ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCCII.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
Conti
Geuna
Presidente
Condorelli
Tonello
Codacci Pisanelli
Congedi:
Presidente
Progetto di Costituzione delia Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Grassi
Ghidini
Leone Giovanni
Togliatti
Laconi
Conti
Crispo
Targetti
Rubilli
Moro
Mazza
Monticelli
Ruggiero Carlo
Villabruna
Mastino Pietro
Gabrieli
Scalfaro
Castiglia
Perrone Capano
Nobili Tito Oro
Abozzi
Romano
Cairo
Persico
Coccia
Sapienza
Coppi
Gasparotto
La seduta comincia alle 11.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
(È approvato).
Sul processo verbale.
CONTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONTI. Onorevoli colleghi! È stata opportunamente eliminata dagli atti una parola che io dissi scherzosamente all’onorevole Russo Perez.
È rimasta però nel verbale e negli atti una parola grave. Quando affermai che il ferimento di Aspromonte fu voluto da Vittorio Emanuele, con l’invio di 60 battaglioni comandati da Cialdini, l’onorevole Condorelli, non col tono scherzoso che io avevo usato nel rivolgere la mia parola all’onorevole Russo Perez, ma con tono – se me lo permette – imperioso e orgoglioso disse che quello che io dicevo non era vero: ciò che non è vero è falso.
Ora, io non posso, onorevoli colleghi, rimanere in silenzio sotto questo giudizio dell’onorevole Condorelli. Io feci alcune affermazioni sulla monarchia, sui rapporti della monarchia con la rivoluzione nazionale. Desidero precisare, anche per l’amico onorevole Condorelli, perché non resti fra noi un equivoco, che non voglio sussista in questo genere di discussione.
Dissi, prima di tutto, rivolgendomi all’onorevole Russo Perez, che bisogna ricordare i giudizi di Diego Tajani, che fu Procuratore generale alla Corte d’appello di Palermo e poi ripetutamente Ministro della giustizia e Vicepresidente della Camera.
Tajani in un discorso alla Camera nel 1875 si espresse in questi termini:
«Noi abbiamo colà (parlava della Sicilia) le leggi ordinarie derise, le istituzioni una ironia, la corruzione dappertutto, il favore la regola, la giustizia l’eccezione, il delitto intronizzato nel luogo della pubblica tutela, i rei fatti giudici, i giudici fatti rei ed una coorte di male interessati fatti arbitri della libertà, dell’onore, della vita dei cittadini. Dio immortale, cos’è mai questo se non il caos? Che cos’è mai questo caos se non il peggiore dei mali, l’anarchia di governo innanzi alla quale cento briganti di più e cento crimini di più sono un nulla che si scolorano?».
Cito soltanto questo brano di un grande discorso. Il resto può essere letto nei resoconti parlamentari.
Formulai un giudizio intorno a Cavour. Qui si fa del regionalismo storico! Ma non ha ragione d’essere; qui si deve ricordare e si deve rispettare la storia.
Mi duole che l’amico Bubbio, che ora non è presente, si senta di poter tanto profondamente adorare certi idoli; mi duole che il giovane amico onorevole Geuna si sia crucciato anche lui; ma purtroppo la storia è quella che è: l’unità d’Italia non è stata concepita da Cavour; egli operò per l’ingrandimento del dominio dei Savoia in Lombardia e nel Veneto.
Ma io debbo documentare; me lo permetta l’onorevole Presidente. Egli apprezzò questo genere di discussione, riconoscendone l’importanza per schiarire la coscienza pubblica. Leggo qualche periodo di uno scrittore monarchico, il Curatolo, che fu non solo uno scrittore monarchico, ma addirittura uno scrittore dinastico, direi quasi un cortigiano, uno dei tanti scrittori che hanno scritto per esaltare Casa Savoia.
Ebbene, leggo dall’opera sua dedicata a Vittorio Emanuele III. Il libro si intitola: «Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour nei fasti della Patria – Documenti inediti dedicati a Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, Sire, etc.».
Dice dunque il Curatolo a pagina 126: «Chi oserebbe disconoscere i grandi, gli immensi servigi resi dal Conte di Cavour alla grandezza d’Italia?». La domanda è un po’ retorica, ma lasciamo andare. «Ma la grandezza d’Italia fu, nella mente del Primo Ministro di Vittorio Emanuele II, nei primi anni in cui resse allora le fila del Governo, quella sognata da Giuseppe Mazzini nelle cospirazioni e nell’esilio, voluta da Garibaldi fin da quando, lasciate le terre d’America ancora echeggianti degli eroismi compiuti, veleggia con gli avanzi della sua legione verso la Patria?
«L’unità d’Italia sognata da principio dal Conte di Cavour non era l’Italia una. Essa era ancora il Regno di Eugenio Beauharnais: un’Italia ben diversa da quella, che con l’apostolato mazziniano fu creata dalla rivoluzione.
«L’unità d’Italia anelata dagli uomini del partito d’azione – a che il negarlo? – era ritenuta dal Ministro piemontese un sogno irrealizzabile, il prodotto di menti esaltate».
Questo aveva pensato del resto anche il grande storico Balbo quando aveva parlato di scolaruzzi di rettorica, di politici da dozzina.
«In verità, scrive ancora il Curatolo, fu soltanto verso la seconda metà del 1860, che l’unità d’Italia cominciò ad apparire nella mente di Cavour di esito probabile. In una nota lettera inviata il 3 agosto di quell’anno al Cabella, Cavour afferma che «se la grande impresa era reputata un’utopia due anni avanti, poteva ora ritenersi di esito probabile». In un’altra lettera – pur essa pubblicata e diretta a Rattazzi nel 1856, all’epoca del Congresso di Parigi, si dice: «Ho avuto una lunga conferenza con Manin; è sempre un utopista, non ha dimesso l’idea di una guerra schiettamente popolare, crede nell’efficacia della stampa, in tempi procellosi; vuole l’unità d’Italia ed altre corbellerie; ma, nulla meno, al caso pratico, se ne potrebbe tirar partito».
Questo fu il pensiero di Cavour, onorevoli colleghi.
Garibaldi ad Aspromonte. È tutta una pagina di vergogna per la monarchia. Garibaldi era odiato dai Savoia; Vittorio Emanuele cercava di accarezzarlo, di raggirarlo e di servirsene: e riuscì nel suo scopo.
PRESIDENTE. Onorevole Conti, la prego di concludere.
CONTI. Ho finito, signor Presidente. Io citai una frase attribuita a D’Azeglio. Prima di leggere quella nel documento, io desidero che si conosca quanto scrisse in un diario il Ministro degli esteri del tempo, Giacomo Durando. Il diario va dal 10 agosto 1862 in poi. Alla data 28 agosto egli scrisse:
«Consiglio dal re (cioè presso il re). Il re è di malumore; dice che Garibaldi ci darà molti fastidi; che due o tre volte Egli fu già da lui ingannato. (Avete udito, onorevoli colleghi! Garibaldi aveva ingannato Vittorio Emanuele: anche quando, due anni prima, gli donò un regno). Che quando Garibaldi si sente forte, gli scrive delle lettere insolenti; che senza prenderlo, non si finirà mai ogni cosa».
Precisò l’episodio Massimo d’Azeglio, il quale detestava Mazzini e Garibaldi.
Alberto Mario riferì ciò che narrò il D’Azeglio nella «Lega della democrazia», il giornale che dirigeva in Roma. Nel numero di martedì 30 agosto 1881, anno secondo, numero 242 (il volume è anche nella nostra Biblioteca) Alberto Mario, rievocando il delitto di Aspromonte scriveva tra l’altro: «Consiglio dei ministri: Rattazzi, Durando, Petitti, Conforti, Matteucci, Persano, Sella. Vittorio Emanuele aveva detto: ogni appello che non è il mio, è un appello alla ribellione, alla guerra civile. Massimo d’Azeglio narra che il re, alzatosi in piedi sul trono, stese la mano e comandò di percuotere».
Ecco qua, onorevoli colleghi; io mi riprometto di fare un estratto di questo breve mio dire e di offrirlo ai colleghi. Citerò altri documenti per chiarire nettamente la situazione storica, per chiarire questa tesi: l’Italia si è fatta per lotte della democrazia, del partito repubblicano: contro la monarchia. Quando l’Italia fu vicina a raggiungere l’unità la monarchia raccolse i risultati dell’azione dei repubblicani italiani, dei rivoluzionari d’Italia.
Non ho altro da dire. (Applausi).
GEUNA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GEUNA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, non ritengo di dover abusare della pazienza dei colleghi continuando una discussione che si è impostata su aspetti storici appartenenti al passato. D’altronde non mi sono premurato di venir qui con la documentazione di testi voluminosi o impolverati per suffragare il mio dire.
Ho sentito ieri nel mio animo ripercuotersi dolorosamente le espressioni di un uomo, pure in perfetta buona fede. Quelle espressioni hanno fatto male al mio animo di onesto e leale avversario.
Però io voglio tornare sull’argomento col mio animo di piemontese, rivendicando che se c’è una regione in Italia – e chiedo ai colleghi di darmene atto – che non ha fatto pesare durante tutti i lavori della Costituente e anche in quest’ultimo periodo un suo concetto regionalistico che si sovrapponesse agli interessi della Patria, questa regione è proprio il Piemonte.
Ma appunto perché non abbiamo mai servito a nostri problemi contingenti in contrasto con quelli generali, in questo momento sentiamo a maggior ragione di dover difendere la nostra regione e il pensiero di questa gente piemontese, che ha posto le premesse perché l’Italia potesse trovare la sua unità. Si è voluto dire che noi abbiamo appreso nei testi di terza elementare la nostra storia patria. Io rispondo che noi l’abbiamo appresa sulle ginocchia dei nostri genitori e dei nostri nonni, che quella storia hanno vissuto e hanno fatto.
Io contesto che si possa rinnegare la figura di Cavour, anche senza dire con questo che vogliamo deificarla. Ed aggiungo che proprio noi piemontesi siamo lontani da questa mentalità: anche quando, sotto il passato regime, si deificava un uomo, tutti quelli che potevano essere gli errori e le colpe degli italiani sono stati condivisi in minima parte dalla mia regione, perché, se c’è stata una regione che si è duramente opposta a questa deificazione, è stata proprio la regione piemontese.
Una voce a sinistra. Ma che cosa c’entra questo? (Commenti).
PRESIDENTE. Facciano silenzio. È vero che l’Assemblea non è abituata alle sedute del lunedì mattina, ma non è questa una buona ragione per procedere oggi con tanto disordine. Onorevole Geuna, lei ha chiesto la parola sul processo verbale, non lo dimentichi.
GEUNA. Rimango al processo verbale. Io mi permetto di accennare all’onorevole Conti, che sa la mia lealtà e il mio rispettosissimo pensiero verso di lui, che proprio i suoi colleghi repubblicani piemontesi si riterrebbero offesi come me, se si cercasse di sminuire la figura di chi, in altro clima storico, non corrispondeva al suo pensiero attuale, ma lavorava per l’Italia.
PRESIDENTE. Onorevole Geuna ho sott’occhi il resoconto stenografico di ieri. Una volta sola, nel corso di tre ore, si è pronunciata la parola «piemontese». Una volta sola e dall’onorevole Condorelli, il quale, condividendo in questo problema l’opinione sua, non può certo averla adoperata in senso tale da rendere necessaria da parte sua una rettifica o una controdimostrazione. Ciò nonostante io le ho dato la parola. Ma proprio perché desidero che lei stia all’impegno assunto, di non entrare in un’esposizione di carattere storico, credo sia sufficiente quanto ella ha detto per esprimere la sua protesta.
GEUNA. Però osservo che l’onorevole Conti ha accennato con queste precise parole: «che solo nel 1861 Cavour aveva detto di poter intravedere l’unità d’Italia».
PRESIDENTE. Ma questo, scusi, non è un caso personale.
GEUNA. Comunque l’onorevole Conti si è sentito oggi di ampliare.
Io ritengo che gli accordi di Plombières siano almeno di tre anni anteriori alla data citata dall’onorevole Conti, e Plombières è stata la fase conclusiva, non l’inizio, di una politica per l’indipendenza e conseguente unificazione d’Italia!
PRESIDENTE. Ma l’onorevole Conti aveva parlato nella seduta precedente e si è ritenuto chiamato in causa. Sul processo verbale si può parlare per proporre una rettifica, per chiarire o correggere il proprio pensiero, oppure per fatto personale.
GEUNA. Mi permetta, Presidente. Io ho premesso che, anche se sotto una modestissima veste, intendo rappresentare questa coscienza piemontese che non voleva essere né partigiana né regionalista. Ho creduto di precisare perché ieri sono insorto. Sono insorto (e credo di potermi perciò richiamare al processo verbale) ad un’altra espressione che si richiamava allo scrivere in francese di Vittorio Emanuele II, come prova documentata della non italianità di quel nostro re. Non era colpa né vostra né responsabilità nostra, se allora la nobiltà e la buona borghesia piemontese parlavano in francese per condizioni storiche, di cultura, di dominio francese da cui noi piemontesi ci siamo liberati, e se il francese era la lingua ufficiale delle Corti europee.
Federico II non conosceva quasi la lingua della sua terra, stante l’educazione ricevuta in Francia e non si può certo dire non abbia fatto il bene del suo Paese.
Napoleone I parlava malissimo il francese e nessuno oserebbe negargli la cittadinanza ad honorem, per la Francia.
Nella nostra Valle d’Aosta si parla francese e tutti gli atti notarili, civili, religiosi sono redatti anche in francese, e non si vorrà negare l’italianità dei valdostani.
Gli alto-atesini parlano tedesco e sono italiani.
I miei alpini della Valle Natisone – che mi scrivono in questi giorni lettere infiammate d’italianità – parlano sloveno e sono italiani.
Anche in Sardegna, in certi paesi si parla ancora spagnolo, ed è Italia.
Io riaffermo, quindi, fermamente il merito di Casa Savoia e del Conte Cavour per l’indipendenza e l’unità della nostra Patria. (Applausi a destra).
CONDORELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che proposito, onorevole Condorelli?
CONDORELLI. Sul processo verbale, e credo che il proposito sia evidente a tutti.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONDORELLI. L’onorevole Conti – al quale rendo omaggio, e sono lieto di cogliere la presente occasione per rendere questo omaggio alla sua rettitudine – oggi è insorto contro quel mio «Non è vero!» triplicemente lanciatogli mentre egli accusava il re, che la storia d’Italia e tutto il popolo italiano ha sempre chiamato e chiama ancora il Padre della Patria, (Commenti a sinistra) di aver fatto fucilare Garibaldi ad Aspromonte!
Ma nulla l’onorevole Conti ha potuto oggi portare in questa Assemblea – sebbene abbia avuto due giorni per le ricerche – che possa confermare quelle che egli, nell’impeto dei suo entusiasmo repubblicano, ha affermato.
Che Vittorio Emanuele II, insieme con tutto il suo Governo, abbia sentito la necessità politica di fermare la marcia di Garibaldi ad Aspromonte, è cosa che non aveva bisogno di essere documentata, perché è risaputa, come è risaputo storicamente che la decisione corrispose alla necessità assoluta di impedire l’intervento francese in Italia. (Commenti a sinistra).
Ma che Vittorio Emanuele II abbia voluto che si facesse del male personalmente a Garibaldi è una maldicenza inventata allora dai repubblicani e che mi duole che dopo quasi novant’anni si ripeta in questa Assemblea. Lo stesso Garibaldi, che fu sempre affettuoso, non solo devoto, ma affettuoso amico di Vittorio Emanuele II, prima e poi, sarebbe stato pronto a smentirla, onorevole Conti! Non è con la maldicenza, onorevole Conti, che si fa la storia.
La storia ha ormai pronunciata la sua sentenza ed ha detto che c’è stata una dinastia eroica che ha scommesso i suoi destini, la sua esistenza, la propria vita, quella dei propri figli, per espellere l’Austria dall’Italia. (Rumori a sinistra). E l’insorgere del piccolo Piemonte contro l’Austria rimane sempre un fatto epico che va attribuito al coraggio, all’audacia, alla temerarietà del dinasta che nel 1848 regnava nel Piemonte.
CONTI Cominciò col Trattato di Moncalieri.
BUBBIO. È stato dopo.
PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, lei ieri ha detto una frase che vorrei ripetere qui, non solo per lei, mentre si sta discutendo questo argomento. Dice il processo verbale: onorevole Condorelli. «Non facciamo nei comizi della storia».
Onorevole Condorelli, onorevoli colleghi, non facciano la storia adesso, su queste rettifiche di processo verbale. Scrivano dei libri, facciano degli articoli, ma in questa sede, si ricordino che ci siamo per fare la Costituzione.
CONDORELLI. Onorevole Presidente, io mi permetto di rilevare che questa osservazione andava fatta all’onorevole Conti. (Interruzione dei deputati Conti e Covelli).
PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, io ho cominciato a fare l’osservazione all’onorevole Conti e poi un po’ più sottolineata l’ho fatta all’onorevole Geuna, ma ora al terzo momento la devo fare in modo più rilevato, e se altri colleghi che hanno chiesto la parola anche sul processo verbale se scambiando un problema di rettifica con un problema di larga discussione, cadessero in errore, è evidente che non mi limiterò più a un richiamo, ma toglierò loro la parola. La prego, pertanto, di concludere. Non ci insegni proprio oggi quello che ha fatto il Piemonte nel 1848.
CONDORELLI. Ero sul punto di concludere ed a quest’ora avrei finito se non ci fosse stato il suo autorevole intervento.
Confermo non essere vero quello che in un istante d’impeto, causato dal suo temperamento entusiasta, si è lasciato sfuggire qui l’onorevole Conti.
CONTI. Non mi sono lasciato sfuggire niente.
CONDORELLI. La invito a provare quello che ella ha affermato: che Vittorio Emanuele II ha voluto che Garibaldi fosse fucilato ad Aspromonte. (Interruzioni del deputato Conti).
Fino a che non avrà fornito la prova precisa di quanto ha affermato ieri lei, contrariamente al suo carattere – riconosco, senza sua colpa, anzi senza coscienza – non avrà detto il vero.
CONTI. Ma io glielo ho data prima la prova. Non posso consentirle di parlare così.
TONELLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. La prego di precisarmi il motivo per cui chiede di parlare.
TONELLO. Sopra il significato che si è voluto attribuire dall’onorevole Condorelli ad alcune mie frasi.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
TONELLO. Io dissi che verso i fascisti bisognava usare la legge del taglione, mentre l’onorevole Condorelli mi interruppe vivacemente e la frase fu raccolta dalla malavita della stampa fascista e fa il giro d’Italia, sicché io appaio, presso chi non mi conosce, come un boia, capace di tagliare le mani e cavare gli occhi!
Con quella mia frase io volevo dire che bisognava essere feroci non contro gli esecutori di assassinî materiali, non contro gli esecutori di spedizioni punitive, ma contro quelli che nell’ombra li sovvenzionano, pagano i camions e pagano gli sgherri principali dell’esecuzione. E volevo dire che il miglior modo di colpire i malviventi è di colpirli nell’unica parte che hanno sensibile: il portafoglio. E, quindi, proponevo, come del resto fece quel terribile rivoluzionario e mio amico Zanardi, che si procedesse, quando uno fosse processato come compartecipe di una spedizione punitiva, alla espropriazione dei beni. E dissi allora che io l’ho avuta questa espropriazione… Per fortuna non avevo niente! (Ilarità).
MAZZA. Ma quanti della sinistra, allora, dovrebbero essere processati?!…
TONELLO. Ed allora si vedrebbe quanti compari della canaglia fascista si ridurrebbero in bolletta dura!… E quello che dissi ieri sono pronto a confermarlo ancora oggi.
CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Codacci Pisanelli?
CODACCI PISANELLI. Sulle due frasi che sono state pronunciate di «vostra Repubblica» e «vostro Cavour», una pronunciata dall’onorevole Covelli, e una dall’onorevole Conti.
PRESIDENTE. E a che titolo vuole intervenire?
CODACCI PISANELLI. Per portare in questa arroventata atmosfera una parola di serenità e di calma. Rettificare queste due frasi.
PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la rettifica si può portare ad una propria dichiarazione. Nessuno è autorizzato a rettificare dichiarazioni degli altri e si ha diritto di parlare solo quando si è stati chiamati in causa. Lei non è stato chiamato in causa e pertanto, mi perdoni, non ritengo che sia necessario darle la parola sul processo verbale.
Desidero far rilevare all’onorevole Conti e all’onorevole Condorelli che nel resoconto stenografico della seduta di sabato mattina non è contenuta la parola «falso»; ma è detto: «Non è vero! Non è vero! Non è vero!» e, pertanto, la forma adoperata dall’onorevole Condorelli era rispettosa e dignitosa.
L’affermazione che ciò che è stato detto da altri non risponde a verità, è cosa normale in ogni discussione artistica, filosofica, culturale, sportiva; e penso che coloro che non desiderano essere così contraddetti dal proprio avversario, non devono fare (me lo permetta, onorevole Conti) che una cosa sola: non partecipare a discussioni. Comunque, mi consentano di dichiarare chiusa la discussione sul processo verbale, che si intende approvato.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Arata, Lizzadri, Tosi.
(Sono concessi).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Avverto che sono stati presentati due altri emendamenti all’articolo 96: uno è dell’onorevole Targetti che modifica il suo precedente, nel senso si sostituire le parole «può partecipare» all’altra «partecipa», onde il testo proposto risulta così formulato:
«Il popolo può partecipare direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».
L’altro è degli onorevoli Coppi, Di Fausto, Scalfaro, Pat, Mannironi. Giordani, Murdaca, Balduzzi:
«La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Parlerò pochi minuti. Non in merito, ma soltanto per chiarificare le posizioni. Farò la storia dell’articolo. L’articolo, come è nel testo che è uscito dalla deliberazione dei 75, era stato proposto dal valoroso collega onorevole Targetti, che aveva anche qui vinto una sua battaglia; e prevedeva in modo esplicito l’istituzione della giuria, stabilendo che «il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituzione della giuria per i processi di Corte di assise».
Era una affermazione molto precisa per la conservazione della giuria. La discussione, in sede di Commissione dei 75, vi fu ma non molto ampia né molto forte, come in certi pezzi di musica: forte ma non troppo. Qui, invece, è stata ampissima e fortissima, ed ha messo in luce tutti i punti favorevoli e contrari a questo istituto. Io sono rimasto impressionato. Erano note le critiche rivolte a questo istituto; ma, espresse con tanta autorità e vivezza da principi del foro, hanno fatto impressione. Non le ripeterò. Ve ne è una fondamentale: l’incapacità e l’incompetenza del semplice cittadino ad esprimersi in giudizi così difficili. Ve ne sono altre che alcuni sostengono essere inerenti all’istituto stesso: la non motivazione e la non appellabilità. In verità ho riportato l’impressione che l’istituto così come è non può andare, ma si deve cercare di aggiustarlo e modificarlo. Come? Ecco il punto da decidere, ma non in questa sede. Sarà una nota retorica, una quarantottata, ma confesso che personalmente nutro simpatia per questa guardia nazionale della magistratura che è la giuria. Se si potesse conservarla, ne avrei molto piacere; ma è meglio non fare una affermazione che prescriva di conservare per sempre questo istituto, oppure una affermazione che l’abolisca nettamente.
Venuta la discussione in Assemblea, abbiamo assistito ad un fatto decisivo che supera la posizione del testo proposto dalla Commissione dei 75; ed il superamento viene dall’autorità dell’onorevole Targetti, autore di quel testo. Egli qui, in Assemblea, ha proposta un’altra formula che equivale in sostanza al rinvio alla legge della questione se la giuria debba essere conservata o no, modificata nell’uno o nell’altro senso. Non c’è differenza abissale fra questa proposta dell’onorevole Targetti e le altre, della soppressione. Se non avessero il dubbio che, non mettendo nulla, qualche altra disposizione della Costituzione precluderebbe l’adito alla istituzione della giuria, molti dei suoi fautori, lo hanno dichiarato, non avrebbero difficoltà alla soppressione.
Abbiamo sentito svolgere tre emendamenti in modo molto alto e degno: il primo, per un certo ordine logico, è quello dell’onorevole Ghidini: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise nei limiti e secondo le forme, che saranno stabiliti dalla legge». L’onorevole Ghidini, dunque, afferma l’esistenza della giuria nella Corte d’assise; quindi la sua proposta è più spinta, in certo senso, di quella dell’onorevole Targetti, che afferma bensì la partecipazione del popolo ai giudizi, ma nulla dice della giuria. Queste due formule nel resto coincidono. Dirò subito che la forma non mi gradisce molto; e domando scusa all’Assemblea se mi fermo sull’espressione formale della Costituzione, che pure ha certa importanza. L’onorevole Cairo ha già osservato che in un articolo precedente, già approvato, della Costituzione è scritto che tutta la giustizia è amministrata in nome del popolo. Ora verremmo ad aggiungere: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia». Capisco, v’è quel «direttamente». Ma mi pare che veniamo a fare due graduatorie, due dignità di amministrazione della giustizia, che, anche volendo arrivare allo stesso risultato, dovremmo formalmente evitare.
Ho sentito ventilare dall’onorevole Targetti l’idea di sostituire alla formula: «il popolo partecipa direttamente» l’altra: «il popolo può partecipare direttamente». Questa formula mi dispiace ancora di più. Cosa significa? Dare al popolo, che è sovrano, il permesso di partecipare? Anche la espressione formale ha la sua importanza.
Desidererei che se la maggioranza dell’Assemblea è pel rinvio alla legge si potesse raggiungere tale risultato in altra forma. Ciò si vorrebbe ottenere con l’emendamento presentato dagli onorevoli Cairo e Carboni: «Possono istituirsi per legge e per la cognizione e decisione di determinate materie sezioni specializzate degli organi giudiziari, civili e penali, con la partecipazione regolata dalle norme dell’ordinamento giudiziario di cittadini esperti e di giudici popolari». Anche qui la forma (perdonate s’io faccio il tecnico della struttura costituzionale) presenta qualche difetto. È detto «cittadini esperti e giudici popolari», come se i cittadini esperti che partecipano alla giurisdizione non fossero giudici anche essi. Questo si può rettificare. La sostanza è se la disposizione già approvata ed inserita nel testo dell’articolo 95 consente la istituzione di giurie presso le Corti di assise; il che noi non vogliamo negare, perché rinviando alla legge non precludiamo la possibilità di esistenza dell’istituto della giuria.
L’onorevole Ghidini ha fatto un esplicito quesito in questo senso. Il problema è stato svolto con competenza e chiarezza dall’onorevole Leone. Io ritengo che con la formula approvata si possa benissimo istituire la giuria. Infatti si dice: «Possono istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, con la partecipazione anche di elementi idonei, estranei alla magistratura». Comprendo un certo ritegno, ma osservo che anche adesso le Corti di assise sono costituite presso le Corti d’appello e sono in sostanza loro sezioni speciali. È detto «partecipare». L’onorevole Ghidini osserva che ciò potrà essere adattato allo scabinato, non alla giuria. Mi permetta di dire, l’amico Ghidini, che la sua apprensione non è giustificata. Cosa vuol dire «partecipare»? Implica in sostanza un concetto di collaborazione, ed in questo senso partecipano alle Corti d’assise tanto i giudici dell’ordine giudiziario, quanto gli elementi estranei, i giudici popolari. Riflettiamo a ciò che avveniva con la giuria classica, quella del 1874, che un progetto dell’onorevole Fausto Gullo, in sostanza, si propone di ristabilire. Il Presidente partecipava allo svolgimento del dibattito, lo presiedeva; risolveva tutte le questioni procedurali; poneva i quesiti; e dopo il verdetto applicava la pena, e pronunziava la sentenza. I giurati avevano il compito di dare il verdetto: si trattava in fondo di una distribuzione di compiti. Io credo che la disposizione già approvata possa perfettamente bastare. Si noti, infatti, che abbiamo tolto, con questo intento, l’espressione: «esperti» ed abbiamo usata l’altra espressione: «idonei», che avrà un certo valore. Richiedere, come ora si fa, per i giurati la licenza elementare mi sembra poco, ma anche richiedendo la sola licenza elementare si entra pur sempre nell’idea dell’idoneità. Io ho la perfetta convinzione che si possa conservare, con la forma da noi approvata nell’articolo 95, la giuria.
Se voi volete chiarire questo, non mi oppongo, e se volete precisare che con questa formula si possono istituire Corti di assise per giudizi penaci, faremo una norma, introdurremo un capoverso. Concludo brevemente, così come vi avevo detto all’inizio di questo mio intervento.
Vorrei che si evitasse una forma determinata, sia pure, da sentimenti nobilissimi, come quella proposta dall’onorevole Targetti, «il popolo partecipa direttamente», che è un poco di tipo – giuria, con tutta la riverenza che io porto all’acutezza dell’onorevole Targetti.
VERONI. È il concetto della Commissione!
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Veroni di ascoltare se quanto io ho detto chiaramente, e che ora ripeto, è contradittorio. La Commissione dei 75 aveva accettata una proposta Targetti: ora l’onorevole Targetti ha proposto una nuova formula, che equivale in sostanza al rinvio.
TARGETTI. Ma la mia proposta non era di un rinvio!
RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. La sua proposta, onorevole Targetti, equivaleva a rinvio. Basta rileggere la formula: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».
TARGETTI. Quando lei dice: «partecipa» cosa significa?
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Targetti, poiché la sua proposta nella Commissione dei Settantacinque parlava espressamente di giuria, e la sua nuova proposta non ne parla più, ciò non può equivalere che al rinvio. Con la sua nuova formula si può benissimo arrivare, se si vuole, alla magistratura elettiva in altre materie, ed abolire la giuria. Se, come mi sembra, l’Assemblea va verso il rinvio, ciò potrà ottenersi con una formula diversa da quella dell’onorevole Targetti.
Per tutte queste ragioni, io credo di interpretare il pensiero della maggioranza del Comitato accogliendo l’idea del rinvio alla legge e preferendo che ciò avvenga con un chiarimento della portata dell’articolo 95 già approvato.
GRASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI. Io non avevo presentato emendamenti al riguardo, se non quello, di rimandare eventualmente, alla legge la sistemazione definitiva di questo argomento così importante e così inteso da parte dell’Assemblea. Però, mi permetto, dopo le dichiarazioni fatte dal Presidente della Commissione, di esprimere il mio dissenso per quanto egli ha detto. Io non sono d’accordo con lui nel ritenere che le Corti di assise possano comunque entrare nella formula: «Possono soltanto istituirsi, presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie». Qui, per la Corte d’assise, non si tratta di competenza per materia, ma di competenza per limiti di pena. Vogliamo o non vogliamo ammettere le Corti d’assise è una cosa, ma non è possibile concepire che attraverso questa formulazione possa considerarsi la possibilità di istituire le Corti di assise con l’intervento degli elementi popolari. La Corte d’assise è un organo giudiziario che interviene, attraverso la forma della giustizia, per determinati reati che corrispondono a determinate pene.
Io aderirei all’ordine del giorno Targetti per aprire la via alla giuria e lasciare impregiudicata la questione delle Corti di assise.
L’Assemblea deciderà, ma io penso che noi non daremmo una indicazione precisa al legislatore di domani se su questo punto non dicessimo chiaramente che cosa vogliamo. Noi possiamo dirlo in una maniera o nell’altra, ma dobbiamo dirlo senza possibilità di equivoci, mentre usare la parola «possono» esclude che si possano stabilire le Corti d’assise, che sono ordinarie e non specializzate.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei osservare all’onorevole Grassi, una cosa semplicissima: la competenza delle Corti d’assise, secondo il Codice attuale, è proprio per materie, così dice espressamente il Codice, e non vuol dire che a determinare la materia sia l’altezza delle pene. Del resto l’onorevole Grassi ha manifestato un proposito al quale anche noi andiamo incontro: di chiarificare che si potranno mantenere le giurie, senza fare espressa prescrizione pel loro mantenimento. A tale scopo non riterrei adatta la formula Targetti. Sarebbe meglio l’altra, ora presentata, nella continua pioggia di emendamenti, dall’onorevole Coppi: «La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte d’assise».
GRASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI. Che il popolo partecipi alla giustizia non c’è dubbio, perché tutte le sentenze sono fatte in nome del popolo. La questione è questa: se deve partecipare direttamente o attraverso la Magistratura. Se lei non rileva che cosa implichi la parola «direttamente» è inutile che scelga l’una o l’altra formula. È dunque questo termine «direttamente» che bisogna chiarire.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio osservare all’onorevole Grassi che io ho qui il Codice di procedura penale dove, appena dopo il Titolo del capo I, che è «della competenza per materie», si parla subito di competenza della giuria. Dunque, quando l’articolo 95 da noi approvato parla di competenza per materia, può benissimo riferirsi alla competenza della giuria.
GHIDINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GHIDINI. Desidero fare una osservazione in merito alle dichiarazioni fatte dagli onorevoli Grassi e Ruini: per quanto riguarda l’osservazione fatta dall’onorevole Grassi, l’appoggio, perché secondo l’attuale Codice, la competenza della Corte d’assise non è competenza per materia, cioè non è competenza qualitativa bensì quantitativa.
Col vecchio Codice era una competenza qualitativa, ma attualmente è quantitativa, e quindi non si può, secondo me, richiamare il capoverso, votato, dell’articolo 95 per dire che la giuria vi rientra.
L’emendamento dell’onorevole Coppi parrebbe uguale al mio. Senonché la partecipazione, secondo il mio emendamento, è obbligatoria, mentre secondo l’emendamento Coppi è semplicemente potestativa.
Debbo anche aggiungere che secondo il mio emendamento non è che venga rimessa alla legge, come sostiene l’onorevole Ruini, la partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia; ciò che viene, invece, rimesso alla legge è la determinazione dei limiti e delle forme. Ma, ripeto, la partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia, anziché rimessa alla legge, è decretata e consacrata nella stessa Costituzione.
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. Desidero confermare il concetto espresso dall’onorevole Ruini. Siccome è sorto proprio in sede di votazione questo scrupolo che la competenza della Corte d’assise non sia una forma di competenza per materia, vorrei affermare questo concetto, perché, indipendentemente dall’articolo 29 del Codice, il concetto di competenza per materia, in penale, è questo: la competenza, di regola, è distribuita in funzione della pena, perché la pena esprime di regola la gravità del reato. Noi vediamo che i tre tipi di competenza (pretore, tribunale, Corte d’assise) sono di regola delimitati in base alla pena.
Il concetto civilistico della competenza per valore non può funzionare in materia penale: la competenza per materia in penale si articola, di regola, in base alla sanzione che la legge stabilisce per i reati, in quanto la pena esprime la gravità del reato.
E allora, se la competenza della Corte d’assise è per materia, se la Corte d’assise è stata, non può non essere una sezione di giudice ordinario (sezione specializzata per il fatto della sua organizzazione diversa dal giudice ordinario – l’introduzione di elementi estranei in misura maggiore o minore è indifferente) non possiamo disconoscere, in realtà, che nella formula dell’articolo 95 si può introdurre la giuria, sia pure come totale introduzione dell’elemento popolare.
Desidero osservare che la preoccupazione dell’onorevole Ghidini non ha ragion d’essere perché, per la stessa tradizione storica della Corte d’assise, noi, avendo stabilito che non si possono istituire giudici speciali, è evidente che in avvenire, anche se sorgesse una giuria, questa si dovrebbe inquadrare senza eccezioni nella formula del divieto di giudici speciali in materia penale e pertanto dovrà organizzarsi come sezione specializzata del giudice ordinario.
TOGLIATTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Vorrei sollevare una questione di procedura.
Ho ascoltato con grande maraviglia l’onorevole Ruini, il quale ha detto che la Commissione dei Diciotto avrebbe deciso di accettare la soppressione di questo articolo.
Esiste un Comitato di redazione, il quale ha facoltà di risolvere determinate questioni relative alla formulazione dell’una o dell’altra proposizione. Ma qui si tratta di una questione di principio sulla quale abbiamo votato in sede di Commissione dei Settantacinque, in modo tale che il Comitato non ha il diritto di cambiare. In sede di Commissione dei Settantacinque abbiamo votato il principio della giuria popolare; come può dunque l’onorevole Ruini, con una riunione alla quale potranno essere intervenute quattro o cinque persone – ché nessuno, si sa, partecipa a questo suo Comitato – come può dunque l’onorevole Ruini procedere a un mutamento che annulla questo voto?
Se mai, se egli fosse veramente un buon presidente, avrebbe dovuto convocare nuovamente la Commissione dei Settantacinque e chiamare la Commissione stessa a pronunciarsi una seconda volta su una questione la quale riveste carattere di tanta importanza.
Ma, fare come egli ha fatto, non credo sia cosa accettabile. A me pare veramente che l’onorevole Ruini abbia in questo caso violato le norme elementari di funzionamento dei nostri organismi e pertanto non mi pare che la sua decisione possa servire ad orientare i nostri voti in Assemblea.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio innanzitutto rammentare all’onorevole Togliatti e all’Assemblea che quando sorse la questione se, durante la discussione del progetto di Costituzione in Assemblea, si dovesse riunione la Commissione dei Settantacinque, tutti furono concordi nel ritenere che, siccome non era cosa facile poter procedere alla riunione di una Commismissione così numerosa, i suoi poteri dovessero intendersi deferiti al Comitato dei Diciotto.
Anzi i colleghi ricorderanno che, per scrupolo, fu riunita a questo riguardo la Commissione dei Settantacinque, la quale affermò che, di fronte a decisioni da prendersi così, ad oras, avrebbe dovuto decidere il Comitato dei Diciotto.
TOGLIATTI. Ma qui si tratta di una questione di principio.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non fu fatta nessuna riserva, se non la mia dichiarazione che per le questioni più gravi ed importanti, ove ciò fosse richiesto, si sarebbero potuti convocare i Settantacinque; ma nessuno ha ritenuto che la questione della giuria o meglio la questione se dovesse prescriversi nella Costituzione o lasciarsi libero il legislatore di mantenerla o no, fosse questione così importante da richiedere un appello ai Settantacinque. Nessuno ha fatto richiesta in tal senso. Né altre richieste vennero fatte, per temi più importanti, dai comunisti o da altri.
Il Comitato dei Diciotto viene sempre regolarmente convocato: se non pochi di coloro che ne fanno parte si astengono dal prendervi parte che cosa si può fare? Quando si parlò della giuria, vi era il numero legale, anche se non vi erano i comunisti, occupati nei lavori della loro direzione di partito; ma io tenni informato, come faccio sempre, l’onorevole Grieco e altri colleghi di quella parte.
Siamo quindi perfettamente in regola dal lato formale.
TARGETTI. Permette, onorevole Ruini: non ricordo in quali adunanze del Comitato di redazione si sia trattato specificatamente di questo.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’era neppure lei, onorevole Targetti, perché vi era consiglio di presidenza dell’Assemblea, ma io la tenni perfettamente informato delle tendenze della maggioranza della Commissione.
Passiamo ora alla questione di sostanza. Quando è venuta la questione in Assemblea, l’onorevole Targetti stesso – non si può disconoscerlo – abbandonò in parte la sua posizione iniziale, perché non si parlò più di giuria, ma si parlò solo di partecipazione del popolo. Quindi la disposizione iniziale era superata.
Quando io ho parlato poco fa, ho detto con molta cautela che credevo di esprimere l’opinione della maggioranza dei Diciotto. Questo è verissimo; e il Comitato aveva perfettamente il diritto, anzi il dovere, di manifestare la sua opinione sugli emendamenti presentati. Se no, che cosa rappresenterebbe?
Ho aggiunto, ed anche questo interpretando il pensiero della maggioranza dei Diciotto, che non vi era nulla in contrario a chiarire bene che si poteva conservare la giuria. In sostanza dunque non si è andati contro la conservazione di tale istituto, siamo sicuri di non aver violato per nulla i limiti della nostra competenza e, per la sostanza, abbiamo cercato di andare incontro al punto di vista dell’Assemblea. Se del resto l’onorevole Togliatti crede, io posso anche proporre al nostro Presidente che si sospenda questa discussione e si riunisca ancora la Commissione dei Settantacinque: ma certo questo significherebbe rimandare la discussione degli emendamenti.
TOGLIATTI. Basta tener ferme le decisioni prese dai Settantacinque. (Commenti).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma allora, di fronte a trenta o quaranta emendamenti la Commissione deve ignorarli, e rifiutarsi ad ogni discussione, e respingere la facoltà sovrana di emendamento e di approvazione che ha l’Assemblea…
GULLO FAUSTO. La questione ha troppa importanza; è una questione di principio.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo di aver agito legalmente e formalmente, dicendo che di fronte a queste discussioni avvenute in Assemblea, è prevalsa l’idea di rinviare alla legge. Formula Targetti o formula Coppi? Io, ed i colleghi che hanno lavorato, che vengono sempre al Comitato, preferiamo la formula Coppi.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. L’onorevole Ruini ha esattamente rilevato poco fa che i membri del Comitato dei Diciotto di questa parte, da qualche tempo in qua frequentano meno assiduamente le riunioni del Comitato. Ed io ho chiesto la parola proprio per precisare che il rilievo fatto dall’onorevole Ruini è esatto, ma ha una sua motivazione. Ed io penso che molto tempestivamente l’onorevole Togliatti abbia oggi sollevato la questione del Comitato dei Diciotto, perché la ragione per la quale i rappresentanti della nostra parte non frequentano più le riunioni di questo Comitato è proprio questa: che il Comitato dei Diciotto è uscito dai suoi limiti normali.
Non è più un Comitato quale noi intendevamo che dovesse essere all’atto in cui lo abbiamo costituito, e cioè un Comitato che rappresenta la Commissione dei Settantacinque e che difende quindi il progetto elaborato dalla Commissione in un anno di lavoro. Il Comitato è diventato una sorta di Commissione a sé, che rivede le diverse questioni, che ritratta gli argomenti in piccole, ristrette riunioni, scarsamente frequentate, anche dai colleghi di altri settori dell’Assemblea, e che presenta le sue proposte senza tener conto delle decisioni fondamentali della Commissione dei Settantacinque.
Ora, questo funzionamento del Comitato dei Diciotto non è né corrispondente alle norme generali per quanto riguarda la Commissione, né corrispondente alla volontà che mosse l’Assemblea quando decise la costituzione della Commissione dei Settantacinque.
Noi chiediamo che il Comitato dei Diciotto si contenga entro i suoi confini, e cioè si limiti a rappresentare la Commissione dei Settantacinque dinanzi all’Assemblea e a difendere nelle sue linee generali il progetto. Naturalmente, esaminando i singoli emendamenti, potrà apportare qualche modifica, ma non si può rimettere in discussione tutta la Costituzione. (Commenti al centro).
TOGLIATTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Desidererei precisare il mio pensiero nei confronti di ciò che ha detto l’onorevole Ruini.
Purtroppo, onorevole Presidente, sarò costretto a deviare un po’ dal problema di pura procedura, per dire alcune cose nel merito.
Osservo che vi è una parte di questa Assemblea – e in questa parte si trova il nostro Gruppo e mi trovo io in particolare – la quale ritiene che in tutti i casi in cui si tratta di processo politico oppure di processo il quale comporti una condanna alla riduzione della libertà personale per un lungo periodo di tempo, il cittadino ha diritto a essere giudicato da una giuria popolare. È questo uno di quei diritti democratici fondamentali che sono stati rivendicati e realizzati dalle rivoluzioni democratiche, e a cui non si può rinunciare, senza rinunciare al patrimonio lasciatoci da queste rivoluzioni.
Noi poniamo questo diritto sullo stesso piano su cui si pone il diritto di libertà di parola, di libertà di organizzazione, di libertà di stampa.
Posta la questione in questo modo, onorevole Ruini, ella comprenderà molto facilmente che noi non ammettiamo che un Comitato riveda una decisione presa dalla Commissione dei Settantacinque, appunto perché si tratta di un problema di così grande portata.
Non si può, a proposito di una questione di tanto rilievo, fare un rinvio facoltativo alla legge, così come non si sarebbe potuto rinviare alla facoltà del legislatore la decisione se avremo o non avremo libertà di stampa.
Una voce al centro. Deve decidere l’Assemblea.
TOGLIATTI. Quella che io faccio è quindi una questione di fondo. Sostengo che, data la natura stessa del problema, il Comitato dei Diciotto non aveva il diritto di interferire, modificando una decisione già presa dalla Commissione dei Settantacinque nel senso di annullarla.
CONTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONTI. Ho chiesto di parlare per una osservazione direi di buon senso. Io non capisco la portata dell’eccezione e delle osservazioni dell’onorevole Togliatti. Non la capisco per questo, perché mi domando se non siamo stati sempre d’accordo sul valore, sulla portata delle deliberazioni delle Commissioni che si sono succedute per la presentazione del testo costituzionale.
Fin dal primo momento, e proprio con l’onorevole Togliatti mi pare, ci siamo trovati d’accordo su questo punto, che si sono considerate le Commissioni e i Comitati costituiti in seno alla Commissione dei Settantacinque, come organi adatti, bene assortiti, se si vuole, per la elaborazione di un testo che poi l’Assemblea avrebbe dovuto esaminare e discutere da fondo.
Abbiamo fatto così per tutti gli istituti, dal principio alla fine. Qualunque siano state le decisioni dei Settantacinque e dei vari Comitati, l’Assemblea, che è sovrana, ha fatto poi tutto quello che ha voluto.
Ora, io non arrivo a capire perché in questo momento – e siamo quasi in articulo mortis – siamo quasi scandalizzati perché è venuta fuori una formula diversa da quella deliberata dalla Commissione dei Settantacinque. (Commenti).
Io dico che l’Assemblea siede per risolvere i problemi e per deliberare di fronte ai testi e alle formule che vengono preparati per il suo lavoro.
Non so se l’onorevole Togliatti ha voluto lanciare una freccia all’onorevole Ruini, ma il principio non ha ragion d’essere, se ammettiamo l’altro principio che la Commissione dei Settantacinque è stata una Commissione di studio, e su questo punto mi pare di essermi trovato d’accordo perfettamente con l’onorevole Togliatti. E allora io credo che l’onorevole Togliatti, l’onorevole Laconi e tutti quelli che hanno fatto osservazioni sul misfatto dell’onorevole Ruini, debbano riconoscere che non c’è ragione di continuare una discussione accademica su questo punto. C’è invece motivo perché dati tre, quattro, cinque o sei emendamenti, finalmente si deliberi su di uno, senza commettere l’errore di riferirsi al pronunciato di una commissione qualsiasi, ma rimettendosi alla piena sovranità dell’Assemblea che è qui per deliberare.
Prego dunque l’onorevole Presidente di voler riassumere, come egli sa fare, le mie osservazioni in modo da portare l’Assemblea al punto di concludere e non di discutere in eterno su questa tesi.
CRISPO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CRISPO. Io ritengo che l’ultima osservazione dell’onorevole Togliatti abbia tutta la sua importanza, perché – se ho compreso bene il suo pensiero – esso si potrebbe riassumere così: vi sono dei principî fondamentali che formano un po’ come lo spirito della Costituzione. Vale a dire, dei principî di ordine generale che sono come un patrimonio acquisito di idee e di principî.
Io ritengo invece che la risposta su questo punto, la cui esattezza in linea di massima non si può contestare, sia che non si può confondere il diritto di libertà di stampa, il diritto di parola, il diritto di organizzazione, col diritto del cittadino ad avere un giudice determinato. In altri termini, la Costituzione non contempla come un diritto naturale il diritto di avere un giudice determinato.
TOGLIATTI. E perché no?
CRISPO. La Costituzione ha già contemplato il principio fondamentale a cui accenna l’onorevole Togliatti, perché la Costituzione ha detto – per esempio – all’articolo 19 che: «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». E soggiunge all’articolo 20:…
TOGLIATTI. Cosa c’entra la difesa col giudice?
CRISPO. Ci vengo subito. E soggiunge all’articolo 20: «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale che gli è precostituito per legge».
Ecco il principio fondamentale.
Il principio del quale adesso ci occupiamo si riferisce invece all’ordinamento giudiziario, cioè al modo come deve essere ordinato l’organo deputato all’amministrazione della giustizia; tanto è vero che la norma della quale ci occupiamo è precisamente collocata sotto il titolo della Magistratura, col sottotitolo «Ordinamento giudiziario».
Quindi questo principio del modo, o meglio, la norma relativa al modo con cui deve essere organizzata l’amministrazione della giustizia, a mio avviso non si può confondere col diritto del cittadino ad avere il proprio giudice naturale, salvo l’organizzazione ed il funzionamento dell’organo della giustizia.
E allora, seconda osservazione, l’osservazione a cui si riferiva l’onorevole Ruini: se cioè la Commissione o il Comitato di redazione abbia la potestà di modificare.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Di esprimere il suo avviso.
CRISPO. Io penso anche: di modificare. Se mi permette, vado oltre: o di modificare la norma o una delle norme contenute nel progetto. Se si dovesse seguire l’opinione negativa dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Laconi, si dovrebbe pensare a norme cristallizzate, immobili, senza che comunque potessero patire alcuna modificazione. E mi permetto di osservare che il progetto appartiene bensì alla Commissione dei 75, ma verrà successivamente elaborato in seguito alla discussione in questa Assemblea. L’Assemblea non per nulla esamina, discute, valuta, vaglia il progetto e propone degli emendamenti; emendamenti che, a norma dell’articolo 94 del nostro Regolamento, possono non solo estendere o restringere la portata delle norme, ma possono anche modificarla sostanzialmente, perché l’articolo 94 del Regolamento fa divieto solo di presentare emendamenti che siano estranei all’oggetto della discussione.
Ora è evidente che il Comitato, il quale si riunisce dopo la discussione generale della legge e dopo gli emendamenti presentati e anche successivamente alla discussione degli emendamenti, debba tener conto di questi emendamenti; altrimenti questa discussione sarebbe del tutto inutile, del tutto estranea, sarebbe un diversivo e perdita di tempo, e non si comprenderebbe quale potrebbe essere la posizione di questo Comitato, che dovrebbe rimanere inerte di fronte al progetto, immutabile come un tabù.
Sono queste le considerazioni per le quali mi pare che il Comitato in questo momento abbia ragione.
TOGLIATTI. Chiedo di parlare per precisare un punto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà, ma le ricordo che è la terza volta che lei interviene in questa discussione.
TOGLIATTI. Desidero prima di tutto rilevare all’onorevole Crispo che mi rincresce che tutte le volte ch’egli parla non riesce mai a convincermi.
CRISPO. Non ho questa pretesa.
TOGLIATTI. Non è esatto quanto dice l’onorevole Crispo che tutto ciò che si riferisce ai diritti fondamentali del cittadino sia contenuto nei primi, diciamo, 51 articoli della nostra Costituzione.
Ivi sono formulati alcuni dei diritti fondamentali dei cittadini, ma altri diritti fondamentali sono formulati nei successivi capitoli e articoli. Per quanto riguarda la giurisdizione, negli articoli che l’onorevole Crispo ha citato, non ci si riferisce altro che al diritto alla difesa e al diritto al giudice naturale. Ma nella parte che riguarda la Magistratura noi già abbiamo sancito altri diritti fondamentali del cittadino, i quali fanno parte di quel patrimonio generale dei diritti democratici che non possono essere violati.
Si tenga presente per esempio, l’articolo che sancisce la inamovibilità del giudice. Questa inamovibilità non viene sancita, come da qualcuno è stato affermato in questa Assemblea, come una garanzia del giudice, ma a garanzia del cittadino, allo scopo di assicurargli la sicurezza e la imparzialità del giudizio. Allo stesso modo che l’inamovibilità del giudice fa parte di quell’ordinamento giudiziario, in cui si definiscono concretamente le sue condizioni di realizzazione, allo stesso modo, dopo di aver detto che ciascuno di noi ha diritto al giudice naturale precostituito, noi abbiamo facoltà di stabilire qui che in determinati casi abbiamo diritto al giudizio per giuria, sancendo in questo modo uno dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino.
CRISPO. La inamovibilità non è un diritto, è una garanzia.
LACONI. La giuria è un’altra garanzia.
TOGLIATTI. Per questo ritengo che, trattandosi di sancire uno dei principî fondamentali di una Costituzione democratica, non abbia diritto il Comitato dei Diciotto di rivedere una decisione precedentemente presa dalla Commissione dei Settantacinque.
PRESIDENTE. Cominciamo a chiarire di che cosa stiamo parlando e poi, se mai, darò la parola, a chi la chiedesse.
Si desidera sapere se in questo momento riprendiamo la questione, già dibattuta ma che può sempre ancora dibattersi, di quali siano i diritti fondamentali del cittadino. Ma mi pare che questo non sia il tema del titolo IV della seconda parte del progetto di Costituzione. L’onorevole Togliatti ha posto inizialmente ed in via principale la questione dei poteri del Comitato di redazione.
L’onorevole Togliatti ha poi introdotto l’altra questione, che ho ora richiamato, solo per sostanziare la tesi relativa.
Pregherei i colleghi che intendono parlare di non riprendere dunque la questione generale di principio: di quali siano i diritti fondamentali del cittadino.
Circa i poteri del Comitato di redazione, io rammento, e d’altra parte vi sono i verbali che lo attestano, che la Commissione dei Settantacinque gli aveva delegato i propri poteri nello svolgimento dei lavori in seno all’Assemblea, salvo il dovere di convocare la Commissione dei Settantacinque, quando fosse stato necessario per l’importanza delle questioni da esaminare o per altri motivi. Non c’è dubbio che il Comitato di redazione aveva ricevuto una delega in questo senso. Colgo l’occasione per rammaricare che anche nel Comitato di redazione – come purtroppo in tutte le Commissioni – la frequenza dei membri sia stata sempre scarsa, sin dall’inizio, e sia venuta successivamente diminuendo per ragioni perfettamente plausibili, è vero; ma io penso che nessuna ragione può giustificare il fatto di mandare deserte le riunioni delle Commissioni che l’Assemblea Costituente nomina. Nel caso concreto, l’onorevole Ruini ha sostenuto uno degli emendamenti presentati. Ma in generale è sempre avvenuto che il Relatore, o un membro del Comitato, abbia proceduto in questo senso, ed è spesso avvenuto che altri membri dello stesso Comitato di redazione abbiano sostenuto altri emendamenti. È evidente che quando parla il Presidente della Commissione e del Comitato la sua parola ha maggiore importanza, ma il quesito è questo: quale efficacia ha il giudizio terminale del rappresentante del Comitato di redazione per determinare la votazione dell’Assemblea?
Senza dubbio ha una efficacia di carattere morale, ma nulla più di questo. L’Assemblea, udito il Comitato di redazione, ha già parecchie volte votato contro le proposte del rappresentante del Comitato stesso. Io desidererei sapere se l’incidente che è stato sollevato significa invitare il Comitato di redazione a sostenere in sede di Assemblea le conclusioni a cui è giunto dopo l’esame comune degli emendamenti presentati, oppure se si vuole che da oggi innanzi il Comitato di redazione sia impegnato a non pronunciare giudizi sugli emendamenti e a sostenere soltanto la conclusione a cui è giunta la Commissione dei Settantacinque. Occorre scegliere fra una di queste due soluzioni. Non ne vedo una terza.
Comunque, se questa discussione deve continuare, pregherei coloro che l’hanno impostata di dirci quale è la proposta concreta che fanno in relazione al problema che stiamo esaminando.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. A me sembra che non vi possa essere materia di discussione per determinare i poteri del Comitato di redazione. Fu un’intesa generale che si ricorresse al Comitato di redazione per sostituire la Commissione dei Settantacinque durante la discussione del progetto. Come per qualsiasi disegno di legge vi è una Commissione parlamentare che ha un relatore, che ha un presidente, così è avvenuto per il testo di Costituzione, e come nei riguardi di qualsiasi disegno di legge la Commissione ha il compito di esprimere il proprio parere sugli emendamenti, evidentemente lo stesso potere, lo stesso compito, ha il Comitato di redazione nei riguardi degli emendamenti relativi ai vari articoli del testo di Costituzione. Il Comitato di redazione, composto di diciotto membri, sostituisce i Settantacinque. Se i Settantacinque fossero stati molto meno, i Diciotto non sarebbero nati. Avremmo avuto al banco delle consuete Commissioni una Commissione più numerosa per rispondere delle varie proposte di emendamenti.
Non mi sembra, quindi, che vi possa essere materia di discussione su il compito ed i poteri dei Diciotto.
RUBILLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUBILLI. Ho domandato la parola non per moltiplicare la discussione, ma anzi col proposito solamente di abbreviarla, perché vedo che si è insinuata una questione nuova ed estranea all’argomento di cui ora ci occupiamo, nel momento in cui stavamo per decidere. È una questione che non è affatto essenziale per la materia che stiamo trattando ed al punto a cui è giunta la discussione. Ci stiamo dibattendo da un’ora per stabilire in quali limiti debbano essere ristretti i poteri della intera Commissione o del piccolo Comitato. Dopo un lunghissimo dibattito sulla materia in esame, si sono presentati degli emendamenti, stiamo votando; conviene perdere tempo a stabilire se la Commissione abbia o no il diritto o il dovere di esprimere una sua opinione? Ma in fondo, noi siamo arrivati al punto in cui l’Assemblea, che è sovrana, può decidere anche senza il parere della Commissione, e qualunque sia questo parere. Onorevole Togliatti, si tratta di questioni e di diritti di carattere fondamentale oppure di guarentigie secondarie? Non importa. Abbiamo discusso tanto, che ci sentiamo – senza orgoglio e senza superbia – bene in grado di decidere con o senza la guida della Commissione.
Allora, se è così, non perdiamo ancora tempo; prego perciò l’Assemblea perché la sua decisione non sia ritardata. Ognuno si è formata la sua opinione: esprimiamola con un voto che solennemente stabilirà la norma che vogliamo trasformare in legge, senza deviare ancora. Prolungare la discussione sui poteri dei Settantacinque o dei Diciotto, non ci interessa affatto. Decidiamo e votiamo, perché, ripeto, siamo bene in grado di farlo. (Approvazioni).
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Desidero semplicemente chiedere al Presidente della Commissione dei Settantacinque ed al Presidente dell’Assemblea che la discussione e la votazione avvenga sul testo originario della Commissione.
PRESIDENTE. Ciò significa che lei assume come emendamento il testo originario della Commissione.
LACONI. Io chiedo che il testo della Commissione sia sostenuto dal Comitato di redazione e sia a base della nostra discussione.
Vorrei far notare particolarmente a lei, signor Presidente, che la questione del testo della votazione non è una questione puramente morale, come ella ha voluto dire, ma una questione di sostanza. Il testo sul quale l’Assemblea delibera ha una sua coerenza; costituisce la trama di tutti i discorsi, degli interventi, degli emendamenti che vengono svolti in questa Assemblea; costituisce il nesso che conduce l’Assemblea attraverso il dibattito.
Non possiamo ammettere che questo testo in un determinato momento, per opera di prestigio, scompaia. (Commenti).
PICCIONI. È avvenuto sempre.
LACONI. Ma, cari amici della Democrazia cristiana, se siete voi i primi a lamentarvi del Comitato di redazione in privato! Come potete ora fare i difensori di questo Comitato, che ha in voi i più accaniti e solerti oppositori? (Interruzione del deputato Fuschini).
GRONCHI. Non difendiamo nessuno.
LACONI. Non dirò in Aula quello che sento nei corridoi.
Dicevo che il testo originario presentato dalla Commissione costituisce il nesso fondamentale della nostra discussione; e non possiamo consentire che in determinati punti della discussione, ad un certo momento, questo testo scompaia o venga modificato e rinnovato secondo i pareri di tre o quattro persone e secondo un indirizzo costante, che tiene conto unicamente degli emendamenti presentati, e non di quella parte dell’Assemblea che non presenta emendamenti, in quanto desidera sostenere il testo.
Gli emendamenti presentati, nel loro numero non indicano affatto il parere dell’Assemblea. Ci possono essere 50 emendamenti in senso contrario al progetto, ma non significa affatto che questi 50 emendamenti rappresentino il pensiero dell’Assemblea, perché ci possono essere altrettanti o più colleghi che vedono espresso il loro pensiero nel testo della Commissione. Ora, è esatto quello che mi si dice, che l’Assemblea è sempre sovrana e che può sempre decidere; ma il fatto è che qui siamo non in un problema di sostanza, di merito, ma su una questione di procedura; e la procedura deve rispondere a determinate norme logiche. Norma logica è che il testo, che ha una sua continuità e che rappresenta la guida costante dell’Assemblea, sia sempre quello, e che sopra a questo testo l’Assemblea sia invitata a deliberare. Questo noi chiediamo. Trattandosi di un punto fondamentale della Costituzione, noi chiediamo che la votazione avvenga sulla base del testo della Commissione dei Settantacinque. La motivazione formale della nostra proposta, se l’onorevole Presidente dell’Assemblea la desidera, è appunto questa: che, trattandosi di un punto fondamentale della Costituzione, in questo particolare caso, non in altri, il Comitato di redazione non poteva deliberare da sé; esso era impegnato a convocare la Commissione dei Settantacinque. Non essendo questo avvenuto, il testo della Commissione dei Settantacinque deve rimanere come testo base.
PRESIDENTE. Io non so se l’onorevole Laconi, facendo la sua richiesta, si renda conto che, in realtà, egli va contro il proprio desiderio. Perché, quando egli richiede che, come formulazione base, si tenga quella della Commissione, egli deve rendersi conto che è da prevedersi che al voto di essa non giungeremo; perché, prima della formulazione base, bisogna votare tutti gli emendamenti presentati – otto sino a questo momento. È vero questi emendamenti potrebbero cadere tutti fasciando la via aperta al voto del testo base. Ma, siccome dalle parole dell’onorevole Laconi ho avuto l’impressione che egli pensi che invece l’Assemblea debba essere chiamata a votare, cioè a pronunziarsi proprio su quel testo, se accettassimo la sua richiesta, la sua attesa non sarà soddisfatta. Mentre invece se egli accetta – come ho detto all’inizio – di ripresentare quel testo come emendamento, è ben possibile che l’Assemblea sarà chiamata a pronunziarsi anche su quella formulazione.
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Io non entrerò nel merito della questione sostanziale, che ha indotto l’onorevole Togliatti a sollevare la mozione di ordine, sulla quale dirò a suo tempo il nostro punto di vista. Ritengo sia anche opportuno lasciare fuori discussione il modo di funzionamento del Comitato dei Diciotto, che ha avuto alti e bassi, determinati in gran parte dalle assenze cui faceva cenno l’onorevole Presidente dell’Assemblea.
Noi non attribuiamo eccessiva importanza alla questione sollevata dalla mozione d’ordine dell’onorevole Togliatti; ma ci pare sia un dovere di lealtà e di coerenza, ricordare come si è comportata l’Assemblea di fronte alle deliberazioni prese dal Comitato dei Diciotto. Siamo quasi al termine dei nostri lavori e non è la prima volta questa che il Comitato dei Diciotto, abbandonando il testo primitivo del progetto di Costituzione, tenendo conto degli emendamenti presentati, ha, a sua volta, presentato un nuovo testo all’Assemblea.
Io capisco che vi possa essere qualche dubbio intorno alla competenza dei Diciotto a prospettare tesi nuove all’Assemblea, in quanto mi pare che questo punto non sia stato nettamente precisato, quando fu fatta la delega della Commissione dei Settantacinque al Comitato. Questo certo ha tutti i poteri, in ragione della delega, della Commissione dei Settantacinque, che esso può convocare a sua discrezione, quando lo ritenga opportuno. Ma la Commissione dei Settantacinque può modificare, accettando emendamenti, il progetto primitivo? Quando fu fatta la delega al Comitato dei Diciotto infatti, non si è chiaramente enunciato quali erano i poteri della stessa Commissione che venivano trasferiti al Comitato. Di contro a queste incertezze vi è una prassi, seguita per oltre un anno, nei lavori dell’Assemblea: vi sono stati punti fondamentali del progetto di Costituzione, per i quali si è mutato l’indirizzo del progetto e il Comitato dei Diciotto ha presentato un testo nuovo alla Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ha accettato un testo presentato da altri, ma non lo ha mai presentato essa stessa.
RUBILLI. Il Presidente della Commissione ha soltanto dato il parere sugli emendamenti, non ha presentato un nuovo testo. Dov’è infatti questo nuovo testo sul quale dovremmo discutere? Non c’è alcun testo nuovo, vi sono degli emendamenti col relativo parere a norma del Regolamento.
MORO. Sul tema delle Regioni sono state presentate nuove formulazioni, si può dire, per ogni articolo del progetto, e lo stesso è avvenuto per la discussione degli articoli concernenti il Senato.
La prassi del nostro lavoro costituzionale dunque e la logica, anche in mancanza di una espressa disposizione, ci dicono che non vi è nulla di strano nella mutata formulazione in materia di partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia.
Qual è la ragione di questo atteggiamento del Comitato dei Diciotto? Evidentemente è di facilitare e rendere più ordinati e solleciti i lavori dell’Assemblea. Se è vero che ha un valore puramente morale questo intervento del Comitato dei Diciotto, come ha osservato il Presidente, tuttavia questo valore morale non può essere trascurato, perché attraverso l’espressione di questo autorevole parere si cerca di raggiungere l’unanimità o, per lo meno, una larga maggioranza per la decisione che l’Assemblea deve prendere. Quale sarebbe logicamente la funzione di un Comitato che dovesse semplicemente difendere la primitiva formulazione della Commissione dei Settantacinque? In quel caso basterebbe che a quel tavolo sedesse il solo Presidente, il quale ostinatamente richiamasse il testo primitivo del progetto. Mi pare che il Comitato dei Diciotto, servendosi della delega datagli dalla Commissione dei Settantacinque, esplichi una funzione di mediazione fra le primitive opinioni prevalse in seno ai Settantacinque e le voci nuove che giungono dall’Assemblea, attraverso le proposte di emendamento. Il Comitato dei Diciotto cerca, se possibile, di raccordare questa volontà, che presuntivamente esprimeva la volontà dell’Assemblea attraverso la Commissione dei Settantacinque, alle nuove manifestazioni di volontà assembleare che si esprimono con gli emendamenti. In questo caso poi mi pare che non si tratti di un testo nuovo, ma dell’accettazione di emendamenti da parte del Comitato dei Diciotto. Per quella breve esperienza parlamentare che ho, credo che le Commissioni accettino o respingano sempre degli emendamenti. Comunque, per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Laconi, mi sembra di dover sottolineare quanto già è stato osservato dal Presidente, cioè che richiedere che il testo base sia quello primitivo del progetto, significa porlo come ultimo nell’ordine delle votazioni, eludendo così l’esigenza di carattere politico, che mi pare abbia sollecitato le proposte dell’onorevole Laconi e dell’onorevole Togliatti.
MAZZA. Onorevole Presidente, chiedo la chiusura della discussione su questo argomento.
PRESIDENTE. Domando se la richiesta di chiusura è appoggiata.
(È appoggiata).
La pongo in votazione.
(È approvata).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che il Comitato non ha fatto mai nessuna usurpazione di poteri. Ha cercato di fare tutto quello che era possibile per giungere ad una conclusione. Ha fatto sforzi pazienti e faticosi per mettere d’accordo non solo i membri del Comitato stesso, ma anche gli emendatori, e chiamando qualche volta in sedute improvvisate, durante le stesse sedute dell’Assemblea, i rappresentanti dei Gruppi. Io sono perfettamente sicuro che, se siamo arrivati al punto attuale di lavoro nella nostra Assemblea, si deve a questo sforzo del Comitato. Se non si faceva così, la Costituzione non avrebbe fatto un passo in avanti.
Voglio fare soltanto due osservazioni. La prima è che se il Comitato si dovesse limitare a sostenere il testo originario, non dovrebbe parlare mai, perché evidentemente, di fronte a tutte le osservazioni che vengono da tutte le parti dell’Assemblea, non potrebbe altro che dire: il testo è tabù. Non è discutibile, non è modificabile. Tutt’al più una difesa d’ufficio; ma come fare, quando la discussione ha convinto dell’opportunità della modifica, e ciò è avvenuto in alcuni casi da parte di tutti i componenti del Comitato? Il Comitato doveva essere passivo, doveva incrociare le braccia? L’aveste detto qualche mese fa, che riposo sarebbe stato per noi!
All’onorevole Moro io faccio osservare che il Comitato non ha mai proposto testi nuovi. Ad esempio, per la riduzione delle Regioni a quelle storiche, c’erano emendamenti in questo senso. Il Comitato se ne occupò ed all’unanimità decise di dare il suo parere favorevole a quell’emendamento.
Il Comitato non ha mai proposto testi nuovi.
In una discussione come questa, in cui c’è anche l’aspetto tecnico, era necessario dare una traccia all’Assemblea. Non volete che si faccia più così? D’ora in avanti, se volete, per quei pochi articoli che ci restano, noi esprimeremo il nostro avviso come individui ed il Comitato non funzionerà più (Commenti).
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Volevo dichiarare soltanto che la questione che l’onorevole Togliatti prima e quindi io intendevamo sollevare, era una questione di principio. Tuttavia, cedendo all’esigenza di carattere politico, a cui ci ha richiamato e l’onorevole Presidente e l’onorevole Moro, noi accettiamo che a questa particolare discussione sia posta come base per la votazione la nuova proposta della Commissione. E presentiamo il testo originario della Commissione come emendamento.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io devo ancora chiarire all’onorevole Laconi che non c’è nessun testo nuovo del Comitato; esso ha ritenuto che di fronte agli emendamenti ed alla discussione, la sua proposta originaria è superata. Questa è la frase esatta che ho detto. Vi sono varie formule in discussione: quella Targetti, quella Ghidini, quella Cairo e poi la formula Coppi. Noi abbiamo semplicemente espresso il nostro parere. In quanto all’ordine della votazione, non dipende da noi; è stata la Presidenza dell’Assemblea a stabilire che, quando la Commissione esprime parere favorevole ad un emendamento, questo debba essere votato per ultimo, prendendo il posto del testo originario. Se si fosse stabilito che si votasse prima di tutto tale testo non vi sarebbe stato nulla di male.
PRESIDENTE. Passeremo ora alla votazione. Sono stati presentati altri emendamenti che non saranno svolti. Quello dell’onorevole Coppi è già noto. Gli onorevoli Mastino Pietro, Zanardi, Lussu ed altri hanno proposto il seguente emendamento:
«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo alla amministrazione della giustizia».
L’emendamento dell’onorevole Targetti è già noto. Vi è la proposta dell’onorevole Togliatti ed altri di aggiungere all’articolo 96 nel testo del progetto le parole: «ed in ogni caso in tutti i processi di natura politica» così che il testo risulterebbe il seguente:
«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise ed in ogni caso in tutti i processi di natura politica».
Chiedo ora ai presentatori di emendamenti se li conservano.
Non essendo presente l’onorevole Rescigno il suo emendamento s’intende decaduto.
L’onorevole Monticelli mantiene il suo emendamento?
MONTICELLI. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Rossi Paolo, il suo emendamento s’intende decaduto.
Non essendo presente l’onorevole Colitto, il suo emendamento s’intende decaduto.
Onorevole Ruggiero, mantiene il suo emendamento?
RUGGIERO CARLO. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Villabruna, mantiene il suo emendamento?
VILLABRUNA. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?
MASTINO PIETRO. Lo sostituisco con l’emendamento che ho presentato oggi.
PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli, mantiene il suo emendamento?
GABRIELI. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Merlin Umberto, il suo emendamento s’intende decaduto.
Onorevole Scalfaro, mantiene il suo emendamento?
SCALFARO. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Onorevole Castiglia, mantiene il suo emendamento?
CASTIGLIA. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Onorevole Perrone Capano, mantiene il suo emendamento?
PERRONE CAPANO. Lo mantengo.
RESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?
NOBILI TITO ORO. Mi associo all’emendamento dell’onorevole Targetti.
PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Murgia e Colitto, i loro emendamenti s’intendono decaduti.
Onorevole Abozzi, mantiene il suo emendamento?
ABOZZI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Sardiello, s’intende decaduto il suo emendamento.
Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?
ROMANO. Aderisco all’emendamento Coppi.
PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento nella nuova formulazione?
TARGETTI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Cairo, mantiene il suo emendamento?
CAIRO. Ritiro il mio emendamento e mi associo a quello dell’onorevole Mastino Pietro.
PRESIDENTE. Onorevole Ghidini, mantiene il suo emendamento?
GHIDINI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?
PERSICO. Mi associo a quello dell’onorevole Mastino Pietro.
PRESIDENTE. Onorevole Coccia, mantiene il suo emendamento?
COCCIA. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Sapienza, mantiene il suo emendamento?
SAPIENZA. Ritiro il mio emendamento e mi associo a quello dell’onorevole Mastino Pietro.
PRESIDENTE. Onorevole Coppi, mantiene il suo emendamento?
COPPI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Ruini, le chiedo se la Commissione aderisce al criterio della soppressione dell’articolo oppure se accetta la formulazione dell’onorevole Coppi.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Data la posizione che ha assunto il Comitato dichiaro che non vedo difficoltà a che sia adottata la formulazione Coppi o la formulazione Mastino, testé presentata, che soltanto ora ho conosciuta.
PRESIDENTE. Lei si rimette all’Assemblea per la decisione, è naturale ed è obbligatorio; ma desidero sapere da che punto dobbiamo partire.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se lei mi autorizza a parlare personalmente, anche senza avere interpellato i Diciotto o i Settantacinque, dichiaro di aderire alla proposta Mastino Pietro.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il testo base è dunque il seguente:
«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia».
Ora, da tutta la discussione si rileva che il punto centrale delle varie formulazioni è se la legge dovrà regolare i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, o se si debba affermare il principio della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia.
Ora mi pare che l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro si presti ad un equivoco che lo pregherei di chiarire.
MASTINO PIETRO. Con la formulazione da me proposta, affermo anzitutto, in modo positivo, che il popolo deve partecipare all’amministrazione della giustizia, diversamente da quanto è detto nell’ordine del giorno dell’onorevole Targetti, in cui ciò è affermato solo come possibilità. Dico poi che tale partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia deve avvenire in forma diretta.
Perché non parlo di giuria? Non perché voglia rinunziare ad alcuna delle conquiste e ad alcuno dei vantaggi ai quali ha accennato l’onorevole Togliatti e che la decisione del popolo, attraverso la giuria, può aver rappresentato, ma in quanto voglio evitare tutti i possibili inconvenienti che si sono manifestati fin’ora. Io penso cioè che, in sede di legislazione penale e di procedura, possa trovarsi una soluzione diversa dalla tradizionale, che ci consenta di eliminare quegli inconvenienti che la giuria, così come essa era intesa e praticata, rappresentava.
Si è, ad esempio, detto, dall’onorevole Rescigno, che ove si insista sul concetto del mantenimento della giuria, si precluderà necessariamente il diritto all’appello nei giudizi più gravi. Io contesto questa affermazione, perché concepisco un intervento diretto del popolo sotto forma tale che consenta la possibilità dell’appello. Tutto questo potrà essere convenientemente esaminato solo in sede tecnica, perché solo allora il problema potrà essere esaminato sia con maggiore e più profonda valutazione, sia non solo in sé, avulso da tutti gli altri, ma inserito nella valutazione giuridica generale.
TOGLIATTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Desidererei domandare all’onorevole Mastino se egli sia disposto ad accettare che al suo emendamento siano aggiunte le seguenti parole: «Questa partecipazione è obbligatoria nei processi di natura politica».
MASTINO PIETRO. Non ho nulla in contrario, in quanto io sostenni già questa tesi in sede di discussione generale.
TOGLIATTI. In questo caso allora io credo che il nostro Gruppo potrebbe associarsi al suo emendamento.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Noi ritiriamo l’emendamento presentato questa mattina, salvo a vedere se non sia poi il caso di ritirare anche gli altri. Noi avevamo infatti aggiunto la parola «può» con la speranza delusa – son molte le speranze che poi vengono deluse di poter conciliare così diversi pareri. Ma, poiché questa conciliazione non è venuta, non abbiamo alcuna ragione di insistere.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Targetti, ma debbo rivolgerle una preghiera. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Mastino, mi pare – se non ho mal compreso – che il testo dell’onorevole Mastino riassuma, in fondo, tutti i momenti del testo da lei presentato, non solo quello cui poc’anzi ella ha fatto cenno. Io la prego quindi di esaminare l’opportunità di ritirare tutto il suo ordine del giorno.
TARGETTI. Dichiaro allora di far forza al mio affetto paterno e di rinunciare al mio testo per aderire a quello dell’onorevole Mastino, nonostante anche la preferenza letteraria che mantengo per il mio testo.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Targetti.
Abbiamo allora due proposte: quella dell’onorevole Mastino Pietro con l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti e quella dell’onorevole Coppi.
È chiara adesso la distinzione fra questi due testi. Uno di essi afferma senz’altro, costituzionalmente, la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, salvo a rimettere alla legge il regolamento dei casi e dei modi; l’altro, invece, rimette alla legge la facoltà di stabilire se debba sussistere la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.
Pertanto si dovrà votare dapprima il testo dell’onorevole Coppi, il quale è diverso da quello accettato anche dalla Commissione, cioè da quello dell’onorevole Mastino Pietro.
PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERRONE CAPANO. Chiediamo la votazione per appello nominale sul testo proposto dall’onorevole Coppi. (Commenti a sinistra).
CRISPO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CRISPO. Vorrei pregare l’onorevole Togliatti di dirmi se accetta un emendamento al suo emendamento, nel senso che laddove è detto «è obbligatoria nei processi di natura politica», si dica: «nei processi per delitti politici».
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Togliatti se accetta.
TOGLIATTI. Accetto, purché al posto di «delitti» si dica «reati».
PRESIDENTE. Sta bene. Comunico che sul testo Coppi è stata chiesta la votazione nominale dagli onorevoli Perrone Capano, Leone Giovanni, Castiglia, Scalfaro, Crispo, Titomanlio Vittoria, Mazza, Abozzi, Benvenuti, Arcaini, Zerbi, Federici Maria, De Unterrichter Maria, Cifaldi e Dominedò.
Ritengo che data l’ora tarda potremmo rinviare questa votazione nominale.
GASPAROTTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GASPAROTTO. Faccio la proposta formale per il rinvio della discussione alla seduta pomeridiana o addirittura a domani.
PRESIDENTE. Ritengo che la votazione nominale si debba fare nella seduta pomeridiana e, se non sorgono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
La seduta termina alle 13.20.