province è stabilita con leggi della Repubblica, su iniziativa della Regione, sentite le popolazioni interessate.

«Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi Comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni».

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io ho da ripetermi un po’ perché effettivamente non è una cosa nuova quella che si presenta. L’onorevole Presidente della Commissione ha detto: Noi del Comitato facciamo quello che possiamo; esaminiamo gli emendamenti, veniamo incontro ai colleghi in quanto è possibile e cerchiamo di coordinare il pensiero nostro con quello degli altri presentando un nuovo testo. Questa è una innovazione geniale senza dubbio, perché viene da una mente che veramente ha qualcosa di più della genialità, ma effettivamente non è il sistema al quale noi vecchi parlamentari siamo abituati. Noi abbiamo un testo sul quale discutiamo, sul quale ci prepariamo, e sul quale presentiamo i nostri emendamenti. Ecco perché do perfettamente ragione all’onorevole Targetti, quando dice che noi non possiamo mettere un articolo al posto di un altro perché verremmo a toglierci il diritto di presentare emendamenti, in quanto che l’unione di due articoli, uno antecedente e l’altro posteriore, sminuisce quasi questo diritto. Tutti gli emendamenti presentati su questi articoli verrebbero a decadere. Non ho difficoltà quindi ad aderire a questo concetto, che è di larga affermazione della libertà parlamentare. E questo è quello che ci capita oggi, in quanto che il Comitato avrà fatto benissimo a fare quello che ha fatto, avrà fatto anche opera meritoria, ma un poco di merito dovremo averlo anche noi. E per giungere a questo, aderisco a quanto ha detto l’onorevole Targetti, che se non è il rovescio della medaglia, poco manca, cioè che si diminuisce la nostra facoltà di presentare emendamenti, eliminando di un colpo tutti quelli che sono già stati presentati

Ora, se c’è un punto nel quale è stato sminuito e modificato il progetto predisposto dalla Commissione dei Settantacinque, cioè il progetto Ambrosini, è proprio quello della Provincia.

La Provincia, nel progetto Ambrosini, restava come l’organo di decentramento. Oggi è rimasta quella che è, e non si sa bene ancora quali altre facoltà e competenze ad essa si intende e si voglia aggiungere. Quindi è un ente a linee nuove da definire. Il Comitato si è dato conto di questo, e nelle sue adunanze (limitate a cinque o sei persone, che si alternano secondo gli impegni; i Settantacinque non si convocano per le ragioni addotte dal Presidente della Commissione – e per questo egli è autorizzato a ritenere che se i Diciotto non arrivano, i Settantacinque si troverebbero ancora meno nel numero necessario –) ha predisposto questo nuovo articolo, che parla delle Province e dei Comuni come enti autonomi. Ora, questo articolo è il primo di quelli che riformano tutto quello che noi abbiamo avuto dinanzi, per quattro, cinque mesi, per la discussione. Non dico di essere contrario alla nuova impostazione. Solamente bisognerà vedere cosa si debba fare.

Io voglio pregare i colleghi del Comitato di non aversene a male, ma noi siamo molto meno pratici, avveduti e sapienti in queste amministrative vicissitudini, da poter correntemente approvare da un momento all’altro il completo mutamento della impostazione in un problema così difficile e grave come quello che riguarda la funzione della Provincia nella nuova organizzazione regionale dello Stato unitario.

Quando il Presidente dice che di questo io debbo ancora prendere visione, si sbaglia, perché la visione si prende subito, in un batter d’occhio, ed io ho la vista ancora buona, signor Presidente; ma qui si tratta non di vedere, ma di osservare, di esaminare e di studiare in profondità, perché ogni parola ha la sua importanza, e può avere un notevole riferimento per il domani.

Questo è servito nell’Assemblea a correnti divergenti al riguardo come un compromesso fra il pensiero dei regionalisti più accesi, e quello di coloro che non possono e non vogliono dimenticare lo statalismo antico.

FUSCHINI. Sono piccole fiammelle.

MICHELI. Poco illuminano esse, e necessita che in questa gara di compromesso, ciascuno veda cogli occhi suoi, ma ciascuno di noi sa come quattro occhi vedano ancora meglio di due. Ecco perché io domando che sopra la questione tuttora controversa, almeno nella pratica applicazione, si debba riflettere bene. Non credo di avere detto nulla di men che opportuno sopra questo articolo 123 per cui tanto reo tempo di volse.

Noi siamo stati mandati dalle nostre popolazioni per introdurre questi liberi sensi di nuova vita e questa necessità di rivolgimento nella organizzazione dello Stato, e dopo tante discussioni ci crediamo di essere giunti in fondo quando ci troviamo di fronte ad un articolo che con bel garbo rimanda tutto a quel paese! Onorevoli colleghi, noi abbiamo il diritto di parlare alto e forte e dire: discutiamo. L’Assemblea potrà respingere, se crederà. Io ho detto quello che in coscienza dovevo dire. L’Assemblea voterà come crede.

Questo concetto del referendum è troppo importante per essere sfiorato appena. Se noi crediamo di ammetterlo o di non ammetterlo, ed in caso affermativo si dovrà stabilire come congegnarlo, ciò deve avvenire dopo esauriente discussione e non con una semplice presentazione e relativo rinvio di tre articoli presentati qui all’ultimo momento con una forma alla quale io mi ribello.

RUINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Micheli chiede forse una sospensiva?

Se noi non avessimo avuto lo scrupolo di presentare questo foglietto di carta che esprime il nostro pensiero sugli emendamenti presentati, e che cerca di incanalare la discussione, l’onorevole Micheli non avrebbe detto niente. Io domando perdono di essere andato incontro, per deferenza all’Assemblea, e di aver disposto che questo foglio fosse pubblicato e distribuito. Qualcuno mi ha detto: tu non dovevi pubblicarlo, bastava che tu esprimessi il pensiero della Commissione a voce, dopo di che si poteva discutere e votare. Ma nessuno vieta di discutere ancora finché si vuole, sebbene sia un tema già discusso e forse ridiscusso. Ripeto, esaminiamo subito, senza fare ostruzionismi, il 120 e il 121.

MICHELI. Facciamo il 120 e il 121, io non mi oppongo: ma temo che questo possa spostare le basi della discussione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Micheli se concretamente egli fa la proposta, come emendamento, di riprendere il vecchio testo della Commissione, perché desidero precisare che io stesso replicate volte ho pregato l’onorevole Ruini di procedere in questo lavoro di considerazione, valutazione e riordinamento degli emendamenti, affinché non avvenisse ciò che nei primi tempi del nostro lavoro avveniva, che cioè al momento in cui si doveva affrontare un testo conclusivo, ci si convinceva di non poterlo redigere.

D’altra parte, questo è il lavoro che abbiamo deferito, che l’Assemblea ha deferito, al Comitato di coordinamento.

Come già altre volte è avvenuto prima della seduta di oggi, i membri dell’Assemblea hanno pieno diritto di riprendere in proprio nome il vecchio testo presentato dalla Commissione e proporlo come emendamento.

Quanto alla questione di principio, mi permetto ricordare che l’Assemblea ha votato l’articolo 107, nel quale la conservazione della Provincia nella forma attuale è stata formalmente stabilita. L’articolo 107, approvato dall’Assemblea, dice: «La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni». Votando questa formulazione, è evidente che l’Assemblea ha annullato quel particolare allineamento della Provincia che, invece, la Commissione dei Settantacinque aveva accettato nella sua formulazione iniziale.

Il problema è quindi risolto in via di principio, e oggi si tratta di passare alle forme pratiche di attuazione.

Quindi, le preoccupazioni dell’onorevole Micheli non rispondono più ad una situazione di fatto, sicché, se l’Assemblea lo ritiene, si può passare alla discussione degli articoli 120 e 121.

MICHELI. Può darsi, e senza dubbio è, che l’Assemblea ha ritenuto nell’articolo cui ella ha accennato, di votare la conservazione della Provincia. E siccome in quella occasione ho espresso, sia pur brevemente, il mio pensiero non so se a questa votazione si possa dare l’estensione a cui arriva il nostro Presidente, perché effettivamente la Provincia era considerata anche nell’antico testo, ma come ente di decentramento; ora non siamo ancora entrati a discutere come possa essere effettivamente congegnata la Provincia, in base a tale deliberazione.

PRESIDENTE. Se lei riprende il verbale, sommario o stenografico, della seduta, potrà constatare che la Provincia è stata in quel momento voluta e decisa dall’Assemblea, non come organo di decentramento amministrativo, ma come un ente autonomo, autarchico.

MICHELI. Autonomo sì, ma non autarchico.

TONELLO. Autonomo è più che autarchico.

MICHELI. Ma è tutto diverso il significato.

FUSCHINI. Ma questa è una discussione sul merito!

MICHELI. Non facciamo né aggiunte né diminuzioni; quello che è, è. Ci sono i verbali.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, lei sta facendo una discussione sul merito: restiamo al problema di procedura. È una questione di procedura e non di merito.

MICHELI. È una questione di procedura; ma effettivamente, per forza di cose, nella procedura c’è nascosto un pochettino di merito.

PRESIDENTE. Ma non bisogna che prevalga il merito sulla procedura.

MICHELI. Ma se affiora di per sé il merito!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma lei, onorevole Micheli, ha già accettato il criterio di accedere alla discussione degli articoli 120 e 121.

MICHELI. Sul testo antico della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non esiste più il vecchio testo.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, può presentare, come emendamento, il vecchio testo della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma se l’onorevole Micheli presenta, quale suo emendamento, il vecchio testo della Commissione degli articoli 120 e 121, lo prego di tener conto di quanto dell’articolo 120 è stato trasferito nell’articolo 112.

L’articolo 120 diceva che «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali, che può suddividere in circondari per un ulteriore decentramento».

Questo disposto lo abbiamo già contemplato nell’articolo 112 dove, parlando della Provincia, su proposta dell’onorevole Mortati, l’Assemblea ha votato che normalmente la Regione esercita le sue funzioni attraverso la Provincia.

Quanto al secondo comma, esso diceva: «Nelle circoscrizioni provinciali sono istituite giunte nominate dai corpi elettivi, nei modi e coi poteri stabiliti da una legge della Repubblica». Ma, evidentemente, anche questo è caduto, quando abbiamo stabilito di conservare le Province come enti autonomi.

L’articolo 120 quindi non è più da discutersi e sei lei, onorevole Micheli, vuol tornare al vecchio testo, la sua proposta equivale a rimettere in questione ciò che è stato già deciso.

LUSSU. Ma questo problema non è stato mai affrontato; qui si tratta di circoscrizioni provinciali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma se è passato integralmente! Evidentemente l’aver stabilito che rimane la Provincia costituisce un insieme di problemi che gli articoli 119 e 121 nella nuova formulazione considerano. Il problema è qui. Io non saprei dunque come si possa ripescare una disposizione che già è stata inclusa in altri articoli. Se lei vuole, onorevole Micheli, la faccia pure sua, ma io mi alzerò e dirò che si tratta di materia già acquisita alla Costituzione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Chiedo scusa, ma non intendevo già di prendere la parola sulla discussione generale, perché ritenevo che i colleghi i quali non hanno fatto parte della Sottocommissione avessero essi il diritto di parlare e noi di tacere. Ma se ora mi trovo sorpreso da fatti improvvisi e strani, è evidente che sento in coscienza il dovere di intervenire. Come mai dunque viene soppressa la discussione intorno ad una questione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma, onorevole Lussu, la discuteremo in sede di articolo 120 e di articolo 121.

LUSSU. Mi dispiace, ma la questione non è stata affrontata ed io credo che noi abbiamo il diritto di parlarne. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mi permetta. Mi pare, a sentirla, come a sentire anche altri colleghi, che qualcuno voglia intendere che gli articoli 120 e 121 siano già senz’altro acquisiti senza discussione. Tutte le cose, infatti, che lei dice e che prima diceva l’onorevole Micheli costituiscono i motivi o gli argomenti o le tesi che saranno sostenute in quella sede.

LUSSU. Il mio intervento è originato, onorevole Presidente, da quanto ha detto l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma no.

PRESIDENTE. Desidererei chiarire la questione. Abbiamo un resoconto sommario n. 164, che potrà essere controllato e confrontato sulla base del resoconto stenografico. Comunque, per intanto, dal resoconto sommario della seduta del 27 giugno 1947 risulta che tutti gli argomenti che in questo momento preoccupano gli onorevoli colleghi, tutte le dichiarazioni e le proposte che si vogliono fare per gli articoli 120 e 121 sono già state fatte presenti.

L’onorevole Micheli, in quella seduta, ha parlato, in sede di dichiarazione di voto, contro la formulazione che includeva la Provincia fra le suddivisioni dello Stato, proprio con gli argomenti che in questo momento ha brevemente accennato. E l’onorevole Lussu, a sua volta, ha proprio trattato di questa questione, ampiamente, in quella sede. Ciò nonostante l’Assemblea, anche dopo una dichiarazione di voto dell’onorevole Piccioni, ha votato quella formula che ho detto poco fa, con quel preciso significato.

Quindi, non è vero che noi ci troviamo di fronte ad una questione nuova: noi abbiamo una decisione presa. Secondo le norme generali, una decisione presa è acquisita; ed è naturale che il Comitato di coordinamento valuti oggi gli emendamenti e li svolga in relazione a quanto già acquisito da quella decisione avvenuta. E pertanto, dato che l’Assemblea ha deciso che le Province restino, e restino con quella particolare caratteristica, oggi noi possiamo passare all’esame degli articoli 120 e 121 nel nuovo testo proposto dalla Commissione. Direi anzi che, se come emendamento – e lo diceva già l’onorevole Ruini – si volesse proporre la vecchia formulazione che escludeva questo carattere della Provincia, e che la rappresentava appunto semplicemente come una base di decentramento della Regione, noi non potremmo prendere in esame questo emendamento che andrebbe contro una decisione che è già stata presa. E, come si sa, il Regolamento esclude che sotto forma di emendamenti ad articoli successivi si possa inficiare una decisione già formalmente votata dall’Assemblea.

Mi pare, onorevoli colleghi, che possiamo comunque decidere – se c’è una proposta formale di rinvio – se il rinvio debba farsi; oppure se dobbiamo esaminare il testo degli articoli.

Se nessuno presenta una proposta formale di rinvio, si passerà senz’altro all’esame del testo degli articoli 120 e 121.

CODIGNOLA. C’è una proposta di rinvio. Si stanno raccogliendo le firme.

PRESIDENTE. La proposta può farla lei personalmente; non ha bisogno di firme.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma che cosa significa il rinvio?

PRESIDENTE Avverto l’Assemblea che gli onorevoli Camposarcuno, Codignola ed altri hanno fatto pervenire alla Presidenza una richiesta di rinvio della discussione sugli articoli 120 e 121, nonché sul relativo testo unificato proposto dal Comitato di redazione. La richiesta si basa sull’articolo 90, quinto comma, del Regolamento, che prevede il rinvio esclusivamente di ventiquattr’ore.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io chiederei che i colleghi i quali hanno proposto il rinvio di ventiquattr’ore dicessero le ragioni di questa loro proposta.

FUSCHINI. Si dovrà studiare il nuovo testo…

TARGETTI. Non si tratta di un testo presentato all’ultima ora. La dizione di oggi è un po’ diversa da quella che già figurava negli stampati antecedenti, ma l’argomento è ben conosciuto.

PRESIDENTE. L’onorevole Camposarcuno, primo firmatario della richiesta di rinvio, ha facoltà di parlare.

CAMPOSARCUNO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo pomeriggio, venendo alla Camera, abbiamo visto un po’ sconvolto tutto quello che era stato in precedenza scritto ed anche un po’ discusso intorno alla Regione. Anzi, noi che avevamo studiato gli articoli proposti dalla Commissione, articoli non improvvisati, articoli sui quali noi avevamo portato il nostro esame, sui quali noi avevamo presentato i nostri emendamenti, abbiamo veduto questi articoli all’improvviso, senza alcun motivo…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma come senza alcun motivo!

CAMPOSARCUNO. …presentati completamente modificati alla discussione. Noi ci preoccupiamo soprattutto di questi articoli 120 e 121 e poi di quel famoso articolo 123.

FUSCHINI. Di quello facciamo un’altra questione.

CAMPOSARCUNO. Non si può negare che questo nuovo testo dei due articoli 120 e 121 formula proposte concrete nuove, sulle quali penso che i deputati abbiano il diritto ed il dovere di portare l’esame e di proporre eventuali emendamenti.

FUSCHINI. Ci sono già.

CAMPOSARCUNO. Ma ci sono sul vecchio testo, tanto è vero che quando ci siamo trovati dinanzi ai nuovi articoli proposti dal Comitato di coordinamento, ci si è detto che chi non aveva presentato emendamenti su questo nuovo testo, non aveva il diritto di discutere gli emendamenti presentati sulla base dei vecchi articoli.

Ora io mi domando, e domando soprattutto a quelli che non sono nuovi della vita parlamentare: l’articolo 90 del Regolamento della Camera dice: «Gli articoli aggiuntivi e gli emendamenti devono di regola essere presentati per iscritto al Presidente della Camera almeno ventiquattr’ore prima della discussione degli articoli a cui si riferiscono».

Questo articolo che si dovrebbe discutere, cioè il nuovo testo degli articoli 120 e 121, è stato presentato nel pomeriggio di oggi 17 luglio. Penso che noi abbiamo il diritto di poterlo esaminare e di essere quindi messi nei termini per presentare eventuali emendamenti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Attenda un momento, la prego, onorevole Targetti.

Onorevole Camposarcuno, tanto perché si chiariscano bene le ragioni di queste varie prese di posizione, che hanno carattere procedurale ma che tuttavia è interessante fissare, faccio osservare che ella ha presentato un emendamento al nuovo testo il che significa che non le è mancato completamente il tempo di esaminare questo nuovo testo!

In secondo luogo desidero osservare che la prima parte, che è quella che dà luogo a tutte le preoccupazioni, del nuovo testo dell’articolo 120 e 121 è ripresa dal testo precedente che era stato presentato 1’8 luglio; e che pertanto un semplice confronto del testo dell’8 luglio con questo di oggi sarebbe sufficiente a dimostrare che non ci sono proposte nuove a questo proposito. C’è qualche modificazione di parole, e non di concetti.

TARGETTI. Rinuncio a parlare, perché volevo dire quello che ha detto ora il signor Presidente.

CAMPOSARCUNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPOSARCUNO. È vero che ho presentato un emendamento al nuovo testo dell’articolo 123; ma era tale da potersi scrivere in un minuto. Il contenuto di quell’emendamento è l’espressione della passione ardente e indomita dei miei molisani, di tutti i molisani e non solo di quelli che mi hanno eletto alla Costituente. Sostituire alle parole «Abruzzi e Molise» la parola «Molise» non richiedeva né studio, né attenzione, né termini di sorta. (Interruzioni).

Quando io leggo il testo dell’articolo 123 del progetto di Costituzione che considera il Molise come Regione a sé stante, così come era stato proposto dalla seconda Sottocommissione e quando leggo alla pagina 131 del progetto stesso una nota che dice: «Su questo testo, proposto dalla seconda Sottocommissione, la Commissione, in seduta plenaria, ha sospeso ogni decisione, in attesa che siano raccolti gli elementi di giudizio mediante la inchiesta in corso presso gli organi locali delle Regioni di nuova istituzione»; e mi risulta che su questo argomento non c’è stata nessuna discussione, che la Commissione dei Settantacinque non è stata convocata e, di conseguenza, non s’è trattato affatto, sino ad oggi, un problema di sì grande importanza, mi domando se è cosa che può far piacere vedere in un pomeriggio, all’improvviso, mutate o soppresse le Regioni, non sappiamo ad opera di chi, come se si trattasse di cose di nessun rilievo. (Interruzioni).

Io sono stato sempre parco di parole in questa Assemblea; ho avuto premura di parlare soltanto nel momento opportuno ed in caso di necessità. Ma quando appaiono problemi che toccano vivamente, in modo così decisivo ed irrimediabile le popolazioni rappresentate, alzo fieramente la mia voce in difesa del mio Molise. Questo è un mio diritto e soprattutto un mio dovere. Quell’emendamento che mi ha ricordato il Presidente si poteva scrivere in un minuto, come ho detto. Io ho presentato sul problema regionale tanti emendamenti e sono riuscito a discuterne solo alcuni, perché quando sono venuto all’Assemblea ho trovato sovente un nuovo testo proposto dalla Commissione; e mi si è detto sempre che i miei emendamenti non si potevano discutere perché gli articoli erano stati mutati. Questa è stata la sorte non lieta di tutti noi, onorevoli colleghi.

Ora, quando vedo il nuovo testo degli articoli 120 e 121 e 123, io dico che ho il diritto ed il dovere di esaminarlo e con tutto il tempo che mi consente il Regolamento della Camera. (Approvazioni).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi dispiace dover ritornare su questo argomento; ma è stato detto qui, dall’onorevole Camposarcuno che ci siamo divertiti a fare e a disfare. Facciamo presente questo: noi abbiamo presentato dei testi; è venuta una selva di emendamenti. Se avessimo dichiarato che non tenevamo conto di nessun emendamento e lasciavamo cadere tutto, che cosa avrebbe detto l’Assemblea? Noi abbiamo seguito doverosa norma di riguardo verso l’Assemblea. Quindi non è affatto permesso che lei, onorevole Camposarcuno, possa accusarci di aver fatto così a capriccio dei continui cambiamenti. I cambiamenti sono stati fatti tenendo conto degli emendamenti dell’Assemblea.

Veniamo alla questione che l’onorevole Camposarcuno ha toccato più direttamente. Egli ha parlato dell’articolo 123. Il Comitato dei Settantacinque aveva deciso di fare una inchiesta e di riprendere poi la questione. Essendo stato stabilito dal Comitato dei Settantacinque che i suoi poteri erano trasferiti ai Diciotto, i Diciotto erano perfettamente in diritto e in dovere di esaminare essi queste questioni da decidere.

Stamattina c’è stata una discussione in seno ai Diciotto. Di questi, alcuni erano favorevoli al mantenimento del testo dell’antico progetto, altri volevano rinviare. È noto, onorevole Camposarcuno, che ci sono otto emendamenti che volevano rinviare ad una futura legge ogni decisione quali saranno le Regioni. (Interruzione del deputato Camposarcuno). Questa tesi non è prevalsa. C’erano altri emendamenti, quattro o cinque, che chiedevano di stabilire che per ora le Regioni dovevano essere quelle tradizionali e che dopo si sarebbe proceduto alla modifica. Questa tesi è venuta in votazione ed ha prevalso, contro il mio voto.

Ora io dico: cosa volete di più democratico e di più corretto? I Diciotto si sono pronunciati in questo senso. Voi, come Assemblea, potete benissimo distruggere questa deliberazione. Ma c’è bisogno di nuovi elementi? Che cosa è questo dire: vogliamo rinviare? Il Comitato ha esercitato il suo diritto e il suo dovere: l’Assemblea decida.

Aggiungo di più, onorevole Camposarcuno: qui non c’è questione di parte, perché la tesi che è prevalsa l’hanno votata tutti quelli che erano della sua parte. Quindi è inutile voler vedere delle manovre. L’hanno votata proprio quelli che sono stati favorevoli alla Regione. Quando verremo all’articolo 123, esporrò le ragioni che sono state dette in Comitato.

Voi conoscete la questione nel modo più perfetto; discuterete e delibererete.

Veniamo alla proposta di rinvio degli onorevoli Camposarcuno e Codignola.

È un diritto che quando un dato numero di deputati propone il rinvio dell’emendamento, si accolga la richiesta. Ma io chiedo all’onorevole Codignola: è proprio necessario? Anche queste, non sono questioni che abbiamo esaminato da tempo? Cosa c’è di nuovo? Nell’articolo presentato otto giorni fa, dicevamo: «Le Province e i Comuni sono autonomi nell’ambito dei principî fissati, ecc.». E questo è conservato. Nell’articolo presentato stamani, tenendo conto degli emendamenti presentati si è aggiunto qualche cosa. Come voi potevate accettare o respingere l’emendamento, accetterete o respingerete questa decisione della Commissione. Quindi, pregherei i proponenti di rinunziare alla loro domanda di rinvio. Discuteremo sul merito e l’Assemblea deciderà se accettare o meno l’articolo.

Che cosa c’è da meditare ancora su questioni che ormai sono state sviscerate mille volte?

Se si mantiene la proposta di rinvio, evidentemente, in base al Regolamento, dovremo rinviare e allora discuteremo questa sera stessa se si debba rimandare il 122 ed affrontare il 123. Invece io credo sia opportuno esaminare la questione dell’autonomia provinciale e regionale. Deciderete come volete. Ma che cosa vogliamo ancora rinviare dopo che se ne è parlato tanto tempo?

Iniziamo la discussione!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, abbiamo una domanda dell’onorevole Camposarcuno, ed altri per rinviare l’esame dell’articolo 120 e seguenti; il che vuol dire di tutti gli articoli proposti dalla Commissione.

Pertanto mi sento in dovere di esaminare con una certa attenzione questa richiesta anche se dovessi giungere ad una conclusione che non corrisponde alla prima affermazione che ho fatto. Esaminando la richiesta, mi sono posto questa domanda: in realtà il nuovo testo della Commissione rappresenta un articolo aggiuntivo? Ed ho risposto: No, non è un articolo aggiuntivo. Rappresenta un emendamento? No, non è un emendamento. È un nuovo testo, il che è una cosa completamente diversa. Ora, l’articolo 90 del Regolamento, al suo quinto comma, parla specificatamente di articoli aggiuntivi e di emendamenti e pertanto io non dico che non debba essere tenuto conto di questa domanda di rinvio, ma che essa debba essere considerata come una domanda sulla quale l’Assemblea decide e non come una domanda che automaticamente porta ad una conseguenza. Mi pare che questa mia interpretazione non pecchi, o non pecchi eccessivamente, quanto meno; e perciò, onorevoli colleghi, considero questa nuova domanda di rinvio eguale alla domanda di rinvio sulla quale l’Assemblea ha votato poco fa.

MICHELI. Onorevole Presidente, l’accetta come domanda di rinvio? Perché diversamente si dovrebbe fare la questione se il nuovo testo non entri, per analogia, fra quelli che sono contemplati dall’articolo 90 del Regolamento.

PRESIDENTE. È evidente che il comma quinto di questo articolo del Regolamento si preoccupa di creare al Governo o alla Commissione alcune garanzie nei confronti di improvvisi emendamenti o formulazioni presentati da membri dell’Assemblea. In questo caso, invece, la situazione si capovolgerebbe e il Regolamento verrebbe invocato come una salvaguardia dell’Assemblea o di alcuni membri dell’Assemblea nei confronti di una iniziativa della Commissione, con uno spirito diverso cioè da quello che ha ispirato l’articolo 90.

Comunque, se l’interpretazione che ho data è riconosciuta valida, porrò in votazione la richiesta di rinvio e se questa viene accettata, sarà tolta la seduta.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. È una questione di Regolamento. Se la Commissione non cambiava le cose…

PRESIDENTE. La prego, non facciamo recriminazioni. Ponga la questione nei suoi termini esatti.

LUSSU. Io credo che l’interpretazione che il Presidente ha data non sia esatta. Credo che questo testo nuovo sia ancor più che un emendamento, e quindi dia ancor maggiore diritto a che sia chiesto il rinvio.

PRESIDENTE. Il rinvio può essere chiesto, ma deve essere deciso dall’Assemblea.

LUSSU. Io sostengo, ripeto, che questo è un emendamento. Infatti si riferisce ad articoli nei quali l’emendamento rivive ancora e non è un totale capovolgimento o una trasformazione. In termini letterari, siamo di fronte ad un emendamento vero e proprio e pertanto non si può mettere ai voti di fronte all’Assemblea se dovrà esserci o no il rinvio.

Il rinvio è automatico. Me ne duole per la Commissione, ma nessuno di noi le ha dato talmente carta bianca, da poter essa presentare un testo totalmente nuovo, al quale noi non eravamo preparati. La responsabilità ricade sulla Commissione.

PRESIDENTE. Le ragioni dei proponenti il rinvio sono state ampiamente svolte.

Hanno parlato gli onorevoli Camposarcuno e Lussu, cioè due dei firmatari della richiesta; e quindi ognuno, che si sia convinto della validità delle loro ragioni, può esprimere il proprio giudizio, votando a favore del richiesto rinvio.

LUSSU. Non si può mettere ai voti.

PRESIDENTE. Io, invece, lo porrò ai voti; perché, in definitiva, la interpretazione del Regolamento, quando vi sono casi controversi, è rimessa al Presidente. In questo caso, poi, non decido di autorità, perché l’Assemblea è chiamata essa a decidere del rinvio. (Interruzione del deputato Lussu).

Voci a sinistra. Basta! Basta!

LUSSU. Non basta affatto! Con questo sistema, con un colpo di maggioranza si può sopraffare la minoranza e il Regolamento.

PRESIDENTE. Le faccio osservare che il Regolamento ha braccia molto larghe e permette anche di trovare un arbitro della questione.

L’articolo 85, infatti, dice che, quando un deputato fa appello al Regolamento, è la Camera che decide di questo appello.

Io do un’interpretazione dell’articolo 90; lei, onorevole Lussu, si appella contro la mia interpretazione; l’Assemblea decide.

Pertanto, porrò all’Assemblea il quesito.

MICHELI. Chiedo di parlare.

Voci a sinistra. Basta! Basta!

PRESIDENTE. Su che cosa chiede di parlare?

MICHELI. Domando che il signor Presidente abbia la compiacenza di annunciare in modo preciso la questione, in modo che si possa comprendere qual è l’appello al Regolamento, sopra il quale noi dobbiamo votare. (Interruzione del deputato Nobili Tito Oro).

Lei lo sapeva già onorevole Nobili. Io no: sono in ritardo forse anche perché non posso fruire dei consigli del suo vicino onorevole Dugoni. (Si ride).

PRESIDENTE. Preciso la questione. L’onorevole Camposarcuno ed altri, appellandosi al quinto comma dell’articolo 90 del Regolamento, chiedono che la discussione di questi articoli sia rinviata di 24 ore.

L’articolo 90 del Regolamento, al suo quinto comma, prevede la facoltà di questa richiesta esclusivamente per gli articoli aggiuntivi o per emendamenti.

MICHELI. Qui si tratta di emendamento sostitutivo. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, io desidero avere il massimo rispetto e un’estrema benevolenza nei confronti di tutti i colleghi, e particolarmente dei più anziani; ma desidero che anche i colleghi comprendano che vi è una norma alla quale attenersi, che è essenzialmente quella di non turbare o procrastinare troppo i nostri lavori. Lei ha avuto il diritto – che ha esercitato – di prendere numerosissime volte la parola: il processo verbale ne farà testo. Le stavo dando una spiegazione. Mi permetta di portarla a termine. Vi è la richiesta dell’onorevole Camposarcuno perché, in base al quinto comma dell’articolo 90, si rinvii a domani l’esame del nuovo testo della Commissione. Il comma quinto dell’articolo 90 parla dell’esercizio di questo diritto, quando ci si trova di fronte ad un articolo aggiuntivo o ad un emendamento.

MICHELI. Ma si rientra, perché qui si tratta di un emendamento sostitutivo! (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, la prego di non interrompermi più. Consideri che il nuovo testo formulato dalla Commissione non è, per quanto si vogliano storcere gli argomenti, né un emendamento, né un articolo aggiuntivo. È il nuovo testo e pertanto ritengo che l’invocazione all’articolo 90 non sia valida. Poiché l’onorevole Lussu contesta la validità di questa mia interpretazione, in base al disposto dell’articolo 85, investo l’Assemblea della decisione e chiedo che voti su questo argomento, cioè se la richiesta dell’onorevole Camposarcuno, dell’onorevole Lussu e di altri colleghi è fondata sull’articolo 90, comma quinto: se l’Assemblea dirà sì, accetterà la proposta di rinvio; se l’Assemblea dirà no, chiuderemo definitivamente questa troppo lunga discussione procedurale e passeremo senz’altro alla discussione sul merito del testo formulato dalla Commissione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Non posso dare più la parola a nessuno.

LUSSU. È per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Non c’è dichiarazione di voto, in questa materia. Pongo, quindi, in votazione l’interpretazione che ho data dell’articolo 90, in base alla quale non è ammissibile la richiesta di rinvio, di ventiquattro ore, del nuovo testo proposto dalla Commissione.

(È approvata).

Passiamo finalmente all’esame di questo testo. Invito l’onorevole Segretario a dare lettura del nuovo testo degli articoli 120 e 121, così come è stato formulato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano i compiti e le funzioni.

«Le Provincie e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale.

«La istituzione di nuove Provincie è stabilita con leggi della Repubblica, su iniziativa della Regione, sentite le popolazioni interessate.

«Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi Comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni».

PRESIDENTE. Ricordo che, in sede di discussione generale, sono già stati svolti dai presentatori i seguenti emendamenti, attinenti alla prima formulazione del progetto:

«Sostituire il primo comma dell’articolo 120 col seguente:

«La Regione esercita normalmente le sue funzioni a mezzo delle circoscrizioni circondariali che risultano dalla divisione delle Provincie.

«Bruni».

«Al secondo comma, sostituire la dizione: circoscrizioni provinciali, con l’altra: circoscrizioni circondariali.

«Bruni».

«Sostituire l’articolo 120 del progetto col seguente:

«La Provincia, oltre che circoscrizione amministrativa di decentramento statale e regionale, è ente autarchico territoriale, con gli organi e le funzioni determinati dalla legge.

«Rescigno».

Sono stati successivamente presentati altri emendamenti al testo primitivo, emendamenti dei quali la Commissione ha tenuto conto per la redazione del nuovo testo. Al penultimo testo, che è quello che più si avvicina all’attuale, e che, anzi, è in parte ripreso dalla Commissione, avevano presentato emendamenti gli onorevoli Colitto, Bubbio e Belotti.

L’emendamento dell’onorevole Colitto è del seguente tenore:

«Sostituirli col seguente:

«La Provincia ed il comune sono autonomi nei limiti delle leggi dello Stato, che ne determinano le funzioni ed i poteri».

Questo emendamento, in sostanza, è stato assorbito dal nuovo testo della Commissione.

COLITTO. Non completamente.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

COLITTO. Lo svolgerò rapidamente.

Il mio emendamento non tocca la sostanza della norma, ma tende a migliorarne la forma. Chi legge l’articolo proposto dalla Commissione intende subito che la Costituzione vuole fissare questo concetto: che lo Stato emana leggi per precisare le funzioni delle Provincie e dei Comuni e che la Provincia ed il Comune sono autonomi nell’ambito di esse. Non è necessario, pertanto, a mio avviso, parlare di leggi «generali», che presuppongono anche quelle «particolari», essendo difficile stabilire dove finiscono le prime ed incominciano le altre, ed anche perché principî, cioè direttive, si possono ben ricavare anche da leggi particolari.

Penso, poi, che, invece di «compiti e funzioni», sia meglio parlare di «funzioni e poteri». Compiti e funzioni mi sembrano due parole, che esprimono lo stesso concetto, il che non penso che si possa egualmente dire per le due parole da me indicate.

Prendo atto, infine, con piacere che il Comitato di coordinamento, nella nuova formulazione dell’articolo, non ha parlato più di leggi, attribuenti alle Regioni funzioni di coordinamento. Non si comprende, infatti, in che cosa tali leggi, occupandosi delle funzioni e dei poteri della Provincia e del Comune, si differenziano dalle altre leggi, sì da poter essere indicate a parte.

Insisto, perciò, in quei miei emendamenti, non seguiti dalla Commissione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bubbio e Belotti, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, dopo il primo comma dell’articolo 120 del progetto, il comma seguente:

«Può suddividere le circoscrizioni provinciali in circondari di carattere esclusivamente amministrativo per un ulteriore decentramento».

L’onorevole Bubbio ha facoltà di svolgerlo.

BUBBIO. Onorevoli colleghi, il mio emendamento si è reso necessario dopo che era stato radicalmente cambiato il testo della Commissione.

Il testo del progetto, presentato dalla Commissione, all’articolo 120 suonava in questo modo: «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali, che può suddividere in circondari per un ulteriore decentramento».

Ora, viceversa, per questo nuovo articolo 120-121, la Commissione ha senz’altro soppresso questa disposizione, cioè la possibilità di suddividere in circondari le circoscrizioni provinciali; il che ha causato una certa sorpresa. Non va dimenticato d’altra parte che molte città italiane avevano manifestato replicatamente le loro aspirazioni per la ricostituzione di questi circondari, a titolo unicamente di decentramento amministrativo, senza alcuna forma autonoma o autarchica. Ritengo, quindi, che la Costituente possa nuovamente soffermarsi su questo problema.

Posso aggiungere anche un’altra considerazione: ad iniziativa della città di Fermo, se non vado errato, fu creata un’Associazione dei Comuni che durante il periodo preparatorio aveva discusso la possibilità di introdurre nella Costituzione, appunto, la riforma attinente alla ricostituzione dei circondari.

Questa Associazione, a cui hanno preso parte molte città illustri per storia e fiorenti per industria e commercio, avevano visto accolte le loro aspirazioni nel progetto di Costituzione, che – come dissi – riconosceva la facoltà di suddividere in circondari le circoscrizioni provinciali. Talmente questa Associazione era persuasa e sicura che la riforma fosse assicurata, che ha mandato a tutti i deputati che rappresentavano le città interessate, un ringraziamento per aver ottenuta una tale riforma!

Quindi è grande la delusione di queste città, nel vedersi in ultimo defraudate di questa loro speranza. Mi permetto, perciò, di insistere su questo emendamento che ripristina l’originaria disposizione. Il fatto che si sia di nuovo ricostituita la Provincia quale ente autonomo, non può far venire meno la necessità della creazione del circondario, che anzi tale necessità ne può riuscire maggiormente affermata. D’altra parte, il mio emendamento non impone la istituzione di queste circoscrizioni; esso invero è un po’ diverso da quello dell’onorevole Bruni, che dice senz’altro che le Provincie debbono essere suddivise in circondari, mentre qui la istituzione del circondario è lasciata come facoltà. Notisi che se una legge del 1923 ha abolito la Sottoprefettura come ufficio di carattere politico locale, tuttavia i circondari, di fatto, ancora esistono relativamente a diversi servizi; e così nel campo giudiziario molti tribunali sono stati ricostituiti; e così si hanno gli Ispettorati finanziari circondariali, gli Ispettorati circondariali per le scuole, gli Uffici tecnici della Provincia, con circoscrizioni circondariali, ecc. In radice, quindi, i circondari già esistono e si tratta soltanto di fare affermare il principio della possibilità della loro ricostituzione. D’altronde, non bisogna deludere le aspirazioni di molte città, perché tutta l’Italia nostra non è costituita soltanto dalle grandi città e dai capoluoghi di provincia; ci sono numerose piccole città, forti per tradizioni storiche e fiorenti nel lavoro e nell’industria, che debbono essere esaudite in queste aspirazioni. Solo in Piemonte, Alba, Saluzzo, Acqui, Mondovì, Pinerolo, Novi, Tortona, Pallanza, Biella, ecc., attendono che sia riparata l’ingiustizia in loro danno perpetrata.

Conseguentemente, mi auguro che il mio emendamento possa essere accolto, ancora una volta insistendo che il circondario non appesantirà la macchina burocratica; trattandosi soltanto di un organo di decentramento amministrativo di carattere esecutivo, che soprattutto nelle Provincie si paleserà indispensabile. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò ha proposto un articolo aggiuntivo del seguente tenore:

Art. 120-bis.

«La Provincia è ente autonomo e costituisce circoscrizione amministrativa di decentramento statale e regionale».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di illustrare il suo emendamento.

DOMINEDÒ. Io avevo presentato, per l’eventuale aggiunta, un articolo 120-bis, proponendo una formula che posso ritenere, sostanzialmente, assorbita nel nuovo testo redatto dal Comitato e sottoposto all’Assemblea. Cosicché il mio emendamento aggiuntivo di un articolo 120-bis resta assorbito nel nuovo testo, essendo fermi questi due concetti: che la Provincia è considerata come persona giuridica e, perciò stesso, è definita con la formula generale di ente autonomo, che ci sembra la più appropriata, per il possibile sviluppo futuro del concetto, senza ricadere in terminologie, tipo ente autarchico, che potrebbero far nascere eventuali perplessità interpretative di carattere restrittivo.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, in cui la Provincia – analogamente al Comune – è chiamata a svolgere funzioni di decentramento sia statuale che regionale, mi pare perfettamente corretto che il testo debba contemperare questo secondo aspetto, in coerenza alle norme già approvate nella Costituzione, che contemplano, per un verso l’attribuzione di funzioni amministrative statuali alla provincia e, per altro verso, il decentramento nell’ambito della Regione, con attribuzione delle funzioni amministrative regionali alla Provincia.

Concludo, perciò, considerando il mio emendamento come assorbito nel testo della Commissione, in favore del quale – dato questo equilibrio armonico di visione, per cui si tengono presenti in modo adeguato gli aspetti della personalità giuridica dell’ente locale e la funzione di decentramento ad esso affidata – voterò, nella nuova formulazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 120 del progetto col seguente:

«L’Amministrazione della Regione potrà istituire nei capoluoghi delle Province in essa comprese Sezioni distaccate degli Uffici tecnici, finanziari e sanitari regionali, per un più agile e perfetto espletamento delle proprie funzioni, nell’interesse delle popolazioni locali».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Seguono gli emendamenti agli articoli 120 e 121 del progetto proposti dall’onorevole Codignola:

«Sostituire l’articolo 120 col seguente:

«La Provincia è un organo di decentramento burocratico, così per le funzioni amministrative di diretta competenza dello Stato, come per quelle di competenza originaria o delegata delle Regioni.

«Un funzionario dello Stato, residente nel capoluogo di provincia, coordina l’attività amministrativa degli uffici statali decentrati nell’ambito provinciale, alle dipendenze del Presidente regionale nella sua qualità di rappresentante del Governo centrale, ovvero del Commissario straordinario previsto dal capoverso dell’articolo 116.

«La Regione può promuovere, nel proprio ambito, consorzi di province, ovvero altri raggruppamenti territoriali, che si dimostrino meglio idonei all’organica soddisfazione d’interessi comuni e al migliore decentramento delle sue funzioni.

«Consorzi di tal genere possono estendersi anche al di fuori dei limiti territoriali di una sola Regione, previo accordo delle Deputazioni interessate».

«Sostituire l’articolo 121 del progetto col seguente:

«Il Comune è un ente autarchico, fornito dei mezzi e dei poteri necessari al suo funzionamento, e di facoltà normative nei limiti fissati dalla legge».

«Con legge della Regione, su richiesta della maggioranza delle popolazioni interessate, possono essere costituiti consorzi di Comuni a fini determinati. Possono egualmente essere costituiti nuovi Comuni, soppressi o suddivisi Comuni esistenti, modificate le rispettive circoscrizioni».

CODIGNOLA. Dichiaro di rinunciare a questi emendamenti.

PRESIDENTE. Seguono due emendamenti presentati rispettivamente dagli onorevoli Canepa e Pera e dall’onorevole Chieffi:

«Al primo comma, alle parole: Il Comune è autonomo, sostituire: Provincie e Comuni sono autonomi.

«Canepa, Pera».

«Al primo comma, alle parole: Il Comune è autonomo, sostituire: La Provincia ed il Comune sono autonomi.

«Chieffi».

Questi emendamenti sono assorbiti, essendo stati accolti nel nuovo testo della Commissione.

Seguono tre emendamenti proposti dai colleghi Biagioni e Clerici all’articolo 121 del progetto:

«Al primo comma aggiungere:

«La legge assicura al Comune l’autosufficienza finanziaria».

«Al secondo comma, dopo le parole: nuovi Comuni, aggiungere: purché esistano le condizioni di autosufficienza finanziaria».

«Aggiungere il seguente terzo comma:

«La legge regola il ritorno ai Comuni dei beni patrimoniali incamerati dallo Stato».

L’onorevole Biagioni ha facoltà di svolgerli.

BIAGIONI. Poiché ho la ventura di ricoprire la carica di sindaco e dovendo combattere in situazioni disastrose la lotta continua tra i grandi bisogni e la scarsità di mezzi finanziari, mi sia concesso, onorevoli colleghi, di sottoporre alla vostra cortese attenzione gli emendamenti da me proposti.

Dare ai Comuni l’autonomia è una gran bella cosa come principio; ma questa autonomia non ha ragion d’essere, se non si dà ai Comuni la possibilità di disporre dei mezzi necessari per vivere. Se si pensa che almeno il 99 per cento dei Comuni ha bilanci deficitari, e con deficit che arrivano a cifre paurose (si giunge fino ai miliardi), si può dire che, se la Repubblica non sarà in grado di dare ai Comuni la possibilità di vita finanziaria, sarà inutile – è meglio dire pericoloso – enunciare il principio della completa autonomia comunale. Se si pensa che molti Comuni non hanno potuto vivere, in questi due anni dopo la liberazione, se non ricorrendo a delle percentuali sui giuochi d’azzardo, è evidente che la famiglia comunale è scesa, per provvedere ai propri vitali bisogni, al livello morale di colui che specula sui più bassi istinti umani.

Quante sollecitazioni sono giunte a noi deputati da parte di sindaci dei nostri collegi, perché si possa sostenere il loro desiderio di istituire in tutti i capoluoghi di comune delle bische! Essi sanno di chiedere a noi delle cose, diciamo, immorali, ma lo chiedono perché sono spinti dal bisogno e dalle necessità per la vita delle loro amministrazioni.

Pensate che il 99 per cento, ripeto, dei Comuni italiani non riesce neppure a corrispondere con regolarità gli stipendi e i salari ai propri dipendenti. Cerchiamo dunque, onorevoli colleghi, di togliere i gloriosi Comuni italiani da questa posizione di ignominia. Pensate – lo dico per esperienza personale – che molte farmacie si rifiutano di dare i medicinali ai poveri con i buoni del Comune; pensate che i fornitori si rifiutano di dare al Comune persino il cemento di cui esso ha bisogno per i propri piccoli lavori e non è raro il caso in cui il sindaco debba dare un fido personale, perché il Comune possa avere queste materie di primaria necessità.

Si ha sfiducia nel Comune, perché se ne teme la insolvenza. Cerchiamo quindi di risollevare i Comuni da questo così degradante stato di inferiorità in cui versano che, oltre a togliere loro il decoro, toglie anche a questi enti la capacità amministrativa: a questi enti che pure sono quelli che stanno più vicini alla massa del popolo.

Il mio Comune – ab uno disce omnes – non riesce, con tutte le tasse, a riscuotere neppure la cifra necessaria a pagare i suoi dipendenti, perché gli stipendi e i salari dei dipendenti superano essi soli tutte le entrate. Ed io che, ringraziando Iddio, non ho ancora contratto dei debiti personali, sono costretto a vedere quotidianamente davanti alla porta del mio ufficio fornitori che protestano perché il Comune non è in condizioni di pagare quanto è loro dovuto da mesi o anche da anni.

Io prego gli onorevoli colleghi di meditare un poco su queste considerazioni da me esposte e di volermi aiutare perché, oltre che con l’articolo 112, anche con il 121 sia sancito nella Carta costituzionale che la Repubblica si impegna a dare ai Comuni una vera vita autonoma nel campo finanziario.

Così dicasi per i nuovi Comuni, per quei Comuni cioè che dovranno essere costituiti in seguito. Troppi paesi infatti, per divergenze campanilistiche, attendono che l’ente Regione riesca a erigerli a Comune. Non creiamo, onorevoli colleghi, nuovi organismi claudicanti! Se un paese non dà garanzie sufficienti perché possa essere autonomo, se una popolazione non dà garanzie sufficienti che potrà mantenere il suo Comune, non è lecito dargli il consenso per la sua istituzione.

Ci insegni per questo la Sardegna. Io, dopo l’8 settembre, mi sono trovato con i miei soldati in un paese della provincia di Nuoro: Suni, che ha tre frazioni. Ebbene, ho avuto occasione di tornare dopo tre anni in quel paese e invece di un Comune ne ho trovati quattro, uno dei quali non aveva che 240 abitanti! Naturalmente, i nuovi Comuni non riescono neppure a comperare una macchina da scrivere e non riescono a pagare non dico lo stipendio all’applicato di segreteria, ma neppure al segretario.

È per queste considerazioni, onorevoli colleghi, che io vi esorto ad approvare i miei due emendamenti.

L’ultimo mio emendamento aggiuntivo dice: «La legge regola il ritorno ai Comuni dei beni patrimoniali incamerati dallo Stato».

Farò alcune brevissime considerazioni. Per esempio, c’è la questione dei boschi. Lo Stato, ad un certo momento, ha creato il famoso demanio forestale ed ha espropriato i Comuni di montagna delle loro proprietà boschive. Ora, dal giorno in cui i Comuni di montagna sono stati privati dei loro boschi, si è iniziato il deficit dei loro bilanci. Ho elementi in mano per dimostrarlo. Ho pure delle prove per dimostrarvi che, per esempio, nell’Appennino tosco-emiliano il demanio è stato costituito per volontà di Carlo Scorza, il quale costrinse i podestà a vendere i boschi al 60 per cento del loro valore.

Un’altra proprietà che dovrebbe tornare ai Comuni sono le cosiddette «case del fascio». In ogni città d’Italia, si può dire, o in quasi tutte, nacque la «casa del fascio», non per contributo statale, ma coll’obolo, più o meno forzato, dei cittadini. Oggi lo Stato dice che le «case del fascio» sono sua proprietà. Non è giusto! Le «case del fascio» sono proprietà dei cittadini di quel paese, che hanno col proprio obolo contribuito alla loro costruzione.

Prego quindi l’Assemblea di accogliere i miei emendamenti come un atto doveroso verso i Comuni.

PRESIDENTE. L’onorevole Bovetti ha presentato il seguente emendamento all’articolo 121 del progetto:

«Sostituirla col seguente:

«Il Comune e la Provincia sono autonomi nell’ambito delle leggi generali della Repubblica.

«Con legge della Regione, su richiesta della maggioranza delle popolazioni interessate, sentito il parere delle rispettive Amministrazioni provinciali, possono essere creati nuovi Comuni o modificate le circoscrizioni esistenti».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Costa ha facoltà di svolgere il seguente emendamento:

«In fine dell’articolo 121 aggiungere: o mutate denominazioni».

COSTA. Rinunzio a svolgerlo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’abbiamo accettato.

COSTA. Appunto; e ringrazio la Commissione per averlo accettato.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, per esprimere il parere della stessa sui vari emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Seguirò gli emendamenti nell’ordine in cui si trovano nel fascicolo, per maggiore semplicità e chiarezza.

L’emendamento dell’onorevole Rescigno è stato, in sostanza, accettato. Quindi, non credo si possa più discutere a questo proposito.

L’onorevole Persico non ha svolto il suo emendamento; ad ogni modo, sta di fatto – ed egli l’ha perfettamente compreso – che questa disposizione è contenuta nell’articolo 112, già votato: è lo stessissimo concetto, per cui non credo che egli insisterà sul suo emendamento.

L’emendamento dell’onorevole Codignola parla, in sostanza, di un organo di decentramento burocratico, cioè ammette il concetto da noi accolto.

CODIGNOLA. Ho ritirato l’emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sta bene.

C’è poi l’emendamento dell’onorevole Bruni, che è stato svolto, e parla di circoscrizioni circondariali. Vi sono vari emendamenti che parlano di circoscrizioni circondariali, di consorzi di Provincie, di consorzi di Comuni.

Ora, il Comitato ha ritenuto che sono temi da non mettere nella Costituzione e da riservare alle leggi ordinarie amministrative.

Poi vi è un altro emendamento dell’onorevole Dominedò, il quale ha preso atto che noi abbiamo introdotto il suo concetto nella nostra formula nuova.

L’emendamento dell’onorevole Bovetti non è stato svolto.

Vi è poi un emendamento dell’onorevole Biagioni sull’autosufficienza finanziaria dei Comuni. Qui parliamo in generale di funzioni dei Comuni; e non è il caso di entrare nel tema dell’autosufficienza finanziaria; tanto più che non è possibile adottare questa espressione di autosufficienza, che non ha consistenza precisa. Abbiamo parlato di autonomia finanziaria che è espressione più attendibile, a proposito della Regione, ed abbiamo parlato di coordinamento con le finanze delle Provincie e dei Comuni; abbiamo adombrato l’estensione del concetto anche a tali enti. Di più non si può fare.

L’onorevole Biagioni propone poi di regolare il passaggio di certi beni dallo Stato ai Comuni. Questa non è proprio materia costituzionale. Il problema più generale che l’onorevole Biagioni ha sollevato incidentalmente è importante, in quanto i Comuni e le Province non possono ricorrere continuamente alla integrazione dello Stato e vivere una vita grama e stentata; mentre, d’altra parte, il metodo delle integrazioni è un incoraggiamento ad abitudini spendereccie. Nell’esposizione finanziaria Campilli e poi in dichiarazioni del Ministro Pella, si promette che alle integrazioni si porrà fine col nuovo esercizio finanziario e che ai Comuni e alle Provincie sono ormai assicurati cespiti tali che non vi sia più bisogno di integrare i bilanci degli enti locali.

Vi è poi un emendamento dell’onorevole Colitto per mettere la parola «poteri». L’onorevole Colitto osserva che la dizione nostra «compiti e funzioni» non è felice. Possiamo togliere «compiti». Resta «determinate funzioni» ed evidentemente nelle funzioni sono compresi anche i poteri.

Vi è infine l’emendamento dell’onorevole Bubbio. Il Comitato ha ritenuto che, quando non v’era, si sopprimeva la provincia come ente autonomo. Poteva essere opportuno parlare nella Costituzione di decentramento attraverso le provincie ed i circondari. Le cose ora sono mutate; ed il richiamo costituzionale non ha più ragione di essere. Questo dei circondari – come gli altri dei consorzi fra Provincie, fra Comuni ed anche fra Regioni – è tema che decideranno le leggi sull’amministrazione. Il non metterlo qui, non vuol dire che il circondario debba essere sistematicamente escluso. Potrà ammettersi in alcuni casi, sempreché non si moltiplichino i gradini e le complicazioni burocratiche.

BUBBIO. Era la promessa fatta nel primo testo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene, ma nel primo testo non c’era la Provincia.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha presentato ora un emendamento, proponendo di premettere nel terzo comma del testo le parole: «Il cambiamento delle circoscrizioni provinciali», continuando poi il testo come proposto.

Prego l’onorevole Presidente della Commissione di esprimere il suo parere in merito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho difficoltà ad accogliere la proposta dell’onorevole Micheli.

MICHELI. Ringrazio di aver accettato ed avverto che fra le molte variazioni vi è specialmente quella della circoscrizione di Pontremoli. (Commenti). Questa è la ragione che mi ha spinto a fare questa proposta.

PRESIDENTE. Invito gli onorevoli presentatori degli emendamenti di dichiarare se li mantengono.

Onorevole Persico?

PERSICO. Rinunzio al mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Bruni non è presente; pertanto decadono i suoi due emendamenti.

L’onorevole Dominedò ha dichiarato di rinunciare al suo emendamento, essendo stato accolto dalla Commissione, e così pure l’onorevole Codignola ha rinunziato ai suoi emendamenti.

L’onorevole Bovetti non è presente; s’intende che abbia anch’egli rinunziato.

Onorevole Biagioni, mantiene il suo emendamento?

BIAGIONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Lei, onorevole Colitto?

COLITTO. Il Presidente della Commissione ha già dichiarato che accetta un’altra parte dei miei emendamenti.

PRESIDENTE. Quindi lei rinunzia alla sua proposta. Sta bene.

Onorevole Bubbio?

BUBBIO. Prendo atto delle dichiarazioni dell’onorevole Ruini; ma debbo mantenere il mio emendamento; si tratta invero di una questione di onore, in quanto è stato preso un impegno verso tante piccole città italiane, che hanno sperato e creduto nella promessa fatta dalla Commissione dei Settantacinque.

PRESIDENTE. Sta bene onorevole Bubbio.

L’emendamento dell’onorevole Costa è stato accettato dalla Commissione.

Onorevole Rescigno, mantiene il suo emendamento?

RESCIGNO. Vi rinunzio, ma nell’intesa che autonomia ed autarchia, contrariamente a quello che ha affermato l’onorevole Micheli, sono la stessa cosa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire a questo punto che non intendo affatto confermare le proposizioni dell’onorevole Rescigno. In Italia si è sempre parlato di enti autonomi. V’è un significato nelle leggi e nelle tradizioni che rimane fermo, e al quale io non intendo derogare.

È venuto uno scienziato eminente, il Santi Romano, che ha fatto una teoria dell’autarchia, teoria discutibilissima; che può essere accettata o no in sede dottrinale. Ma, nonostante le lezioni che ci vuol dare l’onorevole Rescigno, non intendiamo abbandonare il solido terreno della tradizione legislativa e politica.

RESCIGNO. Ed allora io debbo mantenere il mio emendamento. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lei, così, diminuisce la forza di questi enti, perché autarchia è meno di autonomia.

PRESIDENTE. Viene ora presentato un altro emendamento, a firma dell’onorevole Recca e di altri colleghi. A questo proposito osservo che se i colleghi che lamentano che la Commissione porta in ritardo gli emendamenti, si rendessero conto che il ritardo è provocato innanzi tutto da questo sistema da essi adottato, di presentare emendamenti all’ultimo momento, potremmo tutti evitare di prolungare il nostro lavoro.

L’emendamento dell’onorevole Recca, che reca anche le firme dei colleghi Monterisi, Borsellino, Clerici, Carignani, Baracco, Garlato, Ferreri, Germano e Biagioni, sostituisce il terzo comma dell’articolo con la seguente formulazione:

«L’istituzione di nuove Provincie è stabilita con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni interessati, sentita la Regione a cui appartengono».

L’onorevole Recca ha facoltà di svolgere questo emendamento.

RECCA. Rinunzio a svolgerlo, poiché sono evidenti le ragioni di praticità e di logica che lo hanno determinato.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Presidente della Commissione di dichiarare il suo parere in proposito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che quando si dice «sentite le popolazioni interessate» si usi già l’espressione più opportuna, e che dà sufficienti garanzie.

RECCA. Le popolazioni interessate come vengono sentite? Per mezzo di referendum?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Definiremo poi queste forme.

CAMPOSARCUNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPOSARCUNO. Io ero firmatario di un emendamento all’articolo 107 circa la creazione di nuove Provincie. L’onorevole Ruini disse, quando si discusse detto articolo, che ne avremmo riparlato quando si sarebbe trattato della Provincia secondo il nuovo ordinamento costituzionale. Vedo con compiacimento che la Commissione ha accettato sostanzialmente il mio emendamento; quindi lo ritiro e aderisco a quello della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo ai voti il primo comma nel nuovo testo unificato della Commissione, che vi ha apportato una ulteriore modifica, sopprimendo le parole «i compiti e». La dizione è pertanto la seguente:

«Le Provincie ed i Comuni sono enti autonomi nell’ambito, dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni».

(È approvato).

A questo punto vi è la proposta aggiuntiva dell’onorevole Biagioni del seguente tenore:

«La legge assicura ai Comuni l’autosufficienza finanziaria».

La Commissione ha dichiarato di non accettare questo emendamento.

Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Passiamo al secondo comma del testo, sul quale non sono stati presentati emendamenti:

«Le Provincie e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Vi è a questo punto l’emendamento dell’onorevole Bubbio del seguente tenore:

«Aggiungere il comma seguente:

«Può suddividere le circoscrizioni provinciali in circondari di carattere esclusivamente amministrativo per un ulteriore decentramento».

Ricordo che la Commissione non ha accettato questo emendamento aggiuntivo non per una ragione di principio, ma in quanto non ritiene che tale specificazione debba essere inserita nel testo costituzionale.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. A me pare che si dovrebbe dire qualche cosa dei circondari, anche perché c’è l’articolo 125 in cui si prevede la costituzione in Regione di Provincie che abbiano più di 500 mila abitanti. Per queste eventuali nuove costituzioni di Regioni il decentramento come avverrà? Creando nuove provincie, oppure mantenendo i vecchi circondari. Ed allora è utile, anzi, direi, è necessario parlarne.

Io voto pertanto a favore dell’emendamento.

CARBONARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. Mi associo all’emendamento proposto dall’onorevole Bubbio e prendo atto della spiegazione data dall’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, in merito a tale emendamento, spiegazione con la quale egli dichiarava che la Regione stessa ha la competenza di legiferare in materia di decentramento comunale ed anche circondariale.

In questo senso, voterò a favore dell’emendamento dell’onorevole Bubbio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Bubbio.

(È approvato – Applausi al centro).

Essendo stato approvato il comma aggiuntivo resta, naturalmente, inteso che si fa riserva di coordinarlo con il comma precedente.

Passiamo al terzo comma. Su questo comma vi è l’emendamento dell’onorevole Micheli alla prima parte, emendamento che la Commissione ha dichiarato di accettare. L’emendamento risulta del seguente tenore:

«Il cambiamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove Provincie sono stabiliti con leggi della Repubblica».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Sulla seconda parte del testo della Commissione così concepito: «su iniziativa della Regione, sentite le popolazioni interessate», vi è l’emendamento presentato dall’onorevole Recca. Onorevole Recca, lo mantiene?

RECCA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’emendamento Recca è così concepito: «su iniziativa dei Comuni interessati, sentita la Regione a cui appartengono».

Lo pongo ai voti.

MONTERISI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTERISI. Mi associo all’emendamento Recca, perché più democratico. Bisogna che l’iniziativa parta non dall’alto, ma dal basso, cioè sono le popolazioni interessate che devono dire se vogliono formare una nuova Provincia, sono i Comuni interessati che devono chiedere al Governo la possibilità di formare una Provincia.

È inoltre da considerare un’altra cosa, che è questa: vi sono vecchie aspirazioni di Provincie che credono di aver avuto lesi i loro diritti dal passato regime. Per questa ragione, che è soprattutto una ragione di giustizia, e per assecondare i desideri delle popolazioni, voterò a favore di questo emendamento.

(L’emendamento Recca è approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’ultimo comma. Il testo della Commissione è del seguente tenore:

«Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi Comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni».

Su questo comma vi è un emendamento dell’onorevole Biagioni, il quale propone che dopo le parole «possono essere istituiti nuovi Comuni» venga inserito l’inciso «purché esistano le condizioni di autosufficienza finanziaria».

La Commissione ha dichiarato di non accettare questo emendamento.

Pongo intanto in votazione la prima parte del comma.

(È approvato).

Porrò adesso in votazione l’inciso condizionale proposto dall’onorevole Biagioni.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Ruini. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mentre per gli altri emendamenti che avevano un’importanza tecnica, la Commissione si è rimessa, per questo insiste perché non sia accolto. Che cosa significa «autosufficienza» per un Comune? Evidentemente si cercherà, quando si istituisce un Comune, che in base alle leggi possa assicurarsi i mezzi sufficienti; ma inserire questa formula, non mi sembra che abbia alcun significato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Moro. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo secondo il testo della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Biagioni.

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’ultima parte del comma nel testo della Commissione.

(È approvata).

Vi è infine un emendamento aggiuntivo degli onorevoli Biagioni e Clerici:

«La legge regola il ritorno ai Comuni dei beni patrimoniali incamerati dallo Stato».

BIAGIONI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Il testo unificato degli articoli 120 e 121, risulta, dopo le votazioni testé fatte, approvato nel seguente testo:

«Le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni.

«Le Provincie e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale.

«Le circoscrizioni provinciali possono essere suddivise in circondari, di carattere esclusivamente amministrativo, per un ulteriore decentramento.

«Il cambiamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove Provincie sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione a cui appartengono.

«Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi Comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni».

(È approvato).

Passiamo all’esame di un articolo aggiuntivo, proposto dall’onorevole Nitti, per il quale sarà poi da indicare il numero o l’incorporamento in altro articolo. L’articolo aggiuntivo è del seguente tenore:

«Le Regioni, per la formazione dei loro uffici, trarranno il personale occorrente dalla Amministrazione dello Stato e da quelle degli enti locali».

L’onorevole Nitti ha già trattato di questo suo emendamento in alcuni suoi interventi precedenti; non so se intenda ancora parlarne.

NITTI. Vorrei dire brevi parole.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Nitti.

NITTI. Faccio notare che adesso, oltre ad un milione e 200 mila impiegati statali, i quali, in buona parte, non sanno cosa fare, abbiamo 200 mila impiegati presso gli enti locali ed un buon numero di impiegati presso amministrazioni parastatali; numero enorme, che supera, in realtà, la nostra efficienza contributiva.

Bisogna cercare di utilizzare questi impiegati, fra cui vi sono uomini di valore.

Perché le Regioni, prima di prendere impiegati estranei all’Amministrazione, non utilizzano gli elementi migliori? La situazione è da considerare sotto questo punto di vista: scelta del personale, secondo la convenienza, fra quello già esperto di amministrazione.

Credo di non dover aggiungere altro argomento, perché mi sembra evidente e penso che anche gli amici più appassionati della Regione non possano dire nulla in contrario.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Circa l’aumento degli impiegati, che è veramente impressionante in Italia, devo dire con sincerità che lo stesso avviene in altri Paesi.

Studiando questo problema, ho notato che in Inghilterra da prima della guerra ad oggi vi è stato un aumento di 900 mila unità; quindi, nella poco burocratica Inghilterra, l’aumento è stato maggiore che in Italia.

È un inconveniente grave, al quale bisogna rimediare. Noi dobbiamo vederlo sotto il riflesso in cui l’ha messo l’onorevole Nitti, per la prima Costituzione della Regione.

Il Comitato accoglie nella sua portata essenziale il concetto dell’onorevole Nitti. Ma fa presente che questo concetto era stato adombrato nell’articolo VIII delle disposizioni transitorie, dove è detto che la legge della Repubblica determina il passaggio di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrale, che si renda necessario in conseguenza del nuovo ordinamento.

Quanto alle Provincie, abbiamo stabilito che la Regione dovrà decentrare il più possibile le sue funzioni attraverso la Provincia; queste avranno quindi ben poca disponibilità di impiegati.

Sono disposto ad accogliere il concetto dell’onorevole Nitti, ma vi sono alcuni limiti. Lo stesso onorevole Nitti ha ammesso, nel suo intervento, che in certi casi si deve poter prendere al di fuori di quegli impiegati che già sono in servizio dello Stato o degli enti locali. Pertanto deve essere temperata la dizione rigida, che egli aveva proposto. Penso che si potrà, a suo luogo, stabilire che quando è necessario, si potrà procedere a nuove assunzioni, nei limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica, alle quali abbiamo accennato nell’articolo, da me già ricordato, contenuto nelle disposizioni transitorie.

L’onorevole Nitti, anche nel suo ultimo intervento, ha detto che la Regione non sorgerà mai; è la sua idea fissa. Ci consenta di ammettere che, come la Costituzione vuole, la Regione nasca e cominci a funzionare. Il precetto di ricorrere, tranne casi eccezionali, soltanto a chi è già impiegato dello Stato o di enti locali può valere per la prima istituzione della Regione. Ma quando essa, contro le prevenzioni dell’onorevole Nitti, funzioni già da tempo, non vi è più ragione di un precetto così assoluto. La norma proposta dall’onorevole Nitti dovrebbe dunque andare piuttosto nelle disposizioni transitorie.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. C’è un precedente. Già abbiamo deliberato che la Regione, normalmente, si avvale degli uffici esistenti nelle Provincie e nei Comuni e quindi non vi sarebbe la necessità dell’emendamento dell’onorevole Nitti. Se mai, si tratterà della nomina di un personale particolare, che non può essere ereditato da altri dal momento che la Regione – secondo un articolo precedente – normalmente si avvale del personale e degli uffici della Provincia. Allora, se è già così, quel resto di burocrazia, che fosse necessaria, evidentemente deve essere di tal natura da corrispondere ai bisogni locali e quindi scelto con criteri diversi da quelli che sono stati suggeriti dall’onorevole Nitti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io, timidamente, ma con convinzione, esprimo il mio dissenso da quanto ha sostenuto l’onorevole Nitti. In questi termini: è un desiderio di tutti evitare che la costituzione di questo nuovo ente dia luogo ad una nuova burocrazia (usando la parola «burocrazia» in un cattivo senso mentre questa parola ha anche un significato buono che non va dimenticato). Però da questa giusta preoccupazione non si deve essere trascinati ad una affermazione che contrasta con quella che sarà la realtà insuperabile ed inoppugnabile del domani.

Con la disposizione proposta si verrebbe a dire che si creano le Regioni, ma che queste non possono assumere nessun impiegato che già non faccia parte dell’Amministrazione statale o dell’Amministrazione provinciale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io ho proposto un emendamento.

TARGETTI. Mi permetta, onorevole Ruini. Questo desiderio poteva essere, se non totalmente, in parte attuabile qualora si fosse abolito l’ente Provincia. Con l’abolizione dell’ente Provincia, la Regione avrebbe avuto da utilizzare un tal numero di funzionari che avrebbe potuto limitarsi all’assunzione di pochi nuovi elementi. Ma oggi che – fortunatamente – la Provincia sopravvive alla Regione, che cosa si spera? Che quel tanto di decentramento statale che potremo ottenere attraverso l’istituzione della Regione porti una diminuzione tale di impiegati statali da poter con questi sopperire a tutti i bisogni che avranno le Regioni? Evidentemente, questo mi sembra un proposito irraggiungibile. Elementi nuovi saranno assolutamente necessari.

Infine, mi permetto un’altra osservazione contro l’inclusione di questo articolo nella Costituzione. Non mi sembra argomento da Costituzione. (Approvazioni). La Carta costituzionale non può occuparsi di questa assunzione di impiegati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio far presente all’onorevole Targetti che egli ha votato l’articolo 8 delle norme transitorie. Le norme transitorie prevedono espressamente il passaggio di funzionari e dipendenti dello Stato alla Regione. Egli certamente ha presente che noi abbiamo attribuito alla Regione delle funzioni che ora ha lo Stato. Dobbiamo lasciare la burocrazia centrale così com’è, o non dobbiamo cercare di scaricarla? Questa possibilità c’è.

Si tratta di una norma transitoria di Costituzione. Siccome noi abbiamo detto che delle leggi particolari determinano il passaggio alla Regione di funzioni che sono dello Stato, e del passaggio di funzionari dello Stato alla Regione, credo che non ci sarebbe niente di male stabilire anche il principio che la Regione deve, nel suo sorgere, avvalersi prevalentemente di questo personale, salvo (e l’ho detto in modo esplicito, onorevole Targetti) stabilire che è possibile che ne assuma dell’altro, quando è necessario.

Bisogna evitare che la Regione, costituita per semplificare, ingrossi la burocrazia. Io accetto l’emendamento Nitti e faccio le seguenti proposte:

1°) di rinviarlo alle norme transitorie;

2°) di ammettere che sia possibile assumere anche dell’altro personale, ove sia necessario.

PRESIDENTE. Dovrò ora porre in votazione la proposta di articolo aggiuntivo dell’onorevole Nitti, salvo poi a determinare, nel caso fosse accettata, il suo inserimento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io proporrei il rinvio alle disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. La sua proposta, onorevole Ruini, è di rinviare anche la decisione al momento in cui si esamineranno quelle norme, oppure di votare rinviando poi a quel momento?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io propongo il rinvio. Ho aggiunta la mia opinione personale, opinione di cui si potrà tener conto al momento opportuno. Ora propongo il rinvio.

PIEMONTE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Io voto contro questo rinvio, appellandomi all’articolo 112, già approvato, il quale dice: «La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative, delegandole alle Provincie, ai Comuni e agli enti locali».

PRESIDENTE. Non ritorniamo ora, onorevole Piemonte, sulla questione di merito.

Pongo allora ai voti la proposta della Commissione di rinvio dell’esame di questo articolo aggiuntivo dell’onorevole Nitti al momento in cui si esamineranno le norme transitorie.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interpellanze ed interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente interpellanza con richiesta di svolgimento urgente:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali siano i motivi di urgenza che lo hanno consigliato ad emanare il decreto 30 giugno 1947, relativo al nuovo ordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, decreto che non offre sufficienti garanzie democratiche, presenta notevoli deficienze tecniche ed è stato emesso senza l’osservanza di precise disposizioni di legge.

«Gli interpellanti chiedono, altresì, per quali ragioni un decreto di tanta importanza, che ha evidenti aspetti costituzionali, sia stato sottratto alla competenza dell’Assemblea Costituente.

«Codignola, Lami Starnuti, Carboni, Lussu».

Io penso, salvo il parere del Ministro della pubblica istruzione, che lo svolgimento di questa interpellanza possa essere abbinato con quello di altra analoga presentata dall’onorevole Lozza ed altri.

A questo proposito, faccio presente che il Ministro della pubblica istruzione, impegnato domattina al Consiglio dei Ministri, ha chiesto di rinviare la discussione dell’interpellanza Lozza-Bernini alla seduta di lunedì.

Credo che, di fronte ai motivi addotti dal Ministro, non vi sia nulla da obiettare. Pertanto lo svolgimento di questa interpellanza – come dell’altra analoga oggi presentata – potrebbe essere fissata per la seduta di lunedì.

BERNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. Quale firmatario della interpellanza Lozza, mi permetto di fare presente che in essa avevamo pregato il Ministro di rinviare le elezioni del Consiglio Superiore indette per il 26 luglio. Se il Ministro si riserva di rispondere soltanto lunedì, sarà sempre minore il tempo a nostra disposizione per poter prendere i provvedimenti del caso, qualora il Ministro rifiuti il rinvio.

Protesto, perché quando nel corso della seduta precedente avevo pregato il Ministro della pubblica istruzione di voler fissare lo svolgimento dell’interpellanza al più presto, egli mi assicurò che sarebbe stata certamente discussa venerdì.

PRESIDENTE. La richiesta di rinvio fattami pervenire dal Ministro Gonella non indica, veramente, per la discussione, la giornata di lunedì; tale indicazione mi è stata fatta a voce.

BERNINI. Pregherei di voler discutere l’interpellanza o venerdì nel pomeriggio o sabato mattina; in ogni modo prima di lunedì, perché sarebbe troppo tardi per le ragioni che ho esposto.

PRESIDENTE. Mi riservo di fare presente al Ministro il desiderio da lei espresso.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Proporrei che la discussione delle interpellanze fosse stabilita in seduta diversa da lunedì per modo che in tal giorno possa aver luogo la discussione sulla mozione riguardante la Sardegna.

«PRESIDENTE. Evidentemente, oggi non è possibile stabilire l’ordine del giorno della seduta di lunedì.

Mi riservavo di far presente ai colleghi che sarebbe utile, nella prossima settimana, fare un’eccezione alla norma consueta di non tenere seduta il lunedì mattina per potere appunto accelerare lo svolgimento dei nostri lavori. Come è noto, vi sarebbe il desiderio di poter chiudere, nel corso della prossima settimana, l’attuale sessione e pertanto lo svolgimento della mozione sullo statuto sardo potrebbe aver luogo senz’altro lunedì se si venisse nella determinazione di fare, come ho detto, seduta anche lunedì mattina.

Comunico che sono pervenute inoltre le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Ai Ministri dell’agricoltura e delle foreste e dell’aeronautica, per sapere se intendano intervenire urgentemente ed efficacemente per combattere la diffusione della lyda, che sta distruggendo i boschi di pini, faticosamente impiantati nell’Appennino centrale nell’ultimo cinquantennio.

«Rivera».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se e quando intenda di provvedere all’assegnazione di terre da coltivare alla popolazione del comune di Campotosto (Aquila), messa alla disperazione ed alla fame da circa sei anni, per perdita del proprio territorio coltivato, a causa della istituzione di un lago artificiale.

«Rivera».

«Al Ministro dei trasporti, per conoscere quali provvedimenti abbia adottato o intenda adottare per andare tempestivamente incontro, attraverso facilitazioni nei trasporti ferroviari, ai bisogni dell’Alta Italia circa l’approvvigionamento della legna da ardere, specie a quelli delle provincie, dei comuni, degli enti ospedalieri e di ricovero e degli enti comunali del consumo, in vista dei contratti di acquisto dagli stessi stipulati nelle Regioni centro-meridionali, stante la grave scarsità di legna nell’Alta Italia, dove, in previsione del consumo invernale, i prezzi della legna sono già fin d’ora divenuti proibitivi per il bilancio familiare delle classi meno abbienti.

«Bulloni, Cappi».

Ha facoltà di parlare il Ministro della difesa.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Assicuro l’onorevole Rivera che, per quanto riguarda l’interrogazione sulla diffusione della lyda nell’Appennino centrale, il mio Ministero ha disposto l’invio di appositi aerei con il compito di cospargere disinfettanti sulla zona infetta.

Per le altre due interrogazioni interesserò i Ministri competenti affinché facciano sapere quando intendono rispondere.

RIVERA. Ringrazio.

FARALLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FARALLI. Vorrei chiedere al Ministro della marina mercantile, anche a nome dell’onorevole collega Barbareschi firmatario con me di una interrogazione allo stesso Ministro, che cosa pensi il Governo circa le dicerie che corrono intorno ad una probabile liquidazione della Finmare.

PRESIDENTE. Nel giorno che verrà fissato per lo svolgimento delle due interpellanze al Ministro della pubblica istruzione, poiché non è pensabile che tutta la seduta debba venir consacrata allo svolgimento stesso, si potrebbe anche fissare lo svolgimento di questa interpellanza degli onorevoli Faralli e Barbareschi.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Ricordo che nella seduta di lunedì è stata rinviata la discussione su due mie interrogazioni urgenti, per le quali il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, onorevole Andreotti, si era dichiarato pronto a rispondere. Chiedo che siano poste all’ordine del giorno della seduta antimeridiana di lunedì prossimo, qualora questa sia dedicata alle interpellanze e alle interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. Sta bene, se ne prenderà nota, onorevole Macrelli.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che vi è una richiesta del Ministro delle finanze, perché si voglia discutere sia nella seduta della mattina come in quella del pomeriggio di domani e poi anche nella seduta di sabato, il disegno di legge sulla patrimoniale, allo scopo di poterne accelerare l’esame.

Poiché è opportuno concludere anche l’esame di questo progetto di legge prima di sospendere i nostri lavori, ritengo che la richiesta del Ministro debba essere accolta.

Propongo pertanto che le due sedute di domani e quella di sabato siano destinate solo alla discussione sulla patrimoniale.

(Così rimane stabilito).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Propongo che si faccia seduta anche domani sera, per proseguire la discussione sulla patrimoniale. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Pongo ai voti questa proposta.

(È approvata).

Domani, allora, si terranno due sedute, alle 10 e alle 17, con l’intesa che la seduta pomeridiana, dopo un intervallo, sarà proseguita nella serata.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e della marina mercantile, per sapere quali provvedimenti intendano prendere per la messa in efficienza con massima urgenza dei piccoli porti in Sicilia – e particolarmente dei piccoli porti pescherecci – che sviluppano una grande attività economico-commerciale.

«Borsellino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare ili Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere nei riguardi di quei dipendenti dell’Università di Perugia (siano essi professori, aiuti, assistenti, ecc.), i quali, in base alle risultanze delle inchieste tecnico-sanitarie, amministrativa ed universitaria, a suo tempo disposte dalle superiori autorità e già concluse, risultino gravemente compromesse nelle malversazioni compiute a danno della Amministrazione degli Ospedali riuniti e Policlinico della su nominata città.

«Vernocchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica), per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per l’assistenza del gran numero di tubercolotici che vivono in provincia di Agrigento, espressione questa delle condizioni di estrema miseria di quelle popolazioni e della mancanza assoluta di sanatori antitubercolari, per cui non possono effettuarsi ricoveri in provincia.

«E per sapere – inoltre – se non intenda provvedere con la costruzione d’urgenza di qualche sanatorio, o con l’adattare altri edifici in condizioni di contingenza.

«Borsellino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non reputa giusto ed opportuno concedere qualche facilitazione – dando disposizioni all’intendenza di finanza di Pavia – per l’esazione di imposte dovute dai coltivatori diretti ed agricoltori dei comuni di Miradolo, Chignolo Po, Inverno ed altri vicini, posti in provincia di Pavia, i quali furono colpiti il 22 giugno ultimo scorso da una furiosa grandinata di cui, a memoria d’uomo, non si ricorda l’eguale e per effetto della quale, specie in Miradolo, andarono distrutti totalmente o quasi i vigneti. Il raccolto dell’uva, non solo risulta per quest’anno definitivamente compromesso per molti piccoli agricoltori, ma si richiederanno spese notevoli per il ripristino delle viti, ed anche per l’anno venturo il reddito risulterà diminuito. D’altronde la vite è la coltura prevalente della zona e quindi le spese occorrenti da una parte ed il mancato ricavo dall’altra, pongono i modesti coltivatori in serie difficoltà finanziarie.

«Come le autorità locali, consapevoli del disagio, hanno concesso agevolazioni per la esazione dei tributi locali, così l’interrogante chiede ali Ministro delle finanze se non ritiene equo provvedere perché l’esazione dei tributi erariali, e, specialmente, dell’imposta patrimoniale proporzionale sia congruamente rinviata almeno per le prossime rate, al fine di permettere ai contribuenti di fare i fondi senza ricorrere ad onerose operazioni patrimoniali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferreri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché sia accertata la notizia secondo la quale il comune di Ravello avrebbe dato inizio ai lavori della progettata strada carrozzabile di allacciamento fra la piazza Vescovado (a pochi metri dall’ingresso della Villa Rufolo) e la piazza Fontana, secondo il primitivo progetto, eludendo le cautele e le modifiche che avrebbero dovuto salvaguardare il complesso incomparabile della villa stessa, secondo le assicurazioni del 24 novembre 1946, a seguito della precedente interrogazione a riguardo.

«L’interrogante chiede che siano precisate le eventuali responsabilità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere, con riferimento alla risposta data ad una precedente interrogazione, risposta della quale l’interrogante non si reputa del tutto soddisfatto:

1°) se non ritenga opportuno, per evitare il deplorato mercimonio nell’assegnazione di tradotte per il trasporto di legna da ardere, pubblicare un elenco col quale si stabilisca un turno di precedenza;

2°) se non ritenga opportuno prendere analoghe misure anche per l’assegnazione di carri ferroviari, per i quali risulta esercitarsi su vasta scala un illecito traffico;

3°) se non ritenga necessario, a salvaguardia dei funzionari onesti, che fortunatamente sono la grandissima maggioranza, affidare ai carabinieri un’indagine sul tenore di vita dei funzionari da cui dipendono le assegnazioni anzidette per accertare se alcuno di essi si sia disonestamente arricchito;

4°) se frattanto non ritenga opportuno preporre al servizio per l’assegnazione delle tradotte e dei carri ferroviari funzionari al disopra di qualunque possibilità di sospetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno adeguare al valore attuale della moneta le polizze rilasciate ai combattenti della guerra 1915-18, elevando cioè le polizze di lire 1000 a lire 15.000 e quelle di lire 5000 a lire 30.000. All’interrogante sembra che, aderendo alla presente richiesta, si compirebbe un atto di alta giustizia verso i valorosi soldati della prima guerra mondiale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere perché si ostina a voler assegnare agli uffici finanziari la casa dell’ex fascio di Viareggio, invece che cederla in uso al Municipio. L’interrogante ricorda che detta casa del fascio fu costruita col contributo dei cittadini e non col denaro dello Stato  e sembra quindi giusto che torni proprietà del popolo di Viareggio, che intende sistemare nell’edificio un ufficio turistico, indispensabile per la vita della città. L’interrogante ricorda inoltre che gli uffici finanziari statali hanno già in Viareggio una sistemazione adeguata e tale da non dover costringere ad occupare un edificio assai più utile, data la sua ubicazione, per lo scopo predetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare a favore dei radianti d’Italia, i quali, in seguito a documentata domanda, hanno avuto un permesso provvisorio di un mese (il solo mese di giugno) per eseguire esperimenti di trasmissioni radiantistiche.

«Tale categoria di studiosi, che ammonta a parecchie migliaia, si è vista vessata dal nefasto regime passato, perché, per quanto la legge 13 agosto 1926, n. 1159, contenesse norme per l’impianto e l’uso di stazioni radioelettriche trasmittenti e riceventi a scopi di esperimento e di studio, in effetto nessuna licenza è stata mai concessa. Ora, in regime democratico e di libertà, si vedono trascurati e anche il recentissimo decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 2 aprile 1947, n. 428, non si interessa per nulla di dette stazioni radioelettriche trasmittenti a scopo di esperimento e di studio.

«È strano che in Italia, a differenza di tanti altri Stati, si continui una forma di ostracismo non giustificata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere i motivi dei ritardi frapposti dai competenti uffici del Ministero nell’espletamento delle pratiche concernenti l’applicazione delle leggi sul credito agrario e particolarmente di quelle che trattano i seguenti argomenti:

1°) da alcuni anni la liquidazione dei contributi statali sui mutui di miglioramento agrario, ammessi al beneficio del concorso dello Stato nel pagamento degli interessi con regolari pareri dei competenti Ispettorati agrari compartimentali e concessi in base a deliberazioni regolarmente approvate dal Ministero, viene, in numerosi casi, sospesa, sebbene i lavori siano stati eseguiti e collaudati dagli Ispettorati agrari anzidetti. Ciò perché sembra che gli uffici preposti alla liquidazione dei detti contributi non siano d’accordo nel definire quali siano le opere, e particolarmente i fabbricati rurali che, in base all’articolo 43 della legge sulla bonifica integrale, possono essere ammessi al beneficio del contributo statale. Il parere tecnico degli Ispettorati agrari e l’interpretazione che del citato articolo 43 è stata uniformemente data anche da parte di coloro che provvidero, a suo tempo, alla formulazione dell’articolo medesimo, avrebbero dovuto far superare qualsiasi incertezza, mentre invece perdura da anni una sospensiva senza dichiarato motivo nel pagamento della quota dovuta per tali operazioni dal Ministero dell’agricoltura, con evidente danno per gli interessati e con grave perturbamento al funzionamento di questa particolare branca di credito;

2°) con l’articolo 3 del decreto legislativo presidenziale 22 giugno 1946, n. 33, è stata disposta la revoca del contributo statale in caso di estinzione dei mutui di ricostruzione e di miglioramento, prima che sia trascorso un quinquennio dalla data d’inizio dell’ammortamento.

«Questa norma che determina una ingiusta sperequazione tra coloro che, per l’esecuzione di opere di miglioramento, disponendo di mezzi propri, possono ottenere un contributo in capitale e coloro che per il raggiungimento delle stesse finalità debbono ricorrere al credito, si vorrebbe applicare anche ai mutui stipulati sotto l’impero di disposizioni che prevedevano e consentivano l’assoluta libertà di affrancare anticipatamente i mutui, rendendo, per tal modo, retroattiva la disposizione stessa, in contrasto con tutti i principî generali del diritto e delle norme che regolano l’applicazione e la interpretazione delle leggi.

«Nel segnalare l’urgente necessità di una precisazione circa l’inapplicabilità della norma anzidetta ai mutui stipulati anteriormente all’emanazione del citato decreto legislativo presidenziale 22 giugno 1946, n. 33, si chiede che la predetta disposizione dell’articolo 3 sia abrogata in quanto questa, oltre ad appesantire il sistema dei mutui agrari, già di per sé ponderoso e costoso, contrasta con le esigenze non solo della vita e del necessario avvicendarsi dei rapporti giuridici, finanziari ed economici, ma anche con le esigenze degli Istituti mutuanti che trovano negli anticipati rimborsi di capitale mutuato un sollievo alle gravi difficoltà che debbono superare per procurarsi i mezzi, oggi ingentissimi, occorrenti per rispondere alle richieste degli agricoltori, ansiosi di ricostruire ed incrementare l’agricoltura italiana.

«Sulle dette richieste, avanzate da quasi un anno, si chiede di conoscere il pensiero dell’onorevole Ministro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, perché si compiacciano far conoscere il proprio divisamento sui punti di cui appresso:

1°) estensione – ai soli fini del godimento dello speciale trattamento economico di cui all’articolo 5 del regio decreto-legge 14 maggio 1947, n. 384 – anche agli ufficiali generali del beneficio dell’elevazione dei limiti di età, già previsto nello stesso articolo 5 per gli ufficiali superiori.

«Al riguardo si osserva che per gli ufficiali generali, mancando per essi un ruolo mobilitazione, l’adeguamento potrebbe esser fatto rispetto ai limiti di età fissati per i corrispondenti gradi dei ruoli servizio, il cui riferimento non sarebbe una innovazione in quanto è già contemplato nell’ultimo comma del predetto articolo 5;

2°) adeguamento del trattamento economico summenzionato agli aumenti di stipendio concessi successivamente al 16 giugno 1946 (su questo punto l’interrogazione è rivolta in particolare al Ministro del tesoro);

3°) estensione dell’uso del libretto ferroviario agli ufficiali collocati nella riserva, in applicazione del citato decreto sullo sfollamento dei quadri per il tempo in cui tali ufficiali godono dello speciale trattamento economico previsto in detto decreto;

4°) adeguamento all’attuale costo della vita dell’indennità di riserva prevista dall’articolo 48 della legge 9 maggio 1940, n. 369, la quale indennità, se in un primo tempo aveva una effettiva consistenza, oggi ne ha una del tutto irrisoria (anche su questo punto la interrogazione è rivolta in particolare al Ministro del tesoro). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere come intenda risolvere la pratica, da lungo tempo pendente, per la nazionalizzazione del Museo di Reggio Calabria, tenuto presente che da molti mesi è stata stipulata una convenzione fra lo Stato ed il comune di Reggio e che è urgente per la vita stessa di quel Museo troncare ogni incertezza sul suo avvenire. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere:

  1. a) se intende eliminare il contrasto risultante dal criterio adottato nell’ordinanza ministeriale n. 6790 del 31 maggio 1947, circa ha valutazione del servizio provvisorio prestato nei corsi di avviamento professionale – considerato nella sola durata – e di quello, anch’esso provvisorio, dell’ordine elementare, considerato invece nella durata e nella qualità, in modo che non si determini una condizione di privilegio di una categoria ai danni dell’altra, trattandosi dello stesso ordine di scuola e non essendovi sostanziale differenza ai fini della classificazione annuale di merito;
  2. b) se nei prossimi bandi di concorso, per conferimento di cattedre in tutti gli ordini di scuola, sia stata tenuta presente la speciale categoria dei cennati insegnanti non di ruolo incaricati nei corsi di avviamento in base ad annuale selettiva graduatoria e siano state o siano per essere emanate a favore della stessa provvidenze intese a facultarne l’immissione nel ruolo, tenendo presente che l’insegnamento delle materie di cultura generale nei corsi è stato sempre demandato ad insegnanti elementari di ruolo, in base alle leggi 7 gennaio 1929, n. 8; 22 aprile 1932, n. 490; regio decreto-legge 22 dicembre 1932, n. 1964; 27 gennaio 1933, n. 153 e 29 giugno 1933, n. 1015, o ad insegnanti elementari non di ruolo incaricati anno per anno;
  3. c) se intende disporre in ogni caso, come appare equo, che la cennata attività scolastica prestata nei corsi di avviamento, in via di incarico annuale, sia equiparata senza alcuna disparità a quella provvisoria espletata nell’ordine elementare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.35.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Svolgimento di una interrogazione.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947 n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 17 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 17 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

Presidente

Crispo

Cappi

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Bonomi Paolo

Corbino

Tosi

Scoca

De Mercurio

Bosco Lucarelli

Pesenti

De Vita

Dugoni

Micheli

Jacini

Arcaini

Chiostergi

Zerbi

Caroleo

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 10.35.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Avverto l’Assemblea che è pervenuta alla Presidenza una proposta di sospensiva che porta la firma dell’onorevole Crispo e di altri 15 colleghi, numero prescritto dall’articolo 93 del Regolamento, il quale stabilisce appunto:

«La questione sospensiva, quella cioè che rinvia la discussione, e la questione pregiudiziale, quella cioè che un dato argomento non si abbia a discutere, possono essere proposte da un singolo deputato prima che si entri nella discussione della legge; ma, quando questa sia già principiata, devono essere sottoscritte da 15 deputati. Esse saranno discusse prima che s’entri o che si continui nella discussione; né questa si prosegue, se prima la Camera non le abbia respinte.

«Due soli deputati, compreso il proponente, potranno parlare in favore e due contro».

Dovrò ora controllare la presenza dei firmatari della proposta di sospensiva.

CRISPO. Mi perdoni, onorevole Presidente, non mi pare che il Regolamento, per questa questione, richieda la presenza dei sottoscrittori. Il Regolamento, a proposito di emendamenti e di altre questioni, richiede la presenza dei firmatari, ma nell’articolo 93 non si trova alcuna disposizione che imponga la presenza dei sottoscrittori.

PRESIDENTE. Ad ogni modo, la presenza è certamente richiesta, perché evidentemente, si deve controllare tra l’altro anche l’autenticità della firma, e questo può farsi soltanto se il deputato è presente e risponde positivamente.

È quindi necessario, onorevole Crispo, fare questa constatazione.

(Segue l’appello dei firmatari).

Comunico all’Assemblea che dall’appello dei firmatari risulta che la presenza dei quindici deputati prescritti non è stata constatata.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Se permette, signor Presidente, vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla disposizione precisa dell’articolo 93.

Invano si cercherebbe, signor Presidente, onorevoli colleghi, nell’articolo 93, o negli articoli successivi del Regolamento una qualunque norma che imponesse la presenza nell’Aula dei sottoscrittori dell’ordine del giorno col quale si solleva la questione pregiudiziale.

Lei è di parere contrario, ma io mi permetto di farle notare, signor Presidente, che, a proposito delle altre questioni e a proposito degli emendamenti, il Regolamento prescrive che i sottoscrittori debbano essere presenti a pena di decadenza; sicché potremmo invocare il noto principio che dove la legge volle disse, dove non volle tacque; perché si tratterebbe di una norma restrittiva dell’esercizio d’un diritto. Innegabilmente, senza la norma espressa, non si può dire che occorra la presenza, perché questa presenza mancata si risolverebbe in un divieto di discutere la questione sollevata. Ora, quale è questa norma? Né mi pare che invocare una prassi contro la mancanza di una norma specifica possa essere ammesso; ed inoltre occorrerebbe che si documentasse in quali casi simiglianti si è ricorso a questa prassi.

Quindi, a mio modesto avviso, interpretando e la lettera e lo spirito della legge, basta la sottoscrizione dell’ordine del giorno senza che sia richiesta la presenza.

Il signor Presidente ha fatto un’osservazione: ha detto che la presenza potrebbe, se non altro, essere richiesta per il controllo dell’autenticità delle firme. Non credo che si possa sollevare una questione di questo genere. Se io, che ho presentato l’ordine del giorno, dichiaro che personalmente ho raccolto le firme dei sottoscrittori, non mi pare che si possa sollevare una questione di questo genere.

PRESIDENTE. Mi rimetterò al giudizio dell’Assemblea intorno alla necessità o meno della presenza dei sottoscrittori della domanda di sospensiva. Ma faccio osservare all’onorevole Crispo che v’è nell’articolo stesso del Regolamento l’indicazione di quella che poi è stata la prassi alla quale mi richiamo.

Basta leggere l’articolo. Esso dice che prima che si inizi la discussione basta la richiesta di un deputato; durante la discussione – il che implica la presenza di deputati – è necessario che la pregiudiziale sia sottoscritta da quindici deputati. Evidentemente quindici deputati devono essere presenti durante la discussione. Lei, onorevole Crispo, ha garantito l’autenticità delle firme, e un’affermazione di questo genere non si mette in dubbio. Ma è evidente che il deputato potrebbe aver mandato anche per lettera la sua adesione alla pregiudiziale; e allora il deputato è assente e non presente. Mi pare quindi che la sua interpretazione non sia giusta.

CRISPO. Per non lasciare senza risposta la sua acuta osservazione, mi permetto di rilevare questo: che la differenza tra il momento iniziale, nel quale la questione sia sollevata, e il momento intermedio del corso della discussione non attiene alla questione da noi sollevata. Il pensiero del Regolamento è chiaro: basterà la firma di un solo deputato; un solo deputato può sollevare questa questione. È evidente invece che se la discussione è in corso, il Regolamento non si accontenta della volontà di un solo deputato, ma esige come condizione che almeno quindici deputati, per la importanza che la questione assume nel corso della discussione, presentino la richiesta.

Ad ogni modo ritiro la domanda, riservendomi di ripresentarla in altro momento.

PRESIDENTE. Proseguiamo allora nell’esame degli emendamenti ai vari articoli.

Siamo all’articolo 33. Se ne dia lettura nel testo del Governo, accolto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per quanto riguarda i cespiti, la dichiarazione deve indicare:

  1. a) per i terreni – compresi i fabbricati rurali – il comune e la località in cui sono situati, il numero e la intestazione della partita catastale, la superficie, le colture, il reddito imponibile ai fini dell’imposta terreni e, se il terreno è dato in fitto, il canone e le generalità dell’affittuario;
  2. b) per i fabbricati, il comune in cui sono situati, la via ed il numero civico, la destinazione, il numero dei piani e dei vani, il reddito imponibile ai fini della imposta sui fabbricati.

«Per i terreni e fabbricati acquisiti dopo il 10 giugno 1940, deve indicarsi anche il titolo di acquisto;

  1. c) per i censi, canoni, livelli ed altre prestazioni di carattere perpetuo, il titolo costitutivo, le generalità del debitore e l’ammontare annuo;
  2. d) per le miniere, cave, torbiere, saline, tonnare, laghi e stagni da pesca, il comune e la località in cui sono situati, le attrezzature fisse e gli strumenti;
  3. e) per le opere in corso di costruzione, l’ubicazione, lo stato di avanzamento dei lavori alla data del 28 marzo 1947 e il capitale investito;
  4. f) per le aree fabbricabili, il comune in cui sono situate, il numero e l’intestazione della partita catastale, l’ubicazione, l’estensione e le condizioni dell’area e le eventuali opere in essa eseguite;
  5. g) per le aziende industriali e commerciali, la elencazione dei diversi elementi, attivi e passivi, che le compongono, come il macchinario, le attrezzature, i mobili, gli arredamenti, i crediti, i brevetti ed altri titoli di privativa, i titoli che fanno parte dell’azienda, secondo le risultanze dell’inventario, aggiornato alla data del 28 marzo 1947 od, in mancanza, di un inventario da redigersi ai fini del presente decreto. Le esistenze di magazzino devono risultare da inventario separato ed analitico, con l’indicazione della qualità, quantità e prezzo unitario per ogni tipo di merce;
  6. h) per le quote di partecipazione in società, la denominazione e la sede della società;
  7. i) per i titoli pubblici e privati, la indicazione, per ogni tipo di titoli, dell’ente emittente, della qualità, del taglio e del numero;
  8. l) per i depositi e conti presso istituti di credito e casse postali, l’ente depositario, gli estremi del deposito o conto ed il saldo alla data del 28 marzo 1947;
  9. m) per i crediti, il titolo costitutivo, l’ammontare, anche, se scaduto, da esigere alla data del 28 marzo 1947, le generalità ed il domicilio del debitore, con la specificazione delle eventuali circostanze di fatto che ne lascino presumere la perdita totale o parziale;
  10. n) per ogni altro cespite non elencato nel presente articolo, la consistenza, le caratteristiche ed ogni altro elemento necessario od utile per la sua identificazione.

Un primo emendamento, proposto dall’onorevole Bonomi Paolo, è così concepito:

«Sostituire la lettera a) con la seguente:

  1. a) per i terreni – compresi i fabbricati rurali – il comune e la località in cui sono situati, la intestazione della partita catastale, la superficie, se il terreno è dato in fitto, il canone e le generalità dell’affittuario».

Questo emendamento dell’onorevole Bonomi è stato già svolto.

Altri tre emendamenti, alle lettere a), b) ed i) sono stati presentati dall’onorevole Cappi, ed altri. Gli emendamenti sono del seguente tenore:

«Alla lettera a), sopprimere le parole: le colture, il reddito imponibile ai fini dell’imposta terreni e, se il terreno è dato in fitto, il canone e le generalità dell’affittuario».

«Alla lettera b), sopprimere le parole: il reddito imponibile ai fini dell’imposta sui fabbricati».

«Alla lettera i), sopprimere le parole: della qualità, del taglio e del numero».

Cappi, Perlingieri, Tosato, Uberti, Quarello, Montini, Di Fausto, Balduzzi, Valenti, Coppi, Bulloni.

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgere gli emendamenti.

CAPPI. Sembrano emendamenti piccoli, ma hanno la loro importanza. Non avrei insistito se non avessi saputo ufficiosamente che la Commissione ha dichiarato di non accettarli.

In Italia le tasse non sono molto volentieri pagate. Bisogna cercare almeno di rendere meno difficile ai contribuenti questo adempimento del loro dovere.

Per i terreni, richiamo l’attenzione sull’obbligo di denunciare le colture delle singole particelle catastali e il reddito imponibile. Chi per pratica professionale ha visto un atto di acquisto, si accorge che ci sono qualche centinaia di particelle catastali che hanno la loro denominazione: arborato, seminativo, ecc. Intendiamoci bene, specificazioni che molte volte non rispondono, per le modificazioni intervenute nelle colture, alla realtà.

Ora, domando, costringere un medio, un piccolo proprietario ad andare magari all’archivio notarile per pescare il vecchio atto di acquisto, oppure andare al catasto per indicare particella per particella la qualità della coltura ed il reddito imponibile, mi sembra una fatica eccessiva inutile.

Dato il sistema di accertamento, che è accertamento tecnico, presuntivo, essendo la Commissione catastale che determinerà il valore dei terreni, zona per zona, insisto su questo emendamento con il quale propongo di sopprimere le generalità dell’affittuario. Però su questo capisco che non è una grande fatica e si potrebbe anche lasciare, perché poco male, mettere il nome dell’affittuario.

Per i fabbricati vorrei sopprimere, per le stesse ragioni di semplificazione, la specificazione del reddito imponibile, in quanto esso varia. Per essere sinceri, si dovrebbe costringere ad andare negli uffici finanziari. È una fatica inutile, quindi insisto sul mio emendamento.

Per quanto riguarda l’emendamento alla lettera i) non capisco la notizia dell’opposizione della Commissione. Si dice che per i titoli azionari bisogna specificare la qualità, il taglio ed il numero.

Quanto alla qualità delle azioni posso consentire, perché vi sono azioni privilegiate, ordinarie, ecc. le quali hanno un valore diverso. Quindi è giusto che il contribuente dichiari, se sono di una o di un’altra qualità, ma per il taglio, che cosa interessa al fisco se uno ha cento azioni Fiat in un certificato solo o le ha in dieci certificati da dieci azioni? A me pare che si potrebbe sostituire una dizione molto semplice «denuncia della quantità e della qualità delle azioni»; questa la capisco.

PRESIDENTE. Però il suo emendamento è soppressivo. Lei non ha fatto un emendamento modificativo.

CAPPI. Sostituire la dizione con questa ora enunciata.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Mercurio, così formulato:

«Tra le lettere b) e c), dopo la parola: acquisto, aggiungere: la composizione e il presuntivo valore delle scorte del fondo, bestiame, macchinari, attrezzi di qualsiasi natura, ecc.».

Non essendo presente l’onorevole De Mercurio, decade dal diritto di svolgere il suo emendamento.

Il Relatore onorevole La Malfa ha facoltà di esporre il pensiero della Commissione sugli emendamenti presentati.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non ha difficoltà a sopprimere qualcuna delle indicazioni contenute nella lettera a), per esempio il numero catastale, la superficie, anche le colture.

Quanto al reddito imponibile, la Commissione non può aderire alla proposta del presentatore dell’emendamento, perché siccome c’è una liquidazione provvisoria di imposta, occorre che gli uffici finanziari abbiano questa indicazione per risparmiare la revisione di tutte le dichiarazioni. D’altra parte noi non crediamo che la denuncia del reddito imponibile si rilevi dall’ultima cartella esattoriale. Quindi per quanto riguarda il reddito imponibile sia per i terreni, sia per i fabbricati, la Commissione pregherebbe di non insistere nell’emendamento.

L’emendamento De Mercurio non può essere accettato perché la valutazione delle scorte viene fatta per mezzo di coefficienti. Non si può inserire una disposizione per cui si devono denunciare le scorte a partire dal 10 giugno 1940, senza turbare il sistema generale di accertamento delle scorte.

Per quanto riguarda la lettera i), mi pare che il numero non significhi quello che contraddistingue l’azione; significa la quantità. Accogliendo in parte l’emendamento dell’onorevole Cappi, si potrebbe quindi dire: «qualità, quantità e taglio».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Per semplicità mi associo alle conclusioni del Relatore, sottolineando che, quando si parla di numero di azioni, per quanto riguarda la lettera effettivamente si vuol fare riferimento alla quantità delle azioni. Per quanto riguarda il taglio, l’indicazione non è indispensabile: però, siccome penso che non vi sia grande difficoltà ad apporla, prego l’onorevole Cappi di non insistere per la soppressione.

L’indicazione del taglio può rappresentare una difficoltà solo quando il contribuente, al momento della dichiarazione, non abbia sottomano materialmente i titoli, cioè, quando questi siano a dossier presso una banca o a deposito. Vorrei si tenesse presente che si tratta di un complesso di indicazioni, che si raccomandano, sovrattutto, alla diligenza del dichiarante, in quanto non esiste un sistema di sanzioni per l’ipotesi che manchi qualcuno di questi elementi

Per quanto riguarda le modifiche richieste alla lettera a), preferirei, onorevole Relatore, che venisse mantenuta la indicazione della coltura, non quale risulta dai registri catastali, ma quale è in realtà. Ciò significa assicurare due vantaggi: primo, facilità per il contribuente di dichiarare, perché non si tratta di andare a cercare nei registri catastali, ma di indicare la realtà: secondo, fornire il mezzo all’Amministrazione finanziaria per rintracciare le differenze fra risultanze catastali e colture effettive

In ogni modo, per semplicità, mi rimetto alle conclusioni del Relatore.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione sugli emendamenti.

L’onorevole Bonomi insiste nel suo emendamento?

BONOMI PAOLO. Accetto le conclusioni del Relatore.

PRESIDENTE. Si contenta della soppressione del «numero»?

BONOMI PAOLO. Del «numero» e delle «colture». Rinunzio alla soppressione delle parole «del reddito imponibile, ai fini dell’imposta terreni».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei pregare l’onorevole Ministro di non insistere nella richiesta delle «colture», per una ragione di principio generale di finanza. È canone fondamentale della finanza di non ostacolare le trasformazioni fondiarie per un certo periodo di tempo. Se noi oggi assegniamo un terreno alla classe corrispondente alla coltura attuale, che può rappresentare un progresso rispetto alla coltura di 4-5 anni fa, veniamo ad infrangere questo canone fondamentale che non è soltanto di finanza, ma anche di economia agraria.

Ecco perché ritengo che ai fini della determinazione del valore del terreno, debbono essere prese le colture risultanti dal catasto. L’Amministrazione si aggiorni col catasto.

Non creiamo un precedente così grave, che, per dare una piccolissima frazione d’imposta allo Stato, crea uno stato di incertezza, che, secondo me, è lesivo al progresso dell’economia agraria italiana.

Quindi, faccio mio, qualora il proponente lo ritiri, l’emendamento relativo alle colture. E se il Ministro insiste, io voterò a favore dell’emendamento.

LA MALFA, Relatore, Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione deve ritornare sull’articolo 12, che forse chiarisce il problema: e vorrei sentire dal Governo che interpretazione dà di questo articolo che dice

«Contro le valutazioni dei terreni eseguite dagli uffici distrettuali delle imposte dirette, coi coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti la non corrispondenza dei fondi alla qualità di coltura risultante dal catasto. Gli uffici distrettuali delle imposte possono, a loro volta, rettificare le risultanze catastali, quando esse non corrispondano alla qualità di coltura, salvo il diritto del contribuente di ricorrere, contro la rettifica, alle Commissioni suddette».

Quindi c’è possibilità di revisione, sia per parte dell’Amministrazione, che in favore del contribuente. Evidentemente la richiesta della indicazione di coltura è in relazione a questo articolo e chiedo appunto al Governo di dare un chiarimento al riguardo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELEA, Ministro delle finanze. Quando pregavo, un momento fa, di mantenere la parola: «le colture» e ne indicavo le ragioni, indirettamente rispondevo e risolvevo la domanda che pone ora l’onorevole Relatore.

Il terreno deve essere colpito nella sua consistenza colturale al 28 marzo 1947, quindi non potrei accedere all’ordine di idee dell’onorevole Corbino, che desidera che si faccia riferimento alla coltura, così come risulta dal catasto. La coltura che deve essere presa in considerazione è quella del 28 marzo 1947, ed è per questo che vorrei pregare l’onorevole Bonomi di non insistere per la soppressione delle parole «le colture», dato che costituiscono una indicazione essenziale per poter arrivare ai controlli necessari ed alla valutazione definitiva.

Se l’onorevole Bonomi insistesse nel voler sopprimere le parole «le colture», non potrei che dare parere contrario al suo emendamento; se invece egli non insiste per la soppressione di queste parole, l’emendamento ha il parere favorevole del Governo

PRESIDENTE. Onorevole Bonomi, insiste nel suo emendamento, anche per la soppressione delle parole «le colture»?

BONOMI PAOLO. Insisto nell’emendamento, anche per quanto riguarda la soppressione delle parole «le colture».

PRESIDENTE. Porrò allora in votazione l’emendamento dell’onorevole Bonomi Paolo alla cui ultima parte si è associato l’onorevole Corbino.

Prego l’onorevole Bonomi Paolo di voler formulare definitivamente il suo emendamento.

BONOMI PAOLO. Il mio emendamento consiste nella soppressione, alla lettera a), delle parole: il numero, la superficie, le colture.

CORBINO. Ma togliendo l’indicazione del numero, si viene a togliere il solo elemento che indica la partita agli effetti del catasto, perché ogni partita ha un numero.

BONOMI PAOLO. Vorrebbe obbligare i contadini ad andare dal notaio a cercarsi i loro numeri?

TOSI. Ma si tratta del numero catastale di ogni particella, non del numero della partita, onorevole Corbino

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Volevo dichiarare, anche a nome dei colleghi di Gruppo, che non possiamo accettare la soppressione dell’indicazione delle colture, perché, se ciò facessimo, ci metteremmo in contrasto col contenuto di una disposizione che abbiamo già approvato.

D’altra parte, volevo osservare all’onorevole Corbino che, è vero che è un principio di economia finanziaria e di economia agraria quello che egli ha menzionato: però noi ci troviamo di fronte ad una imposta straordinaria, che si esige una volta tanto. Quindi, il ricordato principio non resta vulnerato nella legislazione ordinaria.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Bonomi, cioè la soppressione, nella lettera a) delle parole: il numero la superficie, le colture.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

LA MALFA, Relatore. Poiché la Commissione ha accettato alcune soppressioni, prego il Presidente di mettere ai voti la soppressione delle parole: «il numero» e «la superficie».

PRESIDENTE. Pongo ai voti tale soppressione.

(È approvata).

L’emendamento dell’onorevole Cappi alla lettera a) si intende assorbito.

Passiamo alla lettera b) sulla quale vi è un emendamento dello stesso onorevole Cappi, per il quale la Commissione ha espresso parere contrario.

CAPPI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Volevo un chiarimento dalla Commissione e dal Governo. Vi sono i fabbricati esenti da imposta e per i quali il reddito imponibile non esiste. Bisognerebbe quindi che si trovasse un sistema di farli accertare d’ufficio oppure, di farli concordare fra il contribuente e l’Ufficio delle imposte.

LA MALFA, Relatore. C’è l’ultimo comma dell’articolo 34.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero far presente che la maggior parte dei fabbricati esenti da imposta hanno un reddito netto imponibile, già determinato e iscritto al catasto, con l’annotazione «esente per venticinque anni» o soggetto a tassazione graduale. Esiste, però, un residuo di fabbricati esenti da imposta che non hanno ancora avuto l’accertamento del reddito, e per questi è valida l’osservazione dell’onorevole Corbino.

Vuol dire che in questo caso non si può indicare il reddito, perché non è stato determinato.

CORBINO. Io mi preoccupo del fatto che, siccome la maggioranza dei fabbricati che si trovano in queste condizioni hanno degli imponibili elevati, noi caricheremo gli Uffici catastali di una richiesta di notizie che essi non saranno in grado di assolvere. Bisognerebbe perciò mettere il contribuente in grado di fare comunque la denuncia, salvo ad integrarla coi documenti del catasto.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Mercurio così formulato:

«Tra le lettere b) e c), dopo la parola: acquisto, aggiungere: la composizione e il presuntivo valore delle scorte del fondo, bestiame, macchinari, attrezzi di qualsiasi natura, ecc.».

La Commissione ha espresso parere contrario. L’onorevole De Mercurio mantiene il suo emendamento?

DE MERCURIO. Desidero far presente che la Commissione ha ritenuto che la dizione da me proposta facesse parte dell’ultimo comma lettera b) dell’articolo 33, e che quindi non si riferisse a quei terreni e fabbricati di cui si tratta. La Commissione ha ritenuto che io volessi aggiungere l’emendamento a questo comma, mentre io desidero che esso formi un articolo a sé stante, ed allora il mio emendamento cambierebbe fisionomia. In questo caso la Commissione dovrebbe riesaminare se fosse possibile accoglierlo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa.

LA MALFA, Relatore. Se non ho inteso male, l’onorevole De Mercurio vorrebbe che si facesse un accertamento diretto delle scorte e quindi che ci fosse una dichiarazione originaria della consistenza delle scorte medesime, mentre, così come è stato redatto l’emendamento, si tratterebbe di una dichiarazione di scorte relative ai contratti fatti dopo il 10 giugno 1940.

Ora, alla proposta dell’onorevole De Mercurio, osta la disposizione dell’articolo 9, già approvato, relativamente al secondo comma. La ragione per cui gli uffici finanziari applicano il coefficiente per le scorte, è la difficoltà dell’accertamento diretto delle scorte dei terreni. Si tratterebbe quindi di ritornare sull’articolo 9 e di cambiare tutto il sistema. La Commissione prega l’onorevole proponente di non insistere.

DE MERCURIO. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Cappi ed altri, che – come l’Assemblea ricorda – è così formulato:

«Alla lettera i), sopprimere le parole: della qualità, del taglio e del numero».

La Commissione ha proposto di sopprimere le parole «e del numero» e di adottare invece la seguente dizione: «della qualità, della quantità e del taglio». Il Governo ha espresso parere favorevole a questa proposta.

Pongo pertanto ai voti l’emendamento dell’onorevole Cappi, con la modifica proposta dalla Commissione e accettata dal Governo.

(È approvato).

L’articolo 33 risulta pertanto approvato con gli emendamenti testé votati.

Passiamo ora all’articolo 34. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ai fini della liquidazione provvisoria, i cespiti assoggettati all’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947 possono essere dichiarati per un valore non inferiore a quello iscritto nei ruoli dell’imposta medesima, anche se l’iscrizione è stata operata al nome di altre persone, in conformità a quanto disposto negli articoli 3, 4, 5 e 14 del regio decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100, e negli articoli 3 e 4 del presente decreto.

«I terreni non assoggettati ad imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947 possono essere dichiarati per un valore non inferiore a quello ottenuto dalla capitalizzazione al 100 per 5 del reddito risultante dalla revisione disposta con regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, moltiplicato per 10.

«I fabbricati non assoggettati ad imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947 possono essere dichiarati per un valore non inferiore a quello risultante dalla capitalizzazione al 100 per 5 del reddito catastale, moltiplicato per 5».

PRESIDENTE. Al primo comma, l’onorevole Bosco Lucarelli propone il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ai fini della liquidazione provvisoria, i cespiti assoggettati all’imposta ordinaria sul patrimonio saranno denunziati al valore al 1° luglio 1940 maggiorato di 10 volte per i terreni e di 5 volte per i fabbricati».

L’onorevole Bosco Lucarelli ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Il mio emendamento tende a chiarire una posizione di fatto.

Come tutti sanno, questo articolo, come l’articolo 68, si fonda sull’imposta ordinaria patrimoniale che fu istituita con decorrenza primo luglio 1940.

Nel 1943, per il triennio 1944-46, fu stabilito, dal decreto-legge 24 giugno 1943, che si sarebbe dovuta conservare, come norma di tassazione, la media del valore venale del triennio 1937-39. Ora, se è esatto quello che mi è stato riferito, in molti uffici distrettuali, in base a questa disposizione, non fu fatto nessun aumento. Quindi, nel triennio 1937-39, furono riprodotti come imponibili i valori del triennio precedente. Viceversa, in altri uffici distrettuali delle imposte dirette, come quello di Benevento, fu nel 1944 proceduto ad una rivalutazione dell’imponibile, moltiplicando per quattro e per cinque volte l’imponibile del triennio 1937-39, di modo che, quando colla nuova disposizione del decreto legislativo 31 ottobre 1946 è stata stabilita una maggiorazione del 10 per cento sui terreni e del 5 per cento sulle case, questa maggiorazione è avvenuta non sull’accertamento e sull’imponibile del 1940, che si riportava al 1936-39; ma viceversa è avvenuta sul reddito già maggiorato di quattro volte. Per cui, attualmente, almeno nell’ufficio distrettuale delle imposte di Benevento, quello che era stato l’imponibile dell’imposta patrimoniale al 1° luglio 1940, risulta moltiplicato per quaranta volte per i terreni e per venti volte per le case.

Io ho fatto presente ai vari Ministri delle finanze questa posizione di fatto, per cui l’imposta ordinaria sul patrimonio del 1947, almeno nel distretto di Benevento, è pagata su questa base e siccome non vi è stato l’avviso ai contribuenti – ma questi hanno avuto notizia attraverso l’avviso dell’esattore – molti contribuenti, avuto l’avviso dell’esattore, si sono resi parte diligente recandosi all’Ufficio distrettuale delle imposte, che tuttavia ha sconsigliato qualsiasi reclamo, dichiarando che era un’applicazione tassativa di norme di legge.

Ora, per evitare questa sperequazione, se effettivamente vi è stata, ed anche per avere un criterio certo di valutazione io mi ero permesso di proporre questo emendamento, il quale chiarisce in maniera certa per tutti i contribuenti italiani quale dev’essere l’imponibile base da moltiplicarsi per dieci e per cinque, per assodare quella che è l’imposta ordinaria del 1947, su cui si basa l’imposta straordinaria proporzionale e anche quella progressiva per la denunzia, che deve fare il contribuente. Per la progressiva questo ha un’importanza molto relativa perché si tratta di una norma di denunzia, ma per quella che viceversa è la proporzionale evidentemente la cosa è diversa, perché la proporzionale ha un valore assoluto e quindi, per l’articolo 68, ha anche una maggiore influenza.

Chiedo pertanto i necessari chiarimenti all’onorevole Relatore della Commissione e all’onorevole Ministro.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole La Malfa a esprimere l’avviso della Commissione sull’emendamento.

LA MALFA, Relatore. Esiste effettivamente la questione sollevata dall’onorevole Bosco Lucarelli, nel senso che, nell’iscrivere l’imponibile ai fini dell’imposta straordinaria proporzionale, sono avvenute, applicando i coefficienti 10 e 5, delle sperequazioni in quanto molte volte la finanza aveva già per suo conto riveduto molti valori che sono venuti per tal modo ad essere rivalutati eccessivamente.

Mi pare tuttavia che l’onorevole Ministro abbia già dato assicurazioni in proposito assai precise, promettendo che saranno riveduti tutti i redditi e tutti gli imponibili sotto questo riguardo. Io credo, ad ogni modo, che si possa fare un passo avanti in sede di imposta straordinaria proporzionale e il Governo potrà forse dirci se sia possibile fissare una data a partire dalla quale siano applicabili i coefficienti 10 e 5.

La Commissione prega pertanto l’onorevole Bosco Lucarelli di dover consentire il rinvio della questione in sede di imposta straordinaria proporzionale.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, ella ha udito quanto chiede l’onorevole Relatore della Commissione. Acconsente?

BOSCO LUCARELLI. Acconsento, salva la questione del coordinamento.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro delle finanze a pronunciarsi a nome del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi sembra venuto il momento di chiarire una situazione su cui, da diverso tempo, si insiste e sulla stampa e qui nell’Assemblea, perché probabilmente esiste ancora qualche malinteso in materia. Debbo rifare la storia della determinazione di tutti questi imponibili.

Esiste una legge, in data 12 ottobre 1939, la quale istituisce un’imposta ordinaria sul patrimonio. Il sistema fondamentale della legge è quello di valutare gli immobili di triennio in triennio, sulla base dei valori del triennio antecedente. Orbene, per il primo triennio di applicazione – circostanza su cui richiamo particolarmente l’attenzione dei Colleghi, in quanto essa serve a chiarire molti dei malintesi che si sono determinati – per il primo triennio di applicazione, dicevo, la Amministrazione finanziaria diede istruzioni perché, in linea di massima, venissero assunti quali valori imponibili, anziché quelli medi del triennio 1937-39, così come avrebbe dovuto esser fatto secondo la legge fondamentale, i vecchi imponibili assunti ai fini del prestito redimibile 3,50 per cento, di cui al decreto 5 ottobre 1936.

La maggior parte, quindi, degli imponibili dei cespiti immobiliari alla fine del primo triennio riflette i valori dell’ottobre 1936, o meglio quelli che sono venuti a determinarsi in anni precedenti. È esatto che successivamente è venuto il decreto del giugno 1943 il quale, per andare incontro alle richieste dei contribuenti che, per il nuovo triennio, avrebbero dovuto essere tassati sulla base non più del triennio 1937-39, ma su quella del triennio 1940-42, diede valore ancora alla media del triennio 1937-39.

Ma a questo punto nasce un equivoco; la media del triennio 1937-39 non costituisce una ripetizione di quei valori che erano stati assunti provvisoriamente ai fini del primo triennio.

Vi è pertanto un primo ordine di rettifiche (definite per concordati o per decisioni) che sono legittimamente nello spirito del decreto del 1943, cioè di adeguamento ai valori del triennio 1937-39.

Per questi aumenti, nulla vi è da eccepire, perché si è in pieno nel sistema del riferimento al triennio dell’anteguerra.

Vi è, invece, un secondo ordine di rettifiche in aumento, derivanti, al Nord, da applicazioni di leggi repubblichine, e nelle altre Regioni da rettifiche che sono state promosse ancora prima che il decreto del 1943 potesse trovare attuazione, oppure, comunque, da errori di diverso genere.

Per questo secondo ordine di rettifiche – che è, poi, quello che pone il problema della perequazione – ho il piacere di ripetere che il Ministero ha provveduto, per quanto riguarda i fabbricati, con una circolare diramata il 19 giugno 1947, con cui si dispone che tutti gli Uffici delle imposte possano ricevere domande di rettifiche, purché proposte entro il 31 dicembre 1947; e per quanto riguarda i terreni, con successiva circolare ministeriale – dato che il sistema catastale dei terreni può permettere un’automatica rettifica d’ufficio – disponendo che là ove si sono verificati aumenti in dipendenza del secondo ordine di considerazioni, siano gli Uffici stessi a rettificare i valori imponibili. Cosicché dovrebbero automaticamente eliminarsi le sperequazioni di cui giustamente si è fatto carico l’onorevole Bosco Lucarelli.

Questo desideravo far presente fin da questo momento; per quanto sia perfettamente d’accordo che la questione può meglio riallacciarsi all’imposta proporzionale del 4 per cento. Mi è sembrato opportuno approfittare dell’occasione perché è giusto che si chiarisca, il più presto possibile, questo complesso di malintesi che si è creato intorno alla questione.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 34 si intende approvato.

Passiamo all’articolo 35. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La nuda proprietà ed i diritti di usufrutto, uso ed abitazione possono essere dichiarati per un valore non inferiore a quello risultante dalla ripartizione, operata in conformità a quanto disposto dall’articolo 14, del valore della piena proprietà determinato a mente dell’articolo precedente».

A questo articolo non sono stati presentati emendamenti, e quindi si intende approvato.

Passiamo all’articolo 36. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le azioni non quotate in borsa e le quote di partecipazione in società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, a garanzia limitata, in società di fatto, in associazioni ed enti sono dichiarate per il valore accertato ai fini dell’imposta di negoziazione per l’anno 1946 o, in mancanza di accertamento definitivo ai fini di detta imposta, in base al valore complessivo iscritto al nome della società, associazione od ente agli effetti dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947.

«Le quote di partecipazione in navi italiane sono dichiarate in base al valore complessivo della nave, stabilito agli effetti dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947».

PRESIDENTE. Neppure a questo articolo sono stati presentati emendamenti, e pertanto si intende approvato.

Vi è ora la proposta di un articolo 36-bis, presentata dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo, Foa e Valiani. Ne do lettura:

«Chiunque, privato o ente, possiede azioni od obbligazioni, depositi e conti presso aziende di credito, è tenuto a presentarne dichiarazione, anche se non raggiunge il minimo stabilito dall’articolo 30.

«Tale obbligazione non si applica per i depositi e i conti di ammontare inferiore alle lire 150.000.

«È fatto obbligo alle aziende di credito di non autorizzare l’uso dei depositi e dei conti o il pagamento degli interessi senza presentazione da parte del depositante di copia della avvenuta dichiarazione vistata dall’ufficio competente.

«Lo stesso obbligo esiste per le società riguardo il pagamento dei dividendi o interessi o per l’esercizio del diritto di voto.

«Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari quali risultano dai libri dei soci in occasione dell’ultima assemblea.

«Le aziende di credito che contravvengono alle disposizioni dei commi precedenti sono soggette alla pena pecuniaria pari al doppio delle somme indebitamente corrisposte.

«Le società che contravvengono alle disposizioni dei commi precedenti sono soggette ad una pena pecuniaria pari al 50 per cento del valore del titolo non denunciato.

«I titoli non denunciati sono dichiarati non trasferibili e soggetti a confisca».

L’onorevole Pesenti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PESENTI. Onorevoli colleghi, l’obbligo di dichiarare i titoli pubblici e privati, con le indicazioni per ogni tipo di titoli, dell’ente emittente, della qualità, del taglio e del numero, stabilito dall’articolo 33, non sarebbe sufficiente se noi non trovassimo dei modi per renderlo efficace.

A questo dovrebbe ovviare il proposto articolo 36-bis, che stabilisce due obblighi distinti: l’obbligo per il privato possessore dei titoli di denunciare i titoli posseduti, anche se non raggiungono, nel complesso, il minimo imponibile e il minimo per la dichiarazione stabilita dall’articolo 33; e l’obbligo per le società di aderire alla richiesta dell’Amministrazione di indicare i possessori dei titoli azionari, quali essi risultano all’ultima assemblea.

Io ritengo che l’articolo 36-bis sia necessario, perché lo schedario dei titoli azionari – che pure viene alacremente tenuto al corrente delle variazioni – non può essere garanzia sufficiente che vengano scoperti e individuati i possessori di titoli azionari.

Pertanto mi pare chiaro che occorra dare all’Amministrazione finanziaria un’altra garanzia, se noi vogliamo che tutto il patrimonio del contribuente sia individuato.

Voi vedete che l’emendamento che è stato proposto è molto diverso da quello che era stato inizialmente presentato e che si vede pubblicato nel fascicolo degli emendamenti, appunto perché – in seguito a discussioni intervenute nella Commissione di finanza – è stato raggiunto l’accordo di limitare, per il momento, in questo articolo l’obbligo soltanto ai soci di società e l’obbligo della denuncia da parte delle società.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il pensiero della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione ha esaminato l’emendamento dell’onorevole Pesenti e dell’onorevole Scoccimarro ed avrebbe, nella sua maggioranza, deciso di accettare l’ultimo comma dell’emendamento: «Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari quali risultano dai libri dei soci in occasione dell’ultima assemblea», perché, data la nominatività dei titoli, data l’esistenza di uno schedario centrale dei titoli, questa norma finisce col colmare qualsiasi lacuna ed è una norma cautelativa che completa il sistema.

Già in sede di esame del progetto di legge dinanzi alla Commissione, il Governo aveva dato assicurazione che lo schedario dei titoli sarebbe stato perfettamente aggiornato ai fini dell’applicazione dell’imposta progressiva. L’onorevole Scoccimarro ha sollevato qualche dubbio in proposito, e per tener conto di questo dubbio, la Commissione ha questa disposizione cautelativa di cui ho detto.

I commi 1° e 2° hanno questo inconveniente, secondo il pensiero della maggioranza della Commissione: di stabilire un obbligo di denuncia anche per coloro che non hanno nessun obbligo di denunciare il patrimonio; cioè estende quest’obbligo di denuncia a cittadini che possono possedere qualche azione e che sono al di sotto del minimo imponibile, non solo, ma anche al di sotto della necessità della denuncia a fini statistici.

E le conseguenze sono poi piuttosto gravi per costoro, perché essi dovrebbero procurarsi un certificato da cui risulti che sono esenti dall’imposta, per potere prelevare un dividendo.

Ora, siccome il sistema è – come ho detto – completo con l’ultimo comma, se gli onorevoli proponenti fossero d’accordo, ci si potrebbe limitare a questo, senza insistere nella richiesta della non trasferibilità, che mi sembra eccessiva.

Accettando l’ultimo comma, pregherei poi di spostarlo dopo l’articolo 45, in sede di accertamento. Ma questa è una questione formale, una volta che si sia discusso sulla sostanza.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Vorrei dire che, se l’onorevole Ministro risponde a tutto l’emendamento da me presentato, io posso parlare dopo; ma se l’onorevole Ministro considera come definitiva la risposta data dal Relatore, vorrei fare prima qualche osservazione.

PRESIDENTE. Ascoltiamo prima il Ministro. Ha facoltà di parlare.

PELLA. Ministro delle finanze. In sostanza, il Governo si associa alle conclusioni della Commissione, per le considerazioni svolte dall’onorevole Relatore e per qualche altra considerazione che desidero aggiungere.

La situazione dello schedario risente degli avvenimenti del 1943, in cui l’unico schedario esistente a Roma si spezzò in due parti: uno delle società del nord, tenuto a Brescia, ed uno delle società del centro-meridione, tenuto a Roma.

L’arretrato nella tenuta dello schedario non è imputabile a negligenza dell’ufficio competente; ma è stato determinato da detti eventi, ed io non posso che rendere omaggio alla buona volontà dei funzionari i quali hanno saputo, nonostante le apparenze, con una celerità e una diligenza, a mio avviso degna di essere sottolineata, riunire i due tronconi, realizzando una soluzione che, a prima vista, sembrava impossibile.

Io, per molto tempo, sono rimasto scettico sulla possibilità di avere un rapido aggiornamento. Dai sopraluoghi che ho compiuto, sono giunto alla conclusione che, effettivamente, entro l’anno, l’aggiornamento possa essere realizzato. Mi resta un dubbio sopra la veridicità dei risultati dello schedario in ordine a violazioni che possono essere state compiute rispetto all’obbligo di denunziare le girate dei titoli ed è rispetto a questo dubbio che l’Amministrazione sta esaminando l’opportunità di eventuali integrazioni legislative atte a riparare a questo inconveniente, qualora esso dovesse avere una portata degna di rilievo.

Tutto questo mi porta a considerare che non sia il caso di vincolare quello che può essere l’atteggiamento dell’Amministrazione in materia, con la disposizione contenuta nel secondo comma dell’emendamento presentato ed è questa anche una ragione per cui il Governo non può aderire al secondo comma dell’emendamento. Però, fermo restando che il Governo accetta l’ultimo comma, dichiaro che lo spirito con cui l’emendamento è stato redatto e presentato, è comune all’ordine di idee del Governo e, quindi, a titolo di raccomandazione, possono trovare accoglimento le considerazioni svolte dall’onorevole Pesenti.

Sull’ultimo comma mi permetto di suggerire una modificazione. Non vorrei che, autorizzando l’Amministrazione finanziaria a chiedere le risultanze del libro soci, in occasione di una assemblea, si finisse per limitare il potere dell’Amministrazione finanziaria ed impedirle di chiedere la posizione del libro soci a data diversa da quella dell’ultima assemblea. È in questo senso che pregherei di modificare l’ultima parte: «Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari, quali risultano dal libro soci». Forse la formula migliore sarebbe quella di sopprimere le parole «in occasione dell’ultima assemblea».

PRESIDENTE. Allora, per precisare bene: sul primo e sul secondo comma il Governo è di parere contrario, mentre il terzo comma sarebbe accettato con la soppressione delle ultime parole.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Debbo chiarire un punto, perché il Relatore ha affermato che in Commissione si era giunti alla accettazione di quel comma che è stato accettato anche dal Governo.

Ora, a me pare, se ben ricordo, e come del resto possono ricordare i colleghi, che non sia proprio così. Effettivamente, l’emendamento che noi abbiamo presentato – che del resto è pubblicato anche nel n. 9 degli emendamenti – prevedeva la ricerca del contribuente ed obblighi speciali dei contribuenti non solo possessori di titoli azionari, ma anche che possedessero dei depositi o conti presso le banche, perché, se noi vogliamo rendere effettivo l’obbligo stabilito dall’articolo 33, e quindi creare quella giusta perequazione fra possessori di ricchezza mobiliare e possessori di ricchezza immobiliare, occorre rendere effettivi gli obblighi stabiliti dalla legge.

È per questo che avevamo proposto un emendamento che ponesse degli obblighi sia ai possessori di titoli azionari sia ai possessori di depositi. In Commissione si è avuta una discussione e si è riconosciuto che era possibile accettare l’obbligo imposto ai soci di società o ai possessori di titoli azionari senza che ciò provocasse il minimo disturbo nel mercato dei valori azionari e senza che ciò provocasse un danno per l’Amministrazione.

Le osservazioni fatte ora dal Relatore perciò, mi sorprendono, e quindi io mantengo l’emendamento così come è stato letto dal Presidente dell’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione ha preso in esame l’emendamento 36-bis dell’onorevole Pesenti, quale risulta stampato. In questo emendamento è riprodotto, al quinto comma, esattamente l’ultimo comma del nuovo emendamento:

«Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari quali risultano dai libri dei soci in occasione dell’ultima assemblea».

La Commissione ignora i primi due commi del nuovo emendamento degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro. Quindi, preso in esame l’emendamento 36-bis, prega l’onorevole Pesenti di non insistere.

La Commissione, dopo ampia discussione, ha accettato nella sua dizione letterale, come dicevo, il 5° comma che risulta dal nuovo emendamento. Ha accettato anche il 7° comma che fissa una sanzione; ed ha pregato gli onorevoli proponenti di portare questa sanzione nella sede opportuna. Questo è l’emendamento che ha preso in esame la Commissione. Ad ogni modo, tengo a dichiarare, nonostante le affermazioni dell’onorevole Pesenti, che i commi 1° e 2° dell’articolo 36-bis del nuovo emendamento sono stati conosciuti dalla Commissione dopo la discussione del 36-bis che risulta nel fascicolo degli emendamenti.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Pregherei gli onorevoli Pesenti e Scoccimarro di aderire al punto di vista del Ministro e della Commissione.

In sostanza, l’accertamento del patrimonio costituito da azioni ai fini dell’imposta sul patrimonio, con le leggi attuali e con la disposizione che Commissione e Ministro e tutti noi siamo disposti ad accettare, si potrà fare fino all’ultima azione. Resteranno evidentemente fuori solo le azioni nominative di coloro che non avrebbero l’obbligo della denuncia per avere un patrimonio inferiore al minimo imponibile.

Ora, in sostanza, ponendo l’obbligo proposto dagli onorevoli Pesenti e Scoccimarro, noi veniamo a creare dei fastidi solo proprio a quella categoria di persone che, appunto per la scarsa rilevanza del loro patrimonio, vogliamo esentare anche dall’obbligo della dichiarazione, ed aggraveremo sensibilmente il compito degli uffici che sarebbero oberati dalla presentazione di infinite dichiarazioni, e dalla richiesta di certificati per potere riscuotere interessi e dividendi.

Quindi, aderisco al pensiero della Commissione e del Ministro. Vorrei poi andare anche più in là per ciò che concerne il comma che dà all’Amministrazione il diritto di chiedere notizie sullo stato dei soci.

Bisogna riferirsi all’articolo 26, che noi abbiamo già approvato e in base al quale, denaro e titoli di credito al portatore entrati nel patrimonio del contribuente dopo il 1° gennaio 1944, in dipendenza di alienazione di beni, si presume facciano parte del patrimonio del contribuente.

Dobbiamo quindi mettere l’Amministrazione in condizioni di accertare eventuali trasferimenti di titoli che siano intervenuti dopo il 1° gennaio 1944.

Ecco perché io non solo aderisco alla proposta della Commissione e del Ministro, di togliere la frase «in occasione dell’ultima assemblea», ma forse penso che si dovrebbe integrare questa facoltà dell’Amministrazione retrodatandola al 1° gennaio 1944.

PRESIDENTE. Ne fa una proposta?

CORBINO. Lo vedremo. Se l’onorevole Ministro crede che basti, allora posso fare a meno di presentare una proposta formale.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Io penso che da un punto di vista logico non dovrei accedere alla proposta dell’onorevole Corbino, per il semplice fatto che l’obbligo della dichiarazione stabilita dall’articolo 33 è sul presunto contribuente e quindi la sanzione dovrebbe corrispondere a questo obbligo che è stabilito per il contribuente.

Ed io dichiarerei anche presunto contribuente colui che non ha il minimo imponibile in titoli. Ma lasciare soltanto la possibilità dell’Amministrazione di richiedere alle società per azioni l’elenco dei soci e il possesso di titoli azionari, mi sembra inutile, non significhi cioè stabilire nulla di nuovo nella nostra legislazione. Però, visto che la Commissione ed anche parte dell’Assemblea insistono nel togliere i due primi commi, che io continuo a ritenere importanti ai fini dell’accertamento, accedo all’idea di lasciare soltanto il terzo e quarto comma.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Se il Relatore e l’onorevole Pesenti lo ritengono opportuno – ed io lo riterrei opportuno – non ho difficoltà ad accogliere l’aggiunta proposta dall’onorevole Corbino: «quali risultano dal libro dei soci dal 1° gennaio 1944 in avanti».

TOSI. Io debbo dimostrare cosa ho al 28 marzo; ho diritto di dimostrare cosa ho fatto prima!

PELLA, Ministro delle finanze. Per non allungare la discussione, ritengo che potremmo fermarci a questa dizione: «quali risultano dai libri dei soci».

SCOCA. Vorrei fare una dichiarazione di voto circa l’emendamento dell’onorevole Pesenti, riferendomi al primo ed al secondo comma.

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Pesenti ha ritirato il primo ed il secondo comma del suo emendamento!

SCOCA. Allora siamo tutti d’accordo.

PRESIDENTE. Dato che il primo ed il secondo comma dell’emendamento Pesenti sono stati ritirati, porrò in votazione il terzo comma, che dovrebbe divenire articolo 36-bis.

LA MALFA, Relatore. Io lo metterei dopo l’articolo 45.

PRESIDENTE. E una questione che vedremo in seguito.

Pongo quindi in votazione l’articolo 36-bis nella seguente dizione:

«Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari quali risultano dai libri dei soci».

(È approvato).

Segue l’articolo 37. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Tutti i cespiti non indicati negli articoli 34, 35 e 36 sono dichiarati per il valore da determinarsi in conformità alle disposizioni del capo IV del presente decreto».

PRESIDENTE. Non essendo stati presentati emendamenti, l’articolo s’intende approvato.

Passiamo ora all’articolo 38. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per quanto riguarda le passività, la dichiarazione deve indicare:

  1. a) per i debiti, le generalità e la residenza del creditore, la data di stipulazione e di registrazione dell’atto costitutivo o gli altri elementi di prova della loro esistenza, il tasso di interesse, la scadenza, l’ammontare ancora dovuto alla data del 28 marzo 1947;
  2. b) per i censi, canoni e livelli ed altre prestazioni previste dall’articolo 15, le generalità e la residenza del creditore, il titolo costitutivo, l’ammontare annuo ed il valore determinato a mente dell’articolo suddetto;
  3. c) per gli usi civici, la natura ed il valore dell’onere;
  4. d) per le imposte, tasse e gravami indicati nell’articolo 22, lettera d), l’ammontare del debito e gli altri estremi che lo identificano».

PRESIDENTE. A questo articolo vi è un emendamento proposto dall’onorevole De Vita, che è del seguente tenore:

«Sopprimere la lettera d)».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. La disposizione della lettera d) dell’articolo 38 è connessa con la corrispondente disposizione della lettera d) dell’articolo 22. Ritengo che le imposte indicate nella lettera d) dell’articolo 22, e che si vogliono detrarre dall’ammontare complessivo del patrimonio, sono imposte che vengono pagate col reddito. È probabile quindi che il patrimonio del contribuente non subisca diminuzione alcuna a causa del pagamento delle imposte stesse, perché le imposte sul reddito ed in genere tutte le imposte che non incidono sul patrimonio sono pagate con quella parte del reddito che non è risparmiato. Se consentiamo a tutti coloro che non hanno pagato le imposte, di detrarle dal patrimonio imponibile, io credo che facciamo un trattamento di favore ai cattivi contribuenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.

LA MALFA, Relatore. L’onorevole De Vita fa – direi in una sede non propria, perché la questione sorse in sede all’articolo 22 – un’elegante questione che può anche avere un fondamento.

La Commissione ha dovuto considerare la questione da un punto di vista pratico.

Innanzitutto, naturalmente, queste imposte arretrate possono essere imposte sul patrimonio (per esempio, l’imposta straordinaria proporzionale) come debiti quando si va a riscuotere la imposta progressiva. Bisognerebbe introdurre la distinzione tra imposta sul capitale e imposta sul reddito. D’altra parte, siccome l’imposta sul patrimonio colpisce il denaro, vi è un momento in cui non si sa se sia colpito il reddito o il patrimonio.

Pur riconoscendo che la questione, da un punto di vista teorico, è molto importante, la Commissione pregherebbe l’onorevole De Vita di non insistere, perché bisognerebbe ritornare sull’articolo 22 che l’Assemblea ha già approvato.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Sono dolente di non potere accogliere l’invito della Commissione. Se ritirassi l’emendamento, violerei la mia coscienza.

Ritengo ingiusta questa disposizione, principalmente perché l’imposta che colpisce il reddito si paga col reddito. Anche per coloro che hanno depositi in banca, bisognerebbe dimostrare che le imposte sono state pagate col denaro depositato in banca. È probabile che anche il denaro depositato in banca non abbia subito alcuna diminuzione a causa del pagamento delle imposte. Quindi, questo trattamento a favore di coloro che hanno, con qualunque mezzo, dilazionato il pagamento dell’imposta, non lo ritengo giusto. Pertanto, mantengo il mio emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei osservare che la questione, nel suo aspetto sostanziale, è superata dal fatto che, a suo tempo, abbiamo discusso delle passività detraibili. Ora, mi pare fuori dubbio che se esiste un debito deducibile, per tasse arretrate, questo debito debba essere indicato nella dichiarazione, e ritengo che possa essere anche utile prendere atto della previsione che fa il contribuente in ordine all’ammontare delle imposte da pagare, cioè vedere come il contribuente trovi il punto limite fra il desiderio della massima detrazione possibile e la concreta previsione di definizione delle imposte ancora dovute.

Anche per questo aspetto accessorio, che forse ha una importanza maggiore di quello che possa sembrare a prima vista, io insisto perché sia mantenuta la lettera d) dell’articolo 38.

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, mantiene il suo emendamento?

DE VITA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione dell’emendamento De Vita, il quale propone di sopprimere la lettera d) dell’articolo 38.

DE VITA. E, conseguentemente, anche la corrispondente, lettera d) dell’articolo 22.

PRESIDENTE. Quella è già votata. Io devo mettere in votazione solo la soppressione della lettera d) dell’articolo 38. Le conseguenze saranno esaminate dall’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Naturalmente, richiamo l’attenzione sul fatto che c’è in riscossione l’imposta straordinaria proporzionale, e sarebbe curioso che, specie nelle campagne, non ammettessimo questa detrazione.

PELLA. Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero ancora far presente che, qualora venisse accolto l’emendamento De Vita, la sola conseguenza sarebbe che il contribuente non verrebbe invitato a indicare questa specifica passività. Penso, però, che, per tutto il sistema delle norme che costituiscono la legge, il contribuente manterrebbe egualmente il diritto alla detrazione di tale passività, sino a quando è aperta la procedura di accertamento.

Per questo io prego di non accogliere l’emendamento presentato dall’onorevole De Vita.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la soppressione della lettera d) dell’articolo 38, proposta con l’emendamento dell’onorevole De Vita.

(Non è approvata).

Sugli articoli dal 39 al 43 non vi sono emendamenti. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

Art. 39.

«A richiesta dell’Ufficio distrettuale, il contribuente deve presentare le copie o gli estratti, in carta semplice, dei documenti indicati all’articolo 38, lettere a) e b)».

Art. 40.

«Tutti coloro che, nel quinquennio anteriore all’anno di entrata in vigore del presente decreto, abbiano prestato la loro opera per l’acquisto di titoli ed altri beni all’estero, o per la sottoscrizione di titoli esteri nello Stato, o per l’apertura di crediti all’estero presso loro filiali od altri istituti, o che abbiano comunque cooperato per l’invio di beni di ogni specie all’estero, hanno l’obbligo di indicare, su richiesta della finanza, il cognome, il nome ed il domicilio del committente o creditore, la quantità e la qualità, il prezzo unitario e complessivo dei titoli, crediti ed altri beni, oggetto dell’acquisto, della trasmissione o dell’accreditamento all’estero».

Art. 41.

«Per quanto non previsto nel presente decreto, si applicano, per la dichiarazione ai fini dell’imposta straordinaria, le disposizioni valevoli per la dichiarazione ai fini delle imposte dirette ordinarie».

Art. 42.

«Il contribuente che dichiari, ai fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio, cespiti non dichiarati ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio e delle imposte sui redditi, va esente da qualsiasi sanzione per l’omessa dichiarazione».

 

Capo VII.

Accertamento.

Art. 43.

«L’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione trovasi il comune in cui il contribuente ha il suo domicilio fiscale, è competente per l’accertamento della imposta straordinaria sul patrimonio.

«Per l’accertamento stesso e per le risoluzioni delle vertenze relative, valgono le disposizioni applicabili per l’imposta di ricchezza mobile, in quanto non siano in contrasto con le disposizioni del presente decreto.

«Il Ministro delle finanze e tesoro può, con proprio decreto, costituire presso le Commissioni distrettuali e provinciali, nonché presso la Commissione centrale, secondo le norme generali vigenti in materia, Sezioni speciali per la risoluzione delle vertenze in materia di imposta straordinaria sul patrimonio».

Non essendovi osservazioni, questi articoli si intendono approvati.

Passiamo all’articolo 44. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo che è stato accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I funzionari dell’Amministrazione delle imposte dirette oltre alle facoltà loro conferite dall’articolo 37 del testo unico 24 agosto 1877, n. 4021, sull’imposta di ricchezza mobile, possono, ai fini della applicazione del presente decreto, farsi presentare ed ispezionare tutti i registri, anche ausiliari e comunque tenuti, atti e documenti degli enti pubblici e privati, delle società, amministrazioni, imprese, commissionari, agenti e mediatori di ogni genere, e farsi rilasciare copie ed estratti dei registri, atti e documenti, anche se riguardino interessi di persone fisiche od enti collettivi non tenuti al pagamento dell’imposta istituita col presente decreto.

«La presente disposizione non si applica in confronto delle banche e delle aziende di credito».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

I due primi emendamenti, rispettivamente a firma dell’onorevole De Mercurio e degli onorevoli Dugoni, Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo e Di Gloria, hanno la medesima finalità: sopprimere il secondo comma.

L’onorevole De Mercurio ha già svolto il primo emendamento.

L’onorevole Dugoni ha facoltà di svolgere il secondo.

DUGONI. Credo che ognuno si renda conto dell’importanza che riveste l’ultimo capoverso dell’articolo 44. Questo capoverso, sostanzialmente, chiude le porte delle banche a qualsiasi indagine intesa a determinare la consistenza del patrimonio che deve essere soggetto all’imposta. Credo che non stupirà nessuno se da questi banchi verrà l’affermazione che, in materia finanziaria, si devono avere dei particolari riguardi, che cioè, il mondo finanziario vive – nella situazione attuale – in un modo suo proprio, il quale ha bisogno di un determinato ambiente che gli consenta uno svolgimento tecnicamente normale.

Quindi, noi non chiediamo una mutazione all’articolo 44, che voglia significare una presa di posizione di principio, per quello che riguarda il funzionamento del sistema finanziario attuale del nostro Paese. Noi sappiamo benissimo che in molti altri Paesi esiste la possibilità dell’ispezione bancaria. Noi sappiamo anche che in altri Paesi esistono dei sistemi intermedi.

Noi abbiamo sempre sostenuto che si debba arrivare ad un controllo dell’attività bancaria nel suo insieme, piuttosto che ad un controllo delle operazioni bancarie compiute da ciascun singolo depositante, o debitore, o comunque cliente della banca.

Però, di fronte all’importanza dell’imposta attuale, di fronte al significato che ad essa noi annettiamo, e che ogni cittadino dovrebbe annettere a questa imposta straordinaria, – che significa uno dei più grandi sforzi della Nazione, tesa alla propria ricostruzione – di fronte, dicevo, al carattere straordinario e alla straordinaria gravità (mi si consenta la ripetizione) che questa imposta comporta, noi crediamo che si possa e si debba fare, non dico uno strappo, perché uno strappo sarebbe troppo, ma una eccezione, una precisa eccezione alla regola del segreto bancario.

Dopo questa guerra, tutti i Paesi che hanno subito l’occupazione tedesca, hanno tolto il segreto bancario per permettere di ricercare dove erano andati a finire i soldi spesi e profusi dai tedeschi, durante il periodo di occupazione. In generale, a questo si è accompagnato il cambio della moneta, cioè si è istituito un insieme di provvedimenti immediatamente susseguenti al periodo di occupazione, in virtù del quale si sono potuti colpire, entro i limiti delle umane possibilità, gli speculatori e i profittatori di una situazione che era una situazione di servaggio per la grande maggioranza degli abitanti del Paese e una situazione di privilegio per pochi asserviti alla politica dell’occupazione tedesca.

Crediamo quindi che, poiché il nostro Paese, per una serie di circostanze che io non voglio analizzare e che sarebbe, in ogni caso, troppo lungo analizzare – non ha fatto ricorso a questi mezzi drastici per colpire, sia quelle fortune di cui parlavo prima, sia gli altri tipi di fortune mobiliari che si sono create esclusivamente in seguito ad una favorevole congiuntura ed a sfacciate speculazioni sui bisogni delle classi medie e delle classi lavoratrici; poiché, dicevo, questo non si è fatto, noi crediamo di essere autorizzati oggi a venire a chiedere un provvedimento – ripeto – di eccezione.

Questo provvedimento di eccezione in anatomia si chiamerebbe una «sezione»; cioè chiediamo che sia fatta una sezione della situazione bancaria alla data del 28 marzo 1947. Noi ci rendiamo conto della gravità delle obiezioni che sono state mosse, gravità sia di ordine politico, sia di ordine tecnico-finanziario. La prima obiezione che è stata messa avanti è costituita da questo avviso che si è creduto di darci. Guardate che, con questo, noi veniamo a turbare tutto l’andamento del mercato finanziario. Ebbene, signori, quando noi abbiamo discusso intorno a questo problema in sede di Commissione per la finanza – Commissione alla quale io mi onoro di appartenere – si è potuto ben chiaramente rilevare che solo perché abbiamo avuto un alto parere contrario, la Commissione si è pronunciata contro la soppressione dell’ultimo capoverso.

Questa pronunzia di un alto personaggio della finanza e dell’Amministrazione italiana contro la soppressione dell’articolo 44 nessuno può negare che abbia avuto un peso determinante nella decisione della Commissione. Noi abbiamo quindi, diciamo così, subito – parlo almeno alludendo a una parte di noi – una specie di timore reverenziale. La lettera il cui contenuto ci è stato fatto conoscere dall’onorevole Campilli in sede di Commissione per la finanza ha rappresentato dunque per noi, o almeno per alcuni di noi, un «alto là», cioè ci ha condotti a considerare che, se un preminente esponente della Banca italiana, e della sana Banca italiana, credeva nei pericoli di una abolizione del segreto bancario anche occasionale, questo pericolo esisteva; e molti di noi si sono piegati ed hanno creduto di aderire a questa alta opinione.

Noi non ci siamo piegati; noi abbiamo sino all’ultimo detto e sostenuto che si doveva ad ogni modo cercare di spingere questa imposta, che giustamente viene considerata unilaterale, verso una maggiore pressione sui patrimoni mobiliari. Tutti hanno levato la loro voce in quest’Assemblea per sostenere che l’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio costituisce un’iniquità perché colpisce soprattutto le fortune immobiliari: però, nello stesso tempo, noi non abbiamo mai potuto ottenere l’appoggio di una parte dell’Assemblea per approvare quelle disposizioni che tendono a colpire i patrimoni mobiliari. Ecco la contradizione in cui siamo caduti. Ci si è venuti a dire che l’imposta avrebbe rovinato l’Italia meridionale, ci si son portate un’infinità di altre ragioni e contemporaneamente siamo venuti a disarmare l’Amministrazione del Governo di fronte all’intento della ricerca, necessaria e inderogabile a nostro avviso, di quei patrimoni che hanno una costituzione prevalentemente mobiliare.

Naturalmente questa preoccupazione di giustizia comporta diverse attuazioni. Non basta cioè l’articolo 44 per colpire le fortune mobiliari; però l’articolo 44 è uno degli strumenti che noi reputiamo essenziali per colpire le fortune mobiliari e per colpire quelle forme di speculazione che sono state qui denunziate dall’onorevole Bertone e da molti altri oratori, i quali hanno insistito su quei tipici indebitamenti dell’ultima ora allo scopo di diminuire l’importanza del proprio patrimonio agli effetti del peso della progressività dell’imposta.

Ebbene, onorevoli colleghi, proprio per questo senso di giustizia che deve animare il legislatore di fronte ad una grave imposizione, come quella che è sottoposta alla vostra approvazione, io credo che voi non potrete sottrarvi dal considerare la necessità di aprire la porta – se non si può aprire un portone, si apra uno spiraglio – su quelle combinazioni bancarie che così gravemente pesano sia sul rendimento dell’imposta, sia, soprattutto, sull’animo dei cittadini. Perché, ricordate bene che quello che si dice nel Paese ha un enorme valore. Si pensa dappertutto: «Ancora una volta sono gli stracci che ballano. Coloro i quali hanno fatto le grosse fortune nel modo più vergognoso, non pagheranno. Coloro i quali hanno la casa ereditata dal padre, e che l’hanno ricostruita dopo i bombardamenti, quelli pagheranno.

Ebbene, onorevoli colleghi, questa è una di quelle disposizioni che deve permettere di riportare una certa giustizia tributaria nell’ambito di questa legge.

Per queste ragioni io vi chiedo, con tutto il calore di cui sono capace, di approvare la soppressione dell’ultimo capoverso dell’articolo 44. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere come terzo comma:

«Restano ferme le disposizioni dell’articolo 17 del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966».

Ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. Ho una modestissima preghiera da fare alla Commissione e all’onorevole Ministro riguardo al segreto.

L’Istituto nazionale delle assicurazioni ha una legge del 29 aprile 1923, nella quale è detto all’articolo 17:

«Chiunque, nell’adempimento delle proprie attribuzioni, presso l’Istituto, viene a conoscenza delle trattative e dei rapporti fra l’Istituto e le imprese di assicurazione e i privati, deve serbare il segreto su tutto quanto è a sua conoscenza, sotto le comminatorie di legge.

«È, in ogni caso, vietato ai pubblici funzionari e al personale dell’Istituto di tutte le categorie, di comunicare anche agli agenti delle imposte, notizie e dati comunque riferentisi a contratti fra l’Istituto e le imprese di assicurazioni e i privati».

SCOCCIMARRO. Bisogna chiedere l’abolizione di questa legge.

MICHELI. Io ho chiesto invece questo riferimento. Mi pare che l’opinione dell’onorevole Scoccimarro non sia perfettamente eguale alla mia. Me ne rincresce per lui, e un poco anche per me.

SCPCCIMARRO. Mi rincresce per lei.

MICHELI. Ed allora rincresca per entrambi!

Non vedo le ragioni per una diversa disposizione da quella con fondatissimi motivi stabilita allora. Io credo che, ove questa dichiarazione ora non venisse fatta, verrebbe ad essere turbata una consuetudine, che la legge ha creato, di particolare riguardo, la quale mi sembra anche ora sommamente necessaria in operazioni di questo genere.

JACINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

JACINI. Onorevoli colleghi, io non entro nell’esame della portata di questo emendamento per quanto si riferisce al sistema creditizio italiano. Persone a questo riguardo assai più competenti di me parleranno del turbamento che esso potrebbe recare. Porto qui la voce di una particolare categoria di depositanti, quelli delle Casse di risparmio, che ho l’onore di rappresentare, e faccio osservare che questo minacciatissimo settore del risparmio sarebbe, a mio avviso, addirittura rovinato dall’accettazione dell’emendamento Dugoni. E mi spiego: il risparmio oggi non ha nessuna attrattiva per il pubblico. Il risparmiatore è un eroe; esso non ritrae dal proprio risparmio alcun vantaggio, perché l’interesse che ne ricava è addirittura irrisorio. (Commenti a sinistra). Non ha neanche la sicurezza, perché quale che sia la solidità dell’Istituto nel quale egli fa confluire il proprio danaro, questo è minacciato dalle continue alterazioni di valore della moneta, sicché quando il risparmiatore deposita 100 lire al 1° gennaio non sa quanto potrà riscuotere al 31 dicembre.

Se, ciononostante, il risparmio cresce – e cresce in misura confortevole – ciò è dovuto ad un istinto profondo, insito nell’animo del contribuente italiano.

Ma se voi togliete al risparmiatore la sola garanzia che gli rimane, quella data dalla riservatezza e dall’anonimato (Commenti a sinistra) del risparmio, voi gli togliete l’unica ragione che abbia per non sperperarlo, o per non conservare i suoi denari nel pagliericcio! Non vi è altra ragione che possa indurlo a portar danaro alle banche.

E badate che, per chi conosce lo spirito familiare delle nostre campagne, questa questione della segretezza del risparmio è di tale importanza che soverchia ogni altra considerazione. Siamo a questo punto, onorevoli colleghi; presso le vecchie Casse di risparmio (adesso non più, ma fino a pochi mesi fa era così), e specialmente presso la Cassa di risparmio delle provincie lombarde, si sceglievano le sedi delle filiali in località recondite e un po’ nascoste, appunto per permettere al contribuente di recarvisi segretamente. Questo concetto del segreto è profondamente connaturato con l’animo dei nostri lavoratori. (Commenti a sinistra). Se sopprimerete il segreto, voi rovinerete completamente il risparmio, che è una delle grandi forze della Nazione! (Approvazioni al centro).

Io aderirò a quei temperamenti che alcuni miei amici proporranno in argomento, ma tengo a sottolineare l’estrema gravità di quello che l’Assemblea sta per deliberare a questo riguardo.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. È molto strano che solo in Italia ci siano tanti limiti posti all’attività che l’Amministrazione finanziaria deve svolgere per accertarsi…

JACINI. E in Svizzera? La Svizzera è il Paese della riservatezza ed è per questo che alle banche svizzere affluiscono i depositi.

PESENTI. …della situazione patrimoniale del contribuente, quasi che non si avesse nessuna fiducia nell’Amministrazione finanziaria, come se l’Amministrazione finanziaria, dovesse rivelare a tutti i dati di cui viene a conoscenza esclusivamente a scopi fiscali.

Ma il motivo è un altro: è che il contribuente italiano non vuole pagare le imposte, e noi purtroppo siamo qui tutti (o meglio, non tutti, ma la maggioranza) ad aiutare questo sforzo del contribuente italiano per non denunciare il proprio patrimonio e per non pagare l’imposta.

In quest’Assemblea vi sono profondi conoscitori del sistema bancario ed anche dell’economia politica. Io faccio appello anzitutto a loro, da un punto di vista astratto, per chiedere se, nella loro buona fede di studiosi, possono veramente sostenere che l’abolizione del segreto bancario possa scuotere il sistema bancario…

SAGGIN. Scuote l’economia nazionale!

PESENTI. …e di conseguenza l’economia nazionale.

Io vorrei chieder loro com’è possibile che un’istituzione propria del sistema economico nel quale viviamo possa mutare soltanto perché, ed ai fini esclusivi dell’Amministrazione finanziaria, viene tolto il segreto bancario. Noi vedremo probabilmente – secondo questi signori – che i vari industriali non ricorreranno più alle banche. Coloro che hanno delle riserve liquide o per ammortamenti o per manutenzioni, oppure perché hanno avuto dei profitti eccezionali, le chiuderanno nella cassaforte di casa, e non saranno più clienti delle banche. È questo che si vuol sostenere? Una cosa simile non è sostenibile.

Io posso anche ammettere che vi siano particolarmente i piccoli depositanti delle Casse di risparmio, una categoria che noi non vogliamo colpire. Posso anche comprendere che da un punto di vista psicologico vi possa anche essere qualche timore. Si può dunque vedere di trovare dei temperamenti in questi casi, e del resto l’Amministrazione finanziaria non avrà bisogno di andare a vedere nelle Casse di risparmio.

L’Amministrazione finanziaria, se vuol conoscere la verità, cioè se vorrà fare uso di questa facoltà, si rivolgerà soltanto ai grandi istituti di credito che hanno i grandi clienti sottoposti all’imposta patrimoniale.

Perciò questa preoccupazione non ci deve essere. Ad ogni modo, si tratta di un timore psicologico. Se noi chiariamo che si tratta qui non di rilevare la consistenza attuale o la consistenza di quelli che sono i depositi e i conti quando la legge uscirà nella Gazzetta Ufficiale, ma si tratta di rilevare i depositi e i conti ad una data già passata, quella del 29 marzo, che ha già fissato chiaramente la situazione di ogni singolo contribuente, non vedo come possano verificarsi o ritiri di depositi o altri fenomeni che possano scuotere il sistema bancario.

Si tratta di accertare la consistenza ad una data trascorsa, che è quella che fissa la posizione dei contribuenti e la loro situazione che non può mutare da quello che è segnato nei libri alla data del 29 marzo.

PRESIDENTE. L’onorevole Arcaini ha fatto pervenire un emendamento anche a firma degli onorevoli Scoca, Cappi ed altri. L’emendamento dice:

«Al secondo comma dell’articolo 44, aggiungere le parole: nei confronti delle quali l’Amministrazione finanziaria ha però la facoltà di richiedere che l’ispettorato del credito accerti la reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dal contribuente».

L’onorevole Arcaini ha facoltà di svolgere questo emendamento.

ARCAINI. Illustrerò brevemente il mio emendamento a cui si sono associati molti autorevoli colleghi.

La necessità di tutelare il segreto bancario che il disegno di legge riconosce, e che gli emendamenti De Mercurio, Dugoni e compagni vorrebbero sopprimere, mentre altri, come ha fatto l’onorevole Jacini con molta efficacia, strenuamente difendono prospettando le catastrofiche conseguenze nel delicatissimo settore del risparmio con conseguenze ancora più gravi in quello del credito, ma alle quali personalmente non credo per quanto mi lascino profondamente perplesso per la gravità delle temute conseguenze, mi pare non possa concepirsi e concretarsi in formule così rigide ed integrali da offrire di fatto una zona franca in cui possano trovare sicuro asilo i possibili evasori della legge.

E poiché specialmente m’impressiona la possibilità che esiste di far apparire attraverso le banche debiti che in realtà hanno contropartite attive costituite da dossiers di titoli al portatore o conti in denaro o altre attività di pertinenza dello stesso debitore, e quindi debiti fittizi, con la conseguenza di ridurre il patrimonio decurtandolo proprio nella parte che dovrebbe essere colpita dalle più alte aliquote dell’imposta, ritengo che sia doveroso riconoscere all’Amministrazione fiscale la facoltà di accertare l’effettiva consistenza e la natura dei debiti denunciati esistenti presso le banche e le aziende di credito. Affinché l’indagine, ove occorra, sia compiuta da organo competente senza lasciar adito a dubbi ed a sospetti che l’ambiente delicato delle banche e delle aziende di credito sia aperto alle incursioni del fisco, io propongo col mio emendamento che l’indagine sia svolta dall’Ispettorato del credito che è indubbiamente l’organo idoneo, che gode alta autorità e prestigio presso le banche e le aziende di credito e che per legge ha già ampie facoltà di ispezione e di vigilanza delle aziende stesse.

Una voce a sinistra. Non funziona!

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Prego di considerare la mia come una dichiarazione di voto. Io non credo che si possa fare il paragone fra l’economia creditizia italiana e l’economia creditizia di altri paesi in materia di segreto bancario. Fra i grandi paesi del mondo, l’Italia, in materia di credito, viene ultima nella graduatoria. Per abitante, le quote di risparmio, di cui dispongono le nostre banche, ragguagliate a unità monetarie uguali, sono le più piccole fra tutti i grandi paesi civili. Questo perché? Questo perché la tradizione del credito nel nostro paese è relativamente recente; è una tradizione che non si può spingere fino agli estremi ai quali si è spinta e si spinge tuttora in altri paesi più evoluti di noi.

L’onorevole Dugoni mi consenta di ricordargli che nel 1913 noi avevamo una circolazione di biglietti di due miliardi e duecento ottantatre milioni, cioè a dire, qualche cosa che corrispondeva a cinquecento milioni di sterline di quell’epoca. La Banca d’Inghilterra, alla stessa epoca, aveva una circolazione di sterline presso a poco uguale a quella dell’Italia. Perché? Perché in Inghilterra il sistema bancario era così perfezionato, era in tutti così radicato l’uso della banca, che l’Inghilterra effettuava nove transazioni su dieci per il tramite della moneta bancaria.

Né voi potete ricordarmi il caso della Svizzera, perché io vi posso assicurare che in Isvizzera il segreto bancario è così bene assicurato che la Svizzera ha resistito alle pressioni internazionali più forti che le sono venute recentemente per appurare quanto oro, trafugato dai Paesi occupati, i tedeschi avevano nascosto presso le banche svizzere; e solo in via transattiva il Governo federale è venuto nella determinazione di riconoscere – senza precisare dove, come o quando questo oro fosse stato depositato – che una parte dell’oro era da accreditare alla Germania. Nel nostro paese, purtroppo, le condizioni sono quelle che sono, e noi dobbiamo sforzarci di modificarle in meglio; quindi io non escludo che da qui a dieci, quindici, venti anni il segreto bancario possa non essere più rispettato in Italia di quanto non sia rispettato in alcuni dei paesi nei quali il fisco ha diritto di intervenire. Ma nel momento attuale, nella situazione attuale del nostro Paese, il segreto bancario è uno degli elementi fondamentali per il funzionamento degli istituti bancari. Gli istituti bancari d’Italia in questo momento sono in una posizione di estrema delicatezza. Io non so quale sia l’alta personalità del mondo finanziario la cui voce alla Commissione di finanza avrebbe fatto ammutolire tutti. Io credo che la Commissione di finanza avrebbe potuto anche ammutolire se avesse domandato il parere non ad una tanta alta personalità bancaria, ma a tutti quelli che in questi giorni, per gli esami di maturità negli istituti tecnici, devono fare l’esame di economia politica. Immagino che queste sono cose che sanno tutti. Non c’è bisogno che vengano i grandi banchieri per fare da eminenze grigie delle Commissioni.

VERONI. È il parere della Banca d’Italia.

Una voce al centro. Potrebbe darsi che abbia fatto ammutolire dei muti.

CORBINO. Ci sarà stato qualche tecnico che avrà detto: se noi violiamo il segreto bancario succederà la catastrofe.

Naturalmente succederanno delle conseguenze, ma non succederà nessun terremoto. Se noi approveremo l’emendamento accadrà questo: la gente constaterà che il segreto bancario una prima volta è stato violato per la imposta sul patrimonio, dopodomani si farà un’imposta complementare ed in linea di eccezione violeremo il segreto bancario anche per la complementare; fra un mese, fra due o tre anni probabilmente rifaremo l’imposta sul patrimonio e continueremo a violare il segreto bancario ed allora la gente si regolerà in questo modo: non porterà il proprio denaro in deposito alle banche.

Voci a sinistra. E dove lo metterà? Il segreto bancario va bene a voi.

CORBINO. Ora, il bilancio economico delle nostre banche (non è questo un segreto per nessuno, né credo che io dicendolo contribuisca a creare uno stato di allarme) è passivo, perché la massa dei depositi non è sufficiente per compensare le enormi spese di amministrazione. Noi abbiamo imposto alle banche di assumere reduci, noi abbiamo imposto alle banche di assumere militari in congedo, combattenti, mutilati. Il personale delle banche oggi è, per lo meno, doppio di quello che occorrerebbe per una economica amministrazione dei depositi.

Ora, le banche non sono enti privati, perché di banche private in Italia ce ne sono pochissime. Le Casse di Risparmio sono enti di diritto pubblico e le grosse banche di credito, alle quali l’onorevole Pesenti voleva riservare il privilegio negativo di essere le sole sottoposte all’obbligo di aver rapporti con il fisco, come voi sapete, sono dello Stato, sono dell’I.R.I., di maniera che le passività delle banche le dovrebbero pagare quegli stessi contribuenti ai quali voi fate pagare l’imposta per un verso e i deficit delle amministrazioni bancarie che sarebbero determinati dall’applicazione dell’imposta. (Rumori a sinistra). Noi possiamo fare tutto quello che vogliamo, possiamo dire alle banche: bloccate i depositi, fate tutte le moratorie che volete. Io vorrei che tutta quella categoria di gente che crede che in questo campo si possa legiferare con grande semplicità, prendesse il potere per otto giorni e facesse tutto quello che crede di fare. Non so che cosa succederebbe al nono giorno.

Ecco perché sono contrario all’emendamento Dugoni.

Quanto all’emendamento proposto dall’onorevole Arcaini, la cosa potrebbe anche accogliersi; però, si badi bene, noi in questo momento veniamo sempre a creare un precedente di violazione del segreto bancario, sia pure attraverso l’Ispettorato del credito, sia pure attraverso misure adeguate di protezione. Ma poi, a che servirebbe l’emendamento Arcaini? A documentare il debito. Ma il debito è il contribuente che lo deve documentare: se io dichiaro che sono debitore della Banca Commerciale per un milione di lire, io devo documentare il mio debito; sono io che devo presentare il documento dal quale risulta che sono debitore al 28 marzo. Noi invece vogliamo porre l’onere della prova del debito a carico della amministrazione finanziaria…

SCOCA. Non è così. Ha diritto di controllare la dichiarazione del contribuente.

CORBINO. Il contribuente i debiti li deve documentare, tanto è vero che noi abbiamo stabilito all’articolo 27 che quando il creditore dichiara che il debito non esiste, il debito è nullo a tutti gli effetti.

La sostanza dell’emendamento non serve a niente. La forma serve soltanto ad accogliere in parte la tesi della violazione del segreto bancario. Io, in questo momento, giudico pernicioso all’economia del Paese l’accoglimento di questa tesi e quindi voterò contro l’uno e contro l’altro emendamento.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Siccome ci sono due proposte di emendamenti, quella soppressiva del capoverso dell’articolo 44, e l’altra dell’onorevole Arcaini che vuole si vada ad indagare se il debito bancario denunziato ha una contropartita attiva, e quindi se è vero o fittizio, vorrei chiedere che si sospenda per qualche minuto la discussione, naturalmente sentendo anche la Commissione ed il Governo, al fine di cercare una soluzione concordata che soddisfi tutti.

PRESIDENTE. Prima di decidere sulla proposta di sospensione dell’onorevole Scoca, vorrei sentire l’opinione del Relatore e quella del Governo. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Prima di esprimere l’opinione della Commissione, mi sia consentito di esprimere uno stato d’animo personale: in tutta quella che è stata la discussione sulla imposta patrimoniale, mi sono trovato nella dolorosa situazione di esporre dei punti di vista che rispondono a necessità contingenti, non a mie personali convinzioni. Ciò è avvenuto a proposito del cambio della moneta (sono stato sempre strenuo difensore del cambio); ciò avviene in materia di giuramento. Ritengo che in un paese civile, che sente i problemi della vita collettiva, il giuramento ai fini fiscali debba essere senz’altro adottato. Così pure ritengo che il segreto bancario non debba essere mantenuto nei confronti del fisco. La finanza non è un problema di questo o quell’individuo, ma interessa tutta la collettività e quindi lo Stato deve avere i mezzi d’accertamento necessari per stabilire quale è la reale condizione del contribuente. Lo Stato deve arrivare a questo risultato, senza di che non si ha una finanza moderna, cioè non si ha una finanza democratica.

Capirete così il mio imbarazzo: avendo questa visione dei problemi della finanza moderna, mi sono trovato coi colleghi ad esaminare un progetto di imposta al quale mancavano alcuni presupposti. Non voglio tornare sulla questione del cambio della moneta, circa la quale mi sono trovato in contrasto contingente con alcuni amici di partito. È certo che dall’abbandono del cambio della moneta, sono derivate conseguenze assai gravi. Vorrei dire che quando l’amico e collega Corbino rileva che il sistema creditizio di altri paesi è molto più sviluppato che in Italia, e fa un rapporto fra la circolazione e il volume del credito in Inghilterra, dà la conferma della necessità che avrebbe avuto l’Italia di fare il cambio della moneta. Se in Italia si detiene la moneta, vuol dire che il mezzo di scambio è ancora la moneta, s’intende non la moneta creditizia. È chiaro che se vogliamo tassare i patrimoni mobiliari e naturalmente prima di tassarli, li dobbiamo accertare, dobbiamo avere come punto di partenza il cambio. Non voglio tornare su una vecchia polemica. Caduto il cambio, la legge ha zoppicato ed abbiamo dovuto esaminare appunto una situazione zoppicante.

Dopo questa necessaria premessa, vengo alla questione del segreto bancario. Una conseguenza della caduta del cambio è che noi, abolendo il segreto bancario, andiamo a colpire i depositi che, nell’ordine dei valori mobiliari tassabili, sono i meno meritevoli di essere tassati. Quando parliamo di colpire i «borsari neri» noi intendiamo colpirli nell’accantonamento di moneta, frutto delle loro speculazioni immediate. Ma avendo abbandonato il cambio, abbiamo abbandonato la sola concreta possibilità di colpire i «borsari neri».

Escludendo la moneta e accertando i depositi, direi che abbiamo tolto dalla catena l’elemento più tassabile. Se tassiamo i depositi, possiamo escludere i titoli al portatore ed i titoli di Stato? Non li possiamo escludere, ed andiamo in un campo in cui commettiamo una maggiore ingiustizia fiscale, perché i titoli di Stato sono quelli che hanno subito il maggior danno dalla svalutazione. Questo sistema di cadute a catena io già ebbi occasione d’illustrarlo nella relazione agli onorevoli colleghi. Caduto un pilastro, ne cade un altro. Venuta la questione del segreto bancario, la Commissione ha detto: caduta la moneta, vediamo di arrestare ulteriori cadute e cerchiamo di prendere in considerazione i depositi bancari. L’argomentazione della Commissione è stata perfettamente obiettiva e, del resto, gli onorevoli colleghi hanno potuto non so se condannare od elogiare il rigido spirito fiscale della Commissione, che d’altra parte non poteva essere diverso.

La Commissione, come dicevo, rispetto a questo problema si è messa in condizione di estrema obiettività, senza preconcetti. Siccome nella quasi totalità la Commissione era favorevole al cambio, ha detto: una volta caduto il cambio della moneta, vediamo di non lasciare sfuggire i depositi bancari. (Interruzione dell’onorevole Corbino).

Onorevole Corbino, non è che ci siano state delle eminenze grigie. La Commissione, di fronte a un problema così grave, ha pregato il Ministro Campilli di manifestare l’opinione del Governo, che era un elemento necessario di giudizio. Non solo, ma siccome responsabile tecnicamente della politica creditizia del Paese è, finché c’è un Governatore della Banca d’Italia, il Governatore della Banca d’Italia, la Commissione ha pregato il Ministro di accertare formalmente il pensiero del Governatore. Ed ha voluto una manifestazione formale, cioè una lettera.

Il Ministro, in base alla lettera del Governatore, ha dichiarato che il Governo riteneva di non dover violare il segreto bancario. Che importanza ha questo dato di fatto? Evidentemente la questione della abolizione o meno del segreto bancario deve essere ponderata, come doveva essere pesata la questione del cambio della moneta. Ripeto, ero favorevole al cambio ma ad un certo punto ho dovuto negare la possibilità di farlo. La valutazione psicologica, l’apprezzamento delle condizioni del mercato, delle reazioni del mercato, sono dati di fatto che il Governo ed il Governatore della Banca d’Italia soltanto possono avere. Noi possiamo non credere a questa opinione del Governo e del Governatore della Banca d’Italia, ma dobbiamo accertarla perché è un elemento tecnico indispensabile. Noi abbiamo così accertata una opinione sfavorevole alla violazione del segreto bancario.

Prego l’Assemblea di tener conto di questo: se noi non facessimo oggi una lotta contro l’inflazione, e dovessimo violare il segreto bancario, in un momento in cui non si tratta di difendere la moneta, ma di applicare inflessibilmente un tributo (non in tutti i Paesi l’imposta ha scopo antinflazionistico), se noi non avessimo il dovere di combattere l’inflazione, non esisterebbe secondo me – e dissento da Corbino e Jacini – nessun problema. Ma quando si tratta di frenare la spinta speculativa, violando il segreto bancario, determiniamo una situazione di mercato contraria ai nostri fini. Prendendo questa decisione, la prendiamo a favore del nostro avversario, ed il nostro avversario è la speculazione inflazionistica.

Questo è un dato che, dal punto di vista della violazione del segreto bancario, bisogna tener presente. Non bisogna fare operazioni passive, per lo scopo della nostra battaglia e per l’obiettivo che vogliamo raggiungere. Se riteniamo che non ci sia un effetto inflazionistico, nel senso che si determini un panico fra i risparmiatori, possiamo tranquillamente violare il segreto bancario; se invece temiamo che ci sia, allora bisogna agire diversamente.

Debbo soggiungere che sulla materia del segreto bancario la Commissione si è divisa; ed io, all’infuori dei miei sentimenti personali, esprimo quella che è l’opinione della maggioranza. L’opinione della maggioranza si adeguò al giudizio tecnico del Ministro. Si disse: se il Governo si assume la responsabilità di non violare il segreto bancario, la Commissione non può andare oltre, ma deve prospettare all’Assemblea la situazione, in maniera che ciascuno possa assumere le proprie responsabilità.

Anche dopo avere riesaminata la questione in sede di emendamenti, la Commissione ha ritenuto di mantenere il suo giudizio, ed ha conservato la sua opposizione agli ordini del giorno De Mercurio, Pesenti-Scoccimarro ed altri.

Il pensiero della Commissione è invece favorevole all’emendamento Arcaini, che implica il giusto diritto di andare a vedere che cosa avviene nelle banche. Come abbiamo visto in materia di prestito della ricostruzione, c’è la possibilità che si siano fatte operazioni fittizie, ed è giusto che la finanza abbia una possibilità di controllo attraverso l’Ispettorato del credito. L’Ispettorato del credito, messo di fronte a questa responsabilità, farà il proprio dovere.

In quanto all’emendamento dell’onorevole Micheli, la Commissione è contraria al suo accoglimento perché, dato le circostanze in cui si crea l’imposta, si determinerebbe una condizione di privilegio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Quando il Governo del tempo, all’unanimità, ritenne di rispettare il segreto bancario, inserendo nell’articolo 44 l’ultimo comma di cui discutiamo, evidentemente non poteva non riferirsi a considerazioni di ordine tecnico attinenti genericamente alla politica monetaria ed economica. Il Governo attuale si è trovato dinanzi ad una legge non sua e per la quale attende dall’Assemblea un contributo di miglioramento e di perfezionamento; comunque esso ritiene che non siano venute meno le ragioni per cui si è inserito allora l’ultimo comma dell’articolo 44.

Ed è per questo che io non posso dare parere favorevole all’emendamento Dugoni.

Desidererei però, come contributo eminentemente pratico – poiché, tante volte, in questo nostro simpatico Paese, sul piano tributario, facciamo molte magnifiche disquisizioni di ordine teorico per avere in partenza la legge più perfetta possibile, senza preoccuparci troppo di quello che avverrà in sede di applicazione pratica di quel determinato tributo – desidererei che il problema dei depositi bancari venisse esaminato al lume di queste semplici considerazioni.

I titolari dei depositi possono appartenere all’una o all’altra delle seguenti categorie:

1°) Enti morali: credo che possiamo trascurare questa categoria, perché sappiamo che gli Enti morali sono assai più carichi di debiti che non titolari di depositi.

2°) Società azionarie quotate in borsa. Sia chiaro che per queste società la questione non ha alcuna importanza, poiché, ai fini della valutazione dei titoli si tiene conto della quotazione di borsa, e perciò i depositi di quelle determinate società sono automaticamente assorbiti, sul piano pratico, attraverso alla quotazione di mercato.

3°) Imprese industriali e commerciali azionarie, non quotate in borsa, oppure aventi altra forma giuridica di società di persone o imprese individuali.

Sul piano pratico avverrà – ed è opportuno che così avvenga in omaggio a quei principî di semplificazione nell’applicazione dell’imposta, che sono stati adottati per la valutazione dei terpeni e dei fabbricati – avverrà che, tramite probabilmente un organo da costituire con tutte le idonee garanzie, si stabiliranno, settore per settore, criteri e coefficienti per la valutazione di quelle determinato imprese.

Cosicché per tutti questi settori la questione dei depositi bancari avrà una importanza pratica pressoché nulla.

Quindi, la vera questione del censimento dei depositi bancari riflette la categoria residuale dei depositanti, che non sono né commercianti, né industriali, né società azionarie quotate in Borsa, né enti morali.

Queste sono le dimensioni pratiche del problema, onorevoli colleghi: esso si limita ai depositi appartenenti ai cosiddetti privati.

Ora, io non so se questa zona sia così notevole, sia così interessante per l’Amministrazione finanziaria da poter postulare un problema della violazione del segreto bancario, perché è la zona di tutti i piccoli depositanti, è la zona di quei libretti al portatore che, se anche hanno avuto origine presso categorie di speculatori, non facciamoci illusioni, al momento in cui avremo escogitato il sistema più perfetto per afferrarli, ci si presenteranno suddivisi su moltissime teste, cosicché proprio in quel momento in cui vorremo combattere una evasione, inconsapevolmente avremo creato proprio noi una evasione ancora maggiore. Vi è, però, un aspetto di questo controllo bancario, che è stato portato alla ribalta dall’emendamento Arcaini, cioè vi possono essere dei debiti bancari i quali hanno un loro corrispettivo in un altro conto bancario attivo.

A questo riguardo, ho già avuto occasione di far presente (in sede di illustrazione dell’articolo 27 se non erro) che l’Amministrazione finanziaria non si accontenterà di una semplice dichiarazione di debito alla data stabilita; la legge prescrive l’obbligo della presentazione di copia degli estratti-conto; e noi sappiamo che la lettura degli estratti-conto, se verrà eseguita con una certa intelligenza, è già di per sé una fonte tecnicamente idonea ad individuare la nascita di qualche contropartita fittizia.

Se tuttavia l’onorevole Arcaini ritiene che questo suo emendamento possa venire incontro in qualche modo alle preoccupazioni dell’Assemblea di colpire i debiti simulati, il Governo non ha difficoltà a rimettersi a quello che l’Assemblea deciderà al riguardo.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Desidero prendere brevemente la parola per far considerare che se, a nome degli amici repubblicani, ritirai l’ordine del giorno relativo al cambio della moneta, tale mio gesto era condizionato appunto a certe misure che permettessero una maggiore perequazione nell’applicazione dell’imposta patrimoniale. Ora, è questo uno dei casi più patenti ed è per questo che riteniamo sia doveroso da parte nostra, da parte del gruppo repubblicano, di insistere e di appoggiare con tutte le nostre forze la proposta dell’onorevole De Mercurio intesa alla soppressione del secondo comma dell’articolo.

Noi ritorneremo dunque sempre all’attacco su queste posizioni, poiché altrimenti noi avremmo giuocato un giuoco poco simpatico a coloro i quali ci hanno conferito il preciso mandato di sostenere questa posizione.

ZERBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZERBI. Vorrei permettermi un breve chiarimento realistico, che valga ad eliminare dalle determinanti della imminente votazione quella che, a modesto parer imo, è per gran parte un’ombra senza corpo.

Se non ho mal compreso, da parte di taluni dei colleghi che hanno precedentemente parlato, si ritiene che la soppressione del segreto bancario proposta dall’onorevole Dugoni, soprattutto in quanto consentirebbe d’indagare sui depositi, renderebbe possibile di perseguire efficacemente i capitati di malo acquisto di molti speculatori. Senonché la speranza di cogliere gli speculatori in credito verso banche è per lo meno tanto tenue da imporci di ponderare meditatamente se essa valga il prezzo del sicuro gravissimo turbamento che la proposta abolizione del segreto bancario prospetta.

Ma io vorrei chiedere in sostanza: credete voi davvero che coloro che noi ci sforziamo di perseguire fiscalmente siano stati così ingenui da tenere delle larghe disponibilità presso le banche? (Commenti).

Specie in tempi di prezzi rapidamente crescenti come quelli che ci affliggono, gli speculatori ben si guarderebbero dal lasciare giacenti in banca delle proprie disponibilità, poiché la convenienza economica li pungola a investire assiduamente in beni reali tutti i propri capitali e ad incrementare tali propri investimenti con tutto il credito bancario e non bancario che a loro riesca di ottenere. È di ovvia evidenza, in tempi come quelli che attraversiamo, che l’interesse stesso di coloro che noi ci proponiamo di perseguire fiscalmente, anche con l’abolizione del segreto bancario, li porta a non essere creditori delle banche, ma bensì debitori delle banche medesime. (Commenti).

Se una breccia dovessimo ritenere conveniente di aprire nelle inviolate mura del segreto bancario, questa dovrebbe essere aperta dal lato delle operazioni attive di banca, al limitato intento di consentire indagini su passività dei contribuenti sospettate artificiose e collegate a non denunciate attività. Anche tale breccia andrebbe praticata in misura e con strumenti che non provochino crepe o rotture pericolose nel delicato congegno bancario e nell’ipersensibile mondo dei risparmiatori, soprattutto dei piccoli. Dell’una e dell’altra esigenza parmi preoccupato l’onorevole Arcaini, il quale, con opportune cautele, si appunta realisticamente sul caso di partite passive sospette di avere delle contropartite attive.

È per questi motivi che io, onorevoli colleghi, ritengo che noi dovremmo respingere l’emendamento dell’onorevole Dugoni ed accogliere, semmai, quello dell’onorevole Arcaini.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

Voci a sinistra. Ai voti! Ai voti!

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Sono dolente di dover interloquire in questa discussione di competenti e di tecnici, ma io sono un po’ chiamato in causa, perché ho presentato un emendamento all’articolo 54.

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, ne parlerà al momento opportuno.

CAROLEO. Volevo dire questo che, in sostanza, siamo qui di fronte ad un grave problema di giustizia tributaria. Nella Carta costituzionale siamo arrivati a superare il domicilio individuale, quel tale diritto sacro all’uomo, e, anche nei confronti dei professionisti, voi ricordate che si è stabilito il principio che si può andare a frugare anche fra i loro documenti, per questo dovere di rispondere a quelle che sono le esigenze della finanza dello Stato.

Noi qui ci troviamo dinanzi ad una legge estremamente grave; quindi non possiamo assolutamente preoccuparci delle formule di ieri, di oggi e di domani. Tutti devono pagare. Qui la legge, come è congegnata, ha detto bene l’onorevole Dugoni, tende a colpire soltanto i proprietari di immobili, a cui si mettono perfino fittiziamente i soldi in tasca, perché il fisco abbia diritto di reclamarli. Perché, come dicevo l’altro ieri, nei riguardi dei proprietari di fabbricati bloccati, si arriva a presumere per questi signori delle quote di mobilio e di denaro, che non hanno mai avuto. Ora, di fronte a questo, un senso elementare di giustizia tributaria, in questo momento eccezionale della vita del nostro Paese, esige che anche i possessori di denaro, e tutti i possessori di denaro, paghino. (Applausi a sinistra).

La data è quella del 28 marzo 1947; quindi nessuna preoccupazione per la funzione creditizia avvenire. È una data-catenaccio che ha bloccato i valori immobiliari, per cui non c’era necessità di blocco, data la rigorosa vigilanza del settore delle imposte coi catasti e registri censuari. La data di blocco doveva unicamente funzionare nei riguardi dei possessori di denaro. E come noi potremmo colpirli, se non daremo almeno alla finanza questo diritto di controllo?

Mi sorprende che l’onorevole Ministro delle finanze abbia messo avanti degli argomenti, che io, modestamente, non posso condividere. Si afferma che sono pochi i risparmiatori delle banche; ebbene, in tal caso, questo provvedimento avrà limitate conseguenze. Ma siccome noi pensiamo – come molti di questa Assemblea pensano – che i possessori di denaro siano parecchi – e sono i cosiddetti «borsari neri» – non c’è altro modo di colpirli che l’indagine bancaria.

Per queste ragioni voterò a favore. (Applausi a sinistra).

Voci al centro. Ai voti! Ai voti!

PRESIDENTE. C’è una proposta dell’onorevole Scoca di rinviare…

Voci a sinistra. No! No!

PRESIDENTE. Dovrò mettere ai voti tale proposta.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Qui sono state prospettate due questioni: la questione del cambio della moneta e la questione del segreto bancario, che non possono essere lasciate insolute fino a domani.

Io mi permetto di ricordare agli amici proponenti che, quando l’altra volta questa stessa proposta fu fatta qui, fuori di qui vi furono delle manovre speculative. E noi non dobbiamo prestarci a questo giuoco. (Commenti).

Insisto quindi per una decisione immediata.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di pronunciarsi.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego l’onorevole Scoca – per le considerazioni che ha svolto l’onorevole Corbino e che in questo momento il Governo fa proprie – di rinunciare alla sua proposta di sospensiva o di rinvio.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Signor Presidente, io non avevo chiesto la sospensiva nel significato che è stato inteso. Io avevo chiesto – ed i colleghi che mi hanno udito possono testimoniarlo – la sospensione per cinque minuti al solo scopo di trovare una soluzione concordata. (Commenti). Anch’io sono del parere che in una questione così delicata non conviene rimandare i lavori a domani, ma conviene decidere subito.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alla votazione. Avverto l’Assemblea che sull’emendamento De Mercurio, soppressivo del secondo comma dell’articolo, vi è una domanda di votazione per appello nominale, firmata dagli onorevoli Valmarana, Perlingieri, Fuschini, Tosi, Cremaschi Carlo, Rescigno, Bosco Lucarelli, Cavalli, Arcaini, Angelini, Morelli Luigi, Cappi e Malvestiti.

Sulla soppressione del comma dell’articolo altra richiesta di votazione per appello nominale è pervenuta dagli onorevoli De Mercurio, Romita, Stampacchia, Bellusci, Rossi Paolo, Macrelli, De Vita, Nasi, Vigorelli, Capolari, Arata, Cianca, Cevolotto, Pieri, Foa, Morini.

È però pervenuta anche una richiesta di votazione a scrutinio segreto, che reca le firme degli onorevoli Chieffi, Cremaschi Carlo, Giordani, Medi, Nicotra Maria, Clerici, Mortati, Foresi, Castelli Avolio, Fabriani, De Palma, Mastino Gesumino, Lazzati, Angelini, Adonnino, Monticelli, Chatrian, Vanoni, Morelli Luigi e Zerbi.

Nella concorrenza delle due domande di votazione, quella a scrutinio segreto ha la precedenza.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto sull’emendamento De Mercurio soppressivo dell’ultimo comma dell’articolo 44.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione segreta.

Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     342

Maggioranza           172

Voti favorevoli        159

Voti contrari           183

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Benedetti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti Bruschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Borato.

Caccuri – Cairo – Calamandrei – Camposarcuno – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Caprani – Carbonari – Carboni Enrico – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jacini – Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lozza.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Mario – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Noce Teresa – Novella.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perlingieri – Pertini Sandro – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Segala – Segni – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Vaironi – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi.

Sono in congedo:

Bassano – Bellavista – Bernabei – Bianchi Costantino.

Carratelli.

Ferrarese – Fogagnolo.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Matteotti Matteo – Musotto.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Tomba.

Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sostituzione di un Commissario:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Perassi

Lami Starnuti

Mattarella

Codignola

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Colitto

Camporsarcuno

Mortati

Caroleo

Amadei

Cevolotto

Nobile

Uberti

Laconi

Lussu

Tonello

Grassi

Persico

Dominedò

Amadei

Cremaschi Carlo

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 17.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Sostituzione di un Commissario.

PRESIDENTE. Comunico che in sostituzione dell’onorevole Guido Giacometti, dimissionario, ho chiamato a far parte della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge l’onorevole Enrico Grazi.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che nella seduta di ieri è stato approvato l’articolo 113.

Passiamo quindi all’articolo 114, che, nel progetto, era del seguente tenore:

«Sono organi della Regione il Consiglio regionale, la Deputazione regionale ed il suo Presidente.

«Una legge della Repubblica stabilisce il numero dei membri del Consiglio ed il sistema elettorale, che deve essere conforme a quello per la formazione della Camera dei deputati.

«Il Presidente ed i membri della Deputazione regionale sono eletti dal Consiglio regionale, che elegge pure nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di Presidenza per i propri lavori.

«I membri del Consiglio regionale non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni o dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

Il Comitato di coordinamento ha ora presentato un nuovo testo che servirà di base per la discussione. Il nuovo testo è così formulato:

«Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta ed il suo Presidente.

«Il numero ed il sistema di elezione dei consiglieri ed i casi di ineleggibilità e di incompatibilità sono stabiliti con leggi dello Stato.

«Nessuno può essere contemporaneamente membro di un Consiglio regionale e di una delle Camere del Parlamento o di altro Consiglio regionale.

«I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni.

«Il Consiglio elegge nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di Presidenza, per i propri lavori.

«Il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio regionale tra i suoi componenti».

All’articolo 114 sono stati presentati vari emendamenti.

Vi è anzitutto quello proposto dall’onorevole Parassi, così formulato:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta ed il suo Presidente.

«Il numero ed il sistema di elezione dei membri del Consiglio ed i casi di ineleggibilità ed incompatibilità con l’ufficio di consigliere regionale sono stabiliti con legge dello Stato.

«Nessuno può essere contemporaneamente membro di un Consiglio regionale e di una delle Camere del Parlamento nazionale o di un altro Consiglio regionale.

«Il Consiglio elegge nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di presidenza.

«Le deliberazioni del Consiglio non sono valide, se non è presente la maggioranza dei suoi membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che sia prescritta una maggioranza speciale.

«Il Consiglio adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi membri.

«I membri del Consiglio regionale non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni.

«Il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio regionale».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. L’emendamento sostitutivo che avevo presentato è stato già esaminato dal Comitato di coordinamento e, a seguito di questo esame, il Comitato ha presentato il testo che è stato distribuito. Le modificazioni da me proposte, rispetto al testo primitivo, risultano dalla lettura e non sono molto rilevanti.

Alcune sono modificazioni di pura forma o di terminologia. Così, in luogo di «Deputazione», ho proposto «Giunta».

Questa sostituzione di parola è stata suggerita da due considerazioni:

1°) Si era usata la denominazione di Deputazione, quando il progetto prevedeva la soppressione della Provincia come ente. Una volta deciso il mantenimento della Provincia, il cui organo esecutivo si chiama Deputazione, è opportuno evitare che la denominazione sia usata per i due enti;

2°) La denominazione «Giunta» è già in applicazione per quanto concerne la Sicilia e la Val d’Aosta. Sarebbe un po’ strano che un organo avente medesime funzioni si chiami ad Aosta «Giunta» e a Torino «Deputazione».

Per queste considerazioni, avevo proposto questa modificazione. Il Comitato di coordinamento l’ha accolta.

Un’altra modificazione riguarda la soppressione di una disposizione che era inserita nel testo primitivo, nel quale si diceva che, per l’elezione dei membri del Consiglio regionale, dovrà, obbligatoriamente seguirsi la legge elettorale della Calmerà dei deputati. Ora, anche da diversi altri colleghi, è stato fatto presente che non si vede la necessità di stabilire nella Costituzione questa correlazione obbligatoria fra le leggi: elettorali dei due organi.

Ciò che basta dire è che il sistema di elezione dei Consiglieri sarà regolato dalla legge dello Stato come crederà. Il Comitato di coordinamento ha pure accolto questo punto di vista nel nuovo testo da esso presentato. Esso ha anche aderito ad inserire nell’articolo la disposizione, con la quale si prevede che la legge dello Stato regolerà anche i casi di ineleggibilità e di incompatibilità. In particolare è parso opportuno stabilire direttamente nella Costituzione un caso di incompatibilità, e cioè che nessuno può essere contemporaneamente membro di un Consiglio regionale e di una delle Camere del Parlamento o di altro Consiglio regionale.

Per quanto mi concerne, io avevo proposto questo emendamento, che è stato accolto dal Comitato, partendo dall’idea che conviene evitare questo cumulo di cariche e che vi sia una certa divisione di lavoro. È bene, cioè, che coloro che sono eletti a far parte di Consigli regionali si occupino di questa funzione e non siano distratti da altre cariche. In particolare, il cumulo della carica di consigliere regionale con quella di membro di una delle Camere del Parlamento sarebbe dannoso per la Regione e per lo Stato.

Le modificazioni, alle quali ho finora accennato, sono quelle formulate nel mio emendamento, che sono state accolte dal Comitato di coordinamento, nel nuovo testo da esso presentato.

Nel mio emendamento vi erano altri due commi, i quali stabilivano alcune disposizioni fondamentali circa il funzionamento del Consiglio regionale. Uno diceva:

«Le deliberazioni del Consiglio non sono valide se non presentate a maggioranza dei suoi membri, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che sia prescritta una maggioranza speciale».

Il secondo comma diceva:

«Il Consiglio adotta il proprio Regolamento a maggioranza assoluta dei suoi membri».

Questi due commi ripetono testualmente le disposizioni corrispondenti che figurano nell’articolo 61 per quanto concerne le Camere. Mi pare opportuno che questi principî fondamentali, relativi al modo di funzionare dei Consigli regionali, siano inseriti nella Costituzione.

Comunque, su questo punto io attendo che il Presidente della Commissione esponga le ragioni per le quali il Comitato ha ritenuto opportuno di non inserirli nel testo che ha presentato. Mi riservo, pertanto, di esporre il mio punto di vista definitivo circa questa parte del mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento a firma dell’onorevole Preti, così formulato:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La legge delta Stato disciplina l’elezione e la composizione del Consiglio regionale».

Non essendo presente l’onorevole Preti, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’emendamento a firma dell’onorevole Lami Starnuti così formulato:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: che deve essere conforme a quello per la formazione della Camera dei deputati».

L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Il mio emendamento è già accolto dal nuovo testo presentato dal Comitato di coordinamento, e perciò ritengo superfluo svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento a firma dell’onorevole Micheli, così formulato:

«Al secondo comma, dopo le parole: per la formazione della Camera dei deputati, aggiungere: adottandosi le circoscrizioni provinciali».

Non essendo presente l’onorevole Micheli, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’emendamento presentato dall’onorevole Preti, così formulato:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Il Consiglio regionale elegge nel suo seno:

il proprio Presidente;

il Presidente e i membri della Deputazione regionale».

Non essendo presente l’onorevole Preti si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’emendamento dell’onorevole Mattarella, così formulato:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«L’appartenenza al Consiglio regionale è incompatibile con l’appartenenza ad altro Consiglio regionale o ad una delle Assemblee legislative nazionali».

L’onorevole Mattarella ha facoltà di svolgerlo.

MATTARELLA. Rinuncio a svolgerlo, perché il mio emendamento fa parte integrante del nuovo testo del Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Bruni, così formulato:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Sono incompatibili le funzioni di deputato al Parlamento e di consigliere regionale. Un consigliere regionale eletto senatore non decade dalla carica».

Non essendo presente l’onorevole Bruni, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’emendamento dell’onorevole Codignola, così formulato:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«I membri di un Consiglio regionale non possono far parte del Parlamento nazionale».

CODIGNOLA. Anche il mio emendamento è accolto nel nuovo testo del Comitato di redazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi sembra che tutti gli emendamenti siano caduti.

Io non devo fare altro che invitare l’Assemblea a votare il testo nella dizione ultima che è stata presentata dal Comitato e che, in sostanza, rispecchia le proposte che sono state fatte dal collega Perassi, tranne due punti.

Il collega Perassi aveva proposto alcune norme sul funzionamento del Consiglio – quorum di maggioranza, modi di approvazione del regolamento del Consiglio – norme che evidentemente hanno un valore. Ma il Comitato ha ritenuto che non conviene stabilire soltanto alcune norme, che riguardano il funzionamento dei Consigli; le altre, non inserite, poteva sembrare fossero escluse. Ad ogni modo – ed in questo spero che il collega Perassi aderisca – ha dichiarato che queste norme debbano far parte degli statuti regionali, dove saranno accolti principî, che già vigono pel Parlamento nazionale, e sono di evidente giustizia.

Non debbo far altro che pregare l’Assemblea di votare il testo, così come è stato proposto dal Comitato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perassi. Ne ha facoltà.

PERASSI. Prendo atto della dichiarazione del Presidente del Comitato, nel senso che la determinazione dei principî relativi al funzionamento del Consiglio regionale sarà di competenza dello statuto regionale previsto nell’articolo 124. Secondo il mio avviso, sarebbe stato forse opportuno farne cenno nella Costituzione. Comunque, di fronte alla dichiarazione dell’onorevole Ruini, non insisto nei due commi dell’emendamento che avevo proposto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 114:

«Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta ed il suo Presidente».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Il numero ed il sistema di elezione dei consiglieri ed i casi di ineleggibilità e di incompatibilità sono stabiliti con leggi dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«Nessuno può essere contemporaneamente membro di un Consiglio regionale e di una delle Camere del Parlamento o di altro Consiglio regionale».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma:

«I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

(È approvato).

Pongo in votazione il quinto comma:

«Il Consiglio elegge nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di Presidenza, per i propri lavori».

(È approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma dell’articolo 114:

«Il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio regionale tra i suoi componenti».

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 114 nel suo complesso, secondo il nuovo testo proposto dalla Commissione, testé approvato nei singoli commi.

(È approvato).

Vi è ora un articolo aggiuntivo, 114-bis, proposto dall’onorevole Persico, del seguente tenore:

«In ogni Regione è costituito un Consiglio economico regionale, composto nei modi stabiliti dalla legge.

«Il Consiglio economico regionale è organo di consulenza dei pubblici poteri nelle materie interessanti l’economia regionale, ed esercita tutte le altre funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

Non essendo presente l’onorevole Persico, s’intende che vi abbia rinunciato.

Passiamo all’articolo 115. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa che compete alla Regione e quella regolamentare delegata dallo Stato. Può proporre disegni di legge al Parlamento nazionale. Adempie le altre funzioni conferite dalle leggi.

«La Deputazione regionale è l’organo esecutivo della Regione.

«Il presidente della Deputazione rappresenta la Regione».

PRESIDENTE. Il Comitato di coordinamento propone ora il seguente nuovo testo, che sarà tenuto come base nella discussione:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa attribuita alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può proporre disegni di legge al Parlamento.

«La Giunta regionale è l’organo esecutivo delle Regioni.

«Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; promulga le leggi ed i regolamenti regionali e dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale».

A questo articolo è stato proposto dall’onorevole Codignola, il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La potestà legislativa sulle materie di cui all’articolo 109 e quella regolamentare sulle materie di cui l’amministrazione sia delegata dallo Stato alla Regione a norma dell’articolo 112, sono esercitate dal Consiglio regionale. Esso può inoltre proporre al Parlamento nazionale, nei modi previsti dagli statuti, voti e progetti di legge su materie d’interesse regionale.

«La potestà esecutiva, nonché la potestà regolamentare sulle materie di diretta pertinenza della Regione, spetta alla Deputazione ed al suo presidente.

«A quest’ultimo spettano altresì la rappresentanza della Regione, la promulgazione delle leggi regionali e l’emanazione dei regolamenti».

Non essendo presente l’onorevole Codignola, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue un emendamento dell’onorevole Caroleo:

«Al primo comma, sostituire il primo periodo col seguente:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa delegata alla Regione».

Non essendo presente l’onorevole Caroleo, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue un emendamento dell’onorevole Colitto:

«Nel primo comma, alle parole: e quella regolamentare delegata dallo Stato, sostituire: e quella delegata da leggi della Repubblica».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Il primo comma dell’articolo 115, nel vecchio testo presentato dalla Commissione, era così redatto:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa che compete alla Regione e quella regolamentare delegata dallo Stato. Può proporre disegni di legge al Parlamento nazionale. Adempie le altre funzioni conferite dalle leggi».

In riferimento ad esso io proposi che fosse soppressa la parola «regolamentare».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma nella formulazione del nuovo testo è stata già soppressa.

COLITTO. È esatto. Io ho constatato con piacere che l’emendamento da me proposto è stato accolto dal Comitato. Ma io ho proposto anche un altro emendamento. Ho proposto che alle parole del primo comma «e quella regolamentare delegata dallo Stato», vengano sostituite le seguenti altre: «e quella delegata da leggi della Repubblica». La ragione dell’emendamento è nel fatto che anche negli articoli in precedenza approvati si parla di potestà legislativa delegata non dallo Stato, ma da leggi della Repubblica. Il mio emendamento ha, quindi, una ragione di mera euritmia legislativa, che ha anche la sua importanza.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Camposarcuno, di cui do lettura:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Il presidente della Deputazione rappresenta il Governo centrale nella Regione per le materie di competenza dello Stato o delegate da questo alla Regione per la esecuzione».

L’onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgerlo.

CAMPOSARCUNO. Con la modificazione da me proposta all’ultimo comma dell’articolo 115, io ho inteso di dare una rappresentanza al Governo centrale nella Regione. Mi pare che il presidente della Deputazione possa esercitare funzioni di rappresentanza per le materie di competenza dello Stato o delegate da questo alla Regione per la esecuzione.

Né vale osservare che ciò sia già previsto dal nuovo articolo 116, il quale è del seguente tenore:

«Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione».

Non vale, dicevo, invocare tale formulazione, perché questo commissario di Governo, di cui qui è fatto cenno, sovraintende soltanto alle funzioni amministrative, mentre, con il mio emendamento, io intendo che vi sia proprio un rappresentante del Governo per le materie, ripeto, che siano di competenza dello Stato e vengano delegate alla Regione per l’esecuzione. Con questo emendamento, intendo, in altre parole, che per l’esecuzione della funzione statale delegata alla Regione vi sia il presidente della Deputazione in veste di rappresentante del Governo.

PRESIDENTE. Sono stati presentati i seguenti altri emendamenti dall’onorevole Mortati:

«Aggiungere al primo comma, dopo la frase: Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa attribuita alla Regione, le parole: nonché quella regolamentare delegata ad essa dallo Stato».

«Sostituire il terzo comma col seguente testo:

«Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione, promulga le leggi regionali, emana i regolamenti delle materie attribuite alla competenza legislativa della Regione».

«Sopprimere le parole: conformandosi alle istruzioni del Governo centrale».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerli.

MORTATI. A me pare che il nuovo testo proposto dal Comitato presenti questo inconveniente di lasciare incerta la determinazione della competenza normativa in ordine alla potestà legislativa delegata dal Governo centrale.

Noi sappiamo che la Regione può esercitare una potestà normativa delegata e una potestà regolamentare delegata, e si tratta di stabilire – il che mi pare importante, dal punto di vista della certezza del diritto – quale sia l’organo competente a provvedere in materia di legislazione delegata. Ora, mentre dalla disposizione proposta si desume chiaramente la competenza del Consiglio regionale per la prima, rimane incerta quella relativa alla seconda. Credo opportuno si chiarisca che la potestà normativa dell’esecutivo regionale è limitata semplicemente ai regolamenti nella materia legislativa propria della Regione.

Il secondo emendamento tende a precisare questo punto: che il presidente della Giunta non solo promulga, ma emana i regolamenti nelle materie attribuite alla competenza regolamentare propria della Regione: mancherebbe altrimenti ogni determinazione in ordine all’organo titolare di tale potere di emanazione, il che mi pare un’impostazione da evitare.

Per quanto riguarda il terzo punto, non credo opportuno insistere nell’emendamento, anche perché l’esame di questo dovrebbe farsi in correlazione con l’altro proposto pel successivo articolo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’articolo 115 è, in sostanza, il testo vecchio, con alcuni piccoli ritocchi, che non credo possano sollevare difficoltà nell’Assemblea.

L’onorevole Colitto ha chiesto che sia tolta «la facoltà regolamentare delegata dallo Stato»; ed è stata tolta nel nuovo testo; il suo desiderio è quindi sodisfatto. Quanto all’altra espressione che egli propone «delegata da leggi della Repubblica», noi abbiamo messo «attribuita», che è frase più larga e giuridicamente preferibile.

L’onorevole Mortati vuole si parli specificamente delle potestà regolamentari, cioè di emanare regolamenti, che la legge può dare alla Regione. È un problema che abbiamo esaminato; e si è ritenuto che non occorra specificare, per un insieme di considerazioni, che hanno anche fatto capo ad una mia frase – sarà una «boutade», ma un fondamento c’è – che ormai una vera e propria distinzione tra leggi e regolamenti non esiste più; esisteva quando c’era un taglio netto fra ciò che deliberava il Parlamento e le norme esecutive che faceva il Governo. Ora vi sono tanti gradi intermedi: i decreti legislativi, i regolamenti che emanano dalle norme che hanno forza legislativa, ecc. Volutamente l’Assemblea si astenne dal parlare di regolamenti. Parlò bensì in generale di facoltà di emanare le norme secondo la delegazione che avrebbe fatto la legge dello Stato. In ciò è compreso il regolamento, senza specificarlo. Non vorrei che, aggiungendo quello che propone l’onorevole Mortati, si creasse una specie di asimmetria, perché ora verremmo a parlare di regolamenti, mentre non ne abbiamo parlato allora. Entreremmo poi in un campo minuto: regolamenti che spettano al Consiglio, quelli che spettano alla Giunta, ecc. Pregherei di rimanere al testo della Commissione; secondo il quale non è dubbio che, tra le funzioni che le leggi della Repubblica possono conferire alla Regione, vi è la facoltà di emanare regolamenti.

L’emendamento dell’onorevole Camposarcuno, che è assorbito in altre parti dalle nostre proposte, solleva incidentalmente un problema di una certa importanza: il presidente della Giunta dovrebbe rappresentare il Governo centrale nella Regione non solo – come dice il testo nostro – per le materie che lo Stato delega alle Regioni, ma anche per le materie di competenza dello Stato. Questo problema va meglio esaminato nell’articolo successivo, quando parleremo del Commissario del Governo.

CAMPOSARCUNO. Allora si rinvia.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io mantengo il testo della Commissione, ed eventualmente risponderò nella discussione del prossimo articolo; ma il luogo di trattare non è questo.

CAMPOSARCUNO. Il secondo emendamento si potrebbe accettare?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione non è favorevole, nel senso che la responsabilità del Presidente di fronte al Consiglio è norma generale di diritto amministrativo, e vale nelle province, nei comuni ed in tutti gli enti. Non v’è motivo di metterlo soltanto per le Regioni. Aggiungo che lo statuto delle Regioni potrà dare norme precise al riguardo.

CAMPOSARCUNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPOSARCUNO. Il Presidente Ruini, in definitiva, per quanto riguarda il primo emendamento da me proposto, pur convenendo sulla sua importanza, ha espresso il desiderio che se ne parli nella discussione del prossimo articolo, dove potrebbe trovare utilmente posto.

Dopo i chiarimenti dati in merito al mio secondo emendamento – che sostanzialmente viene accettato, ma che non si ritiene opportuno inserire nel testo della Costituzione, in quanto il regolamento della Regione potrebbe contenerlo – dichiaro di non insistervi.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati insiste nel suo emendamento?

MORTATI. Sono perplesso, perché mi pare che il testo del Comitato peggiori la dizione del progetto dei Settantacinque, ingenerando l’incertezza della quale ho parlato. Non mi pare che l’incertezza sia sanata dalla frase generica, con cui si fa riferimento alle altre funzioni. Di quali funzioni si vuol parlare? Se solo di quelle legislative, è bene precisare il punto relativo all’attività Regolamentare, tanto più in presenza dell’altro comma, con cui si fa riferimento a tale attività. Se invece si intendono comprese anche altre funzioni, di indole amministrativa, si dice qualcosa di inesatto.

Comunque non insisto, ma con questo chiarimento.

PRESIDENTE. Allora, essendo ritirati o decaduti tutti gli emendamenti, resta soltanto il testo della Commissione, che sarà votato comma per comma.

Pongo in votazione il primo comma:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa attribuita alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può proporre disegni di legge al Parlamento».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«La Giunta regionale è l’organo esecutiva delle Regioni».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«Il presidente della Giunta rappresenta la Regione; promulga le leggi ed i regolamenti regionali e dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale».

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 115 nel suo complesso.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 116. Ricordo che, nel progetto, l’articolo era del seguente tenore:

«Il presidente della Deputazione regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale.

«Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, vigila e coordina secondo le direttive generali del Governo gli atti dell’amministrazione regionale per le funzioni delegate alle Regioni e presiede all’esercizio di quelle riservate allo Stato».

Il Comitato di coordinamento, soppresso il primo comma, inserito nell’articolo precedente, ha ora proposto il seguente nuovo testo dell’articolo:

«Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione».

A questo articolo l’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il presidente della Deputazione regionale è anche il rappresentante del Governo centrale nella Regione. Esso vigila e coordina le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione e presiede all’esercizio di quelle riservate allo Stato ed ai suoi organi locali. Partecipa, con voto consultivo, alle sedute del Consiglio dei Ministri quando esse abbiano per oggetto argomento di interesse specifico per la Regione.

«Il Governo centrale si accerta dell’efficace tutela degli interessi dello Stato nel territorio della Regione mediante propri ispettori e, ove grandi ragioni lo consiglino, affidando temporaneamente la cura delle funzioni dello Stato non delegate alla Regione a un proprio commissario straordinario, che assume in tal caso i poteri di rappresentante dello Stato nella Regione».

Non essendo presente l’onorevole Codignola, l’emendamento s’intende decaduto.

Vi è poi un emendamento dell’onorevole Caroleo, del seguente tenore:

«Al primo comma, dopo le parole: alla Regione, aggiungere: e controlla anche l’esercizio di quelle riservate allo Stato».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Ho già accennato, a proposito di un precedente emendamento che aveva quasi l’identico contenuto, alla necessità che dagli enti locali siano controllati i servizi di stretta competenza statale. Ricordo che l’onorevole Ruini disse che il mio rilievo era fondato, e che si sarebbe tenuto conto di questo in sede di coordinamento delle varie norme. Quindi non faccio che ripetere la raccomandazione, a suo tempo accolta dall’onorevole Ruini, sulla necessità che gli enti locali controllino anche i servizi di competenza statale.

PRESIDENTE. È stato presentato un emendamento al nuovo testo a firma degli onorevoli Amadei, Jacometti, Carpano Maglioli, Dugoni, Tega, Priolo, Vernocchi, Fornara, Cacciatore, Mariani Enrico e Bonomelli, così formulato:

«Alle parole: e le coordina con quelle esercitate dalla Regione, sostituire: coordina con esse quelle esercitate dalla Regione».

L’onorevole Amadei ha facoltà di svolgere questo emendamento.

AMADEI. L’emendamento mio e di altri colleghi riguarda una questione di forma ed una questione di sostanza. Una questione di forma, perché a noi sembra che l’emendamento sia più chiaro del testo e meglio si adatti allo spirito che ha informato il nostro lavoro costituzionale; una questione di sostanza, perché è evidente che se coordinare significa aggiungere, togliere, trovare uno spirito di adattamento ed uno spirito di collaborazione, è evidente che questo spirito debba essere adoperato più dalla Regione che dallo Stato. Il lavoro di coordinamento, che deve essere indubbiamente fatto, deve essere tale da far sì che sia la funzione amministrativa della Regione che si accosti alla funzione amministrativa dello Stato, e non il contrario. Bisogna, in una parola, che la funzione amministrativa della Regione sia subordinata alla funzione amministrativa dello Stato. Per queste ragioni abbiamo proposto l’emendamento. Confidiamo che sia accolto dall’Assemblea.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Vorrei chiedere all’onorevole Ruini di voler chiarire quali saranno i rapporti di questo commissario del Governo con il prefetto, perché non li ho capiti. Vorrei sapere se il prefetto resta o è soppresso. Se i prefetti dovessero restare (e si tratta di una grossa questione che non pare ancora decisa) non vorrei che si costituisse un commissario del Governo col relativo Gabinetto, con i relativi uffici, con il relativo palazzo, vicino al quale vi sarebbe il palazzo del Governo della Regione con i relativi uffici, mentre resterebbe l’attuale «Palazzo del Governo» con il prefetto ed altri uffici. Mi sembra che, come semplificazione burocratica, noi stiamo facendo cosa che raggiunge vertici eccelsi.

PRESIDENTE. Salvo la risposta che l’onorevole Ruini le darà, le faccio presente che in tutto il testo del progetto di Costituzione non vi è cenno dell’esistenza, di un istituto, organo, funzionario, che si chiami prefetto o che adempia una funzione correlativa. Mi sembra, pertanto, che la questione che lei pone ne implichi una che non esiste. Comunque l’onorevole Ruini risponderà alla sua domanda.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei un chiarimento. L’articolo 116, come era nel primitivo testo approvato dalla Commissione, diceva così: «Un commissario del Governo residente nel capoluogo della Regione, vigila e coordina secondo le direttive generali del Governo gli atti dell’amministrazione regionale per le funzioni delegate alle Regioni…». Il testo nuovo presentato dal Comitato sopprime la parola «vigila» e con la parola sopprime anche una funzione che io ritengo importante e vitale, perché lo Stato, il quale delega alla Regione una parte delle sue funzioni, ha il diritto, ha il dovere di vigilare e controllare come questo esercizio viene fatto.

Pertanto vorrei chiedere spiegazioni, perché al testo primitivo votato dalla Commissione è stato sostituito un nuovo testo, il quale ne differisce in questa parte così essenziale.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. V’è una questione importante che cadrebbe con la decadenza dell’emendamento Codignola, ma che è stata sollevata incidentalmente dall’onorevole Camposarcuno, ed è l’esistenza del Commissario del Governo nel capoluogo della Regione.

La tesi dell’onorevole Camposarcuno, accennata così per incidenza e non come una formale proposta, è che non vi sia commissario del Governo e che il Presidente della Giunta ne eserciti le funzioni.

La Commissione, dopo aver esaminato lungamente questa tesi e l’altra, che si stabilisca un Commissario ad hoc, ha ritenuto che la prima soluzione non sia da accettare. Le funzioni esercitate dallo Stato nella Regione richiedono criteri uniformi di applicazione nelle varie Regioni, e sono così strettamente connesse alla qualità di rappresentante dello Stato, di suo delegato, di suo funzionario, di persona di sua fiducia, che non possono essere senza pericolo affidate ad un elemento elettivo della Regione, senza pericolo di attriti e di complicazioni, anziché semplificazione. In conformità allo spirito che ha animato la nostra riforma, e che mantiene allo Stato la maggior parte delle funzioni che ora ha nella Regione, si è ritenuto che non possa sopprimersi la figura del Commissario del Governo. Ad ogni modo, quella dell’onorevole Camposarcuno è sorta incidentalmente e non è una vera proposta.

Vi è poi un’altra questione che ha sollevato, mi pare, l’onorevole Caroleo.

CAROLEO. Vi rinunzio.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vi è anche una domanda dell’onorevole Cevolotto, relativa ai rapporti fra il commissario governativo della Regione ed il prefetto.

Il Presidente dell’Assemblea ha notato che dei prefetti non si parla affatto nel nuovo testo della Costituzione. Anche nei lavori della Commissione dei Settantacinque, non vi è a questo riguardo nessuna deliberazione formale della Commissione. Le discussioni della seconda Sottocommissione si sono ispirate e si orientano complessivamente contro la conservazione del prefetto, almeno come ora è; vale a dire il prefetto di tipo napoleonico, che è un rappresentante del potere politico ed ha dato luogo ad abusi ed inconvenienti nel regime passato. Comunque, se vi è stata, per così dire, una conclusione tragica, non vi è stata una vera deliberazione o proposta di disposizione, così che la questione dovrà essere rimessa al nuovo ordinamento comunale e provinciale e si potranno allora tener presenti gli atti della Sottocommissione.

L’onorevole Nobile si è lagnato che nell’ultimo testo sia stata tolta la parola «vigila». Nel primo testo si diceva che un commissario del Governo vigila e coordina secondo le direttive generali del Governo gli atti dell’Amministrazione regionale per le funzioni delegate alla Regione. È sembrato che (poiché abbiamo già detto nell’articolo precedente che per tali funzioni il presidente della Giunta deve conformarsi alle istruzioni del Governo centrale) sia evidente ed implicito che il Governo centrale si varrà del commissario per esercitare i suoi poteri di vigilanza e di coordinamento. L’obbligo di conformarsi alle istruzioni governative è più vasto di ogni altra formulazione.

Abbiamo inoltre un ultimo emendamento dell’onorevole Amadei, che capovolge un po’ la dizione del Comitato, secondo la quale il commissario coordina le funzioni dello Stato con quelle della Regione. Per l’onorevole Amadei, invece, il commissario coordina le funzioni della Regione con quelle dello Stato.

Intendiamoci bene. Il Comitato ha voluto mirare a qualche cosa di sostanziale, al coordinamento che è opportuno ed anzi necessario nelle funzioni amministrative che si svolgono nella Regione, come è indispensabile, e quasi una esigenza, uno stato d’animo, una parola d’ordine per tutta la vita del Paese, in un momento di minacce, di dissolvimento e di discrasia, specialmente economica. La maggioranza del Comitato non ha ritenuto di accettare la formula Amadei. Si teme che, se si attribuisse al commissario del Governo di coordinare le funzioni proprie della Regione, si verrebbe a dare al Governo facoltà di vigilanza, di ispezione, di ingerenza negli atti della Regione, non conformi alla autonomia di questo ente. Personalmente io ritengo che il coordinamento si otterrebbe meglio con la formula Amadei; ma – data la posizione del Comitato – bisogna cercare di ottenere il risultato nella via da esso indicata.

Il commissario del Governo sovrintende a tutte quelle che sono le funzioni proprie dello Stato, e poi coordina queste funzioni che dipendono da lui, che sono sue, con quelle che spettano per potere proprio alla Regione.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Codignola essendo decaduto e quello dell’onorevole Caroleo risultando assorbito dal nuovo testo della Commissione, rimane l’emendamento proposto dall’onorevole Amadei.

Domando all’onorevole Amadei se, di fronte alle spiegazioni date dell’onorevole Ruini, egli mantenga il suo emendamento.

AMADEI. Sì, vi insisto.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. L’onorevole Ruini, rispondendo all’onorevole Cevolotto e parlando della configurazione della provincia, ha detto che la questione è rimasta accantonata; mentre nella seconda Sottocommissione si è stabilito di non prendere una deliberazione positiva, in quanto tutte le norme escludevano quella figura.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho detto che non vi è stata né proposta di norma né deliberazione formale. Ed è la pura verità.

UBERTI. Non possiamo accettare la proposta Amadei, inquantoché essa sovvertirebbe la configurazione della Regione, poiché porrebbe la Regione alle dipendenze del Commissario governativo regionale, così come oggi la Provincia è alle dipendenze del prefetto.

Sull’emendamento Amadei chiediamo la votazione per appello nominale.

LACONI. Chiedo di parlare, per far mio come emendamento il testo originario della Commissione dei Settantacinque.

PRESIDENTE. Le do facoltà di parlare; ma le ricordo che proprio ieri sera ho fatto presente che le proposte si presentano prima che il Presidente della Commissione esprima il suo parere sui vari emendamenti.

LACONI. Le cose che dirò probabilmente sono note al Presidente della Commissione.

Il testo originario della Commissione ci sembra più rispondente a quella differenziazione di competenze attribuite alla Regione nei precedenti articoli.

Quel testo della Commissione dei Settantacinque, infatti, diceva:

«Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, vigila e coordina, secondo le direttive generali del Governo, gli atti dell’Amministrazione regionale per le funzioni delegate alle Regioni e presiede all’esercizio di quelle riservate allo Stato».

Nell’emendamento accettato, e ripresentato come nuovo testo dalla Commissione dei Diciotto, è completamente perduta la differenziazione tra le funzioni delegate dallo Stato alla Regione e quelle invece riservate allo Stato; ed è rimasta al commissario governativo soltanto la competenza sulle materie riservate allo Stato.

Noi pensiamo che, trattandosi di materie delegate, non si possa evitare del tutto un minimo di controllo da parte dello Stato. Se noi precludessimo allo Stato la possibilità di esercitare questo controllo, attraverso quel suo rappresentante locale, che è il commissario, ciò significherebbe unicamente che lo Stato dovrebbe esercitare direttamente, attraverso i suoi organi centrali, questo controllo; cosa che porterebbe disordine nell’amministrazione, inquantoché lo Stato dovrebbe esercitare il controllo con organi diversi, diminuendo l’autorità di quell’organo qualificato, che è il commissario regionale.

Per questo preferiamo la formula originaria della Commissione dei Settantacinque e la ripresentiamo come emendamento.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Prima che si passi alla votazione desidererei che l’onorevole Ruini, come Presidente della Commissione, fosse molto più chiaro e sulla funzione e sulla personalità del commissario, rispondendo anche alle richieste fatte sul prefetto. L’onorevole nostro Presidente dell’Assemblea è stato, in proposito, infinitamente più esplicito dell’onorevole Ruini.

Si tratta di una questione estremamente importante, e sarebbe veramente lamentevole se questa questione dell’istituto prefettizio dovesse improvvisamente risolversi o in quest’Aula, o in sede di interpretazione, in altra sede. Desidererei quindi che l’onorevole Ruini fosse esplicito e dicesse chiaramente qual è stata la sostanza dei lavori concordemente fatti in seno alla seconda Sottocommissione, per cui non vi sia nessun dubbio, e l’onorevole Cevolotto possa essere totalmente tranquillizzato, prima che si voti questo testo. Ed a mio parere l’onorevole Cevolotto ha diritto ad essere tranquillizzato, perché egli non ha preso parte ai lavori della seconda Sottocommissione.

Personalmente, prima di finire, debbo dichiarare – e servirà come dichiarazione di voto – che, se l’onorevole Codignola fosse stato presente ed avesse sostenuto l’articolo 116 con l’emendamento presentato, io avrei sostenuto l’onorevole Codignola. Penso cioè che sarà estremamente pericolosa, nella pratica, questa figura di commissario del Governo, il quale può rischiare di assumere un atteggiamento antagonistico di fronte al capo della Regione, cioè al Presidente della Deputazione regionale. Non vi è dubbio che questo è un pericolo. L’emendamento dell’onorevole Codignola evitava questo pericolo e dava al Presidente della Deputazione regionale, investito delle funzioni per delega dello Stato, una figura preminente ed una personalità morale obbligata ad immedesimarsi nei doveri dello Stato e ad essere quindi un vero e leale interprete, nella Regione, degli interessi reali dello Stato. Credo che l’onorevole Codignola si sia ispirato a questo principio quando…

PRESIDENTE. Onorevole Lussu! Avrebbe potuto far suo l’emendamento Codignola a suo tempo, ma poiché questo emendamento è decaduto, sarebbe bene parlare del testo.

LUSSU. La mia è una dichiarazione di voto. Per finire: non faccio nessun emendamento in questa sede, ma pregherei la Commissione, se si è ancora in tempo, di cambiare la denominazione di commissario del Governo, perché c’è il giustificato timore che attorno a questo commissario si creino confraternite locali, clan locali e si stringano interessi locali che interferiscano nelle funzioni dello Stato, e che risorga, attraverso la figura del commissario del Governo, la funzione prefettizia che tutti abbiamo voluto sopprimere.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Lussu, le mie affermazioni, assolutamente ineccepibili, non contrastano con quanto ha detto il Presidente dell’Assemblea, quando ha osservato che la Costituzione non parla in nessun luogo del prefetto. Non ho nulla da mutare, e mi dispiace di dover ripetere che in seno alla Sottocommissione si è manifestata l’opinione contraria al prefetto e vi è stato in questo senso un orientamento generale, ma non è stato né deliberato, né proposto di mettere una norma nella Costituzione; ed allora bisogna rimettersi al futuro legislatore.

LUSSU. Allora, bisogna inserire un articolo in cui risulti che la funzione prefettizia è soppressa. Altrimenti c’è equivoco.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’equivoco è dell’onorevole Lussu, che prende un orientamento per una norma che non è stata proposta. Perché non l’ha proposta lei prima? Anche ora siamo nel campo delle aspirazioni vaghe… Tutto ciò osservo a prescindere dalla questione se l’istituzione o no del prefetto sia tema di Costituzione, o non sia da rinviarsi alla legge ordinaria, come si dovrebbe logicamente dedurre da ciò che fece la seconda Sottocommissione.

Venendo alla proposta che ora ha avanzato l’onorevole Laconi, io devo dire che la colpa è sua, perché egli è membro del Comitato di redazione; e noi lavoriamo con lui molto volentieri; ma egli non ha presentato questo dubbio in seno al Comitato. Ho già detto – quante volte debbo ripetere! ma la colpa non è mia – che, avendo stabilito che il presidente della Giunta, per le funzioni delegate dallo Stato alla Regione, si deve attenere alle istruzioni del Governo centrale, era parso inutile stabilire che queste istruzioni dovevano passare, come normalmente passeranno, attraverso il commissario del Governo. Tutto è qui. È un punto di così scarso rilievo, che non dovrebbe farci perdere del tempo. Se per non perdere tempo e per evitare discussioni può giovare il ritorno al vecchio testo, lo faccia pure quando lo creda, l’Assemblea Costituente.

Il punto su cui debbo insistere è nel respingere l’idea dell’onorevole Lussu (che non è ancora una proposta) di lasciar cadere la figura del commissario del Governo, attribuendo i suoi compiti al presidente della Giunta, cioè al presidente regionale, e nel respingere la proposta Amadei, di cui ho già parlato.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Lussu?

LUSSU. Siccome non siamo ancora in votazione, posso ancora parlare…

PRESIDENTE. Lei, poco fa, ha detto di fare una dichiarazione di voto.

LUSSU. La questione è troppo grave! Chiedo all’Assemblea di consentirmi di chiarirla. Le osservazioni dell’onorevole Ruini – lo dico con tutta deferenza – sono non dico equivoche, ma poco chiare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma come, dopo quello che ho detto?

LUSSU. Ho ancora il diritto di presentare un emendamento!

PRESIDENTE. Sì, onorevole Lussu, lei ha questo diritto. Se intende presentare un emendamento, la invito a farlo per iscritto, con la firma di almeno dieci colleghi.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è questo il momento – parliamo dell’ente Regione – di esaminare la questione del prefetto. Se ella, onorevole Lussu, che trova tutto poco chiaro, ma non formula mai proposte concrete, vuol sopprimere nella Costituzione il prefetto, presenti un emendamento, che sarà esaminato a suo luogo.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, ha udito le precedenti dichiarazioni fatte dall’onorevole Ruini circa la sua proposta? L’onorevole Ruini ha dichiarato che non ha nulla in contrario ad accettare la sua formulazione.

LACONI. Ringrazio.

PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Lussu, ha presentato, corredato dalle firme necessarie, un emendamento così formulato:

«Alle parole: un commissario del Governo, sostituire le altre: un rappresentante del Governo (in sostituzione del prefetto, il cui istituto è soppresso)».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Lussu.

LUSSU. Per la ragione che ho detto poc’anzi, un commissario può tramutarsi in un alto commissario e diventare un duplicato del prefetto molto pericoloso. Proporrei un rappresentante del Governo, ma non un commissario. Inoltre vorrei aggiungere – dopo la questione del rappresentante del Governo – una formulazione di questo genere: «in sostituzione del prefetto, il cui istituto è soppresso». Resta inteso che questa affermazione può entrare in un’altra parte della Costituzione, in un altro articolo, con altra forma. Desidero solo che la sostanza dell’affermazione sia chiarita in questo momento, per evitare che, dopo questa votazione, ci sia ancora qualcuno qui e fuori di qui, nel Paese, il quale pensi che l’istituto prefettizio rimane a fianco della provincia.

Mi sia poi consentito fare appello ai colleghi della Democrazia cristiana: avvertite voi il pericolo o non lo avvertite? Credete che la dichiarazione dell’onorevole Ruini risponda alla richiesta molto giustificata dell’onorevole Cevolotto, oppure no? È un problema che deve richiamare l’attenzione comune, oppure è una questione secondaria?

Voglio che voi rispondiate con la coscienza di democratici e di autonomisti.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, le faccio osservare che il suo emendamento non ha nulla a che fare con la materia che è al nostro esame. È un inciso che ha il suo valore; ma, allo stesso titolo, avrebbe potuto essere inserito in qualunque articolo già votato. Se si tratta soltanto di ottenere dall’Assemblea un’affermazione in proposito, io vorrei pregarla di ripresentare la sua proposta in altra sede, quando parleremo della Provincia, perché questa parentesi che si apre d’improvviso a proposito di un funzionario che la tradizione e la legge stabiliscono essere un funzionario nella Provincia, non avrebbe alcun significato.

LUSSU Credo che il momento più tempestivo per presentare questa affermazione, sia pure dando ad essa un contenuto sostanziale, non formale, sia proprio questo. La Commissione avrà poi sempre il diritto di collocare questa affermazione dove vuole, al posto più opportuno. L’onorevole Cevolotto ha espresso preoccupazioni non sue soltanto, ma di parecchi in quest’Aula; e noi abbiamo chiesto un chiarimento che dal Presidente della Commissione non è venuto. Anzi, il Presidente della Commissione ha fatto una dichiarazione che ha preoccupato tutti, comunque ha preoccupato moltissimi fra noi in quest’Aula, i quali erano convinti che dell’istituto prefettizio non fosse più il caso di parlare, poiché era pacifico che sarebbe stato soppresso.

Ora, mi pare, onorevole Presidente, che sia questo il momento più tempestivo. Ella mi dice: Può essere presentato in qualsiasi momento della discussione. Perfettamente; ma io preferisco questo momento e chiedo all’onorevole Presidente di mettere in votazione la mia proposta.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Io pongo una pregiudiziale, perché ricordo che proprio il collega Lussu contro una mia proposta sollevò la pregiudiziale che essa era fuori di luogo.

Ora, se c’è una proposta fuori di luogo, è questa della soppressione del prefetto in questo momento.

Quando verrà l’ora e quando parleremo della Provincia, potremo a nostro bell’agio discutere e vedere se si tratta di una soppressione definitiva, oppure di un cambiamento di denominazione, per arrivare alle conclusioni che dovremo prendere. Ma adesso, onorevole Lussu, non possiamo votare questa proposta, mentre non abbiamo ancora parlato della provincia, delle sue funzioni, ecc.

Domando quindi che, non essendo la proposta Lussu pertinente all’argomento di cui si tratta in questo momento, venga aggiornata.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere l’avviso della Commissione al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Presidente dell’Assemblea ha portato un’argomentazione di carattere assolutamente decisivo. All’onorevole Lussu osservo che, a prescindere da ogni altra considerazione, il voler decidere, improvvisamente e senza discussione, dell’abolizione del prefetto, può essere anche controproducente, perché se il suo emendamento venisse respinto, sarebbe compromessa la questione, che poteva essere esaminata da noi in altra sede o lasciata impregiudicata per il futuro. Ad ogni modo, non essendo questo il luogo per parlare del prefetto, è necessario un rinvio.

Se l’onorevole Lussu poi non dovesse addivenire a questo mio punto di vista, domando formalmente, come me ne dà diritto il Regolamento, che si sospenda la discussione, perché il Comitato abbia la possibilità di esaminare con la dovuta ponderazione ih problema.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Onorevoli colleghi, la questione sollevata dal collega onorevole Lussu pare anche a me che sia stata posta in anticipo. Soprattutto mi pare che la Carta costituzionale non possa contenere una norma come quella proposta dall’onorevole Lussu; siamo infatti tutti d’accordo sulla sostanza del problema, che cioè il prefetto debba scomparire, in quanto la nuova struttura dello Stato esclude non soltanto la figura del prefetto, ma soprattutto le funzioni che al prefetto sono affidate dall’attuale legge comunale e provinciale.

Io penso pertanto che, piuttosto che con una norma di carattere costituzionale – sono su questo punto completamente d’accordo con l’onorevole Ruini – questa questione dovrà essere risolta quando il Parlamento discuterà e approverà la legge sulle Amministrazioni locali, sui Comuni e le Province. Penso cioè che l’Assemblea Costituente debba, se mai, limitarsi a manifestare la sua opinione attraverso un ordine del giorno vincolativo per il Governo e, in certo modo, per la futura Camera legislativa, nel quale l’Assemblea stessa affermi la sua volontà ed il suo proposito di voler vedere soppressa la figura e la funzione del prefetto.

FUSCHINI. Alcune delle funzioni, non la funzione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Onorevole Presidente, l’onorevole Ruini ha fatto appello al diritto che gli dà il Regolamento ed io sono troppo cortese avversario per non comprendere che si tratta di un diritto che va riconosciuto: né io voglio far perdere tempo all’Assemblea. Aderirei pertanto all’opinione espressa dal collega onorevole Lami Starnuti, confermando peraltro un principio già esposto per cui il prefetto, in virtù di tutto quanto consegue dal complesso dei nostri lavori compiuti fino a questo momento, scompare come istituto, perché le funzioni prefettizie vengono trasferite e alla Regione e ai Comuni. (Commenti).

FUSCHINI. Alcune funzioni, non tutte!

LUSSU. Ciò che io, in altri termini, desidero, è che la consacrazione del chiarimento di questo problema avvenga in sede di articoli aggiuntivi, di disposizioni transitorie. Forse quello è il momento più opportuno; ma resti ben chiaro che noi sempre abbiamo lavorato nella seconda Sottocommissione nel senso – né l’onorevole Ruini ci ha mai annunciata alcuna conclusione contradittoria – che l’istituto prefettizio scompare, e che non esisterà più, con l’ordinamento autonomistico, il prefetto nelle Provincie.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Grassi. Ne ha facoltà.

GRASSI. Avevo chiesto di parlare quando l’onorevole Lussu aveva detto di voler presentare un emendamento a questo articolo 116, perché la soppressione del prefetto mi sembra inopportuna in questo istante. Ma ora pare che l’onorevole Lussu abbia cambiata la proposta, nel senso di voler presentare questo suo emendamento in occasione della discussione sulle disposizioni transitorie.

Su questo possiamo essere perfettamente d’accordo, nel senso che non c’è dubbio che, dato il nuovo ordinamento regionale, la figura del prefetto, così come è stata concepita nel passato non può più mantenersi.

D’altra parte, è necessario studiare ed approfondire questo punto, che rappresenta una sostanziale modifica costituzionale e amministrativa, perché la Provincia non è soltanto un ente amministrativo, ma è un ente che ha anche funzioni governative, in quanto l’azione centrale dello Stato si realizza nella periferia oggi attraverso il prefetto. Bisogna trovare la maniera e il modo e gli organi che devono sostituire quest’organo, se dobbiamo sopprimerlo. Non si può improvvisare in questa materia, perché si tratta di tutta la parte per mezzo della quale si irradia l’attività centrale dello Stato, e questa, non tutta, potrà essere attribuita alla Regione, ma una parte dovrà essere sempre riservata alla organizzazione statale.

MICHELI. Ma non governativa!

GRASSI. È una materia molto delicata e molto complessa, che non si può improvvisare, e che non credo sia stata ancora studiata nella sua essenza da parte della Commissione per la Costituzione.

Importante è oggi affermare la Regione, come entità di decentramento delle funzioni dell’ordinamento centrale. Vedremo, quando parleremo della Provincia, la competenza riservata alla Provincia, e quella della Regione. È in quell’occasione che si vedrà come dividere e come organizzare le funzioni veramente amministrative che prima erano date alle Amministrazioni provinciali, e quelle governative affidate alla prefettura. Questo dovremo esaminare con molta calma e serenità. Bisogna non improvvisare in questa materia una decisione, perché improvvisarla potrebbe portare ad una eventuale paralisi della vita dello Stato.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Se gli onorevoli colleghi consentono, mi permetto di osservare che noi stiamo cadendo in un grosso equivoco. Qui ci occupiamo della Regione, e nella Regione il prefetto non esiste: esiste nella Provincia. Ma, anche quando parleremo della Provincia, nel campo che riguarda l’attività del prefetto non potremo entrare perché ci occuperemo soltanto dell’Amministrazione autarchica provinciale, cioè del presidente della Deputazione, del Presidente del Consiglio, della Deputazione provinciale, dei consiglieri provinciali, ecc., quali organi funzionali della Provincia come ente autarchico.

Il prefetto è l’organo dello Stato nelle province e la sua funzione risponde a tutt’altri criteri; ce ne potremo occupare solo il giorno che ci sarà sottoposto un disegno di legge sulla riforma della legge comunale e provinciale (Commenti), perché quel famoso articolo 19, contro cui si appuntano tutti gli strali (compresi i miei) sta nella legge comunale e provinciale, e quella è l’unica sede nella quale potremo ampiamente parlarne.

PRESIDENTE. Comunque, non anticipiamo quella discussione, che lei stesso riconosce sarebbe ora prematura.

L’onorevole Lussu ha già aderito indirettamente alle sollecitazioni rivoltegli da varie parti, accettando il rinvio alle norme transitorie.

PERSICO. Comunque, è una discussione fuori luogo.

PRESIDENTE. E non prolunghiamola.

Resterebbe da esaminare la proposta dell’onorevole Lami Starnuti.

LAMI STARNUTI. Non c’è più ragione che io mantenga la proposta di un ordine del giorno, dal momento che l’onorevole Lussu non insiste, almeno per ora, nel suo emendamento.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Lussu non insiste nel suo emendamento, la questione è rimandata ad altro momento.

Passiamo pertanto alla votazione sull’articolo 116.

Rammento che la Commissione ha dichiarato di accettare – in massima – il ritorno alla primitiva formulazione del progetto, che l’onorevole Laconi aveva dichiarato di far sua.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Dichiaro di far mio il testo dell’articolo 116 concordato dalla Commissione. Secondo me dovrebbe essere votato per primo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io ho dichiarato che il testo nuovo del Comitato era stato formulato nel perfetto spirito del testo antecedente, e che non occorreva ritornare a questo; mi sono comunque rimesso, appunto perché la questione non è importante, all’Assemblea. Come ordine di votazione, mi è indifferente partire dall’un testo o dall’altro.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, il problema che io le pongo è questo: che cosa si dovrà votare? La votazione deve avvenire su un certo testo, a seconda della posizione che assume la Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Partiamo pure dal nuovo testo. L’Assemblea è libera di accettarlo o di tornare al testo anteriore.

DOMINEDÒ Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, anche a nome dei colleghi di Gruppo, che accogliamo il nuovo testo della Commissione nella formulazione ultima dell’articolo 116, perché riteniamo che rappresenti un miglioramento, in quanto, se nell’articolo precedente è stabilito che il presidente della Giunta dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alle Regioni, mi sembra più coerente nella successiva disposizione dire che la funzione del commissario si limita esattamente al potere di coordinamento con le funzioni esercitate dallo Stato. Sotto questo profilo noi voteremo per questo testo, rimettendoci alla Commissione per quanto riguarda la scelta fra il testo originario ed il nuovo. Noi voteremo per la nuova formulazione.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, nell’emendamento che lei ha presentato vi era, oltre alla questione del prefetto che abbiamo accantonato, un’altra proposta: invece di dire «un commissario del Governo» lei proponeva «un rappresentante del Governo».

LUSSU. Se la Commissione accetta…

FUSCHINI. No, no!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Un Comitato non si può raccogliere all’improvviso; ma avendo sentito alcuni colleghi, dichiaro di mantenere la espressione «commissario»; che ha un significato ed una tradizione. «Rappresentante» è dizione molto generica che non avrebbe nessun profilo chiaro di una funzione amministrativa continuativa. Resti «commissario». In sede di coordinamento, se non si volesse la frase «del Governo», si potrebbe mettere «un commissario della Repubblica». Ma vedremo di scegliere allora.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mantiene il suo emendamento?

LUSSU. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione. Poiché la Commissione ha dichiarato di conservare il nuovo testo proposto e l’onorevole Laconi ha dichiarato di far proprio il vecchio testo come emendamento, voteremo questo per primo. Ricordo che la dizione del vecchio testo è la seguente:

«Un commissario del Governo residente nel capoluogo della Regione vigila e coordina, secondo le direttive generali del Governo, gli atti dell’Amministrazione regionale per le funzioni delegate alle Regioni…».

Qui occorre fermarsi, perché sull’ultima parte vi è l’emendamento dell’onorevole Amadei.

Avverto l’Assemblea che è pervenuta alla Presidenza una domanda di votazione per appello nominale di questa prima parte dell’articolo 116, nella formulazione del vecchio testo della Commissione, ripresentato come emendamento dall’onorevole Laconi.

La domanda è firmata dagli onorevoli Cremaschi Carlo, Giordani, Medi, Nicotra, Foresi, Clerici, Mortati, Moro, Castelli Avolio, Fabriani, De Palma, Carbonari, Mastino Gesumino, Lazzati, Alberti e Adonnino.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale sull’emendamento dell’onorevole Laconi.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

La chiama comincerà dal deputato Coccia.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Allegato – Amadei – Amendola – Arata – Assennato.

Badini Confalonieri – Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bencivenga – Benedetti – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonomelli – Bonomi Ivanoe.

Cacciatore – Canevari – Caporali – Caprani – Carboni Angelo – Carmagnola – Carpano Maglioli – Cartìa – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Cianca – Cifaldi – Colitto – Condorelli – Corbi – Corbino – Costa – Cremaschi Olindo – Crispo.

De Caro Raffaele – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dugoni.

Fabbri – Faccio – Fantuzzi – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Ferrari Giacomo – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Foa – Fornara – Fusco.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gullo Fausto.

Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – Lami Starnuti – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lozza.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Marinaro – Massola – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Morini – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Paratore – Pastore Raffaele – Pellegrini – Perugi – Pesenti – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Mano – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Scarpa – Scoccimarro – Secchia – Segala – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Silipo – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello.

Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vischioni.

Zanardi – Zannerini – Zappelli.

Rispondono no:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellusci – Belotti – Bernabei – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro.

Caccuri – Caiati – Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Carìstia – Caroleo – Caronia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Codacci Pisanelli – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corsanego – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

Lazzati – Lizier – Lussu.

Macrelli – Magrassi – Malvestiti – Marazza – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazzei – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Micheli – Monterisi – Monticelli – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Motolese – Mùrdaca.

Nicotra Maria.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti – Proia.

Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Rivera – Romano – Roselli – Rumor.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Sardiello – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Siles – Spallicci – Spataro – Storchi.

Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Viale – Vicentini.

Zaccagnini – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Bassano – Bellavista – Bianchi Costantino.

Carratelli.

Ferrario Celestino – Ferrarese – Fogagnolo.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Mannironi – Matteotti Matteo – Musotto.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Tomba.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti e votanti          364

Maggioranza                183

Hanno risposto           173

Hanno risposto no         191

(L’Assemblea non approva l’emendamento Laconi).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la prima parte dell’articolo 116 nel nuovo testo proposto dal Comitato di redazione:

«Un commissario del Governo residente nel capoluogo della Regione sovraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato».

(È approvata).

Segue, nel testo proposto dalla Commissione, la dizione:

«e le coordina con quelle esercitate dalla Regione».

A queste parole, un emendamento dell’onorevole Amadei ed altri, propone di sostituire le altre:

«e coordina con esse quelle esercitate dalla Regione».

Onorevole Amadei, mantiene il suo emendamento?

AMADEI. Sì.

PRESIDENTE. Su questo emendamento è stata presentata domanda di votazione per appello nominale dagli onorevoli Cremaschi Carlo, Cimenti, Uberti, Camposarcuno, Adonnino, Baracco, Valenti, Carbonari, Clerici, Medi, Bosco Lucarelli, Sampietro, Firrao, Avanzini e Rescigno. (Commenti).

La domanda è mantenuta?

CREMASCHI CARLO. Sì.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale sull’emendamento proposto dall’onorevole Amadei ed altri:

«e coordina con esse quelle esercitate dalla Regione».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato Pella.

Si faccia la chiama.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole collega, essendo cominciato l’appello non si possono – a termini del Regolamento – fare dichiarazioni di voto, e non è più concessa la parola fino alla proclamazione del risultato del voto.

LAMI STARNUTI. Onorevole Presidente, ella non ha inteso prima la mia richiesta per il chiasso che v’era nell’Aula, non perché io non avessi domandato la parola al momento opportuno.

PRESIDENTE. Comunque, la sua richiesta è stata notata quando io avevo già estratto il nome del deputato che doveva essere chiamato come primo nell’appello.

Si faccia dunque la chiama.

AMADEI, Segretario, fa la chiama.

CREMASCHI CARLO. Ritiriamo la richiesta di appello nominale.

PRESIDENTE. L’appello è ormai cominciato e non è possibile tornare indietro.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Comunico che dal computo dei voti è risultato che l’Assemblea non è in numero legale.

Il nome degli assenti sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

La seduta è sciolta e rinviata a domani alle ore 17, per riprendere i lavori al punto in cui sono stati lasciati questa sera.

Rammento che domattina si terrà seduta alle ore 10.30 per il seguito della discussione sull’imposta patrimoniale.

La seduta termina alle 20.35.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Benedetti

Monticelli

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Presidente

Tozzi Condivi

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Bosco Lucarelli

Crispo

Rescigno

Perrone Capano

Micheli

Scoccimarro

Lombardi Riccardo

Valiani

Corbino

Veroni

Fabbri

Cappi

Dugoni

Caroleo

Zerbi

Mastino Gesumino

Camposarcuno

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Presentazione di relazioni:

Presidente

Di Giovanni, Presidente della Commissione per l’esame delle autorizzazioni a procedere in giudizio

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Svolgimento della seguente interrogazione:

Benedetti, al Ministro dell’interno «per conoscere le disposizioni che intende impartire al fine di reprimere i giuochi d’azzardo».

L’onorevole Monticelli, per parte sua, ha fatto pervenire alla Presidenza una interrogazione sullo stesso argomento così concepita:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se, dopo la revoca delle autorizzazioni all’esercizio delle case da gioco, non ritenga necessario impedire che il gioco d’azzardo prosegua, camuffato sotto altre insegne, senza alcuna modalità e garanzia, dando luogo a losche speculazioni e sottraendo allo Stato e agli enti di assistenza ingenti entrate».

Trattandosi di materia analoga, le due interrogazioni saranno svolte congiuntamente.

Il Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, come loro sanno la materia dei giochi di azzardo è regolata dal Codice penale che all’articolo 718 ne sancisce appunto il divieto. Ed allorché il regime fascista volle inaugurare la politica delle case da gioco, dovette fare ricorso a una legge speciale; e con leggi speciali sono stati istituiti il Casinò di Venezia e quello di San Remo. Successivamente, dagli alleati, fu dato vita al Casinò di Campione.

La politica contraria alla istituzione di altre case da gioco è stata ripetutamente affermata da tutti i Governi di cui ho fatto parte, col voto di tutti i Ministri senza distinzione di colore politico. Questa politica attuale il Governo intende per suo conto continuare. Quindi non è in facoltà del Ministro dell’interno di derogare alla legge penale, ma spetterebbe, caso mai, al Governo con una legge, di proporre l’eventuale istituzione di case da gioco.

Al Ministro dell’interno spetta unicamente il compito ed il dovere, attraverso i suoi organi periferici e centrali, di vigilare perché le contravvenzioni alla legge penale siano ridotte al minimo e comunque siano perseguiti i contravventori alla legge penale. È questo che io vado facendo dal giorno in cui sono entrato al Ministero dell’interno. È infatti continuo, direi quasi quotidiano, l’intervento del Ministero dell’interno per reprimere queste manifestazioni di illegalità tipiche dei periodi di disquilibrio morale dei dopo guerra. Gente che cerca di divertirsi e soprattutto di fare facile fortuna nel gioco. Non c’è, si può dire, grande città d’Italia in cui un compiacente circolo per stranieri o qualche altra cosa del genere, non dia ospitalità e ricetto a gente che desidera fare facile fortuna.

I motivi a cui si ricorre per sollecitare autorizzazioni al gioco sono sempre nobili, alti: e in modo particolare s’invocano le esigenze dell’assistenza. In realtà, oggi, pullula una massa di biscazzieri che cerca di trarre lauti profitti dalla situazione e in cui la parte destinata all’assistenza è una misera parte; mentre i più alti profitti vengono fatti proprio dai biscazzieri di professione o da biscazzieri improvvisati.

Contro l’attività di questi autentici manigoldi, l’intervento del Ministero dell’interno è quotidiano. Io potrei citare all’Assemblea tutti i telegrammi che il Ministero dell’interno quasi quotidianamente manda (ma affliggerei l’Assemblea se dovessi leggere questi telegrammi) non soltanto per ricordare la norma generale del divieto di case da gioco, ma anche per intervenire singolarmente su denunce anche anonime; e spesse volte le denunce trovano convalida nei fatti che da tutte le parti vengono segnalati al Ministero dell’interno.

Basta una semplice segnalazione perché il Ministero dell’interno richiami l’attenzione delle Prefetture, delle Questure e l’attività dei carabinieri perché si reprima una forma di violazione così palese alla legge penale.

Mi limito a citare la disposizione di carattere generale. È del 17 febbraio la prima norma. Appena arrivai al Ministero dell’interno trovai che era in corso una grande concessione in tutta Italia del famoso «Tiro o lancio 900». Era un vero e proprio giuoco d’azzardo, mascherato a favore di enti ed associazioni di reduci o partigiani. Le proteste arrivavano anche da parte di padri e madri di famiglia, che vedevano sciupare dai loro figli il magro salario, la sera, in questi giochetti sparsi in tutti i caffè. Ed appena arrivato al Ministero ed avuta conoscenza di queste concessioni, inviai a tutti i prefetti una circolare del seguente tenore: «Pregasi disporre revoca con effetto immediato, ecc. I contravventori dovranno essere rigorosamente perseguiti. Rinnovasi raccomandazione ove esercizio gioco d’azzardo continui…, ecc.».

E successivamente, poiché enti ed associazioni reclamavano che potesse essere consentita la proroga delle licenze già concesse, con altro telegramma intervenivo perché i provvedimenti di revoca dovesse considerarsi definitivo.

Altre circolari sono state mandate per giochi particolari perché tutti questo giochi camuffati comunque, in realtà, mascherano giochi di azzardo. C’è un elenco di comuni in cui l’intervento ha avuto esito positivo. I più recenti centri in cui ciò è avvenuto sono Carrara, Milano, Modena, Reggio Emilia, Parma, Venezia, Genova, Lucca. Ad Alassio, la polizia ha effettuato una sorpresa nel Circolo Orientale; è stata elevata contravvenzione, sono state arrestate numerose persone e sono state sequestrate somme di denaro. E così a Milano e a Genova, dove sono state denunciate ultimamente 34 persone. Quindi l’opera dei Governo in questo campo è continua e sollecita.

Non posso garantire, anzi non vi garantisco affatto che le bische non ci siano più in Italia. Non garantisco affatto che le Questure compiano tutte il loro dovere in materia, perché purtroppo la forza del denaro raggiunge anche centri ed uffici che dovrebbero essere i più insospettabili. Io posso assicurare l’Assemblea di aver avvertito i questori che se risulteranno non dico delle connivenze che rappresenterebbero già un reato, ma semplici negligenze, saranno presi provvedimenti rigorosissimi. Oggi s’invoca dal Ministro dell’interno che egli chiuda gli occhi, perché nel passato si chiudevano uno e spesso tutti e due; si chiede al Ministero dell’interno che si continui in questa politica. Io questa politica non me la sento di fare, perché allora tanto vale che lo Stato regoli la materia; e se ci sono utili vadano a finire allo Stato o alle organizzazioni di assistenza; mentre con la politica di chiudere gli occhi, gli utili vanno a speculatori privati.

DUGONI. Ci parli del Casinò di Venezia e di quello di Saint Vincent.

SCELBA, Ministro dell’interno. Parlerò anche di questi. Ho avvertito i questori che risponderanno personalmente e che non mi limiterò, nel caso in cui sia accertata la loro compiacenza, al collocamento a riposo, ma procederò denunziandoli all’autorità giudiziaria. Questo è il pensiero del Ministero dell’interno, e questa è la politica che facciamo in tutta Italia. Le disposizioni valgono anche per la Val d’Aosta.

VERONI. Ma a San Remo si gioca.

SCELBA, Ministro dell’interno. Non si gioca soltanto a San Remo, immagino, ma si gioca anche in altre città d’Italia. Ieri a Milano, al prefetto, ho dato ordine che facesse chiudere una casa da gioco. Si sono quasi ribellati all’ordine del prefetto e questi mi ha fatto capire che l’esecuzione dell’ordine del Ministro avrebbe potuto anche pregiudicare l’ordine pubblico.

Siamo arrivati a questo punto in Italia: che si pregiudica l’ordine pubblico, se si chiede l’osservanza di una legge! Questa è una mentalità, che deriva dal malcostume passato; mentalità molto difficile a correggere, anche in funzionari. Ai prefetti sono state mandate circolari perentorie e tassative. Nonostante questo, per esempio, il prefetto di Torino, al quale domandavo perché non chiudeva il casinò di San Mauro, mi rispondeva che in altre parti d’Italia erano state date autorizzazioni per l’apertura di case da gioco. Ora, come può un prefetto, nello stesso momento in cui il Ministro dell’interno conduce una politica contro i giuochi d’azzardo, pensare che il Ministro dell’interno stesso o altra autorità, ammesso che esista, possa concedere autorizzazioni contrarie?

Io non ho mai voluto ricevere nessuna commissione, per quanto raccomandata da personalità influenti, che voleva trattare questa materia; perché in questa materia è facile il sospetto che, anche soltanto a chiudere gli occhi, ci si guadagni qualche cosa, se non personalmente, per il proprio partito.

Nonostante tutte le circolari diramate e gli ordini impartiti, i prefetti quasi non credono a questa politica; e dicono: «in altre provincie è stata data l’autorizzazione». Non è vero; sono i sotterfugi, cui ricorrono i richiedenti, per sollecitare dai prefetti l’autorizzazione.

TONELLO. Siete un Governo autorevole!

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Prima di lui chi c’era?

SCELBA, Ministro dell’interno. Io potrei dire questo all’onorevole Tonello: che, da quando è Ministro dell’interno un democratico cristiano, le case da giuoco in Italia sono perseguitate spietatamente. Non sono in grado di affermare altrettanto per il passato; ma, dal comportamento attuale dei prefetti, i quali quasi non credono alla serietà delle istruzioni del Ministro dell’interno, presumo che nel passato ci sia stata molta larghezza; non fosse altro perché gli organi di polizia, impegnati in altri campi, non potevano dedicarsi alla repressione di questa particolare violazione della legge penale.

Una voce a sinistra. E la Sisal?

SCELBA, Ministro dell’interno. Alla Sisal la concessione è stata data, prima che io fossi al Ministero dell’interno, con regolare autorizzazione rilasciata dai Ministri dell’interno e delle finanze. Se qualcosa l’attuale Ministro dell’interno ha fatto è questa: ha richiamato l’attenzione del Ministro delle finanze sulla inopportunità di rinnovare una concessione che ha assicurato ad una organizzazione privata, per quanto importante, utili che si aggirano sul miliardo. Quest’opera è documentabile.

Le disposizioni impartite riguardano anche la Val d’Aosta. Ma, purtroppo, l’onorevole Dugoni sa qual è la situazione in Val d’Aosta.

VERONI. C’è l’autonomia regionale.

SCELBA, Ministro dell’interno. Si tratta di un problema molto delicato.

A parte l’esistenza di uno statuto speciale per la Val d’Aosta, per considerazioni politiche di carattere generale, in quella regione si è dovuta usare molta larghezza in tutti i campi.

Comunque, non esiste nessuna autorizzazione per quanto riguardo il Ministro dell’interno; e disposizioni sono state impartite perché anche quella casa da giuoco che, badate bene, funziona clandestinamente, possa essere chiusa.

Se l’Assemblea – come mi auguro – mi sorreggerà in questa politica e mi autorizza perché io continui su questa direttiva, sono convinto di poter proseguire con maggiore influenza e maggiore autorità la repressione delle case da giuoco, che costituisce una delle mie preoccupazioni.

BULLONI. Tutte le case da giuoco, però!

TONELLO. Anche il Casinò di Venezia, tenuto dai democristiani! (Rumori al centro).

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevole Tonello! Ho già accennato che il fascismo, quando ha instaurato la politica dei «casinò», ha modificato il Codice penale con una legge…

BULLONI. Signor Ministro, è in errore. Non è vero: legga pure il testo della legge e vedrà che è in errore.

SCELBA, Ministro dell’interno. Le posso accennare il testo della legge con cui il fascismo ha istituito, sulla base dei regi decreti-legge 22 dicembre 1927, n. 244, 2 marzo 1933, n. 201, e 18 luglio 1936, n. 1414, rispettivamente i casinò municipali di San Remo, di Venezia e di Campione. Sono tre regi decreti-legge con…

BULLONI. È un errore: bisogna leggere il testo del decreto e non il riassunto!

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevole Bulloni, non spetta al Ministro dell’interno rendersi promotore dell’abrogazione di una legge vigente.

BULLONI. Ma spetta al Ministro dell’interno rendersi garante dell’applicazione dell’articolo 718 del Codice penale. Sì! Perché l’Italia è una ed il Codice penale vige anche a Venezia, a San Remo e a Campione: finché saranno tollerati questi abusi, non si potranno reprimere gli altri abusi denunciati dal signor Ministro. (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Sarei lieto se l’Assemblea, facendosi iniziatrice di una proposta di legge in materia, abolisse anche i Casinò di Venezia, di San Remo e di Campione, perché in questo caso darei senz’altro voto favorevole. Ripeto, però, non è questo compito del Ministro dell’interno, di rendersi promotore dell’abrogazione di un decreto-legge vigente, ma solo quello di impedire che altre violazioni siano compiute in danno della legge. (Commenti e rumori a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Benedetti, interrogante, ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BENEDETTI. Signor Presidente! Non ho l’abitudine di abusare molto della pazienza dell’Assemblea. Le sarei assai grato se volesse concedermi qualche minuto.

PRESIDENTE. Cinque minuti, onorevole Benedetti!

BENEDETTI. Un anno fa, a metà luglio del 1946, insieme con altri colleghi, gli onorevoli Covelli, Crispo, Vito Reale e Lombardi, il compianto collega socialista, presentai una interpellanza che credo opportuno rileggere: «per conoscere: a) i motivi che lo indussero (naturalmente ci si rivolge al Ministro dell’interno) a concedere e poi a revocare l’autorizzazione all’esercizio di case da giuoco; b) le ragioni per cui queste autorizzazioni sarebbero, secondo notizie della stampa, nuovamente concesse. Gli interpellanti chiedono altresì al Ministro dell’interno di voler comunicare con quali modalità e garanzie sono regolate queste concessioni che si possono prestare a speculazioni losche». Ricordo l’interpellanza, per rilevare che rimase oltre un anno senza risposta e senza eco di provvedimenti di Governo.

Non ho nessuna ragione per far torto a lei, onorevole Ministro, per la mancata risposta, perché lei, il quel momento, non reggeva il Ministero dell’interno. Rilevo soltanto che si è acuito il male che già era denunciato fin dall’anno scorso, mentre forse tempestivi provvedimenti ne avrebbero evitato il dilagare.

Io devo ringraziarla, onorevole Ministro, innanzi tutto, della cortesia e della prontezza con le quali ha risposto all’interrogazione attuale. Il suo sistema è migliore di quello del suo predecessore che non rispose alla mia interpellanza; le sono grato di questa sua diligenza.

Nel presentare la mia interrogazione non sono stato mosso affatto dal desiderio di stimolare lei, affinché faccia più di quello che fa, ma soltanto dal desiderio di aiutarla. Io non saprei esortarla, perché lei già fa tutto il possibile per reprimere il giuoco. Intendo aiutarla, perché sento dalla sua stessa voce che lei dispone e nessuno obbedisce alle sue istruzioni. Queste sono le sue dichiarazioni, onorevole Ministro! E sono appunto le sue dichiarazioni che mi rafforzano nel proposito di venirle in aiuto. L’opinione pubblica è turbata da questa forma di attività, basata sul vizio, che abbassa il livello morale della Nazione.

Io le ho rivolto la mia interrogazione per confortarla del consenso, che le esprimo, dell’opinione pubblica, solidale con lei; e rendere evidente l’atteggiamento dei colleghi, i quali stanno dimostrando di approvare completamente le mie parole. A me interessa che si ponga un rimedio al male. Lei ha detto che il prestigio del Ministero dell’interno è ridotto a zero per la disobbedienza forse non disinteressata degli organi periferici. Quindi, bisogna approvare qui lei, e con lei, difendere il prestigio dello Stato. Che cosa è successo per queste case da giuoco? Non sono mai stato in vita mia in una casa da gioco e non ho preso mai in mano un mazzo di carte nemmeno per giocare a scopone. (Commenti). Ma nella mia circoscrizione elettorale esistono tre case da gioco, le quali appestano tutto l’ambiente, di modo che, per opera di quelli che vivono in queste case da gioco, non si capisce più chi è persona per bene e chi no, chi lavora e vive di lavoro onesto, e chi vive ai margini di una attività illecita.

In che forma si esercita questa attività? Prima esistevano le case da giuoco controllate, quelle che si chiamavano «Casinò», ed esistevano anche le case da giuoco clandestine, le quali erano represse dalla legge. Il «Casinò» era un ambiente dove tutti andavano, dove era consentito recarsi apertamente e dove esisteva anche una vigilanza da parte dell’autorità; le case clandestine invece sono quelle non controllate, che corrono il rischio della sorpresa e quindi dell’arresto dei giocatori, ma nelle quali sono possibili tutte le cose illecite, perché non c’è nessuna vigilanza.

Voi avete lasciato che si creasse un sistema nuovo. Pullulano ormai ovunque istituti intermedi tra il Casinò e la bisca clandestina, i quali beneficiano dei vantaggi dell’un sistema e dell’altro senza sopportare gli svantaggi né dell’uno né dell’altro.

Voi avete lasciato sorgere i cosidetti Circoli ricreativi, che hanno il consenso della prefettura, della questura, ecc. Sono circoli che apparentemente debbono avere una funzione lecita; però, quando vengono creati, si sa benissimo che lo sono esclusivamente per esercitare il gioco. Perché? Perché la loro sede è nel Casinò, perché chi richiede il permesso lo fa nell’interesse del proprietario del Casinò, perché ha il preventivo consenso dell’autorità a non rispettare le leggi sul giuoco. Accade che lì dentro tutti quanti entrano con una tesserina, come quella che ho sott’occhio, che voi conoscete che dice: Circolo ricreativo di… Il signor Tale dei Tali è ammesso a frequentare la sede del circolo ricreativo di… fino al giorno… Nessuno è disturbato quando entra in quel circolo per giocare.

Ora, tali circoli, in questa forma, non hanno – ripeto – il danno della casa controllata, non hanno il danno della casa clandestina, mentre hanno tutti i benefici della tolleranza. In questi luoghi si può giuocare in ogni modo, senza che vi sia nessun impedimento e nessuna vigilanza; mentre, siccome vi si affollano soprattutto gli ingenui, sarebbe almeno dovere vigilare più che altrove. È in questi ambienti che avvengono abusi e si adottano sistemi di giuoco che sono veri e propri furti.

Io vi invito a chiuderli. Il circolo ricreativo, di solito, è esercitato da associazioni di partigiani, di reduci, ecc., come è scritto nella tesserina che ho sott’occhio. Ed anche a questo riguardo io, vecchio partigiano, debbo dire che l’intromissione del partigiano nel giuoco illecito offende profondamente.

È una ingerenza che non deve essere ammessa sotto nessuna forma, perché accade sempre che si fanno poi, nel nome abusato dei partigiani, imposizioni alle prefetture, alle questure, ecc. per tramite delle associazioni dei partigiani, dei reduci, ecc.; le quali invocano a torto condiscendenza: e ne deriva un regime di tolleranza che si presta poi tutti gli abusi e a tutti i sospetti.

Ne è derivato, come conseguenza, che si è arrivati perfino a dire che i partiti politici approfittano delle case da gioco. Anche per liberare il mondo politico da queste accuse, bisogna intervenire energicamente per stroncare questa attività.

Come intendete provvedere? Credete forse che il giuoco debba essere incoraggiato? Io escludo che voi perseguiate un intento di questo genere. Il giuoco deve essere represso: siamo quasi tutti d’accordo. Eppure un onorevole Ministro mi ha detto: «Ma il giuoco è sempre esistito; sarebbe vano illudersi di poterlo reprimere. Il giuoco è un vizio che è sempre esistito e sempre esisterà». Rispondo che altra cosa è incoraggiarlo, ed altra il tentare di reprimerlo.

Se, d’altronde, voi sentite di non avere la forza di reprimerlo, io vi dico che almeno bisogna che cerchiate di regolamentarlo. Vi dirò che io sono anche nettamente contrario alle concessioni dei casinò. Quelli che vivono in regime di vecchie concessioni date ai tempi del fascismo, e convalidate dagli Alleati per iscopi che mi astengo dal discutere, dovrebbero pure essere chiusi.

E d’altronde il conservare alcuni casinò con il pretesto che essi hanno ormai creato una situazione locale immodificabile, è argomentare falso, è fatto che assolutamente deve essere bandito.

Ad ogni modo, io vi esorto alla revisione anche di queste concessioni. Ma c’è comunque un caso specifico sul quale io desidererei da lei, onorevole Ministro, una spiegazione concreta: è il caso di Campione.

PRESIDENTE. La prego di concludere, Onorevole Benedetti. Sono già dieci minuti che parla.

BENEDETTI. Il caso di Campione è questo: la Svizzera ha creduto opportuno che non si giuocasse in quel posto e ha messo tutti gli ostacoli; viene quindi a difettare, per il Casinò di Campione, anche la ragione che è sempre addotta dell’interesse locale, poiché il casinò è chiuso. Ma il vecchio concessionario sta per ottenere che la sua concessione venga trasferita in altra città «del bello italo regno». E allora: dove è l’interesse locale, dove è la situazione immodificabile? Se fosse vero, il Governo sarebbe sollecito di tutelare soltanto l’interesse privato del vecchio concessionario.

SCELBA, Ministro dell’interno. Non è vero, onorevole Benedetti.

BENEDETTI. Benissimo, prendo atto con piacere. Voglio però soggiungerle che se per avventura concessioni simili dovessero venire qualche volta accordate, io la esorterei, onorevole Ministro, ad accordarle a beneficio di qualche cosa di nobile e non già per impinguare una banda di biscazzieri e di protettori senza scrupoli.

Io sono, in conclusione, sodisfatto condizionatamente; sono, cioè, convintissimo delle sue buone intenzioni, sono convintissimo, cioè, che lei farà tutto quanto sarà in suo potere per estirpare la mala pianta, ma sono tuttavia del pari convinto che ella non vi riuscirà. Sarò pertanto completamente sodisfatto solo quando avrò potuto constatare i buoni e concreti risultati della sua opera.

PRESIDENTE. L’onorevole Monticelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTICELLI. Avrei voluto dichiararmi sodisfatto, ma le stesse dichiarazioni dell’onorevole Ministro dimostrano l’importanza del problema e giustificano la mia parziale sodisfazione. Il problema è molto grave e preoccupante; il giuoco dilaga, e nello sconcertamento generale che ha lasciato la guerra, è un fenomeno comune a tutti i Paesi.

Si giuoca dappertutto, non soltanto nelle grandi città – come ha detto il Ministro dell’interno – ma anche nelle piccole e in tutti i circoli, e in molti caffè. E allora il problema va esaminato anche sotto questo aspetto. Il denaro sembra aver perduto il suo valore e quello che è più grave ancora, si va in cerca di altre emozioni violente, dopo quelle a cui malauguratamente ci siamo abituati.

È necessario affrontare il problema nei suoi due aspetti, quello giuridico-morale e quello pratico, e bisogna decidersi, o per l’uno o per l’altro.

Secondo l’aspetto giuridico-morale, esistono delle disposizioni del Codice penale contenute negli articoli 713 e successivi, che puniscono e reprimono il giuoco d’azzardo. Queste disposizioni sono in vigore e devono essere fatte rispettare. Soltanto il legislatore fascista poteva derogare a queste disposizioni penali, con il decreto del 22 dicembre 1927 che, in deroga a tali disposizioni, concedeva al Ministro dell’interno la facoltà di dare autorizzazioni per case da giuoco. E di questa facoltà si avvalse il Ministro dell’interno del tempo per concedere l’apertura dei casinò di Venezia, di San Remo e di Campione. Ma questa deroga si riferiva evidentemente soltanto alle disposizioni amministrative, perché un decreto non poteva venir meno a quelli che erano gli articoli del Codice penale. Naturalmente, durante il fascismo, si facevano queste ed altre cose; e tutto era lecito. Ma oggi, in regime democratico, dobbiamo esaminare la questione e dire: se ragioni morali e giuridiche impongono che il gioco debba essere represso e stroncato, allora occorre l’energico intervento del Ministro dell’interno. Ma poiché attraverso lei stesse dichiarazioni dell’onorevole Ministro abbiamo sentito che si è nell’impossibilità di reprimere questi giuochi d’azzardo perché le stesse sue disposizioni, gli stessi suoi telegrammi urtano contro la suscettibilità di certi prefetti, che pongono nel nulla quelli che sono gli ordini che vengono da Roma…

SCELBA, Ministro dell’interno. Si è chiuso, nonostante la resistenza prefettizia, tanto a Milano che a Torino. Non creda che siano rimasti inosservati gli ordini!

MONTICELLI. Allora, qualche cosa è stata fatta, ma non si può arrivare a tutto. Esaminiamo, quindi, il problema sotto questo aspetto. È vero o non è vero che vi sono dei comuni che potrebbero avere da queste concessioni degli introiti per poter risanare i loro bilanci? È vero o non è vero, che attraverso queste concessioni, questa disciplina del gioco si può far sì che alcune popolazioni vengano sgravate da tasse e si possa provvedere alle riparazioni dei danni di guerra? Se ci troviamo nell’impossibilità di reprimere il gioco, non dobbiamo lasciare, però, che si giuochi impunemente dappertutto. Altrimenti, avviene come è avvenuto a Montecatini, dove l’anno scorso si giuocava nel «Kursaal», ed un bel giorno, per disposizione del Ministro dell’interno, il «Kursaal» fu chiuso. Ma il giorno dopo, senza interruzione di continuità, il giuoco si trasportò in un altro albergo vicino, con le stesse insegne luminose, con gli stessi frequentatori, ma con la differenza che mentre al «Kursaal» il 25 per cento dei proventi andava a beneficio del Comune, viceversa in quest’altro albergo i proventi andavano ad ingrossare soltanto le tasche degli speculatori e dei biscazzieri. E ciò senza nessuna garanzia per i giuocatori, perché mentre nel «Kursaal» si giuocava alla «roulette», con uno zero, su trentasei numeri, qui si giuocava al «cavallino», con uno zero su dodici numeri. Questa è la situazione.

Concludo rapidamente: occorre reprimere il giuoco d’azzardo con quella solerzia ed energia che il Ministro dell’interno ha dimostrato in altri campi e che io vorrei dimostrasse anche in questo. Se ciò non sarà possibile, ed al di sopra di ogni considerazione morale, si vorrà trovare una giustificazione pratica, è necessario prendere posizione netta e precisa e regolamentarlo con una opportuna legge da sottoporre alla Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Le interrogazioni sono così esaurite.

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Rammento all’Assemblea che nella precedente seduta è stato discusso l’articolo 28, e sono stati svolti tutti gli emendamenti presentati all’articolo stesso. Non si passò alla votazione sugli emendamenti, perché il Ministro ritenne opportuno concertarsi preventivamente con la Commissione.

Informo l’Assemblea che nel frattempo è stato presentato un nuovo emendamento dagli onorevoli Tozzi Condivi, Arcangeli, Ponti, Franceschini, Angelucci, Cappi, Foresi, Cotellessa, Rescigno e Cremaschi Carlo.

L’emendamento è così concepito:

«Al terzo comma sopprimere il periodo:

«La detrazione stessa non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i 10 milioni di lire».

L’onorevole Tozzi Condivi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TOZZI CONDIVI. Lo svolgerò brevissimamente. Lo spirito della disposizione che il Governo aveva dato nel progetto di legge era questo: di detrarre un ventesimo per ogni figlio sul patrimonio tassato. E il Governo stesso si era preoccupato di non dare un’esenzione troppo sensibile ponendo un limite, per ogni ventesimo, al massimo di 300 mila lire. Di modo che, anche per un grande patrimonio, un ventesimo non poteva portare al disopra di 300 mila lire.

La Commissione ha tenuto presente questo principio, ha ammessa questa stessa detrazione e l’ha ridotta a 250 mila lire. Questo concetto può essere accolto.

Successivamente, la Commissione ha aggiunto una nuova limitazione: ha detto che nel patrimonio dovesse essere cumulato quello del marito e quello della moglie, di entrambi i coniugi. Ed anche questa nuova limitazione può essere accolta.

L’ultima limitazione, che è quella segnata dall’inciso: «La detrazione stessa non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i 10 milioni di lire», non mi sembra accettabile in quanto, con questo inciso, non si viene a facilitare la riscossione dell’imposta, ma si viene a porre la famiglia in una condizione di diversità a seconda del numero dei figli, perché una famiglia con dieci figli ed un patrimonio di 10 milioni ha una detrazione di 2 milioni e mezzo, mentre una famiglia che abbia 11 milioni e dieci figli non ha nessuna detrazione.

Questo non mi sembra né logico né giusto. Questa disposizione viene a colpire la famiglia numerosa, mentre non c’è pericolo che possa essere una detrazione eccessiva in quanto rimane fermo il limite che per ogni figlio la detrazione non possa superare le 250 mila lire.

Quindi insisto perché venga soppresso l’inciso: «La detrazione stessa non si applica, ecc.».

Tale inciso si può sopprimere o si può votare per divisione il comma.

PRESIDENTE. Domando il parere della Commissione su questo nuovo emendamento.

LA MALFA, Relatore. L’onorevole collega Tozzi Condivi ha prospettato un caso limite, quello cioè di una famiglia che abbia un numeroso stuolo di figli ed un patrimonio leggermente superiore ai 10 milioni. Ma questa non è la normalità. E d’altra parte, la Commissione è ferma nel principio di non fare concessioni che dal punto di vista dell’equità e della giustizia non fossero strettamente necessarie.

PRESIDENTE. Su tutti gli altri emendamenti mantiene il parere che è stato espresso la seduta precedente?

LA MALFA, Relatore. Sì.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Per tutti gli emendamenti sull’articolo 28 mi associo al parere espresso dalla Commissione. In particolare per quel che riguarda il minimo imponibile di 3 milioni, il Governo non ritiene che esso possa essere aumentato alla somma di 5 milioni, per le ragioni esposte esaurientemente e dal Relatore, onorevole La Malfa, e dagli onorevoli Cappi, Dugoni e Scoccimarro nella precedente seduta.

Così pure, per quanto riguarda la proposta di elevazione dell’abbattimento alla base di 2 milioni per portarla a 3 milioni, per le stesse considerazioni il Governo prega di mantenere ferma la cifra di 2 milioni.

Sull’emendamento testé svolto dall’onorevole Tozzi Condivi, debbo condividere il pensiero della Commissione. Purtroppo, un limite è necessario porre in questi casi e quando si pone un limite vi è sempre il caso limite: quello prospettato dall’onorevole Tozzi. Se andassimo da 10 milioni ad una somma più elevata, non risolveremmo il problema. Sopprimere qualsiasi limitazione, non sarebbe neppure giusto, perché la detrazione e la facilitazione sono concesse in un quadro di patrimoni modesti.

Per queste considerazioni, mi duole non poter accogliere l’emendamento dell’onorevole Tozzi Condivi.

PRESIDENTE. Dovremo passare allora alla votazione sui vari emendamenti. Domando ai presentatori se vi insistono.

Onorevole Bosco Lucarelli?

BOSCO LUCARELLI. Dopo le dichiarazioni del Governo e della Commissione, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Crispo, Ella mantiene il suo emendamento?

CRISPO. Sì.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato un emendamento identico a quello dell’onorevole Crispo.

RESCIGNO. Desidererei illustrarlo brevemente.

PRESIDENTE. Non posso concederle questa facoltà, perché, non essendo stato presente al momento dello svolgimento degli emendamenti, Ella è decaduto dal diritto di poter svolgere il suo.

L’emendamento stesso, tuttavia, sarà posto in votazione.

RESCIGNO. Allora mantengo il mio emendamento, senza svolgerlo, riservandomi di fare una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Tozzi Condivi e Perrone Capano mantengono i loro emendamenti?

TOZZI CONDIVI. Sì; mantengo il mio emendamento.

PERRONE CAPANO. Anch’io lo mantengo.

PRESIDENTE. Avverto l’Assemblea che è pervenuta alla Presidenza una richiesta di appello nominale, sull’emendamento presentato per il primo comma, che propone lo spostamento da tre a cinque milioni del minimo imponibile.

Ha chiesto di parlare il Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero rappresentare la seria preoccupazione del Governo per tutto quello che può significare un rallentamento dei lavori per l’esame di questo disegno di legge e vorrei chiedere proprio ai presentatori della richiesta dell’appello nominale se ritengono di doverla mantenere in relazione alla necessità di accelerare i nostri lavori.

CRISPO. A nome dei firmatari della richiesta di appello nominale, dichiaro che con questa richiesta si vuole far assumere a ciascuno la propria responsabilità tanto più in quanto il Governo e la Commissione hanno ritenuto, d’accordo, che l’emendamento sia da respingere.

LA MALFA, Relatore. Poiché l’Assemblea non è molto numerosa, data l’importanza dell’argomento, proporrei di rinviare la votazione ancora una volta su questo articolo e di proseguire nella discussione sugli altri articoli.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Desidero appoggiare il rinvio proposto dall’onorevole La Malfa, in quanto effettivamente c’è un collegamento fra le disposizioni a favore della piccola proprietà nella proporzionale che ora si discutono e quelle della progressiva. Anche io, che sono stato da tanti anni sostenitore, in quest’Aula, della piccola proprietà, ed ho sempre perorato per gli sgravi fiscali di essa, devo riconoscere la difficoltà nella quale in questo momento si trova il Governo e che è stata esposta dal signor Ministro; ed allora noi stessi, che siamo i più grandi fautori della piccola proprietà, se abbiamo dall’altra parte il contrappeso che il Governo ci farà per essa un particolare trattamento nella imposta proporzionale, potremmo rinunciare ad insistere sull’altra. Ecco perché, data questa situazione, che potrà domani portare un equilibrio ed accontentare noi e gli altri sostenitori, io sono d’accordo con il Relatore e prego l’Assemblea di rinviare questa discussione. Così si potrà fare insieme all’altra nella quale i sostenitori della piccola proprietà avranno argomento di poter essere accontentati.

PRESIDENTE. Faccio osservare che il rinvio della votazione sull’articolo 28 comporta anche il rinvio dell’esame e dell’approvazione dell’articolo 29, nonché del 29-bis e 29-ter proposti dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro ed altri e probabilmente anche dell’articolo 30.

Chiedo all’Assemblea se intende venire in questa determinazione.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Sono favorevole ad accettare la proposta dell’onorevole Micheli, cioè l’abbinamento di questa decisione a quella che sullo stesso tema sarà presa al momento in cui verrà in esame l’imposta proporzionale ordinaria. (Interruzione del deputato Crispo).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei richiamare l’attenzione dei colleghi che insistono sull’emendamento. C’è un emendamento all’articolo 68 firmato da me e dagli onorevoli Pesenti e Lombardi col quale si risolve nel punto più giusto e nel modo più efficace il problema della difesa della piccola proprietà. È sul piano della «proporzionale» che bisogna portare uno sgravio effettivo ai piccoli proprietari. Per questo sono favorevole al rinvio; discutendo di quell’emendamento si vedrà che è molto più sensibile il beneficio che si porta in quel punto piuttosto che in questo. Quando discuteremo quell’emendamento, si vedrà che lì si risolve il problema della difesa della piccola proprietà. Perciò vorrei pregare i colleghi di accogliere l’invito al rinvio.

PRESIDENTE. Chiedo il parere del Governo su questa domanda di rinvio.

PELLA, Ministro delle finanze. Non ho difficoltà ad accedere alla proposta di rinvio, anche per considerazioni di ordine pratico.

LOMBARDI RICCARDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Mi pare che essendo legate diverse questioni relative all’imposta straordinaria progressiva, al trattamento che verrà fatto in sede di proporzionale, converrebbe, se la Commissione ed il Governo sono d’accordo, votare subito l’articolo 28 e poi anticipare tutti gli argomenti del capitolo XIII, perché diversamente per tutti gli articoli che discuteremo ci sarà una proposta di rinvio.

Se non è possibile accogliere integralmente la mia proposta, insisto per la votazione immediata dell’articolo 28.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Penso che vi sarebbe un argomento che potrebbe essere stralciato da tutto il resto ed è il Capo sesto, relativo alle dichiarazioni. Questa mattina si potrebbe affrontare la discussione su questo Capo, che contempla norme di ordine procedurale che possono essere benissimo esaminate, anche lasciando in sospeso gli altri argomenti di cui ora si discute.

Ripeto la mia preoccupazione sul tempo che i nostri lavori stanno richiedendo. Se effettivamente l’Assemblea ha intenzione di finire i suoi lavori entro un periodo di tempo relativamente breve, occorre accelerare questi nostri lavori.

VALIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALIANI. Sul Capo sesto vi sono questioni di principio più gravi anche di quelle che ora stiamo discutendo.

Il Ministro è pronto a discutere tutto? Per esempio all’articolo 36 v’è un emendamento che riguarda la questione del segreto bancario. Se ci mettiamo a rinviare anche questa questione, la legge finirà col non essere mai votata.

Prima di accedere alla proposta del Ministro, desidererei perciò sapere se il Governo è pronto a discutere l’intero Capo, con tutti gli emendamenti ad esso proposti.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo è pronto a discutere anche tutti gli emendamenti presentati sugli articoli di questo Capo.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti la proposta di rinvio delle votazioni sugli emendamenti all’articolo 28, e della discussione sull’articolo 29 e relativi articoli aggiuntivi al momento in cui si discuterà l’articolo 68 (Titolo II Capo XIII. Imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio).

(È approvata).

Passiamo allora al Capo VI (Dichiarazioni).

Si dia lettura dell’articolo 30 nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Tutti coloro che, a norma del presente decreto, sono tenuti al pagamento dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio devono presentare la relativa dichiarazione all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione trovasi il comune nel quale il contribuente ha il suo domicilio fiscale. Sono anche tenuti a presentare la dichiarazione coloro che, pur non essendo soggetti all’imposta straordinaria, abbiano un patrimonio che, al lordo delle passività, secondo la consistenza al 28 marzo 1947, raggiunga l’importo di lire 1.500.000.

«La dichiarazione deve essere presentata nel termine di tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto. Detto termine è portato a sei mesi per i contribuenti residenti fuori dello Stato considerandosi valida la presentazione fatta presso gli uffici diplomatici e consolari all’estero.

«I prigionieri di guerra e gli internati civili e militari all’estero possono ottenere di essere riammessi in termine, quando dimostrino di non aver tempestivamente adempiuto all’obbligo della dichiarazione per effetto della prigionia o dell’internamento».

Su questo articolo vi è, anzitutto, un emendamento dell’onorevole Veroni, così formulato:

«Al primo comma, alla cifra: 1.500.000, sostituire: 3.000.000.

VERONI. Anche questo emendamento è connesso alla precedente materia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che non possiamo andare avanti a forza di rinvii. Sono personalmente pronto a discutere questa legge anche nel mese di agosto: ma non so se dello stesso avviso sia l’Assemblea.

D’altra parte, non possiamo chiudere i lavori senza l’approvazione di questa legge.

Per quanto riguarda l’articolo 30 e la questione del minimo, è vero che vi è una connessione, ma ritengo sottinteso che il limite del milione e 500.000, è un limite di dichiarazione agli effetti statistici ed ha effetto di appoggio del sistema di accertamento induttivo.

È evidente che, per quanto riguarda la presentazione delle dichiarazioni vere e proprie, questo obbligo è collegato alla determinazione del definitivo limite. Ora, nel lavoro di coordinamento finale, non sarà difficile armonizzare ogni eventuale discordanza fra l’articolo 30 e il 28.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sull’articolo 30 mi permetto di fare due osservazioni circa la data di decorrenza dei termini per la presentazione della denuncia o circa la durata del termine entro il quale la denuncia deve essere presentata.

Dal momento che le denunce relative ai patrimoni inferiori hanno soltanto un fine statistico, perché non le facciamo presentare nei tre mesi successivi alla scadenza del termine per coloro rispetto ai quali ci sarà l’obbligo del pagamento dell’imposta? Alleggeriremmo enormemente il lavoro degli uffici…

PRESIDENTE. Presenti, se crede, un emendamento scritto.

CORBINO. Prima di fare questo, vorrei sapere se si è d’accordo, nel qual caso, nella forma più rapida che sia possibile, potremmo concretare qualche cosa di questo genere.

Poi vorrei fare formale proposta che il termine delle denunce sia prorogato per lo meno di altri tre mesi. Esso è ora già scaduto, e la gente non saprà neanche nel mese di settembre a quali condizioni dovrà ubbidire per presentare la denuncia.

PRESIDENTE. Faccio presente che gli onorevoli Bosco Lucarelli e Cappi, unitamente ad altri colleghi, hanno presentato i seguenti emendamenti riguardo alla modificazione dei termini:

«Sostituire il primo periodo del secondo comma col seguente:

«La dichiarazione deve essere presentata nel termine di due mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica della convalida del presente decreto data dall’Assemblea Costituente».

«Al secondo comma, alle parole: tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, sostituire le altre: due mesi dalla convalida del presente decreto da parte dell’Assemblea Costituente».

CORBINO. Aderisco senz’altro all’uno ed all’altro emendamento.

PRESIDENTE. Prego il Relatore di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Possiamo approvare il primo comma dell’articolo 30, stabilendo che l’obbligo di denunzia statistica equivalga alla metà del minimo imponibile stabilito.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo.

LA MALFA, Relatore. Circa la proposta dell’onorevole Corbino, cioè che la dichiarazione debba essere presentata nel termine di sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, entro il 13 ottobre, la Commissione esprime parere favorevole se anche il Governo si dimostra favorevole. Come pure, nessuna difficoltà ha la Commissione di prorogare la data per la dichiarazione statistica di tre mesi rispetto alla data della denunzia fiscale.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego gli onorevoli proponenti del termine di sei mesi di volere accedere alla determinazione di una data fissa e cioè il 30 settembre, anziché il 13 ottobre; inquantoché il mese di ottobre dovrà essere utilizzato per vagliare le dichiarazioni e predisporre la pubblicazione dei patrimoni che superano la metà del Minimo imponibile.

Propongo inoltre che sia fissata la data del 31 dicembre per la dichiarazione statistica, cioè dare altri tre mesi ai detentori di patrimoni, che superano la metà del minimo imponibile.

CORBINO. D’accordo.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, dopo le spiegazioni del Ministro, insiste nel suo emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Non insisto. La data del 30 settembre corrisponde press’a poco a quella che io proponevo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Penso che, siccome nel testo emendato dalla Commissione il primo periodo contempla la dichiarazione vera e propria, ed il secondo periodo la dichiarazione a scopo statistico, potremmo inserire il termine già nel primo periodo: «Tutti coloro che, a norma del presente decreto, sono tenuti al pagamento dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio devono presentare entro il 30 settembre 1947 la relativa dichiarazione all’ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione trovasi il comune nel quale il contribuente ha il suo domicilio fiscale. Sono anche tenuti a presentare la dichiarazione entro il 31 dicembre 1947 coloro che, pur non essendo soggetti alla imposta straordinaria, abbiano un patrimonio, ecc.». Dopo di che occorrerebbe sopprimere «La dichiarazione deve essere presentata nel termine di tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto».

LA MALFA, Relatore. E per i contribuenti residenti all’estero?

PELLA, Ministro delle finanze. Il termine di cui sopra è portato al… e dovremmo mettere una data fissa.

LA MALFA, Relatore. Il 31 dicembre!

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo? «I termini suddetti sono prorogati di tre mesi per i contribuenti residenti fuori dello Stato». Cosicché, se si tratta di dichiarazioni vere e proprie, 31 dicembre; se si tratta invece di dichiarazioni statistiche, 31 marzo.

PRESIDENTE. È d’accordo l’onorevole Cappi?

CAPPI. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Bosco Lucarelli?

BOSCO LUCARELLI. Anch’io sono d’accordo.

PRESIDENTE. Allora il testo del primo comma dell’articolo 30 può essere il seguente:

«Tutti coloro che, a norma del presente decreto, sono tenuti al pagamento dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, devono presentare, entro il 30 settembre 1947, la relativa dichiarazione all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione trovasi il comune nel quale il contribuente ha il suo domicilio fiscale. Sono anche tenuti a presentare la dichiarazione, entro il 31 dicembre 1947, coloro che, pur non essendo soggetti alla imposta straordinaria, abbiano un patrimonio che, al lordo delle passività, secondo la consistenza al 28 marzo 1947, raggiunga la metà del limite imponibile».

LA MALFA, Relatore. Con riserva di mettere la cifra.

PELLA, Ministro delle finanze. Se ho ben capito, lasciare in bianco la cifra, sapendo che essa sarà fissata dopo, in sede di coordinamento. Resta inteso che sarà la metà del minimo imponibile.

LA MALFA, Relatore. Esatto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo nel testo ora letto.

(È approvata).

Passiamo al successivo comma di cui Commissione e Governo propongono la seguente formulazione:

«I termini suddetti sono prorogati di tre mesi per i contribuenti residenti fuori dello Stato, considerandosi valida la presentazione fatta presso gli uffici diplomatici e consolari all’estero.

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Il comma finale rimane invariato:

«I prigionieri di guerra e gli internati civili e militari all’estero possono ottenere di essere riammessi in termine, quando dimostrino di non avere tempestivamente adempiuto all’obbligo della dichiarazione per effetto della prigionia o dell’internamento».

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 30 si intende approvato nella formulazione testé letta.

Passiamo all’articolo 31. Se ne dia lettura nel testo ministeriale accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, a garanzia limitata, di fatto, le associazioni ed enti sono tenuti a dichiarare all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione hanno la loro sede, il cognome, nome, domicilio od indirizzo dei singoli soci ed i crediti di finanziamento spettanti ai medesimi. Dette società, in quanto non siano soggette all’imposta di negoziazione, devono, inoltre, dichiarare il loro patrimonio, con l’indicazione delle quote spettanti ai singoli soci, fermo restando l’obbligo dei soci stessi di comprendere le rispettive quote nella dichiarazione individuale del loro patrimonio.

«Le sanzioni non di carattere penale stabilite per omessa od infedele dichiarazione per i singoli contribuenti sono applicabili in confronto delle società anzidette».

PRESIDENTE. Poiché non vi sono emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’articolo 32. Se ne dia lettura nel testo del Governo accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La dichiarazione deve indicare:

1°) il cognome, nome, paternità e domicilio fiscale del contribuente, o – se si tratti di enti collettivi – la denominazione e la sede;

2°) le attività e passività patrimoniali, singolarmente specificate, che concorrono a formare il patrimonio di ciascun obbligato alla dichiarazione ed il valore di ciascun cespite, determinato secondo le disposizioni contenute negli articoli da 34 a 37.

«Quando taluna delle attività intestate al contribuente sia di proprietà di terzi, il contribuente intestatario deve, nella propria dichiarazione, designare l’effettivo proprietario ed indicare la prova relativa».

PRESIDENTE. All’articolo 32 vi è un emendamento aggiuntivo degli onorevoli Scoccimarro e Veroni che, nella sua ultima formulazione, che modifica altra precedentemente proposta, è del seguente tenore:

«La denuncia del patrimonio deve essere presentata all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette accompagnata da una dichiarazione con la quale il contribuente giura che i cespiti denunciati rispondono alla effettiva totalità dei cespiti costituenti il patrimonio».

L’onorevole Veroni ha facoltà di svolgerlo.

VERONI. Svolgerò rapidamente l’emendamento che reca la firma del collega Scoccimarro e mia. In fondo, questo emendamento riproduce un criterio di legge tributaria che è già contenuto nel decreto-legge del 12 aprile 1920, n. 494, perché anche allora per l’imposta patrimoniale (articolo 38) l’Amministrazione finanziaria si riservava di assumere con giuramento la denuncia del contribuente per vedere se essa rispondesse o meno a verità. La differenza che corre fra la disposizione della legge di allora e l’emendamento che abbiamo presentato è questa: mentre nella disposizione precedente si attribuisce all’Amministrazione finanziaria la facoltà di assumere col giuramento la denuncia del contribuente, nell’emendamento da noi presentato si fissa e si determina l’obbligo del contribuente di accompagnare la denuncia con una dichiarazione nella quale giuri che i cespiti denunciati sono effettivamente rispondenti ai veri cespiti di cui egli sia il proprietario.

In tal senso provvede il sistema tributario inglese che dispone l’obbligo di ogni contribuente di accompagnare con giuramento la denuncia dei propri cespiti. Nulla vieta che anche la nostra legislazione preveda similmente il dovere di denunciare con giuramento il cespite tassabile. Deve essere, in altri termini, accelerata la formazione di quella coscienza tributaria che universalmente viene reclamata.

A ciò s’indirizza il nostro emendamento, restando inteso che alla disposizione, contenuta nel nostro emendamento, deve fare riscontro un altro emendamento già da noi presentato e che al momento opportuno dovrà essere svolto, secondo cui coloro che omettano, totalmente o parzialmente di denunciare i propri cespiti, debbono essere soggetti ad una penalità.

Ora, l’articolo 54, a suo tempo dovrà essere rivisto, perché conviene modificare tutto il sistema delle sanzioni.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Faccio presente una circostanza di fatto: secondo me, non si può far giuocare contemporaneamente una presunzione – che nei casi dei grandi capitali supera molto probabilmente quello che ne è il contenuto normale, perché il prevedere il 12 per cento di denaro liquido, come i gioielli, come i mobili, ecc. per i patrimoni imponenti è una altissima quota, mentre può risultare inadeguata per i patrimoni piccoli – ed un giuramento.

Ad ogni modo, se dalla presunzione forfetaria si passa al giuramento specifico, mi pare che sia un controsenso ed una impossibilità giuridica quella di far giuocare contemporaneamente un giuramento ed una presunzione, perché vuol dire mettere in discussione, all’atto stesso in cui si richiede il giuramento, il contenuto del giuramento stesso.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Personalmente non ritengo di poter approvare l’emendamento proposto. A parte l’efficacia del giuramento, io richiamo l’attenzione dei proponenti sul fatto che un giuramento falso comporta una pena restrittiva della libertà personale.

Ora, quando si pensi alla complessità del patrimonio, uno che si dimentica di un libretto, di un titolo al portatore, di un quadro, di un cespite minimo – per il quale provvede la quota presuntiva – deve arrischiare il carcere per questo?

Dato che oggi per la grande massa dei titoli azionari, nominativi, vi è facilità di controllo, mi pare che la forma del giuramento sia eccessiva.

DUGONI. Chiedo di parlare.

RESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Avevo in animo di riprendere la disposizione che era contenuta nella legge Schanzer del 1922, la quale autorizzava gli uffici finanziari a richiedere il giuramento di volta in volta. Invece di obbligare il contribuente a presentare la denuncia, sempre avvalorata dal giuramento, erano gli uffici che quando credevano che vi fosse infedeltà nella denuncia, potevano richiedere al contribuente il giuramento sulla denuncia presentata.

Una voce al centro. E vi era facoltà di rifiutarsi.

DUGONI. Comunque, l’impostazione che io intendevo dare alla questione del giuramento era duplice. Cioè, prima di tutto evitare che diventasse una formalità. Perché, purtroppo, la verità è questa: se tutti i denuncianti devono giurare, evidentemente diventa una formalità. In secondo luogo, se il denunziante è chiamato all’ufficio delle imposte e gli viene detto: noi abbiamo ragione di credere che la denunzia da lei fatta sia infedele; o lei la rettifica entro cinque giorni, o l’assevera con il giuramento, io credo che questo sarebbe di grande momento.

D’altra parte noi, in Italia, non vogliamo assoggettarci ad una prassi dei Paesi anglosassoni, quella cioè della prigione per il mancato pagamento delle imposte. Noi continuiamo a credere che il mancato pagamento delle imposte sia un atto di astuzia che vada per lo meno premiato con la croce di cavaliere!

Una voce al centro. Vorrebbe proporre la tortura?

DUGONI. Vi sono molti patrimoni che provengono dal mercato nero e da altre fonti più o meno losche. (Commenti).

Si deve ricordare che in America i «gangster» che non si è riusciti a colpire con la condanna capitale, sono stati colpiti con le leggi sull’imposta: Al Capone insegni. Ora, io dico che è tempo che anche in Italia si facciano delle leggi tributarie con quelle penalità e con quelle sanzioni che veramente inducano i cittadini a credere che il pagamento delle imposte è una cosa seria. D’altra parte, dato il periodo di inflazione che noi abbiamo passato, occupazioni multiple, le fortune nate non si sa come, io credo che l’asseverare le dichiarazioni che si presumono infedeli con il giuramento potrebbe avere un effetto veramente risanatorio in Italia.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Credo che l’emendamento degli onorevoli Veroni e Scoccimarro meriti di essere approvato dall’Assemblea. Noi dobbiamo infatti preoccuparci, e seriamente preoccuparci, dei contribuenti onesti, non dei contribuenti infedeli. Dei contribuenti infedeli ci siamo già preoccupati poco fa quando abbiamo deciso di prorogare fino al 31 dicembre 1947 le denunzie. È stato detto che si intendeva farlo a fini statistici, ma io credo invece che non soltanto questo sia stato l’intento; non lo credo, perché è evidente che si è voluto anche dar modo alla finanza di perseguire il contribuente il quale esponga una valutazione del suo patrimonio non corrispondente al valore reale.

La finanza sarà sempre in grado di contestare la veridicità delle dichiarazioni infedeli; ma che oggi si chieda, così come in precedenti norme era stato stabilito, una conferma mediante giuramento non credo che sia male.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a pronunciarsi a nome della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Come l’Assemblea avrà certamente notato, su questo emendamento, vi è stata divisione in seno alla Commissione. La maggioranza si è pronunciata infatti contro la formula del giuramento, mentre una minoranza ha proposto le due soluzioni, del giuramento prestato in sede di dichiarazione di voto o, proposta Dugoni, di una richiesta di giuramento che potrebbe essere rivolta al contribuente dall’Amministrazione finanziaria.

La maggioranza si è pronunciata contro per ragioni di indole pratica e soprattutto per l’impossibilità di dare efficacia concreta al giuramento medesimo. La maggioranza della Commissione ha ritenuto che quest’atto del giuramento debba avere un’importanza formale e debba anche trovare rispondenza nel clima in cui opera il contribuente. A parte l’aggravio di lavoro che necessariamente deriverebbe agli uffici finanziari con l’adozione del giuramento (essi non possono accettare una formula scritta e metterla puramente nel cassetto), la maggioranza della Commissione si preoccupa che se al giuramento non segue una possibilità da parte dell’Amministrazione di accertare esattamente la situazione del contribuente, esso diventa quasi un atto inutile, cioè privo di sanzione, per il caso di falso. E questo, purtroppo, date le centinaia di migliaia di denuncie che l’Amministrazione riceverà, sarà il solo risultato prevedibile, cioè l’impossibilità di far seguire all’adozione del giuramento effettive sanzioni che servano a colpire il falso del contribuente.

Per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Dugoni, di dare potestà all’Amministrazione finanziaria di chiedere il giuramento, la Commissione ritiene che venga così attribuita una grande facoltà discrezionale all’Amministrazione, mettendola in condizione di chiedere il giuramento in determinati casi e di non chiederlo in altri. Ora, la Commissione si preoccupa di usare uno strumento obiettivo, cioè che tuteli anche il contribuente nei rispetti dell’Amministrazione. Per questa ragione, essa respinge la proposta Dugoni.

Ma c’è poi l’obiezione sollevata dall’onorevole Fabbri e che ha valore sostanziale. Effettivamente, abbiamo adottato una quota presuntiva per quanto riguarda alcuni speciali cespiti; ora, se introduciamo il giuramento, non possiamo più applicare questa quota presuntiva, ma dobbiamo prestar fede a quello che il dichiarante denuncia. Anche per tali ragioni dovremo modificare tutto il sistema della legge. Facevo notare agli onorevoli Scoccimarro e Veroni, che adottando il giuramento bisogna rivedere tutto il sistema di sanzioni, perché le sanzioni previste non sono più compatibili col sistema del giuramento: infatti se il cespite denunciato attraverso il giuramento non corrisponde al patrimonio effettivo, si ha una sanzione, ma allora il caso di mancata denuncia di tutto il patrimonio dovrebbe avere una sanzione molto maggiore.

Per queste considerazioni la maggioranza della Commissione si è pronunciata contro i vari emendamenti.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io ho l’impressione che si ricorra in questo problema ad una vecchia tattica; quando si vuole silurare o bocciare un quesito lo si allarga smisuratamente, invece di contenerlo nei suoi giusti termini, che sono abbastanza limitati.

Quale è lo scopo dell’emendamento? Fornire all’amministrazione finanziaria tutti i mezzi possibili ed immaginabili per combattere le evasioni e le frodi. Null’altro che questo. Se poi si vuole congegnarlo in modo da evitare particolari difficoltà, la questione si può discutere. Ma, io mi domando perché in Italia non si possa mai fare nulla di quello, che pur si fa in altri Paesi. Sempre, sistematicamente, quando si tratta di toccare il contribuente, si creano all’Amministrazione finanziaria le maggiori difficoltà: impossibile in Italia fare il cambio della moneta, impossibile toccare il segreto bancario, impossibile istituirle il giuramento. Perché tutte queste cose sono possibili in America, in Francia, in Inghilterra, e in Italia no?

Desidero precisare che il giuramento si riferisce soltanto alla denuncia dei cespiti, e non alla loro valutazione. Si tratta concretamente di dire: «Io non ho nascosto al fisco alcun cespite patrimoniale».

L’obiezione dell’onorevole Fabbri può esserle facilmente risolta quando si dicesse che, per quanto riguarda la quota presuntiva, ecc., in quel caso il giuramento logicamente vale al di là del limite della quota presuntiva. (Commenti).

C’è troppa gente che da più di un anno ha comprato gioielli in Italia: Trieste è diventata il mercato di diamanti per coloro che attendevano l’imposta straordinaria. Non c’è modo di fare un controllo sul possesso dei gioielli, ma se l’Amministrazione finanziaria domani viene a conoscenza che qualcuno possiede quantità ingenti di diamanti e brillanti non denunciati e riesce a metterci le mano sopra, una sanzione severa è bene appropriata.

Rimane il fatto che senza questo emendamento noi faremmo una legge che rispetto a quella del 1922 fa un passo indietro: per lo meno la legge Nitti del 1922 offriva all’Amministrazione finanziaria la facoltà di chiedere il giuramento.

Una voice. Ma non è stata applicata mai!

VERONI. È stata applicata!

SCOOCIMARRO. Ora, l’esperienza ha dimostrato che questa facoltà lasciata all’Amministrazione può dar luogo ad arbitri.

FABBRI. Ma allora non c’erano i titoli nominativi; oggi sì, perché la ricchezza mobiliare in gran parte è nominativa.

SCOCCIMARRO. Non importa. Io voglio dire ancora di più, onorevole Fabbri: io insisto in questo emendamento perché, per me, quando nella prossima Assemblea legislativa, si dovrà discutere della riforma tributaria, il principio del giuramento deve divenire norma nella nostra legislazione finanziaria.

Perciò propongo che fin d’ora nell’imposta straordinaria si affermi questo principio. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Prego il Ministro delle finanze di esprimere l’opinione del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo si associa alle conclusioni dell’onorevole Relatore, per quanto – in via subordinata – non avrebbe difficoltà ad accogliere il concetto incluso nell’emendamento dell’onorevole Duroni.

PRESIDENTE. Preciso all’Assemblea che oltre all’emendamento aggiuntivo Scoccimarro-Veroni ne è stato presentato un altro dall’onorevole Dugoni, così formulato:

L’Amministrazione delle finanze ed i collegi giudicanti possono in ogni tempo invitare il contribuente a presentarsi, non oltre il termine di quindici giorni dalla notificazione di regolare avviso, per sottoscrivere una formula di giuramento, nella quale si affermi che le dichiarazioni fatte dal contribuente stesso, e da confermarsi o correggersi in questa occasione, sono integrali e veritiere in rapporto alla qualità e quantità dei beni di spettanza del contribuente e alla esistenza delle passività e dei carichi relativi.

«Il giuramento è raccolto nei singoli casi dall’autorità che ha invitato a prestare il giuramento».

L’emendamento Scoccimarro-Veroni, evidentemente, è più lato perché impone il giuramento al momento della dichiarazione. Quindi questo emendamento deve avere la precedenza nella votazione. Domando ai proponenti se vi insistono.

VERONI. Sì.

PRESIDENTE. Porrò dunque ai voti l’emendamento Scoccimarro-Veroni.

RESCIGNO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto;

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Dichiaro di votare contro questo emendamento. Che altrove vi siano disposizioni di questo genere, non rivela la nostra inferiorità: rivela soltanto la nostra più squisita sensibilità giuridica. (Commenti – Rumori a sinistra).

È inutile che facciate rumore. Qui ognuno ha diritto di esprimere la propria opinione, e l’opinione mia è questa: che il giuramento che si chiede al contribuente è un po’ come la dichiarazione contro se stesso dell’imputato. Parliamoci chiaro. (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Proprio così!

RESCIGNO. Voi non risolverete nulla, e avrete soltanto creato numerosi spergiuri. (Commenti a sinistra). L’educazione del contribuente si fa in un’altra maniera, si fa educando alla sincerità, innanzi tutto, il fisco, perché il contribuente oggi è restio a pagare, soprattutto perché da parte del fisco non vi è la sincerità. Il fisco accerta esageratamente ed obbliga così il contribuente ad esagerare nel senso opposto.

Abituare alla sincerità l’uno e l’altro è il solo mezzo per rimediare a questo stato di cose. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che è pervenuta alla Presidenza una domanda di votazione per appello nominale sull’emendamento Scoccimarro-Veroni.

La domanda è firmata dagli onorevoli Zerbi, Saggin, Ferreri, Bovetti, Quintieri Adolfo, De Palma, Bonomi Paolo, Mastino Gesumino, Rivera, Jacini, Bubbio, Codacci Pisanelli, Fuschini, Cappi ed Uberti.

Si insiste in questa domanda?

ZERBI. Sì, insistiamo.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale, sull’emendamento degli onorevoli Scoccimarro e Veroni.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Secchia.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Allegato – Amadei – Amendola – Arata – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bellusci – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertone – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bruni – Bubbio – Bucci.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Caporali – Caprani – Carmagnola – Caroleo – Carpano Maglioli – Cavallari – Cavallotti – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Corbi – Costa – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Vita – Di Giovanni – Di Vittorio – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Ferrari Giacomo – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Foa – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giolitti – Giua – Grazi Enrico – Grieco – Gullo Fausto.

Jacometti.

Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Massola – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minio – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Morini – Musolino.

Nasi – Nobile Umberto – Nobili Oro.

Pajetta Gian Carlo – Pastore Raffaele – Pellegrini – Persico – Pesenti – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Sardiello – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Secchia – Segala – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello.

Valiani – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vischioni.

Zanardi – Zappelli.

Rispondono no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bellato – Belotti – Bencivenga – Bertola – Bettiol – Biagioni – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Camangi – Camposarcuno – Gannizzo – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Cassiani – Castelli Avolio – Cavalli – Cerreti – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Palma – Dossetti.

Einaudi.

Fabbri – Fabriam – Fantoni – Ferreri – Firrao – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gatta – Germano – Geuna – Giacchèro – Gonella – Gotelli Angela – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

La Malfa – Lazzati.

Magrini – Malvestiti – Marazza – Marinaro – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazzei – Medi Enrico – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mùrdaca.

Pallastrelli – Paolucci – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Rivera – Rodi – Romano – Roselli – Rubilli – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Selvaggi – Siles – Spallicci – Spataro – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Viale – Vicentini – Villabruna.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Si sono astenuti:

Conti.

Della Seta.

Sono in congedo:

Bassano – Bellavista – Bernabei – Bianchi Costantino.

Carratelli.

Ferrario Celestino – Ferrarese – Fogagnolo.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Mannironi – Matteotti Matteo – Musotto.

Raimondi – Ravagnan – Rumor.

Saragat.

Tomba.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione per appello nominate e invito gli onorevoli segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sull’emendamento Scoccimarro-Veroni:

Presenti                  322

Votanti                   320

Astenuti                    2

Maggioranza           161

Hanno risposto sì     152

Hanno risposto no   168

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Dugoni che il proponente dichiara di modificare nei seguenti termini:

«Qualora sussistano elementi che lascino fondatamente presumere l’omessa dichiarazione di cespiti soggetti ad imposta, l’Amministrazione delle finanze può, nel corso della procedura di accertamento, invitare il contribuente a presentarsi, non oltre il termine di 15 giorni dalla notificazione di regolare avviso per sottoscrivere una formula di giuramento, nella quale si affermi che le dichiarazioni fatte dal contribuente stesso, e da confermarsi o correggersi in questa occasione, sono integrali e veritiere in rapporto alla qualità e quantità dei beni di spettanza del contribuente ed alla esistenza delle passività e dei carichi relativi.

«Il giuramento è raccolto nei singoli casi dall’autorità che ha invitato a prestare il giuramento».

Il Ministro delle finanze è invitato ad esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Questo emendamento ha, in linea di massima, il parere favorevole del Governo. Si tratta di trasferire sul piano della facoltatività quello che, secondo l’emendamento precedente, doveva rappresentare invece un obbligo. Si ritorna cioè al sistema della legge 1922.

PRESIDENTE. Avverto che su questo emendamento è stata richiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Camposarcuno, Monterisi, Gullo Fausto, Zotta, Caso, Bianchini Laura, Monticelli, Coccia, Angelucci, Micheli, Gotelli Angela, Angelini, Castelli Avolio, Foresi, Medi, Valenti, Ciampitti, Baracco, Gabrieli, Pallastrelli e Carbonari.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Faccio osservare che dopo la votazione avvenuta, nella quale si è respinto il giuramento nella parte principale, non comprendo come possa risorgere in modo secondario e venga così ad entrare dalla finestra quello che l’Assemblea ha inteso di cacciare dalla porta. (Commenti).

Chi deve pagare pagherà, ma deve pagare nei modi che la legge ha stabilito e quelli che dobbiamo stabilire oggi noi devono essere conformi alle nostre consuetudini e non inventati ora come altro strumento di oppressione fiscale. Ci sono inoltre due ragioni per le quali io dichiarerei di votare eventualmente contro: la prima è basata sulla presunzione contro il contribuente. L’altra perché decide l’arbitrio del funzionario.

Io comprendo che le materne viscere del Ministro possono avere un riguardo particolare pei suoi funzionari, ed a questo forse è dovuta la sua accettazione, ma io credo che l’Assemblea manterrà fede al voto antecedente; perché il voto che si chiede adesso è un notevole peggioramento di quello che è stato respinto. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli Micheli, lei fa una questione sulla possibilità di votazione di questo emendamento?

MICHELI. Io ritengo che la proposta dell’onorevole Dugoni non sia più presentabile. Se la Presidenza riterrà di farla votare, valgano le dichiarazioni che ho fatto, ma io eccepisco che la procedura non è normale e che non si può portare qui la questione di un giuramento limitato, mentre abbiamo respinto il giuramento intero.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha posto la questione e la Presidenza rimette alla Assemblea la decisione.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Desidero proporre la sospensiva. Credo che tutta l’Assemblea sia concorde nel riconoscere che si tratta di un problema degno di attenta discussione che, data l’ora tarda, non potrebbe aversi.

Propongo formalmente che la discussione sia rinviata alla prima seduta.

PRESIDENTE. Dovrò allora mettere ai voti la proposta di rinvio dell’onorevole Mastino Gesumino.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Si è chiesta la sospensiva per riflettere sul contenuto del nuovo emendamento?

MASTINO GESUMINO. Per poterlo discutere.

SCOCCIMARRO. Desidero fare presente che in seno alla Commissione è stata considerata anche questa proposta; e non l’abbiamo accettata, perché l’esperienza del passato e la previsione di quello che può avvenire in futuro, ci hanno portato alla conclusione che, allo stato attuale delle cose, non si possa lasciare alla facoltà dell’Amministrazione finanziaria di chiedere o no il giuramento; perché questo può divenire strumento di persecuzione verso alcuni contribuenti. (Approvazioni).

Per questa ragione non siamo favorevoli all’emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, è contrario anche alla sospensiva?

SCOCCIMARRO. Si, sono contrario.

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino insiste nella sua proposta?

MASTINO GESUMINO. Dato che abbiamo un accordo nel merito, rinunzio alla richiesta di sospensiva.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Non per entrare nel merito dell’emendamento, su cui il Governo si è già pronunziato, ma per riallacciarmi al riferimento alle «materne viscere», cui ha fatto cenno l’onorevole Micheli, mi si permetta di non condividere l’apprezzamento circa le eventuali conseguenze dipendenti dal contegno di determinati funzionari. Io devo ritenere l’Amministrazione finanziaria provvista di sufficiente senso di equilibrio per saper utilizzare questo strumento. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, insiste nel suo emendamento?

DUGONI. Sì, insisto.

PRESIDENTE. I firmatari della richiesta di votazione per appello nominale vi insistono?

CAMPOSARCUNO. A nome dei firmatari, dichiaro di ritirare la richiesta.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti per alzata e seduta l’emendamento dell’onorevole Dugoni.

(Non è approvato).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Presentazione di relazioni.

DI GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI. Mi onoro di presentare all’Assemblea le relazioni sulle domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Tega e Bernamonti.

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

La seduta termina alle 13.15.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Nitti

De Vita

Bertone

Preti

Dugoni

Colitto

Zotta

Foa

Cartia

Micheli

Sullo

Pignatari

Nobile

Romano

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Laconi

Corbino

Uberti

Carbonari

Tessitori

Gasparotto

Condorelli

Presentazione di relazioni:

Presidente

Gronchi

Nitti

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente

Bulloni

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Come l’Assemblea ricorda, nella precedente seduta il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, aveva chiarito e commentato il nuovo testo proposto per l’articolo 113 dal Comitato di coordinamento. Si tratta adesso di esaminare gli emendamenti presentati a questo testo della Commissione, che è così formulato:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni.

«Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali per provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali.

«Per provvedere ad altri scopi determinati lo Stato può assegnare a singole Regioni contributi speciali.

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione, o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

Un primo emendamento, presentato dall’onorevole Nitti, è del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Con legge della Repubblica sarà stabilito il regime tributario delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni».

L’onorevole Nitti ha facoltà di svolgerlo.

NITTI. È essenziale stabilire quali potranno essere le entrate delle Regioni, come degli altri enti locali. Finora gli enti locali erano la Provincia e il Comune, che si reggevano essenzialmente sul sistema dei centesimi addizionali delle grandi imposte dirette, soprattutto fondiarie. Ogni provincia, poiché vi era una imposta fondiaria sui terreni e sui fabbricati, metteva, come ogni Comune, dei centesimi addizionali. Era un regime facile. In fondo, la Provincia non aveva come base delle sue entrate che i centesimi addizionai i sulle imposte dirette, ed i Comuni avevano, insieme a questi, soprattutto i dazi di consumo. Queste erano le entrate fondamentali. Poi si sono aggiunte per i Comuni altre entrate, imposte e tasse differenti.

Quando nel 1862 fu fatta l’unificazione tributaria e fu stabilito il regime del nuovo regno, si andò sempre verso l’idea di mettere le Provincie ed i Comuni accanto allo Stato. Poi la Provincia è rimasta chiusa nelle sue funzioni economiche e sociali in limiti ristretti e non ha sviluppato i suoi servizi; il Comune li ha sviluppati e ha dovuto necessariamente ricorrere ad altre imposte: la Provincia si è sempre basata sui centesimi addizionali.

Il sistema del 1862 era in realtà molto pratico. Si basava su entrate sicure e definite. La Cassa depositi e prestiti forniva il credito agli enti locali, e perché il credito fosse sicuramente garantito, gli enti locali cedevano un certo numero di centesimi addizionali. Lo Stato fece operazioni di credito di tanti miliardi e non perdette mai in queste operazioni una sola lira. I Comuni potevano attingere e potevano chiedere credito allo Stato. Allora i Comuni erano molto parchi. Chiedevano alla Cassa depositi e prestiti. La Cassa aveva entrate che derivavano da una parte di alcuni servizi pubblici e dall’altra entrate che venivano dai depositi postali. Il sistema non era complicato e funzionava con regolarità.

Ora, dobbiamo stabilire le entrate di questi tre enti: regioni, province, comuni. L’onorevole Ruini ha detto, in generale, come può orientarsi la finanza locale. Ma sono lontane visioni e occorre invece uscire dall’indeterminato: prevedendo le spese bisogna stabilire quali, una per una, e stabilire dove i comuni, le provincie e le regioni potranno attingere le entrate.

Naturalmente la provincia si trova in parte esautorata, ma vive della sua vita; e la Regione di quali entrate deve vivere? Bisognerà pure definirlo e precisarlo fin da ora. Quindi, siccome non è materia che adesso possiamo improvvisare, sarà necessario fare fin da ora una legge speciale: o una legge speciale o il caos. Su questo non vedo che vi possa essere materia di controversia. Perciò ho presentato questo articolo aggiuntivo che non credo possa incontrare opposizione, a meno che non si continui nel sistema di annunziare come definite e sicure le cose che non sono né definite né sicure, com’è stato finora tante volte in questo schema di Costituzione in cui le aspirazioni si confondono con i propositi e i propositi sono irrealizzabili perché mancano i mezzi di esecuzione.

Si faranno Regioni che pretenderanno, esautorando lo Stato, vivere dello Stato, che ha esso stesso, per l’eccesso di spese e la mancanza di entrate corrispondenti, mancanza di mezzi per vivere vita sicura.

Ignotum per ignotius, questa sarà la finanza delle regioni e degli enti locali che si prepara o per dir meglio che non si prepara.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dall’onorevole De Vita, così formulato:

«Sostituirlo col seguente:

«La Regione provvede al proprio fabbisogno finanziario con i redditi patrimoniali e con i tributi deliberati dalla medesima nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione o di transito fra l’una e l’altra Regione.

«Le leggi dello Stato in materia economica, finanziaria e doganale sono ispirate al principio di evitare la creazione di qualsiasi privilegio in favore di una o più Regioni a danno di altre».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. In base al principio per cui l’imposta deve seguire l’economia, ciò che soprattutto si richiede ad un ordinamento tributario, che del sistema finanziario costituisce la parte più importante, è un grado massimo di elasticità, ben difficile a raggiungersi in un sistema rigidamente unitario ed in un Paese come il nostro che è variamente articolato nella sua struttura economica.

È dunque necessario adeguare l’imposizione alle condizioni economiche delle singole Regioni, tenendo in debito conto non solo il grado di evoluzione economica, ma anche etnica e psicologica delle singole popolazioni. Si dirà che così si introduce un elemento di disordine e di anarchia nel nostro sistema tributario. Io ritengo che si introduce un elemento di ordine, se è vero che l’ordine è l’armonia dei contrasti.

In Svizzera è stato possibile raggiungere un perfetto equilibrio fra la libera vita cantonale e l’unità federale. La legislazione tributaria in Svizzera è diversa da Cantone a Cantone; è diversa l’imposta sul patrimonio, e la stessa imposta sul reddito trova diversità di applicazione da Cantone a Cantone, per quanto riguarda le aliquote e per quanto concerne il minimo imponibile. Non risulta tuttavia che questa estrema varietà della legislazione svizzera abbia determinato nessun cataclisma in quel Paese. Per quanto riguarda l’ultimo comma del mio emendamento, debbo rilevare che potrebbe apparire paradossale se non fosse a tutti nota l’esperienza storica ormai secolare. L’esperienza dimostra che la politica economica e finanziaria dello Stato unitario ha operato un enorme spostamento di ricchezza da regione a regione.

Lo stesso onorevole Nitti, in una sua pubblicazione: «Principî di scienza delle finanze» si è chiesto dove era verso il 1860 la ricchezza in Italia, e pubblicava il seguente quadro, che non potrebbe essere più istruttivo: «La moneta degli antichi Stati italiani al momento della annessione era così ripartita: Regno delle Due Sicilie 443 milioni; Lombardia 8 milioni; Ducato di Modena 0,4 milioni; Parma e Piacenza 1,2 milioni; Roma 35,3 milioni; Romagna-Emilia 55 milioni; Piemonte e Liguria 27 milioni; Toscana 85 milioni; Veneto 12 milioni.

Il regno delle Due Sicilie aveva due volte più moneta di tutti gli altri paesi della penisola messi insieme. L’unità non fu, come si vede, magro affare finanziario per il settentrione.

Io, per omaggio alla memoria di un grande milanese, Carlo Cattaneo, non intendo porre il problema in termini stridenti. Faccio soltanto appello al sentimento di giustizia che anima tutti coloro che in questo momento sostengono la giusta battaglia per il regionalismo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bertone e Baracco hanno proposto il seguente emendamento:

«Sostituire i primi tre commi con i seguenti:

«Alle Regioni è assicurata autonomia finanziaria coi mezzi, nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni.

«Se ed in quanto necessario, lo Stato integrerà i bilanci delle Regioni per le spese straordinarie».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Onorevoli colleghi, fissato il principio della costituzione della Regione, consegue naturalmente che la Regione debba avere l’autonomia finanziaria, in termini più semplici, il proprio bilancio, perché non sarebbe concepibile l’esistenza della Regione, se la Regione non avesse un suo bilancio.

Dire bilancio è dire una parola semplice; però, nel caso nostro, l’indagine che ci si impone è abbastanza complessa, perché le Regioni sono così profondamente diverse l’una dall’altra per economia, per tradizioni, per misura di tributi fiscali atti a consentire lo svolgimento delle proprie funzioni, che una indagine anche sommaria è indispensabile per rendersi esatto conto del problema.

Sabato scorso il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, ci ha fatto un quadro interessantissimo in proposito, ricordando e richiamando dati finanziari relativi alle varie Regioni fino al 1944 e 1945.

Chiedo all’Assemblea di consentirmi di aggiornare questi dati, riportandoli al 1946 e 1947, esaminando cioè dieci mesi dell’esercizio attuale, in rapporto alle singole Regioni.

Abbiamo Regioni deficitarie e Regioni non deficitarie. Rientrano fra le prime, in dieci mesi di esercizio (i dati sono tolti dall’ultimo conto della Tesoreria e quindi sono dati presumibilmente informati alla maggiore esattezza desiderabile, e riguardano la differenza tra gli incassi e i pagamenti di bilancio, riferiti ad ogni Ministero e riferiti ad ogni ramo di attività finanziaria): la Sicilia, in dieci mesi di esercizio ha un supero di spese in confronto agli incassi di 6 miliardi e 710 milioni; la Sardegna 2 miliardi e 639 milioni; la Calabria 2 miliardi e 384 milioni; le Puglie 8 miliardi e 570 milioni; la Lucania 924 milioni; la Campania 10 miliardi e 215 milioni; gli Abruzzi 2 miliardi e 616 milioni; le Marche 929 milioni; la Venezia Tridentina 448 milioni; la Venezia Giulia – e richiamo la benevola attenzione dell’Assemblea su questa cifra, che è la maggiore di tutte le Regioni d’Italia, come passivo – la Venezia Giulia, 11 miliardi e 304 milioni.

Vengono poi le Regioni in cui gli incassi sono superiori alle spese. Si incomincia dall’Umbria con 292 milioni in più; abbiamo poi la Toscana con un supero di 2 miliardi 942 milioni; l’Emilia con 3 miliardi 581 milioni; la Liguria con 4 miliardi 102 milioni; il Piemonte con 17 miliardi 242 milioni; il Veneto con 3 miliardi 395 milioni, la Lombardia con un supero di 54 miliardi 692 milioni.

Ora, questa differenza di incassi e di spese, così profonda fra Regione e Regione, non è una novità dell’oggi; essa fu sempre corretta e regolata dallo Stato unitario. Lo Stato ha sempre dato alle Regioni del Mezzogiorno deficitarie ciò che occorreva ad esse per completare i loro bilanci. E qui è bene chiarire un punto che ha dato luogo troppo spesso ad una voce non fondata, cioè che lo Stato unitario abbia soltanto sfruttato il Mezzogiorno e abbia dato la maggior parte delle sue risorse al Settentrione.

NITTI. Non è vero.

BERTONE. Lo so, onorevole Nitti, ma questo fu detto e ripetuto: fu detto e ripetuto che la maggior parte delle sue risorse lo Stato l’abbia devoluta a beneficio del Settentrione. Io chiedo all’Assemblea che mi sia consentito di esporre brevissimamente qualche dato di fatto al riguardo. Nel 1927, il Ministero delle finanze ha pubblicato uno studio interessantissimo, un grosso volume il quale analizza ed espone tutte indistintamente le spese per lavori pubblici, per bonifiche, per strade, per acquedotti, per ferrovie, che lo Stato ha fatto in tutte le singole regioni d’Italia, a partire dal 1870, per giungere sino al 1924, prendendo cioè in considerazione 54 anni di pubblica gestione.

Orbene, in questi 54 anni di gestione, risulta da queste statistiche ufficiali che l’onere complessivo a carico dei lavori pubblici è stato il seguente: per l’Italia settentrionale 5 miliardi 974 milioni; per l’Italia centrale 4 miliardi 718 milioni; per l’Italia meridionale e insulare 8 miliardi e 47 milioni, cioè una cifra superiore.

CORBINO. Ma sono lire che hanno un diverso potere d’acquisto.

BERTONE. Ma io le riferisco a tutte le regioni d’Italia ed evidentemente la moneta era uguale per tutte a parità di tempo.

Scendendo a particolari settori, per strade in Italia settentrionale si sono spesi 173 milioni 461 mila, in Italia centrale 148 milioni 689 mila, in Italia meridionale e insulare 752 milioni 915 mila. Sono milioni di allora questi, intendiamoci bene. Ciò significa che i 752 milioni di quell’epoca possono per lo meno essere moltiplicati per cento.

AMBROSINI. Ma dopo l’altra guerra, la moneta era già svalutata e bisogna tenere presente che le maggiori spese per il Meridione furono fatte specialmente dopo la prima guerra mondiale.

BERTONE. Ma io ho accennato a queste cifre unicamente per richiamarmi ad un concetto esposto qui da un oratore del Partito comunista, che ha pronunziato uno dei più eloquenti e appassionati discorsi, l’onorevole Gullo. Il resoconto sommario così riporta il suo discorso: «Egli è calabrese, ma onestamente deve dichiarare che è un falso luogo comune quello che le provincie meridionali siano state sfruttate più che aiutate dallo Stato unitario italiano. Così dicendo, si afferma una condanna ingiusta al centralismo italiano, giusta invece se diretta a colpire la sola classe dirigente del Mezzogiorno d’Italia. Non il centralismo, ma la complicità e la connivenza vergognosa delle classi dirigenti meridionali, gelose dei loro privilegi, con alcuni interessi altrettanto egoistici dell’Alta Italia, furono la causa della lentezza con cui il Meridione seguì lo sviluppo della civiltà del resto del Paese». E qui il resoconto sommario segna «applausi» di consenso.

Ora, io questo volevo dire: che lo Stato, evidentemente, dovrà sempre tener conto di questa differenza di posizione, di economia, di tradizioni tra Regione e Regione, e ciò che è stato fatto in passato, non solo dovrà ancora essere fatto per l’avvenire: dare più a chi ha maggiori bisogni, dare meno a chi bisogni non ha; ma la differenza starà in questo: che, se è vero che per il passato con questo sistema centralistico le spese dedicate al Mezzogiorno non hanno reso quello che dovevano rendere; se si sono spesi miliardi per le strade, e le strade non ci sono, vuol dire che i miliardi non sono stati spesi bene; e non furono spesi bene probabilmente perché mancava il controllo; il controllo delle autorità, delle popolazioni e dei centri locali.

Ora, a questo tende la costituzione della Regione. Io mi domando se, quando lo Stato darà somme per opere pubbliche, integrerà i bilanci delle Regioni che di integrazione hanno bisogno; quando in base al regime democratico oggi costituito le popolazioni locali creeranno le loro amministrazioni con maggiore indipendenza, con spirito di iniziativa, spesso con responsabilità maggiore di quella che non hanno avuto fino ad oggi, mi domando se allora non avremo una maggiore garanzia che le somme destinate alle Regioni che di integrazione hanno bisogno saranno meglio spese; e se non avremo fatto un passo avanti nel progresso generale.

Non ho altro da dire in proposito, se non osservare che, in fondo, vi è già stata un’anticipazione, per merito, credo, dello stesso onorevole Ruini, quando si sono costituiti i Provveditorati regionali per le opere pubbliche. Questi Provveditorati regionali hanno veramente dato la sensazione che qualche cosa di nuovo ormai sia avvenuto nelle amministrazioni regionali. Se si guardano le spese fatte dai Provveditorati, si ha la sensazione precisa che lo Stato non dimentica i suoi doveri da Regione a Regione, distinguendo quelle che hanno maggiori risorse da quelle che ne hanno meno. Ma queste spese sono state fatte con maggiore oculatezza, e i Provveditorati hanno assunto tale quantità di opere pubbliche che non so in quali anni precedenti possa dirsi essere stata ragguagliata all’attuale.

In dieci mesi di esercizio l’Italia settentrionale ha avuto spese di opere pubbliche assegnate per 8 miliardi 193 milioni; l’Italia centrale per 5 miliardi 586 milioni; l’Italia meridionale e insulare per 18 miliardi 12 milioni.

Ora, queste spese sono state controllate localmente, sono state elargite dai Provveditorati, ed i Provveditorati hanno vigilato come queste spese venivano fatte, per mezzo del genio civile, per mezzo dei propri uffici.

Ora, questo mi sembra sia già un’anticipazione in piccola misura di quello che può essere la costituzione e l’amministrazione regionale. E io da questo buon risultato dei Provveditorati traggo auspicio per l’avvenire della Regione in quanto riguarda le spese pubbliche e il modo in cui le spese pubbliche vengono erogate e controllate.

Non ho altro da aggiungere, se non avvertire che il passato insegna che quando lo Stato continuerà a fare tutto il suo dovere verso le Regioni, come sempre ha fatto, noi avremo una maggiore garanzia che le risorse dello Stato e locali saranno spese meglio che non in passato.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni».

Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Ho presentato un emendamento inteso ad escludere che la finanza regionale sia regolata – come dice il 1° comma dell’articolo 113 – da leggi costituzionali.

Sostanzialmente mi sembra più che sufficiente che la finanza regionale sia regolata attraverso la normale procedura legislativa. Mi sembra che, facendo diversamente, si complicherebbero le cose inutilmente.

D’altra parte si tratta d’una disposizione che direi senza precedenti anche dal punto di vista – se non erro – del diritto comparato; e quindi voglio sperare che la Commissione vorrà accettare questo emendamento.

Ho presentato in seguito alcuni emendamenti soppressivi, in quanto modestamente – poiché non sono un tecnico della materia – io penso che sia piuttosto difficile, e forse anche inopportuno, regolare la materia dei tributi – dire cioè quali tributi siano assegnati e quali non siano assegnati alla Regione – in un articolo della Costituzione.

Del resto questo stesso pensiero hanno espresso deputati molto più autorevoli di me e non è quindi il caso che io stia a dare una dimostrazione di questo asserto.

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire le parole: da leggi costituzionali con le altre: dalle leggi dello Stato».

L’onorevole Dugoni ha facoltà di svolgerlo.

DUGONI. Mantengo l’emendamento e rinuncio per il momento a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: nelle forme, e sostituire alle parole: che la coordinano le altre: che, nel precisarli, provvedano altresì a coordinarla».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

COLITTO. Queste mie brevissime modifiche attengono puramente alla forma. L’articolo 113 nel suo primo comma inizia con le parole: «Le regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti».

Ora a me sembra che la parola «limiti» accenni senz’altro a binari che non possono essere trapiantati anche nel campo delle forme. Le parole quindi «nelle forme» che si leggono in quella dizione mi sembrano superflue.

Non insisto invece nell’altra modifica. Potrà eventualmente tenersene conto quando si vorrà rivedere la forma degli articoli della Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Zotta ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Bosco Lucarelli, Dominedò, Petrilli, Jacini, Gabriele, Perrone Capano, Caccuri, Chieffi, Lettieri, Abozzi, Franceschini, De Maria, Camposarcuno, Caiati, Recca, Coccia, Perlingieri, Angelucci, De Martino, Viale, Orlando Camillo, Broggio, Guerrieri e Monterisi:

«Sostituire il secondo e il terzo comma con i seguenti:

«Alle Regioni sono assegnati tributi propri e quote di tributi erariali. Il gettito complessivo del tributo erariale è ripartito in modo che le Regioni meno fornite di mezzi possono provvedere alle loro funzioni e al loro sviluppo per il raggiungimento di un livello comune di benessere e di progresso in tutto il Paese.

«Allo stesso scopo, lo Stato può assegnare alle singole Regioni contributi speciali».

Ha facoltà di svolgerlo.

ZOTTA. Siamo così giunti al punto più delicato della vita delle Regioni: all’autonomia finanziaria, senza la quale vano è parlare di autonomia legislativa ed amministrativa. Per esercitare le funzioni loro assegnate, le Regioni hanno bisogno di mezzi finanziari, cioè di entrate.

Qui sorgono due problemi:

Quali entrate deve lo Stato assegnare alle Regioni? Vi sono Regioni che hanno bisogni, per cui le entrate normali non sono sufficienti?

Alla prima questione ha dato risposta esauriente nell’ultima seduta l’onorevole Ruini, con ricchezza e precisione di dati, mostrando infondate le preoccupazioni di coloro che temono non possa la Regione assolvere i suoi compiti senza turbare l’equilibrio del bilancio statale col sottrarre all’erario cospicue entrate o senza aggravare l’onere tributario dei cittadini.

Noi abbiamo visto come siano rimaste allo Stato le funzioni che mirano alla tutela giuridica dei consociati. Le altre funzioni, le quali possono definirsi di carattere sociale, in quanto mirano direttamente al miglioramento fisico, economico e spirituale della popolazione, sono esercitate dallo Stato o sono affidate alle Regioni, secondo che siano di carattere generale e interessino tutta la collettività o tocchino interessi esclusivamente o prevalentemente locali. Sicché, dal lato finanziario, per entità di spese, la sfera di attività propria delle Regioni, riguarda in prima linea le opere pubbliche e l’agricoltura, poi l’assistenza sanitaria ed ospedaliera, l’igiene e la sanità, ed infine, con lieve ripercussione sul bilancio regionale, le altre funzioni.

Di quale ammontare ha bisogno la Regione per vivere?

L’onorevole Ruini ha presentato un quadro, da cui risulta che nel bilancio dello Stato 1938-39 su una spesa di quaranta miliardi, un miliardo e mezzo sono assorbiti per lavori pubblici. È questa la spesa maggiore tra quelle in esame: tutti gli altri titoli di spesa sono destinati a gravare in misura relativamente tenue sul bilancio dello Stato.

Io mi sono fermato ad esaminare le spese dello Stato, negli anni finanziari 1931-32, 1932-33, 1933-34 ed ho constatato che l’ammontare percentuale delle spese per opere pubbliche si aggira sulla media di 7,5 per cento. Aggiungendo gli altri titoli, che ora passano alla Regione, si giunge ad un 10 per cento.

Bisogna, dunque, che lo Stato assegni alla Regione il 10 per cento delle sue entrate.

E qui, esattamente osservava l’onorevole Ruini, basta passare alle Regioni il gettito delle imposte immobiliari ed una quota delle imposte di ricchezza mobile. In materia di imposizione, le ricchezze che risentono vantaggio da determinati servizi, ne sostengono anche le spese. Delle varie ricchezze costituenti la materia imponibile, la proprietà immobiliare ha carattere di ricchezza prevalentemente locale, essendo dal punto di vista territoriale localizzata. Un sistema tributario razionale tende a riservare allo Stato le entrate derivanti da ricchezze di carattere nazionale e agli enti locali quelle provenienti da ricchezze di carattere locale.

Ora, assegnando alla Regione l’imposta fondiaria e fabbricati, nonché una quota della imposta di ricchezza mobile, si può raggiungere quel 10 per cento di entrate, occorrenti per sostenere le spese necessarie per le funzioni che lo Stato devolve alle Regioni.

Lo Stato perde di entrate di quanto si sgrava di spese.

Alla prima questione si risponde dunque esaurientemente: l’autonomia finanziaria delle Regioni non importa aggravio né per lo Stato né per i cittadini.

Ma vi è un’altra questione: vi sono Regioni, che hanno bisogni, per cui le entrate normali non sono sufficienti. Su questo punto vi è una lacuna nel Progetto, nella nuova formulazione della Commissione e nella Relazione dell’onorevole Ruini, il quale, in proposito, si è limitato a dire semplicemente che il nuovo testo prevede l’assegnazione di contributi speciali per determinati compiti.

È una triste realtà. In Italia vi sono Regioni che bastano a se stesse ed altre che, per povertà naturale, per ragioni storiche ed anche per incomprensione di governanti, sono oggi a tal punto da avere imprescindibile bisogno di integrazione e di aiuto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quanto si dia in sede di finanza, non potranno con ciò raggiungere il livello di benessere economico che è determinato da tante altre ragioni.

ZOTTA. Noi abbiamo affidato alla Regione una complessità di compiti di carattere amministrativo. Prendiamo ad esempio la viabilità, gli acquedotti, i lavori pubblici di interesse regionale, i servizi pubblici, l’assistenza, l’igiene e la sanità pubblica, parte della pubblica istruzione, l’agricoltura. Si sa che le maggiori deficienze in questo vasto campo si riscontrano nelle Regioni povere. In talune vi sono condizioni di vita addirittura primitive. Mentre si assiste con compiacimento al rinfittirsi della rete stradale in alcune zone d’Italia, intersecate in tutti i sensi da strade di ogni specie, noi vediamo per contro, con profondo rammarico, paesi che o per mancanza di vie carrozzabili o per deficienza di servizi pubblici, non sono affatto collegati col mondo civile o ne restano separati per tutta la stagione invernale (della mia Lucania, ad esempio: Brindisi di Montagna, Castelsaraceno, ecc.). Quivi le persone che avessero bisogno di un pronto intervento chirurgico sono dannate a morire come bestie. Mancano in molta parte dei Comuni lucani le fognature. I contadini vivono in casette rudimentali di un unico vano, che hanno del tugurio o della spelonca: ivi dormono promiscuamente uomini, donne, animali.

Cito la Lucania, perché è la Regione che conosco meglio. Non molto superiori sono le condizioni di vita delle altre terre dell’Italia meridionale, di alcune dell’Italia centrale e, qua e là, anche di qualcuna dell’Italia settentrionale, specie nelle zone alpine e carsiche. Ma il problema è fondamentalmente meridionale. Dal lato finanziario, esso si presenta così: vi sono Regioni, che in confronto delle altre, hanno un gettito di entrate più ridotto e nel contempo son quelle che hanno un maggior numero di bisogni. Sicché i bilanci regionali più grami debbono affrontare i compiti più gravosi.

Ora come si pone il problema dell’autonomia finanziaria di fronte a queste Regioni? Se noi attribuiamo loro le imposte immobiliari e una quota, uguale per tutte, di ricchezza mobile potranno esse vivere e prosperare?

Indubbiamente no.

Codeste Regioni hanno i bisogni delle altre agiate o ricche; e in più quelli che derivano dalla umana ed insopprimibile aspirazione di portarsi al livello di quelle o quanto meno di raggiungere condizioni possibili di vita civile. Esse debbono poter vivere; esse debbono poter prosperare. E invece con l’accennata ripartizione di tributi non hanno tutti i mezzi necessari per vivere; non ne hanno affatto per prosperare.

Questa è la storia dolorosa delle Regioni povere d’Italia, di cui occorre tener conto nella impostazione del capitolo sull’autonomia finanziaria, per stabilire, con aderenza alla realtà, i rapporti tra codesti enti che sorgono a vita autonoma e lo Stato.

Ecco la domanda: il regionalismo importa una politica di separatismo e di isolazionismo finanziario, ovvero si innesta sul tronco della solidarietà e dell’unità degli interessi nazionali? In altre parole, l’autonomia finanziaria è destinata a chiudere per sempre nei loro confini le miserie di alcune Regioni e le ricchezze di altre, perpetuando con codeste barriere l’inferiorità del Mezzogiorno di fronte al resto del Paese? Siamo cioè al punto di dire: ogni Regione ormai viva per conto proprio?

Io sono tra i fautori più ardenti del regionalismo, perché sono convinto che stimolando le energie e le iniziative locali, nel campo pubblico e privato, le nostre terre possono uscire dall’attuale fase di miseria, la quale è in parte dovuta anche al senso di avvilimento e di rinunzia, in cui il nostro popolo è caduto dinanzi alle tristi vicende della storia e all’ineluttabile avversità della natura. Ritengo pernicioso il sistema paternalistico, per cui si pretende di ottenere dallo Stato il rimedio contro tutti i mali. Ma intanto bisogna preparare il terreno per questa auspicata fioritura. E le condizioni attuali sono tristi e le risorse locali quanto mai impotenti ad eliminarle. Noi abbiamo problemi immensi: come quello della viabilità, del rimboschimento, della sistemazione dei bacini montani, del regolamento del corso dei fiumi, del latifondo, della bonifica dei terreni, della irrigazione, della malaria, della tubercolosi. Sono tutte operazioni, cui non sono in grado di attendere con possibilità di risultati concreti né i privati, né gli enti locali, ma solo lo Stato.

Il Progetto ha solo sfiorato il problema, che è di importanza costituzionale, e, nell’intento di superare la visione isolazionista, ha escogitato due rimedi.

Si preoccupa innanzi tutto che alle Regioni povere siano assicurati i mezzi per adempiere alle loro «funzioni essenziali».

Ha poi previsto la possibilità della creazione di una cassa nazionale di integrazione.

Il «fine» è quello di venire incontro alle Regioni povere per le spese necessarie alle loro «funzioni essenziali». Io domando: sono funzioni essenziali quelle che, a mo’ di esempio, ho citato dianzi: viabilità, acquedotti, lavori pubblici in genere? Mi sembra che quell’aggettivo sia posto lì in veste usuraria, con carattere restrittivo, a significare quelle funzioni primarie, senza di cui l’ente non vive: e che esuli tutto ciò che sa di conforto, di miglioramento, di progresso.

Ora l’onorevole Bertone propone un emendamento, per cui lo Stato integra i bilanci delle Regioni per le spese straordinarie, «se e in quanto necessario».

Vi è un miglioramento di fronte al Progetto. Dire «spese straordinarie» significa andare al di là delle «spese essenziali», le quali si svolgono nell’ambito delle spese ordinarie.

Ma la prima parte della proposizione mi sembra monca: «se e in quanto necessario». A che? L’idea della necessità sorge in rapporto ad un fine. E un concetto di relazione. Per non morire d’inedia noi diciamo che è necessaria una somma; per vivere agiatamente noi diciamo che è necessaria un’altra. La necessità muta secondo il tenore di vita che l’uomo si prefigge.

Si parla qui delle necessità ridotte di Regioni povere ed arretrate o di necessità di elevare codeste Regioni al livello di quelle ricche e progredite?

Questo occorre dire, perché sia completa, logicamente e sostanzialmente, la proposizione.

Tutti i partiti hanno assunto a loro principio programmatico la risoluzione del problema del Mezzogiorno: non solo ne hanno fatto oggetto di voti e di ordini del giorno nei rispettivi congressi, ma – quel che più conta – ne hanno fatto oggetto di discussioni nella campagna elettorale: sicché si è promesso al popolo che la rappresentanza legislativa in seno alla Costituente importava tra l’altro il dovere della impostazione del problema sul terreno costituzionale.

Vanamente ora si direbbe che la discussione vada rimessa alla legislazione ordinaria. Sarebbe questa l’ennesima delusione, la più solenne e la più amara, per il nostro povero popolo, il quale, anche questa volta, ci aveva creduto!

Il problema è costituzionale. Che altro è la Costituzione se non l’insieme dei principî che fissano i momenti fondamentali della vita di una collettività di persone? E non è fondamentale forse stabilire come una metà circa della popolazione debba vivere con l’altra metà, in quelle condizioni di unità sociale, civile, morale, senza delle quali non esiste l’unità politica? È costituzionale il problema, come i medici dicono sia costituzionale una malattia, anche se si manifesti in un punto solo dell’organismo umano. Qui l’organismo sociale italiano non è sano.

Qual è la ragione di questa Costituzione? Dare al Paese ordinamenti democratici; superare, nel contrasto tra il ricco e il povero, la distanza che li separa e che fa del primo il tiranno del secondo.

Noi avremo attuato solo in parte questi due fondamentali principî, se limiteremo la nostra visione ai rapporti tra il lavoratore e il datore di lavoro.

Il problema è più ampio. Esiste una Italia florida ed una Italia grama. Vi è dunque, nel campo geografico, una contrapposizione tra il ricco e il povero, con la tirannia del primo sul secondo, come nel campo sociale.

Abbiamo eliminato gli effetti di una tal contrapposizione sul terreno sociale, nei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore. Dobbiamo ora eliminarla sul terreno nazionale, nei rapporti tra Regioni ricche e Regioni povere.

Oggi l’Italia presenta questo quadro: privilegi e differenze sociali, economiche e politiche esistono sotto due aspetti, l’uno di classe, l’altro geografico. Noi abbiamo il dovere di sforzarci per eliminare entrambi. Se la Costituzione ciò non facesse, mancherebbe al suo scopo e noi tradiremmo il popolo, che ci ha eletti.

Il problema del Mezzogiorno sta nel far convergere gli sforzi particolari delle Regioni interessate e quelli collettivi dello Stato verso la eliminazione di quella barriera, che divide profondamente il Nord dal Sud, nel campo economico e sociale, e nel rendere possibile il raggiungimento di un livello comune di benessere e di prosperità in tutto il Paese.

A fissare questo principio e questa esigenza mira il mio emendamento.

Faccio appello ai colleghi, al di sopra di ogni distinzione di partiti, che in questo caso non avrebbe senso: ai deputati meridionali, perché in questo punto della Costituzione, che è quello proprio, si sforzino di portare intera la voce del popolo, che li ha eletti; ai deputati settentrionali, perché si associno in quest’opera di solidarietà umana e nazionale. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La Regione provvede alle proprie necessità finanziarie mediante sovrimposte o quote di tributi erariali e comunali, o contributi erariali ad essa riservati dallo Stato, o con tributi propri, nei limiti e con le modalità previsti dalla legge. Per l’accertamento e l’esazione dei tributi, la Regione si avvale degli organi dello Stato a ciò designati».

L’onorevole Codignola non è presente.

FOA. Faccio mio l’emendamento Codignola.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

FOA. Poche parole, onorevole Presidente, perché l’emendamento mi sembra tanto chiaro che non ha bisogno di un’esposizione dettagliata. La sua caratteristica principale consiste nel richiamo alla legislazione ordinaria per quanto riguarda la regolamentazione della finanza regionale. Questo, non solo per ragioni di principio, ma per ragioni pratiche, perché le riforme eventualmente necessarie non seguano una complicata procedura di revisione. La specificazione in sede costituzionale delle fonti finanziarie delle Regioni, risponde alla necessità, che è da noi acutamente avvertita, di evitare che, attraverso l’autonomia finanziaria, si possano compromettere, oggi o in avvenire, quelle che sono le caratteristiche fondamentali del sistema tributario nazionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Cartia ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, dopo le parole: e quote di tributi erariali, aggiungere: le quali saranno determinate secondo criterio di redistribuzione del reddito nazionale, allo scopo di attuare una perequazione interregionale».

«Sopprimere il resto del comma».

L’onorevole Cartia ha facoltà di svolgerlo.

CARTIA. Onorevoli colleghi, il problema dell’autonomia finanziaria non si può improvvisare con note sentimentali. Sono numeri ed i numeri non sono suscettibili di note sentimentali. Le previsioni in questo campo vanno fatte con un concreto esame di dati. Regionalisti o anti-regionalisti si ha il dovere, una volta istituito quest’ente, di collaborare perché quest’istituto sia vivo e vitale. Insieme dobbiamo vedere quale deve essere la forma da dare a questa autonomia finanziaria che si afferma nell’articolo del progetto, e quale il risultato pratico che si può raggiungere, di modo che l’autonomia in parola non resti una affermazione astratta. Il problema va posto in questi termini: autonomia finanziaria sì, ma in funzione di autosufficienza finanziaria delle Regioni. C’è questa autosufficienza delle Regioni? È qui il punto cruciale dell’indagine. Ieri l’altro, l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, ha fatto tutto un esame di dati e ci rimandò anche a pagina 191 della relazione della Commissione. Ho voluto controllare che cosa dice questa pagina. È una pagina che mette molta sete ma non dà nulla da bere, perché finisce col dirci che il 40 per cento delle entrate statali è suscettibile di essere ripartito regionalmente, per il 25 per cento si potrebbero far ricerche nei vari uffici dell’Amministrazione centrale, e del 35 per cento non è possibile sapere nulla. Ed allora, bisogna convenire che siamo su un terreno di dati incerti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

CARTIA. Se abbiamo solo un 40 per cento suscettibile di essere statisticamente distribuito fra le Regioni, e questa distribuzione può farsi solo per un certo numero di anni, evidentemente non mi pare che abbiamo dati certi per affermare che ci siano elementi per conclusioni precise.

Comunque, ammetto anche il ragionamento dell’illustre Presidente della Commissione, il quale però deve darmi atto che ieri l’altro ci presentò un’autosufficienza in questi termini: le entrate tratte dal bilancio dello Stato e ripartite secondo gli incassi per Regioni, e poi le spese ripartite anch’esse per Regioni sempre secondo il bilancio generale delle passate esperienze, tenendo conto dei compiti passati ora alle Regioni: con questi incassi regionali, si dice, sarà possibile provvedere alle spese regionali.

Questo, in sintesi, il discorso che fu illustrato con cifre ineccepibili. Se noi limitiamo però nel campo finanziario l’autonomia regionale al fatto che le Regioni quello che incasseranno lo dedicheranno ai loro compiti nei limiti di spesa ricavati dal bilancio centrale dello Stato, come ci sono prospettati da una tradizione di circa ottant’anni, allora non facciamo altro che presentare un bilancio decentrato; cioè a dire decentriamo il bilancio e il conto torna. Ma non torna per le finalità che la Regione si propone, che sono finalità dirette ad aumentare il livello di vita della Regione stessa, sono finalità dirette a potenziare economicamente la Regione, dirette, insomma, a sollevare le Regioni più derelitte.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non ho mai detto questo.

CARTIA. Ed allora il conto non torna, perché allora dobbiamo tornare all’esame dell’autosufficienza con le cifre alla mano.

Infatti io dico: oltre ai dati statistici generali è proprio l’esperimento che si è fatto in Sicilia che non autorizza ad avere questa rosea visione della autonomia finanziaria. Si è detto: la Sicilia si è sovraccaricata di un eccesso di compiti e può darsi che si trovi in difficoltà finanziarie.

Io guardo con grande trepidazione l’autonomia finanziaria siciliana, perché non condivido l’ottimismo sulle possibilità finanziarie autonome. Ed a questo riguardo vi è un esperimento recente; l’impostazione del bilancio della Regione siciliana, pubblicato sette giorni fa. Vediamo come il Governo della Regione ha impostato il bilancio: 12 miliardi di bilancio, attivo e passivo. È vero che sono innumerevoli i compiti che la Regione ha, ma sono altrettanto cospicui i cespiti che la Regione siciliana si è riservati. Essa ha tutte le entrate, di qualsiasi natura, compresi i dazi di protezione, ed allo Stato sono riservate soltanto le imposte di fabbricazione ed i monopoli, che in Sicilia si riducono al lotto e ai tabacchi. Lo Stato non ha altro. Le entrate siciliane dovrebbero essere più che sufficienti, quindi, se calzasse il ragionamento che ha fatto il Presidente della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma la Sicilia ha molte spese che la Regione normale non ha.

CARTIA. Ha però tutti gli incassi, perché ho già spiegato che lo Stato incassa soltanto tabacchi, imposte di fabbricazione e lotto, che si aggirano soltanto sui tre o quattro miliardi. Quindi non calza il ragionamento che si è fatto a questo riguardo per dimostrare la pretesa autosufficienza di tutte le Ragioni.

Che cosa avviene nel bilancio siciliano? Come si fa tornare il conto? Gli incassi delle entrate ordinarie arrivano a 7-8 miliardi; bisogna arrivare a dodici, ce ne vogliono altri quattro o cinque per completare e si completa in questa maniera: si incamera, si mette nel preventivo il gettito della proporzionale che stiamo ancora discutendo, in questi giorni in questa Assemblea. Ma non basta: si aggiunge la progressiva, ed allora si arriva ai dodici miliardi. Quindi le entrate straordinarie vengono assorbite per il normale bilancio di esercizio. Ma questo non è un bilancio autosuffìciente!

Come la Sicilia raggiunge la sua autonomia in funzione degli scopi che questa si propone? La raggiunge quando a quei miliardi della patrimoniale che fanno tornare il conto dei dodici miliardi del bilancio (e si noti che allo Stato restano nei confronti della Sicilia degli oneri non indifferenti come quelli relativi agli affari esteri, all’interno, alla giustizia, ai ministeri delle forze armate, all’istruzione media superiore ecc.) si aggiungono i miliardi del fondo di solidarietà nazionale.

Questo è congegnato in modo (per l’articolo 36 dello Statuto siciliano) che si può avere un contributo statale rapportato alla media nazionale della popolazione attiva per cui il Governo regionale può contare su sedici o diciassette miliardi all’anno approssimativamente.

Con altro contributo statale annuo di tre miliardi e duecento milioni la Sicilia affronterà il problema dell’elettricità e della bonifica di 700 ettari di terra, ma non con fondi suoi, bensì con mezzi che darà la finanza nazionale.

Tutto questo ha un grande significato, e tengo a dirlo all’Assemblea, perché, come siciliano, desidero dimostrare che la Sicilia deve considerarsi inscindibile dal resto del territorio nazionale. E quindi le tendenze separatiste o filo-separatiste non trovano fondamento nella realtà dei fatti finanziari. La Sicilia non può che “aspirare all’unità con l’Italia ed alla solidarietà nazionale. Questa esigenza sorge dalle stesse cifre, che hanno appunto un chiaro significato. Questo esempio ci dice che, solamente attraverso un fondo di solidarietà nazionale, si può pensare di risolvere il problema delle Regioni più disagiate.

Del resto, il risultato di questo ragionamento fu segnalato in sede di seconda Sottocommissione, presieduta dall’onorevole Terracini, relatore l’onorevole Ambrosini. La seconda Sottocommissione non mise per nulla in forse, in nessun momento delle sue discussioni, che ci fosse la necessità di andare incontro alle Regioni più disagiate attraverso un fondo di solidarietà nazionale. La mancata autosufficienza di alcune Regioni fu da tutti i Commissari ammessa.

L’onorevole Bertone ha richiamato l’ultimo bollettino del Ministero del tesoro: questo mostra come ben dieci su diciotto Regioni non siano autosufficienti, stando alla ripartizione per Regioni delle entrate e delle spese dello Stato.

Quindi, che ci siano Regioni non autosufficienti mi pare che dovrebbe essere ammesso e la Costituzione deve anche prevedere, sia pure in via di ipotesi – tanto per andare incontro alla tesi dell’onorevole Ruini – deve prevedere ed ammettere che ci possano essere Regioni non autosufficienti.

Allora, si pone il problema della autonomia finanziaria: come risolverlo?

Ecco il mio emendamento. Col mio emendamento, non ho fatto altro che trarre dalle discussioni della seconda Sottocommissione quello che era, in sostanza, il punto di incontro di tutti i partiti in seno alla seconda Sottocommissione stessa, per trarre una formula equitativa che tenesse conto delle esigenze delle Regioni non autosufficienti. Perché, una volta ammesso che la finanza regionale non potrà per molti anni sopperire alle esigenze del miglioramento economico della Regione e del suo sviluppo, balza evidente un principio che non dobbiamo esitare ad affermare – un principio che nel campo finanziario si rivela in maniera matematica – cioè il principio della solidarietà nazionale. La finanza regionale deve quindi attingere alla finanza nazionale. Ma come attingere alla finanza nazionale? È qui il punto.

Si sono profilate nella discussione, in sede di Sottocommissione, tre forme, che si riproducono nei vari emendamenti che sono stati ora proposti: una, che sia lo Stato a dispensare e a ripartire un fondo di solidarietà; un’altra, che sia un Comitato di coordinamento interregionale; una terza, che ci sia un criterio automatico di ripartizione delle entrate tra le varie Regioni.

Questi sono stati i tre criteri.

Il primo criterio fu senz’altro scartato.

Perché la seconda Sottocommissione respinse subito il criterio che fosse lo Stato il ripartitore? Io sarei per lo Stato, perché la funzione dello Stato è appunto quella di essere il coordinatore e il distributore nel quadro degli interessi collettivi, e perché lo Stato è il più autentico rappresentante della collettività; starei per questa soluzione senza esitazioni e senza preoccupazioni: lo Stato siamo tutti.

Ma ci sono ragioni politiche che spesso attenuano la evidenza di tali argomenti: e si riferiscono appunto a quello stato di diffidenza che si è determinato in molte Regioni d’Italia, specialmente in quelle che per un lungo passato sono state trascurate, le quali nutrono una viva diffidenza nei riguardi della funzione regolatrice dello Stato.

E c’è in proposito il problema annoso ed angoscioso di Nord e Sud, che io non voglio affrontare per esaminare i torti del Nord, in quanto, come siciliano, riconosco che molte delle cause di inferiorità delle Regioni meridionali sono dovute anche alla vecchia classe dirigente locale, che ha la responsabilità storica di aver tenuto il sacco ad altre classi dirigenti di altre Regioni in un reciproco giuoco di interessi tutt’altro che collettivi.

Ora, questo stato di diffidenza non si può superare se non arrivando ad una ripartizione, fuori dall’intervento dello Stato e assolutamente indipendente da esso. E in qual modo? Si propose nei lavori preparatori un Comitato coordinatore interregionale: ma si profilò il pericolo di dissidî aspri fra le Regioni, di particolarismi, di egoismi regionalistici e si addivenne allora al criterio di una ripartizione automatica per legge.

A questo criterio fu possibile quasi unanimemente accedere dopo una discussione veramente ampia e generale che si fece in sede di Sottocommissione, sotto la presidenza dell’onorevole Terracini. Questi, a un determinato momento della discussione, mise il punto sui risultati del dibattito con queste testuali parole: «Il fondo di solidarietà non può essere un istituto destinato a sopperire ai bisogni delle regioni in seguito ad eventi eccezionali, nel qual caso sarebbe svuotato e privo di ogni portata pratica, bensì un istituto da utilizzare per i bisogni normali: l’importante è che i mezzi di cui il Paese dispone vengano equamente ripartiti e che questo scopo si ottenga nella maniera più dignitosa».

Anche l’onorevole Vanoni fu dello stesso avviso, affermando precisamente che il criterio migliore sarebbe appunto quello di seguire un sistema automatico.

E l’onorevole Mortati propose, in conseguenza, la formula, che ho fatto mia coll’emendamento proposto, della legge tributaria ispirata a criteri di redistribuzione del reddito nazionale, allo scopo di ottenere una perequazione interregionale, in modo così da sanzionare un principio di giustizia distributiva e da evitare controlli centrali, che farebbero uscire dalla finestra l’autonomia entrata dalla porta. Finiremmo infatti, nel caso di intervento di controlli statali, con l’aumentare la bardatura del centralismo, venendo a far sorgere una Commissione centrale di finanza per le Regioni.

PRESIDENTE. Onorevole Cartia, sono già venti minuti che parla. La prego di concludere.

CARTIA. Ho finito. Si tratta dunque di venire a questa conclusione cui già la seconda Sottocommissione era pervenuta e che io ho riproposto col mio emendamento. Ciò ha un significato non soltanto di equità finanziaria, ma anche di possibilismo finanziario nei limiti delle risorse nazionali, perché l’emendamento dell’onorevole Zotta, reclamando un intervento della finanza nazionale nella misura dei bisogni delle Regioni non tien conto delle limitate disponibilità del bilancio generale come se lo Stato fosse un pozzo di San Patrizio; egli diceva assai bene delle esigenze delle Regioni più bisognose, ma io gli faccio osservare che il rimedio non può essere se non quello di adottare un criterio di giustizia distributiva, secondo un sistema di perequazione interregionale.

Questo ha anche un grande significato politico, giacché è proprio attraverso tale sistema che, anziché saltare il problema, accantonando la necessaria soluzione del quesito se debba o meno la distribuzione del fondo integrativo essere affidata allo Stato o ad un Comitato interregionale o a una legge di perequazione automatica, si fissa costituzionalmente un criterio automatico sul quale dovrà più tardi impostarsi la riforma tributaria per andare incontro alle Regioni più abbandonate. Ed è con tale criterio che, mentre sorgono le Regioni con tanto entusiasmo e con tanti contrasti, si afferma in pari tempo un principio che tutti ci lega, il principio, animatore dell’unità, che è quello della solidarietà nazionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgere il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire il secondo periodo col seguente:

«Se il gettito di essi (tributi regionali) non è sufficiente alle spese strettamente necessarie, si provvederà con l’integrazione dello Stato».

MICHELI. Ho ascoltato con molto interesse quanto ha ora detto l’onorevole Cartia, perché l’emendamento che io ho avuto l’onore di proporre, se indirettamente per la questione di forma, può entrare anche direttamente nella sostanza della questione che egli ha sollevato. L’articolo 113, in fondo, salva la questione di forma. E nella forma si può sempre trovare il modo di andare d’accordo. Esso stabilisce come le Regioni scarse di mezzi possano provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni essenziali.

In fondo questa è la base, in quanto il gettito dei tributi che sono assegnati alle Regioni è relativo alle loro funzioni essenziali. Ora, è chiaro che in una Regione, secondo le necessità di essa, si alzerà o si diminuirà la richiesta dei tributi. Come abbiamo le sovraimposte comunali e provinciali, le quali si alzano o si diminuiscono nelle province e nei comuni, nelle Regioni si opererà con analogia. Questo è il criterio.

Il dissenso può incominciare quando si venga ad esaminare quali possono essere le funzioni essenziali. Ed allora noi stessi ci possiamo trovare di fronte alle medesime preoccupazioni che ha avvertito l’onorevole Cartia nei riguardi della regione in Sicilia: essa ha assorbito molte delle funzioni dello Stato; essa le ha conglobate nel suo statuto, ed ora pare si trovi a disagio nella pratica attuazione, giacché la finanza non è ancora formata, ed essa deve vivere con espedienti contabili, assegnandosi, ad esempio, le imposte proporzionali e progressive sul patrimonio che non sono state ancora definitivamente votate dall’Assemblea, e che, comunque, pare debbano essere di competenza dello Stato.

Però, mi sembra indiscutibile che questa eccezione non si può fare all’organizzazione regionale come noi l’abbiamo approvata. Nella discussione vi è stata una grande tendenza a diminuire quelle che erano le funzioni essenziali, mentre un’altra parte dell’Assemblea era disposta ad aumentarle per dare alla Regione l’esplicazione completa di una grande nuova organizzazione. Non abbiamo voluto insistere troppo e ci siamo accontentati di un primo esperimento, anche più modesto di quello che fu il primo originario pensiero così magistralmente predisposto dall’onorevole Ambrosini. Poco per volta la tradizione regionale che dovrà sostituirsi ad altre tradizioni, si verrà formando, e la Regione si fortificherà.

Ma se altri concetti più larghi sono prevalsi nelle autonomie locali delle isole, e di questo noi siamo ben lieti, non possiamo accettare le osservazioni fatte a quelle. Noi qui accettiamo la discussione sulle funzioni più modeste della Regione così e come è stata finora approvata dalla Costituente.

Ecco, perché io ritengo che le spese necessarie per le funzioni essenziali della Regione siano meglio precisate nell’emendamento Bertone, il quale parla di spese straordinarie con intervento dello Stato. Le spese ordinarie essenziali sono quelle alle quali si fa fronte col tributo ordinario, che può ogni anno anche mutare se cambiano i bisogni. Le spese straordinarie, invece, sono senz’altro quelle che mancano di corrispettivo ordinario e per le quali lo Stato deve concorrere. Ecco che allora entra in giuoco il concetto del fondo della solidarietà nazionale, per il quale ha spezzato molto opportunamente una lancia il nostro collega Cartia.

Io in questo ho aggiunto poco di diverso: mi sono limitato a parlare invece di spese strettamente necessarie. Io non immaginavo quello che il collega avrebbe detto oggi quando una settimana fa ho stilato questo emendamento, che oggi riesce assai opportuno. Dalla discussione odierna ora, e domani nelle discussioni che si faranno nelle adunanze regionali, nelle quali si dovrà provvedere alla organizzazione finanziaria della Regione, risulteranno le spese strettamente necessarie al funzionamento e quelle straordinarie, secondo l’importanza e l’entità delle quali dovrà intervenire lo Stato.

Ecco come attraverso queste varie forme si possa giungere ad accettare anche il concetto espresso dall’onorevole Cartia, salvo le diversità determinate dalla differenza fra il modo con cui risulta congegnata l’autonomia della Regione siciliana e la nostra più modesta che speriamo, in questo primo esperimento, sia quale il popolo italiano aspetta ed attende da noi.

Questo è quanto volevo dire al collega Cartia, anche per dimostrare che dalla democrazia cristiana – alla quale egli ha accennato – non è vero che si siano abbandonati i concetti del fondo di solidarietà nazionale. Questo concetto espresso dall’onorevole Mortati è sempre nel sentimento di tutti noi ed anche l’onorevole Ambrosini nella sua magnifica esposizione non ha mancato di parlarne. Questo stesso concetto abbiamo raccolto nei nostri emendamenti, senza darvi forme solenni perché non sembrasse voler fare quasi affermazioni di parte in una discussione mantenuta al di sopra di ogni considerazione politica.

Ma entriamo nel più vivo dell’argomento. Io appartengo a quel numeroso reparto di regionalisti i quali credono, intendono e vogliono che la Regione sia strumento di rimedio del passato e di riparo pel futuro a quella che l’onorevole Francesco Saverio Nitti ha con frase caratteristica chiamato «elefantiasi burocratica», la quale effettivamente è uno dei maggiori travagli del nostro dopoguerra.

Per questo io vorrei che nell’articolo che si discute e che indica, sia pure a grandi linee, le possibilità della finanza regionale, vi fosse anche qualche parola che segnasse questo concetto. Io desidererei, parlando di spese, affermare appunto la stretta necessità di esse, in modo che questo potesse anche essere constatato attraverso il vaglio della integrazione statale. Criterio che si aggiunge anche per maggiore tranquillità di non pochi contraddittori i quali in buona fede potrebbero ritenere che chissà mai quale novello caos, nella gestione amministrativa dello Stato, possa venire a sostituirsi a quello attuale che ha indiscutibile bisogno di essere fermato nella paurosa china per la quale si è incamminato. Così per le Regioni meno fornite di mezzi vi sarà anche questa remora.

Ecco un altro concetto che si riattacca a quanto ha detto il nostro collega. L’integrazione dello Stato avrà modo di intervenire e sorvegliare la finanza delle Regioni. Se lo Stato deve aggiungere quattrini, deve avere anche la facoltà e il diritto di vedere come essi si spendono. Ma vi sarà un altro più efficace controllo. Quello che nasce dalla stessa forma della nuova organizzazione, più vicina a tutti, più aperta all’esame ed alla constatazione del popolo e delle sue organizzazioni.

E, fatte queste dichiarazioni, osservo, in via di cortese replica, quanto disse l’onorevole Bernini in una delle ultime sedute. Si discuteva della istruzione artigiana. L’onorevole Bernini, a cui riconosco la competenza superiore nella materia scolastica…

Una voce al centro. Ed artigiana.

MICHELI. …parlò a questo proposito. L’onorevole Bernini (egli era stato provveditore agli studi) osservava che vi erano sotto di Lui varie scuole che costavano allo Stato parecchi quattrini, le quali avevano solo due o tre alunni; e che da ogni parte si chiedeva il concorso e l’iniziativa dello Stato per aprirne delle nuove, per modo che la Regione dovrà andare incontro e consentire spese sempre maggiori. Qui sta l’errore di previsione. Nessuna amministrazione regionale consentirà mai, come fa lo Stato, che si aprano scuole con così scarso numero di alunni. Non avremo bisogno di inviare sopra luogo ispettori per riferimenti accomodanti, giacché, conoscendo le necessità dei luoghi, sapremo noi rispondere subito a coloro che ci chiedono indebitamente. Dirò di più: nella Regione che controlla localmente non si avrà il coraggio di venire a fare certe domande che non corrispondono a necessità reali e dimostrate.

Perché si chiedono ora scuole da tutte le parti dello Stato, anche quando non ce ne è bisogno? Per una ragione semplice: perché si sa che lo Stato paga; e dallo Stato si pretende tutto. C’è questa stranissima psicologia post-bellica attraverso la quale lo Stato, che pure non ha quattrini, deve trovarli per accontentare tutti. Sembrerà difficile a molti, ma il pubblico dovrà pur cercare di modificare quella strana mentalità per la quale allo Stato si può chiedere, domandare e pretendere ogni cosa. La Regione sarà una cosa più nostra, e quanto più sarà modesta e piccola – insisto vivamente su questo – il controllo sarà maggiore, più facile e più efficace. Essa diventerà una cosa più intima e, quasi direi, l’amministrazione di una grande famiglia. Cominceremo a persuaderci che paghiamo, noi, con i nostri denari, quelli che ci caviamo di tasca nostra, ed incominceremo la nostra vita più modesta, più sorvegliata, cercando d’impedire tutte le spese non necessarie e non indispensabili. In essa il sacrificio del tributo, anche il più elevato, sarà sopportato con maggiore persuasione per la effettiva conoscenza di esso e del suo impiego. Saranno consigli provinciali ampliati i nostri parlamenti regionali. Ci conosceremo tutti, ci controlleremo gli uni con gli altri, ci apprezzeremo di più e cominceremo a formare quelle minori unità spirituali, che si affinano nel quotidiano contrasto e che porteranno nel Parlamento di domani la voce locale più preparata e meglio predisposta. Da tutte le parti d’Italia verrà un afflato di vita nuova e di nuova solidarietà. Ho detto quasi familiare e lo ripeto; e ciascuno nella nuova famiglia incomincerà a limitarsi alle spese strettamente necessarie ed a fare economia. È proprio quanto affermo nel mio emendamento.

Se ne parla ora per lo Stato perché non si sa più come fare ad andare innanzi; e lo facciamo costretti, coartati a limitarci. Ci riusciremo? Io non lo so, perché scarse sono le possibilità di resistenza dello Stato che ha perduto prestigio ed autorità e che non può più dire di no ad alcuno. Nella Regione lo diremo alto e forte tutte le volte che sarà necessario, avviando una nuova consuetudine che domani gioverà anche allo Stato, che ne uscirà rinforzato dal nuovo costume che riusciremo ad iniziare.

Fra le spese strettamente necessarie, alle quali allude il mio emendamento, sono e saranno precipue quelle degli impiegati. Occorre sapere quali competenze saranno riservate alla regione, quali saranno invece in via di esperimento da eseguire attraverso le provincie ed i comuni e come efficacemente potrà organizzarsi tutta questa nuova amministrazione. È una responsabilità che i fautori della regione a ragion veduta si assumono, dopo aver meditato e studiato, con fede sicura nella sua riuscita. E questa fede profonda abbiamo perché dobbiamo riuscire a sminuire questo formidabile castello statale, che ci toglie il respiro, eliminando in esso tutte le spese non necessarie e sono tante. Tutti lo sanno, tutti lo dicono, ma nessuno si azzarda di iniziare il taglio, faticoso e difficile, ma non impossibile.

Organizzando i reparti impiegatizi, quotidianamente sotto i controlli locali, noi incominceremo a prendere di fronte il colossale problema della burocrazia centralizzata, con qualche speranza di riuscita. Chi si adatterà a lasciare gli uffici di Roma potrà trovare nuovi impieghi presso di noi. Li attendiamo a braccia aperte e la nostra ospitalità provincialmente larga e modesta farà dimenticare le attrattive della capitale.

Oggi per lo Stato è questione di vita o di morte il risolver questa questione. Così non si va più avanti. In pochi anni gli impiegati si sono raddoppiati. Con la svalutazione della moneta lo Stato, per forza di cose, deve aumentare l’aggravio che da essi ne deriva. Di più, tutti vogliono diventare impiegati e tutti vogliono laurearsi; noi abbiamo questa elefantiasi di impiegati e di laureati. Quando stamane sentivo la discussione per i professori, dicevo: peccato che ogni giorno questi professori ci mandino una quantità di persone che noi ogni giorno più non sappiamo dove mettere ed impiegare. Ci vuole la regione che dia ancora sviluppo all’iniziativa privata e sviluppi altri traffici e prepari per essi gli operai specializzati che ora mancano. Bisogna avere il coraggio di proclamarlo ed allora tutta questa gente, invece di studiare tutto quello che tanti sapienti professori espongono, sia pure in modo mirabile, dovranno prendere altre strade. Tutti i giorni, voi lo sapete, è un assalto per avere un impiego. I petenti sono infiniti. Io ricevo dieci-dodici richieste al giorno attraverso tutte le vie più strane, perché questa è la principale preoccupazione. Come facciamo, amici miei, ad andare avanti in questo modo? che cosa succederà? Succederà che presto noi vedremo dividersi tutti i cittadini in due qualità: coloro che pagano allo Stato e coloro che dallo Stato traggono lo stipendio in corrispettivo dell’opera propria. Tutte le altre categorie verranno a scomparire ed allora avremo un’altra lotta di classe, di ben altro genere, che noi deprechiamo e che speriamo di poter eliminare attraverso questa forma nuova di organizzazione dello Stato. Ma noi dobbiamo convincerci dell’opera necessaria facendo sì che la nuova organizzazione statale sia l’affermazione vigorosa di questo proposito.

Ho finito, onorevoli colleghi: la regione dobbiamo farla; è un grande esperimento che la Repubblica fa attraverso la nuova organizzazione del nuovo regime; dobbiamo concorrere tutti a formarla convenientemente, anche voi che eravate contrari. Permettete che affermi la mia certezza che anche col vostro concorso, la regione sorgerà istituto degno e fecondo della genialità latina, che dopo tanti secoli il nostro popolo ancora conserva nel suo spirito creatore. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Sullo ha presentato il seguente emendamento firmato anche dagli onorevoli Monterisi, Codacci Pisanelli, Quintieri Adolfo, Rapelli, Cappugi, Cassiani, Caso, Aldisio, De Maria, Franceschini, Delli Castelli Filomena, Cotellessa, Pat, Titomanlio Vittoria, Adonnino, Arcaini:

«Sostituire il terzo comma col seguente: «Allo stesso scopo, e principalmente per la valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole, saranno istituiti fondi speciali, le cui modalità di gestione e di ripartizione saranno determinate dalla legge».

L’onorevole Sullo ha facoltà di svolgerlo.

SULLO. A nome anche di altri colleghi, avevo proposto, prima che fosse presentato il nuovo testo del Comitato di coordinamento, questo emendamento, che voleva correggere qualche manchevolezza del precedente testo.

L’emendamento aveva lo scopo di affermare la necessità e non la possibilità di fondi speciali che venissero incontro alle esigenze straordinarie della regione e di affermare anche che i fini speciali a cui il progetto di Costituzione alludeva sono o, meglio, possono essere, specificatamente e principalmente, quelli della valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole. Comprendo certamente che il Mezzogiorno non si può aiutare includendo una proposizione in un articolo della Costituzione; comprendo anche che il problema del Mezzogiorno è un problema che si può risolvere quanto meno se ne parli; ma tuttavia, poiché la seconda Sottocommissione nella sua seduta del 9 dicembre 1946 aveva approvato, ed all’unanimità, un ordine del giorno in cui si affermava la necessità di provvedere alla formulazione di un piano (sono le parole testuali) per la trasformazione delle attuali condizioni economico-sociali delle regioni meridionali ed insulari da attuare dallo Stato con provvedimenti continuativi adeguati all’urgenza della trasformazione stessa, mi premeva allora che questo ordine del giorno non rimanesse lettera morta, ma che in realtà vi fosse un impegno specifico da parte dei costituenti di oggi e della Camera successiva perché qualche cosa di concreto si facesse.

A chi esamina infatti l’articolo 113 come era congegnato prima, balza immediatamente all’attenzione il fatto che qui si parla quasi di una possibilità della istituzione di un fondo per fini speciali come un’eccezione possibile nel futuro, quasi come se la norma per il futuro fosse che la regione potesse bastare a sé stessa con la divisione automatica dei tributi. Sono andato a rileggere il verbale della seconda Sottocommissione ed ho cercato di studiare a fondo principalmente quello che l’onorevole Vanoni diceva a proposito della possibilità di attuare automaticamente una ripartizione dei fondi ai fini di una perequazione regionale, ma mi sono convinto che questo automatismo di fatto non ci potrà essere. Basterebbe osservare che l’onorevole Vanoni parlava della possibilità di ripartire, a seconda della popolazione delle varie Regioni, determinate imposte. Orbene, anche se si dovessero ripartire automaticamente determinate imposte a seconda della popolazione, vi sarebbe di fatto una sperequazione dal punto di vista della valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole. Basterebbe pensare, per esempio, che la superficie del Piemonte, della Liguria, della Lombardia, della Venezia Tridentina, del Veneto e dell’Emilia, complessivamente presa, è di 119.000 chilometri quadrati ed ha una popolazione di 19 milioni di abitanti, mentre la Campania, la Basilicata, la Puglia, la Sicilia e la Sardegna, che hanno quasi la medesima superficie o poco meno, hanno 13 milioni e mezzo di abitanti. In realtà, dobbiamo convenire con quello che l’onorevole Cartia ha detto prima, che cioè, se si vuole dare alla Regione possibilità di vita e di vita autonoma, bisogna anche sin da questo momento mettersi bene in mente che si debba venire da parte dello Stato, in una forma o nell’altra, e in una forma di perequazione regionale, in soccorso delle Regioni più povere; non dico, più socialmente arretrate ma almeno più economicamente arretrate. L’ammettere che lo Stato possa dare dei contributi o che i fondi possano venire soltanto in casi eccezionali, significa dimenticare la realtà. Ed è precisamente questo lo scopo preciso per cui ho presentato, insieme con i colleghi, questo emendamento, anche se è mutata la forma tecnica con cui lo Stato verrebbe incontro ai bisogni delle Regioni più povere.

Nell’articolo 113 si diceva che alle spese essenziali bastava la distribuzione del gettito complessivo dei tributi erariali con una determinata ripartizione. Poi, allo stesso scopo, possono essere istituiti dei fondi. Anche qui si dice: per provvedere ad altri scopi determinati lo Stato può assegnare a singole Regioni contributi speciali. Mi pare che quindi rimanga fondamentale da parte dei presentatori dell’ordine del giorno, l’esigenza, il desiderio che viene formulato dal Comitato di coordinamento, che si cambi la dizione: al posto di un «potere», si dica che ci sarà questa assegnazione; si usi un termine preciso e positivo, il quale dia assicurazione che questo avverrà normalmente.

Devo dissentire da quello che ha detto l’onorevole Micheli, in quanto, se è vero, come è vero in fatto, che le Regioni meridionali hanno avuto bisogno di larghi aiuti statali per il passato; se è vero, come è vero, che la finanza dello Stato ha dovuto venire in soccorso di queste Regioni, parlare di spese necessarie, per giunta quando il contributo va dato dallo Stato, significa dare nelle mani della burocrazia statale, che, attraverso il Governo, presenterà i disegni di legge, la possibilità di limitare automaticamente la vita di queste Regioni.

Cosa può significare spesa essenziale, spesa necessaria per la Regione? Se cominciamo a dare la possibilità di restringere l’attività della Regioni, non daremo ad esse i mezzi per una vita veramente autonoma né daremo alle Regioni dell’Italia Meridionale la possibilità di ottenere un buon impiego dei fondi dello Stato per la loro resurrezione.

Nell’Italia Meridionale si sono spesi molti milioni. Sono d’accordo con l’onorevole Corbino che questi milioni sono stati ingenti, nell’ultimo periodo, rispetto ai milioni dati precedentemente. Ma sono stati spesi per le grandi strade statali, da servire per le grandi manovre, cioè per opere che potevano essere utili soltanto per essere viste dallo straniero, ma che non portavano nessun risultato effettivamente pratico e che non creavano le condizioni fondamentali per l’industrializzazione del Mezzogiorno.

Anche adesso, quando si è parlato di lavori pubblici, a parte l’osservazione che la maggior parte delle somme spese per lavori pubblici nell’Italia Meridionale sono state spese per danni di guerra, dobbiamo citare il caso dei Ministri, che si sono poco curati dei Provveditorati ed hanno fatto le assegnazioni da Roma, ascoltando uomini ed organizzazioni, cioè ascoltando voci di elettori sparuti o di masse, ma non in vista delle necessità geoeconomiche del Mezzogiorno.

Da parte dello Stato deve esserci un contributo, in una forma o nell’altra, che sia veramente continuo e non soltanto soggetto a possibilità, come nell’articolo della Costituzione che dobbiamo approvare.

Personalmente, io non comprendo perché il Comitato di coordinamento sia tornato sulla decisione della seconda Sottocommissione; a me pare più democratico lasciare il fondo come è stato concepito da parte della seconda Sottocommissione, non come contributo.

Il Presidente di questa Assemblea, onorevole Terracini, in sede di seconda Sottocommissione, ha osservato che è più dignitosa una ripartizione attraverso un fondo del contributo che viene dato, allorché si bussa alle porte dello Stato.

Non starò a citare i molti argomenti, che sono a favore del fondo. Non voglio qui dare una dimostrazione di avere approfondito, in certo senso, questo problema, anche dal punto di vista tecnico.

Prego dunque il Presidente del Comitato di coordinamento di tenere presente che noi vorremmo questa inclusione specifica: che il contributo, che lo Stato può dare, deve essere anche, e principalmente, per la valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole. E gli amici dell’Italia e del Mezzogiorno la finiscano di dire che noi ci debilitiamo, se mettiamo questo nella Costituzione.

Oggi il Mezzogiorno, storicamente parlando, rappresenta una parte d’Italia, economicamente poco evoluta. Quando, tra cento anni, il Mezzogiorno non sarà più in questo anacronismo, noi diremo che nel 1947 il Mezzogiorno era giù e che nel 2047 non è più giù. A quella medesima maniera, vi sono tanti anacronismi nella Costituzione inglese che permangono, e permangono dei titoli di merito di quelli che sono venuti dopo. Noi meridionali adesso non dobbiamo avere quindi un senso di sfiducia e di timore, che questo possa essere per noi un segno d’inferiorità. È un segno d’inferiorità se rimarrà questo e sarà disdoro di quanti siederanno, dopo di noi, in questo Parlamento, e dei Governi che verranno dopo, se tutto questo resterà lettera morta. Lasciamo a quelli che vengono dopo e che siederanno nel Parlamento, il compito di far sì che tutto questo non resti lettera morta, e dimostriamo che comunque ci proponiamo obiettivi ben determinati e che questa formulazione può essere accolta nell’articolo 113 della Costituzione. (Applausi al centro).

Presentazione di relazioni.

PRESIDENTE. Hanno chiesto di parlare gli onorevoli Gronchi e Nitti. Ne hanno facoltà.

GRONCHI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione di maggioranza sul disegno di legge: «Approvazione del Trattato di pace tra le Potenze alleate ed associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947».

NITTI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione di minoranza sullo stesso disegno di legge.

PRESIDENTE. Do atto agli onorevoli Gronchi e Nitti della presentazione di queste relazioni. Saranno stampate e distribuite.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del progetto di Costituzione. L’onorevole Pignatari, insieme agli onorevoli Marinaro, Porzio, Rescigno, Caporali, Salerno, De Mercurio, Lopardi, Paolucci, Morelli Renato, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Allo stesso scopo lo Stato integrerà i bilanci delle Regioni per le spese straordinarie, dirette a favorire lo sviluppo di quelle più sfornite di mezzi e ad eliminare lo stato d’inferiorità nel quale si trovano le Regioni del mezzogiorno».

L’onorevole Pignatari ha facoltà di svolgerlo.

PIGNATARI. Onorevoli colleghi! L’emendamento presentato da me e da altri nove colleghi è sostanzialmente simile a quello presentato e testé discusso dall’onorevole Sullo, onde potrei limitarmi a richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla grave ed angosciosa situazione in cui si trova il Mezzogiorno della cui sorte tutti i partiti, durante la campagna elettorale, si sono mostrati pensosi, ma che è stato del tutto dimenticato nella formulazione del nostro nuovo Statuto. Il problema meridionale ha tale importanza ed ha tale rilevanza che il proposito di volerlo risolvere deve essere un impegno della nuova Carta costituzionale.

L’onorevole Bertone ci ha fornito dati molto interessanti, ma, a parte i rilievi che sono stati già fatti, essi avrebbero avuto bisogno di una maggiore specificazione, perché i miliardi che sono stati spesi dopo il 1919 indubbiamente non hanno il valore di quelli che sono stati spesi prima della grande guerra. Se pur è vero che nel Mezzogiorno d’Italia si è speso più che nel nord, nessuno potrà negare che ci troviamo in una situazione di paurosa inferiorità di fronte alle regioni più progredite d’Italia. Si è affermato che per le nostre strade si è speso più di quanto non sia stato speso per le strade dell’Italia settentrionale, ma è un fatto certo ed incontrovertibile che le vie di comunicazione tra comune e comune e tra provincia e provincia sono in pessime condizioni e ci sono paesi non ancora allacciati da strade rotabili. Viaggiare poi nelle nostre ferrovie è quanto di più penoso ed umiliante si possa immaginare. Carlo Levi ha scritto che Cristo si è fermato ad Eboli: avrebbe dovuto farlo fermare alla stazione precedente, cioè a Battipaglia. Oltre Battipaglia si arresta ogni forma di progresso e si viaggia ancora come si viaggiava subito dopo l’armistizio.

Ma non vi è bisogno di riandare al passato: le condizioni d’inferiorità nelle quali si trovano la Lucania, il Napoletano, la Calabria, le Puglie, gli Abruzzi, la Sardegna e la Sicilia sono una dolorosa realtà e non è possibile che il nuovo Statuto ad ordinamento regionale non tenga presente la necessità di un adeguamento fra le condizioni delle regioni più povere e quelle delle regioni più favorite. Vi è bisogno dì questo adeguamento e se l’Assemblea Costituente non prende oggi il solenne impegno di venire incontro ai bisogni delle povere regioni meridionali, sarà impossibile nel futuro risolvere quei problemi cui è condizionato il progresso e la stessa vita delle su popolazioni.

Se l’onorevole Rubilli avesse presentato il suo ordine del giorno alla fine della discussione sull’ordinamento regionale, dopo che nel suo corso tante difficoltà sono venute in luce, credo che ben diversa ne sarebbe stata la sorte.

I miei amici e colleghi onorevoli Zotta e Sullo, che con tanto entusiasmo avevano sostenuto l’ordinamento regionale durante la discussione generale, hanno dimostrato oggi la loro perplessità e nella loro perplessità si riverbera il timore delle popolazioni meridionali, perché nel nostro Mezzogiorno si guarda con un senso di diffidenza e di sconforto al nuovo ordinamento regionale, acuito dal fatto che nel progetto della nuova Carta costituzionale non vi è una sola parola che impegni il legislatore ad affrontare il problema meridionale.

Le regioni meridionali non hanno i mezzi per superare lo stato di marasma e di abbandono in cui si trovano. La nuova Carta costituzionale deve impegnare le future Assemblee legislative alla valorizzazione del Mezzogiorno, fornendo i mezzi che devono servire per gli impegni e le spese straordinarie come si propone nel mio emendamento ed in quello dell’onorevole Sullo.

L’onorevole Micheli vorrebbe limitare l’integrazione dello Stato alle spese strettamente necessarie, ma questa limitazione non può essere accolta, perché stroncherebbe l’avvenire dell’Italia meridionale che è strettamente legato alla sua industrializzazione. Il Mezzogiorno soffre di tutti i mali del sistema capitalistico senza averne i vantaggi ed una delle cause delle condizioni arretrate in cui si trova è costituita dalla esagerata pressione fiscale, imposta dopo l’unificazione. Queste condizioni oggi si aggravano. Il Mezzogiorno non può, con i suoi mezzi, affrontare e risolvere i suoi problemi. Una esigenza di giustizia sociale impone che lo Stato venga incontro al Mezzogiorno. Non dimentichiamo che l’egoismo è molte volte la molla delle azioni umane e degli aggregati sociali. Le regioni ricche non verranno spontaneamente incontro alle necessità dì vita e di sviluppo delle regioni povere del Mezzogiorno.

La seconda Sottocommissione aveva, col suo ordine del giorno, preso impegno per la risoluzione della questione meridionale; con l’emendamento Sullo e con il mio noi intendiamo che la Costituente impegni il futuro legislatore a voler considerare il problema meridionale come un problema nazionale, perché solo favorendo lo sviluppo ed eliminando lo stato d’inferiorità delle sue regioni, si potranno allontanare i pericoli cui va incontro il nostro Paese con l’adozione dell’ordinamento regionale.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Codignola:

«Fare del quinto comma un articolo a sé del seguente tenore:

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che mirino comunque alla creazione di privilegi in favore di una o più Regioni a danno di altre o della generalità dei cittadini. L’unità dell’economia nazionale ed internazionale e la libera circolazione delle persone, del lavoro e dei beni non troveranno ostacolo nell’ordinamento autonomistico dello Stato».

In assenza dell’onorevole Codignola, l’onorevole Foa dichiara di farlo proprio. Ha facoltà di svolgerlo.

FOA. Posso dire soltanto, onorevole Presidente, che questa materia è già così istruita che bastano poche parole per illustrare questo emendamento. Noi riteniamo che sia opportuno di sottolineare con particolare rilievo e solennità il principio dell’unità economica nazionale e dell’avviamento verso la cooperazione e l’unità economica internazionale.

Per questa ragione l’emendamento propone che il quinto comma del testo formi un articolo a sé, e porta anche qualche elemento di variazione, in questo senso: che noi crediamo convenga di specificare maggiormente i limiti delle iniziative regionali in materia finanziaria. Non è sufficiente stabilire il divieto dei dazi di importazione, di esportazione e di transito ed il principio generale che vieta la limitazione della libertà di movimento delle persone e delle cose. L’inventività umana, in materia di interessi economici, è così grande, che indubbiamente possono ricorrere casi per cui, senza cadere nell’ipotesi dei dazi di importazione, esportazione e transito o di provvedimenti che formalmente pongano ostacoli al movimento delle persone e delle cose, occorra adottare provvedimenti che creino delle zone di interessi preferenziali.

Ora, noi crediamo che la Costituzione debba sancire il principio di salvaguardare l’unità economica statale e far decadere provvedimenti che possano rompere questo principio.

PRESIDENTE. Segue un emendamento degli onorevoli Nobile, Porzio, Di Gloria, Persico, Bernini, Veroni, Morelli Renato, Gasparotto, Lami Starnuti, Corsi, Finocchiaro Aprile, Giannini, Massini, così formulato:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«La Regione non può in alcun modo limitare il diritto dei cittadini ad esercitare, in qualunque parte del territorio nazionale paia ad essi conveniente, la loro arte, professione o mestiere».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. L’emendamento che abbiamo presentato stabilisce il principio che ogni cittadino della Repubblica ha il diritto di esercitare la propria professione, il proprio mestiere o la propria arte dovunque gli aggrada, in qualsiasi Regione. Un emendamento analogo fu già da me presentato quando si discusse l’articolo 31, e portava la firma di autorevoli colleghi, di vari settori dell’Assemblea, dall’onorevole Corbino all’onorevole Di Vittorio, ma esso allora fu per pochi voti respinto, nonostante che, in mia assenza, l’emendamento fosse stato fatto proprio dall’onorevole Einaudi.

L’emendamento viene ora riproposto in questa sede, appoggiato anche questa volta da autorevoli deputati di sinistra e di destra.

L’emendamento si ricollega all’ultimo comma del testo proposto dal Comitato, il quale suona così: «Non possono istituirsi dazi d’importazione, di esportazione o di transito tra l’una e l’altra regione, né prendere provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

È evidente, secondo me, che, se si è sentito il bisogno di prendere cautele contro la possibilità che una Regione stabilisca dazi di importazione e di esportazione o impedisca, perfino, la libera circolazione delle persone, a maggior ragione bisogna preoccuparsi del pericolo che una Regione possa in qualche modo limitare il diritto dei cittadini della Repubblica di esercitare la propria attività di lavoro dovunque ad essi piaccia.

Che questo pericolo non sia molto improbabile è dimostrato da quanto già oggi avviene. Già oggi, come ebbi occasione altra volta di accennare all’Assemblea, avviene che in qualche regione d’Italia – e mi riferisco in particolare al Trentino e all’Alto Adige – i professionisti del Mezzogiorno siano, in un modo e nell’altro, costretti ad allontanarsi, pur avendo essi per molti anni onorevolmente esercitato in quella regione la propria professione.

Con precedenti di questo genere, non vi sarebbe da meravigliarsi che altre Regioni possano essere tentate di seguire il deplorevole esempio. La tentazione sarebbe tanto più facile, a mio avviso, in quanto inevitabilmente con l’ordinamento regionale si riacutiranno gli egoismi delle varie regioni. Se non si stabilisce un principio chiaro e preciso che lo impedisca, non sarei sorpreso se un giorno dovessi apprendere che nel Veneto, ad esempio, si è votata una legge che vieta ad un calabrese di esercitare in quella regione la sua professione di medico; e che per ritorsione in Calabria si vieta ad un ingegnere veneto di esercitare la propria professione.

Contro questo pericolo grave bisogna premunirsi. Se non vogliamo che l’ordinamento regionale sia un incentivo alla disunione degli italiani, nel momento in cui essi dovrebbero più che mai essere uniti, dobbiamo stabilire nella Costituzione un principio che impedisca un’aberrazione di tal genere. Se la Commissione dei Settantacinque ha sentito il bisogno di sancire che nessuna Regione può istituire dazi di importazione e di esportazione e vincolare in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose, io – e con me i colleghi che han firmato l’emendamento – sentiamo il bisogno che sia esplicitamente affermato che altrettanto libero deve essere l’esercizio del proprio mestiere, della propria professione, della propria arte.

PRESIDENTE. L’onorevole Romano aveva presentato la seguente proposta di articolo aggiuntivo:

Art. 113-bis.

«Per portare su un piano di uguaglianza le Regioni del Mezzogiorno, della Sicilia e della Sardegna, lo Stato provvederà con i tributi erariali, nei modi e nel tempo che la legge stabilirà, alla costruzione in dette Regioni di opere pubbliche ed alla creazione di servizi di interesse pubblico, pur se compresi tra le materie di competenza della Regione, ed in concorso con l’attività regionale, fino ad eliminare lo stato di inferiorità nel quale oggi si trovano le Regioni meridionali».

Successivamente ha dichiarato di trasformarlo in emendamento aggiuntivo al terzo comma dell’articolo 113.

L’onorevole Romano ha facoltà di illustrare il suo emendamento.

ROMANO. L’articolo aggiuntivo da me proposto, e che sono stato costretto a ridurre in emendamento all’articolo 113, mira a impostare nella Carta costituzionale la questione del Mezzogiorno, che non è solo questione meridionale, ma è anche questione italiana.

Io avrei desiderato che questo argomenta avesse trovato il suo posto in un articolo a sé stante; e infatti depositai molto tempo addietro questo articolo aggiuntivo. Ma successivamente ho notato che la stessa oggettività di questo articolo aggiuntivo è stata compresa sotto i due emendamenti proposti dagli onorevoli Sullo e Pignatari; anzi l’emendamento dell’onorevole Pignatari termina proprio con le stesse parole con le quali termina il mio articolo aggiuntivo, anteriormente depositato.

Dico questo per giustificare il perché sono stato costretto a trasformare questo articolo aggiuntivo in emendamento ed anche per rivendicare la priorità dell’iniziativa.

Indubbiamente il Titolo quinto della Carta costituzionale presenta una lacuna, se non sarà approvato dall’Assemblea l’emendamento relativo all’obbligo dello Stato di riparare con il ricavato di tributi erariali le ingiustizie subite dal Mezzogiorno.

Il Titolo quinto del nuovo Statuto porterà ad una trasformazione dell’ordinamento dello Stato ed è giusto che in questa trasformazione si tenga conto della annosa e vessata questione meridionale; è giusto che una norma sia dedicata a questo argomento, altrimenti non potrebbe sperarsi di tranquillizzare il Mezzogiorno, la Sicilia e la Sardegna.

E penso che di questo mio emendamento non si possa fare a meno ripetendo ancora oggi le stesse argomentazioni che si sono ripetute negli 80 anni della nostra unità nazionale, considerando il Mezzogiorno come un peso morto. Si sono ripetute in quest’Aula, da parte di alcuni colleghi, cifre riguardanti gli incassi ed i pagamenti del Tesoro nelle diverse Regioni d’Italia che risalgono all’epoca che va dal 1° luglio 1945 al 31 marzo 1946. Si è detto che per la Sicilia gli incassi sono stati di 4 miliardi e 479 milioni, che i pagamenti sono stati invece di 10 miliardi e 493 milioni e che il supero dei pagamenti sugli incassi è stato di 6 miliardi circa.

Altri disavanzi sono stati messi in rilievo per altre Regioni, affermandosi che soltanto per la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, l’Emilia e la Liguria vi è stato un supero dei pagamenti sugli incassi. Ora, debbo innanzi tutto osservare che queste cifre si riferiscono ad un periodo eccezionale; ma se per l’ipotesi il supero dei pagamenti sugli incassi fosse stato un fatto costante anteriormente al 1943 e questo ancora perdurasse, ciò ammettendo, si riconoscerebbe la necessità della integrazione statale per i bilanci delle Regioni del Sud.

Non posso poi essere d’accordo con i colleghi onorevoli Gullo e Bertone, per i quali nel Mezzogiorno sarebbe stato speso male il danaro ricevuto. Prima di affermare ciò bisogna guardare l’economia del Mezzogiorno con un criterio realistico, prenderla in esame nel suo complesso, tenendo conto del suo sviluppo storico.

Per rendersi conto della economia del Mezzogiorno, bisogna tenere presenti tutti gli spostamenti di capitali che il Mezzogiorno ha subito negli 80 anni della nostra unità. Non dobbiamo mai dimenticare, quando si fanno discorsi di tal natura, che dal 1910 le forniture militari succhiano buona parte del bilancio del Paese; noi siamo passati attraverso una serie quasi ininterrotta di guerre: la guerra libica, la prima guerra mondiale, l’intervento nella Spagna, la spedizione in Albania, la guerra di Etiopia, la seconda guerra mondiale. Che cosa significano tutte queste guerre? Tutte queste guerre significano forniture militari; e tutte queste forniture militari venivano contrattate e stipulate nel Nord d’Italia, e venivano poi pagate anche dai contribuenti del Mezzogiorno.

Non deve quindi far meraviglia se il gettito della ricchezza mobile si appalesa maggiore nel Nord, perché la sperequazione è dovuta appunto a tali spostamenti di capitali ed ai conseguenti maggiori guadagni degli industriali del Nord. Ma gli spostamenti di capitale non sono dipesi soltanto da questo; altre cause vi hanno contribuito, come la permanenza di un esercito di più milioni di uomini per oltre quattro anni tra le Alpi e l’Appennino settentrionale.

Lo spostamento è dipeso anche dalla cosiddetta economia controllata solo in parte, perché questa economia parzialmente controllata è stata deleteria per il Mezzogiorno. L’agricoltore del Mezzogiorno ha dovuto portare agli ammassi il grano e l’olio ad un prezzo inferiore al costo, ed acquistare poi sul mercato libero i manufatti a prezzi arbitrariamente fissati dagli industriali del Nord.

Il Sud ha subìto tutto ciò silenziosamente, ma ha dato in tutti i tempi il suo valido contributo al bilancio nazionale, facendo affluire moneta pregiata con i prodotti agricoli esportati all’estero e con l’emigrazione. Prima del fascismo gli emigrati del Sud facevano affluire annualmente in Italia 600 milioni oro, ed anche quest’anno la sola Sicilia ha esportato dai trenta ai quaranta miliardi di agrumi andati in Francia, in Inghilterra, che ci hanno pagato in valuta pregiata, in Cecoslovacchia che ci ha dato il carbone, in Norvegia che ci ha mandato il baccalà.

Questo affluire di moneta pregiata è servito per l’acquisto all’estero della materia prima necessaria per le industrie del Nord.

L’onorevole Bertone ha detto che si è speso parecchio per il Mezzogiorno, ma che egli purtroppo non sa spiegarsi come poche opere si siano compiute. Egli ha portato al nostro esame dei dati statistici al riguardo: ebbene, ho anch’io dei dati statistici da portarvi e su di essi vorrò intrattenervi facendo brevi considerazioni. Stando ai dati statistici più attendibili, risulta che nell’Italia settentrionale, su ogni 100 mila abitanti, esistono 333 scuole elementari, mentre nell’Italia meridionale non ne esistono che 224. Ora, se le scuole non sono state istituite, non si può dire che il danaro sia stato speso male.

Ebbene, a questa situazione il Meridione ha reagito, tanto vero che, mentre nel Settentrione ogni scuola è popolata in media da 25 alunni, nel Mezzogiorno la popolazione scolastica si aggira in media sui trenta alunni per ogni scuola.

Una voce a sinistra. Teoricamente.

ROMANO. La media è questa; poi mi potrà contraddire. E la gravità dell’analfabetismo dipende appunto da questo; infatti nel Centro-Nord gli analfabeti non raggiungono il 20 per cento; in alcune regioni del Sud, purtroppo, abbiamo ancora il 40 per cento di analfabeti.

Altro dato statistico: dal 1928 al 1938 sono stati sussidiati 552 acquedotti, per un percorso di duemila chilometri; ebbene di questi 552 acquedotti, 505, per una lunghezza di 1900 chilometri sono stati fatti nel Centro-Nord e solo 52, per un percorso di un centinaio di chilometri in tutto il Mezzogiorno d’Italia; in Sicilia quasi nulla.

Deve poi considerarsi ancora che mentre nel Centro-Nord, su ogni cento comuni solo 18 non hanno telefono, nel Mezzogiorno d’Italia il cinquanta per cento dei Comuni sono senza telefono. Questo non significa denaro speso male; non si è fatto, quindi non è vero che il Mezzogiorno non ha saputo spendere il denaro ricevuto dallo Stato. Prima di fare queste gratuite affermazioni, bisogna consultare le statistiche e venire qua con dei dati rispondenti a verità.

Veniamo alle ferrovie: in Italia abbiamo 16.500 chilometri di ferrovie, ossia 375 chilometri per ogni milione di abitanti; ebbene, la distribuzione è la seguente: nel Centro-Nord 11.600 chilometri, nel Sud 4900. Se la dislocazione fosse stata fatta in base ai 29 milioni di abitanti del Centro-Nord ed ai 15 milioni del Mezzogiorno avremmo dovuto avere 10.875 chilometri di ferrovie al Centro-Nord e 5620 al Sud. Dunque in proporzione il Mezzogiorno ha 725 chilometri di strade ferrate in meno, vale a dire un percorso come da Roma a Messina.

Voci. È vero!

PRESIDENTE. Onorevole Romano, la prego di stare all’emendamento.

ROMANO. Ho cominciato appena: sono cinque minuti.

PRESIDENTE, Sono dieci minuti. Volevo dirle solo questo: volere svolgere la questione meridionale nell’ambito di un emendamento, significa soffocarla e sminuirla. Resti, la prego, alla questione del suo emendamento.

ROMANO. Ma esso tratta appunto della questione meridionale. Onorevole Presidente, la Carta costituzionale – diceva Gaetano Filangieri – è un contratto che un popolo stipula con se stesso. Ora se questo contratto si deve stipulare, è giusto che le parti contraenti si trovino su un piede di eguaglianza.

PRESIDENTE. Anche in un contratto, vi sono i singoli capitoli che si riferiscono alle diverse questioni. Le ricordo che lei deve svolgere un emendamento all’articolo 113 della Costituzione.

ROMANO. Onorevole Presidente, il mio emendamento…

PRESIDENTE. L’ho letto molto attentamente. Ma lei non può trattare la questione meridionale in sede di un emendamento.

ROMANO. È la questione meridionale che è inserita in questo emendamento. Abbiamo perduto questi pochi minuti… mentre avrei potuto continuare a parlare.

PRESIDENTE. Riprenda, onorevole Romano, e tenga presente che sono più di dieci minuti che lei sta parlando.

ROMANO. L’Italia del Sud ha appena un terzo delle ferrovie elettrificate del Nord ed appena un sesto delle ferrovie a doppio binario esistenti nel Nord. La Sicilia non ha nessun tronco ferroviario elettrificato.

Mentre nel Nord le ferrovie sono quasi tutte a scartamento ordinario, quelle del Sud a scartamento ridotto sono tre o quattro volte quelle del Nord.

Uguale disparità di trattamento è da notarsi per i sussidi erogati per opere di irrigazione dal 1922 al 1938.

Anche nell’applicazione della legge Serpieri solo poco di quello che è stato speso è stato destinato al Mezzogiorno, e la legge Serpieri mirava al rimboschimento del Mezzogiorno.

Tutte queste ingiustizie sono state causate dalla dittatura fiscale, che ha subito il Mezzogiorno. Così la Campania, la Calabria, la Sicilia, che prima rappresentavano la ricchezza maggiore della penisola, si sono ridotte le più povere d’Italia. E questo non è avvenuto nel corso di secoli, perché ancora al principio dell’unità d’Italia la sola parte d’Italia che rivaleggiasse col Lombardo-Veneto era il Regno delle due Sicilie.

Ora, andando in vigore la Carta costituzionale senza una norma che prenda in esame la questione meridionale, indubbiamente noi ci troveremo sempre in uno stato di inferiorità, che ci umilia e ci offende, giacché le Regioni dovrebbero incominciare a far affidamento esclusivamente sulle proprie risorse; in tal maniera, date le condizioni di povertà, le regioni del Mezzogiorno sarebbero costrette a camminare indietro di un secolo alle regioni del Nord. E questo non è giusto.

Così giammai si raggiungerebbe quella parità economica, che costituisce la migliore forza unitaria.

Il comma secondo dell’articolo 113 prevede la ripartizione del gettito complessivo dei tributi erariali in modo che le Regioni meno provviste di mezzi possano provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni essenziali.

Questa disposizione non può sodisfare la legittima aspettativa del Mezzogiorno, che d’altra parte non chiede un trattamento di favore, ma solo delle riparazioni alle ingiustizie subite.

Non accettando l’emendamento proposto ed attuandosi l’autonomia regionale, cesserebbe sì la dittatura fiscale, le regioni del Mezzogiorno potrebbero cominciare a fare affidamento sulle proprie risorse senza la preoccupazione di disparità di trattamento, ma la questione meridionale rimarrebbe insoluta.

Ho sentito anche l’emendamento dell’onorevole Micheli, il quale ha parlato di «spese strettamente necessarie».

Quasi si sente l’egoismo, la Regione che si chiude in se stessa e guarda alle altre Regioni con diffidenza, come se le più abbienti dicessero alle Regioni meno abbienti: «Vi soccorreremo solo se dimostrerete di non poter vivere».

Ora questo non è umano! Se noi siamo in uno stato d’inferiorità per tutte le ingiustizie che abbiamo subite, abbiamo bisogno di fissare in questa Carta costituzionale una norma alla quale si dovranno attenere i legislatori futuri, alla quale si dovranno uniformare quelli che qui ci seguiranno.

E così, anche l’emendamento proposto dall’onorevole Zotta è troppo generico. Egli ha voluto manifestare la preoccupazione che nella Carta costituzionale si parli del Mezzogiorno.

A suo avviso bisognerebbe non parlarne per non umiliare il Mezzogiorno. Invece è giusto che se ne parli. Se è una questione che ancora esiste e che ancora tormenta il nostro Paese, perché non dobbiamo farne parola? Riconoscendo lo stato d’inferiorità, dobbiamo affermare in questa legge suprema che intendiamo riparare tutti gli errori del passato. La questione del Mezzogiorno non deve più servire come ritornello di tutti i programmi governativi, non deve più servire come propaganda elettorale dei vari partiti.

Onorevoli colleghi! La vera Costituzione si avrà solo quando noi dimostreremo di sapere consegnare ai nostri figli non più due Italie come esistono oggi, non più due Italie che si guardano quasi con certa diffidenza, ma un’Italia sola, unita su un piano di eguaglianza, un’Italia che marci costantemente sulle vie del progresso civile nel suo eterno divenire. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni, unitamente agli onorevoli Malagugini, De Michelis, Ghislandi, Merlin Lina, Pieri, Mariani, Costa e Stampacchia, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 113 col seguente:

«Alle regioni sono assegnati per legge tributi propri e quote di tributi statali determinati in modo da garantire l’adempimento delle loro funzioni essenziali.

«Se ed in quanto necessario, lo Stato potrà attribuire a singole Regioni la facoltà di applicare tributi speciali ed inoltre potrà provvedere all’integrazione del loro bilancio.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione, d’esportazione o di transito fra l’una e l’altra Regione, né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

Ha chiesto di parlare l’onorevole Targetti. Ne ha facoltà.

TARGETTI. A nome dei firmatari dell’emendamento, dichiaro di mantenerlo, rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Vi è infine un emendamento dell’onorevole Mortati, il quale propone di sostituire, al terzo comma del testo della Commissione, le parole «lo Stato può assegnare» con le altre «le leggi della Repubblica possono assegnare».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accettato.

NITTI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Le proposte che avevo fatto, credevo che non fossero materia di discussione perché rispondono ad evidente necessità. Avevo detto nell’emendamento che «con legge della Repubblica sarà stabilito il regime tributario delle Regioni, delle Province e dei Comuni».

Questa è cosa su cui dovrebbe esser facile mettersi d’accordo. Bisognerà pure assegnare alle Regioni, alle Province, ed ai Comuni le imposte di cui hanno bisogno e perché l’una non sia contro l’altra, avevo trovato questa formula semplice a cui pareva accedesse anche il relatore. Su questa questione è venuta una serie di discussioni che erano estranee alla mia proposta; e anzitutto l’onorevole Bertone ha creduto, insieme con altri, di fare una serie di dissertazioni sul nord ed il sud e sul contributo di ciascuna regione. Tutto ciò è estraneo all’argomento della regione e quanto è stato detto si basa su equivoci e anche su errori che intendo di respingere fin da ora. È un argomento che studio da cinquanta anni e sul quale ho scritto opera fondamentale e mi è capitato di ascoltare con sorpresa improvvisazioni senza fondamento del contributo attuale di ogni provincia alle entrate e alle spese dello Stato. Non rilevo le inesattezze dell’onorevole Bertone, ma la sua stessa tesi fondamentale non ha base.

L’onorevole Bertone invece di parlare del regime di finanza locale da adottare da ora in poi sulla base dei nuovi ordinamenti che si vogliono attuare, si è abbandonato a una serie di confronti fra spese e entrate di ogni provincia traendone motivo di conclusione errata. Tutto questo è un po’ aereo e non entra nella discussione. In questa materia vi è un equivoco e un volontario equivoco.

Con l’evidente intenzione di dimostrare che non solo il sud non è stato sacrificato nei suoi interessi, ma gode di un regime privilegiato, ha presentato per varie province una lista delle entrate e delle spese dello Stato. Risulterebbe dunque, che le spese superano notevolmente le entrate proprio in alcune province del Mezzogiorno. E da ciò vorrebbe andare alla conseguenza che è l’Italia meridionale che si è avvantaggiata del regime.

In una grossa opera sulla storia del bilancio dello Stato dal 1862 al 1896-97, cioè di un quarto di secolo, io feci questo calcolo solo per dimostrare che in conseguenza del regime unitario l’Italia meridionale e le isole perdettero gran parte delle loro risorse, che vi fu drenaggio di capitali dal sud al nord e che il regime doganale obbligò l’Italia meridionale dopo la caduta delle sue industrie principali a funzionare come colonia di consumo della Italia del nord. Queste cose non sono mai state smentite e né meno rettificate. Dimostrai allora che anche le spese dello Stato erano state in grandissima parte a vantaggio dell’Italia del Nord: dove tutte le grandi istituzioni dello Stato erano tutte concentrate.

Ardente unitario e convinto che l’Italia non può svilupparsi, né progredire se non soffocando ogni forma di particolarismo, vedo con terrore che purtroppo il particolarismo risorge con l’equivoco delle regioni, che è la negazione dell’opera di Cavour e del 1860, come è anche sotto altra forma la negazione del 1870.

Cavour, che fu uomo politico di genio, contribuì a diffondere pregiudizi che più nocquero al Mezzogiorno. Credeva che l’Italia meridionale fosse naturalmente molto fertile e che solo la incuria dei governi e la inattività degli uomini l’avessero ostacolata nei suoi progressi. Esagerava le idee dei patrioti italiani esuli a Torino, che per ragione di lotta volevano far cadere sul regime borbonico la responsabilità di tutte le sventure del loro paese.

Cavour non conosceva l’Italia, non l’aveva mai vista; non conosceva che due città italiane: Torino e Genova. Non aveva visto, io credo, altro. E quando nel 1861, compiuta l’unità, la base della unità italiana, egli accompagnò il re a Firenze, vide per la prima volta una città italiana fuori del regno sardo; non vide mai nella sua vita Roma, non vide Napoli: non vide mai veramente l’Italia. Egli fu l’uomo del genio: l’intuizione prima ancora dell’osservazione. Come Balzac descrive tutte le società che non aveva viste, così Cavour creò l’Italia che non vide mai. Questo uomo singolare capì tanti problemi dell’Italia; non poteva comprendere le cose che noi discutiamo ora: la diversa struttura delle varie parti d’Italia e da che cosa dipendesse la diversità delle situazioni economiche. L’Italia che egli non conobbe, era la maggior parte, essendo vissuto da prima in Isvizzera poi in Inghilterra; e non parlava nemmeno l’italiano sufficientemente e con precisione. (Nei primi tempi, quando tornò, i suoi discorsi furono sempre pronunciati in lingua francese, tanta poca pratica aveva dell’italiano). Ma si sbagliò sull’Italia meridionale, perché credette sulla testimonianza dei patrioti meridionali. Egli credette a tutte le accuse al regime borbonico, e siccome i combattenti per la libertà accusavano il Governo borbonico di aver depresso sempre l’Italia meridionale, egli ripetette le stesse cose. Parlò del disordine della finanza del regno delle due Sicilie e ripetette anche sulla Tesoreria e sul sistema di amministrazione delle due Sicilie tutti gli errori allora in voga. Deciso a mutare la tesoreria borbonica, mandò a Napoli, per rendersi conto del disordine napoletano e meridionale, un consigliere della Corte dei Conti che passava come una grande competenza, il cavaliere Sacchi, perché vedesse che cosa era il regime finanziario meridionale che gli avevano descritto. Quando il Sacchi arrivò, studiò il problema, fece una relazione che era il contrario di ciò che Cavour attendeva. Disse che la Tesoreria era semplice e ben ordinata; non solo non bisognava abolire il sistema tributario, ma bisogna imitarlo. Questa constatazione dette a Cavour la prima sensazione che vi era qualche cosa di diverso da ciò che gli avevano detto e da ciò che egli pensava.

Dopo il 1862 venne l’unificazione tributaria. Quali effetti ebbe? Io ho scritto lungamente di ciò e ho dimostrato che insieme alla caduta della economia industriale del Mezzogiorno, venne un lungo e continuo drenaggio di capitali dal sud al nord. L’Italia meridionale per gli ordinamenti adottati fu sottoposta per necessità, in gran parte, a un regime che la privò delle migliori sue risorse. L’Italia meridionale aveva fabbriche importanti: era stato il primo paese d’Italia che aveva introdotto le ferrovie; era stato il primo paese che aveva sviluppato l’industria del ferro. Ebbene, con l’ordinamento doganale, col fatto che l’Italia del nord era così vicina al confine e poteva valersi di capitali e di dirigenti francesi e svizzeri (e dopo anche tedeschi), si determinò una situazione per cui gran parte delle industrie meridionali caddero l’una dopo l’altra. Quindi, il sacrificio che fece l’Italia meridionale non fu soltanto finanziario: fu che tutto l’ordinamento dello Stato si orientò a danno del Mezzogiorno. E fu effetto di mala volontà.

Io ho ripetuto tante volte anche in «Nord e Sud», che sono ardente unitario, che non mi dolgo dei sacrifizi e del danno del mio paese e che sacrificherei tutto per un’Italia libera unita e solidale nell’azione economica. Ora, dunque, il male dell’Italia meridionale fu in questo speciale ordinamento: una dopo l’altra caddero tutte le forze dell’economia meridionale.

Ho avuto sempre, appunto perché ardente unitario, sentimenti e parole cordiali per l’Italia del nord. Sono convinto che negli anni terribili che seguiranno dobbiamo ora sopra tutto essere uniti e perciò detesto la politica delle regioni e il regionalismo che sono pericolo di rovina. Anche economicamente, l’Italia deve contare, sopra tutto, su se stessa. Essa deve essere il suo più grande e solido mercato. L’Italia del sud ha il suo migliore mercato nel nord; ed è sopra tutto l’Italia del nord che ama il mercato del sud.

L’industria del nord non potette formarsi in principio, alla origine, che col sacrifizio dell’Italia meridionale. È evidente che l’Italia settentrionale doveva produrre a costi elevati nelle sue industrie alla origine del loro primo sviluppo. L’industria cotoniera, sorta con capitali svizzeri e tedeschi, si sviluppò con il sacrificio dell’Italia meridionale. Essa dovette comperare sul mercato del nord. Il protezionismo industriale del nord fu a spese del sud che rese per parecchio tempo economica una produzione antieconomica.

L’industria del cotone italiana, che è stata ed è la più importante, non poteva sorgere senza il sacrificio dell’Italia meridionale. Noi siamo stati la grande colonia. L’Italia meridionale e le isole con i loro abitanti, più numerosi che due grandi dominions britannici, sono state per l’Italia del nord industriale una colonia sicura.

Il doppio di abitanti del Canadà, o il Canadà e l’Australia uniti assieme, non hanno avuto libertà di mercato: han dovuto comperare secondo le esigenze e, vorrei dire, le imposizioni del regime doganale. Non facciamo dunque piccoli calcoli e ridicoli. Non indaghiamo, in questo periodo di disordine, quanto lo Stato incassa e quanto spende in ciascuna provincia. Ho fatto calcoli in passato, ma per dimostrare soltanto quello che si diceva cinquant’anni fa. Si diceva cioè che l’Italia del nord desse le sue risorse per la vita economica ed industriale dell’Italia del sud. Io ho dimostrato che non era vero e che anche le entrate dello Stato andavano in gran parte a beneficio dell’Italia del nord. Anche per la distribuzione di tutti gli istituti pubblici, non solo politici, ma di tutti gli istituti economici e di cultura. Fu, come ho detto, risultato di condizioni storiche, effetto di necessità e non effetto di maggiori attitudini e né meno di malvolenza. L’Italia meridionale non deve dolersi di aver sacrificato le sue industrie che caddero l’una dopo l’altra a beneficio del nord, anche se questo fu causa di depressione. L’Italia meridionale compì un grande sacrificio ignorato e di cui essa stessa non si rese conto sufficientemente, perché fu risultato di adattamento che parve di necessità. La inferiorità economica del Mezzogiorno parve, a chi nulla conosceva dei termini del problema, inferiorità di situazione e per l’agricoltura difficoltà della natura.

Mi duole che non sia presente l’onorevole Bertone che dice che le cifre non hanno importanza. Permettete che io vi dica che mi dolgo quando in un momento come questo sento che si comincia a parlare di conti malinconici fra le varie province e della parte di ciascuna nel dare e nell’avere. Ma quando in una famiglia in completo disordine si cominciano a far conti, in generale anche erronei, vuol dire che si rompono i rapporti di solidarietà e che l’unità è minacciata.

Purtroppo l’Italia traversa anche e sopra tutto dal punto di vista economico situazione minacciosa. Dobbiamo ora tener conto nei limiti del possibile dei bisogni di ciascuno e anche delle difficoltà di appagarli. Dobbiamo tener conto della situazione reale. Vi prego dunque di considerare se in tutti in provvedimenti che dovremo prendere quando il Mezzogiorno non può bastare a sé stesso, l’azione di Stato (nei limiti di una situazione finanziaria minacciosa) si renda conto di questo e delle sofferenze e dei bisogni delle varie parti d’Italia. Questa è la fede e il desiderio dei nostri amici ed anche la mia; ma tutto questo deve avvenire in uno spirito di unità, senza diffidenze. Occorre spirito di unione: solo così l’Italia si salverà. I nostri partiti sono in gran parte scomparsi dinanzi ai pericoli che ci sovrastano. Sono effetto di fazioni ed è la fazione che soffoca la nazione e deve scomparire.

Io ho chiesto la parola per fatto personale, perché l’onorevole Bertone ha portato la discussione in campo estraneo, dove non doveva essere.

L’emendamento da me presentato aveva un fine preciso: indicare soltanto come devono essere regolati i rapporti finanziari degli enti, che sono al disotto dello Stato: cioè regioni, province e comuni; e come devono essere ordinate le loro finanze, perché l’uno non intervenga nel campo dell’altro, perché non ci sia continua lotta e sopra tutto continuo equivoco.

Io desidero anche che non solo le spese e le entrate siano regolate, ma che si cerchi all’inizio delle regioni di evitare grandi e inutili spese.

Io ho presentato un altro emendamento, con cui propongo che tutta la burocrazia, di cui la regione avrà bisogno, sia prelevata dallo Stato e dagli enti locali.

Noi abbiamo un milione e settecento mila impiegati, che rappresentano numero enorme rispetto ai bisogni reali del paese. Molti fanno poco o niente perché non vi è lavoro per essi.

Senza nuove spese per la collettività, la Regione può avere tutti gli impiegati che le occorrono.

Dunque io vi prego di votare il mio emendamento, il quale dice soltanto che la legge deve stabilire la finanza della Regione, della Provincia e dei Comuni, senza precisare nulla, perché questa non può essere materia di invenzione o di rapida improvvisazione: è cosa che si deve fare per legge, ponderatamente.

Quindi vi prego anche di non intervenire in tutto quello che riguarda i rapporti tra Provincia e Provincia, tra zona e zona.

Io vi prego, chiudendo le mie parole, di fare in guisa che onestamente si tenga conto della situazione grave dell’Italia meridionale e che vi sia in noi spirito di comprensione e che i bisogni e le necessità della Italia meridionale e delle isole siano tenuti in speciale considerazione. Data la nostra gravissima situazione finanziaria, poco si potrà fare per qualche tempo; ma ciò che si può deve’esser fatto.

In questo sentimento almeno potremo essere d’accordo e io confido nel vostro buon volere e nel vostro sentimento. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Constato di essere, in sostanza, perfettamente d’accordo con l’onorevole Nitti. Egli propone nel suo emendamento di rinviare alle leggi della Repubblica la determinazione del regime tributario delle regioni, delle provincie e dei comuni.

È chiaro che la Costituzione non può che prescrivere alcuni criteri direttivi. Occorre poi la grande legge finanziaria, che l’onorevole Nitti invoca, e si deve porre mano ad essa, senza ritardo, appena approvata questa parte della Costituzione. Non faccio una indiscrezione riferendo che l’onorevole Pella pensa già ad istituire una Commissione di studio per la riforma sistematica dei tributi di Stato e di quelli locali, che sono temi inscindibili fra loro.

Onorevole Nitti, nel mio intervento dell’altro giorno, col quale ho cercato dimostrare che i problemi delle finanza regionale non sono insolubili (e spero che ella concordi, perché non ha fatto osservazioni in contrario) avevo anch’io affermata la necessità della grande legge tributaria per il nostro paese. Non possiamo qui farne l’anticipazione; ma ho già pensato alle sue grandi linee, ed al posto che vi potrà trovare la finanza della Regione. Ad essa ed agli altri enti locali potranno assegnarsi le imposte dirette nelle tre forme della ricchezza mobile, della importa fabbricati e della imposta fondiaria. Su questa base delle tre cedolari, lo Stato eleverà quella imposta progressiva sul reddito che è una necessità dello Stato moderno, democratico-sociale. Se vi fosse già in Italia, avremmo potuto superare molte difficoltà di questo dopoguerra, evitando di ricorrere ad altri tributi improvvisati. Nei tributi diretti gli enti locali troveranno una adeguata piattaforma finanziaria. Non escludo ad ogni modo che si possa ricorrere anche alle imposte sui consumi (che sono più spesso di produzione) sulle quali si basano ora, come su principale pilone, le finanze comunali; e non escludo neppure che a tali imposte possa partecipare anche la Regione. Dico tutto ciò a titolo personale, come vecchio studioso della materia; per dimostrare ancora una volta che non esiste l’insolubilità paurosa, denunziata dall’onorevole Nitti, su questo problema,

Tornando al suo emendamento, l’onorevole Nitti vuol sostituire «leggi della Repubblica» a «leggi costituzionali». Il Comitato, come dichiarai nel mio intervento, aveva già accolto un emendamento Preti a cui si è aggiunto più tardi un altro dell’onorevole Dugoni. Ne ho dette le ragioni: non è ammissibile che tutte le volte che si sostituisca ad un’imposta A un’imposta B, si debba mettere in moto la procedura della legge costituzionale.

Debbo dichiarare che si è ottenuto il consenso di tutti i componenti del Comitato, ma i più accesi regionalisti hanno posto due condizioni: 1°) che si affermi l’autonomia della Regione (ed anche di queste ho già parlato); 2°) che si stabilisca nella Costituzione qualche criterio sulla finanza della Regione (come si è fatto appunto nel testo del Comitato ed anche di ciò ho parlato minutamente). Ora l’onorevole Nitti, volendo tutto rinviare, sopprime l’indicazione di questi criteri; sui quali, del resto, non ha espresso alcuna critica; e quindi dovrei ritenere che li ha accettati. Avrei desiderato da lei, onorevole Nitti, quel «determinato» che ella chiede ad altri; invece ella si è limitata a divagazioni generiche; ed ora, col rifiutare ogni inizio di «determinazione» e col proporre un assoluto rinvio, rimette tutto in questione. Una volta che la Costituente ha deliberato di istituire l’ente Regione, non si può lasciare addirittura in bianco il suo assetto tributario. Anche il nostro è un rinvio alle leggi dello Stato, ma dopo aver fissato i principî cui si dovranno attenere. Non possiamo andare al di là.

Come prima approssimazione – altro non è possibile ora – stabiliremo nella Costituzione che le Regioni avranno autonomia finanziaria, in quanto le leggi dovranno assegnare ad esse fonti tributarie tali da bastare alle loro funzioni normali; che sempre negli intenti dell’autonomia saranno date quote più alte di partecipazione ai tributi dello Stato per le Regioni ove ciò è necessario per provvedere appunto alle loro funzioni normali; che per determinati scopi eccedenti le funzioni normali, si accorderanno dallo Stato contributi speciali. Le leggi della Repubblica determinano questi punti. Non credo che si potrebbe trovare un sistema più adeguato. Comunque, avrei desiderato che l’onorevole Nitti facesse altre proposte, o almeno, critiche puntuali.

Risponderò ora a singoli emendamenti che sono stati presentati.

L’onorevole De Vita vorrebbe parlare di redditi patrimoniali. Evidentemente, i redditi patrimoniali sono compresi nel nostro articolo; che parla in un altro comma di un patrimonio e di un demanio della Regione. Non mi pare che la determinazione sia necessaria. L’emendamento De Vita ha poi il principale intento di stabilire che dev’essere la Regione a deliberare i tributi, nei limiti fissati dallo Stato. Ora, intendiamoci bene: il significato del testo del Comitato è che la legge della Repubblica assegna alla Regione la facoltà di emettere tributi in determinate materie; la Regione ne farà l’uso che crede. Se usassimo la formula De Vita, potrebbe sorgere l’equivoco che la Regione possa essa determinare tributi che non sono previsti dalla legge dello Stato. Poiché la materia imponibile è sempre la stessa, è necessario che sia lo Stato con le sue leggi a precisare i tributi, ai quali può attingere la Regione. Resta fermo che la Regione delibererà ed applicherà essa i tributi che la legge le attribuisce. Credo che, ponendo mente a ciò, l’onorevole De Vita potrà essere tranquillo.

L’ultima parte del suo emendamento dice che: «Le leggi dello Stato in materia economica, finanziaria e doganale sono inspirate al principio di evitare la creazione di qualsiasi privilegio di una o più Regioni a danno di altre».

La formulazione è anche più radicale di un’altra proposta dall’onorevole Codignola, su cui si è pronunciato il Comitato. È una dichiarazione troppo generica ed anche equivoca, perché si potrebbe vedere un privilegio in ogni differenza. Sta poi fermo che il divieto dei privilegi rientra nei principii di eguaglianza affermati nelle disposizioni generali della Carta costituzionale.

L’onorevole Bertone ha presentato un emendamento. Svolgendolo, ha ripreso il tema dei confronti tra Regione e Regione; ed io lo ringrazio di aver aggiornati anche per l’esercizio in corso i dati che avevo riferiti. Debbo tuttavia confermare che non si può trarre sicure conclusioni, tanto più in momenti di generale disavanzo. E debbo pur notare che non è più il caso di continuare in questi confronti di dare e di avere fra le varie Regioni ed il bilancio dello Stato; raffronti che vennero impostati per la prima volta dall’onorevole Nitti; ed anche poche settimane fa sembrava che li continuasse, rovesciandoli a vantaggio del sud; ma ha finito col riconoscere nel suo ultimo intervento che è meglio abbandonarli.

Quanto all’emendamento Bertone, non dice nulla di sostanzialmente diverso dal nostro testo; ma è più generico, e non contiene alcune di quelle indicazioni che gli amici di sua parte ritengono opportune sull’autonomia finanziaria delle Regioni.

Ho già detto che il Comitato accoglie gli emendamenti Preti e Dugoni, e sostituisce a «leggi costituzionali» «leggi ordinarie dello Stato»; ma non può accettare l’altra proposta Preti di sopprimere, tranne il primo, i rimanenti commi dell’articolo; la maggioranza del Comitato – ho avuto occasione di dire anche questo – consente a non richiedere leggi costituzionali; purché con le altre disposizioni si dia qualche indicazione a garanzia della finanza regionale.

L’onorevole Colitto vuole che si parli solo di «limite» non di «forme» stabilite dalle leggi; ma le forme bisogna pur determinarle; e non mi pare opportuna la soppressione che egli suggerisce.

L’onorevole Zotta e vari altri hanno fatto questione di perequazione del livello di benessere, e di distribuzione del reddito nazionale fra Regione e Regione. Ma partono da un presupposto inammissibile; che si possa, con soli provvedimenti finanziari, togliere quelle disuguaglianze economiche fra Regioni, che dipendono da tanti altri fattori. Si può cercare di attenuarle, non pretendere di distruggerle. Quanto al concetto di una redistribuzione del reddito nazionale fra le Regioni, è anch’esso inammissibile: le Regioni più ricche, debbono dare e daranno per le meno provviste di mezzi; ma come si fa a chiedere che rinuncino ai frutti delle loro attività e sopprimano lo stimolo di un maggior rendimento in loro vantaggio?

L’onorevole Codignola insiste sul punto relativo all’accertamento dei tributi, ma anche il Comitato insiste nel punto di vista che non è il caso di vietare in senso assoluto che possa aver luogo a cura degli enti locali; le leggi ne stabiliranno i casi e le cautele.

L’onorevole Cartia ha fatto alcune osservazioni sul mio intervento dell’altro giorno. Io non ho nulla da mutare circa quello che ho detto allora. Ho voluto dimostrare che il problema, per quanto grave, non si presenta così pauroso e non richiede una rivoluzione finanziaria come sembrava a prima vista per alcuni.

L’onorevole Cartia non si può discostare dal procedimento che ho seguito: vedere quali sono le attribuzioni amministrative che il nostro testo attribuisce alle Regioni e valutare nel modo più largo ciò che lo Stato spende ora per esse. Ho con cifre dimostrato che basterebbe spostare quanto del gettito delle due dirette immobiliari percepisce ancora lo Stato ed una quota della ricchezza mobile o di altro tributo erariale; le spese sarebbero coperte.

L’onorevole Cartia dice che le Regioni devono fare di più. Ma la Costituente ha stabilito che ad esse si attribuiscono date funzioni; e di esse bisogna tener conto. Se lo Stato ne accorderà con sue leggi delle altre, o se in seguito si amplierà l’elenco fissato dalla Costituzione, si penserà ai relativi mezzi; ma oggi non sorge il problema.

L’onorevole Cartia fa la questione della Sicilia; che non possiamo prendere come termine di paragone per le altre Regioni, perché ha un’autonomia speciale, e cerca di spingerla avanti anche nel campo tributario. Se ho ben capito, mi sembra che l’onorevole Cartia abbia detto che la Sicilia ha assunto molti compiti, ma non tutte le spese e si è presa tutte le entrate dello Stato (Interruzione dell’onorevole Cartia); lo Stato non riscuote nulla dalla Sicilia, ed anzi, deve dare esso qualche cosa.

Questo è un sistema che non possiamo considerare come normale, almeno per le altre Regioni. Noi dobbiamo partire dalle funzioni ben delimitate delle Regioni ordinarie, entro i limiti dai quali la nostra Assemblea ha deliberato di non uscire. Mi pare strano che coloro che nelle nostre discussioni furono meno favorevoli al regionalismo – e credo che fra essi sia l’onorevole Cartia – cerchino oggi di esagerare i compiti e le funzioni attribuiti dalla Costituzione, e sostengano che la Regione debba avere compiti così immani da sbalestrare tutta la finanza dello Stato.

CARTIA. È la coerenza dell’istituto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma quale coerenza? Si può benissimo, e si deve, almeno alle origini, contenere la Regione in limiti ben conterminati.

CARTIA. Allora, era inutile fare le Regioni!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa è un’altra cosa! Fra la tendenza di chi non voleva la Regione e l’altra, prevalente di numero, per un più acceso regionalismo, si è affermata la soluzione intermedia di far sorgere la Regione con poteri e funzioni delimitati in modo che non sconcertino la struttura dello Stato e si prestino ad una savia gradualità. Non arrivo a capire, onorevole Cartia, se ella è ancora antiregionalista, o è diventato spinto regionalista. Per mio conto, mi attengo alla soluzione che ho sostenuta e son lieto che sia stata adottata.

Inutile dire, onorevole Cartia, per le ragioni già da me ripetute, che non posso accettare la formula di «redistribuzione del reddito nazionale, allo scopo di attuare una perequazione interregionale», formula illogica e che sarebbe in ogni modo vana.

L’onorevole Micheli parla di integrazione del bilancio della Regione da parte dello Stato. Integrazione è una frase che a noi non piace, perché rievoca un sistema non molto lodevole, seguito fino ad ora, come stato di necessità, per i bilanci comunali e provinciali; ma appena è possibile, e ne fo lode al Governo, viene abbandonato. Meglio che di integrazione si deve parlare di contributi speciali a scopi determinati, tenendo anche conto di quelli che sono stati proposti dai colleghi.

L’onorevole Sullo propone di istituire fondi speciali per la valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole. Mi dispiace, ma – poiché ritornano sempre in molteplici emendamenti le stesse idee – debbo ripetermi. Il Comitato non è favorevole ai fondi speciali o di solidarietà, e preferisce i contributi speciali da parte dello Stato.

Al sistema dei contributi speciali per scopi determinati che eccedono l’attività normale della Regione, mi richiamo per non accettare l’emendamento Pignatari che riguarda l’integrazione dei bilanci delle Regioni per le spese straordinarie. Faccio osservare all’onorevole Pignatari che non è opportuno parlare di spese «straordinarie» che possono, come è nella contabilità e nei bilanci attuali, entrare nelle funzioni normali della Regione.

Debbo ripetermi ancora: non può essere accolta l’aggiunta dell’onorevole Codignola all’ultimo comma per condannare anche i privilegi, oltre ai dazi di importazione e di esportazione: disposizione che non mi parrebbe necessaria neppure per tali dazi…

Una voce a sinistra. Il fatto dei dazi sta succedendo anche adesso, onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se è per la Val d’Aosta, vigono lassù norme particolari.

Una voce a sinistra. Ma è successo anche per la provincia di Mantova.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene, il mio ritegno è personale; il Comitato ha mantenuto il comma pei dazi. Non ha invece creduto di arrivare, con l’onorevole Codignola, a parlare di unità dell’economia italiana e interregionale; che è principio finalistico, giustissimo, ma non ha nulla di concreto; e ripugna alla natura di una norma costituzionale.

L’onorevole Nobile è tornato alla sua proposta di stabilire che non si possa vietare ai cittadini il diritto di esercitare, in qualunque parte del territorio nazionale paia ad essi conveniente, la loro arte, professione o mestiere. Sul principio siamo d’accordo tutti. Ma è dubbio se sia necessario dedicargli una espressa disposizione, e se – nel caso che si ravvisi la necessità o l’opportunità di stabilirlo – sia da collocarlo proprio qui.

All’onorevole Romano ho già implicitamente risposto dicendo le ragioni per cui noi non possiamo stabilire fondi speciali.

Ed ora veniamo al testo che il Comitato propone di votare. Domando perdono al Presidente, ma vi è qualche altra variante da introdurre, oltre a quelle di cui ho reso conto. Sono varianti suggerite dagli emendamenti e dal corso della discussione.

Al terzo comma, per i contributi speciali, si sostituisce alla frase «lo Stato può assegnare» l’altra: «assegna»; e si aggiunge «con legge». Risalta così che è sempre lo Stato a valutare e decidere se sia il caso di assegnare i contributi speciali; ma questi costituiscono una fondata attesa della Regione, e la loro assegnazione non ha luogo arbitrariamente e capricciosamente come favore di governo o burocrazia, ma coi criteri stabiliti per legge.

Ho riservata per ultima, proprio per la sua importanza, la questione del Mezzogiorno che è stata qui prospettata dagli onorevoli Zotta, Sullo, Pignatari, Romano e da altri oratori. Spero che possa essere una questione transitoria e che la Costituzione che noi voteremo viva anche quando il Mezzogiorno non avrà bisogno più di aiuti speciali. Ad ogni modo la questione sollevata non può non aver eco anche in questa sede. Il Comitato non è perfettamente concorde. Una tendenza propone un ordine del giorno dell’Assemblea il quale stabilisca che si deve provvedere in modo particolare ai bisogni del Mezzogiorno e delle Isole ed allo sviluppo dei loro lavori; un’altra, che io condivido, va più in là ed è disposta ad accettare un’aggiunta nel terzo comma, così formulata: «Per provvedere ad altri scopi determinati, e più particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna con legge a singole Regioni ecc.» Un semplice inciso può bastare, ed essere più efficace di altre proclamazioni. Ritengo che i presentatori di emendamenti saranno soddisfatti (Approvazioni).

E mi auguro che, dopo le mie conclusioni, l’Assemblea possa trovare un punto d’incontro per deliberare questa sera l’intero articolo e avvicinarsi così alle desiderate vacanze. (Applausi).

Una sola parola ancora. Desidero aggiungere che l’onorevole Corbino aveva l’intenzione di presentare un emendamento, appunto nel senso dei contributi speciali per i bisogni del Mezzogiorno; ma, essendo all’ultimo momento, e non volendo prolungare la discussione, eravamo rimasti d’accordo che io ne avrei dato comunicazione all’Assemblea.

PRESIDENTE. Chiederò ora ai presentatori degli emendamenti se vi insistono.

Faccio presente all’onorevole Preti che il suo emendamento è stato accolto nel testo della Commissione e quindi è assorbito. Lo stesso può dirsi per l’emendamento dell’onorevole Dugoni.

Gli onorevoli Nitti e De Vita insistono nei loro emendamenti?

NITTI. Insisto.

DE VITA. Mantengo integralmente il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Bertone?

BERTONE. Accetto il testo della Commissione e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto insiste?

COLITTO. Non insisto.

PRESIDENTE. L’emendamento soppressivo dell’onorevole Preti verrà automaticamente in rilievo nel corso della votazione.

L’onorevole Zotta mantiene il suo emendamento?

ZOTTA. Non vi insisto, constatando che la Commissione ne ha integralmente accettata la sostanza.

PRESIDENTE. L’onorevole Foa insiste sugli emendamenti dell’onorevole Codignola che ha fatto suoi?

FOA. Sul primo emendamento non insisto.

PRESIDENTE. L’onorevole Cartia insiste?

CARTIA. Non insisto sul mio emendamento, se venisse accettata la formula «con leggi dello Stato».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È accettata.

CARTIA. Allora non insisto.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli mantiene il suo emendamento?

MICHELI. Aderendo ai concetti esposti dal Presidente della Commissione, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Sullo insiste?

SULLO. Poiché il Comitato ha fatto suo l’inciso «per la valorizzazione del Mezzogiorno» ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Pignatari insiste?

PIGNATARI. Per la stessa ragione, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Foa, insiste sul secondo emendamento Codignola?

FOA. Mantengo il secondo emendamento.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Nobile è stato accettato dalla Commissione.

Non essendo presente l’onorevole Romano, il suo emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Dugoni insiste?

DUGONI. Insisto nell’emendamento sostitutivo di tutto il testo.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Mortati è stato accettato dalla Commissione.

Si può quindi passare alla votazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei parlare sulla formula ultima che è stata accettata dalla Commissione dei Diciotto e parlerei per la minoranza della Commissione dei Diciotto, formulando alcune riserve su quanto ha ritenuto di accogliere la maggioranza della Commissione.

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Ruini ha fatto una relazione. Le tesi contrapposte sono state sostenute in sede di Commissione. Qui, onorevole Laconi, non si tratta di presentare delle relazioni.

LACONI. Si tratta di una questione generale e non particolare. Quando la Commissione accetta un determinato emendamento al testo, evidentemente il testo originale della Commissione cessa di esistere e non è più oggetto di votazione da parte dell’Assemblea. La minoranza si trova allora o a ripresentare il testo della Commissione come emendamento, oppure a tacere. Io mi trovo in questo caso, in questa situazione, ma desidererei semplicemente che la mia preoccupazione trovasse degli argomenti in contrario.

Se questi argomenti sono per me chiari e sufficienti, io non ritengo affatto di dover presentare un emendamento. Quindi la prego di consentirmi questo chiarimento.

PRESIDENTE. Io voglio solo osservare che quando si lavora in un organismo collettivo – sia esso Commissione dei Settantacinque o Sottocommissione o Comitato di coordinamento – è chiaro che quest’organo collettivo ad un certo momento ha un’idea da presentare: quella della maggioranza. Coloro che restano in minoranza possono presentare emendamenti. E allora, in sede di emendamenti, coloro che non accettano la posizione prescelta dalla maggioranza possono parlare e chiedere d’intervenire. Lei dunque, onorevole Laconi, avrebbe dovuto farlo in quella sede. In questo momento gli emendamenti sono stati svolti, il Presidente della Commissione ha risposto, siamo giunti in sede di dichiarazione di voto, e lei onorevole Laconi ne può approfittare.

LACONI. Ma vi è un emendamento che è stato accolto in questo istante.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Quale?.

LACONI. Voglio esternare la mia preoccupazione. Voglio riferirmi all’emendamento accolto dalla maggioranza della Commissione dei Diciotto al secondo comma dell’articolo 113. Il presidente della Commissione ha dichiarato che avrebbe accolto l’emendamento secondo il quale si consente una determinata differenziazione tra Regione e Regione in ordine ai tributi propri ed alle quote erariali. La mia preoccupazione, già affacciata al Presidente della Commissione, è che, ammettendo una differenziazione in questa materia, si viene implicitamente a stabilire nella finanza dello Stato una differenziazione tra Regione e Regione e a portare il caos. Lo Stato, io credo, deve poter contare sopra tributi uniformi riguardo alle Regioni.

Io non nego che le Regioni abbiano differenti esigenze, ma si può stabilire una differenziazione in quelle provvidenze che lo Stato riterrà di emanare per venire incontro ai bisogni regionali; introdurre invece una differenziazione su questo punto relativo a tributi propri ed alle quote dei tributi erariali, porta conseguenze forse utili alle Regioni, ma costringe lo Stato a seguire norme particolari da Regione a Regione. (Commenti – Proteste al centro).

Non v’è ragione di eccitarsi fuor di luogo: è una preoccupazione che affaccio. (Commenti).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Laconi non era presente, o per lo meno non ricorda quando questo comma è stato esaminato dal Comitato. Già nel testo originario era stato fissato il criterio che ora desta le sue preoccupazioni ed egli aveva tutto il tempo di esprimere tali preoccupazioni nelle successive elaborazioni. Non c’è pericolo di disordine e caos nella finanza del paese. Né col primo né con l’ultimo testo.

LACONI. Ma non è la stessa cosa!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È la stessa cosa; si tratta del riparto delle quote dei tributi dello Stato, che vengono attribuite alle Regioni, perché provvedano alle loro funzioni normali. A tutte le Regioni non spetta la stessa quota; ma viene determinata e graduata a seconda che i tributi propri bastino più o meno all’adempimento di quelle funzioni. Non è una graduazione, che si discuta volta per volta; ma che deve essere, in certo senso, automatica, come diceva l’onorevole Cartia, in base a criteri stabiliti una volta tanto per legge. Non so cosa vi sia di caotico in ciò. Vuole l’onorevole Laconi che le Regioni meno provviste di mezzi, ad esempio la Basilicata, siano trattate come le Regioni più ricche, e non abbiano altre risorse per provvedere ai loro bisogni?

GULLO FAUSTO. Che cosa significa: «ai bisogni»?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi dispiace che lei non abbia capito: sono i bisogni, cui si provvede con le funzioni normali.

LACONI. Allora non è chiaro.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma come! Sono attribuiti alla Regione tributi propri o quote di tributi erariali; tali quote saranno determinate e graduate per provvedere alle spese necessarie. Questo concetto è abbastanza chiaro. Potete discuterlo, rifiutarlo; ma non dire che non è chiaro e non proporre qualcosa di diverso. La critica deve essere costruttiva.

PRESIDENTE. Darò ora la parola per le dichiarazioni di voto.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sono favorevole al testo presentato dalla Commissione in accoglimento più o meno parziale degli emendamenti che sono stati precedentemente presentati. Non sono favorevole all’Ente regione, ma una volta che lo abbiamo introdotto nella Costituzione, abbiamo il dovere di renderlo meno nocivo e più utile che sia possibile. Rispetto a questi due fini credo che il testo elaborato dal Comitato, come ultima espressione di accordi, sia accettabile da chi come me, meridionale e meridionalista siciliano, che ha dato la firma alla legge per l’autonomia della Sicilia, si renda perfettamente conto della importanza del problema meridionale come problema nazionale. Vi confesso che io ho ascoltato con vivo dolore le espressioni che da una parte o dall’altra sono venute per tentare di fare il bilancio di quello che il nord ha dato o avuto, o che il sud ha dato o avuto. Bilanci di questo genere non si possono fare sulla base di cifre. Se mettiamo insieme i dieci statistici più profondi che vi siano in Italia, essi non riusciranno mai a raggiungere soluzioni in cui tutti e dieci siano d’accordo: probabilmente non ce ne saranno neanche due. I rapporti fra una Regione e l’altra, in un paese unitario come il nostro, sono rapporti economici ma sono anche rapporti politici; e se il sud ha sacrificato qualche cosa sul terreno economico, non si può negare che esso abbia ricevuto dal nord influssi di progresso che in altre condizioni di ambiente avrebbero potuto dare frutti molto più cospicui. Tuttavia certi problemi, una volta posti, non possono non trovare un richiamo esplicito nella Carta costituzionale che noi andiamo ad approvare; ed il richiamo che la Commissione ha voluto inserire nel terzo capoverso dell’articolo 113 mi sembra più che sufficiente, perché coloro che questa Carta costituzionale dovranno applicare in avvenire ricordino che il problema meridionale in questa sede è stato affrontato non per delle contese vane fra sud e nord, ma con un solo desiderio che è nostro, e deve esserlo anche dei colleghi e delle popolazioni delle altre Regioni d’Italia: che si sia tutti concordi per assicurare le migliori fortune del nostro Paese. (Applausi al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi dispiace, io credo che la disposizione sia abbastanza chiara; ad ogni modo nessuno ha proposto una dizione diversa per renderla più chiara.

DUGONI. Prego l’onorevole Ruini di leggere la formulazione definitivamente proposta dalla Commissione per il secondo comma.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. «Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali le quali sono determinate, in relaziona ai bisogni delle Regioni, in modo da poter provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali».

PRESIDENTE. Effettivamente questa formulazione modifica ancora quella letta in precedenza.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La discussione, malgrado gli sforzi del Presidente per mettervi ordine, avviene con la presentazione continua di nuovi emendamenti, non solo, ma col ritorno improvviso a formule già abbandonate. Inchiodato a questo posto, faccio di tutto per seguire l’Assemblea, ma non posso fare miracoli. Pel punto qui in esame non vedo grande differenza tra la formula di prima e la recente. Se l’Assemblea crede di rimanere al mio testo…

Voci. Sì, sì.

PRESIDENTE. Dovrò allora porre in votazione il testo dell’articolo.

NITTI. Onorevole Presidente, io ho presentato un articolo che credo abbia la precedenza…

PRESIDENTE. Non c’è dubbio, io non ho detto che per primo si sarebbe votato il testo della Commissione. Gli emendamenti sono stati svolti: numerosi sono stati ritirati. Dobbiamo votare sul testo attuale della Commissione. In relazione agli emendamenti che sono restati, il primo di questi emendamenti è quello dell’onorevole Nitti, primo non per ordine di presentazione, ma perché è l’emendamento che praticamente pone nel nulla tutti i commi successivi. Egli propone infatti di sostituire l’articolo con il seguente:

«Con legge della Repubblica sarà stabilito il regime tributario delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni». Questo emendamento – senza dubbio – è quello che più si allontana dal testo della Commissione, in quanto, rimettendo tutto alla legge dello Stato, cioè ai prossimi Parlamenti, esonera l’Assemblea dall’indicare qualunque elemento di orientamento.

NOBILE. Desidererei che l’onorevole Nitti chiarisse se intende con questo emendamento che venga abolito anche l’ultimo comma. (Commenti).

Voci al centro. È naturale.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, i due interventi molto precisi dell’onorevole Nitti hanno posto chiaramente la questione.

Ha chiesto la parola per dichiarazione di voto l’onorevole Uberti. Ne ha facoltà.

UBERTI. Per tutte le ragioni che abbiamo esposto, noi voteremo esclusivamente il testo della Commissione e voteremo contro tutti gli emendamenti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento presentato dall’onorevole Nitti.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

Poiché il risultato della votazione è incerto si procede alla votazione per divisione.

(L’emendamento dell’onorevole Nitti è respinto).

Passiamo alla votazione del primo comma del testo proposto dalla Commissione:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni».

In questo comma vi è un primo inciso, che fa richiamo espresso alla autonomia finanziaria: «Le Regioni hanno autonomia finanziaria».

Poiché nessuno degli emendamenti presentati considera questa prima parte del comma, la porrò in votazione.

Mi è pervenuta una domanda di appello nominale. Desidero che i firmatari specifichino a che cosa essa si riferisca. (Commenti).

L’articolo si compone di cinque commi, ciascuno dei quali dovrà essere votato in due o tre parti diverse. Desidero sapere se si domanda che tutte le votazioni abbiano luogo per appello nominale! (Commenti).

UBERTI. A nome dei firmatari della domanda di appello nominale, preciso che se si fosse votato l’articolo 113 unicamente, domandavamo l’appello nominale su tutto l’articolo; se invece si vota per divisione, domandiamo l’appello nominale sul secondo comma.

TONELLO. Noi ce ne andiamo! (Rumori al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Dugoni aveva presentato un emendamento al primo comma per sostituire a «leggi costituzionali» «leggi dello Stato». L’emendamento è stato accolto e l’onorevole Dugoni, logicamente, dovrebbe votare per il primo comma. Il voto contrario significherebbe che non vuol dar corso alle sue stesse idee.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, queste dichiarazioni non si possono fare ora.

Pongo pertanto in votazione le prime parole del comma, nel testo della Commissione: «Le Regioni hanno autonomia finanziaria».

(Sono approvate).

Pongo in votazione la seconda parte del testo proposto dalla Commissione: «nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica».

(È approvata).

Segue l’ultima parte del comma: «che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni». A questo punto vi è un emendamento dell’onorevole De Vita.

DE VITA. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’ultima parte del comma nel testo della Commissione.

(È approvata).

Passiamo al secondo comma che, nella formulazione proposta dalla Commissione, è del seguente tenore:

«Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali le quali sono determinate in relazione al bisogno delle Regioni, in modo da poter provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali».

A questo comma non vi è alcun emendamento, poiché tutti sono stati ritirati.

PRETI. Avevo presentato un emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, come già ho fatto più volte presente, l’emendamento soppressivo si esprime votando contro la formula positiva.

UBERTI. Ritiro la mia richiesta di appello nominale su questo comma.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo allora in votazione il secondo comma, del quale ho dato testé lettura, nell’ultima redazione della Commissione.

(È approvato).

Passiamo al terzo comma, che è del seguente tenore:

«Per provvedere ad altri scopi determinati e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna con legge a singole Regioni contributi speciali».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. «Per legge», non «con legge».

PRESIDENTE. Sta bene. Modifichiamo: «per legge».

Voci. No, «con legge».

«PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non ci soffermiamo su questi piccoli particolari. In un secondo momento, si provvederà anche alla forma.

Pongo in votazione il terzo comma.

(È approvato).

Il quarto comma, è così formulato:

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

L’ultimo comma è del seguente tenore:

«Non possono istituirsi dazi di importazione ed esportazione, o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

Su questo comma, vi è un emendamento a firma dell’onorevole Codignola, che l’onorevole Foa ha fatto suo e svolto. L’onorevole Foa non è presente e pertanto l’emendamento s’intende decaduto.

Pongo pertanto in votazione il quinto comma nella formulazione testé letta.

(È approvato).

Vi è ora un emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Nobile e da altri colleghi. La Commissione ha dichiarato di accettarlo, salvo a deliberare, dopo la eventuale approvazione, il posto nel quale inserire, se non la dizione, il concetto.

CARBONARI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. L’onorevole Nobile domandava che la Regione non potesse limitare il diritto dei cittadini ad esercitare in qualunque parte del territorio nazionale la loro arte, professione o mestiere.

In via di principio io sono d’accordo con questa dizione; però debbo osservare – siccome l’onorevole Nobile ha nominato il Trentino ed Alto Adige in modo particolare – che, specialmente in Alto Adige, su oltre 3 mila impiegati statali e parastatali occupati, fino ad epoca recente, gli indigeni erano soltanto 243.

Quindi osservo che anzitutto la giustizia distributiva deve essere alla base di ogni reggimento statale e regionale. (Commenti a sinistra).

TESSITORI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TESSITORI. A nome del mio Gruppo dichiaro che voteremo contro l’emendamento proposto dall’onorevole Nobile per una considerazione che prescinde dal merito. La considerazione è questa: l’emendamento presentato in forma negativa non mi pare che sotto l’aspetto giuridico possa trovar posto nella Carta costituzionale; anche perché, quello che è l’aspetto positivo della norma, sottinteso nell’emendamento, è già compreso nella prima parte della Costituzione, dove sono indicati tutti i diritti dei cittadini italiani.

Mi pare che il collocamento e la forma di questo emendamento siano fuor di luogo e inutili. Perciò io vorrei pregare l’onorevole Nobile di ritirare il suo emendamento, e lo vorrei invitare ad una considerazione, che è questa: il collocare, onorevoli colleghi, nella Carta costituzionale una disposizione di questo genere sembra echeggiare rancori, differenze, campanilismi, che vorrei non avessero nessuna eco in questa Aula. Per queste considerazioni noi votiamo contro l’emendamento.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Appunto per le ragioni dette nobilmente dal collega Tessitori, io voterò a favore, perché temo il separatismo professionale. Ho già accennato in altra occasione ad un precedente, intorno al quale oggi posso presentare i documenti. E cioè: il Consiglio della Valle, il che è a dire il governo della Val d’Aosta, ha presentato al Governo nel mese di marzo scorso una proposta di decreto legislativo sull’ordinamento delle guide e dei maestri di sci, la quale diceva, all’articolo 2, testualmente così:

«L’esercizio saltuario della professione in Val d’Aosta da parte di guide e maestri autorizzati provenienti con i loro clienti da altre regioni italiane e straniere non è soggetto a restrizioni di sorta.

«L’esercizio stabile, anche se solo stagionale, l’apertura di corsi, scuole e analoghe iniziative, comunque presentate, sono invece subordinate, oltre che all’osservanza della disciplina del Consiglio della Valle alla stabile residenza in un comune della Valle e all’iscrizione nei ruoli di una società locale».

MICHELI. Ma si tratta di guide alpine!

FUSCHINI. Che c’entra questo? (Commenti).

GASPAROTTO. È bensì vero che il Governo con decreto legislativo del 1° aprile 1947 ha moderato queste disposizioni, in seguito di che è rimasto nel testo definitivo questo articolo 2, che dice: «Nella Valle d’Aosta l’esercizio saltuario della professione da parte di guide, portatori e maestri autorizzati provenienti con i loro clienti da altre regioni italiane e dall’estero non è soggetto all’autorizzazione degli organi della Valle»; ma a questo il Consiglio dei Ministri è dovuto addivenire, appunto per impedire che fosse sanzionato in uno statuto speciale il principio che il cittadino italiano era, nell’esercizio della sua professione, straniero in una regione d’Italia diversa dalla sua. (Applausi a sinistra).

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. L’onorevole Gasparotto mi pare che abbia una particolare simpatia per quanto ha determinato la Valle d’Aosta e quel decreto l’ha già letto altre volte…

GASPAROTTO. Io ho l’antipatia per i separatismi!

MICHELI. …Capisco; è stato esaminato dal Consiglio dei Ministri di cui l’onorevole Gasparotto faceva parte.

Posso dichiarare che, effettivamente, in Valle d’Aosta c’era questa limitazione, a favore delle guide che dovevano essere del luogo, per una ragione molto semplice: perché quelli che vanno sul Monte Cervino e ad altre cime portano della gente, sono responsabili della loro vita e devono essere dei luoghi perché ne hanno la maggiore pratica.

Però avverto questo: che tutte le guide del Club Alpino del quale faccio parte, a qualunque provincia appartengano, possono andare liberamente in Val d’Aosta, ad esercitare nelle escursioni alpine la loro professione.

È un’altra la questione, onorevole Gasparotto; si tratta di cosa molto diversa. Io debbo ripetere al collega ed amico che le guide di qualunque parte d’Italia… (Rumori) sono ammesse anche nelle scuole accennate…

GASPAROTTO. Ma si tratta non solo di guide, ma di scuole!

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, la prego di concludere.

MICHELI. Onorevole Presidente, una volta che lei ha consentito che il collega leggesse un documento di questo genere in discussione all’Assemblea, io avevo tutto il diritto di contestarlo (Rumori) e l’ho fatto con due parole.

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io credo che, nonostante questo occasionale dissenso sulla questione delle guide, noi siamo, sul concetto espresso dall’onorevole Nobile, tutti d’accordo. Abbiamo però tutti delle riserve sulla collocazione e credo che anche l’onorevole Tessitori, che ha parlato poco fa, fosse mosso dalla stessa preoccupazione. Del resto, se così non è, sia per non detto.

Io comunque ho di queste riserve. Vorrei dunque pregare che si votasse soltanto sul contenuto dell’emendamento dell’onorevole Nobile, lasciando impregiudicata la questione della forma e della collocazione. (Rumori).

PRESIDENTE. Ma su questo siamo d’accordo, è stato già detto, onorevole Laconi.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Instaurando un ordinamento regionale, ci si dovrebbe anche preoccupare degli impieghi per evitare che una Regione potesse impedire l’accesso agli impieghi ai provenienti da altre Regioni, il che sarebbe deprecabile, perché creeremmo in tal modo dei compartimenti stagni, renderemmo cioè poco aerabile la Regione.

Prego pertanto l’onorevole Nobile di estendere il suo emendamento anche agli impieghi.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, ella ha inteso la proposta dell’onorevole Condorelli? La accetta?

NOBILE. Non ho alcuna difficoltà ad accettarla.

PRESIDENTE. Sta bene; passiamo dunque ai voti.

Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Nobili, che con la modifica proposta dall’onorevole Condorelli, e accettata dall’onorevole Nobile, risulta così formulato:

«La Regione non può in alcun modo limitare il diritto dei cittadini ad esercitare, in qualunque parte del territorio nazionale paia ad essi conveniente, la loro arte, professione, mestiere o impiego.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

L’emendamento risulta approvato.

Voci al centro. No, non è approvato! (Rumori a sinistra).

MICHELI. Votiamo per divisione! (Proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ho l’impressione che vi sia ancora questo presupposto, che le votazioni debbano avere tutte la stessa conclusione. Occorre però tener conto del momento in cui si vota, perché è evidente che le votazioni che si trascinano per un quarto d’ora o venti minuti, possono mutare di continuo la proporzione dei voti. (Commenti).

Confermo che l’emendamento dell’onorevole Nobile è stato, secondo la votazione ora effettuata, approvato dall’Assemblea.

Do lettura del testo completo dell’articolo 113 quale risulta dopo le varie votazioni di oggi:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni.

«Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, le quali sono determinate in relazione ai bisogni delle Regioni, in modo da poter provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali.

«Per provvedere ad altri scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali.

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione, o di transito fra l’una e l’altra Regione, né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose.

«La Regione non può in alcun modo limitare il diritto dei cittadini ad esercitare in qualunque parte del territorio nazionale paia ad essi conveniente, la loro arte, professione mestiere o impiego.».

Resta inteso che la formulazione definitiva e il collocamento di quest’ultimo comma sono deferiti al Comitato di coordinamento.

Pongo ai voti l’articolo nel testo ora letto. (È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Benedettini ha presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno comunicare all’Assemblea i risultati dell’istruttoria testé terminata sulla fine del tesoro di Dongo». (Commenti a sinistra).

Interesserò il Ministro della difesa perché faccia sapere quando intende rispondere a questa interrogazione.

BULLONI. Vorrei sollecitare le risposte dei Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, a due mie interrogazioni urgenti loro dirette, riguardanti: la prima un’inchiesta per gravi infrazioni annonarie, la seconda la crisi dell’energia elettrica in Alta Italia.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Risponderò all’interrogazione che mi riguarda nella seduta antimeridiana di venerdì prossimo. Interesserò il Ministro dell’industria e commercio affinché risponda, se possibile, all’interrogazione a lui diretta nella stessa seduta.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere so non ritenga rispondente ai fini di giustizia estendere agli «sminatori marini» l’aumento di lire 300 sull’indennità «pericolo mine» recentemente concesso agli sminatori terrestri.

«Stampacchia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se, in relazione all’impegno del Governo italiano di indennizzare le persone fisiche e gli enti, i cui beni siano stati confiscati in conseguenza dell’applicazione delle disposizioni relative alle riparazioni (vedere articolo 74, lettera D, titolo 4 del Trattato di pace), ed in considerazione che fra le persone che hanno subito la totale confisca dei macchinari e delle attrezzature per costruzioni, figurano imprese che svolgevano la loro attività civile nei Balcani e particolarmente in Albania e Jugoslavia, dove potentemente le imprese predette contribuirono per migliorare le condizioni ed il tenore di vita civile di quei paesi, non ritenga equo, utile ed opportuno, per il nostro Paese, che gli enti, le persone e le imprese danneggiate con la confisca delle loro attrezzature e macchinari, vengano messi in condizioni di riprendere anche parzialmente la loro attività, risarcendo loro le perdite subìte, mediante cessione di attrezzature e macchinari, analoghi a quelli loro confiscati o perduti, da prelevare dalle disponibilità dell’A.R.A.R. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere in quale maniera intenda risolvere la tragica situazione economica di quegli ufficiali che, fatti prigionieri in Africa Orientale Italiana nel 1941, sono stati costretti ad abbandonare le famiglie nel territorio già occupato all’epoca predetta, le quali si sono trovate costrette a contrarre ingenti debiti per poter vivere.

«A questi ufficiali rientrati in Patria sono stati corrisposti i soli stipendi con i carovita dell’epoca, mentre il costo della vita in Africa Orientale Italiana si aggirava intorno ad una sterlina giornaliera (700 lire circa di valore medio per gli anni 1941-44) per un ammontare complessivo individuale di parecchie centinaia di migliaia di lire.

«Tali famiglie si trovano ora in Patria, senza casa, per aver perso tutto in territorio dell’Africa Orientale Italiana, con l’onere dei predetti debiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bencivenga».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere se e quale azione il Governo abbia svolto, o intenda svolgere per placare le ansie dei familiari delle molte migliaia di giuliani deportati in Jugoslavia, dei quali dopo due anni non si è riusciti, neppure per il tramite della Croce Rossa e del Vaticano, ad avere notizie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cappi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se, in relazione alle mutate e ridotte necessità delle forze armate ed alle ristrettezze del bilancio dello Stato, abbia già provveduto o, in caso negativo, se ritenga o meno opportuno:

1°) di provvedere d’urgenza alla soppressione dello Stato Maggiore generale; alla creazione di uno Stato Maggiore della difesa ed alla conseguente soppressione dei tre Stati Maggiori ora esistenti; all’unificazione dei servizi logistici ed amministrativi comuni alle tre forze armate, tanto degli organi centrali, quanto di quelli periferici; alla separazione dal Ministero della difesa degli organi incaricati della liquidazione del passato; al decentramento agli organi periferici di gran parte dei compiti e delle attribuzioni ora dannosamente accentrate negli organi centrali; alla trasformazione dei tre mastodontici ex Gabinetti ministeriali in più leggeri organismi dei tre Segretariati generali creati presso le Amministrazioni centrali delle tre forze armate; alla definizione delle pratiche di discriminazione di ufficiali e sottufficiali di carriera ed allo sfollamento di quelli giudicati immeritevoli di continuare nel servizio; all’industrializzazione degli arsenali e degli stabilimenti militari; alla soppressione od alla riduzione dei «centri rifornimento quadrupedi», dei campi d’aviazione e dei poligoni di tiro non necessari, concedendo la conduzione dei terreni ricuperati a cooperative agricole di ex partigiani, reduci e combattenti; alla cessione secondo un piano organico ad enti pubblici od a privati, o alla trasformazione in alloggi demaniali per ufficiali e sottufficiali di tutti gli immobili militari (caserme, depositi, magazzini, ecc.), che, risultando esuberanti alle esigenze militari, costituissero un inutile e notevole aggravio di spesa per la loro vigilanza e per la loro manutenzione;

2°) di provvedere d’urgenza all’eliminazione delle irregolarità amministrative, delle deficienze di governo disciplinare del personale; delle deficienze di conduzione delle aziende agricole a gestione diretta e delle irregolari concessioni di terreni demaniali a privati speculatori, che caratterizzano l’andamento disciplinare, amministrativo e agricolo di alcuni «centri rifornimento quadrupedi» e di poligoni di tiro, con particolare riferimento ai centri di Montemaggiore, di Persano e di Grosseto e del poligono d’artiglieria di Nettuno; irregolarità e deficienze che, essendo di dominio pubblico, poco favorevolmente depongono nei riguardi dell’interessamento del Ministero della difesa e della apposita Commissione che da dieci mesi si occupa dello studio e della soluzione del problema con risultati sinora non molto soddisfacenti;

3°) di provvedere d’urgenza a devolvere parte delle economie realizzabili con l’adozione dei provvedimenti di cui ai precedenti comma 1°) e 2°), all’aumento dell’indennità militare degli ufficiali e dei sottufficiali, oggi del tutto insufficiente ad attenuare il disagio economico derivante ai militari di carriera di ogni grado dai frequenti trasferimenti cui sono soggetti per necessità riorganizzative delle forze armate e dalla relativa frequente necessità di dividere in due le proprie famiglie, nonché dalle esigenze di un servizio che, in confronto con quello dei funzionari civili di tutte le Amministrazioni statali e parastatali, non ha limiti di orario, senza beneficiare, per altro, di un corrispondente ed equo compenso straordinario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Azzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per le quali, a tre anni dalla liberazione, nella importante strada provinciale «marittima» che collega le provincie di Frosinone e di Latina non sono stati ancora ripagati i danni bellici che non consentono tutt’ora l’uso della strada stessa, con grave pregiudizio degli interessi delle due provincie.

«E per conoscere, altresì, perché, oltre a dare il massimo impulso alla ricostruzione delle opere d’arte, non si provvede anche all’inizio dei lavori di ripristino del piano viabile onde non prolungare ulteriormente, dopo la ultimazione delle opere di cui sopra, la inefficienza della vitale arteria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per conoscere la esatta storia, la attuale situazione e i provvedimenti disposti o da disporre per risolvere il grave problema dell’acquedotto di Sora (Frosinone), con particolare riferimento alle ragioni per le quali il Consiglio comunale ritenne addirittura di dover deliberare fin dal 21 marzo ultimo scorso la costituzione di una Commissione di inchiesta.

«L’interrogante chiede, in particolare, all’onorevole Ministro dell’interno di informarlo circa le ragioni per le quali detta Commissione non è stata ancora convocata e investita del mandato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere:

1°) se non ritenga opportuno accertare, a mezzo dell’Arma dei carabinieri, se e quali degli appartenenti ai ruoli militari e civili nell’aeronautica, da tempo in attesa di reimpiego, abbiano trovato altra occupazione, sufficientemente remunerativa, nella vita civile;

2°) se, in base ai risultati delle indagini suddette, non ritenga opportuno, dopo aver sentito gli interessati, effettivamente impiegarli, se non abbiano altra occupazione; oppure collocarli a riposo nel caso contrario; e ciò allo scopo di mettere fine allo sconcio per cui ufficiali e civili, effettivamente non impiegati dal tempo dell’armistizio, continuino a figurare m servizio, percependo gli interi assegni, anche quando essi abbiano trovato una lucrativa attività nella vita civile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere:

1°) per quali motivi non si sia dato ancora corso al decreto legislativo già esaminato dalla prima Commissione permanente dell’Assemblea Costituente concernente l’aumento dell’indennità di volo;

2°) se non ritiene che sia urgente emanare il decreto suddetto nella considerazione che il volo costituisce la parte essenziale delle attribuzioni degli ufficiali e sottufficiali dell’aeronautica e che le indennità stabilite dallo schema di decreto legislativo suddetto sono pur sempre assai modeste rispetto a quelle che venivano corrisposte prima della guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’interno, per sapere se non ritengano opportuno, anzi necessario ed urgente, in vista della esasperante deficienza di alloggi nella città di Roma, emanare un provvedimento che faccia obbligo all’INCIS ed all’Istituto delle case popolari di dare la precedenza assoluta, nell’assegnazione degli appartamenti liberi, ai funzionari di ruolo delle Amministrazioni statali, che per ragioni di ufficio siano obbligati a risiedere a Roma, e che di fatto già vi risiedono da anni, ma che si trovino ad essere sprovvisti di alloggio in seguito a sentenze di sfratto, promosse da proprietari che abbiano richiesto l’alloggio per proprio uso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno prendere provvedimenti idonei ad esonerare dal pagamento del canone obbligatorio di abbonamento alle radio-audizioni, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 1° dicembre 1945, n. 834, le sedi dei Partiti politici, dalle quali invece viene attualmente preteso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Dugoni».

Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se e come intenda affrontare e risolvere il problema dei segretari degli Istituti medi, i quali da tempo hanno chiesto il passaggio dal gruppo C, in cui ingiustamente si trovano, al gruppo B.

«Si rammenta a tale proposito che nell’ultimo congresso dei segretari, tenutosi a Roma, si era data per certa ed imminente la pubblicazione del provvedimento, che avrebbe posto fine ad una condizione di inferiorità ingiustificata ed ingiustificabile, per la quale i segretari degli Istituti medi, pur essendo muniti di diploma di scuola media di secondo grado, hanno un trattamento inferiore non solo a quello degli impiegati del gruppo B, ma anche a quello degli impiegati del gruppo C. Difatti, mentre questi ultimi arrivano al grado VIII, i segretari, che iniziano la carriera col grado XII, la finiscono col grado XI. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Silipo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere:

  1. a) se non ritenga opportuno e doveroso un maggiore e più severo controllo sulla vendita dei generi alimentari somministrati dai ristoranti di molte stazioni ferroviarie sia in rapporto alla loro qualità, che tende a peggiorare, che alla loro quantità unitaria, che tende a diminuire, e specialmente in rapporto ai loro prezzi, che tendono a salire, giorno per giorno, in modo vertiginoso e non giustificato, né da particolari esigenze, né da particolari situazioni di mercato, ma solo determinato da spirito di esosa speculazione, costringendo così i viaggiatori a sottostare, per necessità, ad un maggior aggravio di spese vieppiù dannoso per i meno abbienti;
  2. b) se del pari non ritenga necessario, per evidenti ragioni di giustizia e di rispetto ai regolamenti, eliminare lo sconveniente e deplorevole mercato nero dei biglietti ferroviari che si fa in alcune stazioni ed in modo massimamente impudente in quella di Roma, così da riservare solo ai viaggiatori che hanno larga disponibilità di danaro la possibilità di occupare, a loro piacimento ed in qualunque momento, i posti a sedere nelle vetture dei vari treni a lungo percorso e che dovrebbero invece restare liberi a tutti, secondo le normali regole di precedenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si richiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. Svolgimento della seguente interrogazione:

Benedetti. – Al Ministro dell’interno. – «Per conoscere le disposizioni che intenda impartire al fine di reprimere i giuochi d’azzardo».

  1. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.