Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI MARTEDÌ 25 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccv.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 25 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mannironi

Lussu

Perlingieri

Preti

Gasparotto

Leone Giovanni

Bozzi

Targetti

Laconi

Gullo Fausto

Molè

Mastino Pietro

Moro

Condorelli

Persico

Carboni Angelo

Caccuri

Dominedò

Scalfaro

Costantini

Abozzi

Nobili Tito Oro

Fabbri

Lami Starnuti

Perrone Capano

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Bubbio

Perassi

Grassi

Pignatari

Votazione segreta

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Presentazione di relazioni:

Bovetti

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Turco

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia allo 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo procedere alle votazioni relative all’articolo 97.

Dei vari emendamenti presentati e svolti sono stati mantenuti quelli degli onorevoli Conti, Targetti, Grassi, Perlingieri, Scalfaro, Abozzi, Perrone Capano, Nobili Tito Oro, Preti, Condorelli.

L’onorevole Ruini ha dichiarato stamane di accettare come testo base, da sostituirsi al testo della Commissione, l’emendamento presentato dagli onorevoli Conti, Leone Giovanni, Bettiol, Cassiani, Rossi Paolo, Dossetti, Perassi, apportandovi alcune modificazioni, sicché esso risulta del seguente tenore:

«La Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere.

«Il Consiglio superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, del procuratore generale della Corte medesima, e di membri designati per quattro anni, metà dai magistrati, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, e metà dal Parlamento, fra persone che appartengono alle seguenti categorie: magistrati dell’ordine giudiziario e amministrativo a riposo; professori ordinari di materie giuridiche nelle Università; avvocati dopo quindici anni di esercizio. Chi è nominato nel Consiglio superiore della Magistratura cessa, finché dura in tale carica, di essere iscritto negli albi professionali e non può essere membro del Parlamento o di un Consiglio regionale.

«Spettano al Consiglio superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni ed i provvedimenti disciplinari».

Passiamo alla votazione del primo comma:

«La Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere».

L’onorevole Preti ne ha proposto la soppressione. L’onorevole Nobili Tito Oro, ha proposto di sostituirlo col seguente:

«La Magistratura costituisce un potere autonomo e indipendente, retto da un proprio Consiglio».

Questo emendamento è collegato a tutto lo sviluppo che egli dà alla struttura del Consiglio Superiore della Magistratura.

Alcuni colleghi avevano proposto la soppressione di questo comma; ma, come di consueto, la proposta soppressiva non sarà esplicitamente posta in votazione.

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Proporrei che fosse messo in votazione per divisione il primo comma del testo Conti ed altri, votando prima le parole: «La Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente» poi le altre.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento dell’onorevole Nobili:

«La Magistratura costituisce un potere autonomo e indipendente, retto da un proprio Consiglio».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione per divisione del primo comma del testo accettato della Commissione. Pongo in votazione le parole:

«La Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le seguenti parole:

«da ogni altro potere».

(Dopo prova e controprova sono approvate).

Passiamo al secondo comma del testo Conti accettato dalla Commissione.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del Primo Presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, del Procuratore generale della Corte medesima, e di membri designati per quattro anni, metà dai magistrati, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, e metà dal Parlamento; fra persone che appartengono alle seguenti categorie: magistrati dell’ordine giudiziario e amministrativo a riposo; professori ordinari di materie giuridiche nelle Università; avvocati dopo quindici anni di esercizio. Chi è nominato nel Consiglio Superiore della Magistratura cessa, finché dura in tale carica, di essere iscritto negli albi professionali e non può essere membro del Parlamento o di un Consiglio regionale».

Si pone anzitutto la questione della Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura. Dice il testo in esame:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica».

L’onorevole Abozzi ha proposto il seguente emendamento:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è composto del Primo presidente della Corte di cassazione che lo presiede».

L’onorevole Nobili Tito Oro ha proposto analogo emendamento:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal primo presidente della Corte di cassazione».

Pongo in votazione la formulazione proposta dall’onorevole Nobili.

(Non è approvata).

Pongo in votazione il testo della Commissione:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica».

(È approvato).

Il testo della Commissione prosegue:

«È composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente».

Si pone ora la questione dell’inclusione nel Consiglio Superiore della Magistratura del primo presidente della Corte di cassazione quale vicepresidente.

Gli onorevoli Targetti, Grassi e Scalfaro hanno egualmente proposto che vicepresidente sia il primo presidente della Corte di cassazione, mentre l’onorevole Perlingieri ha proposto che vicepresidente sia il Ministro Guardasigilli.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Voterò contro i primi emendamenti, compreso quello del collega onorevole Targetti, al quale rivolgerei la preghiera di riflettere sulla gravità della decisione che dobbiamo prendere. In sede di Commissione ebbi già l’onore di esprimere molto brevemente questa mia preoccupazione, che riassumo qui altrettanto brevemente.

Il Presidente della Repubblica in pratica difficilmente potrà presiedere il Consiglio superiore della Magistratura; e in questo caso, è evidente che il presidente effettivo sarebbe il primo presidente della Corte di cassazione: il che non corrisponde, io credo, al desiderio della maggioranza di questa Assemblea.

CACCURI. Lo crede lei!

LUSSU. Lo credo. Allora avverrebbe questo fatto strano e pericoloso per la nostra Costituzione: noi scopriremmo la responsabilità del Presidente; mentre è obbligatorio che non sia scoperto. Sono i Ministri responsabili, e non il Presidente, che rispondono al Parlamento ed al Paese.

In pratica avverrà che il Presidente della Repubblica difficilmente presiederà il Consiglio Superiore della Magistratura; ed allora dovrebbe essere il Vicepresidente effettivo a presiedere, cioè il primo presidente della Corte di cassazione.

Ora, io credo che per molto tempo ancora, finché la Costituzione non si sarà affermata nel costume parlamentare e nel Paese, sia necessario che il Ministro di grazia e giustizia abbia un posto nel Consiglio Superiore, non solo per coprire la posizione del Presidente della Repubblica che è necessario politicamente sia garantita, ma anche per un certo controllo di carattere esecutivo e parlamentare, indispensabile nel primo periodo del funzionamento della Magistratura, che abbiamo voluto indipendente.

Non vi è ombra di dubbio – parlo con serena coscienza e, credo, con obiettività – che, se noi avessimo avuto la possibilità (come era nel desiderio di molti magistrati e di molti parlamentari) di riformare la Magistratura, evidentemente avremmo minori preoccupazioni. Ritengo che i colleghi considerino fondate le preoccupazioni di quanti pensano che siamo lontani dall’avere una Magistratura nella quale possiamo porre completa fiducia (Commenti); nel primo periodo è necessario un controllo.

Per queste ragioni io voterò contro e sono favorevole all’emendamento presentato dall’onorevole Perlingieri, perché mi sembra più esattamente rispondente alle nostre esigenze politiche.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. Ricordo che la formulazione da me proposta è la seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del Guardasigilli, Ministro della giustizia, vicepresidente, e di membri designati per sette anni da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie».

Ora, faccio presente la mia perplessità di mettere in votazione il mio emendamento per divisione: perché in tanto ho proposto la vicepresidenza del Ministro guardasigilli, in quanto il Consiglio Superiore sia composto esclusivamente di magistrati, senza alcuna ingerenza, all’infuori del capo della Magistratura.

Se si dovesse mettere in votazione per divisione il mio emendamento, potremmo avere una soluzione, che non risponderebbe al mio intendimento.

Quindi prego l’onorevole Presidente di mettere in votazione per intero il mio emendamento.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Stamane ho dichiarato di fare mia la prima parte dell’emendamento presentato dall’onorevole Perlingieri.

PRESIDENTE. L’onorevole Perlingieri lo considera ancora proprio, salvo una obiezione fondata. Si tratta di vedere in qual modo potremo tenerne conto.

L’onorevole Perlingieri fa presente che la struttura da lui delineata del Consiglio Superiore della Magistratura è coordinata nelle sue varie parti; e che in tanto egli propone che la vicepresidenza del Consiglio sia assunta dal Ministro Guardasigilli, in quanto egli pensa ad un Consiglio costituito soltanto di magistrati.

L’onorevole Perlingieri chiede pertanto che il secondo comma da lui proposto sia votato unitariamente e non per divisione, come avevamo incominciato a fare, per ciò che si riferisce alla Presidenza, alla vicepresidenza ed alla struttura interna del Consiglio.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Onorevole Presidente, ripeto, io ho fatto mia la prima parte dell’emendamento Perlingieri. Perciò noi chiediamo che sia posta in votazione – e ho presentato anche una regolare domanda – la prima parte dell’emendamento Perlingieri. Se l’onorevole Perlingieri non è di questo parere, di questo parere siamo io e l’onorevole Lussu, che abbiamo dichiarato di far nostro il suo emendamento.

PERLINGIERI. Presenti un emendamento.

PRESIDENTE. Si tratta di una sottigliezza verbale, onorevole Preti. Non dichiari che ha fatta sua la prima parte dell’emendamento dell’onorevole Perlingieri, ma dica che lei propone un proprio emendamento, a tenore del quale la vicepresidenza del Consiglio Superiore della Magistratura – comunque questo venga costituito – spetta al Ministro Guardasigilli.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro di votare l’emendamento Perlingieri nella sua integrità, perché c’è il pericolo di costituire i vari poteri, organi dello Stato, in tanti compartimento stagni. Invece la vicepresidenza del Ministro di grazia e giustizia assicura il collegamento fra i vari poteri. (Approvazioni a sinistra).

Del resto l’articolo 83 della Costituzione francese stabilisce appunto quale vicepresidente il Ministro di grazia e giustizia.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Il mio Gruppo voterà per quell’emendamento che porta la introduzione, di diritto, nel Consiglio Superiore della Magistratura, con la funzione di Vicepresidente, del primo Presidente della Cassazione.

Non convincono le osservazioni testé formulate dall’onorevole Lussu. Non la prima, per quanto concerne la eccezione che noi formuleremmo al principio della responsabilità del Capo dello Stato; perché, trattandosi di una Costituzione che andiamo sviluppando, è possibile porre in un certo momento un’eccezione ad una precedente formulazione e ciò indipendentemente dal fatto che si tratta di un atto collegiale. D’altra parte la preoccupazione, espressa come seconda obiezione testé dall’onorevole Lussu, è già sodisfatta nel progetto che andiamo votando. Quando si dice che, finché non si è affermata la Costituzione nel Paese (e si pone una premessa di contingenza, che dobbiamo respingere, perché dobbiamo votare una Costituzione che resti e che sia rispondente alla coscienza e al costume del Paese), quando si dice che finché la Costituzione non si è affermata nel Paese occorre la presenza del Ministro nel Consiglio Superiore per un certo controllo esecutivo e parlamentare, io mi permetto di rispondere che questo congegno è nel progetto che andiamo votando, in quanto il Ministro di grazia e giustizia, come è detto esplicitamente in una successiva norma che voteremo pure oggi stesso e come risulta da alcuni emendamenti che voteremo, conserva, nei confronti della Magistratura il potere di procedere ad inchieste e di azionare il procedimento disciplinare. Se controllo vi deve essere da parte del potere esecutivo nei confronti del potere giudiziario, se un momento di agganciamento vi deve essere, di saldatura fra potere giudiziario e altri poteri dello Stato, questo momento a me pare più felicemente sia stato identificato nel conservare nelle mani del Ministro della giustizia e il potere di inchiesta e il potere di azionare i procedimenti disciplinari.

Riteniamo, pertanto, che oltre questo non si possa andare; e che, riaffermandosi in questo momento con una composizione mista del Consiglio Superiore una esigenza espressa non solo sul piano politico e parlamentare, ma espressa dalla stessa coscienza dei magistrati, quella di congegnare un organo il quale nella sua composizione mista identifichi le due opposte necessità, quella di tutelare l’indipendenza della Magistratura e quella di fare sentire un soffio esterno all’ordine giudiziario per quanto attiene al governo della carriera del magistrato; ritenendo, d’altra parte, che non si possa andare al di là di una partecipazione di elementi estranei che non debbano superare come maggioranza la partecipazione dei magistrati; ritenendo infine che la Vicepresidenza affidata al Presidente della Cassazione significhi riconoscimento alla più alta carica della Magistratura, della sua funzione altissima nello Stato moderno, soprattutto in uno Stato repubblicano; rivendicando la necessità politica dell’indipendenza della Magistratura sia per quanto attiene all’esercizio della funzione giurisdizionale sia per quanto attiene all’indipendenza dello sviluppo della propria carriera, dichiaro che il nostro Gruppo voterà per l’emendamento il quale comporta la partecipazione di diritto del Primo Presidente della Cassazione, con funzioni di Vicepresidente.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi ha facoltà di parlare.

BOZZI. Onorevoli colleghi, voterò contro l’emendamento dell’onorevole Preti, il quale tende ad affidare la vice-presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura al Ministro di grazia e giustizia. Ciò non solo per le considerazioni svolte or ora dal collega Leone, ma perché, affidando la vice presidenza, che di fatto sarebbe la Presidenza, al Ministro Guardasigilli, faremmo un passo non verso l’indipendenza, ma a ritroso. (Rumori a sinistra). Oggi il Consiglio Superiore della Magistratura non ha, né in qualità di Presidente, né come membro, il Ministro della giustizia; ed io ricordo ai colleghi di sinistra che nella riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, fatta nel maggio del 1946 dal Ministro onorevole Togliatti, non si pensò di introdurre come membro il Ministro Guardasigilli.

Per queste considerazioni voterò contro l’emendamento dell’onorevole Preti.

PRESIDENTE. Avverto che gli onorevoli Preti, Binni, Lussu, Pieri, Zanardi, Momigliano, Carpano Maglioli, Mancini, Giacometti, Bianchi Costantino, Lombardi Carlo, Tega, Laconi, Vischioni, Fornara, Villani, Costantini, Mariani, Lombardo Ivan Matteo, Gullo Fausto hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto sulla prima parte dell’emendamento Perlingieri al secondo comma dell’articolo 57:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del Guardasigilli, Ministro della giustizia, vicepresidente».

Desidero che si tenga presente che si tratta di decidere non soltanto chi deve essere il Vicepresidente del Consiglio Superiore, ma anche se vi deve essere un solo Vicepresidente. Infatti vi sono proposte che contemplano due Vicepresidenti, ed il secondo Vicepresidente viene di volta in volta indicato nel Procuratore generale della Corte di Cassazione o in un magistrato a riposo, eletto da quei membri del Consiglio Superiore che devono essere prescelti tra i magistrati a riposo, o infine, in un Vicepresidente nominato dal Presidente della Repubblica.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Vorrei chiedere alla Presidenza se non ritenga opportuno, prima di procedere alla votazione sulla nomina di un vicepresidente, di interrogare l’Assemblea e di farla decidere se il Consiglio Superiore della Magistratura debba avere uno o due vicepresidenti, perché, per ragioni intuitive, vi è una differenza sostanziale anche nel determinare chi debba essere vicepresidente, se si tratta di un vicepresidente unico, o di due vicepresidenti.

Alla esposizione da lei fatta, onorevole Presidente, mi permetto di aggiungere che il testo proposto dalla Commissione dei Settantacinque contemplava già due vicepresidenti: uno nella persona del primo presidente della Cassazione ed un altro da eleggersi dal Parlamento. Ora qui, nella discussione, di fronte all’Assemblea, la Commissione di Diciotto, a maggioranza, avrebbe deciso di eliminare il secondo vicepresidente. Nel mio emendamento invece si propone di sostituire il vicepresidente eletto dal Parlamento con un vicepresidente nominato dal Presidente della Repubblica. Quindi io chiedo alla Presidenza se non ritenga opportuno procedere prima alla votazione sopra il numero dei vicepresidenti.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi pare che la richiesta dell’onorevole Targetti non sia accettabile, perché è evidente che chi vota per due determinati vicepresidenti, non può votare astrattamente per due vicepresidenti. Noi siamo favorevoli a votare per due vicepresidenti che siano il Ministro Guardasigilli ed il primo presidente della Corte di cassazione. Non saremmo affatto disposti a votare per due vicepresidenti che fossero, per esempio, il procuratore generale o qualche altro magistrato.

Chiedo pertanto che si pongano in votazione le vicepresidenze definite, e per prima la vicepresidenza assegnata al Ministro di giustizia, perché è evidente che coloro che intendono fare vicepresidente il Ministro di giustizia gli assegnano la funzione di sostituto del Presidente della Repubblica. Quindi fra queste due vicepresidenze c’è un ordine gerarchico. Per prima mi pare debba essere votata la vicepresidenza del Ministro di giustizia.

PRESIDENTE. L’obiezione sollevata dall’onorevole Laconi non riesce ad eliminare la questione, perché se è vero che ciascuno pensa alla vicepresidenza affidata ad una sola persona o a due non a capriccio ma per un certo criterio generale del sistema che ha in sé, è evidente tuttavia che ciascuno può anche rivedere poi tale suo criterio iniziale a seconda che l’Assemblea giunga alla conclusione che vi debbano essere una o due vicepresidenze. Se ponessimo in votazione successivamente le formulazioni, così come sono state presentate, correremmo il rischio che nessuna a sé stante ottenga la maggioranza, e noi resteremmo con nessuna decisione. Mentre per intanto possiamo avere una decisione sul problema se le vicepresidenze devono essere una o due. Successivamente si deciderà sulle persone a cui devono essere affidate le due vicepresidenze – se questa soluzione prevalesse – ciascuno rivedendo in correlazione la propria posizione iniziale.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Le osservazioni fatte dall’onorevole Laconi mi paiono decisive, perché non è questione di una o due vicepresidenze, ma è questione di quella determinata vicepresidenza o di quelle due determinate vicepresidenze. Io penso che la votazione potrebbe avvenire così: votare il Consiglio Superiore della Magistratura, nel suo complesso così come è proposto. Noi proponiamo che ne sia presidente il Presidente della Repubblica e che vi siano due vicepresidenti, uno il Ministro della giustizia e l’altro il Presidente della Cassazione. Gli altri membri, metà Magistratura e metà eletti dalle due Camere. Ed è una soluzione che secondo me va votata integralmente, perché noi non vorremmo mai due vicepresidenze, una delle quali dovesse essere affidata, per esempio, al procuratore generale, essendo l’altro vicepresidente il presidente della Cassazione. Non vedrei la ragione di queste due vicepresidenze tratte dallo stesso seno della Magistratura.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, noi abbiamo già deciso di votare per divisione, ma in questo momento stiamo passando alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Preti, che è a sé stante ponendo il problema di una sola e determinata vicepresidenza.

GULLO FAUSTO. Votiamo prima la vicepresidenza al Ministro di grazia e giustizia; ma, onorevole Presidente, può darsi che vi sia qualche deputato disposto ad affidare una Vicepresidenza del Consiglio Superiore al Ministro a condizione che l’altra Vicepresidenza si affidi al primo presidente della Corte di cassazione.

Ora, se lei dice che, respinta la proposta dell’onorevole Preti, porrà in votazione la doppia vicepresidenza, ossia al Ministro e al primo presidente della cassazione, mi spiego che si voti prima la proposta dell’onorevole Preti; ma non vorrei che, respinta la proposta Preti, non si parlasse più del Ministro di grazia e giustizia.

PRESIDENTE. Non c’è proposta, onorevole Gullo, nella quale sia contenuta la formulazione di cui lei parla; nessuno l’ha presentata e non è più tempo di nuove proposte, perché siamo in sede di votazione. Quindi restiamo alle due proposte degli onorevoli Preti e Perlingieri in cui si parla del Ministro Guardasigilli.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. Ritengo che debba avere la precedenza la votazione dell’intero mio emendamento, poiché sarebbe risolutivo della questione.

PRESIDENTE. Ha sempre la precedenza la votazione per divisioni, quando viene chiesta.

PERLINGIERI. Ed allora desidero sapere se la votazione sull’emendamento Preti lascia inalterata la votazione sul mio emendamento.

PRESIDENTE. Se l’Assemblea respinge una determinata proposta, non si potrà più riproporla.

MOLÈ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLÈ. Io volevo dir questo: che chi vota per la vicepresidenza del Ministro Guardasigilli, non può logicamente votare che per un solo vicepresidente. Come noi giustifichiamo la nomina del Guardasigilli come Vicepresidente? Per due motivi:

1°) in quanto sia opportuno, per tener fede al principio che il Capo dello Stato non ha la responsabilità degli atti di Governo, porgli accanto il suo Ministro responsabile;

2°) per assicurare il collegamento dei vari poteri.

Ora tanto l’una che l’altra finalità sarebbero eluse da una doppia vicepresidenza. Se vi saranno due sezioni del Consiglio Superiore della Magistratura, una sezione avrà un vicepresidente politico – il Guardasigilli – un’altra avrà un vicepresidente non politico: il magistrato: in una sezione si opererà questo collegamento e questo agganciamento fra questi vari poteri; nell’altra no: il che mi pare assurdo e inammissibile.

MANCINI. Perché due sezioni?

MOLÈ. Perché esistono in molti ordinamenti vigenti e comunque ci saranno. E del resto, anche se una sola sezione fosse presieduta dai due vicepresidenti, la situazione non muterebbe. Ci sarebbe sempre una mescolanza di due criteri, una contaminazione, supremamente illogica. Senza poi contare che metteremmo sullo stesso piano il Ministro Guardasigilli ed il primo presidente della Corte di cassazione. E anche questo rappresenta una confusione, una parificazione, una contaminazione fra due funzioni, che devono essere separate e che, da un punto di vista gerarchico ed amministrativo, non sono sullo stesso piano. È perciò prima necessario stabilire se ci sarà un solo o ci saranno due vicepresidenti, per stabilire poi se alla vicepresidenza chiameremo il Guardasigilli.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Vorrei che l’onorevole Presidente chiarisse il quesito: se fosse respinta la mia proposta, possiamo poi votare per due vicepresidenze, una delle quali vada al Ministro della giustizia, oppure no? (Commenti).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. A mio parere si può votare con tutta tranquillità per divisione la prima parte, che comprende il Ministro di grazia e giustizia come vicepresidente. Ciò non esclude affatto che si possa successivamente votare per un altro vicepresidente; e in questo senso noi avevamo concordato con l’onorevole Preti ed altri. Ma è una difficoltà che può essere risolta dal Comitato di redazione.

Prima votiamo per la vicepresidenza del Ministro Guardasigilli e poi votiamo per la vicepresidenza anche del primo presidente della Corte di cassazione. Io credo che, così facendo, si può venire incontro alle preoccupazioni testé espresse dal collega Leone Giovanni, il quale sostiene che il primo presidente della Corte di cassazione debba essere vicepresidente.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. A me pare che dobbiamo anzitutto decidere se il Consiglio Superiore della Magistratura debba avere un solo vicepresidente, oppure due. Quando, poi, ci sia deciso in un senso o nell’altro, si procederà ad indicare quali siano quelli che dovranno ricoprire l’una o le due vicepresidenze.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Aderisco, a nome del mio Gruppo, alla proposta fatta dall’onorevole Mastino. A noi sembra, infatti, che la discussione che si è svolta abbia dimostrato la difficoltà di attuare una diversa procedura. Sembra quindi anche a noi che si debba prima procedere alla determinazione del principio se si debba avere un’unica vicepresidenza o se si debbano avere invece due vicepresidenze, e successivamente votare chi questa vicepresidenza o queste vicepresidenze debba o possa ricoprire.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Mi permetto di proporre che sia messo per primo ai voti l’emendamento dell’onorevole Perlingieri, essendo ovvio che si può essere favorevoli alla vicepresidenza del Guardasigilli, se tutto il Consiglio Superiore della Magistratura sarà composto di magistrati, come si può essere contrari nel caso opposto, per cui non mi sembra che l’emendamento dell’onorevole Perlingieri si possa votare per divisione.

Esso mi sembra strettamente connesso, per le ragioni che ho ora segnalato: io, per esempio, voterei per l’emendamento Perlingieri, perché trovo in esso appagata la duplice esigenza del collegamento fra il potere esecutivo e il potere giudiziario e dell’indipendenza del potere giudiziario. Viceversa, in un Consiglio Superiore della Magistratura in cui i due elementi, giudiziario e politico, si equilibrino, la posizione del Guardasigilli come vicepresidente dell’organismo potrebbe, a mio avviso, turbare questo equilibrio.

PRESIDENTE. La richiesta presentata e sostenuta dall’onorevole Condorelli mi pare non possa essere accolta, per la semplice ragione che ciò che vale per la proposta dell’onorevole Perlingieri, vale per tutte le altre proposte. È pertanto evidente che se noi ponessimo in votazione questi testi nella loro interezza, sarebbe difficile all’Assemblea di prendere una decisione d’insieme.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, a me sembra che i due punti su cui ci dobbiamo fermare sono: la duplice od unica vicepresidenza, e la formazione del Consiglio o misto, in parte laico e in parte togato, o tutto di magistrati. Io prego quindi l’onorevole Presidente di voler innanzitutto sottoporre all’Assemblea questi due quesiti. Dopo che l’Assemblea si sarà pronunciata su queste due questioni pregiudiziali, allora soltanto sarà da vedere chi dovranno essere i due eventuali vicepresidenti e come dovrà essere composto il Consiglio.

Propongo, in altre parole, di andare dall’astratto al concreto: mi sembra il sistema più logico.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei insistere per questo sistema di votazione che, visto sul testo base, mi pare sia abbastanza semplice.

Che cosa considera, in sostanza, il testo base? Considera prima il Presidente, poi i vicepresidenti, indi la formazione del Consiglio.

La prima questione l’abbiamo risolta; adesso ci troviamo dinanzi alla seconda questione: cioè alla vicepresidenza.

Propongo che si voti sulla vicepresidenza nella sua complessità, mettendo in votazione successivamente le diverse proposte che la concernono, nell’ordine solito, cioè a seconda che si allontanino dal testo base.

Ora, il testo propone un’unica vicepresidenza, quella del primo presidente della Corte di cassazione; a me pare quindi evidente che le proposte che più si allontanano dal testo sono quelle che parlano di due vicepresidenti, con una vicepresidenza politica. Quindi si potrebbe votare in quest’ordine: prima votare le diverse soluzioni che contemplano due vicepresidenti e poi venire a mano a mano a soluzioni che contemplano un solo vicepresidente. (Commenti – Interruzioni).

Mi dichiaro contrario alla proposta dell’onorevole Persico, perché la questione non può essere posta in astratto. Noi dobbiamo votare la questione della vicepresidenza nella sua complessità. (Commenti).

CARBONI ANGELO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ANGELO. Ci troviamo arenati su questo punto: un vicepresidente o due vicepresidenti?

Se dovessimo votare secondo il testo, la questione non si potrebbe risolvere, perché il testo presuppone un solo vicepresidente nella persona del Primo presidente della Corte di cassazione.

Forse mi si potrà obiettare che presento tardivamente un emendamento; ma ciò deriva dalla situazione in cui ci troviamo, per uscire della quale propongo che, di seguito alle parole già approvate: «Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica», si metta in votazione la seguente formula: «è composto di due vicepresidenti, dei quali, ecc.».

In questo modo decideremo della duplice o dell’unica vicepresidenza; e secondo che il voto dell’Assemblea sarà per l’una o per l’altra soluzione, passeremo poi a considerare le altre ipotesi; altrimenti noi saremo sempre arenati al punto in cui ci siamo fermati.

Quindi, propongo formalmente questo emendamento al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Non mi rammarico di avere, prima di passare alla votazione, richiamato l’attenzione dell’Assemblea su questo punto, sul quale nessuno si era soffermato.

La proposta dell’onorevole Carboni Angelo, che riprende quella dell’onorevole Persico, mi pare appunto la migliore.

Ripeto all’onorevole Laconi che la sua proposta di votare le varie formule avrebbe sicuramente questo effetto: che nessuna formula otterrebbe la maggioranza, perché ciascun deputato respingerebbe quelle che non rispondono al proprio punto di vista, riservandosi di votare la formula che vi risponde. Invece l’emendamento Carboni obbligherà ciascuno a fare una sceverazione, lasciando cadere ciò che della propria formula non può essere mantenuto.

Passiamo, intanto, alla votazione della formula proposta dagli onorevoli Carboni Angelo e Persico: «è composto di due vicepresidenti».

CACCURI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne Ha facoltà.

CACCURI Vorrei sapere quale dei due dovrebbe presiedere in assenza del presidente. (Commenti).

PRESIDENTE. Il quesito che lei pone, onorevole Caccuri, potrà essere risolto successivamente se sarà approvato l’emendamento Carboni Angelo.

DOMINEDÒ Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro a nome dei miei colleghi di Gruppo che voteremo contro l’emendamento che contempla la doppia vicepresidenza, sia per le ragioni costituzionali testé accennate, sia per le difficoltà tecniche inerenti alla eventuale distribuzione dei compiti nel caso di duplicazione della figura del vicepresidente.

PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione la seguente formula proposta dall’onorevole Carboni Angelo: «è composto di due vicepresidenti».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Vengono con ciò a decadere gli emendamenti che proponevano due vicepresidenti.

Porrò in votazione pertanto le proposte relative ad un solo vicepresidente.

Onorevole Preti, mantiene la sua proposta?

PRETI. La mantengo.

PRESIDENTE. E allora voteremo per prima la proposta dell’onorevole Preti, secondo la quale la vicepresidenza deve essere affidata al Ministro di grazia e giustizia.

Su questa proposta è stata chiesta, come ho già annunziato, la votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione segreta.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti                               326

Votanti                                325

Astenuto                             1

Maggioranza           163

Voti favorevoli        129

Voti contrari                        196

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Allegato – Arcaini – Arcangeli – Ayroldi – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappa – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cerreti – Chatrian – Chiaramello – Chieffi –Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro– Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Proia – Pucci.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Ruggeri Luigi – Ruini.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Tega – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Venditti – Vicentini – Vigo – Villabruna – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zuccarini.

Si è astenuto:

Tomba.

Sono in congedo:

Arata.

Bergamini.

Carmagnola – Cavallari.

Dugoni.

Jacini.

Lizzadri.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Tambroni – Tosi.

Vanoni – Viale.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’Assemblea ha deliberato che il Consiglio Superiore della Magistratura abbia un solo Vicepresidente ed ha escluso che questo Vicepresidente possa essere il Ministro Guardasigilli.

Ora, vorrei chiedere ai colleghi che avevano proposto due Vicepresidenti di indicare il Vicepresidente che intendono conservare.

SCALFARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Avevo proposto due Vicepresidenti: il Primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di Cassazione. Ora propongo a Vicepresidente unico il Primo Presidente della Corte di Cassazione aderendo alla proposta della Commissione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Propongo la seguente formula:

«Un Vicepresidente scelto fra i membri designati dal Parlamento».

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Propongo che invece di «scelto» si dica «eletto».

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Chiedo all’onorevole Lussu se sia disposto a specificare meglio nell’emendamento proposto se il designato o l’eletto debba essere membro del Parlamento.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Accettiamo la formula «eletto» tra i membri designati dal Parlamento, il che importerebbe l’elezione del Vicepresidente da parte del Consiglio Superiore. Si potrebbe completare la formula dicendo: «eletto dal Consiglio Superiore tra i membri designati dal Parlamento».

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Desidererei di far rilevare agli onorevoli colleghi la portata di questo emendamento aggiuntivo. È chiara la preoccupazione della grande maggioranza dell’Assemblea per l’influenza eventuale che il potere esecutivo potrebbe domani esercitare sulla Magistratura. Questa proposta elimina questa preoccupazione, poiché il Vicepresidente del Consiglio Superiore non sarà un rappresentante del potere esecutivo, ma sarà uno di quegli elementi tecnici e quindi perfettamente capaci, designati dal Parlamento, ed eletto dal Consiglio Superiore, quindi dai tecnici e dai magistrati. A noi pare che una proposta di questo genere possa perfettamente tranquillizzare le preoccupazioni che giustamente sono sorte in gran parte di questa Assemblea.

ABOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Onorevole Presidente, penso che la proposta dell’onorevole Lussu non possa essere messa in votazione se prima non si decide se vi saranno membri eletti dal Parlamento nel Consiglio Superiore. Qualche emendamento propone che il Consiglio debba essere formato solo di magistrati. Quindi, a me pare che prima bisogna risolvere questo problema. (Approvazioni a destra).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Volevo obiettare la stessa cosa: abbiamo la proposta dell’onorevole Perlingieri di comporre un Consiglio tutto estratto dalla Magistratura. Non possiamo stabilire nulla se non abbiamo prima chiarito la questione pregiudiziale: Consiglio composto tutto di magistrati o Consiglio misto.

PRESIDENTE. Sono dello stesso parere e sospendo pertanto la votazione sulla questione della Vicepresidenza. Esaminiamo quindi la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Passando in rassegna i vari emendamenti e il testo, risulta che, quasi tutti propongono che ne faccia parte il Primo Presidente della Corte di Cassazione.

Pongo pertanto in votazione la partecipazione di diritto al Consiglio Superiore della Magistratura del Primo Presidente della Corte di Cassazione.

(È approvata).

Vi è ora la proposta che faccia parte del Consiglio Superiore della Magistratura quale membro di diritto il Procuratore generale della Corte di Cassazione. Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Ed ora, onorevoli colleghi, passando agli altri componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, si pone il primo quesito se si debba, nel testo costituzionale, fissarne il numero, oppure rimetterlo alle leggi che regoleranno l’ordinamento generale della Magistratura. Il testo lascia indeterminato il numero, così come la maggior parte degli emendamenti. Vi è solo il testo dell’onorevole Abozzi che indica in otto il numero dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura.

Onorevole Abozzi, conserva la sua proposta?

ABOZZI. La ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Ed allora, a questo proposito possiamo conservare senza altro il testo indeterminato della Commissione, che è ripreso da alcuni degli emendamenti.

Pongo in votazione l’espressione:

«e di membri».

(È approvata).

Ed ora si pone la questione della durata in carica dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura. Faccio presente che il testo della Commissione indica questo tempo in quattro anni.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Targetti che la fissa in tre anni; quella dell’onorevole Nobili Tito Oro che la fissa in sei; poi la proposta degli onorevoli Scalfaro e Perlingieri, che la elevano a sette ami, e dell’onorevole Abozzi che la precisa in cinque anni.

SCALFARO. Rinuncio alla mia proposta e mi associo a quella della Commissione.

PERLINGIERI. Mi associo anch’io alla proposta della Commissione e ritiro la mia.

ABOZZI. Intendo associarmi anch’io alla proposta della Commissione.

TARGETTI. Ritiro la mia proposta dei tre anni per accettare la proposta della Commissione.

NOBILI TITO ORO. Io avevo proposto sei anni, ma con la rinnovazione periodica, di due anni in due anni, di un terzo del Consiglio; comunque mi accontento della proposta della Commissione per la durata di 4 anni e ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la proposta della Commissione, del seguente tenore: «designati per quattro anni».

(È approvata).

Ora c’è la questione se i membri eletti nel Consiglio Superiore della Magistratura siano rieleggibili oppure no. Gli onorevoli Costantini e Nobili Tito Oro hanno proposto che questi membri non possono essere rieletti immediatamente. Onorevole Costantini, mantiene la sua proposta?

COSTANTINI. La mantengo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione dell’onorevole Costantini del seguente tenore:

«I membri del Consiglio Superiore della Magistratura non sono rieleggibili».

(È approvata).

Ed ora, onorevoli colleghi, si tratta di vedere tra quali categorie di persone debbano essere scelti i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura.

A questo proposito vi sono numerosi emendamenti. Molti riprendono la proposta stessa della Commissione, come quelli degli onorevoli Targetti, Grassi, Perrone Capano. L’onorevole Scalfaro propone che siano scelti due terzi tra i magistrati e un terzo dal Parlamento.

Vi sono, infine, gli emendamenti degli onorevoli Abozzi e Perlingieri, che propongono che tutti i membri del Consiglio Superiore della Magistratura siano magistrati.

Prego gli onorevoli Abozzi e Perlingieri di dichiarare se conservano le loro proposte.

ABOZZI. La conservo.

PERLINGIERI. La ritiro.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidererei che restasse chiarito che i tre membri di diritto sottraggono un numero corrispondente a questa quota della metà. In sostanza, questi tre membri sarebbero fuori del computo della metà?

PRESIDENTE. È chiaro, qui si parla dei membri eletti..

Allora, onorevoli colleghi, restano soltanto tre proposte.

Proposta dell’onorevole Abozzi: tutti magistrati; proposta dell’onorevole Scalfaro: due terzi magistrati; proposta della Commissione uguale a quella degli onorevoli Targetti, Grassi, Perrone Capano: metà magistrati e metà eletti dal Parlamento.

Sulla proposta dell’onorevole Abozzi è stata chiesta dallo stesso onorevole Abozzi e da altri la votazione a scrutinio segreto.

Onorevole. Abozzi, desidererei pregarla di considerare quale significato abbia, ai fini delle previsioni che si possono fare sul voto, il fatto che non vi è che la sua proposta in questi termini, dato che l’onorevole Perlingieri ha ritirato la propria e che tutti gli altri emendamenti ammettono la partecipazione al Consiglio Superiore della Magistratura di una parte di membri che non siano magistrati.

ABOZZI. Non insisto sulla domanda di votazione a scrutinio segreto; però mantengo l’emendamento.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Il testo del progetto e l’emendamento degli onorevoli Targetti, Grassi e Perrone Capano concepivano il Consiglio Superiore della Magistratura composto in perfetta metà di magistrati e membri eletti dal Parlamento.

Quando l’emendamento degli onorevoli Targetti e altri fu presentato, la situazione era che le proposte sino allora avanzate non designavano alcun membro di diritto. Dopo le votazioni ora avvenute, le quali hanno creato due membri di diritto nella persona del Primo Presidente di Cassazione e del Procuratore generale, se l’emendamento Targetti mantiene la primitiva dizione di metà e metà, si viene a dare la maggioranza ai membri scelti dai magistrati.

Ora, io credo che questa non fosse l’intenzione dei proponenti l’emendamento e pregherei quindi i colleghi onorevole Targetti e onorevole Grassi di modificare il loro emendamento nel senso che il Consiglio Superiore della Magistratura risulti composto per metà da membri eletti dai giudici e per metà da membri eletti dal Parlamento.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Mi pare, onorevole Presidente, che noi abbiamo già votato il primo comma del testo originario della Commissione, col quale si stabilisce che la Magistratura è un ordine autonomo ed indipendente. Ora vogliamo confermare questo principio, vogliamo osservarlo veramente, oppure seppellirlo?

Questo è quello che dobbiamo decidere. Se questo vogliamo stabilire ed osservare, non dobbiamo stare a fare la questione di un rappresentante di più o di un rappresentante di meno, quando è stata già strappata, nella formazione di quel Consiglio Superiore che avrebbe dovuto essere l’organo e la garanzia dell’autonomia e della indipendenza, una rappresentanza paritetica della Magistratura e del Parlamento; quando cioè a quel Consiglio che avrebbe dovuto essere strumento di autonomia, e quindi rappresentanza esclusiva della Magistratura, si è portata una duplice contrapposta rappresentanza, che è espressione di dualismo e di controllo e quindi negazione di autonomia e di indipendenza. (Applausi).

Pongo il quesito alla Commissione, la quale, a mio modesto avviso, dovrebbe opporsi a votazioni di emendamenti che sono preclusi dalle deliberazioni già assunte, anche se presentati sub specie di chiarimenti. (Approvazioni).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare per fare osservare prima di tutto all’Assemblea, che, come ha già accennato l’onorevole Lami Starnuti, quando abbiamo presentato la proposta della parità fra magistrati e membri laici, si partiva dai presupposto che non facessero parte di diritto del Consiglio Superiore della Magistratura due magistrati, ma uno: quindi oggi ci troviamo, in seguito alle votazioni avvenute poco fa, di fronte due magistrati membri di diritto. Uno di più, quindi.

Ora, sarebbe difficile rimettere in perfetto equilibrio la composizione del Consiglio. Ecco perché, da parte nostra, ci rassegniamo a questa disparità di rappresentanza.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Mantengo l’emendamento così come è formulato.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Abozzi secondo il quale il Consiglio Superiore deve essere composto esclusivamente di magistrati.

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento dell’onorevole Scalfaro, il quale propone che il Consiglio Superiore della Magistratura sia costituito di membri designati per due terzi di magistrati e per un terzo dal Parlamento.

SCALFARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Desidererei sostituire alla parola «designati» l’altra «eletti».

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. La parola «eletti» contrasta con la sostanza del mio emendamento, che esclude l’elezione e vuole la designazione ope legis.

PRESIDENTE. Sta bene, ma per ora decidiamo soltanto della qualità dei componenti e la sua proposta rimane impregiudicata.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Scalfaro che il Consiglio Superiore della Magistratura sia composto per due terzi da magistrati – salvo ad indicare poi il modo della scelta o della designazione – e per un terzo da membri eletti o, comunque, designati dal Parlamento.

(Dopo prova e controprova e votazione per divisione, è approvata).

Si tratta ora di determinare il modo col quale i due terzi di magistrati e il terzo degli altri membri debbano essere eletti o designati. Tutti gli emendamenti ed anche il testo della Commissione impiegano il termine «designati». Poco fa, si è parlato della sostituzione della parola «eletti» alla parola «designati». Io chiedo, sia alla Commissione, che ai presentatori dei vari emendamenti, se intendano procedere a questa sostituzione.

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Su due piedi io proporrei «nominati» perché «nominati» è più vasto di «designati» e comprende l’elezione senza accentuare il colorito elettoralistico. Ma, se volete, va bene anche «eletti», che è se ben ricordo, la parola adoperata nella legge attuale sul Consiglio della Magistratura.

Una voce. Nominati da chi?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Da loro, dalle categorie.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha trovato così un terzo termine, il che non semplifica la questione, ma anzi, la rende più difficile da risolvere.

PERSICO. Propongo la dizione «eletti».

PRESIDENTE. Adoperiamo intanto questo termine, salvo nella redazione finale vedere quello che è più opportuno.

Per la scelta dei due terzi dei membri del Consiglio Superiore, che devono essere magistrati, vi è la proposta della Commissione, che è poi quella di tutti gli emendamenti, a tenore della quale si deve procedere ad una elezione, salvo poi a vederne le modalità; dall’altra parte v’è la proposta dell’onorevole Condorelli, che propone che i magistrati non siano eletti, ma siano invece designati direttamente dalla legge, in base ad anzianità di carriera e con criteri di distribuzione territoriale per categoria.

Tengano dunque presente che si tratta della contrapposizione di due mezzi: l’elezione da una parte, dall’altra parte invece una indicazione fatta dalla legge.

Secondo la proposta dell’onorevole Condorelli, il testo dovrebbe suonare così:

«fra tutti i magistrati direttamente dalla legge, in base all’anzianità di carriera e con criteri di distribuzione territoriale per categoria».

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Il testo della Commissione suona così: «secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

Vi sono a questa parte del testo della Commissione degli emendamenti i quali cercano di dare già alcune indicazioni. Così gli onorevoli Scalfaro, Perlingieri e Abozzi propongono che si dica: «da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie».

L’onorevole Targetti va ancora oltre e propone: «da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle varie categorie, in rappresentanza di ciascuna di queste». Egli pone quindi delle condizioni sia per l’elettorato attivo come per l’elettorato passivo in questo particolare collegio elettorale.

Passiamo alla votazione del testo proposto dall’onorevole Targetti: «fra gli appartenenti alle varie categorie in rappresentanza di ciascuna di queste».

(Non è approvato).

Pongo in votazione la formulazione dell’onorevole Perlingieri, simile a quella degli onorevoli Abozzi e Scalfaro: «da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie».

(È approvata).

Onorevoli colleghi, io penso che la votazione che abbiamo fatto in questo momento debba essere considerata come un emendamento aggiuntivo, perché non vi è dubbio che con la semplice indicazione testé votata non è tutto esaurito il problema di queste elezioni, ed è bene quindi rimettere all’ordinamento giudiziario la determinazione dei restanti particolari.

Pongo in votazione il testo della Commissione, restando così inteso che la votazione precedente si considera un emendamento aggiuntivo:

«secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

(È approvato).

Ed allora passiamo all’altra parte dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, cioè a quel terzo la cui nomina dovrebbe essere rimessa al Parlamento. Il testo Conti, accettato dalla Commissione dice a questo punto: «…fra persone che appartengono alle seguenti categorie: magistrati dell’ordine giudiziario e amministrativo a riposo; professioni ordinari di materie giuridiche nelle Università; avvocati dopo quindici anni di servizio».

A questo testo sono stati presentati vari emendamenti. L’onorevole Targetti vuole rimettere completamente alla legge la determinazione delle norme di eleggibilità per questi membri designati dal Parlamento. L’onorevole Scalfaro intende anch’egli lasciare alla legge la determinazione dei modi e delle forme, ma con una condizione posta immediatamente, e cioè che il Parlamento debba scegliere fuori dal proprio seno coloro che elegge a rappresentanti nel Consiglio Superiore della Magistratura. Vi è poi l’onorevole Perrone Capano che aggiunge anche la condizione che gli avvocati debbano essere fuori dall’albo forense.

PERRONE CAPANO. Ritiro l’emendamento.

BUBBIO. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei chiarire: la questione che i designati non possono far parte dell’Assemblea e che debbono essere tolti temporaneamente dall’albo è in una disposizione successiva del testo della Commissione.

PRESIDENTE. Mi pare che l’onorevole Perrone Capano volesse intendere che gli avvocati fossero fuori dall’albo forense prima di essere eletti. Comunque prego l’onorevole Bubbio, che ha fatto proprio l’emendamento, di chiarire in quale senso lo interpreta.

BUBBIO. Nel senso che non siano eleggibili coloro che sono iscritti all’albo forense.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’ineleggibilità di chi è avvocato equivale ad eliminare dalle categorie di eleggibili quella degli avvocati. Qui si deve trattare di incompatibilità, non di ineleggibilità.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare per spiegare la ragione per cui ritiro il mio emendamento. Il mio emendamento era ispirato dalla considerazione della eccezionale importanza che questo ufficio avrebbe ricoperto.

Quando si trattava di nominare per metà il Consiglio Superiore della Magistratura da parte del Parlamento e di nominare a questa importantissima carica dei laici, io ritenevo che la scelta dovesse esser molto cauta e dovesse presentare gravi difficoltà; e non mi sembrava che le tre categorie proposte dalla Commissione potessero sodisfare interamente questa grave esigenza.

Ma l’Assemblea ha votato l’emendamento Scalfaro, il quale porta a queste conseguenze: ammesso che i membri elettivi del Consiglio Superiore della Magistratura siano 21, 16 saranno magistrati, 8 saranno laici, e siccome ai 16 magistrati eletti andranno aggiunti il primo presidente della Cassazione ed il procuratore generale, questi poveri e disgraziati 8 laici si troveranno di fronte ad una forte maggioranza che ridurrà ai minimi termini la loro influenza. Pertanto ritiro il mio emendamento.

SCALFARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Il mio emendamento, poiché questa mattina ho aggiunto «per un terzo dal Parlamento fuori del proprio seno» pone le tre categorie. Ora, io chiederei che si votassero anzitutto le parole: «fuori del proprio seno», e quindi le categorie.

PRESIDENTE. Pongo dapprima in votazione la formula proposta dall’onorevole Scalfaro:

«fuori del proprio seno».

(È approvata).

Passiamo alla questione delle categorie.

Secondo la Commissione, questi membri del Consiglio Superiore della Magistratura da eleggersi dal Parlamento, devono essere scelti o appartenere alle seguenti categorie: «magistrati dell’ordine giudiziario e amministrativo a riposo; professori ordinari di materie giuridiche nelle università; avvocati dopo quindici anni di esercizio». L’emendamento presentato dall’onorevole Grassi riprende la stessa elencazione di categorie, con la condizione, però, che gli avvocati siano cancellati dagli albi professionali.

Infine vi è la proposta dell’onorevole Scalfaro, che a sua volta elenca le stesse tre categorie.

SCALFARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Vorrei precisare che la prima categoria è formulata nel mio emendamento in modo un po’ diverso. Gli altri propongono «magistrati a riposo»; io, invece, propongo «magistrati, anche a riposo». (Commenti).

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. L’onorevole Scalfaro mi darà atto che la sua proposta non è, per così dire, originale, perché è stata da lui ripresa dal testo primitivo dell’emendamento a firma dell’onorevole Conti ed altri.

In realtà, in quel primo testo si parlava di «magistrati dell’ordine giudiziario ed amministrativo anche a riposo».

Senonché, si è considerato che quell’«anche» doveva essere tolto, per evidenti ragioni: per evitare, cioè, che magistrati in servizio attivo concorrano alla elezione da parte del Parlamento. È bene che i magistrati in servizio attivo siano eletti dal Consiglio e non curino di essere eletti da parte del Parlamento.

Per questo noi abbiamo soppresso la parola «anche». Credo che l’onorevole Scalfaro dovrà egli pure convenire sulla opportunità di questa soppressione.

SCALFARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Aderisco a quanto ha dichiarato l’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Quindi, l’unica formulazione per la prima categoria resta quella proposta dalla Commissione:

«magistrati dell’ordine giudiziario ed amministrativo a riposo».

La pongo in votazione.

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, non è approvata).

Passiamo alla seconda categoria.

La formula della Commissione è la seguente:

«professori ordinari di materie giuridiche nelle Università».

La formula dell’onorevole Grassi è questa:

«professori ordinari di Università in materie giuridiche».

La formula dell’onorevole Scalfaro è la seguente: «professori universitari di ruolo in materie giuridiche».

Lei mantiene il suo emendamento, onorevole Scalfaro?

SCALFARO. Dichiaro di aderire alla formula della Commissione.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Grassi?

GRASSI. Aderisco al testo della Commissione, perché in esso è detto: «professori ordinari».

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la seguente formulazione:

«professori ordinari di materie giuridiche nelle Università».

(È approvata).

Infine vi è la categoria:

«avvocati dopo quindici anni d’esercizio».

Pongo in votazione questa formula.

(È approvata).

Pongo in votazione la formula della Commissione, che è poi uguale a quella dell’onorevole Scalfaro:

«cessa, finché dura tale carica, di essere iscritto negli albi professionali».

(È approvata).

Vi è ancora nel testo della Commissione questa ulteriore condizione per tutti i membri del Consiglio Superiore della Magistratura:

«e non può essere membro del Parlamento, o di un Consiglio regionale».

Poiché non vi sono proposte di emendamento, la pongo in votazione.

(È approvata).

Resta ora aperta la questione della vicepresidenza. Poiché ormai è stato stabilito che fanno parte del Consiglio Superiore della Magistratura per un terzo membri desinati, o eletti, o nominati dal Parlamento, è rimasta impregiudicata la proposta dell’onorevole Lussu, che il vicepresidente sia eletto fra i membri designati dal Parlamento.

Su questa proposta l’onorevole Lussu ed altri hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto.

LUSSU. Ritiro la richiesta votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Ed allora passiamo alla votazione.

MORO. Chiedo la votazione pei appello nominale.

PRESIDENTE. Domando se questa richiesta è appoggiata.

(È appoggiata).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Avevo ritirata la richiesta di scrutinio segreto per non far perdere tempo all’Assemblea; ma se si chiede l’appello nominale, io insisto nella richiesta di scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione a scrutinio segreto dell’emendamento proposto dall’onorevole Lussu:

«da un vicepresidente eletto tra i membri designati dal Parlamento».

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto.

Presenti                               311

Votanti                                310

Astenuti                  1

Maggioranza           156

Voti favorevoli        159

Voti contrari            151

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Ayroldi – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Cannizzo – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chiaramello – Chieffi – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabiani – Facchinetti – Fantoni – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Fornara – Fresa – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giordani – Giua – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jacometti.

Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Mariani Enrico – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Morandi – Moranino – Morini – Moro – Mortati – Murdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Pastore Raffaele – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rognoni – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Selvaggi – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Terranova – Togliatti – Tomba – Tonello – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigo – Villabruna – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zuccarini.

Si è astenuto:

Minio.

Sono in congedo:

Arata.

Bergamini.

Carmagnola – Cavallari.

Dugoni.

Jacini.

Lizzadri.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Tambroni – Tosi.

Vanoni – Viale.

Sì riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo all’ultimo comma dell’articolo 97:

«Spettano al Consiglio Superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni ed i provvedimenti disciplinari».

A questo testo è stato presentato il seguente emendamento dall’onorevole Grassi:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, nomina le commissioni per le assunzioni in carriera e per le promozioni dei magistrati; procede agli scrutini; delibera sulla dispensa, sulla sospensione dal servizio, sul trasferimento ad altra sede o destinazione ad altra funzione, quando non vi sia il consenso del magistrato; provvede in materia disciplinare; esprime il parere, nei casi indicati dalla legge, per i magistrati del pubblico ministero».

Ha facoltà di svolgerlo.

GRASSI. Insisto nel mio emendamento per le ragioni che ho spiegato questa mattina. In altri termini, il Consiglio Superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, deve nominare le commissioni per le assunzioni e le promozioni dei magistrati e deve procedere agli scrutini. Ossia, bisogna che la legge costituzionale stabilisca le funzioni e i limiti del Consiglio Superiore della Magistratura.

Di conseguenza, se noi omettiamo di indicare espressamente ciò, possiamo correre il rischio, così come mi è stato prospettato dagli uffici responsabili, che il Consiglio Superiore debba procedere direttamente a queste funzioni, mentre, secondo l’attuale ordinamento, il Consiglio Superiore procede soltanto agli scrutini per i gradi superiori, ossia per i gradi quinto, quarto e terzo, perché, secondo l’ordinamento attuale, le promozioni ai gradi secondo e primo sono riserbate al Consiglio dei Ministri (mentre ora, s’intende, passerà tutto al Consiglio Superiore).

Mi pare quindi che con questi emendamenti, accettati anche, se non erro, dalla Commissione, secondo la dichiarazione dell’onorevole Parassi, si possa meglio precisare quello che è l’indirizzo della competenza del Consiglio Superiore.

PERASSI. Avevo accettato qualche emendamento, ma non avrei potuto parlare a nome della Commissione.

GRASSI. Il punto fondamentale del mio emendamento, onorevoli colleghi, è invece la parte che riguarda la Magistratura requirente: è questo il punto sostanziale sul quale domando l’attenzione dalla Commissione e dall’Assemblea. Non è possibile infatti lasciare che anche la Magistratura requirente, che oggi è sotto la direzione del Ministro della giustizia e che svolge un’attività d’ordine anche esecutivo nel campo giudiziario ed anche fuori dal campo giudiziario – perché tutto l’ordinamento delle carceri, dei minori, dello stato civile, e nell’interesse della legge, per cui bisogna molte volte fare dei ricorsi, è mosso dal Ministro dalla giustizia attraverso l’ufficio del pubblico ministero – non è possibile, dicevo, cha la Magistratura requirente venga distaccata dal Ministro della giustizia.

La mia proposta quindi è che, per quanto riguarda il pubblico ministero, il Consiglio Superiore della Magistratura possa soltanto dare dei pareri non vincolanti.

Io desidero pertanto sapere se la Commissione accetta tale mio punto di vista, perché, ove tale mio criterio non dovesse prevalere, mancherebbe ogni raccordo fra il potere esecutivo e il potere giudiziario; mancherebbe quella possibilità di responsabilità, che voi stessi volete dare, con un articolo aggiuntivo, al Ministro di giustizia. Ma la responsabilità sarebbe perfettamente inutile, se non vi fossero indicate anche le funzioni, alle quali deve attendere nell’interesse dell’amministrazione giudiziaria.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuole esprimere il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quanto riguarda il testo dell’onorevole Grassi, egli sa quello che io ho detto questa mattina. Ormai, del resto, questo articolo è stato votato così caoticamente a destra e a sinistra, che quelli stessi che hanno presentato emendamenti hanno votato contro: temo che si possa continuare così.

Questa mattina io ho detto che il Comitato era entrato nell’ordine di idee, di stabilire con maggiore semplicità i compiti del Consiglio Superiore della Magistratura, riducendoli ai quattro punti essenziali. Se cominciamo a dire: nomina la Commissioni per i concorsi, fa gli scrutini, ecc., questo diventa un regolamento. Posso assicurare l’onorevole Grassi che, evidentemente, non ci sarà il pericolo che il Consiglio Superiore della Magistratura nomini i magistrati senza fare regolari esami, eccetera. Vi sarà la legge sull’ordinamento giudiziario, che sarà stabilita dalle Camere, e darà ogni garanzia a questo riguardo.

Credo che, per una ragione di stile, non sia il caso di scendere in minute specificazioni. Se entriamo nelle specificazioni, potranno essere incomplete; e sarà dubitabile se altre ne possano introdursi per legge.

La questione del pubblico ministero è una questione non semplice, onorevoli colleghi. Vi dirò la mia impressione in due parole. La questione se debba avere tutte e le stesse garanzie del magistrato dipende dalla figura che avrà il pubblico ministero. Se noi avessimo un pubblico ministero come è nei Paesi anglosassoni, in cui è una parte che discute con l’altra parte, credo si dovrebbero richiedere le garanzie che spettano alla Magistratura, perché avrebbe un altro profilo. Ma da noi il pubblico ministero, il procuratore della Repubblica, ha una veste che, per certi profili, implica funzioni di magistrato (basta che voi pensiate a ciò che è nel giudizio sommario) mentre d’altra parte ha funzioni che non attengono alla funzione giudiziaria vera e propria. Ha dunque una figura composita, mista e, se volete, ibrida.

Il Comitato non fa proposte sue, è perplesso, e non si sente di accettare la proposta dell’onorevole Grassi, che il Consiglio della Magistratura dovrebbe pel pubblico ministero non deliberare, ma esprimere parere. Ad ogni modo la questione va sospesa e rinviata, sia pure di pochissimo (e così potremo risolverlo meglio) all’articolo successivo del testo originario, in cui si proponeva la parificazione perfetta, per le garanzie, del magistrato requirente e del giudicante. La decisione su questo capoverso dell’onorevole Grassi sulle funzioni del Consiglio Superiore – di deliberazione o di semplice parere – per le garanzie del pubblico ministero è evidentemente subordinata a quanto si deciderà sulle garanzie del pubblico ministero.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Se l’onorevole Grassi è d’accordo con l’onorevole Ruini di separare le due parti del secondo comma del suo emendamento, cioè di rimandare ciò che si riferisce alla posizione del pubblico ministero a quando passeremo all’esame dell’articolo successivo, noi siamo favorevoli ad accettare l’emendamento Grassi nell’altra parte.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Io devo insistere, perché qui si tratta delle funzioni del Consiglio Superiore. Nell’articolo 99 si parla poi delle funzioni dei magistrati, e si dice che il pubblico ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati.

Il giorno in cui passa questo articolo, che dice che spetta al Consiglio Superiore di decidere circa l’assunzione, i provvedimenti disciplinari, ecc., non lo potete più escludere dopo, perché ormai la competenza è affermata in maniera precisa e chiara.

Quindi devo insistere dicendo che, mentre le promozioni, lo scrutinio, i trasferimenti ecc. sono affidati al Consiglio Superiore, il Consiglio Superiore, come sua competenza – siamo in tema di competenza – esprime solamente i pareri per i magistrati dell’ordine requirente.

Da questo non si può prescindere: in questo articolo bisogna dire qual è la competenza, e in un altro articolo qual è la posizione del magistrato.

Io aggiungo un’altra considerazione, che in questo mio emendamento era compresa anche un’altra parte, che altrimenti verrebbe a sfuggire. Si era detto che quando c’è la domanda da parte del magistrato, anche della parte requirente, non c’è bisogno di andare dinanzi al Consiglio Superiore per i trasferimenti da sede a sede.

Invito l’Assemblea a considerare questo punto, perché di fronte ad una semplice domanda del funzionario non è il caso di muovere il Consiglio Superiore; ma questo trasferimento può effettuarsi in seguito a semplice domanda con semplice atto del pubblico ministero.

Ecco le ragioni del mio emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Devo far osservare che l’onorevole Grassi ha confermato quello che ho detto io. Se decidiamo ora che il Consiglio Superiore della Magistratura dà soltanto parere, e non decide per la carriera del Magistrato requirente, veniamo a risolvere incidentalmente e senza discuterla la questione delle sue garanzie e della sua equiparazione o no (qui sarebbe il no) al magistrato giudicante. Il prius è di decidere tale questione, e lo faremo quando tratteremo delle garanzie pei magistrati; all’articolo successivo, se decideremo che il pubblico ministero deve avere le garanzie stesse dei magistrati giudicanti, non vi sarà più luogo a tornare all’emendamento Grassi a questo articolo. Se invece decideremo in senso diverso, riprenderemo l’esame dell’emendamento che ora abbiamo sott’occhio, e lo approveremo. Mi sembra questione di chiarezza logica.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. È una questione di competenza.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sì; qui è questione di competenza del Consiglio Superiore; e nell’articolo successivo è questione di garanzie del pubblico ministero; ma la logica vuole che questa seconda questione vada risoluta prima dell’altra. La Commissione ritiene che non vi possa essere dubbio.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Io sono del modesto parere che si debba rinviare all’esame dell’articolo 99 l’emendamento proposto dall’onorevole Grassi, perché, come esattamente rilevava or ora il Presidente della Commissione dei Settantacinque, il problema è più ampio. Non si tratta di stabilire quali sono i limiti di attribuzione del Consiglio Superiore nei confronti del Ministro della giustizia per quanto attiene alla carriera del pubblico ministero; ma si tratta di definire le funzioni, la natura, l’essenza del pubblico ministero.

Poiché a proposito dell’articolo 99 il problema viene in discussione – e segnalo che c’è un mio emendamento nel quale io vado molto più in là della richiesta dell’onorevole Grassi – io penso che quella sia la sede più propria per impostare il problema, e cioè per definire le funzioni del pubblico ministero.

Se noi diremo che il pubblico ministero è organo del potere giudicante, dovremo estendere ad esso necessariamente tutte le garanzie dei giudici così come è previsto dal progetto. Se, come sostengo, il pubblico ministero è organo del potere esecutivo, lo dobbiamo metter fuori dalle garanzie disposte per i giudici, salvo nella legge a dettagliare quel minimo complesso di garanzia che occorre per la sua funzione giudiziaria.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Forse non riesco a farmi capir bene, ma capisco bene quello che hanno detto l’onorevole Ruini e l’onorevole Leone. Ossia, l’Assemblea deve decidere se dare le stesse garanzie ai magistrati giudicanti e ai requirenti. Siamo perfettamente d’accordo; però non potete riservare una questione di competenza, tranne il caso che non si dica espressamente che è riservata. Perché, il fatto che domani direte, quando si parlerà di magistrati, che i magistrati requirenti non hanno le stesse garanzie, non equivale a stabilire la competenza del Consiglio Superiore per i magistrati requirenti.

Sono dunque due cose perfettamente distinte. Non capisco come un Presidente del Consiglio di Stato non si renda conto di una situazione così diversa. Qui siamo in tema di competenza. Nel tema di competenza, bisogna chiarire la competenza del Consiglio Superiore. Parliamo adesso del Consiglio Superiore, non del singolo magistrato.

Caso mai, possiamo dire di sospendere, di rimandare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma che cosa era la mia proposta se non una proposta di sospensione?

GRASSI. Lei ha detto che possiamo trattare la questione in sede di articolo 99, che è un’altra cosa. Possiamo sospendere la questione e non ho difficoltà, ma il giorno che non fosse sospesa, la questione sarebbe pregiudicata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E che cosa ho detto io?

GRASSI. Noi, votando l’articolo così com’è, senza questa parte del mio emendamento, senza dire che è sospesa, pregiudichiamo la questione. Ad ogni modo, sospendendo, siamo d’accordo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sono lieto che l’onorevole Grassi si sia raso conto della mia vera opinione. C’è voluto un po’ di tempo, ma ci siamo riusciti! Non occorre che faccia appello a tutta l’Assemblea perché dichiari che quanto avevo detto era chiarissimo; la ringrazio dei suoi segni di consenso; l’onorevole Grassi, dopo aver molto discusso, finisce con l’accettare tale e quale la mia proposta.

PRESIDENTE. Vi è la richiesta dell’onorevole Ruini di sospendere la decisione in merito all’ultima parte dell’emendamento Grassi. Resta inteso che quando si sarà deciso in sede di articolo 99, la decisione relativa al testo dell’emendamento dell’onorevole Grassi dovrà essere trasferita nell’articolo 97, dove vengono indicate le competenze del Consiglio Superiore della Magistratura.

(Così rimane stabilito).

Ora decidiamo sulle altre parti dell’ultimo comma, dove vengono indicate le competenze del Consiglio Superiore. Vi sono gli emendamenti degli onorevoli Bozzi, Abozzi, Perrone Capano e Varvaro, i quali considerano però soltanto una parte del testo complessivo.

Mentre infatti nel testo della Commissione, come nell’emendamento dell’onorevole Grassi, si parla di ciò che attiene alle assunzioni, assegnazioni e trasferimenti e promozioni dei magistrati, e poi infine ai provvedimenti disciplinari, negli emendamenti degli onorevoli Abozzi, Perrone Capano e Varvaro ci si riferisce soltanto ai provvedimenti disciplinari.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Aderisco al testo della Commissione, insistendo soltanto nella seconda parte del mio emendamento:

«delibera sulla dispensa, sulla sospensione dal servizio, sul trasferimento ad altra sede o destinazione ad altra funzione, quando non vi sia il consenso del magistrato».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Volevo fare osservare questo: si dice nell’emendamento dell’onorevole Grassi (del resto l’osservazione vale anche per il testo): «Il Consiglio superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, nomina le commissioni per le assunzioni in carriera e per le promozioni dei magistrati».

Mi fermo «per le assunzioni in carriera».

V’è un mio emendamento circa l’origine, diciamo così, dei magistrati. Perché io propongo che entri l’elemento elettivo nella Magistratura. Ora contradirebbe senz’altro questa parte dell’emendamento dell’onorevole Grassi con quanto è il contenuto dell’emendamento da me presentato.

Chiederei pertanto di rimandare anche questa parte dell’emendamento Grassi.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Gullo. Io sono sempre stato pronto ai rinvii ma penso che siamo giunti ad un momento in cui ogni rinvio è divenuto inopportuno.

In quanto alla sua osservazione, mi permetta di dirle che non la ritengo giustificata perché nel testo non si dice che tutte le assunzioni avvengono per mezzo di concorso e quindi di commissioni, ma là dove è detto: «nomina le commissioni» è indicato uno dei modi di procedere, senza che se ne faccia una norma assoluta ed esclusiva.

GULLO FAUSTO. Con questa interpretazione, ossia nei casi in cui è necessario nominare delle commissioni, credo che possa andare. Comunque bisogna dirlo.

PRESIDENTE. Mi pare che si potrebbe, con l’aggiunta di una o due parole, dissolvere il suo dubbio.

Dove si dice: «nomina le commissioni per le assunzioni in carriera» si può specificare quando naturalmente l’assunzione avviene attraverso concorso.

Ma v’è un altro articolo in cui si parla dell’assunzione per concorso. Qui si tratta di dire chi nomina le commissioni che devono giudicare dei concorsi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sono nuovamente lieto che il collega Grassi riconosca, anche per questo punto, che la Commissione aveva ragione, e ne accetti il testo, molto più semplice ed inciso e di stile costituzionale del suo che entra in particolari minuti ai quali provvederà la legge sull’ordinamento giudiziario.

Faccio poi notare all’onorevole Gullo che il luogo per trattare il suo emendamento è all’articolo successivo, dove si parla delle nomine dei magistrali. Anche l’altra questione dell’onorevole Grassi, che pei trasferimenti basti il consenso del magistrato e non occorra l’intervento del Consiglio superiore della Magistratura, lo vedremo quando parleremo dell’inamovibilità dei magistrati.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Sono lieto che si sia venuti incontro alla mia osservazione, nell’interesse di fare una cosa possibilmente più esatta. Possiamo essere d’accordo nelle grandi linee, però non sono d’accordo nel ritenere che la questione sollevata del trasferimento per domanda del magistrato possa essere compresa nell’articolo 99, in quanto che nell’articolo 99 si parla di trasferimenti, di designazioni ad altra sede, ma per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’autorità giudiziaria. Sorge il dubbio – e non è sorto a me soltanto, ma anche a magistrati – che invece quando si tratta di semplice trasferimento (in cui non interviene l’eventualità di un fatto per cui il trasferimento dev’essere fatto, ma esclusivamente per ragioni di servizio), bisognerebbe dirlo, perché potrebbe rimanere che anche per movimenti di semplice servizio, in cui vi sia la domanda da parte del magistrato, occorra sempre il parere del Consiglio superiore della Magistratura. Questo è il punto. Se vogliamo semplificare, se vogliamo snellire, se vogliamo eliminare il peso maggiore del Consiglio, che ne ha già abbastanza, possiamo dire se è necessario il parere della Magistratura anche quando v’è la domanda del magistrato.

L’articolo 96 si riferisce ad un altro tipo di trasferimento, quando cioè avviene in seguito a qualche infrazione per cui, salvo la difesa e le garanzie del magistrato, possa essere fatto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo, di parlare.

PRESIDENTE. Ritengo che il dialogo già prolungato fra il Presidente della Commissione e l’onorevole Grassi abbia chiarito la questione. Ormai non può essere che l’Assemblea a risolvere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Perdoni, ma sono proprio costretto a dire due parole. Bisogna mettere in luce questo, che se la proposta dell’onorevole Grassi vuole dire che basta la domanda di un magistrato perché il Guardasigilli lo possa trasferire, senza l’assenso del Consiglio superiore della Magistratura, io credo che questo incrini ed intacchi tutto il sistema che abbiamo stabilito, che cioè i trasferimenti sono di competenza del Consiglio superiore della Magistratura. Quindi la questione è di sostanza. Se ammettessimo che, quando v’è una domanda di trasferimento, il Ministro di giustizia può trasferire senza che intervenga il Consiglio della Magistratura, ciò aprirebbe l’adito ai favori ed alle influenze del potere esecutivo che vogliamo eliminare. Senza aggiungere che vi possono essere varie domande per un posto, che bisogna anche valutare la capacità del richiedente a coprire quel dato posto ed è necessario l’intervento a tal riguardo del Consiglio superiore della Magistratura.

PRESIDENTE. Mi pare che la questione di merito si presta, dato il modo con cui è risolta dall’articolo 99, alla stessa critica; perché anche in questo articolo si dice che il magistrato non può essere trasferito se non con il consenso o con deliberazione del Consiglio superiore della Magistratura. Pertanto si ripresenta là il pericolo che lei ha messo in rilievo in questo momento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nell’ultimo testo accettato, quello dell’onorevole Conti ed altri, è detto che il magistrato non può essere trasferito se non dal Consiglio superiore della Magistratura, in base a suo consenso o a procedura per l’imposizione obbligatoria del trasferimento. Il dubbio accennato quindi non può sorgere.

Propongo meramente di rinviare le due proposte Gullo e Grassi alla sede opportuna.

PRESIDENTE. Procediamo alle votazioni. Il testo accettato dalla Commissione è il seguente:

«Spettano al Consiglio superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni».

Per ciò che si riferisce ai trasferimenti entra in campo la proposta di emendamento dell’onorevole Grassi. L’onorevole Grassi ha dichiarato che per questa prima parte accetta la formulazione della Commissione testé letta. La pongo in votazione.

(È approvata).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per l’ultima parte, non è che respingiamo il testo dell’onorevole Grassi; ne parleremo in sede di articolo 99.

PIGNATARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNATARI. Mi sembra che sia accettabile la proposta dell’onorevole Ruini di rinviare la parte relativa ai trasferimenti all’articolo 99, che prevede fra l’altro l’inamovibilità dei magistrati. Ora, se per avventura l’Assemblea non approvasse la inamovibilità, la questione dei trasferimenti sarebbe regolata in maniera diversa.

PRESIDENTE. Suppongo che nessuno sostenga il criterio che i magistrati non siano inamovibili. Tutti hanno rivendicato tale perogativa nella discussione generale; è un principio accettato.

PIGNATARI. È perché ho sentito delle voci in proposito. In tanto l’inamovibilità del magistrato era una garanzia in quanto il magistrato era sottoposto al potere esecutivo; acquistata l’indipendenza, potrebbe essere una garanzia, una guarentigia inutile.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio la proposta formale di rinvio all’articolo 99, con l’impegno di accettare in quella sede la formula dell’onorevole Grassi.

PRESIDENTE. Allora, per ciò che si riferisce ai trasferimenti, v’è una proposta di rinvio.

Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Passiamo alle altre competenze. Pongo in votazione le parole: «le promozioni».

(Sono approvate).

V’è ora la proposta dell’onorevole Abozzi di aggiungere:

«Il primo presidente della Corte di cassazione promuove l’azione disciplinare contro i magistrati».

L’onorevole Perrone Capano propone a sua volta questa formulazione:

«L’azione disciplinare contro i magistrati può essere esercitata dal Ministro della giustizia e dai procuratori generali della cassazione e delle Corti di appello».

Infine l’onorevole Varvaro propone:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura assicura l’indipendenza e la disciplina dei magistrati».

Ritengo che quest’ultima formulazione riprenda lo stesso concetto della Commissione, la quale deferisce al Consiglio superiore della Magistratura la competenza in materia disciplinare.

Pertanto, ritengo che la proposta dell’onorevole Varvaro non rappresenti in realtà un emendamento di sostanza, ma una diversa formulazione; mentre la proposta dell’onorevole Perrone Capano è nettamente diversa da quella della Commissione.

Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sono perfettamente d’accordo che il Ministro della giustizia deve avere la facoltà di compiere questa azione disciplinare.

Però – mi dispiace insistere – questa è materia da rimandare all’articolo 99, in contesto con quella questione, che abbiamo rinviato, della facoltà disciplinare e di tutti i particolari, che riguardano questa materia.

Pertanto, anche per questo faccio la proposta di rinvio.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini propone di rinviare anche questa materia all’articolo 99.

Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Vi è ora un emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Targetti ed altro analogo proposto dagli onorevoli Colitto e Mortati, sui quali già stamane l’onorevole Ruini ha espresso il parere della Commissione. Si tratta di passare alla votazione, salvo collocamento, che sarà deciso in sede di coordinamento.

Poiché i due testi differiscono solo nella forma, pongo ai voti la formulazione proposta dall’onorevole Targetti che, nella redazione definitiva, è del seguente tenore:

«L’organizzazione ed il funzionamento secondo legge di tutti i servizi della giustizia sono di competenza del Ministro della giustizia, che ne è responsabile innanzi al Parlamento».

(È approvata).

Do pertanto lettura del testo dell’articolo 97, quale risulta dalle votazioni testé effettuate:

«La Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.

«Il Consiglio superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto di un vicepresidente eletto fra i membri designati dal Parlamento, del primo presidente della Corte di cassazione, del procuratore generale della Corte medesima e di membri designati per quattro anni, e non rieleggibili nel Consiglio successivo, per due terzi da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie secondo le norme dell’ordinamento giudiziario e per un terzo dal Parlamento fuori del proprio seno fra persone che appartengono alle seguenti categorie: professori ordinari di materie giuridiche nelle Università e avvocati dopo quindici anni di esercizio. Chi è nominato nel Consiglio superiore della Magistratura cessa, finché dura in tale carica, di essere iscritto negli albi professionali e non può essere membro del Parlamento o di un Consiglio regionale.

«Spettano al Consiglio superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, le promozioni.

«L’organizzazione e il funzionamento secondo legge di tutti i servizi della giustizia sono di competenza del Ministro della giustizia, che ne è responsabile innanzi al Parlamento».

Resta quindi da esaminare ancora la competenza del Consiglio superiore in relazione ai trasferimenti ed all’azione disciplinare.

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 11.

Presentazione di relazioni.

BOVETTI. Chiedo di parlare per la presentazione di alcune relazioni.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOVETTI. Mi onoro di presentare le relazioni ai seguenti disegni di legge:

«Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946».

«Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946».

«Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946».

«Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia il 12 aprile 1947:

  1. a) Accordo commerciale;
  2. b) Accordo di pagamento;
  3. c) Scambio di Note».

«Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946».

«Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947:

  1. a) Accordo italo svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia;
  2. b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia».

«Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, tra l’Italia ed il Belgio:

Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di note 23 giugno 1946; Scambio di note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga del 26 aprile 1947; Scambio di note per l’applicazione immediata, a titolo provvisorio, dell’Annesso suddetto del 27-28 aprile, 1947».

PRESIDENTE. Comunico che queste relazioni saranno stampate e distribuite.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non stimi si tradisca la dignità e la serenità della giustizia quando se ne devii il corso per considerazioni di carattere politico, come è avvenuto recentemente alle Assise di Locri per il processo Cavallaro, che, dopo esaurita la discussione, è stato rinviato a nuovo ruolo con ordinanza presidenziale per speciosi motivi, che tradiscono pressioni di evidente natura politica.

«Mancini».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, e ai Ministri del bilancio, del tesoro e delle finanze, per sapere se non ritengano equo ed umano corrispondere ai pensionati la tredicesima mensilità per il 1947, per dare a questi benemeriti della Nazione la possibilità di fronteggiare bisogni contingenti ed inderogabili.

«Non è necessario porre in rilievo le misere condizioni di questa classe di diseredati, i quali, dopo di aver dato, con il lavoro quotidiano, assiduo, silenzioso, tutte le loro energie alla vita nazionale, nel periodo che dovrebbe essere di meritato riposo si vedono precluse tutte le porte, e per i quali non solo il domani, ma l’oggi è fonte di gravi preoccupazioni ed offre difficoltà insormontabili.

«Gli interroganti ritengono che il Governo debba in questo speciale momento alleviare le sofferenze materiali e morali dei pensionati, e lo invitano a venire in aiuto di questi paria della società con tutte quelle altre provvidenze che sono in suo potere.

«Silipo, Montagnana Rita, Lombardi Carlo, Gullo Fausto, Musolino, Farina, Bibolotti, Bitossi, Pastore Raffaele».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica), per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per l’assistenza del gran numero di tubercolotici che vivono in provincia di Agrigento, espressione questa delle condizioni di estrema miseria di quelle popolazioni e della mancanza assoluta di sanatori antitubercolari, per cui non possono effettuarsi ricoveri in provincia. E per sapere – inoltre – se non intenda provvedere con la costruzione di urgenza di qualche sanatorio o con l’adattare altri edifici in condizioni di contingenza.

«Borsellino».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere, dopo il nuovo assassinio politico, verificatosi qualche giorno fa a Zeme Lomellina, di cui è stato vittima il trentatreenne profugo giuliano Silvestro Zoppini, iscritto al Fronte democratico liberale dell’uomo qualunque.

«Tumminelli».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere di fronte al fatto che il Sindacato venditori ambulanti e giornalai del Biellese, riunitosi il 18 novembre 1947, nella sede della Camera del lavoro, col pretesto della minaccia della popolazione democratica di Biella, che considererebbe la vendita dei giornali: L’Uomo Qualunque, La Sferza, Candido, Brancaleone, La Rivolta Ideale, come un «incitamento alla reazione popolare», ha deliberato di non più ritirare e vendere i detti giornali e gli altri che potessero essere invisi alla popolazione democratica del Biellese.

«Tumminelli».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, sugli annunziati disordini nelle province calabresi, sulle informazioni avute, sui provvedimenti presi, e per sapere se si intende provvedere finalmente ad adeguare le necessità delle popolazioni calabre sul piano delle necessità nazionali.

«Turco».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere, in relazione anche con i recenti disordini accaduti nella città di Cosenza, a qual punto dovranno giungere le devastazioni delle sedi del Partito liberale italiano, prima che si provveda alla tutela delle sedi stesse.

«Quintieri Quinto, Bonino, Perrone Capano, Condorelli, Morelli Renato, Cortese Guido, Badini Confalonieri, Colonna, Villabruna».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga doveroso, di fronte alla netta e ben nota inferiorità delle condizioni dell’economia agricola della Sardegna, adottare d’urgenza speciali criteri che valgano a diminuire adeguatamente l’aliquota e a rendere più agevole il pagamento dei contributi unificati che, ove restino immutati, metterebbero i contribuenti sardi, e particolarmente i piccoli proprietari e coltivatori diretti, nella dura alternativa o di uno sciopero fiscale o della vendita dei beni.

«Murgia».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere in base a quale ordine e per quali motivi i carabinieri di Giugliano (Napoli) hanno perquisito senza preavviso le abitazioni di numerosi cittadini iscritti ai partiti socialisti e comunisti.

«Per conoscere, altresì, se tale abusiva operazione di polizia venne portata preventivamente a conoscenza del Ministero dell’interno o del comando dei carabinieri ed infine per conoscere quali energici provvedimenti intende adottare contro i responsabili.

«Sansone».

«Al Ministro dell’interno, sul tumulti organizzati e sulle violenze che hanno culminato con la devastazione di sedi qualunquiste.

«Capua, Rodi».

«Al Ministro delle finanze, per conoscere se e quando intende prendere opportuni provvedimenti tendenti a regolarizzare il monopolio di Stato, per migliorare la qualità e aumentare la quantità dei manufatti di tabacco, per incoraggiare l’esportazione dei pregiati prodotti della nostra terra e per reprimere la borsa nera.

«Leone Giovanni, Mazza».

«Ai Ministri dei trasporti e delle finanze, per conoscere i criteri che presiedono al risarcimento dei danni alle cose spedite per ferrovia.

«Morini, Sampietro, Salerno».

Avverto che il Ministro dell’interno ha comunicato che risponderà a tutte le interrogazioni riguardanti l’ordine pubblico nella seduta di martedì.

Interpellerò i Ministri interessati per sapere quando intendano rispondere alle altre interrogazioni.

TURCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TURCO. Vorrei fare osservare che una parola del Governo potrebbe contribuire a sedare queste gravi agitazioni, che tendono a ripetersi.

PRESIDENTE. Solleciterò il Ministro dell’interno per lo svolgimento di queste interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere come intenda risolvere la posizione dell’Agenzia Stefani, la quale è sotto gestione commissariale, non svolge attività alcuna e non liquida il personale a suo tempo assunto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se gli risulta il grave stato di dissesto e di cattiva manutenzione in cui (secondo quanto è stato ripetutamente pubblicato dalla stampa) verserebbe lo stabilimento tipografico dell’U.E.S.I.S.A. delle cessate Confederazioni fasciste; ed in caso affermativo per conoscere quali provvedimenti intende adottare per mettervi riparo, a tutela soprattutto delle categorie lavoratrici particolarmente interessate alla vita dell’azienda. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese Guido».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se ritiene opportuno revocare il provvedimento emanato dal comando generale dell’Arma dei carabinieri, il 29 settembre 1947, col quale è stato disposto il collocamento in congedo per il 31 dicembre 1947 dei sottufficiali richiamati e trattenuti delle classi dal 1892 al 1895 inclusa.

«Un analogo provvedimento emesso dal comando generale della guardia di finanza è stato revocato per ragioni di equità e di giustizia. Lo stato giuridico dei sottufficiali stabilisce di massima che tutti i sottufficiali possono essere trattenuti in servizio fino al compimento del 55° anno di età e di tale disposizione beneficiano, naturalmente, i sottufficiali dell’esercito; i sottufficiali di pubblica sicurezza possono rimanere in servizio fino al compimento del 65° anno di età.

«Il provvedimento di cui si chiede la revoca colpisce oltre 800 marescialli dell’Arma, che improvvisamente verrebbero a trovarsi in una insostenibile situazione economica; d’altra parte, non può non essere considerato il grave svantaggio che proverrebbe al servizio dall’allontanamento dalle file dell’Arma di elementi tuttora fisicamente e professionalmente idonei e di sicuro e provato attaccamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese Guido».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere perché, malgrado la precisa assicurazione contenuta nella sua risposta del 26 luglio 1947 ad altra interrogazione in merito, il prefetto di Frosinone non ha ancora provveduto alla ricostituzione della amministrazione ordinaria del Consorzio idrico di Capofiume. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuna, oltre che giusta, l’estensione ai funzionari di pubblica sicurezza dello stesso trattamento economico di cui fruiscono i carabinieri nel caso in cui quelli restino vittime di incidenti in occasione di un servizio espletato insieme con questi ultimi a tutela dell’ordine pubblico.

«È noto infatti che per tutta la durata dell’infermità contratta per causa di servizio a tutela dell’ordine pubblico ai carabinieri soltanto vengono corrisposti tutti quanti gli assegni, come se in effetti fossero sempre in attività di servizio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Di Gloria, Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se esistano motivi che ostino alla erezione in Ente morale, da lungo tempo richiesta, della Confederazione perseguitati politici antifascisti; e se non ritenga doveroso di accordare un riconoscimento giuridico ai genitori, alle vedove, agli orfani degli antifascisti morti nei campi di sterminio, nelle carceri e comunque nella lotta contro il fascismo ed il nazismo, prima e dopo l’8 settembre 1943, così da sottrarre questa categoria – cui dovrebbe volgersi la riconoscenza della Nazione – alla umiliazione della indigenza e della carità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vigorelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere, se non ritenga opportuno, mettere a disposizione del comune di Foggia, la caserma «Pastore», tenuta inutilizzata dall’Esercito da diversi anni.

«Detta caserma, convenientemente riattata, potrà servire come edificio scolastico, tenuto conto che le gravi distruzioni subite dalla città in seguito ai noti bombardamenti aerei, hanno messo quel Comune in gravissime difficoltà nella destinazione di qualsiasi locale ad uso di scuola.

«Si voglia inoltre tenere presente, che la predetta caserma è situata nel centro più popolare della città, dove maggiormente è sentita la necessità di scuole di ordine elementare e dove appunto manca un qualsiasi edificio scolastico. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Imperiale».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se non ritenga opportuno ed urgente procedere alla nomina del presidente dell’Ente Fiera di Foggia, in considerazione che quella fiera che tanta importanza ebbe in passato, oggi rimane abbandonata con conseguenti notevoli danni all’economia del Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Imperiale».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, sulla insufficienza dei distretti militari di Udine e di Sacile per quanto riguarda:

1°) le pratiche inerenti alla liquidazione degli assegni familiari dei militari dispersi in Russia e in Balcania (risultando che, a 8 mesi e mezzo dal telegramma ministeriale 6 febbraio 1947, n. 60.000 AIE, i distretti suaccennati non hanno ancora trasmesso al Ministero le richieste dichiarazioni di irreperibilità);

2°) la compilazione dei fogli matricolari e degli altri documenti necessari per istruire le domande di pensione di guerra, che pervengono (quando pervengono) alla competente Direzione generale a molti mesi di distanza dalla richiesta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, sulla necessità di accelerare prontamente ed effettivamente il lavoro delle Commissioni mediche per le pensioni di guerra, aumentando il numero di esse o dei loro componenti in modo adeguato, affinché non accada che i loro responsi, chiesti dalla competente Direzione generale, siano in ritardo di anche un anno, come avviene per la Commissione medica di Udine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.30.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 25 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCIV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 25 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Perassi

Targetti

Nobili Tito Oro

Preti

Grassi

Scalfaro

Condorelli

Perrone Capano

Varvaro

Mortati

Cappi

Colitto

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Mancini

Costantini

Mastino Pietro

Adonnino

Villabruna

Abozzi

La seduta comincia alle 11.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Rubilli.

(È concesso)

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo esaminare l’articolo 97. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, di un altro vicepresidente nominato dall’Assemblea Nazionale e di membri designati per sette anni, metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie, metà dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno. Gli eletti dall’Assemblea Nazionale iscritti negli albi forensi non possono esercitare la professione finché fanno parte del Consiglio.

«Le assunzioni, le promozioni, le assegnazioni ed i trasferimenti di sede e di funzioni, i provvedimenti disciplinari ed in genere il governo della Magistratura ordinaria, sono di competenza del Consiglio Superiore secondo le norme dell’ordinamento giudiziario.

«Il Ministro della giustizia promuove l’azione disciplinare contro i magistrati, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

PRESIDENTE. Ricordo che sono già svolti i seguenti emendamenti a questo articolo:

«Sostituirlo col seguente:

«La Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente. Il governo e la disciplina della Magistratura sono attribuiti al Consiglio Superiore della Magistratura.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica; ne fanno parte di diritto il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti dalla Magistratura fra i magistrati di grado non inferiore a consigliere di Corte di appello. I componenti designati per elezione durano in carica 5 anni. Una sezione del Consiglio Superiore della Magistratura funziona come Corte disciplinare.

«L’azione disciplinare contro i magistrati può essere esercitata dai procuratori generali della Cassazione e delle Corti di appello».

Romano.

«Sostituirlo col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura sarà presieduto dal Presidente della Repubblica e composto del primo presidente della Cassazione, vicepresidente, e di membri designati per cinque anni da tutti i magistrati tra quelli appartenenti alle categorie non inferiori a quella di giudice della Corte di appello».

Mastino Pietro.

«Sostituirlo col seguente:

«La Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, e di dieci membri designati per sette anni. Di questi dieci membri, cinque vengono nominati dai magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie e cinque vengono eletti dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno.

«Vengono pure nominati sei membri supplenti pure per sette anni: tre dai magistrati e tre dall’Assemblea Nazionale.

«Dei cinque membri eletti dai magistrati, due devono essere scelti tra i primi presidenti di Corte d’appello o presidenti di sezione di cassazione, due tra i procuratori generali di Corte di appello o avvocati generali di cassazione, uno tra i consiglieri di cassazione o sostituti procuratori generali di cassazione.

«I membri supplenti da eleggersi dai magistrati debbono rivestire il grado di consigliere di cassazione o grado parificato della requirente.

«Gli eletti dall’Assemblea Nazionale devono essere scelti nelle seguenti categorie: ex magistrati a riposo, avvocati già inscritti nell’albo della Corte suprema, che abbiano però cessato di esercitare la professione, professori di Università.

«Le assunzioni, le promozioni, le assegnazioni ed i trasferimenti di sede o di funzioni, i provvedimenti disciplinari ed in genere il governo della Magistratura ordinaria sono di competenza del Consiglio superiore secondo le norme dell’ordinamento giudiziario.

«Il Ministro di grazia e giustizia promuove l’azione disciplinare contro i magistrati, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

Merlin Umberto.

«Sostituirlo col seguente:

«La Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Cassazione, vicepresidente, del procuratore generale presso la Corte di cassazione, e di membri eletti per due terzi da tutti i magistrati tra gli appartenenti alle diverse categorie, e per un terzo dall’Assemblea Nazionale fuori dal proprio seno e dagli albi forensi.

«Le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti di sede e di funzioni, le deliberazioni sulle spese nei limiti del bilancio e del gettito delle tassazioni sugli atti giudiziari, i provvedimenti disciplinari ed in genere il governo della Magistratura ordinaria sono di competenza del Consiglio Superiore, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario.

«Il Ministro della giustizia ed i procuratori generali della Cassazione e delle Corti di appello promuovono l’azione disciplinare contro ì magistrati, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

Caccuri.

Vi è ora l’emendamento presentato dagli onorevoli Conti, Perassi, Rossi Paolo, Cassiani, Leone Giovanni, Bettiol e Dossetti, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«La Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, del procuratore generale della Cassazione, e di altri membri designati per sei anni, metà da tutti i magistrati, fra gli appartenenti alle diverse categorie, e metà dal Parlamento riunito in seduta comune, fra persone che appartengono alle seguenti categorie: magistrati dell’ordine giudiziario e amministrativo, anche a riposo; docenti universitari di diritto; avvocati dopo quindici anni di esercizio. Chi è nominato nel Consiglio Superiore della Magistratura cessa di essere iscritto negli albi professionali e non può essere membro del Parlamento o dei Consigli regionali».

L’onorevole Perassi, ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. L’emendamento che è stato presentato da me, insieme con gli onorevoli Conti, Leone Giovanni ed altri colleghi, si ispira a quel criterio conciliativo a cui si ispirano gli emendamenti che sono presentati dopo un’ampia discussione come quella che è avvenuta sull’argomento.

Quali erano i criteri contrapposti che sono stati da una parte e dall’altra sostenuti? Da alcuni si diceva: Il Consiglio Superiore deve essere costituito in maniera esclusiva di magistrati. Era l’affermazione rigida, assoluta, dell’indipendenza della Magistratura.

D’altra parte, il Progetto aveva previsto che, accanto ai membri eletti dai magistrati vi fosse un numero pari di membri eletti da parte del Parlamento.

In seguito all’ampia discussione che è intervenuta, i proponenti di questo emendamento si sono ispirati all’idea di portare qualche temperamento al progetto della Commissione, nel senso di attribuire nel Consiglio Superiore la maggioranza ai rappresentanti della Magistratura, mantenendo tuttavia un numero sufficientemente ampio di membri eletti dal Parlamento.

In relazione a questo concetto, con l’emendamento proposto si stabilisce che il Consiglio Superiore della Magistratura – ferma restando la Presidenza da parte del Presidente della Repubblica – comprenda, come membri di diritto, il primo Presidente della Corte di cassazione, che sarebbe vice Presidente del Consiglio ed il Procuratore generale presso la Cassazione. Per quanto concerne la parte elettiva, si stabilisce che il Consiglio sarà composto di altri membri, designati, metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie e metà dal Parlamento, cioè dalle due Camere riunite. Ma – è questa una caratteristica dell’emendamento proposto – si delimita la discrezionalità dell’elezione da parte del Parlamento, indicandosi determinate categorie: cioè, magistrati dell’ordine giudiziario o amministrativo a riposo; professori ordinari di università in materie giuridiche; ed infine avvocati, dopo 15 anni di esercizio.

Si stabilisce poi una cautela, la cui ragion d’essere non ha bisogno di essere dimostrata, dicendosi che chi è nominato nel Consiglio Superiore della Magistratura cessa, finché dura in carica, di essere iscritto negli albi professionali e non può essere membro del Parlamento o di un Consiglio regionale. Queste incompatibilità sembrano necessarie per meglio garantire l’indipendenza del Consiglio Superiore nell’esercizio delle sue delicate funzioni.

Il testo presentato tende a sostituire l’articolo 97 nel modo detto. Alcune parti dell’articolo 97 dovrebbero essere, secondo il nostro avviso, rinviate ad articoli successivi.

In conclusione, l’emendamento proposto tende a sostituire il testo della Commissione per la parte indicata e si ispira ad un concetto conciliativo, che tenga conto delle due esigenze, ugualmente meritevoli di essere prese in considerazione nella costituzione del Consiglio Superiore, col quale si deve assicurare l’indipendenza della Magistratura, senza tuttavia incorrere nel pericolo di dare alla Magistratura il carattere di casta chiusa.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento sostitutivo presentato dagli onorevoli Targetti, Amadei e Bordon:

«Le assunzioni, le promozioni, le assegnazioni, i trasferimenti di sede, i cambiamenti di funzioni dei magistrati ed i procedimenti disciplinari sono di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura.

«Il Ministro di grazia e giustizia può promuovere l’azione disciplinare.

«Il Consiglio superiore della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto del presidente della Corte di cassazione, vicepresidente; di altro vicepresidente nominato dal Presidente della Repubblica; di membri eletti per metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle varie categorie in rappresentanza di ciascuna di queste e per metà dai due rami del Parlamento, secondo le norme di eleggibilità e di elezione stabilite dalla legge.

«I membri elettivi durano in carica tre anni».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Rinuncio allo svolgimento dell’emendamento, che però mantengo, riservandomi di modificarlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«La Magistratura costituisce un potere autonomo e indipendente, retto da un proprio Consiglio.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal primo presidente della Corte di cassazione, coadiuvato da due vicepresidenti in persona del procuratore generale della Corte medesima, e di un magistrato collocato a riposo col titolo di primo presidente della Cassazione; ed è composto di membri eletti per un terzo dai magistrati della Corte di cassazione e dai primi presidenti della Corte di appello, per un terzo da tutti gli altri magistrati e per l’altro terzo, in parti uguali, da ciascuna delle due Camere.

«Il magistrato a riposo è eletto alla vicepresidenza da tutti i magistrati a riposo.

«I membri elettivi durano in carica sei anni e non sono immediatamente rieleggibili.

«Il Consiglio è rinnovato ogni due anni per un terzo.

«Gli appartenenti agli albi forensi sono incompatibili colla carica di membri del Consiglio Superiore della Magistratura.

«L’assunzione, la carriera e i provvedimenti disciplinari sono di competenza del Consiglio Superiore.

«Il procuratore generale vicepresidente promuove l’azione disciplinare avanti la speciale sezione istituita presso il Consiglio medesimo».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Un eminente collega, dopo avere sollevato, nella discussione generale, alcune critiche al progetto di Costituzione, concludeva il proprio giudizio su questo, osservando, con garbata arguzia fiorentina che in fondo però, in questo progetto vi è del bello e del nuovo; ma tosto soggiungeva che peraltro il bello non è nuovo e che il nuovo non è bello. Ho ripensato alla faceta conclusione quando mi sono trovato di fronte al Titolo presente e ho subito escluso che qui potesse affermarsene l’esattezza: la soluzione adottata dalla Commissione, per riconoscere alla Magistratura la reclamata autonomia, mi è sembrata veramente geniale, così da non potersi negare che essa sia in pari tempo «nuova e bella». Non si può negare che la Magistratura, per difendere la libertà dei propri giudizi, debba essere immune da vincoli e, quindi, sciolta da qualsiasi subordinazione, specialmente nei confronti del potere esecutivo. All’uopo molte soluzioni risultavano escogitate, e in Italia e fuori, alcune esagerate e farraginose, altre non producenti: quale tendente a spezzare qualunque vincolo coll’esecutivo e a creare una amministrazione autonoma della giustizia, quale limitata all’affermazione di un principio astratto d’indipendenza, privo di qualsiasi garanzia. Il progetto ha invece ripreso un istituto già esistente, il Consiglio Superiore della Magistratura, ne ha esteso i poteri e gli ha affidato la esecuzione della legge per tutto quanto concerne l’assunzione, le promozioni, i trasferimenti, in una parola la carriera dei magistrati, nonché i provvedimenti disciplinari. Naturalmente il Consiglio non ha più soltanto una funzione consultiva, ma addirittura un potere deliberativo. E le sue deliberazioni assumono direttamente forma e forza di decreti legislativi per la sanzione del Presidente della Repubblica che, secondo il progetto dovrebbe assumerne la Presidenza. Questo è però elemento non essenziale del progetto e include aspetti che, secondo me, vanno riveduti. Ammesso il principio, tutto il resto dell’attuale ordinamento, per quanto riguarda lo stanziamento della spesa, la disciplina dei servizi sussidiari, da quelli delle Cancellerie e delle Segreterie a quelli degli ufficiali giudiziari, degli uscieri, e dei portieri, e per quanto riguarda l’amministrazione del complesso, tutto resta immutato ed organizzato nel dicastero della giustizia.

I magistrati d’Italia hanno accolto con soddisfazione le linee generali del progetto e, allo scopo di migliorarlo senza ferirlo, hanno proposti degli emendamenti che in parte, a mio giudizio, non riguardano materia di Costituzione, in parte meritano esame obiettivo e benevola considerazione. Sul riconoscimento del principio d’indipendenza, la discussione generale ha palesato notevole concordia. Sulla composizione del Consiglio, che diventa l’organo di realizzazione di quel principio si sono sviluppati dissensi; ma io ritengo che, ammesso il principio, sia controproducente la pretesa di opporre nel Consiglio, alla rappresentanza dei magistrati, una paritetica rappresentanza di nomina parlamentare.

Comunque, questo è ora il campo della discussione e io brevemente lo affronto, sulla guida dell’emendamento del quale il nostro Presidente ha dato testé lettura; e nel quale ho avuto cura di non includere proposte che si allontanino dal campo di quelle avanzate dagli stessi magistrati o, comunque, affiorate durante la discussione generale. Ma voglio qui incidentalmente accennare a una mia idea per sottoporla all’avviso della Commissione: io ho creduto di ravvisare, nel Consiglio Superiore che si va a costituire e nella sua Presidenza, qualche cosa che si avvicina al Senato Accademico delle libere Università, e, rispettivamente, al Rettorato. E mi domando se, ad accrescere il prestigio della Magistratura e del suo organo, non converrebbe che questo assumesse il nome di Senato della Magistratura. Con questi preliminari chiarimenti, do brevemente ragione del mio emendamento.

Il primo comma del progetto proclama che «la Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente». Il mio emendamento contrappone questa formulazione: «La Magistratura è un potere autonomo e indipendente, retto da un proprio Consiglio Superiore».

Le ragioni delle modifiche non abbisognano di lungo svolgimento. Intitolazione: il termine «ordine», in quanto include il concetto di sindacato professionale, di corporativa tradizione, non mi pare rispondente alla funzione e al carattere della Magistratura. Ordine è quello forense, ma la Magistratura si differenzia da esso in quanto non è un ordine professionale, ma un corpo destinato a una pubblica funzione, rivestita di un «potere» che è quello dell’esercizio della giurisdizione.

Se dunque si debba scegliere fra l’uno e l’altro termine, la scelta non può essere incerta. Se per altro il termine «potere», per le ragioni che sono state da altri accampate, si dovesse ragionevolmente escludere, si potrebbe fare a meno sia di esso sia di quello usato nel progetto, e dire semplicemente che «la Magistratura è autonoma ed indipendente».

Allontanandomi, a questo punto, ancora una volta dal progetto, per completare il carattere della proclamata autonomia della Magistratura, io aggiungo subito che essa «è retta da un proprio Consiglio Superiore»: «retta», notisi bene, e non «governata», come altri ha proposto. Onde è precisato immediatamente il riconosciutole potere, di Self-government; ed è questo potere immediatamente caratterizzato dall’organo che lo realizza e lo attua, lo concreta, lo qualifica.

Questo Consiglio non è una istituzione nuova; come ho dianzi ricordato, esso già esisteva. Potrà conservare, se così piacerà all’Assemblea, pur nella nuova funzione, il vecchio nome: Consiglio Superiore della Magistratura; oppure potrà più solennemente chiamarsi, per le ragioni che parimente ho esposte, Senato della Magistratura, in riguardo soprattutto al carattere istituzionale che deve assumere.

Lo vedrà la Commissione, lo deciderà l’Assemblea: io non ne ho fatto oggetto specifico di emendamento.

Quel che invece l’emendamento pone in rilievo è l’istituzione, presso il Consiglio Superiore, di un vero e proprio ufficio di Presidenza. Questo ufficio ha una sua specifica funzione e risponde a una necessità evidente: chiunque sia chiamato alla Presidenza, sarà sempre una personalità già investita di pesanti funzioni, ed è prevedibile che proprio in ragione di queste dovrà accedere, ope legis, all’alto Ufficio. Come potrà egli disimpegnarlo, senza danno della propria attività nell’espletamento delle sue funzioni ordinarie? Pensate: il progetto indica all’alto Ufficio il Presidente della Repubblica; come avrà egli la possibilità di seguire, di convogliare tutta l’attività del Consiglio, che si concreta nell’assunzione, nelle promozioni, nei trasferimenti di magistrati, nei procedimenti disciplinari a loro carico, senza essere distolto dalle superiori cure di Capo dello Stato? O la sua presidenza dovrebbe risolversi in una lustra, e non sarebbe serio prevederla e accettarla come tale; o dovrà rappresentare un concreto contributo di attività e questa non si potrà intendere, se non si voglia cozzare contro una impossibilità materiale, se non come, perspicace visione dall’alto dei vari problemi, seguiti dall’attività di organi immediatamente subordinati e costituiti da due Vicepresidenti, i quali si distribuiscano il lavoro in base a criteri di predeterminate attribuzioni. Né la situazione muterebbe se all’ufficio di presidenza dovesse essere assunto il primo Presidente della Cassazione: come potrebbe egli attendervi, se non sufficientemente coadiuvato da almeno due Vicepresidenti, e date le pesanti cure della prima presidenza e della presidenza delle Sezioni unite, che lo obbliga settimanalmente allo studio di almeno otto ponderosi ricorsi, nella risoluzione dei quali egli deve costituire la guida principale del supremo Collegio? Per queste considerazioni, io prevedo due Vicepresidenti, dei quali uno dovrebbe essere il procuratore generale della Cassazione e l’altro un magistrato collocato a riposo col grado di Primo Presidente di Cassazione.

Ciò premesso chi dovrà essere il presidente? Allontanandomi dalla proposta sulla quale la Commissione insiste, reputo che non possa essere il Presidente della Repubblica. Si oppone anzi tutto un motivo di simmetria, di omotetia, di adeguamento con tutto il sistema costituzionale. Per quale motivo il Presidente della Repubblica, che è all’apice di tutto l’ordinamento dello Stato, dovrebbe particolarmente ravvicinarsi al potere giudiziario, fino a diventare elemento integratore dell’organo che lo regge? Come Presidente del Consiglio Superiore, egli dovrebbe, infatti, partecipare alle riunioni del Consiglio, alle discussioni ed anche alle deliberazioni. Pensate, colleghi, alle conseguenze di carattere costituzionale che ne deriverebbero. Recentemente, fra gli altri provvedimenti per la difesa della Repubblica, noi abbiamo approvato l’aggiornamento dell’articolo 279 del Codice penale, trasferendo dal Re al Presidente della Repubblica e allo stesso Capo provvisorio dello Stato la prerogativa di irresponsabilità per gli atti del Governo. Ora nel Consiglio Superiore si dovranno purtroppo affrontare situazioni antipatiche, come i procedimenti di carattere disciplinare. Pensate che domani un colpito da provvedimento disciplinare sia portato a dolersi, secondo la natura umana, della misura adottata contro di lui. Inveendo, pubblicamente e in forma scandalistica, contro la misura adottata a suo carico e contro i responsabili di essa, comprende fra costoro lo stesso Presidente della Repubblica, in quanto personalmente partecipò o in quanto può presumersi abbia personalmente partecipato alla deliberazione. Pensate alle conseguenze che da ciò potrebbero discendere.

Se denunziato, a norma dell’articolo 279 sopra richiamato, egli non potrà essere condannato, perché si dovrebbe nella specie riconoscere mancante il presupposto logico e giuridico della prerogativa di irresponsabilità. Se non fosse denunziato, malgrado l’avvenuto pubblico accertamento del fatto, sarà aperta la porta al ludibrio, in danno della istituzione che l’articolo 279 avrebbe dovuto rendere immune.

Per questi e per tutti gli altri motivi ai quali ho fugacemente accennato, ritengo che la personalità del Capo dello Stato debba rimanere avulsa da tutto quello che possa avere carattere di partecipazione diretta alla attività dei singoli organi dell’amministrazione statale e, quindi, anche a quella del Consiglio Superiore della Magistratura.

È indiscutibile che la partecipazione del Presidente della Repubblica al Consiglio Superiore della Magistratura aggiungerebbe a questo, prestigio rilevante. D’altra parte non è men vero che essa inciderebbe sfavorevolmente sulla indipendenza che si proclama; mentre non va negato rilievo al fatto che il Capo dello Stato dovrà comunque sanzionare direttamente, e senza l’interposizione di organi gerarchici i provvedimenti che il Consiglio Superiore della Magistratura adotterà, e li sanzionerà, senza che essi debbano passare per la trafila del potere esecutivo. E questo sarà suggello della rivendicata autonomia, segno concreto di concreto prestigio.

Sostituito pertanto il Presidente della Repubblica col Primo Presidente della Corte di Cassazione, io propongo che questi sia coadiuvato da due Vicepresidenti, nelle persone del Procuratore generale della Corte medesima e di un magistrato, collocato a riposo col grado onorifico di Primo Presidente di Cassazione. Questo magistrato dovrebbe essere eletto da tutti i magistrati a riposo. A me pare che si debba tener conto di questa categoria di magistrati i quali, lasciando la Magistratura, non si sono distaccati completamente da essa, ma la seguono ancora nelle sue vicende e la seguono ancora nel suo diuturno travaglio, nello sforzo per la sua continua elevazione, nella lotta per la conquista delle condizioni indispensabili alla più retta amministrazione della giustizia. Accordiamo, dunque, loro, questa soddisfazione morale, tanto più che dall’inserimento di un loro rappresentante nel Consiglio Superiore, potrà derivare a questo, oltreché la collaborazione assidua di uno sperimentato elemento tecnico, l’apporto incalcolabile della prudenza senum.

In relazione alla costituzione del Consiglio Superiore, sono dell’opinione che nella rappresentanza dei magistrati si debba fare una distinzione di gradi; e propongo che il terzo dei membri ad esso assegnati sia eletto dai magistrati della Corte di cassazione, nonché dai primi Presidenti delle Corti di appello; un altro terzo propongo che sia eletto da tutti gli altri magistrati. L’ultimo terzo infine, in parti uguali dalle due Camere. A me pare che a questo modo la rappresentanza delle due Camere non abbia altro carattere che di osservazione e di eventuale informazione, senza incidere, come nel progetto della Commissione, sull’autonomia e sull’indipendenza della Magistratura che con questa riforma ci proponiamo di realizzare.

Considerato poi che la durata di sette anni, assegnata alla carica di consigliere, finirebbe per costituire a ciascuno degli eletti un vero e proprio dominio in seno al Consiglio Superiore, e una influenza sui magistrati ad esso soggetti (e questa è cosa che non garantisce la indipendenza e non risponde a criteri di democrazia), propongo la durata di sei anni divisi in tre periodi biennali, alla scadenza dei quali il Consiglio Superiore dovrà essere rinnovato per un terzo.

Per quanto riguarda gli avvocati che fossero nominati membri del Consiglio Superiore, non ho ritenuto di stabilire restrizioni: le Camere, eleggendo i propri rappresentanti, dovranno avere una illimitata libertà di scelta. Per altro, per gli avvocati, la iscrizione agli albi professionali saranno incompatibili con la carica di Consiglieri. Quindi, allorché fossero eletti, e se volessero assumere la carica, essi dovrebbero farsi cancellare dagli Albi.

Queste sono le proposte che costituiscono la parte principale del mio emendamento all’articolo 97; e sono completate da una norma che non si ritrova nel progetto e per la quale, sempre allo scopo di prevenire incrostazione di prepotere, i membri elettivi, allo scadere dalla carica non potranno essere immediatamente rieletti. Ho voluto seguire, nella esposizione degli emendamenti, l’ordine del progetto, che prima ha proposto l’organo e poi ne ha determinalo le funzioni; ma queste erano state già da me indicate nelle premesse e si riassumono nella duplice tutela dei magistrati e della Magistratura: dei magistrati, in quanto concerne le promozioni e i trasferimenti; della Magistratura, in quanto concerne le assunzioni e i procedimenti disciplinari. In altri termini il Consiglio Superiore esercita il proprio ufficio di controllo, di moderazione e di tutela, inspirato al principio: Neminem laedere, suum cuique tribuere, sui Magistrati, a protezione della loro carriera nel rispetto di quella degli altri e a salvaguardia del decoro della Magistratura e delle esigenze della Giustizia (Approvazioni).

A chi, meglio che alla stessa Magistratura così giustamente gelosa del decoro del suo ministero e del senso della giustizia, potrebbe affidarsi questo delicatissimo compito? Inspirato a questo criterio e preoccupato che l’iniziativa del Ministro di giustizia nei procedimenti disciplinari abbia ad offendere il principio della indipendenza della Magistratura, l’ho riservato, coll’ultimo comma, al Procuratore generale della Cassazione, quale Vicepresidente del Consiglio; il quale lo eserciterà presso la sezione speciale del Consiglio medesimo. Sono convinto che le modifiche da me proposte, che vanno sensibilmente incontro ai desideri della Magistratura, non incontreranno opposizione né da parte della Commissione né da parte dell’Assemblea. E in questa certezza, formulo l’augurio che la Magistratura italiana, rianimata dalla fiducia nell’ordinamento costituzionale che la presidierà, saprà dare alla Repubblica, in un rinnovato clima di giustizia individuale e sociale, quel prezioso contributo di opere e di intenti al progresso generale che lo Stato deve richiedere a tutti i propri organi prima che ai singoli cittadini. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo comma».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo comma».

Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Debbo fare alcune osservazioni sul primo comma dell’articolo 97, se l’onorevole Presidente della Commissione vuole per un attimo seguirmi. Mi sembra dunque che il primo comma, dove è detto: «La Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente», sia inopportuno, perché, come sostanza non aggiunge nulla a quanto è stabilito nei seguenti commi, e in quanto definizione può dar luogo ad equivoci. Infatti, mi sembra che gli ordini autonomi ed indipendenti nello Stato moderno non esistano: il concetto di ordine autonomo è proprio dello stato anteriore alla Rivoluzione francese, il quale era fondato su un’articolazione eterogenea di ceti e di categorie chiuse. Oggi mi sembra che i magistrati debbano considerarsi al servizio dello Stato, così come tutti gli alti funzionari, anche se la loro posizione deve considerarsi particolare. Non sono i Magistrati dei Parlamenti francesi dello Ancien regime! Va bene che essi svolgano una delicata funzione e che perciò deve essere garantita la loro indipendenza; ma non si deve giungere a dichiarare nella Costituzione che costituiscono un ordine autonomo e indipendente. Dire questo vuol dire riconoscere ad essi un pieno autogoverno, quasi che si voglia creare uno Stato nello Stato, o per lo meno una casta chiusa, intangibile. E mi sembra che in questa maniera si limiti anche quella che è la sovranità del Parlamento. D’altra parte mi pare che nel progetto non si sia voluto arrivare a questo completo autogoverno, posto che il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica e di conseguenza il governo della Magistratura stessa non è affidato esclusivamente a magistrati. Perciò mi sembra che si possa togliere questa poco felice definizione del primo comma dell’articolo 97.

L’indipendenza della Magistratura mi sembra che in questo Titolo della Costituzione sia già bene assicurata; anzi fin troppo assicurata, perché, se dipendesse da me, certamente non si voterebbe nessun comma dell’articolo 97. Infatti, questa parte del progetto, relativa all’autogoverno della Magistratura, è frutto di un’errata impostazione giuridica, dato che risente esageratamente l’impulso dell’ormai arcaica dottrina della divisione dei poteri e di un errore politico, dato che, contrapponendo al Parlamento, e con ciò alla volontà popolare, una casta chiusa di funzionari, nobile quanto si vuole, ma per sua natura estremamente conservatrice – si finisce per ostacolare il progresso sociale.

PRESIDENTE. L’onorevole Adonnino ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Magistratura, composta dei magistrati della giurisdizione ordinaria e di quelli delle giurisdizioni speciali, costituisce un ordine autonomo ed indipendente».

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal Capo dello Stato. Sono vicepresidenti il capo della Magistratura ordinaria ed i capi delle Magistrature speciali di cui all’articolo 95.

«È composto di 21 membri, di cui:

un terzo, designati dalla legge fra le alte cariche della Magistratura;

un terzo, eletti da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle varie categorie, nelle proporzioni e con le modalità stabilite dalla legge;

ed un terzo, designati fra i professori ordinari di materie giuridiche delle Università dai Corpi accademici, secondo le modalità delta legge.

«Fanno parte del Consiglio, con voto consultivo, tre deputati designati dalla Camera e tre senatori designati dal Senato.

«Il Consiglio dura in carica 7 anni.

«I membri elettivi non possono essere rieletti».

Non essendo egli presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerli.

Segue l’emendamento dell’onorevole Sapienza:

«Sostituire il secondo, terzo e quarto comma con i seguenti:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto da un vicepresidente e da sei membri nominati dal Presidente della Repubblica tra magistrati che eccellano per moralità, cultura, indipendenza e attaccamento alle istituzioni repubblicane, nonché da un deputato eletto dai magistrati per ogni circoscrizione distrettuale.

«Il Consiglio è amministrato da un Assessorato di cinque membri, eletti dal Consiglio stesso preferibilmente nel proprio seno e, in ogni caso, tra magistrati dell’ordine giudiziario che esercitino funzioni giudiziarie da almeno un triennio. L’ordinamento giudiziario determina le norme per l’elezione del Consiglio, la durata delle funzioni, le attribuzioni del Consiglio e dell’Assessorato.

«Il Presidente della Repubblica sanziona e decreta i provvedimenti emanati dal Consiglio e dall’Assessorato; ha il diritto di sciogliere il Consiglio anche prima della scadenza del termine stabilito, indicendo, con lo stesso decreto, le elezioni e fissando la convocazione del nuovo Consiglio non oltre novanta giorni dalla data dello scioglimento.

«Durante la vacanza l’Assessorato resta in carica per il disbrigo delle pratiche di ordinaria amministrazione.

«L’eletto col maggior numero di voti presiede e coordina i lavori dell’Assessorato e rappresenta il Consiglio presso il Parlamento, partecipando, anche a mezzo di assessore delegato, senza voto deliberativo, alle sedute delle Camere per mantenere i necessari contatti col potere legislativo».

Non essendo egli presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Grassi:

«Sostituire il secondo, terzo e quarto comma con i seguenti:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, del procuratore generale della Corte medesima, e di membri designati per metà dai magistrati, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, per un quarto dalla Camera dei deputati e per un quarto dal Senato della Repubblica. Gli eletti dalle Assemblee legislative debbono essere scelti, fuori del proprio seno, tra magistrati a riposo, professori ordinari di Università in materie giuridiche ed avvocati che si facciano cancellare dall’albo forense rinunziando all’esercizio professionale. I membri elettivi rimangono in carica per quattro anni.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, nomina le commissioni per le assunzioni in carriera e per le promozioni dei magistrati; procede agli scrutini; delibera sulla dispensa, sulla sospensione dal servizio, sul trasferimento ad altra sede o destinazione ad altra funzione, quando non vi sia il consenso del magistrato; provvede in materia disciplinare, esprime il parere, nei casi indicati dalla legge, per i magistrati del pubblico ministero».

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerlo.

GRASSI. Onorevoli colleghi, io ho presentato un emendamento al secondo, terzo e quarto comma dell’articolo che si discute.

Il primo comma va bene: è un’affermazione di principio che va confermata. Ma per quello che riguarda i commi seguenti, ho cercato di chiarire e di precisare specialmente, più che la composizione, il funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura.

Non nascondo che sono favorevole anche ad altri emendamenti, come a quelli testé svolti dall’onorevole Oro Nubili, che cercano di dare maggiore partecipazione, nella composizione del Consiglio, ai magistrati in servizio, oppure ai magistrati a riposo, perché io penso che la legge sullo guarentigie, già fatta dal Guardasigilli onorevole Togliatti, rappresenta effettivamente un notevole passo avanti in quella che è la difesa delle guarentigie della Magistratura, poiché in essa l’intero Consiglio è composto di magistrati.

Io, anche per l’ufficio che rivesto, debbo farmi portavoce delle lagnanze di magistrati, circa la composizione del Consiglio Superiore come prevista dal progetto, perché ritengono questa infiltrazione di elementi estranei come un passo indietro, rispetto a quella posizione di garanzia che avevano ottenuto con la legge precedente.

In ogni modo, io, in ossequio a quello che la Commissione aveva stabilito, ho proposto – e credo che questa proposta sia stata ripresa nel nuovo testo elaborato dal Comitato a firma Conti, che ha raccolto anche in parte le mie osservazioni – che si migliori la situazione dei magistrati, nel senso di dare loro maggior peso nella composizione del Consiglio.

In particolare, io propongo con questo emendamento che il Consiglio Superiore della Magistratura sia presieduto dal Presidente della Repubblica ed abbia come Vicepresidente il Primo Presidente della Cassazione.

È inutile che vi ricordi che la Francia, nella sua ultima Costituzione, stabilisce nel Titolo XI che Vicepresidente del Consiglio della Magistratura sia il Guardasigilli.

Non mi oppongo a questa diffidenza che si è voluta manifestare in Italia nei confronti del Ministro della giustizia; in ogni modo, se un Vicepresidente ci deve essere, deve essere un magistrato.

Aggiungo anche, e credo che questo emendamento il Comitato dei Diciotto lo abbia accolto, che sia anche componente di diritto il Procuratore generale della Cassazione.

Oltre a ciò bisognerebbe stabilire che i membri del Consiglio Superiore della Magistratura devono essere per metà magistrati di nomina elettiva. Vi è poi un’esigenza di chiarezza, perché l’emendamento presentato dal Comitato reca l’espressione «eletti da tutte le categorie». Ciò può intendersi in due sensi: il primo senso è quello di magistratura requirente e di magistratura giudicante. Ed è evidente che, se fosse inteso in questo senso, io non avrei difficoltà ad accoglierlo: ma allora bisognerebbe chiarirlo e bisognerebbe anche specificare se requirente in che misura e se giudicante in che misura.

Ma se, come ho udito dire, per categorie si è voluto intendere tutti i gradi della giurisdizione, io richiamo allora l’attenzione dell’Assemblea sul fatto che, secondo l’attuale legge delle guarentigie fatta dall’onorevole Togliatti, possono far parte del Consiglio Superiore soltanto i magistrati di grado quarto. Non credo quindi che sia pensabile ai magistrati di qualunque grado, anche quelli dei più bassi, come gli uditori giudiziari.

È evidente quindi che un certo limite dovrà pur essere stabilito.

Una voce al centro. È una rappresentanza.

GRASSI. È una rappresentanza, sì, ma è assurdo mettere, ad esempio, un uditore giudiziario o un pretore a fianco di coloro che sono scelti fra le altre categorie. Se proprio si dovesse ritenere che il grado quarto sia eccessivo, si potrà scendere al quinto, consigliere d’appello, ma non credo assolutamente che si possa mettere dinanzi alle altre categorie, come a quella dei professori d’università, un uditore giudiziario: sarebbe un assurdo.

Qualche altra osservazione debbo fare in merito alla composizione. Si dice che queste categorie possono essere scelte anche fra gli ex magistrati. Io condivido, perché lo scegliere alcuni di questi rappresentanti fra gli ex magistrati rappresenterebbe certamente un correttivo, in quanto si verrebbe ad allargare e a dare maggiori garanzie alla classe.

L’altra metà deve essere costituita di professori universitari in discipline giuridiche o di avvocati i quali abbiano cessato dall’esercizio professionale. Siamo pienamente d’accordo su queste linee. Dove invece non siamo più d’accordo, è per quello che si riferisce alla durata, giacché a me pare che si debba in modo particolare tener conto della circostanza che noi ci accingiamo a creare un organo, il quale ha competenza dall’assunzione nella carriera della Magistratura sino al più alto grado della medesima.

Non dimentichiamo che quest’organo, questo gruppo di uomini, questo gruppo di governanti in seno alla Magistratura, diventa un istituto veramente importante e, in certo senso, veramente assoluto: io penso quindi che la durata debba essere molto breve. Riflettiamo che questi uomini – quattordici o quindici al più – detengono la potestà di governare, di regolare il funzionamento di tutti i gradi della Magistratura, ed è bene che si rinnovino, è bene che non si fossilizzino per un lungo periodo di tempo di sette o sei anni. Io l’avrei ridotto al massimo a quattro anni.

Il pericolo di questa costruzione che stiamo facendo è questo: che mentre noi cerchiamo di dare maggiori garanzie alla Magistratura, ho paura che, invece, finiremo per opprimere l’ordine giudiziario. Perché, di fronte alla facoltà di disporre, che era limitata, affidata al potere esecutivo, c’era prima la garanzia effettiva del Consiglio Superiore, il quale doveva esprimere il suo parere e metteva così delle limitazioni all’arbitrio del Ministro. Di fronte al Ministro c’era cioè il Consiglio Superiore. Ora di fronte al Consiglio superiore non ci sarà più nessuno: le sue decisioni sono assolute e non sono più criticabili; esso diventa, diciamo così, un despota dell’ordinamento della Magistratura.

Io non voglio difendere una posizione, perché sono attualmente Ministro; anzi desidero che la Magistratura abbia la più piena possibilità di sviluppo e di disponibilità del suo funzionamento; ma è bene che vi avverta di qualche cosa che è già sentito nell’animo dei più responsabili nel campo della Magistratura e cioè che forse noi stiamo facendo un ordinamento che finirà col non essere qualche cosa di meglio per la Magistratura, perché questa aveva le sue difese e le sue guarentigie rispetto al potere esecutivo per mezzo del Consiglio Superiore. Oggi il Consiglio Superiore, che assume i poteri che aveva il potere esecutivo, finisce per non avere nessun controllo nella sua azione.

Ad ogni modo, dato che ci siamo messi su questa linea, cerchiamo almeno di porre un limite a questa discrezionalità; e questo limite, io penso, lo si potrebbe trovare nel periodo di durata del Consiglio Superiore, di modo che attraverso il suo rinnovamento, sia pure elettivo, si possano superare le difficoltà che possono sorgere, e che sarebbero ancora più gravi se noi concedessimo al Consiglio superiore una durata più lunga.

Un’altra osservazione che faccio – e che rappresenta un’altra proposta compresa nel mio emendamento – è che ritengo sia preferibile che la parte dei componenti del Consiglio superiore, non eletta dai magistrati, ma dalle Assemblee legislative, fosse divisa per metà: metà alla Camera dei deputati e metà al Senato della Repubblica. Le ragioni sono intuitive. Io ritengo anzitutto che sia ottima cosa mantenere un po’ separate queste due Assemblee (del resto, alla super-assemblea l’Assemblea stessa si è dimostrata contraria, riducendo le sue funzioni a casi eccezionalissimi). Ora, non mi sembra il caso di riunire le due Assemblee per la nomina dei membri del Consiglio Superiore. Non solo, ma è bene che ogni Camera abbia i suoi rappresentanti in quel Consiglio, per le origini diverse che hanno le due Assemblee, per la natura stessa della loro composizione, per il loro quorum, in quanto che, se una Camera è inferiore all’altra, finirebbe eventualmente per essere assorbita dal potere di questa, È quindi bene che i membri, siano quattro, sei od otto quelli che saranno affidati all’elezione delle Assemblee legislative, siano divisi per metà, ossia una parte alla Camera dei deputati e un’altra al Senato della Repubblica.

Questo, per quanto riguarda il funzionamento e la costituzione del Consiglio Superiore. Dichiaro, però, di accettare tutti quegli altri emendamenti che danno maggiori possibilità ai magistrati a riposo, di far parte del Consiglio Superiore.

Ma la parte più essenziale del mio emendamento è quella relativa all’ultimo comma, ossia quella che si riferisce alle funzioni del Consiglio Superiore. Ho già detto che in tutti gli ordinamenti giudiziari degli altri Paesi democratici – e ricorderete che Fiorello La Guardia, nella sua visita qui, ci disse quali erano stati i risultati della magistratura elettiva nel suo Paese, e come raccomandò a noi Costituenti di guardarci dal battere quella strada – negli altri paesi democratici non c’è dubbio che la Magistratura, pur essendo riconosciuta indipendente nella sua funzione, è sempre legata al potere esecutivo per quanto riguarda la sua organizzazione.

Ora, non dobbiamo farne un organismo a sé per non creare uno Stato nello Stato, andando incontro a quei pericoli da molti denunciati in questa Assemblea.

Non dobbiamo seguire a questo proposito una linea di condotta diversa da quella seguita da altri Stati, come la Francia la quale, avendo istituito il Consiglio Superiore, lo ha legato al potere esecutivo in quanto il Presidente della Repubblica ne è il Capo ideale ed in lui convergono tutti i poteri dello Stato.

In Inghilterra, il Capo della Magistratura è il Lord Cancelliere, che fa parte del Gabinetto; e questo dimostra che la Magistratura non può, dunque, staccarsi dalla vita unitaria dello Stato, perché la responsabilità di fronte alle Assemblee parlamentari non può essere assunta da un organo estraneo allo Stato, che funzioni per conto suo, ma deve essere collegata con l’organo del potere esecutivo che risponde di fronte al Parlamento di tutte le sue azioni. Lo stesso Presidente della Repubblica dovrà essere coperto nella sua responsabilità dal Ministro di grazia e giustizia.

Perciò è impossibile che lo Stato venga separato in settori. Un certo raccordo deve esservi.

Quindi, sia per queste considerazioni, sia perché il funzionamento deve avvenire in maniera concreta, io ho presentato un emendamento che tiene conto di questa situazione per dare la possibilità al Consiglio Superiore di funzionare.

Ho stabilito nel mio emendamento, che il Consiglio Superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, che potrà essere modificato in base ai criteri indicati, nomina le commissioni perle assunzioni.

Perché non basta dire che il Consiglio Superiore assume, ma come assume? Pensare che le assunzioni possano esser fatte direttamente da sedici uomini che si riuniscono, è un assurdo, perché ogni anno essi dovranno assistere ad esami, dovranno correggere, ecc. Sono lavori di commissioni che durano per un anno intero!

Una voce. È naturale.

GRASSI. Non è naturale. Se diciamo che il Consiglio Superiore fa le assunzioni, si potrebbe pensare anche ad assunzioni dirette, mentre il Consiglio Superiore ha una competenza diretta per gli scrutini.

In altri termini, è bene che la Camera abbia chiaro che, mentre per il grado di uditore e fino al IV grado le assunzioni si fanno attraverso le commissioni, ed anche le promozioni, soltanto gli scrutini per i gradi superiori si fanno attraverso le stesse Sezioni.

Quindi, se non diciamo chiaramente quale deve essere il funzionamento organico di questo Consiglio Superiore (perché non è detto, che se non si stabilisce chiaramente il principio la questione può essere domani ripresa da una legge) se noi facciamo una Costituzione rigida – secondo il vostro pensiero – non so quali difficoltà si potranno avere in sede di applicazione.

Perciò io dico che il Consiglio Superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, che stabilirà i dettagli, nomina le commissioni per le assunzioni in carriera e per le promozioni dei magistrati; procede agli scrutini (è quindi stabilito quando il Consiglio Superiore procederà agli scrutini direttamente), delibera sulla dispensa, sulla sospensione dal servizio, sul trasferimento ad altra sede o destinazione ad altra funzione, quando non vi sia il consenso del magistrato e (ed è questa la parte principale del mio emendamento) provvede in materia disciplinare, esprime il parere nei casi indicati dalla legge, per i magistrati del pubblico ministero.

Oggi la situazione è questa: mentre per la Magistratura giudicante il parere del Consiglio Superiore o la deliberazione è vincolativa, e quindi il Ministro non può far niente senza la deliberazione del Consiglio Superiore; per quanto si riferisce, invece, alla Magistratura requirente, ossia al pubblico ministero, dal tribunale fino alla Cassazione, il parere del Consiglio Superiore non è vincolante. Questo significa che c’è un rapporto ancora di congiunzione fra il Ministro e la Magistratura attraverso il pubblico ministero, il pubblico ministero che non è soltanto magistrato nel senso che adempie alle funzioni del magistrato, ma è organo del potere esecutivo, ha tutte le funzioni di ordine di esecuzione nel campo della Magistratura e fuori della Magistratura: per esecuzione delle sentenze, per la parte riguardante le cancellerie, i minorenni, lo stato civile e per tutte le funzioni che svolge al Ministero della giustizia nella tutela dei giudicati; e il pubblico ministero è incaricato di ricorrere nell’interesse della legge quando il Ministro crede che nell’interesse della legge debba farsi ricorso.

Ora non possiamo estraniare la funzione dell’esecuzione dalle responsabilità che intorno a questo organismo ci sono.

Se le stacchiamo nettamente, e poniamo anche la Magistratura requirente alla dipendenza esclusiva del Consiglio Superiore con deliberazione vincolante, separeremo la Magistratura dall’esecutivo e dal legislativo. Ciò porterebbe come conseguenza che nessuno risponderebbe più, evidentemente, del funzionamento della Magistratura in Italia.

Queste sono le considerazioni che sottopongo all’Assemblea, frutto in parte dell’esperienza, in parte della necessità di porre dei limiti all’indipendenza della Magistratura, che deve essere concessa con quelle garanzie che i miei predecessori hanno già stabilito; io dico: andare oltre queste e voler considerare alla stessa stregua le funzioni requirenti e quelle giudicanti, sarebbe un errore le cui conseguenze, rispetto al funzionamento degli organi dello Stato, risulterebbero gravissime.

Io ho creduto mio dovere di affidare all’Assemblea queste osservazioni e non parlo come Ministro ma come componente di essa ed è bene che ognuno assuma le proprie responsabilità.

PRESIDENTE. Ricordo che i seguenti emendamenti sono stati già svolti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, del procuratore generale presso la Corte di cassazione, del presidente del Consiglio nazionale forense e di membri designati per quattro anni, metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie, metà dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno, nelle seguenti categorie: professori universitari, membri di Accademie, magistrati a riposo, avvocati e procuratori. I membri elettivi iscritti negli albi forensi non possono esercitare la professione finché fanno parte del Consiglio».

Rossi Paolo.

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal primo presidente della Corte di cassazione, è composto di un vicepresidente nominato dall’Assemblea Nazionale e di membri eletti per sette anni metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie, e metà dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno e degli albi forensi.

«I membri del Consiglio Superiore della Magistratura non possono essere privati della libertà personale senza la preventiva autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto per il quale sia obbligatorio il mandato di cattura».

Monticelli.

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, e di otto membri designati per sette anni, metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie, metà dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno, fra i cittadini che non abbiano direzione o rappresentanza di partiti politici».

Sardiello.

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è composto del primo presidente della Corte di cassazione, che lo presiede, per due terzi di membri designati da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie, i quali restano in carica per quattro anni, e per un terzo di presidi – in carica – della Facoltà di giurisprudenza presso le Università di Stato, designati dal Consiglio Superiore della pubblica istruzione».

Villabruna, Badini Confalonieri.

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente e del procuratore generale della Corte di cassazione, in qualità di vicepresidenti, di sei membri eletti da tutti i magistrati della Repubblica aventi almeno il grado di giudice o parificato, di tre membri eletti dalla Camera dei deputati e di tre membri eletti dal Senato della Repubblica, fuori dal proprio seno e dagli albi forensi, in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranza.

«Persico».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del Guardasigilli, Ministro della giustizia, vicepresidente, e di membri designati per sette anni da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie.

«Perlingieri».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio superiore della Magistratura è composto del primo presidente della Corte di cassazione che lo presiede e di otto membri eletti per cinque anni da tutti i magistrati, fra gli appartenenti alle diverse categorie.

«Abozzi».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione, del procuratore generale della cassazione, vicepresidenti, e di membri designati per sette anni da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie.

«Subordinatamente:

«Il Consiglio superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della cassazione e del procuratore generale, vicepresidenti, nonché di membri designati per sette anni da tutti i magistrati per due terzi e per un terzo dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno.

«Casti glia».

L’onorevole Tosato ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è composto per metà di membri eletti dai magistrati appartenenti alle diverse categorie, e per l’altra metà di membri estranei nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministro di grazia e giustizia di concerto col primo presidente della cassazione.

«Il primo presidente della cassazione è nominato dal Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura delibera a maggioranza di tre quinti dei suoi componenti».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Costa ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura è composto del primo presidente della Corte di cassazione, presidente, e di sei consiglieri nominati per cinque anni, metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie e un quarto da ciascuna delle Camere legislative».

«Sopprimere il terzo e quarto comma».

Non essendo presente si intende che abbia rinunziato a svolgerli.

L’onorevole Scalfaro ha presentato e svolto il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente e del procuratore generale della Corte di cassazione, vicepresidenti, e di membri designati per sette anni, per due terzi, fra tutti i magistrati appartenenti alle diverse categorie, e per un terzo dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno».

SCALFARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Io vorrei aggiungere soltanto alcune parole alla fine del mio emendamento. Le seguenti:

«che appartengano alle seguenti categorie:

1°) magistrati dell’ordine giudiziario o amministrativo anche a riposo;

2°) professori universitari di diritto di ruolo;

3°) avvocati dopo quindici anni di esercizio.

«Chi è nominato nel Consiglio Superiore della Magistratura cessa di essere iscritto nell’albo professionale».

PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire le parole: da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie, con le seguenti altre: fra tutti i magistrati direttamente dalla legge, in base all’anzianità di carriera e con criteri di distribuzione territoriale e per categoria».

Ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. Noi ci siamo molto preoccupati, come era giusto, di assicurare la indipendenza costituzionale dell’ordine giudiziario. Credo che non ci siamo preoccupati altrettanto di assicurare l’indipendenza istituzionale o interna dell’ordine giudiziario e dei magistrati. E difatti, io ritengo che l’elettoralismo, così largamente introdotto fra i magistrati, sia veramente un pericolo per l’indipendenza dei magistrati medesimi, perché non è difficile prevedere che questa necessità di riunirsi in corpo elettorale assai di sovente per eleggere i rappresentanti presso il Consiglio superiore, verrà a stabilire delle interdipendenze fra i magistrati, fra coloro che chiedono i voti e coloro che li dànno, il che tante volte si traduce in do ut des. E la cosa è molto più grave quando si tratta di selezione a funzione che si riferisce esclusivamente alle persone, cioè a trasferimenti, a promozioni, a scrutini, e via di seguito. Noi qualche esperienza in materia l’abbiamo già fatta. L’elettoralismo è molto diffuso nelle Università. Lungi da me, professore universitario, chiedere una riforma che diminuisca l’autonomia accademica; ma indubbiamente degli inconvenienti si verificano. Nella formazione delle Commissioni esaminatrici di concorso, per esempio, anzi attraverso la formazione di queste Commissioni, si determinano delle interdipendenze, dei conglomerati, dei patti di tendenza o di scuola, che non sono sempre producenti alla serenità dei giudizi. E credo che i magistrati stessi abbiano fatto una non lieta esperienza di questo elettoralismo nelle recenti elezioni del Consiglio Superiore della Magistratura. Cominciano a correre le lettere, le raccomandazioni, le promesse, le assicurazioni; che indubbiamente vengono a creare una stratificazione gerarchica fra gli eletti, i grandi elettori, i piccoli elettori ed i singoli elettori. Io credo che noi proprio renderemmo un servizio alla Magistratura se la liberassimo da questo elettoralismo, che, fra le altre cose, non è strettamente necessario.

Noi abbiamo sempre dinanzi agli occhi lo schema dello Stato democratico che si deve reggere sulle elezioni, in quanto le elezioni da un lato sono dichiarazione di volontà delle direttive dello Stato, della politica, ed è logico che si ricorra al popolo perché indichi dove vuole andare: e sono dall’altro scelta di persone. Ma queste stesse esigenze, evidentemente, non ci sono quando la scelta è per funzioni che sono esclusivamente tecniche e amministrative, sulle quali i criteri e gli orientamenti politici non c’entrano o, per lo meno, non ci dovrebbero entrare; e quando poi il corpo elettorale è talmente scelto, che si deve supporre che ognuno dei componenti del corpo elettorale sia idoneo. Ed allora perché non ricorrere ad un sistema di designazione fissa attraverso la legge, che assicurerebbe, secondo me, molto più la indipendenza istituzionale della Magistratura e quella indipendenza psicologica della quale noi ci dobbiamo veramente preoccupare? Noi dovremmo creare un congegno puramente legale per la designazione del Consiglio Superiore.

Io proporrei che i membri del Consiglio Superiore fossero designati dalla legge con criteri di anzianità, tenendo conto anche di una distribuzione per territorio e per categorie, se si vuole introdurre anche il criterio della categoria, come è nel testo del progetto e come si prevede in parecchi emendamenti.

Se si dicesse, per esempio: sono eletti i tre più anziani primi presidenti delle tre parti d’Italia: Italia settentrionale, Italia centrale e Italia meridionale; i tre più anziani presidenti di tribunale di queste stesse circoscrizioni; i tre più anziani primi pretori, noi avremmo il duplice effetto di liberare la Magistratura dal grave pericolo dell’elettoralismo – che sarebbe un elettoralismo meramente personalistico, non determinato da ragioni politiche né di scuola, come avviene nel campo universitario – e si avrebbe l’altro effetto di scegliere persone che sono certamente capaci della funzione. Perché, indubbiamente, un magistrato esercita una funzione molto più alta quando decide degli averi e della libertà dei cittadini e comunque quando interpreta ed applica la legge, anziché quando decide di trasferimenti o della formazione di commissioni o di provvedimenti disciplinari.

Io perciò ho pensato, dopo lunghe riflessioni e dopo aver ascoltato molti magistrati, di cui molti anche componenti di questa Assemblea, di proporre questo sistema che ritengo atto a proteggere veramente l’indipendenza dei singoli magistrati.

Giacché mi trovo ad avere la parola, vorrei richiamare l’attenzione della Costituente sul problema degli avvocati, membri del Consiglio Superiore della Magistratura. Tutti si sono preoccupati di non mettere degli avvocati esercenti nel Consiglio Superiore, e si è ricorso all’accorgimento di stabilire che questi avvocati o non devono essere iscritti all’albo o se ne devono far cancellare, appena eletti.

Non penso soltanto alla possibilità che gli avvocati continuino ad esercitare la professione, pur essendo cancellati dall’albo, attraverso sostituti od amici, ma penso anche alla categoria di persone che potrebbero trovarsi nella situazione di eleggibili.

Sarebbero gli avvocati che non farebbero un grande sacrificio a farsi cancellare dall’albo, cioè gli avvocati che hanno meno cause, che sono meno richiesti e che il pubblico ha giudicato meno bene; o potrebbero essere gli avvocati che hanno troppo desiderio e troppo interesse di andare al Consiglio Superiore, tanto che per andarci sarebbero disposti a rinunciare od a interrompere con una lunga sospensione la loro attività professionale.

Ed allora, evidentemente, questa rappresentanza degli avvocati non sarebbe certamente la più eletta della categoria; per cui io, pur senza proporre un nuovo emendamento che regoli l’introduzione degli avvocati nel Consiglio Superiore, invito la Costituente a riflettere molto sugli accorgimenti di cui deve circondare la scelta degli avvocati, che anche io ritengo necessari partecipi alla costituzione del Consiglio Superiore.

PRESIDENTE. L’onorevole Perrone Capano ha proposto i seguenti emendamenti:

«Al secondo comma, sostituire le parole: metà dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno, con le seguenti: metà dal Parlamento con rappresentanza della minoranza fuori del proprio seno, e fuori degli iscritti nell’albo forense».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«L’azione disciplinare contro i magistrati può essere esercitata dal Ministro della giustizia e dai procuratori generali della Cassazione e delle Corti di appello».

Ha facoltà di svolgerli.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, ho presentato due emendamenti all’articolo 97. Essi, in verità, non sono originali, perché realizzano due voti espressi dal Consiglio nazionale dell’Associazione magistrati d’Italia; due voti che mi sono parsi raccomandabili e che perciò ho fatti miei.

Il primo emendamento ha carattere subordinato. Ove, infatti, venga accolto il criterio della formazione del Consiglio Superiore della Magistratura col sistema elettivo, pare a me che, assicurando al risultato della elezione la partecipazione della minoranza, si eliminerà l’inconveniente che un determinato partito politico possa entrare a far parte del Consiglio Superiore della Magistratura in condizioni tali da disporre in partenza della maggioranza o quasi del Consiglio stesso, sì che esso finirebbe per dominarlo. Assicurando, viceversa, come ho detto, la partecipazione della minoranza della due Camere, si consentirà una diversa distribuzione delle forze politiche nel Consiglio Superiore della Magistratura: e quindi si determinerà la possibilità che il Consiglio conservi sempre una notevole indipendenza.

Per quanto riguarda l’ultima parte del primo emendamento, credo di non dover aggiungere altro a quanto detto poco fa dall’onorevole Condorelli.

In sostanza, dicendo che la scelta degli eligendi deve avvenire fuori del seno del Parlamento e fuori degli albi forensi, io ho voluto esprimere la mia adesione a quanto è stato prima messo in rilievo: evitare il rischio, cioè, che la semplice cancellazione dall’albo per la durata della carica di componente del Consiglio Superiore non sia garanzia sufficiente, quale abbiamo diritto di stabilire e di attendere, di indipendenza dei componenti del Consiglio che provengono dall’avvocatura.

Io non voglio mancare di riguardo alla categoria forense, alla quale mi onoro di appartenere. Ma non possiamo aver dimenticato ciò che in passato è talvolta avvenuto nel delicato campo dell’esercizio di certe funzioni non garantite a sufficienza dalla semplice cancellazione dall’albo o dalla semplice sospensione transitoria dell’esercizio forense.

Ritengo quindi che sarebbe garanzia veramente integrale di indipendenza del Consiglio e garanzia contro il rischio che si possa far valere indirettamente, nell’esercizio della professione forense, l’appartenenza al Consiglio Superiore, la disposizione che porti ad eleggere in questo campo i rappresentanti delle Camere fuori degli albi forensi.

Il secondo emendamento si ispira al concetto che debba ritenersi eccessivo lasciare soltanto al Ministro di grazia e giustizia l’iniziativa dell’azione disciplinare contro i magistrati.

Il Ministro, ordinariamente, è espressione di un partito, di una corrente politica, di una determinata combinazione ministeriale. I procuratori generali della Cassazione e delle Corti di appello sono magistrati. Come tali devono rimanere estranei ai partiti politici; e quindi possono integrare, per lo meno, l’esercizio della facoltà riservata al Ministro, potendo esercitate essi l’azione disciplinare, anche quando il Ministro non creda opportuno di provvedervi. Per queste ragioni mantengo entrambi i miei emendamenti.

PRESIDENTE. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:

«Al terzo comma, sopprimere le parole: Le assunzioni.

«Abozzi».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Il primo presidente della Corte di cassazione promuove l’azione disciplinare contro i magistrati.

«Abozzi».

«Al secondo comma, dopo le parole: fuori del proprio seno, aggiungere le parole: tra avvocati e docenti di diritto che abbiano compiuto il quarantesimo anno di età.

«Carboni Angelo, Lussu, Fietta».

PRESIDENTE. L’onorevole Varvaro ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura assicura l’indipendenza e la disciplina dei magistrati».

Ha facoltà di svolgerlo.

VARVARO. Onorevoli colleghi, a proposito dell’articolo 94 avevo presentato un emendamento, al quale ho rinunciato, che era del seguente tenore: «I magistrati non possono essere destinati ad uffici estranei all’ordine giudiziario». Ne faccio in questo momento oggetto di raccomandazione per la Commissione.

Vi ho rinunciato perché non vedo l’opportunità di una simile disposizione nel testo costituzionale, ma devo ricordare alla Commissione che l’ordinamento giudiziario Grandi, con gli articoli dal 196 al 203, codificò la carriera dei magistrati applicati agli uffici del Ministero della giustizia. Di questo fenomeno tutti quelli che sono vicini alla Magistratura, o perché magistrati, o perché avvocati, o perché comunque studiosi del problema della Magistratura, sanno benissimo quali perniciosi effetti abbia nella realtà prodotti, perché si è creata una casta privilegiata, e precisamente la casta di quelli che vogliono andare vicino al potere esecutivo o meglio alle alte sfere del potere esecutivo per farvi carriera. Vorrei raccomandare alla Commissione che in qualunque modo si trovi la maniera di evitare che si torni al carrierismo presso il potere esecutivo.

L’emendamento da me proposto è molto semplice. Si tratta di sostituire l’ultimo comma dell’articolo 97, e cioè che al posto dell’iniziativa del Ministro per la disciplina della Magistratura, si fissi questo concetto: «il Consiglio Superiore della Magistratura assicura l’indipendenza e la disciplina dei magistrati». La dizione è quasi conforme a quella della Costituzione francese. In verità non mi spiego perché la Magistratura italiana in questo momento abbia tanta diffidenza verso il potere legislativo. Capirei di più e riterrei ragionevole la maggiore diffidenza per quanto riguarda l’interferenza del potere esecutivo, perché basta vedere quel che è stato scritto nell’ultimo ordinamento giudiziario fascista, all’articolo 6, per potersi render conto del come la Magistratura fosse letteralmente schiava. È inutile usare eufemismi: era letteralmente schiava; per cui non condivido affatto quel che s’è detto circa l’inerzia della Magistratura nel periodo fascista.

La Magistratura nel periodo fascista non poteva far nulla, né dire nulla, né chieder nulla, perché tutti i provvedimenti relativi allo stato dei magistrati, cioè nomine, promozioni, trasferimenti, revoche, ecc., erano affidati al Ministro della giustizia.

Non mi spiego invece la diffidenza verso il potere legislativo, che, appena costituitosi in regime di libertà con questa Assemblea, si è preoccupato soprattutto, e con intendimento nobilissimo, dell’indipendenza della Magistratura.

Evidentemente, la Magistratura deve essere indipendente, ma renderla avulsa completamente da quello che è il complesso della amministrazione dello Stato, o che si esercita nella maniera più rispondente ai bisogni del popolo attraverso le Assemblee legislative, mi pare proprio un assurdo; e se è vero che le Assemblee legislative possono, come diceva un momento fa l’onorevole Perrone Capano, esprimere in un determinato momento la prevalenza di un partito, tuttavia esse, nel loro complesso, rispondono a quella che è l’opinione pubblica, cioè alle esigenze del popolo che le ha elette. Quindi, è giusto che vi sia un’armonia fra l’Assemblea Nazionale e la Magistratura, un’armonia anche funzionale, perché non capirei che la Magistratura non rispondesse affatto dinanzi alle Assemblee legislative, quando tutti i Ministri e tutte le amministrazioni sono responsabili di fronte ad esse.

Pertanto, vorrei che i voti dei magistrati fossero intesi come un astratto desiderio di indipendenza, perché mi parrebbe veramente poco lodevole che essi sospettassero di questa democrazia, che si è preoccupata proprio della loro indipendenza.

Noi abbiamo creato il Consiglio Superiore della Magistratura. Evidentemente, se abbiamo creato quest’organo, non capisco perché subito e proprio nello stesso articolo che si riferisce al funzionamento, alla costituzione ed ai poteri di esso si debba inserire una iniziativa disciplinare del Ministro. Io intendo che il Ministro possa esercitare l’azione disciplinare anche quando il Consiglio Superiore avrà i poteri che la Costituzione gli attribuisce. Li potrà esercitare, si capisce, come una iniziativa da sottoporre proprio al Consiglio Superiore; ma non vorrei che attraverso questa dizione si invertissero i termini, perché allora sarebbe molto pericoloso e noi affermeremmo un principio che si avvicinerebbe al famoso sistema del vecchio ordinamento giudiziario.

Il Ministro della giustizia può esercitare, senza dubbio, la sua iniziativa disciplinare, ma questo non deve essere inserito nella Costituzione, perché non vedrei a che titolo possa stabilirsi questo suo potere, dal momento che non è un potere deliberativo, se io ben interpreto l’articolo. L’iniziativa dei provvedimenti disciplinari vuol dire facoltà di fare proposte a quel Consiglio Superiore che poi, in fin dei conti, sarà quello che dovrà deliberare. Perciò ritengo inopportuno, pur convinto come sono che l’ordinamento giudiziario dovrà stabilire questa iniziativa del Ministro, che ciò sia stabilito nella Costituzione.

Ho visto che altri emendamenti, in sostanza, rispondono a questo concetto. Non ho capito, a proposito dell’emendamento Grassi, se egli vuole conservata o meno questa iniziativa, perché il suo emendamento è sostitutivo dell’articolo 97. Quindi, vorrei sapere se l’onorevole Grassi intende che sia conservata l’iniziativa disciplinare del Ministro in altro articolo della Costituzione, oppure se ha inteso rinunziare a questa iniziativa, riservandola all’ordinamento giudiziario. Questo non mi è parso chiaro nel suo emendamento. Evidentemente c’è un difetto di espressione. Io vorrei, perciò, domandare se l’emendamento dell’onorevole Grassi è inteso a conservare o no l’iniziativa disciplinare del Ministro.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Può rimanere.

VARVARO. Per la mia non breve pratica giudiziaria, posso dire che vi è sempre stata, in Italia, la tendenza ad interferire nell’azione della Magistratura. Specialmente durante il periodo fascista, ho visto che si era giunti a legarla mani e piedi, non soltanto al Ministro di grazia e giustizia, ma anche, sotto una certa forma, al Ministro dell’interno. Ho presentato perciò un emendamento all’articolo 100, per cui vorrei che la polizia giudiziaria dipendesse direttamente dalla Magistratura. La Magistratura ha bisogno di essere indipendente dal potere esecutivo, sia esso Ministero di grazia e giustizia oppure dell’interno. Questi Ministeri sono quelli che in Italia si chiamano – con una frase che secondo me è la manifestazione di una malattia grave, propria del passato – Ministeri-chiave. Da che io sono al mondo, ho sempre inteso nella politica italiana parlare di Ministeri-chiave: ogni qualvolta c’è una crisi c’è la corsa ai Ministeri-chiave.

Ora, il cittadino buono e onesto si domanda: che cosa sono questi Ministeri-chiave? di che chiave si tratta? E se noi volessimo rispondere a questi interrogativi, saremmo costretti ad ammettere che si tratta di una chiave che apre la porta della faziosità e delle sopraffazioni! Quando si dice che un partito vuole uno di questi Ministeri, vuol dire che esso intende che tali Ministeri si mettano al servizio di quel partito e non della Nazione. Perciò bisogna togliere questa preoccupazione al popolo italiano. Io credo che risponda a questa esigenza sottrarre la Magistratura all’influenza del potere esecutivo e avvicinarla, invece, al potere legislativo, attraverso un’armonica collaborazione.

E sotto questo punto di vista, onorevoli colleghi, credo che molto più esatto sia il criterio accolto nella Costituzione francese, in confronto a quello adottato nel progetto, cioè il criterio di non preoccuparsi troppo di una prevalenza della Magistratura nella composizione del Consiglio Superiore perché, ripeto, le Assemblee legislative rispondono veramente agli interessi del Paese del quale interpretano la volontà e le aspirazioni.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Il Ministro della giustizia vigila e sopraintende al regolare funzionamento secondo legge dell’organizzazione giurisdizionale ordinaria, e provvede all’esecuzione delle decisioni giudiziarie.

«Egli promuove innanzi al Consiglio superiore della Magistratura l’azione disciplinare contro i magistrati».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento risponde a due scopi: anzitutto quello di giustificare l’attribuzione al Ministro di grazia e giustizia della funzione disciplinare nei riguardi dei magistrati; avendo egli la funzione di garante del buon funzionamento dell’amministrazione della giustizia, è ovvio che si attribuisca a lui questo promovimento dell’azione disciplinare.

L’altro scopo del mio emendamento è quello di attribuire al Ministro quella funzione di organizzazione dell’amministrazione della giustizia nei limiti della legge.

Per quanto riguarda la formulazione, siccome c’è un testo concordato, che sarà presentato dal collega Colitto, mi rimetto ad esso.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Cappi, Benvenuti, Moro, Mannironi, Valenti, Bulloni, Clerici, Chieffi, Liberti, Salvatore e Nicotra Maria del seguente tenore:

«Al secondo comma, dopo le parole: metà dell’Assemblea Nazionale, aggiungere le altre: con lista limitata».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgerlo.

CAPPI. Il mio emendamento è, nella sostanza, simile a quello proposto dall’onorevole Perrone Capano; c’è solo una differenza di forma.

L’onorevole Perrone Capano propone che le nomine da parte dell’Assemblea legislativa siano fatte con rappresentanza delle minoranze. Mi pare che tecnicamente sia difficile accettare questa formula, e pertanto io avrei proposto di dire: «con lista limitata», perché per nominare cinque o sei membri del Consiglio Superiore, se ci sono quattro o cinque correnti politiche, mi pare difficile che ciascuna possa avere un’influenza nella nomina.

Mi sembra che per attenuare l’inconveniente della preponderanza assoluta della maggioranza politica della Camera, basti la votazione con scheda limitata, come del resto è consuetudine quando si tratta della nomina di persone.

Questa è la ragione del mio emendamento.

PRESIDENTE. Abbiamo concluso lo svolgimento degli emendamenti all’articolo 97.

Sono stati proposti alcuni emendamenti come articoli 97-bis. Data la connessione della materia, ritengo opportuno che siano svolti.

Gli onorevoli Targetti, Costa, Carpano Maglioli, Fedeli Aldo, Mancini hanno presentato il seguente emendamento:

Art. 97-bis.

«L’organizzazione dell’Amministrazione della giustizia spetta al Ministro di grazia e giustizia, che ne risponde innanzi al Parlamento».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, lo scopo al quale mira il nostro emendamento è così chiaro, che l’emendamento stesso non ha bisogno di essere illustrato. Noi siamo favorevolissimi ad assicurare alla Magistratura il massimo di indipendenza; non siamo neppure contrari a dare ad essa, attraverso il Consiglio Superiore, larghi poteri; ma, al tempo stesso, riteniamo che si debba essere tutti d’accordo nel ristabilire il principio o, per dir meglio, nel mettere in evidenza che non abbiamo rinunciato al principio che il Ministro della giustizia debba rispondere dell’amministrazione della giustizia.

Si potrebbe dire che questo articolo aggiuntivo è superfluo. A noi non sembra, perché tenendo presente il contenuto, la portata dello stesso articolo – noi avevamo fatto un articolo bis – tenendo presente, dicevo, la portata, le conseguenze dell’approvazione dell’articolo 97, crediamo sia necessario, a scanso di equivoci, mettere bene in chiaro che a rispondere del funzionamento dell’amministrazione della giustizia resta ancora il Ministro della giustizia.

Abbiamo aggiunto «dinanzi al Parlamento», sebbene si sappia che questo può essere anche considerato come un pleonasmo, perché tutti i Ministri rispondono dinanzi al Parlamento; ma ci è sembrato opportuno ricordarlo per mettere ancora più in chiaro lo scopo della norma stessa. L’Assemblea comprenderà che, in difetto di questa riaffermazione esplicita della responsabilità del Ministro, non vi sarebbe alcuno a rispondere effettivamente dell’amministrazione della giustizia, giacché non potrebbe certo esser chiamato a rispondere il Consiglio Superiore della Magistratura dinanzi alle due Camere.

Occorre quindi che la responsabilità del modo come la giustizia viene amministrata faccia carico, e sia esplicitamente assunta dal Ministro della giustizia, con tutte le conseguenze che da questa responsabilità derivano.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente articolo 97-bis:

«Il Ministro di grazia e giustizia assicura il funzionamento, secondo la legge, dell’organizzazione della giustizia».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Onorevoli colleghi, l’emendamento aggiuntivo che porta la mia firma, è stato da me formulato di accordo con altri colleghi dell’Assemblea. Ritengo che esso possa essere da voi accolto.

Perché la giustizia si realizzi è indubbiamente necessaria un’organizzazione di uffici, il cui regolare funzionamento costituisce una delle condizioni perché il magistrato adempia al suo ministero. Di qui la necessità di un Ministro della giustizia che tale funzionamento assicuri. Nell’ambito, s’intende, della legge. Di qui, pertanto, il mio emendamento. Non può essere accolta, a mio avviso, la formula proposta dall’onorevole Targetti, giacché egli propone che si dica che l’organizzazione della giustizia spetta al Ministro di grazia e giustizia. Ora, a me pare che tale organizzazione non spetti al Ministro, ma al potere legislativo.

È inutile, poi, aggiungere – come anche l’onorevole Targetti propone – che il Ministro risponde della sua attività dinanzi al Parlamento, perché sappiamo tutti che della propria attività ciascun Ministro risponde dinanzi al Parlamento. Sembra a me, pertanto, più esatta la formula concordata, la quale tiene conto della sostanza dell’emendamento presentato dall’onorevole Mortati, mentre presenta il vantaggio di una dizione più semplice.

«Il Ministro della giustizia», ripeto il testo dell’emendamento, «assicura il funzionamento secondo la legge dell’organizzazione della giustizia». Tale formula è tale, a mio avviso, da soddisfare tutte le esigenze, per cui ritengo che l’emendamento possa essere accettato dalla Commissione e, onorevoli colleghi, essere da voi approvato.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

Art. 97-bis.

«Spettano al Consiglio Superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni ed i provvedimenti disciplinari».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Non mi pare che il nostro emendamento abbia bisogno di essere svolto, giacché esso non è se non una semplice modificazione formale del terzo comma dell’articolo 97. L’averlo noi presentato sotto veste di articolo 97-bis significa semplicemente che noi abbiamo voluto implicitamente suggerire di farlo diventare un articolo a parte.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti all’articolo 97.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Riferirò su ciò che ha ritenuto questa mattina il Comitato di redazione talvolta ad unanimità, talvolta a maggioranza. Assumo la responsabilità personale delle mie dichiarazioni; ma nello stesso tempo interpreto il pensiero esatto del Comitato di redazione in una materia essenzialmente tecnica.

Seguiamo il testo del progetto, che il Comitato sostanzialmente mantiene.

Il primo comma dice: «La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente».

Sono stati proposti due emendamenti.

Uno, soppressivo, dell’onorevole Preti, il quale non crede che questa espressione «autonomo ed indipendente» abbia un valore costituzionale e democratico e corrisponda allo Stato moderno. Io non sono preso dagli scrupoli dell’onorevole Preti. Dicendo che un dato ordine, l’ordine della Magistratura, deve essere indipendente, e cioè non deve dipendere da un altro potere dello Stato, e che deve essere autonomo, ossia disporre da sé per ciò che riguarda il suo stato, come personale dei magistrati, non diciamo cosa che non sia costituzionale e democratica. Che la Magistratura sia sottratta alla dipendenza ed all’influenza del Governo e del potere esecutivo, è un’esigenza ed una conquista della democrazia. L’affermazione qui fatta poi non implica, l’ho detto rispondendo all’onorevole Patricolo, e lo ripeterò fra breve, che vengano meno tutte le altre funzioni del Ministro di giustizia.

L’onorevole Oro Nobili propone alcune aggiunte, che non credo siano necessarie. Perché egli dice: «ed è retto da un Consiglio della Magistratura», ciò che risulta senz’altro da quanto l’articolo dispone subito dopo; chiama «potere» ciò che io preferisco chiamare «ordine», e come tale va qui considerata la Magistratura, senza darle una qualificazione diretta di potere, che non abbiamo data neppure ad altri essenziali organi dello Stato.

Il Comitato rimane fermo al primo comma del testo, che era già stato deliberato e presentato a voi nel progetto.

Il secondo comma riguarda la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. In seguito a lunghe discussioni in seno alla Seconda Sottocommissione e poi nella Commissione dei Settantacinque, si era venuti a questa conclusione: presidente: il Presidente della Repubblica; due vicepresidenti: il primo presidente della Corte di cassazione e uno eletto dall’Assemblea, e poi metà e metà. Era una struttura perfettamente paritetica, tranne il Presidente della Repubblica, che era il capo, al vertice di questo organismo.

Esaminati tutti gli emendamenti, il Comitato ha ritenuto di mantenere fermo che il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura sia il Presidente della Repubblica; perché ciò avviene in altre Costituzioni, come la francese; e poi, onorevoli colleghi, ricordiamoci che noi abbiamo già votato una riforma, che fa quindi già parte della Costituzione, per la quale il Presidente della Repubblica è presidente del Consiglio Superiore della difesa. Dovremmo, se lo togliamo qui, toglierlo anche di là. Sono infatti eguali le ragioni che potrebbero far dubitare dell’opportunità di dare siffatte funzioni al Presidente della Repubblica: non si osserverebbe il canone della irresponsabilità del Presidente della Repubblica, e lo si inserirebbe in un potere particolare, mentre deve essere superiore a tutti; e così via. Questi argomenti non reggono. Nella concezione complessiva, che ha ispirato il Comitato e l’Assemblea nell’accettare la struttura da essa proposta dell’ordinamento statale, abbiamo considerato il Capo dello Stato come fuori d’ogni potere (non gli abbiamo perciò data la sanzione delle leggi); ma appunto perché egli è al vertice di tutto, interviene nel dare espressione agli atti più eminenti dei vari poteri: promulga le leggi, emana i provvedimenti del Governo di maggior rilievo; non poteva essere estraneo a quello che è comunemente designato per terzo potere. Ci è sembrato che dargli la presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura risponda alle linee generali della Costituzione, mentre dà dignità e risalto al Consiglio Superiore della Magistratura. Quanto al timore che in questa funzione il Presidente della Repubblica esca dalla sua imparzialità, e possa compromettersi personalmente, non dobbiamo dimenticare, come ho detto tante volte, che la funzione del Presidente della Repubblica è una funzione di arbitro, di moderatore, di equilibratore; o il Presidente della Repubblica ha il temperamento adatto, ed allora anche come presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, senza entrare in questioni particolari, saprà svolgere anche qui la sua alta funzione; o non ha quel temperamento, e gli urti avverranno anche negli altri compiti che gli spettano per la Costituzione.

Il Comitato mantiene la proposta della Presidenza del Consiglio Superiore al Presidente della Repubblica.

Vi sono poi le questioni sopra la composizione, ed abbiamo assai copiosi emendamenti. Vi domando perdono se qualcuno potrà sfuggirmi nell’esame. Ad ogni modo, vediamo di raggrupparli. Io cerco soprattutto – come ho detto altre volte – di fare il notaio, cercando di agevolare il compito dell’Assemblea.

Un gruppo di emendamenti propone che tutti i membri del Consiglio Superiore siano nominati e designati dalla Magistratura. Sono precisamente gli emendamenti degli onorevoli Romano, Castiglia, Perlingieri; il quale ultimo però aggiunge che il vicepresidente deve essere il Ministro Guardasigilli.

Dico subito che il Comitato non ritiene di ammettere il Guardasigilli in questo organo, al quale il potere esecutivo deve essere estraneo; mentre l’immissione del Ministro nel Consiglio diminuirebbe ed intralcerebbe l’esercizio dei compiti che gli spettano per l’organizzazione dei servizi della giustizia; e di fronte alle stesse decisioni del Consiglio Superiore sul personale, che hanno valore vincolante pel Ministro, ma non escludono la sua funzione di vigilanza per la regolarità delle decisioni da tradursi poi in provvedimenti di cui il Ministro è responsabile.

Non è quindi da ammettersi la sua partecipazione al Consiglio Superiore.

Il Comitato mantiene poi fermo il concetto di una parità fra elementi eletti dalla Magistratura ed elementi eletti dal Parlamento; parità che è fissata nel testo del progetto, e non vi è ragione di accedere alle proposte degli onorevoli Caccuri, Villabruna, Scalfaro, di dare due terzi alla Magistratura ed un terzo soltanto al Parlamento. Tale squilibrio altererebbe il punto di partenza, dal quale muove la concezione della struttura di questo organo.

Il Comitato mantiene fermo il criterio della parità; od è disposto soltanto – accettando l’emendamento dell’onorevole Grassi e quello firmato dagli onorevoli Conti, Perassi, Leone, Dossetti, Bettiol, Rossi Paolo e da altri (e cioè dai rappresentanti di varie tendenze), nel senso di far partecipare al Consiglio Superiore, diciamo così, fuori quota, non solo il primo presidente della Cassazione, come vicepresidente, ma anche il procuratore generale della Repubblica, mentre non vi sarebbe più il vicepresidente, diciamo così, laico, eletto dall’Assemblea. L’onorevole Sardiello si ferma prima, ammettendo il solo primo presidente della Cassazione; mentre noi siamo disposti ad andare più in là, ed ammettere anche il procuratore generale.

Questa duplice inserzione è giustificata dalla particolare dignità di questi due altissimi magistrati, che sono al di fuori di ogni interesse personale di carriera, e non riflettono che da un punto di vista generalissimo gli interessi delle varie categorie. È giusto che questi due magistrati facciano parte del Consiglio Superiore, e siano sottratti al giuoco delle elezioni di categoria: siano dunque membri di diritto.

È in realtà una lieve preminenza che si accorda all’elemento dei magistrati, in quanto nello stesso tempo si sopprime il vicepresidente laico. Debbo far notare che di tale misurata prevalenza e della soluzione data alla questione del riparto dei posti dal Guardasigilli – qui in veste di costituente – Grassi e da rappresentanti di molteplici tendenze, si appaga – anche lo spunto fu preso da una sua proposta – l’Associazione dei magistrati, presieduta dal professor Battaglini. Non vi sarebbe dunque ragione di andare al di là.

Né vi sarebbe ragione di accogliere la proposta dell’onorevole Targetti, che alla vicepresidenza data al primo presidente della Cassazione affianca un’altra vicepresidenza di nomina del Presidente della Repubblica, e non ammette nel Consiglio il procuratore generale; sopprimendo così quella prominenza lieve che può darsi alla Magistratura.

La soluzione del Guardasigilli e dei rappresentanti di varie tendenze è la più equilibrata; e ad essa il Comitato esprime parere favorevole.

Vi sono ancora proposte degli onorevoli Calamandrei e Tosato, che la nomina della metà dei membri del Consiglio Superiore, che nel progetto spetta al Parlamento, sia data al Presidente della Repubblica. È una soluzione che è attraente, almeno a mio giudizio personale; ma il Comitato non ritiene di potersi distaccare dal principio-base che nel Consiglio superiore vi sia una parte designata dal Parlamento, così che entri in questo organo la voce ed il riflesso popolare, pel tramite di una designazione dagli eletti del popolo; mentre – è stato detto – le designazioni dal Presidente della Repubblica aprirebbe l’adito agli elementi dell’esecutivo.

In complesso, con gli emendamenti Grassi, Conti ed altri, cui il Comitato aderisce, si ottiene lo scopo desiderato di sottrarre la carriera dei magistrati all’influenza del Governo, e, poiché non si può farne una casta chiusa, di ammettere un controllo popolare. La parte designata dal Parlamento non significa senz’altro dominio d’un solo partito. Come è stato osservato, nel Parlamento sono rappresentati tutti i partiti; e naturalmente vi sarà quella che l’onorevole Perrone chiama «rappresentanza della minoranza», mentre con frase migliore l’onorevole Cappi parla di «lista limitata»; ma forse non è necessario mettere in questo articolo, già troppo carico di particolari, questo punto, perché nel regolamento della Camera sta già scritto che quando si tratta di nomine a più nomi, la lista deve essere limitata.

Mi pare di avere esaurito l’esame di tutti gli emendamenti, salvo quelli che escono dal quadro delle proposte originarie del testo dei Settantacinque.

Abbiamo una proposta dell’onorevole Grassi, che ritiene di rendere eleggibili, da parte dei magistrati che possono nominare altri magistrati, soltanto i membri della Cassazione o della Corte d’appello.

GRASSI. Lasciamolo all’ordinamento giudiziario.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sta bene; ma se dovessimo metterci nella strada del rinvio alle norme dell’ordinamento giudiziario, sarebbe forse da seguire l’onorevole Targetti, che vuole un rinvio più pieno. Il testo originario indicava la partecipazione di tutte le categorie…

GRASSI. Se si dice «tutte le categorie» si stabilisce già un criterio. Se non si dice niente, si lascia all’ordinamento giudiziario.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dovevo chiarire che si era detto «tutte le categorie» per venire incontro al desiderio manifestato in tal senso dai magistrati; ma il Comitato non si oppone alla formula ora proposta dall’onorevole Grassi. L’emendamento Condorelli si scosta per il suo spirito dal testo di prima e di ora. Esso pone una esigenza che l’Assemblea certamente apprezza: di togliere a queste nomine interne della Magistratura il carattere elettorale. Farebbero parte del Consiglio Superiore della Magistratura magistrati designati, senza elezione, per loro stesso ufficio. Di fronte al vantaggio di eliminare l’elettoralismo vi sono inconvenienti: il criterio dell’anzianità – ad esempio per i consiglieri di Cassazione, per quelli di Corte d’appello, pei giudici, designati appunto per anzianità, come vorrebbe l’onorevole Condorelli – non darebbe sempre i più adatti e capaci ad adempiere i compiti del Consiglio Superiore. Il Comitato a maggioranza, non ha creduto di seguire la proposta Condorelli.

Per la durata del Consiglio Superiore della Magistratura, il Comitato non ha difficoltà ad accedere alla proposta dei quattro anni.

Erano stabiliti sei, perché, tenendo conto che la Camera vive cinque anni, si cercava di evitare che dovesse rinnovare durante la legislatura i propri membri. Considerando d’altro lato che è bene non lasciar il termine troppo lungo, si acconsente alla durata dei quattro anni.

Veniamo alla seconda parte dell’articolo, che riguarda le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura. Si presenta fra gli altri il problema se la facoltà di promuovere l’azione disciplinare deve essere riservata al Ministro della giustizia. Il Comitato ritiene di sì. Mantiene fermo per quest’affermazione il testo originario, perché è evidente che se il Guardasigilli, che ha la responsabilità di tutto l’andamento dei servizi della Magistratura, si avvede che v’è qualche difetto da parte del magistrato, come volete che non possa promuovere azione disciplinare? Non è lui che punisce, è il Consiglio superiore; il Guardasigilli non fa che promuovere il giudizio; e ciò non ferisce le guarentigie che ha la Magistratura. È essa che regola e disciplina esclusivamente la carriera, lo «stato personale» dei magistrati.

Ecco ciò che occorre far bene risaltare. L’emendamento che porta per prima la firma di Conti, e poi di altri deputati di vari Gruppi, intende precisare – conservando in sostanza tutto il testo originario, ma dandogli una espressione più incisiva ed efficace – le attribuzioni del Consiglio Superiore. Sono essenzialmente quattro momenti: le assunzioni, le destinazioni, le promozioni, le misure disciplinari.

L’onorevole Grassi propone una formulazione che è più dettagliata e minuta, e che sembra rimpicciolire il compito del Consiglio. Ad esempio non parla di assunzioni, ma solo di nomina delle commissioni esaminatrici; non parla di promozioni in generale, ma di scrutini per le promozioni, e così via. L’onorevole Grassi manifesta il timore che, se non vi sono tali limitazioni, il Consiglio possa senz’altro procedere direttamente alla nomina, senza commissioni di esame; ma ciò non è concepibile; e del resto provvederanno ai particolari le norme sull’ordinamento giudiziario, alle quali si dovrà attenere il Consiglio; e qui si determineranno i particolari, che l’onorevole Grassi desidera.

Ciò che importa è fissare nell’articolo della Costituzione, come quattro chiodi, i punti essenziali, su cui è competente il Consiglio, e nei quali non può ingerirsi il Ministro. Si noti che ormai già, di fatto, tre punti sono acquisiti: le nomine, le promozioni, le norme disciplinari, che spettano all’attuale Consiglio Superiore. Restano solo i trasferimenti a subire le possibilità di influenza del potere esecutivo. Infatti se – data l’inamovibilità – un magistrato, quando occupa una data sede, non è trasferibile, senza il suo consenso, il Ministero ha facoltà discrezionale di assegnare dove crede i magistrali di prima nomina, quelli promossi, e può inoltre trasferire gli inamovibili magistrati dalla sede attuale a quella che chiedono; nel che vi può essere il favore, l’ingerenza, la infiltrazione dell’esecutivo che vogliamo eliminare.

Resti ben fermo che nulla di ciò che concerne lo stato del personale, la sua carriera, rimane sottratto al Consiglio Superiore. Il che però non vuol dire che il Consiglio sostituisca il Ministro ed il dicastero della giustizia, in tutte le sue attribuzioni. Vi sono in questo campo dagli equivoci: taluno interpreta autonomia ed indipendenza della Magistratura e competenza del suo Consiglio Superiore nel senso che tutta l’amministrazione dei servizi attuali del Ministero della giustizia passi al Consiglio. Il Ministero dovrebbe scomparire. No. Tutto quanto riguarda il personale, la sua carriera è regolalo esclusivamente dal Consiglio; ed il Ministro è vincolato per tale riguardo alle sue decisioni. Ma, tranne ciò, resta al Ministro ed al suo Ministero un campo non piccolo di attribuzioni. Sarà intaccata soltanto la direzione generale del personale. Ad ogni modo rimangono al Ministero altri personali, dei cancellieri, degli uscieri; rimangono i servizi di prevenzione e di esecuzione delle pene; rimane l’elenco di attribuzioni che vi ha fatto, alcuni giorni fa, l’onorevole Conti. Il Ministero conserva tutti i servizi amministrativi. Per quanto riguarda lo stesso personale della Magistratura, se il Ministro è vincolato alle decisioni del Consiglio Superiore, deve però vigilarne la legalità; e non è un mero economo o gerente responsabile, come si deve da qualcuno; è il responsabile davanti al Parlamento.

Per chiarire questo argomento, sono stati presentati due emendamenti: dell’onorevole Targetti e degli onorevoli Mortati e Colitto: dicono ambedue che l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi della giustizia spettano, secondo le norme di legge, al Ministro di giustizia. Il Comitato è pronto ad accogliere l’uno n l’altro emendamento. Se ne dovrebbe fare un articolo a sé, che dovrebbe andare oltre, dopo che si sia parlato di tutto ciò che concerne il Consiglio Superiore e lo stato del personale.

Avrei finito, se non dovessi accennare ad un’aggiunta al testo originario che, tenendo conto degli emendamenti qui presentati, il Comitato accetta, e cioè che siano designate le categorie, nelle quali il Parlamento deve scegliere i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, di cui gli spetta l’elezione. Sono tre: magistrati anche a riposo, professori universitari di diritto, avvocati. Per questi ultimi vi sono varie proposte; che occorrano venti anni d’esercizio, che ne occorrano meno, che non ne occorra nessuno. Il Comitato non ha difficoltà a mettere quindici anni. Vi sono poi disparità su un altro punto: se gli avvocati eletti nel Consiglio Superiore debbano rimanere iscritti nell’albo professionale, o cessarne per sempre, o non essere iscritti solo finché dura la loro carica di membri del Consiglio. Il Comitato è per questa ultima soluzione; cessino di essere iscritti finché sono membri del Consiglio.

Una voce à destra. Lasciano aperto lo studio a mezzo di prestanomi.

MANCINI. Siamo noi i nemici di noi stessi? Gli avvocati non sono capaci di prestanomi. Tutti gli avvocati chiamati ad alte cariche hanno chiuso lo studio: questa è la grande tradizione italiana. Porterò al Consiglio forense questo vostro atteggiamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non condivide l’ingiusto apprezzamento dell’interruzione.

PRESIDENTE. Onorevole Mancini, porti pure questa questione al Consiglio forense; ma questo non è il Consiglio forense, anche se molti membri di questa Assemblea ne facciano parte.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Qui non si tratta di offesa agli avvocati, almeno da parte del Comitato. Io non credo, onorevole Mancini, che ove essi cessino di far parte di questo ufficio, manterranno aperto ugualmente il loro ufficio sotto un prestanome. In questo consento pienamente con l’onorevole Mancini; ma non c’è nessuna offesa nel dire che, mentre essi durano in carica, per quel periodo non sono iscritti all’albo. Che offesa vi è in questo? L’offesa ci sarebbe se malgrado la non iscrizione, si ritenesse che terranno egualmente aperto lo studio.

GAVINA. È una questione di apprezzamento morale. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo apprezzamento non ha nulla a che fare col Comitato.

Concludo, richiamando l’attenzione dell’Assemblea sulla importanza che ha questa materia dell’ordine giudiziario. Per le attribuzioni del Consiglio superiore della Magistratura abbiamo cercato di precisare il suo compito di autonomia e d’indipendenza dell’ordine giudiziario per quanto riguarda lo stato del personale, lasciando al Ministro le altre attribuzioni dei servizi di giustizia. Per la composizione abbiamo adottato il sistema della metà ai magistrati, e della metà al Parlamento, con una ulteriore assegnazione dei due più alti magistrati. Come ho detto, è la tesi accetta dalla Associazione dei magistrati, – è scritto così nel memorandum, a firma del presidente Battaglini – non andiamo ultra petita; ne potrebbero conseguire contrasti ed incertezze. Il sistema che vi è proposto è il più equilibrato.

VARVARO. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VARVARO. Vorrei chiedere un chiarimento all’onorevole Ruini, cioè qual è il motivo per cui si debba porre nella Costituzione questo principio che il Ministro ha l’iniziativa dell’azione disciplinare. Mi sembra infatti che questo concetto sia implicito in tutto il nostro ordinamento giudiziario, come lo è, del resto, il diritto d’iniziativa di un capo di Corte o di un procuratore generale. Conservando questa dizione c’è un pericolo, ed è questo: quando un procuratore generale od un presidente di Corte d’appello vuol procedere disciplinarmente contro un magistrato, cosa deve fare? Si deve rivolgere al Consiglio Superiore o al Ministro?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Evidentemente, al Consiglio Superiore.

VARVARO. Appunto: se l’iniziativa la stabiliamo per il Ministro dovremmo stabilirla anche per i procuratori generali e i capi delle Corti.

CONTI. Per il Ministro c’è solo la facoltà!

VARVARO. Secondo me, creiamo un dubbio funzionale, per cui domani si potrebbe pensare che un procuratore generale od un presidente di Corte è costretto a rivolgersi al Ministro. In tal modo verremmo ad intaccare il principio di indipendenza, perché il Ministro potrebbe proporre o non l’azione disciplinare, secondo che gli convenga o meno. Per ipotesi, se un Ministro volesse influire sulla Magistratura, potrebbe servirsi di quest’arma. Quindi, secondo me, i casi sono due: o non si mette nulla nella Costituzione – e credo che sia bene non scrivere nulla – o si sancisce anche che i procuratori generali e i capi di Corte possono rivolgersi al Consiglio Superiore per promuovere l’azione disciplinare contro i magistrati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Varvaro avrebbe pienamente ragione se si riferisse al testo originario del progetto, il quale diceva: «Il Ministro della giustizia promuove l’azione disciplinare…». Mettendo: «promuove» si può supporre che egli solo può promuovere questa azione. Ma v’è l’emendamento degli onorevoli Conti e Perassi, che il Comitato ha dichiarato di accettare. Nell’emendamento si stabilisce: «ha la facoltà». Quale sistema ne viene? Siccome al Consiglio superiore della Magistratura spetta di provvedere per tutte le misure disciplinari, la procedura e l’iniziativa dell’azione disciplinare all’interno della Magistratura e per mezzo dei suoi organi, sarà stabilita evidentemente come suo regolamento interno dall’ordinamento giudiziario.

Noi abbiamo creduto, e sono stato esplicito a questo riguardo, che non si possa non dare al Guardasigilli una facoltà adduttiva, che non distrugge quella che è la facoltà principale degli organi interni della Magistratura. Ho dette le ragioni, per cui ciò è necessario.

VARVARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VARVARO. Formulo diversamente la mia proposta. Siccome il mio emendamento è sostitutivo del quarto comma, proporrei soltanto la soppressione di questo, dopo quanto ha detto l’onorevole Ruini circa i poteri del Consiglio superiore.

PRESIDENTE. Onorevole Varvaro! Vuol dire che quando metteremo ai voti quel comma lei voterà contro.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Non ho sentito parlare della possibilità o meno di rielezione dei componenti elettivi del Consiglio superiore della Magistratura. Mi parrebbe che fosse indispensabile, soprattutto per le considerazioni che ha fatto l’onorevole Grassi allorché ha svolto il suo emendamento, che fosse essenziale lo stabilire che, cessata la carica, i membri del Consiglio superiore della Magistratura (elettivi) non sono rieleggibili, e fissare, se si credesse di temperare in qualche forma questo concetto, che non possano essere rieletti nel Consiglio immediatamente successivo ed esserlo invece in quello seguente.

Ad ogni modo, credo di avere espresso il mio concetto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Risponderò all’onorevole Costantini che comprendo il fondamento della sua osservazione, ma gli faccio presente un altro caso. È stato osservato che gli avvocati, che rinunceranno pure temporaneamente all’esercizio della loro professione saranno ben pochi. Vi è stato qualche caso, come quello dell’avvocato Marciano di Napoli, il quale, dopo aver illustrato la professione per molti anni, chiese di non essere più iscritto all’albo. Per chi si trova in tali condizioni, e rinuncia al guadagno professionale per far parte del Consiglio superiore, non vi dovrebbe essere il divieto della rieleggibilità. Provvederà in ogni caso, per la rieleggibilità, la legge sull’ordinamento giudiziario.

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, vi sono alcuni emendamenti nei quali è suggerita una soluzione. L’onorevole Adonnino e l’onorevole Nobili Tito Oro hanno proposto la non rieleggibilità al Consiglio successivo.

COSTANTINI. Questo è il mio concetto.

PRESIDENTE. Interpellerò ora i presentatori di emendamenti per sentire se dopo le spiegazioni dell’onorevoli Ruini li mantengono.

Non essendo presente l’onorevole Romano, si intende decaduto il suo emendamento.

Onorevole Mastino Pietro, conserva il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Non insisto.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Merlin Umberto e. Caccuri, i loro emendamenti si intendono decaduti.

L’emendamento Conti è stato accettato dalla Commissione.

Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Lo mantengo, salvo poi a ritirarlo in qualche parte, perché credo che si dovrà votare separatamente.

PRESIDENTE. Sta bene. Non essendo presente l’onorevole Costa, i suoi emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Preti, mantiene il suo emendamento?

PRETI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, mantiene i suoi emendamenti?

ADONNINO. Li ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Sapienza, il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Grassi, mantiene il suo emendamento?

GRASSI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Rossi Paolo, Monticelli e Sardiello, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Villabruna, mantiene il suo emendamento?

VILLABRUNA. Se l’onorevole Scalfaro mantiene il suo emendamento, ritiro il mio.

PRESIDENTE. Onorevole Scalfaro mantiene il suo emendamento?

SCALFARO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Persico, il suo emendamento s’intende decaduto.

L’onorevole Perlingieri non è presente.

PRETI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Perlingieri, per la prima parte.

PRESIDENTÈ. Sta bene. Onorevole Abozzi, mantiene i suoi emendamenti?

ABOZZI. Mantengo il primo ed il terzo e ritiro il secondo.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Tosato e Castiglia, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Perrone Capano, mantiene i suoi emendamenti?

PERRONE CAPANO. Li mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, mantiene il suo emendamento?

CONDORELLI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Carboni Angelo, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Varvaro, mantiene il suo emendamento?

VARVARO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Ritiro il mio e aderisco a quello dell’onorevole Colitto.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Cappi, mantiene il suo emendamento?

CAPPI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Rimane l’articolo 97-bis proposto dagli onorevoli Conti, Leone Giovanne, Perassi, che dovrà essere esaminato in rapporto al testo accettato come base dall’onorevole Ruini.

Il seguito di questa discussione è rinviato alle 16.

La seduta termina alle 13.20.

POMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Targetti

Moro

Perassi

Gullo Fausto

Persico

Togliatti

Abozzi

Della Seta

Crispo

Bulloni

Grassi

Coccia

La Pira

Coppi

Leone Giovanni

Balduzzi

Di Fausto

Rescigno

Rubilli

Mastino Pietro

Fabbri

Badini Confalonieri

Laconi

Mazza

Costantini

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Mannironi

Romano

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che dobbiamo procedere alla votazione per appello nominale, richiesta nella seduta antimeridiana dagli onorevoli Perrone Capano, Leone Giovanni e altri, sull’emendamento Coppi, del seguente tenore:

«La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise».

TARGETTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, devo dichiarare a nome del mio Gruppo che noi voteremo contro l’emendamento dell’onorevole Coppi. Abbiamo modificato stamane il nostro emendamento sostituendo alla formula «il popolo partecipa» la formula «il popolo può partecipare». Abbiamo fatto questa modificazione, perché alla fine della seduta di sabato sera, alcuni egregi colleghi della Democrazia cristiana ci avevano fatto intendere (non voglio dire che ci avevano dichiarato perché non sarebbe esatto) che questa formula avrebbe raccolto anche i consensi di gran parte di loro.

Fedeli al principio che abbiamo più volte espresso – e crediamo che sia nell’interesse generale del Paese – di cercare, in tema di Costituzione, di dirimere tutte le ragioni di contrasto e di fare degli sforzi per trovare accordi, in modo che norme di notevole importanza non debbano essere approvate per una differenza di pochi voti, differenza che non aumenta certo il prestigio della norma che si approva, avevamo stamattina modificato il nostro emendamento in quel senso, senza, con questo, modificare il nostro modo di vedere, di pensare intorno all’argomento.

Noi siamo stati sempre e siamo ancora convinti che nella Costituzione dovrebbe essere inserita una norma che stabilisca senz’altro il diritto del popolo di intervenire direttamente nell’amministrazione della giustizia. Non voglio in nessun modo cogliere l’occasione per polemizzare con il nostro egregio collega, onorevole Ruini, al quale tutti, al di sopra di qualsiasi dissenso sull’apprezzamento di alcune sue idee – dissenso che è naturale che esista – dobbiamo riconoscere oltre la competenza il grande zelo, la grande diligenza, che ha impiegato ed il vero sacrificio (Applausi) che ha compiuto nell’accudire a questa lunga e grave fatica, che forse, chi non l’ha seguita attentamente, e tanto meno coloro che non hanno vissuto la vita della nostra Assemblea, non arrivano a comprendere. Mi limito ad osservare che l’affermazione che il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei limiti e modi stabiliti dalla legge, non era una superflua ripetizione del concetto che la giustizia si amministra in nome del popolo, ma serviva a coordinare con questo concetto, un concetto diverso quale era quello di una partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. Partecipazione diretta, questa volta.

In quanto all’emendamento Coppi, non possiamo approvarne né la forma né la sostanza, perché stabilisce la possibilità che la legislazione futura faccia partecipare il popolo direttamente all’amministrazione della giustizia, ma non lo prescrive. Infine per un’altra considerazione noi siamo recisamente contrari a questa formula: quando si dice «la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise», io non voglio dire che si adopra una formula che serva ad eludere tale partecipazione, proprio nei casi nei quali la vorremmo assicurata, ma è certo che il giorno in cui il legislatore non istituisse l’organo giudiziario che si chiama Corte di assise, ma una magistratura di nome diverso, allora questa facoltà sarebbe veramente elusa. Qui non si dice in senso generico che il popolo parteciperà direttamente all’amministrazione della giustizia; si fa una indicazione specifica, quella dei processi di Corte di assise. Ma a parte ciò, una volta che è mancato l’accordo sulla nostra formula, nonostante la modificazione che, per raggiungerlo, ci si era adattati ad accettare, non abbiamo più ragioni di fare concessioni e ritorniamo ad affermare, nella sua interezza, il nostro principio della obbligatorietà di una diretta partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia.

Per queste ragioni siamo decisamente contrari all’emendamento presentato dall’onorevoli Coppi.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Il nostro Gruppo voterà in favore dell’emendamento presentato dall’onorevole Coppi, e ciò ha deliberato per un complesso di considerazioni non soltanto teoriche e tecniche, ma di opportunità politica, pur essendo giunto a questa decisione da posizioni diverse da quelle rappresentate dai nostri colleghi. Voteremo a favore dell’emendamento Coppi, in quanto ci sembra che esso permetta di ovviare agli inconvenienti, che invece si riscontrano nelle altre formulazioni che sono state proposte.

Innanzi tutto, l’emendamento Coppi, affermando in linea di massima la possibilità della partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia, rinvia alla legge per una concreta determinazione del principio e perché sia stabilito, se e come esso debba ricevere applicazione. Così, a nostro avviso, si conferma l’eccezione contenuta in uno degli articoli precedentemente votati e nel quale si parla di sezioni specializzate con la partecipazione di cittadini idonei. Noi riteniamo che questa norma, la quale ha già il suffragio dell’Assemblea, offra piena possibilità per l’istituzione di magistrature con la diretta partecipazione del popolo. Comunque, poiché è stato posto in dubbio ciò che io ho affermato in questo momento, per mostrare la nostra perfetta buonafede nell’offrire alla legge la possibilità di istituire magistrature con partecipazione popolare, noi non abbiamo alcuna difficoltà a dichiarare esplicitamente questa possibilità, così come si fa nell’emendamento Coppi. D’altra parte, l’intervento della legge, il richiamo a limiti, a modalità, a forme, è cosa, a nostro parere, indispensabile, per sottrarre l’istituto della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia agli schemi tradizionali.

Vi sono, infatti, onorevoli colleghi, degli inconvenienti di carattere tecnico che hanno un riflesso politico ed umano molto vivo, e sono quegli inconvenienti i quali, io credo, hanno sollecitato tanta parte dei nostri colleghi nell’assumere, come hanno assunto, in sede di discussione generale, una posizione ostile nei confronti dei giudici popolari.

Io mi rifiuto di credere che vi sia stato alcuno fra i nostri colleghi, che, criticando la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, abbia inteso negare un diritto democratico, uno strumento democratico di giustizia. Sono stati appunto gli inconvenienti tecnici, tante volte giustamente lamentati, a determinare questo atteggiamento, che certamente è condiviso da una parte notevole dei nostri colleghi. Proprio per permettere alla legge, nell’atto che disciplina questo istituto, di sganciarsi dalla tradizione per garantire, mediante i giudici popolari, una giustizia completa e seria al nostro popolo, riteniamo opportuno un rinvio esplicito alla determinazione dei limiti, delle modalità e delle forme della partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia.

Perché mai, voi potete domandare, noi assumiamo questa formula, diciamo così, facoltativa, perché non affermiamo nettamente e definitivamente il principio in sede costituzionale e preferiamo rinviare alla legge perché essa deliberi su questo punto?

Ho sentito dire dall’onorevole Togliatti, il quale riprendeva una posizione sostenuta in seno alla Commissione dei Settantacinque, che si tratta in questo caso di un particolare diritto democratico, che deve essere esplicitamente sancito dalla Costituzione.

Ora, senza volere menomamente negare che la partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia sia una espressione democratica, una esperienza democratica, io credo che non tutti potremmo trovarci d’accordo nel ritenere che si tratti proprio di uno di quei fondamentali diritti, di quegli inalienabili e imprescrittibili diritti democratici che noi chiamiamo naturali, ed altri chiamano inviolabili.

Si tratta certamente di una esperienza, di una rilevante esperienza democratica, la quale riceve maggior prestigio dalla continuità della tradizione storica, dall’ampiezza delle applicazioni. Ma si tratta sempre, in sostanza, di uno strumento tecnico di carattere storico, di carattere relativo, che determinati ambienti democratici hanno creduto di stabilire, per servire meglio l’esigenza della giustizia.

Ora, ammesso questo carattere di relatività, io credo non vi sia alcuna diminuzione, se per la concreta attuazione del principio si fa rinvio alla legge, se cioè si permette al legislatore di valutare, secondo opportunità, la contingenza storica, la realtà di ambiente, le reazioni della coscienza sociale per forgiare lo strumento democratico più idoneo all’amministrazione della giustizia.

Ed io credo che una fiducia nella legge si debba avere. Noi, è vero, in altri casi abbiamo chiesto che la Costituzione consacrasse principî e li consacrasse in modo esplicito è definitivo; ma si trattava appunto di fondamentali principî, non di istrumenti tecnici, come è in questo caso, che meglio possono essere disciplinati dalla legge sulla base di questa affermazione generale, che viene fatta dalla Costituzione.

Una sola parola credo si debba aggiungere a proposito del richiamo ai reati politici proposto nell’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, contro il quale noi votiamo.

Anche e soprattutto per questo punto io ritengo che sia indispensabile un rinvio alla legge, perché essa possa vagliare le gravi ragioni di opportunità, che si dovranno prosspettare, prima che si prenda la decisione di rimettere a questa forma di amministrazione della giustizia la cognizione e la decisione dei reati di natura politica, i quali sono proprio quelli nei quali bisogna più frenare le impetuose intuizioni e le passioni del giudice popolare, per dar luogo ad una obiettiva e serena giustizia.

Per queste preoccupazioni, con questo preciso interesse di affermare genericamente il principio, lasciando alla legge un certo ambito discrezionale, noi voteremo contro l’emendamento proposto dall’onorevole Mastino Pietro ed in favore del testo proposto dall’onorevole Coppi. (Applausi al centro).

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi permetto di rivolgere un suggerimento agli onorevoli Mastino e Togliatti circa il secondo comma del testo da essi proposto, in cui si dice che «la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia è obbligatoria nei processi per reati politici». La formula inizialmente proposta dall’onorevole Togliatti diceva: «nei processi di natura politica». Dietro il suggerimento di qualche oratore, questa formula è stata poi cambiata in quella di: «reati politici».

La formula: «reati politici» mi sembra eccessivamente ed inutilmente larga. Se si dice «reati politici» si comprenderebbero non solo i delitti, ma anche le contravvenzioni. Il carattere politico di un reato – se prendiamo la definizione contenuta nell’articolo 8 del Codice penale – è dato dall’essere determinato da motivi politici. L’articolo 8, infatti, dice: «agli effetti della legge penale è delitto politico ogni delitto che offende l’interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato in tutto o in parte da motivi politici». Ora, se si estendesse la disposizione proposta a qualsiasi reato, e quindi, anche alle contravvenzioni, mi pare che si andrebbe incontro a conseguenze esorbitanti. (Commenti).

Moltissime contravvenzioni, si possono concepire come determinate da motivi politici. Ve ne leggo una: disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone. «Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazione acustica, ovvero suscitando, o non impedendo strepiti, disturbi il riposo delle persone, è punito, ecc.». È evidente che anche questa contravvenzione può essere determinata da motivi politici. (Commenti). Mi pare che non sia proprio il caso di stabilire che anche le contravvenzioni debbano essere deferite ad un organo giudiziario in cui vi sia una rappresentanza popolare, cioè, in concreto, alla Corte di assise. Perciò pregherei gli onorevoli Mastino e Togliatti, di voler sostituire nel loro emendamento, alla parola: «reati», la parola «delitti».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Onorevoli colleghi, noi voteremo contro l’emendamento dell’onorevole Coppi. Constatiamo anche noi che con esso si lascia impregiudicata la questione, in modo che il futuro legislatore possa senz’altro ammettere la giuria. Ciò nonostante noi votiamo contro, perché pensiamo che nessuna obiezione di natura tecnica può mettere in seconda linea il perspicuo aspetto politico del problema. Noi pensiamo che l’Assemblea Costituente – ossia la prima Assemblea popolare della nuova Italia sorta dalla tragedia che si è abbattuta sul nostro Paese – debba dire una parola chiara e manifesta sull’istituto della giuria, e poiché, per quante siano state le osservazioni e le obiezioni di ordine tecnico addotte contro questo istituto, nessuno ha potuto contestare questo fatto preciso, cioè che quando è morta la libertà è morta la giuria, quando la libertà è risorta è risorta la giuria, noi facciamo capo a questa prevalente esigenza democratica per sostenere che l’Assemblea Costituente debba oggi affermare il diritto del popolo a partecipare direttamente all’amministrazione della giustizia.

Forse di strano c’è in tutto ciò una cosa sola: che dobbiamo essere proprio noi di questa parte della Camera a rivendicare le conquiste della grande Rivoluzione francese. E non è il primo caso, ed il fatto che non sia il primo caso può spiegare forse, o può concorrere a spiegare forse, tanti avvenimenti di cui siamo stati vittime.

Noi riaffermiamo questa esigenza democratica. Ripeto, non ci sono obiezioni o eccezioni di indole tecnica che possano menomare il significato altamente democratico della questione. Ed io tralascio di considerare se effettivamente queste obiezioni o eccezioni di indole tecnica siano davvero fondate. Dico soltanto che oggi l’Assemblea Costituente non compirebbe il suo dovere se, attraverso una formula equivoca, tentasse, in ogni modo, di eludere il suo compito di procedere alle grandi affermazioni democratiche; e, fra le grandi affermazioni democratiche, vi è appunto questa: l’istituto della giuria nella nuova democrazia italiana deve essere restaurato.

Per queste ragioni noi votiamo contro l’emendamento Coppi e voteremo invece a favole dell’emendamento Mastino. È giusto che sia lasciato al nuovo legislatore il modo di correggere i difetti che nell’istituto possono esserci e che l’esperienza ha potuto dimostrare esistenti, ma ciò non toglie che oggi sia necessario fare questa affermazione chiara, netta, precisa: il popolo deve partecipare all’amministrazione della giustizia. Al nuovo legislatore fissare i casi e le modalità attraverso i quali questo diritto popolare debba essere esercitato. (Vivi applausi).

PERSICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, nel mio intervento dell’8 novembre ho parlato molto a lungo del problema della giuria ed ho sostenuto una mia idea, che certamente non è accettabile in questo momento, ma che però ha un valore tendenziale, l’idea cioè che tutti i processi penali, eccetto quelli devoluti alla competenza pretoria, dovessero venire giudicati dal giudice popolare, con due tipi di giuria, piccola, o grande, a seconda dell’importanza del reato. Questo sistema non penso sia attuabile oggi; però ritengo indispensabile che la Costituzione democratica della Repubblica abbia un articolo, nel quale sia affermato il diritto del popolo a giudicare sovranamente di alcuni delitti, soprattutto dei più gravi, soprattutto di quelli di stampa, soprattutto quelli di indole politica. Perciò, avevo visto con soddisfazione come l’articolo 96 del progetto presentato all’Assemblea dai Settantacinque avesse stabilito il principio che il popolo direttamente partecipa all’amministrazione della giustizia, mediante l’istituto della giuria. Ora, si è un po’ sconvolta la situazione, perché da tutte le parti si è sostenuto che è più opportuno che la Costituzione non abbia un’affermazione precisa, in quanto si preferisce demandare al nuovo legislatore la formulazione di un progetto tale che assecondi tutte le tendenze che si sono in questi giorni manifestate. Io penso, invece, alla creazione di una giuria totalmente diversa da quella della legge del 1874, cioè ad una giuria elettiva, e composta di elementi selezionati e capaci.

Ma non vorrei che da questa aspirazione ampia e logica si arrivasse ad un’affermazione così timida, come quella contenuta nell’emendamento dell’onorevole Coppi, cioè che «potrà» il nuovo legislatore esaminare la situazione futura sulla possibilità e sulla opportunità di un ordinamento della giuria. Ecco perché ho aderito all’emendamento dell’onorevole Mastino, il quale afferma che la legge da emanarsi «dovrà» introdurre il giudizio diretto del popolo per taluni reati, demandandone i limiti, le forme e la competenza al futuro legislatore. Ecco perché ripiego sull’emendamento dell’amico Mastino, accettandolo, e, naturalmente, voterò contro l’emendamento dell’onorevole Coppi.

Una sola parola su quanto ha detto testé l’onorevole Perassi: egli ha perfettamente ragione quando dice che il delitto politico è definito nel nostro Codice, cioè è il delitto di cui si dà la definizione nell’articolo 8 del Codice penale, e l’ultimo capoverso di tale articolo stabilisce anche che è altresì considerato delitto politico il delitto comune, determinato in tutto o in parte da moventi politici. I delitti politici sono quelli previsti nel libro II, titolo 1°, del Codice penale, cioè: delitti contro la personalità internazionale dello Stato; delitti contro la personalità interna dello Stato; delitti contro i diritti politici dei cittadini; delitti contro gli Stati esteri, i loro capi o i loro rappresentanti; ci possono essere poi altri delitti politici sanzionati con leggi speciali. L’altro giorno la Costituente ha approvato per l’appunto una legge, che riguarda la difesa della Repubblica e le norme ivi stabilite rientrano nella previsione dell’articolo 8 del Codice penale. Sono tutti delitti questi, non reati, perché con la parola reato si verrebbero a comprendere anche le contravvenzioni, come, per esempio, le contravvenzioni prevedute dalla legge elettorale, che pure hanno un carattere politico. Ora, sarebbe assurdo convocare una Corte d’assise per vedere, per esempio, se le liste elettorali sono state regolarmente formate. Quindi si dovrà dire «delitti politici» e non «reati», e credo che l’onorevole Togliatti non avrà difficoltà ad accettare tale sostituzione di parola. Concludendo, io dichiaro che voterò contro l’emendamento dell’onorevole Coppi ed a favore dell’emendamento dell’onorevole Pietro Mastino.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Non stupiscano i colleghi se ho chiesto di dichiarare il mio voto, anche dopo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Gullo a nome del Gruppo parlamentare comunista. Non desidero d’altra parte rompere quella che è non solo consuetudine parlamentare, ma anche legge del nostro Partito, e che consiste nell’osservare nei voti una disciplina collettiva.

Né ho chiesto la parola per sottolineare in modo particolare l’importanza di questo voto, che io considero del resto come uno dei voti politici di primo piano di questa Assemblea. Questa importanza è già stata a sufficienza sottolineata nel corso della discussione generale. Non voglio soffermarmi nemmeno sulle osservazioni fatte dagli onorevoli Perassi e Persico, e che riguardano formulazioni particolari. Accetto le correzioni da loro consigliate per quanto osservo che, una volta affermato il principio, allora si apre veramente il campo della tecnica, per cui, discutendosi una legge sulla giuria, spetterà all’Assemblea legislativa indicare in concreto quali saranno i reati o delitti politici da sottoporsi al giudizio del magistrato popolare.

Ho chiesto piuttosto la parola per indicare un motivo di carattere, direi quasi, personale, per cui sono interessato a dare in questo dibattito un voto determinato, e a chiedere un voto determinato a questa Assemblea.

Questo motivo, che ho già detto essere di ordine quasi personale, è legato a un fatto della mia vita politica di cui non posso cancellare il ricordo: il fatto di essere stato per un anno, indegnamente, Ministro guardasigilli, dal giugno 1945, subito dopo la liberazione, sino alla convocazione di questa Assemblea Costituente. Ricordandomi di questo fatto non potevo non ricordarmi in pari tempo di un episodio, che non potrà non interessare questa Assemblea, in questa sede, e che è legato all’applicazione delle leggi repressive dei reati fascisti.

Quando venni chiamato alla carica di Guardasigilli era stata approvata da un precedente Gabinetto, dal Gabinetto presieduto dall’onorevole Bonomi, e quindi era in vigore, la legge fondamentale per la repressione della criminalità fascista, che è quella con la quale ancora oggi vengono giudicati – oppure non vengono giudicati – i criminali fascisti. Già allora però era sorta una campagna contro questa legge, campagna mossa da parte liberale, da partiti che stavano al difuori del Comitato di liberazione e dalla destra democristiana. Si investiva quella legge accusandola di essere una legge di eccezione, non tollerabile e non ammissibile in un regime di democrazia. Si chiedeva che quella legge venisse abrogata per ritornare al diritto comune. Il Guardasigilli era un comunista. E allora – alcuni colleghi certamente se ne ricorderanno – nel corso della crisi per la quale si passò dal Governo Parri al primo Governo presieduto dall’onorevole De Gasperi, la cosa venne dibattuta come problema fondamentale dell’attività governativa successiva a quella crisi.

Da parte liberale precisamente – dirò poi da parte di chi – venne chiesto che si ponesse un temperamento, che quella legge fosse per lo meno nella sua applicazione resa meno eccezionale, di quanto non fosse nella sua formulazione, ritornandovi in questo modo alla pratica giudiziaria della vecchia e buona democrazia liberale. E fu proprio a questo scopo che l’allora Segretario del partito liberale, avvocato Cattani, avanzò due rivendicazioni. La prima fu che quella venisse rielaborata in un testo unico, al quale poi si rinunciò dallo stesso avvocato Cattani, e fu poco male. La seconda rivendicazione invece fu, ed è questo il punto che m’interessa ricordare, che si restaurasse al più presto l’istituto della giuria. Da parte liberale dunque, chiedendosi un ritorno alla normalità giurisdizionale, chiedendosi che si abbandonasse il terreno di eccezione per rientrare nella legalità democratica e liberale, si chiedeva che pur restando in vigore sanzioni sostanziali contro il fascismo, si ritornasse al tribunale composto dalla giuria, e che tutti i reati fascisti venissero deferiti ad una Corte di assise, composta secondo la nostra vecchia legge tradizionale, cioè sulla base di una giuria popolare.

Al Guardasigilli, che venne allora riconfermato nel proprio incarico, e che ero io, venne chiesto di assumere questo impegno.

Se sei un buon democratico – mi venne detto da parte liberale e da parte democristiana – tu devi rapidamente farci ritornare a quel grande istituto democratico e liberale che i fascisti hanno soppresso e che invece vogliamo vedere restaurato al più presto: la giuria. Ed è in obbedienza a quel mandato. – da me del resto accolto assai volentieri – che fu allora preparata una legge, la quale venne approvata ed è oggi legge della Repubblica, in base alla quale sono state ricostituite le liste dei giurati. Fatto questo, abbozzai io stesso il provvedimento sostanziale relativo alla competenza e procedura delle Corti di assise con giuria, e questa legge venne poi, credo, perfezionata, dal mio successore onorevole Gullo e portata davanti a questa Assemblea.

Ecco il fatto che volevo ricordare. Rimane stabilito che nel 1945, nel mese di novembre, da quella parte, cioè dalla parte che oggi è la più avversa alla giuria popolare, veniva richiesta come garanzia di libertà democratica, la restaurazione della giuria popolare e veniva chiesto al Guardasigilli – e il Guardasigilli volentieri accettava – l’impegno di questa restaurazione.

Quanto tempo sembra essere passato da allora! Di quante cose da allora ad oggi ci siamo dimenticati! Quando quella proposta venne fatta, non vi fu né un partito, né un uomo politico, né un giornale che protestassero, anzi, tutti levarono inni di plauso, confermando che bisognava restaurare la democrazia anche nell’amministrazione della giustizia.

Oggi, invece, si sollevano «obiezioni tecniche», ma in realtà è il principio che si vuole respingere. Si comincia sempre così, onorevole Moro! Lasciamo la tecnica ai legislatori, i quali troveranno il modo perché la giuria sia organizzata razionalmente. Ma ora si tratta qui di affermare il principio fondamentale, di restaurare una di quelle libertà democratiche che sempre vennero rivendicate, come testé ricordava l’onorevole Gullo, da tutte le rivoluzioni liberali. Ricordo quando leggevamo da ragazzi di quelle rivoluzioni e perfino nelle loro rappresentazioni più popolari, nel teatro, nei romanzi; si parlava del giudizio pronunziato dal giurato come di uno dei diritti fondamentali del cittadino moderno, il quale, di fronte alla vecchia autorità dello Stato assoluto, afferma la dignità della propria persona rivendicando il diritto, nel caso di delitti politici e di condanne a una lunga privazione della libertà personale, a essere giudicato dai propri concittadini. Questo principio fondamentale della concezione liberale borghese non può essere oggi rinnegato, e noi lo dobbiamo riaffermare nella nostra Costituzione. Faccia poi il legislatore tutto quello che è necessario fare per evitare i difetti e gli errori di una cattiva tecnica giudiziaria, ma noi affermiamo il principio che dobbiamo sentire come una necessità politica fondamentale.

Per questo, invito l’Assemblea a votare contro l’emendamento Coppi che nega questo principio, e a votare invece a favore dell’emendamento Mastino che, pur lasciando aperte tutte le possibilità d’una buona organizzazione dell’istituto della giuria, afferma il principio della restaurazione di quell’istituto democratico. (Vivi applausi a sinistra).

ABBOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Ho presentato un emendamento per la istituzione di una corte criminale composta di magistrati; esso implica il principio della giuria. Tuttavia, poiché l’ordine del giorno Coppi lascia impregiudicata la questione, in quanto è sempre possibile che la legge istituisca la giuria, io voterò in favore dell’ordine del giorno Coppi.

DELLA SETA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DELLA SETA. Per quanto, anche nel nostro Gruppo, sia possibile un qualche personale dissenziente giudizio, sta nel fatto che la scuola repubblicana, a cominciare da Giuseppe Mazzini, è stata fautrice, sempre, dell’istituto della giuria.

Noi, repubblicani storici – come Gruppo parlamentare e come partito – non possiamo non essere favorevoli ad un istituto nel quale si è concretizzata una delle storiche rivendicazioni della democrazia.

In verità, se esiste una logica giuridica, mal si riesce a comprendere con quale coerenza, dopo avere, così solennemente, consacrato nel testo della Costituzione che la funzione giurisdizionale viene esercitata in nome del popolo, come, dico, da taluni si possa avere tanta riluttanza ad ammettere che il popolo, in dati casi, debba partecipare direttamente all’amministrazione della giustizia.

Il problema della giuria non è un semplice problema di procedura penale. Valutato nel suo spirito, esso è un problema di principio, è un principio di diritto costituzionale, nel senso che, nel campo specifico dei delitti e delle pene – specie per quanto riguarda i delitti politici – esso viene a integrare, a rafforzare, a difendere quelle garanzie, quei principî di libertà, che, in altra parte della Costituzione, hanno già trovato esplicito riconoscimento.

Perciò, se solo io dovessi esprimere il mio personale giudizio, io voterei senz’altro, sic et simpliciter, l’articolo 96, così come è già stato formulato nel progetto di Costituzione, aderendo pienamente alle acute e giuste argomentazioni addotte dal collega onorevole Togliatti.

Ma non si può non aver presente che ogni istituto giuridico ha la sua evoluzione. Non si può rinunziare all’ammaestramento che viene dalla esperienza. Non si può disconoscere la esigenza che a far parte della giuria siano chiamati cittadini che, per una capacità maggiore e quindi con una maggiore consapevolezza e con un maggior senso di responsabilità, diano la garanzia di un più sereno e ponderato giudizio.

Noi chiediamo per questo che nel testo della Costituzione venga esplicitamente consacrato il principio della partecipazione diretta del popolo alla amministrazione della giustizia, lasciando alla legge, con norme altrettanto esplicite, di precisarne le modalità.

Noi del Gruppo repubblicano voteremo quindi contro l’ordine del giorno Coppi ed a favore dell’emendamento Mastino. (Vivi applausi a sinistra).

CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. L’onorevole Togliatti rimproverava ai liberali l’atteggiamento assunto oggi in rapporto all’istituto della giuria, in contrasto con quello che sarebbe – a suo dire – stato assunto ieri, precisamente, dall’amico Cattani.

Credo che si tratti di un equivoco, perché, se è vero che il nostro amico Cattani fu propugnatore dell’istituto della giuria e sostenne che si dovesse ripristinare l’istituto della giuria, assunse tale atteggiamento per esigenze meramente contingenti…

Una voce a sinistra. Per salvare i fascisti!

CRISPO. …per esigenze meramente contingenti, perché quel suo voto voleva essere né più e né meno che l’espressione di una energica reazione contro una giuria di parte, quale era la giuria che componeva le Corti di assise straordinarie, composte di elementi politici, prevalentemente comunisti. (Commenti a sinistra – Applausi al centro e a destra).

Fu questa l’esigenza liberale in nome della quale, in segno di protesta contro le giurie di parte, si chiese il ripristino della giuria popolare. (Interruzioni a sinistra).

Questa è la ragione.

Io ho già espresso nella discussione generale il pensiero del nostro Gruppo rilevando come a nostro avviso si faccia una enorme confusione fra principio democratico ed istituto della giuria perché le due cose sono assolutamente separate e distinte. Se è vero che il principio democratico, solennemente proclamato nella Costituzione, è che la sovranità risiede nel popolo, ciò non significa che il popolo sia organo di questa sovranità!

Vorrei poi domandare, senza risalire alle concezioni della Rivoluzione francese e soprattutto al concetto del Seyes, che cosa intende questa Assemblea per popolo. O che forse i magistrati togati, i giudici tecnici non fanno parte del popolo? O si deve intendere per popolo quella massa indifferenziata, che dovrebbe dare alle Corti d’assise soltanto il contributo della propria ignoranza, della propria incompetenza, della propria ottusità? (Applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Togliatti).

Noi abbiamo sostenuto che l’amministrazione della giustizia debba essere affidata a elementi esclusivamente tecnici e se votiamo contro il testo del progetto, l’emendamento Mastino e l’emendamento Targetti, possiamo votare a favore dell’emendamento Coppi, come quello che stabilisce una mera eventualità.

BULLONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BULLONI. Compreso del significato politico del voto che si sta per dare, dichiaro che voterò contro l’emendamento Coppi (Applausi a sinistra) e che voterò a favore dell’emendamento Mastino Pietro intendendo sia costituzionalmente affermato il principio della diretta partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia attraverso l’istituto della giuria nei limiti e nelle forme che il futuro legislatore vorrà adottare. (Applausi a sinistra).

GRASSI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Io fo una dichiarazione di voto personale, come membro della Costituente e dichiaro che voterò contro l’ordine del giorno Coppi. (Applausi a sinistra). Questa dichiarazione di carattere personale è legata ad una coerenza ed a un voto che diedi nella Commissione dei settantacinque a favore della giuria popolare. (Applausi a sinistra). Ritengo che non si possa in nessuna maniera rimandare alla futura legge, ossia al potere legislativo, un principio fondamentale che deve essere affermato o negato dalla Costituente. Si tratta, in poche parole, non di stabilire se il popolo partecipa all’amministrazione della giustizia perché il popolo vi partecipa sempre, ma se in determinate circostanze e per determinati delitti il popolo debba parteciparvi direttamente. Questa è la distinzione. Mentre nell’articolo 95 abbiamo detto che la funzione giurisdizionale è esercitata e amministrata dai magistrati ordinari, se non stabiliamo un altro principio fondamentale di coordinamento in questa materia, renderemo impossibile il funzionamento delle Corti di assise, che sono non un organo speciale dello Stato, ma un organo ordinario dell’amministrazione della giustizia per determinati delitti. Questo è il punto.

Come per le funzioni amministrative esiste la rappresentanza indiretta del popolo attraverso le Assemblee, e la rappresentanza diretta, attraverso il referendum, così il popolo nella funzione giurisdizionale esercita la funzione indiretta attraverso i magistrati, ma può esercitare la funzione diretta attraverso le assise. Questo è il principio fondamentale che è coevo non solo a tutte le democrazie venute fuori in quest’ultimo secolo, ma a tutta la storia umana, in quanto da che si è formato il primo nucleo sociale, i giudizi sui reati più gravi che interessano tutti sono stati dati dal popolo.

Per queste ragioni fondamentali, che sono legate alla costituzione fondamentale di un popolo, io credo che la nostra Assemblea, nel formare una legge costituzionale, non possa dimenticare che questo è un istituto fondamentale di ogni democrazia. (Applausi a sinistra).

COCCIA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COCCIA. Dichiaro che voterò contro l’emendamento Coppi intendendo che la Costituzione dica una parola precisa in materia di partecipazione del popolo alla giustizia.

Chiedo però che l’emendamento Mastino Pietro sia votato per divisione, in quanto non sono perfettamente d’accordo con quell’inciso in cui si dice che tutti i reati politici verranno giudicati dalla giuria: in quanto non si può indiscriminatamente ammettere che tutti i reati vengano giudicati dalla giuria, anche i reati più piccoli. Quindi questo va demandato alla legge che stabilirà che i reati politici verranno giudicati dalla giuria ma limitatamente alla loro importanza.

LA PIRA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA PIRA. Dichiaro che, in coerenza a quanto ho fatto in seno alla Commissione dei Settantacinque, sono favorevole a che il principio della giuria sia affermato nella Carta costituzionale.

Quindi, aderisco tanto a quanto ha detto l’amico onorevole Bulloni, quanto a quello che ha detto il Ministro Grassi. (Applausi a sinistra).

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Si è voluto dare all’ordine del giorno da me presentato un significato che non aveva affatto, in quanto esso intendeva conciliare, se fosse stato possibile, le diverse opinioni in questa Assemblea manifestate in ordine a questo grave problema.

Dato questo, dichiaro di ritirare l’ordine del giorno. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

Devo semplicemente ricordare, a chi ne ha voluto fare una questione politica, che oratori di tutte le parti dell’Assemblea (una esclusa, se non sbaglio) si sono pronunziati anche in senso contrario alla giuria. Domando fin da ora che la votazione sull’articolo 97 così come è proposto nell’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, sia fatta per divisione, disposto come sono a votare in favore del primo comma, e contro il secondo comma.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Nel generale sbandamento che, per motivi più demagogici che democratici, ha investito taluni settori della Camera (non esclusi taluni settori del mio gruppo), io resto fermo nell’opinione che questa Assemblea, non avendo potuto maturare sufficientemente e dettagliatamente ed in coordinamento a tutto il complesso problema penale quello particolare del ripristino della giuria, non debba fare altro che limitarsi ad aprire il varco a questa riforma, la quale chiede per la sua elaborazione maggiore consapevolezza e maggiore responsabilità.

GULLO FAUSTO. Ma se è un problema di cui si è sempre parlato!

LEONE GIOVANNI. Ne abbiamo discusso a lungo, ma sempre troppo poco; ed io non avrò il cattivo gusto, in sede di dichiarazione di voto, di riprendere argomenti che ho sottomesso alla Camera inutilmente; perché mi accorgo e prendo atto che alcuni degli argomenti da me indicati non hanno avuto risposta e restano a dimostrare come, tolto il velame demagogico al problema, tolta una falsa interpretazione storica del problema (perché la giuria volle essere una rivendicazione popolare di fronte alla giustizia come amministrazione di casta), non si possa allontanarsi dalla formulazione del progetto.

Noi avevamo ritenuto – e confermo questo mio pensiero in perfetta lealtà che la formula delle sezioni specializzate fosse più che sufficiente ad introdurre la giuria. Voi pensate diversamente. Io non ho il potere di fare entrare nelle vostre anime e nelle vostre intelligenze qualcosa di cui sono profondamente e lealmente convinto. Io ritengo che voi dovete limitarvi a rendere possibile l’introduzione della giuria. Votate pure quella formula. Ma io vi potrei dimostrare, dopo aver votato anche la più ampia formula Mastino, che con essa il legislatore potrà eludere il problema della giuria. Voi non avrete incarcerato il problema, quando non lo avete potuto risolvere dettagliatamente.

Faccio, pertanto, mio l’emendamento proposto dall’onorevole Coppi e, ricollegandomi alle dichiarazioni di voto fatte dall’onorevole Moro a nome del mio Gruppo (che si va sfaldando, il che è doloroso), dichiaro che voterò a favore dell’emendamento Coppi e contro l’emendamento Mastino.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori della richiesta di appello nominale se, udite le dichiarazioni di voto, vi insistano.

(È mantenuta).

L’onorevole Coppi ha dichiarato di abbandonare la formulazione da lui proposta; tale formulazione è stata fatta propria dall’onorevole Leone Giovanni.

Non so se gli altri firmatari dell’emendamento Coppi intendono ritirare anch’essi la loro firma.

BALDUZZI. Dichiaro di ritirarla.

DI FAUSTO. Dichiaro di mantenere la firma.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Vorrei chiedere se non le pare, onorevole Presidente, che si debba votare prima sugli emendamenti soppressivi.

PRESIDENTE. Se tutti i presentatori della proposta di soppressione di quest’articolo avessero conservato la loro proposta, dato il loro numero, che indicava un vasto consenso, facendo eccezione alla prassi seguita finora, avrei posto in votazione da prima la soppressione. Ma poiché si sono ridotti a due i proponenti della soppressione, è evidente che non v’è più ragione di andare contro la nostra pratica consuetudinaria. Non pongo perciò in votazione la soppressione, ma gli emendamenti proposti al testo ed accettati dalla Commissione.

Leggo il testo dell’emendamento Coppi, fatto proprio dall’onorevole Leone Giovanni, sul quale si vota:

«La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte d’assise».

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Bonomi Paolo.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Angelucci.

Badini Confalonieri – Bencivenga – Benvenuti – Bertola– Bonino – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bozzi – Bubbio.

Caccuri – Cannizzo – Carbonari – Carboni Enrico – Carratelli – Caso – Castelli Avolio – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Clerici – Codacci Pisanelli – Colitto – Colonna di Paliano– — Condorelli – Coppa Ezio – Corsanego – Cortese Guido – Crispo.

De Falco – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò.

Ferrarese – Ferrario Celestino – Firrao – Fresa – Froggio.

Gabrieli – Gatta – Germano – Geuna – Giannini – Giordani – Gotelli Angela – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Jervolino.

Lagravinese Pasquale – Leone Giovanni – Lizier.

Mannironi – Marconi – Marinaro – Marzarotto – Mastrojanni – Mazza – Miccolis – Micheli – Monterisi – Mortati – Mùrdaca.

Nicotra Maria – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Pignatari – Proia – Puoti.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Riveda – Rodi – – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano.

Salvatore – Sartor – Scalfaro – Scoca – Spataro – Sullo Fiorentino.

Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Venditti – Vicentini – Vigo – Villabruna.

Zerbi.

Rispondono no:

Aldisio – Arcaini – Avanzini – Azzi.

Baldassari – Balduzzi – Barbareschi – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini– Bazoli – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bernabei – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosi – Bucci – Bulloni Pietro.

Cairo – Calamandrei – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carboni Angelo – Caroleo – Carpano Maglioli – Cartia – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chiaramello – Chiostergi – Coccia – Conci Elisabetta – Corsi – Cortese Pasquale – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – Del Curto – Della Seta – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – D’Onofrio.

Fabbri – Fantoni – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Foa – Fornara – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giolitti – Giua – Grassi – Gronchi – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto.

Imperiale.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Marinelli – Martinelli – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merighi – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monticelli – Morini – Musolino.

Nasi – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.

Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Paratore – Pastore Raffaele – Pecorari – Pera – Persico – Petrilli – Piemonte – Pieri Gino – Preti – Priolo.

Rapelli – Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi.

Saggin – Salerno – Sapienza – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Silipo – Silone – Spallicci – Spano – Stampacchia – Stella.

Targetti – Taviani – Tega – Togliatti – Tonello – Tremelloni – Treves.

Veroni – Vigna – Villani – Volpe.

Zagari – Zanardi – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Andreotti.

Conti – Coppi Alessandro.

Moro.

Pat.

Sono in congedo:

Arata.

Bergamini.

Carmagnola – Cavallari.

Dugoni.

Jacini.

Lizzadri.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni – Tosi.

Vanoni – Viale – Vischioni.

Risultato della votazione nominale.

Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti                               297

Votanti                                292

Astenuti                               5

Maggioranza           147

Hanno risposto sì     112

Hanno risposto no    180

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione del testo proposto dall’onorevole Mastino Pietro del seguente tenore:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

«Questa partecipazione è obbligatoria nei processi per delitti politici».

Pongo in votazione il primo comma:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia».

RUBILLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Io ho votato «no» sul precedente ordine del giorno Coppi: però ho parlato contro il ripristino della giuria.

Ora voto «sì» per l’ordine del giorno Mastino.

Perché non abbia ciò l’apparenza di una contraddizione ho sentito il dovere di ricordare che io nel mio discorso sull’ordine del giorno dichiarai che ritengo utile, anzi dissi indispensabile, l’intervento dei giudici popolari nei dibattimenti di Corte d’assisa; però dichiarai altresì che sono contrario alla giuria e favorevole all’assessorato.

Siccome questo ordine del giorno riguarda soltanto l’intervento di giudici popolari, e rimane quindi impregiudicata la soluzione se debba essere questo intervento sotto forma di giuria o di assessorato, io lo trovo conforme alle idee esposte e perciò voto favorevolmente.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Vorrei chiedere al collega Mastino se è disposto ad emendare il suo testo aggiungendo alla fine le seguenti parole: «nei giudizi di Corte d’assise».

A tale condizione alcuni colleghi voterebbero a favore.

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di rispondere.

MASTINO PIETRO. Non accetto l’aggiunta proposta dall’onorevole Leone, in quanto limiterei quella libertà di movimento e quella libertà di decisione che intendo, invece, sia conferita al legislatore.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Dichiaro di votare contro e mi permetto di segnalare all’Assemblea che coloro che voteranno l’emendamento Mastino, voteranno una norma per la quale domani sarebbe possibile introdurre l’elemento popolare anche in Corte di cassazione. (Commenti a sinistra). Ciascuno interpreti la formula a suo modo; io, modestamente, attraverso una modesta vita di studioso, ho dimostrato di saper interpretare le norme di legge.

Ora io dico, riallacciandomi a questa modesta tradizione personale, che quando sarà votata questa norma – e lo segnalo soprattutto agli amici di altri settori –, si renderà possibile introdurre l’elemento popolare in tutte le magistrature, compreso quel giudizio di Corte di cassazione, che è squisitamente ed esclusivamente tecnico. (Commenti a sinistra).

È bene che ai colleghi, che si accingono a votare questa formula, sia chiara questa precisazione che lo stesso presentatore dell’emendamento ha dato adesso. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma testé letto.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo al secondo comma, del seguente tenore:

«Questa partecipazione è obbligatoria nei processi per delitti politici».

Su questo comma è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Crispo, Cifaldi, Villabruna, Condorelli, Perrone Capano, Tumminelli, Mastrojanni, Gullo Rocco, Rodinò Mario, Treves, Abozzi, Miccolis, Delli Castelli Filomena, Rognoni, Marinaro, Bencivenga, Romano, Colonna, De Martino, De Caro Raffaele.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Ho chiesto di parlare, perché vorrei pregare il proponente di questo emendamento aggiuntivo di considerare una particolare situazione.

Posso far presente ad un mio predecessore al Ministero di grazia e giustizia quale l’onorevole Togliatti, che vi è oggi una Commissione per la riforma del Codice di procedura penale. Da questa Commissione, presieduta da Sua Eccellenza Miraolo, che è uno dei più illustri magistrati che noi abbiamo, questo sistema della Corte di assise è stato considerato; soltanto viene spostato nel senso che, mentre per le vecchie disposizioni la competenza della Corte d’assise era fissata con criteri quantitativi ossia in relazione alla misura del reato, ora viene fissata con criteri qualitativi, e quindi sono stabiliti i delitti che vengono ad essere considerati per la loro gravità o per la loro natura di competenza della Corte d’assise.

Quindi, data questa situazione, per cui i principali delitti politici vengono ad essere compresi nella competenza delle Corti d’assise dal nuovo Codice di procedura penale, io penso che sia opportuno che la Costituente non determini una votazione su questo punto. Tanto più che l’articolo 8 del Codice penale stabilisce che sono delitti politici anche i delitti comuni commessi con finalità politica.

Si tratta di una materia nella quale oggi, con questa aggiunta, noi potremmo pregiudicare il criterio qualitativo, che invece la Commissione per il nuovo Codice di procedura penale intende presentare al Parlamento.

Con questa mia dichiarazione non so se l’onorevole Togliatti voglia insistere ancora, perché si proceda ad una votazione, che potrebbe pregiudicare un principio già affermato e che sarà considerato nella legislazione futura.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Ho ascoltato con interesse le dichiarazioni dell’onorevole Guardasigilli…

GRASSI. Ho parlato come deputato e non come Ministro.

TOGLIATTI. …dichiarazioni che corrispondono ad un lavoro al quale, del resto, ho dato inizio io stesso, quand’ero al Ministero della giustizia. La competenza della giuria può essere appunto determinata per qualità o per quantità. La determinazione puramente quantitativa non può essere accettata, in quanto esistono reati che pur essendo colpiti da pene molto severe, difficilmente possono essere affidati al giudizio della giuria popolare per il loro carattere tecnico. La determinazione qualitativa, però, che mi pare essere superiore ad ogni discussione, è quella che riguarda il reato politico e quello di stampa. Questo è il terreno caratteristico della giuria popolare. Se la giuria popolare ha avuto dei meriti, se è stata un organismo che ha affermato la propria necessità, è proprio in quanto, in determinati periodi e per i suoi giudizi di reati politici, ha fermato l’azione repressiva reazionaria del potere esecutivo. Questo è stato il grande merito storico della giuria popolare. Ora l’onorevole Guardasigilli mi dice che in questo senso sta lavorando la Commissione presieduta da Sua Eccellenza Miraolo per la redazione del nuovo Codice di procedura penale. Sta bene. Ma allora, perché farebbe ostacolo il fatto che nella Costituzione sanciamo un principio che questa Commissione stessa sta accettando nel suo lavoro?

Ci dia l’onorevole Guardasigilli una formula, che permetta di garantire il principio che vogliamo garantito. Noi siamo in un’Assemblea politica ed ogni nostro voto ha un valore politico. Se, essendo stata sollevata la questione, avremo un voto negativo, o anche se verrà ritirato l’emendamento, nessuno impedirà a un futuro legislatore di dire che l’Assemblea Costituente non ha voluto il giudizio della giuria popolare per i reati politici. E allora ci troveremmo in una situazione difficile.

Per questi motivi prego l’onorevole Grassi di darci una formula su cui si possa votare a grande maggioranza, anche senza scrutinio segreto, per soddisfare la legittima esigenza da noi presentata, e che è anche quella riconosciuta dalla Commissione presieduta da Sua Eccellenza Miraolo.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Non voglio insistere. La mia era una preghiera rivolta al proponente: non è una dichiarazione di voto.

Però io insisterei ancora presso l’onorevole Togliatti per fargli considerare che una votazione in senso negativo pregiudicherebbe la tesi che egli vuole sostenere. Quindi sarebbe meglio lasciarla impregiudicata e lasciare al legislatore di domani di considerarla; e non può non considerarla, dal momento che si indirizza la legge ad un criterio qualitativo.

D’altra parte una formula. generica – specialmente «delitti politici» – potrebbe essere eccessiva da un certo punto di vista, in quanto potrebbe comprenderne alcuni, che potrebbero essere tecnicamente e giustamente esclusi; d’altra parte, dando forma prevalente a questa categoria, verremmo a togliere forse valore a tutti gli altri delitti che verrebbero ad essere compresi qualitativamente nella competenza delle Corti di assise ordinarie.

Per queste considerazioni potrebbe essere trasformato in ordine del giorno l’emendamento dell’onorevole Togliatti. In tal senso avrà il suo peso e lo potremo votare in forma generica. Ma fare una votazione specifica potrebbe compromettere le stesse ragioni alle quali l’onorevole Togliatti affida il suo emendamento.

PRESIDENTE. Domando all’onorevole Togliatti se accede a questa proposta.

TOGLIATTI. Sì, l’onorevole Grassi avanza adesso una proposta che mi pare accettabile: fare cioè dell’emendamento un ordine del giorno sul quale esprimere un voto.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il testo proposto dall’onorevole Togliatti e dall’onorevole Grassi è il seguente:

«L’Assemblea Costituente afferma che i delitti politici debbano essere compresi nella competenza delle Corti di assise ordinarie e demanda al nuovo Codice di procedura penale la loro determinazione concreta».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Prima di conoscere questo ordine del giorno, volevo fare una osservazione di carattere generale, e cioè che avevo l’impressione che, dopo aver cominciato molto bene nella discussione, e cioè con la rivendicazione di quello che era stato il principio votato dalla Commissione dei Settantacinque e che portava all’affermazione della permanenza dei giurati nelle Corti d’assise, finivamo se non proprio male, certo meno bene, perché la Commissione dei Settantacinque molto opportunamente si era limitata ad affermare un principio che riterrei indispensabile fosse posto nella Costituzione, in quanto afferma una giurisdizione diretta, mentre la Carta costituzionale dice in forma generale che la Magistratura pronuncia in nome del popolo, il che significa una giurisdizione indiretta.

Ma se adesso abbandoniamo la statuizione di questo principio fondamentale, e lasciamo eventualmente la Costituzione del tutto lacunosa per sostituirvi un ordine del giorno, che mi pare discretamente affrettato nella sua compilazione, finiamo per lasciare nel vuoto quella che è invece, secondo me, la esigenza fondamentale di affermare la giurisdizione diretta quale era determinata dall’articolo, che avrebbe potuto essere coordinato con quei principio generale dell’articolo 94 in sede di redazione del testo definitivo. E questo era, secondo la mia modestissima opinione, il vero compito della Commissione dei Diciotto. Là dove è detto all’articolo 94: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo» poteva proseguirsi aggiungendo: «ed anche direttamente mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise». Avremmo così fatto un articolo solo, e avremmo riempito l’esigenza logica di stabilire il principio e la eccezione. E lasciando impregiudicata la questione della competenza quantitativa e della competenza qualitativa, avremmo fatto un’opera saggia, mentre invece attualmente noi ci incamminiamo in una deviazione molto inopportuna, perché qui dobbiamo stabilire degli articoli di Costituzione e non degli ordini del giorno, che sono direttive un po’ campate in aria, perché i delitti politici sono di una gamma così vasta, così diversa (possono anche eventualmente richiedere delle repressioni immediate meno adatte a dei delitti che presuppongono un’istruzione formale), che mi pare che la formulazione dei casi concreti di competenza qualitativa deve trovar posto nel Codice di procedura penale e non nella formulazione della Costituzione. E quindi io, facendo miei in sostanza, quali emendamenti, i testi del progetto della Commissione dei Settantacinque, propongo di tenerli invariati, salvo collocare praticamente l’articolo 96 come una aggiunta al primo comma, già votato, dell’articolo 94, il quale quindi suonerebbe così: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo il quale vi partecipa anche direttamente con l’istituto della giuria nei processi di Corte di assise».

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, se lei propone semplicemente che il Comitato dei Diciotto o la Commissione dei Settantacinque, nel coordinamento, possa fondere fra loro gli articoli 94 e 96, sarà fatto. Ma se lei adesso chiede che vi si aggiunga l’indicazione della giuria e delle Corti di assise, le ricordo che abbiamo già votato il testo proposto dell’onorevole Mastino Pietro e che pertanto non possiamo ritornare su una decisione già presa.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Ho chiesto di parlare non per una dichiarazione di voto, ma per una pregiudiziale che mi pare indiscutibile a termine del Regolamento. Noi abbiamo l’articolo 87 del Regolamento che dice: «Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni.

«Tali ordini del giorno sono votati prima che sia posto termine alla discussione generale». E a conferma di questo, ricordo l’inizio dell’articolo 88 che dice: «Chiusa la discussione generale ai Ministri è data facoltà di parlare per semplici dichiarazioni ecc.».

Ora, è chiaro che la presentazione dell’ordine del giorno, che in questo momento è stata fatta dall’onorevole Togliatti e dall’onorevole Grassi, a termine del Regolamento, è assolutamente fuori tempo e fuori luogo. Ora vorrei, per quella doverosa correttezza che dobbiamo avere nei nostri confronti, pregare il proponente dell’emendamento, prima di ritirare l’emendamento che ha proposto, di tenere conto di questa considerazione; perché, per questi motivi, se volesse ritirare l’emendamento e se si addivenisse alla votazione dell’ordine del giorno, noi saremmo costretti a chiedere l’applicazione di questo articolo 87, che ne impedisce la votazione.

PRESIDENTE. Di fronte all’eccezione da lui sollevata vorrei porre un quesito all’onorevole Badini Confalonieri. È evidente che il Regolamento si osserva, e deve essere osservato; ma il Regolamento non deve essere un feticcio. (Commenti). Io desidererei sapere, onorevole Badini, quale sia lo scopo della sua eccezione; perché, se con la sua eccezione volesse impedire una votazione di merito, allora io la comprenderei e direi: «lei fa bene a richiamarsi al Regolamento, perché il Regolamento si propone di tutelare e salvaguardare nelle questioni di merito – cioè sostanziali – gli atteggiamenti e le posizioni dei membri dell’Assemblea». Ma, poiché bisogna pur procedere alla votazione di un emendamento, e l’ordine del giorno non è che sostitutivo per le ragioni di opportunità fatte presenti dal Ministro di grazia e giustizia, io desidero appunto sapere se con la sua eccezione lei intende o pensa di evitare la votazione di merito, oppure vuole significare che ritiene che questa votazione sia più opportuna che avvenga sotto forma di emendamento alla Costituzione, anziché di un ordine del giorno che non verrà inserito nel testo Costituzionale.

BADINI CONFALONIERI. Sono perfettamente d’accordo con lei che il Regolamento non deve essere un feticcio: deve però essere una garanzia per tutti noi. In questo senso mi sono appellato al Regolamento; e la garanzia è proprio in questo caso una garanzia di chiarezza. Ho voluto fare questa eccezione e l’avrei fatta ancora prima di quando ha parlato l’onorevole Fabbri, se ella, onorevole Presidente, mi avesse visto, quando ho alzato la mano.

PRESIDENTE. L’ho vista, ma l’onorevole Fabbri aveva chiesto di parlare prima di lei.

BADINI CONFALONIERI. Ha voluto essere un atto di correttezza il mio, prima che l’onorevole Togliatti ritirasse l’emendamento, perché oggi possa non ritirarlo e l’emendamento possa essere posto in votazione; ci sia quindi una votazione che sia di chiarezza.

In questo senso mi sono appellato al Regolamento ed in questo senso insisto nella istanza.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Se rileggiamo il resoconto della discussione fatta in quest’Aula a proposito dell’emendamento Giolitti trasformato in ordine del giorno sul collegio uninominale, notiamo che allora furono fatte le stesse osservazioni oggi avanzate dall’onorevole Badini Confalonieri: Ci troviamo pertanto di fronte ad un precedente, risolto dall’Assemblea a favore della trasformazione dell’emendamento in ordine del giorno e della sua votazione.

Mi appello a questo precedente e chiedo al Presidente di porre in votazione l’ordine del giorno.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Io ricordo la particolare discussione sull’ordine del giorno Giolitti. Dico, però, una cosa, che per me è essenziale: il precedente citato dall’onorevole Laconi non sposta la situazione, perché il Regolamento c’è e non viene a mancare per un precedente contrario, e cioè per la mancanza di riferimento al Regolamento in cui siamo incorsi una volta. Sta di fatto che da oggi in poi, conoscendo il Regolamento, lo applicheremo. Si vede che quella volta neanche l’onorevole Laconi conosceva l’articolo 87, al quale non si credette di fare riferimento.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sta di fatto, e l’ho voluto confrontare, onorevole Laconi, che il precedente da lei invocato esiste, ma ha ragione l’onorevole Badini Confalonieri, nel senso che il precedente non può mutare una disposizione di Regolamento, sin quando l’Assemblea non faccia, di questo precedente, una disposizione sostitutiva di quella che già vigeva.

Desidero però far presente che, pur avendo adottato il Regolamento della Camera, in cui è contenuto l’articolo richiamato dall’onorevole Badini Confalonieri, questa Assemblea più volte ha sentito la necessità, direi, di completarlo, in funzione dei particolari compiti che essa ha; e, come qualche collega ricordava, l’Assemblea, non solo in occasione della votazione dell’ordine del giorno Giolitti, a cui si è proceduto dopo concluse tutte le votazioni sull’articolo 53, ma su proposta di colleghi di varia parte, di volta in volta, ha votato altre disposizioni, che si era ritenuto non dovessero far parte del testo costituzionale, ma su cui l’Assemblea dovesse dire la sua parola, che servisse come orientamento per il legislatore futuro. Così, per esempio, un articolo aggiuntivo a suo tempo presentato in relazione alle particolari provvidenze che la Repubblica deve disporre a favore dei mutilati e degli ex combattenti, fu trasformato in ordine del giorno, appunto perché si ritenne che non dovesse essere incluso nel testo costituzionale, pur riconoscendo di non poter tacere sull’argomento.

Questa è la posizione. L’onorevole Badini Confalonieri comunque, in questo momento, ha dalla sua la forza del Regolamento e se egli la invoca, evidentemente, il Regolamento deve essere applicato. Vuol dire che gli onorevoli Togliatti e Grassi vedranno se sia il caso di immediatamente ritrasformare in emendamento il loro ordine del giorno e rimettersi quindi nella posizione iniziale.

MAZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZA. Ad evitare discussioni inutili e poiché ritengo che su questo argomento l’Assemblea debba dire chiaramente la sua parola, faccio mio l’emendamento dell’onorevole Togliatti e dichiaro di votar contro di esso. (Commenti).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare, signor Presidente, che l’Assemblea stabilì un precedente, non come eccezione al Regolamento, bensì come applicazione corretta del Regolamento stesso. L’onorevole Badini non ha dalla sua parte la forza del Regolamento, ma del Regolamento mal letto. Il Regolamento dice esattamente: «Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni». Il Regolamento non dice affatto, in nessuna sua parte, che non possano essere presentali ordini del giorno di altro carattere e altro fine in altra sede.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Io ho fatto questa proposta all’onorevole Togliatti nel desiderio di far guadagnare tempo all’Assemblea, e non pensavo che questo avesse potuto portare una discussione sul Regolamento e sulla sua interpretazione. Ritiro perciò la proposta e dico di votare. Dal momento che si deve votare e dal momento che è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto sull’ordine del giorno, non vale la pena di occuparci ulteriormente della questione.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Non mi interessa la interpretazione del Regolamento; mi interessa il fondo della questione, e se avevo acceduto alla proposta di trasformare l’emendamento in ordine del giorno, era per contribuire ad accelerare i nostri lavori, e anche perché mi pareva che in un’Assemblea come questa non si poteva che accettare questo punto di vista. Ricordo che anche nel memoriale presentato dall’Associazione dei magistrati, che conteneva proposte sull’ordinamento della giustizia, che noi in parte abbiamo adottato e in parte no, veniva richiesto che tutti i processi per reati politici venissero deferiti alla Corte d’assise. Per questo ritenevo che la questione non potesse dare luogo, non dico a una votazione a scrutinio segreto, ma nemmeno a serio dibattito. Ma, poiché la votazione ci deve essere, ed essa sarà ad ogni modo a scrutinio segreto, mi pare che tanto vale che non ci si richiami al Regolamento, e che si voti per l’emendamento.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Costantini?

COSTANTINI. Sulla questione del Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, la questione è superata.

Poiché gli stessi proponenti della trasformazione in ordine del giorno dell’emendamento rinunciano alla loro proposta, non c’è che da passare alla votazione.

COSTANTINI. Chiedo di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi sembra che la questione di forma sollevata dall’onorevole Badini meriti la nostra attenzione, perché noi dobbiamo stabilire se si possono trasformare gli emendamenti in ordine del giorno, o viceversa, in determinate circostanze, per non trovarci poi in situazioni che possono anche paralizzare il lavoro dell’Assemblea. Mi pare che questa sia questione così importante da meritare subito una soluzione.

PRESIDENTE. Mi pare che la questione non debba essere risolta in questo momento. Ora procediamo alla votazione.

COSTANTINI. Io insisto su quanto ho detto: non essendovi una disposizione che stabilisca quando, in forma tassativa, debbano o non debbano essere presentati ordini del giorno soggetti a votazione, mi sembra che sia importante che l’Assemblea interpreti il Regolamento al fine dei lavori successivi ed alla stregua dell’articolo 92.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Visto che i proponenti hanno rinunciato all’ordine del giorno per ritornare all’emendamento, nessuna difficoltà a procedere in questo senso. Io vorrei pregare però l’Assemblea di lasciare impregiudicata la questione sollevata, che ha indubbiamente la sua importanza e può essere molto importante pei nostri lavori.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Poiché i proponenti dell’ordine del giorno hanno ripreso la forma dell’emendamento e rinunciato a quella dell’ordine del giorno e quindi la questione di merito regolamentare non è pregiudicata, passiamo alla votazione segreta del secondo comma dell’emendamento Mastino Pietro:

«Questa partecipazione è obbligatoria per i processi di delitti politici».

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     299

Maggioranza           150

Voti favorevoli        111

Voti contrari            188

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Andreotti – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Bartalini – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosi – Bozzi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Caccuri – Cairo – Calamandrei – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canapa – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli– Cerreti – Cevolotto – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corsanego – Corsi – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Amico – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio.

Ermini.

Fabbri – Facchinetti – Fantoni – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Leone Giovanni – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Piemonte – Pignatari – Ponti – Preti – Priolo – Puoti.

Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Saragat – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scoca – Scoccimarro – Silipo – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigo – Villabruna – Villani – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Bergamini.

Carmagnola – Cavallari.

Dugoni.

Jacini.

Lizzadri.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni – Tosi.

Vanoni – Viale – Vischioni.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per l’articolo 96 vi è ancora un emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Mannironi, Carboni Angelo, Mortati, Sansone, Clerici, e altri, del seguente tenore:

«Le sentenze della Corte di assise sono soggette ad appello nei modi stabiliti dalla legge».

Onorevole Mannironi, lei mantiene il suo emendamento?

MANNIRONI. Sì, lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora, vorrei pregarla di dare, quanto meno, a questo suo testo una formulazione che lo renda più consono al testo approvato dall’Assemblea, nel quale non si parla di Corti d’assise.

MANNIRONI. Io non tengo tanto alla forma; desidererei soltanto che l’Assemblea si pronunciasse sul principio, secondo il quale tutte le sentenze, di ogni autorità giudiziaria, possano essere soggette ad appello. Questo è il principio che a me preme sia affermato.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, noi dovremo ancora esaminare la seconda Sezione di questo Titolo: «Norme sulla giurisdizione», nella quale appunto sono articoli che trattano degli appelli, dei ricorsi. Potrebbe rimandare la votazione del suo emendamento in quella sede.

MANNIRONI. Mi duole di non poter aderire integralmente al suo invito, signor Presidente. Io potrei aderire alla proposta di inserire questo emendamento in un altro articolo della Costituzione; però insisterei perché oggi la votazione sia fatta sul principio.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la invito ad esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io vorrei far presente la difficoltà di poterci pronunciare subito. Tutte le sentenze sono appellabili: mi pare un principio che giuridicamente non possa essere ammesso. Vi sono sentenze che per l’importo delle controversie o per la materia cui si riferiscono non sembrano suscettibili d’appello. Siamo disposti a considerare la proposta dell’onorevole Mannironi, ma non possiamo decidere su due piedi.

D’altra parte, come aveva osservato il nostro Presidente, nella sezione seconda, all’articolo 102, è contemplato il ricorso poi cassazione.

In questa sede potremo cercare di esaminare anche il problema degli appelli ad organi di secondo grado.

L’onorevole Mannironi, che desidera che questa questione si inserisca nella Costituzione, potrebbe presentarla e discuterla all’articolo 102.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, acconsente?

MANNIRONI. Accetto la proposta dell’onorevole Ruini, a condizione che si resti d’intesa che il principio sarà messo in votazione in sede di discussione dell’articolo 102.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sarà discusso.

ROMANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha. facoltà.

ROMANO. Penso che l’emendamento presentato dall’onorevole Mannironi dovrebbe essere completato, in quanto, se egli volesse affermare il principio dell’appello avverso le sentenze di Corte di assise, bisognerebbe determinare l’organo. Se l’appello dovesse essere portato in Cassazione, si snaturerebbe l’istituto.

PRESIDENTE. Onorevole Romano, rimettendosi in sede di esame dell’articolo 102 la discussione di questa proposta, lei potrà fare le sue osservazioni.

Resta stabilito che la proposta dell’onorevole Mannironi sarà presa in esame in sede di discussione dell’articolo 102.

L’articolo 96 risulta così approvato nel suo complesso:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia».

Il seguito di questa discussione è rinviai» a domani alle 11.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali misure siano state adottate e si intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi avvenimenti di Puglia.

«Monterisi».

«Al Ministro dei trasporti, per sapere se l’Amministrazione che egli presiede si rende conto della inderogabile, assoluta necessità che, dovendosi in Pescara ricostruire e riparare gli edifici e gli impianti ferroviari – che vennero distrutti o danneggiati dalla guerra per effetto della importanza che essi avevano ai fini militari ed economici – si proceda all’arretramento di tali edifizi ed impianti – come dai vari progetti all’uopo presentati alla stessa Amministrazione – sì da consentire lo sviluppo edilizio, industriale e commerciale della città, che diversamente verrebbe per sempre impedito.

«Ad evitare tale gravissimo pericolo, riconosciuto di recente, sul posto, anche dal Sottosegretario ai trasporti e che ha messo in agitazione la cittadinanza, si provveda innanzi tutto a ordinare formalmente la sospensione dei già disposti lavori di ripristino degli attuali impianti e si accolga, finalmente, il voto unanime della stessa città e della intera regione – dal quale l’Amministrazione non può prescindere – dell’arretramento di tutta la zona ferroviaria per la cui realizzazione il maggior onere finanziario verrebbe compensato dalla vendita delle cospicue aree di risulta.

«Paolucci».

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti intenda adottare per rimuovere le cause che hanno determinato ancora una volta lo spargimento di sangue proletario nelle Puglie.

«Pastore Raffaele».

«Al Ministro degli affari esteri e al Presidente del Consiglio dei Ministri (assistenza ai reduci e ai partigiani), per sapere se e quali provvedimenti siano in corso per la ricerca dei dispersi nella campagna di Russia e se, di fronte alle ricorrenti notizie riportate dalla stampa circa l’esistenza di nuclei di dispersi ed alle frequenti segnalazioni di singoli nominativi, non si ritenga necessario disporre per un rilievo sistematico di tali segnalazioni e per il loro controllo, e soprattutto per ottenere che sia opportunamente sollecitata l’estensione di tali ricerche in loco; quali provvedimenti si impongono anche alla finalità di troncare lo stato di angosciosa attesa in cui versano le famiglie interessate.

«Bubbio».

«Ai Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere se non si ritenga urgente ed indilazionabile dare disposizioni per l’immediato pagamento ai comuni dei proventi della tassa sui cinematografi; e ciò in relazione alle esigenze in cui versano i comuni stessi dibattentisi in gravissime difficoltà di cassa, e tenuto conto del fatto essenziale che trattasi di somme liquide, già da tempo percepite dallo Stato, tramite la Società autori ed editori, e che senza complicazioni e ritardi ingiustificati dovrebbero almeno trimestralmente essere versate agli enti interessati.

«Bubbio».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Interesserò i Ministri interrogati affinché facciano sapere al più presto quando intendono rispondere.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritenga urgente adeguare le pensioni degli impiegati all’attuale costo della vita.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere lo stato attuale della vertenza sorta dalla richiesta del comune di Priverno della restituzione di territorio dal comune di Pontinia in provincia di Latina; e, inoltre, per sapere se, in considerazione della delicatezza della questione, la cui soluzione potrebbe risolversi in una eventuale ingiustizia o comunque apparire tale, il Ministro, in armonia col nuovo clima democratico e con la norma già consacrata nella Costituzione, non creda opportuno premettere ad ogni qualsiasi decisione la libera consultazione della popolazione residente nel territorio contestato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali ostacoli si frappongano alla esecuzione del progetto di arretramento degli impianti ferroviari di Pescara, in conformità dei voti espressi unanimemente da quella amministrazione comunale e che risponde ad una esigenza vitale dello sviluppo edilizio di quell’importante capoluogo di provincia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lopardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni per le quali non si è ancora provveduto alla nomina dei titolari delle numerose preture esistenti nella provincia di Campobasso, con grave danno dei privati e dell’amministrazione stessa della giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se ritenga o meno opportuno emanare un provvedimento legislativo «per l’assicurazione obbligatoria contro i danni prodotti dalla grandine nella coltivazione del tabacco per conto dello Stato».

«In proposito l’interrogante ebbe a presentare, «di sua iniziativa», una proposta di legge, che fu svolta e presa in considerazione nella seduta del 3 giugno 1922 (Atti parlamentari – Camera dei deputati – Legislatura XXVI – Sessione 1921-22 – Documento u. 1599) e che non poté aver seguito per i successivi eventi politici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se, essendo stata accordata sanatoria per i matrimoni contratti senza l’autorizzazione, secondo le leggi del tempo, durante il periodo di sbandamento dei carabinieri, non si ritenga conforme ad equità e giustizia, concedere ora l’autorizzazione a contrarre matrimonio senza vincolo di turni a quei carabinieri i quali, pur essendosi trovati nella possibilità di seguire l’esempio dei loro colleghi, preferirono astenersi da tale atto arbitrario, dando con ciò prova di disciplina. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montagnana Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della marina mercantile e del tesoro, per conoscere se intendano adottare le provvidenze necessarie alla ricostruzione del naviglio peschereccio, emanando particolari norme per il risarcimento dei danni di guerra e stabilendo contributi per agevolare le nuove costruzioni, specialmente a cura delle cooperative fra pescatori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corsi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intendano prendere per venire incontro al grave disagio in cui si è venuta a trovare la categoria degli ufficiali dell’Esercito collocati nella riserva tra il giugno 1940 e l’8 settembre 1943 perché colpiti dalle inique leggi fasciste del maggio 1940, che, sotto lo specioso pretesto del ringiovanimento dei quadri, hanno eliminato dal servizio attivo permanente un numero imponente di ufficiali di ogni grado, perfettamente a posto sia dal punto di vista professionale che da quello morale; benemerita categoria che non ha avuto mai interruzioni di servizio o di carriera, ha servito fedelmente e lealmente la Patria per quasi un quarantennio, ed oggi è costretta letteralmente alla fame, perché – allontanata, con provvedimento intempestivo e inumano, dal servizio, nel luglio 1944, all’atto della liberazione – pur non avendo aderito, collaborato, giurato con l’Esercito del Nord, e che liquida oggi, mensilmente, neppure quanto liquida un garzone di bottega.

«E per conoscere, altresì, se non ritengano di estendere, anche a questa categoria, provvidenze di carattere economico analoghe a quelle contenute nella legge n. 284 del maggio 1946, dalle quali gli ufficiali collocati nella riserva anteriormente all’8 settembre sono esclusi, pur avendo benemerenze militari, ossia gli stessi titoli, che hanno gli ufficiali collocati nella riserva dopo l’8 settembre e che di tali provvidenze possono godere; o, quanto meno, se non ritengano di emanare adeguati provvedimenti legislativi per aggiornare le leggi del 1940, nella sostanza delle quali è chiaramente e indiscutibilmente contenuto l’impegno, da parte dell’amministrazione militare, di concedere agli ufficiali trasferiti nella riserva i quattro quinti del trattamento globale concesso ai pari grado rimasti nel servizio effettivo permanente; tenendo presente, a questo riguardo, che, in base al contenuto di quelle leggi, un ufficiale superiore dell’Esercito, nella riserva, dovrebbe liquidare sulle 24-25 mila lire mensili (ossia i quattro quinti di quanto oggi liquida il pari grado del servizio permanente effettivo) contro le 8-10 mila lire mensili che, in effetti, liquida oggi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della difesa, perché consideri se non sia opportuno promuovere un provvedimento legislativo, in virtù del quale si faccia, agli ufficiali dell’Esercito non di carriera, ché sono stati posti in congedo, lo stesso trattamento di quiescenza spettante ai sottufficiali di carriera. Spesso trattasi di persone che hanno servito la Patria per diversi lustri, che hanno famiglia e trovansi in non floride condizioni economiche, per cui, messi d’improvviso sul lastrico, non sanno ora come fare per vivere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali efficienti e rapide norme legislative e amministrative intendano promuovere allo scopo di andare incontro alle gravi esigenze finanziarie delle imprese e cooperative di costruzione, le quali non riescono tempestivamente a riscuotere gli acconti, i saldi contrattuali e le revisioni dei prezzi, mentre si trovano esposte oggi ad eccessive pressioni bancarie dirette a conseguire il ricupero delle somme date in mutuo, pressioni che da un lato mettono in luce le conseguenze e i danni delle inadempienze dello Stato e dall’altro rischiano di compromettere la vasta ed urgente ricostruzione nazionale e di gettare sul lastrico, con la chiusura dei cantieri, diecine e diecine di migliaia di lavoratori impiegati nelle opere pubbliche.

«Per conoscere, in particolare, i motivi che hanno indotta fin qui l’Amministrazione dei lavori pubblici a non inserire nel testo del disegno di legge in corso riguardante la revisione dei prezzi una norma che contempli e consenta, sia pure con facoltà direzionale delle pubbliche stazioni appaltanti, la revisione dei prezzi in tutti i rapporti contrattuali intervenuti dopo il decreto legislativo luogotenenziale 5 maggio 1945, norma che si appalesa indispensabile, dato che l’emanazione del detto decreto indusse in errore gli uffici tecnici dell’Amministrazione, i quali ritennero che la revisione, svincolata ormai dal termine di durata dei lavori, dovesse spettare agli assuntori ope legis e pertanto non fosse necessaria l’inserzione di apposite clausole nei contratti, errore grave che determinò la convinzione delle ditte di costruzioni di aver titolo al rimborso degli aumenti di mercato e viziò, quindi, il consenso dato al momento delle pattuizioni. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Capua, Penna Ottavia, Abozzi, Venduti».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se, dopo la discussione della interrogazione circa l’intendimento del Governo di «mettere finalmente un termine alla vita dell’ARAR che occupa da anni impianti dell’industria privata, con pregiudizio dell’economia nazionale e con aggravamento del problema della disoccupazione» – nella quale discussione il Sottosegretario di Stato per il tesoro rese delle dichiarazioni che non hanno sodisfatto i sottoscritti – intenda o meno prendere dei provvedimenti perché la liquidazione dell’ARAR proceda almeno con ritmo più accelerato, lottizzando e cedendo al migliore offerente, con procedura sollecita, i materiali residuati; disponendo nel contempo una inchiesta che esamini e controlli la regolarità della gestione finora esercita, per cui nella pubblica opinione sono diffuse voci ed apprensioni per gravi irregolarità. E tutto ciò per evitare ulteriori deterioramenti; per liquidare oggi ciò che domani sarebbe liquidabile a prezzi inferiori; per evitare lo stabilizzarsi di una dannosa burocrazia; per restituire alla produzione gli stabilimenti ed i terreni ancora occupati; per togliere, almeno nel più breve tempo possibile, dinanzi agli occhi dei cittadini, un ricordo visivo di un periodo triste della storia nazionale.

«De Martino, Rodinò Mario, Rubilli, Geuna, Angelucci, Monterisi, Romano, Mastrojanni, Bellavista, Covelli, Condorelli, Notarianni, Cannizzo, Coppa, Mazza, Numeroso, Penna Ottavia, Martino Gaetano, Finocchiaro Aprile, Di Fausto, Martinelli, Riccio Stefano, Crispo, Cortese, Bergamini, Colitto, Selvaggi, Bencivenga, Benedettini, Bozzi, Puoti, Firrao, Badini Confalonieri, Codacci Pisanelli, Fresa, Nobile, De Mercurio, Marinaro, De Falco, Abozzi, Miccolis, Perugi, Venditti, Vallone, Corsini, Capua, Morelli Renato».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testò lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 19.35.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Conti

Geuna

Presidente

Condorelli

Tonello

Codacci Pisanelli

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione delia Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Grassi

Ghidini

Leone Giovanni

Togliatti

Laconi

Conti

Crispo

Targetti

Rubilli

Moro

Mazza

Monticelli

Ruggiero Carlo

Villabruna

Mastino Pietro

Gabrieli

Scalfaro

Castiglia

Perrone Capano

Nobili Tito Oro

Abozzi

Romano

Cairo

Persico

Coccia

Sapienza

Coppi

Gasparotto

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Sul processo verbale.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi! È stata opportunamente eliminata dagli atti una parola che io dissi scherzosamente all’onorevole Russo Perez.

È rimasta però nel verbale e negli atti una parola grave. Quando affermai che il ferimento di Aspromonte fu voluto da Vittorio Emanuele, con l’invio di 60 battaglioni comandati da Cialdini, l’onorevole Condorelli, non col tono scherzoso che io avevo usato nel rivolgere la mia parola all’onorevole Russo Perez, ma con tono – se me lo permette – imperioso e orgoglioso disse che quello che io dicevo non era vero: ciò che non è vero è falso.

Ora, io non posso, onorevoli colleghi, rimanere in silenzio sotto questo giudizio dell’onorevole Condorelli. Io feci alcune affermazioni sulla monarchia, sui rapporti della monarchia con la rivoluzione nazionale. Desidero precisare, anche per l’amico onorevole Condorelli, perché non resti fra noi un equivoco, che non voglio sussista in questo genere di discussione.

Dissi, prima di tutto, rivolgendomi all’onorevole Russo Perez, che bisogna ricordare i giudizi di Diego Tajani, che fu Procuratore generale alla Corte d’appello di Palermo e poi ripetutamente Ministro della giustizia e Vicepresidente della Camera.

Tajani in un discorso alla Camera nel 1875 si espresse in questi termini:

«Noi abbiamo colà (parlava della Sicilia) le leggi ordinarie derise, le istituzioni una ironia, la corruzione dappertutto, il favore la regola, la giustizia l’eccezione, il delitto intronizzato nel luogo della pubblica tutela, i rei fatti giudici, i giudici fatti rei ed una coorte di male interessati fatti arbitri della libertà, dell’onore, della vita dei cittadini. Dio immortale, cos’è mai questo se non il caos? Che cos’è mai questo caos se non il peggiore dei mali, l’anarchia di governo innanzi alla quale cento briganti di più e cento crimini di più sono un nulla che si scolorano?».

Cito soltanto questo brano di un grande discorso. Il resto può essere letto nei resoconti parlamentari.

Formulai un giudizio intorno a Cavour. Qui si fa del regionalismo storico! Ma non ha ragione d’essere; qui si deve ricordare e si deve rispettare la storia.

Mi duole che l’amico Bubbio, che ora non è presente, si senta di poter tanto profondamente adorare certi idoli; mi duole che il giovane amico onorevole Geuna si sia crucciato anche lui; ma purtroppo la storia è quella che è: l’unità d’Italia non è stata concepita da Cavour; egli operò per l’ingrandimento del dominio dei Savoia in Lombardia e nel Veneto.

Ma io debbo documentare; me lo permetta l’onorevole Presidente. Egli apprezzò questo genere di discussione, riconoscendone l’importanza per schiarire la coscienza pubblica. Leggo qualche periodo di uno scrittore monarchico, il Curatolo, che fu non solo uno scrittore monarchico, ma addirittura uno scrittore dinastico, direi quasi un cortigiano, uno dei tanti scrittori che hanno scritto per esaltare Casa Savoia.

Ebbene, leggo dall’opera sua dedicata a Vittorio Emanuele III. Il libro si intitola: «Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour nei fasti della Patria – Documenti inediti dedicati a Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, Sire, etc.».

Dice dunque il Curatolo a pagina 126: «Chi oserebbe disconoscere i grandi, gli immensi servigi resi dal Conte di Cavour alla grandezza d’Italia?». La domanda è un po’ retorica, ma lasciamo andare. «Ma la grandezza d’Italia fu, nella mente del Primo Ministro di Vittorio Emanuele II, nei primi anni in cui resse allora le fila del Governo, quella sognata da Giuseppe Mazzini nelle cospirazioni e nell’esilio, voluta da Garibaldi fin da quando, lasciate le terre d’America ancora echeggianti degli eroismi compiuti, veleggia con gli avanzi della sua legione verso la Patria?

«L’unità d’Italia sognata da principio dal Conte di Cavour non era l’Italia una. Essa era ancora il Regno di Eugenio Beauharnais: un’Italia ben diversa da quella, che con l’apostolato mazziniano fu creata dalla rivoluzione.

«L’unità d’Italia anelata dagli uomini del partito d’azione – a che il negarlo? – era ritenuta dal Ministro piemontese un sogno irrealizzabile, il prodotto di menti esaltate».

Questo aveva pensato del resto anche il grande storico Balbo quando aveva parlato di scolaruzzi di rettorica, di politici da dozzina.

«In verità, scrive ancora il Curatolo, fu soltanto verso la seconda metà del 1860, che l’unità d’Italia cominciò ad apparire nella mente di Cavour di esito probabile. In una nota lettera inviata il 3 agosto di quell’anno al Cabella, Cavour afferma che «se la grande impresa era reputata un’utopia due anni avanti, poteva ora ritenersi di esito probabile». In un’altra lettera – pur essa pubblicata e diretta a Rattazzi nel 1856, all’epoca del Congresso di Parigi, si dice: «Ho avuto una lunga conferenza con Manin; è sempre un utopista, non ha dimesso l’idea di una guerra schiettamente popolare, crede nell’efficacia della stampa, in tempi procellosi; vuole l’unità d’Italia ed altre corbellerie; ma, nulla meno, al caso pratico, se ne potrebbe tirar partito».

Questo fu il pensiero di Cavour, onorevoli colleghi.

Garibaldi ad Aspromonte. È tutta una pagina di vergogna per la monarchia. Garibaldi era odiato dai Savoia; Vittorio Emanuele cercava di accarezzarlo, di raggirarlo e di servirsene: e riuscì nel suo scopo.

PRESIDENTE. Onorevole Conti, la prego di concludere.

CONTI. Ho finito, signor Presidente. Io citai una frase attribuita a D’Azeglio. Prima di leggere quella nel documento, io desidero che si conosca quanto scrisse in un diario il Ministro degli esteri del tempo, Giacomo Durando. Il diario va dal 10 agosto 1862 in poi. Alla data 28 agosto egli scrisse:

«Consiglio dal re (cioè presso il re). Il re è di malumore; dice che Garibaldi ci darà molti fastidi; che due o tre volte Egli fu già da lui ingannato. (Avete udito, onorevoli colleghi! Garibaldi aveva ingannato Vittorio Emanuele: anche quando, due anni prima, gli donò un regno). Che quando Garibaldi si sente forte, gli scrive delle lettere insolenti; che senza prenderlo, non si finirà mai ogni cosa».

Precisò l’episodio Massimo d’Azeglio, il quale detestava Mazzini e Garibaldi.

Alberto Mario riferì ciò che narrò il D’Azeglio nella «Lega della democrazia», il giornale che dirigeva in Roma. Nel numero di martedì 30 agosto 1881, anno secondo, numero 242 (il volume è anche nella nostra Biblioteca) Alberto Mario, rievocando il delitto di Aspromonte scriveva tra l’altro: «Consiglio dei ministri: Rattazzi, Durando, Petitti, Conforti, Matteucci, Persano, Sella. Vittorio Emanuele aveva detto: ogni appello che non è il mio, è un appello alla ribellione, alla guerra civile. Massimo d’Azeglio narra che il re, alzatosi in piedi sul trono, stese la mano e comandò di percuotere».

Ecco qua, onorevoli colleghi; io mi riprometto di fare un estratto di questo breve mio dire e di offrirlo ai colleghi. Citerò altri documenti per chiarire nettamente la situazione storica, per chiarire questa tesi: l’Italia si è fatta per lotte della democrazia, del partito repubblicano: contro la monarchia. Quando l’Italia fu vicina a raggiungere l’unità la monarchia raccolse i risultati dell’azione dei repubblicani italiani, dei rivoluzionari d’Italia.

Non ho altro da dire. (Applausi).

GEUNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, non ritengo di dover abusare della pazienza dei colleghi continuando una discussione che si è impostata su aspetti storici appartenenti al passato. D’altronde non mi sono premurato di venir qui con la documentazione di testi voluminosi o impolverati per suffragare il mio dire.

Ho sentito ieri nel mio animo ripercuotersi dolorosamente le espressioni di un uomo, pure in perfetta buona fede. Quelle espressioni hanno fatto male al mio animo di onesto e leale avversario.

Però io voglio tornare sull’argomento col mio animo di piemontese, rivendicando che se c’è una regione in Italia – e chiedo ai colleghi di darmene atto – che non ha fatto pesare durante tutti i lavori della Costituente e anche in quest’ultimo periodo un suo concetto regionalistico che si sovrapponesse agli interessi della Patria, questa regione è proprio il Piemonte.

Ma appunto perché non abbiamo mai servito a nostri problemi contingenti in contrasto con quelli generali, in questo momento sentiamo a maggior ragione di dover difendere la nostra regione e il pensiero di questa gente piemontese, che ha posto le premesse perché l’Italia potesse trovare la sua unità. Si è voluto dire che noi abbiamo appreso nei testi di terza elementare la nostra storia patria. Io rispondo che noi l’abbiamo appresa sulle ginocchia dei nostri genitori e dei nostri nonni, che quella storia hanno vissuto e hanno fatto.

Io contesto che si possa rinnegare la figura di Cavour, anche senza dire con questo che vogliamo deificarla. Ed aggiungo che proprio noi piemontesi siamo lontani da questa mentalità: anche quando, sotto il passato regime, si deificava un uomo, tutti quelli che potevano essere gli errori e le colpe degli italiani sono stati condivisi in minima parte dalla mia regione, perché, se c’è stata una regione che si è duramente opposta a questa deificazione, è stata proprio la regione piemontese.

Una voce a sinistra. Ma che cosa c’entra questo? (Commenti).

PRESIDENTE. Facciano silenzio. È vero che l’Assemblea non è abituata alle sedute del lunedì mattina, ma non è questa una buona ragione per procedere oggi con tanto disordine. Onorevole Geuna, lei ha chiesto la parola sul processo verbale, non lo dimentichi.

GEUNA. Rimango al processo verbale. Io mi permetto di accennare all’onorevole Conti, che sa la mia lealtà e il mio rispettosissimo pensiero verso di lui, che proprio i suoi colleghi repubblicani piemontesi si riterrebbero offesi come me, se si cercasse di sminuire la figura di chi, in altro clima storico, non corrispondeva al suo pensiero attuale, ma lavorava per l’Italia.

PRESIDENTE. Onorevole Geuna ho sott’occhi il resoconto stenografico di ieri. Una volta sola, nel corso di tre ore, si è pronunciata la parola «piemontese». Una volta sola e dall’onorevole Condorelli, il quale, condividendo in questo problema l’opinione sua, non può certo averla adoperata in senso tale da rendere necessaria da parte sua una rettifica o una controdimostrazione. Ciò nonostante io le ho dato la parola. Ma proprio perché desidero che lei stia all’impegno assunto, di non entrare in un’esposizione di carattere storico, credo sia sufficiente quanto ella ha detto per esprimere la sua protesta.

GEUNA. Però osservo che l’onorevole Conti ha accennato con queste precise parole: «che solo nel 1861 Cavour aveva detto di poter intravedere l’unità d’Italia».

PRESIDENTE. Ma questo, scusi, non è un caso personale.

GEUNA. Comunque l’onorevole Conti si è sentito oggi di ampliare.

Io ritengo che gli accordi di Plombières siano almeno di tre anni anteriori alla data citata dall’onorevole Conti, e Plombières è stata la fase conclusiva, non l’inizio, di una politica per l’indipendenza e conseguente unificazione d’Italia!

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Conti aveva parlato nella seduta precedente e si è ritenuto chiamato in causa. Sul processo verbale si può parlare per proporre una rettifica, per chiarire o correggere il proprio pensiero, oppure per fatto personale.

GEUNA. Mi permetta, Presidente. Io ho premesso che, anche se sotto una modestissima veste, intendo rappresentare questa coscienza piemontese che non voleva essere né partigiana né regionalista. Ho creduto di precisare perché ieri sono insorto. Sono insorto (e credo di potermi perciò richiamare al processo verbale) ad un’altra espressione che si richiamava allo scrivere in francese di Vittorio Emanuele II, come prova documentata della non italianità di quel nostro re. Non era colpa né vostra né responsabilità nostra, se allora la nobiltà e la buona borghesia piemontese parlavano in francese per condizioni storiche, di cultura, di dominio francese da cui noi piemontesi ci siamo liberati, e se il francese era la lingua ufficiale delle Corti europee.

Federico II non conosceva quasi la lingua della sua terra, stante l’educazione ricevuta in Francia e non si può certo dire non abbia fatto il bene del suo Paese.

Napoleone I parlava malissimo il francese e nessuno oserebbe negargli la cittadinanza ad honorem, per la Francia.

Nella nostra Valle d’Aosta si parla francese e tutti gli atti notarili, civili, religiosi sono redatti anche in francese, e non si vorrà negare l’italianità dei valdostani.

Gli alto-atesini parlano tedesco e sono italiani.

I miei alpini della Valle Natisone – che mi scrivono in questi giorni lettere infiammate d’italianità – parlano sloveno e sono italiani.

Anche in Sardegna, in certi paesi si parla ancora spagnolo, ed è Italia.

Io riaffermo, quindi, fermamente il merito di Casa Savoia e del Conte Cavour per l’indipendenza e l’unità della nostra Patria. (Applausi a destra).

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che proposito, onorevole Condorelli?

CONDORELLI. Sul processo verbale, e credo che il proposito sia evidente a tutti.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. L’onorevole Conti – al quale rendo omaggio, e sono lieto di cogliere la presente occasione per rendere questo omaggio alla sua rettitudine – oggi è insorto contro quel mio «Non è vero!» triplicemente lanciatogli mentre egli accusava il re, che la storia d’Italia e tutto il popolo italiano ha sempre chiamato e chiama ancora il Padre della Patria, (Commenti a sinistra) di aver fatto fucilare Garibaldi ad Aspromonte!

Ma nulla l’onorevole Conti ha potuto oggi portare in questa Assemblea – sebbene abbia avuto due giorni per le ricerche – che possa confermare quelle che egli, nell’impeto dei suo entusiasmo repubblicano, ha affermato.

Che Vittorio Emanuele II, insieme con tutto il suo Governo, abbia sentito la necessità politica di fermare la marcia di Garibaldi ad Aspromonte, è cosa che non aveva bisogno di essere documentata, perché è risaputa, come è risaputo storicamente che la decisione corrispose alla necessità assoluta di impedire l’intervento francese in Italia. (Commenti a sinistra).

Ma che Vittorio Emanuele II abbia voluto che si facesse del male personalmente a Garibaldi è una maldicenza inventata allora dai repubblicani e che mi duole che dopo quasi novant’anni si ripeta in questa Assemblea. Lo stesso Garibaldi, che fu sempre affettuoso, non solo devoto, ma affettuoso amico di Vittorio Emanuele II, prima e poi, sarebbe stato pronto a smentirla, onorevole Conti! Non è con la maldicenza, onorevole Conti, che si fa la storia.

La storia ha ormai pronunciata la sua sentenza ed ha detto che c’è stata una dinastia eroica che ha scommesso i suoi destini, la sua esistenza, la propria vita, quella dei propri figli, per espellere l’Austria dall’Italia. (Rumori a sinistra). E l’insorgere del piccolo Piemonte contro l’Austria rimane sempre un fatto epico che va attribuito al coraggio, all’audacia, alla temerarietà del dinasta che nel 1848 regnava nel Piemonte.

CONTI Cominciò col Trattato di Moncalieri.

BUBBIO. È stato dopo.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, lei ieri ha detto una frase che vorrei ripetere qui, non solo per lei, mentre si sta discutendo questo argomento. Dice il processo verbale: onorevole Condorelli. «Non facciamo nei comizi della storia».

Onorevole Condorelli, onorevoli colleghi, non facciano la storia adesso, su queste rettifiche di processo verbale. Scrivano dei libri, facciano degli articoli, ma in questa sede, si ricordino che ci siamo per fare la Costituzione.

CONDORELLI. Onorevole Presidente, io mi permetto di rilevare che questa osservazione andava fatta all’onorevole Conti. (Interruzione dei deputati Conti e Covelli).

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, io ho cominciato a fare l’osservazione all’onorevole Conti e poi un po’ più sottolineata l’ho fatta all’onorevole Geuna, ma ora al terzo momento la devo fare in modo più rilevato, e se altri colleghi che hanno chiesto la parola anche sul processo verbale se scambiando un problema di rettifica con un problema di larga discussione, cadessero in errore, è evidente che non mi limiterò più a un richiamo, ma toglierò loro la parola. La prego, pertanto, di concludere. Non ci insegni proprio oggi quello che ha fatto il Piemonte nel 1848.

CONDORELLI. Ero sul punto di concludere ed a quest’ora avrei finito se non ci fosse stato il suo autorevole intervento.

Confermo non essere vero quello che in un istante d’impeto, causato dal suo temperamento entusiasta, si è lasciato sfuggire qui l’onorevole Conti.

CONTI. Non mi sono lasciato sfuggire niente.

CONDORELLI. La invito a provare quello che ella ha affermato: che Vittorio Emanuele II ha voluto che Garibaldi fosse fucilato ad Aspromonte. (Interruzioni del deputato Conti).

Fino a che non avrà fornito la prova precisa di quanto ha affermato ieri lei, contrariamente al suo carattere – riconosco, senza sua colpa, anzi senza coscienza – non avrà detto il vero.

CONTI. Ma io glielo ho data prima la prova. Non posso consentirle di parlare così.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. La prego di precisarmi il motivo per cui chiede di parlare.

TONELLO. Sopra il significato che si è voluto attribuire dall’onorevole Condorelli ad alcune mie frasi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

TONELLO. Io dissi che verso i fascisti bisognava usare la legge del taglione, mentre l’onorevole Condorelli mi interruppe vivacemente e la frase fu raccolta dalla malavita della stampa fascista e fa il giro d’Italia, sicché io appaio, presso chi non mi conosce, come un boia, capace di tagliare le mani e cavare gli occhi!

Con quella mia frase io volevo dire che bisognava essere feroci non contro gli esecutori di assassinî materiali, non contro gli esecutori di spedizioni punitive, ma contro quelli che nell’ombra li sovvenzionano, pagano i camions e pagano gli sgherri principali dell’esecuzione. E volevo dire che il miglior modo di colpire i malviventi è di colpirli nell’unica parte che hanno sensibile: il portafoglio. E, quindi, proponevo, come del resto fece quel terribile rivoluzionario e mio amico Zanardi, che si procedesse, quando uno fosse processato come compartecipe di una spedizione punitiva, alla espropriazione dei beni. E dissi allora che io l’ho avuta questa espropriazione… Per fortuna non avevo niente! (Ilarità).

MAZZA. Ma quanti della sinistra, allora, dovrebbero essere processati?!…

TONELLO. Ed allora si vedrebbe quanti compari della canaglia fascista si ridurrebbero in bolletta dura!… E quello che dissi ieri sono pronto a confermarlo ancora oggi.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Codacci Pisanelli?

CODACCI PISANELLI. Sulle due frasi che sono state pronunciate di «vostra Repubblica» e «vostro Cavour», una pronunciata dall’onorevole Covelli, e una dall’onorevole Conti.

PRESIDENTE. E a che titolo vuole intervenire?

CODACCI PISANELLI. Per portare in questa arroventata atmosfera una parola di serenità e di calma. Rettificare queste due frasi.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la rettifica si può portare ad una propria dichiarazione. Nessuno è autorizzato a rettificare dichiarazioni degli altri e si ha diritto di parlare solo quando si è stati chiamati in causa. Lei non è stato chiamato in causa e pertanto, mi perdoni, non ritengo che sia necessario darle la parola sul processo verbale.

Desidero far rilevare all’onorevole Conti e all’onorevole Condorelli che nel resoconto stenografico della seduta di sabato mattina non è contenuta la parola «falso»; ma è detto: «Non è vero! Non è vero! Non è vero!» e, pertanto, la forma adoperata dall’onorevole Condorelli era rispettosa e dignitosa.

L’affermazione che ciò che è stato detto da altri non risponde a verità, è cosa normale in ogni discussione artistica, filosofica, culturale, sportiva; e penso che coloro che non desiderano essere così contraddetti dal proprio avversario, non devono fare (me lo permetta, onorevole Conti) che una cosa sola: non partecipare a discussioni. Comunque, mi consentano di dichiarare chiusa la discussione sul processo verbale, che si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Arata, Lizzadri, Tosi.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Avverto che sono stati presentati due altri emendamenti all’articolo 96: uno è dell’onorevole Targetti che modifica il suo precedente, nel senso si sostituire le parole «può partecipare» all’altra «partecipa», onde il testo proposto risulta così formulato:

«Il popolo può partecipare direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

L’altro è degli onorevoli Coppi, Di Fausto, Scalfaro, Pat, Mannironi. Giordani, Murdaca, Balduzzi:

«La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Parlerò pochi minuti. Non in merito, ma soltanto per chiarificare le posizioni. Farò la storia dell’articolo. L’articolo, come è nel testo che è uscito dalla deliberazione dei 75, era stato proposto dal valoroso collega onorevole Targetti, che aveva anche qui vinto una sua battaglia; e prevedeva in modo esplicito l’istituzione della giuria, stabilendo che «il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituzione della giuria per i processi di Corte di assise».

Era una affermazione molto precisa per la conservazione della giuria. La discussione, in sede di Commissione dei 75, vi fu ma non molto ampia né molto forte, come in certi pezzi di musica: forte ma non troppo. Qui, invece, è stata ampissima e fortissima, ed ha messo in luce tutti i punti favorevoli e contrari a questo istituto. Io sono rimasto impressionato. Erano note le critiche rivolte a questo istituto; ma, espresse con tanta autorità e vivezza da principi del foro, hanno fatto impressione. Non le ripeterò. Ve ne è una fondamentale: l’incapacità e l’incompetenza del semplice cittadino ad esprimersi in giudizi così difficili. Ve ne sono altre che alcuni sostengono essere inerenti all’istituto stesso: la non motivazione e la non appellabilità. In verità ho riportato l’impressione che l’istituto così come è non può andare, ma si deve cercare di aggiustarlo e modificarlo. Come? Ecco il punto da decidere, ma non in questa sede. Sarà una nota retorica, una quarantottata, ma confesso che personalmente nutro simpatia per questa guardia nazionale della magistratura che è la giuria. Se si potesse conservarla, ne avrei molto piacere; ma è meglio non fare una affermazione che prescriva di conservare per sempre questo istituto, oppure una affermazione che l’abolisca nettamente.

Venuta la discussione in Assemblea, abbiamo assistito ad un fatto decisivo che supera la posizione del testo proposto dalla Commissione dei 75; ed il superamento viene dall’autorità dell’onorevole Targetti, autore di quel testo. Egli qui, in Assemblea, ha proposta un’altra formula che equivale in sostanza al rinvio alla legge della questione se la giuria debba essere conservata o no, modificata nell’uno o nell’altro senso. Non c’è differenza abissale fra questa proposta dell’onorevole Targetti e le altre, della soppressione. Se non avessero il dubbio che, non mettendo nulla, qualche altra disposizione della Costituzione precluderebbe l’adito alla istituzione della giuria, molti dei suoi fautori, lo hanno dichiarato, non avrebbero difficoltà alla soppressione.

Abbiamo sentito svolgere tre emendamenti in modo molto alto e degno: il primo, per un certo ordine logico, è quello dell’onorevole Ghidini: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise nei limiti e secondo le forme, che saranno stabiliti dalla legge». L’onorevole Ghidini, dunque, afferma l’esistenza della giuria nella Corte d’assise; quindi la sua proposta è più spinta, in certo senso, di quella dell’onorevole Targetti, che afferma bensì la partecipazione del popolo ai giudizi, ma nulla dice della giuria. Queste due formule nel resto coincidono. Dirò subito che la forma non mi gradisce molto; e domando scusa all’Assemblea se mi fermo sull’espressione formale della Costituzione, che pure ha certa importanza. L’onorevole Cairo ha già osservato che in un articolo precedente, già approvato, della Costituzione è scritto che tutta la giustizia è amministrata in nome del popolo. Ora verremmo ad aggiungere: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia». Capisco, v’è quel «direttamente». Ma mi pare che veniamo a fare due graduatorie, due dignità di amministrazione della giustizia, che, anche volendo arrivare allo stesso risultato, dovremmo formalmente evitare.

Ho sentito ventilare dall’onorevole Targetti l’idea di sostituire alla formula: «il popolo partecipa direttamente» l’altra: «il popolo può partecipare direttamente». Questa formula mi dispiace ancora di più. Cosa significa? Dare al popolo, che è sovrano, il permesso di partecipare? Anche la espressione formale ha la sua importanza.

Desidererei che se la maggioranza dell’Assemblea è pel rinvio alla legge si potesse raggiungere tale risultato in altra forma. Ciò si vorrebbe ottenere con l’emendamento presentato dagli onorevoli Cairo e Carboni: «Possono istituirsi per legge e per la cognizione e decisione di determinate materie sezioni specializzate degli organi giudiziari, civili e penali, con la partecipazione regolata dalle norme dell’ordinamento giudiziario di cittadini esperti e di giudici popolari». Anche qui la forma (perdonate s’io faccio il tecnico della struttura costituzionale) presenta qualche difetto. È detto «cittadini esperti e giudici popolari», come se i cittadini esperti che partecipano alla giurisdizione non fossero giudici anche essi. Questo si può rettificare. La sostanza è se la disposizione già approvata ed inserita nel testo dell’articolo 95 consente la istituzione di giurie presso le Corti di assise; il che noi non vogliamo negare, perché rinviando alla legge non precludiamo la possibilità di esistenza dell’istituto della giuria.

L’onorevole Ghidini ha fatto un esplicito quesito in questo senso. Il problema è stato svolto con competenza e chiarezza dall’onorevole Leone. Io ritengo che con la formula approvata si possa benissimo istituire la giuria. Infatti si dice: «Possono istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, con la partecipazione anche di elementi idonei, estranei alla magistratura». Comprendo un certo ritegno, ma osservo che anche adesso le Corti di assise sono costituite presso le Corti d’appello e sono in sostanza loro sezioni speciali. È detto «partecipare». L’onorevole Ghidini osserva che ciò potrà essere adattato allo scabinato, non alla giuria. Mi permetta di dire, l’amico Ghidini, che la sua apprensione non è giustificata. Cosa vuol dire «partecipare»? Implica in sostanza un concetto di collaborazione, ed in questo senso partecipano alle Corti d’assise tanto i giudici dell’ordine giudiziario, quanto gli elementi estranei, i giudici popolari. Riflettiamo a ciò che avveniva con la giuria classica, quella del 1874, che un progetto dell’onorevole Fausto Gullo, in sostanza, si propone di ristabilire. Il Presidente partecipava allo svolgimento del dibattito, lo presiedeva; risolveva tutte le questioni procedurali; poneva i quesiti; e dopo il verdetto applicava la pena, e pronunziava la sentenza. I giurati avevano il compito di dare il verdetto: si trattava in fondo di una distribuzione di compiti. Io credo che la disposizione già approvata possa perfettamente bastare. Si noti, infatti, che abbiamo tolto, con questo intento, l’espressione: «esperti» ed abbiamo usata l’altra espressione: «idonei», che avrà un certo valore. Richiedere, come ora si fa, per i giurati la licenza elementare mi sembra poco, ma anche richiedendo la sola licenza elementare si entra pur sempre nell’idea dell’idoneità. Io ho la perfetta convinzione che si possa conservare, con la forma da noi approvata nell’articolo 95, la giuria.

Se voi volete chiarire questo, non mi oppongo, e se volete precisare che con questa formula si possono istituire Corti di assise per giudizi penaci, faremo una norma, introdurremo un capoverso. Concludo brevemente, così come vi avevo detto all’inizio di questo mio intervento.

Vorrei che si evitasse una forma determinata, sia pure, da sentimenti nobilissimi, come quella proposta dall’onorevole Targetti, «il popolo partecipa direttamente», che è un poco di tipo – giuria, con tutta la riverenza che io porto all’acutezza dell’onorevole Targetti.

VERONI. È il concetto della Commissione!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Veroni di ascoltare se quanto io ho detto chiaramente, e che ora ripeto, è contradittorio. La Commissione dei 75 aveva accettata una proposta Targetti: ora l’onorevole Targetti ha proposto una nuova formula, che equivale in sostanza al rinvio.

TARGETTI. Ma la mia proposta non era di un rinvio!

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. La sua proposta, onorevole Targetti, equivaleva a rinvio. Basta rileggere la formula: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

TARGETTI. Quando lei dice: «partecipa» cosa significa?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Targetti, poiché la sua proposta nella Commissione dei Settantacinque parlava espressamente di giuria, e la sua nuova proposta non ne parla più, ciò non può equivalere che al rinvio. Con la sua nuova formula si può benissimo arrivare, se si vuole, alla magistratura elettiva in altre materie, ed abolire la giuria. Se, come mi sembra, l’Assemblea va verso il rinvio, ciò potrà ottenersi con una formula diversa da quella dell’onorevole Targetti.

Per tutte queste ragioni, io credo di interpretare il pensiero della maggioranza del Comitato accogliendo l’idea del rinvio alla legge e preferendo che ciò avvenga con un chiarimento della portata dell’articolo 95 già approvato.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Io non avevo presentato emendamenti al riguardo, se non quello, di rimandare eventualmente, alla legge la sistemazione definitiva di questo argomento così importante e così inteso da parte dell’Assemblea. Però, mi permetto, dopo le dichiarazioni fatte dal Presidente della Commissione, di esprimere il mio dissenso per quanto egli ha detto. Io non sono d’accordo con lui nel ritenere che le Corti di assise possano comunque entrare nella formula: «Possono soltanto istituirsi, presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie». Qui, per la Corte d’assise, non si tratta di competenza per materia, ma di competenza per limiti di pena. Vogliamo o non vogliamo ammettere le Corti d’assise è una cosa, ma non è possibile concepire che attraverso questa formulazione possa considerarsi la possibilità di istituire le Corti di assise con l’intervento degli elementi popolari. La Corte d’assise è un organo giudiziario che interviene, attraverso la forma della giustizia, per determinati reati che corrispondono a determinate pene.

Io aderirei all’ordine del giorno Targetti per aprire la via alla giuria e lasciare impregiudicata la questione delle Corti di assise.

L’Assemblea deciderà, ma io penso che noi non daremmo una indicazione precisa al legislatore di domani se su questo punto non dicessimo chiaramente che cosa vogliamo. Noi possiamo dirlo in una maniera o nell’altra, ma dobbiamo dirlo senza possibilità di equivoci, mentre usare la parola «possono» esclude che si possano stabilire le Corti d’assise, che sono ordinarie e non specializzate.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei osservare all’onorevole Grassi, una cosa semplicissima: la competenza delle Corti d’assise, secondo il Codice attuale, è proprio per materie, così dice espressamente il Codice, e non vuol dire che a determinare la materia sia l’altezza delle pene. Del resto l’onorevole Grassi ha manifestato un proposito al quale anche noi andiamo incontro: di chiarificare che si potranno mantenere le giurie, senza fare espressa prescrizione pel loro mantenimento. A tale scopo non riterrei adatta la formula Targetti. Sarebbe meglio l’altra, ora presentata, nella continua pioggia di emendamenti, dall’onorevole Coppi: «La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte d’assise».

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Che il popolo partecipi alla giustizia non c’è dubbio, perché tutte le sentenze sono fatte in nome del popolo. La questione è questa: se deve partecipare direttamente o attraverso la Magistratura. Se lei non rileva che cosa implichi la parola «direttamente» è inutile che scelga l’una o l’altra formula. È dunque questo termine «direttamente» che bisogna chiarire.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio osservare all’onorevole Grassi che io ho qui il Codice di procedura penale dove, appena dopo il Titolo del capo I, che è «della competenza per materie», si parla subito di competenza della giuria. Dunque, quando l’articolo 95 da noi approvato parla di competenza per materia, può benissimo riferirsi alla competenza della giuria.

GHIDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Desidero fare una osservazione in merito alle dichiarazioni fatte dagli onorevoli Grassi e Ruini: per quanto riguarda l’osservazione fatta dall’onorevole Grassi, l’appoggio, perché secondo l’attuale Codice, la competenza della Corte d’assise non è competenza per materia, cioè non è competenza qualitativa bensì quantitativa.

Col vecchio Codice era una competenza qualitativa, ma attualmente è quantitativa, e quindi non si può, secondo me, richiamare il capoverso, votato, dell’articolo 95 per dire che la giuria vi rientra.

L’emendamento dell’onorevole Coppi parrebbe uguale al mio. Senonché la partecipazione, secondo il mio emendamento, è obbligatoria, mentre secondo l’emendamento Coppi è semplicemente potestativa.

Debbo anche aggiungere che secondo il mio emendamento non è che venga rimessa alla legge, come sostiene l’onorevole Ruini, la partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia; ciò che viene, invece, rimesso alla legge è la determinazione dei limiti e delle forme. Ma, ripeto, la partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia, anziché rimessa alla legge, è decretata e consacrata nella stessa Costituzione.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Desidero confermare il concetto espresso dall’onorevole Ruini. Siccome è sorto proprio in sede di votazione questo scrupolo che la competenza della Corte d’assise non sia una forma di competenza per materia, vorrei affermare questo concetto, perché, indipendentemente dall’articolo 29 del Codice, il concetto di competenza per materia, in penale, è questo: la competenza, di regola, è distribuita in funzione della pena, perché la pena esprime di regola la gravità del reato. Noi vediamo che i tre tipi di competenza (pretore, tribunale, Corte d’assise) sono di regola delimitati in base alla pena.

Il concetto civilistico della competenza per valore non può funzionare in materia penale: la competenza per materia in penale si articola, di regola, in base alla sanzione che la legge stabilisce per i reati, in quanto la pena esprime la gravità del reato.

E allora, se la competenza della Corte d’assise è per materia, se la Corte d’assise è stata, non può non essere una sezione di giudice ordinario (sezione specializzata per il fatto della sua organizzazione diversa dal giudice ordinario – l’introduzione di elementi estranei in misura maggiore o minore è indifferente) non possiamo disconoscere, in realtà, che nella formula dell’articolo 95 si può introdurre la giuria, sia pure come totale introduzione dell’elemento popolare.

Desidero osservare che la preoccupazione dell’onorevole Ghidini non ha ragion d’essere perché, per la stessa tradizione storica della Corte d’assise, noi, avendo stabilito che non si possono istituire giudici speciali, è evidente che in avvenire, anche se sorgesse una giuria, questa si dovrebbe inquadrare senza eccezioni nella formula del divieto di giudici speciali in materia penale e pertanto dovrà organizzarsi come sezione specializzata del giudice ordinario.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Vorrei sollevare una questione di procedura.

Ho ascoltato con grande maraviglia l’onorevole Ruini, il quale ha detto che la Commissione dei Diciotto avrebbe deciso di accettare la soppressione di questo articolo.

Esiste un Comitato di redazione, il quale ha facoltà di risolvere determinate questioni relative alla formulazione dell’una o dell’altra proposizione. Ma qui si tratta di una questione di principio sulla quale abbiamo votato in sede di Commissione dei Settantacinque, in modo tale che il Comitato non ha il diritto di cambiare. In sede di Commissione dei Settantacinque abbiamo votato il principio della giuria popolare; come può dunque l’onorevole Ruini, con una riunione alla quale potranno essere intervenute quattro o cinque persone – ché nessuno, si sa, partecipa a questo suo Comitato – come può dunque l’onorevole Ruini procedere a un mutamento che annulla questo voto?

Se mai, se egli fosse veramente un buon presidente, avrebbe dovuto convocare nuovamente la Commissione dei Settantacinque e chiamare la Commissione stessa a pronunciarsi una seconda volta su una questione la quale riveste carattere di tanta importanza.

Ma, fare come egli ha fatto, non credo sia cosa accettabile. A me pare veramente che l’onorevole Ruini abbia in questo caso violato le norme elementari di funzionamento dei nostri organismi e pertanto non mi pare che la sua decisione possa servire ad orientare i nostri voti in Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio innanzitutto rammentare all’onorevole Togliatti e all’Assemblea che quando sorse la questione se, durante la discussione del progetto di Costituzione in Assemblea, si dovesse riunione la Commissione dei Settantacinque, tutti furono concordi nel ritenere che, siccome non era cosa facile poter procedere alla riunione di una Commismissione così numerosa, i suoi poteri dovessero intendersi deferiti al Comitato dei Diciotto.

Anzi i colleghi ricorderanno che, per scrupolo, fu riunita a questo riguardo la Commissione dei Settantacinque, la quale affermò che, di fronte a decisioni da prendersi così, ad oras, avrebbe dovuto decidere il Comitato dei Diciotto.

TOGLIATTI. Ma qui si tratta di una questione di principio.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non fu fatta nessuna riserva, se non la mia dichiarazione che per le questioni più gravi ed importanti, ove ciò fosse richiesto, si sarebbero potuti convocare i Settantacinque; ma nessuno ha ritenuto che la questione della giuria o meglio la questione se dovesse prescriversi nella Costituzione o lasciarsi libero il legislatore di mantenerla o no, fosse questione così importante da richiedere un appello ai Settantacinque. Nessuno ha fatto richiesta in tal senso. Né altre richieste vennero fatte, per temi più importanti, dai comunisti o da altri.

Il Comitato dei Diciotto viene sempre regolarmente convocato: se non pochi di coloro che ne fanno parte si astengono dal prendervi parte che cosa si può fare? Quando si parlò della giuria, vi era il numero legale, anche se non vi erano i comunisti, occupati nei lavori della loro direzione di partito; ma io tenni informato, come faccio sempre, l’onorevole Grieco e altri colleghi di quella parte.

Siamo quindi perfettamente in regola dal lato formale.

TARGETTI. Permette, onorevole Ruini: non ricordo in quali adunanze del Comitato di redazione si sia trattato specificatamente di questo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’era neppure lei, onorevole Targetti, perché vi era consiglio di presidenza dell’Assemblea, ma io la tenni perfettamente informato delle tendenze della maggioranza della Commissione.

Passiamo ora alla questione di sostanza. Quando è venuta la questione in Assemblea, l’onorevole Targetti stesso – non si può disconoscerlo – abbandonò in parte la sua posizione iniziale, perché non si parlò più di giuria, ma si parlò solo di partecipazione del popolo. Quindi la disposizione iniziale era superata.

Quando io ho parlato poco fa, ho detto con molta cautela che credevo di esprimere l’opinione della maggioranza dei Diciotto. Questo è verissimo; e il Comitato aveva perfettamente il diritto, anzi il dovere, di manifestare la sua opinione sugli emendamenti presentati. Se no, che cosa rappresenterebbe?

Ho aggiunto, ed anche questo interpretando il pensiero della maggioranza dei Diciotto, che non vi era nulla in contrario a chiarire bene che si poteva conservare la giuria. In sostanza dunque non si è andati contro la conservazione di tale istituto, siamo sicuri di non aver violato per nulla i limiti della nostra competenza e, per la sostanza, abbiamo cercato di andare incontro al punto di vista dell’Assemblea. Se del resto l’onorevole Togliatti crede, io posso anche proporre al nostro Presidente che si sospenda questa discussione e si riunisca ancora la Commissione dei Settantacinque: ma certo questo significherebbe rimandare la discussione degli emendamenti.

TOGLIATTI. Basta tener ferme le decisioni prese dai Settantacinque. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma allora, di fronte a trenta o quaranta emendamenti la Commissione deve ignorarli, e rifiutarsi ad ogni discussione, e respingere la facoltà sovrana di emendamento e di approvazione che ha l’Assemblea…

GULLO FAUSTO. La questione ha troppa importanza; è una questione di principio.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo di aver agito legalmente e formalmente, dicendo che di fronte a queste discussioni avvenute in Assemblea, è prevalsa l’idea di rinviare alla legge. Formula Targetti o formula Coppi? Io, ed i colleghi che hanno lavorato, che vengono sempre al Comitato, preferiamo la formula Coppi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. L’onorevole Ruini ha esattamente rilevato poco fa che i membri del Comitato dei Diciotto di questa parte, da qualche tempo in qua frequentano meno assiduamente le riunioni del Comitato. Ed io ho chiesto la parola proprio per precisare che il rilievo fatto dall’onorevole Ruini è esatto, ma ha una sua motivazione. Ed io penso che molto tempestivamente l’onorevole Togliatti abbia oggi sollevato la questione del Comitato dei Diciotto, perché la ragione per la quale i rappresentanti della nostra parte non frequentano più le riunioni di questo Comitato è proprio questa: che il Comitato dei Diciotto è uscito dai suoi limiti normali.

Non è più un Comitato quale noi intendevamo che dovesse essere all’atto in cui lo abbiamo costituito, e cioè un Comitato che rappresenta la Commissione dei Settantacinque e che difende quindi il progetto elaborato dalla Commissione in un anno di lavoro. Il Comitato è diventato una sorta di Commissione a sé, che rivede le diverse questioni, che ritratta gli argomenti in piccole, ristrette riunioni, scarsamente frequentate, anche dai colleghi di altri settori dell’Assemblea, e che presenta le sue proposte senza tener conto delle decisioni fondamentali della Commissione dei Settantacinque.

Ora, questo funzionamento del Comitato dei Diciotto non è né corrispondente alle norme generali per quanto riguarda la Commissione, né corrispondente alla volontà che mosse l’Assemblea quando decise la costituzione della Commissione dei Settantacinque.

Noi chiediamo che il Comitato dei Diciotto si contenga entro i suoi confini, e cioè si limiti a rappresentare la Commissione dei Settantacinque dinanzi all’Assemblea e a difendere nelle sue linee generali il progetto. Naturalmente, esaminando i singoli emendamenti, potrà apportare qualche modifica, ma non si può rimettere in discussione tutta la Costituzione. (Commenti al centro).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Desidererei precisare il mio pensiero nei confronti di ciò che ha detto l’onorevole Ruini.

Purtroppo, onorevole Presidente, sarò costretto a deviare un po’ dal problema di pura procedura, per dire alcune cose nel merito.

Osservo che vi è una parte di questa Assemblea – e in questa parte si trova il nostro Gruppo e mi trovo io in particolare – la quale ritiene che in tutti i casi in cui si tratta di processo politico oppure di processo il quale comporti una condanna alla riduzione della libertà personale per un lungo periodo di tempo, il cittadino ha diritto a essere giudicato da una giuria popolare. È questo uno di quei diritti democratici fondamentali che sono stati rivendicati e realizzati dalle rivoluzioni democratiche, e a cui non si può rinunciare, senza rinunciare al patrimonio lasciatoci da queste rivoluzioni.

Noi poniamo questo diritto sullo stesso piano su cui si pone il diritto di libertà di parola, di libertà di organizzazione, di libertà di stampa.

Posta la questione in questo modo, onorevole Ruini, ella comprenderà molto facilmente che noi non ammettiamo che un Comitato riveda una decisione presa dalla Commissione dei Settantacinque, appunto perché si tratta di un problema di così grande portata.

Non si può, a proposito di una questione di tanto rilievo, fare un rinvio facoltativo alla legge, così come non si sarebbe potuto rinviare alla facoltà del legislatore la decisione se avremo o non avremo libertà di stampa.

Una voce al centro. Deve decidere l’Assemblea.

TOGLIATTI. Quella che io faccio è quindi una questione di fondo. Sostengo che, data la natura stessa del problema, il Comitato dei Diciotto non aveva il diritto di interferire, modificando una decisione già presa dalla Commissione dei Settantacinque nel senso di annullarla.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Ho chiesto di parlare per una osservazione direi di buon senso. Io non capisco la portata dell’eccezione e delle osservazioni dell’onorevole Togliatti. Non la capisco per questo, perché mi domando se non siamo stati sempre d’accordo sul valore, sulla portata delle deliberazioni delle Commissioni che si sono succedute per la presentazione del testo costituzionale.

Fin dal primo momento, e proprio con l’onorevole Togliatti mi pare, ci siamo trovati d’accordo su questo punto, che si sono considerate le Commissioni e i Comitati costituiti in seno alla Commissione dei Settantacinque, come organi adatti, bene assortiti, se si vuole, per la elaborazione di un testo che poi l’Assemblea avrebbe dovuto esaminare e discutere da fondo.

Abbiamo fatto così per tutti gli istituti, dal principio alla fine. Qualunque siano state le decisioni dei Settantacinque e dei vari Comitati, l’Assemblea, che è sovrana, ha fatto poi tutto quello che ha voluto.

Ora, io non arrivo a capire perché in questo momento – e siamo quasi in articulo mortis – siamo quasi scandalizzati perché è venuta fuori una formula diversa da quella deliberata dalla Commissione dei Settantacinque. (Commenti).

Io dico che l’Assemblea siede per risolvere i problemi e per deliberare di fronte ai testi e alle formule che vengono preparati per il suo lavoro.

Non so se l’onorevole Togliatti ha voluto lanciare una freccia all’onorevole Ruini, ma il principio non ha ragion d’essere, se ammettiamo l’altro principio che la Commissione dei Settantacinque è stata una Commissione di studio, e su questo punto mi pare di essermi trovato d’accordo perfettamente con l’onorevole Togliatti. E allora io credo che l’onorevole Togliatti, l’onorevole Laconi e tutti quelli che hanno fatto osservazioni sul misfatto dell’onorevole Ruini, debbano riconoscere che non c’è ragione di continuare una discussione accademica su questo punto. C’è invece motivo perché dati tre, quattro, cinque o sei emendamenti, finalmente si deliberi su di uno, senza commettere l’errore di riferirsi al pronunciato di una commissione qualsiasi, ma rimettendosi alla piena sovranità dell’Assemblea che è qui per deliberare.

Prego dunque l’onorevole Presidente di voler riassumere, come egli sa fare, le mie osservazioni in modo da portare l’Assemblea al punto di concludere e non di discutere in eterno su questa tesi.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Io ritengo che l’ultima osservazione dell’onorevole Togliatti abbia tutta la sua importanza, perché – se ho compreso bene il suo pensiero – esso si potrebbe riassumere così: vi sono dei principî fondamentali che formano un po’ come lo spirito della Costituzione. Vale a dire, dei principî di ordine generale che sono come un patrimonio acquisito di idee e di principî.

Io ritengo invece che la risposta su questo punto, la cui esattezza in linea di massima non si può contestare, sia che non si può confondere il diritto di libertà di stampa, il diritto di parola, il diritto di organizzazione, col diritto del cittadino ad avere un giudice determinato. In altri termini, la Costituzione non contempla come un diritto naturale il diritto di avere un giudice determinato.

TOGLIATTI. E perché no?

CRISPO. La Costituzione ha già contemplato il principio fondamentale a cui accenna l’onorevole Togliatti, perché la Costituzione ha detto – per esempio – all’articolo 19 che: «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». E soggiunge all’articolo 20:…

TOGLIATTI. Cosa c’entra la difesa col giudice?

CRISPO. Ci vengo subito. E soggiunge all’articolo 20: «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale che gli è precostituito per legge».

Ecco il principio fondamentale.

Il principio del quale adesso ci occupiamo si riferisce invece all’ordinamento giudiziario, cioè al modo come deve essere ordinato l’organo deputato all’amministrazione della giustizia; tanto è vero che la norma della quale ci occupiamo è precisamente collocata sotto il titolo della Magistratura, col sottotitolo «Ordinamento giudiziario».

Quindi questo principio del modo, o meglio, la norma relativa al modo con cui deve essere organizzata l’amministrazione della giustizia, a mio avviso non si può confondere col diritto del cittadino ad avere il proprio giudice naturale, salvo l’organizzazione ed il funzionamento dell’organo della giustizia.

E allora, seconda osservazione, l’osservazione a cui si riferiva l’onorevole Ruini: se cioè la Commissione o il Comitato di redazione abbia la potestà di modificare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Di esprimere il suo avviso.

CRISPO. Io penso anche: di modificare. Se mi permette, vado oltre: o di modificare la norma o una delle norme contenute nel progetto. Se si dovesse seguire l’opinione negativa dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Laconi, si dovrebbe pensare a norme cristallizzate, immobili, senza che comunque potessero patire alcuna modificazione. E mi permetto di osservare che il progetto appartiene bensì alla Commissione dei 75, ma verrà successivamente elaborato in seguito alla discussione in questa Assemblea. L’Assemblea non per nulla esamina, discute, valuta, vaglia il progetto e propone degli emendamenti; emendamenti che, a norma dell’articolo 94 del nostro Regolamento, possono non solo estendere o restringere la portata delle norme, ma possono anche modificarla sostanzialmente, perché l’articolo 94 del Regolamento fa divieto solo di presentare emendamenti che siano estranei all’oggetto della discussione.

Ora è evidente che il Comitato, il quale si riunisce dopo la discussione generale della legge e dopo gli emendamenti presentati e anche successivamente alla discussione degli emendamenti, debba tener conto di questi emendamenti; altrimenti questa discussione sarebbe del tutto inutile, del tutto estranea, sarebbe un diversivo e perdita di tempo, e non si comprenderebbe quale potrebbe essere la posizione di questo Comitato, che dovrebbe rimanere inerte di fronte al progetto, immutabile come un tabù.

Sono queste le considerazioni per le quali mi pare che il Comitato in questo momento abbia ragione.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per precisare un punto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, ma le ricordo che è la terza volta che lei interviene in questa discussione.

TOGLIATTI. Desidero prima di tutto rilevare all’onorevole Crispo che mi rincresce che tutte le volte ch’egli parla non riesce mai a convincermi.

CRISPO. Non ho questa pretesa.

TOGLIATTI. Non è esatto quanto dice l’onorevole Crispo che tutto ciò che si riferisce ai diritti fondamentali del cittadino sia contenuto nei primi, diciamo, 51 articoli della nostra Costituzione.

Ivi sono formulati alcuni dei diritti fondamentali dei cittadini, ma altri diritti fondamentali sono formulati nei successivi capitoli e articoli. Per quanto riguarda la giurisdizione, negli articoli che l’onorevole Crispo ha citato, non ci si riferisce altro che al diritto alla difesa e al diritto al giudice naturale. Ma nella parte che riguarda la Magistratura noi già abbiamo sancito altri diritti fondamentali del cittadino, i quali fanno parte di quel patrimonio generale dei diritti democratici che non possono essere violati.

Si tenga presente per esempio, l’articolo che sancisce la inamovibilità del giudice. Questa inamovibilità non viene sancita, come da qualcuno è stato affermato in questa Assemblea, come una garanzia del giudice, ma a garanzia del cittadino, allo scopo di assicurargli la sicurezza e la imparzialità del giudizio. Allo stesso modo che l’inamovibilità del giudice fa parte di quell’ordinamento giudiziario, in cui si definiscono concretamente le sue condizioni di realizzazione, allo stesso modo, dopo di aver detto che ciascuno di noi ha diritto al giudice naturale precostituito, noi abbiamo facoltà di stabilire qui che in determinati casi abbiamo diritto al giudizio per giuria, sancendo in questo modo uno dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino.

CRISPO. La inamovibilità non è un diritto, è una garanzia.

LACONI. La giuria è un’altra garanzia.

TOGLIATTI. Per questo ritengo che, trattandosi di sancire uno dei principî fondamentali di una Costituzione democratica, non abbia diritto il Comitato dei Diciotto di rivedere una decisione precedentemente presa dalla Commissione dei Settantacinque.

PRESIDENTE. Cominciamo a chiarire di che cosa stiamo parlando e poi, se mai, darò la parola, a chi la chiedesse.

Si desidera sapere se in questo momento riprendiamo la questione, già dibattuta ma che può sempre ancora dibattersi, di quali siano i diritti fondamentali del cittadino. Ma mi pare che questo non sia il tema del titolo IV della seconda parte del progetto di Costituzione. L’onorevole Togliatti ha posto inizialmente ed in via principale la questione dei poteri del Comitato di redazione.

L’onorevole Togliatti ha poi introdotto l’altra questione, che ho ora richiamato, solo per sostanziare la tesi relativa.

Pregherei i colleghi che intendono parlare di non riprendere dunque la questione generale di principio: di quali siano i diritti fondamentali del cittadino.

Circa i poteri del Comitato di redazione, io rammento, e d’altra parte vi sono i verbali che lo attestano, che la Commissione dei Settantacinque gli aveva delegato i propri poteri nello svolgimento dei lavori in seno all’Assemblea, salvo il dovere di convocare la Commissione dei Settantacinque, quando fosse stato necessario per l’importanza delle questioni da esaminare o per altri motivi. Non c’è dubbio che il Comitato di redazione aveva ricevuto una delega in questo senso. Colgo l’occasione per rammaricare che anche nel Comitato di redazione – come purtroppo in tutte le Commissioni – la frequenza dei membri sia stata sempre scarsa, sin dall’inizio, e sia venuta successivamente diminuendo per ragioni perfettamente plausibili, è vero; ma io penso che nessuna ragione può giustificare il fatto di mandare deserte le riunioni delle Commissioni che l’Assemblea Costituente nomina. Nel caso concreto, l’onorevole Ruini ha sostenuto uno degli emendamenti presentati. Ma in generale è sempre avvenuto che il Relatore, o un membro del Comitato, abbia proceduto in questo senso, ed è spesso avvenuto che altri membri dello stesso Comitato di redazione abbiano sostenuto altri emendamenti. È evidente che quando parla il Presidente della Commissione e del Comitato la sua parola ha maggiore importanza, ma il quesito è questo: quale efficacia ha il giudizio terminale del rappresentante del Comitato di redazione per determinare la votazione dell’Assemblea?

Senza dubbio ha una efficacia di carattere morale, ma nulla più di questo. L’Assemblea, udito il Comitato di redazione, ha già parecchie volte votato contro le proposte del rappresentante del Comitato stesso. Io desidererei sapere se l’incidente che è stato sollevato significa invitare il Comitato di redazione a sostenere in sede di Assemblea le conclusioni a cui è giunto dopo l’esame comune degli emendamenti presentati, oppure se si vuole che da oggi innanzi il Comitato di redazione sia impegnato a non pronunciare giudizi sugli emendamenti e a sostenere soltanto la conclusione a cui è giunta la Commissione dei Settantacinque. Occorre scegliere fra una di queste due soluzioni. Non ne vedo una terza.

Comunque, se questa discussione deve continuare, pregherei coloro che l’hanno impostata di dirci quale è la proposta concreta che fanno in relazione al problema che stiamo esaminando.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. A me sembra che non vi possa essere materia di discussione per determinare i poteri del Comitato di redazione. Fu un’intesa generale che si ricorresse al Comitato di redazione per sostituire la Commissione dei Settantacinque durante la discussione del progetto. Come per qualsiasi disegno di legge vi è una Commissione parlamentare che ha un relatore, che ha un presidente, così è avvenuto per il testo di Costituzione, e come nei riguardi di qualsiasi disegno di legge la Commissione ha il compito di esprimere il proprio parere sugli emendamenti, evidentemente lo stesso potere, lo stesso compito, ha il Comitato di redazione nei riguardi degli emendamenti relativi ai vari articoli del testo di Costituzione. Il Comitato di redazione, composto di diciotto membri, sostituisce i Settantacinque. Se i Settantacinque fossero stati molto meno, i Diciotto non sarebbero nati. Avremmo avuto al banco delle consuete Commissioni una Commissione più numerosa per rispondere delle varie proposte di emendamenti.

Non mi sembra, quindi, che vi possa essere materia di discussione su il compito ed i poteri dei Diciotto.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Ho domandato la parola non per moltiplicare la discussione, ma anzi col proposito solamente di abbreviarla, perché vedo che si è insinuata una questione nuova ed estranea all’argomento di cui ora ci occupiamo, nel momento in cui stavamo per decidere. È una questione che non è affatto essenziale per la materia che stiamo trattando ed al punto a cui è giunta la discussione. Ci stiamo dibattendo da un’ora per stabilire in quali limiti debbano essere ristretti i poteri della intera Commissione o del piccolo Comitato. Dopo un lunghissimo dibattito sulla materia in esame, si sono presentati degli emendamenti, stiamo votando; conviene perdere tempo a stabilire se la Commissione abbia o no il diritto o il dovere di esprimere una sua opinione? Ma in fondo, noi siamo arrivati al punto in cui l’Assemblea, che è sovrana, può decidere anche senza il parere della Commissione, e qualunque sia questo parere. Onorevole Togliatti, si tratta di questioni e di diritti di carattere fondamentale oppure di guarentigie secondarie? Non importa. Abbiamo discusso tanto, che ci sentiamo – senza orgoglio e senza superbia – bene in grado di decidere con o senza la guida della Commissione.

Allora, se è così, non perdiamo ancora tempo; prego perciò l’Assemblea perché la sua decisione non sia ritardata. Ognuno si è formata la sua opinione: esprimiamola con un voto che solennemente stabilirà la norma che vogliamo trasformare in legge, senza deviare ancora. Prolungare la discussione sui poteri dei Settantacinque o dei Diciotto, non ci interessa affatto. Decidiamo e votiamo, perché, ripeto, siamo bene in grado di farlo. (Approvazioni).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Desidero semplicemente chiedere al Presidente della Commissione dei Settantacinque ed al Presidente dell’Assemblea che la discussione e la votazione avvenga sul testo originario della Commissione.

PRESIDENTE. Ciò significa che lei assume come emendamento il testo originario della Commissione.

LACONI. Io chiedo che il testo della Commissione sia sostenuto dal Comitato di redazione e sia a base della nostra discussione.

Vorrei far notare particolarmente a lei, signor Presidente, che la questione del testo della votazione non è una questione puramente morale, come ella ha voluto dire, ma una questione di sostanza. Il testo sul quale l’Assemblea delibera ha una sua coerenza; costituisce la trama di tutti i discorsi, degli interventi, degli emendamenti che vengono svolti in questa Assemblea; costituisce il nesso che conduce l’Assemblea attraverso il dibattito.

Non possiamo ammettere che questo testo in un determinato momento, per opera di prestigio, scompaia. (Commenti).

PICCIONI. È avvenuto sempre.

LACONI. Ma, cari amici della Democrazia cristiana, se siete voi i primi a lamentarvi del Comitato di redazione in privato! Come potete ora fare i difensori di questo Comitato, che ha in voi i più accaniti e solerti oppositori? (Interruzione del deputato Fuschini).

GRONCHI. Non difendiamo nessuno.

LACONI. Non dirò in Aula quello che sento nei corridoi.

Dicevo che il testo originario presentato dalla Commissione costituisce il nesso fondamentale della nostra discussione; e non possiamo consentire che in determinati punti della discussione, ad un certo momento, questo testo scompaia o venga modificato e rinnovato secondo i pareri di tre o quattro persone e secondo un indirizzo costante, che tiene conto unicamente degli emendamenti presentati, e non di quella parte dell’Assemblea che non presenta emendamenti, in quanto desidera sostenere il testo.

Gli emendamenti presentati, nel loro numero non indicano affatto il parere dell’Assemblea. Ci possono essere 50 emendamenti in senso contrario al progetto, ma non significa affatto che questi 50 emendamenti rappresentino il pensiero dell’Assemblea, perché ci possono essere altrettanti o più colleghi che vedono espresso il loro pensiero nel testo della Commissione. Ora, è esatto quello che mi si dice, che l’Assemblea è sempre sovrana e che può sempre decidere; ma il fatto è che qui siamo non in un problema di sostanza, di merito, ma su una questione di procedura; e la procedura deve rispondere a determinate norme logiche. Norma logica è che il testo, che ha una sua continuità e che rappresenta la guida costante dell’Assemblea, sia sempre quello, e che sopra a questo testo l’Assemblea sia invitata a deliberare. Questo noi chiediamo. Trattandosi di un punto fondamentale della Costituzione, noi chiediamo che la votazione avvenga sulla base del testo della Commissione dei Settantacinque. La motivazione formale della nostra proposta, se l’onorevole Presidente dell’Assemblea la desidera, è appunto questa: che, trattandosi di un punto fondamentale della Costituzione, in questo particolare caso, non in altri, il Comitato di redazione non poteva deliberare da sé; esso era impegnato a convocare la Commissione dei Settantacinque. Non essendo questo avvenuto, il testo della Commissione dei Settantacinque deve rimanere come testo base.

PRESIDENTE. Io non so se l’onorevole Laconi, facendo la sua richiesta, si renda conto che, in realtà, egli va contro il proprio desiderio. Perché, quando egli richiede che, come formulazione base, si tenga quella della Commissione, egli deve rendersi conto che è da prevedersi che al voto di essa non giungeremo; perché, prima della formulazione base, bisogna votare tutti gli emendamenti presentati – otto sino a questo momento. È vero questi emendamenti potrebbero cadere tutti fasciando la via aperta al voto del testo base. Ma, siccome dalle parole dell’onorevole Laconi ho avuto l’impressione che egli pensi che invece l’Assemblea debba essere chiamata a votare, cioè a pronunziarsi proprio su quel testo, se accettassimo la sua richiesta, la sua attesa non sarà soddisfatta. Mentre invece se egli accetta – come ho detto all’inizio – di ripresentare quel testo come emendamento, è ben possibile che l’Assemblea sarà chiamata a pronunziarsi anche su quella formulazione.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io non entrerò nel merito della questione sostanziale, che ha indotto l’onorevole Togliatti a sollevare la mozione di ordine, sulla quale dirò a suo tempo il nostro punto di vista. Ritengo sia anche opportuno lasciare fuori discussione il modo di funzionamento del Comitato dei Diciotto, che ha avuto alti e bassi, determinati in gran parte dalle assenze cui faceva cenno l’onorevole Presidente dell’Assemblea.

Noi non attribuiamo eccessiva importanza alla questione sollevata dalla mozione d’ordine dell’onorevole Togliatti; ma ci pare sia un dovere di lealtà e di coerenza, ricordare come si è comportata l’Assemblea di fronte alle deliberazioni prese dal Comitato dei Diciotto. Siamo quasi al termine dei nostri lavori e non è la prima volta questa che il Comitato dei Diciotto, abbandonando il testo primitivo del progetto di Costituzione, tenendo conto degli emendamenti presentati, ha, a sua volta, presentato un nuovo testo all’Assemblea.

Io capisco che vi possa essere qualche dubbio intorno alla competenza dei Diciotto a prospettare tesi nuove all’Assemblea, in quanto mi pare che questo punto non sia stato nettamente precisato, quando fu fatta la delega della Commissione dei Settantacinque al Comitato. Questo certo ha tutti i poteri, in ragione della delega, della Commissione dei Settantacinque, che esso può convocare a sua discrezione, quando lo ritenga opportuno. Ma la Commissione dei Settantacinque può modificare, accettando emendamenti, il progetto primitivo? Quando fu fatta la delega al Comitato dei Diciotto infatti, non si è chiaramente enunciato quali erano i poteri della stessa Commissione che venivano trasferiti al Comitato. Di contro a queste incertezze vi è una prassi, seguita per oltre un anno, nei lavori dell’Assemblea: vi sono stati punti fondamentali del progetto di Costituzione, per i quali si è mutato l’indirizzo del progetto e il Comitato dei Diciotto ha presentato un testo nuovo alla Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ha accettato un testo presentato da altri, ma non lo ha mai presentato essa stessa.

RUBILLI. Il Presidente della Commissione ha soltanto dato il parere sugli emendamenti, non ha presentato un nuovo testo. Dov’è infatti questo nuovo testo sul quale dovremmo discutere? Non c’è alcun testo nuovo, vi sono degli emendamenti col relativo parere a norma del Regolamento.

MORO. Sul tema delle Regioni sono state presentate nuove formulazioni, si può dire, per ogni articolo del progetto, e lo stesso è avvenuto per la discussione degli articoli concernenti il Senato.

La prassi del nostro lavoro costituzionale dunque e la logica, anche in mancanza di una espressa disposizione, ci dicono che non vi è nulla di strano nella mutata formulazione in materia di partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia.

Qual è la ragione di questo atteggiamento del Comitato dei Diciotto? Evidentemente è di facilitare e rendere più ordinati e solleciti i lavori dell’Assemblea. Se è vero che ha un valore puramente morale questo intervento del Comitato dei Diciotto, come ha osservato il Presidente, tuttavia questo valore morale non può essere trascurato, perché attraverso l’espressione di questo autorevole parere si cerca di raggiungere l’unanimità o, per lo meno, una larga maggioranza per la decisione che l’Assemblea deve prendere. Quale sarebbe logicamente la funzione di un Comitato che dovesse semplicemente difendere la primitiva formulazione della Commissione dei Settantacinque? In quel caso basterebbe che a quel tavolo sedesse il solo Presidente, il quale ostinatamente richiamasse il testo primitivo del progetto. Mi pare che il Comitato dei Diciotto, servendosi della delega datagli dalla Commissione dei Settantacinque, esplichi una funzione di mediazione fra le primitive opinioni prevalse in seno ai Settantacinque e le voci nuove che giungono dall’Assemblea, attraverso le proposte di emendamento. Il Comitato dei Diciotto cerca, se possibile, di raccordare questa volontà, che presuntivamente esprimeva la volontà dell’Assemblea attraverso la Commissione dei Settantacinque, alle nuove manifestazioni di volontà assembleare che si esprimono con gli emendamenti. In questo caso poi mi pare che non si tratti di un testo nuovo, ma dell’accettazione di emendamenti da parte del Comitato dei Diciotto. Per quella breve esperienza parlamentare che ho, credo che le Commissioni accettino o respingano sempre degli emendamenti. Comunque, per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Laconi, mi sembra di dover sottolineare quanto già è stato osservato dal Presidente, cioè che richiedere che il testo base sia quello primitivo del progetto, significa porlo come ultimo nell’ordine delle votazioni, eludendo così l’esigenza di carattere politico, che mi pare abbia sollecitato le proposte dell’onorevole Laconi e dell’onorevole Togliatti.

MAZZA. Onorevole Presidente, chiedo la chiusura della discussione su questo argomento.

PRESIDENTE. Domando se la richiesta di chiusura è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che il Comitato non ha fatto mai nessuna usurpazione di poteri. Ha cercato di fare tutto quello che era possibile per giungere ad una conclusione. Ha fatto sforzi pazienti e faticosi per mettere d’accordo non solo i membri del Comitato stesso, ma anche gli emendatori, e chiamando qualche volta in sedute improvvisate, durante le stesse sedute dell’Assemblea, i rappresentanti dei Gruppi. Io sono perfettamente sicuro che, se siamo arrivati al punto attuale di lavoro nella nostra Assemblea, si deve a questo sforzo del Comitato. Se non si faceva così, la Costituzione non avrebbe fatto un passo in avanti.

Voglio fare soltanto due osservazioni. La prima è che se il Comitato si dovesse limitare a sostenere il testo originario, non dovrebbe parlare mai, perché evidentemente, di fronte a tutte le osservazioni che vengono da tutte le parti dell’Assemblea, non potrebbe altro che dire: il testo è tabù. Non è discutibile, non è modificabile. Tutt’al più una difesa d’ufficio; ma come fare, quando la discussione ha convinto dell’opportunità della modifica, e ciò è avvenuto in alcuni casi da parte di tutti i componenti del Comitato? Il Comitato doveva essere passivo, doveva incrociare le braccia? L’aveste detto qualche mese fa, che riposo sarebbe stato per noi!

All’onorevole Moro io faccio osservare che il Comitato non ha mai proposto testi nuovi. Ad esempio, per la riduzione delle Regioni a quelle storiche, c’erano emendamenti in questo senso. Il Comitato se ne occupò ed all’unanimità decise di dare il suo parere favorevole a quell’emendamento.

Il Comitato non ha mai proposto testi nuovi.

In una discussione come questa, in cui c’è anche l’aspetto tecnico, era necessario dare una traccia all’Assemblea. Non volete che si faccia più così? D’ora in avanti, se volete, per quei pochi articoli che ci restano, noi esprimeremo il nostro avviso come individui ed il Comitato non funzionerà più (Commenti).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Volevo dichiarare soltanto che la questione che l’onorevole Togliatti prima e quindi io intendevamo sollevare, era una questione di principio. Tuttavia, cedendo all’esigenza di carattere politico, a cui ci ha richiamato e l’onorevole Presidente e l’onorevole Moro, noi accettiamo che a questa particolare discussione sia posta come base per la votazione la nuova proposta della Commissione. E presentiamo il testo originario della Commissione come emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io devo ancora chiarire all’onorevole Laconi che non c’è nessun testo nuovo del Comitato; esso ha ritenuto che di fronte agli emendamenti ed alla discussione, la sua proposta originaria è superata. Questa è la frase esatta che ho detto. Vi sono varie formule in discussione: quella Targetti, quella Ghidini, quella Cairo e poi la formula Coppi. Noi abbiamo semplicemente espresso il nostro parere. In quanto all’ordine della votazione, non dipende da noi; è stata la Presidenza dell’Assemblea a stabilire che, quando la Commissione esprime parere favorevole ad un emendamento, questo debba essere votato per ultimo, prendendo il posto del testo originario. Se si fosse stabilito che si votasse prima di tutto tale testo non vi sarebbe stato nulla di male.

PRESIDENTE. Passeremo ora alla votazione. Sono stati presentati altri emendamenti che non saranno svolti. Quello dell’onorevole Coppi è già noto. Gli onorevoli Mastino Pietro, Zanardi, Lussu ed altri hanno proposto il seguente emendamento:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo alla amministrazione della giustizia».

L’emendamento dell’onorevole Targetti è già noto. Vi è la proposta dell’onorevole Togliatti ed altri di aggiungere all’articolo 96 nel testo del progetto le parole: «ed in ogni caso in tutti i processi di natura politica» così che il testo risulterebbe il seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise ed in ogni caso in tutti i processi di natura politica».

Chiedo ora ai presentatori di emendamenti se li conservano.

Non essendo presente l’onorevole Rescigno il suo emendamento s’intende decaduto.

L’onorevole Monticelli mantiene il suo emendamento?

MONTICELLI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Rossi Paolo, il suo emendamento s’intende decaduto.

Non essendo presente l’onorevole Colitto, il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Ruggiero, mantiene il suo emendamento?

RUGGIERO CARLO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Villabruna, mantiene il suo emendamento?

VILLABRUNA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Lo sostituisco con l’emendamento che ho presentato oggi.

PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli, mantiene il suo emendamento?

GABRIELI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Merlin Umberto, il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Scalfaro, mantiene il suo emendamento?

SCALFARO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Castiglia, mantiene il suo emendamento?

CASTIGLIA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Perrone Capano, mantiene il suo emendamento?

PERRONE CAPANO. Lo mantengo.

RESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Mi associo all’emendamento dell’onorevole Targetti.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Murgia e Colitto, i loro emendamenti s’intendono decaduti.

Onorevole Abozzi, mantiene il suo emendamento?

ABOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Sardiello, s’intende decaduto il suo emendamento.

Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Aderisco all’emendamento Coppi.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento nella nuova formulazione?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Cairo, mantiene il suo emendamento?

CAIRO. Ritiro il mio emendamento e mi associo a quello dell’onorevole Mastino Pietro.

PRESIDENTE. Onorevole Ghidini, mantiene il suo emendamento?

GHIDINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Mi associo a quello dell’onorevole Mastino Pietro.

PRESIDENTE. Onorevole Coccia, mantiene il suo emendamento?

COCCIA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Sapienza, mantiene il suo emendamento?

SAPIENZA. Ritiro il mio emendamento e mi associo a quello dell’onorevole Mastino Pietro.

PRESIDENTE. Onorevole Coppi, mantiene il suo emendamento?

COPPI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, le chiedo se la Commissione aderisce al criterio della soppressione dell’articolo oppure se accetta la formulazione dell’onorevole Coppi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Data la posizione che ha assunto il Comitato dichiaro che non vedo difficoltà a che sia adottata la formulazione Coppi o la formulazione Mastino, testé presentata, che soltanto ora ho conosciuta.

PRESIDENTE. Lei si rimette all’Assemblea per la decisione, è naturale ed è obbligatorio; ma desidero sapere da che punto dobbiamo partire.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se lei mi autorizza a parlare personalmente, anche senza avere interpellato i Diciotto o i Settantacinque, dichiaro di aderire alla proposta Mastino Pietro.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il testo base è dunque il seguente:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia».

Ora, da tutta la discussione si rileva che il punto centrale delle varie formulazioni è se la legge dovrà regolare i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, o se si debba affermare il principio della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia.

Ora mi pare che l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro si presti ad un equivoco che lo pregherei di chiarire.

MASTINO PIETRO. Con la formulazione da me proposta, affermo anzitutto, in modo positivo, che il popolo deve partecipare all’amministrazione della giustizia, diversamente da quanto è detto nell’ordine del giorno dell’onorevole Targetti, in cui ciò è affermato solo come possibilità. Dico poi che tale partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia deve avvenire in forma diretta.

Perché non parlo di giuria? Non perché voglia rinunziare ad alcuna delle conquiste e ad alcuno dei vantaggi ai quali ha accennato l’onorevole Togliatti e che la decisione del popolo, attraverso la giuria, può aver rappresentato, ma in quanto voglio evitare tutti i possibili inconvenienti che si sono manifestati fin’ora. Io penso cioè che, in sede di legislazione penale e di procedura, possa trovarsi una soluzione diversa dalla tradizionale, che ci consenta di eliminare quegli inconvenienti che la giuria, così come essa era intesa e praticata, rappresentava.

Si è, ad esempio, detto, dall’onorevole Rescigno, che ove si insista sul concetto del mantenimento della giuria, si precluderà necessariamente il diritto all’appello nei giudizi più gravi. Io contesto questa affermazione, perché concepisco un intervento diretto del popolo sotto forma tale che consenta la possibilità dell’appello. Tutto questo potrà essere convenientemente esaminato solo in sede tecnica, perché solo allora il problema potrà essere esaminato sia con maggiore e più profonda valutazione, sia non solo in sé, avulso da tutti gli altri, ma inserito nella valutazione giuridica generale.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Desidererei domandare all’onorevole Mastino se egli sia disposto ad accettare che al suo emendamento siano aggiunte le seguenti parole: «Questa partecipazione è obbligatoria nei processi di natura politica».

MASTINO PIETRO. Non ho nulla in contrario, in quanto io sostenni già questa tesi in sede di discussione generale.

TOGLIATTI. In questo caso allora io credo che il nostro Gruppo potrebbe associarsi al suo emendamento.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Noi ritiriamo l’emendamento presentato questa mattina, salvo a vedere se non sia poi il caso di ritirare anche gli altri. Noi avevamo infatti aggiunto la parola «può» con la speranza delusa – son molte le speranze che poi vengono deluse di poter conciliare così diversi pareri. Ma, poiché questa conciliazione non è venuta, non abbiamo alcuna ragione di insistere.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Targetti, ma debbo rivolgerle una preghiera. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Mastino, mi pare – se non ho mal compreso – che il testo dell’onorevole Mastino riassuma, in fondo, tutti i momenti del testo da lei presentato, non solo quello cui poc’anzi ella ha fatto cenno. Io la prego quindi di esaminare l’opportunità di ritirare tutto il suo ordine del giorno.

TARGETTI. Dichiaro allora di far forza al mio affetto paterno e di rinunciare al mio testo per aderire a quello dell’onorevole Mastino, nonostante anche la preferenza letteraria che mantengo per il mio testo.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Targetti.

Abbiamo allora due proposte: quella dell’onorevole Mastino Pietro con l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti e quella dell’onorevole Coppi.

È chiara adesso la distinzione fra questi due testi. Uno di essi afferma senz’altro, costituzionalmente, la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, salvo a rimettere alla legge il regolamento dei casi e dei modi; l’altro, invece, rimette alla legge la facoltà di stabilire se debba sussistere la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

Pertanto si dovrà votare dapprima il testo dell’onorevole Coppi, il quale è diverso da quello accettato anche dalla Commissione, cioè da quello dell’onorevole Mastino Pietro.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Chiediamo la votazione per appello nominale sul testo proposto dall’onorevole Coppi. (Commenti a sinistra).

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Vorrei pregare l’onorevole Togliatti di dirmi se accetta un emendamento al suo emendamento, nel senso che laddove è detto «è obbligatoria nei processi di natura politica», si dica: «nei processi per delitti politici».

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Togliatti se accetta.

TOGLIATTI. Accetto, purché al posto di «delitti» si dica «reati».

PRESIDENTE. Sta bene. Comunico che sul testo Coppi è stata chiesta la votazione nominale dagli onorevoli Perrone Capano, Leone Giovanni, Castiglia, Scalfaro, Crispo, Titomanlio Vittoria, Mazza, Abozzi, Benvenuti, Arcaini, Zerbi, Federici Maria, De Unterrichter Maria, Cifaldi e Dominedò.

Ritengo che data l’ora tarda potremmo rinviare questa votazione nominale.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Faccio la proposta formale per il rinvio della discussione alla seduta pomeridiana o addirittura a domani.

PRESIDENTE. Ritengo che la votazione nominale si debba fare nella seduta pomeridiana e, se non sorgono obiezioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.20.

POMERIDIANA DI SABATO 22 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCI.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 22 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Presentazione di una relazione:

Martino Gaetano

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Presidente

Togliatti

Crispo

Leone Giovanni

Fabbri

Bettiol, Relatore

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Gullo Fausto

Condorelli

Schiavetti

Uberti

Moro

Targetti

Calosso

Benedettini

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Dominedò

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Gabrieli

Rescigno

Perrone Capano

Nobili Tito Oro

Targetti

Cairo

Ghidini

Coccia

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Presentazione di una relazione.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Mi onoro di presentare la relazione al disegno di legge:

«Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamenti agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamenti agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. Secondo la decisione presa dall’Assemblea alla fine della seduta antimeridiana, proseguiamo l’esame del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico.

Dobbiamo procedere alla votazione dell’articolo 6, nel testo fatto proprio dalla Commissione colla inclusione dell’aggiunta proposta dall’onorevole Mastino Pietro:

«Chiunque, con i mezzi indicati nel precedente articolo, fa propaganda per la restaurazione violenta della dinastia sabauda è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

L’articolo 7 del testo presentato dal Governo è stato soppresso dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 8. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per i delitti preveduti negli articoli precedenti si procede con istruzione sommaria e, quando è possibile, con giudizio direttissimo».

PRESIDENTE. L’onorevole Scalfaro ha proposto di sopprimerlo. Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunciato a svolgere l’emendamento.

Pongo in votazione l’articolo 8.

(È approvato).

Vi è una proposta di articolo 8-bis, a firma degli onorevoli Schiavetti, Fiorentino, Faralli, Pistoia, Giua, Farini, Carpano Maglioli, Pieri, Fedeli Aldo, Nenni, Priolo e Togliatti, del seguente tenore:

«Nei casi previsti dall’articolo 1 il Ministro dell’interno, mentre dispone la denuncia dei responsabili alla autorità giudiziaria, ordina lo scioglimento dell’organizzazione».

L’onorevole Togliatti ha facoltà di svolgere l’emendamento.

TOGLIATTI. Mi pare che questa proposta di articolo aggiuntivo sia evidente nel suo contenuto e si giustifichi da sé. La legge prevede determinate sanzioni che debbono essere inflitte dall’autorità giudiziaria, ma al di fuori di queste sanzioni, vi sono atti dell’autorità amministrativa, di polizia, di ordine pubblico, che devono essere paralleli agli atti dell’autorità giudiziaria e anche precederli. Quindi è bene che la legge faccia un obbligo a quel funzionario dello Stato – nella specie, il Ministro degli interni – che ha il compito di dirigere questi organi di tutela dell’ordine pubblico, di applicare la legge, nel senso di sciogliere quelle organizzazioni che rientrano nei casi preveduti dalla legge. Ritengo che non occorrano altre parole per dimostrare che questo articolo aggiuntivo è perfettamente coerente con tutti i precedenti articoli della legge ed esige unicamente la necessaria azione parallela degli organi dell’autorità giudiziaria e degli organi del potere esecutivo.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Avevo chiesto la parola unicamente perché volevo pregare l’onorevole Togliatti di considerare se non sia più opportuno stabilire una norma con cui si dica che il magistrato, con la sanzione di condanna ordina lo scioglimento dell’organizzazione. Naturalmente nel nostro codice di procedura vi sono le norme che prevedono gli organi incaricati dell’esecuzione delle sentenze dei magistrati. Piuttosto che fare un provvedimento con cui si demanda esclusivamente all’organo di polizia l’esecuzione o l’applicazione delle conseguenze della sentenza, mi parrebbe molto più logico e più giuridico che si stabilisse che il magistrato, con la sentenza che afferma l’esistenza del reato, ordini lo scioglimento dell’organizzazione. Di conseguenza, prego l’onorevole Togliatti di voler entrare in questo ordine di idee.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. A nome del mio Gruppo dichiaro che, in primo luogo, voteremo contro questa proposta, per ragioni di delimitazione della sfera di competenza di questa legge, che ci pare sia sorta e debba rimanere in tale ambito, diretta soltanto a reprimere penalmente certe manifestazioni. Non ci dobbiamo, invece, occupare della disciplina amministrativa delle organizzazioni incriminate con la legge in corso di votazione, che sarà invece affidata alla legge di pubblica sicurezza in corso di elaborazione, e che dovrà uniformarsi al sistema costituzionale che andiamo elaborando.

Tale legge detterà anche le norme che disciplinano lo scioglimento di queste particolari organizzazioni che sono contrarie allo Stato democratico. Noi correremmo il rischio, inserendo in questa legge una norma del genere, di portare una frattura al complesso sistema legislativo che la legge di pubblica sicurezza (o altra più ampia legge) darà a tutta questa materia delle organizzazioni contrarie allo Stato democratico e repubblicano.

In linea subordinata, riteniamo che sia da accettarsi la proposta Crispo, che cioè sia più conveniente affidare al magistrato in sede di pronuncia della sentenza, e non all’organo del potere esecutivo, un provvedimento che disciolga tali organizzazioni.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. A titolo personale, perché non ho la possibilità di consultare la maggioranza della Commissione che non è presente, mi permetto di fare un’osservazione, e cioè che il testo formulato dall’onorevole Schiavetti mi pare faccia una strana confusione fra i poteri di polizia e quelli dell’autorità giudiziaria, anche nel senso che questa desiderata conseguenza dello scioglimento di un partito ecc., non riconnette ad una constatazione di reato fatta dall’autorità giudiziaria, ma la riconnette all’ipotesi di una denuncia, di guisa che il Ministro dell’interno, quando volesse prendere un provvedimento arbitrario di polizia sulla pretesa base di questa legge, non avrebbe che da arricchirlo con una denuncia, che potrebbe essere tutto ciò che si può immaginare di più arbitrario e di più contrario ad ogni concetto di carattere obiettivo e veramente correlativo a norme di una legge penale.

Quindi, se fosse una sanzione inerente ad una pronuncia penale ritenuta definitiva, la potrei capire, ma questo effetto conseguente ad una denuncia fatta da un quidam de populo mi pare che sia proprio una stortura dal punto di vista della distinzione fra i poteri dell’autorità giudiziaria, che sono una cosa, e quelli dell’autorità amministrativa e del potere esecutivo, che ne sono un’altra.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. All’argomentazione dell’onorevole Fabbri mi pare si risponda richiamandosi a quello che è stato detto fin dall’inizio dal collega Relatore della Commissione, onorevole Bettiol. Questa legge prevede un reato di pericolo, non di danno. Trattandosi di reato di pericolo, è giusto, è legittimo si dia agli organi del potere esecutivo, e all’autorità che dipende dal Ministro dell’interno, organo supremo del potere esecutivo, il potere di intervenire preventivamente. Se domani l’autorità giudiziaria emanerà un giudizio in contrasto con la decisione presa dal Ministro dell’interno, è evidente che il provvedimento del Ministro dell’interno dovrà essere revocato; ma poiché ci troviamo di fronte ad un reato che si tratta di prevenire, di fronte ad una minaccia, che bisogna divergere dall’organismo democratico, cioè di fronte ad un reato di pericolo, come ha ripetuto parecchie volte l’onorevole Bettiol, è giusto dare questa facoltà al potere esecutivo.

Per quanto si riferisce all’obiezione fatta dall’onorevole Leone, il quale sottolinea che questa è una legge di natura speciale, mi pare evidente che, appunto per ciò, questa legge deve prevedere anche quelle applicazioni che normalmente possono essere deferite al regolamento di pubblica sicurezza. Data la gravità del reato, dato il carattere del reato stesso e la gravità quindi del pericolo che si tratta di allontanare, è giusto che le misure che devono essere prese dal potere esecutivo vengano previste nella legge stessa, la quale dà l’indicazione al potere giudiziario per la sua attività.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Io sono costretto a ribadire il nostro punto di vista di dissenso dall’approvazione di questo nuovo articolo aggiuntivo. Per quanto attiene alla obiezione pregiudiziale, io ho già sottoposto all’Assemblea Costituente che, trattandosi di repressione penale di determinate attività, a me pare che il carattere di legge speciale, sottolineato dall’onorevole Targetti, ci costringa a mantenerci in quei limiti che il Governo ha voluto predeterminare per questa legge speciale (repressione penale di determinate manifestazioni della vita politica) e quindi a non estendere la sua disciplina alla regolamentazione del potere del Governo per quanto concerne la vita di questi partiti, al di fuori del campo penale.

Per quanto concerne poi la obiezione di sostanza che è stata formulata dall’onorevole Fabbri, io non posso che aderire a questa formulazione: reato di pericolo, sì, onorevole Togliatti, ma pericolo che sia giudizialmente accertato, che costituisca oggetto di un accertamento da parte dell’autorità giudiziaria. Il reato di pericolo si distingue dal reato di danno, infatti, per quanto attiene ai motivi che legittimano una legge ed alla sua formulazione. Mentre, infatti, la legge di regola richiede, per la incriminazione delle azioni umane, che si verifichi la lesione di un bene o di interesse giuridico, per alcune speciali attività, per non attendere la lesione di un bene o di interesse giuridico che sarebbe preminentemente pregiudizievole per la vita sociale, si ferma a punire quello che di regola costituirebbe soltanto il tentativo di reato: siamo alla presenza del così detto reato di attentato.

Ma, nell’una e nell’altra ipotesi (danno, lesione, pericolo, messa in pericolo), occorre sempre un accertamento dell’autorità giudiziaria, che dica alla società se il danno ed il pericolo si è realizzato. Nel primo caso si è realizzata la lesione di un bene giuridico, nell’altro la messa in pericolo di un bene giuridico.

Io contesto al Ministro dell’interno di poter preventivamente dare questo accertamento, sciogliendo una organizzazione, prima che il magistrato abbia detto in quale posizione questa organizzazione si trovi rispetto alla norma penale; con gravissimo danno per l’organizzazione, ove il magistrato ritenga non sussistere le condizioni della legge penale.

Pensiamo, inoltre, che la denuncia può anche non partire dal Ministro dell’interno; anzi, di regola, non parte dal Ministro dell’interno. Il funzionamento della giustizia è tale che la denunzia, di regola, parte dal cittadino o da un organo statale, organo statale che può essere anche collegato al Ministero dell’interno, ma è un organo che può avere la sua autonomia, come la polizia giudiziaria, ad esempio. Di regola questa denuncia è trasmessa direttamente all’autorità giudiziaria, senza neppure il tramite del Ministero dell’interno.

Ora, io faccio questa domanda: voi consentireste al Ministro di sciogliere queste organizzazioni prima che il magistrato abbia accertato la sussistenza delle condizioni rispondenti al fatto specifico? Se così fosse, noi vedremmo una discrepanza inammissibile e ingiustificata; perché, ove la denuncia non promanasse dal Ministro dell’interno, ove la denuncia non passasse tramite il Ministro dell’interno, questo non potrebbe sciogliere le dette organizzazioni. Se d’altra parte voi, per risolvere questa discrepanza, voleste dare la possibilità al Ministro dell’interno di sciogliere queste organizzazioni, anche quando la denuncia parte da un privato, voi mettereste in condizioni il Ministro dell’interno di poter sciogliere preventivamente una organizzazione anche quando una denuncia sia manifestamente infondata. Quindi, soprattutto per quei limiti che la legge speciale assegna in questo campo, io insisto nell’affermare che il nostro Gruppo voterà contro questo articolo, demandando ad altre norme di legge ed in sede più opportuna la formulazione delle norme e disposizioni che concernono la possibilità di scioglimento di quelle organizzazioni che si mettono contro la vita, la libertà e lo sviluppo dello Stato repubblicano.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Io volevo dire quello che è stato in gran parte detto dall’onorevole Leone. Mi permetterei aggiungere due sole osservazioni.

Se l’onorevole Togliatti si preoccupa di un intervento sollecito, ricordo che opportunamente è stata contemplata nelle norme di questa legge la particolare procedura del giudizio direttissimo, in modo che tra la denunzia e il giudizio interceda un intervallo brevissimo, perché si possa avere l’intervento immediato del giudice.

Rilevo poi, a ribadire gli argomenti evidentissimi esposti dall’onorevole Leone, che si potrebbe stabilire una contradizione evidente tra un provvedimento di polizia, che preventivamente sciogliesse l’organizzazione ed una sentenza che, per caso, riconoscesse l’insussistenza degli estremi costitutivi dei delitti contemplati nella legge speciale.

D’altra parte, l’indole, o, per essere più precisi, il carattere del delitto di mero pericolo non giustifica l’intervento dell’autorità di polizia; si conferirebbe in tal modo all’autorità di polizia un potere sconfinato in questa materia. Non giustifica questo intervento, per una ragione molto semplice. Come è stato già perspicuamente osservato, la distinzione, la demarcazione tra delitto di mero pericolo e delitto di danno è unicamente in rapporto all’evento, perché nel secondo caso si verifica l’evento e nel primo caso no. Ciò non significa, tuttavia, che gli estremi del delitto di pericolo non debbano essere accertati con una sentenza, con una pronunzia del magistrato, nella quale la parte incriminata abbia il diritto di svolgere tutti i mezzi di difesa.

Per queste ragioni mi permetto di insistere sull’emendamento all’emendamento, nel caso che l’Assemblea approvi, comunque, il principio invocato dall’onorevole Togliatti, e cioè che deve essere la sentenza della Magistratura ad ordinare lo scioglimento dell’organizzazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione – credo nella sua maggioranza, perché c’è qualche voce discorde – ritiene che questo articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Schiavetti non possa essere accettato. Non tanto per ragioni riguardanti il merito, quanto per ragioni inerenti alla natura di questa legge, che ha carattere spiccatamente penale.

Uno dei cardini di una concezione democratica del diritto penale è quello di evitare ogni e qualsiasi contatto col ramo del diritto di polizia, il quale risponde a finalità totalmente diverse dalle finalità proprie della norma penale e si dirige, sempre, nei confronti di singoli individui che disobbediscono ad un precetto penale, munito di sanzione.

Voglio ricordare che già, in sostanza, questa legge viene condizionata a quelle giuste necessità di difesa del nostro ordine democratico e repubblicano.

Quanto alla possibilità concreta che l’autorità di polizia possa sciogliere l’associazione prima della sentenza del magistrato, non posso non sottolineare tutti i pericoli che ne potrebbero derivare; del resto credo che già l’attuale legge di polizia consenta in questi casi un intervento dell’autorità amministrativa per sciogliere tali organizzazioni delittuose.

Per questi motivi, la maggioranza della Commissione non ritiene di poter accedere all’emendamento presentato dall’onorevole Schiavetti.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, non c’è dubbio che l’articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Schiavetti non entra in quella che è l’economia dell’attuale disegno di legge, il quale stabilisce delle misure punitive per coloro che promuovono la ricostituzione del partito fascista, oppure, sotto qualsiasi forma di un movimento che ripeta le finalità del partito fascista.

Il partito fascista è sciolto e l’articolo 270 del Codice penale aggiunge un inasprimento di pena per le associazioni di cui sia stato ordinato lo scioglimento. Ora, con questa disposizione, noi vogliamo in sostanza precisare meglio quello che, in fondo, il Codice penale già prevedeva e vogliamo stabilire che, quando un movimento cerca di riprodurre il disciolto partito fascista, incorre in queste penalità.

Che cosa significa ciò? Significa che il partito fascista non esiste e non può esistere. Non si può quindi giuridicamente ordinare lo scioglimento di un partito che non esiste. E, per questa forma di associazioni che non possono esistere e che quindi sono contrarie all’ordine pubblico, mi pare sufficientemente soccorra l’articolo 210 della legge di pubblica sicurezza, il quale dice: «Salvo quanto disposto con l’articolo precedente – ossia per le associazioni non costituite, ma che potrebbero costituirsi – il prefetto può disporre lo scioglimento di enti od associazioni che svolgano un’attività contraria al bene dello Stato. Nei confronti di detti enti od associazioni si può ordinare la confisca».

Io penso quindi soprattutto che non sia il caso di inserire in una legge penale una disposizione di pubblica sicurezza, perché creeremmo una confusione in termini. Io ritengo insomma che sarebbe troppo voler congegnare l’articolo in questa maniera, ossia nel senso che il Ministro dell’interno – il quale poi non sarebbe l’organo, caso mai, competente, ché dovrebbe trattarsi del Governo o del prefetto – potesse avere la potestà della iniziativa di questo scioglimento.

Io penso infatti che in un ordinamento democratico, in un ordinamento di diritto, in un ordinamento giuridico, sia necessario dare le garanzie a tutti. E noi che, come costituenti, stiamo gettando le basi di quelle che sono le norme fondamentali così dei singoli, come dei gruppi e dei partiti, non possiamo lasciare un simile arbitrio all’autorità di pubblica sicurezza.

Il voler dare all’esecutivo dei poteri superiori a quelli che non gli spettano, significherebbe formare un governo di polizia, il che non è certo consono allo spirito democratico al quale ci onoriamo tutti di assoggettarci.

Per queste ragioni, dunque, ritengo che sia inutile inserire questo articolo nella legge attualmente in discussione.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Vorrei proporre un emendamento a questo articolo aggiuntivo, e cioè:

«Nei casi previsti dall’articolo 1, il Ministro dell’interno, ove sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria, può adottare i provvedimenti necessari per la sospensione in via provvisoria dell’attività dell’organizzazione denunziata, salvo a procedere allo scioglimento definitivo di essa in dipendenza dell’affermazione di responsabilità da parte del giudice penale».

Ho sentito le osservazioni tanto dell’onorevole Leone che dell’onorevole Fabbri e dell’onorevole Bettiol; ma c’è questo: non bisogna dimenticare il carattere particolare di questa legge. Ora, se effettivamente è accertato o, comunque, si ha il fondato sospetto che un’organizzazione possa riuscire pericolosa all’ordine pubblico e alla pace sociale e interviene una denuncia per questo, può accadere che l’organizzazione continui ad esplicare la sua attività fino a che sopravvenga la sentenza definitiva di affermazione di responsabilità. A me pare che andremmo incontro a qualche cosa di paradossale. Infatti, o l’organizzazione è pericolosa, e come tale deve sospendere l’attività, e allora mi pare strano che si possa ammettere, anche in ipotesi, un Ministro dell’interno che se ne stia inoperoso di fronte a tale pericolo.

A me pare sia rispondente alla logica anche giuridica questo attribuire al Ministro dell’interno la facoltà di sospendere in via provvisoria, ove sia intervenuta denuncia al giudice penale, l’attività dell’organizzazione denunciata, salvo – si capisce – a procedere allo scioglimento definitivo dell’organizzazione stessa, quando intervenga sentenza definitiva di condanna da parte del magistrato.

PRESIDENTE. Do lettura del testo proposto dall’onorevole Gullo:

«Nei casi previsti dall’articolo 1, il Ministro dell’interno, ove sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria, può adottare i provvedimenti necessari per la sospensione in via provvisoria dell’attività dell’organizzazione denunziata, salvo a procedere allo scioglimento definitivo di essa in dipendenza dell’affermazione di responsabilità da parte del giudice penale».

Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Rilevo che questo emendamento è più preciso dell’altro presentato dall’onorevole Schiavetti; ma tuttavia anche questo emendamento segue quella linea – diciamo così – poliziesca, in senso lato, cui accennava prima il Ministro di grazia e giustizia.

Considerato poi – come è stato detto dal Ministro – che la legge di pubblica sicurezza consente all’autorità amministrativa di intervenire per bloccare le attività pericolose per l’ordine democratico, la Commissione non accetta questo emendamento.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro di grazia e giustizia ad esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Riconosco anch’io che l’emendamento proposto dall’onorevole Gullo precisa che lo scioglimento non sarebbe un arbitrio del Ministro, ma dovrebbe avvenire in seguito a denuncia all’autorità giudiziaria, e in forma definitiva, solo dopo la denuncia all’autorità giudiziaria.

Pregherei, peraltro, l’onorevole Gullo di non insistere oltre, perché, se effettivamente la legge, anche senza attendere la denuncia all’autorità giudiziaria, autorizza ad agire, se la pericolosità si presenta, io penso che la legge e le disposizioni di pubblica sicurezza diano sufficiente garanzia, nel caso di pericolosità.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Crispo, Villabruna e Morelli Renato hanno proposto la seguente dizione:

«Nei casi previsti dall’articolo 1, con la sentenza di condanna si ordina lo scioglimento dell’organizzazione».

Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Mi pare che anche questo emendamento sia inutile, perché automaticamente l’autorità di pubblica sicurezza, in base a sentenza del magistrato, deve procedere allo scioglimento dell’organizzazione che è delittuosa per natura sua.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro di grazia e giustizia ad esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Penso che quando è intervenuta la sentenza dell’autorità giudiziaria siamo già nella fase di esecuzione; ma un provvedimento di Governo essa non può prenderlo, se no si confonderebbero tutti i poteri. L’autorità giudiziaria applica le leggi nel caso concreto, non può sciogliere un partito. Non possiamo dare all’autorità giudiziaria l’ordine di sciogliere un partito. Essa può applicare le pene per il singolo individuo, ma non per l’ente, per l’associazione, per il partito. È il Governo che, in seguito a queste risultanze – o anche senza attendere queste risultanze, se il caso venga comprovato – può ordinare lo scioglimento dell’associazione in quanto la ritenga pericolosa in base all’articolo 110, e può il prefetto disporre lo scioglimento.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha la facoltà.

GULLO FAUSTO. L’onorevole Ministro intende ricorrere alla legge più poliziesca, cioè alla legge fascista.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. È la legge in vigore.

GULLO FAUSTO. Ora, noi domandiamo che questa attività del Ministro dell’interno entri nell’ambito d’una vera legalità. Perché mi pare strano che, di fronte a questo emendamento si dica che c’è una legge fascista, che dà facoltà al Ministro dell’interno di fare quello che vuole, quando poi si respinge l’emendamento appunto per questo suo preteso contenuto poliziesco! È una contradizione strana!

Con questa norma si vuole appunto fare rientrare l’attività del Ministero dell’interno in una legalità che non sia quella fascista.

PRESIDENTE. Riassumendo, vi sono tre proposte: quella dell’onorevole Schiavetti, quella dell’onorevole Gullo e quella dell’onorevole Crispo.

Procederemo alla votazione della proposta Schiavetti, in quanto è la più radicale.

Su di essa è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Uberti ed altri.

CONDORELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Voterò contro tutte e tre le proposte perché, data la grande importanza che nella vita costituzionale moderna hanno assunto i partiti, lo scioglimento od anche la semplice sospensione dell’attività politica di un partito può avere il significato di un colpo di Stato. Noi siamo alla vigilia di istituire la Corte costituzionale. Mi sembra che il giudice naturale della legittimità, della legalità, dell’ammissibilità di un partito sia appunto la Corte costituzionale, la quale, avendo per competenza proprio la materia costituzionale, e il giudice veramente indicato a questa funzione, ed ha anche la possibilità, guardando dall’alto, di giudicare l’attività del partito di cui si discute, non nell’apparenza o nell’atteggiamento che esso per avventura può avere assunto in una determinata situazione locale o temporale, ma nel complesso dell’attività politica svolta nel quadro della Nazione. Io ho perciò proposto di riesaminare il problema quando, fra qualche giorno, voteremo sulla Corte costituzionale.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Ritiro il mio emendamento e aderisco a quello dell’onorevole Gullo.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Trasferiamo la richiesta di votazione per appello nominale sull’articolo proposto dall’onorevole Gullo.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione, per appello nominale, dell’articolo proposto dall’onorevole Gullo Fausto, al quale ha dato la sua adesione l’onorevole Schiavetti:

«Nei casi previsti dall’articolo 1, il Ministro dell’interno, ove sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria, può adottare i provvedimenti necessari per la sospensione in via provvisoria dell’attività dell’organizzazione denunziata, salvo a procedere allo scioglimento definitivo di essa in dipendenza dell’affermazione di responsabilità da parte del giudice penale».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Saragat.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Baldassari – Barbareschi – Barontini Anelito – Bartalini – Bei Adele – Bianchi Bruno – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonfantini – Bordon – Bosi – Bucci – Buffoni Francesco.

Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Canepa – Caporali – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallotti – Cevolotto – Chiarini – Chiostergi – Corbi – Corsi – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – Della Seta– De Michelis Paolo – De Vita – D’Onofrio.

Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Filippini – Fiore – Fiorentino.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giolitti – Gorreri – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Marinelli – Massini – Massola – Mastino Pietro – Merighi – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Moranino – Morini – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nobili Tito Oro – Novella.

Pacciardi – Paolucci – Pellegrini – Pera – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Preti – Priolo.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Maria Maddalena – Ruggieri Luigi.

Saccenti – Salerno – Saragat – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Secchia – Sicignano – Silipo – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello – Treves.

Veroni – Vigna.

Zanardi.

Rispondono no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Andreotti – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Balduzzi – Baracco – Bellato – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio.

Caccuri – Camposarcuno – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carboni Enrico – Caristia – Caronia – Carratelli – Cavalli – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Covelli – Crispo.

Damiani – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giordani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

Leone Giovanni – Lizier.

Malvestiti – Mannironi – Marazza – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Morelli Renato – Moro – Mortati – Mùrdaca.

Nicotra Maria – Nitti – Notarianni – Numeroso.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Piccioni – Proia.

Quarello – Quintieri Quinto.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Rubilli.

Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Scoca – Segni – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Venditti – Vicentini – Vigo – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi.

Si sono astenuti:

Costa – Costantini.

Sono in congedo:

Bergamini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Viale – Vischioni.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti                               307

Votanti                                305

Astenuti                               2

Maggioranza           153

Voti favorevoli        134

Voti contrari                        171

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. Passiamo all’emendamento dell’onorevole Crispo.

Onorevole Crispo, lo mantiene?

CRISPO. Lo mantengo.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il mio Gruppo voterà a favore dell’emendamento dell’onorevole Crispo.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Crispo è del seguente tenore: «Nei casi previsti dall’articolo 1, con la sentenza di condanna si ordina lo scioglimento dell’organizzazione».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

L’onorevole Lucifero ha proposto un articolo aggiuntivo del seguente tenore:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale, ed in ogni caso entro il 31 dicembre 1948».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

CONDORELLI. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. Sostanzialmente è stato già svolto e mi sembra che raccolga il consenso di diverse parti della Camera, corrispondendo in sostanza alla natura eccezionale di questa legge, che è ormai trapelata da tutta la discussione. Bisogna pertanto stabilire queste eccezionalità anche nel tempo, cioè dichiarare che si tratta di una legge limitata nel tempo entro il quale sarà possibile rielaborare armonicamente tutta quanta la materia.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione in proposito è divisa. La maggioranza accede all’idea che questa legge debba essere limitata nel tempo e sarebbe disposta ad accettare una limitazione di cinque anni, con una formulazione in questi termini: «La presente legge entra in vigore nel giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e sino al 31 dicembre 1952».

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi! La proposta accettata dalla maggioranza della Commissione non mi trova consenziente e credo che forse non troverà consenziente neppure i colleghi del mio Gruppo. Il proposito, o per meglio dire la speranza a cui si ispira questa disposizione è una speranza che dev’essere nell’animo di tutti noi, cioè che in breve volger di tempo vengano a mancare le ragioni che hanno determinata l’Assemblea Costituente ad approvare questa legge, cioè vengano a cessare quelle manifestazioni criminose, che la legge approvata intende reprimere. Questa speranza, questo augurio, deve essere da tutti noi condiviso, nel supremo interesse del Paese. Ma vi è una conseguenza pratica ed immediata di questa disposizione aggiuntiva, su cui mi permetto richiamare l’attenzione dell’Assemblea, una conseguenza che è anche in contradizione, a parer mio, con le penalità stabilite dalla legge a cui si riferisce. Quando si è ritenuto che alcune di queste manifestazioni fossero da considerarsi così gravi da meritare una repressione di venti, di trenta anni di reclusione, e persino dell’ergastolo, stabilire la durata della legge stessa significa ridurre quasi a niente quella efficacia intimidatrice che noi alla legge attribuiamo. Perché è un vecchio principio, che è stato sempre sostenuto, condiviso da tutti i giuristi, e che corrisponde alla coscienza pubblica, quello che al cessare della incriminazione di un determinato fatto debbano necessariamente cessare anche le conseguenze, tutte le conseguenze, delle condanne pronunciate per il fatto stesso.

lo credo che non importi essere avvocati, che sia indifferente la professione che si esercita, e la preparazione culturale, per essere persuasi di questo. Se un tizio è stato condannato a venti anni per un fatto che la legge dichiari non più reato, non è possibile che la esecuzione di quella pena continui (Interruzione del deputato Fabbri).

Onorevole Fabbri, immagino quello che vuol dire; lo conosco anch’io quell’articolo del Codice penale che fa eccezione a questo sacrosanto principio – è un principio sacrosanto, onorevoli colleghi – che nessuno possa essere punito e neppure possa essere conclamato a continuare l’espiazione di una pena per uni fatto che se era reato quando lo commise, reato non è più. È cosa che ripugna, prima che alla coscienza giuridica, alla ragione, al sentimento.

Lo so; c’è un articolo del Codice fascista che fa eccezione a questo principio per le leggi temporanee ed eccezionali. Noi dobbiamo augurarci che ben presto in molte parti il Codice fascista sia modificato. Ebbene, una delle prime aberrazioni che dovranno essere cancellate è proprio questa. Ritornando al principio della non ultra-attività della legge penale, le disposizioni che abbiamo votate resterebbero senza effetto allo scadere del termine. Bisognerebbe fare un’eccezione. Ricordo che nella legge del novembre 1926 per la difesa dello Stato, nella quale si dové stabilire una scadenza in relazione al cessare delle condizioni che l’avevano determinata, si stabilì: «salvo le esecuzioni delle condanne già pronunciate». Se si volesse insistere nella approvazione dell’articolo aggiuntivo, io ritengo che sarebbe necessario aggiungere, per eccezione alla regola, una simile disposizione. Ma si tratta di eccezioni ad un principio che si dovrebbe sempre poter rispettare. Meglio dunque rinunziare all’apposizione di un termine e piuttosto operare in tutti i campi per far sì che cessino al più presto queste manifestazioni delittuose.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Desidero, a titolo personale – e soltanto per sottoporre un rilievo di carattere tecnico che valga a tranquillizzare l’onesta coscienza dell’onorevole Targetti – il quale si è preoccupato che predisponendo un termine di cessazione del vigore della legge si possa ritenere che l’esecuzione della condanna inflitta durante il vigore della legge medesima possano cessare, dichiarare che a questo riguardo interviene la norma comune del Codice, e precisamente l’articolo 2, che stabilisce che la irretroattività della legge più favorevole o abrogativa non vale quando si tratta di leggi penali temporanee o eccezionali. Questa legge è temporanea ed eccezionale e quindi cadono le preoccupazioni dell’onorevole Targetti.

D’altra parte, se la ricordata norma del Codice penale cadesse in avvenire, resterebbe travolta anche l’eventuale eccezione che preventivamente avessimo già previsto.

TARGETTI. Questo io l’ho già detto.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Targetti, ha proposto un emendamento?

TARGETTI. Io ho fatto una proposta di soppressione di qualsiasi formulazione aggiuntiva ed, in via subordinata, ho proposto che si specifichi: «salvo l’esecuzione delle sentenze di condanna definitiva già pronunciate».

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo ha presentato una nuova formulazione, così concepita:

«La presente legge cesserà di avere effetto dopo sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgere la sua proposta.

CRISPO. Vorrei anzitutto rilevare, per acquietare le preoccupazioni dell’onorevole Targetti, che il caso dell’articolo 2 del Codice penale che contempla la successione di leggi e specialmente il caso di una legge abrogativa di una legge precedente, non è un caso che possa invocarsi a proposito dell’emendamento da me proposto; perché, per verificarsi le conseguenze che egli dice, occorrerebbe che una nuova legge successiva a questa cancellasse i reati contemplati dagli articoli 1, 2 e 3 della legge in vigore. Il caso nostro è diverso: qui si contempla semplicemente un termine entro il quale la legge è scaduta, ma non si contempla l’eventualità di una nuova legge successiva a questa, che regoli diversamente questa materia. Noi deliberiamo una legge eccezionale, la quale, in tanto ha ragione di essere, in quanto obbedisce ad eccezionali esigenze. Cessate le condizioni per le quali la legge eccezionale è stata emanata, la legge cessa di aver vigore.

Questo è stato scritto in tutte le leggi repressive dell’attività fascista, anche nella istituzione dei tribunali straordinari e delle Corti di assise straordinarie, non potendosi configurare una legge eccezionale che non sia limitata entro un determinato periodo di tempo.

È evidente che, quando avrete votato il mio emendamento, se – per caso – allo scadere del termine da me prestabilito, che potrebbe anche essere un termine diverso, crederete che permangano le preoccupazioni per le quali oggi l’Assemblea vota questa legge eccezionale, nulla vieterà di prorogarla.

Ecco perché, onorevole Targetti, le sentenze che, per caso, fossero emesse durante il periodo in cui la legge ha vigore, passate che fossero in giudicato, non potrebbero caducarsi, non potrebbe cessare l’effetto di queste sentenze, perché avrà cessato di avere effetto la legge, ma non sarà subentrata una legge la quale dica che quella attività non è più reato.

È così evidente il mio pensiero, che non ritengo sia il caso di illustrarlo più a lungo.

Quindi, insisto sul mio emendamento, al quale si potrebbe eventualmente aggiungere, «salvo eventuale proroga».

PRESIDENTE. Abbiamo, dunque, tre testi. Il primo è quello dell’onorevole Lucifero, fatto proprio dall’onorevole Condorelli, del seguente tenore:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale, ed in ogni caso entro il 31 dicembre 1948».

Il secondo è quello dell’onorevole Crispo:

«La presente legge cesserà di avere effetto dopo sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione, salvo eventuale proroga».

E vi è, una proposta aggiuntiva dell’onorevole Targetti, nel caso che dovesse essere approvata una di queste due formulazioni:

«Salvo l’esecuzione delle sentenze di condanna definitiva, già pronunciate».

Infine la Commissione propone di non formulare un articolo aggiuntivo, ma di modificare l’articolo 9 del progetto in questo senso:

«La presente legge entra in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e sino al 31 dicembre 1952».

Occorre mettere in votazione per primo l’emendamento dell’onorevole Crispo, che pone il termine più vicino poiché la Costituzione entrerà in vigore prossimamente.

Nella proposta dell’onorevole Lucifero si indica come terminale il momento nel quale saranno state rivedute le disposizioni del Codice penale, e noi possiamo prevedere che ciò avverrà ad una scadenza più lontana di quella in cui entrerà in vigore la Costituzione.

Infine, vi è la proposta della Commissione.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevole Presidente, aderisco all’emendamento dell’onorevole Crispo, rinunciando al mio che ripresenterei però, come subordinato, nel caso che non venisse approvato quello dell’onorevole Crispo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla possibilità di rinviare la questione al momento in cui verrà in discussione quella disposizione finale della Costituzione che dice: «È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

Mi pare che sia quella la sede più opportuna per porre in discussione e risolvere questa questione, lasciando ora le cose come stanno. Comunque, fra le diverse formulazioni, io preferisco quella della Commissione e ad essa aderisco. È del resto da osservarsi che di questa materia il Codice penale dovrà certamente occuparsi; la presente legge cesserà così di aver vigore non appena saranno state rivedute le relative disposizioni del Codice penale, e si rientrerà nell’ordine normale.

È questa, intendiamoci, una disposizione per cui c’è un impegno internazionale derivante dal Trattato di pace, dalla quale disposizione ne consegue un’altra particolare nella nostra Costituzione. Io proporrei quindi la formulazione seguente:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale ed in ogni caso non oltre il 31 di dicembre 1952».

BETTIOL, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL, Relatore. La maggioranza della Commissione accetta questa formula.

CALOSSO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. La formulazione della Commissione, poiché si vuol stabilire un termine, mi pare la più logica, perché si tratta di cinque anni e noi siamo un po’ tutti, nella discussione di questa legge, sotto l’impressione di un ritorno delle circostanze dell’altro dopoguerra dal 1918 al 1923. Mi pare quindi che il periodo di cinque anni si giustifichi.

Mentre pertanto le altre cifre che rappresentano un termine più stretto mi sembrano del tutto arbitrarie, questa di cinque anni mi pare la più conseguente.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che noi voteremo in favore del testo accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula dell’onorevole Crispo:

«La presente legge cesserà di avere effetto dopo sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione, salvo eventuale proroga».

(Non è approvata).

Pongo adesso in votazione la formulazione Lucifero fatta propria dall’onorevole Condorelli:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale, ed in ogni caso entro il 31 dicembre 1948».

(Non è approvata).

Pongo ora in votazione il testo proposto dall’onorevole Grassi ed accettato dalla Commissione:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale ed in ogni caso non oltre il 31 dicembre 1952».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Targetti: «salvo l’esecuzione delle sentenze di condanna definitiva già pronunciate».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorremmo chiarire che la Commissione non è d’accordo specialmente per la completa superfluità di questa disposizione.

In sostanza il concetto che ha esposto l’onorevole Targetti mi pare trovi il contrasto di due obiezioni fondamentali. La prima è il carattere eccezionale della legge, per il quale concetto, se – per esempio – in un’annata di raccolto scarso di un qualunque prodotto che serve per l’alimentazione, il legislatore dispone una pena che sia di cinque, sei, dieci anni per l’incetta e l’occultamento di quel prodotto, nessuno sosterrà mai, in linea di logica ed anche di buon senso, che, per il fatto che nell’annata successiva il raccolto sarà abbondante, quel tale precedente delitto di occultamento avrà perduto i requisiti dell’incriminazione e che cessi, per senso comune o per diritto, la esecuzione della pena che è siate precedentemente irrogata. Non c’è dubbio che la pena che è stata irrogata per un delitto grave nel momento in cm è stato compiuto in dipendenza di una contingenza particolare continui ad essere operante.

E poi c’è la seconda ragione: qui si tratta di una legge eccezionale nel senso che configura come reati, puniti con una esasperazione di pena, dei fatti i quali nella loro generalità, sono già reati previsti dal codice penale ordinario e che lo saranno anche dal codice penale futuro, perché nessun codice penale permetterà la minaccia, la violenza, l’intimidazione, la banda armata, la lotta civile, ecc.

Quindi l’ipotesi che fa l’onorevole Targetti è completamente al di fuori della realtà politica; per queste due ragioni e non quindi per questioni di merito, ma proprio per tecnicismo inerente alla logica della legge, nella quale abbiamo messo disposizioni abbastanza originali, per lo meno, come quella della confisca dei beni, penso che non sia il caso di aggravare alcuni aspetti alquanto patologici di questa legge.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Dichiaro di votare contro, perché la formula, oltre che superflua perché rientra nell’articolo 2 del Codice penale, è imprecisa, in quanto parlare di sentenza irrevocabile pronunciata prima della cessazione del vigore della legge significa quasi rendere possibile, nel caso di una sentenza che sia stata emanata prima della cessazione del vigore della legge speciale e che passi in giudicato successivamente alla cessazione del vigore, che tale sentenza non possa avere esecuzione. Per tali categorie di sentenze, secondo l’emendamento proposto dall’onorevole Targetti, non funzionerebbe perciò la norma che egli propone. Il che significa che queste sentenze non entrerebbero in esecuzione.

Credo che questa non sia nemmeno l’intenzione dell’onorevole proponente. Perciò propongo la soppressione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare per dichiarare che ritiro il mio emendamento. Mi rincresce di non dare all’onorevole Leone la soddisfazione di mantenere la sua promessa di votare contro. Lo ritiro perché dalle dichiarazioni dell’onorevole Fabbri devo dedurre che, in sostanza, siamo d’accordo, e non c’è ragione che una votazione dia la sensazione di un disaccordo inesistente. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 9. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Quando il futuro storico si accingerà a fare la storia dei nostri lavori, vorrà certamente trovare il filo conduttore delle nostre decisioni, vedere quali sono stati i criteri che hanno prevalso nella nostra Assemblea. All’inizio della discussione della nostra Costituzione troverà affermato, dalla parte opposta a quella da cui io parlo, un principio che è la rievocazione di una norma giuridica protostorica: In hostes perpetuo auctoritas.

La interpretazione era errata storicamente perché il legislatore antico non aveva affatto intenzione di affermare il principio che… si voleva confermare. L’intenzione ed il significato della rievocazione erano però troppo evidenti. Oggi, a distanza di sei mesi, noi abbiamo sentito l’eco di quella affermazione.

PRESIDENTE. Lei sa quale è il contenuto dell’articolo 9?

CONDORELLI. Sì, ma devo spiegare le ragioni della chiesta soppressione dell’articolo che si traduce nell’invito ai miei colleghi a votare contro l’intera legge.

PRESIDENTE. Va bene, lei può sostenere questa tesi; ma la prego di tener presente quale è la dizione dell’articolo.

CONDORELLI. Io non starò a tediare l’Assemblea più dei dieci minuti consentiti.

Si è sostenuto dalle oneste labbra del collega Tonello, proprio dallo stesso settore, dallo stesso banco, in coincidenza non casuale, sostenendo un’altra disposizione di legge, il principio della responsabilità collettiva di una famiglia, non soltanto dei discendenti e dei collaterali contemporanei, ma anche dei discendenti futuri.

Si ritorna al più oscuro medioevo, all’istituto della detestatio memoriae. Però questa è detestatio descendentiae.

E la conclusione di questi alti principî del nuovo diritto penale progressivo, ci è apparsa evidente allorché, attraverso un voto avvenuto quando la Costituente era rappresentata soltanto da 40-50 deputati, è stato reintrodotto nel diritto italiano l’istituto medievale della confisca. (Rumori a sinistra).

COSTANTINI. C’era anche col fascismo e lei non parlava. Stavate tutti zitti!

CONDORELLI. È più penoso che ci siano stati in questa Assemblea dei giuristi per i quali ho sommo rispetto, che di fronte all’istantaneità della sbalorditiva decisione pensarono che, avendo trovato affermato col primo voto questo istituto, fosse esigenza di coerenza tornarlo ad affermare in rapporto ad una norma che colpisce un crimine maggiore. Si è venuta ad affermare la necessità della coerenza nell’errore, dimenticando, specialmente i colleghi di parte democristiana, che se errare humanum est, perseverare est diabolicum! (Rumori a sinistra). Ora io penso che questi colleghi che dichiaratamente così votarono e per questo così votarono, abbiano in quel momento dimenticato che loro potevano negare l’approvazione di questa legge la quale, se non fosse ripugnante alla nostra coscienza non di giuristi, ma di uomini del secolo XX per mille altre ragioni, lo sarebbe per questa ragione sola, perché ha reintrodotto l’istituto della confisca.

Io credo che chiunque abbia rispetto reale e non formale per questa Costituente, sentirà l’imperativo di bocciare questa legge perché sia cancellato l’errore. (Rumori a sinistra).

Vi avverto, colleghi, che niente di disastroso avverrebbe se voi nello scrutinio segreto finale respingeste questa legge, perché l’indomani il Governo potrebbe riproporre una legge che colpisca queste forme di delinquenza in via generale, come vogliono i canoni ormai conquistati definitivamente del diritto penale, il quale ripugna, in nome della libertà e della giustizia, dalle leggi eccezionali. (Rumori a sinistra).

Ed io vi dico che, votando come io vi chiedo, voi farete onore a voi stessi, anche se avete votato quell’enormità che poc’anzi deploravo, perché quell’irato voto, che voi ora ripudiereste, è contrario ai principî della giustizia, ai principî della civiltà, della carità cristiana (Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Bubbio) perché la confisca, colleghi di parte democristiana, è una pena non contro l’autore del reato, ma contro la sua famiglia, i suoi figli, i suoi discendenti. Voi che avete votato questa mattina contro la singola norma istitutiva della confisca, avete il preciso dovere di votare stasera contro l’intera legge nella votazione a scrutinio segreto. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, lei non ha detto una parola sul suo emendamento.

CONDORELLI. lo propongo la soppressione dell’intera legge: dunque, anche di questo articolo.

PRESIDENTE. Lei avrebbe dovuto dire queste cose in sede di discussione generale; mentre in questo momento lei si era impegnato a proporre la soppressione dell’articolo 9, che non ha invece neppure citato.

L’onorevole Condorelli voleva sostenere, con il suo intervento, un emendamento soppressivo dell’articolo 9; e lo dico io, poiché egli se ne è dimenticato.

Pongo in votazione l’articolo 9, del seguente tenore:

«La presente legge entra in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

(È approvato).

Passiamo al titolo della legge:

«Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico».

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha presentato un emendamento del seguente tenore:

«Aggiungere dopo le parole: repressione dell’attività, le altre: di tipo, e, dopo le parole: dell’attività diretta alla restaurazione, l’altra: violenta.

L’onorevole Covelli ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo la parola: restaurazione, aggiungere le parole: con mezzi violenti».

Onorevole Benedettini, ella ha firmato anche l’emendamento Covelli. Quale dei due mantiene?

BENEDETTINI. Mantengo il mio emendamento; subordinatamente, per il caso che non fosse approvato, ho firmato l’emendamento Covelli.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Per quanto riguarda l’emendamento Benedettini, la Commissione non accetta la prima parte, quella relativa alla repressione dell’attività di tipo fascista. Per quanto riguarda la seconda parte, accetta l’emendamento stesso, perché rientra nello spirito informatore della legge: colpire la violenta estrinsecazione dell’attività monarchica.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Aderisco al parere della Commissione.

PRESIDENTE. Dei due emendamenti che sono stati proposti la Commissione ed il Ministro dichiarano di accettare parzialmente quello dell’onorevole Benedettini che comprende in parte quello dell’onorevole Covelli.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Benedettini:

«Repressione dell’attività di tipo fascista».

(Non è approvata).

Pongo in votazione la seconda parte accettata dalla Commissione e dal Governo:

«Restaurazione violenta dell’istituto monarchico».

(È approvata).

Resta inteso che l’Assemblea autorizza il coordinamento formale degli articoli del disegno di legge.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sul disegno di legge:

«Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico».

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico:

Presenti                               285

Votanti                                284

Astenuti                   1

Maggioranza           143

Voti favorevoli        188

Voti contrari                        96

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Baldassari – Balduzzi – Barontini Anelito – Bartalini – Basile – Bei Adele – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bocconi – Bonfantini – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Caccuri – Cairo – Calosso – Camposarcuno – Candela – Canepa – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carboni Enrico – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsi – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Covelli – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Franceschini – Fresa – Froggio.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giolitti – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena – Lozza – Luisetti.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Moranino – Morelli Renato – Merini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paratore – Pat – Patricolo – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Priolo.

Raimondi – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruini.

Saccenti – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Scalfaro – Scarpa – Scoca – Scoccimarro – Secchia – Sicignano – Siles – Silipo – Spano – Spataro – Stampacchia – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tosato – Tosi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Bergamini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Viale – Vischioni.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, torniamo ora alla discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana. Dovremmo esaminare i vari emendamenti che sono stati presentati sotto l’indicazione di articolo 95-bis.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. A me sembra che la norma contemplata nell’emendamento che forma l’articolo 95-bis comporti una insuperabile connessione, vorrei anzi dire, una unicità di tema con la norma dell’articolo 102, relativo alla definizione della struttura della Corte Suprema di Cassazione, della sua funzione e della sua competenza. Sicché mi pare che non si possa affrontare questo tema se non in unione all’esame dell’articolo 102. Ed infatti noi vediamo emendamenti all’articolo 95-bis che si ripetono in sede di emendamenti all’articolo 102, con questi intersecandosi.

Perciò, sottopongo al Presidente la proposta di trattare questo tema unitamente alla materia della Cassazione, in sede di discussione dell’articolo 102 del progetto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di volere esprimere l’avviso della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho nulla in contrario a questa proposta.

PRESIDENTE. Se non si sollevano obiezioni, possiamo allora senz’altro accettare la proposta dell’onorevole Dominedò, di discutere ciò che si riferisce agli emendamenti all’articolo 95-bis, che sono stati proposti e che toccano tutti il problema della Cassazione, quando saremo giunti all’articolo 102, che pone appunto, nel progetto della Commissione, la questione della Corte di Cassazione.

(Così rimane stabilito).

Passiamo ora all’articolo 96, nel testo iniziale della Commissione.

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentali numerosissimi emendamenti, in modo particolare soppressivi. Sono stati svolti gli emendamenti soppressivi degli onorevoli Monticelli, Rossi Paolo, Colitto, Ruggiero Carlo, Villabruna, Badini Confalonieri, Mastino Pietro, Merlin Umberto, Scalfaro e Castiglia. Vorrei che gli onorevoli Gabrieli, Rescigno, Perrone Capano e Nobili Tito Oro, presentatori anch’essi di emendamenti soppressivi, dichiarassero se si rimettono allo svolgimento già fatto dai suddetti numerosi colleghi di questa stessa proposta, oppure intendano aggiungere qualche cosa.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Gabrieli.

GABRIELI. Mi rimetto alle dichiarazioni già fatte in sede di discussione generale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Rescigno.

RESCIGNO. Anche io mi rimetto alle argomentazioni che sono state svolte dagli altri colleghi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Perrone Capano.

PERRONE CAPANO. Desidero aggiungere soltanto che sono stato portato a proporre il mio emendamento soppressivo particolarmente per la mia esperienza di avvocato penale. In virtù di questa esperienza, contratta nei molti anni durante i quali ho praticato la Corte d’assise coi giurati, mi sono convinto della necessità imprescindibile di unificare la giurisdizione penale. Desidero rilevare inoltre che il mantenimento della giuria determinerebbe alcune contraddizioni nel testo del progetto di Costituzione. Il progetto, infatti, afferma innanzitutto il principio che i magistrati non debbono appartenere a partiti politici, e poi affida l’esame e la decisione dei giudizi penali di maggiore entità a cittadini i quali potrebbero essere iscritti a partiti politici.

Il progetto di Costituzione afferma il principio che ogni sentenza debba essere motivata, e poi con l’articolo 96 viola questo concetto, perché pone il presupposto per cui, per i giudizi relativi ai delitti di alta criminalità, il pronunciato del giudice non sarà motivato.

Infine, sancisce il principio che ogni sentenza deve essere soggetta a impugnazione e per i giudizi di Corte di assise compromette tale possibilità, mentre, a mio avviso, sarebbe più che mai necessario un giudizio di appello nei riguardi dei processi relativi ai delitti di alta criminalità.

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati svolti anche i seguenti altri emendamenti:

«Sopprimerlo.

«Subordinatamente, sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa unitamente ai magistrati all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte d’assise, secondo le norme di legge.

«Murgia».

«Sopprimerlo.

«Subordinatamente, sopprimere le parole: mediante l’istituto della giuria.

«Colitto».

«Sostituirlo col seguente:

«Nei processi di Corte di assise la giustizia è amministrata da una Corte criminale composta di magistrati designati dal primo presidente della Corte di cassazione, sentito il parere del Consiglio superiore della Magistratura.

«Abozzi».

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituto della giuria nei processi per reati politici.

«Sardiello».

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nelle Corti di assise, alle quali è attribuita la cognizione dei delitti contro la personalità dello Stato.

«Romano».

«Sostituire le parole: nei processi di Corte d’assise, con le seguenti: nei processi penali.

«Persico».

«Aggiungere in fine:

«Le sentenze delle Corti di assise sono soggette ad appello nei modi stabiliti dalla legge.

«Mannironi».

Segue l’emendamento dell’onorevole Nobili Tito Oro così formulato:

«Sopprimerlo, in relazione agli emendamenti presentati al secondo e all’ultimo comma dell’articolo 94».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Il mio emendamento in realtà non è un emendamento soppressivo. È un emendamento modificativo; ma io non ho nessuna difficoltà di consentire alla soppressione dell’emendamento stesso con i criteri che sono stati stabiliti.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Targetti, Costa, Carpano Maglioli, così formulato:

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Nel presentare quest’emendamento io ho cominciato coll’emendare me stesso, perché la storia dell’articolo a cui si riferisce è questa. Innanzi alla Sottocommissione, che era incaricata di occuparsi del Titolo relativo al potere giudiziario, stavano due proposte: una del collega onorevole Leone ed una del collega onorevole Calamandrei. Mentre il progetto conclusivo della relazione dell’onorevole Calamandrei prevedeva una generica partecipazione di giudici popolari nei giudizi di competenza della Corte di Assise senza specificarne le modalità, che rimetteva alla legge, l’onorevole Leone, coerentemente al suo temperamento battagliero, non si era accontentato di fare un accenno indiretto alla questione della giuria, ma si era proposto di risolvere definitivamente il problema proponendo, senz’altro, di ricondurre la competenza dell’Assise, come egli si espresse, nell’ambito della competenza del Tribunale. Fu in contrapposizione di questa sua proposta che perpetuava il bando della giuria dalla nostra legislazione, che io formulai e sostenni l’articolo che poi la Commissione dei settantacinque approvò e che figura nel testo sottoposto all’esame dell’Assemblea Costituente.

Si comprende facilmente come possa nascere la domanda perché io abbia, poi, preso l’iniziativa di emendare questa proposta che era partita da me. Per questa considerazione: mentre la formula suggerita da me in sede di Commissione, e che ebbe la fortuna e l’onore di essere approvata dalla Commissione dei settantacinque, diceva: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia attraverso l’istituto della giuria», io ho ritenuto opportuno modificare questa formula, mantenendone però intatta la prima parte, cioè quella nella quale si afferma che il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia. A questo proposito si potrà domandare perché questo avverbio «direttamente». A me è sembrato, e così ai colleghi della Commissione dei settantacinque, opportuno e non superfluo, perché se in un certo senso si può dire che il popolo partecipa indirettamente all’amministrazione della giustizia, partecipando alla costituzione del Parlamento il quale, a sua volta, elegge il Consiglio Superiore della Magistratura, che nomina i magistrati, qui occorreva specificare che si trattava di un’altra specie di partecipazione, di una partecipazione diretta.

L’espressione «direttamente», è stata usata non per fare un’affermazione demagogica, che i colleghi sanno non sarebbe stata di mio gusto, ma per la necessità di esprimere un concetto che non si prestava ad essere denunziato diversamente. Mentre, dunque, manteniamo la formula: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia» invece di dire «attraverso l’istituto della giuria» preponiamo di dire «nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

Ciò perché, onorevoli colleghi, io credo che in questa sede non sia dare prova di eccessiva condiscendenza, ma di una necessaria saggezza, se ciascuno di noi, se ciascuno dei Gruppi in cui si divide questa Assemblea, fa tutto il possibile per dividersi il meno possibile nelle decisioni che si devono prendere in tema di Costituzione, cercando di rinunziare a tutto ciò che possa creare delle diversità, delle differenze, dei disaccordi evitabili senza fare nessuna concessione di sostanza, nessuna rinunzia di idee fondamentali.

Quindi, con la dizione «nei casi e nei modi stabiliti dalla legge» intendiamo lasciar aperto il campo a qualsiasi forma di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. Detto questo, però, dobbiamo dichiarare, non solo per onestà e per franchezza, ma anche perché la nostra disposizione non possa prestarsi ad interpretazioni equivoche, che per noi socialisti, per gli appartenenti al mio Gruppo, la giuria è la forma, nella quale meglio si manifesta una diretta partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia.

L’Assemblea non si spaventi se ho ricordato la giuria, non tema cioè che io voglia tornare su quest’argomento che è stato, in un senso e nell’altro, così largamente ed egregiamente trattato in questa discussione.

Noi siamo favorevoli alla giuria per tutte quelle ragioni che sono state esposte da colleghi valorosissimi; fra gli altri dall’onorevole Macrelli, dall’onorevole Veroni e dal nostro carissimo compagno onorevole Mancini, che ha pronunziato in questa occasione uno di quei discorsi che fanno onore non soltanto a chi li pronunzia, ma anche all’Assemblea a cui l’oratore appartiene.

Io mi limito a fare un solo rilievo.

Dagli avversari della giura è stata citata l’alta autorità di Enrico Ferri. Alta nel campo della criminologia. Altri campi, in questo momento, non ci interessano. In realtà, sì, il Ferri era contrario alla giuria, ma era però ugualmente contrario anche ai giudici togati, così come sono reclutati. Egli aveva, infatti, una concezione ben precisa di quella che avrebbe dovuto essere la funzione punitiva, che invece che ad uomini esperti nel diritto, egli avrebbe voluto in gran parte affidare a psicologi, a psichiatri, a medici, a biologi. Insomma, ad uomini di scienza piuttosto che a giuristi.

Io ricordo tuttavia la conclusione cui egli pervenne nell’ultima intervista che ebbe occasione di concedere su questo argomento nel 1922. Fra gli altri difetti Enrico Ferri, aveva quello di ripetersi. Gli accadde così, anche in quella circostanza, di servirsi contro i giurati di un argomento che gli era in questo tema consueto. Se io ho un orologio guasto – disse – non andrò certamente per farlo riparare da un calzolaio. Così anche le cause penali dovrebbero essere portate dinanzi a dei competenti a giudicare. Ma, alla domanda specifica se egli intendesse proporre alla Commissione per la riforma del Codice penale, di cui era Presidente, la soppressione della giuria, Enrico Ferri si strinse nelle spalle eppoi finì col dire che i giudici popolari avrebbero continuato a far giustizia finché non si fosse avuta una magistratura tecnica, realmente capace di giudicare anche i reati più gravi.

Onorevoli colleghi! Noi potremmo additarvi anche altri inconvenienti, anche altri difetti oltre tutti quelli che i nostri contradittori hanno messo eloquentemente in luce per combattere la giuria, ma, arrivati ad un certo punto, spunterebbe forse l’alba e l’alba ci sorprenderebbe ancora a discutere, ci sorprenderebbe ancora nel momento critico della discussione, quando noi torneremmo a chiedervi che cosa voi vorreste sostituire a questo istituto della giuria e nessuno di voi sarebbe in grado di rispondere.

Nessun giurista, nessun legislatore ha potuto mai suggerire né trovare una forma di giudizio che potesse degnamente sostituire questo istituto. Si è discorso di tante cose, si è parlato dello scabinato, si è parlato della gran corte criminale. Ma, onorevoli colleghi, anche la gran corte criminale napoletana non emanava forse delle sentenze che erano inappellabili proprio come quelle che emana la giuria popolare? Ed allora perché scandalizzarsi dell’inappellabilità dei verdetti popolari? Ma i giurati, si dice, hanno commesso molti errori. Sì, onorevoli colleghi, ne hanno commessi molti e molti ne commetteranno, come ne hanno commessi, ne commettono e ne commetteranno i giudici togati; come è destinato a commetterne chiunque si trovi a dover giudicare un suo fratello, ad assolverlo o condannarlo. Siano pure destinati, i giurati, a commetterne ancora e molti, ma sempre dalla loro giustizia emanerà qualche sprazzo di luce, qualche raggio di bontà che andranno ad illuminare quello che spesso è il grigiore della legge amministrata da giudici togati, che la vita ha reso scettici e stanchi.

Se, onorevoli colleghi, anche il legislatore più saggio, non è riuscito, nella freddezza del suo studio a fissare, a prevedere e ben regolare, a seconda del movente, della personalità, dell’animo di chi è trasceso a violare la legge penale, tutti i casi da giudicare, lasciamo che ci siano i giurati. Ben vengano allora i giurati che, nella loro sia pure impetuosa e tumultuosa passionalità, possono rompere tutte queste impalcature, che il legislatore aveva creduto di erigere incrollabili, possono rompere questi compartimenti stagni in cui il legislatore aveva creduto di poter incasellare tutti i moti dell’animo, e in casi nei quali e la legge e la giurisprudenza e il magistrato dicevano: «condanna», possono dire «assoluzione». Non domandate ragioni, giudizi motivati di questi che possono essere errori giuridici, ma che spesso sono grandi riconoscimenti di esigenze della legge umana.

E non vi dico altro, onorevoli colleghi, e mi scuso anche di avervi parlato di quello di cui mi ero proposto di non parlare: cioè dei difetti e dei pregi della giuria, per venire a questa conclusione: noi proponiamo una formula, nella quale – ripetiamo – è compresa, è contemplata, in primo luogo, per il nostro convincimento, la giuria. Però è una formula che permetterà alle Assemblee legislative di domani di far partecipare il popolo, in modi anche diversi, all’amministrazione della giustizia.

Quando noi diciamo «nei limiti», indichiamo che sarà la legge a determinare la competenza: problema arduo, anche questo, della competenza che deve essere attribuita ai giurati. Da più parti si dice: soltanto reati gravissimi, e si può aver ragione; da un’altra si dice: soltanto i reati politici, e si può aver ragione; ma si può in questo anche aver torto, almeno in certi momenti che abbiano determinati caratteri politici. Io ricordo nei tristi inizi del tristissimo periodo fascista di aver trovato una maggiore possibilità di giustizia presso i giudici togati che presso certe giurie, che erano influenzate politicamente, o erano costrette a dire una parola diversa anche da quella che pensavano, per quella intimidazione che si esercitava più facilmente dal fascismo sopra i giurati che non sui magistrati togati. E a proposito dei magistrati – dei quali tanto si dice male e spesso con ragione – lasciatemi anche ricordare che vi sono stati, nel tristissimo periodo fascista, dei magistrati che hanno avuto il coraggio, in mezzo a difficoltà che non si possono apprezzare senza averle conosciute, e sfidando dei pericoli che non si possono giudicare se non si sono sfidati, di mantenere fede, nonostante tutto e tutti, al loro dovere: quello di amministrare giustizia senza guardare in faccia a nulla e a nessuno. Sacrifici talvolta eroici e mai riconosciuti né apprezzati nella misura giusta.

E se, onorevoli colleghi, si dice nel nostro emendamento «nei limiti determinati dalla legge», non pregiudichiamo neppure la questione della competenza; se noi diciamo «nei modi stabiliti dalla legge», non pregiudichiamo nessuna forma di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

È per questo che facciamo le insistenze più vive presso tutti i nostri colleghi di voler aderire a questa nostra proposta. Non aderirvi vorrebbe dire chiudere la via oggi come domani, fino al giorno in cui non si arrivasse ad una revisione della Costituzione, all’istituzione di questa forma di Magistratura – ed è l’ultima osservazione che mi permetto di fare – che è adottata da tutte le Nazioni. Non si può dire: c’è l’obbligo di fare in un determinato modo perché tutti fanno così; quest’obbligo non c’è; ma sarà sempre lecito dire che prima di fare in un modo diverso da quello di tutti i popoli che sono anche organizzati, ordinati come noi, democraticamente, bisogna un po’, onorevoli colleghi, esitare; perché altrimenti una mancanza di esitazione non vorrebbe dire un’esuberanza di coraggio, ma una vera audacia; una determinazione non ragionata. Rifiutarsi ad ammettere l’istituzione della giuria anche per un domani più o meno vicino, persino per un domani un po’ lontano, non ostante che la Francia, che l’Inghilterra, che la Polonia, che l’Ungheria, che l’Austria, che tutte le Costituzioni del dopoguerra stabiliscano in modo tassativo, non quella che per noi si limiterebbe ad essere una possibilità di istituzione, ma la vera e propria istituzione, per decisione inderogabile, costituzionale, della giuria popolare, vorrebbe dire chiudere gli occhi dinanzi a fatti, ad esperienze che istruiscono ed ammoniscono.

Confidiamo per questa realtà – e non per la modestia della nostra argomentazione – che questa nostra proposta venga accolta! (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Cairo e l’onorevole Carboni Angelo hanno presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Possono istituirsi per legge e per la cognizione e la decisione di determinate materie, sezioni specializzate degli organi giudiziari civili e penali con la partecipazione, regolata dalle norme dell’ordinamento giudiziario, di cittadini esperti e di giudici popolari».

L’onorevole Cairo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CAIRO. Onorevoli colleghi, l’emendamento da me proposto mi sembra in parte sostanzialmente superato dal criterio che è stato introdotto ieri nell’articolo che è stato per ultimo approvato. Infatti il nostro emendamento tendeva ad affermare il principio che nelle giurisdizioni criminali fossero chiamati a partecipare cittadini esperti o giudici popolari.

Ieri si è approvata la partecipazione generica di cittadini idonei. Quindi si è, in certo senso, anticipato il principio della partecipazione di giudici popolari o giudici non togati all’amministrazione della giustizia.

Comunque io farò qualche rilievo anche di carattere formale.

Mi consentano gli estensori della formula consacrata nel progetto, ed anche in qualche emendamento, di dire che l’esordio della formula stessa degli emendamenti – «il popolo partecipa direttamente» – mi sembra, mi si consenta, un po’ enfatica.

Comunque, che il popolo partecipi alla giustizia, sia pure per il tramite degli organi giudiziari, è certo. La formula che mi permetto di contestare sembra quasi contradire al principio che la stessa Magistratura, l’ordinamento giudiziario, la Magistratura ordinaria sia emanazione – indiretta, ma emanazione – del popolo.

Quindi riterrei più opportuno fermarsi su una dizione così come è stata formulata da me: «Possono istituirsi per legge e per la decisione di determinate materie, giudici popolari e cittadini esperti».

Si è molto discusso ed argomentato sulla giuria. Io, a questo proposito, ho una profonda incertezza, che ha il proprio riflesso nel mio emendamento, il quale potrebbe anche essere tacciato di compromesso o di transazione. Comunque, all’animo democratico di tutti noi ripugna – come diceva benissimo poc’anzi l’onorevole Targetti – di respingere senz’altro l’intervento del giudice popolare e della sua umanità, della sua integrale umanità nei giudizi penali.

La confessione di molti illustri ed egregi colleghi, che hanno esercitato per tanti anni la professione dinanzi alle Corti d’assise, ci dice che le Corti d’assise non corrispondono più oggi alle necessità di tecnica e di competenza che esige la vita umana, ogni manifestazione della vita umana, e specialmente questa della giustizia, che delle manifestazioni della vita umana è forse la più difficile e la più alta.

Quindi il mio emendamento non fa che protrarre questa decisione – che, come dico, è ardua – sulla esistenza della giuria, rimandandola ad un esame che verrà fatto da un’assemblea, la quale avrà a propria disposizione degli elementi tecnici (e questo non si ritenga offensivo per l’Assemblea) più completi per potere giudicare se la giuria dovrà rimanere così com’è o se dovrà subire quelle trasformazioni, che del resto tutti gli istituti giuridici subiscono col tempo.

Io non aggiungo altro.

Ho introdotto anche: «organi giudiziari civili» oltre che penali, appunto per affermare questo criterio basilare del mio emendamento, cioè introduzione e la partecipazione dell’elemento umano, dell’elemento che direi civico, estraneo alla tecnica della Magistratura non solamente per il giudizio penale, ma anche per i giudizi civili, cioè l’esigenza che vicino al giudice tecnico e togato ci sia anche il giudice popolare o il rappresentante della cittadinanza che non veste la toga.

Per quanto riguarda l’esistenza della giuria così come è, io ho già richiamato la confessione fatta dai maggiori assistiti che sono intervenuti in questa discussione. Oserei dire che nella formazione della giuria c’è qualche cosa di romantico, qualche cosa di melodrammatico, qualche cosa di superato. Noi tutti, che esercitiamo da molto tempo la carriera forense, sentiamo che effettivamente nella giuria manca qualche cosa, sentiamo che la giuria ha rappresentato un’affermazione notevole dei principî di libertà nel secolo scorso, ma che oggi non rappresenta più quella esigenza tecnica che io ritengo sovrana in tutte le materie.

Quindi il mio emendamento potrà essere accolto sia da coloro che caldeggiano il ritorno della giuria, sia da coloro che sentono che la giuria non risponde più alle esigenze attuali.

C’è un ostacolo ad aderire ancora alla sopravvivenza della giuria; un ostacolo grave di carattere umano: è la mancanza della sentenza e, quindi, della doppia giurisdizione; è una esigenza sentita da tutti, perché, onorevoli colleghi, o ammettiamo che il giudice popolare sia infallibile e rappresenti qualche cosa di insuperabile nella sua sentenza e nei suoi verdetti, ed allora possiamo venir meno alla esigenza fondamentale di una revisione di secondo grado, o noi non ammettiamo a priori questa infallibilità al verdetto dei giudici popolari, ed allora dobbiamo escogitare una nuova formula la quale sancisca anche la possibilità di un appello contro la sentenza, contro il giudicato popolare. Problema difficile che io non pretendo di risolvere. Per questo ritengo che oggi sia opportuno e saggio rimettere all’Assemblea legislativa la risoluzione tecnica di questo problema. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia, nei processi di Corte di assise, nei limiti e secondo le forme che saranno stabiliti dalla legge».

L’onorevole Ghidini ha facoltà di svolgerlo.

GHIDINI. Onorevoli colleghi, veramente io sono rimasto incerto fino a questo momento se dovessi mantenere o ritirare questo mio emendamento, perché ho il dubbio che la questione sia pregiudicata dalla votazione che si è fatta ieri sull’articolo 95. Alludo precisamente al capoverso primo dell’articolo 95 e al commento fattone dal Relatore.

Il secondo comma dell’articolo 95 è in questi termini: «Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi, presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla Magistratura».

Mi sono chiesto se in queste sezioni specializzate che si istituiscono presso gli organi giudiziari ordinari siano comprensibili anche le giurie.

L’onorevole Leone Giovanni ha detto sì ed allora sarebbe inutile che io insistessi sull’articolo 96.

Ma per la verità, io non sono della stessa opinione o, per lo meno, non ho affatto la certezza che si possa dire che l’istituto della giuria sia compreso in questo secondo comma dell’articolo 95, cioè che si possa considerare la giuria come una sezione specializzata istituita presso un organo giudiziario ordinario. Sono perfettamente d’accordo nel ritenere che di fronte alla legislazione attuale non è un giudice speciale, perché la Corte di assise non è che una sezione della Corte di appello; e poi c’è una ragione anche più sostanziale, ed è questa, che se si trattasse di un giudice speciale, le sue sentenze dovrebbero essere impugnate dinanzi alla Cassazione a sezioni unite, mentre invece si sa che le sentenze della Corte di assise sono impugnate dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione. Quindi, indiscutibilmente, secondo la legge attuale, non ci troviamo di fronte ad un giudice speciale. Però, nella realtà delle cose, si può per lo meno dubitare, ed io ne dubito profondamente, per queste ragioni: prima di tutto perché è indubitato che la giuria è un giudice il quale si occupa soltanto di determinate categorie di reati.

In secondo luogo, i giurati non possono essere considerati come giudici ordinari, secondo l’articolo 95 votato ieri, dove si dice testualmente: «la funzione giurisdizionale è esercitata dai magistrati ordinari istituiti secondo le norme sull’ordinamento giudiziario». Fra questi non si possono comprendere i cittadini giurati.

Per queste ragioni io penso che realmente si tratti di un giudice speciale. Altrimenti si potrebbe pensare dello scabinato, nel quale il giudice popolare giudica unitamente al magistrato ordinario e le sentenze vengono fatte insieme, e la motivazione appartiene ad entrambi. Invece, nel caso della giuria, intesa secondo la tradizione legislativa italiana e la comune accezione, il giurato giudica da solo e in modo elusivo del fatto e della responsabilità. Per questo motivo ritengo che l’emendamento possa essere mantenuto.

Il mio emendamento somiglia a quello dell’onorevole Targetti, ma vi è una differenza fra il mio ed il suo, che è sostanziale. L’onorevole Targetti dice: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge». Dunque, secondo l’onorevole Targetti la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia si dovrebbe effettuare in qualsiasi giudizio, non soltanto in quelli di Corte di assise.

Se questo non è stato il pensiero dell’onorevole Targetti, ne prendo atto; e se anche egli ritiene che è soltanto alla Corte di assise che il popolo deve partecipare, allora siamo d’accordo in tutto ed il mio emendamento è identico al suo, salvo la diversa espressione verbale.

Nel mio emendamento è detto: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise».

Io elimino dal testo la frase: «mediante l’istituzione della giuria», perché, secondo il mio modo di vedere, l’istituto della giuria ha una sua significazione, che è quella consacrata da una lunga tradizione legislativa.

Nella giuria, com’è oggi intesa, esistono dei difetti che furono rilevati da molti colleghi e sono: la mancanza di motivazione ed il verdetto monosillabico. Il verdetto monosillabico contrasta anche con una disposizione della nostra Carta costituzionale, articolo 101, dove si dice che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Il sì ed il no non rappresentano una motivazione.

Si tratta di un giudice il cui verdetto, mancando di motivazione, non consente il doppio grado di giurisdizione, cioè il controllo di merito. Ecco perché io penso che si debba trovare una forma di giudizio la quale consenta da un lato la motivazione e dall’altro il ricorso di merito. Sarà difficile trovare questa forma, ma non dispero.

A proposito della giuria v’è ancora un inconveniente sul quale hanno insistito i colleghi, ed è «l’incompetenza del cittadino giurato». È una verità parziale, come tutte le verità. Ma è certo che in talune materie, come sarebbe ad esempio nei delitti di falso documentale, di bancarotta, ecc., difficilmente potrebbe decidere un profano del diritto. Non ammetto la competenza del giurato neppure in materia di reati politici e contro la personalità esterna ed interna dello Stato.

La struttura dei reati contro la personalità dello Stato è squisitamente tecnica e sarebbe quindi pericoloso affidarne il giudizio ai giurati. E penso altrettanto pei reati politici, nei quali si disfrena più violenta la passione popolare; quella passione che indiscutibilmente è l’antitesi della giustizia che è soprattutto misura e serenità. È vero, come diceva l’altro giorno l’onorevole Avanzini, che vi sono state delle cause in cui nel giudicare i reati politici i giurati hanno emerso sentenze altamente serene, ma disgraziatamente furono un’eccezione.

D’altro canto vi sono reati che è bene siano demandati al giudice popolare: parlo dei reati gravi di sangue, dell’omicidio e dell’infanticidio. Non è che io diffidi del magistrato ordinario, per il quale anzi professo altissima stima e in virtù della mia esperienza posso ben dire che le critiche che gli sono state rivolte sono eccessive ed ingiuste. È però certo che il giudice ordinario ha minore aderenza alla realtà della vita e meno avverte l’umanità di certe cause, che devono essere risolte non soltanto in linea di puro diritto, ma col criterio della più alta equità.

Bisogna che la sentenza del giudice non sia soltanto corrispondente alla legge, ma anche alla coscienza giuridica e morale del popolo per essere efficace. La sentenza non è soltanto accertamento del fatto e degli elementi giuridici che ne fanno un reato, ma deve essere anche una norma di condotta per il cittadino.

Per questa ragione ritengo che in certi casi debba essere mantenuta la giuria, però nelle forme e nei modi dei quali parlava l’onorevole Targetti. Ecco il mio emendamento:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei giudizi di Corte di assise, nei limiti e secondo le norme che saranno stabiliti dalla legge».

Le norme riguarderanno la struttura dell’istituto e le condizioni di nomina dei giurati, affinché siano in grado di fare una motivazione ragionata e seria. Del resto il caso si è già verificato.

Ricordo una causa discussa a una Corte di assise dell’Emilia, nella quale vi fu un contrasto irreducibile fra i magistrati, presidente e relatore, e gli assessori: questi volevano e vollero assolvere, mentre i magistrati volevano condannare. Quei magistrati onestamente non fecero una sentenza suicida, fenomeno questo deplorevole e eccezionale, tanto che non può certamente essere motivo per ammettere una riforma dell’organo in un senso o nell’altro. La fecero invece i giurati e fu tale da riscuotere unanime plauso per la logicità e la serietà della sua motivazione.

Per queste ragioni credo che limiti precisi di competenza dovranno essere segnati dalla legislazione ordinaria ad un nuovo e diverso istituto della giuria, tale che risponda a quelle necessità di giustizia e a quelle esigenze di umanità e di equità, che sono vive e perenni nella coscienza dei popoli civili. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Coccia ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Il verdetto viene emanato dai giurati ed è inappellabile».

Ha facoltà di svolgerlo.

COCCIA. Eravamo d’accordo che questo emendamento aggiuntivo sarebbe stato discusso dopo decisa la soppressione o meno.

PRESIDENTE. Sta bene. La stessa cosa si può dire dell’emendamento presentato dall’onorevole Sapienza, che è del seguente tenore:

«Aggiungere il seguente comma:

«I giurati sono eletti, per il tempo e con le modalità stabilite nell’ordinamento giudiziario, dai Consigli comunali dei Comuni compresi nella circoscrizione giudiziaria».

L’onorevole Mannironi ha già svolto il seguente emendamento:

«Le sentenze delle Corti d’assise sono soggette ad appello, nei modi stabiliti dalla legge».

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Vorrei, con riferimento all’emendamento dell’onorevole Mannironi ed anche a quello dell’onorevole Coccia, ed anche alle proposte qua e là avanzate da altri colleghi su questa eventuale appellabilità delle sentenze pronunciate dalla giuria popolare, dare un chiarimento.

Noi dobbiamo, poiché questa Costituzione dovrà essere letta, speriamo, anche dai posteri, non offendere certi principî fondamentali filosofici. I verdetti della giuria popolare non possono essere appellabili e non v’è bisogno di scriverlo qui, che essi sono inappellabili, perché il concetto su cui si fonda il verdetto della giuria è che esso rappresenta l’espressione della coscienza popolare. Ora, la coscienza popolare non si può esprimere sullo stesso fatto che una sola volta, per non correre il rischio di contraddire se stessa. Perciò il pronunziato, nella Corte di assise, della giuria popolare è inappellabile. Quindi non vi può essere speranza di appellabilità ed è questo l’argomento per cui sono contro la giuria, perché non mi posso persuadere come sia data la revisione per una condanna a lire 2001 di pena pecuniaria e non possa essere data revisione per la condanna all’ergastolo.

RUBILLI. La Corte di assise è una sezione della Corte di appello.

RESCIGNO. E che vuol dire? Finché v’è la giuria, non può la sua sentenza, per ragioni di indole logica, essere impugnata nel merito. (Commenti).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento degli emendamenti.

Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 11 di lunedì prossimo, avvertendo che darò la parola al Presidente della Commissione, onorevole Ruini, perché esprima il parere sugli emendamenti.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quali ragioni, pur avendo l’onorevole Ministro assicurato personalmente l’interrogante di avere disposto la riapertura della sezione distaccata in Meta di Sorrento del liceo-ginnasio di Castellammare di Stabia, il Provveditorato agli studi di Napoli non solo non ha eseguito la disposizione, ma dichiara di ignorarla.

«Crispo».

«Al Governo, per conoscere con urgenza se intenda emettere provvedimento legislativo, che integrando il decreto legislativo del 26 aprile 1946, n. 274, contenente provvidenze per Torre Annunziata a causa del sinistro del 21 gennaio 1946, disponga la cumulabilità dell’indennità di città sinistrata e di quella di caro-vita, in estensione del decreto legislativo 26 ottobre 1947.

«Il provvedimento risponderebbe a ragioni profonde di giustizia e tenderebbe ad eliminare la particolarissima situazione di disagio in cui si sono trovati e si trovano tuttora i lavoratori a seguito delle distruzioni derivate dal sinistro stesso.

«Riccio Stefano».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se intenda provvedere al più presto al finanziamento dei lavori di completamento dell’acquedotto Alto Calore, che, iniziato e portato a buon punto in periodo fascista, attende, per essere terminato, lo stanziamento di circa 900 milioni di lire secondo i calcoli dell’ufficio competente.

«È necessario provvedere subito per tre ordini di ragioni:

1°) perché col passar del tempo le opere, incomplete, subiscono deterioramenti e danneggiamenti;

2°) perché, per quanto si siano spese grosse cifre in moneta non svalutata, alcune decine di comuni sono praticamente ancora senz’acqua o con insufficiente dotazione;

3°) perché occorre che la provincia di Avellino, nella quale pure la disoccupazione è notevole, venga tenuta presente dal Ministro dei lavori pubblici in misura superiore alle altre, in quanto che essa è rimasta del tutto esclusa dall’assegnazione di fondi per la disoccupazione in agricoltura, pur comprendendo vari comprensori di bonifica.

«Sullo, Scoca».

Ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere:

1°) per quali ragioni il Governo ha revocato o sospeso la concessione di terreno, in territorio di Mussomeli (ex feudo Polizzello), fatta regolarmente dalla Commissione per la assegnazione delle terre incolte o mal coltivate della provincia di Caltanissetta;

2°) quali provvedimenti il Governo intenda adottare per sanare la situazione creatasi col misconoscimento dei diritti dei contadini, per sottrarre la provincia di Caltanissetta al dominio della mafia, cause prime dei recenti incidenti, e per richiamare le autorità locali ad una giusta comprensione delle richieste e delle agitazioni dei contadini.

«Fiore, Montalbano, D’Amico».

«Al Ministro della difesa, per conoscere a che punto si trovino le pratiche di liquidazione dei danni causati a cittadini italiani dalle forze alleate in investimenti stradali.

«Morini».

«Ai Ministri del commercio con l’estero, delle finanze, dell’industria e commercio, dell’agricoltura e foreste, e agli Alti Commissari per l’alimentazione e per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere se non si ritiene urgente e indispensabile provvedere alla riorganizzazione ed alla trasformazione del sistema di rilascio delle licenze di importazione e di esportazione, sistema che attualmente attraversa interminabili trafile burocratiche.

«Morini».

Interesserò ì Ministri interrogati affinché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, nella costituzione dell’organico relativo alle insegnanti di scuole materne, non creda opportuno di estendere il beneficio del passaggio alle scuole elementari per le maestre di asilo, vincitrici di concorsi precedenti per titoli ed esami alle scuole elementari, come già si praticò col regio decreto-legge 17 febbraio 1927, n. 11 (articolo 6), abrogato successivamente senza plausibili motivi.

«Crispo, Bozzi, Martino Gaetano, Villabruna».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga equo adottare delle disposizioni per regolamentare la revisione dei prezzi per i contratti di appalto di opere pubbliche stipulati posteriormente all’entrata in vigore del decreto-legge del 5 aprile 1945, n. 192, contratti nei quali non fu inserita la clausola della rivedibilità, erroneamente ritenuta non necessaria.

«Silipo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno provvedere sollecitamente, in relazione anche all’inoltrarsi della stagione invernale, disporre a che i carri bestiame attualmente adibiti al trasporto dei passeggeri nelle linee ferroviarie della Sicilia, sia nelle normali, sia nelle secondarie, siano sostituiti con vetture regolari e che le vetture particolarmente nella linea secondaria Castelvetrano-Porto Empedocle, siano munite di tutti gli accessori necessari atti a garantire la salute dei viaggiatori, e altresì disporre che siano assicurate le più elementari condizioni igieniche; e quali i motivi che fino ad oggi non hanno permesso di introdurre nelle dette linee secondarie l’esercizio delle automotrici previste da tempo.

«D’Amico, Li Causi, Montalbano, Fiore, Nasi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione delle particolari condizioni in cui si è venuta a trovare la città di Messina in seguito al terremoto del 1908 – e per la ricostruzione della quale furono votate una serie di leggi speciali – e dei successivi eventi che ritardarono, ostacolarono od addirittura impedirono la rinascita della città, non credano opportuno emanare delle norme che richiamino in vigore la legge 27 settembre 1923, n. 2309, abrogando le successive aggiunte e modifiche e specialmente il decreto 26 gennaio 1933, che ridusse i contributi dello Stato, almeno nei confronti di coloro che avevano adempiuto alla suddetta legge del 27 settembre 1923, n. 2309, entro i prescritti termini del 31 marzo 1927.

«Per sapere, inoltre, se, in caso negativo, non credano di dover sciogliere con apposito decreto-legge i contratti di condominio che furono stipulati dai privati in base alle suddette leggi ed impossibilitati in seguito a costruire. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se intenda, conformemente alle aspirazioni delle popolazioni interessate, proporre d’urgenza la statizzazione della ferrovia Siracusa-Ragusa-Vizzini, avendo l’I.R.I. rifiutato il necessario finanziamento e non esistendo più una vera e propria società che provveda adeguatamente all’esercizio della linea. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Finocchiaro Aprile».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Miniati. del commercio con l’estero, dell’industria e commercio, dei trasporti e del tesoro, per conoscere:

1°) quale azione abbiano svolta, stiano svolgendo od intendano svolgere, in conseguenza dell’attuale crisi, per attivare il mercato agrumario di esportazione, nei confronti dei mercati di assorbimento e consumo, con speciale riguardo a quelli dell’Europa centrale;

2°) il motivo per cui non sia stato concesso agli esportatori di agrumi e loro derivati la libera disponibilità del 75 per cento di valuta, come già fatto per alcune categorie di esportatori settentrionali;

3°) come intendano agire perché siano immediatamente ripristinate le concessioni di credito bancario in favore dell’esportazione agrumaria ed in rapporto alle sue odierne improrogabili necessità, le quali investono gli interessi del lavoro e della economia dell’intera Sicilia;

4°) se intendano provvedere all’effettivo adeguamento dell’assegnazione dei carri ferroviari chiusi, necessari all’esportazione degli agrumi durante l’attuale campagna agrumaria; e come intendano tempestivamente risolvere il problema del relativo traghettamento e dell’applicazione di una tariffa preferenziale per tutti ì trasporti agrumari, tenendo conto dell’attuale grave situazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Finocchiaro Aprile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali fondi voglia destinare alla Basilicata, in relazione ai gravi bisogni di questa vasta regione:

  1. a) molti lavori iniziati e rimasti incompleti per mancanza di fondi, che minacciano di andare in rovina con grave danno dell’Erario e dei Comuni interessati, che attendono queste opere dall’unità della Patria; che sono state pur promesse con legge che non è stata mai applicata;
  2. b) il dovere di dotare molti Comuni del cimitero, la necessità di costruzione di edifici scolastici, urbani e rurali, di costruire strade indispensabili alla bonifica di quelle terre, dare esecuzione organica e completa al piano dei lavori di sistemazione montana predisposti dal Genio civile e dal Provveditorato alle opere pubbliche per la Basilicata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Reale Vito».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda dare disposizioni, affinché venga riconosciuto il diritto di riscatto dell’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio a quelle ditte, che non hanno potuto chiedere il riscatto stesso entro il termine stabilito dalla legge 1° settembre 1947, n. 828, perché l’accertamento iniziale o la revisione dell’accertamento provvisorio vennero notificati posteriormente al predetto termine da parte degli uffici distrettuali.

«La limitazione del diritto di riscatto danneggia molti contribuenti, che non furono inscritti nel ruolo principale 1947 per ragioni non dipendenti dalla loro volontà, e torna forse a svantaggio dello Stato che non potrà anticipare l’incasso di somme notevoli.

«Si osserva al riguardo che il testo definitivo della legge modifica sostanzialmente la lettera e lo spirito del quarto comma dell’articolo 72 del primo decreto istitutivo approvato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, supplemento al n. 73 del 29 marzo 1947, secondo il quale il riscatto era possibile per qualunque iscrizione a ruolo, purché chiesto entro il decimo giorno del mese successivo a quello di scadenza della prima rata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Garlato».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se intendano liberare le provincia liguri dall’obbligo dell’ammasso dell’olio, come è richiesto dal solidale interesse dei produttori e dei consumatori, in base alla reale situazione olearia.

«Infatti nelle provincie dell’Italia meridionale, dove la produzione è abbondantissima, gli olivicoltori insistono per consegnare all’ammasso non solo il contingente fissato ma tutta la produzione, al prezzo fissato, sicché lo Stato ha a sua disposizione quant’olio vuole da distribuire ai consumatori di tutta la Nazione.

«Al contrario, nella Liguria, la produzione è scarsa e il conferimento all’ammasso riesce di grave peso ai produttori, e l’olio non potrà essere distribuito per tessera senza essere gravato delle enormi spese che comporta questa bardatura ormai anacronistica.

«L’interesse dei consumatori, la convenienza di rispondere al desiderio dei produttori per non disaffezionarli sempre più dal lavoro agricolo, la serietà stessa della Amministrazione statale esigono la pronta attuazione dell’invocato provvedimento. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Canepa, Pera».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per sapere se non ritengano equo emendare la legge pei senza tetto per stabilire una più adeguata misura del contributo dello Stato per la ricostruzione edilizia nei paesi danneggiati dalla guerra e già danneggiati dal terremoto, dove è obbligatoria l’osservanza delle norme antisismiche, e deve perciò tenersi conto del relativo aumento di spese che, se non fosse sostenuto dallo Stato, renderebbe impossibile la ricostruzione delle case nelle sventurate zone sismiche, cui indubbiamente non può mancare la solidarietà della Nazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non creda urgente di assicurare la disponibilità di streptomicina necessaria all’ufficio provinciale di sanità di Messina, che non è in grado di fare nessuna assegnazione per assoluta mancanza del farmaco. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non creda opportuno disporre le riparazioni occorrenti alla stazione ferroviaria di Santa Teresa di Riva (Messina), popoloso centro commerciale, la quale è in stato di abbandono, fino al punto che non ripara la pioggia, oltre a mancare completamente di gabinetti e di sale di attesa di prima, seconda e terza classe e di altri servizi necessari per un minimo di comodità per i viaggiatori, pur essendo una delle stazioni più importanti della linea Messina-Catania e più redditizie per l’Amministrazione ferroviaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per le sedute di lunedì 24 novembre 1947:

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI SABATO 22 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccc.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 22 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Presidente

Lussu

Caldera

Perlingieri

Bettiol, Relatore

Bozzi

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Coccia

Rescigno

Perassi

Laconi

Perrone Capano

Russo Perez

Uberti

Tonello

Condorelli

Cianca

Crispo

Cevolotto

Fedeli Aldo

Schiavetti

Mastino Pietro

Covelli

Conti

Leone Giovanni

Togliatti

Targetti

Sull’ordine del giorno della seduta pomeridiana:

Presidente

Leone Giovanni

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista c dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Avendo ieri proceduto alla votazione a scrutinio segreto dell’emendamento sostitutivo dell’articolo 1 proposto dall’onorevole Russo Perez, emendamento che non è stato approvato, dobbiamo ora passare all’emendamento presentato dagli onorevoli Crispo, Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti, Costantini, sostitutivo degli articoli 1 e 1-bis.

Pongo in votazione il primo comma:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, ovvero associazioni o partiti col fine di mutare la Costituzione della Repubblica o la forma del Governo costituzionale parlamentare, o di sopprimere o menomare le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, con mezzi violenti o comunque non consentiti dall’ordinamento costituzionale, è punito con la reclusione da due a venti anni».

(Non è approvato).

Passiamo al primo comma dell’articolo 1 nel testo della Commissione.

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta persegua finalità o metodi propri del dissolto partito fascista, rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da due a venti anni».

PRESIDENTE. Sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Alle parole: sotto qualunque forma di partito o di movimento, sostituire le altre: oppure la formazione di un partito o di un movimento, e sopprimere le parole: rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

«Subordinatamente, alla parola: rappresentando, sostituire: ove rappresentino».

Pongo in votazione la prima frase del testo della Commissione:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista».

(È approvata).

Pongo ora in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Colitto:

«Alle parole: sotto qualunque forma di partito o di movimento, sostituire le altre: oppure la formazione di un partito o di un movimento».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione la formula della Commissione:

«Sotto qualunque forma di partito o di movimento».

(È approvata).

Passiamo alle parole:

«che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta».

Gli onorevoli Carpano Maglioli, Fogagnolo, Caldera, Vigna, Fedeli Aldo, Tomba hanno presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: paramilitare e per l’esaltazione, sostituire le parole: paramilitare o per l’esaltazione».

Pongo in votazione il testo della Commissione con l’emendamento proposto dall’onorevole Carpano Maglioli.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Passiamo alla frase seguente:

«persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista».

La Commissiono ha accolto la proposta dagli onorevoli Carpano Maglioli e altri di sopprimere le parole «o metodi»; rimane pertanto la frase così emendata:

«persegua finalità proprie del disciolto partito fascista».

La pongo in votazione.

(È approvata).

Ricordo che a questo punto vi è un emendamento soppressivo degli onorevoli Colitto e Carpano Maglioli e altri, i quali propongono di sopprimere le parole: «rappresentando un attentato alle libertà democratiche, garantite dalla Costituzione».

La Commissione è contraria alla soppressione di questo inciso.

Il Ministro della giustizia ha proposto di sostituire la parola «rappresentando» con le altre: «tali da costituire».

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto, su questo ultimo inciso.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io devo votare contro la dizione «rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione» perché a mio parere, se noi lasciamo nel testo questa espressione, creiamo la possibilità che nel caso che vi siano partiti o movimenti che incorrono in questa attività colpita dalla legge, essi si sottraggono alla pena, non solo per il giudizio del magistrato – che può essere assai vario e certe volte discutibile – ma per la stessa prova soggettiva che gli imputati possono dare.

Noi, con questo inciso, creiamo la possibilità che mai possano essere condannati gli autori di questi delitti.

A me pare che la soppressione intenderebbe affermare la sicurezza che, comunque avvenga la ricostituzione di questi partiti o movimenti, per questo solo fatto esiste la pericolosità.

Il Relatore ieri parlava appunto di questo pericolo; e questo è in qualsiasi organizzazione, senza essere obbligati ad esaminare in concreto se l’attività rappresenti un pericolo. Un pericolo sempre rappresenta il solo fatto che questi partiti o movimenti esistano.

D’altronde – e concludo – il fatto che c’è una larga distanza tra la pena minima e la pena massima da due a venti anni, ci dà la sicurezza che non si commetterà mai nessun arbitrio. C’è un largo criterio, di cui il giudice può valersi per valutare il fatto.

Pregherei, quindi, il Relatore onorevole Bettiol di aderire a questa proposta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«tali da costituire un attentato alla libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

(Dopo prova e controprova, non sono approvate).

Pongo in votazione le ultime parole del primo comma:

«è punito con la reclusione da due a venti anni».

(Sono approvate).

Pongo in votazione ora l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Zanardi:

«e alla confisca dei beni».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo al secondo comma:

«Chiunque vi aderisce è punito con la reclusione sino a tre anni».

Ricordo che il Relatore ha accettato la proposta dell’onorevole Crispo di sostituire la parola: «aderisce» con l’altra: «partecipa».

A questo comma vi è una proposta soppressiva dell’onorevole Coppa.

Rammento che l’onorevole Caldera ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere le parole: in qualsiasi modo o forma».

Pongo in votazione le parole:

«Chiunque vi partecipa».

(Sono approvate).

Passiamo ora all’emendamento dell’onorevole Caldera.

CALDERA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo, pertanto, in votazione la seconda parte del testo della Commissione:

«è punito con la reclusione sino a tre anni».

(È approvata).

L’articolo 1 risulta nel suo complesso così approvato:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare o per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta persegua finalità proprie del disciolto partito fascista, è punito con la reclusione da due a venti anni e alla confisca dei beni.

«Chiunque vi partecipa è punito con la reclusione sino a tre anni».

Passiamo all’articolo 1-bis del testo della Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione, con mezzi violenti, dell’istituto monarchico ovvero ne agevola la costituzione, è punito con la reclusione da uno a quindici anni.

«Chiunque vi aderisce è punito con la reclusione sino a due anni».

PRESIDENTE. L’onorevole Coppa ha proposto di sopprimerlo.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. Vorrei far notare che la dizione di questo articolo mi sembra alquanto imprecisa o per lo meno capace di suscitare un equivoco, perché l’articolo dice: «Chiunque promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione, con mezzi violenti, dell’istituto monarchico», e fin qui sta bene. Poi aggiunge: «ovvero ne agevola la costituzione».

Questa frase si potrebbe riferire esclusivamente e puramente all’istituto monarchico in sé e per sé. Ora, faccio rilevare che agevola la ricostituzione dell’istituto monarchico – a parte i mezzi violenti – anche il partito monarchico, contro il quale non è possibile stabilire delle comminatorie.

Dunque io proporrei di dire invece: «Chiunque promuove un movimento, costituisce o agevola la costituzione di un partito diretto alla restaurazione con mezzi violenti dell’istituto monarchico, è punito con la reclusione».

A me sembra più chiaro, perché altrimenti ci troveremmo nelle condizioni di dover dichiarare illegale l’esistenza anche di un partito democratico, quale può essere quello monarchico.

Insomma, la sanzione è diretta contro la violenza e non contro il metodo democratico.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Mi pare che sia sottinteso che questa «agevolazione» deve fare riferimento anche ai mezzi violenti. In sostanza alla Commissione pare che sia implicito che questa «agevolazione della costituzione» di un partito debba fare riferimento ai mezzi violenti.

Quindi, la Commissione non accetta l’emendamento proposto.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io pregherei che nel secondo comma per euritmia con l’articolo precedente dove dice: «vi aderisce» bisogna dire: «vi partecipa».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il suo parere.

BETTIOL, Relatore. Accetto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di grazia e giustizia di esprimere il suo parere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Non ritengo fondato il rilievo dell’onorevole Perlingieri. Accetto la proposta dell’onorevole Bozzi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 1-bis:

«Chiunque promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione, con mezzi violenti, dell’istituto monarchico, ovvero ne agevola la costituzione, è punito con la reclusione da 1 a 15 anni».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Chiunque vi partecipa è punito con la reclusione sino a due anni».

(È approvato).

L’articolo è così approvato nel testo della Commissione, salvo la sostituzione della parola «partecipa» alla parola «aderisce».

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione sino a dieci anni».

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati già svolti i seguenti emendamenti:

«Sopprimerlo».

«Scalfaro».

«Sostituirlo col seguente:

«Chiunque, svolgendo attività fascista o attività determinata dal fine di restaurare l’istituto monarchico, commette, con violenza o minaccia, un fatto diretto ad impedire od ostacolare l’esercizio dei diritti politici o civili dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione sino a 10 anni.

«La stessa pena si applica a chiunque, con violenza o minaccia, istiga taluno ad esercitare i diritti suddetti in senso difforme dalla sua volontà.

«La pena è aumentata se si verifica l’evento.

«La pena è, inoltre, aumentata se concorrono le circostanze aggravanti, prevedute nell’articolo 339 del Codice penale».

«Crispo, Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti. Costantini».

«Alle parole: Chiunque svolge attività fascista, sostituire le parole: Chiunque svolge attività nel senso indicato dall’articolo 1».

«Russo Perez».

L’onorevole Coccia ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo o ostacolando, sostituire le seguenti: Chiunque, svolgendo attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedisce od ostacola».

Ha facoltà di svolgerlo.

COCCIA. Onorevoli colleghi, il mio emendamento tende a chiarire la prima parte dell’articolo 2, là dove si dice: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo o ostacolando, ecc.». A me pare che questo «svolge attività fascista» seguita poi da «attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico» possa creare un equivoco, in quanto gli atti di violenza, non si capisce bene se siano rivolti anche a chi svolge attività fascista o anche a chi svolge soltanto attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. Mi pare dunque che sarebbe più chiaro dire: «Chiunque svolgendo attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, ecc.». Così è più chiaro e non c’è difficoltà di interpretazione che l’impedimento e l’ostacolo si rivolge tanto all’«attività fascista» quanto all’«attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico». Sembrandomi più chiara questa dizione, insisto sul mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 2 col seguente:

«Chiunque, svolgendo attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedisce od ostacola con violenza, minaccia o inganno l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione fino a dieci anni».

L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Onorevoli colleghi, due modifiche propone il mio emendamento. L’una è analoga a quella dell’onorevole Coccia; l’altra è di natura sostanziale. L’azione criminosa che l’articolo 2 vuole punire è indubbiamente l’attentato all’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, che si commetta nello svolgimento dell’attività fascista o monarchica. In altri termini, si tratta della stessa azione criminosa la quale è prevista ed è punita dall’articolo 294 del Codice penale, solamente che qui si intende estendere la sanzione anche all’attentato ai diritti civili, perché l’articolo 294 contempla solamente l’attentato all’esercizio dei diritti politici, e si vuole punirlo giustamente in una maniera più severa quando venga esplicato da fascisti o da monarchici. Ora, con la dizione proposta dalla Commissione (cioè: «chiunque svolge, ecc., impedendo o ostacolando») sembra si voglia dire che l’attentato all’esercizio dei diritti civili o politici sia un aspetto particolare dell’attività fascista o monarchica, mentre si può a questo esercizio attentare da chiunque. Quindi, formalmente, mi sembra meglio dire: «chiunque svolgendo attività fascista, ecc., impedisce o ostacola, ecc.».

Io aderisco perfettamente a questo emendamento che è anche dell’onorevole Coccia.

L’altra mia proposta è di natura sostanziale, perché si attenta all’esercizio libero dei diritti civili e politici, non solamente usando la forza, ma anche con la frode. Ed il fascismo fu maestro non solamente di violenza, ma anche di frode. I famosi plebisciti, che poi si scolpivano e si eternavano sui muri cittadini, erano il frutto, non solamente della paura che si incuteva all’elettore, ma anche dei brogli elettorali e delle insidie che si tendevano agli ignoranti ed agl’ingenui. Quindi, io propongo che ai due mezzi delittuosi indicati qui nell’articolo 2 – specialmente perché oggi ci troviamo di fronte a complesse disposizioni della legge elettorale, e ci troviamo anche di fronte al fatto delle donne che vanno alle urne e degli analfabeti ancora numerosi – ai due mezzi della violenza e della minaccia, si aggiunga anche il terzo mezzo dell’inganno. Questo non solamente per le ragioni che ho prospettate, non solamente perché in genere si può delinquere con la forza o con la frode, e lo disse anche il Divino Poeta:

D’ogni malizia ch’odio in Cielo acquista

Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale

o con forza o con frode altrui contrista.

ma anche per euritmia con l’articolo 294 del Codice penale.

Così ci saremo protetti contro la rinascita di questo fascismo, non solamente sotto il punto di vista dell’esaltazione che esso faceva della violenza, ma anche e soprattutto dalle sue frodi e dalle sue astuzie. (Approvazioni).

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Aderisco alle osservazioni fatte dall’onorevole Rescigno che ha svolto l’emendamento all’articolo 2.

L’onorevole Rescigno ha allargato un po’ la definizione del reato in esso previsto, richiamandosi all’articolo 294 del Codice penale, che prevede l’attentato ai diritti politici.

Mi limito a fare una piccola integrazione di queste osservazioni. Per quanto riguarda la pena, osservo che nel testo primitivo del Governo la pena per questo reato era indicata da tre ai dodici anni di reclusione. Nel testo della Commissione questa pena è stata modificata, dicendosi che il fatto è punito con la reclusione fino a 10 anni: il che significa che non soltanto si è abbassato il limite massimo della pena, ma si è tolto il minimo.

Ora, l’articolo 294, di cui questo reato non è se non una particolare configurazione, contiene l’indicazione del minimo di un anno. Mi pare, per ragioni di coerenza, che anche l’articolo 2, nel quale si eleva il massimo, della pena debba indicare un minimo; e mi sembra che questo minimo non possa essere inferiore a quello dell’articolo 294. Perciò propongo che nell’ultima frase dell’articolo si dica: «con la reclusione da uno a dieci anni».

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il suo parere.

BETTIOL, Relatore. In sostanza, gli emendamenti presentati dagli onorevoli Crispo, Rescigno e Coccia sono tutti orientati verso una modificazione di carattere formale della dizione dell’articolo 2 di questo disegno di legge. E invero, se noi consideriamo questa fattispecie delittuosa, vediamo come essa si presenta, rispetto all’articolo 294 del Codice penale, in cui il fatto consiste nell’impedire e ostacolare con atti di violenza l’esercizio dei diritti. Di caratteristico questa fattispecie ha che questo impedimento, questo ostacolo deve avvenire nell’esercizio dell’attività fascista o monarchica.

Quindi, credo sia meglio accettare la dizione proposta dai colleghi, «svolgendo attività fascista o monarchica». Perciò prenderei come base di discussione il primo comma dell’emendamento sostitutivo dell’onorevole Crispo, che abbraccia in sé tanto quello dell’onorevole Rescigno quanto quello dell’onorevole Coccia.

Per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Rescigno, noi saremmo disposti ad includere anche «inganno» oltre «violenza e minaccia» per le ragioni così chiaramente esposte dall’onorevole Rescigno.

Circa l’aumento del minimo di pena proposta dall’onorevole Perassi, vorrei ricordare come nella Sottocommissione ci siamo trovati d’accordo nell’abbassare le pene previste dal progetto ministeriale. In materia, ricordo un intervento dell’onorevole Togliatti il quale disse che se noi prevediamo pene troppo elevate, in pratica può capitare che il giudice non le applichi mai. Quindi la Commissione sarebbe contraria a toccare le pene previste dal progetto della Commissione nell’articolo 2.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il suo parere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Trovo, in conformità alle proposte fatte dagli onorevoli Coccia e Rescigno, che è meglio precisare «chiunque, svolgendo attività fascista diretta impedisce ed ostacola», in quanto noi incidiamo il reato dicendo: «impedisce e ostacola». Quindi accetto in questo senso l’emendamento, già accolto dalla Commissione.

La Commissione ha dichiarato di accogliere anche l’aggiunta dell’«inganno», che costituisce altra forma tipica dell’articolo 294 del Codice penale. Bisogna considerare che la violenza e la minaccia impediscono ed ostacolano l’esercizio, ma l’inganno non fa questo, bensì, come previsto dall’articolo 294, determina taluno ad esercitare in senso difforme la sua volontà. Sicché, se vogliamo fare entrare anche l’inganno, dobbiamo completare l’articolo in conformità all’articolo 294 del Codice penale.

Sono d’accordo, a differenza della Commissione, con l’onorevole Perassi, il quale propone di stabilire il minimo della pena. Se l’articolo 294 del Codice penale stabilisce il minimo della pena per questo reato, non capisco perché la Commissione debba abbandonarlo. La pena della reclusione va da quindici giorni a 24 anni; evidentemente quindici giorni sarebbero troppo poco. Quindi bisogna stabilire il minimo, cioè un anno.

BETTIOL, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL, Relatore. Per quanto riguarda l’«inganno», la Commissione è d’accordo di limitarsi al Codice penale, senza complicare la formulazione di questo articolo; cioè non accetta l’emendamento Rescigno.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. L’onorevole Russo Perez è assente e si intende abbia rinunziato al suo emendamento.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Faccio mio il testo originario della Commissione.

PRESIDENTE. Allora voteremo per primo il testo originario della Commissione, ripreso e fatto proprio dall’onorevole Laconi, che naturalmente ha la precedenza sul testo emendato fatto proprio dalla Commissione.

Pongo in votazione le parole dell’articolo 2:

«Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico…»

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«impedendo o ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave».

(Sono approvate).

Pongo ora in votazione l’emendamento dell’onorevole Perassi:

«con la reclusione da uno a dieci anni».

(È approvato).

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Io credo che si debba votare anche, del mio emendamento, la parola «inganno» da includere dopo la parola «minaccia».

Mi permetto di dissentire dal Ministro sul concetto che l’inganno si possa riferire semplicemente all’esercizio del diritto politico in senso difforme dalla propria volontà. Si può anche, con l’inganno, impedire tale esercizio. Per esempio, si può impedire l’esercizio, stando all’attuale legge elettorale, in questo modo: una donnetta la quale sia inferma e non può recarsi personalmente alle urne, rilascia una delega ad uno qualsiasi, il quale non va a votare. In questo caso, si è impedito alla donna di esercitare il suo diritto politico, e vi è l’inganno.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Rescigno:

«Dopo le parole: ostacolando con atti di violenza o di minaccia» aggiungere: o con inganno».

(È approvato).

Il testo dell’articolo 2 risulta nel suo complesso così approvato:

«Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza, di minaccia o con inganno l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione da uno a dieci anni».

Passiamo all’articolo 3, se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque, al fine di svolgere alcuna delle attività prevedute negli articoli precedenti, promuove, dirige o sovvenziona una banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da dieci a trenta anni.

«Chiunque partecipa alla banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da tre a quindici anni».

PRESIDENTE. A questo articolo, gli onorevoli Crispo, Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti e Costantini hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Chiunque, per uno dei fini indicati negli articoli precedenti, promuove, forma, dirige o sovvenziona una banda armata di tre o più persone è punito, per ciò solo, con la reclusione da 10 a 20 anni».

L’onorevole Crispo ha già svolto questo emendamento.

Gli onorevoli Mazza, Colitto, Covelli, Corsini, Benedettini, Giacchero, Morelli Renato, Scoca, Bubbio, Proia e Perrone Capano hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Chiunque, per fini politici, promuove, dirige o sovvenziona una banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da dieci a trenta anni».

Poiché l’onorevole Mazza non è presente, invito qualcuno dei firmatari a svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Mantengo l’emendamento e rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.

BETTIOL, Relatore. L’emendamento dell’onorevole Mazza non viene accettato dalla Commissione per i motivi di carattere generale già specificati ieri.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Crispo, la Commissione accetta l’aggiunta della parola «forma» dopo la parola «promuove». Per quanto riguarda le bande armate, la Commissione accetta di specificare «di tre o più persone».

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro di grazia e giustizia ad esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Aderisco a quanto ha detto il Relatore.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei fare una domanda alla Commissione. Io personalmente non ho creduto di votare la proposta con la quale all’articolo 1 si è stabilito che il delitto ivi preveduto, sia punito, oltre che con la reclusione da due a vent’anni, con la confisca dei beni.

Però, allo stato delle cose, siccome l’Assemblea ha votato quell’aggiunta, io vorrei domandare alla Commissione se non ritenga opportuno di fare qualche proposta nei riguardi dell’articolo 3, in cui si prevede un delitto, per il quale è comminata una pena detentiva superiore a quella stabilita nell’articolo primo. A me pare che converrebbe evitare che nella legge vi sia un’evidente incongruenza. Se la Commissione volesse proporre all’Assemblea di riesaminare la questione anche nei riguardi dell’articolo 1, nel senso che tanto nel primo articolo quanto nell’articolo 3 sia stabilita, oltre la reclusione, una forte multa, io sarei pronto ad appoggiare tale proposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Bettiol ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Per quanto riguarda la proposta di aggiungere la pena della confisca dei beni, la Commissione ritiene che sia questa un rimasuglio di pene primitive, arcaiche e barbare che non collimano con quelle del nostro diritto positivo.

Se si vuole aggiungere una pena pecuniaria, la Commissione non ha niente in contrario, ma non accetta l’aggiunta della confisca dei beni.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. È un problema di coerenza, che si pone anzitutto alla Commissione, la quale ha una certa responsabilità nel salvaguardare la linea logica delle leggi che si fanno. Comunque, ripeto, il problema potrebbe essere riesaminato.

PRESIDENTE. Lei stesso può formulare una proposta scritta da presentare alla Presidenza.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Faccio mia la proposta; propongo cioè che, anche per i reati previsti dall’articolo 3 sia applicata la pena della confisca dei beni e quindi, si aggiungano le parole «e la confisca dei beni».

PRESIDENTE. La Commissione ha già espresso il suo avviso attraverso le parole dette poco fa dal Relatore. Ha facoltà ora di parlare l’onorevole Ministro di grazia e giustizia per esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io ho detto prima che aderivo alle proposte fatte dalla Commissione per quelle modifiche ed aggiunte le quali non siano tali da cambiare il testo. Certo che ora questa aggiunta che si propone esce un po’ fuori dalla linea generale. Io non nascondo che le osservazioni dell’onorevole Perassi mi sembrano giuste; ma non è possibile che per una aggravante applichiamo una di queste pene non considerate dal Codice, che non esistono come pena, e che peraltro, ormai la Camera avrebbe approvato. Il Governo si rimette, a questo riguardo, a ciò che l’Assemblea deciderà.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Dichiaro che voterò contro la proposta dell’onorevole Laconi, intesa ad aggiungere la confisca dei beni alle sanzioni comminate da questo articolo, poiché sono contrario a simili forme odiose di persecuzione, per le quali si può ben dire essere storicamente provato che esse vengono attuate sempre da legislatori di carattere tipicamente «fascista». (Interruzioni – Rumori a sinistra).

Questo è fascismo in atto! Questa è apologia del fascismo! (Commenti – Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, lei non era presente nell’Aula all’inizio della seduta, altrimenti saprebbe che l’Assemblea ha già approvato a proposito dell’articolo 1 una disposizione per la confisca dei beni. Forse, se l’avesse saputo, avrebbe espresso il suo pensiero in altra forma.

RUSSO PEREZ. Avrei espresso, allora, il mio rammarico e la mia protesta!

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Il nostro Gruppo voterà contro la proposta Laconi, ricordando quello che in Commissione disse l’onorevole Togliatti che, cioè, se si fanno leggi eccessivamente severe queste poi, non saranno applicate. E se facciamo una norma che non potrà essere applicata faremo un’opera non producente, ai fini della legge stessa.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Io ebbi l’onore, onorevoli colleghi, di vedere confiscati dai ladroni fascisti i beni che non avevo (Ilarità) e riconobbi, allora, che il fascismo era logico nel suo atteggiamento.

Siamo logici anche noi, se ad un certo momento rendiamo dente per dente. (Proteste al centro e a destra).

Io penso, onorevoli colleghi, che l’unica parte sensibile dei finanziatori del fascismo sia il portafoglio. Bisogna colpirli nel portafoglio; bisogna che sappiano cosa vuol dire andare per il mondo in miseria e lavorare per poter vivere.

Così bisogna fare: bisogna che l’Italia nuova abbia questo coraggio: condannarli tutti alla bolletta dura, questi assassini! (Commenti a destra).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il Presidente ha fatto giustamente notare all’onorevole Russo Perez che la mia proposta poggiava sopra un precedente, cioè sul fatto che l’Assemblea aveva già votato la confisca dei beni.

Vorrei far notare all’onorevole Uberti che l’Assemblea ha votato questa confisca per un reato, diciamo così, minore; qui si tratta di promuovere, dirigere o sovvenzionare una banda armata, il che è qualche cosa di più della costituzione di un partito.

Quindi, mi pare evidente che a maggiore ragione dobbiamo votare in favore della pena della confisca in questa sede.

UBERTI. Se si è fatto un errore prima, persistere nell’errore sarebbe ancora peggio. Noi votando contro in questa sede, al provvedimento della confisca siamo coerenti non avendolo votato in occasione dell’articolo 1.

CONDORELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Le parole esplose testé dalla bocca dell’onorevole Tonello sintetizzano, in una formula storica, il livello della dottrina penalista, il senso di giustizia che nutriamo nell’anno di grazia 1947. (Rumori a sinistra). Si invoca in piena Costituente italiana l’applicazione della legge del taglione. (Rumori a sinistra).

È questa la libertà, è questa la giustizia sociale con cui si è concluso il nostro travaglio rivoluzionario. (Applausi a destra – Rumori a sinistra).

CIANCA. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Noi abbiamo concepito questa legge non come legge di vendetta, perché ciò imprimerebbe alla legge il segno della sterilità, ma come una legge volta a difendere le istituzioni repubblicane e democratiche contro il pericolo della resurrezione, sotto qualsiasi forma, di un regime che è costato all’Italia quello che è costato.

Per quanto riguarda il problema che è in discussione, io debbo francamente dire al collega onorevole Uberti che mi stupisco del semplicismo della formula che egli ha adottato per giustificare il fatto che nei confronti di un reato più grave si escluda una sanzione che è stata comminata per un reato meno grave. Io sono perfettamente d’accordo su ciò con l’onorevole Perassi: c’è anche un problema di coerenza.

RUSSO PEREZ. C’è un problema di coerenza anche nell’errore?

CIANCA. Noi abbiamo votato nell’articolo primo una pena anche finanziaria, la quale ha un valore morale e politico che certamente non sfugge a nessuno dei colleghi presenti in quest’Aula. Perché dunque dovremmo escludere la stessa sanzione per un reato più grave? Pensate che si tratta di bande armate e di chi le finanzia. Come è possibile che l’Assemblea si rifiuti di comminare questa sanzione nei confronti di coloro che si servono del loro danaro per gettare nello stato democratico e repubblicano il seme della discordia, della guerra civile?

Io voterò pertanto nel senso che, anche nei riguardi di coloro i quali costituiscano e finanzino bande armate, sia comminata la confisca dei beni.

CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro, anche a nome dei colleghi di questa parte, che noi abbiamo votato contro la misura di sicurezza economica a proposito dell’articolo 1; ora, essendo stata approvata detta misura per un reato meno grave, si deve per coerenza approvarla anche per il reato più grave di cui all’articolo 3 (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo ora, in votazione la prima parte dell’articolo 3.

«Chiunque, al fine di svolgere una delle attività prevedute negli articoli precedenti, promuove».

(È approvata).

Secondo l’emendamento dell’onorevole Crispo, accettato dalla Commissione pongo in votazione la parola:

«forma».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole:

«dirige o sovvenziona».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«una banda armata».

(Sono approvate).

Secondo l’emendamento dall’onorevole Crispo, accettato dalla Commissione e dal Ministro, pongo in votazione le parole:

«di tre o più persone».

(Sono approvate).

Pongo ora, in votazione le parole:

«è punito, per ciò solo, con la reclusione da dieci a trenta anni».

(Sono approvate).

Pongo ora, in votazione, l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Laconi:

«e con la confisca dei beni».

(È approvato).

Passiamo ora al secondo comma.

Onorevole Crispo, nel suo emendamento c’è la proposta di sostituire alla pena dai tre ai quindici anni, quella da dieci a venti; la mantiene?

CRISPO. La ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo allora in votazione il secondo comma nel testo proposto dalla Commissione:

«Chiunque partecipa alla banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da tre a quindici anni».

(Sono approvate).

L’articolo 3, risulta, nel suo complesso così approvato:

«Chiunque, al fine di svolgere alcuna delle attività prevedute negli articoli precedenti, promuove, forma, dirige o sovvenziona una banda armata di tre o più persone, è punito, per ciò solo, con la reclusione da dieci a trenta anni e con la confisca dei beni.

«Chiunque partecipa alla banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da tre a quindici anni».

Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Nella ipotesi di concorso nel delitto preveduto nell’articolo 3 con alcuno dei delitti preveduti negli articoli 1 e 2, quando si tratta di fatti che per la loro gravità sono tali da potere provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con la reclusione non inferiore ad anni ventuno, e, nei casi più gravi, con la pena dell’ergastolo».

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato un emendamento dagli onorevoli Crispo, Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti e Costantini tendente a sopprimerlo. Questo emendamento è stato già svolto.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei chiedere un chiarimento alla Commissione.

Se ho ben compreso, questo articolo configura una ipotesi di concorso di reati, derogando sotto qualche riguardo a quelle che sono le norme generali del Codice penale in materia di concorso di reati.

Ora, per quanto concerne la formulazione, io mi domando se non è incorso un errore di stampa quando, nella prima linea dell’articolo 4 si dice: «Nella ipotesi di concorso nel delitto»; mi sembra che si dovrebbe dire: «concorso del delitto con alcuno dei delitti, ecc.»: si dovrebbe, cioè, dire «del», e non «nel».

Una seconda domanda. Nell’articolo 4 si dice: «concorso con alcuno dei delitti preveduti negli articoli 1 e 2». E a questo riguardo il testo della Commissione riprende letteralmente il testo iniziale del progetto del Governo. Siccome allo stato delle cose l’articolo 1 è stato diviso in due, mi pare che nell’articolo 4, oltre che il concorso coi delitti preveduti al 1° e al 2° articolo, occorra comprendere anche il concorso con il delitto preveduto dall’articolo 1-bis. Suppongo che su questo punto la Commissione non potrà non essere d’accordo.

PRESIDENTE. Sta bene. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione non accetta naturalmente l’emendamento soppressivo, perché i fatti sono tali da essere veramente gravi; quindi, non ci sono ragioni politiche o logiche di eliminare questo articolo.

Per quanto riguarda le osservazioni dell’onorevole Perassi, la Commissione le accetta, perché esse riguardano questioni dr forma che perfezionano la formulazione dell’articolo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di grazia e giustizia di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Anch’io sono per il mantenimento dell’articolo perché le osservazioni dell’onorevole Crispo erano fondate su argomenti tecnici o cioè sul fatto che le norme relative al concorso di reati e al cumulo delle pene già esistono nel Codice penale. Per ragioni tecniche il primo testo del Governo portava l’applicazione della legge del 1944. La Commissione ha comminata la pena dell’ergastolo, che è la pena massima da dare secondo il nostro Codice.

Quindi credo che sia da confermare quello che la Commissione ha fatto.,

Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Perassi, mi pare giusto che debba farsi richiamo anche all’articolo 1-bis.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. È solo per rispondere all’osservazione dell’onorevole Ministro. Io non avevo detto soltanto quello che l’onorevole Ministro ha ricordato. Avevo detto anche che la qualità di capo o promotore, ai fini della pena, è contemplata nell’articolo 1 come nell’articolo 3. Sicché questa qualità di capo o promotore era stata tenuta presente per stabilire una pena più grave.

Ora, con l’articolo 4, questa qualità è considerata anche in funzione di un’aggravante speciale. Il che nel nostro Codice non è consentito.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io ho votato contro la confisca dei beni perché è una modificazione del sistema delle pene del nostro Codice penale.

Però, se questa pena è stata inclusa nell’articolo 1 e nell’articolo 3, è necessario aggiungerla anche in questo articolo che rappresenta il massimo di gravità dei reati che qui sono contemplati.

PRESIDENTE. Il testo dell’articolo, con le rettifiche suggerite dall’onorevole Perassi ed accettate dalla Commissione e dal Ministro di grazia e giustizia, suona così:

«Nella ipotesi di concorso del delitto preveduto nell’articolo 3 con alcuno dei delitti preveduti negli articoli 1, 1-bis e 2, quando si tratta di fatti che per la loro gravità sono tali da potere provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con la reclusione non inferiore ad anni ventuno e, nei casi più gravi, con la pena dell’ergastolo».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Cevolotto: «e con la confisca dei beni».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 5. Se ne dia lettura:

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque pubblicamente istiga a commettere alcuno dei delitti preveduti negli articoli precedenti, è punito con la reclusione da uno a otto anni».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Fedeli Aldo, Vigna, Malagugini, Tomba, Costa e Caldera hanno proposto il seguente emendamento:

«Alla parola: pubblicamente, sostituire le seguenti: per mezzo della stampa o in altro modo pubblicamente».

L’onorevole Fedeli Aldo ha facoltà di svolgerlo.

FEDELI ALDO. Onorevoli colleghi, si tratta di un semplice emendamento di forma, che non attiene alla sostanza dell’articolo.

La Commissione, nel modificare il testo ministeriale, ha osservato quanto segue: «Chiunque pubblicamente istiga» è equivalente e comprensivo di «ogni e qualsiasi mezzo con cui l’istigazione possa pubblicamente e quindi anche con il mezzo della stampa, essere compiuta».

Nulla da eccepire per quanto riguarda la logica e il significato lessicale. Ma non è privo di significato che il testo ministeriale abbia voluto indicare e specificare in modo autonomo il mezzo della stampa, evidentemente riscontrandolo come il più temibile e pericoloso per la capacità pronta ed ampia di diffusione e per il potere suggestivo. Ed allora siccome siamo di fronte ad una legge speciale, che ha bisogno di particolare chiarezza, noi crediamo che sia consigliabile ritornare al testo ministeriale come quello che sottolinea ed accentua il mezzo della stampa fendendo chiara ed inequivocabile la dizione dell’articolo.

Siamo in un momento di carenza di legge sulla stampa e quindi questa esigenza di chiarezza è tanto più sentita. Saranno evitati così equivoci di interpretazione e perplessità di giudici di cui abbiamo avuto sconfortanti e – lasciatemi dire – scandalosi esempi nell’applicazione delle leggi epurative.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo parere.

BETTIOL, Relatore. La Commissione per quanto riguarda la questione della stampa aveva creduto di eliminare l’inciso «a mezzo della stampa» dato che è in corso di elaborazione una legge sulla stampa la quale riguarda la repressione dei reati ad essa collegati. Quindi la Commissione si attiene al testo presentato.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo potrebbe anche mantenere le parole «a mezzo della stampa» ma si è convinto che la formulazione della Commissione è identica, perché nell’articolo 266 del Codice penale è detto testualmente: «…agli effetti penali il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è compiuto: 1°) col mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda».

Quindi siccome c’è un articolo testuale nel Codice, il Governo ritiene si debba accogliere la formulazione della Commissione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione delle seguenti parole dell’articolo nel testo governativo, che l’onorevole Fedeli Aldo ha ripreso come emendamento al testo della Commissione:

«Chiunque, a mezzo della stampa o in altro modo».

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Voterò a favore dell’emendamento Fedeli Aldo non solo perché, naturalmente, è più opportuno rendere esplicito quello che altrimenti sarebbe implicito, ma perché esiste il ragionevole dubbio che il Governo nel presentare alcune disposizioni di carattere urgente sulla legge sulla stampa non abbia il modo e il tempo di inserire una disposizione che renda chiaro questo punto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole: «Chiunque a mezzo della stampa, o in altro modo».

(Dopo prova e controprova sono approvate).

Pongo in votazione le restanti parole dell’articolo: «pubblicamente istiga a commettere alcuni dei delitti preveduti negli articoli precedenti, è punito con la reclusione da uno a otto anni».

(Sono approvate).

Passiamo all’articolo 5-bis. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque esalta pubblicamente i capi e le ideologie proprie del fascismo o compie pubblicamente manifestazioni di carattere fascista, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

PRESIDENTE. Ricordo che è stato già svolto dall’onorevole Russo Perez il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 5-bis col seguente:

«Chiunque pubblicamente compie manifestazioni sediziose è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni».

L’onorevole Fedeli Aldo ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: esalta pubblicamente, aggiungere: con i mezzi anzidetti».

L’onorevole Fedeli ha facoltà di svolgerlo.

FEDELI ALDO. Lo mantengo rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. L’emendamento dell’onorevole Russo Perez non viene accettato dalla Commissione per quelle ragioni di carattere generale già conosciute. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Fedeli, dato che l’Assemblea ha approvato poco fa il riferimento alla stampa, la Commissione lo accetta.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Mi pare che l’emendamento dell’onorevole Fedeli limiti l’applicazione dell’articolo 5-bis, in quanto con l’aggiunta «con i mezzi anzidetti» l’applicazione dell’articolo è limitata ai casi in cui concorra l’estremo dell’uso di quei determinati mezzi e si dà proprio modo alla Magistratura di non applicare questa disposizione, di fronte a troppi casi.

FEDELI ALDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FEDELI ALDO. Quando si dice «a mezzo della stampa o con altri mezzi» c’è un «o» disgiuntivo che fa sì che non siano richiesti vari mezzi contemporanei, ma che ciascuno per conto proprio sia idoneo.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Vorrei chiedere alla Commissione, se lo crede opportuno, di sostituire, così come era nel disegno di legge del Governo, alle parole «i capi», le parole «le persone»; perché a me pare che l’espressione «i capi» possa indurre un certo dubbio se si tratti dei capi defunti o dei capi che non ci auguriamo più.

PRESIDENTE. Lei proporrebbe: «Chi esalta pubblicamente le persone»? L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione ritiene di attenersi al testo elaborato, cioè di parlare di «capi», perché «persone» è termine troppo generico. Ci potrebbe essere un individuo qualsiasi del passato regime che ha fatto un acquedotto, e allora una forma di elogio potrebbe essere considerata come esaltazione della persona stessa.

È meglio parlare di «capi», come di coloro che furono i responsabili della politica che ha determinato la catastrofe del Paese.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi sembra che abbia ragione la Commissione, che ha modificato cercando di riferirsi ai capi del fascismo. Effettivamente la parola «persone» potrebbe far nascere un equivoco, tanto che la Magistratura potrebbe non sapere quando debba applicare la pena.

PRESIDENTE. Onorevole Rescigno, lei mantiene il suo emendamento?

RESCIGNO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Russo Perez:

«Chiunque pubblicamente compie manifestazioni sediziose è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni».

Rilevo che questo emendamento non ha attinenza col testo in discussione.

RUSSO PEREZ. Io sono di parere contrario. Evidentemente, il canto «Giovinezza» potrebbe considerarsi una manifestazione sediziosa; ma anche altre forme potrebbero essere considerate sediziose.

PRESIDENTE. Mi pare che questa norma starebbe bene in un testo penale generale, e non in una legge specifica come questa. Comunque, pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Russo Perez.

(Non è approvato).

Pongo in votazione le prime parole dell’articolo 5-bis con l’emendamento dell’onorevole Rescigno: «chiunque esalta pubblicamente le persone».

(Sono approvate).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Fedeli Aldo:

«con i mezzi anzidetti».

(È approvato).

Pongo in votazione la rimanente parte dell’articolo:

«e le ideologie proprie del fascismo o compie pubblicamente manifestazioni di carattere fascista è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

(È approvata).

Il testo definitivo dell’articolo risulta così formulato:

«Chiunque esalta pubblicamente con i mezzi anzidetti le persone e le ideologie proprie del fascismo o compie pubblicamente manifestazioni di carattere fascista è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

La Commissione ha proposto la soppressione dell’articolo 6 del testo governativo, così formulato:

«Chiunque con i mezzi indicati nel precedente articolo fa propaganda per la restaurazione della dinastia sabauda è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni».

Gli onorevoli Fedeli Aldo, Vigna, Malagugini, Tomba, Costa, Caldera hanno proposto di ripristinare il testo ministeriale.

L’onorevole Fedeli Aldo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

FEDELI ALDO. In qualche settore di questa Assemblea si è definita liberticida questa richiesta di far rivivere l’articolo 6 del testo ministeriale. Penso che non si tratti di disposizione liberticida, ma semplicemente di una disposizione, che difende e protegge le nuove istituzioni datesi dal popolo italiano.

Nella perspicua relazione dell’onorevole Bettiol, la soppressione dell’articolo 6 è giustificata con le seguenti parole: «Viva è stata in seno alla Commissione la discussione sull’articolo 6. Per alcuni la disposizione deve ritenersi giustificata, perché viene incriminata la propaganda a favore della restaurazione della dinastia sabauda, che è stata complice del fascismo, mentre non viene punita la propaganda dell’idea monarchica come tale. Da altri si osserva che una propaganda monarchica astratta non esiste o è in Italia inconcepibile, per cui, se è legale dal punto di vista costituzionale un partito monarchico, negare a questo partito la possibilità di propagandare con mezzi democratici l’idea della restaurazione sabauda significherebbe negare una delle fondamentali libertà politiche».

Cosa vuol dire questo? Siccome in Italia c’è una esigenza democratica, la quale deve ammettere l’esistenza del partito monarchico, e siccome in Italia monarchia vuol dire Savoia, bisognerebbe esaltare i Savoia per potere difendere la democrazia e la libertà.

Evidentemente, è una giustificazione che contiene in sé contradizioni e sofismi; tanto più che, in altra parte della relazione, la Commissione accetta il principio che storicamente in Italia, durante il ventennio, monarchia e fascismo sono stati un idem et unum. Ed allora esaltare la monarchia dei Savoia, vuol dire esaltare il fascismo. E poiché abbiamo fatto queste leggi per sopprimere l’attività fascista, non dobbiamo adottare una disposizione, la quale impedisca, attraverso l’esaltazione dei Savoia, l’esaltazione del fascismo e della dittatura?

Non voglio fare un discorso per ricordare davanti all’Assemblea le responsabilità dei Savoia. Spero che l’Assemblea sia ancora abbastanza antifascista per comprendere questo argomento e che non vi sia bisogno di un discorso con parole grosse. Ed allora si dirà: la Repubblica italiana è più severa e feroce, nella repressione dell’istituto monarchico, della stessa Repubblica francese. In Francia, a Parigi, si videro manifestazioni di bonapartisti e di orleanisti i quali portavano per le strade i simboli della monarchia, senza che questo costituisse reato. Ma, onorevoli colleghi, credo che la monarchia dei Savoia, identificandosi con il fascismo, si sia coperta di colpe ben più gravi di quelle di cui non si coprirono le monarchie bonapartiste ed orleaniste. E poi ogni contingenza ha bisogno di leggi aderenti alla sua realtà. E la realtà storica dell’Italia è questa: che i Savoia si sono identificati con la dittatura e col fascismo. (Approvazioni a sinistra). Quindi io penso che questa attività di propaganda e di esaltazione dei Savoia vada totalmente impedita, per difendere i beni supremi: la libertà e la democrazia.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Noi dichiariamo che, per mantenere alla legge quello stesso carattere di coerenza, per il quale abbiamo votato la misura economica, voteremo contro l’articolo 6, ossia siamo favorevoli alla soppressione dell’articolo 6. La ragione ci sembra evidente: negli articoli 1 ed 1-bis si è voluta reprimere l’attività fascista e l’attività intesa alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico, laddove nell’articolo 5 si prevede l’ipotesi di chi istighi, a mezzo della stampa od in altro modo, pubblicamente, ma evidentemente con modi diversi dai mezzi violenti, a commettere i delitti contemplati nell’articolo 1, 1-bis e 3. Pertanto, quando nell’articolo 6 si contempla l’ipotesi della propaganda e si dice: «con i mezzi indicati nel precedente articolo», si vuol reprimere una propaganda che vien fatta, o dovrebbe esser fatta con mezzi che non sono violenti, il che è in contrasto con tutto lo spirito delle disposizioni precedenti ed è in contrasto anche col fatto che a norma dell’articolo 1-bis non è vietata la propaganda per la restaurazione dell’istituto monarchico, che non fosse fatta con mezzi violenti. Quindi, non si comprende il contrasto che verrebbe a stabilirsi fra la norma dell’articolo 6, per cui anche la propaganda con mezzi leciti sarebbe repressa, e tutto lo spirito della legge il quale tende soltanto a reprimere l’attività che si svolge con mezzi violenti.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Ritengo sia stato notato dall’onorevole Fedeli che non abbiamo preso parte attiva alla discussione di questa legge, che per noi costituisce comunque un assassinio della libertà. (Proteste ed interruzioni a sinistra). Non l’abbiamo presa questa parte, proprio perché non si ripetesse l’equivoco, che ha ripetuto l’onorevole Fedeli, cioè della identità fra monarchici e fascisti. (Rumori a sinistra).

TONELLO. Altro che!

DE MICHELIS. Ricordatevi del 3 gennaio!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

COVELLI. Insorgiamo solo ora nell’attribuire alla coscienza dell’onorevole Fedeli e dei suoi accoliti (Rumori a sinistra – Interruzioni) il disegno di reprimere non soltanto l’attività diretta alla restaurazione monarchica con mezzi violenti, ma addirittura il pensiero di questa restaurazione…

Una voce a sinistra. Sabauda!

ROVELLI. Sabauda, e ce ne onoriamo altamente per l’Italia e per la storia d’Italia. (Rumori a sinistra).

E qui le parole potrebbero andare oltre il pensiero e non credo che proprio ai comunisti questo convenga; quanto meno esaltiamo un prodotto tipicamente e tradizionalmente italiano, che non ci può essere contestato proprio dai comunisti. (Rumori all’estrema sinistra).

Volevo solo far notare in questa nostra presa di posizione che l’onorevole Fedeli dimentica che il 2 giugno almeno 11 milioni di elettori votarono e per l’istituto monarchico e per la dinastia sabauda (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Ma non per i Savoia!

COVELLI. E sarebbe un affronto a quella parte pur cospicua di italiani che votarono in linea logica nell’interesse dell’Italia, ma votarono anche in virtù di un sentimento che non si disgiungeva dalla devozione per la dinastia sabauda, cui si rifà l’unità e l’indipendenza d’Italia. (Interruzioni a sinistra).

Ed è in questo momento che richiamo gli onorevoli colleghi alla loro coscienza. È inutile farsi illusioni sull’efficacia dell’articolo in questione. O la legge consentirà quello che è, un atto di pensiero, riportarsi cioè nella propaganda alla dinastia sabauda, o, purtroppo, malgrado la legge, almeno quegli 11 milioni di italiani, a cominciare da me, continueranno a ricordare sempre la dinastia sabauda, cui li lega una tradizione, cui, soprattutto, li lega un senso profondo di gratitudine per quello che in ogni epoca questa dinastia ha fatto nell’interesse dell’Italia. (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Ma, la dinastia non è l’istituto monarchico.

COVELLI. Non dovreste essere voi a chiedere la formulazione e l’applicazione di legge speciali e, quindi, l’inasprimento del Codice penale, dal momento che proprio voi state dimostrando in questi giorni che la legge ha un valore relativo. (Interruzioni a sinistra). Se l’autorità dello Stato dovesse essere quella che noi auspichiamo, quante volte in questi giorni il Codice penale avrebbe dovuto agire nei vostri confronti (Rumori a sinistra) esattamente nell’interesse della democrazia e della libertà, in nome delle quali voi chiedete le leggi speciali, per le quali noi e voi abbiamo combattuto.

Una voce a sinistra. Ma non i Savoia!

COVELLI. Anche e soprattutto i Savoia!

Una voce a sinistra. I Savoia hanno tradito la libertà.

COVELLI. Si vuole ignorare, e non certo in buona fede, che le leggi qualche volta non le fanno il Ministro di grazia e giustizia o le Commissioni legislative, signori comunisti. Le fanno quelli, e i fatti di questi giorni lo dimostrano, che si presumono i più forti.

Se, continuando in questo andazzo, sia per quello che fate nel Paese, sia per quello che vorreste fare in quest’Aula, approvando questa legge, doveste dimostrare agli italiani che veramente questa è la massima più vera – che cioè la legge la fa il più forte – io vi direi: inserite pure l’articolo 6 e approvatelo, tanto, propaganda per la dinastia sabauda, quando occorrerà, la faremo egualmente (Interruzioni – Commenti a sinistra) convinti come siamo che la monarchia dei Savoia – e non credo che sia questa la sede più opportuna per dimostrarlo – è stata il presidio più certo della libertà e della democrazia. (Commenti – Interruzioni a sinistra).

DE MICHELIS. Non ci crede nemmeno lei! Si scalda a freddo.

COVELLI. Io mi rivolgo in particolar modo a coloro i quali, proprio dei vostri settori, per una attività di pensiero, e soltanto per questo, hanno dovuto scontare le ire degli avversari. È nell’interesse comune di non spingere i monarchici, con le vostre pressioni legali, oltre che con le abituali violenze, a dover assumere un atteggiamento che voi condannate in altri, che noi, insieme a voi, condanniamo in altri. Ci siamo sforzati, e credo che in massima parte ci siamo riusciti, di darvi ampie dimostrazioni che veramente i monarchici agiscono nel più assoluto spirito democratico, nel rispetto più assoluto della libertà altrui.

Volendo oggi confondere i monarchici con altri, o quanto meno costringere i monarchici ad essere spiati e perseguitati soltanto perché devoti alla dinastia sabauda, io credo che significhi fare del tutto per indicare ai monarchici la opinione che non è assolutamente sufficiente mantenersi sul piano democratico per poter esprimere il proprio pensiero. Io rivolgo questa preghiera prima di tutto a voi. (Interruzione del deputato Tonello). È alla responsabilità dell’Assemblea, alla responsabilità di quelli a noi avversi sul motivo istituzionale, che io rivolgo questo appello inteso a non considerare i monarchici come della gente che possa pensare a bacchetta o che possa comunque esprimere il proprio pensiero articolato o modellato dai limiti voluti da questa legge. Non hanno subito fino ad oggi nessun sopruso e, non suoni minaccia la mia, ma soltanto cosciente espressione di quello che sono i monarchici e di quello che vogliono i monarchici, non lo subiranno neppure domani, con o senza l’ausilio di una legge come questa, anti-democratica e liberticida. Quando lasciaste ai monarchici la possibilità di esprimere il loro pensiero senza limiti, voi, credo, avreste meglio servito la vostra Repubblica: solamente nelle azioni buone della vostra Repubblica voi potrete meglio avversare e l’ideologia e il sentimento monarchico.

Nessuno, credo, avrà mai vietato ai repubblicani o ad altri di fare la loro propaganda. (Proteste a sinistra).

Una voce a sinistra. Nella galera!

COVELLI. Ci consentirete di non essere d’accordo…

MOLINELLI. Qui si parla di monarchia sabauda e più volte qui dentro sono state fatte ingiustizie in nome di sua maestà Vittorio Emanuele III!

COVELLI. Io voglio ammettere che, nella quasi totalità, la pressione che si svolge onde mantenere l’articolo 6 sia in buona fede; cioè si vuole distinguere la libertà di propaganda per l’istituto monarchico e la libertà di propaganda per la dinastia sabauda.

Una voce a sinistra. Che ha tradito sempre!

COVELLI. Vi consiglio ad essere calmi e più circospetti, perché se dovessimo parlare di tradimento di ieri, di oggi, di sempre se ne salverebbero pochi… (Proteste a sinistra).

Orbene, è a questa buona fede che mi rivolgo; non è possibile in Italia, almeno da parte di quelli che, come me, conservano ancora intatta questa idea monarchica, non è possibile distinguere l’una propaganda dall’altra. E, non essendo possibile, non per questo si deve seguire la malafede di qualcuno, il quale sa benissimo che, approvando questo articolo, crea certamente una delle più rigide e più pericolose rembate alla nostra propaganda e alla nostra organizzazione, ma anche alla vera espressione di democrazia.

Ho pregato di tener presente che in Italia il motivo monarchico è soprattutto un sentimento, ed è a questo sentimento che non dovete recare violenza alcuna, perché veramente dei monarchici fareste degli antidemocratici.

I monarchici vi seguiranno in tutte quelle leggi che siano garanzia di libertà; ma non solo non diventeranno mai complici della vostra azione liberticida ed antidemocratica, ma anche vi combatteranno sempre fino alle estreme conseguenze su questo piano. (Applausi a destra – Commenti – Rumori a sinistra).

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, io non volevo intervenire in questa discussione dopo aver dichiarato che voterò contro la legge.

Continuo a dichiarare che voterò contro questa legge. (Applausi a destra).

Una voce a destra. Perché lei è un galantuomo.

CONTI. Ma non possiamo ammettere che si svolga un dialogo tra quella parte e questa: ci siamo anche noi. E il dialogo, onorevole Covelli, voi lo dovete svolgere con noi. Noi vi diciamo questo come repubblicani storici. Noi siamo, in Italia, i rappresentanti del partito che fu l’antagonista della monarchia, del partito che fu combattuto dalla monarchia quando Mazzini e i suoi seguaci lottavano per l’unità d’Italia. Soltanto nel 1860 il vostro Cavour si convinse e dichiarò, dopo la battaglia del Volturno, di credere finalmente possibile l’unità d’Italia.

Non ci aveva creduto prima; Cavour aveva mirato all’ingrandimento del dominio dei Savoia con la Lombardia e il Veneto. Questo era il programma dei Sabaudi: il partito repubblicano lottava invece per l’unità d’Italia.

Voce al centro. Anche Cavour!

CONTI. No! È doloroso – lo so – per coloro che hanno appreso la storia d’Italia sui testi di terza elementare, ma la verità storica non è in essi, e si impone anche ai nostri avversari monarchici, dei quali io proclamo la buona fede: essi sono vittime delle imbottiture…

COVELLI. Dei testi scolastici?

CONTI. …delle imbottiture di crani che tutti gli italiani hanno subito da quando i Savoia tutto trasfigurarono, travisarono, falsificarono, per tradire e fermare la rivoluzione del Risorgimento. (Applausi a sinistra – Rumori, commenti a destra).

Orbene, onorevoli colleghi! Come poche settimane or sono insorsi in quest’Aula perché mi sembrò di avere intravisto – non so se mi ingannai, e gli amici di questa parte (Accenna alla sinistra) non se ne offendano – una piccola manovra che mirava ad una finalità politica, così, con la stessa sincerità, sento di dover insorgere contro la manovra di oggi dell’onorevole Covelli, che tende a stabilire in Italia un contrasto fra i monarchici e i comunisti. Sarebbe una facile battaglia la sua! (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Non tanto!

CONTI. Sarebbe una facile battaglia la sua.

COVELLI. Vinta da noi, naturalmente. (Rumori all’estrema sinistra).

CONTI. Si vorrebbe identificare lo sforzo che si deve compiere per la difesa di tutte le libertà con il programma dei monarchici. Si vorrebbe far credere in Italia che la bandiera che segna la resistenza contro i cosiddetti barbari, sia la bandiera monarchica. Teniamo a stabilire questa linea di condotta: noi non siamo comunisti, perché non sentiamo nello stesso modo il problema sociale, i problemi economici, i problemi politici; ma non possiamo ammettere che i monarchici levino la bandiera della libertà del nostro Paese. Onorevole Covelli: io avevo promesso all’amico Condorelli quel tale ammasso di documentazione con il quale lo avrei soffocato. Ora, io non dirò all’Assemblea che in questo momento io mi metterò a soffocare l’amico Covelli; reputo però che alcuni accenni non saranno inutili.

Bisogna finirla con questo equivoco: con l’equivoco secondo il quale la monarchia non avrebbe niente a che vedere con il fascismo, secondo cui prima del fascismo avremmo avuto una monarchia deliziosa, una monarchia invidiabile.

COVELLI. È stata esaltata dal Carducci quella monarchia.

CONTI. La monarchia prima del fascismo fu una gioia per gli italiani?

Bene, onorevole Covelli, in quattro parole ci possiamo sbrigare di questa tesi.

Monarchia e fascismo si identificano, non c’è discussione. Negate che il vostro re abbia portato i suoi fiori al «covo»; negate che sia andato a portare i suoi fiori sulla tomba della madre di Mussolini; che abbia visitato la casa natale di colui che «le indovinava tutte», come si esprimeva Vittorio Emanuele; negate che tutti i principi di casa Savoia, dal primo all’ultimo, abbiano fatto omaggio al fascismo; negate che il principe Umberto abbia fatto omaggio all’imperialismo fascista fin dal primo momento; negate che la moglie di lui è stata una fervente fascista e amica di quell’Hitler, col quale si è fatta quella guerra che ha portato l’Italia al disastro? Negate questa storia recente che abbiamo vissuto!

COVELLI. Assolutamente! Completamente! E ci fa meraviglia che lo dica lei!

CONTI. Onorevole Covelli, mi duole tanto doverle dire che lei nega la verità conosciuta.

Onorevoli colleghi, quanto ho detto è per la fase fascista della monarchia. Andiamo indietro, nel periodo aureo della monarchia: è tutta una serie di ribalderie.

Noi ci troviamo subito di fronte al tradimento di Carlo Alberto nel 1848 a Milano; noi ci troviamo di fronte, in fatto di tradimenti, al tradimento di Vittorio Emanuele, nel 1866. Ci troviamo di fronte a continue mancanze di fede a quello Statuto, che l’altro giorno ho perfino inteso celebrare all’estrema sinistra dall’amico Musolino, il quale diceva: «Non avete difeso lo Statuto»; di quella specie di truffa che fu al popolo italiano, di quella «Charta», nella quale erano scritte tutte le cose che si vogliono, meno i diritti del popolo, meno la dichiarazione della sovranità popolare e garanzie vere della libertà.

E le violenze della monarchia non le ricordate? Noi siamo il Paese degli stati d’assedio, signori! Siamo il Paese nel quale gli stati d’assedio si sono susseguiti… (Interruzione del deputato Russo Perez).

Onorevole Russo Perez, che cosa fece la monarchia in Sicilia dal 1860 in poi?

RUSSO PEREZ. Io non c’ero; non ero nato!

CONTI. Non ricordate i delitti della monarchia in Italia e in Sicilia?

Ricordate i fatti di Palermo nel 1866? Gli assassinî, le fucilazioni in massa. Ricordate quello che è stato detto alla Camera italiana, dal procuratore generale della Corte d’appello di Palermo, onorevole Tajani, che fu deputato e Ministro di grazia e giustizia? Rileggete le sue requisitorie contro il regime instaurato in Sicilia dal 1860 in poi; rileggete negli atti parlamentari quelle pagine. E a proposito dei siciliani ne voglio dire un’altra, che spetta a Camillo Benso di Cavour. Cavour perseguitò in Piemonte gli emigrati, fra i quali erano i fratelli Amari. Di Amerigo Amari esiste una protesta contro la persecuzione degli emigrati, che Cavour voleva espellere dal Piemonte come gente che infastidiva, come gente indesiderabile. Queste sono le glorie di casa Savoia!

Ma andiamo avanti, parliamo della libertà durante la dominazione savoiarda. Gli ingenui del socialismo italiano che per tanti anni – me lo confessava l’amico Priolo venendomi a suggerire qualche spunto per questo mio intervento – (Ilarità – Commenti) gli ingenui del socialismo italiano – dicevo – per alcuni anni credettero alla possibilità di una monarchia democratica e beffeggiavano noi repubblicani (Commenti a sinistra). Ebbene, onorevoli colleghi, ricordate gli stati di assedio in Italia, gli stati di assedio del 1866 a Palermo, quelli del 1894 in Sicilia, in Lunigiana, nelle Puglie; ricordate il 1898, ricordate questi avvenimenti.

Ricordate – e ne abbiamo parlato in questi giorni – le persecuzioni del libero pensiero politico in Italia: sempre.

Ricordate le persecuzioni di Andrea Costa! E dico questo nome per indicare uno dei tanti che furono perseguitati dalla monarchia, condannati per la loro fede socialista! Ricordate i repubblicani perseguitati: Mazzini tre volte condannato a morte, Mazzini, prigioniero nel 1871 nel carcere di Gaeta, Aurelio Saffi arrestato a Villa Ruffi!

Una voce a sinistra. Garibaldi.

CONTI. Sì, Garibaldi. Garibaldi fu accolto a fucilate ad Aspromonte dopo che il Consiglio dei Ministri aveva deliberato di farla finita, perché Vittorio Emanuele, alzandosi – egli che aveva presieduto il Consiglio dei Ministri– – disse: è ora di farla finita!

CONDORELLI. Non è vero! Non è vero! Non è vero!

Una voce a sinistra. È storia!

CONDORELLI. Facciamo nei comizi la storia! (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio!

CONTI. Onorevole Condorelli, volevo intrattenere l’Assemblea su questi argomenti, anche perché sono sicuro di queste risultanze! Qui, all’infuori di voi – quattro noci davvero in un sacco! – siamo tutti repubblicani! (Applausi a sinistra).

CAPUA. Dieci milioni di monarchici! Ricordate che il 46 per cento dei deputati in quest’Aula sono qui con voti monarchici. (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio! Onorevoli colleghi, non allontaniamoci troppo dalla materia che stiamo discutendo.

CONTI. Ho finito, onorevole Presidente. Mi dispiace che l’onorevole Capua sia delle quattro noci quella meno resistente.

CAPUA. Duecentoventi deputati hanno avuto mandato di monarchici e non hanno oggi il coraggio di dirlo.

CONTI. Non voglio continuare. Voi comprendete che se si volesse, si potrebbe rimanere per tutto il pomeriggio a ricordare le glorie della Casa; si potrebbe anche dimostrare che non fu una dinastia italiana.

Onorevole Covelli, proprio non aspettavo il suo dissenso. Ripeto che nelle vene dei Savoia non scorre che un millesimo di sangue italiano. Vittorio Emanuele scriveva in francese.

CONDORELLI. Come tutti i piemontesi.

CONTI. La dinastia sabauda è tutta un miscuglio di sangue straniero; non c’è nulla di italiano. (Protesta del deputato Capua).

Ho finito, onorevole Presidente. (Applausi a sinistra – Rumori a destra).

PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare sette oratori. Desidero fare presente che stiamo discutendo uno specifico e preciso disegno di legge, e per quanto io pensi che le discussioni di carattere generale sui problemi istituzionali siano ancora sempre utili in Italia, preavviso gli oratori che non permetterò che questa discussione si trasformi in una contesa di due ideologie. Noi stiamo discutendo dell’articolo 6 di questo disegno di legge, e coloro che hanno chiesto la parola dovranno parlare su questo articolo.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Vorrei proporre la chiusura di questa discussione. In questa mia proposta, che credo sia appoggiata da larga parte dell’Assemblea, è espressa anche una preoccupazione, perché qui, nel dilungarci in discussioni non concernenti strettamente la materia, come lei utilmente osservava, nel dilungarci in dette discussioni fino al punto da far loro assumere talvolta carattere di comizio, noi dimentichiamo la nostra funzione precipua di costituenti. Io mi accorgo che abbiamo ridotto a poche ore al giorno la nostra funzione originaria e precipua, cioè quella di provvedere alla Costituzione.

Volevo quindi fare appello a tutti i colleghi perché non si riduca ulteriormente il nostro lavoro costituzionale per dar luogo ad altro lavoro che non è certo in primo piano fra i nostri compiti.

PRESIDENTE. È stata chiesta la chiusura della discussione di questo articolo. Domando se è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

L’onorevole Mastino ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, dopo la parola: restaurazione, l’altra: violenta».

L’onorevole Mastino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MASTINO PIETRO. lo sono contrario alla soppressione dell’articolo 6, in quanto la soppressione porterebbe ad una situazione di assoluto contrasto con le statuizioni già assunte dall’Assemblea; non sarebbe ad esempio punibile la propaganda diretta alla restaurazione violenta della monarchia; ma non trovo giusto venga impedita e punita la propaganda monarchica che rimanga nel campo puramente astratto. È perciò mi pare da accogliere l’emendamento che io propongo e che il Presidente ha letto poco anzi.

Con ciò l’articolo 6 sarebbe in pieno accordo con i concetti affermati negli articoli precedenti della Costituzione. Aggiungo che lo stesso Codice penale, là dove parla di propaganda punibile, non manca di richiedere sempre l’estremo della violenza; parla ad esempio di instaurazione violenta e di sovvertimento dell’ordinamento dello Stato. Così l’articolo 272 del Codice penale.

PRESIDENTE. Onorevole Fedeli Aldo, concorda con l’emendamento dell’onorevole Mastino?

FEDELI ALDO. Non concordo.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione, a proposito dell’articolo 6, era divisa. Io parlo come esponente della corrente di maggioranza. La Commissione nella sua maggioranza ha ritenuto di dover invitare l’Assemblea a non votare l’articolo 6, perché con questo si veniva a colpire penalmente una pura e semplice manifestazione di un pensiero politico, che, in un regime democratico e repubblicano, non può considerarsi vietata.

Per queste ragioni la Commissione insiste nella sua maggioranza a che l’articolo 6 venga soppresso. Però, la Commissione, nei confronti dell’emendamento presentato da ultimo dall’onorevole Mastino, siccome in esso si accentua l’elemento della violenza che caratterizza tutta questa legge particolare – per cui non si colpisce attraverso questa legge la pura e semplice manifestazione di un pensiero ma una attività concreta – e siccome attraverso questo inciso della «violenza» noi verremmo ad individuare qualche cosa di concreto, di particolare e di violento, che trascende la pura e semplice sfera del pensiero o di una astrazione puramente platonica, non sarebbe contraria ad accettare l’emendamento stesso.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo aveva già dichiarato di aderire alle proposte fatte dalla Commissione; quindi ha accettato che la discussione venisse fatta sulla base del testo proposto dalla Commissione. Io penso che, uscendo dall’atmosfera arroventata che un simile tema può generare, certamente ognuno di noi pensa che la propaganda, come espressione di un pensiero, non possa costituire reato.

L’articolo 272 del Codice penale, ora ricordato dall’onorevole Mastino, quando ipotizza il reato di propaganda e di apologia sovversiva ed antinazionale, dice così:

«Chiunque, nel territorio dello Stato, fa propaganda per la instaurazione violenta».

Segue poi il concetto che la propaganda si proponga la instaurazione della dittatura di classe. Tutto questo articolo è ispirato contro la dittatura di classe.

Noi domandiamo di trasportare questo concetto della propaganda in favore di un istituto il quale oggi non è più istituto, in quanto che noi abbiamo accettato, dopo il 2 giugno (questo vorrei dirlo anche ai monarchici) i risultati del referendum. Di fronte a questi risultati, penso che tutti gli italiani che hanno dato una prova storica…

COVELLI. Questo non c’entra.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Se lei permette, onorevole Covelli, vorrei dire questo: se questa legge fosse esagerata, potrebbe portare ad una situazione politica forse più favorevole a voi, contro cui la legge è ispirata.

Io penso che noi dobbiamo essere nel limite giusto. Noi abbiamo accettato il giuoco politico: riconoscere, cioè, il risultato di un referendum nazionale.

Questa è stata una prova di grande civiltà del popolo italiano, che è bene non compromettere. Ora, la semplice propaganda, così come è ipotizzata nell’articolo originario, effettivamente poteva prestarsi a delle situazioni, dal punto di vista ideologico e pratico, contrarie allo scopo dell’attuale disegno di legge. Per questo il Governo aveva accettato il testo della Commissione. A questa proposta, in cui la propaganda monarchica, così com’è qualificata, può diventare reato, credo di potere accedere, con l’aggiunta della parola «violenta» dopo la parola «restaurazione».

Sull’ordine del giorno della seduta pomeridiana.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Relatore propone che il seguito di questa discussione sia posto all’ordine del giorno della seduta pomeridiana. (Commenti).

Faccio presente che nel pomeriggio vi sarà comunque seduta, e che pertanto non si tratta che di modificare l’ordine del giorno. Vi è una ragione di opportunità e di necessità generale ed anche una esigenza particolare di alcuni dei membri della Commissione che consigliano di accettare la proposta.

Poiché per modificare l’ordine del giorno occorre una decisione dell’Assemblea, sottoporrò ora all’Assemblea la proposta di rinvio al pomeriggio del seguito della discussione di questo disegno di legge.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Propongo che la seduta pomeridiana sia destinata, non solo al seguito della discussione del disegno di legge in esame, ma anche all’esame del disegno di legge contenente disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex-regnanti di casa Savoia, di modo che tutta la seduta pomeridiana di oggi sia dedicata all’esame di questa materia.

PRESIDENTE. Credo che lei, onorevole Leone, proponendo di togliere dall’ordine del giorno della seduta pomeridiana il seguito della discussione sul progetto di Costituzione, intende aprire il varco ai membri dell’Assemblea affinché possano assentarsi prima della fine della seduta stessa. Ma io non mi capacito che coloro che saranno presenti al principio della seduta pomeridiana non debbano sentirsi ad essere obbligati a restarvi fino alla fine.

Ma penso che non sia opportuno aprire una discussione su tale argomento, e che si debba invece passare alla votazione della proposta dell’onorevole Relatore.

L’onorevole Relatore propone che il seguito della discussione relativa a questo disegno di legge sia rinviato all’inizio della seduta pomeridiana di oggi, modificando l’ordine del giorno votato ieri sera.

Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

LEONE GIOVANNI. E la mia proposta?

PRESIDENTE. È evidente che, essendo stata approvata l’altra proposta, la sua cade. (Interruzione del deputato Leone Giovanni).

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione dell’articolo 6 del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e della attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico.

La Commissione aveva proposto di sopprimere questo articolo. L’onorevole Fedeli Aldo ha proposto di ripristinare il testo ministeriale. L’onorevole Mastino Pietro ha proposto un emendamento a tenore del quale la formulazione dovrebbe così mutarsi:

«Chiunque, con i mezzi indicati nel precedente articolo, fa propaganda per la restaurazione violenta della dinastia sabauda è punito con la reclusione da sei mesi a due anni».

Comunico che l’onorevole Uberti ed altri hanno chiesto la votazione per appello nominale, mentre l’onorevole Covelli ed altri hanno domandato la votazione a scrutinio segreto.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Mi pare che vi sia un equivoco nel modo con cui viene impostata la votazione; perché l’emendamento Mastino, presentato all’ultimo momento, cambia completamente il carattere della proposta fatta dall’onorevole Fedeli. Coloro i quali desiderano che l’articolo 6 sia mantenuto nella forma presentata dal Governo, come voteranno? Se essi votano contro, votano per la soppressione dell’articolo. Noi dobbiamo per lo meno votare per divisione, arrivando fino alle parole «con mezzi violenti», e quindi separatamente votare questo emendamento dell’onorevole Mastino.

PRESIDENTE. È evidente che questa votazione può dare luogo a posizioni contradittorie e l’onorevole Togliatti ne ha segnalata una. Se votiamo prima il testo Fedeli, i colleghi che sono favorevoli al testo Mastino, per il timore che questo poi non passi, possono essere portati a votare contro tutto il resto.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. La proposta dell’onorevole Mastino Pietro, accettata dalla Commissione, cessa di essere un emendamento e diventa testo nuovo della Commissione. Quindi, si pone in votazione per ultima. La proposta Fedeli diventa emendamento al testo della Commissione e quindi va posta in votazione per prima.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ritengo che bisognerebbe votare prima la proposta dell’onorevole Mastino; se poi questa proposta non viene approvata, mettere in votazione la proposta del progetto primitivo del Governo, del quale la proposta Mastino è un emendamento. Per me la incertezza nasce per il sistema di votazione. Dovendosi procedere a votazione per scrutinio segreto ci si preoccupa di dovere eventualmente ripetere una votazione. Questa preoccupazione e quindi l’incertezza sull’ordine della votazione non nascerebbero se si trattasse di votazione per alzata e seduta.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Noi siamo disposti ad accettare l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro sempre che vi sia l’accordo di votare tutto il testo.

PRESIDENTE. Sono state presentate due richieste: una di votazione a scrutinio segreto ed un’altra per appello nominale. Pregherei i presentatori di queste domande di volersi esprimere al riguardo.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. La votazione per appello nominale riguarda l’emendamento dell’onorevole Fedeli Aldo. Se l’onorevole Fedeli mantiene il suo emendamento, il nostro Gruppo mantiene la proposta di appello nominale.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, riassumendo, ci troviamo di fronte al testo che include l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, accettato dalla Commissione; e che pertanto costituisce il testo base. La formula primitiva del Governo, fatta propria dall’onorevole Fedeli Aldo, rappresenta l’emendamento.

V’è la proposta di votare per divisione il testo fondamentale, includendo al posto debito l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro.

Io ritengo che si debba invece porre prima in votazione il testo dell’onorevole Fedeli Aldo nel suo complesso.

Ove questo fosse respinto, si voterebbe il testo con l’emendamento Mastino, accettato dalla Commissione.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. In questo caso, manteniamo la richiesta di votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Sta. bene. Allora, procediamo alla votazione del primitivo testo ministeriale che, fatto proprio dall’onorevole Fedeli, appare come emendamento al testo che la Commissione ha ripreso, includendovi la proposta dell’onorevole Mastino:

«Chiunque con i mezzi indicati nel precedente articolo fa propaganda per la restaurazione della dinastia sabauda è punito con la reclusione da sei mesi a due anni».

Ove questo testo non fosse accolto, voteremo sul testo che comprende la proposta dell’onorevole Mastino Pietro.

Se fosse respinto anche questo testo, è evidente che l’articolo resta soppresso.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’articolo 6 nel primitivo testo ministeriale, testé letto.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti                               323

Votanti                                322

Astenuti                               1

Maggioranza           162

Voti favorevoli        154

Voti contrari                        168

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Amendola – Angelini –– Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Bartalini – Basile – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonfantini – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Calamandrei – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Foa – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Mannelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini– Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Meda Luigi – Merighi – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Monticelli – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pallastrelli – Paolucci – Pastore Giulio – Pat – Patricolo – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Romano – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tosato – Tosi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Vallone – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Bergamini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Viale – Vischioni.

Data l’ora tarda, rinvio il seguito di questa discussione alla seduta pomeridiana, all’inizio della quale si procederà alla votazione del testo dell’articolo 6, ripreso dalla Commissione con l’inclusione dell’emendamento Mastino Pietro.

La seduta termina allo 13.25.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 21 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 21 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Interrogazioni urgenti (Svolgimento):

Presidente

Cingolani, Ministro della difesa

Meda

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Sampietro

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mortati

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Patricolo

Nobili Tito Oro

Costa

Grassi

Sapienza

Targetti

Perrone Capano

Ghidini

Rescigno

Gabrieli

Leone Giovanni

Persico

Carboni Angelo

Romano

Cairo

Colitto

Abozzi

Caccuri

Adonnino

Scalfaro

Varvaro

Castiglia

Mastino Gesumino

Codacci Pisanelli

Gasparotto

Calamandrei

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Viale.

(È concesso).

Svolgimento di interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro della difesa ha dichiarato che è pronto a rispondere alla seguente interrogazione con carattere d’urgenza presentata l’altra sera dall’onorevole Meda:

«Al Ministro della difesa, sull’esito delle indagini in ordine alle cause che possono avere determinato lo scoppio della polveriera di Vigevano».

L’onorevole Ministro della difesa ha facoltà di rispondere anche alla interrogazione presentata il giorno 14 novembre dagli onorevoli Meda, Roselli e Benvenuti:

«Al Ministro della difesa, perché, in relazione allo scoppio della polveriera verificatosi il giorno 13 novembre nei pressi di Cassano d’Adda (provincia di Milano) ed in conseguenza del quale hanno perso la vita quattro operai, assicuri della adozione di provvedimenti che impediscano il ripetersi tanto frequente di simili gravi accidenti».

CINGOLANI, Ministro della difesa. Il giorno 13 novembre si sono verificate delle esplosioni al deposito munizioni di Cassano d’Adda e il 16 novembre al deposito munizioni di Vigevano. Entrambi i depositi sono andati completamente distrutti, fatta solo eccezione, per il deposito di Vigevano, di due riservette. Il deposito di Cassano d’Adda era costituito da due capannoni in muratura aventi ognuno la lunghezza di 36 metri, dieci di larghezza e cinque di altezza. Le pareti perimetrali del locale erano dello spessore di 40 centimetri, in mattoni, e il tetto con lastre in eternit. La pavimentazione era in cemento. Tutto il deposito era circondato da un muro alto cinque metri. Ai quattro lati, in alto, si trovavano le garitte in cemento per le sentinelle: due di giorno e tre di notte. Erano regolamentari le misure di sicurezza. Il parafulmine efficiente. Luce all’esterno. Servizio idrico, lampade elettriche, campanelli di allarme. Distanza dal capannone al corpo di guardia venticinque metri, dalla strada nazionale di Milano 200 metri, dal primo cascinale metri 250.

A Vigevano il deposito era costituito da un enorme capannone nel quale erano conservati esplosivi di lancio, scoppio, munizionamento, ecc. La costruzione era in muratura. Vi erano pure altri locali quali il corpo di guardia, lo spogliatoio, l’ufficio del consegnatario, il magazzino attrezzi di lavoro. Il deposito era tutto attorno cinto da un muro, sopra il quale vi era una rete metallica, e dal lato del fiume Ticino da reticolati alti tre metri. Regolamentari le misure di sicurezza. Parafulmine efficiente. Servizio idrico, lampade elettriche disseminate lungo il perimetro del deposito con proiezione luce verso l’esterno. Campanello di allarme. Tre sentinelle con garitte di legno ed una quarta il cui compito era di spostarsi continuamente lungo un tratto di sentiero di cento metri di lunghezza circa. Inoltre, erano destinati a guardia quattro cani lupo legati da catena scorrevole lungo vari tratti. Distanza del deposito da alcune casette, costruite in periodo repubblichino in zona militare, circa cento metri; dalla strada provinciale Vigevano-Milano seicento metri; da Vigevano tre chilometri.

Una voce a sinistra. Molto meno, onorevole Ministro: neanche due chilometri dal centro di Vigevano.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Queste sono le misurazioni che mi sono state date. Ad ogni modo, la ringrazio della precisazione. È comune convinzione, e della popolazione di Vigevano in specie, che le distruzioni avvenute siano dovute ad atti di terrorismo; ed è questa la stagione che per temperatura, è la meno propizia ad autocombustione della polveriera per eccessivo calore, oppure alla formazione di cristalli nelle balistiti: cristallizzazione che avviene a bassa temperatura. Inoltre, lo stato chimico delle polveri di lancio, nelle recenti visite effettuate, era risultato sodisfacente; né si può attribuire, per il deposito di Cassano d’Adda, lo scoppio a manipolazioni di bombe a mano, come è stato riferito in un primo momento, poiché trattasi di bombe a mano che avevano subìto diversi trasporti e trasferimenti senza dar luogo ad inconvenienti, bombe che risultavano, secondo l’esame fatto dal maresciallo consegnatario, tutte in posizione di sicurezza. I depositi di Cassano e Vigevano sono sempre stati presidiati da guardie militari. Non è facile, non essendovi più elementi probatori, per effetto delle distruzioni avvenute, poter indagare e determinare le probabili cause dello scoppio, cioè se sia dovuto ad esplosivi precedentemente posti nell’interno dei depositi, oppure introdotti nella stessa notte approfittando della nebbia. Le autorità ed i carabinieri sono stati investiti del caso per ulteriori indagini. Sono stati subito inviati sul posto un dottore in chimica e successivamente il dottor Fezzi ed il tenente colonnello Terlizzi, particolarmente competente in materia di munizioni, per l’accertamento ciascuno nel ramo di propria competenza. Circa il munizionamento andato distrutto, si afferma che non incide sull’efficienza dei reparti, poiché i depositi in oggetto non contenevano munizioni di prima e seconda linea dei reparti.

Per quanto riguarda il danneggiamento, risponderà il mio collega dei lavori pubblici. Riguardo alle vittime dell’esplosione esse sono: per Vigevano, un soldato di sentinella, ustionato, una donna settantenne deceduta tra le macerie e un ferito ad una gamba, che ha dovuto poi subire l’amputazione dell’arto. Poi la moglie del guardiano ferita ad una mano; ed altri 11 feriti leggeri, non ricoverati all’ospedale. La popolazione di Vigevano si è mantenuta tranquilla. Per quanto riguarda Cassano d’Adda vi sono stati quattro operai morti, dei quali sono stati ritrovati fino ad ora una salma e pochi resti. Il maresciallo consegnatario del deposito ferito gravemente. All’esterno della polveriera un contadino ottantenne, che custodiva il pascolo a circa 200 metri, morto per aneurisma. Pochi feriti leggeri, nessun ricoverato all’ospedale.

La popolazione, benché impressionata, si è mantenuta tranquilla.

Il Ministero provvederà con larghezza per gli aiuti alle famiglie dei morti e dei feriti, a prescindere da quanto dovuto per gli operai dall’istituto assicurazioni, come pure per coloro che sono stati danneggiati dalle esplosioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Meda ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MEDA. Ringrazio l’onorevole Ministro delle notizie dateci intorno allo scoppio delle polveriere di Cassano e di Vigevano. Lo ringrazio in modo particolare, perché ci ha comunicato ufficialmente che si tratta di atti terroristici.

Sapevamo già, per vero, che questi due scoppi non erano avvenuti per cause di carattere tecnico. Sapevamo che in realtà si erano verificati degli attentati. Dopo lo scoppio della polveriera di Cassano, si affacciavano dubbi in proposito; in relazione a quanto era stato comunicato in via ufficiale dalle autorità, si era infatti pensato che l’accidente fosse stato determinato da imperizia o da negligenza degli operai, che stavano maneggiando una cassa di bombe a mano. Quando, però, dopo tre giorni si è verificato lo scoppio della polveriera di Vigevano, allora non abbiamo più avuto alcun dubbio che ci si trovava davanti ad un piano preordinato per distruggere i due depositi di munizioni.

Devo far notare all’onorevole Ministro – egli non ci ha dato chiarimenti al riguardo – che a noi consta che a Cassano si trovavano le munizioni di prima dotazione per le truppe della zona di Milano. In realtà, all’indomani dello scoppio di Cassano le truppe della guarnigione di Milano si trovavano in condizioni di non disporre del munizionamento necessario per far fronte a qualsiasi impiego, al quale avessero potuto essere chiamate.

Io sono sodisfatto, in ogni modo, delle dichiarazioni dell’onorevole Ministro. Soltanto mi permetto di chiedere che venga svolta una più intensa vigilanza, che si facciano indagini, per ricercare i colpevoli di questi atti criminosi.

Se la polveriera di Vigevano fosse scoppiata, non alle ore 6 di domenica mattina, ma in ora più avanzata della mattina o nel pomeriggio di un giorno lavorativo, noi avremmo dovuto registrare, e saremmo qui a commemorare, un numero ingente di vittime. Quindi, ripeto, massima energia e massimo rigore.

È assodato che nel nostro Paese vi sono terroristi, i quali cercano di sabotare in ogni modo l’efficienza delle nostre truppe, distruggendo tra l’altro le polveriere.

Si agisca con energia contro costoro.

Questa raccomandazione, la faccio non tanto al Ministro della difesa, quanto al Ministro dell’interno. In certe regioni, specie in Lombardia, vi sono molti individui, di nazionalità incerta ed oscura, che non sappiamo per quali scopi siano venuti in Italia. Non certamente per ragioni di lavoro.

PAJETTA GIAN CARLO. Si tratta di sedicenti profughi.

MEDA. Certamente non sono venuti per favorire l’opera di ricostruzione del nostro Paese, ma per seminare terrore e lutti.

PRESIDENTE. Il Ministro dei lavori pubblici risponderà ora alla seguente interrogazione con risposta d’urgenza, firmata dagli onorevoli Sampietro, Castelli Edgardo, Balduzzi, Ferreri, Meda, Morini:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga opportuno e doveroso che a favore dei sinistrati per lo scoppio della polveriera di Vigevano, in attesa che si provveda come di legge, sia ordinata la immediata riedificazione delle case operaie gravemente lesionate, prelevando i fondi necessari sulle somme stanziate per alleviare la disoccupazione invernale».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di parlare.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Sono completamente d’accordo con gli onorevoli interroganti circa l’opportunità della loro richiesta. Non appena si è verificato lo scoppio di Vigevano, furono date istruzioni al Genio civile, perché approntasse i soccorsi necessari. A questo invito il Genio civile ha ottemperato. I danni riportati dal complesso degli edifici, tra pubblici e privati, ammontano ad una somma che si aggira – secondo gli accertamenti ordinati telegraficamente e pervenuti questa mattina – intorno a circa 50 milioni. Le famiglie rimaste provvisoriamente senza tetto sono 120, di cui 100 hanno trovato ricovero presso parenti ed amici; 20 sono state ricoverate a spese dell’E.C.A. presso la scuola «Vittorio Veneto». Le prime riparazioni sono già in corso. Il complesso della spesa sarà sostenuto dallo Stato, gravando in parte sia sui fondi normali del bilancio, sia su quelli in corso di stanziamento per la disoccupazione. Sono lieto di poter dare alle famiglie dei colpiti queste assicurazioni del Governo e ringrazio gli interroganti che me ne hanno offerto l’occasione.

PRESIDENTE. L’onorevole Sampietro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SAMPIETRO. Gli interroganti si dichiarano sodisfatti, ma c’è un’osservazione da fare alle dichiarazioni del Ministro, cioè che parte della somma sarà prelevata dai fondi già stanziati per la disoccupazione. Gli interroganti chiedevano che il Ministro desse ordine che questi fondi – in attesa di un regolare prelevamento – fossero presi fra quelli destinati per la disoccupazione, in quanto erano già stati stanziati, ma intendevano però che non fossero distratti da quelli stanziati, affinché il fondo di disoccupazione per provvedere ai lavori deliberati per alleviare la disoccupazione nella provincia di Pavia non fosse diminuito di alcun milione, per quanto fossero indispensabili dei fondi per i lavori resisi necessari a causa dello scoppio della polveriera. Gli interroganti si raccomandano ancora e ringraziano il Ministro della premura che ha avuto nel dare subito ordine per l’esecuzione di questi lavori ed insistono perché tutto sia, in via straordinaria, a carico dello Stato e solo provvisoriamente parte della somma sia prelevata dai fondi per la disoccupazione.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ieri sera abbiamo votato l’articolo 94. Dobbiamo ora esaminare una serie di proposte di articoli indicati come articoli 94-bis.

Gli onorevoli Mortati e Leone Giovanni, hanno proposto il seguente articolo 94-bis.

«I magistrati, anche all’infuori dei casi per i quali la legge disponga una incompatibilità, non possono accettare dal Governo funzioni retribuite, a meno non le esercitino gratuitamente.

«Lo Stato assicura, con legge speciale, l’indipendenza economica dei magistrati».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento è nato dalla insoddisfazione per alcuni altri emendamenti analoghi che sono stati presentati dagli onorevoli Sardiello, Rossi Paolo, Varvaro e Damiani, e che si riconnettono alla esigenza di evitare che i magistrati siano distratti dal loro ufficio. A me pare che formulati in questi termini, così come hanno fatto gli onorevoli colleghi di cui ho fatto menzione, gli emendamenti non possano essere accettati, perché sottraggono i magistrati da una serie di attività che bene potrebbero giovarsi della loro competenza.

Il vero problema che sorge in ordine a questo punto è quello di sottrarre i magistrati all’influenza del Governo e quindi di completare quelle garanzie di indipendenza che si sono poste con le altre disposizioni dirette ad assicurare tale indipendenza nei riguardi del reclutamento, della carriera, ecc. Quindi l’esigenza da salvaguardare per questo punto, è di evitare che il Governo, attraverso attribuzione di incarichi retribuiti, possa compromettere indirettamente l’indipendenza della Magistratura.

Il mio emendamento, che poi in sostanza è una parafrasi di una analoga disposizione che si legge nella Costituzione belga, tende ad evitare semplicemente quegli incarichi retribuiti i quali siano conferiti dal Governo; senza impedire al magistrato la possibilità di poter ottenere altri incarichi o altre funzioni che non lo pongono in una situazione di soggezione verso il Governo. Nello stesso tempo, ove si sancisca questa diminuzione della capacità dei magistrati di assumere incarichi retribuiti, appare opportuno di abbinare questa disposizione con l’altra che garantisce la loro indipendenza economica. Proposte di questo genere sono state anche fatte dall’onorevole Murgia e da altri colleghi. A me pare che sia opportuno mettere insieme queste due serie di norme, cioè da una parte garantire l’indipendenza del magistrato di fronte alle possibili pressioni che potrebbero venire dal Governo attraverso il conferimento di incarichi retribuiti, e nello stesso tempo assicurare, con legge speciale, l’indipendenza economica, che viene a costituire una specie di compenso alla diminuzione di proventi, che potrebbe derivare dall’esclusione da incarichi retribuiti.

Insisto pertanto sull’opportunità di mettere insieme la due disposizioni che, in un certo modo, si integrano e che servono ad offrire pienezza di indipendenza alla Magistratura.

PRESIDENTE. Credo che potremmo, per intanto, deliberare su questi due emendamenti aggiuntivi, poiché quello dell’onorevole Patricolo tocca materia del tutto diversa. Ricordo che l’onorevole Murgia ha già svolto il seguente articolo 94-bis:

«Norme speciali regoleranno il trattamento economico dei magistrati».

Prego l’onorevole Ruini di esprimere l’avviso della Commissione su questi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Queste proposte riguardano due materie. La prima è che norme speciali regolino il trattamento economico dei magistrati. Nessuno più dei membri del Comitato sente la necessità di questa elevazione del trattamento economico dei magistrati. Credo che in questo senso l’Assemblea potrebbe esprimere, con un ordine del giorno, la sua volontà che si provveda; ma mettere nella Costituzione, e per una sola categoria, per quanto degnissima, questa disposizione, mi sembra che non sia una cosa tecnicamente costituzionale. Quindi, pregherei, proprio per ragioni tecniche, di trasformare questi emendamenti in un ordine del giorno, ed in un voto esplicito al Governo, perché presenti proposte adeguate.

La seconda parte riguarda il divieto di accettare dal Governo incarichi retribuiti, a meno che i magistrati non esercitino questi incarichi gratuitamente. Anche questo è un principio molto apprezzabile, ma (permettetemi di difendere un certo carattere di costituzionalità della Costituzione), è argomento che potrà essere messo nell’ordinamento giudiziario. Pregherei l’onorevole Mortati di voler trasformare anche questo emendamento in una raccomandazione od in un ordine del giorno.

PRESIDENTE. Dovrei ora porre in votazione l’articolo aggiuntivo già svolto dall’onorevole Murgia:

«Norme speciali regoleranno il trattamento economico dei magistrati».

Non essendo presente l’onorevole Murgia, s’intende decaduto.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Osservo che non è perfettamente esatto quanto ha affermato l’onorevole Ruini circa l’inidoneità della norma proposta ad assumere carattere costituzionale. Ho già osservato che una disposizione analoga si legge in una delle più antiche e notevoli Costituzioni europee, quella belga. Comunque io, per motivi di opportunità, aderisco volentieri all’invito del Presidente della Commissione per la Costituzione di trasformare in ordine del giorno il mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue la proposta di articolo aggiuntivo dell’onorevole Patricolo, presentato insieme con gli onorevoli Colitto, Castiglia, Penna Ottavia, Miccolis, Marina, Abozzi, Coppa, Rodi e Mazza, così formulato:

«Sono organi del potere giudiziario:

  1. a) la Magistratura sia requirente che giudicante;
  2. b) la polizia giudiziaria;
  3. c) l’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena».

L’onorevole Patricolo ha facoltà di svolgerlo.

PATRICOLO. Devo fare una premessa all’emendamento da me presentato, ricordando di avere fatto parte della Commissione dei Settantacinque e di avere presentato un progetto articolato riguardante il potere giudiziario, in cui si considerava il potere giudiziario come potere autonomo, non soltanto come Magistratura, ma insieme ai due altri aspetti sotto cui si attua la giustizia, insieme cioè a dire alla fase esecutiva ed alla fase preventiva dell’atto di giustizia che compie il magistrato; come potere giudiziario consideravo, insieme, la Magistratura, la polizia giudiziaria e gli istituti di prevenzione e di pena, perché ritenevo che, dovendo stendere un articolato di Costituzione sulla Magistratura e quindi sul potere giudiziario, si dovesse procedere ad una riorganizzazione veramente democratica dell’amministrazione della giustizia e non ad una elencazione di norme, che oggi hanno preso la semplice espressione di norme di una legge sull’ordinamento giudiziario.

Ho assistito alle discussioni fatte sull’autonomia del potere giudiziario e sulla indipendenza della Magistratura ed ho visto che sono state ridotte queste questioni alla più semplice espressione.

Si è parlato della necessità che il magistrato abbia degli emolumenti maggiori, che appartenga ad un partito politico o meno, ecc., ma non si è affrontato il problema essenziale della autonomia della Magistratura, autonomia che, per essere completa, non può ottenersi se non distaccandola dal potere esecutivo e da quelle influenze di carattere politico che vengono dal fatto che esiste un Ministro della giustizia. E qui devo rilevare che, quando l’Uomo Qualunque, un anno e più addietro, iniziò la sua campagna politica in Italia facendo presente la necessità dell’autonomia della Magistratura e la necessità che si desse al popolo italiano ogni garanzia contro il potere esecutivo che attraverso la Magistratura poteva influire nell’attuazione della giustizia, io ho veduto in tutte le città d’Italia, deputati di tutti i partiti dire: ma questo Uomo Qualunque che cosa viene a raccontare di nuovo? Tutti siamo per l’indipendenza e l’autonomia della Magistratura e tutti siamo per dare queste garanzie al popolo italiano.

Io oggi non appartengo più al partito dell’Uomo Qualunque; comunque rivendico questo punto programmatico, non come punto programmatico esclusivo dell’Uomo Qualunque, ma di tutti quei partiti che si sono dichiarati democratici e soprattutto di tutti quei deputati che, nella loro campagna elettorale, hanno sbandierato questa grande riforma della democrazia, che si sarebbe ottenuta in Italia dando l’autonomia al potere giudiziario e dando questa garanzia al popolo italiano, contro l’invadenza del potere esecutivo.

Da questa premessa della vera autonomia ed indipendenza del potere giudiziario deriva l’emendamento da me presentato, perché il potere giudiziario va inteso non soltanto come Magistratura, ma anche come polizia giudiziaria e amministrazione delle case di prevenzione e di pena.

Se vogliamo fare un articolato di Costituzione che effettivamente dia quelle garanzie che noi invochiamo per il popolo, occorre che il potere politico non intralci l’opera della giustizia, né nella fase della preparazione di quello che viene chiamato giudizio, né nella fase posteriore dell’esecuzione della pena. Dobbiamo garantire che non vengano a perpetuarsi quei sistemi, spesso inumani, usati dalla polizia politica verso determinate categorie di cittadini. Noi vogliamo evitare che nel trattamento del delinquente punito nelle case di pena vengano usati sistemi che non sono consoni alla pena avuta e che non devono andare al di là della pena stabilita dal giudice. Queste garanzie possiamo dare al cittadino soltanto se riuniamo le tre funzioni della giustizia in un unico potere, dando piena autonomia a questo potere e piena indipendenza dal potere politico, dal potere esecutivo.

Io non credo che debba ancora soffermarmi su questo, perché tutti gli onorevoli colleghi conoscono abbastanza bene il significato, la sostanza dell’argomento che trattiamo e le conseguenze che possono nascere dall’abbandono di questa unità e di questa autonomia del potere giudiziario. Io li prego di riflettere; dopo di che, se questo mio emendamento dovesse essere accettato, si intende che verrebbero altri emendamenti ad integrare la materia.

Io, tuttavia, non penso che l’emendamento sia accettato. Comunque, per chiudere, onorevole Presidente, intendevo ed intendo denunziare ancora una volta all’opinione pubblica italiana questo inganno che i partiti politici e gli uomini politici fanno nel promettere prima e nel non mantenere poi.

PRESIDENTE. Onorevole Patricolo, non è la sede questa per apprezzamenti di tal genere.

PATRICOLO. Ho finito, signor Presidente.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Patricolo ha spiegato le ragioni che hanno dettato questo suo emendamento: egli vuole riunire insieme alla funzione giudicante la fase preventiva e la fase esecutiva delle pene.

Faccio osservare all’onorevole Patricolo che in questo suo panorama di tutti gli organi della Magistratura, mancherebbe ancora qualche cosa, e cioè, per esempio, i cancellieri. Il quadro non è completo; il suo sforzo di tutto comprendere non è riuscito; sfugge sempre qualche cosa.

Ma il quadro non va, sovratutto perché mette insieme come organi del potere giudiziario, quasi di pari grado, elementi diversi tra loro, e che non sono tutti degli organi giudiziari. D’accordo per la Magistratura che è per definizione l’organo del potere giudiziario; e non c’è bisogno di dirlo; anzi, mettendo la Magistratura, che è essa stessa il potere giudiziario, con altri elementi, si rimpicciolisce la figura e la funzione della Magistratura, che l’onorevole Patricolo intende rafforzare.

Non è però esatto dire che la polizia giudiziaria è un organo giudiziario, come la Magistratura. Sarà tutt’al più un organo ausiliario; ma è cosa molto differente, e non bisogna fletterla sullo stesso piano della Magistratura. È bensì giusto che la funzione preventiva, come dice l’onorevole Patricolo, sia esercitata da una speciale polizia, la giudiziaria, e che questa sia a disposizione della Magistratura. Abbiamo messo appunto nel progetto di Costituzione che la Magistratura può disporre direttamente dell’opera della polizia giudiziaria; siamo pronti ad andare più in là ed a chiarire che la polizia giudiziaria è un corpo speciale, che dipende direttamente dall’autorità giudiziaria.

Il terzo organo, nel quadro dell’onorevole Patricolo, è l’amministrazione carceraria. Qui non possiamo seguirlo. L’esecuzione delle condanne può e deve essere vigilata da giudici; che però adempiono tale compito non in veste vera e propria di giudici, giacché il loro vero compito è la giurisdizione. Il dissenso tra noi e l’onorevole Patricolo è nel concetto di «amministrazione», e va al di là del settore delle carceri.

L’onorevole Patricolo ha torto quando dice che la Costituente vuol eludere le aspettative della Magistratura. Qual è lo scopo che si propone l’Assemblea? È opportuno dirlo dinanzi al Paese tutto, è lo scopo di assicurare alla Magistratura la sua indipendenza come personale, come corpo, come ordine, e in questo possiamo spingerci molto innanzi: ma che l’amministrazione di tutti i servizi della giustizia debba passare alla Magistratura, con la conseguente soppressione del Ministero della giustizia e con l’inevitabile corollario che la Magistratura diventi essa stessa una specie di Ministero, questo no.

Che la Magistratura debba avere funzioni autonome ed indipendenti di autoregolazione per le assunzioni, per i trasferimenti, per le promozioni, per le misure disciplinari (sono questi i quattro punti essenziali) la Commissione o l’Assemblea sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Patricolo; ma ferme rimanendo le attribuzioni autonome della Magistratura sul suo personale, l’amministrazione dei servizi della giustizia spetta ad un dicastero e ad un Ministro che ne risponde davanti al Parlamento. C’è un equivoco, onorevole Patricolo; quando non soltanto la Commissione o l’Assemblea, ma tutti, quando il Paese ha dichiarato che i magistrati debbono costituire un ordine indipendente ed autonomo, non si è inteso di affidare ad essi tutto il funzionamento dell’amministrazione e dei servizi del Ministero della giustizia, questo è un indirizzo che non si può seguire.

È per il concetto di organizzazione dello Stato, e di tutto l’insieme di quella che è la struttura dello Stato moderno, che io ritengo non si possa giungere all’estremo cui l’onorevole Patricolo ha accennato. (Approvazioni).

PATRICOLO. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRICOLO. Io mi sarei aspettato da chiunque una risposta come quella che mi ha dato l’onorevole Ruini, ma non da lui che conosce il mio progetto che, come prima ho avuto occasione di dire, presentai in sede di Commissione. Egli sa che io concepivo un ordinamento della Magistratura in cui il potere giudiziario fosse considerato come un potere a sé, che avesse un suo capo il quale rispondesse al Parlamento degli atti del potere giudiziario.

Io non venivo quindi a sottrarre al Parlamento e al suo sindacato tutta l’amministrazione del potere giudiziario: io intendevo soltanto di svincolare dalle sorti del potere politico il capo del potere giudiziario, non ritenendo che la Magistratura e il potere giudiziario, con il loro capo, potessero correre l’alea delle vicende politiche del Ministero.

Questo e non altro è lo spirito della mia proposta, onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Sta bene. Lei conserva, onorevole Patricolo, la sua proposta?

PATRICOLO. La mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione.

Pongo in votazione il testo proposto dall’onorevole Patricolo e da altri colleghi, che dovrebbe essere inserito come articolo 94-bis:

«Sono organi del potere giudiziario:

  1. a) la Magistratura sia inquirente che giudicante;
  2. b) la polizia giudiziaria;
  3. c) l’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena».

(Non è approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 95. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La funzione giurisdizionale in materia civile e penale è attribuita ai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti spetta la giurisdizione nelle materie e nei limiti stabiliti dalla legge.

«Presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi per determinate materie sezioni specializzate con la partecipazione anche di cittadini esperti, secondo le norme sull’ordinamento giudiziario.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e quelle sulle magistrature del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sono stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.

«Non possono essere istituiti giudici speciali se non per legge approvata nel modo sopra indicato. In nessun caso possono istituirsi giudici speciali in materia penale.

«I tribunali militari possono essere istituiti solo in tempo di guerra».

PRESIDENTE. Gli emendamenti proposti a questo articolo sono numerosissimi; alcuni sono già stati svolti.

L’onorevole Carboni Angelo ha svolto la seguente proposta di emendamento sostitutivo degli articoli 95 e 96, firmata anche dagli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Fietta.

«Sostituirli col seguente:

«La funzione giurisdizionale, salvo che per le materie attribuite dalla legge al Consiglio di Stato, ai tribunali amministrativi regionali, di cui all’articolo 122, ed alla Corte dei conti, è esercitata esclusivamente dagli organi della magistratura ordinaria, istituiti e regolati secondo le norme dell’ordinamento giudiziario.

«Presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi, per determinate materie, sezioni specializzate anche con la partecipazione, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, di cittadini esperti e di giudici popolari.

«In tempo di guerra possono istituirsi tribunali militari.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e quelle sulle magistrature del Consiglio di Stato, dei tribunali amministrativi regionali e della Corte dei conti sono stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.

L’onorevole Monticelli ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La funzione giurisdizionale è esercitata esclusivamente dai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Al Consiglio di Stato ed ai Tribunali amministrativi, di cui all’articolo 122, terzo comma, spetta la giurisdizione amministrativa in materia di interessi legittimi.

«Alla Corte dei conti spetta la giurisdizione in materia di contabilità e pensioni nei casi e modi dalla legge previsti.

«I tribunali militari non possono essere istituiti che in tempo di guerra.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e quelle sulle Magistrature del Consiglio di Stato, dei tribunali amministrativi, della Corte dei conti e dei tribunali militari di guerra, sono stabilite con legge votata a maggioranza assoluta dai membri delle due Camere.

Anche l’onorevole Romano ha svolto il suo emendamento così formulato:

«Sostituirlo col seguente:

«Il potere giudiziario tutela i diritti e gli interessi legittimi di tutte le persone, sindaca la legittimità delle norme giuridiche e degli atti di ogni pubblico ente, punisce ogni violazione dell’ordine giuridico penalmente sanzionata.

«Le norme sull’Ordinamento giudiziario sono stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.

«In nessun caso possono essere istituiti giudici speciali.

«I tribunali militari possono essere istituiti solo in tempo di guerra».

L’onorevole Mortati ha presentato il suo emendamento, che nell’ultima formulazione è così redatto:

«Sostituirlo col seguente;

«La funzione giurisdizionale nella materia penale ed in quella civile, per le controversie tra privati, è attribuita ai magistrati ordinari, istituiti e regolati secondo le norme sull’ordinamento giudiziario.

«Presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi, per determinate materie, sezioni specializzate, con la partecipazione anche di cittadini, a norma delle leggi sull’ordinamento giudiziario.

«Nelle controversie in cui l’amministrazione intervenga come parte, per la tutela di un pubblico interesse, la legge potrà attribuire la funzione giurisdizionale ad organi giudiziari speciali.

«Nella materia penale possono istituirsi con legge giudici speciali solo per le infrazioni commesse da militari e nel caso di guerra dichiarata.

«La legge, che stabilisce giurisdizioni speciali, determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici che le compongono».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento tende a modificare il testo del progetto in modo che a me sembra più razionale, così da evitare equivoci e da togliere delle limitazioni alle specialità delle giurisdizioni, poste dalla Commissione, e che sono, a mio avviso, eccessive.

In sostanza, secondo il testo proposto per l’articolo 95 del progetto, il problema della ripartizione della competenza fra giudice ordinario e speciale è risolto dall’inciso inserito nel primo comma: «per la materia civile e penale la competenza è attribuita ai magistrati ordinari».

Ora, questa formulazione mi sembra troppo generica e troppo vaga, e tale da rendere possibili gravi inconvenienti pratici, perché per materia civile si deve intendere letteralmente tutto quanto tocca i diritti dei cittadini, e quindi anche le controversie, nelle quali possa essere interessata una pubblica amministrazione. Quindi, a tenore di questa disposizione, si dovrebbe ritenere che sia esclusa la giurisdizione da parte del Consiglio di Stato, tutte le volte che si controverta su diritti, e che, analogamente, in tali casi sia esclusa la competenza della Corte dei conti; e noi sappiamo che la maggior parte della competenza della Corte dei conti si esercita proprio per il giudizio sui diritti dei cittadini.

Ora ad evitare le difficoltà interpretative (che si sono verificate, per esempio, in Belgio, in relazione alla norma costituzionale la quale contiene un analogo riferimento alla materia civile, come competenza esclusiva della Magistratura ordinaria, e dove ci si è trovati imbarazzati quando si sono volute instituire giurisdizioni speciali, in materia di diritti fatti valere nei riguardi di pubbliche amministrazioni) il mio emendamento propone di precisare che la «materia civile» attribuita alla competenza esclusiva dei giudici ordinari sia solo quella relativa a «controversie tra privati». In questo modo si eliminano gli equivoci a cui ho accennato.

Il secondo scopo del mio emendamento è quello di evitare la casistica fatta nel secondo comma, secondo cui la competenza giurisdizionale è mantenuta solamente a favore del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, nei limiti che saranno fissati dalla legge.

A me pare che questa concessione, fatta ai sostenitori del principio della unicità della giurisdizione, sia eccessiva, e cioè che sia poco opportuno escludere in questa sede la possibilità per le leggi avvenire di mantenere o di creare altre giurisdizioni speciali nelle materie in cui sia interessata la pubblica amministrazione. A me pare che la discussione che noi abbiamo fatto a preparazione di questo articolo non abbia raggiunto un grado di maturità e di approfondimento sufficiente a farci prendere posizione con informata coscienza, in ordine ad un problema così straordinariamente importante, com’è quello delle giurisdizioni speciali nelle materie in cui sia interessata la pubblica amministrazione.

È già eccessivo, a mio avviso, escludere in sede costituzionale la possibilità del mantenimento di giudici speciali nelle materie di diritto privato, essendovene alcune che si sono dimostrate assai utili, come, per esempio, il Commissariato per gli usi civici, e forse coloro che affermano la unicità della giurisdizione non hanno pienamente valutato tutta la gravità delle conseguenze che potrebbero nascere dalla loro soppressione. Forse per alcune delle giurisdizioni speciali cui accenno, e in ispecie per quella ricordata degli usi civici, sarebbe opportuna una disposizione transitoria che le mantenga fino all’esaurimento delle controversie loro affidate.

Ma dico che, se è una grande concessione eliminare ogni giudice speciale nei rapporti fra privati, mi pare sia ancora più grave escludere giurisdizioni speciali nella materia in cui sia interessata la pubblica amministrazione, all’infuori del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Né si dica che gli inconvenienti di questa limitazione alla possibilità di creare giudici speciali siano eliminabili in virtù della norma del terzo comma dell’articolo, che prevede la possibilità di creare sezioni specializzate con la partecipazione di cittadini esperti. Questi organi di giurisdizione ordinaria specializzata potranno esplicare una funzione utile nei casi in cui il giudice ordinario debba essere illuminato su circostanze di fatto. Allora può essere proficuo che il giudice completi la sua informazione tecnica mediante consiglieri esperti. Ma vi sono casi in cui non si chiede tanto un contributo di informazione sui fatti, ma una speciale forma mentis, una speciale preparazione per la interpretazione di certe disposizioni di legge, per cui il giudice ordinario non appare sufficientemente preparato. Quindi, allo stato in cui è la maturazione del problema, non è possibile decidere nel senso proposto, esaurendo tutti gli organi di giurisdizione speciale nel Consiglio di Stato e nella Corte dei conti.

La mia proposta tende appunto a lasciare la possibilità alla legge ordinaria di prendere posizione in ordine a questi importanti problemi, senza i vincoli che il progetto vorrebbe porre.

E a questo proposito ho emendato la mia primitiva formulazione del terzo comma, con una nuova dizione che mi sembra meno insoddisfacente. In questa materia è difficile raggiungere la perfezione. Si tratta di trovare una formula che appaia la meno imperfetta. E allora, propongo di dire: «Nelle controversie in cui l’amministrazione intervenga come parte per la tutela di un pubblico interesse, la legge potrà attribuire la funzione giurisdizionale ad organi giudiziari speciali».

In questo modo mi pare si abbia una raffigurazione piuttosto precisa delle possibilità lasciate al legislatore avvenire, per quanto riguarda la materia della giurisdizione amministrativa, senza cristallizzarla nella formula del progetto.

Ho sott’occhio una proposta a firma degli onorevoli Conti, Bettiol ed altri, che nella sostanza riproduce la proposta da me formulata. Ad essa io potrei anche aderire, se ciò può giovare ad affrettare l’approvazione dell’articolo. Faccio osservare però che ci sono dei gravi difetti di formulazione in questa formula Conti, perché in essa si fa particolare menzione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e quindi si uniforma allo schema logico del progetto primitivo, che precisa e limita a questi due soli organi la competenza del giudizio speciale; ma viceversa poi lo amplia in quanto prevede altri organi, diversi dal Consiglio di Stato, di giustizia amministrativa; così, per la Corte dei conti, attribuisce ad essa in modo esplicito la materia contabile, ma poi prevede un ampliamento della sua competenza a tutti i casi che la legge ordinaria potrà prevedere.

Così vi sarebbe una indicazione nominativa dei due organi, con un valore però sostanzialmente esemplificativo.

Ora, non mi pare che un testo costituzionale sia il campo più propizio per procedere a delle esemplificazioni.

Proporrei quindi, proprio per una considerazione di tecnica costituzionale, di modificare la formula Conti, che, se non mi sbaglio, mi sembra meno sodisfacente di quella da me proposta, pur concordando nel risultato di consentire al legislatore di domani la possibilità di creare giurisdizioni speciali anche all’infuori delle due classiche che si son volute conservare nel progetto. Si potrebbe obiettare che la menzione espressa dal Consiglio di Stato e della Corte dei conti non è puramente esemplificativa, avendo significato di conferire valore costituzionale a questi organi. Ma questa costituzionalizzazione mi sembra inopportuna, anche perché si dovrebbe ricorrere alla legge costituzionale per modificare la situazione attuale e così, per esempio, fondere i due organi in un tribunale amministrativo unico.

Per quanto riguarda il Tribunale militare dichiaro di aderire alla formula dell’onorevole Conti riconoscendo opportuno limitare ulteriormente la competenza di detto organo nel tempo di pace non solo ai reati commessi dai militari, ma anche ai reati obiettivamente militari.

Per quanto riguarda l’ultimo punto dell’emendamento dell’onorevole Conti, mi pare del tutto superfluo, poiché già nei commi precedenti si parla di legge come regolatrice di questa materia. Invece mi sembra necessario stabilire che anche ai giudici speciali sono estese le garanzie poste per quelli ordinari. Il progetto afferma tale principio nell’articolo 97, ma mi pare opportuno che, istituendosi giudici speciali, siano estese le garanzie di indipendenza anche a questa categoria di giudici.

Per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti c’è già un articolo in cui si dice che la legge disciplinerà le forme e le condizioni che garantiscano a queste magistrature la indipendenza del governo. Mi pare che la formula si dovrebbe trasportare in questa sede ed estenderla a tutti gli altri organi speciali, quindi non solo al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti, ma anche ai Tribunali militari ed agli altri attuali o eventuali giudici speciali.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La giurisdizione è esercitata, in materia civile e penale, dalla magistratura ordinaria; la giurisdizione in materia di atti amministrativi, quella in materia di contabilità e di pensione e quella in materia di reati militari sono esercitate dalle Magistrature speciali del Consiglio di Stato, dei tribunali amministrativi regionali, e – rispettivamente – della Corte dei conti e dei tribunali militari.

«Non potranno essere istituite altre Magistrature speciali e quelle esistenti dovranno essere soppresse entro due anni dall’entrata in vigore della Costituzione.

«L’assunzione e la carriera dei magistrati ordinari e speciali sono regolate dalla legge organica sull’ordinamento giudiziario e – rispettivamente – da leggi speciali, votate – l’una e le altre – a maggioranza assoluta.

«Presso le sezioni specializzate, civili e penali, delle Magistrature di merito potranno essere assunti cittadini esperti secondo le norme dell’ordinamento giudiziario e processuale».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Sviluppando ieri, onorevoli colleghi, l’emendamento da me proposto all’articolo 94, ho voluto porre in rilievo il sistema della prima Sezione di questo Titolo, che ha negli articoli 94, 95 e 97 i proprî capisaldi e negli articoli 96 e 98, 99 e 100 contiene norme complementari. Esposi le ragioni per le quali deve ritenersi che coll’articolo 94 siasi voluta indicare nel popolo la fonte originaria della giurisdizione, in quanto questa è esercitata in suo nome, e osservai che in conseguenza sarebbe stato opportuno trasferire in quella sede la disposizione dell’articolo 96, comunque emendata, in quanto riguardante il caso in cui il popolo partecipa direttamente all’esercizio della giurisdizione. Fu concordato di esaminare tale proposta all’esito della discussione sull’articolo 96; e fu cosa opportuna, perché oggi sarà quasi certamente votata, io spero, in aggiunta al testo del progetto, una norma per la quale cittadini esperti potranno partecipare all’esercizio della giurisdizione presso le sezioni specializzate delle magistrature di merito; per modo che all’articolo 94 si renda opportuno e sufficiente aggiungere, invece che la norma speciale contenuta nell’articolo 96, una norma generica che raccomando fin d’ora all’esame della Commissione, e per la quale subito dopo il primo comma sia detto: «il popolo può partecipare anche direttamente all’esercizio della giurisdizione nei modi stabiliti dalla legge». Di ciò riparlerò fra poco.

Come l’articolo 94 si occupa della fonte della giurisdizione, l’articolo 95 ne determina gli organi e ne stabilisce l’unità, facendo finalmente ragione alle insistenti invocazioni della dottrina, della giurisprudenza e dei ceti forensi, che da anni reclamano a gran voce il ristabilimento di questo principio; così l’articolo 97 determinerà le garanzie d’indipendenza della Magistratura, quanto dire della tutela della giurisdizione. Come si vede pertanto, ed è per questo che ho voluto qui prospettare il sistema del progetto, anche in questa sezione del quarto titolo, che prende il nome dalla Magistratura, i temi delle norme che si vengono dettando sono quelli sulla giurisdizione, sulla Magistratura, sull’Ordinamento giudiziario, temi inscindibili, come inscindibile è la relativa materia, come inscindibile è la funzione che crea l’organo dall’organo stesso.

Rilevo ciò perché mi parve saggio consiglio quello espresso ieri dall’onorevole Ruini di riservare a dopo la votazione dell’articolo 100 la decisione sulla opportunità tecnica di distinguere il Titolo IV sulla Magistratura in due Sezioni. Pei motivi che ho prospettati, ritengo di dovere esprimere fin da questo momento il voto che il Titolo IV non sia suddiviso e prenda il nome soltanto dalla Magistratura. Premesso questo voto, che tende ad armonizzare il lavoro fin qui compiuto in questa parte con quello che resta da compiere, e ad avviare fin d’ora verso la razionale soluzione le questioni rimaste sospese, passo a un rapido esame dell’articolo 95 del progetto e a quello dei singoli commi come da me emendati.

L’articolo 95 come da me emendato, tende a realizzare il principio della unità della giurisdizione, in modo più deciso che non abbia fatto il testo del progetto; il quale, malgrado le trecento giurisdizioni speciali tutt’ora esistenti, afferma la possibilità che se ne istituiscano delle altre sebbene con legge votata a maggioranza assoluta (comma 5); e lascia che possano passare ancora 5 anni prima di procedere alla revisione di quelle giurisdizioni speciali delle quali più insistentemente si reclama la soppressione (Disposizioni transitorie VII). E pertanto il testo da me proposto riafferma col primo comma il principio che: «la giurisdizione è esercitata, in materia civile e penale, dalla Magistratura ordinaria»; e aggiunge che: «la giurisdizione in materia di atti amministrativi, quella in materia di conti e di pensioni e quella in materia di reati militari sono esercitate dalle Magistrature speciali del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi locali, nonché – rispettivamente – della Corte dei conti e dei Tribunali militari. Ho spiegato ieri le ragioni per le quali alla locuzione «funzione giurisdizionale», usata nel testo della Commissione, io sostituisca quella tecnica «la giurisdizione». Non occorre dire come col definire «ordinaria» la Magistratura che esercita la giurisdizione in materia civile e penale, si è voluto affermare il principio che è proprio attorno ad essa che si vuole formare la «unità della giurisdizione»; onde si considerano speciali anche le tre richiamate Magistrature destinate a sopravvivere, in quanto, a mio giudizio, insopprimibili per la funzione essenziale che hanno nel nostro ordinamento amministrativo. Come l’Assemblea sa, i pareri sono, in questa parte, discordi, sembrando a taluno che anche verso i campi degli atti amministrativi, dei conti e delle pensioni e dei reati militari, debba più o meno dilatarsi l’unità della giurisdizione. Qualche emendamento avanzava addirittura proposte specifiche. Ma è troppo evidente che esse non possono essere tolte in esame in questa sede. Io ho preferito limitarmi ad affermare la necessità di conservare queste giurisdizioni, rimandando il rispettivo disciplina-mento alle leggi regolatrici dei singoli istituti. In ordine ai tribunali militari confesso la mia perplessità sulla possibilità di sopprimerne il funzionamento in tempo di pace; ma sono d’accordo che la relativa giurisdizione debba limitarsi ai soli reati militari propriamente detti e, relativamente ai soggetti, ai soli militari.

Il secondo comma è così formulato: «Non potranno essere istituite altre Magistrature speciali e quelle esistenti dovranno essere soppresse entro due anni dall’entrata in vigore della Costituzione».

Questa parte del mio emendamento investe in pieno l’oscitanza del progetto e impone che il principio della unità della giurisdizione non sia affermato per lustra: giurisdizioni speciali non potranno più essere istituite né con decreti-legge né con leggi, si vogliano queste approvate a maggioranza semplice, o si vogliano approvate a maggioranza assoluta; e quelle presentemente esistenti dovranno essere al più presto soppresse, secondo l’emendamento, non oltre i due anni dalla entrata in vigore della Costituzione.

Qui il principio non è proclamato in astratto, ma diventa norma cogente! E io confido che l’Assemblea non esiterà, per la serietà dei propri propositi, ad approvare questa soluzione, evidentemente non contradetta dal quarto comma dell’emendamento così formulato: «Presso le sezioni specializzate, civili e penali, delle Magistrature di merito potranno essere assunti cittadini esperti secondo le norme dell’ordinamento giudiziario e processuale».

Altro è la giurisdizione speciale, altro è la sezione specializzata istituita nell’ambito di una giurisdizione ordinaria. Quanto poi al potere di assumere, nei modi di legge, in seno a queste sezioni specializzate cittadini esperti, esso deriva dal fatto che nel popolo è la fonte originaria della giurisdizione e dal diritto al popolo è riservato di partecipare direttamente al suo esercizio nei casi e nei modi dalla legge stabiliti, come io ho proposto di dichiarare all’articolo 94, sciogliendo la riserva fatta dal Presidente della Commissione, e come sarà ad ogni modo stabilito in altra parte del Titolo.

Con altro comma è fissata la norma che: «L’assunzione e la carriera dei magistrati ordinari e speciali sono regolate dalla legge organica sull’ordinamento giudiziario e – rispettivamente – da leggi speciali, votate, l’una e le altre, a maggioranza assoluta». Si vedrà poi all’articolo 97, come, a garanzia della autonomia e della indipendenza della Magistratura, l’applicazione della legge a tale riguardo sia devoluta al Consiglio Superiore della Magistratura.

Pare a me che le modifiche introdotte soddisfino appieno le esigenze dei principio che qui si è voluto riaffermare ed attuare, in coincidenza con quelle di una giustizia controllata dal popolo, non soltanto attraverso la pubblicità delle udienze (garanzia che in verità è di scarsissimo rilievo nei giudizi civili), ma anche colla partecipazione ai processi del popolo medesimo, in determinati casi e in determinati modi dalla legge stabiliti. Ed è certo, comunque che esse rispondono ai voti, formulati dalla associazione nazionale dei magistrati più che ad essi non corrispondesse il testo del progetto.

Ma gli emendamenti a questo articolo proposti sono tanti e io penso che, a rendere possibile l’allargamento dei consensi, sia indispensabile che il Comitato dei Diciotto promuova la riunione di tutti i presentatori al fine di tentarne l’accordo sopra un unico testo. Allo sforzo dei magistrati italiani, più della giustizia che di se stessi pensosi, per realizzare, in questa sede, i più indeclinabili postulati di un saggiò ordinamento giudiziario, aggiungiamo gli sforzi nostri e avremo la grande gioia di aver finalmente cominciato a sodisfare, verso una categoria di così benemeriti cittadini, e così desiderosi di sempre migliorarsi ed elevarsi, un debito tanto gravoso, tanto vecchio e tanto dilazionato. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Cairo ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:

«La funzione giurisdizionale è interamente attribuita agli organi della Magistratura ordinaria istituiti e regolati dalla legge sull’ordinamento giudiziario.

«Al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti spetta la giurisdizione delle sole materie e nei limiti stabiliti dalla legge».

Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Ricordo che sono già stati svolti i seguenti altri emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La giustizia è amministrata da magistrati secondo norme stabilite dalla legge.

«Colitto».

«Sostituire il primo comma con i seguenti:

«La funzione giurisdizionale in materia civile e penale è attribuita ai magistrati ordinari.

«La Corte di cassazione è eletta dai magistrati. I magistrati sono nominati dalla Corte di cassazione.

«La legge determina le modalità della elezione e delle nomine.

«Abozzi».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La funzione giurisdizionale per la tutela dei diritti dei cittadini è esercitata esclusivamente dai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Caccuri».

L’onorevole Costa ha proposto i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: funzione giurisdizionale, sostituire l’altra: giurisdizione».

«Sopprimere il quarto comma».

Ha facoltà di svolgerli.

COSTA. Il mio primo emendamento non è che la ripetizione di quello accennato ieri sera e siccome non ha trovato fortuna, lo ritiro.

Ho presentato però un secondo emendamento relativo alla soppressione del quarto comma dell’articolo 95. Mi pare che non sia necessario dire nella Carta costituzionale che ci sarà una legge speciale la quale provvederà all’ordinamento giudiziario. In particolare, poi, non mi rendo conto del motivo per il quale si prescrive una maggioranza qualificata. Mi spiego la maggioranza qualificata richiesta al capoverso successivo per istituire nuove giurisdizioni speciali, data la particolare delicatezza dell’argomento, ma per una legge sull’ordinamento giudiziario e sulle giurisdizioni speciali già esistenti mi sembra che la richiesta della maggioranza qualificata non abbia una seria ragion d’essere.

Per questi motivi ho proposto la soppressione di tutto il quarto comma dell’articolo 95.

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: in materia civile e penale, sostituire le seguenti: in materia penale e per la tutela dei diritti civili e politici».

«Rinviare il secondo comma ad un articolo successivo (articolo 95-bis)».

«Sostituire il terzo comma con il seguente: «Non possono essere istituiti giudici speciali. È tuttavia consentito d’istituire presso gli organi giudiziari ordinari, per determinate materie, con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna delle due Camere, sezioni specializzate con la partecipazione anche di cittadini esperti».

«Al quarto comma, sopprimere le parole: e quelle sulle magistrature del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e sostituire alle parole: a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere, le seguenti: nel modo indicato nel precedente comma».

«Sopprimere il quinto comma».

Ha facoltà di svolgerli.

GRASSI. Onorevoli colleghi. Io ho seguito il testo della Commissione cercando di apportare alcuni emendamenti senza creare un mio testo in sostituzione.

Il primo emendamento che io ho presentato sostituisce alle parole «in materia civile e penale» le altre «in materia penale e per la tutela di diritti civili e politici». Siamo tutti d’accordo che la materia penale è tutta comprensiva nella funzione giurisdizionale penale. Ma quando si parla di materia civile non siamo perfettamente d’accordo, perché per materia civile – a prescindere se si debba o no comprendere. anche quella che riguarda i rapporti con le pubbliche amministrazioni a cui accennava poco fa l’onorevole Mortati, ma di cui si può fare distinzione – si intendono anche le questioni relative a tutti i diritti politici del cittadino, i quali vengono ad essere esclusi se non diciamo, con una forma più corretta che risponde alla legge del 1865, «per la tutela dei diritti civili e politici». Ora, mentre la materia penale è assorbente nella funzione giurisdizionale penale, la materia civile non sarebbe assorbente se non dicessimo «per la tutela dei diritti». Allora anche l’osservazione fatta dall’onorevole Mortati cadrebbe, perché evidentemente, di fronte alla giurisdizione del Consiglio di Stato, la materia prevalente, tranne quella eccezionale, non è che la tutela di interessi. Quindi noi dovremmo dire: «in materia penale e per la tutela dei diritti civili e politici». Questa è una forma che spero la Commissione vorrà accettare. Per quanto concerne il secondo comma, che riguarda appunto il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, io preferirei che fosse stralciato dall’articolo 95 che riguarda soltanto la giurisdizione ordinaria, e di esso fosse fatto un articolo a parte riguardante appunto il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Ma io non mi limito soltanto a questa osservazione, ma siccome la formula adottata dalla Commissione lascia alla legge successiva di stabilire la materia ed i limiti della competenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, io giudico preferibile che questa materia venga determinata tenendo presente lo sviluppo che la giustizia ha preso nel campo dell’amministrazione. Io parlo dal concetto, che è del resto quello della Commissione, dell’unità della giurisdizione.

Non possiamo, di fronte all’unità della legislazione, che avere una unità giurisdizionale. Possiamo avere creata una giurisdizione speciale, ma bisogna che la si contenga in quei limiti nei quali si è mantenuta fino ad oggi.

Ecco perché presentavo un articolo 95-bis, nel quale stabilivo nettamente queste considerazioni, ossia che oltre al Consiglio di Stato ci sono altri organi della giustizia amministrativa, come le Giunte provinciali e i Consigli di prefettura che, specialmente attraverso il sistema regionale istaurato oggi in Italia, prenderanno un loro sviluppo, come accade per la Regione siciliana.

Stabiliamo quale è il compito di questa giurisdizione amministrativa e anche le materie specialmente determinate dalla legge per la tutela dei diritti contro gli atti della pubblica amministrazione. Alla Corte dei conti è attribuita la funzione giurisdizionale di quelle materie che le competono. Perciò ho creduto sia più prudente che nella legge fondamentale dello Stato, dal momento che di questi argomenti se ne è voluto parlare, per lo meno venissero precisati e non lasciati alla legge futura. Per quanto si riferisce al terzo comma ed al penultimo, avevo presentato un emendamento, che in parte è riassunto in quello dell’onorevole Conti, in cui si stabilisce il principio che non possono essere istituiti giudici speciali.

Questo bisogna stabilirlo come principio fondamentale, e soltanto in via di eccezione «è tuttavia consentito d’istituire presso gli organi giudiziari ordinari, per determinate materie, con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna delle due Camere, sezioni specializzate con la partecipazione anche di cittadini esperti».

È il concetto della Commissione. La preoccupazione dell’onorevole Merlin circa la presenza in Italia di 300 giurisdizioni speciali è esagerata. C’è un libro del Cadendo, ottimo magistrato, che attesta che dopo la guerra si largheggiò moltissimo per le giurisdizioni speciali. Oggi c’è un lavoro più recente da cui risulta che le legislazioni speciali sono una cinquantina. Effettivamente sono anche importanti. Ma non è detto che attraverso il grande tronco dell’ordinamento ordinario non si possano creare sezioni speciali.

Questi sono i concetti fondamentali in cui si ispira questo emendamento, che può seguire quello che la Commissione ha fatto, cercando di portare un perfezionamento e di evitare l’equivoco.

Non parlo dell’ultimo comma: ho domandato la soppressione, nel senso non che la giustizia militare debba essere soppressa in tempo di pace. Sono d’accordo con l’onorevole Gasparotto sulla necessità che rimanga. Bisognerebbe disciplinarla. Non so se sia il caso di parlarne in questa sede nella Costituzione o rimandare la questione alla legge che ordinerà la Magistratura, nel campo della giustizia penale.

Voglio far presente che sopprimere addirittura la giurisdizione militare è forse un errore, nel senso che si graverebbe la Magistratura ordinaria di un compito enorme, quale quello di tutti i reati militari, che possono avvenire durante il periodo di pace; d’altra parte, se limitiamo la giurisdizione penale militare soltanto al reato militare vero e proprio, senza estenderla, per connessione, a tutti i civili che possono venire coinvolti nel giudizio presso il tribunale militare, compiamo opera utile, senza aggravare il compito, già abbastanza grave e penoso, della Magistratura ordinaria.

Affido all’Assemblea queste osservazioni suggeritemi dalla pratica e dall’esperienza acquisita nei contatti con la Magistratura, e spero che ne terrà conto.

PRESIDENTE. L’onorevole Sapienza ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, dopo la parola: attribuita, aggiungere: esclusivamente».

«Al terzo comma, sopprimere le parole: con la partecipazione anche di cittadini esperti, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

«Al quinto comma, dopo le parole: legge approvata nel modo sopra indicato, aggiungere: sempre sotto la presidenza e con la maggioranza di membri appartenenti alla Magistratura ordinaria».

«All’ultimo comma, aggiungere: e con giurisdizione limitata alle Forze armate, escluse sempre, e anche nel caso di concorso nei reati, le persone estranee alle Forze armate».

Ha facoltà di svolgerli.

SAPIENZA. Ho presentato a questo articolo quattro emendamenti, partendo dal principio che i magistrati dovrebbero essere i soli ad amministrare la giustizia in Italia; i tribunali speciali, le commissioni, gli arbitrati, dovrebbero esistere solo in linea eccezionale.

Quindi io, dove al primo comma è detto: «La funzione giurisdizionale in materia civile e penale è attribuita…» aggiungerei «esclusivamente».

Al terzo comma, io propongo di sopprimere, per le ragioni sopra dette, le parole «con la partecipazione anche di cittadini esperti, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

E quando si parla della istituzione del giudice speciale, io propongo di aggiungere «sempre sotto la presidenza e con la maggioranza di membri appartenenti alla Magistratura ordinaria».

Riguardo ai tribunali militari, io escluderei tutti i civili, anche quando essi concorrano in reati con militari.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire alle parole: magistrati ordinari, le parole: magistrature ordinarie».

Ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, l’articolo in esame stabilisce che la funzione giurisdizionale è attribuita in materia civile e penale ai magistrati ordinari. Io propongo di sostituirvi le parole: «alle magistrature ordinarie». Questa mia proposta non corrisponde ad un desiderio di modificazione letteraria, ma ad un concetto che credo debba trovare consenso nei colleghi. Se si mantenesse la dizione del progetto, cioè «magistrati ordinari», si manterrebbe una disposizione in contrasto con quella dell’articolo successivo, il quale prevede la istituzione della giuria. Evidentemente, se si mantenesse la dizione del progetto, i giudici contemplati dall’articolo successivo non rientrerebbero in questa questione.

Si dirà da parte di qualcuno che quest’articolo è destinato ad avere vita breve ed ingloriosa. Mi auguro di no. Ma anche se l’Assemblea Costituente non lo approvasse, la modificazione da me proposta non porterebbe a nessuna conseguenza illogica. Infatti, nel caso che l’Assemblea Costituente non affermi fino da oggi, ma non escluda – e credo che a questo l’Assemblea non arriverà – per l’avvenire la possibilità dell’istituzione della giuria, o se rimanesse fissa la dizione che «la funzione giurisdizionale è attribuita ai magistrati ordinari», vi sarebbe una contraddizione. Nell’opposta ipotesi, che cioè l’Assemblea Costituente voglia proprio precludere la via all’istituzione, anche non immediata, della giuria, non per questo la dizione: «magistrature ordinarie» creerà nessuna situazione contradittoria, perché nelle magistrature ordinarie resteranno certamente compresi tutti i giudici ordinari. Per concludere, lasciando la dizione attuale si va incontro a contraddizione fra quella norma e la norma successiva; modificandola, non si va incontro in nessun caso a nessuna contraddizione.

PRESIDENTE. Ricordo che sono già stati svolti i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il secondo comma».

«Colitto».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Sono giurisdizioni speciali:

  1. a) il Consiglio di Stato e le giurisdizioni amministrative regionali in materia di interessi legittimi;
  2. b) la Corte dei conti e – nei limiti fissati dalla legge – le giurisdizioni contabili locali, in materia di giudizi sui conti, di danni prodotti da pubblici funzionari, di pensioni e di quote inesigibili d’imposta;
  3. c) le giurisdizioni fiscali, per la materia tributaria, in tre soli gradi, nelle forme che saranno stabilite dalla legge;
  4. d) i tribunali militari per i reati di carattere esclusivamente militare, nelle forme stabilite dalla legge.

«Adonnino».

L’onorevole Perrone Capano ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Al Consiglio di Stato e ai tribunali amministrativi regionali spetta la giurisdizione per la tutela degli interessi legittimi nei confronti della pubblica Amministrazione.

«Alla Corte dei conti spetta la giurisdizione in materia di pensioni e di contabilità dello Stato nei limiti stabiliti dalla legge».

«Aggiungere, dopo il secondo comma, il seguente:

«I tribunali militari giudicano esclusivamente i reali commessi da militari nell’esercizio delle loro funzioni».

«Aggiungere dopo il terzo comma il seguente:

«Può essere istituita una Magistratura onoraria per le preture e per gli uffici di conciliazione secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

«Sopprimere l’ultimo comma».

L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerli.

PERRONE CAPANO. Io ho presentato quattro emendamenti all’articolo 95. Di questi quattro rinuncio al primo perché accetto quello dell’onorevole Adonnino, che mi sembra più ampio e che precisa gli stessi concetti compresi nel mio primo emendamento. Rinuncio a svolgere il secondo, che mantengo, perché riguardo ad esso, che ha per oggetto il mantenimento dei tribunali militari in tempo di pace, mi rimetto a quello che hanno detto gli altri oratori i quali hanno sostenuto lo stesso principio. Insisto nel terzo emendamento: «Può essere istituita una Magistratura onoraria per le preture e per gli uffici di conciliazione secondo le norme dell’ordinamento giudiziario»…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo c’è già in un altro articolo del progetto.

PERRONE CAPANO. Non mi pare. Comunque non credo necessario illustrarlo. Per quanto riguarda l’ultimo, rilevo che è un corollario del secondo perché, istituendosi i tribunali militari, anche in tempo di pace, deve essere logicamente soppresso l’ultimo comma dell’articolo 95.

PRESIDENTE. L’onorevole Scalfaro ha già svolto il seguente emendamento:

«Sopprimere il terzo comma».

L’onorevole Varvaro ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il terzo comma».

Non essendo presente si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Ricordo che sono stati svolti i seguenti altri emendamenti:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«La legge determina anche i casi in cui la funzione giudiziaria è esercitata con la partecipazione dei cittadini esperti.

«Colitto».

«Al terzo comma, inserire dopo le parole: per determinate materie, le seguenti: che presentano particolari caratteri tecnici.

«Cortese Guido».

«Al terzo comma, sopprimere le parole: con la partecipazione anche di cittadini esperti.

«Castiglia».

L’onorevole Ghidini, insieme con l’onorevole Filippini, ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, sopprimere le parole: con la partecipazione anche di cittadini esperti».

Ha anche presentato, insieme con l’onorevole Carboni Angelo, il seguente emendamento:

«All’ultimo comma, aggiungere le parole: al seguito di unità mobilitate».

L’onorevole Ghidini ha facoltà di svolgerli.

GHIDINI. Per quanto riguarda il primo emendamento, consistente nella proposta di soppressione delle parole: «con la partecipazione anche di cittadini esperti», osservo che la parola: «esperti» ha un significato consentito unanimemente. L’accezione comune della parola: «esperti» è questa: l’esperto è persona che ha sperimentato, che cioè può trarre da una conoscenza di carattere generale un giudizio che riguarda il caso particolare. Quando si parla di esperti, si parla di pratici, di periti, in sostanza. Questi cittadini, che verrebbero a far parte di un collegio giudicante, non sono esperti del diritto, sarebbero invece esperti in altre discipline complementari le quali servono indubbiamente alla risoluzione del caso che è proposto all’autorità giudiziaria, in virtù però di particolari nozioni scientifiche ed artistiche che posseggono.

Praticamente, se noi introduciamo questi esperti in un collegio di magistrati capiterà, ad esempio, che quando vi è una causa civile di danni per un crollo sarà chiamato un costruttore per esprimere il suo parere; quando saremo di fronte ad un investimento automobilistico chiameremo un ingegnere meccanico; quando ci troveremo di fronte ad un omicidio chiameremo un medico legale per sapere se la ferita abbia determinato la morte o se la morte sia avvenuta per altre cause; in materia di servitù chiameremo un geometra, e così via.

Ora, tutto questo, che significa l’introduzione del perito nel collegio giudicante, porta con sé due conseguenze, entrambe indiscutibilmente dannose. La prima è che si viene in tal modo a snaturare completamente quella che è la funzione del giudice. Il giudice si giova indubbiamente del perito, ma non è obbligato ad accettarne le conclusioni, perché il giudice deve giudicare anche la perizia. Se invece noi introduciamo il perito come giudice, è certo che questo perito giudice non potrebbe che approvare le sue conclusioni.

Il guaio peggiore poi è questo: se noi introduciamo gli esperti nel collegio giudicatile veniamo a sottrarre la perizia dal contradittorio che è il fondamento di qualsiasi procedimento, sia civile che penale. Oggi, di fronte ad una perizia, noi possiamo contrapporre, tanto in sede civile che in sede penale, un perito o un consulente tecnico: ma se invece mettiamo nel collegio giudicante questo perito. noi non gli possiamo più contrapporre utilmente nessuno. La sua voce sarà ascoltata dai giudici e noi non potremo né come imputati, né come parte civile, contrapporre persone che essendo versate nelle medesime discipline siano in grado di controllarlo.

È per questi motivi che la frase «cittadini esperti» deve essere assolutamente eliminata.

Questa osservazione ebbi a farla anche in sede di Comitato dei diciotto e per verità venne raccolta ed anche accolta nel senso che alla frase del testo si sostituisse l’altra «cittadini idonei». L’onorevole Mortati poco fa sosteneva che devono essere dei «cittadini» da includersi come elementi estranei nel collegio dei magistrati. Per mio conto trovo pericolosissime l’ina e l’altra modificazione; le trovo pericolose perché mi pare che in tal modo si faccia entrare dalla finestra ciò che si voleva escludere dalla porta, perché questi cittadini, se devono essere idonei, finiranno per essere dei periti.

Del resto noi che abbiamo esperienza di giudizi sappiamo che questi cittadini introdotti nei collegi giudicanti hanno sempre fatto cattiva prova. Così nei Tribunali pei minorenni, dove i pater familias, i pedagoghi ecc. hanno portato un contributo minimo; e nelle cause annonarie dove furono introdotti per un decreto Mussolini del 1944, ancora peggio.

È un giudice speciale di più che introduciamo, ma è un giudice il quale non ci dà certamente nessuna delle garanzie di indipendenza del giudice ordinario.

Eliminiamo quindi gli elementi estranei, e quante volte occorreranno cognizioni speciali si ricorra all’istituto della perizia che ci dà veramente una piena e completa garanzia di giustizia.

Per quanto riguarda l’altro emendamento debbo dire (perché non si pensi che io vesta le penne del pavone) che mi viene suggerito da un testo proposto dalla Commissione di alti magistrati che fu nominata dal Ministro Guardasigilli.

Siccome non fa parte diretta del mio emendamento, non parlerò della opportunità, della quale io sono sincerissimamente e profondamente convinto, di lasciare al giudice militare la competenza unicamente per i reati militari in tempo di guerra. Per quanto riguarda il tempo di pace, sono assolutamente convinto che sia il magistrato ordinario che se ne deve occupare.

Non voglio risollevare le questioni che vennero esaminate dall’onorevole Gasparotto e da altri, ma per mio conto trovo che, stringendo stringendo, è più che altro una accusa di incapacità che viene fatta al magistrato ordinario per questa materia. Si fa inoltre una questione di sensibilità, ecc. considerando la legge penale militare un complemento del Regolamento di disciplina.

In proposito osservo che i reati, tipicamente militari, sono la cosa più semplice del mondo, che la loro nozione non richiede una competenza specifica. Infatti siamo sempre noi avvocati borghesi a trattare queste cause. Quindi io dico: tribunale militare di guerra, e aggiungo: al seguito di unità mobilitate. Anzitutto noi vogliamo limitare, per ragioni di ordine generale, il numero di giudici speciali; in secondo luogo penso che quando si tratti di reati commessi da militari (sia pure in tempo di guerra dichiarata) ma commessi da militari che non appartengono alle truppe, mobilitate, le quali sono ancora nel Paese pacifiche e tranquille, non v’è nessuna ragione per cui non se ne debbono occupare i tribunali ordinari. Infine faccio un rilievo sul quale richiamo l’attenzione dei colleghi. C’è un punto in questa materia, che probabilmente susciterà gravi dubbi nell’animo degli onorevoli colleghi. È la disposizione della quale ci occuperemo più innanzi ma che giova richiamare in questo momento: la disposizione dell’articolo 102, dove si dice che tutte le decisioni degli organi giurisdizionali, tanto ordinari quanto speciali, sono soggette al ricorso per Cassazione.

Sarà possibile, quando si tratta di giudizi che si fanno al fronte, nell’attualità o quasi del combattimento, quando, come si afferma, l’immediatezza della esecuzione è un elemento indispensabile della esemplarità della pena, consentire che vi sia un ricorso in Cassazione? L’articolo 102, badate, non lascia adito a nessuna eccezione. Vedrete dopo voi se è possibile includere questa eccezione. Ma, nel dubbio che la disposizione possa restare com’è attualmente, sarà bene almeno limitare la possibilità che vi siano dei giudizi per i quali non sia possibile il ricorso ad un giudice superiore di controllo.

Quindi, limitando la competenza del magistrato militare al caso delle truppe mobilitate, in tempo di guerra, noi avremo indubbiamente ristretto la portata e l’ampiezza dell’inconveniente che ho segnalato. Per queste ragioni credo che l’emendamento possa essere tranquillamente accolto dall’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha già svolto il seguente emendamento:

«Sopprimere il quarto comma».

L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo il terzo comma, aggiungere il seguente:

«Sezioni anche speciali, denominate Tribunali e Corti di assise, giudicheranno, rispettivamente in 1° e in 2° grado, di gravi o particolari reati indicati dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Aderisco alla nuova redazione dell’articolo 95 a firma dell’onorevole Conti ed altri e rinunzio al mio emendamento. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«La funzione giurisdizionale in materia penale militare è attribuita ai magistrati militari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario militare».

L’onorevole Gabrieli ha facoltà di svolgerlo.

GABRIELI. Veramente, avrei rinunziato a svolgere il mio emendamento, perché le ragioni che devo esporre sono già state brillantemente esposte dall’onorevole Gasparotto.

Ma l’intervento dell’onorevole Ghidini mi impone di riassumere brevemente le ragioni che devono consigliare il mantenimento dei tribunali militari.

La necessità di mantenere i tribunali militari è stata segnalata da vari oratori, da grandi avvocati e giuristi che siedono in questa Assemblea; è stata anche avvertita dai compilatori del progetto di Costituzione, anche se limitatamente al solo tempo della guerra. È facile osservare dunque, che i tribunali militari sono necessari sia secondo i compilatori del progetto, sia secondo gli oratori che sono intervenuti in questo dibattito. Secondo questi ultimi, devono essere mantenuti sia in tempo di guerra che in tempo di pace, secondo i compilatori del progetto, la loro esistenza deve essere limitata al tempo di guerra.

Io faccio osservare che i tribunali militari non possono essere improvvisati in tempo di guerra. Essi comportano un vasto concorso di funzioni tecniche e l’apprezzamento di molteplici uffici sussidiari, che devono necessariamente essere predisposti in tempo di pace. Come l’esercito e tutte le altre forze militari, sia di mare sia aeronautiche, nella loro struttura embrionale sono preparate in tempo di pace avendo per obiettivo remoto le esigenze della guerra, così i tribunali militari che sono un elemento indispensabile di ogni organizzazione militare, devono necessariamente costituirsi in tempo di pace, per potere in maniera efficace accompagnare le forze operanti in tutte le fasi del loro sviluppo. D’altra parte, l’istituzione dei tribunali militari risponde ad insopprimibili esigenze di carattere etico e di carattere tecnico. È innegabile la grande efficacia che esercita sulla coesione della compagine militare e sulla saldezza dei principî di gerarchia e di disciplina il conferimento della funzione giudiziaria penale alle stesse persone che vivono nell’ambiente militare. Ciò rende più efficace la tutela e del servizio e della disciplina.

Sotto questi riflessi etici e sotto questi riflessi tecnici, si deve riconoscere che la valutazione del fatto e della personalità del colpevole trova nel giudice militare una particolare competenza ed una sensibilità più pronta di quella dei giudici togati, non del tutto edotti dei sistemi e dei modi di vita delle Forze armate.

L’immediatezza della repressione trova, poi, piena attuazione presso i tribunali militari; ma ciò di cui i compilatori non hanno tenuto alcun conto nel sopprimere tribunali militari in tempo di pace è la considerazione degli inconvenienti che potrebbero derivare nell’ambito delle forze navali. Secondo il sistema legislativo vigente, la nave militare è come un lembo della patria lontana, della patria che la nave porta con sé, per così dire, allontanandosi dal territorio nazionale. Essa, quindi, porta anche con sé le leggi dello Stato ed una organizzazione giudiziaria ed è costituita dal tribunale di bordo.

Ciò risponde, infatti, ad uno stato di necessità, quando la nave è lontana dal territorio nazionale. È evidente, quindi, che, in tale circostanza, stante anche il carattere di urgenza, non è possibile intervenire con i tribunali ordinari.

Infine, vi recherò una considerazione di ordine storico: in tutti i Paesi, presso tutti gli Stati, dai grandi ai piccoli, vi sono e vi sono sempre stati i tribunali militari. Tutti gli Stati inoltre li hanno conservati dopo la prima grande guerra: la sola Germania, a dir vero, nel marasma che succedette per quel Paese alla prima guerra mondiale, li aveva soppressi, ma uno dei primi atti della ricostruzione fu anche per loro la ricostituzione dei tribunali militari.

Un’eccezione all’unicità della giurisdizione si trova nel mantenimento delle giurisdizioni speciali amministrative, le quali rispondono in un certo senso, ad esigenze analoghe a quelle che si presentano a proposito dei tribunali militari. È evidente, quindi, che l’unicità della legislazione non è possibile pensare si possa realizzare perfettamente: qualche deroga è inevitabile.

Del resto, quand’anche tutto ciò non bastasse, si pensi che in tutti i momenti della storia, anche nei più gravi, i tribunali militari hanno dato prova di attaccamento agli interessi del Paese con piena soddisfazione del popolo e della classe forense.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Conti, Reale Vito, Bettiol, Perassi e Fabbri hanno proposto il seguente nuovo testo:

«La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.

«Il Consiglio di Stato e gli organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi, ed anche per la tutela di diritti soggettivi nelle particolari materie determinate dalla legge.

«La Corte dei conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica ed in altre materie specialmente indicate dalla legge.

«I Tribunali militari sono istituiti in tempo di guerra. Possono istituirsi in tempo di pace per reati militari commessi da appartenenti alle forze armate.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. L’onorevole Conti mi ha affidato l’incarico di illustrare il suo emendamento sostitutivo al quale in parte aderisco. Chiedo, quindi, di poterlo svolgere.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Dedicherò un minuto a ciascuno dei commi che sono stati prospettati all’articolo 95 come emendamento sostitutivo di tutto l’articolo, a firma degli onorevoli Conti, ecc.

Ho l’impressione e la speranza che questo emendamento sostitutivo sarà accolto dalla Commissione; quindi, su questo si potrebbe concentrare da parte dell’Assemblea la discussione e la votazione.

Il primo e il secondo comma esprimono questo orientamento dell’Assemblea, che si è avuto sia in sede di Commissione, ma soprattutto in sede di discussione pubblica: cioè affermare il principio dell’unità della giurisdizione sia in materia civile che penale; e, quindi, il divieto di istituzione di giudici straordinari e speciali, fatta eccezione per i due tronchi di cui parlerò a proposito del terzo e quarto comma, richiamando nel grande tronco della giustizia ordinaria (unità di giurisdizione) tutte quelle giurisdizioni speciali attualmente esistenti, che saranno configurate come sezioni specializzate, le quali, mediante la partecipazione di elementi estranei alla Magistratura – salvo a vedere l’idoneità in che cosa consiste –, possano rendere più sensibile la funzione della giustizia a particolari esigenze, senza rompere quell’unità della giurisdizione che si ricostituisce al vertice supremo nella Corte di cassazione.

A questo proposito volevo dire soltanto che nella nostra formulazione (sezioni specializzate con la partecipazione di elementi estranei) può entrare la possibilità, che veniva segnalata dall’onorevole Targetti, della ricostituzione della giuria. Poiché è ovvio, pacifico, indiscutibile che la Corte di assise non è un giudice speciale, ma, è, è stata, e sarà sempre una sezione del giudice ordinario, una Sezione della Corte di appello; è evidente che quando noi abbiamo votato una formula che dice che le sezioni specializzate potranno essere composte, in tutto o in parte, da elementi estranei alla Magistratura, abbiamo messo la base perché, in sede più opportuna, con maggiore meditazione o responsabilità, possa l’Assemblea legislativa discutere, votare e decidere su questo delicato e pauroso problema della giuria.

Abbiamo fatto eccezione, come dicevo – e passo così al terzo e quarto comma – per quanto concerne i due grossi tronchi della giurisdizione amministrativa. Non starò qui a ripetere quella diffusa discussione che si è svolta a questo proposito nella Sottocommissione; né starò a ricordare i voti di larghissima parte della dottrina e anche dei pratici, degli avvocati, circa l’opportunità, la necessità di mantenere questi due grossi tronchi, che, peraltro, secondo autorevoli giuristi, non costituirebbero una giurisdizione speciale, ma una giurisdizione ordinaria, sia pure amministrativa.

Ora, questi due tronchi devono restare, non solo per il prestigio, la capacità e l’indipendenza di cui hanno dato prova in tutti i tempi, ma devono restare anche perché sono sorti sotto un profilo che ritengo opportuno segnalare all’Assemblea: sono sorti, cioè, non come usurpazione al giudice ordinario di particolari attribuzioni, ma come conquista di una tutela giurisdizionale da parte del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Quindi, non si tratta di ristabilire la tutela giudiziaria ordinaria del cittadino che sia stata usurpata da questa giurisdizione amministrativa; ma di riconsacrare la perfetta tradizione di una conquista particolare di tutela da parte del cittadino.

La formula del penultimo comma, che riguarda i tribunali militari, non è da me personalmente condivisa; tuttavia è condivisa da larga parte della Commissione. Se tali tribunali dovessero restare, vada ad essi il mio saluto ed il mio augurio di una proficua attività.

Io ho presentato un emendamento subordinato, il quale richiede che, ove i tribunali militari dovessero essere conservati in tempo di pace, dovrebbero essere organizzati in modo da assicurare ai giudici, che sono alle dipendenze assolute del Ministro della difesa, quella indipendenza che costituisce la caratteristica, la garanzia principale di qualsiasi giudice. Non dimentichiamo che, seppure in un altro Titolo della Costituzione, abbiamo scritto che la Corte dei conti e il Consiglio di Stato si organizzano con garanzie di indipendenza nei confronti del potere esecutivo; è, quindi, opportuno, se i tribunali militari dovessero, contrariamente alla mia modesta, personale opinione, restare, che noi stabiliamo in questa sede la garanzia di indipendenza dei tribunali militari (pubblico ministero e giudici), nei confronti del potere esecutivo.

GHIDINI. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Ho il dubbio che ci possa essere eventualmente una lacuna. Ma siccome il mio è semplicemente un dubbio, non ho creduto di fare un emendamento.

Io noto nell’emendamento, del quale ha dato lettura testé l’onorevole Leone, che i giudici sono: magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario; poi ci sono: sezioni specializzate presso organi giudiziari ordinari; ed infine il Consiglio di Stato, la Corte dei conti, i Tribunali militari.

Io domando se si può dubitare che sia mantenuta la giurisdizione arbitrale o se invece si debba ritenere esclusa. Il mio dubbio nasce da questo: è una magistratura o non è una magistratura? Si potrebbe negare che sia una magistratura, per una ragione: perché questa magistratura è eletta dalla volontà delle parti, è un intervento della volontà delle parti. Però in tutti i Codici, nel Codice civile precedente ed in quello attuale, c’è un regolamento dell’attività degli arbitri. Se non ricordo male, vi sono circa 30 articoli del Codice di procedura civile, che disciplinano l’attività di questi arbitri speciali. L’intervento del magistrato è normalmente solo in questo senso: che il Pretore emette un decreto col quale dichiara esecutivo il lodo, dichiarando che è stato depositato tempestivamente nella cancelleria della Pretura. E basta.

Quindi questo lodo assume i caratteri intrinseci ed estrinseci della sentenza. E non solo: il Codice parla proprio di sentenza arbitrale. È una sentenza che è anche più vincolante, nella sua portata, di quella che è la sentenza normale del giudice, perché – dice la legge – le sentenze arbitrali sono impugnabili dinanzi al magistrato unicamente per nullità e per di violazione di legge. Non per altro.

Ora, per questa ragione, mi pare che assuma carattere di vera giurisdizione ordinaria.

Anche in penale, c’è il giurì d’onore; ma ci sono differenze notevoli, la regolamentazione è diversa nei rapporti che necessariamente intercorrono fra il giurì e la Magistratura, che è giudice investito della causa attraverso la querela.

Per queste ragioni credo che meriti di essere considerato questo mio dubbio e che necessiti una spiegazione: per lo meno, se non si fa un’aggiunta, una dichiarazione allo scopo di chiarire il dubbio che ho fatto presente.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per quale ragione, onorevole Targetti?

TARGETTI. Lo scopo della mia richiesta sarebbe di chiedere un chiarimento all’onorevole Leone su quello che ha detto ad illustrazione del nuovo testo proposto e accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

TARGETTI. Se ho compreso bene, l’onorevole Leone ritiene che in questa nuova dizione del comma secondo siano inclusi anche i giudici giurati.

Io ho tanto rispetto per la competenza giuridica dell’onorevole Leone, che è giustamente considerato oggi come uno dei più valorosi docenti del diritto penale in Italia, da ritenere di aver compreso male, perché ritengo insostenibile che la previsione di un giudizio di giurati possa rientrare nella dizione di questo comma.

Dicendo «sezioni specializzate per determinate materie», non mi sembra che ci si possa riferire anche ad organi giudiziari istituiti per le cause di competenza delle Corti d’assise. Vari sono i criteri con i quali questa competenza può essere determinata. La natura del diritto leso, l’entità della pena. Comunque, l’espressione «determinate materie» non credo possa indicare quelli che saranno i delitti di competenza dei giurati.

Ma anche a parte questo, quando si parla di una sezione di Tribunale o di Corte d’appello alla quale possono partecipare anche elementi estranei alla Magistratura, si viene ad indicare un organo giudiziario nel quale la funzione prevalente è sempre esercitata dal giudice ordinario. È il magistrato, che, aiutato da alcuni elementi laici, giudica, decide con la loro partecipazione. Si potrà entro questa dizione comprendere il cosiddetto scabinato, l’assessorato, ma che possa esservi compreso anche l’istituto della giuria, per il quale unici giudici del fatto sono i giurati, non credo che possa riuscire a dimostrarlo neppure l’ingegno acutissimo dell’onorevole Leone, neppure la grande abilità dell’onorevole Ruini, il quale vedo che chiede di parlare.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Leone di esprimere il parere della Commissione.

LEONE GIOVANNI. Rispondo subito, perché le due obiezioni dell’onorevole Targetti sono queste, se ho ben compreso il suo acuto e chiaro intervento: che non si possono inserire qui le giurie, perché si parla di «determinate materie» e di «partecipazione di cittadini».

Risponderò brevemente a queste due obiezioni. «Per determinate materie» significa non solo un determinato complesso di affari in materia di giurisdizione, ma significa anche un complesso di determinati reati. Ricorderò che nel Codice di procedura penale si parla di competenza per materia, e la competenza delle Corti d’assise non è che uno dei casi di distribuzione di competenza per materia.

Quindi siamo precisamente nella materia della terminologia tecnica, essendo la competenza per materia riferita alla distribuzione dei reati al Pretore, al Tribunale o alla Corte di assise: queste sono tre distinzioni di competenza di materia previste dal Codice di procedura penale.

Seconda obiezione. Si dice: con l’espressione: «partecipazione» volete introdurre soltanto una parte, piccola o grande, di cittadini. Noi vorremmo la giuria totalmente composta di elementi popolari. Io invito i colleghi a contribuire alla formulazione, se credono, più chiara della norma; ma credo che non possa sorgere equivoco, perché anche con la legge Gullo – ed è qui presente l’autorevole Guardasigilli che formulò questa legge – il Presidente non è estromesso; il magistrato è Presidente della Corte d’assise ed è un momento che insieme ai giurati forma il complesso organo della Corte d’assise.

Quando si dice: «partecipazione», non si pone un limite; partecipazione minima o massima, in misura maggiore o in misura minore. Si stabilisce soltanto la possibilità che la legge chiami a far parte di un organo giudiziario elementi estranei.

In quale misura? Non lo diciamo e non lo possiamo dire, proprio perché noi vogliamo lasciare aperto il varco, la possibilità di ingresso alla giuria, ma non risolvere ex professo il delicato problema.

Ove però riterreste che questa formula possa essere equivoca, invito l’onorevole Targetti o gli altri colleghi a precisarla.

PRESIDENTE. Ricordo che i seguenti altri emendamenti sono stati già svolti:

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«Le norme sull’ordinamento giudiziario, in cui saranno comprese quelle sulle giurisdizioni speciali, sono stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.

«Adonnino».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituiti giudici né speciali, né straordinari per nessuna materia.

«Merlin Umberto».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituiti giudici speciali se non per legge approvata nel modo sopra indicato. In nessun caso possono istituirsi giudici straordinari in materia penale.

«Bellavista».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituiti, in nessun caso, giudici speciali.

«Cairo».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«In nessun caso possono istituirsi giudici speciali.

«Castiglia».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituiti giudici speciali.

«Caccuri».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituite altre giurisdizioni speciali se non per legge approvata da ciascuna delle due Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri, e sentito il parere del Consiglio superiore della Magistratura.

«Adonnino».

«Limitare il quinto comma alla proposizione seguente:

«Non possono essere istituiti giudici speciali.

«Mastino Gesumino».

«Al quinto comma, sostituire alle parole: In nessun caso, la parola:. Non.

«Coletto».

«Al quinto comma, alle parole: giudici speciali in materia penale, sostituire le altre: giudici straordinari in materia penale.

«Bettiol, La Pira».

«Sopprimere l’ultimo comma.

«Subordinatamente, sostituirlo col seguente:

«La funzione giurisdizionale in materia penale militare è regolata dalla legge.

«Gasparotto, Chatrian, Moranino, Stampacchia, Brusasca».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: «I tribunali militari, in tempo di pace, avranno giurisdizione soltanto nelle materie e nei limiti stabiliti dalla legge.

«Persico».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Ai tribunali militari spetta la giurisdizione sui reati militari tanto in tempo di guerra che in quello di pace.

«Bettiol».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: «Ai tribunali militari spetta la giurisdizione per i reati militari nei casi e nei modi stabiliti dalla legge.

«Caccuri».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: «Ai tribunali militari spetta la giurisdizione sui reati militari, nei casi e nei modi stabiliti dalla legge.

«Castiglia».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato si è trovato di fronte a più di 40 emendamenti e ha cercato di tener conto di tutti. In sostanza però, nella nuova formula che ha adottato, e che è quella proposta dall’onorevole Conti e da altri colleghi, mantiene la sostanza della sua proposta originaria, in alcuni punti la attenua, in altre la completa, nel suo complesso la perfeziona, senza spezzarne, anzi rinforzando la linea fondamentale. Che cosa diceva l’articolo in origine, quale era stato proposto dalla Commissione dei Settantacinque? Cominciava con l’affermare che la funzione giurisdizionale in materia civile e penale è esercitata dalla Magistratura secondo le norme sull’ordinamento giudiziario. Lo stesso concetto viene espresso nel testo che ora adottiamo. Con esso veniamo incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Grassi, perché mettendo «funzione giurisdizionale», in generale cade la preoccupazione che non siano considerati i delitti politici.

Vi è la proposta Targetti che invece di «magistrato» si metta «Magistratura». Osservo che magistrato o giudice non vuol dire che debba essere uno solo. Può essere anche un collegio, un complesso. Ciò che importa è accentrare la figura del magistrato a cui, in un modo o nell’altro, spetta la funzione giurisdizionale.

Un’altra proposta è di mettere «giurisdizione» invece di «funzione giurisdizionale». Non è forse inutile parlar di «funzione»; ma insomma per tali questioni di nomenclatura – magistrato o Magistratura, giurisdizione o funzione giurisdizionale – non faremo battaglia. Ciò che importa è la sostanza; per il rimanente il Comitato, dopo aver detto che preferisce il suo testo, si rimette all’Assemblea.

Per quanto riguarda poi il secondo comma, vorrei richiamare l’attenzione sulla sforzo che si è fatto, tenendo conto degli emendamenti. Nella proposta originaria si ammetteva l’istituzione, sia pure con legge qualificata di giudici speciali tranne in materia penale. Abbiamo riconosciuto che è inopportuno e pericoloso, ed abbiamo acceduto ad un’idea venuta fuori da più parti di questa Assemblea, che giudici speciali non devono esservi mai. Né giudici speciali, né giudici straordinari; due concetti che non coincidono, perché vi possono essere giudici speciali ordinari. Escludiamo gli uni e gli altri.

Bisogna reagire alla tendenza ed alla tentazione di creare sempre nuovi giudici e giurisdizioni speciali. Questo è il chiaro intento mio e del Comitato. Noi vogliamo andare – non in modo astratto, ma nel modo più concreto possibile – verso l’unicità di giurisdizione. La linea è questa: che l’affermazione dell’unicità di giurisdizione riuscirebbe vana; e la soppressione di tutte le giurisdizioni speciali sarebbe vana e pericolosa, se nel tempo stesso non si prevedesse e non si procedesse alla loro trasformazione, nei casi ove è necessario, in sezioni specializzate, inserite negli organi normali della Magistratura. Ecco la via concreta che noi indichiamo, e che la Costituzione deve prescrivere. Naturalmente nelle Disposizioni transitorie stabiliremo un periodo adeguato di tempo, non troppo breve né troppo lungo, perché si addivenga alle necessarie trasformazioni. È il modo più concreto di avvicinarsi alla meta; e spero di dare così, il maggior contributo possibile in senso previsto, all’unicità di giurisdizione. Bisogna arginare il pericolo che si creino, di nuovo e di continuo, altri giudici e giurisdizioni speciali. Se ve ne sarà bisogno, e dovrà essere vero bisogno, si istituiranno sezioni specializzate di Magistratura. Quanto ai giudici ed alle giurisdizioni speciali esistenti (siano esse più centinaia come fu constatato dopo l’altra guerra, o siano già ridotte a meno di cento, che è sempre un numero troppo grosso) si sopprimeranno quelle che non han ragione di essere, e si trasformeranno le altre in sezioni specializzate; con che non si intaccherà, ma si rafforzerà sostanzialmente l’unicità di giurisdizione.

Naturalmente le sezioni specializzate implicano che potranno essere chiamati a parteciparvi anche elementi estranei alla Magistratura, ossia all’ordine giudiziario in senso stretto. L’amico Ghidini, che ha un po’ di fobia per la parola «esperti», ha espresso con la consueta acutezza il timore che, chiamando i periti a far parte del collegio giudicante, si snaturi la loro funzione. Vi possono essere inconvenienti – e non vi sono in qualsiasi soluzione? – ma vi sono anche vantaggi; particolarmente quando si tratta, come, ad esempio, nei tribunali delle acque, di funzionari tecnici dello Stato, che son per così dire dei magistrati tecnici; e non è da escludere che giovi avere nel collegio giudicante anche tecnici estranei dell’Amministrazione. La espressione da noi usata è larga ed elastica; «elementi idonei»; va, quindi, anche al di là di un tecnicismo specifico; ed abbraccia casi di idoneità più generica, che possono riscontrarsi e richiedersi, ad esempio, per giudici popolari in materia penale. Tutto ciò premesso, onorevole Ghidini, veniamo al nodo della questione. Se vogliamo reagire al sistema delle giurisdizioni speciali, dobbiamo adottare quello delle sezioni specializzate; e se si vogliono fare delle sezioni specializzate, bisogna ammettere che vi possano partecipare anche elementi idonei estranei alla Magistratura. È la nostra espressione, e non saprei trovarne migliore.

Vogliamo dunque andare verso la unicità di giurisdizione. Ma lo spirito di concretezza che ci deve animare, per far sì che la nostra riforma sia attuabile e non susciti turbamenti ed inconvenienti, deve tener conto di una effettiva realtà: che esistono due organi che hanno funzioni giurisdizionali, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, e non potrebbero sopprimersi tali loro funzioni, senza perturbare e creare difficoltà al funzionamento della giustizia, nell’interesse dei cittadini. Non vi farò rilievi teorici; io che appartengo ancora per alcuni giorni, prima del limite di età, al Consiglio di Stato, ho sentito con compiacimento ed orgoglio che tutte le voci, nessuna eccettuata, che si sono alzate nell’Assemblea, hanno riconosciuto e lodata l’opera che esso svolge anche nel campo giurisdizionale; opera che si è potuto mettere in essere, appunto perché vi è stato questo organo speciale. Vi possono essere teoricamente due posizioni limite. Quella di sopprimere anche la giurisdizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti tesi svolta nella Commissione dei Settantacinque da Calamandrei; ma sarebbe, a mio avviso, rendere non buon servizio alla causa dell’unicità della giurisdizione, perché si sconvolgerebbero e disordinerebbero ad un tratto rami particolari di giurisdizione; ed il metodo stesso delle possibili unificazioni verrebbe messo in dubbio. Vi è poi un’opposta tendenza, di cui mi pare di scorgere traccia nel pensiero di Mortati, che, affermato l’unicità in materia penale e nelle controversie civili fra privati, lascia mano libera per creare nuove giurisdizioni speciali nelle controversie fra amministrazione pubblica e privati. Badate bene, onorevoli colleghi, io posso ammettere che il clima del periodo dopo l’unificazione nazionale, nella battaglia contro il contenzioso amministrativo, non è più lo stesso; e che negli altri paesi si è andati e si va verso organismi e tribunali amministrativi, al di fuori dell’unità giurisdizionale. Ma credo che non si debba decampare dalla linea generale dell’unicità, con due limiti: la sostituzione di sezioni specializzate, e la conservazione di organi speciali di giurisdizione amministrativa, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti – che hanno una funzione storica ed una funzione propria che fu conquistata, si noti, non sottraendo la propria competenza alla Magistratura ordinaria, ma conquistando nuovi campi di diritto e di libertà ai cittadini.

La stessa Magistratura ordinaria – con la Commissione presieduta dal primo Presidente della Corte di cassazione e con la associazione dei magistrati presieduta dal professore Battaglia – ha riconosciuto che si debbano lasciare determinate competenze giurisdizionali al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti. Il progetto dei Settantacinque usava una espressione generica: nei casi e modi stabiliti dalla legge. Vari emendamenti, e sovrattutto uno dell’onorevole Grassi, chieggono di meglio delineare tali competenze. Il Comitato non si rifiuta. Sarebbe stato suo desiderio – ed anche mio personalmente – potersi limitare alla tutela degli interessi legittimi verso la pubblica amministrazione. Qui è stata la vera conquista, che soltanto un organo come il Consiglio di Stato poteva conseguire. Né si dimenticherà che la facoltà di annullare provvedimenti amministrativi non può essere data ad un qualunque organo di Magistratura ordinaria; potrà esercitare tale delicatissima funzione soltanto un organo di struttura e di competenza amministrativa come il Consiglio di Stato. Ma limitarsi ai soli interessi legittimi non è possibile; vi sono materie di competenza esclusiva, residuate da vecchie leggi, come in tema di debito pubblico, che debbono a mio avviso, sottrarsi al Consiglio di Stato; ma v’è un gruppo di controversie, quelle di pubblico impiego, che per la inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la prevalenza delle prime, debbono restare al Consiglio di Stato; ed allora bisogna, come fa l’onorevole Grassi e come propone il nuovo testo del Comitato, aggiungere la competenza del Consiglio di Stato per i diritti soggettivi, nelle materie particolari specificamente indicate dalla legge. Quanto alla Corte dei conti, il nucleo e la fonte delle sue funzioni giurisdizionali sono le questioni attinenti alla contabilità pubblica; cui si ha da aggiungere, e così fa l’articolo, le materie che la legge stabilisce per la connessione alla competenza speciale della Corte dei conti.

Credo che su quanto sopra si raggiunga il consenso di tutta l’Assemblea. Divergenze vi potranno essere per i tribunali militari. La Commissione dei Settantacinque li aveva, a maggioranza, ammessi soltanto in tempo di guerra, si sono qui sollevate molte voci per ammetterli anche in tempo di pace. Il Comitato di redazione non è concorde; prevale però la tendenza nel nuovo senso. Si è ad ogni modo ritenuta la necessità di ammettere tribunali in tempo di pace, con la indicazione di due limitazioni; una obiettiva, che si tratta di reati propriamente militari, ed una soggettiva, che siano commessi da appartenenti alle Forze armate. È la formula, che, nelle mie consultazioni, ha avuto l’assenso dei penalisti competenti di questa Assemblea; spetterà ai Codici ed alle leggi di attuarlo in modo concreto.

Ho finito: resta l’ultimo comma dell’articolo, nel quale il testo dei Settantacinque chiedeva che per le norme sull’ordinamento giudiziario e nelle altre magistrature fosse necessaria una legge con un quorum speciale di approvazione. Più di una voce ha chiesto, nel dibattito, che si tolga questa condizione; ed il Comitato aderisce. Ciò anche in relazione ad un orientamento generale in tema di leggi costituzionali. Nella gerarchia delle norme, cui ho più volte accennato, vengono in prima linea la Costituzione e le leggi costituzionali, che richiederanno, per essere rivedute, lo stesso procedimento che richiede la Costituzione. Non sembra necessario creare una categoria di leggi intermedie che, per l’approvazione e la revisione, richiedano un altro metodo e un quorum speciale; tanto più che di fatto quelle leggi si sarebbero ridotte al caso qui considerato. Si è modificato l’ultimo comma nel senso che, se per l’ordinamento giudiziario e le norme sulle altre magistrature basterà una legge ordinaria, la disposizione potrebbe sembrare inutile; ma si vuole chiarir bene che non basteranno decreti di organizzazione.

Debbo ancora una risposta all’onorevole Ghidini per la questione degli arbitrati. Vi sono commissioni e collegi arbitrali, che costituiscono vere e proprie giurisdizioni speciali; ne seguiranno le sorti, nel nuovo orientamento, che non esclude la partecipazione, anche paritetica, di rappresentanti delle parti nelle sezioni specializzate. Vi sono poi tutti gli arbitrati in materia civile, che si formano per volontà delle parti, e si basano su loro facoltà e sul loro diritto, che non può essere disconosciuto; né ciò vien meno, in quanto le decisioni sono rese esecutive dal Pretore, e possono poi entrare nella via dei ricorsi giudiziari. Posso assicurare l’onorevole Ghidini che nel formulare il suo nuovo testo il Comitato intende che l’istituto degli arbitrati sia perfettamente rispettato.

Ritornando a quanto dicevo prima, credo che la soluzione da noi proposta, raccogliendo la confluenza dei vari emendamenti presentati, risponda veramente alle esigenze della giustizia nell’interesse dei cittadini. Fra i due estremi, di una indulgenza alla creazione di giurisdizioni speciali e di una assoluta ed immediata unificazione, che sarebbe riuscita astratta e perturbatrice, la Costituente sceglie la via giusta, la via della concretezza, e si orienta, nel modo più efficace che è possibile, con una riforma che non ha riscontri in altri paesi, verso la razionale unità della giurisdizione. (Approvazioni).

PERSICO. Chiedo di parlare sull’articolo 95 proposto dalla Commissione in quanto desidero presentare un emendamento.

PRESIDENTE. Lei sa, onorevole Persico, che doveva presentarlo prima che parlasse il Relatore.

PERSICO. Ma la Commissione ha proposto un nuovo testo.

PRESIDENTE. Il testo proposto dalla Commissione è stato illustrato dall’onorevole Leone Giovanni e dopo mezz’ora ha parlato anche l’onorevole Ghidini. Quindi lei, onorevole Persico, ha avuto tutto il tempo per presentare nuove proposte di emendamento. Con questo non intendo togliere la possibilità di un nuovo contributo alla discussione; ma vorrei che gli onorevoli colleghi si abituassero ad attenersi al Regolamento.

PERSICO. Desidero dare soltanto lettura dell’emendamento che propongo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Lascio intatto tutto il sistema qual è proposto dalla Commissione, che trovo perfettamente redatto, talché risponde alla volontà della maggioranza dell’Assemblea; solo al penultimo comma farei una piccola modifica: «I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalle leggi. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate». È lo stesso testo della Commissione, ma, secondo me, più preciso.

PRESIDENTE. In sede di coordinamento si potrà tener conto di tutte queste modifiche.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Prego i presentatori degli emendamenti svolti, dopo udite le dichiarazioni del Presidente della Commissione, di dichiarare se li mantengono.

Onorevole Carboni Angelo, mantiene il suo emendamento?

CARBONI ANGELO. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini non ho più bisogno di conservare il mio emendamento, almeno per quello che riguarda la unicità della giurisdizione, la soppressione delle giurisdizioni speciali e la facoltà della partecipazione di elementi popolari negli organi giudiziari ordinari. Rinuncerei completamente al mio emendamento, se non fossi in dissenso con la Commissione relativamente ai tribunali militari. Nel mio emendamento, aderendo alla proposta fatta dalla Commissione nel testo primitivo, in cui si prevedeva la possibilità dell’istituzione dei tribunali militari solo in tempo di guerra, io avevo enunciato…

PRESIDENTE. Mi perdoni! Mi dica soltanto quale parte del suo emendamento intende conservare.

CARBONI ANGELO. Mantengo del mio emendamento soltanto il terzo comma. Per il resto aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Monticelli non è presente, il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Aderisco alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Debbo esprimere la mia perplessità. Avevo detto, nel mio precedente intervento, che avrei consentito, per giungere ad una maggiore semplificazione di lavoro, di aderire al testo proposto dall’onorevole Conti, accettato dalla Commissione. Senonché, pur notando le gravi incongruenze ed inesattezze tecniche contenute nel testo medesimo, debbo dichiarare che il recente intervento dell’onorevole Ruini mi fa cambiare opinione.

PRESIDENTE. Se lei conserva il suo emendamento non ha più diritto di parlare.

MORTATI. Vorrei pregare l’onorevole Ruini di chiarire il suo pensiero, perché ho inteso – e spero di aver inteso male – che egli interpreta il terzo ed il quarto comma dell’emendamento dell’onorevole Conti nel senso che con esso si siano voluti limitare al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti gli organi di giurisdizione amministrativa, mentre io interpreto il testo diversamente, nel senso cioè che con la dizione di «organi di giustizia amministrativa», sia possibile mantenere tutte le giurisdizioni speciali esistenti, perché questa è l’interpretazione che si dà comunemente alla frase; così si verrebbe – come io credo opportuno – ad affidare al futuro legislatore di precisare gli organi da conservare e quelli da sopprimere. Se questa è l’interpretazione da dare a questa dizione, io l’accetto e ritiro il mio emendamento. Se si dovesse invece adottare la tesi dell’onorevole Ruini, per cui questa dizione implica conservazione del solo Consiglio di Stato, insisterei nel mio emendamento. Ritengo che in una materia così delicata, quale quella riguardante la tutela degli interessi dei cittadini di fronte all’amministrazione, non si possa votare senza una chiarificazione del significato da attribuire alla norma proposta.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dicendo: «organi di giustizia amministrativa», abbiamo inteso dire organi locali: istituiremo, ad esempio, dei Consigli regionali di giustizia amministrativa. Questo è il nostro intendimento. Di queste giurisdizioni speciali ce ne sono moltissime di indole civile e non amministrativa. L’intento della Commissione è questo: non dobbiamo cambiar nulla, non si devono moltiplicare le giurisdizioni speciali amministrative o crearne delle nuove, e che si cerchi per quanto è possibile di ridurle a sezioni specializzate della Magistratura ordinaria. Il senso mio è chiaro. Se ella vuol conservare il suo emendamento, pregherò l’Assemblea di votare contro.

MORTATI. Conservo il mio emendamento sostitutivo dei commi terzo e quarto dell’emendamento Conti.

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Gli emendamenti da me proposti sono stati tutti trasferiti o concettualmente o letteralmente addirittura, nel nuovo testo della Commissione; quindi, non occorrerà sottoporli a votazione. Insisto per altro perché, invece della locuzione «funzione giurisdizionale», sia usata quella di «giurisdizione». Vorrei poi permettermi un’osservazione relativa alla assunzione di cittadini esperti nelle sezioni specializzate presso i Tribunali e le Corti di merito. Il collega Ghidini ha osservato che meglio sarebbe potersi servire ancora dell’istituto della perizia giudiziale, invece che introdurre l’esperto in seno a queste sezioni specializzate. A me pare che nessuno abbia detto che l’uso della perizia giudiziale debba essere avanti a queste sezioni soppresso. E penso che la guida dell’esperto possa riuscire sempre utile al Collegio nella valutazione delle perizie, siano giudiziali, siano di parte; e che proprio essa possa rendere operante il principio che il giudice è il perito dei periti…

GHIDINI. Non ho detto questo.

NOBILI TITO ORO. Ho già risposto e confermo l’adesione al nuovo testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Cairo, mantiene il suo emendamento?

CAIRO. Lo ritiro dopo l’esposizione dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Aderisco alla formulazione dell’articolo adottato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Abozzi, mantiene il suo emendamento?

ABOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Caccuri, mantiene i suoi emendamenti?

CACCURI. Aderisco pienamente alla formulazione della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Costa, mantiene i suoi emendamenti?

COSTA. La Commissione li ha accettati. Quindi, li ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Grassi, mantiene i suoi emendamenti?

GRASSI. Dopo la dichiarazione dell’onorevole Ruini di accettare, in gran parte, i miei emendamenti, accetto la formulazione della Commissione. Soltanto vorrei che l’onorevole Ruini accettasse di togliere da questo articolo la parte che si riferisce alla Corte dei conti e al Consiglio di Stato, facendo un articolo a sé e precisando le linee fondamentali delle materie spettanti a queste due giurisdizioni speciali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accolgo la proposta dell’onorevole Grassi. Evidentemente, nell’ordinamento finale, sarà specificato.

PRESIDENTE. Onorevole Sapienza, mantiene i suoi emendamenti?

SAPIENZA. Li ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, mantiene i suoi emendamenti?

ADONNINO. Insisto solo sulla ledera c) del mio emendamento al secondo comma, che riguarda le giurisdizioni fiscali.

PRESIDENTE. Bisognerebbe però che lei ci indicasse in qual modo inserire questo piccolo brano avulso dal suo emendamento nel testo della Commissione.

Non essendo presente l’onorevole Perrone Capano, si intende che i suoi emendamenti siano decaduti. Onorevole Scalfaro, mantiene il suo emendamento?

SCALFARO. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Varvaro, mantiene il suo emendamento?

VARVARO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Cortese il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Castiglia, mantiene i suoi emendamenti?

CASTIGLIA. Aderisco al testo della Commissione e quindi li ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Ghidini, mantiene il suo emendamento?

GHIDINI. Rinuncio al secondo emendamento per quanto si riferisce alle unità mobilitate, e conservo il primo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Rescigno, mantiene il suo emendamento?

RESCIGNO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Merlin Umberto, il suo emendamento s’intende decaduto.

Non essendo presente l’onorevole Bellavista il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Mastino Gesumino, mantiene il suo emendamento?

MASTINO GESUMINO. Lo ritiro e aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Bettiol è assorbito dal nuovo testo.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che faccio mio l’emendamento dell’onorevole Bettiol che si riferisce ai tribunali militari.

PRESIDENTE. Onorevole Gasparotto, mantiene il suo emendamento?

GASPAROTTO. Lo ritiro e aderisco al testo della Commissione secondo la formulazione dell’onorevole Conti e mi associo alla modificazione proposta dall’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli, mantiene il suo emendamento?

GABRIELI. L’onorevole Ruini ha riconosciuto che i tribunali del tempo di guerra presuppongono i tribunali del tempo di pace, e mi sembra, quindi, che non si può usare la dizione «possono»; aderisco, quindi, all’emendamento dell’onorevole Persico, ritirando il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE, Passiamo ora all’emendamento presentato dagli onorevoli Conti, Reale Vito, Bettiol, Perassi, Fabbri, che la Commissione ha fatto proprio.

Procediamo alla votazione del primo comma:

«La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario».

A questo comma è stato presentato un emendamento sostitutivo dall’onorevole Abozzi, del seguente tenore:

«La funzione giurisdizionale in materia civile e penale è attribuita ai magistrati ordinari.

«La Corte di cassazione è eletta dai magistrati. I magistrati sono nominati dalla Corte di cassazione.

«La legge determina le modalità della elezione e delle nomine».

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma del testo Conti:

«La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma:

«Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla Magistratura».

A questo proposito vi è l’emendamento dell’onorevole Ghidini:

«Sopprimere le parole: con la partecipazione anche di cittadini idonei estranei alla Magistratura».

GHIDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Vorrei che questo comma fosse votato per divisione.

PRESIDENTE. Accolgo la richiesta: porremo, quindi, in votazione prima la parte accettata anche dell’onorevole Ghidini e poi l’inciso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare osservare che, se si toglie la possibilità di questi elementi estranei, cosa sarebbero le sezioni specializzate? Votata la prima parte si deve approvare per forza anche la seconda.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del secondo comma:

«Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinato materie».

(È approvato).

Pongo ora in votazione la seconda parte, della quale l’onorevole Ghidini propone la soppressione:

«anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla Magistratura».

(È approvata).

Passiamo al terzo e quarto comma.

«Il Consiglio di Stato e gli organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi, ed anche per la tutela di diritti soggettivi nelle particolari materie determinate dalla legge.

La Corte dei conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica ed in altre materie specialmente indicate dalla legge».

Questi due commi, verranno, nella suddivisione della materia dell’intera Costituzione, a costituire un altro articolo. L’onorevole Mortati ha mantenuto un suo emendamento sostitutivo di questi due commi: «Nelle controversie in cui l’Amministrazione intervenga come parte, per la tutela del pubblico interesse, la legge potrà attribuire la funzione giurisdizionale ad organi giudiziari speciali».

Pongo in votazione questo emendamento.

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione del terzo e quarto comma nel testo Conti accettato dalla Commissione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che voterò a favore, ma con l’intesa che l’espressione «interessi legittimi» non escluda anche quelli legittimamente protetti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione i due commi testé letti.

(Sono approvati).

Dobbiamo ora porre in votazione la lettera c) dell’emendamento dell’onorevole Adonnino:

«c) le giurisdizioni fiscali, per la materia tributaria, in tre soli gradi, nelle forme che saranno stabilite dalla legge».

ADONNINO. La ritiro.

PRESIDENTE. E allora passiamo al comma successivo:

«I tribunali militari sono istituiti in tempo di guerra. Possono istituirsi in tempo di pace per reati militari commessi da appartenenti alle forze armate».

A questo comma sono stati presentati degli emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Carboni Angelo, il quale propone la seguente formula sostitutiva:

«In tempo di guerra possono istituirsi tribunali militari».

Poiché è questa la formula che più si distacca dal testo della Commissione, dovremo votarla per prima.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Desidererei, onorevole Presidente, che lei chiarisse la portata di questa votazione giacché, se non erro, l’emendamento dell’onorevole Carboni, se fosse accolto, comporterebbe l’impossibilità di istituire tribunali militari in tempo di pace. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desideravo dire che noi non abbiamo difficoltà ad accogliere la proposta dell’onorevole Persico. Dove mi pare, invece, che si tratti di un terreno sul quale non possiamo camminare è nella proposta dell’onorevole Bettiol fatta propria dall’onorevole Codacci Pisanelli, che sarebbe, a parer mio, controproducente, perché in tempo di guerra i tribunali militari dovrebbero giudicare i reati strettamente militari.

PRESIDENTE. Pongo, pertanto, in votazione l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Carboni Angelo:

«In tempo di guerra possono istituirsi tribunali militari».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Bettiol, fatto proprio dall’onorevole Codacci Pisanelli di cui do ancora lettura:

«Ai tribunali militari spetta la giurisdizione sui reati militari tanto in tempo di guerra che in quello di pace».

(Non è approvato).

Passiamo ora alla formulazione dell’onorevole Persico, accettata dalla Commissione.

«I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate».

VARVARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VARVARO. Chiedo che questa formulazione sia votata per divisione, cioè sia posto innanzitutto in votazione il primo periodo e poi il secondo.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo, pertanto, in votazione il primo periodo della formulazione dell’onorevole Persico:

«I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo periodo:

«In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Vi sono adesso due emendamenti aggiuntivi proposti l’uno dall’onorevole Mortati, l’altro dall’onorevole Leone Giovanni. L’onorevole Leone Giovanni propone:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici del pubblico ministero militari di fronte al Governo».

L’onorevole Mortati propone:

«La legge che stabilisce giurisdizioni speciali determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici che le compongono».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Ritiro il mio emendamento, aderendo a quello dell’onorevole Mortati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La formula dell’onorevole Mortati meriterebbe esame; e cioè che la legge che stabilisce giurisdizioni speciali determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici che le compongono.

Ma intendiamoci: noi abbiamo ammesso che giurisdizioni speciali non ve ne saranno più. Lo ripeto ancora una volta, e perché non sorga equivoco, dichiaro che nel testo ora approvato, quando si parla, dopo «il Consiglio di Stato» di «altri organi di giustizia amministrativa», il Comitato intende riferirsi agli organi periferici, correlativi al Consiglio di Stato, e che potranno foggiarsi in modo diverso per le Regioni. Si potrà chiarire meglio ciò in sede di revisione e di coordinamento, nel testo definitivo, perché risulti più evidente ciò che l’Assemblea vuole: che tranne siffatti organi non ne potranno sorgere altri, completamente nuovi, ma si dovrà, se occorre, seguire la via delle sezioni specializzate presso gli organi giudiziari.

Ciò premesso, e tornando all’emendamento aggiuntivo Mortati, trovo giustissimo che la legge assicuri l’indipendenza anche dei membri delle sezioni specializzate, dei tribunali militari, e così via; ma non credo opportuna la dizione proposta, che accentua l’espressione e la figura delle giurisdizioni speciali. Il Comitato troverà una formula più adatta e più rispondente al nostro pensiero.

PRESIDENTE. Onorevole Leone, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, quale decisione adotta?

LEONE GIOVANNI. Aspetto la risposta dell’onorevole Mortati. Se l’onorevole Mortati ritirasse il suo emendamento insisterei nel mio, salvo poi a coordinarlo con altre eventuali norme analoghe.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Si perpetua l’equivoco denunciato poco fa.

L’onorevole Ruini dice che non vi devono essere più giurisdizioni speciali. Io trovo che quando si fa riferimento ad organi di giustizia amministrativa diversi dal Consiglio di Stato, e fra questi sono da considerare per lo meno la Giunta, provinciale amministrativa e suppongo anche il Consiglio di prefettura, quando si è di fronte ad una disposizione così chiara sorge il problema del modo di garantire per questi giudici speciali l’imparziale esercizio delle loro funzioni. Quindi, non mi pare che le obiezioni dell’onorevole Ruini siano esatte. Occorre una disposizione che garantisca a questi giudici, che sono mantenuti e non soppressi, garanzie analoghe a quelle stabilite per i giudici ordinari.

CALAMANDREI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALAMANDREI. Vorrei chiedere un chiarimento sulla formula in relazione a quanto ha detto il collega Mortati. Vi sono delle giurisdizioni speciali che rimangono, cioè il Consiglio di Stato e la Corte dei conti.

PRESIDENTE. A questo è stato già provveduto.

CALAMANDREI. Vorrei sapere come è stato provveduto a garantire che si introducano regole di indipendenza simili a quelle che si assicurano alla Magistratura ordinaria.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per il Consiglio di Stato e la Corte di conti abbiamo in un altro articolo stabilito che la legge garantisce l’indipendenza degl’istituti e dei loro componenti di fronte al potere esecutivo. Si potrà, nella revisione, trasferire la disposizione, invece, in questo articolo.

Ripeto poi all’onorevole Mortati che accettiamo il suo concetto, e ci riserviamo di darvi espressione, come non è possibile fare qui subito, su due piedi.

NOBILI TITO ORO. Si voti il concetto.

PRESIDENTE. Non si possono votare dei concetti.

All’onorevole Calamandrei faccio presente che se leggo l’articolo 93, già votato dall’Assemblea, troverà sodisfatte le sue esigenze. L’ultimo comma infatti dice:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza, degli istituti suddetti e dei loro componenti di fronte al Governo».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. In relazione a quanto suggeriva l’onorevole Ruini io penso che si possa rinviare l’esame della norma proposta fino a quando il Comitato di redazione non l’abbia esaminata. Si potrebbe, pertanto, rinviarne la discussione all’articolo 97, che riguarda appunto le garanzie e l’indipendenza della Magistratura.

PRESIDENTE. Sta bene. Pertanto la proposta dell’onorevole Mortati è rimessa al Comitato per una rielaborazione che sarà riportata al momento opportuno all’Assemblea.

Si deve, pertanto, votare la proposta dell’onorevole Leone Giovanni, il quale ha dichiarato di mantenerla, nel caso che l’onorevole Mortati non insistesse nella sua proposta, alla quale aveva aderito in linea principale.

Pongo in votazione la formulazione proposta dall’onorevole Leone Giovanni, testé letta.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo in votazione l’ultimo comma del testo proposto dagli onorevoli Conti e altri:

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni Magistratura sono stabilite con legge».

(È approvato).

L’articolo 95, pertanto, salvo coordinamento, risulta così approvato nel suo complesso:

«La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla Magistratura.

«Il Consiglio di Stato e gli organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi, ed anche per la tutela di diritti soggettivi nelle particolari materie determinate dalla legge.

«La Corte dei conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica ed in altre materie specialmente indicate dalla legge.

«I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate.

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici e del pubblico ministero militari di fronte al governo.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge».

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle ore 16.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, sui fatti di violenza comunista di Caltanissetta e sulle misure adottate per prevenire la minaccia di «più gravi pericoli» che incomberebbero sulla Sicilia, formulata dall’esponente comunista signor Gino Cortese, consigliere regionale dell’Assemblea siciliana.

«Castiglia».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se il Governo non creda giunto il momento per adottare in Puglia misure eccezionali in difesa dell’ordine costituito e dell’incolumità personale dei cittadini, in considerazione che:

la situazione dell’ordine pubblico in Puglia sta diventando gravissima;

il numero dei morti e dei feriti cresce giornalmente per l’indeciso atteggiamento delle forze di polizia, le quali, intervenendo sempre con ritardo, non riescono a rappresentare più l’autorità dello Stato e a farla rispettare preventivamente;

gruppi sovversivi tengono ferma ogni attività produttiva, con incalcolabile danno all’economia del Paese e contro la volontà di lavoro delle popolazioni pugliesi;

il perdurare di un atteggiamento di protesta puramente platonico da parte del Governo costringerà i privati a provvedere alla difesa individuale, al di fuori degli ordinamenti costituiti.

«Cicerone».

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili della spedizione compiuta il 19 novembre a Cola di Vetto (Reggio Emilia) da elementi che, eccitati da un discorso del segretario dell’A.N.P.I., hanno perquisito case e persone, percosso a sangue due esponenti della Democrazia cristiana ed altri giovani, minacciando altri più gravi interventi e spargendo il terrore in quel pacifico paese.

«Marconi, Dossetti».

«Al Ministro dell’interno, sui dolorosi avvenimenti accaduti in Campi Salentina (Lecce) e sui provvedimenti che intende prendere per richiamare le autorità locali ad una più umana comprensione del contenuto delle agitazioni delle classi lavoratrici e per stroncare l’atteggiamento provocatorio delle classi padronali nel resistere alle richieste dei lavoratori.

«Stampacchia, Cacciatore».

«Ai Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per conoscere se, in vista del costante rifiuto degli istituti bancari e finanziari di concedere mutui per gli Istituti case popolari ed enti assimilati, nella misura pari alla concessione da parte del Ministero dei lavori pubblici, non ritengano opportuno, ad evitare l’arresto di ogni attività di ricostruzione edilizia popolare, di ripristinare le norme di cui al decreto legislativo 22 settembre 1945, n. 637, il quale prevede l’anticipo da parte dello Stato delle intere somme occorrenti, salvo il ricupero della metà nel giro di anni trenta senza interessi.

«In ogni caso, se non ritengano disporre perché la Cassa depositi e prestiti, nella sua specifica competenza, con provvedimenti di facile e sollecita attuazione, diventi l’ente mutuante.

«Cifaldi».

«Al Ministro dei trasporti, per conoscere a che punto si trovino le pratiche di riassunzione dei ferrovieri licenziati per ragioni politiche.

«Morini».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non si ritiene urgente:

  1. a) riformare tutte le norme in materia di risarcimento danni ai nostri connazionali d’Africa, eliminando il formalismo burocratico, introducendo criteri deduttivi e per quando l’importo delle liquidazioni al valore attuale della moneta;
  2. b) riorganizzare uffici e sistemi di lavoro, in modo da affiancare all’unica divisione che, guidata da un capo valoroso e preparato, attualmente funziona a costo di gravi sacrifici del personale e dei dirigenti, anche le altre tre divisioni oggi praticamente inattive.

«Morini»

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quale fondamento abbia e quali eventuali misure abbia provocato da parte del Governo la notizia, pubblicata dalla stampa e confermata da persone del luogo, circa la presenza e la diretta partecipazione di stranieri al comando delle squadre d’azione protagoniste delle attuali violazioni delle più fondamentali libertà in Puglia e nel Salento.

«Codacci Pisanelli, Regga».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i particolari dell’uccisione del sacerdote D. Leo di Bitonto ed i provvedimenti che il Governo intende adottare per fronteggiare la grave situazione di disordine verificatasi in Puglia e che si va estendendo anche alla Basilicata ed alla Calabria.

«De Maria».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della difesa, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per la sollecita liquidazione dei danni arrecati a cittadini italiani dalle forze alleate.

«Macrelli, Paolucci, Magrassi, Bernabei».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati contro i responsabili dei luttuosi incidenti di Corato, Gravina e Bitonto e quali misure intende adottare per fronteggiare l’imperversare delle violenze in terra di Bari.

«Caccuri».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i particolari sui fatti di sangue di Campi Salentina e di Trepuzzi (Lecce).

«Gabrieli».

Il Ministro dell’interno ha fatto sapere che risponderà lunedì, in fine seduta, alle interrogazioni relative ai fatti avvenuti in Puglia.

Le altre interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, perché facciano sapere quando intendono rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle finanze, per conoscere i motivi i quali hanno determinato la concessione di facilitazioni sui diritti erariali sugli spettacoli alla Associazione cattolica lavoratori (ACLI), mentre analogo trattamento finora non è stato accordato, benché insistentemente richiesto, all’Ente nazionale assistenza lavoratori (ex dopolavoro), organismo apolitico ed anticonfessionale, il quale pure godeva di varie facilitazioni in passato.

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni per le quali ha concesso una riduzione del 50 per cento sul prezzo del biglietto ferroviario agli iscritti all’Azione cattolica, i quali viaggiano in comitiva, mentre un trattamento, quanto meno analogo, benché insistentemente richiesto, non è stato finora accordato agli inscritti all’Ente nazionale assistenza lavoratori (ENAL), organizzazione apolitica che, a prescindere dalla fede religiosa, racchiude un ingente numero di lavoratori, tenuto anche presente che l’ENAL è l’unico Ente nazionale di diritto pubblico.

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se e quali provvedimenti si siano presi per provvedere al pagamento dei danni di guerra per quanto riguarda in ispecie la perdita di effetti mobili, in quanto i danneggiati, dopo un primo acconto, da anni attendono di essere saldati sia pure in misura ora irrisoria, per il diminuito valore di acquisto della lira, tra la data della denunzia del danno ed il giorno d’oggi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tozzi Condivi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per i ferrovieri che hanno raggiunto il limite di età, in considerazione del fatto che le altre Amministrazioni statali hanno elevato il limite di età, mentre le ferrovie dello Stato non solo mantengono lo stesso limite ma sembra vogliano ridurlo, e come il Ministro intenda provvedere per il trattamento economico che verrà loro assegnato dopo aver raggiunto il limite di età. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zagari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici, delle finanze e della pubblica istruzione, per conoscere i motivi per i quali ancora non è stato provveduto in merito alla richiesta fatta a suo tempo, nei termini regolari, dal comune di Mantova, al fine di ottenere, ai sensi dell’articolo 14 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità, una proroga di anni cinque al termine assegnato dall’articolo 3 della legge 22 maggio 1939, n. 846, per l’esecuzione del piano di risanamento edilizio della città di Mantova. La cosa riveste carattere di particolare gravità per il comune di Mantova. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bianchi Bruno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non intenda promuovere un provvedimento legislativo per la convalida dei risultati degli esami di abilitazione all’insegnamento medio, svoltisi sotto l’impero della sedicente repubblica sociale italiana e attualmente considerati nulli, mentre hanno carattere di accertamenti esclusivamente tecnici, il cui valore è indipendente dal momento politico in cui siano stati compiuti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Geuna».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri del tesoro e della difesa, per sapere se non intendano riparare una grave ingiustizia esercitata fino ad oggi verso le famiglie di reduci deceduti per infermità contratta in prigionia. Esistono numerosi casi di militari morti di tubercolosi prima che il loro caso fosse vagliato dalla Commissione medica pelle pensioni di guerra, oppure prima che il Ministero del tesoro abbia liquidata la pensione diretta; in entrambi i casi il periodo di malattia, doloroso e costoso, non ha visto la corresponsione della dovuta pensione.

«Le cause dell’ingiustizia denunziata vanno ricercate nella lungaggine burocratica e nell’eccessivo lavoro al quale le Commissioni mediche sono sottoposte, ma le conseguenze non possono e non debbono ricadere sui famigliari dei reduci deceduti.

«Pertanto gli interroganti ritengono che anche per quei casi non vagliati dalla Commissione medica prima del decesso, debbasi stabilire la dipendenza della malattia e della invalidità da causa di servizio secondo il giudizio dei medici curanti.

«In numerosi casi, di cui gli interroganti hanno vagliato i decorsi clinici, non si può, per l’anzianità delle lesioni tubercolari, non ammettere l’insorgenza durante, o subito dopo, la prigionia.

«Va da sé che trattandosi di infermità mortali la categoria di pensione debba essere la prima.

«Gli interroganti chiedono che alla pensione indiretta si uniscano i ratei della pensione diretta, fino al giorno della morte dei reduci, a favore dei famigliari così duramente colpiti dalla guerra. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Cavallotti, Lozza».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e previdenza sociale e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere se non intendano provvedere immediatamente a promulgare il nuovo regolamento per salariati e stipendiati dei sanatori dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, regolamento elaborato da oltre un anno dall’apposita Commissione di studio, accettato dalla Direzione generale dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, ma non ancora in attuazione.

«È necessario, inoltre, provvedere all’imminente costituzione del Consiglio di amministrazione dell’Ente casa di cura di Vialba (Milano).

«Tali provvedimenti, insieme alla soluzione dell’ormai annoso problema dell’inquadramento dei medici, porranno fine alle agitazioni iniziate dai dipendenti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale su scala nazionale, agitazioni che, se pur ridotte ad una parziale astensione dal lavoro e coll’approvazione dei degenti, provocano ugualmente un ben comprensibile stato di disagio fra i ricoverati. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Cavallotti, Scotti Francesco, Lozza».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.5.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

  1. Discussione del disegno di legge:

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (11).

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 21 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 21 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegni di legge (Votazione segreta):

Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947.

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947.

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Presidente

Castiglia

Russo Perez

Colitto

Carpano Maglioli

Zanardi

Coppa

Laconi

Crispo

Dominedò

Benedettini

Bettiol, Relatore

Caldera

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Cianca

Cevolotto

Votazioni segrete:

Presidente

Risultato delle votazioni segrete:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Tambroni.

(È concesso).

Votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge: Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947.

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947.

Indico la votazione segreta, avvertendo che le urne rimarranno aperte.

(Segue la votazione).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10)

La seduta di ieri mattina fu interrotta perché, dalla votazione per appello nominale sull’ordine del giorno presentato dall’onorevole Benedettini, risultò la mancanza del numero legale. Si tratta quindi di riprendere i nostri lavori al punto in cui sono rimasti interrotti, e cioè occorre ripetere la votazione sull’ordine del giorno Benedettini. Desidererei interpellare i firmatari della richiesta di appello nominale perché dicano se essi la mantengono .

L’onorevole Benedettini, che era primo firmatario, non è presente. Anche l’onorevole Puoti non è presente.

L’onorevole Castiglia mantiene la richiesta?

CASTIGLIA. Non insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora pongo in votazione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Benedettini:

«L’Assemblea Costituente,

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo 1947 e la relazione della Sottocommissione,

considerato che tale disegno di legge non risponde né alle necessità dei tempi, né al mutato clima morale e politico del Paese,

affermato che, per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del Trattato di pace, basta il Codice penale ordinario e non occorrono leggi eccezionali,

respinge il disegnò di legge e passa all’ordine del giorno».

(Non è approvato).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

«Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947»;

«Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947».

Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione sul disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora procedere alla votazione a scrutinio segreto dell’ordine del giorno degli onorevoli Condorelli, Corbino, Perrone Capano, Lucifero di cui do lettura:

«L’Assemblea Costituente,

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo 1947 e la relazione della Sottocommissione,

affermato che, per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del «Trattato di pace» ed efficace tutela all’ordine pubblico interno, basta inserire le opportune modifiche, aggiunte od inasprimenti di sanzioni nel Codice penale ordinario, e non occorrono leggi eccezionali,

rimanda il disegno di legge alla Sottocommissione, dandole mandato di rielaborarlo secondo le direttive su indicate».

Su questo ordine del giorno era stata chiesta ieri la votazione per appello nominale dagli onorevoli Perrone Capano, Colitto, Patrissi, De Falco, Castiglia, Russo Perez, Penna Ottavia, Patricolo, Mazza, Marina, Perugi, Benedettini, Condorelli, Puoti, Bonino. Ora gli onorevoli Condorelli, Martino, Perrone Capano, Colitto, Rodi, De Falco, Tumminelli, Russo Perez, Benedettini, Abozzi, Quintieri Quinto, Mazza, Castiglia, Rodinò Mario, Penna Ottavia, Puoti, Bencivenga, Patricolo, Belotti e Bonino, hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo pertanto alla votazione segreta sull’ordine del giorno Condorelli.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato delle votazioni segrete.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta sull’ordine del giorno Condorelli:

Presenti                               365

Votanti                                364

Astenuti                               1

Maggioranza           183

Voti favorevoli        73

Voti contrari            291

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Aldisio – Amadei – Arata – Arcangeli – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bolognesi – Bonfantini – Bonino – Bonomelli – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corbi – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa:– Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Merlin Umberto – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Paratore – Pat – Patrissi – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Quinto.

Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rivera – Romano – Romita – Rossi Giuseppe – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Targetti – Tega – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Volpe.

Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Arcaini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Vischioni.

Comunico il risultato delle votazioni a scrutinio segreto sui due disegni di legge:

«Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947»:

Presenti                               314

Votanti                                312

Astenuti                               2

Maggioranza           157

Voti favorevoli        305

Voti contrari            7

(L’Assemblea approva).

«Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947»:

Presenti                               314

Votanti                                312

Astenuti                              2

Maggioranza           157

Voti favorevoli        303

Voti contrari            9

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alle votazioni:

Abozzi – Alberganti – Alberti – Aldisio – Amadei – Arata – Arcangeli – Azzi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Bartalini – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bettiol – Bianchi Bianca – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonfantini – Bonino – Bonomelli – Borsellini – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Candela –.Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caristia – Caroleo – Carpano Maglioli – Cartia – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Aragona. – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Facchinetti – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Foresi – Fornara –Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrini – Mancini – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Marina Mario – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Merighi – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Pat – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rodi – Romano – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stella – Sullo Fiorentino.

Targetti – Tega – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tosi – Tozzi Condivi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Volpe.

Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Barontini Ilio.

Maltagliati.

Sono in congedo:

Arcaini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Vischioni.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. Passiamo all’esame degli articoli, che avverrà sul testo della Commissione.

Si dia lettura dell’articolo 1.

DE VITA, Segretario, legge:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista, rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da due a venti anni.

«Chiunque vi aderisce è punito con la reclusione sino a tre anni».

PRESIDENTE. È stato presentato dall’onorevole Crispo, che lo ha già svolto, il seguente emendamento, che reca anche le firme degli onorevoli Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti e Costantini:

Articoli 1 e 1-bis.

Sostituirli col seguente:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, ovvero associazioni o partiti col fine di mutare la Costituzione della Repubblica o la forma del Governo costituzionale parlamentare, o di sopprimere o menomare le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, con mezzi violenti o comunque non consentiti dall’ordinamento costituzionale, è punito con la reclusione da due a venti anni.

«Chiunque vi partecipa è punito con la reclusione fino a tre anni».

L’onorevole Russo Perez ha presentato

il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Chiunque promuova la costituzione di partiti, associazioni o movimenti che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’uso della violenza fisica o morale, rappresentino un pericolo per le libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da due a venti anni».

Ha facoltà di svolgerlo.

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi, avete ascoltato dal collega Segretario qual è la formulazione dell’articolo 1 del disegno di legge presentato dalla Commissione.

Il mio emendamento lascia quasi intatta la seconda parte del primo comma, ma sopprime quelle parole in cui si fa cenno del disciolto partito fascista. Io vorrei che si dicesse: «Chiunque promuove la costituzione di partiti, associazioni o movimenti che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’uso dalla violenza fisica o morale, rappresentino un pericolo per le libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da 2 a 20 anni». Desidero che si sopprima la prima parte, in cui si parla di fascismo, perché noi sappiamo che nelle leggi occorre introdurre dei termini i quali abbiano un chiaro e preciso significato, mentre la parola fascista non ha tale preciso significato. (Rumori a sinistra). Non ha un preciso significato. Infatti al Congresso della gioventù universitaria svoltosi a Praga, i congressisti di nove Nazioni discussero per quattro giorni e non seppero mettersi d’accordo sulla definizione del concetto di fascismo. Dirò ancora di più. Il dubbio sulla interpretazione di questa parola è reso più acuto dalla circostanza che, mentre essa ha un preciso significato storico, intendendosi per fascisti coloro i quali militarono nel partito fascista, il senso traslato è molto dubbio e quindi non si sa se la parola usata dal testo formulato dalla Commissione vada intesa nel senso storico od in quello traslato.

In fondo, voi volete alludere alle prepotenze del regime fascista e dei fascisti. Ora, le prepotenze non le inventarono i fascisti, ma sono proprie di altri partiti e di altra gente che non siede in questo settore dell’Assemblea. Sono proprie, per esempio, del regime franchista – e su questo spero siate tutti di accordo – del regime bolscevico, del regime nazista, dei giacobini: insomma è una parola equivoca. Tanto è vero che il bisogno di una precisazione è stato sentito anche dal legislatore. Due anni fa si parlava genericamente di «movimenti di tipo fascista». Ma le leggi posteriori hanno cercato di dare un preciso significato alla frase. Di queste leggi ve ne sono tre: quella del 26 aprile 1945, il Trattato di pace e, infine, la Costituzione da noi stessi approvata.

Nella legge del 26 aprile 1945, si dice: «Chiunque, sotto qualsiasi forma o denominazione, svolga attività fascista (e la legge chiarisce il concetto), impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti politici, ecc.».

Dunque, se siamo usciti dal vago e dal generico per andare nel preciso e nel determinato ed abbiamo in questa stessa disposizione di legge, che è stata progettata dalla Commissione, la definizione degli atti che costituiscono il reato che si vuole incriminare, perché dobbiamo tornare ancora alla frase generica, che ci porterebbe di nuovo in alto mare? Allora sarebbe evidente che c’è un secondo fine, cioè che ci si prefigge di colpire quella forma di attività criminosa, che mira a contrastare il libero esercizio dei diritti politici, soltanto se i criminali appartengano a un determinato partito, escludendo dalla sanzione altri, che commettessero uguali e più gravi delitti, ma appartenessero ad altri aggruppamenti politici.

L’inconveniente sarebbe gravissimo, e voi vorrete evitarlo approvando il mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Alle parole: sotto qualunque forma di partito o movimento, sostituire le altre: oppure la formazione di un partito o di un movimento; e sopprimere le parole: rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

«Subordinatamente, alla parola: rappresentando, sostituire: ove rappresentino».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Onorevoli colleghi, pochi rilievi bastano, a mio avviso, per dare ragione degli emendamenti da me proposti all’articolo 1° del disegno di legge in esame.

Non mi sembra dubbio che con la norma su cui dovete dare il vostro illuminato giudizio, si sia voluto prevedere e punire l’attività di chiunque si proponga la formazione, sotto qualsiasi nome, di un partito o di un movimento di carattere politico, militare o paramilitare, che miri alla soppressione o alla compressione dei diritti democratici. Il proposito dell’Assemblea è indubbiamente anche nel cuore di chiunque sia desideroso che la nuova Repubblica non sia comunque incrinata da mene antidemocratiche. L’Italia ha, d’altra parte, assunto di fronte agli Stati alleati, con l’articolo 17 del Trattato di pace, ricordato nella perspicua relazione al disegno di legge, il preciso impegno – dice l’articolo 17 – di non tollerare la ricostituzione nel suo territorio di organizzazioni aventi appunto un carattere militare o paramilitare ed il cui scopo sia quello di privare il popolo dei suoi diritti democratici.

L’articolo in esame, invece, secondo il mio modesto parere, non realizza in pieno, né quel proposito né siffatti obblighi. Non li realizza, perché prevede soltanto il fatto di chi promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ove, quindi, non si provi che fra il disciolto partito fascista e quello di cui si promuova la costituzione esista una continuità da un punto di vista vuoi obiettivo, vuoi subiettivo, la costituzione del partito o del movimento, anche se al massimo totalitario e antidemocratico, non darebbe vita ad un reato e, quindi, non sarebbe punibile.

L’articolo 1 del disegno di legge è redatto così: «Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità e metodi propri del disciolto partito fascista, è punito con la reclusione da due a venti anni». È necessario, dunque, che ci si trovi, perché del delitto in esame si possa parlare, di fronte a persona che promuova la costituzione di un partito o di un movimento che:

  1. a) abbia un’organizzazione interna militare o paramilitare;
  2. b) esalti o usi i mezzi (la minaccia o la violenza) che, come giustamente afferma il Relatore, il metodo democratico scarta;
  3. c) tenda alla negazione delle libertà democratiche.

Ma questo non basta. Io sottoscrivo pienamente quello che disse ieri, a proposito dei detti tre punti, l’amico onorevole Crispo. Ma, a parte ciò, poiché l’articolo incomincia con le parole «Chiunque promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista», è necessario altresì che la persona, della quale si tratta, si proponga la ricostituzione di quel particolare partito politico, avente una sua propria individualità, che fu il partito fascista.

Non si parla nell’articolo in esame di «costituzione», ma di «ricostituzione» di un partito o di un movimento, e non si parla di ricostituzione di un partito o di un movimento, che si possa qualificare fascista, ma di ricostituzione del disciolto partito fascista. Qui si tratta, ha detto ieri l’onorevole Marchesi, del partito fascista, che ha caratteri precisi ed inconfondibili con quelli di altri partiti.

Ed allora vi potrà essere chi promuova la costituzione di un partito e di un movimento che, per la sua organizzazione militare o paramilitare, per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista. Ma ciò non basterà, perché si possa dire il delitto integrato in tutti i suoi estremi. Lo sarà soltanto se si provi che egli si proponga la ricostituzione del disciolto partito fascista.

È una delicata, sottile indagine che all’uopo occorrerebbe compiere, se la norma fosse approvata così com’è redatta, perché bisognerebbe penetrare in fondo all’anima del soggetto attivo del reato per accertare se ebbe egli la intenzione di promuovere proprio la ricostituzione del disciolto partito fascista.

E così, ove vi fosse chi si proponesse di costituire un movimento od un partito, che sostenesse, per esempio, la tesi che il Governo legittimo può essere combattuto sul terreno parlamentare… fino ad un certo punto, od un partito, che, non avendo potuto ottenere il potere con mezzi legali, pensasse di passare all’impiego di mezzi violenti, non potrebbe, chi tale proponimento avesse, essere punito, a meno che non si provasse che chi promosse la formazione del partito o movimento aveva altresì l’intenzione di promuovere la ricostituzione del disciolto partito fascista, in modo da potersi, in definitiva, dire che fra il nuovo partito e il vecchio esista un vincolo subiettivo o obiettivo di continuità storica.

È perciò che io ho proposto che l’articolo sia diversamente redatto. Ove si accolga il mio emendamento, l’articolo suona così:

«Chiunque promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista oppure la formazione di un partito o di un movimento, che, per l’organizzazione militare o paramilitare, per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità proprie del disciolto partito fascista, è punito, ecc.».

Così si prevede da un lato la ricostituzione del disciolto partito fascista e dall’altro la costituzione di un partito o di un movimento, che a quello fascista si possa eguagliare per l’organizzazione interna, per i metodi di lotta e per le finalità da raggiungere. E così ogni dubbio viene ad essere eliminato.

La difesa dello Stato (ha detto opportunamente ieri l’onorevole Nitti) deve essere fatta non solamente in una direzione, ma in tutte le direzioni. L’articolo presenta anche un’altra anomalia, che, a mio avviso, deve essere eliminata. Vi è, ad un certo punto di esso, un gerundio, che non si comprende se sia l’inizio di un commento o piuttosto l’inizio di una proposizione condizionale. La norma, infatti, dopo aver proclamato che è punito in un certo modo chiunque promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista, agendo in un certo modo, contiene questa proposizione: «rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

«Rappresentando»: ecco il gerundio. Quale significato dobbiamo ora noi dire che abbia questo gerundio? Si vuole affermare con esso che l’organizzazione militare o paramilitare di un partito o di un movimento ed insieme l’esaltazione o l’uso dei mezzi violenti di lotta rappresentano «sempre» un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione? Se così è, quel «rappresentando» è evidentemente un commento al contenuto della proposizione precedente.

Si vuole, invece, affermare che l’organizzazione militare o para militare di un partito o di un movimento ed insieme l’esaltazione o l’uso dei mezzi violenti di lotta possono a volte sì ed a volte no rappresentare un attentato alle libertà democratiche? È evidente che, se così fosse, il delitto esisterebbe solo nel primo caso e non nel secondo. Ma allora bisognerebbe al gerundio sostituire le parole «ove rappresentino», mentre nel primo caso l’intera proposizione dovrebbe essere soppressa, ché la norma deve essere chiara e lapidaria e le glosse – e quella proposizione rappresenterebbe appunto una glossa – non costituiscono mai parte integrante delle leggi. Io so di parlare a delicati e sottili giuristi: ciò dà a me la certezza che la norma, non chiaramente redatta, sarà emendata così da presentare quel carattere di assoluta chiarezza e precisione, che postula sempre qualsiasi norma giuridica e soprattutto una norma di carattere penale. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Carpano Maglioli, Fogagnolo, Caldera, Vigna, Fedeli Aldo e Tomba, hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: paramilitare e per l’esaltazione, sostituire le parole: paramilitare o per l’esaltazione».

«Allo stesso comma sopprimere le parole: o metodi, e le parole: rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerli.

CARPANO MAGLIOLI. Onorevoli colleghi, gli emendamenti da me proposti a nome dei compagni del Gruppo parlamentare socialista non debbono significare e non significano altro se non un tentativo di chiarimento della nobile fatica per la formazione dell’articolo 1, sostenuta dalla Commissione alla quale siamo grati.

La Commissione ha effettivamente dimostrato – e lo chiarisce molto nobilmente la relazione dell’onorevole Bettiol – viva sensibilità non solo politica, ma anche giuridica, preoccupandosi di fissare con esattezza e precisione gli estremi di fatto necessari per incriminare l’attività fascista. E, per vero, questa incriminazione di attività fascista si presenta con carattere di urgenza e questo intervento legislativo è reclamato dall’opinione pubblica concorde.

L’opinione pubblica sente il pericolo che risorga il fascismo, nefasta dottrina politica durata nella sua pratica devastatrice un lungo ventennio – periodo di umiliazione e di mortificazione – che ci ha portato fino all’onta della sconfitta.

Questa legge che noi stiamo approvando non è se non la esatta attuazione del principio di cui all’articolo 13 della nostra Costituzione, e non tocca minimamente il concetto della libertà di associazione politica. Dice molto chiaramente l’articolo 13 della nostra Costituzione: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale».

Questa, intorno alla quale noi discutiamo, è la legge penale che vieterà risorga un’organizzazione contraria all’ordinamento repubblicano e democratico.

È tenendo presente questa nostra breve premessa, e allo scopo di chiarire ancora meglio il pensiero espresso nell’articolo 1 che noi proponiamo i nostri tre emendamenti.

Il primo emendamento riflette la sostituzione della parola «e» con la parola «o». Dice l’articolo 1:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista…».

La congiunzione «e» pare che richieda, perché vi sia l’estremo di fatto per la punibilità della ricostituzione del disciolto partito fascista, ecc., il concorso anche dell’esaltazione del movimento fascista, degli usi di mezzi violenti ecc.

Ora, siccome si tratta, se non vado errato, di un delitto di mero pericolo, di un delitto formale, di norma diretta a prevenire il male, si vuole con questa disposizione evitare il pericolo del risorgere del fascismo, si vuole evitare che l’Italia sia di nuovo ricacciata nel gelo della dittatura e della violenza; è evidente – se questo è il pensiero – che non è possibile che non si rappresenti come forma vera e propria di reato turbativo dell’ordine pubblico, l’esaltazione dei metodi fascisti, della pratica fascista, della violenza fascista.

Quindi, per questa considerazione noi proponiamo, ripeto, sempre solo nel tentativo di chiarire il disposto di legge, il nostro emendamento (lontana da noi ogni intenzione o pensiero di critica alla vostra nobilissima fatica, della quale – ripeto – vi siamo sinceramente e profondamente grati). Ieri abbiamo ammirato, onorevole Bettiol, la vostra lucida risposta alle osservazioni fatte dagli avversari di questa legge, della quale si voleva impedire l’approvazione col pretesto che non era necessaria, perché alle esigenze di cui alla legge stessa, provvede il Codice penale. Certo si dimentica – e forse non a caso – che nel Codice penale vi è l’articolo 270, il quale non è certo rivolto contro i fascisti, ma concepito e scritto dai fascisti contro noi, contro la nostra parte; e di questo articolo 270 nessuno, nemmeno quelli che oggi si presentano e si camuffano quali vigili tutori delle libertà democratiche, rispettosi della legge, hanno pensato di proporne la cancellazione e l’abrogazione.

La disposizione di legge, della quale si discute, coll’articolo 1 vuole colpire una forma di reato, ripeto, di puro pericolo; ed anche per questa ragione pare a noi che il nostro emendamento, di sostituire cioè la particella disgiuntiva alla congiuntiva, sia veramente utile. Infatti a noi pare che l’esaltazione sia già una forma di reato, un tentativo di ricostituzione del movimento fascista. La disposizione contro questo pericolo per l’ordine pubblico, per l’ordinamento repubblicano, è reclamata dalla pubblica opinione espressa in questi giorni anche dalla Confederazione generale del lavoro, e sempre da tutti coloro i quali ricordano il tormento fascista e non vogliono ricadere in un regime così nefasto. Quindi noi confidiamo che questo emendamento possa avere la fortuna di essere accolto dalla stessa Commissione, così come non dubitano che possa essere accolto anche il secondo emendamento. Con questo noi proponiamo che sia soppressa più avanti – ove si legge: «l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista» – proponiamo, dicevo, che sia soppressa l’espressione «o metodi», per impedire pericoli di interpretazioni estensive, per impedire il pericolo di interpretazioni analogiche, per contenere gli estremi del reato nel campo della pura obiettività e non scendere nel campo delle forme opinabili e tali da dare luogo ad interpretazioni errate e discordanti, lontane dalla retta interpretazione della legge.

Riteniamo perciò, che sia sufficiente a rappresentare la figura di questo reato (che per me è gravissimo) la dizione «l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta persegua finalità proprie del disciolto partito fascista».

L’espressione «o metodi» – ripeto – è espressione lata, che consente interpretazioni estensive, contrarie al concetto della obiettività della norma penale, che, voi mi insegnate, non consente e non deve consentire interpretazioni estensive.

Infine, il terzo emendamento ripete quello già trattato dall’onorevole Colitto; ma, per me, trova fondamento in un altro motivo. Il gerundio: «rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione» rappresenta l’obietto della tutela penale. E la preoccupazione della Commissione, la quale ha voluto fissare in questa disposizione di legge quello che è l’obiettivo della tutela penale, cioè l’articolo 1, fondamento della legge repressiva dell’attività fascista, tende a tutelare le libertà democratiche, che trovano il loro fondamento legislativo nella Costituzione.

Ora, consentire che rimanga – nella formulazione di un articolo di legge che prevede ed esprime fatti come elementi di reato – anche l’indicazione dell’obietto della tutela penale, parmi che rappresenti pericolo di interpretazioni late. Quante tesi difensive si potranno costruire su questa dizione! Quanti tentativi di evasione al rigore della giustizia penale si possono cercare in questo inciso che mi pare perfettamente inutile (lo dico con profondo rispetto per i membri della Commissione), tanto da apparire una vera superfetazione! L’obietto della tutela penale non è necessario sia indicato nella disposizione penale. Voi insegnate a me, per esempio, che nei delitti contro la persona, l’obietto delle disposizioni penali è la tutela della persona, dell’integrità fisica della persona, e l’articolo 575 del Codice penale che punisce l’omicidio come reato dice: «chiunque cagiona la morte»; non dice: «determinando la soppressione dell’uomo, violazione dell’integrità della persona».

Per queste considerazioni noi confidiamo che anche questo terzo emendamento possa avere fortuna presso la Commissione e presso l’Assemblea, perché, come gli altri due – sento il dovere di ripetere – tende unicamente a chiarire la disposizione di legge penale e a formulare una disposizione chiara che non consenta dubbi interpretativi. Voi sapete come la legge sia fissa, come la legge sia sempre uguale a sé stessa, e sapete invece come non vi sia mai un fatto uguale all’altro e come quindi l’adattamento dei fatti alla legge sia non sempre agevole, ma è compito complesso e tale da offrire molte difficoltà.

Evidentemente se noi descriviamo nel disposto gli estremi costitutivi del reato con assoluta obiettività, tale da non consentire dubbiezze ed incertezze di interpretazione, noi certamente renderemo un servigio allo Stato offrendo una legge che sia, come vuole essere precipuamente questa, presidio della libertà, repressione del delitto, di difesa della nostra Costituzione, preoccupati di non vedere intaccato questo nostro nuovo ordinamento democratico repubblicano da coloro che già tanto male hanno fatto all’Italia, da coloro che hanno tratto questo nostro povero paese giù giù, in fondo all’abisso, sino alla vergogna della sconfitta. (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Zanardi, Momigliano, Costantini, Fornara, Giua, Canevari, Piemonte, Merighi, Tega e Bianchi Bianca hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere in fine, al primo comma: e alla confisca dei beni».

L’onorevole Zanardi ha facoltà di svolgerlo.

ZANARDI. Onorevoli colleghi, sono stato mosso a presentare questo emendamento da una esperienza personale che ho compiuto durante il periodo della liberazione e come socialista di antica scuola, della scuola di Turati e di Prampolini, stanco di avere vissuto metà della mia lunga esistenza fra odî, rancori e morti.

Durante i giorni della liberazione, nell’ormai dimenticato aprile 1945, io, che allora abitavo in un paese della Valle Padana, ho parlato al popolo dicendo che non si doveva più continuare a uccidere, ma che si dovevano espropriare coloro che si erano valsi del fascismo per arricchire e del mercato nero per portare ancora maggiori danni alle classi povere.

Il mio consiglio allora ottenne molti consensi. Ecco, dunque, la ragione della mia proposta di oggi, cioè io propongo che oltre le pene previste si stabilisca anche quella della confisca dei beni. Io ho aggiunto queste parole che sono semplici, ma che hanno tanta influenza sull’animo degli italiani, perché io so, dietro gli insegnamenti di Mazzini, che gli italiani sono disposti a fare sacrifici, ma non vogliono mai sborsare nessun quattrino. Ed allora, quando voi aggiungete all’articolo 1 quella semplice formula che io ho proposto, molti ci penseranno prima di aderire ai movimenti fascisti. Io non dico che tutti i fascisti sono delinquenti, ma sono sicuro che tutti i delinquenti sono fascisti. Ora, noi vogliamo impedire che si possano pagare questi delinquenti. Nelle scorse sedute si è prospettato, con accenti fieri e contrastanti, la risurrezione del fascismo attraverso il Movimento sociale italiano. Ora, per organizzare un partito e soprattutto per stampare giornali occorrono molti quattrini; di modo che quando vi è qualche condanna, gli stracci vanno all’aria e i delinquenti trionfano e sono assolti da quella Magistratura chiamata indipendente.

Io insisto quindi sopra questa proposta, e sono sicuro che allorquando la Camera vorrà approvare queste poche parole sole, molti si rifiuteranno di aiutare i movimenti clandestini, di dare quattrini ai giornali. Tante volte diciamo delle parolacce contro il Movimento italiano sociale, mentre invece con la legge e con l’intervento dello Stato possiamo impedire e impediremo indubbiamente che questi delinquenti siano pagati.

La mia proposta di aggiungere le parole «la confisca dei beni» all’articolo primo della legge oggi in discussione, risponde dunque ad un imperativo della mia coscienza e ad un dovere verso gli elettori; ricorderò che tutti i partiti rappresentanti di grandi masse popolari hanno promesso di colpire i fascisti ed i borsaneristi e dovrebbero con voto concorde accettare quanto ho proposto; una adesione alle ragioni morali e materiali da me modestamente esposte sarebbe accolta con entusiasmo da tutti gli uomini del lavoro; questi sanno che la vita è dura e difficile, che al periodo euforico delle vacche grasse sta succedendo un periodo di sacrifici.

Onorevoli colleghi, il proletariato italiano, potrà sopportare tutte le difficoltà che si prospettano con animo consapevole e sereno, purché giustizia sia fatta verso coloro, che hanno in passato o tentano di tradire per l’avvenire il Paese, che tutti diciamo di amare. (Applausi).

PRESIDENTE. È stato presentato il seguente emendamento all’articolo 1 dagli onorevoli Puoti, Coppa, Castiglia:

«Sopprimere il capoverso».

L’onorevole Coppa ha facoltà di svolgerlo.

COPPA. Sarebbe inutile svolgere questo emendamento dopo le dichiarazioni fatte in sede di dichiarazioni di voto, perché la soppressione è chiesta esclusivamente per l’indeterminatezza dell’espressione: «Chiunque vi aderisce». Questa indeterminatezza era messa in rapporto a quanto è espresso nella relazione dell’onorevole Bettiol, cioè la distinzione fatta dal relatore fra iscritto e aderente. Ora, se a questa frase si sostituisce una frase più precisa, come è fatto, per esempio, nell’emendamento presentato dall’onorevole Crispo, dove si dice: «Chiunque vi partecipa», che significa qualche cosa di più concreto e preciso, io non esiterei a ritirare la proposta di soppressione, sia per quel che riguarda il capoverso dell’articolo 1 che quello dell’articolo 1-bis.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dicevo poco fa che desidererei sottoporre alla Presidenza un dubbio circa la possibilità o meno di mettere in votazione gli emendamenti presentati dagli onorevoli Crispo, Russo Perez e Colitto. Il carattere distintivo di questi tre emendamenti nei confronti del testo della Commissione mi pare che consista nel fatto che in questi tre emendamenti viene tolto ogni riferimento al fascismo come fenomeno storicamente determinato e individuato. Anzi, esattamente, l’onorevole Colitto ritorna alla formula originaria proposta dalla Commissione; e gli onorevoli Russo Perez e Crispo introducono una formulazione nuova che ottiene lo stesso risultato di allargare in sostanza la portata della legge, estendendola non soltanto a quei movimenti che abbiano un riferimento storico preciso col partito fascista, bensì a qualsiasi altro movimento il quale adotti determinati metodi, abbia determinati caratteri e persegua determinati fini. Io vorrei far notare che su questa materia la Camera ha già discusso e adottato deliberazioni.

Esattamente, nella seduta del 22 maggio l’Assemblea Costituente, formulando l’articolo 47 del progetto di Costituzione, faceva una lunga discussione che concerneva il controllo sul carattere di democraticità interna, sui metodi e le finalità dei diversi partiti. In questa sede vennero presentati alcuni emendamenti.

Venne presentato inizialmente un emendamento da parte degli onorevoli Mortati e Ruggero così formulato: «Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si formino e concorrano, attraverso il metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale».

Un altro emendamento veniva presentato dall’onorevole Sullo: «Hanno diritto a riconoscimento giuridico tutti i partiti, democraticamente costituiti, mediante i quali i cittadini intendano, con il metodo della libertà, concorrere a determinare la politica del Paese». E finalmente un emendamento, che non a caso porta le firme degli onorevoli Colitto e Bellavista:

«Le leggi della Repubblica vietano la costituzione di partiti che abbiano come mira la instaurazione della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo sociale, o che organizzino formazioni militari o paramilitari».

A nome della Commissione si pronunziava su questi emendamenti il Relatore onorevole Merlin, il quale affermava di doverli respingere con questa motivazione: perché, come negli individui il delitto è punito quando si estrinsechi in atti concreti all’esterno e non si vanno a ricercare le intenzioni o a fare dei processi all’interno della mente di ogni individuo, così non è lecito dubitate, sospettare della vita dei partiti all’interno. Saranno colpiti e puniti se essi all’esterno compiranno degli atti contro le nostre istituzioni. Quindi non c’è bisogno di fissare questo principio. Se un partito si organizzerà militarmente, come prevede uno degli emendamenti, se un partito farà quello che prevede l’onorevole Bellavista o altro partito farà quello che ha preveduto l’onorevole Mastino, potrà cadere sotto le disposizioni del Codice penale ed essere sciolto di autorità dal Governo.

In seguito l’onorevole Mortati ritirava il suo emendamento e così pure l’onorevole Bellavista, il quale però faceva proprio l’emendamento Mortati. Venuti alla votazione, l’Assemblea respingeva gli emendamenti. Il che significava che in sostanza l’Assemblea escludeva per i partiti in genere un controllo da parte del Governo o da parte della Magistratura sui metodi di organizzazione interna e sulle finalità perseguite.

Ho motivo di ritenere che questa deliberazione da parte dell’Assemblea avesse una profonda ragione di essere, ragione che in sostanza veniva esposta nei diversi interventi fatti in quella occasione. L’Assemblea si preoccupava che una determinata maggioranza governativa potesse esercitare un controllo sopra i partiti di minoranza, controllo che venisse a ridurre quella libertà di organizzazione dei partiti sancita nell’articolo 13 della Costituzione.

Ciò significa che l’Assemblea ammette che i diversi partiti possano organizzarsi militarmente o perseguire metodi non democratici o possano violare le libertà sancite dalla Costituzione? Evidentemente no. L’onorevole Merlin come relatore parlava nel modo più chiaro. Diceva che l’Assemblea intende reprimere tutto questo, ma ai sensi dei Codici vigenti.

L’Assemblea faceva una sola eccezione per il caso previsto dalle norme transitorie, le quali stabiliscono un controllo su un solo tipo di partito, su quei partiti che costituiscono una riorganizzazione del partito fascista, cioè che abbiano legame storico col partito fascista. Mi pare che la ragione sia evidente: il fascismo, come fenomeno storicamente determinato ed individuato, ha dimostrato di uscire dai limiti e dalle regole della democrazia; è fenomeno verificatosi in Italia, che costituisce tuttora un pericolo.

Riassumendo, quindi, mi pare che l’atteggiamento dell’Assemblea tenda a stabilire che nessuna norma speciale può essere diretta contro i partiti in generale, nel loro complesso; ma che essi, come qualsiasi altra organizzazione, ricadono sotto la legislazione normale.

Epperò un indirizzo speciale dovrebbe essere adottato nei confronti del partito fascista, in quanto fenomeno storicamente determinato in Italia, del quale si sa quello che è e quello che vuole e di cui, per esperienza recente, intendiamo impedire qualunque forma di riorganizzazione.

Entro questo spirito è stata formulatala legge in esame, la quale ha infatti per oggetto il fascismo e si presenta come legge speciale diretta a reprimere le manifestazioni o le rinnovate manifestazioni di quel fenomeno storico ed individuato che noi chiamiamo fascismo. L’elemento che costituisce il carattere distintivo degli emendamenti presentati dagli onorevoli Crispo, Russo Perez e Colitto, devia completamente il significato e lo spirito generale della legge, la quale cesserebbe – qualora questi emendamenti venissero approvati – di essere una legge speciale, diretta contro il fascismo, fenomeno individuato storicamente, e diventerebbe una norma generale contrastante con la votazione dell’Assemblea a proposito dell’articolo 47 della Costituzione. Sottopongo tutte queste ragioni alla Presidenza, che penso possa essa stessa giudicare della correttezza delle mie osservazioni, perché consideri la possibilità di non mettere in votazione gli emendamenti presentati dai colleghi Crispo, Russo Perez e Colitto, in quanto è intervenuta la votazione preclusiva dell’Assemblea, in una precedente seduta sul tema della nuova Costituzione.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi! Evidentemente, dal punto di vista giuridico, la proposta del collega Laconi non si regge, perché non c’è identità di materia tra la deliberazione già avvenuta e quella che noi oggi chiediamo all’Assemblea.

Per quanto riguarda la sostanza, io desidero fare questa domanda all’onorevole Laconi: se delle persone, che siano storicamente legate al movimento fascista, facessero quegli atti raffigurati in questa legge, crede lei che noi non potremmo egualmente perseguirle, ove fosse approvato il mio emendamento? Questa è la domanda che io gli rivolgo.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, la pregiudiziale presentata dall’onorevole Laconi è evidentemente inammissibile giusta l’articolo 92 del Regolamento, il quale stabilisce: «A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l’ordine del giorno puro e semplice, né alcun altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall’articolo 89».

È evidente, per altro, che, se non possono presentarsi emendamenti estranei all’oggetto della discussione, qualunque emendamento che ad esso si riferisca, può essere inteso a restringere o allargare la portata della legge, o anche a modificarla sostanzialmente.

Nel merito, non posso, per verità, tacere la mia profonda sorpresa per la richiesta fatta dall’esponente di un partito che rivendica a sé il ruolo particolare di tutore delle libertà democratiche. Qual è lo spirito di questa legge? Innegabilmente, se essa è intesa alla difesa del regime repubblicano ed alla difesa delle libertà democratiche, consacrate nella Costituzione repubblicana, non si riesce a comprendere come e perché le norme di questa legge debbano essere circoscritte alla repressione di una forma storica di dispotismo, perché il fascismo non esaurisce il dispotismo e la dittatura. Il fascismo è un fenomeno particolare, è un aspetto storico del dispotismo. Potrei ricordare, a questo proposito, il cosiddetto «bonapartismo», ossia la instaurazione della tirannide per mezzo del plebiscito.

Se vogliamo, adunque, veramente difendere la Repubblica, la legge non può e non deve limitarsi alla repressione di un movimento ormai superato, che si ripresenta come un fantasma del passato, e che non può turbare la compagine democratica della nuova Italia. (Commenti a sinistra).

L’emendamento da me proposto è inteso, dunque, a reprimere non solo la ricostituzione del partito fascista, quale esso storicamente fu, e quale si sviluppò, ma anche qualunque altra forma di organizzazione, qualunque altra forma di associazione, atta a menomare o a sopprimere le libertà democratiche, perché qualunque partito sarebbe fuori della legge, se si proponesse di sopprimere o di menomare le libertà democratiche. (Applausi a destra). Non si potrebbero tollerare formazioni, le quali sotto altro nome o in qualunque forma, si proponessero le stesse finalità del partito fascista. (Applausi a destra – Interruzioni a sinistra).

Avete paura? (Accenna alla sinistra); siete preoccupati? (Rumori a sinistra).

Quando, dunque, nel mio emendamento si contempla non soltanto l’ipotesi della ricostituzione del disciolto partito fascista, come una forma storica di dispotismo, ma qualunque altra associazione o qualunque altra organizzazione intesa a mutare la Costituzione della Repubblica, io non riesco a intendere quale preoccupazione possa avere l’onorevole Laconi, e per lui il partito comunista, (Commenti a destra), di fronte ad una norma che vuole tutelare le libertà democratiche. (Applausi a destra – Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Lombardi Carlo e del deputato Benedettini).

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, io sono veramente lieto dall’intervento dell’onorevole Laconi, perché esso è servito a chiarire in modo indubbio l’importanza degli emendamenti da noi proposti. Egli ha dovuto finire col riconoscere che ben mi apponevo io, quando, dianzi, affermavo che in tanto la norma in esame può trovare applicazione, in quanto il nuovo partito o il nuovo movimento possa ricongiungersi al disciolto partito fascista con un vincolo di continuità storica.

Ove fra il vecchio ed il nuovo siffatto vincolo non esista e non si possa provare che esista, il delitto, che si vuole punire e gravemente punire, non si commetterebbe. Occorre, pertanto, chiarire e precisare. Si chiarirà e si preciserà adottandosi il mio emendamento. L’onorevole Laconi ha dichiarato che esiste una votazione precedente, la quale sarebbe preclusiva. Non mi sembra che questo possa veramente affermarsi, perché egli stesso ha già ricordato con chiarezza che in altra seduta l’Assemblea Costituente non ha voluto dettare una disciplina per l’interno dei partiti, ma ha detto a chiare note che, ove tali partiti si proponessero di svolgere all’esterno una determinata attività – dalla legge penale prevista e punita – quei partiti sarebbero rimasti soggetti alle disposizioni dettate in materia dal Codice penale. Ecco perché noi ritenevamo ieri che questa legge non occorre, perché c’è il Codice penale che ben prevede e ben provvede in materia; ma, poiché voi della sinistra siete stati di contrario avviso, ed avete sostenuto che una legge speciale occorre, è necessario ora che la scriviamo. E scriviamola in guisa che veramente la libertà e le istituzioni democratiche siano salve nei confronti di tutti. (Applausi a destra).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io vorrei soltanto chiarire il mio pensiero, perché mi sembra che si siano creati degli equivoci: anzitutto io non ho presentato formalmente una proposta preclusiva; ho soltanto sottoposto un dubbio alla Presidenza. Quindi gli entusiasmi dell’onorevole Crispo mi pare che siano assolutamente gratuiti.

Per quanto riguarda la sostanza della questione, io tendevo a mettere in rilievo una norma che mi pare sia stata approvata implicitamente attraverso la precedente votazione da tutta l’Assemblea. Si disse che i partiti sono sempre e soltanto soggetti ad una legge penale in genere. Una legge eccezionale noi l’abbiano contemplata unicamente par il fascismo, cioè di una eccezionalità, abbiamo parlato soltanto nei confronti del fascismo, e cioè per un pericolo in atto, appunto perché una legge speciale si fa sempre per venire incontro ad una situazione determinata nel Paese.

Quindi di una legge speciale può parlarsi soltanto nei riguardi di quel fenomeno che in Italia si chiama fascismo, e perciò in questa legge deve essere mantenuto quell’indirizzo e quella caratteristica a cui si è ispirata la Commissione, allorché ha elaborato il provvedimento, e cioè il carattere di una legge diretta contro il fascismo. Questo è il punto.

BENEDETTINI. I metodi del fascismo sono stati adottati però anche da altri partiti! (Commenti – Interruzioni).

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Io avevo chiesto la parola per oppormi alla domanda dell’onorevole Laconi, che pretenderebbe sbarrare la via al tentativo di introdurre anche un solo criterio di carattere normale nell’ambito di una legge eccezionale, avverso la quale già mi espressi alla Commissione dei Settantacinque e intendo qui ripetere la mia condanna pregiudiziale.

È da osservarsi infatti che, a rigore, la votazione dello scorso maggio sul controllo democratico dei partiti politici avrebbe, se mai, servito ad introdurre una norma costituzionale, e cioè un vincolo di ordine costituzionale in una data direzione, laddove il risultato della votazione forse stato positivo. Viceversa, non essendo allora stata approvata la norma proposta in sede costituzionale, evidentemente il problema è rimasto scoperto in sede legislativa, pur nello spirito di una Costituzione democratica, la quale esige che la libertà sia garantita con norme non eccezionali, bensì rivolte alla generalità dei cittadini.

Ma non credo di dover indugiare su ciò, ove l’onorevole Laconi, come sembra, acceda al criterio di trasformare la sua domanda pregiudiziale in un semplice quesito al Presidente, quesito che evidentemente non può ricevere se non risposta negativa.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il quesito è stato posto e occorre rispondervi. Mi pare che il richiamo fatto dall’onorevole Laconi ad una votazione precedente dell’Assemblea, non costituisca, in questo momento, un ostacolo o un ritardo a proseguire. L’Assemblea infatti, aveva votato in sede costituzionale e la Costituzione è, sì, un vincolo che chiamerei morale e politico per le Assemblee legislative e per questa Assemblea stessa quando delibera in sede legislativa; ma di per sé non rappresenta un meccanismo talmente perfetto di sicurezza, da garantire che nessuna legge abbia mai in sé qualche elemento di incostituzionalità.

La stessa discussione che è stata fatta nei giorni scorsi sulla necessità di una Corte costituzionale o comunque di un meccanismo per il controllo della costituzionalità delle leggi, mi pare stia ad indicare che le Assemblee legislative possono anche eventualmente votare leggi che abbiano in sé degli elementi incostituzionali. Ed è per questo che, se la Costituzione avrà quel carattere rigido cui da vari settori si è accennato, essa stessa deciderà la creazione di un meccanismo, il quale valga a reprimere le tendenze non costituzionali che si siano tradotte in qualche norma legislativa.

È evidente che i deputati della Costituente non possono, in sede legislativa, dimenticare quello che hanno già votato in sede costituzionale: ma è questo un dovere soggettivo, che non può precludere all’Assemblea, ove nella sua maggioranza lo ritenga, di prendere sotto forma di legge decisioni contrarie, che saranno poi, se mai, dichiarate anticostituzionali dagli organi a ciò designati.

Questa mi pare sia la risposta al richiamo dell’onorevole Laconi, che, ripeto, è un appello alla coerenza interiore di ciascuno di noi ma che non autorizza me e non autorizza l’Assemblea a non procedere oltre. Vi sono d’altronde nel Regolamento alcune norme, già richiamate, che ne contestano la validità.

Vi è la norma sulla pregiudiziale: l’onorevole Crispo l’ha richiamata. Non è ammessa sugli emendamenti la pregiudiziale, salvo che gli emendamenti non ripropongano questioni che l’Assemblea ha già respinto in sede di ordine del giorno.

È vero che vi è un altro articolo – il 94 – il quale dà facoltà alla Presidenza di non accettare quegli emendamenti i quali appaiano del tutto estranei all’oggetto in discussione; ma io non credo che gli emendamenti presentati dagli onorevoli Russo Perez, Colitto e Crispo, siano del tutto estranei alla materia in discussione.

Se ho ben seguito la discussione generale, si è nel suo corso molto parlato di questo punto, se il fascismo debba essere definito nei suoi elementi costitutivi ideologici e di azione pratica, o se si possa considerare invece il fascismo già definito col semplice impiego delle parole «partito fascista». E questa questione si è posta anche in seno alla Commissione.

La Commissione ha, infatti, modificato il testo del Governo, proprio perché ha ritenuto che occorresse indicare con elementi particolari o caratteristici il fascismo ed i movimenti fascisti. Da questo punto di vista, gli emendamenti che sono stati presentati possono essere interpretati, nel senso che i loro presentatori facciano parte di quella corrente che ritiene si debba indicare il fascismo, non col semplice termine fascismo, ma con l’indicazione di quegli elementi politici, ideologici e di azione, dai quali il fascismo è caratterizzato.

Poiché è necessario e consigliabile che la norma dell’articolo 94 sia applicata con molta cautela, mi pare che ciò esiga che questi emendamenti restino di fronte all’Assemblea, la quale, votandoli, darà insieme e un giudizio di merito e un giudizio di carattere formale; perché è chiaro che se l’Assemblea intende, nella sua maggioranza, approvare una legge la quale argini il pericolo e la minaccia del fascismo, non potrà accettare emendamenti i quali lascino indefinita l’identificazione dell’oggetto contro il quale la legge stessa è diretta.

Vorrei, poi, far presente un’ultima considerazione, e cioè che parte integrante della legge è il titolo. In generale ho l’impressione che i colleghi se ne dimentichino e che pensino che ad una legge si possa porre qualunque titolo. No: il titolo fa parte integrante della legge, e quando si provvede alla votazione a scrutinio segreto, si vota sul testo della legge e sul titolo della legge. E pertanto gli emendamenti, che se accettati obbligherebbero a mutare il titolo della legge, evidentemente devono essere considerati contrari alle finalità che i redattori del progetto si proponevano, come fuori dal quadro del progetto.

Il disegno di legge ha questo titolo: «Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione delll’istituto monarchico»; ma per questo primo articolo è evidente che il titolo che vale è: «Norme per la repressione dell’attività fascista».

Fatte queste considerazioni, credo di poter concludere sul quesito posto dall’onorevole Laconi, che senza dubbio fra gli emendamenti proposti da alcuni colleghi e il testo della legge vi è un contrasto notevole; ma nulla vieta che si presentino emendamenti, i quali mutino in aspetti molto importanti i disegni di legge presentati. Altrimenti gli emendamenti dovrebbero ridursi soltanto alla forma.

Nel corso della discussione sulla Costituzione abbiamo molte volte avuto dinanzi a noi emendamenti che, accettati, hanno addirittura capovolto il contenuto del progetto.

Per queste ragioni credo di dover lasciare all’Assemblea di decidere, in sede di votazione degli emendamenti specifici, se questi di cui parliamo siano consentanei, o non con lo scopo preciso che questo disegno di legge si è proposto.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Propongo che il titolo del disegno di legge: «Norme per la repressione dell’attività fascista» sia sostituito con il seguente: «Norme per la repressione di attività a tipo fascista». (Commenti).

Questa dizione è proprio quella che risponde in pieno allo scopo della legge. Per la seconda parte propongo la seguente formula: «e dell’attività diretta alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico».

BETTIOL, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL, Relatore. Onorevoli colleghi, nel giudicare gli emendamenti presentati da vari colleghi, io mi devo richiamare anzitutto a quello che è stato lo spirito informatore che ha determinato la presentazione del disegno di legge da parte del Governo, e a quello che è stato lo spirito informatore, chiaramente delineatosi dopo lunghe sedute in seno alla Commissione, in base al quale è stato elaborato il testo sul quale oggi noi discutiamo. Con questa legge si vuole colpire specificatamente quella forma politica totalitaria che ha avuto una chiara determinazione ed una chiara precisazione di significato nel corso di venti anni in Italia, e la costituzione di movimenti che si ispirino a quella ideologia e che ricopiano i momenti caratteristici dell’agire sul piano politico che quella ideologia presentava. Si tratta quindi di una legge che intende colpire la ricostituzione del partito fascista, quale esso storicamente si è determinato, e la costituzione di movimenti di carattere nettamente neofascista.

Perciò la Commissione non può accettare gli emendamenti i quali cercano di fare in modo che la legge come tale possa estendersi fino a colpire ogni e qualsiasi forma di attività politica che possa essere pericolosa per l’ordine politico, civile e democratico. Si intende – ripeto – colpire esclusivamente il fascismo e il neofascismo. E pertanto la Commissione non può accettare (pur apprezzandone quello che può essere lo spirito informatore, a titolo personale) l’emendamento dell’onorevole Crispo. Non lo può accettare, perché anzitutto con l’emendamento dell’onorevole Crispo si viene ad amalgamare quella che è l’attività fascista e quella che è l’attività monarchica. La Commissione è arrivata a sdoppiare la dizione dell’articolo primo del progetto governativo, tenendo presente che, dal punto di vista dei beni giuridici che questi reati vengono a colpire, bisogna giuridicamente tener distinte le due ipotesi delittuose. In secondo luogo, con l’emendamento dell’onorevole Crispo, noi potremmo scivolare facilmente in campo di partiti che non sono fascisti.

Poi viene a mancare (malgrado che l’onorevole Crispo abbia detto il contrario) una precisazione delle caratteristiche concrete dell’attività fascista, cioè il carattere militare o paramilitare dell’organizzazione, che non va intesa a tipo caserma perché nessun partito si organizza a tipo caserma, ma va intesa in senso lato, come attività di squadre, di gruppi, di individui organizzati fra loro e che cerchino violentemente di sovvertire l’ordine democratico e l’ordine costituzionale.

Quindi il primo comma dell’emendamento presentato dall’onorevole Crispo, come anche l’emendamento presentato dall’onorevole Russo Perez, e l’emendamento presentato dall’onorevole Colitto, non vengono accettati dalla Commissione.

Però nell’emendamento dell’onorevole Crispo c’è un capoverso – il secondo comma – che dice: «Chiunque vi partecipa è punito con la reclusione fino a tre anni». Nel testo della Commissione è detto: «chiunque vi aderisce». Noi saremmo disposti ad accettare questo cambio di parola, sostituendo «vi partecipa» alla dizione «vi aderisce».

E così aderisco a quanto ha detto in sostanza l’onorevole Coppa, perché il termine «aderisce» è un termine troppo lato e spesso pericoloso. Io mi richiamo a tutte le discussioni sorte nel campo della legge sull’epurazione a proposito dell’adesione dell’epurando al partito fascista o fascista repubblichino. Che cosa significa aderire? Si può intendere in un senso lato, per cui può rientrare nell’adesione ad ogni manifestazione, anche puramente verbale, o si può intendere in senso ristretto.

Quindi, credo sia meglio specificare che si tratta di partecipazione, nel senso che si tratta di partecipazione attiva, quindi anche di iscrizione al partito, e non solo di partecipazione platonica. Adesione, dunque, concreta all’organizzazione fascista o neo-fascista.

Quindi accettiamo queste parole: «vi partecipa» proposte dall’onorevole Crispo.

Per quanto riguarda la soppressione dell’inciso: «rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione», emendamento presentato tanto dall’onorevole Colitto quanto dagli onorevoli Carpano ed altri, mi dichiaro, a nome della Commissione, contrario alla eliminazione di questo inciso per questo particolare motivo: io ho ascoltato con molto interesse il discorso dell’onorevole Carpano, ma l’onorevole Carpano mi deve consentire che io dissenta da lui, perché siamo di fronte a un reato di pericolo e non di fronte ad un reato di danno, ed appunto quando ci troviamo di fronte a un reato di pericolo tecnicamente è necessario specificare il bene giuridico verso il quale si polarizza l’attività del delinquente.

Non è dall’affermazione dell’imputato che il giudice giudica; è il giudice che giudica se esiste o no questo pericolo dopo di aver accertati gli elementi costitutivi del reato. Quindi la Commissione non ritiene di dovere eliminare l’ultimo inciso. Invece, aderisco a quanto propone l’onorevole Carpano per quanto riguarda la eliminazione della parola «metodi», perché la parola «metodi» è un doppione della parola «mezzi» già specificata prima e viene a suonare male, e a costituire un pleonasmo giuridico che può dar luogo a qualche difficoltà di carattere interpretativo.

Quanto a quella «o» o a quella «e» la Commissione qui è divisa. Alcuni ritengono, credo la maggioranza (tre contro due), che si debba parlare di «o», altri, nei quali sono compreso io, ritengono che si debba parlare di «e», cioè che questi momenti debbono essere tutti presenti, perché in concreto possa sussistere questo reato e possa trovare applicazione la sanzione penale.

Se dovessimo accettare la paroletta «o» verremmo in sostanza a determinare un concorso di norme per lo stesso fatto, perché per l’esaltazione, per l’uso della forza, c’è già l’articolo 5-bis, dove è detto che è punita l’esaltazione pubblica delle ideologie proprie del fascismo e l’uso della forza, l’uso della violenza come tale è ideologia fascista. Quindi io personalmente, pur avvertendo che alcuni membri della Commissione sono contrarî, ritengo di insistere sulla paroletta «e» e di escludere l’emendamento che tende a sostituire la paroletta «o».

A proposito dell’emendamento Zanardi, io posso anche condividere quello che è il principio informatore, però avverto che la confisca dei beni non è tecnicamente una pena; era una pena in tempi molto remoti, in tempi medioevali, in epoca arcaica; può essere un provvedimento di polizia fiscale da includersi in altre leggi particolari, non già in una legge penale, sia pure speciale come questa. Quanto alla proposta soppressiva dell’onorevole Coppa, sono contrario. Sono venuto incontro, in parte, a quanto l’onorevole Coppa ha detto, nel senso che aderisco all’emendamento dell’onorevole Crispo di sostituire alla parola «aderisce» la parola «partecipa».

CALDERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDERA. Io non vorrei che la dizione: «vi partecipa» avesse esclusivamente il significato di una attività personale, mentre sarebbe più comprensiva l’altra: «vi aderisce». Comunque non è del tutto idonea la parola «aderisce» e sono d’accordo sulla parola «partecipa», purché si aggiunga: «in qualsiasi modo e con qualsiasi forma», giacché la partecipazione potrebbe essere intesa come apporto personale, e potrebbe eventualmente essere escluso il finanziatore di questa partecipazione. Questo è il mio pensiero.

PRESIDENTE. Onorevole Caldera, lei sta proponendo un nuovo emendamento.

CALDERA. Lo propongo in seguito alla accettazione del Relatore del termine «partecipa».

Aderisco al testo del Governo e, in subordine, a quello dell’onorevole Crispo, purché si aggiunga «in qualsiasi modo».

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Per quanto riguarda l’emendamento presentato dall’onorevole Caldera, devo dire che, quando noi parliamo di partecipazione, non intendiamo la partecipazione delittuosa, che troverà applicazione nelle norme del Codice penale, ma una forma di partecipazione, di adesione concreta al partito fascista o neofascista, che si deve estrinsecare concretamente con una determinata attività. Non una pura e semplice adesione ideologica, simbolica. Quello che conta è l’adesione, l’avere sottoscritto il modulo, l’avere partecipato a qualche riunione, l’avere preso la parola, l’avere finanziato, l’avere concretamente esplicato una attività. Quindi io sono contrario a specificare questo, perché potrebbe dar luogo a pericoli.

PRESIDENTE. Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il pensiero del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Per non ripetere quanto si è detto durante la discussione generale, io sarò brevissimo. Io aderisco a quanto ha già detto con egregia parola e con senso giuridico squisito l’onorevole Bettiol. Penso che non possano essere accettati gli emendamenti proposti dai nostri colleghi, appunto perché noi ci proponiamo con questo disegno di legge di agire contro una determinata attività, così come nel titolo del nostro testo è detto, e come è stato confermato dalla Commissione. Gli emendamenti tendono ad estendere questa possibilità di azione verso altri movimenti e verso altri partiti. Ora io non ho bisogno di ricordare all’Assemblea che ci sono già gli articoli del Codice penale, che reprimono altri movimenti. Ossia, l’articolo 270: contro le associazioni sovversive; articolo 271: contro associazioni antinazionali. Quindi non vi dovreste preoccupare eccessivamente di altri movimenti. È contro il movimento fascista, che certamente non poteva essere consideralo in questo Codice penale, che si forma una lacuna. (Interruzione a destra).

Se voi domandaste l’applicazione del Codice penale, avreste i mezzi in atto per reprimere qualunque movimento che volesse sostituirsi all’ordinamento attuale dello Stato.

Quello di cui bisogna preoccuparsi in questo momento e di cui si preoccupa l’attuale disegno di legge, è quella determinata attività che non si ritrova nel Codice repressa e che storicamente ha portato danni luttuosi al nostro Paese. In questi termini è l’attuale disegno di legge. Quindi, quegli emendamenti non si possono accettare.

Per quel che riguarda l’emendamento dell’onorevole Carpano, effettivamente mi pare che saremmo quasi d’accordo con la Commissione. Non sono d’accordo di modificare la congiuntiva «e» nella disgiuntiva «o», perché verremmo a travisare tutti gli elementi costitutivi di questo reato nel modo come la Commissione ha cercato di precisarli. Perché nella formula presentata originariamente dal Governo, «del disciolto partito fascista», si presentava quella incertezza che dovrebbe dare forma di certezza al giudice perché possa applicare la legge. Ora, lo sforzo della Commissione è stato quello di precisare i caratteri fondamentali di questo reato. Mi pare che li abbia precisati in maniera egregia, perché ha detto che elementi costitutivi, sono: la forma organizzativa, che non è come tutti gli altri partiti, ma si inquadra in altre forme che possono sembrare militari o para-militari.

L’altro elemento è la violenza o l’esaltazione della violenza. Questi elementi non si possono confondere mettendo «o» al posto di «e»: basta uno degli elementi per costituire reato.

Poi vi è quello della finalità. La finalità, come ha detto l’onorevole Bettiol, è necessaria in questo tipo di reato perché non è un reato di danno come l’omicidio. Dobbiamo guardare alla finalità, per stabilire il dolo che è fondamento dell’incriminazione del reato stesso. Bisogna guardare lo scopo diretto all’attentato delle libertà democratiche, come è precisato nell’articolo 270, quando si vuol restaurare una dittatura di classe.

Bisogna dire lo scopo, perché se manca, manca la finalità diretta in cui il reato va a determinarsi. Però, sono d’accordo con l’onorevole Carpano, che è opportuno togliere la parola «metodi», perché il metodo è già precisato nell’elemento costitutivo del reato. È la «finalità» che bisogna mantenere. Siccome come gerundio non corrisponde bene, io propongo alla Commissione di togliere le parole «o metodi propri del disciolto partito fascista», e dire: «che persegua finalità tali da costituire un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione». Con queste parole aggiunte dopo «finalità» potremo aggiungere gli elementi costitutivi sopprimendo «metodi propri del disciolto partito fascista».

È inutile ripetere, infatti, perché si avrebbe una superfetazione.

Sono d’accordo con il Relatore per sostituire la parola «aderisce» con «partecipa», e quindi non accetto gli emendamenti proposti a quest’ultimo comma, che bisogna mantenere, perché rappresenta una forma tipica di reato diversa di quella del «promuovere»; «partecipare» è forma più completa e precisa, con la quale il giudice troverà facilmente i limiti di applicazione della legge. Preoccupiamoci di questo: le formule incerte possono lasciare perplesso il giudice, in modo che l’applicazione della legge non potrebbe esser fatta.

Con questi emendamenti spero che l’Assemblea possa arrivare a superare le difficoltà ed andare avanti nell’approvazione degli articoli.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Vorrei fosse risolto un quesito, suggeritomi dall’ultima fase della discussione, circa la sostituzione della formula «partecipa» alla formula «aderisce».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha detto che bisognerebbe partecipare in modo più concreto. Io confesso che qui le idee mi si confondono.

Cosa vuol dire «partecipa»? Io interpreto, ed in questo senso accetto la formula proposta dall’onorevole Crispo, che «partecipare» significhi entrare a far parte. Non riuscirei a concepire che il semplice fatto di entrare a far parte di una organizzazione, che è messa fuori legge, non costituisca reato. Cosa vuol dire «partecipare in modo più concreto»? No: chiunque entri a far parte di questo partito fascista è punito in base alla pena stabilita.

Vorrei che questo punto fosse chiarito e precisato, affinché non sorgano equivoci pericolosi e da respingere.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io dovrei dire due parole circa la disgiuntiva «o» e la congiuntiva «e» per quella parte della Commissione che preferisce la disgiuntiva. Dichiaro che voterò l’emendamento Carpano Maglioli, in quanto sostituisce l’«o» all’«e» nel primo comma dell’articolo 1, per queste ragioni. Si tratta, in sostanza, di vedere se i due elementi costitutivi del reato debbono cumularsi o debbono essere considerati disgiuntamente. Mi pare evidente che debbono essere considerati disgiuntamente. Infatti l’articolo dice: «Chiunque promuove la ricostituzione del partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare, ecc.». A questo punto, se da parte di alcuno si ricostituisce il partito fascista con organizzazione militare o paramilitare, il reato è già perfetto. Se proseguendo nel testo dell’articolo mettiamo la congiuntiva «e» invece della disgiuntiva «o», rendiamo necessario per la commissione del reato perfetto che un secondo elemento si cumuli col primo, e cioè «l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta», per cui se alcuno ricostituisce il partito fascista con organizzazioni militari o paramilitari, ma non mette in opera altresì l’esaltazione della violenza o non usa mezzi violenti di lotta, compie un’fatto che non sarebbe punibile. Questa è la questione, molto semplice in verità: e perciò noi insistiamo perché si adotti l’emendamento «o», altrimenti un fatto, che per noi rappresenta tipicamente un reato perfetto, sfuggirebbe alla sanzione punitiva. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’emendamento proposto dall’onorevole Russo Perez, che è il più lontano di tutti dal testo della Commissione, dovrà essere posto in votazione per primo. Lo rileggo:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Chiunque promuova la costituzione di partiti, associazioni o movimenti che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’uso della violenza fisica o morale, rappresentino un pericolo per le libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da due a venti anni».

È stata richiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Castiglia, Perrone Capano, Russo Perez, Condorelli, Miccolis, Lucifero, Benedettini, La Gravinese Pasquale, Perugi, Abozzi, Quintieri Quinto, Puoti, De Falco, Colitto, Penna, Ottavia, Caroleo, Massa, Martino Gaetano, Marinaro, Venditti, Colonna.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento dell’onorevole Russo Perez.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti                               366

Votanti                                365

Astenuto                             1

Maggioranza           183

Voti favorevoli        88

Voti contrari                        277

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberganti – Aldisio – Amadei – Amendola – Arata – Arcangeli – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basso – Bazzoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernardi – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foa – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Pat – Patricolo – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggieri Luigi – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spano – Spataro Stampacchia – Stella.

Targetti – Taviani – Tega – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Varvaro – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Volpe.

Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Arcaini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Vischioni.

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle ore 10.

La seduta termina alle 13.40.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Merlin Umberto

Mannironi

Crispo

Grassi

Adonnino

Bertini

Mastino Gesumino

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Romano

Colitto

Mastino Pietro

Persico

Ghidini

Laconi

Costa

Nobili Tito Oro

De Palma

Perrone Capano

Caroleo

Conti

Targetti

Abozzi

Caccuri

Damiani

Rossi Paolo

Lussu

Moro

Interrogazione urgente (Svolgimento):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Sansone

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Sono stati presentati altri ordini del giorno, che debbono ancora essere svolti, Tuttavia, non so se sia opportuno di procedere subito allo svolgimento di tutti, in quanto alcuni di essi pongono questioni che si ritrovano in articoli, nel cui merito dobbiamo ancora entrare.

Ritengo che sia opportuno limitarsi ora agli ordini del giorno che hanno carattere generale; quelli nei quali vengono trattate questioni specifiche credo sia bene riservarli (sia per quanto riguarda il loro svolgimento, come per la votazione) al momento in cui affronteremo gli articoli nei quali dette questioni vengono esaminate.

Debbo osservare inoltre che molti di questi ordini del giorno non mi sembrano pertinenti a problemi costituzionali e precisamente alla determinazione costituzionale della struttura e del funzionamento della Magistratura.

Se per connessione si intende il fatto che in questi ordini del giorno si pongono questioni che toccano il problema del funzionamento e della struttura di determinati organi giurisdizionali, la connessione c’è, ma essa deve essere valutata in relazione al quesito se si tratti o no di questioni costituzionali. Io penso che molti e forse tutti i colleghi dell’Assemblea sono giunti di già a questa convinzione: che una parte di questi ordini del giorno troverà ottimamente sede allorché la futura Camera legislativa discuterà dell’ordinamento e della struttura giudiziaria, ma che in questo momento essi non dicono nulla che interessi l’Assemblea. Ve ne è poi qualcuno di questi ordini del giorno che si riferisce addirittura ad aspetti così particolari del funzionamento della Magistratura che forse non potrebbero essere esaminati neanche quando si discutesse all’Assemblea legislativa del riordinamento generale della Magistratura ma soltanto allorché vi fossero poste questioni del tutto particolari.

Io voglio comunque decidere fin da questo momento se sia opportuno porre in discussione tutti questi ordi.ni del giorno e quindi dare la parola ai presentatori: è una questione che verrà risolta nel momento in cui di questi ordini del giorno daremo lettura. Ma io vorrei che i colleghi che li hanno presentati accedessero alle proposte che farò o alle decisioni che mi riservo di prendere in proposito, mosso unicamente dalla preoccupazione non di evitare che si dica ciò che si deve dire, ma che si dicano cose che in questo momento non hanno ragione di essere dette e che potrebbero essere più utilmente dette in altra sede. Dopo queste considerazioni, l’onorevole Merlin Umberto ha facoltà di svolgere il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente riafferma:

che base e fondamento di un regime democratico deve essere la autonomia e la indipendenza assoluta della Magistratura, la quale non deve dipendere da alcun altro potere dello Stato;

che, per assicurare tale indipendenza, bisogna vietare la istituzione di giudici sia speciali, sia straordinari, che il più spesso nascondono organi che il potere esecutivo si crea per giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti di prepotenza, violatori delle libertà fondamentali del cittadino;

che la eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sarebbe cosa vana senza la unicità della giurisdizione civile, penale ed amministrativa e che, in particolare, va mantenuta la Cassazione unica, come supremo giudice di diritto, e va evitato qualsiasi trasferimento delle sue funzioni ad altro organo con conseguente menomazione dei diritti dei cittadini;

che, per assicurare la indipendenza dei magistrati, occorre dare adesso la libertà dal bisogno;

che il reclutamento dei magistrati deve essere fatto solo per concorso o per titoli, con divieto ai magistrati di appartenere a partiti politici o ad associazioni segrete;

che la giuria popolare va abolita avendo fatto pessima prova in tutte le materie che vennero sottoposte al suo giudizio;

che, infine, ad accentuare il carattere giurisdizionale della Corte costituzionale, a coordinare l’attività delle due Supreme Corti e ad evitare la possibilità di conflitti, è giusto che la Corte costituzionale sia presieduta dal Primo Presidente della Cassazione.

«Accettando i principî affermati in queste premesse,

delibera

1°) che nella nuova Costituzione sia garantita alla Magistratura piena autonomia e perfetta indipendenza;

2°) che siano aboliti i giudici speciali o straordinari e sia affermato il principio della unità della giurisdizione civile, penale, amministrativa;

3°) che conseguentemente sia mantenuta la Cassazione Unica per tutte le materie civili e penali;

4°) che sia rimessa all’ordinamento giudiziario la questione della giuria popolare;

5°) che sia data ai magistrati una posizione economica adeguata alle loro funzioni, alla loro dignità ed al necessario prestigio».

MERLIN UMBERTO. Io accolgo subito il desiderio espresso dal nostro illustre Presidente, e mi limiterò a svolgere i punti più importanti del mio ordine del giorno. Dico anzi che un mio intervento, dopo tanti discorsi di autorevoli colleghi, potrebbe anche essere o sembrare superfluo. Ho un’unica scusa, per la quale mi permetto di rivolgermi ai colleghi in questo momento e alla chiusura della discussione generale. La scusa è questa: che, per quanto per pochi mesi, ho vissuto al Ministero di giustizia; ho lavorato in quel dicastero, ho studiato il grave problema della Magistratura, ho conosciuto da vicino anche i desideri dei magistrati. E quindi mi sembra quasi di rendere un doveroso omaggio a questi benemeriti servitori dello Stato, esprimendo il mio parere su questo delicato ed importante argomento.

Il mio ordine del giorno è abbastanza complesso, e riguarda soprattutto quella che è la funzione della Magistratura, quelli che sono i doveri e i diritti di quello che venne definito il terzo potere dello Stato.

Nella Carta statutaria noi dovevamo occuparci di questo problema, non solo perché se ne occupano tutte le carte statutarie, ma perché è chiaro che se noi della Costituzione vogliamo creare i muri maestri e il tetto, dobbiamo anche ben fissarne le fondamenta; e dobbiamo necessariamente regolare e disciplinare gli organi che saranno incaricati domani di applicare e difendere, se occorra, contro tutto e contro tutti, quei diritti che la nuova Carta statutaria assicura a tutti i cittadini.

Io non do una grande importanza alla distinzione del nome «ordine» o «potere»; a me basta che rimanga ferma la libertà e la indipendenza della «funzione». Ora è quasi superfluo ch’io ricordi ai colleghi che noi abbiamo votato già tutti gli articoli, che assicurano le libertà fondamentali dei cittadini: la libertà personale, la libertà di stampa, la libertà di organizzazione, la libertà di professare la propria fede religiosa e di diffonderla, la libertà di organizzarsi nei partiti che ciascuno creda di scegliere, concorrendo con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Questo complesso di diritti forma la «democrazia costituzionale». Avremmo perduto perfettamente del tempo, e avremmo scritto degli articoli che rimarrebbero lettera morta, se noi non assicurassimo anche la libertà e l’indipendenza all’organo che sarà chiamato a difendere questi diritti contro tutti. Sempre, nella storia di ogni popolo, in qualunque momento, la democrazia ha potuto resistere, vivere e prosperare, se ha saputo contare su una Magistratura libera e indipendente; e la democrazia, invece, è crollata come un ramo secco, dove la Magistratura è stata soltanto serva del potere esecutivo.

La Magistratura è la garanzia effettiva della libertà e dei diritti dei cittadini.

Come noi dobbiamo assicurare questa indipendenza alla Magistratura e in che modo? Ci si è domandato: contro chi? Forse contro lo Stato? No, mai contro lo Stato, ma contro uno dei poteri dello Stato, contro quello che più spesso è tratto, per mala volontà di uomini o per lo strapotere di un partito, ad uscire dai limiti della sua sfera d’azione. Troppo spesso è accaduto nei secoli che «vicino a un principe che viola la legge è rarissimo che non vi sia un giurista, il quale assicuri di non esservi nulla di più legittimo, dimostrando sapientemente che la violenza è giusta», perché non si senta irrefrenabile l’aspirazione di formare dei magistrati superiori per moralità, cultura e perfetta indipendenza di giudizio. Onde, se vogliamo assicurare la libertà ai cittadini, bisogna che la Magistratura sia assolutamente libera e indipendente; e l’articolo 97 pare che non contraddica a questo principio quando dice che «la Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente».

Qualche riserva è stata fatta da qualche banco, ma io credo e spero (lo ha detto qui con parola più autorevole della mia un uomo da tutti noi stimato per la sua indipendenza, per il suo carattere, per la sua fede: l’onorevole Conti, che l’Assemblea possa votare all’unanimità questo articolo che è uno dei capisaldi del nuovo Statuto.

Non c’è bisogno che io vada divagando nel vasto campo delle discipline politiche per riaffermare cose che costituiscono patrimonio e conoscenza comune.

Tutti sanno che la tripartizione dei poteri dello Stato non è una creazione artificiosa né dei cultori di diritto pubblico, né della filosofia o delle scienze politiche.

Essa è una realtà, risponde alla diversità delle funzioni, che possono anche confondersi nella stessa persona, ma che esistono.

Già in Aristotele si parla di potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e Montesquieu ha ricalcato le vie di Marsilio da Padova e di Machiavelli.

Ora, fin dalle più antiche costituzioni – io alludo per esempio a quella degli Stati Uniti d’America, che ha preceduto anche la rivoluzione francese – si scriveva che «la separazione dei poteri è la prima condizione di un governo libero».

Alcuni dicono: «Ma volete mettere un potere contro l’altro? Volete offendere la sovranità dello Stato che deve essere unica?».

Rispondo: il principio della separazione dei poteri non rinnega l’altro della sovranità una ed indivisibile, ma postula invece una sana ed utile collaborazione. Ciascun potere nei suoi limiti e nei suoi confini. Questo è lo Stato democratico ed è il contrapposto dello Stato totalitario. Come lo Stato democratico autolimita i suoi poteri nei riguardi della famiglia e dell’individuo, così esso fissa i limiti dell’esecutivo, del legislativo e del giudiziario. E ciascuno di questi tre poteri, osservando le sfere della sua competenza, è di necessità portato alla sana collaborazione, con che viene rafforzata e non indebolita la unità della sovranità dello Stato.

Io per primo riconosco ed ammetto che la teoria fondamentale del Montesquieu abbia nel corso del tempo subito anche delle trasformazioni e delle modificazioni e che, pur avendo avuto sempre (come insegna il nostro illustre collega Orlando) una notevole influenza nel campo di queste discipline, tuttavia abbia anche subito delle attenuazioni. Ma è certo, onorevoli colleghi, che se noi non diciamo francamente di essere tutti d’accordo su questo punto, noi creiamo dei dubbi, delle incertezze e delle confusioni a tutto danno della «democrazia» che vogliamo invece rafforzare e difendere.

Credetelo, io rispetto l’opinione contraria, rispetto anche i dubbi che possono essere stati sollevati; ma in questo campo non si può volere e disvolere. Non si può, per esempio, volere una indipendenza a metà ed ammettere, viceversa, un controllo per l’altra metà.

O la si vuole piena ed intera questa indipendenza, e la si riconosce come un dovere e un interesse dello Stato, o se no, un po’ alla volta, si riduce la libertà dei magistrati e si cade nell’arbitrio.

Parliamoci chiaro: che cosa si domanda ai magistrati? Si domanda forse ai magistrati di essere dei giudici «futuristi», dei giudici i quali applichino leggi che non sono state ancora approvate? Voi capite benissimo che questo sarebbe un pericolo gravissimo perché si sovvertirebbe tutto l’ordine giuridico dello Stato e si creerebbe l’abuso dove, viceversa, noi vogliamo la sicurezza del diritto di ciascuno.

Voi, quando dubitate dei magistrati, forse non li conoscete a sufficienza. Essi non sono né conservatori né retrivi. Sono, sì, conservatori in quanto, per forza di cose, applicando la legge che esiste, vogliono rispettare l’ordine giuridico costituito, ma non sono dei conservatori se voi e il Parlamento farete delle leggi progressiste, la riforma agraria, la riforma industriale; se faremo soprattutto delle leggi chiare, delle leggi ben fatte, delle leggi meditate e non improvvisate, delle leggi con linguaggio giuridico esatto e con terminologia precisa, i giudici osserveranno la legge e l’applicheranno in tutta la sua estensione! (Approvazioni).

Del resto, che paura avete della Magistratura? Badate che nel corso dei secoli mai si sono avuti colpi di Stato da parte dei magistrati! I colpi di Stato son venuti da ben altro potere e precisamente dal potere esecutivo. La Magistratura qualche volta ha piegato anche la schiena, ma io vorrei dire a questo proposito, ripetendo quello che ha detto l’onorevole Conti in quest’Aula, che, se noi proprio con animo sereno vogliamo giudicare quella che è stata la Magistratura anche durante il regime fascista, non potremmo dire onestamente che essa sia stata semplicemente composta di uomini schiavi. Se noi antifascisti trovavamo conforto nella nostra pena, se noi avevamo qualche funzionario dello Stato al quale confidare le nostre tribolazioni e dal quale avere qualche aiuto, se soprattutto nel nostro esercizio professionale noi andiamo ricordando quello che hanno fatto i magistrati, noi dobbiamo riconoscere che c’era sì da parte del gerarca avvocato l’illecita intromissione, con la quale egli spesso pretendeva delle sentenze ingiuste, ma, fatta qualche rara eccezione, i magistrati non ne hanno scritto delle sentenze ingiuste! E il cittadino, anche in quel periodo di tempo, ha potuto affidare ai magistrati il suo patrimonio ed il suo onore senza avere il pericolo che gli si negasse giustizia! E gli avvocati anche antifascisti hanno potuto liberamente parlare nelle aule dei tribunali.

Ora pare – ripeto – che la Costituzione a questi principî si ispiri; ma una subordinazione almeno parziale della Magistratura al potere esecutivo e legislativo io la trovo in questi quattro punti: istituisce giudici speciali in ogni materia, meno che in quella penale; stabilisce che metà dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, e fra questi anche un Vicepresidente, che sposta la maggioranza a danno dei magistrati, siano eletti dalle Assemblee legislative; dispone in linea generale e limita a proprio beneplacito la tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi verso gli atti della pubblica amministrazione; sospende l’esecuzione d’una Sentenza irrevocabile.

Ora, o colleghi, per non cadere in questi inconvenienti, bisogna correggere qualche articolo. La Costituzione, com’è proposta, merita ad esempio correzione all’articolo 97 che riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura. Questo Consiglio è presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto da due Vicepresidenti: uno è il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il secondo è nominato dall’Assemblea Nazionale; poi vengono i membri eletti per metà dai magistrati e per metà ancora dall’Assemblea Nazionale.

Ora basta tirare le somme per vedere che in questa maniera noi approveremmo non il Consiglio della Magistratura, ma un altro Consiglio, perché in quel Consiglio i magistrati sarebbero in minoranza. L’Assemblea Nazionale, che è un’Assemblea politica, verrebbe a disporre del Consiglio Superiore della Magistratura. E qui io voglio ricordare una cosa: siccome tutto migliora, noi dobbiamo, prima di accingerci a modificare quello che è lo stato di fatto e di diritto attuale, tenere conto delle conquiste che la classe dei magistrati ha ottenuto; noi non possiamo dimenticare che oggi è in vigore una legge, quella del 31 maggio 1946, n. 511, che porta la firma di De Gasperi, porta la firma di Corbino, ma porta anche la firma del Guardasigilli Togliatti.

Ora, se vi è stata una legge democratica, una legge la quale sia venuta incontro alle aspirazioni dei magistrati nel modo migliore, è questa e io ne faccio lode precisamente a colui col cui nome questa legge si appella, all’onorevole Togliatti perché, evidentemente, come Guardasigilli fu lui che l’ha preparata, l’ha fatta approvare e l’ha fatta diventare legge dello Stato. Con questa legge sono istituiti i Consigli giudiziari in ogni Corte d’appello, è istituito il Consiglio Superiore della Magistratura, tutti eletti dai magistrati. In ogni Corte d’appello si riuniscono i magistrati per la nomina del Consiglio distrettuale e per il Consiglio Superiore votano tutti i magistrati d’Italia.

Ora, è vero che voi mi potete rispondere che questo Consiglio Superiore della Magistratura in atto non ha tutti i poteri che noi, con l’articolo 97, gli daremmo. Ma intanto, o signori, c’è questo: tutti i giudizi disciplinari contro i magistrati sono decisi da tribunali composti di magistrati: l’ammonimento, la censura, la perdita di anzianità, la rimozione e destituzione sono decisi da tribunali composti esclusivamente di magistrati. Sono provvedimenti delicatissimi che non vengono affidati ad estranei, ma a magistrati. Ma anche sulle promozioni, le assegnazioni e i trasferimenti è il Consiglio Superiore che dà il suo parere e voi ne comprendete tutta la importanza.

Voi capite benissimo che non c’è Ministro e non c’è stato Ministro dal momento della nostra liberazione ad oggi che non abbia tenuto in massimo conto questo parere. Nessuno ha promosso un magistrato trascurando il parere del Consiglio Superiore. Ed allora, volete oggi dare meno di quanto i magistrati abbiano già ottenuto?

Allora ecco la proposta che io faccio: io tengo fermo che questo Consiglio Superiore della Magistratura sia presieduto dal Presidente della Repubblica. È una innovazione identica a quella della Costituzione francese, articolo 83.

Io spero e confido che i magistrati accetteranno questo loro capo, sentiranno anzi l’onore, l’orgoglio che il loro massimo Consiglio sia presieduto proprio dal Capo dello Stato.

Io domando semplicemente che sia tolto il secondo Vicepresidente che non ha ragione di essere; sia lasciato un solo Vicepresidente e cioè il Primo Presidente della Corte Suprema e sia data la maggioranza, leggera, se volete, ma maggioranza, ai magistrati e che gli altri membri siano eletti dall’Assemblea Nazionale sia pure, ma siano eletti in certe categorie, ex magistrati, avvocati, non che abbiano sospeso la professione, ma che la abbiano abbandonata del tutto e che si siano fatti cancellare dall’albo degli avvocati, perché solo così questi uomini potranno compiere con piena indipendenza il loro dovere, ed infine professori di università. Ecco la collaborazione in atto. Tra questi uomini eccelsi per studio, per ingegno, per capacità, sorgerà piena e facile la più cordiale fusione di intenti e di opere.

È una proposta semplicissima, ma è una proposta che viene incontro ai desideri dei magistrati.

Io non so anche qui, perché noi, che cerchiamo nelle nostre leggi di accontentare, se è possibile, tutti i legittimi interessi della classe cui il provvedimento si riferisce, non dovremmo tener conto dei desideri dei magistrati e venire incontro in questa maniera ai voti che essi hanno espressi anche in Assemblee recenti, tenute qui a Roma. Diamo dunque soddisfazione a queste domande che, a parer mio, sono legittime.

Oltre a questo, quattro punti io intendo toccare. Io domando: 1°) che non possano essere istituiti giudici speciali o straordinari per nessuna materia; 2°) che la Corte di Cassazione sia unica nello Stato ed abbia sede in Roma e che essa abbia il compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge da parte degli organi giurisdizionali; 3°) che le questioni della giuria popolare siano rimesse alla legge sull’ordinamento giudiziario; 4°) che la Corte Costituzionale sia presieduta dal Primo Presidente della Corte di Cassazione.

Brevissimamente su ciascun punto.

Sapete voi quanti sono in Italia i giudici speciali? Se voi andate in biblioteca e consultate il Caliendo, che oggi se non erro è Primo Presidente della Corte di Appello di Roma, voi trovate che i giudici speciali in Italia sono 300. Voi credete forse che io scherzi? Ebbene, vi prego di leggere quel volume e di consultarlo, e voi vedrete che non c’è stata mai una legge in Italia con cui si sia riformato questo o quello istituto, la quale legge o per ragioni tecniche, o per necessità, o per alleviare i magistrati dalle loro fatiche o per inserire esperti nel Collegio giudicante (ciò che ammetto anche io, ma che può essere fatto anche accettando il mio principiò) non abbia creato un giudice speciale. In questa maniera, evidentemente, si viene ad offendere l’indipendenza della Magistratura, perché è chiaro che non si rispetta un organo se gradualmente gli si sottraggono le sue naturali funzioni.

Posso ammettere la necessità di rispettare il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, ma nessun altro giudice speciale o straordinario deve ammettersi.

Io vi ricordo semplicemente questo: nel corso della storia di ogni popolo, la creazione del giudice speciale è stata sempre un atto di prepotenza del potere esecutivo, con cui questo potere ha cercato di giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti contro la libertà, ed è per questo che io prego la Camera di voler accogliere l’emendamento che io propongo e che serve a garantire ancor più le libertà fondamentali del cittadino.

Ho creduto opportuno di insistere sulla Corte di Cassazione unica. Su questo argomento ho letto un ordine del giorno firmato da autorevolissimi colleghi, i quali vogliono ristabilire le Corti di Cassazione territoriali. Mi inchino a quello che è stato il contributo giuridico degli illustri magistrati di Torino, di Firenze, di Napoli, di Palermo, soprattutto di Napoli, la cui Cassazione ha una tradizione giuridica eccelsa. Mi inchino, ma non si dica: noi siamo contro la Cassazione unica perché questa è stata creata dal regime fascista. Storicamente è vero, ma basta conoscere per esempio il pensiero di Ludovico Mortara, che ha preceduto il fascismo e che non è stato certo fascista, e di tutti i giuristi, che sono una vera coorte, che hanno insistito sulla necessità della Cassazione unica, per non dover tener conto di quella osservazione. In Italia esisteva la Cassazione penale unica fin dal 1889; non c’era ragione perché non vi fosse anche la Cassazione unica civile.

Anche se cronologicamente la Cassazione unica civile è stata istituita dal fascismo nel 1923, il fascismo ha raccolto quello che già era stato elaborato dai giuristi in epoca anteriore. Ma io vi porto la mia modesta esperienza, che è quella di un avvocato senza pretese, che ha cominciato la professione giovanissimo e l’ha incominciata con le cinque Cassazioni territoriali.

Ebbene, non c’era causa in cui io citassi la cassazione di Firenze, nella quale l’avversario non mi controbattesse citandomi la cassazione di Napoli o di Firenze o di Palermo. Voi mi direte che ciò si verifica anche con la Cassazione unica a Roma attraverso le varie sezioni. Ma io vi rispondo che ciò si verifica per lo meno in misura assai inferiore. Anzi si può dire che durante tutto il periodo in cui è durata la presidenza di D’Amelio, la Cassazione unica ha mantenuto una lodevole uniformità di pareri e di decisioni.

Questa uniformità è una utilità evidente, perché chi conosce le sottigliezze del diritto e chi soprattutto sa il pochissimo tempo che hanno i giudici, specialmente quelli di grado inferiore, per rendere le loro sentenze, capisce quanto valga per loro una direttiva costante della Corte regolatrice. La dottrina sia libera e si evolva in piena libertà, ma la Corte regolatrice sia quanto più è possibile costante per dare una guida sicura ai giudici inferiori.

Vi dirò ora molto brevemente della giuria. Anche qui, io reco la mia esperienza. Io sono contro la giuria popolare. Anche se io rispetto il parere di coloro i quali hanno manifestato un’opinione diversa, non posso non affermare che in Italia oggi non c’è più un giurista che sostenga la giuria popolare: sono tutti contrari ed anche coloro che sono favorevoli riconoscono tutte le manchevolezze dei giudici popolari. Difettano i requisiti dei giudici, le modalità di esercizio delle loro funzioni, la natura delle decisioni che ne promanano e soprattutto manca la saldezza della pietra angolare su cui dovrebbe poggiare il giudizio: e cioè una precisa e netta separazione del fatto dal diritto.

Non esiste questa distinzione tra fatto e diritto: è una finzione perfetta. Manca nei giurati la competenza, il senso critico, la freddezza d’animo. È viva in loro la passionalità, l’emotività, tanto che è facile persino che essi piangano; e quando il giurato piange è finita: l’imputato è assolto. (Ilarità a sinistra).

MAFFI. Che peccato!

MERLIN UMBERTO. È davvero un peccato, perché non si rende giustizia. E poi c’è la faccenda della scheda: la scheda del giurato che non ha capito niente, la scheda del giurato che non ha nemmeno saputo vergare un sì o un no, la scheda bianca, le scheda mal scritta o sgorbiata.

MANCINI. Ma, da che mondo è mondo, il dubbio è per il reo.

MERLIN UMBERTO. Per i reati che hanno un’importanza lievissima, ci può essere un primo giudizio, un secondo giudizio, la Cassazione: ma, per le Assise dove si decide della vita di un cittadino, non vi è alcuna possibilità di rimedio.

Ma poi senta, collega Mancini: io rispetto la sua opinione, ma sa lei il fascismo a chi ha principalmente dovuto il suo rafforzamento, per lo meno iniziale? Proprio alle Corti d’assise ed ai giudici popolari che hanno assolto tutti gli assassini fascisti ed hanno in questa maniera glorificato proprio coloro che hanno ucciso i suoi compagni di fede, ed anche i miei. (Commenti).

C’è qui infatti il collega Costa che può darmene fede. Nel mio Polesine 13 assassini fascisti a danno dei socialisti (Interruzioni) ed un altro assassinio a danno di un popolare. Ebbene, tutti gli imputati assolti dal giudici popolari.

MANCINI. Basile è stato assolto adesso.

MERLIN UMBERTO. Ed è stato assolto proprio da giudici popolari. Ed anche quando voi farete anche un reclutamento, il più severo possibile, arriverete allo stesso risultato, perché il giurato, comunque reclutato, non può essere un buon giudice.

Vi dico un ultimo argomento. Io sono favorevole evidentemente all’articolo che dice che i magistrati non possono partecipare a partiti politici o ad associazioni segrete. È inutile che ne dica le ragioni. Non capirei neanche che, soprattutto nei piccoli centri, un magistrato potesse, il giorno prima di un’udienza, battagliare alla sezione del partito cui appartiene, partecipare magari ad un comizio, discutere con quel calore che è tutto proprio degli italiani (pare che i nostri dissensi politici debbano manifestarsi sempre rumorosamente e che la politica sia palestra di odîi feroci). Ebbene, come si concepirebbe che quell’uomo stesso andasse il giorno dopo a sedere come giudice e giudicare un democristiano o socialista o liberale, cioè proprio color che aveva il giorno prima definito suoi acerrimi nemici? (Commenti). Non parliamo poi delle associazioni segrete. Io non credo e non voglio credere che in Italia siano risorte. Non ce ne sarebbe ragione, perché un regime libero non dà neanche il pretesto perché i cittadini debbano riunirsi in conventicole segrete; ma peggio che mai poi un magistrato potrebbe appartenere ad esse. Ed allora noi cadremmo in questa bella situazione: ai magistrati, divieto di appartenere a partiti e ad associazioni segrete, ma ai giurati del popolo, che sono quelli che decidono dei più gravi delitti, questo sarebbe consentito.

Un ultimo punto, e la mia esposizione è finita. Io domando nel mio ordine del giorno che sia assicurata ai magistrati una posizione economica adeguata al loro grado ed alla elevatezza delle loro funzioni. Non sono avvezzo alle adulazioni, ma sento il dovere di dire che i magistrati si sono conquistata in Italia tale una chiara fama di onestà e di correttezza, che riconoscerlo è un dovere. Si può dire che la vita dei magistrati si svolge in un quadro così modesto, con mezzi economici così palesemente limitati, che ogni malevolenza ed ogni alito di sospetto ne restano disarmati. Ma tutto ha un limite, e la condizione in cui vivono i magistrati è talmente inferiore alla dignità del loro ufficio ed al prestigio che devono godere, che esprimere alla Costituente un voto per ovviare a ciò, è un dovere. Nel mio breve passaggio nel Ministero di via Arenula ho studiato il progetto della istituzione di una Cassa nazionale dei magistrati, che del resto non era mio, ma era stato già preparato dal Ministro Togliatti e fatto proprio dal Ministro Gullo. Io qui non voglio tediare la Camera nel dire le ragioni per cui questo progetto non ha potuto essere attuato, ma dico che in quanto la nostra Carta costituzionale afferma o affermerà che i magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di grado, sganciata la Magistratura dal rimanente personale dello Stato, spero, confido, che sia possibile dare ad essi, con questo congegno o con un altro analogo, quella sistemazione economica che permetta di dire che noi abbiamo dato loro la massima delle libertà: la libertà dal bisogno.

Queste sono, onorevoli colleghi, le ragioni semplici, con le quali io ho svolto il mio ordine del giorno. La mia parola ha voluto essere più che tutto un atto di omaggio alla Magistratura italiana degna delle sue tradizioni. I magistrati, io ne sono sicuro, con la loro fermezza e con la loro indipendenza, daranno il più valido contributo allo sviluppo ed al rafforzamento della nostra democrazia. Ed io preferisco magistrati liberi che qualche volta dichiarino incostituzionale un decreto del potere esecutivo, a magistrati servi, i quali con la loro viltà sarebbero indegni di servire il nuovo Stato che stiamo faticosamente creando. (Applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi ha presentato il seguente ordine del giorno, che reca anche le firme degli onorevoli Guerrieri Filippo, Ciampitti, Tozzi Condivi, Scalfaro e Cappi:

«L’Assemblea Costituente ritiene che nella prossima riforma della legislazione penale sia istituito il giudizio di appello anche per i reati di competenza di Corte di assise, secondo le modalità da stabilirsi con la legge».

Ho l’impressione che sia uno di quegli ordini del giorno, i quali, perché non possono comunque tramutarsi in nessuna disposizione specifica da inserire nel testo costituzionale, non avrebbero ragione di essere presentati e svolti.

Ad ogni modo, se l’onorevole Mannironi si impegna a svolgerlo in maniera rapidissima, gli do facoltà di parlare.

MANNIRONI. Io sono abitualmente breve; però desidero far rilevare che l’argomento contenuto nel mio ordine del giorno fa parte anche di alcuni emendamenti ed è stato già illustrato, mi pare, dall’onorevole Rubilli.

L’argomento, peraltro, del quale mi devo occupare è, a parer mio, di natura squisitamente costituzionale. Si è detto qui e fuori di qui da taluno, che in questa parte del progetto costituzionale si siano voluti inserire molti principî, che non sarebbero strettamente costituzionali. Penso che, in ogni caso, l’abbondare in questa parte del progetto nel definire determinati principî ed affermazioni non sia inutile, perché in sostanza noi ci stiamo preoccupando di creare la struttura del potere giudiziario e di garantire, per altre vie, le libertà del cittadino. Ad evitare che domani facili maggioranze parlamentari possano modificare certi principî, che riteniamo di carattere fondamentale, mi pare che l’unico rimedio debba proprio consistere nell’agganciare questi principî alla Costituzione. Ora io intendo brevemente illustrare le richieste contenute nell’ordine del giorno, che tendono a fare affermare il principio, secondo il quale, nella legislazione italiana, debba esistere sempre il secondo grado di giurisdizione e debba esistere anche nei giudizi di Corte di assise, nei quali oggi il giudizio di appello non è ammesso.

Gli onorevoli colleghi che si sono occupati di studi di diritto sanno che da lungo tempo si è discusso nella dottrina se dovesse essere ammesso o no l’appello.

Dai sostenitori dell’abolizione dell’appello si è detto che, se l’appello è ammesso per reati minori, lo si dovrebbe a maggior ragione ammettere anche per i reati più gravi, quali quelli di competenza della Corte di assise; e si è aggiunto che, per evitare che i giudizi più gravi si dilunghino in inutili fasi dilatorie, meglio sarebbe abolire l’appello.

Onorevoli colleghi, voi capite quanto un ragionamento di questo genere possa essere pericoloso. Il diritto di appello è qualcosa, che è connaturata all’uomo e rientra nelle sue esigenze naturali e legittime. Il magistrato che interpreta la legge e l’applica al caso specifico, si preoccupa sempre di una cosa fondamentale: di accertare l’effettiva responsabilità dell’imputato. Ora questo giudizio di accertamento della responsabilità è proprio quello che costituisce la sostanza della giustizia e l’opera della Magistratura. Qualunque sforzo e qualunque tentativo possa essere fatto in questo senso, allo scopo di garantire e meglio assicurare la libertà del cittadino e allo scopo di scoprire la verità giudiziale e di impedire, in sostanza, che un’ingiustizia sia fatta, mi pare sia proficuo, utile e necessario. In tutti i tempi e presso tutti i popoli è esistito un giudizio di appello. Mi pare di aver letto che Platone si considerava sodisfatto di una sentenza e di un giudizio solo quando era passato attraverso tre vagli.

Senza dilungarmi troppo e senza sfoggio di inutile erudizione, voglio tralasciare di richiamare i precedenti del diritto romano e medievale. Comunque è certo questo: che il diritto di appello, fin dalle epoche più remote, è stato, direi, reclamato dalla coscienza di tutti i popoli, che di una cosa sola sempre si sono preoccupati; di garantire in tutte le maniere la libertà del cittadino, per evitare che questa libertà potesse essere violata e in qualche modo, compromessa, o coartata da giudizi erronei o da giudizi affrettati e irreparabili. Il giudizio di appello, onorevoli colleghi, è fondato su un concetto popolare, che è pieno di buon senso e di logica: quando si dice che quattro occhi vedono meglio di due, si afferma una verità sacrosanta. Ora il giudizio di appello porta proprio a questo; a far in modo che uno stesso fatto od una serie di fatti, che hanno costituito oggetto di esame e di giudizio da parte di un giudice, possano in un secondo tempo essere riesaminati da altro giudice diverso, lontano dal fatto, dal tempo e dal luogo del delitto, in modo che possa avere quella maggiore serenità di giudizio, che è la garanzia più sicura per la bontà e la correttezza del giudizio stesso.

Per combattere questa tesi del giudizio di appello anche per i reati di competenza delle Corti di assise, si adducono generalmente due motivi. Uno è di carattere formale. Si dice che non è consentito il giudizio di appello per i reati di competenza delle Corti di assise, in quanto tale giudizio è pronunciato da un giudice che è già di appello. Mi pare che questa sia una obiezione di natura formale, facilmente superabile. Non è necessario che il giudizio di primo grado per i reati gravi sia affidato ad un giudice di appello; può benissimo essere affidato ad altro giudice. E, d’altra parte, seppure fosse vero che il primo grado è affidato ad un giudice di appello, nulla esclude che una seconda fase di giurisdizione sia affidata ad altri giudici di appello, che sono sì di pari grado, ma di diversa giurisdizione. Si potrebbe, in sostanza, adottare il criterio già seguito quando la Cassazione cassa una sentenza e rinvia il giudizio per il riesame ad un altro giudice di appello, la cui sentenza resta definitiva.

L’altro argomento di merito e più grave, che si adduce contro l’opportunità del giudizio di appello per i reati gravi, lo si fa consistere nel fatto che i reati di Corte di assise sono di competenza della giuria popolare. E poiché la giuria è sovrana in tale suo giudizio, non si può consentire che un altro giudice superiore sia in diritto di giudicarne l’operato.

Qui si potrebbe riaprire nuovamente e a lungo la discussione sulla questione della giuria. Per quello che mi riguarda personalmente vi dirò che sono anch’io contrario alla giuria popolare, così come lo sono molti avvocati che hanno fatto l’esperienza del giudice popolare. In quest’Aula abbiamo potuto ascoltare il parere di autorevolissimi colleghi, che sono lustro del Foro e sono considerati meritatamente dei maestri. Io vorrei però dimostrarvi che l’ammettere oggi il principio dell’appello anche per i reati di Corte di assise, non porta come conseguenza all’abolizione della giuria. Vi sono dei colleghi che hanno proposto un emendamento tendente a far sopprimere il giudice popolare; vi sono altri colleghi che hanno chiesto che questo argomento sia rimandato al legislatore ordinario. Ora, se voi vi orientaste in questo senso e decideste di demandare al legislatore di domani la decisione sulla giuria popolare o se voleste anche fin d’ora conservarla, pare a me che oggi possiate, senza contraddirvi, affermare il principio della necessità del secondo grado di giurisdizione anche per i reati di Corte d’assise.

Quando voi parlate di giudice popolare, credo che non dobbiate cristallizzarvi a quell’ordinamento di giurati che vigeva nella legislazione passata; credo che anche quelli che sono sostenitori tenaci della giuria popolare, debbano ammettere che la giuria è suscettibile di modificazioni e di perfezionamenti e che, per esempio, la giuria popolare non escluda la necessità della sentenza motivata.

In sostanza, con questo si tornerebbe al parere ed all’opinione espressi da un autorevolissimo politico e studioso di diritto, quale era Giuseppe Pisanelli. Egli era uno dei più tenaci difensori della giuria popolare, come ebbe a manifestarsi nelle discussioni avvenute alla Camera nel 1874; ma fu anche autore di un libro nel quale sosteneva che tutte le sentenze dovessero essere motivate, comprese quelle dei giurati. Egli disse tra l’altro che «nessuno può dubitare che l’obbligo imposto al giudice di rendere ragione della sua sentenza è una delle maggiori garanzie della innocenza in quanto la motivazione era, ad un tempo, sussidio e freno per i magistrati, ecc.».

E si potrebbero richiamare qui anche altri principî fondamentali, enunciati dal Pisanelli in quel suo pregevole libro.

Ora, onorevoli colleghi, se anche voi siete dei tenaci assertori della giuria, potete e dovrete ammettere che questa giuria non debba essere considerata come un oracolo. Nessuno può essere ritenuto infallibile: neppure i giurati popolari. Anche a loro perciò bisogna imporre l’obbligo della motivazione del giudizio, perché soltanto in tal modo avremo dato la possibilità di esercitare un utile controllo anche su di loro e sui loro giudizi. Così soltanto si potrà inspirare, nelle cause più gravi, la necessaria fiducia nel popolo, che guarda all’operato della giustizia e della Magistratura, e vuole essere però in grado di controllarlo.

Badate, il pubblico, il popolo non si preoccupa tanto di sapere che giustizia è fatta o che è fatta rapidamente; si preoccupa, anzitutto, di sapere che la giustizia è stata fatta bene e di essere messo nella condizione di accertare veramente se bene è stata fatta.

Ora, questo accertamento soltanto per una via si può esercitare ed è attraverso l’esame della motivazione che il giudice pone a base del proprio giudicato. Ora, ripeto, se anche voi vi preoccupate della esistenza dell’istituto della giuria nella legislazione di domani, credo che vorrete essere concordi in questo, nel riconoscere la necessità della motivazione in ogni sentenza. Non sarà inutile ricordare che già un po’ in questo senso vi siete pronunciati, onorevoli colleghi, quando avete approvato l’articolo 8 della Costituzione.

In tale articolo è detto che «non è ammessa forma alcuna di detenzione né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria». Ora, la giuria può rientrare, deve rientrare in questa dizione generica di «autorità giudiziaria» e quindi mi pare che il concetto generale dell’obbligo della motivazione in tutte le sentenze, comprese quindi quelle di assise, debba ritenersi sancito fin da quando si è approvato l’articolo 8. Ad ogni modo, il ripeterlo o il precisarlo con apposito emendamento, sarà sempre utile e opportuno.

La motivazione delle sentenze, onorevoli colleghi, è d’altra parte la base di ogni giudizio di appello ed è la base anche dei giudizi di Cassazione. Perché, se la Cassazione fosse soltanto chiamata a giudicare sull’applicazione retta della legge, indipendentemente dall’esame di ogni giudizio sul fatto, o dal criterio che il giudice ha seguito anche nell’accertamento del fatto, credo che sarebbe messa, direi, in una condizione di inferiorità. Sarebbe messa nella condizione di emanare giudizi assolutamente parziali, che non potrebbero investire l’intero giudizio, e quindi non potrebbero offrire quelle sicure garanzie di cui il popolo ha bisogno per tranquillarsi dell’esito delle sentenze, specie di condanna nei reati gravi.

La Costituente francese, in una agitata seduta del maggio 1790, si era proposto questo quesito: devono esistere oppur no due gradi di giurisdizione? E la maggioranza aveva votato e risposto affermativamente a questo quesito.

Credo, onorevoli colleghi, che questa stessa preoccupazione vorrete avere voi. Credo che faremo opera utile e saggia se fra i principî fondamentali della nostra Costituzione fisseremo anche noi questo principio del doppio grado di giurisdizione per tutti i giudizi: principio che non mira a priori ad abolire la giuria popolare, ma mira soprattutto a garantire la libertà dei cittadini e ad una migliore amministrazione della giustizia.

Questa libertà del cittadino, come sapete, può essere insidiata non soltanto da atti illegali e illegittimi dei privati, ma può essere menomata, trasformata, ridotta anche da atti del potere legislativo, del potere esecutivo, e, purtroppo, anche da atti del potere giudiziario.

Ora, per evitare che errori commessi siano irreparabili, per evitare che ingiustizie anche per un solo nostro simile siano commesse irrimediabilmente, mi pare che la garanzia del giudizio di appello sia la conquista migliore o una delle conquiste principali che realizzeremo, in concomitanza con tutti gli altri principî affermati nella prima parte della Costituzione e tendenti tutti a salvare la libertà dell’uomo e del cittadino. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo ha presentato il seguente ordine del giorno, che reca le firme anche degli onorevoli Rodinò Mario, Rubilli, Bonomi Ivanoe, Cortese Guido, Gabrieli, Bellavista, Caccuri, Moro, Jervolino, Sullo, Candela, Murgia, Martino Gaetano, Turco, Carboni Enrico, Franceschini, Sansone, Mazza, De Unterrichter Jervolino Maria, Badini Confalonieri, Bastianetto, De Caro Raffaele, Ciampitti, Micheli, Siles, Lucifero, De Martino, Condorelli, Rognoni, Fabbri, Lizier, Morelli Renato, Corbino, Corsini, Gui, Bettiol, Zotta, Abozzi, Cappi, Gasparotto, Villabruna, De Mercurio, Basile:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che il problema del collocamento a riposo dei magistrati non ha avuto finora una uniforme soluzione: si passò, difatti, dal regime che ignorava i limiti di età alla legge 14 luglio 1907, n. 511, che determinava il limite di età ad anni 75 per i consiglieri di cassazione e i magistrati di grado superiore; successivamente alla legge 19 dicembre 1912, n. 1311, che riduceva a settanta anni il limite di età per i consiglieri di cassazione, mantenendolo a 75 anni per magistrati di grado superiore; infine alla norma vigente che determina i limiti di età al 70° anno per tutti i magistrati;

considerato che il problema del limite di età dovrà formare oggetto di esame nella elaborazione della legge di ordinamento giudiziario, alla quale, in esecuzione della Costituzione, dovrà attendere il nuovo Parlamento;

ritenuta l’opportunità in tale sede di adeguare la condizione dei magistrati a quella dei professori universitari (per i quali una legge in corso di pubblicazione determina il limite di età al 75° anno);

considerato che, intanto, è opportuno e necessario sospendere il collocamento a riposo dei magistrati al 70° anno di età;

invita il Governo a prorogare la legge attualmente in vigore, per la quale il Ministro di grazia e giustizia è autorizzato a trattenere in servizio i magistrati che abbiano raggiunto il 70° anno di età fino alla nuova legge sull’ordinamento giudiziario, collocandoli fuori ruolo».

Onorevole Crispo, questo suo ordine del giorno è uno di quelli che rientrano nella categoria dei non pertinenti né direttamente né indirettamente alla materia in esame.

CRISPO. Onorevole Presidente, il mio ordine del giorno ha effettivamente un rapporto semplicemente occasionale con l’ordinamento giudiziario. Lo scopo mio e degli altri colleghi firmatari è infatti soltanto quello di fare una segnalazione all’Assemblea; segnalare, cioè, che vi è una legge con la quale si prorogava fino al 31 dicembre ’47 la legge del 28 gennaio ’43 sulla sospensione del collocamento a riposo del personale giudiziario, di cui appunto è cenno nel mio ordine del giorno.

Noi chiediamo che questa legge, la quale dovrebbe, come ho detto, cessare di aver vigore con il 31 del prossimo dicembre, sia invece prorogata. Le ragioni della nostra richiesta sono due. La prima è che innanzitutto, quando la legge dovrà occuparsi del nuovo ordinamento giudiziario, dovrà anche disciplinare questa materia dei limiti di età in rapporto al collocamento a riposo dei magistrati, il che non è stato per ora mai fatto. Ma vi è anche un’altra ragione ed è che è in corso una legge relativa al collocamento a riposo dei professori d’università, nella quale sembra che verrà fissato il limite di 75 anni. Sotto questo aspetto quindi, il limite di settanta anni potrebbe costituire una sperequazione. Noi chiediamo pertanto una proroga di un anno, fino a quando cioè non sarà entrato in vigore il nuovo ordinamento giudiziario.

È questa la raccomandazione che noi facciamo al Ministro della giustizia.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, in veste di Guardasigilli.

GRASSI. Debbo anch’io osservare che, come ha avvertito l’onorevole Presidente, l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Crispo e dagli altri colleghi non è pertinente alla Costituzione. Non sarebbe dunque questa la sede, ma, trovandomi qui ed essendo chiamato in causa, non posso esimermi dall’assicurare l’onorevole Crispo e gli altri membri dell’Assemblea che, pur non pensandosi a prorogare la legge, non essendo questa una cosa possibile, il Governo si preoccupa della situazione in cui vengono a trovarsi i magistrati settantenni, non solo per le loro condizioni economiche ma anche perché il Ministero della giustizia non ha potuto procedere, durante gli anni della guerra a tutte le necessarie promozioni. Sono per conseguenza in corso adesso dei provvedimenti al riguardo, i quali spero potranno sodisfare le esigenze manifestate dall’onorevole Crispo e dagli altri firmatari dell’ordine del giorno.

Assicuro l’onorevole Crispo che il Governo provvederà a favore dei magistrati che dovrebbero essere collocati in riposo entro il 1948 e lo prego pertanto di ritirare l’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, ritira il suo ordine del giorno?

CRISPO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Ci sarebbe ora un ordine del giorno dell’onorevole Adonnino relativo alla Corte costituzionale, che penso sarebbe più opportuno venisse svolto quando saremo in sede di discussione del titolo relativo.

ADONNINO. Onorevole Presidente, a me sembra che il mio ordine del giorno sia pertinente nella discussione attuale. A mio parere, l’argomento della Corte costituzionale è infatti strettamente connesso con quello della Magistratura, con quello di tutto l’ordinamento giudiziario.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, a me pare che basta la lettura del suo ordine del giorno per convincersi che quello che ho detto non è errato:

«L’Assemblea Costituente, considerato che la Corte Costituzionale ha il carattere di suprema moderatrice dei poteri dello Stato, delibera che alla sua composizione debbano concorrere tutti e tre i poteri in cui si esplica la sovranità dello stato».

Non comprendo perché lei debba preferire di svolgerlo adesso anziché al momento in cui affronteremo l’esame della Corte costituzionale.

ADONNINO. Secondo me, onorevole Presidente, l’argomento della Corte costituzionale è assolutamente e inscindibilmente connesso anche con l’argomento della Magistratura e di tutto l’ordine giudiziario. Ed in questo senso io intenderei, nei limiti concessimi, trattarlo: è un punto sintetico e conclusivo di vari punti che desidererei svolgere.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, nei limiti concessi dal Regolamento.

ADONNINO. Onorevoli colleghi, dato il punto al quale la discussione è giunta, non è consentito che esprimere idee determinate su punti specifici; tutti gli argomenti generali e fondamentali ormai sono stati ampiamente trattati, e perciò non vi è che da richiamarsi semplicemente ad essi.

Però a me pare che un punto importante e fondamentale in tutta questa discussione non è stato completamente trattato e lumeggiato, cioè quello della futura Corte costituzionale. Infatti, chi di noi finora ha parlato ampiamente e compiutamente della Corte costituzionale? Appunto perciò credo che se ne debba dire qualche cosa.

Fino a ieri, penultimo giorno della discussione, l’onorevole Zotta ha toccato un punto basilare relativo ad essa, e precisamente questo: qual è il carattere di questa Corte costituzionale? Che cosa si deve deferire ad essa e quali sono i rapporti tra la Corte costituzionale e la Corte di cassazione? Dunque vedete, onorevoli colleghi, che si tratta di un punto molto importante, in cui poi si accentra gran parte della Costituzione; proprio questo istituto nuovo costituisce una delle principali caratteristiche di tutta la Carta costituzionale.

Dicevo poco fa, accennandone brevemente, che questo è un punto strettamente connesso anche con l’indipendenza della Magistratura, perché, dato che io concepisco la Corte costituzionale come un derivato di tutti e tre i poteri della sovranità: potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario, è evidente che essa suppone in maniera assoluta l’indipendenza della Magistratura. Noi abbiamo parlato degli altri due poteri, ma dell’indipendenza della Magistratura si deve fare un punto fondamentale, e assolutamente rispettato perché se no cadrebbe il concetto stesso che io mi faccio, e che vi sottopongo, della Corte costituzionale.

Dunque, come è organizzata genericamente l’indipendenza della Magistratura nel nostro progetto di Costituzione? Qualche osservazione schematica e brevissima. In primo luogo, nell’articolo 94 si parla di una funzione giudiziaria. Ora io dico: perché si deve parlare della funzione prima di determinare l’organo? Si dovrebbe parlare, come è già stato proposto, di potere giudiziario. Ma io osservo che nell’articolo 94 si dice subito che la funzione giurisdizionale è «espressione della sovranità». Ora, onorevoli colleghi, che cosa significa «espressione della sovranità»? Qualunque atto dello Stato in sostanza è espressione della sovranità; anche quando il più umile dei carabinieri arresta un delinquente, egli adopera un potere che è espressione della sovranità. Perciò mi pare che non si debba solo dire «espressione della sovranità», ma si debba dire «espressione immediata e diretta della sovranità».

Se si fissasse l’organo e si caratterizzasse come «organo sovrano» si potrebbe obiettarmi: la sovranità è indelegabile e perciò, quando si dice che un organo è sovrano, non c’è bisogno di dire «direttamente e immediatamente».. Siccome però qui non si parla di un organo, ma si parla di una funzione, e si dice che essa è «espressione della sovranità» mi pare che sia assolutamente necessario dire che ne è manifestazione «diretta ed immediata». Solo così noi poniamo il potere giudiziario sullo stesso piano degli altri due poteri, il legislativo e l’esecutivo.

E allora noi veniamo a proporci il problema: la Corte costituzionale (e mi ricollego subito alla Corte costituzionale, come vedete) che cosa è? Se abbiamo questi tre poteri sullo stesso piano, piano elevato, al disopra del quale nulla vi è, la Corte costituzionale che cosa rappresenta? Rappresenta qualcosa di più elevato ancora? Non è possibile, perché qualcosa di più elevato degli organi sovrani non c’è.

E allora come si può concepire? La concepirei (e mi riferisco al mio ordine del giorno) come organo di collegamento di tutti e tre i poteri sovrani, come organo che è l’emanazione e la sintesi di essi e che tutti e tre li armonizza.

Dunque non è un quarto potere, non è un qualche cosa di superiore ad essi, ma è una sintesi armonizzatrice di tutti e tre.

Questo concetto fondamentale mi pare che ci debba essere guida nel definire i poteri della Corte costituzionale.

Ma prima, ritorniamo brevemente al concetto della giustizia quale noi la vogliamo per tutto il popolo, e che deve essere giustizia vera: è stato già detto che questa giustizia si fonda sui due concetti fondamentali: unicità della giurisdizione e indipendenza assoluta della Magistratura. Anche la materia dell’unicità della giurisdizione ha stretta attinenza con la Corte costituzionale: vedremo infatti più innanzi che l’Alta Corte costituzionale, pure essendo emanazione dei tre poteri dello Stato ed organo centrale che tutti tre li armonizza, costituisce sempre una giurisdizione, e le sue funzioni sono di carattere prettamente giurisdizionale; è un’eccezione dunque al principio dell’unicità della giurisdizione, e, da un punto di vista teorico, dovrebbe essere l’unica eccezione. Vedremo in seguito come si giustifica teoricamente la sua esistenza nella nostra Costituzione. Qui basti aver rilevato il suo carattere giurisdizionale; e basti rilevare che la sua esistenza non infirma per nulla la necessità assoluta dell’unicità della giurisdizione ai fini della vera giustizia.

Ed è in relazione a ciò che occorre esaminare, sia pure fugacemente, se tale unicità sia raggiunta ed attuata nel progetto che ci sta dinanzi. Non mi pare che lo sia. È vero che è ammesso il ricorso per cassazione contro tutte le decisioni di giurisdizioni speciali. Ma ciò non significa unicità di giurisdizione; significa invece soltanto unicità d’interpretazione della legge da parte di tutte le giurisdizioni, anche molteplici e varie. La verità è che la giurisdizione non è unica, come teoricamente dovrebbe essere, ma varie importanti giurisdizioni speciali sono conservate.

Si dice che ci sono delle ragioni per la conservazione o per la creazione di certe giurisdizioni speciali. In fatto di giurisdizioni speciali, in sostanza, credo che – indipendentemente dai molti argomenti portati pro e contro – due sono gli argomenti fondamentali su cui esse si basano. Un argomento ingiusto, da respingere, e un argomento veramente serio e giusto, da accogliere. L’argomento da respingere è che in sostanza il mantenimento o la creazione delle giurisdizioni speciali è voluto principalmente dai partiti e dall’interesse degli uomini politici. Parlo dell’influenza che sulla giustizia, principalmente attraverso speciali giurisdizioni appositamente create, cercano di esercitare i partiti politici e gli uomini politici per loro particolari interessi, e non dell’influenza delle grandi correnti di idee politiche e sociali che guidano la vita del Paese. Queste esercitano le loro influenze psicologiche, e specialmente culturali, su tutti gli uomini, specialmente di pensiero e di studio, che vivono nel Paese, e non se ne possono astrarre o isolare; e perciò, anche su tutti i magistrati ordinari nei limiti – s’intende – dell’ossequio alle leggi; onde non hanno bisogno di ricorrere alla creazione artificiosa di giurisdizioni speciali per influire sulla giustizia. Come grandi correnti di idee e di cultura, del resto, non potrebbero nemmeno creare giurisdizioni speciali. Le giurisdizioni speciali le creano i partiti e gli uomini di parte che positivamente agiscono ed operano nella sfera politica. E costituiscono così il più grave pericolo per la giustizia, come, del resto, costituiscono il più grave pericolo per l’amministrazione della cosa pubblica. Quando Silvio Spaventa nel 1880 pronunciò, dinanzi all’Associazione costituzionale di Bergamo, quel celebre discorso che viene ancora ricordato come fondamento della nostra giustizia amministrativa, cominciò il suo dire ricordando una precedente riunione tenutasi pochi mesi prima a Napoli, nella quale erano intervenuti i più autorevoli uomini politici italiani, i quali tutti avevano concordemente rilevato e proclamato, il più grave pericolo per le istituzioni del nascente Stato italiano essere costituito dall’illegittima ingerenza dei deputati nell’amministrazione.

La stessa cosa si può dire ora della possibile influenza di deputati e di partiti sull’amministrazione della giustizia, influenza che può principalmente esercitarsi mediante la creazione di giurisdizioni speciali.

Ricordo l’episodio del discorso di Silvio Spaventa, onorevoli colleghi, perché in esso si trattava dei deputati… del 1880! Comunque il principio, la vera spinta, la vera molla delle giurisdizioni speciali è questa.

Ma c’è un’altra ragione, che è una ragione giusta e logica e perfettamente accoglibile, dell’esistenza delle giurisdizioni speciali, cioè che in tante materie speciali – e nei tempi moderni tutte le materie si vanno sprofondando sempre più nella specializzazione – il giudice ordinario non è adatto, perché il giudice ordinario ha un sistema rigido, dagli spigoli netti, dal sillogismo rigoroso quale s’addice al vigile senso del diritto, e non può essere pronto a quegli apprezzamenti duttili, elastici che sono richiesti da tanti ambienti e da tante materie speciali. Prendiamo, ad esempio, la materia amministrativa, in cui prevale l’interesse pubblico, pur commisto con l’interesse individuale. In essa più che il criterio rigido del giudice ordinario, occorre la duttilità dell’amministratore, del giudice proveniente dall’amministrazione il quale ha viva la sensibilità di tanti interessi contrastanti, e dell’interesse collettivo in ispecie.

Ecco la ragione fondamentale per cui le giurisdizioni speciali sono necessarie. È una ragione profondamente diversa, da quella che giustifica l’esistenza della Corte costituzionale, giurisdizione speciale anch’essa, come vedemmo, richiesta però al fine dell’equilibrio e dell’armonia fra i tre fondamentali poteri della sovranità. Ora, per un compiuto parallelo tra queste varie speciali giurisdizioni, e per l’esame del grado di indipendenza che a ciascuna di esse devesi assicurare, è mestieri indagare come il progetto le configuri e le congegni.

A quali criteri, a quali principî il progetto si informa? Vediamo brevemente qui la struttura e l’indipendenza che dà alle giurisdizioni speciali; vedremo dopo, a confronto, quelle della Corte costituzionale. Il progetto, in primo luogo, riconosce la giurisdizione ordinaria. In questa giurisdizione ordinaria si propone poi di creare delle sezioni speciali con l’intervento di tecnici per le materie speciali, che dovrebbero avere speciali giurisdizioni. Passi pure, ma io devo dire che non è una cosa che mi sodisfi completamente. Ho parlato con illustri magistrati che moltissime volte nella loro carriera si sono trovati in questi collegi composti da giudici e da laici, e mi hanno detto che le due parti non si fondono, non avviene una composizione intima fra l’una e l’altra, in modo da dar vita a un organismo nuovo, differente dai due organismi originari. I giudici restano giudici, i laici restano laici. Le questioni giuridiche sono decise soltanto dai giudici come se i laici non ci fossero; le questioni tecniche, vengono decise dai laici come se i giudici non ci fossero.

Non è dunque, una soluzione che possa lasciare completamente tranquilli.

Tanto vero che lo stesso progetto conserva certe giurisdizioni speciali. Conserva in primo luogo il Consiglio di Stato. Va bene. Ma gli organi della giustizia regionale, della giustizia amministrativa locale, perché non li conserva? E non solo: conserva il Consiglio di Stato, ma lo conserva come adesso è, cioè niente affatto indi- pendente dal potere esecutivo. Ricordiamo: il Consiglio di Stato pur avendo funzionato in maniera ottima – e qui ha ricevuto l’autorevolissima lode di tutti coloro che ne hanno parlato, lode alla quale io intendo tato corde associarmi – è formato in una maniera che non dà assoluta tranquillità. Il reclutamento è fatto – per una parte almeno – su nomina del Consiglio dei Ministri e non su concorso regolare; i Presidenti di sezione sono nominati dal Consiglio dei Ministri. Molti incarichi distribuisce ed assegna il Governo. Adunque, ci sono tali e tante interferenze da parte del potere esecutivo nel Consiglio di Stato, che tranquillità completa non credo possa esservi.

La Corte dei conti è pure conservata. Ma il progetto non parla degli organi di giurisdizione contabile locale che si dovrebbero pure richiamare.

E per la Corte dei conti è da fare la stessa osservazione che si è fatta per il Consiglio di Stato. Ed anzitutto, anche per essa e per il suo ottimo funzionamento, è da ripetere la lode più ampia. Ma, anche per essa, la lode massima non toglie che, a cagione della sua odierna struttura, che non si dice, nel progetto, di voler modificare, le più gravi perplessità debbano manifestarsi. Il personale della Corte è reclutato per concorso, indetto, oltre che fra avvocati e procuratori, fra elementi provenienti dalla pubblica amministrazione. Ed i vincitori, appena entrati in carriera, non sono giudici, ma semplici funzionari, i quali, ciò nonostante, collaborano con i collegi giudicanti in operazioni preparatorie e pur senza intervenire nelle decisioni. In seguito acquistano la qualità di magistrati. Ma, anche qui, come nel Consiglio di Stato, i consiglieri possono essere nominati, per metà, senza concorso tra elementi estranei, per deliberazione del Consiglio dei Ministri; e dal Consiglio dei Ministri stesso sono designati i Presidenti di sezione e il Primo Presidente. Continue ingerenze ha poi il Governo nell’amministrazione dell’istituto, e nel conferimento di molteplici incarichi retribuiti.

Ora questo tipo di struttura, per cui questi organi importantissimi sono permanentemente soggetti alle influenze del potere esecutivo, e perciò delle fluttuanti maggioranze parlamentari e dei partiti e degli uomini politici, non può non essere profondamente modificato.

Vi è poi ancora un terzo campo di cui non ho sentito proprio parlare nessuno. In queste materie tanto difficili, anche se si discutesse per anni, ci sarebbe sempre qualche punto dimenticato e qualcuno che potrebbe sempre sollevare questioni nuove. Dico, della giustizia fiscale. A me pare un ramo così importante che lo ritengo più importante della stessa giurisdizione ordinaria. Tutti quanti sappiamo che la giustizia ordinaria può coinvolgere questo o quel cittadino, e vi possono essere cittadini che mai hanno avuto a che fare con essa. Ma la giustizia fiscale è un’ombra che segue chiunque e con la quale chiunque ha da fare e alla quale nessuno si sottrae. In questo momento, specialmente, in cui così gravi tributi gravano, e debbono gravare, sulle nostre misere spalle. Orbene, in che stato è questa giustizia tributaria? Voi mi insegnate che c’è un caos completo. Vi sono certi rami in cui vi è un solo grado di giurisdizione; vi sono certi rami in cui ve ne sono sei: tre speciali e tre ordinari; non solo, ma quello che è assolutamente inesistente è l’indipendenza: la maggior parte dei giudici fiscali sono nominati dalle stesse amministrazioni, e così sono giudici e parti.

Ora, è possibile che nella Costituzione a tutto questo non si accenni nemmeno? La Commissione nominata dal Ministero della Costituente si propose questo problema. Naturalmente non è possibile scendere nei minimi particolari, ma qualche norma direttiva fondamentale bisogna darla, ed io credo che sarebbe opportuno dire che è conservata la giurisdizione speciale e che ha le necessarie garanzie di indipendenza.

Quarto settore di giurisdizione speciale: la giustizia militare. Vi sono certi reati che sono tipicamente e specificamente militari. Un furto, che sia commesso da un soldato o che sia commesso da un borghese, è sempre furto, ma quando parliamo dell’insubordinazione, quando parliamo della diserzione, dell’abbandono di posto, abbiamo reati tipicamente militari. Ed allora, anche in tempo di pace, perché sottrarli a quelli che possono meglio indagare l’anima del militare che li ha commessi, e che meglio sono in grado di capire le necessità dell’organismo che da essi è leso? Per quale ragione ci devono essere i tribunali militari per il tempo di guerra e non anche per il tempo di pace?

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, con ogni sforzo, non riesco a vedere in qual modo il problema dei tribunali militari entri nel tema in esame. L’avverto di ciò perché lei ha a disposizione ancora solo quattro minuti.

ADONNINO. Onorevole Presidente, io comprendo le sue preoccupazioni per lo svolgimento dei lavori, ma tali preoccupazioni Ella per gli altri oratori non le ha avute. Ella vede bene del resto che io vado svolgendo un confronto fra la Corte Costituzionale – che è la materia del mio ordine del giorno – e le altre giurisdizioni speciali, dunque sto perfettamente al tema. Finalmente: vogliamo fare un patto? Io ho nove emendamenti, e se Ella non mi permette di svolgerli ora, avrò diritto ad un quarto d’ora per ciascuno per svolgerli dopo. Cioè avrò due o tre ore di tempo. Rinuncio ad esse, se posso brevemente svolgerli ora. Vede quale generosa rinuncia?

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino la prego di attenersi alla materia del suo ordine del giorno e di concludere.

ADONNINO. Resto nel mio tema. Trattandosi di elementi interdipendenti, debbo considerarli tutti, se no, non posso compiutamente esporre come concepisco la Corte costituzionale.

Abbiamo così accennato ai quattro settori principali di giurisdizioni speciali, in contrapposto alla speciale giurisdizione costituita dalla Corte costituzionale. Possiamo cominciare a delineare le fondamentali differenze che caratterizzano le une e l’altra. Le une agiscono ciascuna dentro un determinato settore; l’altra non ha un settore proprio (tranne per i giudizi sulle accuse alle alte cariche dello Stato, attività accessoria e secondaria) ma garantisce l’osservanza dei limiti posti ai poteri della sovranità, sta, cioè, in un piano superiore a quello delle altre giurisdizioni speciali che restano entro l’ambito del potere giurisdizionale. Altre giurisdizioni speciali vi sono, e l’onorevole Merlin vi ha detto che sono numerosissime; vi sono molteplici collegi arbitrali, vi sono i Consigli di Prefettura, i Consigli di leva, le attribuzioni giurisdizionali dei Ministri. Il progetto dice che di esse si dovrà fare una revisione entro cinque anni; e che per crearne di nuove occorrerà la maggioranza assoluta dei membri delle due Camere. Norme, queste, insufficienti di certo. A me pare che un progetto organico e completo possa essere questo: alla base, la giurisdizione ordinaria, sia pure con delle sezioni specializzate per speciali materie; poi i quattro settori già esaminati di giurisdizioni speciali: amministrativa, contabile, fiscale, militare; e, all’infuori di esse, stabilire una netta direttiva tendente al divieto di creare nuove giurisdizioni speciali. E siccome a rendere veramente efficace tale direttiva è insufficiente la remora proposta nel progetto, cioè la maggioranza assoluta dei membri delle Camere, io propongo che si renda più grave tale remora richiedendo la maggioranza dei due terzi dei membri delle Camere e il parere del Consiglio Superiore della Magistratura ed altresì della Corte costituzionale. A di sopra di tutte, e a garanzia dei limiti posti all’attività dei vari poteri dello Stato, la giurisdizione della Corte costituzionale. Entro tre anni, revisione delle giurisdizioni speciali ora esistenti, permettendone la conservazione solo se approvata da una maggioranza di due terzi dei membri delle Camere, e su parere del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte costituzionale. Questo mi parrebbe un complesso architettonico, del quale i piloni fondamentali sarebbero i tre poteri dello Stato, in cui le varie giurisdizioni ordinarie e speciali, comprese nell’ambito del potere giudiziario, sarebbero regolate dalla Cassazione e i tre poteri sarebbero regolati dalla Corte costituzionale.

Vengo agli ultimi due punti dell’ampia materia della Magistratura, che si ricollegano direttamente al mio tema della Corte costituzionale, come elementi essenziali di un’organica concezione di essa. Cioè: l’indipendenza assoluta delle giurisdizioni tutte ordinarie e speciali; e la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Se il potere legislativo e l’esecutivo potessero influire sulle varie giurisdizioni componenti l’ordine giudiziario, vano sarebbe affidare alla Corte costituzionale il compito di garantire i limiti dell’azione dei tre cennati poteri. Dunque necessità d’indipendenza assoluta di tutto il potere giudiziario; l’indipendenza e l’autogoverno delle giurisdizioni speciali debbono essere identiche a quelle della giurisdizione ordinaria. Altrimenti cade il disegno architettonico sopra delineato, e in cui è caratterizzata la figura della Corte costituzionale. Per necessaria conseguenza le norme regolatrici delle giurisdizioni speciali debbono essere incluse nella legge sull’ordinamento giudiziario che regola la giurisdizione ordinaria; l’ammissione a tutte le giurisdizioni deve avvenire mediante concorso, pure ammettendo ai concorsi per le giurisdizioni speciali solo le categorie adatte psicologicamente per provenienza, per abito mentale, per preparazione culturale; l’autogoverno di tutta la Magistratura deve essere completo, considerando la Magistratura formata sia dalla giurisdizione ordinaria, sia dalle speciali; i magistrati debbono definitivamente lasciare la amministrazione di provenienza; quelle giurisdizioni che formano ora parte integrante di un più vasto organismo amministrativo debbono da esso distaccarsi, anche come sede. Questo è il sistema fondamentale, per il quale potremo dire di attuare veramente l’indipendenza della magistratura.

Se aggiungiamo che il Consiglio Superiore della Magistratura deve essere composto, secondo la mia proposta, per un terzo di magistrati scelti fra le alte cariche, per un terzo di magistrati eletti fra tutti i magistrati di Italia nelle diverse categorie e per l’altro terzo fra insegnanti universitari ordinari di diritto, possiamo concludere che la Magistratura sarà veramente indipendente e completamente avulsa dagli altri organi dello Stato, nella sua organizzazione, nel suo capo, nella sua direzione.

Né è da temere di creare una «casta chiusa». Sarebbe chiusa alle deleterie influenze delle maggioranze e dei partiti; ma bene aperta alla benefica influenza delle grandi correnti di pensiero e di sentimento politico e sociale, che ogni giudice assorbirebbe nella vita sua quotidiana e nei suoi studi, e che lo avvierebbero alle più moderne concezioni, pur dentro i limiti del rigoroso ossequio alle leggi.

Tutto ciò posto, che cosa è la Corte costituzionale? È l’espressione dei tre organi dello Stato: il giurisdizionale, l’esecutivo e l’amministrativo; veglia sulla costituzionalità delle leggi; risolve i conflitti d’attribuzione fra i poteri dello Stato; giudica sulle accuse alle alte cariche dello Stato.

Qualcuno ha proposto che la materia, che devesi devolvere alla Corte costituzionale, sia devoluta invece alla Corte di cassazione. No; secondo il mio concetto, che cioè, sono tutti tre gli organi del potere e della sovranità dello Stato quelli da cui promana la Corte costituzionale, non si può ad essa sostituire la Cassazione, perché questa sarebbe rappresentante di uno solo dei poteri, mentre nella Corte costituzionale abbiamo i rappresentanti di tutti e tre i poteri.

E qui sorge il problema grave posto dall’onorevole Zotta. Senza dubbio l’attività della Suprema Corte costituzionale è attività giurisdizionale. Si tratta di applicare una legge, la legge costituzionale, all’attività degli organi dello Stato. Dunque – e del resto l’ho già dimostrato in tutto il mio dire – la Corte è una giurisdizione speciale.

Ma se noi in altro articolo diciamo che contro tutte le decisioni delle giurisdizioni speciali si può ricorrere in Cassazione, allora anche le decisioni della Corte costituzionale sarebbero denunciabili in Cassazione.

L’onorevole Zotta proponeva di attribuire la risoluzione di tutti i conflitti di giurisdizione alla Corte costituzionale.

I conflitti di giurisdizione sono giurisdizione interna, nell’interno della Magistratura, almeno come io l’ho delineata, cioè composta di un tutto unico, in cui entrano la Magistratura ordinaria e la Magistratura speciale. Allora è mestieri che i conflitti tra giurisdizioni, tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale, li affidiamo alla Corte di cassazione.

Unica norma, invece, che si può porre, è questa: che le sentenze dell’Alta Corte costituzionale non debbano essere denunciabili alla Corte di cassazione. Noi sganciamo così la Corte costituzionale e le sue decisioni dalla sottomissione al potere giudiziario. Ma. intanto, ho detto che la Corte Suprema costituzionale è emanazione dei tre poteri dello Stato: il legislativo, l’esecutivo ed giudiziario.

Come allora essa deve essere composta? Essa è certo una giurisdizione speciale.

Però richiamo quanto dianzi ho detto, comparando la Corte costituzionale a tutte le altre speciali giurisdizioni; nelle sue decisioni ha la caratteristica di essere l’organo equilibratore e armonizzatore dei tre supremi poteri della sovranità dello Stato, organo reso necessario dal carattere rigido della nostra Costituzione. Questa che è la sua giustificazione teorica, costituisce, insieme, la sua caratteristica.

È cioè un organo di giurisdizione speciale, separato da tutte le altre forme di giurisdizione e di esse più alto. È sullo stesso piano dei tre poteri dello Stato, e allora, considerando le sue relazioni con essi, considerando il suo precipuo carattere giurisdizionale, deve apparire nella sua composizione una preponderanza del potere giudiziario e una partecipazione degli altri due poteri: cioè deve essere composta, come io propongo che si componga, per metà di magistrati nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura, cioè da tutti i magistrati; per un quarto di magistrati nominati dal potere esecutivo, cioè dal capo del potere esecutivo su designazione del Consiglio Superiore della Magistratura e per l’ultimo quarto da membri nominati dall’Assemblea. Dunque noi avremmo, nella Corte costituzionale, la rappresentanza diretta di tutti i poteri dello Stato di cui la Corte è emanazione ed a cui essa deve servire di garanzia. Ma c’è una parte preponderante alle altre, la parte che riguarda il potere giurisdizionale. L’indipendenza della Magistratura, così come noi l’abbiamo garantita, e come, secondo me, si deve riconoscere anche alle Magistrature speciali, è così garantita anche all’Alta Corte costituzionale, di fronte al potere politico.

Questa è, onorevoli colleghi, la concezione generale che io ho di questa materia e che sottopongo al vostro esame. Io non parlo per le persone che siamo e per l’ora che volge, ma mi preoccupo, come ognuno di noi si deve preoccupare, del nostro buon nome e della nostra responsabilità di fronte all’avvenire. Noi ci troviamo nel punto conclusivo e fondamentale di tutta la Costituzione. Se questo punto si risolve bene, tutta la Costituzione riuscirà: se questo punto si risolve male tutta la Costituzione fallirà. Ognuno di noi dovrebbe sentire impellente ed imperativa una voce che lo induca a dire apertamente il suo pensiero o attraverso una votazione nominale o con dichiarazioni di voto, tenendo ben presente quello che sarà il giudizio che il futuro darà su ciascuno. Ed allora veramente potremo spogliarci delle scorie dei nostri interessi di individui o di membri di un partito, potremo dimenticare le nostre ideologie e pensare che l’ideologia fondamentale più alta e più vera è proprio in questo campo, in cui maggiormente l’uomo si eleva, tanto da avvicinarsi a Dio, e che questo è il campo in cui si attua la vera democrazia, con la giustizia per il popolo tutto, per le minoranze, per i miseri, per i deboli. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Bertini ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente afferma la necessità:

1°) che il potere giudiziario sia posto in grado di tutelare prontamente ed efficacemente la libertà e i diritti dei cittadini e che l’esercizio della funzione giurisdizionale sia regolato secondo le supreme esigenze della giustizia in uno stato di diritto, mediante magistrati che godano della più netta e congrua indipendenza ed autonomia di funzioni, nonché di un trattamento decoroso e pienamente adeguato alla delicatezza e difficoltà dei compiti di loro spettanza;

2°) che non si abbia più oltre a ritardare la riforma dei Codici in modo organico e conforme allo spirito ed alle garanzie del nuovo reggimento politico e sociale dello Stato;

3°) che sia portato un riparo alle ormai inveterate e deplorate insufficienze della giustizia penale, provvedendola di tutti i mezzi strutturali, processuali ed economici, a cominciare dall’istituzione di un corpo speciale di polizia alla diretta dipendenza dell’autorità giudiziaria;

4°) che si ribadisca il principio dell’assoluta incompatibilità dei magistrati con l’appartenenza a qualsiasi partito od organizzazione politica o segreta, in vista sia del compito di inderogabile imparzialità inerente alla delicatezza delle loro mansioni, sia del conforme affidamento che il pubblico deve riportare in ogni circostanza per la condotta del magistrato in tutti i suoi atti;

5°) che il Governo, in coerenza ai principî ora indicati, non abbia a rallentare o a lesinare più oltre quelle misure di riparazione atte a ristabilire la Magistratura nella piena sicurezza della sua posizione, della sua efficienza e del suo avvenire».

Ha facoltà di svolgerlo.

BERTINI. Onorevoli colleghi, non simpatizzo per i duplicati, e questa è garanzia che non tratterò, per quanto mi sarà possibile, nessuno dei temi su cui ormai, non in un punto solo ma sotto vari aspetti, si è esercitata la competenza dei miei colleghi.

Rilevo – mi piace dirlo qui nella discussione sulla Magistratura – che a Bologna per discutere di questo tema, si sono tenute assemblee del ceto forense e di tutti i magistrati e gli articoli della Carta costituzionale, che sono oggi in discussione, hanno formato oggetto di imparziali ed anche vivaci, ma sempre rette, osservazioni. Tralascio quindi, di ripetere il pensiero dei convenuti alle adunanze di Bologna, i quali ebbero la deferenza di affidare a me l’incarico, che li presiedetti, di recare l’eco delle loro discussioni e dei loro voti in quest’Assemblea.

Rilevo, ad onor del vero, e per brevità, che i voti svolti o caldeggiati in queste importanti riunioni, hanno trovato, nel testo della Carta costituzionale, pieno accoglimento, il che, in massima, lascia vedere non dico l’entità, ma la similarità di vedute non solo fra l’ordine giudiziario e l’ordine forense, di cui io qui potrei dirmi il portavoce, ma in molti casi la unità di pensiero fra i membri della Commissione che preparò la Carta costituzionale.

È vero che sono stati presentati notevoli emendamenti sovra i quali la discussione specifica potrà essere opportunamente portata.

Intanto, io rilevo che l’indipendenza della Magistratura non può confondersi con la creazione di una casta chiusa, ma deve essere intesa come una salutare tendenza a mantenere nell’unità dello Stato il funzionamento libero e conveniente di tutti gli ordini, che, come il potere giudiziario, sono investiti di una loro speciale autonomia. Questa autonomia di funzione, di carriera, di disciplina deve essere sempre mantenuta rigorosamente. E se potremo raggiungere meglio questo fine attraverso gli emendamenti che sono stati presentati e che saranno poi illustrati, io credo che la Carta costituzionale, per questa parte, potrà ottenere il consenso e l’approvazione della Magistratura.

Peraltro, io pongo a me stesso un problema. Voglio essere pratico come lo fu il relatore onorevole Conti nella seduta di sabato scorso. Signori, voi me lo insegnate, questa è una carta morta che vuole però dare vita ad organismi i quali traggano dallo scritto l’interiore vitalità, senza della quale non potrebbero svolgersi gli intendimenti ed i propositi dei proponenti della Carta su cui ci soffermiamo. Ora qui si tratta di adattare al nuovo ordinamento stabilito in questo documento quella che deve essere la realtà viva, il funzionamento, la condizione della Magistratura.

E se io vi dovessi dire una parola sullo stato d’animo della Magistratura in questo momento, almeno di quella che io ho occasione più facilmente di avvicinare, non potrei nascondervi che la Magistratura oggi vive in uno stato di abbattimento, di incertezza. Molte cause contribuiscono a ciò. Accenno alle maggiori, che credo non siano sfuggite all’opera di chi presiede alla giustizia; non gli deve essere così sfuggito questo stato d’incertezza in cui vive la Magistratura, perché da ciò derivano inconvenienti nell’amministrazione della giustizia, dei quali, giorno per giorno, si accusano i magistrati, e non si accusa invece il difettoso funzionamento degli organi giudiziari; tutto si fa risalire oggi alla Magistratura, ed è pubblicamente qui da riprovare quanto spesso avviene nel Paese allorché alla Magistratura si fanno attacchi ingiusti. Su di essa si manifestano dubbi, le si addossano responsabilità e si crede di poter giocare con la Magistratura come con qualsiasi corpo politico adattabile, cioè se ne accetta l’opera e la si giudica favorevolmente solo quando dà ragione o arriva ad assoluzioni facili compiute in uno stato d’animo che non è né di libertà né di dignità. (Applausi al centro).

Signori, io vi parlo con molta franchezza e con quella imparzialità che mi deriva dall’osservare i fatti con uno stato d’animo il più indipendente, il più autonomo. Credo di rilevare queste condizioni particolari della Magistratura, aggiungendo che il Governo di oggi, il Governo di domani, lo Stato italiano per dire tutto in una parola, ha l’obbligo di preparare fin da ora tutti gli elementi i quali servano a far entrare la Magistratura nel contatto vivo di quegli elementi che rappresentano la sostanza scritta del documento che noi ora discutiamo. Perché da oggi al giorno in cui la Carta costituzionale sarà emanata, il tempo è breve, e come faremo, perciò, se fin da oggi non si compie questo compito di fattiva e sapiente preparazione?

Bisogna anzitutto pensare al trattamento economico dei magistrati, bisogna subito provvedere perché non si può dire sempre a questa gente: «aspettate». Intanto l’inverno viene e i magistrati non hanno di che riscaldarsi nelle aule e nei luoghi dei loro raduni. I magistrati vivono in una posizione di disagio anche per mancanza di personale efficiente. Si è creato da parte dei Governi precedenti un sovraccarico di funzioni, anche speciali, a carico della Magistratura, e non si è pensato che questo sovraccarico gravava su un personale che era già sproporzionato al vero lavoro in cui la Magistratura era già precedentemente impegnata. Quando io sento a proposito del progetto sulla stampa, che si è voluto stabilire il procedimento per direttissima, io mi metto a sorridere, perché si vede che nell’amministrazione della giustizia e specialmente in Italia si creano situazioni teoriche e non si pensa mai alla realtà che può soltanto essere assicurata con i mezzi esistenti. Ora c’è, è vero, il procedimento per direttissima, e stamane sentivo parlare di direttissima anche per le repressioni dell’attività fascista, ecc. Si farebbe molto meglio a rimettersi all’apprezzamento delle varie Procure per usare il procedimento più adatto e spedito, secondo le possibilità del lavoro giudiziario, anziché continuare a far leggi, come quella annonaria, in cui si è fatto un carico enorme di disposizioni transitorie, nuove, che regolano decreti precedenti; tanto che oggi in materia annonaria non sappiamo più da che parte volgerci, per cui sarebbe ora che il Governo pensasse a fare un testo unico che, coordinando le varie disposizioni, evitasse le anormalità che si verificano nella applicazione della legge, attraverso o ad agevoli e troppo facili soluzioni, o attraverso ad un rigorismo accompagnato da mandati di cattura qualche volta ferocissimi, dei quali si potrebbe fare a meno quando la norma legale non ne imponesse obbligatoriamente l’emissione. Se con tutto ciò si voglia far gravare sulla Magistratura un peso enorme di responsabilità, malgrado la incapacità delle sue forze nell’adempimento di tutto questo lavorò cui è costretta a sobbarcarsi, io non so; ma voi sapete che il decreto 10 agosto 1944 venne a stabilire mitigazioni in ordine al mandato di cattura, sia obbligatorio che facoltativo, e stabilì, nel caso di mandato di cattura facoltativo, un termine di 6-8 mesi, dopo i quali la detenzione dell’imputato sarebbe divenuta automatica nella sua terminazione.

Ebbene, quel decreto, la cui validità aveva limite circa tre mesi or sono, non è stato prorogato, e siamo, così, tornati a quelle gravissime disposizioni sul mandato di cattura che si erano volute evitare proprio col decreto 10 agosto 1944. Al Congresso di Firenze il Ministro informò che il provvedimento di proroga era in preparazione nel senso, però, di limitarla al fatto della terminazione automatica della custodia preventiva. In tale occasione io dovetti osservare al Ministro – e l’ho osservato anche informandolo privatamente – che la custodia preventiva sta in funzione del mandato di cattura facoltativo, perché soltanto in questo caso è applicabile.

Quindi, o voi ritornate alla integrità del decreto 10 agosto 1944 e farete opera giusta – vi dirò ora per quale ragione – o altrimenti voi, se togliete questa proroga, verrete a dare piena efficienza al codice fascista, con tutti i suoi inusitati rigori. Scegliete e provvedete, questo è il dilemma per chi regge oggi la giustizia.

Inoltre ho citato un inconveniente e vi dico subito in che consiste. Esso mi veniva segnalato la settimana scorsa da un dirigente di un importante ufficio di istruzione, il quale segnalava oltre l’inconveniente dell’enorme massa di processi che si arrestano per mancanza di personale e di altri mezzi necessari per provvedere alle istruttorie, altri inconvenienti gravissimi:

1°) che non si hanno a portata di mano gli imputati detenuti, che vengono frequentemente, anche per necessità, spostati da un carcere ad un altro, sicché quando il giudice istruttore li vuole interrogare, deve cercarli da tutte le parti e in tal modo l’istruttoria procede molto lentamente;

2°) non si vuol dare la libertà provvisoria, quando invece il decreto 10 agosto 1944 l’ammetteva. Ma le carceri sono piene zeppe e ne abbiamo avuto una eco anche ieri nella risposta del Ministro alle interrogazioni di alcuni colleghi, tra cui Pertini; e c’è di peggio: tutti trovano espedienti per ottenere una mitigazione e si dànno malati per andare in case di cura, oppure trovano un mezzo qualsiasi per eludere il rigore in cui li taglierebbe dal mondo una situazione che è delle più incresciose.

Detto ciò, signori, non insisto: ho detto di voler essere breve e passo oltre. Mi limiterò a dire una parola che è strettamente aderente al tema di cui ci occupiamo; accennerò all’ordinamento giudiziario penale. Non parlo dell’ordinamento giudiziario civile, perché in questi giorni una Commissione nominata dal Congresso di Firenze sarà a Roma e mi auguro che su quel punto potremo avviarci su una buona strada e diminuire il collasso del lavoro incompiuto, che ormai affligge tutti i tribunali per le cause civili.

Parliamo dell’ordinamento penale; e mi riferisco alla nostra proposta per dare la possibilità al giudice istruttore o al magistrato di merito di servirsi della polizia giudiziaria addetta alle Questure.

Questo è un argomento che va affrontato apertamente e senza peli sulla lingua. Signori, molte delle istruttorie penali vanno male, perché sono un monopolio della polizia, perché la polizia si diletta, per una sua abitudine o tendenza, a queste istruttorie. Si capisce anche la tendenza che c’è in ogni organo di allargare e di trattenere gelosamente quanto più è possibile la sua competenza su una determinata serie di attività.

Ma oggi c’è un latente conflitto, se non continuo, intermittente, fra le questure, la polizia giudiziaria, e le procure della Repubblica. Bisognerebbe invece qui mutare sistema. Il centro motore della polizia giudiziaria debbono essere le procure della Repubblica; non dovrebbe essere ammesso che le questure, come avviene quasi, direi, settimanalmente, se non giornalmente, trattengano per settimane, settimane e settimane i procedimenti, dopo l’arresto degli imputati, mentre la procura non ne sa nulla.

Accade, infatti, continuamente che noi ci si rivolga alla procura e la procura ci risponda che nulla risulta dalla sua rubrica, come è avvenuto in un processo per il quale da un mese e mezzo si fa la spola da una città all’altra e ancora si discute della competenza.

Ora, è ammissibile tutto ciò? Il principio, se veramente si vuole il senso della libertà applicato all’amministrazione della giustizia, nei rapporti di chiunque sia inquisito, deve essere questo: nei casi urgenti, si comprende che la polizia giudiziaria debba agire senza limitazione; ma in ogni modo essa deve informare subito la procura della Repubblica, con suo rapporto, del procedimento che si sta iniziando, perché è soltanto la procura della Repubblica che deve dirigere l’istruttoria o per lo meno iniziarla.

Sarebbe in tal modo evitato, seguendo cioè queste giustissime e ormai reclamate innovazioni, quello che succede oggi: che cioè i procedimenti pervengano alle procure già istruiti, dando, fra l’altro, luogo a tutta quella serie di questioni che nascono, che cioè gli interrogatori siano stati fatti sotto lusinghe o sotto minacce e con atti, con perizie che senza alcun dubbio esulano dalla competenza della questura. Avviene così che i fascicoli relativi ai processi si accumulino sui tavoli della questura; avviene così che si venga a ribaltare la causa o ad affrettarla oltre misura; avviene così che si commettano ingiustizie nel senso che si viene a condannare un imputato che meriterebbe di esser considerato innocente o che si consideri innocente un imputato che meriterebbe di esser considerato colpevole.

Il principio dunque che noi vorremmo vedere affermato nella Carta costituzionale e che io contemplo con uno specifico comma nel mio ordine del giorno è appunto costituito dalla proposta che la polizia giudiziaria passi direttamente alla direzione e alla competenza – salve le dovute norme di coordinamento – per tutto ciò che riflette al suo andamento e alla personificazione dell’organo che deve avere la responsabilità dell’istruttoria, all’autorità giudiziaria.

E non aggiungo altro, o signori, ché dire altre cose significherebbe aggiungere cognizioni a chi ne ha già troppe. Non dico rispondendo, ma accennando a quello che, con molta franchezza, ebbe l’opportunità di dire l’onorevole Conti, io rilevo che la Magistratura in Italia è in realtà fondamentalmente onesta. È molto più onesta di quel che non pensi il Paese. Ma sapete chi è molte volte che circuisce la Magistratura e attenta alla sua integrità? I faccendieri; i faccendieri che si annidano nelle Questure e si annidano nel foro esterno del tribunale. Io ho dovuto lottare e lotto contro questi faccendieri, i quali, non so perché, riescono sempre a prevalere contro la condotta degli avvocati onesti.

Poi, io vorrei che si richiamassero – e questo potrebbe farlo il Ministro; e farà cosa ottima – i Consigli forensi ad essere più avveduti, più severi, più accurati nella ricerca di queste inframmettenze che un po’ dappertutto, ma specialmente nei grossi centri, formano uno scandalo continuo. (Approvazioni). Si sente parlare di migliaia e migliaia di lire, vantandosi questi faccendieri di poter ottenere tutto per il loro tramite e, si sottintende, si ottiene dalla Magistratura, che si dà quindi come complice. Questo è un grossolano ma persistente millantato credito; verso la Magistratura, evidentemente, viene a crearsi nel Paese, per coloro che non ne conoscono la compagine e la condotta, un senso di sospetto, che è veramente doloroso, e di cui i magistrati, come si sono lagnati con me, hanno diritto di lagnarsi un po’ dappertutto. Perciò io ravviso qui la necessità di raccomandare alla solerzia del Ministro della giustizia di voler richiamare le procure della Repubblica ed i Consigli forensi ad intervenire con tutta l’energia possibile, volgendo le loro ricerche su queste vere piaghe, sia pure esteriori alla giustizia, ma che però influiscono sull’opinione che fuori si ha di poter ottenere tutto attraverso la corruzione dei giudici. Facendo questo si potrà collaborare a risanare l’ambiente, come ce n’è tanto bisogno.

Un’ultima osservazione. Vorrei dire una parola sola sulla questione della appartenenza dei magistrati ai partiti politici. E dico subito che sono contrario all’appartenenza dei magistrati ai partiti politici per una ragione superiore, nella quale io voglio che si mantenga e sia riconosciuta la posizione del magistrato.

E a proposito vi dirò che per primi i magistrati desiderano di non avere questa facoltà di iscriversi ai partiti politici. Vi riferirò un episodio, col quale termino. In quelle assemblee che ho detto essere state tenute a Bologna sotto la mia presidenza, ad un certo momento, avvocati molto colti ebbero a sostenere l’adesione libera ai partiti da parte dei magistrati. Si discusse del «sì» e del «no», specialmente nel ceto forense; ma ad un certo momento si alzò un insigne magistrato, universalmente stimato a Bologna, ove ha svolto un compito di grande integrità e di grande equilibrio; ed egli – vecchio, ma ancora fresco di forze ed esempio di grande onestà; una onestà che egli fino alla povertà oggi mantiene ed ha mantenuto in tutta la vita – si alzò e con parola calma disse: «Signori, alle vostre domande io oppongo una questione: sareste voi sicuri che di tutte le sentenze che noi alla Sezione istruttoria abbiamo dovuto emanare – sentenze più o meno controverse, più o meno temute, più o meno gravi – si sarebbe fatta accettazione da parte del pubblico, se noi fossimo stati esponenti di un partito politico? Evidentemente tutti avrebbero creduto, in un caso o nell’altro, che il partito A o il partito B o il partito C, secondo la natura dei giudici che hanno contribuito a formare quei giudicati, abbia influito a determinare o l’assoluzione o la condanna».

Signori, ho finito. La giustizia deve essere come la moglie di Cesare: deve essere esente da ogni richiamo e da ogni ombra; e ciò perché c’è tendenza nel Paese a dire che il magistrato si compra perché la giustizia se la fanno i più ricchi e per i poveri la giustizia non c’è.

Lasciamo andare l’eccesso di questa frase. Noi, in Assemblea Costituente, discutendo su questo argomento, dobbiamo sforzarci di dare all’ordinamento della giustizia e ai magistrati, sacerdoti della giustizia, un trattamento, un ordinamento tale da poter dire che si è fatto quanto era possibile a che la giustizia sia la vera condizione della libertà e della imparzialità del giudice! (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Gesumino ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente:

afferma che l’indipendenza dei magistrati, considerata non come privilegio loro concesso, ma come garanzia essenziale per i cittadini, impone sia costituzionalmente fissato l’assoluto divieto di essere iscritti ad un partito politico e di partecipare comunque a pubbliche manifestazioni politiche per tutti coloro che fanno parte dell’Ordine giudiziario, delibera che:

1°) istituita la giuria popolare, sia demandata alla legislazione del futuro Parlamento la fissazione delle norme che ne disciplinino il funzionamento, ne organizzino la formazione e ne disciplinino la competenza, tenuto conto dei dati dell’esperienza e delle necessità che i giudici popolari abbiano i requisiti necessari, intellettuali e morali per l’esercizio della loro grave funzione;

2°) siano conservati i tribunali militari, il cui funzionamento e la cui competenza saranno regolati da leggi del futuro Parlamento;

3°) con la creazione del Consiglio superiore della Magistratura, sia attribuita al Governo la facoltà ispettiva nel funzionamento dell’amministrazione della giustizia, al fine di rendere possibile l’iniziativa dell’azione disciplinare da parte del Ministro responsabile, ed il controllo parlamentare».

Ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO GESUMINO. Onorevoli colleghi, le molto concise osservazioni che io farò, dirette ad illustrare il contenuto del mio ordine del giorno, sono essenzialmente dirette alla precisazione di determinati concetti; perché, lungo questa appassionata discussione – certe volte di altissimo tono – che noi abbiamo fatta, io ho creduto, con sommessa modestia, di dovere rilevare che alcune volte, volendo seguire in tutti i possibili sviluppi i concetti espressi, si è dimenticato di partire dall’esatta posizione dei problemi.

Così, ad esempio, per quanto riguarda l’appartenenza o meno dei magistrati ai partiti politici. Sono perfettamente d’accordo col collega Bertini che il magistrato non debba appartenere a nessun partito politico. E non solo non dovrebbe appartenere a partiti politici, ma non dovrebbe partecipare pubblicamente a manifestazioni di carattere politico.

Ma questa mia affermazione è la diretta conclusione d’un principio che io credo debba essere univocamente posto.

Questa nostra faticosa impostazione del nuovo ordinamento giudiziario, che deve essere la base e, insieme, il coronamento della costruzione delle garanzie delle libertà dei cittadini, è diretta non a creare nell’ultima fase (autonomia della Magistratura, elevazione sociale e morale dei magistrati) un privilegio per la classe dei magistrati, ma è diretta soprattutto a creare la suprema garanzia per i diritti dei cittadini.

Badate, non si tratta d’una posizione puramente dialettica e formale. È posizione – secondo me – essenziale, perché noi in tanto dobbiamo creare questa suprema costruzione che dia ai magistrati l’autonomia e quasi l’autogoverno, in quanto questa autonomia e questo autogoverno rappresentino una garanzia ulteriore per i singoli cittadini.

Ogni autonomia ed ogni autogoverno devono cessare di funzionare quando da essi possa essere diminuito od in qualche modo offuscato il completo esplicarsi di tale garanzia.

Ora, se partiamo da questo principio, noi dobbiamo necessariamente dedurre (a prescindere da qualsiasi considerazione di ordine politico che io credo debba essere estranea alla «discussione attuale di ordine esclusivamente tecnico-giuridico) che la partecipazione del Magistrato a un partito politico sminuisce la garanzia dell’assoluta indipendenza del giudice.

Questa garanzia infatti non deve essere solo costituita nell’ordine logico giuridico, ma dev’essere subiettivamente appresa da ogni cittadino. Ogni cittadino deve avere, evidentemente, chiaramente, limpidamente la sensazione che il magistrato nel giudicare è estraneo a quella che può essere la passione di parte, o fazione di parte, o idealità politica, o lotta politica. Ora, come può questa garanzia che, come vi dicevo, deve essere apparente, deve essere certa, deve essere sicura, esistere quando il cittadino abbia visto partecipare a dimostrazioni politiche, magari contrarie alle sue idealità, il magistrato che poi deve giudicare della sua libertà e dei suoi interessi? Credo che evidente sia la risposta: il magistrato deve essere posto in una situazione tale da essere considerato non, come con frase abusata si dice, non sospettabile, come la moglie di Cesare, ma neanche adombrabile dal dubbio sulla sua purezza, nell’attimo supremo in cui esprime il suo giudizio. Identicamente – e in una sfera maggiore, anzi in una sfera più alta e comprensiva di tutte le nostre discussioni – io ritengo che l’autonomia dei magistrati, che si attui attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura, debba essere limitata dalle necessità di garanzia verso i cittadini.

Ma, onorevoli colleghi, se noi concepiamo l’autonomia e l’autogoverno della Magistratura quasi con un debito dovuto alla Magistratura a prescindere da ogni altra considerazione, considerandola nell’ordine puramente logico ed astratto, come necessità deduttiva del principio che la Magistratura non deve, nell’esercizio della sua suprema missione, essere in qualsiasi modo influenzata dagli altri poteri; se questa concezione noi dovessimo condurre alle estreme conseguenze, considerandola a sé, io credo che una tale autonomia, così intesa nelle sue più late accezioni, non potrebbe essere accettata. Se noi invece partiamo dal principio, che, come detto, deve essere considerato come essenziale presupposto di tutto il problema, noi vedremo che non è possibile porre la Magistratura al di fuori, quasi al di sopra, della compagine dello Stato. Noi dobbiamo questa autonomia della Magistratura considerarla incuneata, compresa, articolata nell’insieme dell’organizzazione dello Stato.

Ora, siccome non è possibile che noi neghiamo la necessità del controllo del Parlamento sul governo della Magistratura, mi pare eccessiva la frase contenuta nell’articolo del progetto in cui è detto che il Consiglio Superiore della Magistratura ha autonomamente, con esclusione di qualsiasi ingerenza, il governo della Magistratura. Perché allora io vorrei chiedere: come si potrà esercitare il controllo parlamentare sull’opera della Magistratura, che pure è essenziale in ogni Stato ordinato e libero? L’onorevole Conti, nel suo così vasto, così completo, così appassionato discorso ha elencato, tra i poteri che attualmente spettano al Ministro per la giustizia, il potere ispettivo; ma il potere ispettivo, contenuto nelle leggi attuali, dovrebbe essere inquadrato nelle norme costituzionali che noi dobbiamo statuire. Ora, se le norme costituzionali stabilissero la facoltà esclusiva del supremo organo della Magistratura di autogovernarsi, evidentemente la facoltà ispettiva del Ministro della giustizia si dovrebbe esplicare sulle attività marginali dell’amministrazione giudiziaria o sull’attività dei cancellieri, e non mai sul governo della Magistratura. Ma questo è inammissibile in un retto Governo e in uno Stato democratico.

Quindi io propongo, nel mio ordine del giorno, che «con la creazione del Consiglio Superiore della Magistratura, sia attribuita al Governo la facoltà ispettiva nel funzionamento dell’amministrazione della giustizia, al fine di rendere possibile l’iniziativa dell’azione disciplinare da parte del Ministro responsabile ed il controllo parlamentare».

Non credo che questo possa, in alcun modo, nuocere alla creazione di quella nuova Magistratura autogovernantesi ed organicamente costituita come potere autonomo nella sfera delle sue competenze, che noi vogliamo istituire. Noi dobbiamo questa nuova Magistratura crearla in modo da non estraniarla dall’ambito dello Stato; perché, se è vero che la divisione dei poteri è uno dei principî che hanno regolato la creazione dello Stato moderno, è anche vero che non si può ritenere la divisione dei poteri essere un qualche cosa di meccanico, che funzioni automaticamente, al di fuori della realtà sociale, giuridica e politica.

Anche la Magistratura, concepita come organo sovrano dello Stato e, se si vuole, come potere dello Stato, deve essere inquadrata, essere amalgamata, essere inserita nella Costituzione in modo da potere essere compresa in tutto quell’insieme di controlli, che forma la garanzia suprema della libertà di tutti i cittadini.

Ed io, che vi ho promesso di essere rapidissimo, passo senz’altro alla discussione dell’argomento intorno al quale tanta vasta eloquenza è corsa in quest’Aula: l’argomento della istituzione delle giurie popolari.

Permettetemi che vi dica che anche su questo punto è bene che si precisino più esattamente i concetti. La maggior parte degli oratori, che hanno negato l’opportunità dell’istituzione della giuria popolare, l’hanno negata affacciando le grandissime deficienze che la giuria popolare ha manifestato finora; hanno cioè negato, discusso, dichiarato inammissibile non l’istituto, ma la giuria popolare così come ha finora funzionato.

Ma noi non possiamo partire dal presupposto che la giuria popolare debba necessariamente funzionare nel futuro come sempre ha funzionato nel passato; e che non sia possibile costituirla diversamente e creare della giuria popolare un organismo giuridico tale che funzioni senza i difetti che giustamente sono stati affacciati, in modo da potere inserire nell’amministrazione della giustizia un istituto circondato dal prestigio e dalla forza derivantigli dalle sue fonti naturali, popolari, dirette. Si sono prodotti, a sostegno delle diverse tesi, molti esempi. Permettetemi che vi dica che anche io potrei fornirvi esempi numerosi e citarvi casi diversi, avendo indossato la toga del procuratore generale nelle Corti d’assise, e successivamente, per molti anni oramai, indossato la toga del difensore; sicché ho potuto valutare, partendo dalle diverse concezioni, da un campo e dall’altro, e i difetti e i pregi dell’istituto. Io ho iniziato la mia missione di avvocato, difendendo la parte civile in un processo in cui erano imputati varî fascisti che avevano selvaggiamente assassinato nel piccolo paese di Portoscuso, due poveri pescatori. Si era all’inizio del movimento fascista, e tutte le bande armate, assoldate dal potere, che ancora non si era fortemente costituito, ma che cercava in tutti i modi di fortemente costituirsi, premevano alle porte dell’aula dove si svolgeva il processo, affinché gli imputati fossero assolti. Ogni mezzo terroristico fu usato; ma i giurati non piegarono, e condannarono.

Successivamente io difesi in Corte di assise, per tre mesi, alcuni imputati di aver ucciso il segretario politico di un piccolo comune. Le forze del fascismo erano allora in piena esplosione di violenza; ed anche allora tutti i mezzi furono usati perché gli imputati venissero condannati. Quattro testimoni di difesa furono arrestati. Il processo durò tre mesi. Il collegio di difesa dovette in gran parte abbandonare l’aula ed affidare la difesa ad uno solo degli avvocati. I giurati – coti fermissimo animo – assolsero gli imputati ad unanimità di voti.

Per darvi un esempio dell’altro campo, vi dico che ancora echeggia nel mio cuore il pianto di una povera donna ottantenne che ho difeso davanti al tribunale. Era imputata di aver dato un litro di olio per un poco di grano. Io la difesi d’ufficio, disperatamente. Chiesi al tribunale che concedesse almeno, se non voleva accedere alla tesi dell’infermità mentale o della semi infermità mentale, la sospensione condizionale della pena.

Il tribunale non applicò la legge; ma applicò una circolare ministeriale che vietava la concessione della sospensione condizionale della pena, anche nei casi in cui la legge tale diritto attribuiva all’imputato condannato. Questo vi dico, perché è mia profonda convinzione che gli errori della Magistratura togata siano pari, nella linea morale e di fatto, agli errori che ha commesso l’antica giuria popolare. Dalla mia esperienza ho tratta la profonda convinzione che la giuria popolare ha in grado eminente quella dote essenziale che dovrebbero avere tutti coloro cui spetta il tremendo dovere di giudicare i propri simili: la particolare sensibilità derivante dall’essere il giudice prodotto dell’ambiente in cui il delitto nacque. Se un insegnamento profondo io ho tratto dalla mia vita e dalla mia passione di avvocato, l’insegnamento è questo: che allorquando si tratta dei più gravi delitti, soprattutto di quelli di sangue, non ci troviamo mai di fronte ad un fatto normale. Non è esatto che giudicare un ladro sia lo stesso che giudicare un assassino. Esiste tra i due giudizî una differenza essenziale. Nelle profondità stesse di ogni essere umano c’è un profondo ribrezzo per il sangue. Per superare questo ribrezzo, ed uccidere; per commettere questo atto che è tremendo per tutti, devono concorrere, insieme col crollo psicologico di tutte le barriere opposte dalla coscienza e dall’istinto, speciali situazioni di fatto, speciali condizioni ambientali, specialissime posizioni subiettive. Tutto deve essere valutato con sincerità e, direi, con naturalità, senza contorsioni dialettiche molte volte abili, troppe volte aberranti. La Magistratura ordinaria, attraverso la professione del giudicare, qualche volta perde la prontezza della facoltà di reagire con sensibilità umana al fatto umano.

Ed allora, per quali ragioni noi dobbiamo privare il cittadino di questo mezzo di giudizio, unicamente partendo dai difetti di funzionamento finora rilevati?

L’essenziale è che noi studiamo i mezzi per migliorarlo.

Affermiamo ora nella Costituzione il principio istitutivo della giuria popolare. Rimandiamo al futuro legislatore le norme, con cui questa funzione sarà disciplinata. Questa è la conclusione cui giungo nel mio ordine del giorno: della giuria popolare dovrà essere organizzata la formazione e disciplinata la competenza, tenuto conto dei dati dell’esperienza e della necessità che i giudici popolari abbiamo i requisiti intellettuali e morali richiesti per l’esercizio di questa grave funzione.

Penso che una giuria diversamente organizzata, diversamente scelta, diversamente composta, possa contemperare i pregi della Magistratura togata coi grandissimi pregi della Magistratura popolare.

Una delle ragioni, per cui penso che la giuria popolare è da conservare, è anche la seguente: il modo egregio con cui funzionano i tribunali militari. Non credo che questo debba parer strano a chi ha pratica dei tribunali militari. È mia profonda convinzione, formatasi attraverso l’esperienza personale, che, sia in pace come in guerra, i tribunali militari funzionino con tanto profondo senso di giustizia proprio perché si attua in essi quella formazione speciale della selezionata ed idonea giuria popolare, che io invoco.

L’istituto della giuria popolare rappresenta pertanto una necessità di giustizia, non formale ma sostanziale, anche se rapportato al tribunale militare, che ha sempre dimostrato prontezza di reazione psicologica e profondo senso di umanità.

L’obiezione fondamentale mossa contro l’istituzione della giuria, cioè la inappellabilità delle sue sentenze, deriva anch’essa dal presupposto che la giuria debba rimanere tale quale è stata organata finora. Non è obiezione insuperabile, perché non è impensabile una sentenza della giuria popolare riesaminata da una sezione della Corte di cassazione, anche nel merito, e rimandata ad altra Corte di assise per il riesame.

Non si dica, come con superficialità si è detto, che ciò snaturerebbe la Corte di cassazione; perché non è esatto che la Corte di cassazione non giudichi mai sul merito, che la sua funzione si esaurisce sempre in una pura indagine di diritto. In tutte le materie che attengono ai conflitti di giurisdizione e di competenza, la Cassazione giudica necessariamente anche pel merito. Perciò l’obiezione giuridica non regge, essendo sempre possibile che la Cassazione riesamini, anche nel merito, i giudizi delle Corti di assise, li annulli, e rimandi al giudizio di altra Corse di assise.

In quanto al sì ed al no, in cui si concentra tutto il giudizio dei giurati e che tanti clamori di disapprovazione ha suscitato in vari oratori, mi si consenta di dire che tutti i giudizi umani si concretano e si concludono in un sì od in un no. È la motivazione del sì e del no, quella che a noi sta a cuore. Anche qui si commette l’errore di dare come immutabile il funzionamento attuale della giuria, il quale non è altro che una trasformazione malfatta dell’antico funzionamento. Infatti anticamente i giurati si radunavano per il verdetto e discutevano in camera di consiglio per ore ed ore, in modo che il sì od il no era il frutto di una lunga meditazione e di una approfondita discussione.

In quanto alla motivazione, è possibile che voi, esperti giuristi, che qui siete convenuti da ogni parte d’Italia, vi fermiate di fronte ad un obiezione la quale può essere in molti modi, giuridicamente, superata? Come il magistrato togato può associarsi tecnici estranei alle sue file in certi giudizi, così non è impensabile che alla Magistratura popolare si aggreghi un giudice togato il quale partecipi al processo ed, in camera di consiglio, alle decisioni. Io non intendo presentare una conclusione, ma voglio prospettare una proposta unicamente per rilevare che le impossibilità affacciate da alcuni colleghi sono soltanto apparenti e non insuperabili, in quanto vengono dedotte da un dato di fatto inesatto ed aberrante. Si afferma la inaccettabilità della giuria popolare perché ha funzionato male; invece di studiare i mezzi e le forme perché funzioni bene. Vorrei aggiungere, e questo più che una affermazione, è un sentimento trepido, velato di angoscia, che tutta questa faticosa costruzione giuridica, tutta questa nostra Costituzione alla quale abbiamo collaborato con tanto appassionato amore, potrebbe risultare opera vana, costruita sulla sabbia, La garanzia suprema di tutti i diritti e di tutte le libertà, non consiste infatti nella formulazione sapiente di determinate norme, o nella creazione di determinati organi di tutela. Le une e gli altri, di solito, funzionano in periodo di pace, e non funzionano allorché la Nazione è squassata dalle tempeste interne ed esterne, susseguentisi nella storia. Ora, vorrei dire ai magistrati che, al disopra e al di fuori delle garanzie organiche loro concesse, i cittadini avranno la garanzia suprema nella loro coscienza, nella loro rettitudine, nella loro fermezza. E vorrei dire a tutti gli italiani che non ci sarà ordinata amministrazione della giustizia, finché non risorga in tutti gli spiriti il senso del rispetto del diritto e l’ossequio alla legge, garanzia suprema di tutte le libertà, finché dal profondo di tutti i cuori non rinasca il santo orrore del sangue e finché non ci sentiamo nuovamente fratelli nell’amore a questa nostra Patria e nel comune dolore per le sue immense sventure. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Dichiaro chiuso lo svolgimento degli ordini del giorno. Gli altri che mi sono stati consegnati nel corso di questa seduta, a tenore del Regolamento, non dànno diritto ai loro presentatori di svolgerli.

Un primo ordine del giorno è stato presentato dagli onorevoli Crispo, Quintieri Quinto, Rubilli, Candela, Villabruna, Rescigno, Martino Gaetano, Gabrieli, Bellavista, Cortese Guido, Sansone:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che la funzione del Pubblico Ministero nel procedimento penale è intesa a realizzare la pretesa punitiva dello Stato;

considerato che tale funzione ha un suo proprio carattere, e che l’esercizio di essa costituisce il Pubblico Ministero nella posizione di parte, nel contrasto tra le esigenze della tutela sociale e quelle della difesa dell’imputato, mentre, in tale contrasto, l’opera del giudice è in funzione di sintesi;

ritenuto, infine, che il ripetuto esercizio di detta funzione conferisce un abito mentale che mal si adatta all’opera giurisdizionale

afferma

la necessità che la carriera del Pubblico Ministero sia tenuta distinta da quella della Magistratura giudicante».

È stato poi presentato dagli onorevoli Rossi Maria Maddalena, Noce Teresa, Bei Adele, Merlin Lina, Mattei Teresa, Gallico Spano Nadia, Basso Lelio, Mancini, Cevolotto, Martino Gaetano, Abozzi, Costa, Veroni, Rubilli, Bonomi Ivanoe, Sansone, Bellusci, Gasparotto, Lussu, Porzio, Facchinetti, Paolucci, Mazzoni il seguente altro ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che con l’articolo 48 è stato solennemente affermato nella nuova Costituzione italiana il diritto della donna ad accedere alle cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza rispetto all’uomo,

afferma che nessuna limitazione dovrà essere posta dalla legge all’accesso della donna alla Magistratura».

Darò ora lettura di altri due ordini del giorno presentatli nel corso di questa seduta. Uno è firmato dall’onorevole Patricolo, del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente

afferma

che l’autonomia e l’indipendenza dei poteri dello Stato deve essere considerata come esigenza fondamentale di ogni regime democratico

delibera che il potere giudiziario venga riconosciuto dalla nuova Carta costituzionale dello Stato come potere autonomo e indipendente, senza pregiudizio della facoltà di sindacato e di controllo spettante al Parlamento.

L’altro ordine del giorno è firmato dall’onorevole Mortati ed è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, considerato:

che qualsiasi tipo di decentramento, il quale non voglia conformarsi allo schema federalistico, esclude ogni estensione di esso alla funzione giurisdizionale;

che, in ogni caso, contradittorio sarebbe invocare il principio del decentramento dell’istituto della cassazione e limitarne poi l’applicazione al solo ripristino delle quattro Corti soppresse nel 1923, mentre esso imporrebbe, per ovvie esigenze di logica e di equità, l’assegnazione ad ogni regione di una propria cassazione;

che questa necessaria conseguenza del decentramento accrescerebbe fino all’assurdo i noti inconvenienti della pluralità delle cassazioni, pluralità sconosciuta alle legislazioni di tutti i paesi del mondo;

che l’ordinamento regionale, anziché giustificare tale pluralità, esige l’attuazione di una maggiore unitarietà dell’interpretazione della legge, onde evitare che le divergenze interpretative ostacolino il sorgere dei rapporti fra cittadini appartenenti alle diverse regioni;

che la constatazione delle difficoltà manifestatesi in pratica al conseguimento dell’unità della giurisprudenza pur dopo l’accentramento della cassazione possono consigliare l’adozione di mezzi tecnici onde evitare in avvenire le difficoltà stesse, non mai giustificare il ritorno ad un sistema, verso cui erano in passato rivolte le critiche generali, e che riuscirebbe utile solo ad alcuni appartenenti alla classe forense, non certo agli interessi della Nazione;

delibera:

che la Corte di cassazione debba essere unica per tutto il territorio della Repubblica».

Faccio subito rilevare che non si tratta di ordini del giorno simili a quelli che l’Assemblea ha preso in considerazione in sedute precedenti e sui quali è giunta ad una votazione. Relativamente a quest’ultimo Titolo della Costituzione, gli ordini del giorno si sono moltiplicati con due caratteristiche. La prima è che ognuno di questi ordini del giorno si propone di dare risoluzione a tutta una serie di questioni. Essi non sono ordini del giorno che enunciano un problema e ne propongono la soluzione, ma ciascuno di essi prende in esame diversi punti del problema generale offrendone la soluzione. La seconda caratteristica è che, dato che questi punti essenziali non sono innumerevoli, questi ordini del giorno toccano tutti gli stessi punti e propongono soluzioni analoghe o quasi.

Ciò crea una grave difficoltà per l’ordine delle votazioni. Se poi aggiungo che ciascuno di questi ordini del giorno propone all’Assemblea di pronunciarsi su ciò che è materia dei singoli articoli, precludendo così la presa in esame degli emendamenti, che sono numerosissimi, mi pare che si debba concludere che in realtà su questi ordini del giorno, quanto meno in questo momento, non si possa o non si debba votare. Altrimenti sorgerebbe in primo luogo la questione a quale ordine del giorno dare la precedenza nella votazione? In secondo luogo, se noi votassimo, a fine discussione generale e prima di esaminare gli articoli, tutti questi ordini del giorno, praticamente pregiudicheremmo tutta una serie di votazioni che comunque bisognerà fare successivamente. Queste votazioni iniziali degli ordini del giorno assumerebbero infatti un carattere preclusivo, e l’Assemblea avrebbe il diritto, quanto meno in quella parte che rimanesse in minoranza, di protestare contro questa formazione troppo sollecita e prematura di decisioni.

Sono del parere che noi possiamo votare questi ordini del giorno, se mai, mano a mano che incontreremo gli argomenti specifici che essi trattano.

Occorrerebbe che in precedenza, però, i presentatori dei vari ordini del giorno, che toccano problemi comuni, con soluzioni eguali, si mettessero d’accordo, per presentare un testo solo, in maniera da togliere all’Assemblea la preoccupazione della scelta dell’ordine del giorno da porre in votazione.

Non vorrei che, accingendoci poi a votare quegli ordini del giorno che presentano una analogia e che sono confondibili tra di loro, sorgesse la questione della precedenza.

In genere gli ordini del giorno trattano questi problemi:

1°) La giuria. A questo tema è dedicato un articolo sul quale è stata presentata tutta una serie di emendamenti. Io credo che il modo migliore di pronunciarci sull’argomento è di votare sugli emendamenti e poi sull’articolo.

2°) L’indipendenza della Magistratura. Tutti coloro che hanno parlato, vi si sono a lungo soffermati.

Si ritiene necessario votare un ordine del giorno a questo proposito, o non è ben più consigliabile dare agli articoli della Costituzione per questo Titolo un tale contenuto, che assicuri di per sé questa indipendenza senza affermarla con una votazione che non porterebbe a nessun risultato concreto?

3°) La Corte costituzionale. Ho già fatto presente all’onorevole Adonnino che questo problema potrebbe essere esaminato quando passeremo al sesto Titolo di questa parte del progetto di Costituzione;

4°) Cassazione unica oppure Cassazioni regionali.

Nel testo del progetto non c’è nessun articolo che si riferisca al problema della Cassazione, ma vari emendamenti lo trattano e propongono. Io credo che sia opportuno rinviarne, al momento nel quale li esamineremo, la soluzione, e pertanto di decidere allora sugli ordini del giorno che propongono la Cassazione unica o le Cassazioni regionali.

5°) Ed infine abbiamo la questione del divieto della iscrizione a partiti politici da parte dei magistrati. Data la definita concretezza della questione, mi pare che sia assai meglio votare sull’articolo, anziché su un ordine del giorno, che dovrebbe poi essere a sua volta trasfuso in un articolo per acquistare valore costituzionale.

Per tutte queste considerazioni io sono del parere che (essendo stato utile ed interessante ascoltare in soprannumero, oltre agli oratori iscritti nella discussione generale, anche i presentatori degli ordini del giorno), giunti a questo punto, possiamo passare all’esame degli emendamenti.

Se non vi sono obiezioni, o se qualche presentatore di ordine del giorno non rivendica il diritto di porlo in votazione, propongo dunque all’Assemblea di passare all’esame degli emendamenti relativi all’intitolazione di questo titolo.

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione a questo riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Aderisco pienamente alla proposta del Presidente.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Vi è una prima serie di emendamenti, già svolti, in ordine alla intitolazione del Titolo IV:

«Sostituire il titolo: La Magistratura, con l’altro: Potere giudiziario, oppure, subordinatamente: Ordine giudiziario.

«Romano».

«Sostituire il titolo: La Magistratura, col seguente: Amministrazione della giustizia.

«Colitto».

«Sostituire il titolo: La Magistratura, col seguente: Il potere giudiziario.

«Mastino Pietro».

«Sostituire il titolo: La Magistratura, col seguente: Il potere giudiziario.

«Persico».

Prego l’onorevole Ruini di voler esprimere l’avviso della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il termine proposto nel testo, e cioè «Magistratura», corrisponde, con euritmia e con concretezza, agli altri che designano i vari Titoli: Parlamento, Governo, ecc.; e mi sembra dia risalto e debba soddisfare i magistrati. Ad ogni modo, non è questione sostanziale; e di fronte a tutte le nuove intitolazioni proposte, il Comitato di redazione non si oppone a che sia adottata un’altra espressione, che possa ottenere più larghi consensi.

Dichiaro subito, relativamente alla proposta «Il potere giudiziario», che il Comitato sente profondamente ciò che significa la distinzione dei poteri come spirito di tutta la Costituzione. Ma un incasellamento preciso di norme in tal senso non è possibile; avremmo dovuto dire anche: «Il potere legislativo» e «Il potere esecutivo». Non è, per questa ragione, possibile accettare la proposta dizione.

Per quanto riguarda «Ordine giudiziario» – o giurisdizionale, come è proposto dall’onorevole Grassi – ci sembra che questa espressione, che potrebbe valere al più per una sezione, non corrisponda a tutto il contenuto del titolo e non abbia lo stile delle altre formule: Parlamento, Governo, ecc.

Se si vuol mutare «Magistratura» preferiamo si adotti un altro termine «La giustizia», che è largo e solenne, e che è usato in altre Costituzioni, come la weimariana. È un po’ astratto, ma dà il senso alto della funzione, di cui si tratta nel titolo.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Non penso che sia una grossa questione questa dell’intitolazione del Titolo IV. Però, siccome questa intitolazione entra nella seconda parte della Costituzione, intitolata «Ordinamento della Repubblica», e siccome ogni Titolo specifica gli organi e l’organizzazione che corrispondono ai vari poteri dell’ordinamento generale della Repubblica, penso che l’intitolazione «La Magistratura» sia quella da preferire; nel senso che, per mantenere l’euritmia di tutte le intestazioni fatte, dobbiamo dire anziché «La giustizia» (che rappresenterebbe non più un organo, ma la funzione dell’organo stesso), «La Magistratura».

Preferirei questa dizione.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la proposta che lei ha fatto è della Commissione, ovvero lei ha parlato a titolo meramente personale?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È la proposta del Comitato, piuttosto che la mia personale. Io vi ho acconsentito, ripeto, perché non è questione sostanziale, e di fronte alle difficoltà sollevate con la pioggia, che comincia qui, degli emendamenti, cerco di concludere e di evitare lunghi dibattiti.

Il Comitato propone «Giustizia»; ma se l’espressione non è accolta dall’Assemblea, io insisto per la intitolazione anteriore di «Magistratura».

PRESIDENTE. Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, lei mantiene il suo?

COLITTO. Io non insisto nel mio emendamento, anche perché la formulazione da me proposta «L’amministrazione della giustizia» si avvicina alla formulazione proposta dalla Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Grassi, lei allora fa propria l’intitolazione: «La Magistratura»?

GRASSI. Sì, onorevole Presidente. Noi abbiamo infatti la prima intitolazione, che è «Il Parlamento», quella del secondo titolo, che è «Il Capo dello Stato», quella del terzo, che è «Il Governo»: noi abbiamo quindi intestato tutti i titoli agli organi e non alle funzioni. È evidente quindi che anche in questo caso dobbiamo dire «La Magistratura»; avremmo dovuto dire infatti altrimenti: anziché «Il Governo» «L’esecutivo» e così via.

PRESIDENTE. Passiamo allora alle votazioni. Restano dunque le seguenti proposte: quella base della Commissione, che è attualmente la seguente: «La Giustizia»; vi sono poi altre tre proposte. Gli onorevoli Romano, Mastino Pietro e Persico propongono «Potere giudiziario»; l’onorevole Romano propone ancora, in subordine, «Ordine giudiziario». L’onorevole Grassi poi, riprendendo il primitivo testo della Commissione, propone «La Magistratura».

GHIDINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Io voto per l’intitolazione «La Giustizia». La ragione è che, con l’intitolazione «La Magistratura», come anche con l’intitolazione «Il Potere giudiziario» o «L’Amministrazione della giustizia», siamo perfettamente intonati soltanto con il sottotitolo della sezione prima, che riguarda appunto l’ordinamento giudiziario; ma non siamo invece intonati con il sottotitolo della sezione seconda, relativo alle norme sulla giurisdizione.

Per questo motivo quindi io voterò a favore dell’intitolazione «La Giustizia».

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il nostro Gruppo voterà per la formulazione originaria della Commissione, e cioè per «La Magistratura», per una ragione di armonia generale fra i Titoli delle diverse parti, che non può essere modificata per le considerazioni fatte testé dall’onorevole Ghidini: non si può concepire l’armonia di un Titolo preso a sé e in riferimento al suo contenuto. I Titoli si collegano di capitolo in capitolo e devono avere una loro continuità. Tutti i Titoli contengono un richiamo concreto a determinati organi; questo sarebbe l’unico Titolo che introdurrebbe una formulazione astratta. Non comprendiamo il senso di questa modificazione e voteremo perciò il Titolo originario.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io rivolgo una preghiera all’Assemblea, e cioè di voler tenere presente il chiaro indirizzo del Comitato: noi non possiamo accogliere le designazioni di «Potere giudiziario» o di «Ordine giudiziario», perché queste, sì, altererebbero tutta la simmetria della Costituzione e creerebbero posizioni ed impostazioni non chiare. Il Comitato non può accettare tali dizioni.

La sua vecchia dizione rispondeva ai criteri di concretezza che sono stati qui accennati; il Comitato l’ha modificata ed io non mi sono opposto, perché ritenevo che, così mutando, si avrebbe più facile consenso. Se non è così, torniamo pure alla dizione di «Magistratura».

Ciò su cui insisto è che non si adotti né «potere» né «ordine giudiziario».

CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Noi del Gruppo liberale voteremo contro la sostituzione della parola «Giustizia» a quella di «Magistratura», perché per noi «Giustizia» indica un concetto astratto e non la funzione né l’organo della funzione.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora passiamo alla votazione.

Pongo ai voti per prima la formulazione fatta propria dall’onorevole Grassi, perché mi pare, per le ragioni stesse con le quali si è sostenuta la formula contraria, la più lontana dalla proposta della Commissione.

Pongo quindi ai voti la vecchia formulazione: «La Magistratura».

(È approvata).

Vi sono ora delle proposte di emendamento al sottotitolo della Sezione I di questo Titolo IV.

Vi sono due emendamenti relativi alla intitolazione della Sezione I, che nel progetto è: «Ordinamento giudiziario». Il primo è dell’onorevole Romano, il quale lo ha già svolto:

«Sostituire la denominazione della Sezione I: Ordinamento giudiziario, con l’altra: Funzione giurisdizionale».

Il secondo è dell’onorevole Grassi:

«Sostituire la denominazione della Sezione I: Ordinamento giudiziario, con la seguente: Ordinamento giurisdizionale».

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerlo.

GRASSI. Si tratta di una semplice osservazione. Se noi parlassimo soltanto della Magistratura ordinaria, andrebbe benissimo «ordinamento giudiziario»; ma siccome comprendiamo anche il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, ritengo che tecnicamente sia meglio dire «ordinamento giurisdizionale».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per verità, nel desiderio che ho di ottenere un consenso e di non ritardare, potrei accedere alla proposta dell’onorevole Grassi. Però faccio una riserva. Io desidero che, quando noi avremo approvate tutte le disposizioni sulla Magistratura fino all’ultima, si veda se è il caso di conservare due sezioni o no, perché è possibile, riducendo al minimo le «norme sulla giurisdizione» e rimandandone una parte all’ordinamento giudiziario o ai Codici e alle leggi di procedura, che non si senta più la necessità di una apposita sezione. Quando si può semplificare, io sono contentissimo.

PRESIDENTE. Lei fa una proposta formale di sospensiva?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se occorre, sì; propongo la sospensiva sulla intitolazione delle sezioni, che scompariranno se sfronderemo, e quindi sopprimeremo, la seconda sezione. Non avrei difficoltà a votare l’intitolazione dell’onorevole Grassi, con l’intesa di tornarvi su se non faremo più le due sezioni; ma per chiarezza ed ordine dei lavori è meglio votar la sospensiva.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini propone di sospendere la decisione a questo proposito. Pongo ai voti la sua proposta.

(È approvata).

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 94. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo.

«I magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano ed applicano secondo coscienza.

«I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».

PRESIDENTE. A questo articolo 94 sono stati presentati numerosissimi emendamenti, molti dei quali sono stati già svolti. Così, l’onorevole Mastino Pietro ha svolto il suo emendamento che era il seguente:

«Sostituirlo col seguente:

«La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero, che dipendono soltanto dalla legge».

L’onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Sono stati svolti anche i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:

La funzione giurisdizionale, espressione diretta della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo italiano.

«I magistrati non hanno vincoli di subordinazione gerarchica e sono tenuti soltanto alla osservanza della legge che interpretano ed applicano secondo coscienza.

«Caccuri».

«Sostituire il primo ed il secondo comma con i seguenti:

«Il potere giudiziario emana direttamente dalla sovranità dello Stato.

«Questo lo esercita a mezzo di magistrati indipendenti.

«Le sentenze sono rese in nome del popolo.

«Castiglia».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo italiano.

«Romano».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo.

«Colitto».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La funzione giurisdizionale, espressione della volontà popolare, è esercitata in nome della Repubblica.

«Bellavista».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il potere giudiziario, emanazione diretta ed immediata della sovranità dello Stato, esercita la funzione giurisdizionale in nome del popolo».

«Adonnino».

«Al primo comma, dopo le parole: in nome del popolo, aggiungere l’altra: italiano.

«Persico».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I magistrati sono indipendenti e sono soggetti soltanto alla legge.

«Ruggiero Carlo».

«Sopprimere l’ultimo comma.

«Subordinatamente, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete.

«Ruggiero Carlo».

«All’ultimo comma, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete.

«Persico».

«All’ultimo comma, dopo la parola: segrete, aggiungere: né far parte di qualsiasi organo estraneo alla Magistratura.

«Damiani».

«All’ultimo comma, aggiungere le parole: né essere chiamati a far parte di Commissioni od organi di carattere politico.

«Rossi Paolo».

L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, sostituire: La funzione giudiziale».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. È una questione tecnica. Mi sembra che la funzione sia giudiziale e che si debba dire appunto giudiziale e non funzione giurisdizionale. È una tautologia, una ripetizione. Quindi mi pare che l’argomento che adduco sia sufficiente per giustificare questa proposta di sostituire alla formula. «funzione giurisdizionale» quella di «funzione giudiziale».

Credo poi che sia inutile aggiungere «espressione della sovranità della Repubblica» e possa solo bastare dire «la giurisdizione».

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato i seguenti altri emendamenti:

«Sopprimere il secondo comma.

«Subordinatamente, alle parole: dipendono, sostituire le altre: sono vincolati, e sopprimere le parole: che interpretano ed applicano secondo coscienza».

Ha facoltà di svolgerli.

COSTA. Ritengo che il secondo comma sia superfluo. E ad ogni modo, non si dica che i magistrati «dipendono» soltanto dalla legge, ma che i magistrati «sono vincolati» soltanto dalla legge.

È un’espressione tecnica, che mi sembra assai più appropriata di quella della dipendenza, la quale fa pensare a un rapporto gerarchico, mentre il concetto è che i magistrati non hanno altro vincolo, altra soggezione che quella della legge. Mi sembra, poi, superfluo dire che questa legge i magistrati «interpretano ed applicano secondo coscienza».

È inutile che ciò dica la Costituzione. Trattasi di un principio di ordine morale e giuridico il quale è nella coscienza comune. Quindi considero una superfluità che se ne occupi la Costituzione.

Poi, quanto all’ultimo comma, quello riguardante i partiti politici, propongo che sia soppresso per le ragioni che da vari oratori sono state svolte nella discussione generale.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: La funzione giurisdizionale, sostituire: La giurisdizione;

sopprimere l’inciso: espressione della sovranità della Repubblica;

alle parole: è esercitata in nome del popolo, sostituire: è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’esercizio della giurisdizione nei processi di Corte d’assise nei modi stabiliti dalla legge».

«Sopprimere l’ultimo comma».

L’onorevole Nobili Tito Oro ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, la lunga, nutrita e profonda discussione seguita su questo Titolo ha dimostrato insieme il culto che l’Assemblea, scrupolosa interprete del sentimento della Nazione, ha per la giustizia, bene a ragione definita fundamentum rei publicae, e la necessità che essa avverte di dare alla Magistratura, che ne costituisce il sacerdozio, quelle garanzie di difesa morale e di indipendenza economica e politica che, da tanto tempo reclamate e promesse, non tollerano più dilazioni. D’altra parte esse implicano, per il nuovo ordinamento che l’indipendenza politica della Magistratura esige, la necessità che vi sia provveduto in sede di Costituzione. Il consenso di tutti i Gruppi in questo generale riconoscimento, renderà più agevole l’esame degli articoli e più facile l’accordo sulla loro definitiva formulazione; perché attorno al problema della giustizia la cura di ciascuno di noi si è trasformata in una spasmodica emulazione per la ricerca del meglio; così da richiamarci alla mente la rievocazione fatta dall’onorevole Ruini, nella sua relazione al progetto, di quel simpatico amico dell’Italia che fu Henry Beyle, alias monsieur de Stendhal, spirito lucido, come egli lo definisce e – aggiungerei io illuminato, il quale – è l’onorevole Ruini che ce lo ricorda – ha scritto che, avvicinandosi a una Costituzione, egli si sentiva sempre preso da un vero senso religioso. Bisogna avere la lealtà di riconoscere che tale è il sentimento che domina noi tutti nell’affrontare questo Titolo, che contempla il segreto della pace dei singoli e della fratellanza fra i cittadini.

Bisogna riconoscere che il testo del progetto risponde sufficientemente non soltanto ai desideri dell’Assemblea, ma anche alle richieste dell’Associazione nazionale dei magistrati: le manchevolezze che essi rilevano potranno essere facilmente eliminate, mentre le pretese lacune non si addimostrano effettivamente tali riguardando materia di legge ordinaria. Il Titolo, così come proposto dalla Commissione, si preoccupa di fermare due principî fondamentali, quello della unità della giurisdizione, che non tollera abuso e prolungamento di giurisdizioni speciali, e quello della autonomia e dell’indipendenza della Magistratura. I due principî sono sanciti, rispettivamente, sotto l’articolo 95 e sotto l’articolo 97; mentre l’articolo 94 riguarda le fonti della giurisdizione e gli articoli dal 98 al 100 contengono norme completive.

Avete udito, onorevoli colleghi, quale sia il testo dell’articolo 94 come da me emendato; esso comprende anche gli emendamenti che ha svolti testé il collega Costa. Mi permetterò di aggiungere qualche breve considerazione in ordine a questi e ai rimanenti emendamenti miei.

Al primo comma del progetto: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo» io propongo di sostituire: «La giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».

Le ragioni di queste modifiche sono evidenti. La giurisdizione è termine tecnico e chiaro, e nel suo significato proprio vuol dire appunto: «La funzione giurisdizionale».

«La giurisdizione» significa «dichiarazione del diritto», «applicazione della legge», e quindi «funzione e potestà di giudicare». Pertanto è pleonasmo tautologico dire «funzione giurisdizionale» anziché puramente e semplicemente «giurisdizione».

A questa locuzione segue, nel testo del progetto, l’inciso: «espressione della sovranità della Repubblica». Mi si permetta di confessare che lo trovo non necessario, pretenzioso, non producente; esso non può rappresentare la definizione della giurisdizione, in quanto non ne determina il contenuto; non ne segnala né una caratteristica essenziale, né una caratteristica differenziale; perché espressioni della sovranità della Repubblica sono del pari l’esercito, che si substanzia nel diritto di difesa armata dello Stato e del suo territorio, la diplomazia che realizza il diritto di ambasceria, il Parlamento che esercita il potere legislativo, il Governo e l’amministrazione che il potere esecutivo esprimono nel diritto di batter moneta e di imporre tributi, ecc. L’attribuzione di una caratteristica che non è speciale ed essenziale della giurisdizione, che abusa di un nome che deve esser sacro e che per questo non va sciupato con l’abuso, ad evitare atteggiamenti demagogici e vacuità stilistiche, costituiscono già giustificazione sufficiente alla proposta soppressione dell’inciso.

D’altra parte, dire che la giurisdizione è «espressione della sovranità della Repubblica» è un pleonasmo concettuale rispetto all’affermazione successiva che essa «è esercitata in nome del popolo»: anche la sovranità, dalla quale la giurisdizione deriva procede dal popolo, al pari della sovranità della Repubblica. E precisare che la giurisdizione è esercitata in nome del popolo non è soltanto riallacciarsi alla formula d’investitura della potestà giusdicente, che nel nostro ordinamento repubblicano abbiamo sostituita alla quasi secolare, aulica e non veritiera formula d’investitura cesarea, come requisito formale delle sentenze che sono il prodotto della giurisdizione, ma è precisare la fonte prima dalla quale la giurisdizione deriva: giacché dai primordi della umana società, dal periodo matriarcale e patriarcale alle prime civiltà, fu sempre nel popolo, e non soltanto simbolicamente, il potere di rendere giustizia. Per questo dicevo che il primo articolo del Titolo quarto riguarda la fonte della giurisdizione; per questo ho proposto che anche la norma dell’articolo 96, che al popolo riserva la diretta partecipazione all’esercizio della giurisdizione nei processi di Corte di assise, sia qui trasferita.

Ma l’emendamento da me proposto al primo comma va ancora oltre: poiché questa parte della Costituzione s’intitola alla Magistratura, e questo titolo è stato già approvato: poiché questo primo articolo riguarda la fonte della giurisdizione e il suo esercizio, io non vedo la ragione per cui non si dovrebbe dire subito, in questa stessa sede, che la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura, agganciando immediatamente alla trattazione l’organo della giurisdizione che ne forma l’oggetto.

E ho proposto altresì di non limitarci a dire, coll’abusato linguaggio dei sacri principî, che la giurisdizione è esercitata in nome del popolo, ma di precisare concretamente, che essa è esercitata «in nome del popolo italiano». So che mi si obietterà che l’aggettivazione è superflua: purtroppo, onorevoli colleghi, a parte che un’aggettivazione si fatta non potrebbe mai, almeno sentimentalmente, considerarsi sciupata, versiamo in una situazione che non la rende affatto superflua: il vecchio Piemonte, ha reclamato, per voce dell’onorevole Villabruna, la reintegrazione nel godimento della Cassazione sabauda e contro l’unità della nostra legislazione si è decisamente manifestata la tendenza regionalista. Onde non è affatto superfluo porre il punto fermo, così che non si abbia domani, in sede legislativa, ad avanzare la pretesa che siano pronunciate sentenze in nome del popolo della Valle, di quello siciliano, di quello sardo, di quello veneto, ecc.

Ecco dunque perché, soppresso l’inciso, ho proposto di sostituire al primo comma «la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».

E vengo al secondo comma, che nel testo del progetto dice «i Magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano ed applicano secondo coscienza». È affermazione questa che prelude alla concreta dichiarazione di indipendenza che faremo fra poco risolutamente all’articolo 97. Mi pare che sia perfettamente inutile questa prolusione astratta, superflua, vaga e di stile che vorrei superato. Che cosa significa: i magistrati «dipendono soltanto dalla legge»? È poi elementare, che il magistrato ha per compito specifico di interpretare e di applicare la legge e di farlo secondo la propria coscienza. Questa è una cognizione così estesa, di così generale dominio, che appare assolutamente pretenzioso sentire il bisogno di enunciarla in una Costituzione.

Per queste ovvie considerazioni, e per evitare il più possibile il superato stile illuminista ad alleggerimento del testo, io ho proposta la soppressione del comma. E la raccomando all’Assemblea. E soggiungo che, se qualche cosa si sentisse il bisogno di proclamare qui in riferimento al tema annunciato, sarebbe preferibile la concreta affermazione che il magistrato requirente, il pubblico ministero, non rappresenta, come fìnora si è tenuto ad affermare, il potere esecutivo, ma soltanto la legge della quale è depositario, custode e vindice. (Approvazioni). Questo potrebbe utilmente inserirsi ove non piacesse meglio inserirlo altrove.

Il terzo comma, onorevoli colleghi, è stato largamente svolto, e io confido che tutta l’Assemblea si trovi d’accordo nel volerlo soppresso.

Confido che tutta l’Assemblea sarà concorde nel respingere il pensiero che ai magistrati possa vietarsi l’appartenenza a partiti politici, che possa imporsi loro questa inaudita diminutio capitis, che sopprimerebbe completamente la loro eguaglianza a tutti gli altri cittadini nel godimento delle libertà essenziali, da quella di pensiero a quella di associazione; che toglierebbe loro, in una parola, quei diritti politici che sono la caratteristica non soltanto del vir probus, ma di ogni cittadino. Il magistrato deve conservare intatti e intangibili questi diritti e deve solo corrispondere, nel loro esercizio, a quei doveri di compostezza e di austerità, che formano le caratteristiche indefettibili del suo ministero, che è sacerdozio. Si può partecipare alla vita politica senza darsi all’attivismo demagogico ed esasperato, che potrebbe sminuire la fiducia dei litiganti per la manifestazione di dissenso politico o per quella di consenso coll’uno o coll’altro di essi. Il magistrato deve sapersi imporre il riserbo, deve saper porre il sentimento della giustizia al di sopra di ogni divergenza politica; e quando, così comportandosi, egli saprà tenere lontano il sospetto di partigianeria faziosa, acquistandosi la fiducia delle parti quale che ne sia il pensiero politico, egli avrà assolto ogni dovere, verso la legge e verso il proprio ufficio; e null’altro si potrà esigere da lui. Il divieto di questo terzo comma, a parte anche l’impossibilità di un serio controllo della relativa osservanza, ricorda concezioni di tempi passati, che non torneranno mai più.

Detto questo, non ho bisogno di occuparmi – e credo che l’astensione conferisca senso di responsabilità alla discussione – di quegli emendamenti che hanno voluto fare una distinzione fra l’iscrizione ai partiti politici e l’iscrizione alle associazioni segrete. Riassumendo. Vanno soppressi, secondo la mia proposta, i commi due e tre. Ma, poiché, come ho spiegato, nell’articolo 94 io vedo l’indicazione delle fonti della giurisdizione, in quanto vi si afferma che la Magistratura esercita la giurisdizione in nome del popolo, io vorrei qui completare lo sviluppo di questo concetto, col trasferirvi la disposizione che è contenuta all’articolo 96, per quanto riguarda la possibilità della partecipazione diretta del popolo all’esercizio della giurisdizione nei processi di Corte di assise. In altri termini, poiché nel primo comma è affermato che la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo, il che implica il riconoscimento che il potere di giustizia risiede originariamente nel popolo, io chiedo che al popolo sia riservato di partecipare direttamente ai processi di Corte d’assise nei modi stabiliti dalla legge. Non faccio richiamo specifico alla giuria, ma chiedo sia affermata la possibilità che coll’ordinamento giudiziario o coll’ordinamento processuale si riconosca al popolo questo diritto nelle forme che saranno stabilite; mi pare che questa formula possa soddisfacentemente risolvere i contrasti che si sono rivelati: dacché rimane impregiudicata la forma della reclamata partecipazione del popolo a questi giudizi, che riguardano anche i più gravi processi politici; come rimane impregiudicata la reclamata necessità d’imporre anche per essi la motivazione delle decisioni e di riconoscere contro queste il diritto di appello.

Affido per tanto fiducioso all’Assemblea il testo di questo articolo, quale risulta dagli emendamenti da me proposti. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Grassi, al secondo comma, così formulato:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, che applicano secondo coscienza».

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerlo.

GRASSI. Ho presentato un emendamento per il secondo comma, perché per il primo comma io non avrei nessuna difficoltà ad accettare il testo della Commissione. Però ritengo utile il secondo comma, per quanto l’onorevole Oro Nobili abbia detto che si tratta di affermazione generica, ed effettivamente questa affermazione generica potrebbe essere superflua, dato che nell’articolo successivo si parla di indipendenza della Magistratura. Tuttavia io penso sia necessario che rimanga, perché mentre lì parliamo di Magistratura in genere, che è indipendente ed autonoma, qui invece parliamo dei singoli, facenti parte dell’organo generale. Dire la frase «dipendono dalla legge» mi sembra più corretto, in quanto non è un senso di dipendenza dalla legge, ma un senso di soggezione di tutti i cittadini alla legge. L’importante è dire, con questa affermazione, sia pure di carattere teorico e generale, che non solo la Magistratura, ma il singolo magistrato è libero e indipendente e non è soggetto che soltanto alla legge.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Palma così formulato:

«All’ultimo comma, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete».

Ha facoltà di svolgerlo.

DE PALMA. L’emendamento da me presentato non credo che abbia bisogno di essere illustrato. È già stato illustrato da altri, quindi io lo mantengo riportandomi a quanto altri colleghi hanno precedentemente detto.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Grassi, ha fatto la stessa proposta.

GRASSI. Sì, siamo tutti d’accordo. L’articolo 13 della Costituzione proibisce le associazioni segrete, quindi sarebbe inutile ed anzi pericoloso dirlo in queste occasioni.

PRESIDENTE. Poiché vi sono numerosi emendamenti del tutto simili, vorrei pregare i presentatori di volersi mettere d’accordo fra loro perché uno solo li svolga.

Segue l’emendamento dell’onorevole Perrone Capano:

«Al terzo comma, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete».

L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole De Palma.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Sardiello.

«All’ultimo comma, aggiungere le parole seguenti: né accettare cariche ed uffici pubblici elettivi».

Non essendo presente l’onorevole Sardiello, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Varvaro:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«I magistrati non possono essere destinati ad uffici estranei all’ordine giudiziario».

Non essendo presente l’onorevole Varvaro, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Caroleo:

«Al secondo comma, dopo le parole: secondo coscienza, sostituire le altre: secondo la volontà, che vi è espressa».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Il mio emendamento è questo: alle parole «secondo coscienza» sostituire le altre: «secondo la volontà, che vi è espressa».

È ben detto che i magistrati devono dipendere esclusivamente dalla legge, ma bisogna intendersi bene a proposito di questa dipendenza, che verrebbe in certo qual modo superata dall’aggiunta delle parole «secondo coscienza».

Io penso che quando ci si riferisce ai magistrati italiani sia inutile fare un appello alla coscienza, mentre è necessario, se non si vuol cadere in una specie di contraddizione, fare un espresso richiamo alla volontà della legge, altrimenti sarebbe quasi inutile affermare che i magistrati dipendono dalla legge.

In ogni paese democratico, più che di separazione, deve parlarsi di delimitazione di poteri, e la legge segna il limite della sovranità devoluta ai magistrati, come la legge segna il limite per tutti gli altri poteri dello Stato. Ho sentito da taluno affermare che l’indagine del giudice intorno al pensiero del legislatore sia quasi un conformismo, uno zelo inammissibile per il magistrato. Ma questo mi pare che non sia rispondente al principio della indipendenza della Magistratura, che trova il limite nella legge, e soltanto nella legge. Perché, se questo è, bisogna non soltanto ammettere, ma addirittura fare obbligo al magistrato di ricercare, ogni qual volta applichi o interpreti la norma, il vero pensiero del legislatore. Taluno confonde spesso la pessima legge con il presupposto conformismo del magistrato; ma occorre tener presente che, anche quando si ha riguardo al periodo fascista e si fa rimprovero ai magistrati di essersi conformati alla legge, quel rimprovero e quel processo andrebbero più rettamente fatti alla pessima legge che si poté emanare durante il fascismo e non al cosiddetto conformismo del magistrato.

Su questo punto, onorevoli colleghi, credo ci si debba fermare e ci si debba chiaramente intendere, se non si vuole assistere a quello spettacolo poco edificante a cui noi abbiamo assistito a proposito di certe sentenze che hanno trattato dell’applicazione dei decreti Gullo prima, e Segni poi.

Se si vuol fare questo riferimento alla coscienza del magistrato, lo si mantenga; ma prima che alla coscienza, si faccia obbligo al magistrato di obbedire al pensiero ed alla volontà del legislatore.

PRESIDENTE. Sullo stesso articolo 94 è stato presentato dagli onorevoli Conti, Perassi, Bettiol, Leone Giovanni, Reale Vito un emendamento del seguente tenore:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo.

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

Si intende così assorbito l’emendamento dell’onorevole Bettiol del seguente tenore:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: che interpretano ed applicano secondo coscienza».

L’onorevole Conti ha facoltà di svolgerlo.

CONTI. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato di redazione ha tenuto conto, uno per uno, dei numerosi emendamenti presentati; ma mi consentirete che, per impostare la questione, io parli dal testo proposto dalla Commissione dei 75, il quale dice: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo».

Il Comitato ritiene che si possa sopprimere l’inciso «espressione della sovranità della Repubblica», perché questa formula non è espressa né a proposito del Parlamento, né a proposito del potere esecutivo, cioè degli altri poteri a cui è parallelo il potere giudiziario; il metterla qui non avrebbe significato e valore specifico.

Il Comitato mira ad ottenere la maggiore semplificazione possibile. Questo articolo 94 è come un’epigrafe, come una parola iniziale di tutto il Titolo; quanto è più breve e lapidario, tanto è certamente migliore.

Nel primo comma abbiamo accolto gli emendamenti presentati dagli onorevoli Targetti, Colitto e Conti. Così questo primo comma si ridurrebbe all’espressione: «La giustizia è amministrata in nome del popolo».

MAFFI. Italiano.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nessun dubbio che le sentenze continueranno, come già si fa, ad essere emanate in nome del popolo italiano. Ma non è il caso di specificare qui; poiché abbiamo parlato di popolo tante altre volte, in questo testo costituzionale, e non abbiamo mai messo l’aggettivo «italiano»; e del resto di quale altro popolo si potrebbe trattare nelle nostre sentenze?

Secondo comma: «I magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano e applicano secondo coscienza».

È stato proposto di sostituire alla parola «dipendono» le parole «sono vincolati» oppure «obbediscono» oppure «sono soggetti». Il Comitato accetta quest’ultima espressione, che pare migliore, o almeno ha minori inconvenienti, e comunque rientra piuttosto nella revisione stilistica.

Riguardo alla seconda parte del secondo comma, «che interpretano ed applicano secondo coscienza» si presenta un dilemma: o questa è una dichiarazione generica di ovvio significato, ed allora possiamo anche abbandonarla, senza molto rincrescimento, o apre la via, e di ciò si espresse il timore, ad una interpretazione che sarebbe pericolosa, ed allora vi è una ragione di più per abbandonarla. Io non credo che, parlando di coscienza del giudice, si possa intendere la tendenza e l’ammissione del cosiddetto «diritto libero», costruzione teorica per me inammissibile; ma non discara, fra gli altri, all’hitlerismo. Ad ogni modo, poiché è stato manifestato un dubbio; ed il togliere l’inciso non nuoce – anzi, Dio sia lodato, abbrevia il testo – il Comitato acconsente alla soppressione.

Resta l’ultimo comma, sul divieto di iscrizione a partiti politici o ad associazioni segrete. D’accordo per la soppressione del cenno alle associazioni segrete. Avevo già sostenuto da tempo che è un duplicato ed una ripetizione inutile, posto che in un altro articolo v’è già il divieto di tali associazioni. Quanto all’iscrizione nei partiti politici, non sembra il caso di risolvere la questione qui, soltanto per i magistrati. Potrebbero esservi per loro maggiori ragioni; ma insomma vi sono altre categorie di funzionari, pei quali si può esaminare l’opportunità dello stesso divieto ed è opportuno decidere con una visione d’insieme. Vi è un emendamento che comprende appunto nel divieto altre categorie, e l’Assemblea ne ha rimandato l’esame complessivo. Ce ne occuperemo fra non molto e decideremo allora anche pei magistrati. Sopprimiamo intanto l’ultimo comma dell’articolo 94.

La formulazione dell’articolo si riduce così a due brevi commi. Nel primo si tien conto dell’emendamento degli onorevoli Conti, Perassi e Bettiol e degli altri emendamenti degli onorevoli Colitto e Targetti. Nel secondo comma si tien conto dell’emendamento Grassi. In complesso il testo che noi proponiamo è molto breve (Dio sia lodato) ed è questo: «La giustizia è amministrata in nome del popolo. I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

GHIDINI. È una sospensiva?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Ghidini, noi chiediamo la soppressione del terzo comma, salvo considerare poi la questione sotto un altro aspetto, non pei soli magistrati. Non è, dunque, una sospensiva formale, anche se può averne la portata sostanziale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei fare una proposta sull’emendamento presentato dall’onorevole Caroleo. Domando se egli sarebbe disposto a combinare il suo emendamento con quello accettato dalla Commissione, e che in questa forma il nostro Gruppo sarebbe disposto a votare: «I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, che interpretano ed applicano secondo la volontà che vi è espressa». (Commenti).

PRESIDENTE. Quale è il suo parere, onorevole Ruini?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Laconi di non insistere su questa proposta, perché l’affermare che la legge va interpretata secondo la volontà che vi è espressa è così elementare e tautologico, che non è davvero il caso di inserirlo in una Costituzione. Ripeto: avrebbe avuto un significato mettere: «che interpretano ed applicano secondo coscienza»; ma poiché è sorto un dubbio e non è necessario inserire una tale disposizione, la Commissione ritiene opportuno limitare il secondo comma alla sola frase: «i magistrati sono soggetti soltanto alla legge». (Approvazioni).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi! A nome anche di alcuni colleghi, come l’onorevole De Michelis, l’onorevole Costa ed altri, propongo la soppressione di questo secondo comma presentato dalla Commissione per queste considerazioni. Che cosa si intende di significare con la frase: «i magistrati sono soggetti soltanto alla legge»?

Evidentemente, si vuole affermare l’indipendenza del magistrato; ma vi sarà modo di affermarla in un altro articolo, e, me lo permetta l’onorevole Ruini e gli altri sostenitori di questa formula, ci sarà anche modo di esprimerla un po’ meno male, un po’ meglio, non so come dire. Certamente questa espressione, per la quale il magistrato si dice soggetto alla legge, non è la più felice per riconoscere ed affermare la superiorità del magistrato, la sua indipendenza. Tanto peggio poi quando si aggiunge «che interpreta secondo coscienza». Non già perché io mi preoccupi dell’aggiunta, mentre non approverei in nessun modo la frase «secondo la volontà che vi è espressa», perché non vi sarà nessun magistrato che interpreterà una disposizione di legge secondo una volontà che non vi è espressa o che è espressa in un’altra disposizione di legge, ma è che mi sembra che vi sia un contrasto fra questi due concetti. Da una parte si dice che il magistrato sta sotto la legge, che vi è soggetto, e dall’altra si dice che la interpreta. Cioè interpreta ciò a cui è soggetto. È un insieme di espressioni che non mi sembrano le più felici.

Per queste considerazioni, proponiamo la soppressione di questo comma.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

ABOZZI. L’onorevole Mastino Pietro non è presente. Faccio mio il suo emendamento e lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Caccuri, mantiene il suo emendamento?

CACCURI. Lo ritiro. Aderisco in pieno alla nuova formulazione Conti, Bettiol e altri.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Castiglia, l’emendamento si intende decaduto.

Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Mi associo alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Non ho nulla da dire, avendo la Commissione accolto il mio emendamento.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Bellavista, Adonnino, Costa e Ruggiero, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Non ho nessuna difficoltà ad accettare, per il primo comma, il nuovo testo della Commissione, che ha accolto alcuni degli emendamenti da me proposti e, fra questi, la soppressione dell’inciso; accetto che sia sostituita la locuzione «la giustizia è amministrata» a quella del progetto. Insisto perché sia inserita l’indicazione della Magistratura come organo dell’amministrazione della giustizia, e ciò in via di transazione perché ritengo più precisa la formula complessiva da me proposta. Confermo le ragioni svolte a sostegno dell’aggettivazione del popolo, ma non insisto nell’emendamento.

Relativamente al secondo comma, prendo atto dell’accettazione della soppressione della seconda proposizione; insisterei per altro nella soppressione totale, trattandosi di concetto che sarà poi introdotto coll’articolo 97. Prendo atto in fine della accolta proposta di soppressione dell’ultimo comma.

Per quanto poi si riferisce al trasferimento dell’articolo 96, come da me emendato, all’articolo 94, l’onorevole Presidente della Commissione non ha esposto il suo pensiero. Io tuttavia vi insisto: perché trasferendo l’articolo 96 all’articolo 94, noi completeremmo la disposizione relativa alle fonti della giurisdizione…

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, la prego, poiché lei mantiene il suo emendamento, non è più necessario che lo motivi ulteriormente, avendolo già fatto in precedenza.

NOBILI TITO ORO. Volevo dire solo che in proposito non ho avuto modo di conoscere il pensiero della Commissione: comunque, non insisterò in questa sede nel proposto trasferimento dell’articolo 96, ma tornerò ad insistervi quando di questo si discuterà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io prego l’onorevole Nobili Tito Oro di considerare che il mettere qui questa disposizione significherebbe risolvere incidentalmente una questione sulla quale ci potremo pronunciare per mezzo di altri emendamenti più chiari. Vi sono altre formule proposte in questo senso. Ve n’è una dell’onorevole Targetti che dice che il popolo partecipa alla giustizia direttamente, nei casi stabiliti dalla legge; vi sono altre formulazioni che ammettono che si possano stabilire presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate con la partecipazione di elementi estranei alla Magistratura; il che potrebbe dare la possibilità di qualcosa d’analogo alla giuria. Vedremo allora; non è il caso qui di una risoluzione incidentale e dubbia. E poi non comprendo perché si dovrebbe, con l’accenno desiderato dall’onorevole Oro Nobili, spezzare la linea semplice e solenne di un’affermazione che apre l’intero Titolo.

Giacché ho la parola, prego l’Assemblea di conservare il secondo comma, con l’espressione «i magistrati sono soggetti alla legge». Altrimenti rimarrebbe un solo comma, con una espressione meno completa e più vaga. Noi dobbiamo dirlo, che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge; parleremo in seguito dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario. Qui dobbiamo parlare della legge.

Quando entriamo nelle aule di un tribunale, vediamo scritto: «La legge è uguale per tutti». Quasi proporrei di mettere nella Costituzione questa vecchia frase, che ha una bellezza che viene dalla tradizione. In sostanza, credo che, mettendo subito il concetto della legge, affermiamo ed eleviamo il carattere della funzione del magistrato.

Per queste considerazioni insisto perché resti l’espressione: «I magistrati sono soggetti soltanto alla legge». (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo emendamento.

PERSICO. Accetterei l’emendamento Conti-Perassi; però proporrei di aggiungere: «in nome del popolo italiano». (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha facoltà di dichiarare se mantiene i suoi emendamenti,

GRASSI. Io accetto l’ultimo comma così come è stato presentato dalla Commissione; però penso che sia opportuno aggiungere, come propone il collega Nobili Tito Oro: «La giustizia è amministrata dalla Magistratura, in nome del popolo italiano». Perché altrimenti, dicendo solamente «in nome del popolo», rimarrebbe l’interrogativo: da chi?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è il titolo stesso che lo dice.

GRASSI. Il concetto generale di Magistratura abbraccia tutti, non parliamo di giudici togati o non togati. Io, per mio conto, accetterei la proposta dell’onorevole Oro Nobili.

Per quello che riguarda il secondo comma, ringrazio la Commissione di aver accettato la formula da me proposta e ritengo, contrariamente a quello che ha detto l’onorevole Targetti, che sia utile che sia mantenuto, non solo per le considerazioni espresse dal Presidente della Commissione, ma anche per quello che ho accennato prima. Non basta dire che la Magistratura è autonoma e indipendente; bisogna dire anche che il magistrato è indipendente, e la forma migliore di indipendenza è di riconoscere che egli è soggetto solo alla legge.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l’onorevole Persico di non insistere sulla proposta di aggiungere la parola «italiano». Si capisce che è il popolo italiano, e non è il popolo turco!

NOBILI TITO ORO. Si stanno creando le Cassazioni regionali!

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, mantiene il suo emendamento?

CAROLEO. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole De Palma ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo emendamento.

DE PALMA. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Persico, Perrone Capano e Grassi hanno visto accettata la proposta di sopprimere al terzo comma: «o ad associazioni segrete».

Onorevole Damiani, mantiene il suo?

DAMIANI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Rossi Paolo, mantiene il suo emendamento?

ROSSI PAOLO. Sarei disposto a ritirare il mio emendamento, purché fosse mantenuto quello dell’onorevole Sardiello del seguente tenore: «All’ultimo comma, aggiungere le parole: chiamati a far parte di commissioni od organi di carattere politico».

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Sardiello è assente, e perciò il suo emendamento decade.

LUSSU. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo allora ai voti. Abbiamo innanzitutto un emendamento sostitutivo integrale di tutto l’articolo, che era stato proposto dall’onorevole Mastino Pietro e che era stato successivamente fatto proprio dall’onorevole Abozzi. Onorevole Abozzi, lo mantiene?

ABOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alla votazione di questo emendamento sostitutivo dell’intero articolo 94:

«La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero, che dipendono soltanto dalla legge».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione non accoglie questo emendamento.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo per il testo della Commissione e quindi contro tutti gli altri emendamenti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo testé letto.

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione del primo comma della nuova dizione proposta dalla Commissione:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo».

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevole Presidente, anche il mio emendamento è sostitutivo dell’intero articolo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, noi, ponendo in votazione la dizione «La giustizia è amministrata in nome del popolo», veniamo implicitamente a porre in votazione la sua proposta di sopprimere il secondo comma. Infatti coloro che accettano la sua proposta voteranno contro il comma mirando a farlo cadere.

Mi pare che a questo primo comma non siano stati presentati emendamenti sostitutivi né aggiuntivi, perché tutti i colleghi hanno accettato la formula della Commissione. Resterebbe la proposta dell’onorevole Persico di aggiungere la parola «italiano».

PERSICO. La ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha proposto la seguente formula:

«La giustizia è amministrata dalla Magistratura in nome del popolo».

GRASSI. La ritiro.

PRESIDENTE. Resta allora la sola formula della Commissione: «La giustizia è amministrata in nome del popolo».

La pongo in votazione.

(È approvata).

Passiamo allora al secondo comma:

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

A questo comma l’onorevole Laconi ha presentato il seguente emendamento:

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, che interpretano ed applicano secondo la volontà che vi è espressa».

Lo mantiene, onorevole Laconi?

LACONI. Ho chiesto all’onorevole Caroleo se era disposto ad accordare il suo emendamento aggiuntivo alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo aveva presentato il suo emendamento come aggiuntivo alla proposta della Commissione. Quindi dipende dall’onorevole Caroleo il mantenerlo o meno. Egli vi ha rinunciato. Lei lo fa suo?

LACONI. No, vi rinuncio.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, pongo in votazione la formula proposta dalla Commissione, facendo presente che secondo la proposta dell’onorevole Targetti l’articolo 94 dovrebbe essere limitato al primo comma, già votato. Coloro che Recedono alla proposta Targetti, pertanto, voteranno contro questo secondo comma, che pongo ora in votazione:

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

(È approvato).

Vi sono ora due formulazioni aggiuntive, quella dell’onorevole Sardiello, fatta propria dall’onorevole Lussu, del seguente tenore:

«All’ultimo comma aggiungere le parole: né accettare cariche ed uffici pubblici elettivi».

e quella dell’onorevole Damiani:

«All’ultimo comma, dopo la parola: segrete, aggiungere: né far parte di qualsiasi organo estraneo alla Magistratura».

Faccio, però, presente che queste proposte dovrebbero essere coordinate con l’ultimo comma del primitivo testo della Commissione, che è quello che si riferisce al divieto di iscrizione dei magistrati a partiti politici e ad associazioni segrete.

Poiché la Commissione rinunzia a questo comma, chiedo all’onorevole Damiani e all’onorevole Lussu se intendono di proporre le formulazioni come a sé stanti, autorizzandomi in questo caso a darvi l’opportuna forma letteraria.

Onorevole Lussu?

LUSSU. Mi rimetto..

PRESIDENTE. Onorevole Damiani?

DAMIANI. Propongo che sia mantenuta come comma a sé stante.

PRESIDENTE. Allora in questa formulazione:

«I magistrati non possono far parte di nessun organo estraneo alla Magistratura».

DAMIANI. Sì.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei far osservare agli onorevoli colleghi che hanno proposto questo emendamento aggiuntivo che non v’è nessuna ragione di metterlo in questo articolo, che apre tutta la materia della giustizia della Magistratura. Dopo che abbiamo affermato i principî generali: la giustizia amministrata nel nome del popolo, la soggezione dei magistrati alla sola legge, dovremmo proprio mettere la questione degli incarichi dei magistrati? Sarebbe una stonatura; e si rimpiccolirebbe l’intero articolo.

La questione sarà riesaminata a suo luogo., Dichiaro comunque, fin d’ora, che non si dovrebbe inserire nel testo costituzionale la norma proposta, ma farla, caso mai, oggetto di un ordine del giorno perché se ne tenga conto nella legge per l’ordinamento giudiziario. Prego intanto l’Assemblea di non accettare questo emendamento. (Approvazioni).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo contro questa proposta di aggiunta dell’onorevole Damiani, attenendoci noi al testo della Commissione. Infatti, se è una giusta esigenza che il magistrato sia distolto il meno possibile dalle sue funzioni, non si può non considerare il pericolo insito in una espressione così larga, la quale può essere tratta a significare cose che vanno, magari, al di là delle intenzioni dei proponenti.

Se si vuole, si presenti un ordine del giorno che manifesti un voto dell’Assemblea ed in termini più precisi e concreti.

Debbo poi confermare che la soppressione dell’ultima parte dell’articolo è da noi intesa come un rinvio della trattazione della questione in altra sede. Mi pare che vi sia un emendamento apposito che si estende anche ad altre categorie. In quella sede preciseremo il nostro atteggiamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Damiani, se accetta la proposta dell’onorevole Moro.

DAMIANI. Io avevo proposto questo emendamento aggiuntivo per il fatto che nella formulazione originaria dell’articolo era detto che i magistrati non potevano essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete.

Ora, questa parte è stata esclusa dal nuovo testo elaborato dalla Commissione; quindi riconosco che il mio emendamento aggiuntivo, rimanendo isolato, verrebbe a costituire un comma non bene armonizzato con il resto dell’articolo, perciò rinuncio a mantenerlo in questa sede e mi riservo di ripresentarlo in sede più appropriata.

PRESIDENTE. E l’onorevole Lussu?

LUSSU. Rinunzio alla mia proposta.

PRESIDENTE. Sta bene. Pertanto l’articolo 94 risulta approvato nella seguente formulazione:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo.

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana di domani.

Svolgimento di una interrogazione urgente.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro dell’interno ha dichiarato di essere pronto a rispondere alla seguente interrogazione presentata nella seduta di ieri dall’onorevole Sansone:

«Per conoscere – come è diritto dell’Assemblea e del Paese – le ragioni ed i fatti che lo hanno indotto a fare le gravi dichiarazioni al San Carlo di Napoli, e dalle quali appare che egli ed il Governo non sono in grado di mantenere l’ordine pubblico e di tranquillizzare la pubblica opinione gravemente scossa dalle dichiarazioni stesse».

Il Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Immagino che l’onorevole Sansone abbia presentato la sua interrogazione in base a resoconti sommari del mio discorso. Poiché il testo stenografico e il testo integrale del discorso è stato pubblicato dalla stampa e il mio pensiero appare chiaro e completo dal discorso, io non ho nulla da aggiungere in materia.

D’altro canto, gli argomenti che hanno formato oggetto del discorso stesso sono stati già oggetto di ripetute dichiarazioni da parte mia, in questa Assemblea, e da parte del Sottosegretario di Stato ancora ieri.

Ritengo pertanto di non avere altro da aggiungere.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SANSONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non credo che il Ministro dell’interno abbia detto a Napoli le stesse cose che ha detto in questa Assemblea, né quanto ha riportato la stampa ha falsato il suo pensiero.

Ieri sera, in Roma, era venduta, e andava a ruba, l’ultima edizione del Momento Sera, nella cui testata, a grandi caratteri, si leggevano queste parole: «Non nutro nessuna fiducia sulla situazione dell’ordine pubblico».

Si determinò in Piazza Colonna e in molti ambienti di Roma un senso di panico – che potetti rilevare personalmente nella gran massa di italiani che affollavano le edicole – il che mi spinse a presentare la interrogazione di cui testé è stata data lettura.

Ho pensato, mi sono illuso, ho vivamente sperato che fosse una esagerazione giornalistica. Ma quando questa mattina ho letto Il Popolo, giornale ufficiale del partito al Governo, ed ho rilevato le istesse parole, sono costretto a far constatare al Ministro Scelba che egli non ha espresso un pensiero come quello che ebbe ad esprimere in questa Assemblea, ma ha espresso il pensiero di chi veramente determina un panico nel Paese e perciò deve – ora – rassicurare l’Assemblea. Ella, onorevole Scelba, non può eludere dal rispondere, perché io le leggo le parole che riporta in corsivo il Popolo: «Quale oggi è la situazione dell’ordine pubblico? Io, amici, dichiaro che non nutro affatto fiducia sulla situazione dell’ordine pubblico. Io non nutro fiducia che il tentativo di ricorrere alla violenza possa essere del tutto abbandonato». (Proteste al centro). Che significa questo? (Interruzioni al centro e a destra – Si ride).

Signor Presidente, questo riso avrebbe determinato in me sorpresa se non assistessi da tempo in questa Assemblea ad una inversione effettiva dei valori, delle parole e delle cose; ma quando il Ministro dell’interno, che afferma di parlare non come aderente ad un partito, ma che tiene a dichiarare di parlare come Ministro dell’interno – è questa la dichiarazione pregiudiziale che ebbe a fare l’onorevole Scelba al San Carlo di Napoli – dice: «Io non nutro fiducia sull’ordine pubblico», vuol dire che egli riconosce che noi siamo veramente in una situazione gravissima, che può addirittura sfociare in vasti movimenti popolari o che egli è incapace di reggere l’ordine pubblico. Di qui non si esce. (Rumori al centro e a destra).

È quindi una dichiarazione gravissima che egli ha fatto al San Carlo di Napoli, ed io torno a chiedere a lui che deve tranquillizzare il Paese. Ma io domando specificatamente all’onorevole Scelba: quindi non nutre fiducia sull’ordine pubblico! Cioè teme… (Rumori al centro e a destra – Interruzioni).

Lasciatemi dire! (Ilarità al centro).

Dunque, anche a volere essere benevolo con l’onorevole Scelba, egli ha detto o ha ritenuto di dire (voglio fare un’interpretazione ottimistica, estensiva delle sue parole): io temo che l’ordine pubblico non potrà essere più mantenuto. (Proteste al centro).

Neanche questo dunque ha voluto dire, ed allora se non siamo d’accordo nemmeno sulla interpretazione da dare alle parole del Ministro dell’interno, io prego l’onorevole Scelba affinché ci dica – per lo meno – da quali fatti, da quali elementi egli ricava che l’ordine pubblico non potrà essere più mantenuto, o che l’ordine pubblico sarà sconvolto; ma ha il dovere di dire all’Assemblea, al Paese, dopo che in un pubblico teatro si è lanciata una frase così grave, ha il dovere di dire da quali – ripeto – precisi elementi egli trae questo convincimento e principalmente quali provvedimenti intende adottare.

Io ritengo che l’onorevole Scelba ha detto una qualche cosa che rispondeva a un suo pensiero intimo. Evidentemente l’onorevole Scelba, nel momento che parlava, aveva il convincimento che la politica svolta da lui e dal Governo condurrà a gravi agitazioni… (Rumori al centro e a destra – Applausi a sinistra). Questo è il punto cruciale, questo è il punto effettivo. Insomma, noi domandiamo al Ministro, dove si vuole arrivare in Italia. (Rumori al centro). Voi del Governo avete rotto la collaborazione con le masse popolari (Rumori al centro e a destra) ed in conseguenza di questa azione del Governo esse sono inquiete… (Rumori). Voi, talvolta, vi fate uno schema delle masse popolari fuori della realtà. (Rumori al centro e a destra). Le masse popolari hanno una sensibilità politica superiore a quello che credete voi! (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra). Di qui la loro inquietudine, la quale determina questo stato di cose che è giunto ad eccessi – che noi riproviamo – perché noi desideriamo per le classi popolari un avvenire sereno (Rumori al centro e a destra) e non lo spargimento di sangue.

Ora, che cosa ha fatto il Governo per sbloccare questa situazione, questo stato d’animo, e questa inquietudine? Invece di sbloccarla l’ha aggravata, l’ha esasperata. Le minacce che sono state fatte dal banco del Governo e dal teatro S. Carlo, di ricorrere alla maniera forte, sono una forma di esasperazione atta a determinare l’accentuarsi della maggiore compressione che si vuole fare di ogni movimento ascensionale del popolo italiano! (Rumori al centro e a destra).

Le parole dell’onorevole Scelba mi sono sembrate in un certo momento – egli me lo permetterà – le parole di un Ministro di polizia austro-ungarico del tempo del nostro primo risorgimento. (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra), perché egli ha parlato e parla di democrazia, di difesa delle libertà politiche, ma praticamente quando, con la sua autorità di Ministro, dice in un pubblico congresso e in un pubblico teatro che egli teme che possa determinarsi, da parte di gruppi di italiani, una forma di violenza, egli ha autorizzato, implicitamente, un’altra parte di italiani a ricorrere alla violenza per rispondere a quella violenza. (Interruzioni al centro e a destra).

Mi hanno sorpreso veramente le parole dell’onorevole Scelba, perché egli, praticamente, con la sua autorità e nelle sue funzioni di Ministro, anziché tentare di trovare un afflato, una forma di unione di tutte le forze, ha messo praticamente gli italiani gli uni contro gli altri, creando ed approvando lo stato attuale. (Interruzioni al centro e a destra).

Ripeto, la situazione è tale che occorrerebbe lo sforzo di tutti noi per risolverla prima che possa diventare veramente angosciosa ed irreparabile.

Lei, onorevole Scelba, non ha mostrato di essere capace di fare tanto. Creda pure che sono dolente di doverglielo dire. (Commenti al centro.) Mi creda, ella non è in questi giorni il Ministro dell’interno d’Italia, ma è un democristiano che sta lì per gli interessi politici del suo partito e non per l’interesse di tutto il Paese. (Applausi a sinistra).

A nome del mio Gruppo, a nome dei lavoratori italiani, io protesto contro il suo operato (Interruzioni al centro e a destra), e lo addito al giudizio del Paese. Ricordi però, onorevole Scelba, che se da oggi nelle piazze d’Italia vi saranno scontri più forti e lutti maggiori (Interruzioni al centro e a destra), lei ne è responsabile! (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. (Vivissimi applausi al centro – Rumori a sinistra). Io non posso naturalmente rispondere delle pubblicazioni e delle interpretazioni della stampa. Desidero soltanto replicare all’onorevole Sansone, il quale speravo avesse letto per intero il mio discorso e si fosse sforzato di comprendere le mie parole, così come la maggior parte della stampa italiana ha cercato di comprenderlo. Cioè: quando io ho detto «non nutro fiducia nell’avvenire dell’ordine pubblico» non ho inteso dire che il Governo si dichiarava incapace di garantire l’ordine pubblico; è una illazione completamente sbagliata e falsa, che mai sarebbe stata fatta da qualsiasi Ministro dell’interno; avrei dovuto essere troppo ingenuo per arrivare a questa dichiarazione, che poteva essere segno di impotenza dell’autorità dello Stato, ma ho inteso dire che non sono convinto che la tranquillità del nostro Paese sarà assicurata nel prossimo avvenire. Gli avvenimenti di ieri e di oggi e le dichiarazioni autorevoli fatte da ogni parte convalidano questa mia convinzione.

Vorrei, onorevole Sansone, che lei con la sua autorità potesse fugare questa nostra preoccupazione. (Interruzioni a sinistra).

Purtroppo, questa assicurazione non ci potrà venire da lei…

Una voce a sinistra. Sono i vostri alleati del Movimento sociale italiano. (Interruzioni – Commenti al centro).

SCELBA, Ministro dell’interno. …perché non imputo in modo particolare a lei né a nessuno, in modo specifico, la responsabilità dei fatti.

Ma, ripeto, nello stesso momento in cui io parlavo e prima ancora che si conoscessero le mie dichiarazioni, altri incidenti, altre violenze ed altri attentati alle libertà dei cittadini si verificavano in alcune città d’Italia. Questi fatti, ripeto, che non erano minimamente in relazione con le mie dichiarazioni al San Carlo, dimostravano che, se domani altri incidenti si verificheranno in Italia, non saranno conseguenza delle dichiarazioni fatte dal Ministro dell’interno al San Carlo.

In quanto ai propositi del Governo di garantire le libertà, se queste venissero minacciate, in quanto ai mezzi di cui dispone lo Stato per garantire queste libertà, penso sia controproducente dichiarare continuamente che lo Stato ed il Governo tuteleranno le libertà dei cittadini ad ogni costo e con tutti i mezzi.

Preferisco lavorare ed operare in questo senso; e credo che operando nel senso di garantire le libertà sia operare nel senso…

AMENDOLA. …di dare la libertà ai fascisti! (Commenti al centro).

GIACCHERO. Trovate qualche cosa di nuovo!

SCELBA, Ministro dell’interno. …sia operare, ripeto, nell’interesse generale di ogni partito, perché le libertà politiche rappresentano la condizione necessaria per lo sviluppo di una sana democrazia.

Assicurare le libertà politiche è dovere di ogni Governo, che si chiami democratico e che voglia veramente esserlo.

MOSCATELLI. E che assassina le libertà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Del resto, onorevole Sansone, mi pare che nel mio discorso ho cercato di comprendere il sentimento e le preoccupazioni che venivano da altre parti dell’Assemblea e da altre correnti del Paese. Ed in materia mi pare di avere fatto delle dichiarazioni, che purtroppo non vengono sottolineate, perché non conviene che siano sottolineate…

PAJETTA GIULIANO. E quelle contro i segretari delle camere del lavoro?

SCELBA, Ministro dell’interno. …ma che io considero come parti integranti del mio discorso. Io dichiaravo nettamente che proposito del Governo è di impedire…

AMENDOLA. Sciogliete il Movimento sociale italiano. (Rumori al centro).

SCELBA, Ministro dell’interno. …è di impedire ogni ritorno del fascismo ed ogni restaurazione di questo movimento, di voler garantire la Repubblica che consideriamo non come semplice espressione formale e giuridica, ma come sostanza, vale a dire come l’espressione di un nuovo regime che vuol essere essenzialmente vita libera e vita democratica del popolo italiano. Mi pare che, intese in questo senso e completate così le mie dichiarazioni anche per questo verso, esse diano un apporto a quell’auspicata concordia e pacificazione che tutti desideriamo. (Vivissimi applausi al centro – Rumori a sinistra).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga opportuno e doveroso che a favore dei sinistrati per lo scoppio della polveriera di Vigevano, in attesa che si provveda come di legge, sia ordinata la immediata riedificazione delle case operaie gravemente lesionate, prelevando i fondi necessari sulle somme stanziate per alleviare la disoccupazione invernale.

«Sampietro, Castelli Edgardo, Balduzzi, Ferreri, Meda, Morini».

Avverto che a questa interrogazione risponderà all’inizio della seduta pomeridiana di domani il Ministro della difesa.

Do anche lettura delle seguenti altre interrogazioni urgenti:

«Al Ministro dei trasporti, per sapere se siano a sua conoscenza le disagiate condizioni in cui si svolge il servizio per i viaggiatori di terza classe e segnatamente dei treni operai lungo la linea Bra-Carmagnola-Torino, il quale servizio è esplicato da oltre 5 anni quasi esclusivamente mediante carri merci, privi di chiusure, di sedili, di illuminazione, di pedane per l’accesso; e se, per l’imminente lungo e duro inverno, non si ritenga indeclinabile necessità destinare d’urgenza a tale servizio delle carrozze viaggiatori, onde attenuare le asprezze del viaggio a coloro che per ragioni di lavoro sono costretti a trasferirsi quotidianamente a Torino.

«Bubbio».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per stroncare nella provincia di Como il sorgere di raggruppamenti politici, che sono la causa determinante di azioni violente contro i movimenti democratici e antifascisti.

I fatti si riassumono in questa triste e dolorosa rassegna:

1°) cippo di Barilani – Ponte del Passo – dedicato ai caduti della liberazione, frantumato;

2°) bruciata una corona d’alloro alla lapide dei partigiani di Moltrasio;

3°) strappati i nastri tricolori, con dedica dei partigiani, dalla corona deposta al monumento dei caduti di Carate Urio;

4°) spaccata la lapide dedicata al partigiano Carlo Brenna in una via cittadina di Como;

5°) frantumate le lapidi dei partigiani e della lega insurrezionale a Como;

6°) posa di una bomba alla Casa del Popolo di San Rocco;

7°) Renzo Pigni, membro dell’esecutivo della Camera del lavoro di Como e vicesegretario della Federazione socialista di Como, appostato da sconosciuti mentre si recava ad un comizio e fatto segno ad alcuni colpi di arma da fuoco, fortunatamente andati a vuoto.

«I fatti di cui sopra, avvenuti saltuariamente da sei mesi ad oggi, denunciano un sistema di lotta politica e sociale contrario ai principî della democrazia e basato sulla violenza e hanno sollevato un grave fermento nella popolazione, scaturito in uno sciopero generale di 24 ore, che non è degenerato per la profonda maturità democratica dei lavoratori comaschi e per il senso di responsabilità dei movimenti antifascisti e della locale Camera del lavoro, mentre le autorità provinciali non hanno fatto, né fanno, nulla di concreto per dimostrare la loro effettiva volontà di difendere le libertà democratiche dei cittadini di Como.

«Bernardi, Pressinotti».

«Al Ministro dell’interno, sullo sciopero generale in Puglia e sui provvedimenti che si intendono adottare per restituire la pace a quella laboriosa regione, ove la quasi totalità della popolazione reclama la tranquillità del lavoro ed ove l’attività facinorosa degli agitatori professionali minaccia il completamento delle semine e il maggior raccolto dell’anno.

«Perrone Capano, Cortese, Badini Confalonieri».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in favore degli agricoltori della provincia di Cagliari, ai quali è stato ingiunto di pagare, entro il 1947:

  1. a) i contributi agricoli unificati per l’anno 1945-46;
  2. b) il premio della Repubblica;
  3. c) i contributi agricoli unificati per l’anno 1946-47; in modo che gli agricoltori stessi sarebbero costretti – nel periodo delicatissimo, in cui devono sostenere le spese fortissime per la preparazione colturale dei terreni e per le semine, ed occupare il maggior numero possibile di lavoratori – a versare somme ingenti, che essi non si trovano in grado di pagare.

«Quali conseguenze deleterie a danno della produzione, della alimentazione e dell’occupazione della mano d’opera, possano derivare da una simile situazione deve essere presente al Governo, che potrebbe risolvere la questione nel modo seguente: applicazione di una aliquota regionale per la Sardegna, anziché quella nazionale.

«In linea contingente: sospendere immediatamente la riscossione dei contributi agricoli, fino almeno al nuovo raccolto.

«Mastino Gesumino».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi riservo di rispondere non appena mi saranno pervenute le informazioni necessarie.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prima di dar lettura dell’ordine del giorno per le sedute di domani, desidero sottolineare il fatto che stamattina non si è potuto raggiungere il numero legale per una votazione. Questo fatto è notevolmente spiacevole, ed è reso ancora più spiacevole ed ancor meno simpatico dalla considerazione che le firme sui registri di presenza superavano di molto il numero legale. (Commenti).

La votazione è avvenuta fra le 13 e le 14, e non era quindi questione di treni che si dovessero prendere o dovessero arrivare. Mi si permetta di dire, deplorandolo, che vi sono molti colleghi i quali ritengono di aver fatto il loro dovere non appena hanno apposto la loro firma sui registri, e non comprendono che il loro dovere è di esser presenti ai lavori dell’Assemblea. Vi prego di apprezzare la serietà delle cose che sto dicendo: l’impressione spiacevole che siffatti episodi possono produrre non deve essere trascurata o sminuita.

Domani, dunque, alle ore 10, seduta per le votazioni a scrutinio segreto dei disegni di legge discussi oggi. I colleghi sappiano che per le votazioni a scrutinio segreto è indispensabile il numero legale, e che non è possibile tenere le urne aperte all’infinito. Vorrei pertanto sperare che domani mattina alle 10 sia presente un numero sufficiente di deputati perché le votazioni si possano concludere.

Le votazioni, riguardano, l’approvazione del trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine e l’approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, I colleghi questa mattina hanno compreso che il Ministro degli esteri annette una grande importanza alla rapidità con cui questi due disegni di legge saranno approvati, in relazione alle esigenze dei nostri rapporti internazionali.

Sempre nella seduta antimeridiana di domani si discuteranno i seguenti disegni di legge:

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico;

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di Casa Savoia.

Nel pomeriggio, alle ore 16, si avrà il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se i provvedimenti di prossima promulgazione a favore dello sviluppo industriale nell’Italia meridionale saranno applicati, come di ragione, a quella zona del circondario di Gaeta ed a tutto il circondario di Sora che, per contingenze puramente amministrative, sono stati distaccati dalla provincia di Caserta (Campania), ma che, senza alcun dubbio, fanno parte del Mezzogiorno d’Italia.

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti abbia preso nei riguardi dei responsabili del saccheggio della sezione provinciale dell’Unione monarchica italiana di Varese, i quali il 13 novembre, approfittando della temporanea assenza delle forze di polizia, distrussero la sede suddetta con i ben noti sistemi facinorosi e poscia passarono alla distruzione del settimanale indipendente l’Ammonitore.

«Benedettini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere: 1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni;

2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso;

3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica.

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare al fine di migliorare l’attuale disagiatissima situazione degli amanuensi degli uffici giudiziari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Russo Perez».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e dei trasporti, per conoscere se non ritengano opportuno, di comune intesa, di promuovere al più presto un accordo con la Francia per il ripristino della linea internazionale Torino-Cuneo-Nizza, linea che venne nella massima parte distrutta dalle operazioni belliche.

«Consta all’interrogante che per la parte italiana i lavori sono ormai ultimati sino al confine, mentre è pure in via di completamento il viadotto sul fiume Stura a Cuneo.

«L’importanza di questa linea che, proseguendo da Torino, si riallaccia a quella internazionale del Sempione verso la Svizzera, non ha bisogno di ulteriori illustrazioni; essa servirebbe, inoltre, a collegare, come per il passato, il Piemonte con la Costa Azzurra e col sud-est francese, ove innumerevoli sono gli interessi degli italiani emigrati in Francia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Chiaramello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga, con alto senso di giustizia, in questo momento, nel quale l’Esercito nazionale viene ricostituito, ridare a Torino che li creò e li ebbe ospiti nel momento del loro massimo splendore, gli istituti superiori militari, quali la Scuola di guerra e la Scuola di applicazione di artiglieria e genio.

«Torino durante il fascismo è già stata sacrificata coll’allontanamento a favore di altre città di innumerevoli Enti, Fondazioni, ecc., nati e creati dai Piemontesi e purtroppo pare che anche nel clima repubblicano la spogliazione continui con un metodo sistematico.

«Anche ultimamente, con la creazione di una nuova Accademia militare, Torino si è vista sottratta l’Accademia di artiglieria e genio e sarebbe quindi opera di giustizia se almeno fra le sue mura rimanessero la Scuola d’applicazione d’artiglieria e l’Istituto superiore di guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Chiaramello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se creda opportuno ridurre per gli agenti di custodia da anni 30 a 28 l’età minima pel matrimonio, allo scopo di consentire che i giovani utilizzino gli anni migliori e più adatti per costituire una famiglia, evitando in pari tempo pericoli di danni alla salute, tanto più che ora per la qualità di reduci sono anche gli ammogliati ammessi in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rubilli».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica Italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).

  1. Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

  1. Discussione del disegno di legge:

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (11).

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Disegni di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

Presidente

Perassi

Sforza, Ministro degli affari esteri

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1917. (43).

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Bonomi, Presidente della Commissione per i trattati internazionali

Treves, Relatore

Corbino

Disegni di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Disegno di legge (Discussione):

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Presidente

Benedettini

Russo Perez

Condorelli

Scalfaro

Crispo

Marchesi

Conti

Nitti

Bettiol, Relatore

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Moro

Lucifero

Colitto

Castiglia

Coppa

Maffioli

Chiostergi

Geuna

Votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Arcaini, Vanoni e Bergamini.

(Sono concessi).

Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

Dichiaro aperta la discussione generale. È iscritto a parlare l’onorevole Perassi. Ne ha facoltà.

PERASSI. La relazione del Ministro degli esteri, precedente il disegno di legge, e quella dell’onorevole Treves, a nome della Commissione dei Trattati, hanno messo in evidenza il significato e l’interesse di questo Trattato fra la Repubblica Italiana e il nuovo Stato indipendente, la Repubblica delle Filippine. Credo che l’Assemblea Costituente sarà unanime nel salutare con simpatia questo primo atto con il quale le due Repubbliche entrano in rapporti di amicizia e di collaborazione.

Per quanto concerne il contenuto del Trattato, nelle Relazioni è posta in evidenza la portata dei singoli articoli. Il Trattato si può definire un primo atto di avviamento delle relazioni fra i due Paesi, e presenta notevole interesse. Anzitutto, per quanto concerne le relazioni diplomatiche e consolari, vi si afferma il principio del «trattamento della nazione più favorita», e lo si afferma in maniera assoluta, il che significa che, per quanto concerne le funzioni, i diritti ed i privilegi consolari nella Repubblica delle Filippine, l’Italia godrà del trattamento che è riservato alla Nazione più favorita, quale che questa sia. Un altro articolo, mentre prevede la negoziazione di un trattato di amicizia e di commercio, stabilisce fin da ora alcuni principî fondamentali, soprattutto per quanto riguarda il diritto di acquistare, possedere e disporre di qualunque genere di beni e di esercitare il commercio e l’industria.

Vorrei, per integrare la sobria e precisa relazione della Commissione parlamentare, sottolineare l’importanza dell’articolo 5 del Trattato. In esso si stabilisce che per qualunque controversia che potesse sorgere fra i due Stati, e che non sia risolta secondo le normali vie diplomatiche, le Alte Parti contraenti convengono di riconoscere come obbligatoria, ipso facto e senza una speciale convenzione, la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, in conformità dell’articolo 36, paragrafo 2, dello Statuto della Corte. Si noti l’espressione: «qualunque controversia». Ciò significa che l’impegno reciproco stabilito da questa disposizione riguarda qualunque contestazione che possa sorgere fra i due Stati in rapporto al diritto internazionale, sia convenzionale, sia generale. Non si tratta quindi della solita clausola compromissoria che contempla soltanto le controversie relative al trattato in cui è inserita. È invece una clausola che, nei rapporti fra i due Stati, stabilisce obbligatoriamente la competenza generale della Corte di giustizia internazionale.

Sotto questo riguardo l’articolo 5 merita di essere rilevato, perché fa sì che i diritti internazionali di ciascuno dei due Paesi verso l’altro sono assistiti dalla garanzia giurisdizionale del giudizio avanti alla Corte, che può essere promosso su istanza unilaterale di una delle parti.

Ho detto che notevole è questo articolo perché esso viene a stabilire, fra l’Italia e le Filippine, un regime di garanzia giurisdizionale che va anche al di là, sotto certi aspetti, di quello che fra i membri delle Nazioni Unite deriva dalla Carta di San Francisco.

Anche per questa considerazione, noi salutiamo con compiacimento questo atto internazionale, che l’Assemblea Costituente certamente vorrà approvare.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Nel chiedere all’Assemblea l’approvazione del Trattato fra noi e le Filippine, io intendevo sottolineare, in aggiunta all’ottima relazione del collega Treves, alcuni punti che fanno di questo Trattato un elemento di valore, anche come precedente da usarsi. Ma l’onorevole Perassi ha detto ciò che io intendevo dire, e con molto maggiore autorità scientifica che io non possieda. Mi riferisco quindi al suo breve discorso, al quale mi associo completamente. Aggiungerò solo, a prova del desiderio di cementare antiche amicizie che si verifica ora verso la Repubblica italiana da ogni parte del mondo, che questo Trattato si è concluso l’estate scorsa a Roma essendo lo stesso Vicepresidente della Repubblica delle Filippine venuto a Roma a questo scopo, e proprio per dare prova del desiderio profondo della Repubblica delle Filippine di stringere intimi legami economici e culturali con l’Italia. Confido quindi che il voto dell’Assemblea sarà unanime.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data al Trattato di amicizia e relazioni generali concluso a Roma il 9 luglio 1947 tra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione. (È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore conformemente all’articolo 6 del Trattato suddetto».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Il disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta pomeridiana.

Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi iscritti e nessuno chiedendo di parlare, la dichiaro chiusa.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Circa il Trattato da noi concluso con la Repubblica di Cuba, credo che sia dovere mio di sottoporre all’Assemblea alcune considerazioni, che fanno comprendere il suo alto valore politico. Il coraggio, la dignità ed il senso di profonda democrazia di un popolo non si misurano dalla estensione del territorio, ed io credo che noi italiani dobbiamo esprimere la più profonda riconoscenza alla Repubblica di Cuba, per questo Trattato, per le ragioni che sto per esporvi, come ha detto giustamente nella sua relazione l’onorevole Treves, la Repubblica di Cuba avrebbe potuto valersi dell’articolo 88 del Trattato di Pace e aderire al Trattato di Pace nelle forme che ad essa convenivano: invece la Repubblica di Cuba rifiutò di fare la pace sulla base del Trattato di Parigi, adducendo che non voleva aggiungere il suo nome ad un Trattato macchiato di tanti errori e lacune e volle quindi avere un Trattato speciale creato fra noi ed essa. Ma vi è di più: la Repubblica di Cuba dichiarò che con la firma del Trattato essa rinunciava completamente e senza nessuna eccezione a chiedere mai alcuna indennità per danni di guerra all’Italia. Più ancora: la Repubblica di Cuba (questo non è nel Trattato, ma indica la nobiltà dell’atteggiamento di quel popolo), appena cessarono le ostilità, fu il primo Paese del mondo a sbloccare completamente tutti gli importanti beni italiani dell’isola ed a lasciarli in mano dei loro legittimi proprietari, nostri compatrioti.

Queste sono cose che noi non dobbiamo dimenticare, appunto perché vengono da un piccolo Paese. Se noi esprimessimo la nostra riconoscenza soltanto ai grandi faremmo una opera di utilitarismo che sarebbe indegna di noi, ed è per questo che mentre vi ho parlato finora come rappresentante del Governo vorrei, se mi è lecito, aggiungere una parola come deputato: io ritengo, dati i sentimenti di profonda simpatia e solidarietà che esistono da parte della Repubblica di Cuba verso l’Italia e dato che vi è in Cuba una maturità democratica molto grande, ritengo, dico, che la Repubblica di Cuba sarebbe infinitamente più sensibile, piuttosto che ad un messaggio da parte del Governo, di avere un messaggio da parte dell’Assemblea costituente, più diretta espressione del popolo italiano. E, se l’Assemblea costituente si associa a questa mia richiesta, potremmo pregare il nostro Presidente di farsi interprete all’Avana dei sentimenti di profonda simpatia e di alto apprezzamento con cui abbiamo oggi votato questa legge. (Vivi applausi).

BONOMI, Presidente della Commissione per i trattati internazionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI, Presidente della Commissione per i trattati internazionali. La Commissione si associa alle parole dell’onorevole Ministro degli esteri; fa rilevare l’importanza di questo atto, e si associa nel chiedere che il Presidente dell’Assemblea costituente mandi la espressione dei suoi sentimenti alla Repubblica di Cuba.

TREVES, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Relatore. Concordo perfettamente con quello che è stato detto e rilevo, ad onore della Repubblica di Cuba, l’articolo 4 della stipulazione, che modifica, a nostro vantaggio, il disposto del Trattato di Parigi, per cui la Repubblica di Cuba rinuncia a dar valere la disposizione, a suo favore, di denunciare, unilateralmente, il trattato bilaterale tra noi e la Repubblica medesima; ragione di più questa perché io mi associ alle parole dell’onorevole Ministro degli esteri.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero far mia la proposta del Ministro degli esteri, affinché parta dai banchi dell’Assemblea la preghiera al Presidente di rendersi interprete dei nostri sentimenti verso la Repubblica di Cuba.

PRESIDENTE. Sta bene. Chiedo all’Assemblea se è concorde con la proposta del Ministro degli esteri, fatta propria dall’onorevole Corbino, di manifestare alla Repubblica di Cuba il nostro riconoscimento e l’amicizia che l’Italia nutre verso un piccolo popolo che ha dato la dimostrazione di come debbano essere organizzati i rapporti fra popoli desiderosi di pace.

(È approvata).

Passiamo all’approvazione dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data al Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba firmato all’Avana il 30 giugno 1947.

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore conformemente all’articolo 5 del suddetto Trattato».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta pomeridiana.

Presentazione di disegni di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare i seguenti disegni di legge:

«Approvazione dell’Accordo concluso nel Palazzo apostolico vaticano fra la Santa Sede e l’Italia il 31 marzo 1947 per una delimitazione di alcune zone extra territoriali nelle adiacenze della Città del Vaticano»;

«Approvazione dell’Accordo concluso a Roma, fra l’Italia e la Francia, il 21 marzo 1947, in materia di emigrazione»;

«Approvazione degli Accordi di carattere economico stipulati in Roma, fra l’Italia e la Norvegia, il 20 luglio 1946»;

«Approvazione degli Atti internazionali conclusi a Neuchâtel l’8 febbraio 1947, per la conservazione e la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale».

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro degli affari esteri della presentazione di questi disegni di legge, che saranno inviati alla Commissione competente.

Discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare l’onorevole Benedettini. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Onorevoli colleghi! Dichiaro subito che voterò contro questo disegno di legge, che fissa le norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico.

Voterò contro perché ogni regime che, per difendersi e consolidarsi, sente il bisogno di ricorrere a leggi eccezionali, mostra, per queste stesse leggi, di non essere un regime democratico.

La mia prima opposizione, perciò, è anzitutto una opposizione di principio. A che cosa mirano le leggi eccezionali per la difesa ed il consolidamento della Repubblica? A punire certi reati già contemplati nei codici di ogni nazione civile, quali i complotti contro lo Stato, la costituzione di bande armate, la violenza contro cittadini per impedir loro il libero esercizio dei diritti civili e politici.

Ora, io chiedo al Presidente del Consiglio dei Ministri che, di concerto con tutti i Ministri in carica al 17 marzo 1947, presentò questo disegno di legge, chiedo ai membri della Commissione, che vi hanno apportato gli emendamenti, e chiedo agli onorevoli colleghi di questa Assemblea, se esistano in questa Repubblica un Codice civile e un Codice penale e se vi siano contemplati i reati che le leggi eccezionali per la difesa ed il consolidamento della Repubblica intendono colpire. E allora, se vi sono già contemplati, quale bisogno c’è di emanare leggi eccezionali? Non è forse in grado questa Repubblica di far applicare i nostri Codici?

A questi interrogativi, non io soltanto come membro della Costituente e come monarchico, ma tutto il popolo italiano – quello che votò per la Repubblica e quello che votò per la monarchia – attende una risposta chiara, precisa, di facile ed universale comprensione. Ma io sono certo che tale risposta non potrà venire, né da coloro che questo disegno di legge proposero, né da altri. Non potrà venire, perché il disegno in questione contrasta con i principî di uno Stato democratico.

Come monarchico, se io volessi seguire una politica machiavellistica, potrei e dovrei consolarmi delle leggi eccezionali della Repubblica. Dovrei consolarmene, perché la storia universale e l’esperienza quotidiana insegnano che tutti i regimi, i quali per reggersi, per consolidarsi, per difendersi, hanno bisogno di leggi e di tribunali speciali, tutti quei regimi barcollano e non durano. Quando un regime ha bisogno per sostenersi di leggi eccezionali, vuol dire che non ha il favore popolare, vuol dire che non si basa sulla volontà, sul consenso del popolo.

Questo insegna la storia antica e moderna e questo apprendiamo dalla nostra esperienza contemporanea. Ebbene, se la Repubblica uscita dal dubbio referendum del 2 giugno sente la necessità di queste leggi, le emani pure, le proclami e le sanzioni: noi abbiamo espresso il nostro punto di vista, ma, con noi, la maggioranza degli italiani, degli stranieri e dei reggitori di altri Stati trarranno la conseguenza che questa Repubblica non è né democratica né liberale.

E veniamo a considerare il modo con cui il disegno di legge è congegnato. Quando si parla, nell’articolo 1, di finalità e metodi propri del disciolto partito fascista, non si fa se non creare confusione. Poiché infatti il disegno di legge non definisce le finalità del disciolto partito fascista, ne consegue che l’applicazione di questo articolo diventa arbitraria.

Nella sua relazione, la Commissione afferma che è cosa assai difficile circoscrivere o definire l’attività fascista o neofascista, come in genere è difficile in campo giuridico pervenire ad una definizione. In una legge, però, non si tratta di fare opera scientifica, ma di arrivare ad una esigenza pratica. E poiché – prosegue la relazione – abbiamo già l’articolo 17 del Trattato di pace, per il quale le organizzazioni fasciste o di tale natura sarebbero – notate bene – quelle aventi carattere politico-militare o paramilitare, il cui fine è quello di privare il popolo dei suoi diritti democratici, e poiché l’esperienza fascista in Italia ha reso possibile individuare le note fondamentali del totalitarismo, si possono considerare come tipici di un movimento, di un partito fascista o neofascista precisa – la relazione dell’onorevole Bettiol – i seguenti punti:

  1. a) i caratteri militari o paramilitari dell’organizzazione interna;
  2. b) i mezzi, che debbono essere quelli che il metodo democratico scarta: vale a dire la minaccia e la violenza. Notate bene: la minaccia e la violenza;

c)i possibili risultati, vale a dire la negazione delle libertà democratiche e nazionali.

Veniamo allora all’essenziale e parliamo chiaramente: quello che noi democratici vogliamo impedire è la costituzione di partiti e movimenti che mirino a sopprimere le libertà democratiche, che mirino ad instaurare un regime totalitario e dittatoriale basato sul partito unico, come furono il fascismo e il nazismo e come è il bolscevismo. E allora, per coerenza, per logica, per proprietà e per dimostrare che non si ha paura né delle parole né degli atti, o si dice esplicitamente, nell’articolo 1, che si è contrari al sorgere di partiti e di movimenti che abbiano finalità dittatoriali e totalitarie, o, se si cita il fascismo, si citi accanto ad esso, per chiarezza, anche il nazismo e il bolscevismo.

Così, nell’articolo 2 si prescrive la pena per chi promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione monarchica con mezzi violenti.

Ebbene, a parte il fatto che nessuno mai sarà così ingenuo da mettere nelle finalità di un partito il ricorso ai mezzi violenti, che sono proprio quelli che noi monarchici deprechiamo in tutti i modi e combattiamo contro chicchessia, è chiaro, data la precisazione di questo articolo, che solo nel caso in cui si voglia restaurare con la violenza l’istituto monarchico sono previste pene, ma pene non vi sarebbero se si volesse instaurare con mezzi violenti – per esempio – una Repubblica di tipo sovietico.

È dunque chiaro, come ho già detto, che l’aver voluto formulare questo disegno di legge, avendo nella mente l’idea ossessionante della monarchia e della sua restaurazione con mezzi violenti, ha avuto il solo effetto di mettere fuori legge la restaurazione violenta dell’istituto monarchico e non l’instaurazione violenta d’una Repubblica totalitaria e dittatoriale. Il che mostra come la soppressione di questo articolo sia necessaria o per lo meno ne sia necessario il completamento con la estensione del provvedimento agli altri casi di cui ho fatto cenno. Tanto più che la realtà di questi ultimi anni ci dice che il pericolo di bande armate, di sommosse contro lo Stato, non viene già dai monarchici, ma – e dovete darmene atto – da altri partiti estremisti di ben differente ideologia.

Some monarchici, poi, e come democratici, questo articolo doppiamente ci offende, e offende con noi la realtà e il buon senso, giacché è incomprensibile nei tempi attuali restaurare con la violenza l’istituto monarchico. Le monarchie moderne, le monarchie costituzionali, non possono reggersi che nella volontà del popolo.

La monarchia che noi sogniamo non può tornare che per volontà del popolo, con un nuovo referendum, e la legge che mira a colpire coloro che vorrebbero restaurare con la violenza l’istituto monarchico è non solo anacronistica, ma confonde il Re costituzionale con il Presidente dittatoriale.

Onorevoli colleghi, il mondo sta dinanzi a voi per dimostrarvi che oggi non esistono monarchie assolute, ma esistono molte repubbliche dittatoriali, totalitarie, tiranniche. Ecco perché l’articolo 2 di questo disegno di legge è fuori della realtà politica contemporanea! Perciò io dico che queste leggi eccezionali sono pericolose e dannose, oltre che antidemocratiche.

Perciò io ritengo necessario bocciarle.

Ma se la maggioranza della Costituente, per iattura del nostro Paese, dovesse tener molto a varare queste leggi, e allora si impone che non si parli di fascismo o di monarchia, ma, come si è detto, di regimi dittatoriali, di Stati totalitari, di partiti unici, di bande armate, di ricorso alla violenza.

Onorevoli colleghi di destra, di centro e di centro-sinistra, onorevoli colleghi democristiani, a voi particolarmente io mi rivolgo, e vi invito a ricordare che questo disegno di legge fu presentato, sì, dal Presidente del Consiglio nella seduta del 17 marzo 1947, ma fu presentato da quel Governo che passerà alla storia parlamentare italiana come Governo del Tripartito. Nessuno di voi può dimenticare che lo stesso onorevole De Gasperi dichiarò che per la Democrazia cristiana il Tripartito era una coabitazione forzata; e proprio per gli impegni, gli accordi, i compromessi nascenti da quella coabitazione, la Democrazia cristiana dové sottostare a richieste che rivelavano non certamente uno spirito libero, democratico, nutrito di comprensione e di pacificazione.

Nessuno può dimenticare che noi monarchici, e con noi i liberali e i qualunquisti, demmo l’appoggio al nuovo Governo De Gasperi, senza nulla chiedere, senza barattare quello appoggio, animati solo da un desiderio: far sì che il Governo democristiano fosse rappresentato dalla vera maggioranza dell’Assemblea, da quella stragrande maggioranza che per fede tradizionale e convincimento è antibolscevica e anti-comunista. Voi tutti ricordate che io personalmente, e con me colleghi di altri partiti, ponemmo come condizione di questo appoggio l’abolizione delle leggi eccezionali, una politica di pacificazione, provvedimenti economici e sociali per andare incontro alle disagiate e difficili e tristi condizioni dei lavoratori.

Questo non può essere dimenticato dai colleghi democristiani, i quali devono con me convenire che nell’attuale momento questo disegno di legge è sfasato, anacronistico, perché non risponde né alle necessità dei tempi, né al mutato clima morale e politico del Paese. Né i colleghi democristiani possono dimenticare ciò che l’onorevole De Gasperi ha detto appena ieri l’altro, nel suo discorso a Napoli, sulla condanna della violenza da qualunque parte essa venga, e sulla necessità di impedire questa violenza, alla quale troppo spesso si ricorre, da parte di ben precisati partiti estremisti, per imporre o tentare di imporre, a mezzo dell’azione diretta, affermazioni antidemocratiche.

E per tale difesa delle libertà democratiche contro la violenza, di qualunque colore essa sia, basta l’applicazione degli articoli del Codice penale, se necessario, convenientemente adeguati; non occorrono leggi eccezionali. Nell’attuale momento la responsabilità di queste leggi eccezionali cadrebbe, non su quel Tripartito che le propose nel marzo 1947, ma tutta, sola e interamente sulla Democrazia cristiana.

Vuole la Democrazia cristiana assumersi totalmente questa responsabilità di fronte al Paese? Ecco l’altra domanda che io pongo a voi, onorevoli colleghi democristiani. A tale domanda dovete rispondere con la vostra coscienza, con la libera discussione, col vostro voto sul disegno di legge in esame: e m’auguro che la vostra coscienza vi suggerisca di respingere tale disegno, che, a parte l’anacronismo della sua compilazione, costituisce una violazione e un avvilimento di quella sacrosanta concezione del diritto, che è stata, e speriamo sarà ancora, una delle nostre glorie maggiori.

E pertanto prego l’onorevole Presidente di porre ai voti dell’Assemblea Costituente il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo e la relazione della Sottocommissione;

considerato che tale disegno di legge non risponde né alla necessità dei tempi né al mutato clima morale e politico del Paese;

affermato che per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del «Trattato di pace» basta il Codice penale ordinario e non occorrono leggi eccezionali;

respinge il disegno di legge e passa all’ordine del giorno». (Approvazioni a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi associo alle parole dell’onorevole Benedettini e chiedo che l’Assemblea respinga questo disegno di legge. Farò un breve discorso per richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi, e, soprattutto, di quelli appartenenti alla Democrazia cristiana, su certi atteggiamenti del Governo che, secondo me, sono in stridente contrasto con i presupposti di fatto, con i presupposti politici da cui è nato questo Governo, questa formazione governativa; sono in aperto contrasto con quella finalità per cui tutti diciamo di lavorare e che tutti affermiamo di voler raggiungere la pacificazione, cioè, del popolo italiano; e sono anche in netto contrasto, come ricordava l’amico Benedettini, con recentissime manifestazioni verbali del Presidente del Consiglio.

Onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, noi non potremmo seguirvi per codesta strada.

Guardate: ci sono state parecchie leggi recenti, approvate dal Consiglio dei Ministri con la procedura del decreto legislativo o fatte approvare dall’Assemblea Costituente, il cui spirito non possiamo condividere. Per esempio, la proroga della legge sul confino di polizia, quella legge per cui il giudice giusto può colpire anche l’amico che pecca, ma il giudice ingiusto può colpire il nemico che gli dia ombra; le leggi sull’epurazione, alla quale sembrava si volesse dar fine, mentre sembra che, in uno o in altro modo, l’epurazione continuerà. Abbiamo appreso, difatti, che, secondo il provvedimento recentemente proposto dal Ministro Grassi, di quelle migliaia di ricorsi che pendono dinanzi al Consiglio di Stato la più gran parte non sarà più discussa, cioè i ricorsi che riguardano i funzionari dei gradi inferiori al 6°. Ma, in coda alla stessa legge, in cauda venenum, vi è una disposizione per cui le Amministrazioni possono gettare nuovamente sul lastrico gli impiegati. Debbo ricordare ancora la legge sul Senato, recentissima, che è una legge cattiva. È cattiva non nel senso giuridico; una legge può essere cattiva in senso giuridico quando è male congegnata, quando non è chiara, quando non può raggiungere le finalità che si propone. Questa legge sull’abolizione del Senato è cattiva nel senso morale, nel senso sentimentale, perché manca di carità cristiana verso quei cittadini che per la maggior parte hanno passato l’intera vita degnamente a servizio dello Stato, che vivevano per andare a palazzo Madama ogni giorno, frequentandolo come casa propria, e che adesso vengono allontanati da quel luogo a loro tanto caro.

Voi sapete che il Senato del Regno (adesso ci sarà il Senato della Repubblica) non ha mai duramente pesato sulla politica italiana. Non si ricorda un Governo che sia stato rovesciato da un voto del Senato. Ebbene, pensare che quella gente abbia proprio contribuito con atti rilevanti a mantenere in vita il regime più di tanta altra gente che onoratamente siede in questa Assemblea, è ingiusto ed è assurdo. Non dico ciò per affermare che sono spregevoli questi cittadini cui alludo, che siedono in questa Assemblea; voglio dire che sono stimabili anche quelli che sedevano in quell’altra Assemblea. Ed è necessario, proprio nel momento in cui accade quel che accade oggi in Italia (parlerò sempre con un vigile senso di misura, perché è la materia stessa che l’impone), presentare questa legge, che sarebbe stata forse a proposito al tempo del tripartito, ma che non lo è più ora?

Noi dovremo avere su questo punto delle spiegazioni. È stato il Presidente del Consiglio a volere che questa legge fosse portata alla discussione dell’Assemblea o è stato il Presidente dell’Assemblea Costituente che ha creduto opportuno di metterla all’ordine del giorno? Se fosse stato il Presidente del Consiglio, noi ci dorremmo di ciò. E non capisco che cosa può aver agito in voi: forse il subcosciente, che vi ha ravvivato il ricordo del tripartito, oppure la volontà di offrire qualche cosa agli amici di quella sponda? Ma ricordatevi che quel vantaggio che avete ripreso nel Paese (e il segno fu dato dalle elezioni amministrative di Roma) è stato appunto la conseguenza di atteggiamenti in contrasto nettissimo col principio animatore di questa legge. Io desidero ricordare che l’onorevole Conti, una diecina di giorni or sono, disse che voleva «affogare» (usò proprio questo termine) l’amico Condorelli con argomenti a favore della Repubblica, quella Repubblica, che bisogna difendere sempre e a qualunque costo, come spiritosamente dice «Candido». Io dico che egli potrà soffocare l’onorevole Condorelli, potrà soffocare me, può soffocare tutti noi, ma non potrà mai dimostrare che un regime che si difende con leggi eccezionali sia un regime che sappia di appoggiarsi alla volontà popolare.

Ma, intendiamoci, noi non ci opponiamo all’approvazione di questa legge perché nell’animo nostro, anche inconfessato, possa esserci il desiderio che si debbano perdonare eventuali crimini passati o si debba indulgere ai crimini che possano essere ancora commessi. La ragione per cui noi ci opponiamo è perché vogliamo che la Repubblica e la Democrazia si difendano applicando le leggi normali, ad opera di magistrati ordinari, sempre ed in ogni occasione, e perché, come ha accennato l’amico Benedettini, e come meglio specificherò io, tutte le forme di reato che in questa materia possono essere configurate, anche le più rare ad accadere, sono tutte represse da nostro Codice penale. Io ricordo che alcune settimane fa, l’onorevole Togliatti diceva che occorre reprimere le devastazioni, gli incendi, gli attentati alle persone fisiche; e fece un certo elenco. Ebbene, quell’elenco è incompleto; non solo tutti i fatti criminosi a cui egli si riferiva sono configurati nel nostro Codice penale, ma molti altri che egli non ricordò. Datemene atto, onorevoli colleghi dell’Assemblea. Attentato alla Costituzione dello Stato (articolo 283 del Codice penale): quando un gruppo di cittadini, che possono essere costituiti in partiti, in associazione, commettano un attentato alla sicurezza dello Stato, ognuno di essi può essere punito con l’ergastolo, senza ricorrere alle leggi speciali. Articolo 284, insurrezione armata: se poi codesti elementi, che possono essere quelli a cui voi vi riferite con questa legge e possono essere altri, pensano di insorgere con le armi alla mano, sapete qual è la pena che si può applicare a costoro? È la pena di morte. Credo che più in là non si possa andare.

Articolo 285: devastazioni, staccheggi, stragi. Anche questi reati sono puniti con la pena di morte.

Poi vi è finalmente la grande famiglia di reati che più interessa noi, la democrazia, la Repubblica, cioè i delitti contro i diritti politici dei cittadini. È proprio il nostro tema. Dice l’articolo 294 che chiunque, con violenze o minaccia, o anche con inganno, impedisce l’esercizio di un diritto politico è punito con la reclusione fino a 5 anni. Inasprite questa sanzione, se a voi piace. A noi farebbe certamente molto piacere, perché sappiamo che non si applicherà mai a noi. Colleghi dell’altra sponda, se un giorno la legge comune esistente dovesse essere applicata imparzialmente ma severamente, nessuno potrebbe risparmiare a molti di coloro che adesso premono per l’approvazione della legge speciale, quel carcere, nel quale essi vorrebbero rinchiudere pretesi neo-fascisti e monarchici legittimisti. E certamente ci andrebbero i colpevoli e gli ispiratori delle odierne devastazioni, delle aggressioni, dei linciaggi, della distruzione delle tipografie di Taranto e della tipografia in cui si stampava, a Milano, il Mattino d’Italia.

Dall’articolo 303 del Codice penale è perfino repressa una forma di attività criminosa, che forse qualcuno di voi credeva che fosse sfuggita al legislatore ordinario: l’apologia di reato.

Articolo 304: cospirazione politica. Per la cospirazione politica mediante accordo vi è la reclusione da uno a sei anni. Ma se poi i colpevoli si sono uniti in una vera e propria associazione (e voi sapete bene che i partiti politici non sono che associazioni), la pena è più severa e va da cinque a dodici anni; e se pensano di costituirsi in bande armate, l’articolo 306 stabilisce una pena che va fino ai 15 anni.

Vi sono poi i reati contro l’incolumità pubblica. L’articolo 423 prevede il reato d’incendio, che viene punito con la reclusione da due a sette anni.

Poi vi è la grande famiglia dei delitti contro le persone: la lesione, la lesione aggravata, l’omicidio, l’omicidio premeditato.

Dunque, amici, io devo pensare che a coloro che hanno presentato questo disegno di legge, a coloro cui sarebbe cara l’approvazione di questo disegno di legge, non giova che sia repressa ogni forma di attività politica criminosa, ma che sia incriminata codesta attività soltanto se i rei appartengano a partiti avversi al loro. E noi non possiamo condividere tale stranissima opinione, tale assurdo principio. Onorevoli colleghi, non ci sarebbe bisogno di leggi repressive, né ordinarie né eccezionali, se tutti si affidassero per la diffusione delle loro idee alla onesta propaganda, come noi abbiamo sempre fatto, noi che siamo considerati uomini di destra, reazionari, nonostante che non si sia avverato un solo caso di distruzioni di sedi di partiti avversi commesse da iscritti al nostro partito o al partito monarchico…

BUBBIO. …e della Democrazia cristiana.

RUSSO PEREZ. Adesso sì: anche qualche vostra sede è stata distrutta. Adesso anche+ voi siete chiamati fascisti. Noi abbiamo avute devastate tante sedi, ma non c’è nessuno dell’altra sponda che possa affermare che da parte nostra ci sia stato un solo tentativo di distruzione!

Una voce all’estrema sinistra. E le bombe che sono state messe a Perugia?

RUSSO PEREZ. Le bombe; torniamo a quel tema, sul quale l’onorevole Scelba fece delle dichiarazioni che non vi piacquero.

Come spiegate voi che le bombe esplodano sempre al secondo piano e sempre in un momento in cui non c’è nessuno? Sono veramente bombe addomesticate. E se c’è gente tanto ardita, tanto coraggiosa, tanto fanatica che pensa di venire a mettere le bombe nelle sedi del Partito comunista, come mai questa gente non ha il coraggio di scendere in piazza ad affrontarvi avviso aperto e ad attaccarvi anche nelle vostre sedi?

MINIO. Lo fareste più in là, se lasciassimo correre. Quando assassinate i nostri colleghi sindacali uno ad uno, forse non scendete in piazza? Noi aspetteremmo con le armi imbracciate.

RUSSO PEREZ. Voi mi aspettate in quella posizione; ma in quella posizione io mi metto soltanto quando vado al tiro al piccione; e adesso mi fanno pena anche i piccioni.

MINIO. I dirigenti sindacali chi li ammazza?

RUSSO PEREZ. Io ho finito; mi riservo di parlare sugli emendamenti che ho proposti, nel caso che il disegno di legge venga approvato.

Per concludere, voglio dire, che voi combattete contro quello che io una volta chiamai il fantoccio di Pierino, contro il fantasma del neo-fascismo. Ma, in confronto al fantasma del neo-fascismo, vi è una realtà fascista, quella che insanguina oggi le piazze d’Italia e che turba ed impedisce la ricostruzione dell’Italia. L’Italia attualmente è come quel tale ammalato cui il medico prescrive ghiaccio ed immobilità. Voi date a quell’ammalato scossoni continui e se il medico e l’infermiere intervengono a protestare, voi dite che essi sono fascisti. Questa è la verità.

Quindi, legge repressiva dell’attività totalitaria per tutti o per nessuno.

Voi parlate sempre di reazione; la reazione implica un’azione. Vi dissi una volta: siate più cauti nella vostra azione, attenetevi della legge, fate la vostra propaganda dei limiti della legge; e naturalmente non sorgerà la reazione. (Interruzioni all’estrema sinistra).

I fascisti più numerosi sapete chi sono? Quelli che non lo furono mai e lo sono diventati oggi per reazione a questa forma pericolosa di fascismo, che è il vostro antifascismo professionale. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Condorelli. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, l’articolo 17 del documento firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 fa obbligo all’Italia di impedire la ricostituzione del partito fascista e di movimenti simili, che definisce nei tratti fondamentali.

Noi abbiamo l’obbligo internazionale, quale che sia stata la nostra posizione di fronte al cosiddetto Trattato di pace, di dare esecuzione a questo articolo 17. Ed all’obbligo internazionale si aggiunge l’obbligo, che abbiamo verso noi stessi, di difendere contro questi movimenti, attuali o possibili, la democrazia, che noi fermamente vogliamo.

Il Governo ha presentato un progetto con il quale si punisce la ricostituzione del partito fascista. La Commissione, secondo me molto più opportunamente, visto che nessun partito commetterà l’errore, pur essendo fascista, di chiamarsi tale, si è accinta ad un’opera attenta e lodevole, per definire che cosa sia il fascismo, e servendosi sostanzialmente dello stesso articolo 17 del Trattato di Pace, ha segnato così i caratteri fondamentali del fascismo: carattere militare o paramilitare dell’organizzazione; mezzi: la esaltazione o l’uso della violenza, fisica o morale, cioè o della violenza coercitiva o delle minacce; infine le finalità: soppressione od attentato alle libertà democratiche. Così facendo il nostro legislatore delinea un’entità delittuosa, che non è tale per arbitrio del legislatore, ma che è tale per esigenza logica di concetto in ogni regime democratico, che deve bandire necessariamente la violenza antilegalitaria, la violenza diretta ad invalidare la volontà popolare consacrata nelle leggi.

Ma, direi di più, è un’esigenza di ogni ordinamento giuridico che non può non condannare la violenza, perché essa è proprio l’opposto del diritto. Ogni ordinamento giuridico, sia esso fascista o antifascista, democratico od assolutista, non può non reprimere la violenza contro le leggi. Infatti, come vi ha dimostrato testé l’onorevole Russo Perez, nel Codice penale fascista, trovate tutte le norme necessarie per reprimere, anche ad abundantiam, anche esagerando, tutti gli attacchi contro l’ordine costituito. Dunque non è una forma di reato nuovo, ma è qualche cosa che esiste già in tutti i codici e scaturisce dall’esigenza, non solo di una costituzione democratica, ma di un qualsiasi ordinamento giuridico.

Su un altro punto voglio richiamare la vostra attenzione, onorevoli colleghi, cioè che, posta la legge in esame, i medesimi fatti, le medesime estrinsecazioni di attività criminosa sono punite in modo diverso a seconda dell’ideologia che li muove, in modo che, se un atto è compiuto da chi è fascista, è punito in un modo; se lo stesso atto è compiuto da chi è monarchico od ha finalità monarchiche, è punito meno gravemente; infine se quell’atto stesso fosse compiuto da chi si prefigga altre finalità politiche è punito ancor più lievemente. Dunque è l’ideologia determinante che si colpisce, non l’atto per sé stesso. Ora, tutto ciò è contrario ad ogni principio del diritto penale, ad ogni principio di giustizia, anzi, vi dico: è contrario ad una norma costituzionale che abbiamo testé creato, l’articolo 3 della nostra Costituzione, nel quale è detto che la legge è uguale per tutti, quali che siano le idee politiche che si professano. Si parla del sesso, della razza, della lingua, delle opinioni religiose ed anche delle opinioni politiche: nessuna differenza, in ordine all’osservanza delle leggi, può derivare da opinioni politiche. Qui noi abbiamo, a distanza di quattro mesi dall’approvazione di questa legge fondamentale che abbiamo promesso debba regolare la nostra vita nazionale, una flagrante rivolta contro quello che noi stessi abbiamo fatto. Il che, veramente, mi fa poco sperare per il permanere della libertà in Italia, se noi stessi, che abbiamo votato quell’articolo fondamentale della nostra vita costituzionale, immediatamente insorgiamo contro di esso nel modo più flagrante. Ora io credo che non vi possa essere persona sensata che possa resistere di fronte all’evidenza di questo argomento.

Ma, andiamo più a fondo nelle cose. Quale potrebbe essere la ragione di un diverso trattamento degli stessi fatti tendenti alle stesse finalità? La finalità, badate, è segnata nell’articolo di legge ed è quella di sottrarre al popolo le sue libertà democratiche. Sono perciò atti identici, tendenti ad un determinato scopo: soppressione delle libertà democratiche. Questi atti identici tendenti alle stesse finalità sono puniti in modo diverso, a seconda dell’opinione politica di chi li compie. Ma, quale potrebbe essere, io chiedo, la ragione di questa differenza? La supposizione che un attentato di questo genere alle libertà democratiche possa venire soltanto da alcune parti mentre dalle altre non è possibile che venga? Ora, non c’è nessuno che possa sostenere ciò, perché tutti quanti sappiamo che l’assolutismo, che è il contrario della democrazia, può essere di qualsiasi parte, può essere di un monarchico quanto di un repubblicano, perché come vi sono monarchie assolute, non mancano repubbliche assolute, dato che il concetto dell’assolutismo è uno solo: riunire nelle stesse mani di un individuo singolo o di un corpo, che può essere anche tutto quanto il popolo, insieme la potestà legislativa e la potestà esecutiva, di modo che chi deve applicare la legge è quello stesso che se la fa. Allora, quando avviene questo cumulo nelle stesse mani, nello stesso titolare, sia individuo sia corpo sociale, noi abbiamo l’assolutismo. Di tal che l’assolutismo può essere nelle monarchie come nelle repubbliche. E, difatti, noi assistiamo in questo secolo, come testé diceva il collega Benedettini, al fiorire di repubbliche assolutiste. Non vi sono oggi, per quanto io sappia, delle monarchie assolute; ci sono state in altri secoli, ma ciò conferma ciò che io vi dicevo e cioè che l’assolutismo, opposto della democrazia e della libertà, non è proprio dei monarchici o dei fascisti, ma può essere anche dei repubblicani. La dottrina della violenza fu teorizzata proprio da quella parte (indica la sinistra), da Sorel, ed il fascismo la prese in prestito. Ma come il fascismo, sono i legittimi discendenti spirituali di colui che la proclamò, che largamente la attuano dovunque o tentano dovunque di attuarla.

Dunque, non vi è nessuna ragione per fare un trattamento diverso agli autori di quegli atti, a seconda delle opinioni politiche che professano. Noi dobbiamo guardare nella entità sua l’attentato contro le libertà democratiche e punirlo egualmente da chiunque esso si compia. Ciò che ho dimostrato in rapporto all’articolo 1 della legge proposta, si manifesta ancora più chiaro in rapporto ad altre ipotesi delittuose previste nel disegno di legge. Si puniscono gli atti diretti od ostacolare od impedire l’esercizio dei diritti civili e politici ed in modo particolare se questi atti sono commessi da fascisti o da monarchici. Perché? Quale è la ragione? La ragione non è che una sola: l’idea politica che determina questi atti.

Financo per la costituzione di bande armate si prevede una diversa pena, solo in quanto le bande armate siano costituite a finalità fasciste o monarchiche, come se l’attentato alla libertà non ci fosse egualmente se le bande armate fossero costituite da comunisti o da repubblicani. Non si regge in nessun modo questa legge. Una sola esigenza la Costituente può e deve prendere in esame: – cioè l’opportunità di inasprire le pene contro queste forme delittuose, che potrebbero sorgere dalla situazione in cui viviamo o forse da quello che non infondatamente si dice essere un vizio atavico di alcune regioni di Italia: la rissosità e la faziosità.

Il pullulare di queste forme delittuose, che certamente non è oggi addebitabile agli orientamenti considerati dal disegno di legge, va naturalmente combattuto. Si possono anche creare, se occorre, delle nuove ipotesi delittuose. Ma le leggi devono essere uguali per tutti. Debbono essere leggi che rispecchino questo principio fondamentale di ogni diritto e del nostro diritto costituzionale in ispecie, perché tutti i cittadini, qualunque sia la loro opinione politica, sono eguali dinanzi alla legge e, prima fra tutte, innanzi alla legge penale.

Per questo io ho presentato un ordine del giorno con il quale chiedo che il progetto sia restituito alla Sottocommissione, perché lo rielabori, alla stregua di queste direttive: di prevedere, se occorre, degli inasprimenti di pena contro le forme violente di faziosità, ma degli inasprimenti che debbano valere contro tutti egualmente e che debbano colpire la delinquenza politica da qualunque lato essa provenga, qualunque sia la ideologia che la determina e che mai può giustificarla. Queste sono le richieste che io faccio alla Costituente e che per l’onore d’Italia mi attendo che la Costituente accetti. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Scalfaro. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, parlo a titolo personale dopo avere cercato di leggere molto attentamente il progetto così come è presentato dal Governo e così come è elaborato, attraverso uno sforzo degno di molta considerazione e di molte lodi, dalla Commissione e dopo avere soprattutto letto la relazione dell’onorevole Bettiol, che rappresenta un maggiore sforzo per tener ferma una situazione di equilibrio, che mi pare assolutamente indispensabile.

Onorevoli colleghi, è vero che l’animo del più umile dei giuristi, o meglio degli uomini che comunque hanno avuto a che fare con le leggi e con i Codici, può sentirsi ribellare, quando si ritrovi nelle mani una legge speciale; ma è altrettanto vero che è facile cadere nell’una o nell’altra delle esagerazioni: è facile, da una parte, chiedere una repressione attraverso una legge che varca quelli che sono i limiti della libertà, ed è altrettanto facile rendersi paladini di una libertà che talvolta, forse, varca i confini del giusto. È facile prendere questa legge in mano e dire che si è violata la libertà di una schiera di cittadini in questa Patria.

Signori, mi si consenta una dichiarazione personale, ma che credo possa essere accettata da altri colleghi; se, di fronte alle violenze che in questo momento si vanno manifestando, l’animo del cittadino si ribella, quando questi tentativi sorgono da uomini che li hanno già una volta realizzati, il nostro animo ha diritto di ribellarsi due volte.

Ed io credo che, di fronte a questa situazione, si possa dire che lo sforzo della Commissione sia stato particolarmente saggio, quando all’articolo uno ha sostituito al testo proposto dal Governo una dizione con la quale si è cercato di dire quali devono essere, quali possono essere gli elementi che fanno dichiarare fascista, nella sostanza, un partito, prima che nella forma. Perché è certo ed evidente che non è facile, dopo la situazione politica che il popolo italiano ha vissuto, non è facile veder risorgere un partito che si presenti con lo stesso cartellino, con lo stesso biglietto da visita; ma è facile si presentino dei movimenti, che ne hanno la sostanza. E quindi dicendosi: «Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista sotto qualunque forma» si entra già nella sostanza. Non importa quale sia la denominazione, la forma di questo partito; occorre che esso si distingua «per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta e persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista, rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

Ché, se ad un certo momento questo articolo, nominando il disciolto partito fascista, può dar l’impressione che, partendo da una definizione iniziale, ritorni ancora alle origini, con una evidente petizione di principî senza sostanza, dirò che questo partito fascista è chiaramente identificato in quella finalità, in quel tendere, in quell’attentare alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione.

D’altra parte, mentre il Governo per quanto attiene alla pena aveva presentato l’articolo 1 nella forma: «è punito con la reclusione da dieci a venti anni», la Commissione ha fatto molto bene a sostituire le seguenti parole: «Chiunque vi aderisce è punito con la reclusione sino a tre anni».

Perché, a me, personalmente, non fanno mai paura le pene che arrivano, nel massimo, anche a forme molto rigide; ma fanno molta paura quelle che fissano in modo drastico i minimi. Abbiamo avuto una legge sul collaborazionismo, la quale sarà stata bene o male applicata (non è questa la sede per discuterne), ma comunque presentava il gravissimo difetto di essere basata sull’implicito presupposto che fosse possibile, che fosse esatto inquadrare tutte le forme verificatesi di collaborazionismo nei due aspetti del collaborazionismo militare e del collaborazionismo politico.

Ma soprattutto, quello che era più grave, quello che ha assunto un aspetto veramente tragico e illogico insieme, era il minimo di reclusione fissato in anni dieci ai sensi dell’articolo 58 del Codice penale militare di guerra. Onorevoli colleghi, io mi baso sulla mia modesta esperienza personale; mi baso, in modo particolare, su quello che ho visto più volte accadere presso le Corti di assise speciali. Sovente si scendeva molto al di sotto di questo minimo, ma non sempre ciò accadeva perché vi fossero gli estremi per l’applicazione di tutte le previste attenuanti; molte volte anzi esse non si potevano, almeno in parte, ravvisare o per ragioni giuridiche erano inapplicabili; ma c’erano gli stessi giudici popolari i quali si trovavano a dover dirimere un grave conflitto di coscienza, in quanto sentivano l’esigenza di infliggere una pena che fosse consona alla infrazione dei diritti, a quello che concretamente aveva potuto essere l’attentato, la violazione delle altrui libertà.

Onorevoli colleghi! Ciò è veramente grave, molto grave. (Approvazioni). Noi non dobbiamo creare delle vittime; noi non dobbiamo soprattutto creare dei movimenti, i quali appoggino le vittime, che le vittime rendano eroi. Signori! Le vittime sono persone che recano il loro fardello di sofferenza e di dolore, sempre che gli intenti che le hanno condotte alla lotta siano stati puri. L’eroe è colui il quale ha saputo innalzare le proprie virtù ad un grado eccelso: ma non è lecito creare vittime con una legge ingiusta o per la falsa applicazione di legge.

Non si deve già attendere di ravvisare le forme gravissime degli attentati ad una libertà o ai principî democratici per applicare queste pene di 20 e di 30 anni. Se si vogliono veramente difendere gli istituti democratici, a noi corre l’obbligo di reagire immediatamente anche alle piccole forme di violazione di questi istituti. È pertanto sotto questo riguardo che io vi invito a considerare la gravità che assume questo problema della determinazione dei minimi di pena.

Passiamo all’articolo 2. Esso reca: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione da tre a dieci anni».

Onorevoli colleghi, io non sono favorevole a questo articolo.

Vi invito a considerare che l’articolo 254 del Codice penale ci ripete quella medesima ipotesi. Non ne vedo la ragione quindi, dato che, come a me pare, i presentatori di questo disegno – Governo e Commissione – si sono solo proposti di risolvere un quesito: quello inerente alla pena, prevedendo, per questa ipotesi, la reclusione fino a dieci anni; e proprio per questo che io non vedo la necessità di distinguere, rimanendo questa un’ipotesi, un concretarsi dell’ipotesi prevista dall’articolo 294; e mi permetterò di chiederne quindi la soppressione.

Né, d’altra parte, mi pare si sia posta comunque, una limitazione a quelle che sono le libertà di propaganda, libertà di costituirsi in partito di coloro che hanno un pensiero monarchico. La limitazione si è posta quando si è visto, quando si può intravvedere che questo pensiero cerchi una strada di violenza per il ritorno della monarchia.

Quindi ciò che preoccupa il legislatore è la violenza, il mezzo di violenza. E non è possibile di fronte a questo che io non cerchi – può darsi che ne lo interpreti male – di mettermi nello stato d’animo di coloro che credono di essere calpestati nei loro diritti… perché effettivamente si deve essere contro ogni forma di violenza. Questa è una delle forme di violenza che però, non si può negare, desta una particolare preoccupazione nel legislatore di oggi, per una situazione storica e politica in cui questo popolo è vissuto, situazione della quale si preoccupa che possa determinarsi un ritorno che avrebbe carattere di recidività. E il Codice, sempre, di fronte ai recidivi ha una punizione maggiore; e i principî del diritto ci hanno sempre insegnato che, quando una prima reazione ad una situazione giuridica illecita non ha sortito l’effetto desiderato, è necessario che su una perfetta linea di assoluta legalità, si trovi un sistema per impedire comunque, che dopo dei primi passi nel campo dell’illiceità, se ne possano compiere altri peggiori. E allora è giusto, saggio, indispensabile che il legislatore se ne preoccupi.

Inoltre, nell’articolo 4 si diceva: «nella ipotesi di concorso nel delitto preveduto nell’articolo 3 con alcuno dei delitti preveduti negli articoli 1 e 2, quando si tratta di fatti che per la loro gravità sono tali da potere provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con le pene comminate dall’articolo 2 del decreto legislativo 27 luglio 1944, n. 159». Se non erro, si parla della pena capitale. Pena capitale, contro la quale ogni settore di questa Assemblea, in nome di un principio di civiltà e di umanità che ci accomuna, si è ribellato in sede di Costituzione. Pena, quindi, che non può tornare, come è evidente non potrà tornare, se l’Assemblea vorrà accettare l’emendamento a modifica portato dalla Commissione, dove si parla della pena dell’ergastolo.

È inutile aggiungere altro a queste frasi, perché io penso che quella decisione, che fu proprio presa in sede di Costituzione, non possa essere comunque, anche negli animi che per aver sofferto nel passato sentono una particolare reazione di fronte ai movimenti chiamati neo-fascisti, revocata: cioè che si giunga nuovamente ad approvare, a sanzionare la pena di morte in una legge che esce dal supremo consesso legislativo del popolo italiano. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, ognuno di loro ha delle esperienze più o meno tragiche in materia, per aver visto o aver sentito raccontare. I magistrati si sono trovati di fronte a queste situazioni per loro dovere e hanno visto gli uomini cadere sotto la fucileria a seguito di una tremenda sentenza; forse uomini che hanno meritato anche di peggio (se fosse possibile così esprimersi); ma quando si vedono uomini che cadono per una condanna a morte, immediatamente si sente l’eco della sofferenza dei figli, di coloro che gli sono d’attorno, che hanno «diritto» – si comprenda questa espressione – di protestare sempre, quando qualche persona cara viene strappata loro in questo modo; e ne hanno diritto in nome di una reazione familiare, spontanea, istintiva, contro la quale non si può certo reagire, che pone le prime basi di quella situazione di eroismo e di vittime, della quale ho parlato in precedenza.

Noi, già in questa situazione storica, portiamo il peso di qualche situazione di questo genere, in una località od in un’altra; sentiamo quanto abbia pesato di più una condanna a morte, una esecuzione, più di quanto non avrebbero pesato uno, dieci, venti anni di carcere.

D’altra parte, per coloro che hanno tragica esperienza del carcere, per averlo sofferto, e per coloro che ogni giorno di accostano a queste sofferenze, si sa quale peso grave, quale tragedia sia la vita del carcere, specie quando si pensi che questo carcere si chiama ergastolo.

Se io – che pur nella mia vita di magistrato sono stato accusato di avere la manica più larga della mia toga, e non me ne pento – se io, dicevo, dovessi esprimere il mio pensiero, direi che il popolo italiano, trascinato da questa sua prevalenza di passionalità e di sentimenti, è portato oggi a uccidere e domani a glorificare; bisogna portarlo sulla strada dell’equilibrio che sola si identifica con quella della giustizia.

E d’altra parte, se un altro torto abbiamo (e non mi riferisco né all’ultima né ad altre amnistie) si è che il popolo italiano nutre d’un tratto un desiderio di perdono, portato a volte nel subcosciente; ad un certo punto, un legislatore o un Governo o un capo di Stato, che al provvedimento dànno vita in nome di quel desiderio, con un perdono universale sistemano una infinità di situazioni che non sono giuridicamente sistemabili, e poi… se ne pentono. Siamo più equilibrati, siamo più giusti nel segnare le vie della giustizia, e non camminiamo buttandoci da un lato all’altro della strada, cercando a volte una giustizia che sa di rappresaglia, a volte un perdono indiscriminato! Perdono indiscriminato che, se può sempre essere grande quando viene dall’individuo che solo è stato offeso, non può esserlo se viene da un gruppo di individui che vogliono perdonare in nome dell’offeso o della società che l’offesa ha dovuto sopportare. Più equilibrio nel fare le leggi… e meno amnistie!

E allora, prima di concludere, un’ultima proposta.

Articolo 8: «Per i delitti preveduti negli articoli precedenti si procede con l’istruzione sommaria e, quando è possibile, con giudizio direttissimo».

Onorevoli colleghi, risparmiate ancora una volta l’ingiustizia dell’obbligatorietà di istruzioni sommarie e di giudizi per direttissima!

È vero, c’è un desiderio, c’è un anelito che è l’anelito della parte sana del popolo italiano e che è anelito di legalità, di reazione alla violenza e che si sente per esempio in queste giornate, quando, nelle interrogazioni che si rivolgono al Governo e che riguardano violenze di sinistra, o tentativi di neofascismo, si conclude sempre con questa domanda: se sono stati arrestati, se sono stati puniti i responsabili.

È vero quindi che vi è un desiderio legittimo che la giustizia si attui nel tempo più rapido possibile. È dunque doveroso che questo desiderio trovi attuazione, attraverso la strada giusta che conduce alla giustizia; ma è altrettanto vero che si può essere sodisfatti quando il colpevole venga arrestato e che non si può pretendere che, perché vi sia subito una condanna che sodisfi l’opinione pubblica (che può essere più o meno giusta o errata), vi sia subito un giudizio. Ed è altrettanto vero (e gli onorevoli colleghi che sono avvocati lo sanno) che non c’è nulla di meglio di una istruttoria sommaria e di un giudizio direttissimo per legittimare sempre i rinvii e per ottenere che il magistrato non vi si possa opporre; per cui questa istruttoria sommaria e questo giudizio direttissimo si riducono esclusivamente ad una affermazione scritta, ma raramente attuata.

E perciò, diciamo di non aver fretta. Diciamo piuttosto, che si potrà cercare, attraverso tutti i mezzi di cui questa Assemblea potrà servirsi in regime democratico, di sollecitare, di spingere, di muovere perché una istruttoria abbia il tempo, tutto il tempo. Facciamo sì che il magistrato abbia tutto il tempo che gli può servire perché tutti gli atti si compiano, perché si veda fino in fondo quale è la verità delle cose, poiché io penso che questa legge, come qualsiasi altra, si deve porre un problema che è un problema di ricerca di verità e quindi un problema di giustizia, la quale giustizia non può mai conquistarsi attraverso una coartazione, attraverso una fretta non motivata, attraverso una istruttoria che risalga sempre necessariamente al dibattimento. E loro sanno che cosa siano le istruttorie dibattimentali; sanno che cosa significhi una documentazione di attività partigiana presentata in udienza o che cosa vogliano dire tanti interrogativi che si pongono all’ultimo momento i quali sono, quanto meno, atti a legittimare un rinvio che non sarebbe mai onestamente giustificato. Ed allora, in nome della sincerità e della onestà, diciamo che si useranno per queste ipotesi di reato quelle forme di procedura che esistono per tutti gli altri reati di cui al Codice penale.

Non ho altro da aggiungere. Vorrei però sottolineare un riflesso politico della questione in esame: vorrei richiamare l’attenzione (anche se non ho l’autorità e non posso averla) degli onorevoli colleghi di una parte e dell’altra: di chi protesta dicendo che questa legge è troppo tenue e farebbe fra l’altro un giuoco impolitico sopravvalutando quelli che possono essere i movimenti neofascisti e facendo di tutto perché vengano potenziati dall’esterno, aiutandoli, in ogni modo, perché si rinforzino e, dall’eccessivo attacco, prendano maggior forza, maggior importanza.

Vorrei dire a quei colleghi della destra – che pure dotati di grande saggezza, hanno elevato eccessiva protesta – vorrei dire che sé in apparenza, nella forma, la loro protesta può parere legittimata, è giusto e saggio che noi ci fermiamo alla sostanza.

Si può dire: ma potrebbe bastare il Codice penale. Si può e si deve rispondere ancora una volta che vi è una situazione storico-politica alla quale non ci si può sottrarre e che deve essere tenuta presente.

Se c’è una materia che non può non conoscere la situazione storica in cui si vive, questa materia è quella del Codice penale, che è la materia più carica delle sofferenze della umanità, che sintetizza tutte le passioni, tutte le tribolazioni dell’uomo e degli uomini. È giusto quindi a un certo momento che noi teniamo anche chiaramente dinanzi questa situazione storico-politica; ché se si dovesse pensare a una difesa ad oltranza di certi principî e si credesse, stracciando questa legge, che questi principî siano salvi, si potrebbe allora – è questo non ha niente a che fare col diritto, ma ha a che fare con la politica – trovarci di fronte ad altra più grave reazione, cioè il voler difendere ciò che non è difendibile, potrebbe determinare la soppressione di quei valori che non sono mai sopprimibili.

Io ancora credo – e non penso che il mio credo si poggi su una falsa argomentazione, su un falso ragionamento – io credo, profondamente credo, ancora che questa legge, così come è stata presentata dalla saggezza della Commissione – mi si lasci dire – dalla saggezza dell’onorevole Bettiol, risponda insieme a questo anelito di giustizia e di libertà.

Io spero allora che ciascuno di noi voglia fermarsi ad una valutazione il più possibile serena ed il più possibile oggettiva, non ponendosi a difendere la libertà quando in sostanza non sia più libertà, non ponendosi a schiacciare nell’individuo che ieri ha sbagliato la libertà del cittadino di oggi. Vorrei cioè che il voto favorevole alla legge così come è stata presentata dalla Commissione ed eventualmente anche più saggiamente migliorata, concilii insieme questi due aneliti e sia una nuova affermazione che questa Assemblea ha degli uomini che comunque «osano» ancora oggi, anche di fronte a una vita quotidiana di turbamenti, di pericoli, di attacchi, porre un’altra pietra perché si continui a credere nella libertà e nella giustizia. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, non deve recare sorpresa che si proponga alla nostra approvazione una legge straordinaria per la difesa della Repubblica. Ogni rivoluzione, sia pure avvenuta legalmente, diviene conservatrice delle posizioni raggiunte. Nella frattura fra un mondo che cade ed un mondo che sorge, questo ritiene necessario ed urgente consolidarsi sulle rovine dell’altro. Alfonso Karr ha scritto che i rossi sono i bianchi in cammino, ed i bianchi sono i rossi arrivati. Nessuna meraviglia, adunque, che il regime repubblicano cerchi, a modo suo, di difendere la Repubblica. Pertanto, io intendo soltanto esaminare le disposizioni della legge, in rapporto agli emendamenti da me presentati, sembrandomi che esse, sia nel progetto ministeriale, sia nel progetto della Commissione, non rispondano alla finalità che la legge vorrebbe raggiungere, e, soprattutto, alle esigenze della repressione.

Rilevo, innanzitutto, che l’articolo 1, contemplando l’ipotesi della ricostituzione del disciolto partito fascista, esige due estremi i quali, a mio avviso, potranno difficilmente realizzarsi, per modo che la norma, così com’è, nel testo del progetto ministeriale e nel testo della Commissione, nella maggior parte dei casi, non potrà essere applicata.

L’articolo 1 esige, difatti, il concorso di una organizzazione militare o paramilitare del partito e la esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta per raggiungere finalità o metodi, propri del disciolto partito fascista.

Organizzazione militare o paramilitare. Quale significato ha questa espressione? E come si potrà, nell’organizzazione di un partito, identificare un’associazione, militarmente disciplinata, che obbedisca alle esigenze di una compagine simile ad una caserma, ed attinga le norme della propria condotta in quelle proprie della condotta del soldato?

Seconda osservazione: questa organizzazione militare o paramilitare deve concorrere o con l’esaltazione della violenza, come mezzo di lotta, o con l’uso della violenza stessa, per raggiungere le finalità proprie del partito fascista.

Non vi pare che siamo nel vago, nell’indeterminato, sicché la norma lascia evidentemente un largo margine di arbitrio all’interpretazione del giudice? E, d’altra parte, come si può affermare che tutte le finalità del partito fascista siano attentati alle libertà democratiche, e come sarà possibile identificare queste finalità proprie del regime fascista, nel caso di associazioni o partiti che cercheranno evidentemente di dissimulare le proprie tendenze e il proprio programma?

Io penso, adunque, che la norma penale debba configurare una fattispecie concreta, sui cui estremi oggettivi non possano sorgere contestazioni, in modo che il giudice non sia arbitro della propria interpretazione. Egli deve essere, invece, vincolato alla disposizione della legge ed allo spirito di essa.

Ritengo, inoltre, che la norma non debba essere circoscritta al partito fascista, nella sua particolare espressione storica di una dittatura, ma a qualunque forma di dispotismo o di dittatura, che sia finalità di associazioni o di partiti.

Ritengo, pertanto, che l’emendamento da noi presentato risponda a tale esigenza, tenendo anche conto, in rapporto alla ipotesi delittuosa configurata, degli articoli 47 e 50 del progetto di Costituzione. L’emendamento che riassume e contiene anche l’articolo 1-bis; che contempla, cioè, l’attività fascista e la attività intesa, con mezzi violenti, alla restaurazione dell’istituto monarchico suona così: «Chiunque promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista ovvero associazioni o partiti col fine di mutare la Costituzione della Repubblica o la forma del Governo costituzionale parlamentare o di sopprimere o menomare le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, con mezzi violenti o, comunque, non consentiti dall’ordinamento costituzionale, è punito, ecc.». «Chiunque vi partecipa è punito, ecc.».

Prima di occuparmi della prima parte dell’emendamento, richiamo la vostra attenzione sul capoverso. Sia nel progetto ministeriale, sia in quello della Commissione si contempla il caso di chi «aderisce» alle associazioni o partiti di cui alla prima parte dell’articolo 1.

Io ritengo impropria la espressione: «vi aderisce». L’adesione può essere soltanto adesione di pensiero, adesione ideale, o espressione d’un apprezzamento o d’un giudizio. Evidentemente, lo spirito della norma è ben altro. La norma è intesa a reprimere la partecipazione, epperò occorre configurare come ipotesi punibile il fatto di chi partecipa.

A mio avviso, l’emendamento ha gli estremi inconfondibili di una fattispecie concreta, che non si presterebbe ad alcuna interpretazione arbitraria.

Osservo, intanto, al collega Russo Perez che, se è vero che questa legge eccezionale, in buona sostanza, riproduce alcune disposizioni del Codice penale vigente, è vero, per altro, che l’articolo 283 di esso contempla l’attentato alla costituzione dello Stato fascista e alla forma del Governo fascista, ad istituti ed organi, cioè, che costituiscono la più evidente violazione delle libertà democratiche e che tale violazione s’intende ora reprimere.

Come ho rilevato, il mio emendamento vuole anche ricondursi agli articoli 47 e 50 del progetto di Costituzione.

L’articolo 47 stabilisce:

«Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Ora la norma penale vuole precisamente reprimere quelle organizzazioni che, in contrasto con l’articolo 47, sono intese a violare le libertà democratiche. È questa la prima parte dell’emendamento.

L’articolo 50 dice: «Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi». Di qui, la norma con cui si tende a reprimere quelle organizzazioni le quali si propongano di mutare la costituzione dello Stato o la forma di Governo costituzionale parlamentare.

Passando all’articolo 2, esso stabilisce: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora, ecc.». È stato osservato da alcuni che questo articolo 2 non è che la riproduzione dell’articolo 294 del nostro Codice penale vigente. Osservo, innanzi tutto, che il rilievo non è esatto, perché l’articolo 294 contempla solo il fatto di chi «impedisce od ostacola l’esercizio di un diritto politico», non anche «l’esercizio dei diritti civili», come specificamente è detto nell’articolo 2.

Vi è poi un’altra osservazione da ricordare, quella contenuta nella relazione dell’onorevole Bettiol, che, cioè, il fatto preveduto nell’articolo 2 non è soltanto quello di chi impedisce l’esercizio dei diritti politici e civili, ma di chi lo impedisce in relazione con l’esercizio di attività fascista, o di attività diretta alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico. Pertanto nella norma non si configura l’ostacolo o l’impedimento all’esercizio di diritti civili o politici in se stesso considerato, ma l’ostacolo o l’impedimento che si verificano come esplicazione di attività fascista o di attività violenta, diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. Anche qui, con l’emendamento da me presentato, io mi sono proposto di rendere più precisa la norma. Difatti nell’articolo 2 si dice: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando, ecc.». Alla stregua di tale disposizione, l’attività fascista e l’attività violenta, intesa alla restaurazione della monarchia si identificano col mezzo, vale a dire consistono soltanto nell’impedire ed ostacolare.

Non è possibile altra interpretazione. Epperò, io propongo di modificare la norma nel modo seguente: «Chiunque, svolgendo attività fascista o attività determinata dal fine di restaurare l’istituto monarchico, ecc.». Quindi, là dove si dice: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo o ostacolando, ecc.», io proporrei di dire: «Chiunque svolgendo attività fascista, ecc. impedisce od ostacola, ecc.».

Seconda osservazione. Qui a mio avviso, occorre configurare il tentativo come reato per sé stante, allo stesso modo in cui si configura l’attentato contro la Costituzione dello Stato o contro la forma di Governo. Vero è che, in queste ultime ipotesi, non si può tener conto dell’evento, essendo evidente che, ove l’evento si verificasse, nessuna repressione sarebbe possibile per il prevalere delle correnti che concorsero a mutare la Costituzione o la forma di Governo.

Dunque tipica figura di attentato, reato cioè di mero pericolo.

Ma anche per il reato preveduto nell’articolo 2, che non ha il carattere suddetto, perché si tratta di ostacolo o di impedimento all’esercizio dei diritti civili e politici, io penso che la norma debba essere sdoppiata in due ipotesi: la prima che prevede il tentativo, configurandolo come reato autonomo; la seconda che, prevedendo l’evento, commina un aumento di pena, giusta l’emendamento da me presentato.

Per altro, l’articolo 2 non prevede la ipotesi di chi, non impedendo od ostacolando, istiga, però, con violenza o con minaccia, taluno ad esercitare i propri diritti in senso difforme dalla sua volontà.

Mi sembrerebbe, adunque, opportuno contemplare questa ipotesi, giusta l’emendamento da me presentato.

Finalmente, configurandosi nell’emendamento il reato come attentato, configurandosi cioè il tentativo come reato autonomo, si stabilisce nell’emendamento stesso che «la pena è aumentata se si verifica l’evento, ecc.»; e che «la pena è aumentata se concorrono le circostanze aggravanti prevedute dall’articolo 339 del Codice penale».

Quanto all’articolo 4, io ne propongo la soppressione.

L’articolo 4 prevede l’ipotesi del concorso dei reati preveduti negli articoli 1 e 1-bis con quello preveduto nell’articolo 3, della formazione, cioè, di bande armate, organizzate per i fini indicati negli articoli 1 e 1-bis.

Nel caso di tale concorso, quando si tratta di fatti che, per la loro gravità, sono tali da poter provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con la reclusione non inferiore ad anni ventuno, e, nei casi più gravi, con la pena dell’ergastolo. Ora, la figura del promotore o del capo è già contemplata, tanto negli articoli 1 e 1-bis, quanto nell’articolo 3 in rapporto alla pena, epperò non può essere in funzione di aumento di pena nel caso di concorso dei reati suddetti. Vero è che si considera l’ipotesi di «fatti che, per la loro gravità, possono provocare la guerra civile»; ma, per verità, non si riesce a comprendere a quali fatti intende riferirsi la norma, se la formazione di bande armate in rapporto all’attività di cui agli articoli 1 e 1-bis ha insito in sé sempre il pericolo della guerra civile.

È da osservare, inoltre, che, dato il cumulo aritmetico delle pene, nel caso di concorso di reati, e, tenuto conto del massimo di pena, stabilito per i reati di cui all’articolo 3 e per quelli di cui agli articoli 1 e 1-bis, non v’è alcun bisogno di esasperare una sanzione che innegabilmente risponde alle esigenze di una rigorosa repressione. Potrebbe, anzi, aversi, dato il testo delle disposizioni sopra ricordate, l’applicazione d’una pena minore nel caso contemplato dall’articolo 4 in rapporto a quella che potrebbe applicarsi a norma degli articoli 1, 1-bis e 3 della legge.

Per tali ragioni propongo la soppressione dell’articolo 4.

Un’ultima osservazione devo fare sull’articolo 3. Qui si prevede il caso di chi promuove, dirige e sovvenziona una banda armata.

Il primo quesito, che può presentarsi al giudice, è questo: che cosa è una banda armata, o, per essere più precisi, quando si può dire costituita una banda armata in rapporto al numero delle persone che la compongono ?

Ora, non si può lasciare all’arbitrio dell’interprete la determinazione del numero necessario o sufficiente per costituire una banda armata.

Inoltre, quando ci si riferisce ad una banda armata, noi ricorriamo immediatamente al concetto di una organizzazione, perché, per esempio, una folla in tumulto, o un raggruppamento di persone armate, non potrebbero essere considerati, anche nello scoppio di passioni di parte, come una banda armata.

La banda suppone adunque un’organizzazione ed una disciplina, ond’è che occorrerebbe, a mio avviso, precisare questo concetto, e stabilire il numero delle persone occorrente a costituire la banda armata.

Così, per esempio, quando si configura l’associazione a delinquere, non si dice «associazione a delinquere», ma si precisano gli estremi per i quali si ha il delitto di associazione a delinquere: uno di tali estremi è precisamente costituito dal numero delle persone organizzate e vincolate insieme da un comune programma delittuoso.

Nel mio emendamento, pertanto, io propongo di stabilire che la banda armata, per considerarsi tale, deve essere composta di tre o più persone.

Debbo fare un’ultima osservazione. Qui si considerano le ipotesi del promuovere, del dirigere e del sovvenzionare: non si prevede il caso di chi costituisce la banda armata, ipotesi evidentemente diversa, perché chi costituisce la banda può essere persona diversa da quella del capo, o da colui che promuove o sovvenziona.

Occorrerebbe quindi, a mio avviso, dire: “chiunque promuove, forma, dirige o sovvenziona, ecc.».

Finalmente, con il mio emendamento, faccio un’altra proposta, quella di sostituire alle parole «al fine di svolgere alcuna delle attività prevedute negli articoli precedenti» le parole «per uno dei fini indicati negli articoli precedenti», perché i fini qualificano le attività, e ne individuano la direzione.

Io propongo, pertanto, che si dica: «chiunque, per i fini preveduti negli articoli precedenti, ecc.».

Manca, infine, una norma, la quale determini nel tempo la durata della legge, e questa norma mi sembra indispensabile in una legge eccezionale, che vuole rispondere ad esigenze eccezionali.

Sono queste le modeste osservazioni, delle quali confido che l’Assemblea vorrà tener conto. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Marchesi. Ne ha facoltà.

MARCHESI. Mi limiterò a brevissime considerazioni, onorevoli colleghi. Io ho potuto questa mattina ammirare la sensibilità politica che si è manifestata su quei banchi di destra, dove una volta sedevano così accesi fautori delle leggi eccezionali: segno dell’evoluzione dei tempi. Ed io non posso se non augurarmi che questo spirito così propizio alle pubbliche libertà continui ad alitare su quei banchi, anche se, un giorno o l’altro, venga in mente a qualcuno di invocare procedimenti eccezionali contro partiti che fascisti non siano. Siamo d’accordo: una legislazione ordinaria dovrebbe essere sufficiente ad un Governo democraticamente costituito, per difendere se stesso e per provvedere alla tutela dei diritti dei cittadini; ma qui si tratta di un partito fascista, del partito fascista, di quel partito che ha operato la vergogna e la rovina d’Italia dal 1919 al 1943; di un partito ben determinato, ben distinto, coi suoi programmi, con i suoi metodi, con le sue autorità, con le sue gerarchie, coi suoi misfatti continuati; di un partito, che, come amava dire il suo capo, con una parola cara a lui, ma che non dovrebbe essere cara a noi, di un partito, che è veramente inconfondibile, perché non si può confondere con nessun altro dei partiti consentiti dalla convivenza civile degli uomini.

Non ho altro da dire; soltanto vorrei assicurarvi, se la nostra parola può meritare credito presso di voi, che, se si trattasse di una legge limitatrice delle libertà di tutti i cittadini noi saremmo d’accordo con voi nel chiederne il rigetto. Ma con questo disegno di legge presentato dal Governo non si mantiene soltanto fede a quegli impegni internazionali che ho sentito rievocare oggi da uno dei colleghi di destra; non si offende nessun diritto dei cittadini; soltanto si difende la libertà di tutti contro la vergogna fascista. (Applausi a sinistra).

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, io avevo promesso all’onorevole Condorelli, parlando su un argomento analogo a quello sul quale si sta discutendo, che avrei fatta larga documentazione di tutte le leggi eccezionali della monarchia, di tutti i fattacci che possiamo rimproverare al cessato regime monarchico; dissi anche una frase che fece impressione all’amico Condorelli: che lo avrei affogato.

Ho preso la parola per dichiarare, che l’affogamento lo potrò fare in un’altra sede (Ilarità), perché non voglio affannare l’Assemblea.

Credo di dover aggiungere che l’onorevole Condorelli non deve ritenere che io non abbia il materiale per la mia offensiva, e che la mia sia una specie di ritirata. In altra occasione potrò eseguire il poetico disegno di vedere il nostro collega sotto una mole tremenda di documentazioni delle ribalderie della cessata monarchia.

Colgo poi l’occasione per dichiarare ancora una volta che non voterò a favore di questa legge. (Approvazioni a destra).

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ho chiesto di parlare per dichiarare a nome mio e dei miei amici, che non voterò per questo disegno di legge; prima di tutto perché è inutile, e poi perché trovo strano che, come giustificazione per la sua approvazione, si ricordi una specie di impegno che noi avremmo assunto verso i vincitori nel Trattato di pace. Questa ragione non esiste, perché, evidentemente, quando è stata, fatta questa disposizione, i vincitori credevano che in Italia vi fosse un fascismo sopravvivente alla sua caduta e che i fedeli della monarchia fossero pronti a sacrificarsi per essa. È accaduto invece il contrario. Come in tante cadute dei regimi assoluti, non vi furono che un piccolo e insignificante numero di persone che lottarono per il fascismo e per la sua salvazione. Al contrario in grandissimo numero i fascisti e anche i profittatori del fascismo passarono dall’altra parte. Non pochi si trasformarono in pericolosi antifascisti. Spettacolo non certo ammirevole.

Che il fascismo rinasca è inverosimile: ciò che è verosimile è che le condizioni difficili della vita, creando molti scontenti, creino malcontenti anche nell’ordine politico, che noi pretendiamo siano fascisti.

Il fascismo fu un uomo che agì in circostanze speciali e che non si possono ripetere; quell’uomo ebbe per sé aiuti e simpatie dei grandi paesi stranieri, perché sembrava rappresentare una nuova e utile forma di reazione. L’uomo non torna e le circostanze non si ripetono. Perché occuparci di cose inverosimili?

Vi può essere in Italia, come in ogni paese di Europa, qualche movimento di resistenza contro i socialisti e i comunisti; ma non ha nulla che fare con il fascismo.

In quanto al pericolo di un movimento di reazione monarchica, non bisogna confondere i sogni con la realtà.

Dopo le grandi guerre moderne, dove le monarchie sono cadute non sono risorte, e ciò soprattutto nel 1918, anche e soprattutto in paesi a dittatura.

Un movimento di restaurazione monarchica non esiste in Italia. Ma naturalmente i nostri errori fanno pensare a molti che gli errori della monarchia non erano esclusivi di un regime.

La monarchia è caduta. È inutile che i suoi sostenitori abbiano ancora illusione: io credo anzi che nel momento attuale non ne abbiano.

Ma si esagera a torto parlando, come nella relazione, di «caduta dell’istituto monarchico». Che cosa significa? Che non devono esserci più monarchie?

Dire che la monarchia è caduta, non è dire che non vi debbano essere che repubbliche in Europa. Questa è per lo meno presunzione dei nuovi repubblicani. Vi sono in Europa solidissime e rispettabili monarchie, che hanno resistito anche assai meglio delle repubbliche alle guerra, e non hanno avuto reazione.

Limitiamoci dunque a parlare dell’Italia.

E non creiamo l’assurdo che sarebbe non nel fatto, ma nell’idea monarchica.

Quando ho udito da destra espressioni che ci dovrebbero far credere a un movimento monarchico, io ne ho sorriso. «Il movimento monarchico è potente – si è detto – nell’Italia meridionale». Ma ci credete voi veramente?

BENEDETTINI. Si!

NITTI. Io non vedo. Vi siano pure i fedeli di una idea morta: essi sono rispettabili, senza che per questo l’idea sia vera.

Dunque non vedo la necessità di fare leggi di repressione e di eccezione contro un pericolo che non mi pare esista. Come nel Codice Zanardelli, noi possiamo punire tutti quei fatti che costituiscono vero pericolo così per gli uni, come per gli altri: gli estremisti di ogni parte possono costituire pericoli, e tutti possono essere puniti.

Dunque, non mi adatterò all’idea che noi dobbiamo vedere il pericolo da una sola parte, e non già da ogni parte dove sia realmente. Quindi la difesa dello Stato deve essere fatta nell’interesse dello Stato e non nell’interesse o a vantaggio di tendenze e partiti.

Non voterò quindi queste disposizioni, perché non solo le credo inopportune, ma le credo dannose.

Tutti gli oratori che hanno parlato hanno riconosciuto la gravità delle pene contro questi pericoli immaginari. È stato osservato che i magistrati non potranno applicarle e non le applicheranno. Più le pene sono gravi, più, se sono ingiuste, non si applicano; più vogliono riuscire a terrorizzare, meno terrorizzano.

Quando ho sentito dire qui dentro di un grande movimento monarchico, che richiede particolari misure di ordine e di vigilanza, ne ho riso.

Che cosa significa fare un processo storico alle monarchie perfino nei secoli passati?

Ciò che chiamate l’istituto monarchico sarà rispettato, se risponde alle tradizioni e alla volontà dei popoli. Altra cattiva idea è stata parlare di un istituto che ha assolto il suo compito con la sua fine. Questa è mancanza di rispetto a monarchie degnissime, e anche all’attuale principessa ereditaria dell’Inghilterra, che può diventare in seguito regina.

Perché parlare di istituto monarchico? Noi non dobbiamo entrare in queste cose. Un progetto di legge non è un opuscolo di propaganda.

CONTI. Noi c’entriamo!

NITTI. È molto interessante che l’onorevole Conti dica che la Repubblica debba essere la forma politica generale e una organizzazione puramente repubblicana debba esistere in tutto il mondo.

CONTI. In genere, e in specie in Italia.

NITTI. In Italia va accettato quello che è ora lo stato di fatto. Ecco perché non volevo che si parlasse di istituto monarchico in genere. Lei vuole andare più in là. Nella nostra Assemblea ci diamo il lusso di dichiarare che non vi saranno più nel mondo monarchie.

Siamo in materia non contenziosa.

CONTI. Questa è opinione personale.

NITTI. Si tratta di visione generale. Quindi, accettando che in Italia non vi sia la monarchia, non posso accettare l’idea che non vi siano altrove anche grandi monarchi, perché, per esempio, ho visto funzionare magnificamente le grandi monarchie del Nord, anche in periodi in cui in Italia infieriva la reazione fascista.

Quindi, astenendomi da qualunque altra considerazione, mi limito a ripetere che non credo opportuno questo disegno di legge, e quindi non lo voterò. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Prima di dare la parola al Relatore e al Ministro, do lettura di un articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Lucifero, del seguente tenore:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale, ed in ogni caso entro il 31 dicembre 1948».

Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Sottocommissione.

BETTIOL, Relatore. Onorevoli colleghi, ho ascoltato, come Relatore, con grande interesse e con particolare attenzione gli interventi dei colleghi: quello dell’onorevole Benedettini, quello dell’onorevole Russo Perez, quello dell’onorevole Condorelli, quello dell’onorevole Scalfaro, quello dell’onorevole Crispo e da ultimo, quelli brevi, ma sempre pieni di responsabilità, dell’onorevole Marchesi, dell’onorevole Conti e dell’onorevole Nitti.

Io dichiaro subito che risponderò in sede di emendamenti alle obiezioni dell’onorevole Crispo. Mi limiterò a rispondere alle obiezioni di carattere generale, parlando come membro della Sottocommissione, che ha esaminato il disegno di legge presentato dal Ministro e che ha poi elaborato una serie di emendamenti al testo primitivo presentato dal Governo.

Essere o non essere: questo era il dubbio amletico. Di fronte a questa legge noi possiamo chiederci: legge di Caino o legge di Abele? legge, cioè, che è tale da rappresentare una violenza impetuosa e disorganizzata per colpire senza discernimento i pericoli per l’ordine democratico e per l’ordine repubblicano, oppure una legge di acquiescenza, una legge remissiva, una legge che non vuole individuare i pericoli che esistono nella realtà delle cose?

A questo dilemma si può rispondere che questo progetto di legge, particolarmente dopo l’esame della Sottocommissione e le proposte della stessa, non è né una legge di Caino né una legge di Abele, vale a dire non è una legge a carattere e spirito totalitario, come erano le vecchie leggi fasciste, e particolarmente quelle naziste; d’altro canto non è nemmeno una legge, la quale rifugga dall’individuare i pericoli e si astenga dal prendere in considerazione la possibilità di energici interventi da parte dello Stato per tutelare l’ordine democratico e repubblicano. Si può dire che questa legge, così come oggi viene presentata, dopo l’esame della Sottocommissione, è una legge di uomini responsabili, è una legge di uomini forti, i quali fanno del criterio della giustizia retributiva il cardine della loro concezione penale e della loro politica criminale.

Si è sentito parlare di legge vendicativa, si è sentito dire che questa legge è una legge eccezionale, si è sentito dire che questa legge contrasta con quelli che sono i cardini fondamentali della giustizia democratica.

Ora, è chiaro, onorevoli colleghi, che in un regime democratico e repubblicano, già ormai consolidatosi attraverso lunghe vicissitudini di anni e eventi, una legge penale non soltanto eccezionale, ma anche puramente speciale, può rappresentare una stonatura nel sistema delle leggi penali. Ma quando un regime democratico e repubblicano, come il nostro, è uscito da poco dalla tragica esperienza totalitaria e fascista, è chiaro che la politica e il senso storico possono postulare un vigile intervento statale per individuare pericoli che possono sussistere o che possono risorgere a danno dell’ordine democratico e repubblicano…

BENGIVENGA. La storia dimostra che ciò è falso.

BETTIOL, Relatore. La storia, da che mondo è mondo, ha dimostrato che le nuove organizzazioni politiche e sociali nei primi anni della loro esistenza prendono sempre dei provvedimenti di carattere difensivo. Non è soltanto questa, onorevoli colleghi, un’affermazione a sfondo storico, ma anche un’affermazione che, diciamo così, è convalidata da quella che può essere una esperienza puramente naturalistica, nella quale noi vediamo come ogni nuovo organismo, ai primordi della sua vita, prenda in considerazione la necessità di una sua difesa.

BENCIVENGA. Così ragionò il fascismo…

BETTIOL, Relatore. Così ragiona colui che tiene gli occhi fissi alla storia, e che ha senso di responsabilità politica.

Comunque, il problema, onorevoli colleghi, non è di carattere formale, ma di carattere sostanziale. In questo senso: che quando si vuol dire che questa legge è una legge di carattere eccezionale, la quale viene a porre delle divisioni fra gli italiani considerandoli gli uni come italiani eletti e gli altri come italiani reprobi, non si è aderenti a quella che è la realtà morale e normativa della legge stessa. Perché, da un punto di vista sostanziale, questa legge, elaborata dalla Sottocommissione, ha cercato di evitare di seguire ogni e qualsiasi criterio di politica criminale, che fosse in contrasto con quelle che sono le leggi fondamentali d’una concezione democratica dello Stato e del diritto penale. Io prego i colleghi di meditare su questo punto e di non fermarsi a quella che può essere una considerazione puramente logica e formalistica dei rapporti estrinseci fra questa legge ed il Codice penale. È ben vero che il Codice penale rappresenta la legge fondamentale in materia penale per tutti i cittadini indistintamente; ma è altrettanto vero che una legge è speciale nel senso vero e proprio della parola, soltanto quando questa legge penale speciale è tale da rappresentare una deviazione da quelli che sono i principî cardine cui si ispira la legislazione penale. Facciamo un esempio: le legislazioni penali tipiche del fascismo, e particolarmente del nazismo, negli ultimi venti anni sono state leggi speciali, non soltanto da un punto di vista puramente formale, ma soprattutto da un punto di vista sostanziale, perché hanno rappresentato una deviazione essenziale da quei principî penalistici che ormai una lunga vicissitudine aveva consolidato nella coscienza morale e giuridica europea.

RUSSO PEREZ. Anche queste sono leggi fasciste.

BETTIOL, Relatore. Questa legge che veniamo ad esaminare, e che il Governo presenta all’Assemblea ai fini della sua approvazione, è una legge la quale non deflette o non deroga ai principî fondamentali sui quali è assiso il diritto penale comune. È, sì, una legge di difesa (e in questo senso comprendo benissimo come può essere considerata da parte di molti con occhio meno benigno), è, sì, una legge con la quale l’ordine democratico e repubblicano cerca d’individuare un pericolo che proviene da una determinata parte; ma non possiamo dimenticare come questo pericolo, che proviene da una determinata parte, è stato per lunghissimi anni un vero e proprio danno ed il tormento della nostra coscienza morale e della nostra realtà politica.

Onorevoli colleghi, io penso che se noi tutti odiamo profondamente il totalitarismo, da qualsiasi parte esso provenga, non ci deve essere comunque in fondo al nostro animo ed in fondo al nostro cuore, non dico una simpatia, ma un qualche cosa che possa farci guardare con occhio benevolo quello che fu il fascismo, che ha rappresentato veramente una vergogna per il nostro Paese.

BENCIVENGA. Ma se tanti, che stanno qui dentro, erano iscritti! Non esageriamo, per carità!

BETTIOL, Relatore. Questa legge rappresenta un’eccezione puramente formale, non un’eccezione di carattere sostanziale. In primo luogo, questa legge, così come è stata formulata dalla Sottocommissione, non intende colpire il pensiero politico come tale, in nessun modo ed in nessuna circostanza. Questa legge colpisce – e rispondo al carissimo amico Condorelli – un pensiero politico, quando questo pensiero politico si traduce concretamente in una determinata attività, che in concreto sia pericolosa e dannosa per l’ordine democratico e repubblicano che si è costituito.

Se questo viene a creare la disuguaglianza tra gli italiani, come dice l’onorevole collega, questo è inevitabile; perché questa legge intende essere legge speciale, in quanto colpisce l’attività dei fascisti o di coloro che violentemente tendono a restaurare la dinastia sabauda.

Ora è chiaro che questa particolare ideologia dà un particolare colore ad una determinata attività, ma non è affatto l’ideologia come tale, che comunque possa venire colpita, ma l’attività, in quanto pericolosa e dannosa per l’ordine democratico.

Gli onorevoli colleghi della destra tengano presente che la Sottocommissione ha approvato, sia pure a maggioranza, la soppressione dell’articolo 6 (Interruzione del deputato Bencivenga), perché con questa soppressione noi veniamo realmente a ristabilire l’equilibrio giuridico e politico in seno a questa legge. Attraverso all’articolo 6 noi verremmo a colpire la pura e semplice manifestazione, non pericolosa o dannosa in quanto tale; verremmo a colpire la cogitatio sul piano politico; ciò che sarebbe veramente pericoloso e rappresenterebbe una deviazione dai principî fondamentali del diritto penale.

In secondo luogo, questa legge non intende colpire una qualsiasi persona, in quanto tale. Cioè, questa legge non può essere concepita come legge vendicativa. Su questo punto vorrei che fossero chiare le nostre idee. Non è legge di Caino, la quale vuole colpire il fascista o l’ex fascista, in quanto tale. Ma, come è stato detto dall’onorevole Scalfaro, questa legge tende a colpire il fascista recidivo, quel fascista, il quale, nonostante la mutatio dei tempi, non intende adeguarsi alla nuova realtà politica o non intende non impedire l’azione, che possa essere pericolosa per questa nuova realtà politica.

Una voce a destra. Bisogna vedere chi applicherà questa legge.

BETTIOL, Relatore. Quindi, viene colpito il fascista recidivo, che si manifesta, che si deve manifestare in concreto con attività e comportamento che rispecchiano una tipicizzazione astratta dell’attività stessa. (Interruzione del deputato Russo Perez).

BENCIVENGA. Verrà un’altra Carboneria. Lei è giovane; certe cose non le può sapere.

BETTIOL, Relatore. Sono giovane di anni; ma una certa esperienza giuridica e penalistica posso anche averla.

BENCIVENGA. Erano più liberali sotto il fascismo.

BETTIOL, Relatore. Sto dimostrando che questa legge non è antiliberale, ma profondamente democratica. (Interruzioni a destra).

Voglio sottolineare il fatto che questa legge poteva considerarsi liberticida, qualora la Commissione non avesse proposto un emendamento sostanziale in relazione all’articolo 1.

L’articolo 1, come presentato dal Ministro, suona in termini così generici e lati, per cui possono essere colpiti tutti o nessuno, a seconda che prevalga uno o l’altro indirizzo ermeneutico a sfondo politico. L’articolo 1 della legge, come presentato dal Governo, riecheggia la concezione antidemocratica del diritto penale, in quanto rifugge dalla determinazione concreta dei momenti, che deve rivestire l’attività fascista, per essere incriminata in quanto tale. Ripeto, questa legge non colpisce il fascista come tale, in base a quello che fu l’adagio manzoniano «dalli all’untore», ma il fascista solo in quanto realizza in concreto una determinata attività delittuosa…

BENEDETTINI. …che può essere compiuta anche da altri, non fascisti.

BETTIOL, Relatore. …e che la nostra coscienza giuridica non può in nessun caso sopportare.

BENEDETTINI. È per questo che si identifica anche con gli altri partiti. La libertà deve esservi per tutti.

BETTIOL, Relatore. La libertà di coloro i quali si attengono al metodo democratico non viene comunque colpita o menomata da questa legge sottoposta alla nostra approvazione, perché, ripeto, questa legge è tale da rispettare i diritti fondamentali di libertà dei cittadini ed è tale da rispettare i criteri fondamentali di un diritto penale democratico. Detto questo, riaffermato quindi che questa determinata legge non è tale, a mio avviso, da violare una concezione democratica del diritto penale, ma è una legge di difesa, che in questo momento è ritenuta necessaria, considerata quella che è la realtà dei fatti, è chiaro che non posso accettare quegli ordini del giorno, che sono tali da determinare uno spostamento di questa particolare legge su di un piano che non è quello indicato e voluto dal Governo, che ci ha presentato la legge stessa. Non è quindi possibile accettare ordini del giorno, quando con questi si voglia far rientrare nella legge ogni e qualsiasi movimento, ogni e qualsiasi concezione politica, ogni e qualsiasi orientamento, che non siano tali da rispecchiare quelle che erano le note fondamentali e costanti del fascismo, che ha determinato – ripeto – la situazione di catastrofe per il nostro Paese, o non è questo movimento tale da rispecchiare una concezione monarchica la quale voglia, con la violenza, riportare l’Italia sotto un regime monarchico, anche se inteso in senso costituzionale. (Interruzioni a destra).

Una cosa ancora vorrei dire: che la Commissione non è contraria a considerare questa legge come una legge limitata nel tempo, nel senso che non è contraria ed accettare un emendamento che possa determinare un limite di tempo, possibilmente tra cinque anni. (Interruzione del deputato Mazza).

TARGETTI. Finché dura la malattia, occorre che duri la cura; che cesserà soltanto quando l’ammalato riacquisterà la salute.

BETTIOL, Relatore. Con ciò credo di aver risposto brevemente e sinteticamente a quelle che sono le obiezioni di carattere generale, relative al carattere eccezionale e speciale di questa legge, ed al preteso carattere liberticida di essa. Per quanto riguarda le osservazioni di carattere specifico sui singoli articoli, mi riprometto di prendere la parola quando saranno presentati in concreto i relativi emendamenti. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro Guardasigilli ha facoltà di parlare.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi! È utile che io ricordi all’Assemblea che l’attuale disegno di legge, presentato sin dal 17 marzo 1947, è, da allora, a disposizione dell’Assemblea. Ricordo anche che, come è detto nella relazione a questo disegno di legge, venne preparato dal Governo e presentato all’Assemblea, in quanto il precedente decreto legislativo luogotenenziale 26 aprile 1945, vale a dire quello che stabiliva le punizioni dell’attività fascista nell’Italia liberata, veniva a scadere col 15 ottobre 1947. È necessario che l’Assemblea tenga presente questa situazione e si renda conto delle necessità della discussione presente, la quale non è occasionata da nessuna delle situazioni particolari a cui qualche collega ha accennato, ed è determinata né dal Governo né dalla Presidenza, ma da un dovere che l’Assemblea aveva verso se stessa, in quanto aveva in una sua Sottocommissione un disegno di legge, che era stato per troppo tempo prorogato e che viene ora in esame, quasi in una delle ultime sedute dell’Assemblea Costituente. Questo per togliere ogni ombra, rispetto ad eventuali coincidenze occasionali, in quanto l’Assemblea, nella sua sovranità, dovrà prendere una decisione su questo disegno di legge.

Io ho seguito i lavori della Commissione, i quali hanno portato ad una relazione veramente egregia, ed io non posso che lodarmene con l’onorevole Bettiol, il quale, da tecnico della sua capacità, ha cercato di precisare e di inquadrare bene istituti e reati, di modo che noi possiamo rendere grazie del servizio che egli ha reso all’Assemblea.

Non c’è dubbio che si tratti di una legge di eccezione o di una legge speciale. Non è nel mio temperamento di liberale pensare che leggi di eccezione o speciali siano da augurarsi nella vita del Paese, ma, come già qualche oratore ha rilevato, è venuta fuori questa emergenza che bisogna affrontare. È la verità. La storia ha le sue esigenze. Un Codice penale fondamentale sarebbe l’ideale per la vita e per l’ordinamento di un popolo; ma vi sono delle situazioni di eccezione, delle situazioni storiche che devono essere superate con leggi eccezionali, le quali devono avere peraltro una durata ben limitata. In questo senso, se la Commissione accetta, io non ho nessuna difficoltà a consentire anche a limitazioni nel tempo.

D’altra parte, da un punto di vista strettamente politico, lasciando il lato tecnico, che esamineremo articolo per articolo, che cosa si propone questo disegno di legge? Di sostituire disposizioni di una legge precedente e di cercare di inquadrare e di prevenire delle figure di reato, che veramente sono già contemplate nel Codice penale e per le quali potevano essere sufficienti, secondo alcuni, le disposizioni già esistenti nel Codice penale per difendere la personalità dello Stato repubblicano, e per difendere l’esercizio dei diritti politici e civili del cittadino rispetto ad atti di violenza da parte di partiti o di fazioni. Oggi, con questa legge, si vuole fare qualche cosa di più della semplice punizione; si cerca di prevenire. Mentre il Codice penale rende possibile la punizione di reati già esistenti o di tentativi dei reati stessi, con questa disposizione si fa un passo in avanti e si cerca di prevenire.

Questo è il lato politico della situazione e questo è il lato tecnico del disegno di legge.

Il Codice penale non basterebbe più, perché il Codice penale ci porterebbe a reati o a tentativi, mentre questo disegno di legge ci porta alla prevenzione. La prevenzione non è l’ideale nella forma penale, siamo d’accordo, ma è la repressione del fatto che deve essere punita. Però, nei momenti di eccezione, quando una Repubblica esce da una situazione ancora storicamente non consolidata, sente il bisogno, questo regime, di stabilire delle prevenzioni, le quali possano garantire ancora che questi reati non saranno commessi.

Questa è la portata del disegno di legge. Ora, su questi punti, malgrado l’autorità di eminenti parlamentari come l’onorevole Nitti, io penso che questo disegno di legge non solo sia da difendere, ma da attuare, in quanto con questo provvedimento non si vengono a scuotere quelli che sono i fondamenti dei nostri principî liberali, perché, non verso i fascisti di ieri noi ci muoviamo, ma ci preveniamo perché non risorga la possibilità di movimenti politici e di situazioni che nessuno può dire che siano stati benefici per il popolo italiano. Con queste previsioni, e lasciando alla tecnica successiva di perfezionare il provvedimento, io credo che in piena coscienza e con la piena sicurezza della nostra responsabilità, possiamo approvare questo disegno di legge così come è stato presentato dalla Commissione.

Ad ogni modo, se gli emendamenti tecnicamente proposti non saranno tali da incidere su quello che è il fondamento della legge, potranno essere dall’Assemblea, come pure dal Governo, accolti, perché tutti ci proponiamo di creare uno strumento che sia opportuno per superare le difficoltà del momento. Se ci potranno essere possibilità di altri miglioramenti da proporre in sede di perfezionamento, il Governo è sempre consenziente, quando si tratta di fare una legge giusta e migliore anche nella sua applicazione (Applausi).

PRESIDENTE. Penso ora che sia opportuno procedere alla votazione dei due ordini del giorno presentati dall’onorevole Benedettini e dall’onorevole Condorelli ed altri.

L’onorevole Benedettini propone senz’altro di respingere il disegno di legge; l’onorevole Condorelli propone di rinviarlo alla Sottocommissione, affinché essa lo rielabori in base alle direttive che l’onorevole Condorelli stesso ha svolto nel suo intervento e che, ove l’Assemblea le accettasse, diverrebbero direttive dell’Assemblea stessa.

Passiamo pertanto alla votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Benedettini:

«L’Assemblea Costituente;

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo 1947 e la relazione della Sottocommissione;

considerato che tale disegno di legge non risponde né alle necessità dei tempi, né al mutato clima morale e politico del Paese;

affermato che per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del Trattato di pace, basti il Codice penale vigente e non occorrano leggi eccezionali;

respinge il disegno di legge e passa all’ordine del giorno».

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Il nostro Gruppo voterà contro i due ordini del giorno che sono stati presentati. Dopo quanto è stato dichiarato sia dall’onorevole Bettiol, Relatore della Sottocommissione, sia dal Ministro Guardasigilli per il Governo, io non credo di dover spiegare lungamente le ragioni per le quali noi siamo contrari ai rinvii proposti dai nostri colleghi con questi due ordini del giorno e favorevoli, invece, nelle grandi linee, a questa legge, salvo gli emendamenti di carattere tecnico che possono essere proposti in questa sede.

Intorno a questa legge si è un po’ ironizzato, accennando alle difficoltà del momento ed alla insufficienza delle ipotizzazioni criminose in esame e delle finalità della legge, di fronte alla turbata vita civile del nostro Paese. Ma noi pensiamo che a questa legge non si possa chiedere più di quanto essa può dare.

Essa ha una finalità limitata, in quanto tende ad attuare, da un lato un impegno internazionale assunto dal nostro Paese, realizzando la repressione dell’attività di carattere fascista, e dall’altro a difendere il regime repubblicano, di fronte alle offese che possano essere ad esso arrecate. Chiedere alla legge che risolva altri problemi, certamente molto gravi, che si presentano in questo momento nel nostro Paese, significa chiedere ad essa ciò che non può dare.

Peraltro, così come essa è, con il suo obiettivo limitato, questa legge corrisponde ad esigenze di tutela della libertà di tutti e di stabilità istituzionale, verso le quali si dimostra giustamente sensibile, nella sua maggioranza, l’Assemblea, così come si è dimostrato e si dimostra sensibile il Governo.

Si è detto che si tratta di una legge eccezionale; si è detto che essa costituisce un attacco alla libertà. Dopo quanto è stato osservato dall’onorevole Bettiol, credo che si possa essere tranquilli su questo punto. Avendo presente, per esempio, l’avvenuta soppressione dell’articolo 6 della legge che incrimina la semplice manifestazione di una opinione politica nei confronti dell’istituzione monarchica, apportati alla configurazione delle ipotesi criminose quei miglioramenti tecnici e sostanziali, ai quali ha accennato l’amico Bettiol, ci troviamo semplicemente di fronte ad una legge, la quale reprime le manifestazioni del fascismo che voglia ritornare ad esplicare la sua attività delittuosa d’oppressione e colpisce le violenze dirette alla restaurazione dell’istituto monarchico.

Senza sopravvalutare, come forse si fa con scarsa obbiettività di giudizio, da parte di nostri colleghi, i pericoli che corre la struttura democratica dell’Italia, non si può negare che pericoli di questo genere sussistano e che, ad ovviarli, debba provvedere la nostra attività legislativa.

Per queste ragioni credo che, opportunamente la legge sia stata presentata e che essa possa essere tranquillamente votata, salvo gli emendamenti di carattere tecnico.

Ne deriverà per il nostro popolo un senso maggiore di sicurezza nei riguardi della stabilità, sia dell’ordinamento democratico, sia del regime repubblicano.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, io sono firmatario di uno dei due ordini del giorno, di quello che è stato illustrato dall’onorevole Condorelli. Voglio dire perché voterò a favore dell’uno e dell’altro ordine del giorno; ma vorrei anche fare alcune osservazioni che mi sembra abbiano un loro significato.

Io sono un uomo pigro, terribilmente pigro, ed ho ammirato e compatito gli sforzi giganteschi che hanno fatto tanto l’onorevole Relatore, quanto il Ministro di grazia e giustizia, per cercare di conciliare la loro coscienza – il Ministro ha detto addirittura di liberale, nel suo caso – con una legge che tutti gli aggettivi può avere meno quello di liberale.

Le leggi eccezionali non sono altro che una strada per la quale ci si incammina verso l’arbitrio, uscendo da quella che è la normalità comune per tutti.

Quindi qualunque legge speciale, comunque essa sia concepita, non ha posto in uno Stato democratico. Se uno Stato democratico, nella sua ordinaria legislazione, non trova infatti la sua difesa, vi introduca la sua difesa, ma sia legge ordinaria e non sia legge straordinaria.

E quando l’onorevole Relatore si è, nel suo sforzo, lasciato sfuggire un lapsus notevole – perché ha parlato di politica criminale e la frase si poteva intendere in due sensi (Commenti). – egli ci ha parlato di odio al totalitarismo. Ma io mi permetto di fargli notare che questa non è una legge contro il totalitarismo; se fosse infatti una legge contro il totalitarismo, essa non punirebbe soltanto i fascisti in quanto tali, ma punirebbe il fascismo in quanto fascismo, cioè in quanto sistema e metodo, in quanto aspirazione totalitaria; punirebbe quel totalitarismo, che l’onorevole Relatore ha affermato di odiare e che non è monopolio soltanto dei fascisti.

Potrebbe anzi qualcuno pensare che questa legge, fatta contro le larve di un fascismo che non è ricorrente, contro un fascismo che non v’è e che non vuol risorgere…

PRIOLO. Magari fossero soltanto larve!

LUCIFERO. …potrebbe essere indirizzata contro altri fascismi e, nel caso particolare, nell’attuale situazione, cioè, che caratterizza la vita politica italiana, contro un particolare partito fascista! E per quanto io non sia certo tenero nei confronti di quel partito, sarei però contrarissimo ad una legge che fosse fatta per colpire quel determinato partito.

Queste leggi eccezionali possono d’altra parte avere due sole funzioni: o sono, come fu per l’epurazione, leggi di salvataggio e di vendetta insieme, oppure sono leggi che si fanno per metterle nel cassetto e tirarle fuori quando servono contro qualcuno. Le leggi eccezionali non sono mai fatte, o signori, per difendere lo Stato e la collettività: le leggi eccezionali sono sempre concepite contro qualcuno; esse non sono un atto di amore, come dovrebbero essere le leggi democratiche in uno Stato civile, ma sono un atto di odio, che prepara l’odio, che prelude all’odio.

Basterebbero d’altra parte le leggi ordinarie, quando si volessero veramente applicare. Mi si consenta anzi di concludere con una nota che può essere anche allegra, perché v’è una gaiezza anche nel Codice penale. (Commenti). Quando noi parliamo di difesa dello Stato e di tutte quelle altre cose con le quali abbiamo drammatizzato questa discussione, noi troppo spesso ci dimentichiamo di quante leggi abbiamo che nessuno applica e di cui nessuno si occupa.

Onorevole Guardasigilli, ha lei presente l’articolo 273 del Codice penale? Mi permette che glielo legga? «Chiunque, senza autorizzazione del Governo, promuove, costituisce, organizza o dirige nel territorio dello Stato associazioni, enti o istituti di carattere internazionale o sezioni di esse, è punito, ecc.».

Come dunque le mettiamo certe cose in campo politico, onorevoli colleghi? (Commenti a sinistra).

Limitiamoci quindi alla legge ordinaria che già sarebbe molto difficile applicare, e non facciamo leggi speciali che potrebbero farci cadere o nella criminalità penale – non nel senso pensato dall’onorevole Bettiol – o nel ridicolo; il che sarebbe ancor peggio, perché sarebbe criminalità nazionale contro lo Stato che noi stiamo costruendo. (Applausi a destra – Commenti).

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io mi associo, onorevoli colleghi, a quanto hanno detto l’onorevole. Benedettini, l’onorevole Condorelli, l’onorevole Russo Perez, l’onorevole Lucifero e l’onorevole Nitti, che io ho ascoltato, come sempre, con la maggiore attenzione e con profondo interesse.

Il disegno di legge in esame può anche essere – come ha detto dianzi l’onorevole relatore Bettiol – «né di Caino né di Abele»; ma ciò è in contrasto, in evidente contrasto, con la finalità, che noi tutti ci proponiamo, o diciamo di proporci: il raggiungimento della pacificazione del popolo italiano. Il popolo italiano non sente più gli odî e le divisioni, il popolo italiano depreca gli uni e gli altri, perché li considera deleteri per la propria vita e per il proprio progresso.

Non sembra neanche a me, d’altra parte, che questo disegno di legge sia espressione di un clima veramente democratico, che pure tutti dicono di auspicare. Ci troviamo di fronte all’emanazione di una legge speciale, straordinaria, eccezionale, di una legge che eufemisticamente il Relatore ha chiamato «di difesa». Ora, le leggi eccezionali, le leggi straordinarie, le leggi di difesa rappresentano sempre una stonatura – sempre, dico, non in alcuni casi soltanto – nel sistema della repressione penale. E ciò senza sottolineare, come da altri è stato sottolineato, che nel Codice nostro abbiamo tutta una serie di chiare, precise disposizioni, frutto di una lunga elaborazione scientifica e giurisprudenziale, le quali prevedono – prevedono con esattezza – tutti i fatti delittuosi, che sono indicati nel disegno di legge, di cui ci stiamo occupando.

Io voterò, quindi, a favore degli ordini del giorno che sono stati presentati, diretti a respingere il disegno di legge. (Commenti a sinistra – Applausi a destra).

CASTIGLIA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTIGLIA. A nome del Gruppo parlamentare dell’Unione nazionale, dichiaro che noi voteremo a favore dell’ordine del giorno Benedettini… (Interruzioni – Commenti all’estrema sinistra) per delle ragioni che sono intuitive. (Commenti).

Prima di tutto noi siamo assolutamente contrari a qualsiasi legge eccezionale… (Interruzioni a sinistra).

MUSOLINO. Nel 1926 non ha parlato!

Una voce a destra. Non c’eravamo noi.

CASTIGLIA. Non mi interessa, perché non facevo della politica nel 1926. La vostra insinuazione non mi riguarda.

Noi siamo contrari alle leggi eccezionali, specialmente quando queste leggi eccezionali sono congegnate così come è congegnata questa. Questa legge, attraverso l’equivocità della formulazione, attraverso la imperfezione delle definizioni sia per quanto riguarda l’attività fascista in senso così lato, sia per quanto riguarda l’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico – perché, si badi bene, non si parla della dinastia sabauda, ma dell’istituto monarchico – si presta a tutte le interpretazioni malevoli (Commenti a sinistra). Conseguentemente, può trasformarsi in uno strumento di oppressione politica (Commenti a sinistra) alla quale noi ci opponiamo con tutte le nostre forze.

Questa legge, in un momento nel quale si parla di pacificazione degli animi, è niente altro che l’antidoto contro questo tentativo di pacificazione; e siccome noi siamo convinti che è necessario pacificare realmente gli animi, voteremo perché la legge non sia presa in considerazione e non sia votata. Così facendo noi riteniamo di servire veramente gli interessi del Paese, perché, se v’è qualche cosa che possa turbare l’ordine, la tranquillità, l’ordinamento giuridico dell’Italia, bastano le norme punitive ordinarie, bastano le norme del Codice penale – come da altri è stato detto – senza ricorrere a quelle leggi eccezionali le quali, checché ne pensi il Ministro liberale della giustizia, sono sempre antiliberali.

Né importa quella definizione fatta, sia dal Ministro della giustizia, sia dal Relatore, sulla differenza che correrebbe fra le norme ordinarie del Codice penale e la legge eccezionale. Mi dice il Ministro Guardasigilli che la differenza consisterebbe nel fatto, che le norme che oggi si vorrebbero votare avrebbero uno scopo di difesa preventiva. Francamente non so come si possa attribuire a questa legge eccezionale questa particolare funzione preventiva che è anche di tutte le leggi penali. Né il fatto che si limiterebbe la durata della legge nel tempo inficia questi concetti che vi ho brevemente esposti. Né vale quello che ha detto l’onorevole Relatore Bettiol…

PRESIDENTE. Onorevole Castiglia, nelle dichiarazioni di voto non v’è bisogno di rispondere ai Relatori!

CASTIGLIA. Cosa intende dire il Relatore dichiarando che con questa legge si vogliono punire i fascisti recidivi? Ancora una volta denunciamo al Paese che la legge, così come è congegnata, con questa inesattezza di linguaggio tecnico e giuridico, si presta a divenire strumento di oppressione, contro il quale noi ci ribelliamo! (Applausi a destra – Commenti all’estrema sinistra).

COPPA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Vorrei dire una banalità e cioè che in sede di dichiarazioni di voto si debbono fare solo dichiarazioni di voto. È giusto che ogni singolo membro dell’Assemblea abbia il diritto – e spesse volte il dovere – di dichiarare personalmente il proprio voto; bisognerebbe però evitare che deputati, che appartengano ad una stessa corrente politica, ripetano la dichiarazione, e tutti con gli stessi motivi.

Fatta questa osservazione, do facoltà di parlare all’onorevole Coppa.

COPPA. Dopo l’intervento del collega Castiglia, sarebbe inutile – come ha detto il Presidente – prendere la parola. Senonché, fra tanti colleghi avvocati, i quali sarebbero i responsabili delle leggi che approviamo, lasciate che parli anche chi la legge apprende per la prima volta avendo fra le mani queste carte.

PRESIDENTE. Ma, onorevole Coppa, è dal 17 marzo che sono stampate queste disposizioni!

COPPA. Pochi mesi non bastano a cambiare la forma mentis di tutta una vita, naturalmente. Ora, io rilevo – ed è per questo che voterò a favore dei due ordini del giorno – che v’è una contradizione fra le dichiarazioni del Relatore e quello che è scritto nella relazione. Precisamente il Relatore ha detto: «qui non si farà il processo alle intenzioni». Invece è precisamente il processo alle intenzioni che questa legge darà la possibilità di fare. Basta leggere quello che ha scritto l’onorevole Bettiol: «Per quanto riguarda il secondo comma dell’articolo 1, pare alla Sottocommissione che la pena prevista per la semplice adesione sia troppo elevata, per cui propone che chiunque vi aderisce sia punito con la reclusione sino a 3 anni. Si deve trattare di adesione, non di iscrizione, perché chi si iscrive ad un partito, concorre alla costituzione del partito stesso».

Scusatemi, come farete a dimostrare l’adesione di un individuo? Basterà una frase pronunziata in pubblico o in privato e riportata e denunciata per mettere sotto processo un individuo? Questa è la legge che voi state preparando.

Soltanto questo volevo mettere in evidenza perché tutto il resto è stato rilevato. (Approvazioni a destra).

MAFFIOLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFIOLI. A titolo esclusivamente personale, dichiaro che voterò a favore della legge, e quindi contro gli ordini del giorno.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. A nome del Gruppo repubblicano, dichiaro che mi associo alle conclusioni del Relatore e che voteremo contro i due ordini del giorno presentati che intendono rinviare la discussione sui singoli articoli.

GEUNA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Faccio una dichiarazione di voto a titolo esclusivamente personale, in quanto in questa votazione dissento dal mio Gruppo, e dichiaro che non voterò a favore di questa legge, ma voterò a favore dell’ordine del giorno Benedettini. Io non posso concepire e non posso ammettere l’unione che si è fatta fra l’attività fascista, che deve essere repressa, e per la quale io sono pronto per il primo a dare il mio voto, con quella che è l’attività intesa alla restaurazione dell’istituto monarchico per cui non entro in merito. Io non posso col mio voto, che vuole approvare le norme per la repressione dell’attività fascista, unire in un giudizio uguale una legge per la repressione della medesima e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (Commenti a sinistra – Applausi a destra).

PRESIDENTE. Avverto che sull’ordine del giorno Benedettini è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Benedettini, Puoti, Patrissi, De Falco, Bonino, Condorelli, Castiglia, Russo Perez, Miccolis, Coppa, Rodi, Colitto, Perrone Capano, Bencivenga, Marinaro, Abozzi, Penna Ottavia, Patricolo e Covelli.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sull’ordine del giorno dell’onorevole Benedettini, di cui ho dato testé lettura.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Camposarcuno. Si faccia la chiama.

COVELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi.

Bencivenga – Benedettini – Bonino.

Castiglia – Colitto – Condorelli – Coppa Ezio – Covelli.

De Falco.

Fresa.

Geuna – Giacchero.

Lucifero.

Marina Mario – Marinaro – Mazza – Miccolis.

Patricolo – Patrissi – Penna Ottavia – Perrone Capano – Perugi – Puoti.

Quiptieri Quinto.

Rodi – Rodinò Mario – Russo Perez.

Siles.

Tumminelli.

Rispondono no:

Amadei – Arata.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Ilio – Bartalini – Bazoli – Bei Adele – Belotti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Braschi – Bubbio – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Carboni Angelo – Carignani – Carpano Maglioli – Carrafelli – Cassiani – Castelli Avolio – Cevolotto – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Colonnetti – Conci Elisabetta – Corbi – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – D’Aragona – Del Curto – Della Seta – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – D’Onofrio – Dossetti.

Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Filippini – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fuschini.

Gariato – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giolitti – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Lozza – Luisetti.

Maffi – Maffioli – Malagugini – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Marinelli – Martinelli – Mastino Gesumino – Mattarella – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina –Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagana Mario – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto.

Paolucci – Parri – Pat – Pecorari – Pellegrini – Pera – Perassi – Pertini Sandro – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Priolo.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo.

Salvatore – Sampietro – Sansone – Sapienza – Saragat – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Sicignano – Silipo – Spallicci – Stampacchia.

Tambroni Armaroli – Targetti – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Veroni – Vicentini – Vigna – Villani.

Zanardi.

Si sono astenuti:

Conti.

Sono in congedo:

Arcaini.

Bergamini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Vischioni.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Comunico che l’Assemblea non è in numero legale, e pertanto la seduta è sciolta e l’Assemblea è riconvocata domani mattina, alle 10 per riprendere la discussione su questo disegno di legge.

I nomi degli assenti senza regolare congedo saranno pubblicati sulla Gazzetta. Ufficiale.

Avverto che nel pomeriggio la seduta si terrà alle 17 per il seguito della discussione del progetto di Costituzione.

La seduta termina alle 14.10.