Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Disegni di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

Presidente

Perassi

Sforza, Ministro degli affari esteri

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1917. (43).

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Bonomi, Presidente della Commissione per i trattati internazionali

Treves, Relatore

Corbino

Disegni di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Disegno di legge (Discussione):

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Presidente

Benedettini

Russo Perez

Condorelli

Scalfaro

Crispo

Marchesi

Conti

Nitti

Bettiol, Relatore

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Moro

Lucifero

Colitto

Castiglia

Coppa

Maffioli

Chiostergi

Geuna

Votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Arcaini, Vanoni e Bergamini.

(Sono concessi).

Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

Dichiaro aperta la discussione generale. È iscritto a parlare l’onorevole Perassi. Ne ha facoltà.

PERASSI. La relazione del Ministro degli esteri, precedente il disegno di legge, e quella dell’onorevole Treves, a nome della Commissione dei Trattati, hanno messo in evidenza il significato e l’interesse di questo Trattato fra la Repubblica Italiana e il nuovo Stato indipendente, la Repubblica delle Filippine. Credo che l’Assemblea Costituente sarà unanime nel salutare con simpatia questo primo atto con il quale le due Repubbliche entrano in rapporti di amicizia e di collaborazione.

Per quanto concerne il contenuto del Trattato, nelle Relazioni è posta in evidenza la portata dei singoli articoli. Il Trattato si può definire un primo atto di avviamento delle relazioni fra i due Paesi, e presenta notevole interesse. Anzitutto, per quanto concerne le relazioni diplomatiche e consolari, vi si afferma il principio del «trattamento della nazione più favorita», e lo si afferma in maniera assoluta, il che significa che, per quanto concerne le funzioni, i diritti ed i privilegi consolari nella Repubblica delle Filippine, l’Italia godrà del trattamento che è riservato alla Nazione più favorita, quale che questa sia. Un altro articolo, mentre prevede la negoziazione di un trattato di amicizia e di commercio, stabilisce fin da ora alcuni principî fondamentali, soprattutto per quanto riguarda il diritto di acquistare, possedere e disporre di qualunque genere di beni e di esercitare il commercio e l’industria.

Vorrei, per integrare la sobria e precisa relazione della Commissione parlamentare, sottolineare l’importanza dell’articolo 5 del Trattato. In esso si stabilisce che per qualunque controversia che potesse sorgere fra i due Stati, e che non sia risolta secondo le normali vie diplomatiche, le Alte Parti contraenti convengono di riconoscere come obbligatoria, ipso facto e senza una speciale convenzione, la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, in conformità dell’articolo 36, paragrafo 2, dello Statuto della Corte. Si noti l’espressione: «qualunque controversia». Ciò significa che l’impegno reciproco stabilito da questa disposizione riguarda qualunque contestazione che possa sorgere fra i due Stati in rapporto al diritto internazionale, sia convenzionale, sia generale. Non si tratta quindi della solita clausola compromissoria che contempla soltanto le controversie relative al trattato in cui è inserita. È invece una clausola che, nei rapporti fra i due Stati, stabilisce obbligatoriamente la competenza generale della Corte di giustizia internazionale.

Sotto questo riguardo l’articolo 5 merita di essere rilevato, perché fa sì che i diritti internazionali di ciascuno dei due Paesi verso l’altro sono assistiti dalla garanzia giurisdizionale del giudizio avanti alla Corte, che può essere promosso su istanza unilaterale di una delle parti.

Ho detto che notevole è questo articolo perché esso viene a stabilire, fra l’Italia e le Filippine, un regime di garanzia giurisdizionale che va anche al di là, sotto certi aspetti, di quello che fra i membri delle Nazioni Unite deriva dalla Carta di San Francisco.

Anche per questa considerazione, noi salutiamo con compiacimento questo atto internazionale, che l’Assemblea Costituente certamente vorrà approvare.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Nel chiedere all’Assemblea l’approvazione del Trattato fra noi e le Filippine, io intendevo sottolineare, in aggiunta all’ottima relazione del collega Treves, alcuni punti che fanno di questo Trattato un elemento di valore, anche come precedente da usarsi. Ma l’onorevole Perassi ha detto ciò che io intendevo dire, e con molto maggiore autorità scientifica che io non possieda. Mi riferisco quindi al suo breve discorso, al quale mi associo completamente. Aggiungerò solo, a prova del desiderio di cementare antiche amicizie che si verifica ora verso la Repubblica italiana da ogni parte del mondo, che questo Trattato si è concluso l’estate scorsa a Roma essendo lo stesso Vicepresidente della Repubblica delle Filippine venuto a Roma a questo scopo, e proprio per dare prova del desiderio profondo della Repubblica delle Filippine di stringere intimi legami economici e culturali con l’Italia. Confido quindi che il voto dell’Assemblea sarà unanime.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data al Trattato di amicizia e relazioni generali concluso a Roma il 9 luglio 1947 tra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione. (È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore conformemente all’articolo 6 del Trattato suddetto».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Il disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta pomeridiana.

Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi iscritti e nessuno chiedendo di parlare, la dichiaro chiusa.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Circa il Trattato da noi concluso con la Repubblica di Cuba, credo che sia dovere mio di sottoporre all’Assemblea alcune considerazioni, che fanno comprendere il suo alto valore politico. Il coraggio, la dignità ed il senso di profonda democrazia di un popolo non si misurano dalla estensione del territorio, ed io credo che noi italiani dobbiamo esprimere la più profonda riconoscenza alla Repubblica di Cuba, per questo Trattato, per le ragioni che sto per esporvi, come ha detto giustamente nella sua relazione l’onorevole Treves, la Repubblica di Cuba avrebbe potuto valersi dell’articolo 88 del Trattato di Pace e aderire al Trattato di Pace nelle forme che ad essa convenivano: invece la Repubblica di Cuba rifiutò di fare la pace sulla base del Trattato di Parigi, adducendo che non voleva aggiungere il suo nome ad un Trattato macchiato di tanti errori e lacune e volle quindi avere un Trattato speciale creato fra noi ed essa. Ma vi è di più: la Repubblica di Cuba dichiarò che con la firma del Trattato essa rinunciava completamente e senza nessuna eccezione a chiedere mai alcuna indennità per danni di guerra all’Italia. Più ancora: la Repubblica di Cuba (questo non è nel Trattato, ma indica la nobiltà dell’atteggiamento di quel popolo), appena cessarono le ostilità, fu il primo Paese del mondo a sbloccare completamente tutti gli importanti beni italiani dell’isola ed a lasciarli in mano dei loro legittimi proprietari, nostri compatrioti.

Queste sono cose che noi non dobbiamo dimenticare, appunto perché vengono da un piccolo Paese. Se noi esprimessimo la nostra riconoscenza soltanto ai grandi faremmo una opera di utilitarismo che sarebbe indegna di noi, ed è per questo che mentre vi ho parlato finora come rappresentante del Governo vorrei, se mi è lecito, aggiungere una parola come deputato: io ritengo, dati i sentimenti di profonda simpatia e solidarietà che esistono da parte della Repubblica di Cuba verso l’Italia e dato che vi è in Cuba una maturità democratica molto grande, ritengo, dico, che la Repubblica di Cuba sarebbe infinitamente più sensibile, piuttosto che ad un messaggio da parte del Governo, di avere un messaggio da parte dell’Assemblea costituente, più diretta espressione del popolo italiano. E, se l’Assemblea costituente si associa a questa mia richiesta, potremmo pregare il nostro Presidente di farsi interprete all’Avana dei sentimenti di profonda simpatia e di alto apprezzamento con cui abbiamo oggi votato questa legge. (Vivi applausi).

BONOMI, Presidente della Commissione per i trattati internazionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI, Presidente della Commissione per i trattati internazionali. La Commissione si associa alle parole dell’onorevole Ministro degli esteri; fa rilevare l’importanza di questo atto, e si associa nel chiedere che il Presidente dell’Assemblea costituente mandi la espressione dei suoi sentimenti alla Repubblica di Cuba.

TREVES, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Relatore. Concordo perfettamente con quello che è stato detto e rilevo, ad onore della Repubblica di Cuba, l’articolo 4 della stipulazione, che modifica, a nostro vantaggio, il disposto del Trattato di Parigi, per cui la Repubblica di Cuba rinuncia a dar valere la disposizione, a suo favore, di denunciare, unilateralmente, il trattato bilaterale tra noi e la Repubblica medesima; ragione di più questa perché io mi associ alle parole dell’onorevole Ministro degli esteri.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero far mia la proposta del Ministro degli esteri, affinché parta dai banchi dell’Assemblea la preghiera al Presidente di rendersi interprete dei nostri sentimenti verso la Repubblica di Cuba.

PRESIDENTE. Sta bene. Chiedo all’Assemblea se è concorde con la proposta del Ministro degli esteri, fatta propria dall’onorevole Corbino, di manifestare alla Repubblica di Cuba il nostro riconoscimento e l’amicizia che l’Italia nutre verso un piccolo popolo che ha dato la dimostrazione di come debbano essere organizzati i rapporti fra popoli desiderosi di pace.

(È approvata).

Passiamo all’approvazione dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data al Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba firmato all’Avana il 30 giugno 1947.

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore conformemente all’articolo 5 del suddetto Trattato».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta pomeridiana.

Presentazione di disegni di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare i seguenti disegni di legge:

«Approvazione dell’Accordo concluso nel Palazzo apostolico vaticano fra la Santa Sede e l’Italia il 31 marzo 1947 per una delimitazione di alcune zone extra territoriali nelle adiacenze della Città del Vaticano»;

«Approvazione dell’Accordo concluso a Roma, fra l’Italia e la Francia, il 21 marzo 1947, in materia di emigrazione»;

«Approvazione degli Accordi di carattere economico stipulati in Roma, fra l’Italia e la Norvegia, il 20 luglio 1946»;

«Approvazione degli Atti internazionali conclusi a Neuchâtel l’8 febbraio 1947, per la conservazione e la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale».

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro degli affari esteri della presentazione di questi disegni di legge, che saranno inviati alla Commissione competente.

Discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare l’onorevole Benedettini. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Onorevoli colleghi! Dichiaro subito che voterò contro questo disegno di legge, che fissa le norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico.

Voterò contro perché ogni regime che, per difendersi e consolidarsi, sente il bisogno di ricorrere a leggi eccezionali, mostra, per queste stesse leggi, di non essere un regime democratico.

La mia prima opposizione, perciò, è anzitutto una opposizione di principio. A che cosa mirano le leggi eccezionali per la difesa ed il consolidamento della Repubblica? A punire certi reati già contemplati nei codici di ogni nazione civile, quali i complotti contro lo Stato, la costituzione di bande armate, la violenza contro cittadini per impedir loro il libero esercizio dei diritti civili e politici.

Ora, io chiedo al Presidente del Consiglio dei Ministri che, di concerto con tutti i Ministri in carica al 17 marzo 1947, presentò questo disegno di legge, chiedo ai membri della Commissione, che vi hanno apportato gli emendamenti, e chiedo agli onorevoli colleghi di questa Assemblea, se esistano in questa Repubblica un Codice civile e un Codice penale e se vi siano contemplati i reati che le leggi eccezionali per la difesa ed il consolidamento della Repubblica intendono colpire. E allora, se vi sono già contemplati, quale bisogno c’è di emanare leggi eccezionali? Non è forse in grado questa Repubblica di far applicare i nostri Codici?

A questi interrogativi, non io soltanto come membro della Costituente e come monarchico, ma tutto il popolo italiano – quello che votò per la Repubblica e quello che votò per la monarchia – attende una risposta chiara, precisa, di facile ed universale comprensione. Ma io sono certo che tale risposta non potrà venire, né da coloro che questo disegno di legge proposero, né da altri. Non potrà venire, perché il disegno in questione contrasta con i principî di uno Stato democratico.

Come monarchico, se io volessi seguire una politica machiavellistica, potrei e dovrei consolarmi delle leggi eccezionali della Repubblica. Dovrei consolarmene, perché la storia universale e l’esperienza quotidiana insegnano che tutti i regimi, i quali per reggersi, per consolidarsi, per difendersi, hanno bisogno di leggi e di tribunali speciali, tutti quei regimi barcollano e non durano. Quando un regime ha bisogno per sostenersi di leggi eccezionali, vuol dire che non ha il favore popolare, vuol dire che non si basa sulla volontà, sul consenso del popolo.

Questo insegna la storia antica e moderna e questo apprendiamo dalla nostra esperienza contemporanea. Ebbene, se la Repubblica uscita dal dubbio referendum del 2 giugno sente la necessità di queste leggi, le emani pure, le proclami e le sanzioni: noi abbiamo espresso il nostro punto di vista, ma, con noi, la maggioranza degli italiani, degli stranieri e dei reggitori di altri Stati trarranno la conseguenza che questa Repubblica non è né democratica né liberale.

E veniamo a considerare il modo con cui il disegno di legge è congegnato. Quando si parla, nell’articolo 1, di finalità e metodi propri del disciolto partito fascista, non si fa se non creare confusione. Poiché infatti il disegno di legge non definisce le finalità del disciolto partito fascista, ne consegue che l’applicazione di questo articolo diventa arbitraria.

Nella sua relazione, la Commissione afferma che è cosa assai difficile circoscrivere o definire l’attività fascista o neofascista, come in genere è difficile in campo giuridico pervenire ad una definizione. In una legge, però, non si tratta di fare opera scientifica, ma di arrivare ad una esigenza pratica. E poiché – prosegue la relazione – abbiamo già l’articolo 17 del Trattato di pace, per il quale le organizzazioni fasciste o di tale natura sarebbero – notate bene – quelle aventi carattere politico-militare o paramilitare, il cui fine è quello di privare il popolo dei suoi diritti democratici, e poiché l’esperienza fascista in Italia ha reso possibile individuare le note fondamentali del totalitarismo, si possono considerare come tipici di un movimento, di un partito fascista o neofascista precisa – la relazione dell’onorevole Bettiol – i seguenti punti:

  1. a) i caratteri militari o paramilitari dell’organizzazione interna;
  2. b) i mezzi, che debbono essere quelli che il metodo democratico scarta: vale a dire la minaccia e la violenza. Notate bene: la minaccia e la violenza;

c)i possibili risultati, vale a dire la negazione delle libertà democratiche e nazionali.

Veniamo allora all’essenziale e parliamo chiaramente: quello che noi democratici vogliamo impedire è la costituzione di partiti e movimenti che mirino a sopprimere le libertà democratiche, che mirino ad instaurare un regime totalitario e dittatoriale basato sul partito unico, come furono il fascismo e il nazismo e come è il bolscevismo. E allora, per coerenza, per logica, per proprietà e per dimostrare che non si ha paura né delle parole né degli atti, o si dice esplicitamente, nell’articolo 1, che si è contrari al sorgere di partiti e di movimenti che abbiano finalità dittatoriali e totalitarie, o, se si cita il fascismo, si citi accanto ad esso, per chiarezza, anche il nazismo e il bolscevismo.

Così, nell’articolo 2 si prescrive la pena per chi promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione monarchica con mezzi violenti.

Ebbene, a parte il fatto che nessuno mai sarà così ingenuo da mettere nelle finalità di un partito il ricorso ai mezzi violenti, che sono proprio quelli che noi monarchici deprechiamo in tutti i modi e combattiamo contro chicchessia, è chiaro, data la precisazione di questo articolo, che solo nel caso in cui si voglia restaurare con la violenza l’istituto monarchico sono previste pene, ma pene non vi sarebbero se si volesse instaurare con mezzi violenti – per esempio – una Repubblica di tipo sovietico.

È dunque chiaro, come ho già detto, che l’aver voluto formulare questo disegno di legge, avendo nella mente l’idea ossessionante della monarchia e della sua restaurazione con mezzi violenti, ha avuto il solo effetto di mettere fuori legge la restaurazione violenta dell’istituto monarchico e non l’instaurazione violenta d’una Repubblica totalitaria e dittatoriale. Il che mostra come la soppressione di questo articolo sia necessaria o per lo meno ne sia necessario il completamento con la estensione del provvedimento agli altri casi di cui ho fatto cenno. Tanto più che la realtà di questi ultimi anni ci dice che il pericolo di bande armate, di sommosse contro lo Stato, non viene già dai monarchici, ma – e dovete darmene atto – da altri partiti estremisti di ben differente ideologia.

Some monarchici, poi, e come democratici, questo articolo doppiamente ci offende, e offende con noi la realtà e il buon senso, giacché è incomprensibile nei tempi attuali restaurare con la violenza l’istituto monarchico. Le monarchie moderne, le monarchie costituzionali, non possono reggersi che nella volontà del popolo.

La monarchia che noi sogniamo non può tornare che per volontà del popolo, con un nuovo referendum, e la legge che mira a colpire coloro che vorrebbero restaurare con la violenza l’istituto monarchico è non solo anacronistica, ma confonde il Re costituzionale con il Presidente dittatoriale.

Onorevoli colleghi, il mondo sta dinanzi a voi per dimostrarvi che oggi non esistono monarchie assolute, ma esistono molte repubbliche dittatoriali, totalitarie, tiranniche. Ecco perché l’articolo 2 di questo disegno di legge è fuori della realtà politica contemporanea! Perciò io dico che queste leggi eccezionali sono pericolose e dannose, oltre che antidemocratiche.

Perciò io ritengo necessario bocciarle.

Ma se la maggioranza della Costituente, per iattura del nostro Paese, dovesse tener molto a varare queste leggi, e allora si impone che non si parli di fascismo o di monarchia, ma, come si è detto, di regimi dittatoriali, di Stati totalitari, di partiti unici, di bande armate, di ricorso alla violenza.

Onorevoli colleghi di destra, di centro e di centro-sinistra, onorevoli colleghi democristiani, a voi particolarmente io mi rivolgo, e vi invito a ricordare che questo disegno di legge fu presentato, sì, dal Presidente del Consiglio nella seduta del 17 marzo 1947, ma fu presentato da quel Governo che passerà alla storia parlamentare italiana come Governo del Tripartito. Nessuno di voi può dimenticare che lo stesso onorevole De Gasperi dichiarò che per la Democrazia cristiana il Tripartito era una coabitazione forzata; e proprio per gli impegni, gli accordi, i compromessi nascenti da quella coabitazione, la Democrazia cristiana dové sottostare a richieste che rivelavano non certamente uno spirito libero, democratico, nutrito di comprensione e di pacificazione.

Nessuno può dimenticare che noi monarchici, e con noi i liberali e i qualunquisti, demmo l’appoggio al nuovo Governo De Gasperi, senza nulla chiedere, senza barattare quello appoggio, animati solo da un desiderio: far sì che il Governo democristiano fosse rappresentato dalla vera maggioranza dell’Assemblea, da quella stragrande maggioranza che per fede tradizionale e convincimento è antibolscevica e anti-comunista. Voi tutti ricordate che io personalmente, e con me colleghi di altri partiti, ponemmo come condizione di questo appoggio l’abolizione delle leggi eccezionali, una politica di pacificazione, provvedimenti economici e sociali per andare incontro alle disagiate e difficili e tristi condizioni dei lavoratori.

Questo non può essere dimenticato dai colleghi democristiani, i quali devono con me convenire che nell’attuale momento questo disegno di legge è sfasato, anacronistico, perché non risponde né alle necessità dei tempi, né al mutato clima morale e politico del Paese. Né i colleghi democristiani possono dimenticare ciò che l’onorevole De Gasperi ha detto appena ieri l’altro, nel suo discorso a Napoli, sulla condanna della violenza da qualunque parte essa venga, e sulla necessità di impedire questa violenza, alla quale troppo spesso si ricorre, da parte di ben precisati partiti estremisti, per imporre o tentare di imporre, a mezzo dell’azione diretta, affermazioni antidemocratiche.

E per tale difesa delle libertà democratiche contro la violenza, di qualunque colore essa sia, basta l’applicazione degli articoli del Codice penale, se necessario, convenientemente adeguati; non occorrono leggi eccezionali. Nell’attuale momento la responsabilità di queste leggi eccezionali cadrebbe, non su quel Tripartito che le propose nel marzo 1947, ma tutta, sola e interamente sulla Democrazia cristiana.

Vuole la Democrazia cristiana assumersi totalmente questa responsabilità di fronte al Paese? Ecco l’altra domanda che io pongo a voi, onorevoli colleghi democristiani. A tale domanda dovete rispondere con la vostra coscienza, con la libera discussione, col vostro voto sul disegno di legge in esame: e m’auguro che la vostra coscienza vi suggerisca di respingere tale disegno, che, a parte l’anacronismo della sua compilazione, costituisce una violazione e un avvilimento di quella sacrosanta concezione del diritto, che è stata, e speriamo sarà ancora, una delle nostre glorie maggiori.

E pertanto prego l’onorevole Presidente di porre ai voti dell’Assemblea Costituente il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo e la relazione della Sottocommissione;

considerato che tale disegno di legge non risponde né alla necessità dei tempi né al mutato clima morale e politico del Paese;

affermato che per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del «Trattato di pace» basta il Codice penale ordinario e non occorrono leggi eccezionali;

respinge il disegno di legge e passa all’ordine del giorno». (Approvazioni a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi associo alle parole dell’onorevole Benedettini e chiedo che l’Assemblea respinga questo disegno di legge. Farò un breve discorso per richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi, e, soprattutto, di quelli appartenenti alla Democrazia cristiana, su certi atteggiamenti del Governo che, secondo me, sono in stridente contrasto con i presupposti di fatto, con i presupposti politici da cui è nato questo Governo, questa formazione governativa; sono in aperto contrasto con quella finalità per cui tutti diciamo di lavorare e che tutti affermiamo di voler raggiungere la pacificazione, cioè, del popolo italiano; e sono anche in netto contrasto, come ricordava l’amico Benedettini, con recentissime manifestazioni verbali del Presidente del Consiglio.

Onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, noi non potremmo seguirvi per codesta strada.

Guardate: ci sono state parecchie leggi recenti, approvate dal Consiglio dei Ministri con la procedura del decreto legislativo o fatte approvare dall’Assemblea Costituente, il cui spirito non possiamo condividere. Per esempio, la proroga della legge sul confino di polizia, quella legge per cui il giudice giusto può colpire anche l’amico che pecca, ma il giudice ingiusto può colpire il nemico che gli dia ombra; le leggi sull’epurazione, alla quale sembrava si volesse dar fine, mentre sembra che, in uno o in altro modo, l’epurazione continuerà. Abbiamo appreso, difatti, che, secondo il provvedimento recentemente proposto dal Ministro Grassi, di quelle migliaia di ricorsi che pendono dinanzi al Consiglio di Stato la più gran parte non sarà più discussa, cioè i ricorsi che riguardano i funzionari dei gradi inferiori al 6°. Ma, in coda alla stessa legge, in cauda venenum, vi è una disposizione per cui le Amministrazioni possono gettare nuovamente sul lastrico gli impiegati. Debbo ricordare ancora la legge sul Senato, recentissima, che è una legge cattiva. È cattiva non nel senso giuridico; una legge può essere cattiva in senso giuridico quando è male congegnata, quando non è chiara, quando non può raggiungere le finalità che si propone. Questa legge sull’abolizione del Senato è cattiva nel senso morale, nel senso sentimentale, perché manca di carità cristiana verso quei cittadini che per la maggior parte hanno passato l’intera vita degnamente a servizio dello Stato, che vivevano per andare a palazzo Madama ogni giorno, frequentandolo come casa propria, e che adesso vengono allontanati da quel luogo a loro tanto caro.

Voi sapete che il Senato del Regno (adesso ci sarà il Senato della Repubblica) non ha mai duramente pesato sulla politica italiana. Non si ricorda un Governo che sia stato rovesciato da un voto del Senato. Ebbene, pensare che quella gente abbia proprio contribuito con atti rilevanti a mantenere in vita il regime più di tanta altra gente che onoratamente siede in questa Assemblea, è ingiusto ed è assurdo. Non dico ciò per affermare che sono spregevoli questi cittadini cui alludo, che siedono in questa Assemblea; voglio dire che sono stimabili anche quelli che sedevano in quell’altra Assemblea. Ed è necessario, proprio nel momento in cui accade quel che accade oggi in Italia (parlerò sempre con un vigile senso di misura, perché è la materia stessa che l’impone), presentare questa legge, che sarebbe stata forse a proposito al tempo del tripartito, ma che non lo è più ora?

Noi dovremo avere su questo punto delle spiegazioni. È stato il Presidente del Consiglio a volere che questa legge fosse portata alla discussione dell’Assemblea o è stato il Presidente dell’Assemblea Costituente che ha creduto opportuno di metterla all’ordine del giorno? Se fosse stato il Presidente del Consiglio, noi ci dorremmo di ciò. E non capisco che cosa può aver agito in voi: forse il subcosciente, che vi ha ravvivato il ricordo del tripartito, oppure la volontà di offrire qualche cosa agli amici di quella sponda? Ma ricordatevi che quel vantaggio che avete ripreso nel Paese (e il segno fu dato dalle elezioni amministrative di Roma) è stato appunto la conseguenza di atteggiamenti in contrasto nettissimo col principio animatore di questa legge. Io desidero ricordare che l’onorevole Conti, una diecina di giorni or sono, disse che voleva «affogare» (usò proprio questo termine) l’amico Condorelli con argomenti a favore della Repubblica, quella Repubblica, che bisogna difendere sempre e a qualunque costo, come spiritosamente dice «Candido». Io dico che egli potrà soffocare l’onorevole Condorelli, potrà soffocare me, può soffocare tutti noi, ma non potrà mai dimostrare che un regime che si difende con leggi eccezionali sia un regime che sappia di appoggiarsi alla volontà popolare.

Ma, intendiamoci, noi non ci opponiamo all’approvazione di questa legge perché nell’animo nostro, anche inconfessato, possa esserci il desiderio che si debbano perdonare eventuali crimini passati o si debba indulgere ai crimini che possano essere ancora commessi. La ragione per cui noi ci opponiamo è perché vogliamo che la Repubblica e la Democrazia si difendano applicando le leggi normali, ad opera di magistrati ordinari, sempre ed in ogni occasione, e perché, come ha accennato l’amico Benedettini, e come meglio specificherò io, tutte le forme di reato che in questa materia possono essere configurate, anche le più rare ad accadere, sono tutte represse da nostro Codice penale. Io ricordo che alcune settimane fa, l’onorevole Togliatti diceva che occorre reprimere le devastazioni, gli incendi, gli attentati alle persone fisiche; e fece un certo elenco. Ebbene, quell’elenco è incompleto; non solo tutti i fatti criminosi a cui egli si riferiva sono configurati nel nostro Codice penale, ma molti altri che egli non ricordò. Datemene atto, onorevoli colleghi dell’Assemblea. Attentato alla Costituzione dello Stato (articolo 283 del Codice penale): quando un gruppo di cittadini, che possono essere costituiti in partiti, in associazione, commettano un attentato alla sicurezza dello Stato, ognuno di essi può essere punito con l’ergastolo, senza ricorrere alle leggi speciali. Articolo 284, insurrezione armata: se poi codesti elementi, che possono essere quelli a cui voi vi riferite con questa legge e possono essere altri, pensano di insorgere con le armi alla mano, sapete qual è la pena che si può applicare a costoro? È la pena di morte. Credo che più in là non si possa andare.

Articolo 285: devastazioni, staccheggi, stragi. Anche questi reati sono puniti con la pena di morte.

Poi vi è finalmente la grande famiglia di reati che più interessa noi, la democrazia, la Repubblica, cioè i delitti contro i diritti politici dei cittadini. È proprio il nostro tema. Dice l’articolo 294 che chiunque, con violenze o minaccia, o anche con inganno, impedisce l’esercizio di un diritto politico è punito con la reclusione fino a 5 anni. Inasprite questa sanzione, se a voi piace. A noi farebbe certamente molto piacere, perché sappiamo che non si applicherà mai a noi. Colleghi dell’altra sponda, se un giorno la legge comune esistente dovesse essere applicata imparzialmente ma severamente, nessuno potrebbe risparmiare a molti di coloro che adesso premono per l’approvazione della legge speciale, quel carcere, nel quale essi vorrebbero rinchiudere pretesi neo-fascisti e monarchici legittimisti. E certamente ci andrebbero i colpevoli e gli ispiratori delle odierne devastazioni, delle aggressioni, dei linciaggi, della distruzione delle tipografie di Taranto e della tipografia in cui si stampava, a Milano, il Mattino d’Italia.

Dall’articolo 303 del Codice penale è perfino repressa una forma di attività criminosa, che forse qualcuno di voi credeva che fosse sfuggita al legislatore ordinario: l’apologia di reato.

Articolo 304: cospirazione politica. Per la cospirazione politica mediante accordo vi è la reclusione da uno a sei anni. Ma se poi i colpevoli si sono uniti in una vera e propria associazione (e voi sapete bene che i partiti politici non sono che associazioni), la pena è più severa e va da cinque a dodici anni; e se pensano di costituirsi in bande armate, l’articolo 306 stabilisce una pena che va fino ai 15 anni.

Vi sono poi i reati contro l’incolumità pubblica. L’articolo 423 prevede il reato d’incendio, che viene punito con la reclusione da due a sette anni.

Poi vi è la grande famiglia dei delitti contro le persone: la lesione, la lesione aggravata, l’omicidio, l’omicidio premeditato.

Dunque, amici, io devo pensare che a coloro che hanno presentato questo disegno di legge, a coloro cui sarebbe cara l’approvazione di questo disegno di legge, non giova che sia repressa ogni forma di attività politica criminosa, ma che sia incriminata codesta attività soltanto se i rei appartengano a partiti avversi al loro. E noi non possiamo condividere tale stranissima opinione, tale assurdo principio. Onorevoli colleghi, non ci sarebbe bisogno di leggi repressive, né ordinarie né eccezionali, se tutti si affidassero per la diffusione delle loro idee alla onesta propaganda, come noi abbiamo sempre fatto, noi che siamo considerati uomini di destra, reazionari, nonostante che non si sia avverato un solo caso di distruzioni di sedi di partiti avversi commesse da iscritti al nostro partito o al partito monarchico…

BUBBIO. …e della Democrazia cristiana.

RUSSO PEREZ. Adesso sì: anche qualche vostra sede è stata distrutta. Adesso anche+ voi siete chiamati fascisti. Noi abbiamo avute devastate tante sedi, ma non c’è nessuno dell’altra sponda che possa affermare che da parte nostra ci sia stato un solo tentativo di distruzione!

Una voce all’estrema sinistra. E le bombe che sono state messe a Perugia?

RUSSO PEREZ. Le bombe; torniamo a quel tema, sul quale l’onorevole Scelba fece delle dichiarazioni che non vi piacquero.

Come spiegate voi che le bombe esplodano sempre al secondo piano e sempre in un momento in cui non c’è nessuno? Sono veramente bombe addomesticate. E se c’è gente tanto ardita, tanto coraggiosa, tanto fanatica che pensa di venire a mettere le bombe nelle sedi del Partito comunista, come mai questa gente non ha il coraggio di scendere in piazza ad affrontarvi avviso aperto e ad attaccarvi anche nelle vostre sedi?

MINIO. Lo fareste più in là, se lasciassimo correre. Quando assassinate i nostri colleghi sindacali uno ad uno, forse non scendete in piazza? Noi aspetteremmo con le armi imbracciate.

RUSSO PEREZ. Voi mi aspettate in quella posizione; ma in quella posizione io mi metto soltanto quando vado al tiro al piccione; e adesso mi fanno pena anche i piccioni.

MINIO. I dirigenti sindacali chi li ammazza?

RUSSO PEREZ. Io ho finito; mi riservo di parlare sugli emendamenti che ho proposti, nel caso che il disegno di legge venga approvato.

Per concludere, voglio dire, che voi combattete contro quello che io una volta chiamai il fantoccio di Pierino, contro il fantasma del neo-fascismo. Ma, in confronto al fantasma del neo-fascismo, vi è una realtà fascista, quella che insanguina oggi le piazze d’Italia e che turba ed impedisce la ricostruzione dell’Italia. L’Italia attualmente è come quel tale ammalato cui il medico prescrive ghiaccio ed immobilità. Voi date a quell’ammalato scossoni continui e se il medico e l’infermiere intervengono a protestare, voi dite che essi sono fascisti. Questa è la verità.

Quindi, legge repressiva dell’attività totalitaria per tutti o per nessuno.

Voi parlate sempre di reazione; la reazione implica un’azione. Vi dissi una volta: siate più cauti nella vostra azione, attenetevi della legge, fate la vostra propaganda dei limiti della legge; e naturalmente non sorgerà la reazione. (Interruzioni all’estrema sinistra).

I fascisti più numerosi sapete chi sono? Quelli che non lo furono mai e lo sono diventati oggi per reazione a questa forma pericolosa di fascismo, che è il vostro antifascismo professionale. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Condorelli. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, l’articolo 17 del documento firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 fa obbligo all’Italia di impedire la ricostituzione del partito fascista e di movimenti simili, che definisce nei tratti fondamentali.

Noi abbiamo l’obbligo internazionale, quale che sia stata la nostra posizione di fronte al cosiddetto Trattato di pace, di dare esecuzione a questo articolo 17. Ed all’obbligo internazionale si aggiunge l’obbligo, che abbiamo verso noi stessi, di difendere contro questi movimenti, attuali o possibili, la democrazia, che noi fermamente vogliamo.

Il Governo ha presentato un progetto con il quale si punisce la ricostituzione del partito fascista. La Commissione, secondo me molto più opportunamente, visto che nessun partito commetterà l’errore, pur essendo fascista, di chiamarsi tale, si è accinta ad un’opera attenta e lodevole, per definire che cosa sia il fascismo, e servendosi sostanzialmente dello stesso articolo 17 del Trattato di Pace, ha segnato così i caratteri fondamentali del fascismo: carattere militare o paramilitare dell’organizzazione; mezzi: la esaltazione o l’uso della violenza, fisica o morale, cioè o della violenza coercitiva o delle minacce; infine le finalità: soppressione od attentato alle libertà democratiche. Così facendo il nostro legislatore delinea un’entità delittuosa, che non è tale per arbitrio del legislatore, ma che è tale per esigenza logica di concetto in ogni regime democratico, che deve bandire necessariamente la violenza antilegalitaria, la violenza diretta ad invalidare la volontà popolare consacrata nelle leggi.

Ma, direi di più, è un’esigenza di ogni ordinamento giuridico che non può non condannare la violenza, perché essa è proprio l’opposto del diritto. Ogni ordinamento giuridico, sia esso fascista o antifascista, democratico od assolutista, non può non reprimere la violenza contro le leggi. Infatti, come vi ha dimostrato testé l’onorevole Russo Perez, nel Codice penale fascista, trovate tutte le norme necessarie per reprimere, anche ad abundantiam, anche esagerando, tutti gli attacchi contro l’ordine costituito. Dunque non è una forma di reato nuovo, ma è qualche cosa che esiste già in tutti i codici e scaturisce dall’esigenza, non solo di una costituzione democratica, ma di un qualsiasi ordinamento giuridico.

Su un altro punto voglio richiamare la vostra attenzione, onorevoli colleghi, cioè che, posta la legge in esame, i medesimi fatti, le medesime estrinsecazioni di attività criminosa sono punite in modo diverso a seconda dell’ideologia che li muove, in modo che, se un atto è compiuto da chi è fascista, è punito in un modo; se lo stesso atto è compiuto da chi è monarchico od ha finalità monarchiche, è punito meno gravemente; infine se quell’atto stesso fosse compiuto da chi si prefigga altre finalità politiche è punito ancor più lievemente. Dunque è l’ideologia determinante che si colpisce, non l’atto per sé stesso. Ora, tutto ciò è contrario ad ogni principio del diritto penale, ad ogni principio di giustizia, anzi, vi dico: è contrario ad una norma costituzionale che abbiamo testé creato, l’articolo 3 della nostra Costituzione, nel quale è detto che la legge è uguale per tutti, quali che siano le idee politiche che si professano. Si parla del sesso, della razza, della lingua, delle opinioni religiose ed anche delle opinioni politiche: nessuna differenza, in ordine all’osservanza delle leggi, può derivare da opinioni politiche. Qui noi abbiamo, a distanza di quattro mesi dall’approvazione di questa legge fondamentale che abbiamo promesso debba regolare la nostra vita nazionale, una flagrante rivolta contro quello che noi stessi abbiamo fatto. Il che, veramente, mi fa poco sperare per il permanere della libertà in Italia, se noi stessi, che abbiamo votato quell’articolo fondamentale della nostra vita costituzionale, immediatamente insorgiamo contro di esso nel modo più flagrante. Ora io credo che non vi possa essere persona sensata che possa resistere di fronte all’evidenza di questo argomento.

Ma, andiamo più a fondo nelle cose. Quale potrebbe essere la ragione di un diverso trattamento degli stessi fatti tendenti alle stesse finalità? La finalità, badate, è segnata nell’articolo di legge ed è quella di sottrarre al popolo le sue libertà democratiche. Sono perciò atti identici, tendenti ad un determinato scopo: soppressione delle libertà democratiche. Questi atti identici tendenti alle stesse finalità sono puniti in modo diverso, a seconda dell’opinione politica di chi li compie. Ma, quale potrebbe essere, io chiedo, la ragione di questa differenza? La supposizione che un attentato di questo genere alle libertà democratiche possa venire soltanto da alcune parti mentre dalle altre non è possibile che venga? Ora, non c’è nessuno che possa sostenere ciò, perché tutti quanti sappiamo che l’assolutismo, che è il contrario della democrazia, può essere di qualsiasi parte, può essere di un monarchico quanto di un repubblicano, perché come vi sono monarchie assolute, non mancano repubbliche assolute, dato che il concetto dell’assolutismo è uno solo: riunire nelle stesse mani di un individuo singolo o di un corpo, che può essere anche tutto quanto il popolo, insieme la potestà legislativa e la potestà esecutiva, di modo che chi deve applicare la legge è quello stesso che se la fa. Allora, quando avviene questo cumulo nelle stesse mani, nello stesso titolare, sia individuo sia corpo sociale, noi abbiamo l’assolutismo. Di tal che l’assolutismo può essere nelle monarchie come nelle repubbliche. E, difatti, noi assistiamo in questo secolo, come testé diceva il collega Benedettini, al fiorire di repubbliche assolutiste. Non vi sono oggi, per quanto io sappia, delle monarchie assolute; ci sono state in altri secoli, ma ciò conferma ciò che io vi dicevo e cioè che l’assolutismo, opposto della democrazia e della libertà, non è proprio dei monarchici o dei fascisti, ma può essere anche dei repubblicani. La dottrina della violenza fu teorizzata proprio da quella parte (indica la sinistra), da Sorel, ed il fascismo la prese in prestito. Ma come il fascismo, sono i legittimi discendenti spirituali di colui che la proclamò, che largamente la attuano dovunque o tentano dovunque di attuarla.

Dunque, non vi è nessuna ragione per fare un trattamento diverso agli autori di quegli atti, a seconda delle opinioni politiche che professano. Noi dobbiamo guardare nella entità sua l’attentato contro le libertà democratiche e punirlo egualmente da chiunque esso si compia. Ciò che ho dimostrato in rapporto all’articolo 1 della legge proposta, si manifesta ancora più chiaro in rapporto ad altre ipotesi delittuose previste nel disegno di legge. Si puniscono gli atti diretti od ostacolare od impedire l’esercizio dei diritti civili e politici ed in modo particolare se questi atti sono commessi da fascisti o da monarchici. Perché? Quale è la ragione? La ragione non è che una sola: l’idea politica che determina questi atti.

Financo per la costituzione di bande armate si prevede una diversa pena, solo in quanto le bande armate siano costituite a finalità fasciste o monarchiche, come se l’attentato alla libertà non ci fosse egualmente se le bande armate fossero costituite da comunisti o da repubblicani. Non si regge in nessun modo questa legge. Una sola esigenza la Costituente può e deve prendere in esame: – cioè l’opportunità di inasprire le pene contro queste forme delittuose, che potrebbero sorgere dalla situazione in cui viviamo o forse da quello che non infondatamente si dice essere un vizio atavico di alcune regioni di Italia: la rissosità e la faziosità.

Il pullulare di queste forme delittuose, che certamente non è oggi addebitabile agli orientamenti considerati dal disegno di legge, va naturalmente combattuto. Si possono anche creare, se occorre, delle nuove ipotesi delittuose. Ma le leggi devono essere uguali per tutti. Debbono essere leggi che rispecchino questo principio fondamentale di ogni diritto e del nostro diritto costituzionale in ispecie, perché tutti i cittadini, qualunque sia la loro opinione politica, sono eguali dinanzi alla legge e, prima fra tutte, innanzi alla legge penale.

Per questo io ho presentato un ordine del giorno con il quale chiedo che il progetto sia restituito alla Sottocommissione, perché lo rielabori, alla stregua di queste direttive: di prevedere, se occorre, degli inasprimenti di pena contro le forme violente di faziosità, ma degli inasprimenti che debbano valere contro tutti egualmente e che debbano colpire la delinquenza politica da qualunque lato essa provenga, qualunque sia la ideologia che la determina e che mai può giustificarla. Queste sono le richieste che io faccio alla Costituente e che per l’onore d’Italia mi attendo che la Costituente accetti. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Scalfaro. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, parlo a titolo personale dopo avere cercato di leggere molto attentamente il progetto così come è presentato dal Governo e così come è elaborato, attraverso uno sforzo degno di molta considerazione e di molte lodi, dalla Commissione e dopo avere soprattutto letto la relazione dell’onorevole Bettiol, che rappresenta un maggiore sforzo per tener ferma una situazione di equilibrio, che mi pare assolutamente indispensabile.

Onorevoli colleghi, è vero che l’animo del più umile dei giuristi, o meglio degli uomini che comunque hanno avuto a che fare con le leggi e con i Codici, può sentirsi ribellare, quando si ritrovi nelle mani una legge speciale; ma è altrettanto vero che è facile cadere nell’una o nell’altra delle esagerazioni: è facile, da una parte, chiedere una repressione attraverso una legge che varca quelli che sono i limiti della libertà, ed è altrettanto facile rendersi paladini di una libertà che talvolta, forse, varca i confini del giusto. È facile prendere questa legge in mano e dire che si è violata la libertà di una schiera di cittadini in questa Patria.

Signori, mi si consenta una dichiarazione personale, ma che credo possa essere accettata da altri colleghi; se, di fronte alle violenze che in questo momento si vanno manifestando, l’animo del cittadino si ribella, quando questi tentativi sorgono da uomini che li hanno già una volta realizzati, il nostro animo ha diritto di ribellarsi due volte.

Ed io credo che, di fronte a questa situazione, si possa dire che lo sforzo della Commissione sia stato particolarmente saggio, quando all’articolo uno ha sostituito al testo proposto dal Governo una dizione con la quale si è cercato di dire quali devono essere, quali possono essere gli elementi che fanno dichiarare fascista, nella sostanza, un partito, prima che nella forma. Perché è certo ed evidente che non è facile, dopo la situazione politica che il popolo italiano ha vissuto, non è facile veder risorgere un partito che si presenti con lo stesso cartellino, con lo stesso biglietto da visita; ma è facile si presentino dei movimenti, che ne hanno la sostanza. E quindi dicendosi: «Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista sotto qualunque forma» si entra già nella sostanza. Non importa quale sia la denominazione, la forma di questo partito; occorre che esso si distingua «per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta e persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista, rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

Ché, se ad un certo momento questo articolo, nominando il disciolto partito fascista, può dar l’impressione che, partendo da una definizione iniziale, ritorni ancora alle origini, con una evidente petizione di principî senza sostanza, dirò che questo partito fascista è chiaramente identificato in quella finalità, in quel tendere, in quell’attentare alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione.

D’altra parte, mentre il Governo per quanto attiene alla pena aveva presentato l’articolo 1 nella forma: «è punito con la reclusione da dieci a venti anni», la Commissione ha fatto molto bene a sostituire le seguenti parole: «Chiunque vi aderisce è punito con la reclusione sino a tre anni».

Perché, a me, personalmente, non fanno mai paura le pene che arrivano, nel massimo, anche a forme molto rigide; ma fanno molta paura quelle che fissano in modo drastico i minimi. Abbiamo avuto una legge sul collaborazionismo, la quale sarà stata bene o male applicata (non è questa la sede per discuterne), ma comunque presentava il gravissimo difetto di essere basata sull’implicito presupposto che fosse possibile, che fosse esatto inquadrare tutte le forme verificatesi di collaborazionismo nei due aspetti del collaborazionismo militare e del collaborazionismo politico.

Ma soprattutto, quello che era più grave, quello che ha assunto un aspetto veramente tragico e illogico insieme, era il minimo di reclusione fissato in anni dieci ai sensi dell’articolo 58 del Codice penale militare di guerra. Onorevoli colleghi, io mi baso sulla mia modesta esperienza personale; mi baso, in modo particolare, su quello che ho visto più volte accadere presso le Corti di assise speciali. Sovente si scendeva molto al di sotto di questo minimo, ma non sempre ciò accadeva perché vi fossero gli estremi per l’applicazione di tutte le previste attenuanti; molte volte anzi esse non si potevano, almeno in parte, ravvisare o per ragioni giuridiche erano inapplicabili; ma c’erano gli stessi giudici popolari i quali si trovavano a dover dirimere un grave conflitto di coscienza, in quanto sentivano l’esigenza di infliggere una pena che fosse consona alla infrazione dei diritti, a quello che concretamente aveva potuto essere l’attentato, la violazione delle altrui libertà.

Onorevoli colleghi! Ciò è veramente grave, molto grave. (Approvazioni). Noi non dobbiamo creare delle vittime; noi non dobbiamo soprattutto creare dei movimenti, i quali appoggino le vittime, che le vittime rendano eroi. Signori! Le vittime sono persone che recano il loro fardello di sofferenza e di dolore, sempre che gli intenti che le hanno condotte alla lotta siano stati puri. L’eroe è colui il quale ha saputo innalzare le proprie virtù ad un grado eccelso: ma non è lecito creare vittime con una legge ingiusta o per la falsa applicazione di legge.

Non si deve già attendere di ravvisare le forme gravissime degli attentati ad una libertà o ai principî democratici per applicare queste pene di 20 e di 30 anni. Se si vogliono veramente difendere gli istituti democratici, a noi corre l’obbligo di reagire immediatamente anche alle piccole forme di violazione di questi istituti. È pertanto sotto questo riguardo che io vi invito a considerare la gravità che assume questo problema della determinazione dei minimi di pena.

Passiamo all’articolo 2. Esso reca: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione da tre a dieci anni».

Onorevoli colleghi, io non sono favorevole a questo articolo.

Vi invito a considerare che l’articolo 254 del Codice penale ci ripete quella medesima ipotesi. Non ne vedo la ragione quindi, dato che, come a me pare, i presentatori di questo disegno – Governo e Commissione – si sono solo proposti di risolvere un quesito: quello inerente alla pena, prevedendo, per questa ipotesi, la reclusione fino a dieci anni; e proprio per questo che io non vedo la necessità di distinguere, rimanendo questa un’ipotesi, un concretarsi dell’ipotesi prevista dall’articolo 294; e mi permetterò di chiederne quindi la soppressione.

Né, d’altra parte, mi pare si sia posta comunque, una limitazione a quelle che sono le libertà di propaganda, libertà di costituirsi in partito di coloro che hanno un pensiero monarchico. La limitazione si è posta quando si è visto, quando si può intravvedere che questo pensiero cerchi una strada di violenza per il ritorno della monarchia.

Quindi ciò che preoccupa il legislatore è la violenza, il mezzo di violenza. E non è possibile di fronte a questo che io non cerchi – può darsi che ne lo interpreti male – di mettermi nello stato d’animo di coloro che credono di essere calpestati nei loro diritti… perché effettivamente si deve essere contro ogni forma di violenza. Questa è una delle forme di violenza che però, non si può negare, desta una particolare preoccupazione nel legislatore di oggi, per una situazione storica e politica in cui questo popolo è vissuto, situazione della quale si preoccupa che possa determinarsi un ritorno che avrebbe carattere di recidività. E il Codice, sempre, di fronte ai recidivi ha una punizione maggiore; e i principî del diritto ci hanno sempre insegnato che, quando una prima reazione ad una situazione giuridica illecita non ha sortito l’effetto desiderato, è necessario che su una perfetta linea di assoluta legalità, si trovi un sistema per impedire comunque, che dopo dei primi passi nel campo dell’illiceità, se ne possano compiere altri peggiori. E allora è giusto, saggio, indispensabile che il legislatore se ne preoccupi.

Inoltre, nell’articolo 4 si diceva: «nella ipotesi di concorso nel delitto preveduto nell’articolo 3 con alcuno dei delitti preveduti negli articoli 1 e 2, quando si tratta di fatti che per la loro gravità sono tali da potere provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con le pene comminate dall’articolo 2 del decreto legislativo 27 luglio 1944, n. 159». Se non erro, si parla della pena capitale. Pena capitale, contro la quale ogni settore di questa Assemblea, in nome di un principio di civiltà e di umanità che ci accomuna, si è ribellato in sede di Costituzione. Pena, quindi, che non può tornare, come è evidente non potrà tornare, se l’Assemblea vorrà accettare l’emendamento a modifica portato dalla Commissione, dove si parla della pena dell’ergastolo.

È inutile aggiungere altro a queste frasi, perché io penso che quella decisione, che fu proprio presa in sede di Costituzione, non possa essere comunque, anche negli animi che per aver sofferto nel passato sentono una particolare reazione di fronte ai movimenti chiamati neo-fascisti, revocata: cioè che si giunga nuovamente ad approvare, a sanzionare la pena di morte in una legge che esce dal supremo consesso legislativo del popolo italiano. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, ognuno di loro ha delle esperienze più o meno tragiche in materia, per aver visto o aver sentito raccontare. I magistrati si sono trovati di fronte a queste situazioni per loro dovere e hanno visto gli uomini cadere sotto la fucileria a seguito di una tremenda sentenza; forse uomini che hanno meritato anche di peggio (se fosse possibile così esprimersi); ma quando si vedono uomini che cadono per una condanna a morte, immediatamente si sente l’eco della sofferenza dei figli, di coloro che gli sono d’attorno, che hanno «diritto» – si comprenda questa espressione – di protestare sempre, quando qualche persona cara viene strappata loro in questo modo; e ne hanno diritto in nome di una reazione familiare, spontanea, istintiva, contro la quale non si può certo reagire, che pone le prime basi di quella situazione di eroismo e di vittime, della quale ho parlato in precedenza.

Noi, già in questa situazione storica, portiamo il peso di qualche situazione di questo genere, in una località od in un’altra; sentiamo quanto abbia pesato di più una condanna a morte, una esecuzione, più di quanto non avrebbero pesato uno, dieci, venti anni di carcere.

D’altra parte, per coloro che hanno tragica esperienza del carcere, per averlo sofferto, e per coloro che ogni giorno di accostano a queste sofferenze, si sa quale peso grave, quale tragedia sia la vita del carcere, specie quando si pensi che questo carcere si chiama ergastolo.

Se io – che pur nella mia vita di magistrato sono stato accusato di avere la manica più larga della mia toga, e non me ne pento – se io, dicevo, dovessi esprimere il mio pensiero, direi che il popolo italiano, trascinato da questa sua prevalenza di passionalità e di sentimenti, è portato oggi a uccidere e domani a glorificare; bisogna portarlo sulla strada dell’equilibrio che sola si identifica con quella della giustizia.

E d’altra parte, se un altro torto abbiamo (e non mi riferisco né all’ultima né ad altre amnistie) si è che il popolo italiano nutre d’un tratto un desiderio di perdono, portato a volte nel subcosciente; ad un certo punto, un legislatore o un Governo o un capo di Stato, che al provvedimento dànno vita in nome di quel desiderio, con un perdono universale sistemano una infinità di situazioni che non sono giuridicamente sistemabili, e poi… se ne pentono. Siamo più equilibrati, siamo più giusti nel segnare le vie della giustizia, e non camminiamo buttandoci da un lato all’altro della strada, cercando a volte una giustizia che sa di rappresaglia, a volte un perdono indiscriminato! Perdono indiscriminato che, se può sempre essere grande quando viene dall’individuo che solo è stato offeso, non può esserlo se viene da un gruppo di individui che vogliono perdonare in nome dell’offeso o della società che l’offesa ha dovuto sopportare. Più equilibrio nel fare le leggi… e meno amnistie!

E allora, prima di concludere, un’ultima proposta.

Articolo 8: «Per i delitti preveduti negli articoli precedenti si procede con l’istruzione sommaria e, quando è possibile, con giudizio direttissimo».

Onorevoli colleghi, risparmiate ancora una volta l’ingiustizia dell’obbligatorietà di istruzioni sommarie e di giudizi per direttissima!

È vero, c’è un desiderio, c’è un anelito che è l’anelito della parte sana del popolo italiano e che è anelito di legalità, di reazione alla violenza e che si sente per esempio in queste giornate, quando, nelle interrogazioni che si rivolgono al Governo e che riguardano violenze di sinistra, o tentativi di neofascismo, si conclude sempre con questa domanda: se sono stati arrestati, se sono stati puniti i responsabili.

È vero quindi che vi è un desiderio legittimo che la giustizia si attui nel tempo più rapido possibile. È dunque doveroso che questo desiderio trovi attuazione, attraverso la strada giusta che conduce alla giustizia; ma è altrettanto vero che si può essere sodisfatti quando il colpevole venga arrestato e che non si può pretendere che, perché vi sia subito una condanna che sodisfi l’opinione pubblica (che può essere più o meno giusta o errata), vi sia subito un giudizio. Ed è altrettanto vero (e gli onorevoli colleghi che sono avvocati lo sanno) che non c’è nulla di meglio di una istruttoria sommaria e di un giudizio direttissimo per legittimare sempre i rinvii e per ottenere che il magistrato non vi si possa opporre; per cui questa istruttoria sommaria e questo giudizio direttissimo si riducono esclusivamente ad una affermazione scritta, ma raramente attuata.

E perciò, diciamo di non aver fretta. Diciamo piuttosto, che si potrà cercare, attraverso tutti i mezzi di cui questa Assemblea potrà servirsi in regime democratico, di sollecitare, di spingere, di muovere perché una istruttoria abbia il tempo, tutto il tempo. Facciamo sì che il magistrato abbia tutto il tempo che gli può servire perché tutti gli atti si compiano, perché si veda fino in fondo quale è la verità delle cose, poiché io penso che questa legge, come qualsiasi altra, si deve porre un problema che è un problema di ricerca di verità e quindi un problema di giustizia, la quale giustizia non può mai conquistarsi attraverso una coartazione, attraverso una fretta non motivata, attraverso una istruttoria che risalga sempre necessariamente al dibattimento. E loro sanno che cosa siano le istruttorie dibattimentali; sanno che cosa significhi una documentazione di attività partigiana presentata in udienza o che cosa vogliano dire tanti interrogativi che si pongono all’ultimo momento i quali sono, quanto meno, atti a legittimare un rinvio che non sarebbe mai onestamente giustificato. Ed allora, in nome della sincerità e della onestà, diciamo che si useranno per queste ipotesi di reato quelle forme di procedura che esistono per tutti gli altri reati di cui al Codice penale.

Non ho altro da aggiungere. Vorrei però sottolineare un riflesso politico della questione in esame: vorrei richiamare l’attenzione (anche se non ho l’autorità e non posso averla) degli onorevoli colleghi di una parte e dell’altra: di chi protesta dicendo che questa legge è troppo tenue e farebbe fra l’altro un giuoco impolitico sopravvalutando quelli che possono essere i movimenti neofascisti e facendo di tutto perché vengano potenziati dall’esterno, aiutandoli, in ogni modo, perché si rinforzino e, dall’eccessivo attacco, prendano maggior forza, maggior importanza.

Vorrei dire a quei colleghi della destra – che pure dotati di grande saggezza, hanno elevato eccessiva protesta – vorrei dire che sé in apparenza, nella forma, la loro protesta può parere legittimata, è giusto e saggio che noi ci fermiamo alla sostanza.

Si può dire: ma potrebbe bastare il Codice penale. Si può e si deve rispondere ancora una volta che vi è una situazione storico-politica alla quale non ci si può sottrarre e che deve essere tenuta presente.

Se c’è una materia che non può non conoscere la situazione storica in cui si vive, questa materia è quella del Codice penale, che è la materia più carica delle sofferenze della umanità, che sintetizza tutte le passioni, tutte le tribolazioni dell’uomo e degli uomini. È giusto quindi a un certo momento che noi teniamo anche chiaramente dinanzi questa situazione storico-politica; ché se si dovesse pensare a una difesa ad oltranza di certi principî e si credesse, stracciando questa legge, che questi principî siano salvi, si potrebbe allora – è questo non ha niente a che fare col diritto, ma ha a che fare con la politica – trovarci di fronte ad altra più grave reazione, cioè il voler difendere ciò che non è difendibile, potrebbe determinare la soppressione di quei valori che non sono mai sopprimibili.

Io ancora credo – e non penso che il mio credo si poggi su una falsa argomentazione, su un falso ragionamento – io credo, profondamente credo, ancora che questa legge, così come è stata presentata dalla saggezza della Commissione – mi si lasci dire – dalla saggezza dell’onorevole Bettiol, risponda insieme a questo anelito di giustizia e di libertà.

Io spero allora che ciascuno di noi voglia fermarsi ad una valutazione il più possibile serena ed il più possibile oggettiva, non ponendosi a difendere la libertà quando in sostanza non sia più libertà, non ponendosi a schiacciare nell’individuo che ieri ha sbagliato la libertà del cittadino di oggi. Vorrei cioè che il voto favorevole alla legge così come è stata presentata dalla Commissione ed eventualmente anche più saggiamente migliorata, concilii insieme questi due aneliti e sia una nuova affermazione che questa Assemblea ha degli uomini che comunque «osano» ancora oggi, anche di fronte a una vita quotidiana di turbamenti, di pericoli, di attacchi, porre un’altra pietra perché si continui a credere nella libertà e nella giustizia. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, non deve recare sorpresa che si proponga alla nostra approvazione una legge straordinaria per la difesa della Repubblica. Ogni rivoluzione, sia pure avvenuta legalmente, diviene conservatrice delle posizioni raggiunte. Nella frattura fra un mondo che cade ed un mondo che sorge, questo ritiene necessario ed urgente consolidarsi sulle rovine dell’altro. Alfonso Karr ha scritto che i rossi sono i bianchi in cammino, ed i bianchi sono i rossi arrivati. Nessuna meraviglia, adunque, che il regime repubblicano cerchi, a modo suo, di difendere la Repubblica. Pertanto, io intendo soltanto esaminare le disposizioni della legge, in rapporto agli emendamenti da me presentati, sembrandomi che esse, sia nel progetto ministeriale, sia nel progetto della Commissione, non rispondano alla finalità che la legge vorrebbe raggiungere, e, soprattutto, alle esigenze della repressione.

Rilevo, innanzitutto, che l’articolo 1, contemplando l’ipotesi della ricostituzione del disciolto partito fascista, esige due estremi i quali, a mio avviso, potranno difficilmente realizzarsi, per modo che la norma, così com’è, nel testo del progetto ministeriale e nel testo della Commissione, nella maggior parte dei casi, non potrà essere applicata.

L’articolo 1 esige, difatti, il concorso di una organizzazione militare o paramilitare del partito e la esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta per raggiungere finalità o metodi, propri del disciolto partito fascista.

Organizzazione militare o paramilitare. Quale significato ha questa espressione? E come si potrà, nell’organizzazione di un partito, identificare un’associazione, militarmente disciplinata, che obbedisca alle esigenze di una compagine simile ad una caserma, ed attinga le norme della propria condotta in quelle proprie della condotta del soldato?

Seconda osservazione: questa organizzazione militare o paramilitare deve concorrere o con l’esaltazione della violenza, come mezzo di lotta, o con l’uso della violenza stessa, per raggiungere le finalità proprie del partito fascista.

Non vi pare che siamo nel vago, nell’indeterminato, sicché la norma lascia evidentemente un largo margine di arbitrio all’interpretazione del giudice? E, d’altra parte, come si può affermare che tutte le finalità del partito fascista siano attentati alle libertà democratiche, e come sarà possibile identificare queste finalità proprie del regime fascista, nel caso di associazioni o partiti che cercheranno evidentemente di dissimulare le proprie tendenze e il proprio programma?

Io penso, adunque, che la norma penale debba configurare una fattispecie concreta, sui cui estremi oggettivi non possano sorgere contestazioni, in modo che il giudice non sia arbitro della propria interpretazione. Egli deve essere, invece, vincolato alla disposizione della legge ed allo spirito di essa.

Ritengo, inoltre, che la norma non debba essere circoscritta al partito fascista, nella sua particolare espressione storica di una dittatura, ma a qualunque forma di dispotismo o di dittatura, che sia finalità di associazioni o di partiti.

Ritengo, pertanto, che l’emendamento da noi presentato risponda a tale esigenza, tenendo anche conto, in rapporto alla ipotesi delittuosa configurata, degli articoli 47 e 50 del progetto di Costituzione. L’emendamento che riassume e contiene anche l’articolo 1-bis; che contempla, cioè, l’attività fascista e la attività intesa, con mezzi violenti, alla restaurazione dell’istituto monarchico suona così: «Chiunque promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista ovvero associazioni o partiti col fine di mutare la Costituzione della Repubblica o la forma del Governo costituzionale parlamentare o di sopprimere o menomare le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, con mezzi violenti o, comunque, non consentiti dall’ordinamento costituzionale, è punito, ecc.». «Chiunque vi partecipa è punito, ecc.».

Prima di occuparmi della prima parte dell’emendamento, richiamo la vostra attenzione sul capoverso. Sia nel progetto ministeriale, sia in quello della Commissione si contempla il caso di chi «aderisce» alle associazioni o partiti di cui alla prima parte dell’articolo 1.

Io ritengo impropria la espressione: «vi aderisce». L’adesione può essere soltanto adesione di pensiero, adesione ideale, o espressione d’un apprezzamento o d’un giudizio. Evidentemente, lo spirito della norma è ben altro. La norma è intesa a reprimere la partecipazione, epperò occorre configurare come ipotesi punibile il fatto di chi partecipa.

A mio avviso, l’emendamento ha gli estremi inconfondibili di una fattispecie concreta, che non si presterebbe ad alcuna interpretazione arbitraria.

Osservo, intanto, al collega Russo Perez che, se è vero che questa legge eccezionale, in buona sostanza, riproduce alcune disposizioni del Codice penale vigente, è vero, per altro, che l’articolo 283 di esso contempla l’attentato alla costituzione dello Stato fascista e alla forma del Governo fascista, ad istituti ed organi, cioè, che costituiscono la più evidente violazione delle libertà democratiche e che tale violazione s’intende ora reprimere.

Come ho rilevato, il mio emendamento vuole anche ricondursi agli articoli 47 e 50 del progetto di Costituzione.

L’articolo 47 stabilisce:

«Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Ora la norma penale vuole precisamente reprimere quelle organizzazioni che, in contrasto con l’articolo 47, sono intese a violare le libertà democratiche. È questa la prima parte dell’emendamento.

L’articolo 50 dice: «Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi». Di qui, la norma con cui si tende a reprimere quelle organizzazioni le quali si propongano di mutare la costituzione dello Stato o la forma di Governo costituzionale parlamentare.

Passando all’articolo 2, esso stabilisce: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora, ecc.». È stato osservato da alcuni che questo articolo 2 non è che la riproduzione dell’articolo 294 del nostro Codice penale vigente. Osservo, innanzi tutto, che il rilievo non è esatto, perché l’articolo 294 contempla solo il fatto di chi «impedisce od ostacola l’esercizio di un diritto politico», non anche «l’esercizio dei diritti civili», come specificamente è detto nell’articolo 2.

Vi è poi un’altra osservazione da ricordare, quella contenuta nella relazione dell’onorevole Bettiol, che, cioè, il fatto preveduto nell’articolo 2 non è soltanto quello di chi impedisce l’esercizio dei diritti politici e civili, ma di chi lo impedisce in relazione con l’esercizio di attività fascista, o di attività diretta alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico. Pertanto nella norma non si configura l’ostacolo o l’impedimento all’esercizio di diritti civili o politici in se stesso considerato, ma l’ostacolo o l’impedimento che si verificano come esplicazione di attività fascista o di attività violenta, diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. Anche qui, con l’emendamento da me presentato, io mi sono proposto di rendere più precisa la norma. Difatti nell’articolo 2 si dice: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando, ecc.». Alla stregua di tale disposizione, l’attività fascista e l’attività violenta, intesa alla restaurazione della monarchia si identificano col mezzo, vale a dire consistono soltanto nell’impedire ed ostacolare.

Non è possibile altra interpretazione. Epperò, io propongo di modificare la norma nel modo seguente: «Chiunque, svolgendo attività fascista o attività determinata dal fine di restaurare l’istituto monarchico, ecc.». Quindi, là dove si dice: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo o ostacolando, ecc.», io proporrei di dire: «Chiunque svolgendo attività fascista, ecc. impedisce od ostacola, ecc.».

Seconda osservazione. Qui a mio avviso, occorre configurare il tentativo come reato per sé stante, allo stesso modo in cui si configura l’attentato contro la Costituzione dello Stato o contro la forma di Governo. Vero è che, in queste ultime ipotesi, non si può tener conto dell’evento, essendo evidente che, ove l’evento si verificasse, nessuna repressione sarebbe possibile per il prevalere delle correnti che concorsero a mutare la Costituzione o la forma di Governo.

Dunque tipica figura di attentato, reato cioè di mero pericolo.

Ma anche per il reato preveduto nell’articolo 2, che non ha il carattere suddetto, perché si tratta di ostacolo o di impedimento all’esercizio dei diritti civili e politici, io penso che la norma debba essere sdoppiata in due ipotesi: la prima che prevede il tentativo, configurandolo come reato autonomo; la seconda che, prevedendo l’evento, commina un aumento di pena, giusta l’emendamento da me presentato.

Per altro, l’articolo 2 non prevede la ipotesi di chi, non impedendo od ostacolando, istiga, però, con violenza o con minaccia, taluno ad esercitare i propri diritti in senso difforme dalla sua volontà.

Mi sembrerebbe, adunque, opportuno contemplare questa ipotesi, giusta l’emendamento da me presentato.

Finalmente, configurandosi nell’emendamento il reato come attentato, configurandosi cioè il tentativo come reato autonomo, si stabilisce nell’emendamento stesso che «la pena è aumentata se si verifica l’evento, ecc.»; e che «la pena è aumentata se concorrono le circostanze aggravanti prevedute dall’articolo 339 del Codice penale».

Quanto all’articolo 4, io ne propongo la soppressione.

L’articolo 4 prevede l’ipotesi del concorso dei reati preveduti negli articoli 1 e 1-bis con quello preveduto nell’articolo 3, della formazione, cioè, di bande armate, organizzate per i fini indicati negli articoli 1 e 1-bis.

Nel caso di tale concorso, quando si tratta di fatti che, per la loro gravità, sono tali da poter provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con la reclusione non inferiore ad anni ventuno, e, nei casi più gravi, con la pena dell’ergastolo. Ora, la figura del promotore o del capo è già contemplata, tanto negli articoli 1 e 1-bis, quanto nell’articolo 3 in rapporto alla pena, epperò non può essere in funzione di aumento di pena nel caso di concorso dei reati suddetti. Vero è che si considera l’ipotesi di «fatti che, per la loro gravità, possono provocare la guerra civile»; ma, per verità, non si riesce a comprendere a quali fatti intende riferirsi la norma, se la formazione di bande armate in rapporto all’attività di cui agli articoli 1 e 1-bis ha insito in sé sempre il pericolo della guerra civile.

È da osservare, inoltre, che, dato il cumulo aritmetico delle pene, nel caso di concorso di reati, e, tenuto conto del massimo di pena, stabilito per i reati di cui all’articolo 3 e per quelli di cui agli articoli 1 e 1-bis, non v’è alcun bisogno di esasperare una sanzione che innegabilmente risponde alle esigenze di una rigorosa repressione. Potrebbe, anzi, aversi, dato il testo delle disposizioni sopra ricordate, l’applicazione d’una pena minore nel caso contemplato dall’articolo 4 in rapporto a quella che potrebbe applicarsi a norma degli articoli 1, 1-bis e 3 della legge.

Per tali ragioni propongo la soppressione dell’articolo 4.

Un’ultima osservazione devo fare sull’articolo 3. Qui si prevede il caso di chi promuove, dirige e sovvenziona una banda armata.

Il primo quesito, che può presentarsi al giudice, è questo: che cosa è una banda armata, o, per essere più precisi, quando si può dire costituita una banda armata in rapporto al numero delle persone che la compongono ?

Ora, non si può lasciare all’arbitrio dell’interprete la determinazione del numero necessario o sufficiente per costituire una banda armata.

Inoltre, quando ci si riferisce ad una banda armata, noi ricorriamo immediatamente al concetto di una organizzazione, perché, per esempio, una folla in tumulto, o un raggruppamento di persone armate, non potrebbero essere considerati, anche nello scoppio di passioni di parte, come una banda armata.

La banda suppone adunque un’organizzazione ed una disciplina, ond’è che occorrerebbe, a mio avviso, precisare questo concetto, e stabilire il numero delle persone occorrente a costituire la banda armata.

Così, per esempio, quando si configura l’associazione a delinquere, non si dice «associazione a delinquere», ma si precisano gli estremi per i quali si ha il delitto di associazione a delinquere: uno di tali estremi è precisamente costituito dal numero delle persone organizzate e vincolate insieme da un comune programma delittuoso.

Nel mio emendamento, pertanto, io propongo di stabilire che la banda armata, per considerarsi tale, deve essere composta di tre o più persone.

Debbo fare un’ultima osservazione. Qui si considerano le ipotesi del promuovere, del dirigere e del sovvenzionare: non si prevede il caso di chi costituisce la banda armata, ipotesi evidentemente diversa, perché chi costituisce la banda può essere persona diversa da quella del capo, o da colui che promuove o sovvenziona.

Occorrerebbe quindi, a mio avviso, dire: “chiunque promuove, forma, dirige o sovvenziona, ecc.».

Finalmente, con il mio emendamento, faccio un’altra proposta, quella di sostituire alle parole «al fine di svolgere alcuna delle attività prevedute negli articoli precedenti» le parole «per uno dei fini indicati negli articoli precedenti», perché i fini qualificano le attività, e ne individuano la direzione.

Io propongo, pertanto, che si dica: «chiunque, per i fini preveduti negli articoli precedenti, ecc.».

Manca, infine, una norma, la quale determini nel tempo la durata della legge, e questa norma mi sembra indispensabile in una legge eccezionale, che vuole rispondere ad esigenze eccezionali.

Sono queste le modeste osservazioni, delle quali confido che l’Assemblea vorrà tener conto. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Marchesi. Ne ha facoltà.

MARCHESI. Mi limiterò a brevissime considerazioni, onorevoli colleghi. Io ho potuto questa mattina ammirare la sensibilità politica che si è manifestata su quei banchi di destra, dove una volta sedevano così accesi fautori delle leggi eccezionali: segno dell’evoluzione dei tempi. Ed io non posso se non augurarmi che questo spirito così propizio alle pubbliche libertà continui ad alitare su quei banchi, anche se, un giorno o l’altro, venga in mente a qualcuno di invocare procedimenti eccezionali contro partiti che fascisti non siano. Siamo d’accordo: una legislazione ordinaria dovrebbe essere sufficiente ad un Governo democraticamente costituito, per difendere se stesso e per provvedere alla tutela dei diritti dei cittadini; ma qui si tratta di un partito fascista, del partito fascista, di quel partito che ha operato la vergogna e la rovina d’Italia dal 1919 al 1943; di un partito ben determinato, ben distinto, coi suoi programmi, con i suoi metodi, con le sue autorità, con le sue gerarchie, coi suoi misfatti continuati; di un partito, che, come amava dire il suo capo, con una parola cara a lui, ma che non dovrebbe essere cara a noi, di un partito, che è veramente inconfondibile, perché non si può confondere con nessun altro dei partiti consentiti dalla convivenza civile degli uomini.

Non ho altro da dire; soltanto vorrei assicurarvi, se la nostra parola può meritare credito presso di voi, che, se si trattasse di una legge limitatrice delle libertà di tutti i cittadini noi saremmo d’accordo con voi nel chiederne il rigetto. Ma con questo disegno di legge presentato dal Governo non si mantiene soltanto fede a quegli impegni internazionali che ho sentito rievocare oggi da uno dei colleghi di destra; non si offende nessun diritto dei cittadini; soltanto si difende la libertà di tutti contro la vergogna fascista. (Applausi a sinistra).

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, io avevo promesso all’onorevole Condorelli, parlando su un argomento analogo a quello sul quale si sta discutendo, che avrei fatta larga documentazione di tutte le leggi eccezionali della monarchia, di tutti i fattacci che possiamo rimproverare al cessato regime monarchico; dissi anche una frase che fece impressione all’amico Condorelli: che lo avrei affogato.

Ho preso la parola per dichiarare, che l’affogamento lo potrò fare in un’altra sede (Ilarità), perché non voglio affannare l’Assemblea.

Credo di dover aggiungere che l’onorevole Condorelli non deve ritenere che io non abbia il materiale per la mia offensiva, e che la mia sia una specie di ritirata. In altra occasione potrò eseguire il poetico disegno di vedere il nostro collega sotto una mole tremenda di documentazioni delle ribalderie della cessata monarchia.

Colgo poi l’occasione per dichiarare ancora una volta che non voterò a favore di questa legge. (Approvazioni a destra).

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ho chiesto di parlare per dichiarare a nome mio e dei miei amici, che non voterò per questo disegno di legge; prima di tutto perché è inutile, e poi perché trovo strano che, come giustificazione per la sua approvazione, si ricordi una specie di impegno che noi avremmo assunto verso i vincitori nel Trattato di pace. Questa ragione non esiste, perché, evidentemente, quando è stata, fatta questa disposizione, i vincitori credevano che in Italia vi fosse un fascismo sopravvivente alla sua caduta e che i fedeli della monarchia fossero pronti a sacrificarsi per essa. È accaduto invece il contrario. Come in tante cadute dei regimi assoluti, non vi furono che un piccolo e insignificante numero di persone che lottarono per il fascismo e per la sua salvazione. Al contrario in grandissimo numero i fascisti e anche i profittatori del fascismo passarono dall’altra parte. Non pochi si trasformarono in pericolosi antifascisti. Spettacolo non certo ammirevole.

Che il fascismo rinasca è inverosimile: ciò che è verosimile è che le condizioni difficili della vita, creando molti scontenti, creino malcontenti anche nell’ordine politico, che noi pretendiamo siano fascisti.

Il fascismo fu un uomo che agì in circostanze speciali e che non si possono ripetere; quell’uomo ebbe per sé aiuti e simpatie dei grandi paesi stranieri, perché sembrava rappresentare una nuova e utile forma di reazione. L’uomo non torna e le circostanze non si ripetono. Perché occuparci di cose inverosimili?

Vi può essere in Italia, come in ogni paese di Europa, qualche movimento di resistenza contro i socialisti e i comunisti; ma non ha nulla che fare con il fascismo.

In quanto al pericolo di un movimento di reazione monarchica, non bisogna confondere i sogni con la realtà.

Dopo le grandi guerre moderne, dove le monarchie sono cadute non sono risorte, e ciò soprattutto nel 1918, anche e soprattutto in paesi a dittatura.

Un movimento di restaurazione monarchica non esiste in Italia. Ma naturalmente i nostri errori fanno pensare a molti che gli errori della monarchia non erano esclusivi di un regime.

La monarchia è caduta. È inutile che i suoi sostenitori abbiano ancora illusione: io credo anzi che nel momento attuale non ne abbiano.

Ma si esagera a torto parlando, come nella relazione, di «caduta dell’istituto monarchico». Che cosa significa? Che non devono esserci più monarchie?

Dire che la monarchia è caduta, non è dire che non vi debbano essere che repubbliche in Europa. Questa è per lo meno presunzione dei nuovi repubblicani. Vi sono in Europa solidissime e rispettabili monarchie, che hanno resistito anche assai meglio delle repubbliche alle guerra, e non hanno avuto reazione.

Limitiamoci dunque a parlare dell’Italia.

E non creiamo l’assurdo che sarebbe non nel fatto, ma nell’idea monarchica.

Quando ho udito da destra espressioni che ci dovrebbero far credere a un movimento monarchico, io ne ho sorriso. «Il movimento monarchico è potente – si è detto – nell’Italia meridionale». Ma ci credete voi veramente?

BENEDETTINI. Si!

NITTI. Io non vedo. Vi siano pure i fedeli di una idea morta: essi sono rispettabili, senza che per questo l’idea sia vera.

Dunque non vedo la necessità di fare leggi di repressione e di eccezione contro un pericolo che non mi pare esista. Come nel Codice Zanardelli, noi possiamo punire tutti quei fatti che costituiscono vero pericolo così per gli uni, come per gli altri: gli estremisti di ogni parte possono costituire pericoli, e tutti possono essere puniti.

Dunque, non mi adatterò all’idea che noi dobbiamo vedere il pericolo da una sola parte, e non già da ogni parte dove sia realmente. Quindi la difesa dello Stato deve essere fatta nell’interesse dello Stato e non nell’interesse o a vantaggio di tendenze e partiti.

Non voterò quindi queste disposizioni, perché non solo le credo inopportune, ma le credo dannose.

Tutti gli oratori che hanno parlato hanno riconosciuto la gravità delle pene contro questi pericoli immaginari. È stato osservato che i magistrati non potranno applicarle e non le applicheranno. Più le pene sono gravi, più, se sono ingiuste, non si applicano; più vogliono riuscire a terrorizzare, meno terrorizzano.

Quando ho sentito dire qui dentro di un grande movimento monarchico, che richiede particolari misure di ordine e di vigilanza, ne ho riso.

Che cosa significa fare un processo storico alle monarchie perfino nei secoli passati?

Ciò che chiamate l’istituto monarchico sarà rispettato, se risponde alle tradizioni e alla volontà dei popoli. Altra cattiva idea è stata parlare di un istituto che ha assolto il suo compito con la sua fine. Questa è mancanza di rispetto a monarchie degnissime, e anche all’attuale principessa ereditaria dell’Inghilterra, che può diventare in seguito regina.

Perché parlare di istituto monarchico? Noi non dobbiamo entrare in queste cose. Un progetto di legge non è un opuscolo di propaganda.

CONTI. Noi c’entriamo!

NITTI. È molto interessante che l’onorevole Conti dica che la Repubblica debba essere la forma politica generale e una organizzazione puramente repubblicana debba esistere in tutto il mondo.

CONTI. In genere, e in specie in Italia.

NITTI. In Italia va accettato quello che è ora lo stato di fatto. Ecco perché non volevo che si parlasse di istituto monarchico in genere. Lei vuole andare più in là. Nella nostra Assemblea ci diamo il lusso di dichiarare che non vi saranno più nel mondo monarchie.

Siamo in materia non contenziosa.

CONTI. Questa è opinione personale.

NITTI. Si tratta di visione generale. Quindi, accettando che in Italia non vi sia la monarchia, non posso accettare l’idea che non vi siano altrove anche grandi monarchi, perché, per esempio, ho visto funzionare magnificamente le grandi monarchie del Nord, anche in periodi in cui in Italia infieriva la reazione fascista.

Quindi, astenendomi da qualunque altra considerazione, mi limito a ripetere che non credo opportuno questo disegno di legge, e quindi non lo voterò. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Prima di dare la parola al Relatore e al Ministro, do lettura di un articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Lucifero, del seguente tenore:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale, ed in ogni caso entro il 31 dicembre 1948».

Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Sottocommissione.

BETTIOL, Relatore. Onorevoli colleghi, ho ascoltato, come Relatore, con grande interesse e con particolare attenzione gli interventi dei colleghi: quello dell’onorevole Benedettini, quello dell’onorevole Russo Perez, quello dell’onorevole Condorelli, quello dell’onorevole Scalfaro, quello dell’onorevole Crispo e da ultimo, quelli brevi, ma sempre pieni di responsabilità, dell’onorevole Marchesi, dell’onorevole Conti e dell’onorevole Nitti.

Io dichiaro subito che risponderò in sede di emendamenti alle obiezioni dell’onorevole Crispo. Mi limiterò a rispondere alle obiezioni di carattere generale, parlando come membro della Sottocommissione, che ha esaminato il disegno di legge presentato dal Ministro e che ha poi elaborato una serie di emendamenti al testo primitivo presentato dal Governo.

Essere o non essere: questo era il dubbio amletico. Di fronte a questa legge noi possiamo chiederci: legge di Caino o legge di Abele? legge, cioè, che è tale da rappresentare una violenza impetuosa e disorganizzata per colpire senza discernimento i pericoli per l’ordine democratico e per l’ordine repubblicano, oppure una legge di acquiescenza, una legge remissiva, una legge che non vuole individuare i pericoli che esistono nella realtà delle cose?

A questo dilemma si può rispondere che questo progetto di legge, particolarmente dopo l’esame della Sottocommissione e le proposte della stessa, non è né una legge di Caino né una legge di Abele, vale a dire non è una legge a carattere e spirito totalitario, come erano le vecchie leggi fasciste, e particolarmente quelle naziste; d’altro canto non è nemmeno una legge, la quale rifugga dall’individuare i pericoli e si astenga dal prendere in considerazione la possibilità di energici interventi da parte dello Stato per tutelare l’ordine democratico e repubblicano. Si può dire che questa legge, così come oggi viene presentata, dopo l’esame della Sottocommissione, è una legge di uomini responsabili, è una legge di uomini forti, i quali fanno del criterio della giustizia retributiva il cardine della loro concezione penale e della loro politica criminale.

Si è sentito parlare di legge vendicativa, si è sentito dire che questa legge è una legge eccezionale, si è sentito dire che questa legge contrasta con quelli che sono i cardini fondamentali della giustizia democratica.

Ora, è chiaro, onorevoli colleghi, che in un regime democratico e repubblicano, già ormai consolidatosi attraverso lunghe vicissitudini di anni e eventi, una legge penale non soltanto eccezionale, ma anche puramente speciale, può rappresentare una stonatura nel sistema delle leggi penali. Ma quando un regime democratico e repubblicano, come il nostro, è uscito da poco dalla tragica esperienza totalitaria e fascista, è chiaro che la politica e il senso storico possono postulare un vigile intervento statale per individuare pericoli che possono sussistere o che possono risorgere a danno dell’ordine democratico e repubblicano…

BENGIVENGA. La storia dimostra che ciò è falso.

BETTIOL, Relatore. La storia, da che mondo è mondo, ha dimostrato che le nuove organizzazioni politiche e sociali nei primi anni della loro esistenza prendono sempre dei provvedimenti di carattere difensivo. Non è soltanto questa, onorevoli colleghi, un’affermazione a sfondo storico, ma anche un’affermazione che, diciamo così, è convalidata da quella che può essere una esperienza puramente naturalistica, nella quale noi vediamo come ogni nuovo organismo, ai primordi della sua vita, prenda in considerazione la necessità di una sua difesa.

BENCIVENGA. Così ragionò il fascismo…

BETTIOL, Relatore. Così ragiona colui che tiene gli occhi fissi alla storia, e che ha senso di responsabilità politica.

Comunque, il problema, onorevoli colleghi, non è di carattere formale, ma di carattere sostanziale. In questo senso: che quando si vuol dire che questa legge è una legge di carattere eccezionale, la quale viene a porre delle divisioni fra gli italiani considerandoli gli uni come italiani eletti e gli altri come italiani reprobi, non si è aderenti a quella che è la realtà morale e normativa della legge stessa. Perché, da un punto di vista sostanziale, questa legge, elaborata dalla Sottocommissione, ha cercato di evitare di seguire ogni e qualsiasi criterio di politica criminale, che fosse in contrasto con quelle che sono le leggi fondamentali d’una concezione democratica dello Stato e del diritto penale. Io prego i colleghi di meditare su questo punto e di non fermarsi a quella che può essere una considerazione puramente logica e formalistica dei rapporti estrinseci fra questa legge ed il Codice penale. È ben vero che il Codice penale rappresenta la legge fondamentale in materia penale per tutti i cittadini indistintamente; ma è altrettanto vero che una legge è speciale nel senso vero e proprio della parola, soltanto quando questa legge penale speciale è tale da rappresentare una deviazione da quelli che sono i principî cardine cui si ispira la legislazione penale. Facciamo un esempio: le legislazioni penali tipiche del fascismo, e particolarmente del nazismo, negli ultimi venti anni sono state leggi speciali, non soltanto da un punto di vista puramente formale, ma soprattutto da un punto di vista sostanziale, perché hanno rappresentato una deviazione essenziale da quei principî penalistici che ormai una lunga vicissitudine aveva consolidato nella coscienza morale e giuridica europea.

RUSSO PEREZ. Anche queste sono leggi fasciste.

BETTIOL, Relatore. Questa legge che veniamo ad esaminare, e che il Governo presenta all’Assemblea ai fini della sua approvazione, è una legge la quale non deflette o non deroga ai principî fondamentali sui quali è assiso il diritto penale comune. È, sì, una legge di difesa (e in questo senso comprendo benissimo come può essere considerata da parte di molti con occhio meno benigno), è, sì, una legge con la quale l’ordine democratico e repubblicano cerca d’individuare un pericolo che proviene da una determinata parte; ma non possiamo dimenticare come questo pericolo, che proviene da una determinata parte, è stato per lunghissimi anni un vero e proprio danno ed il tormento della nostra coscienza morale e della nostra realtà politica.

Onorevoli colleghi, io penso che se noi tutti odiamo profondamente il totalitarismo, da qualsiasi parte esso provenga, non ci deve essere comunque in fondo al nostro animo ed in fondo al nostro cuore, non dico una simpatia, ma un qualche cosa che possa farci guardare con occhio benevolo quello che fu il fascismo, che ha rappresentato veramente una vergogna per il nostro Paese.

BENCIVENGA. Ma se tanti, che stanno qui dentro, erano iscritti! Non esageriamo, per carità!

BETTIOL, Relatore. Questa legge rappresenta un’eccezione puramente formale, non un’eccezione di carattere sostanziale. In primo luogo, questa legge, così come è stata formulata dalla Sottocommissione, non intende colpire il pensiero politico come tale, in nessun modo ed in nessuna circostanza. Questa legge colpisce – e rispondo al carissimo amico Condorelli – un pensiero politico, quando questo pensiero politico si traduce concretamente in una determinata attività, che in concreto sia pericolosa e dannosa per l’ordine democratico e repubblicano che si è costituito.

Se questo viene a creare la disuguaglianza tra gli italiani, come dice l’onorevole collega, questo è inevitabile; perché questa legge intende essere legge speciale, in quanto colpisce l’attività dei fascisti o di coloro che violentemente tendono a restaurare la dinastia sabauda.

Ora è chiaro che questa particolare ideologia dà un particolare colore ad una determinata attività, ma non è affatto l’ideologia come tale, che comunque possa venire colpita, ma l’attività, in quanto pericolosa e dannosa per l’ordine democratico.

Gli onorevoli colleghi della destra tengano presente che la Sottocommissione ha approvato, sia pure a maggioranza, la soppressione dell’articolo 6 (Interruzione del deputato Bencivenga), perché con questa soppressione noi veniamo realmente a ristabilire l’equilibrio giuridico e politico in seno a questa legge. Attraverso all’articolo 6 noi verremmo a colpire la pura e semplice manifestazione, non pericolosa o dannosa in quanto tale; verremmo a colpire la cogitatio sul piano politico; ciò che sarebbe veramente pericoloso e rappresenterebbe una deviazione dai principî fondamentali del diritto penale.

In secondo luogo, questa legge non intende colpire una qualsiasi persona, in quanto tale. Cioè, questa legge non può essere concepita come legge vendicativa. Su questo punto vorrei che fossero chiare le nostre idee. Non è legge di Caino, la quale vuole colpire il fascista o l’ex fascista, in quanto tale. Ma, come è stato detto dall’onorevole Scalfaro, questa legge tende a colpire il fascista recidivo, quel fascista, il quale, nonostante la mutatio dei tempi, non intende adeguarsi alla nuova realtà politica o non intende non impedire l’azione, che possa essere pericolosa per questa nuova realtà politica.

Una voce a destra. Bisogna vedere chi applicherà questa legge.

BETTIOL, Relatore. Quindi, viene colpito il fascista recidivo, che si manifesta, che si deve manifestare in concreto con attività e comportamento che rispecchiano una tipicizzazione astratta dell’attività stessa. (Interruzione del deputato Russo Perez).

BENCIVENGA. Verrà un’altra Carboneria. Lei è giovane; certe cose non le può sapere.

BETTIOL, Relatore. Sono giovane di anni; ma una certa esperienza giuridica e penalistica posso anche averla.

BENCIVENGA. Erano più liberali sotto il fascismo.

BETTIOL, Relatore. Sto dimostrando che questa legge non è antiliberale, ma profondamente democratica. (Interruzioni a destra).

Voglio sottolineare il fatto che questa legge poteva considerarsi liberticida, qualora la Commissione non avesse proposto un emendamento sostanziale in relazione all’articolo 1.

L’articolo 1, come presentato dal Ministro, suona in termini così generici e lati, per cui possono essere colpiti tutti o nessuno, a seconda che prevalga uno o l’altro indirizzo ermeneutico a sfondo politico. L’articolo 1 della legge, come presentato dal Governo, riecheggia la concezione antidemocratica del diritto penale, in quanto rifugge dalla determinazione concreta dei momenti, che deve rivestire l’attività fascista, per essere incriminata in quanto tale. Ripeto, questa legge non colpisce il fascista come tale, in base a quello che fu l’adagio manzoniano «dalli all’untore», ma il fascista solo in quanto realizza in concreto una determinata attività delittuosa…

BENEDETTINI. …che può essere compiuta anche da altri, non fascisti.

BETTIOL, Relatore. …e che la nostra coscienza giuridica non può in nessun caso sopportare.

BENEDETTINI. È per questo che si identifica anche con gli altri partiti. La libertà deve esservi per tutti.

BETTIOL, Relatore. La libertà di coloro i quali si attengono al metodo democratico non viene comunque colpita o menomata da questa legge sottoposta alla nostra approvazione, perché, ripeto, questa legge è tale da rispettare i diritti fondamentali di libertà dei cittadini ed è tale da rispettare i criteri fondamentali di un diritto penale democratico. Detto questo, riaffermato quindi che questa determinata legge non è tale, a mio avviso, da violare una concezione democratica del diritto penale, ma è una legge di difesa, che in questo momento è ritenuta necessaria, considerata quella che è la realtà dei fatti, è chiaro che non posso accettare quegli ordini del giorno, che sono tali da determinare uno spostamento di questa particolare legge su di un piano che non è quello indicato e voluto dal Governo, che ci ha presentato la legge stessa. Non è quindi possibile accettare ordini del giorno, quando con questi si voglia far rientrare nella legge ogni e qualsiasi movimento, ogni e qualsiasi concezione politica, ogni e qualsiasi orientamento, che non siano tali da rispecchiare quelle che erano le note fondamentali e costanti del fascismo, che ha determinato – ripeto – la situazione di catastrofe per il nostro Paese, o non è questo movimento tale da rispecchiare una concezione monarchica la quale voglia, con la violenza, riportare l’Italia sotto un regime monarchico, anche se inteso in senso costituzionale. (Interruzioni a destra).

Una cosa ancora vorrei dire: che la Commissione non è contraria a considerare questa legge come una legge limitata nel tempo, nel senso che non è contraria ed accettare un emendamento che possa determinare un limite di tempo, possibilmente tra cinque anni. (Interruzione del deputato Mazza).

TARGETTI. Finché dura la malattia, occorre che duri la cura; che cesserà soltanto quando l’ammalato riacquisterà la salute.

BETTIOL, Relatore. Con ciò credo di aver risposto brevemente e sinteticamente a quelle che sono le obiezioni di carattere generale, relative al carattere eccezionale e speciale di questa legge, ed al preteso carattere liberticida di essa. Per quanto riguarda le osservazioni di carattere specifico sui singoli articoli, mi riprometto di prendere la parola quando saranno presentati in concreto i relativi emendamenti. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro Guardasigilli ha facoltà di parlare.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi! È utile che io ricordi all’Assemblea che l’attuale disegno di legge, presentato sin dal 17 marzo 1947, è, da allora, a disposizione dell’Assemblea. Ricordo anche che, come è detto nella relazione a questo disegno di legge, venne preparato dal Governo e presentato all’Assemblea, in quanto il precedente decreto legislativo luogotenenziale 26 aprile 1945, vale a dire quello che stabiliva le punizioni dell’attività fascista nell’Italia liberata, veniva a scadere col 15 ottobre 1947. È necessario che l’Assemblea tenga presente questa situazione e si renda conto delle necessità della discussione presente, la quale non è occasionata da nessuna delle situazioni particolari a cui qualche collega ha accennato, ed è determinata né dal Governo né dalla Presidenza, ma da un dovere che l’Assemblea aveva verso se stessa, in quanto aveva in una sua Sottocommissione un disegno di legge, che era stato per troppo tempo prorogato e che viene ora in esame, quasi in una delle ultime sedute dell’Assemblea Costituente. Questo per togliere ogni ombra, rispetto ad eventuali coincidenze occasionali, in quanto l’Assemblea, nella sua sovranità, dovrà prendere una decisione su questo disegno di legge.

Io ho seguito i lavori della Commissione, i quali hanno portato ad una relazione veramente egregia, ed io non posso che lodarmene con l’onorevole Bettiol, il quale, da tecnico della sua capacità, ha cercato di precisare e di inquadrare bene istituti e reati, di modo che noi possiamo rendere grazie del servizio che egli ha reso all’Assemblea.

Non c’è dubbio che si tratti di una legge di eccezione o di una legge speciale. Non è nel mio temperamento di liberale pensare che leggi di eccezione o speciali siano da augurarsi nella vita del Paese, ma, come già qualche oratore ha rilevato, è venuta fuori questa emergenza che bisogna affrontare. È la verità. La storia ha le sue esigenze. Un Codice penale fondamentale sarebbe l’ideale per la vita e per l’ordinamento di un popolo; ma vi sono delle situazioni di eccezione, delle situazioni storiche che devono essere superate con leggi eccezionali, le quali devono avere peraltro una durata ben limitata. In questo senso, se la Commissione accetta, io non ho nessuna difficoltà a consentire anche a limitazioni nel tempo.

D’altra parte, da un punto di vista strettamente politico, lasciando il lato tecnico, che esamineremo articolo per articolo, che cosa si propone questo disegno di legge? Di sostituire disposizioni di una legge precedente e di cercare di inquadrare e di prevenire delle figure di reato, che veramente sono già contemplate nel Codice penale e per le quali potevano essere sufficienti, secondo alcuni, le disposizioni già esistenti nel Codice penale per difendere la personalità dello Stato repubblicano, e per difendere l’esercizio dei diritti politici e civili del cittadino rispetto ad atti di violenza da parte di partiti o di fazioni. Oggi, con questa legge, si vuole fare qualche cosa di più della semplice punizione; si cerca di prevenire. Mentre il Codice penale rende possibile la punizione di reati già esistenti o di tentativi dei reati stessi, con questa disposizione si fa un passo in avanti e si cerca di prevenire.

Questo è il lato politico della situazione e questo è il lato tecnico del disegno di legge.

Il Codice penale non basterebbe più, perché il Codice penale ci porterebbe a reati o a tentativi, mentre questo disegno di legge ci porta alla prevenzione. La prevenzione non è l’ideale nella forma penale, siamo d’accordo, ma è la repressione del fatto che deve essere punita. Però, nei momenti di eccezione, quando una Repubblica esce da una situazione ancora storicamente non consolidata, sente il bisogno, questo regime, di stabilire delle prevenzioni, le quali possano garantire ancora che questi reati non saranno commessi.

Questa è la portata del disegno di legge. Ora, su questi punti, malgrado l’autorità di eminenti parlamentari come l’onorevole Nitti, io penso che questo disegno di legge non solo sia da difendere, ma da attuare, in quanto con questo provvedimento non si vengono a scuotere quelli che sono i fondamenti dei nostri principî liberali, perché, non verso i fascisti di ieri noi ci muoviamo, ma ci preveniamo perché non risorga la possibilità di movimenti politici e di situazioni che nessuno può dire che siano stati benefici per il popolo italiano. Con queste previsioni, e lasciando alla tecnica successiva di perfezionare il provvedimento, io credo che in piena coscienza e con la piena sicurezza della nostra responsabilità, possiamo approvare questo disegno di legge così come è stato presentato dalla Commissione.

Ad ogni modo, se gli emendamenti tecnicamente proposti non saranno tali da incidere su quello che è il fondamento della legge, potranno essere dall’Assemblea, come pure dal Governo, accolti, perché tutti ci proponiamo di creare uno strumento che sia opportuno per superare le difficoltà del momento. Se ci potranno essere possibilità di altri miglioramenti da proporre in sede di perfezionamento, il Governo è sempre consenziente, quando si tratta di fare una legge giusta e migliore anche nella sua applicazione (Applausi).

PRESIDENTE. Penso ora che sia opportuno procedere alla votazione dei due ordini del giorno presentati dall’onorevole Benedettini e dall’onorevole Condorelli ed altri.

L’onorevole Benedettini propone senz’altro di respingere il disegno di legge; l’onorevole Condorelli propone di rinviarlo alla Sottocommissione, affinché essa lo rielabori in base alle direttive che l’onorevole Condorelli stesso ha svolto nel suo intervento e che, ove l’Assemblea le accettasse, diverrebbero direttive dell’Assemblea stessa.

Passiamo pertanto alla votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Benedettini:

«L’Assemblea Costituente;

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo 1947 e la relazione della Sottocommissione;

considerato che tale disegno di legge non risponde né alle necessità dei tempi, né al mutato clima morale e politico del Paese;

affermato che per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del Trattato di pace, basti il Codice penale vigente e non occorrano leggi eccezionali;

respinge il disegno di legge e passa all’ordine del giorno».

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Il nostro Gruppo voterà contro i due ordini del giorno che sono stati presentati. Dopo quanto è stato dichiarato sia dall’onorevole Bettiol, Relatore della Sottocommissione, sia dal Ministro Guardasigilli per il Governo, io non credo di dover spiegare lungamente le ragioni per le quali noi siamo contrari ai rinvii proposti dai nostri colleghi con questi due ordini del giorno e favorevoli, invece, nelle grandi linee, a questa legge, salvo gli emendamenti di carattere tecnico che possono essere proposti in questa sede.

Intorno a questa legge si è un po’ ironizzato, accennando alle difficoltà del momento ed alla insufficienza delle ipotizzazioni criminose in esame e delle finalità della legge, di fronte alla turbata vita civile del nostro Paese. Ma noi pensiamo che a questa legge non si possa chiedere più di quanto essa può dare.

Essa ha una finalità limitata, in quanto tende ad attuare, da un lato un impegno internazionale assunto dal nostro Paese, realizzando la repressione dell’attività di carattere fascista, e dall’altro a difendere il regime repubblicano, di fronte alle offese che possano essere ad esso arrecate. Chiedere alla legge che risolva altri problemi, certamente molto gravi, che si presentano in questo momento nel nostro Paese, significa chiedere ad essa ciò che non può dare.

Peraltro, così come essa è, con il suo obiettivo limitato, questa legge corrisponde ad esigenze di tutela della libertà di tutti e di stabilità istituzionale, verso le quali si dimostra giustamente sensibile, nella sua maggioranza, l’Assemblea, così come si è dimostrato e si dimostra sensibile il Governo.

Si è detto che si tratta di una legge eccezionale; si è detto che essa costituisce un attacco alla libertà. Dopo quanto è stato osservato dall’onorevole Bettiol, credo che si possa essere tranquilli su questo punto. Avendo presente, per esempio, l’avvenuta soppressione dell’articolo 6 della legge che incrimina la semplice manifestazione di una opinione politica nei confronti dell’istituzione monarchica, apportati alla configurazione delle ipotesi criminose quei miglioramenti tecnici e sostanziali, ai quali ha accennato l’amico Bettiol, ci troviamo semplicemente di fronte ad una legge, la quale reprime le manifestazioni del fascismo che voglia ritornare ad esplicare la sua attività delittuosa d’oppressione e colpisce le violenze dirette alla restaurazione dell’istituto monarchico.

Senza sopravvalutare, come forse si fa con scarsa obbiettività di giudizio, da parte di nostri colleghi, i pericoli che corre la struttura democratica dell’Italia, non si può negare che pericoli di questo genere sussistano e che, ad ovviarli, debba provvedere la nostra attività legislativa.

Per queste ragioni credo che, opportunamente la legge sia stata presentata e che essa possa essere tranquillamente votata, salvo gli emendamenti di carattere tecnico.

Ne deriverà per il nostro popolo un senso maggiore di sicurezza nei riguardi della stabilità, sia dell’ordinamento democratico, sia del regime repubblicano.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, io sono firmatario di uno dei due ordini del giorno, di quello che è stato illustrato dall’onorevole Condorelli. Voglio dire perché voterò a favore dell’uno e dell’altro ordine del giorno; ma vorrei anche fare alcune osservazioni che mi sembra abbiano un loro significato.

Io sono un uomo pigro, terribilmente pigro, ed ho ammirato e compatito gli sforzi giganteschi che hanno fatto tanto l’onorevole Relatore, quanto il Ministro di grazia e giustizia, per cercare di conciliare la loro coscienza – il Ministro ha detto addirittura di liberale, nel suo caso – con una legge che tutti gli aggettivi può avere meno quello di liberale.

Le leggi eccezionali non sono altro che una strada per la quale ci si incammina verso l’arbitrio, uscendo da quella che è la normalità comune per tutti.

Quindi qualunque legge speciale, comunque essa sia concepita, non ha posto in uno Stato democratico. Se uno Stato democratico, nella sua ordinaria legislazione, non trova infatti la sua difesa, vi introduca la sua difesa, ma sia legge ordinaria e non sia legge straordinaria.

E quando l’onorevole Relatore si è, nel suo sforzo, lasciato sfuggire un lapsus notevole – perché ha parlato di politica criminale e la frase si poteva intendere in due sensi (Commenti). – egli ci ha parlato di odio al totalitarismo. Ma io mi permetto di fargli notare che questa non è una legge contro il totalitarismo; se fosse infatti una legge contro il totalitarismo, essa non punirebbe soltanto i fascisti in quanto tali, ma punirebbe il fascismo in quanto fascismo, cioè in quanto sistema e metodo, in quanto aspirazione totalitaria; punirebbe quel totalitarismo, che l’onorevole Relatore ha affermato di odiare e che non è monopolio soltanto dei fascisti.

Potrebbe anzi qualcuno pensare che questa legge, fatta contro le larve di un fascismo che non è ricorrente, contro un fascismo che non v’è e che non vuol risorgere…

PRIOLO. Magari fossero soltanto larve!

LUCIFERO. …potrebbe essere indirizzata contro altri fascismi e, nel caso particolare, nell’attuale situazione, cioè, che caratterizza la vita politica italiana, contro un particolare partito fascista! E per quanto io non sia certo tenero nei confronti di quel partito, sarei però contrarissimo ad una legge che fosse fatta per colpire quel determinato partito.

Queste leggi eccezionali possono d’altra parte avere due sole funzioni: o sono, come fu per l’epurazione, leggi di salvataggio e di vendetta insieme, oppure sono leggi che si fanno per metterle nel cassetto e tirarle fuori quando servono contro qualcuno. Le leggi eccezionali non sono mai fatte, o signori, per difendere lo Stato e la collettività: le leggi eccezionali sono sempre concepite contro qualcuno; esse non sono un atto di amore, come dovrebbero essere le leggi democratiche in uno Stato civile, ma sono un atto di odio, che prepara l’odio, che prelude all’odio.

Basterebbero d’altra parte le leggi ordinarie, quando si volessero veramente applicare. Mi si consenta anzi di concludere con una nota che può essere anche allegra, perché v’è una gaiezza anche nel Codice penale. (Commenti). Quando noi parliamo di difesa dello Stato e di tutte quelle altre cose con le quali abbiamo drammatizzato questa discussione, noi troppo spesso ci dimentichiamo di quante leggi abbiamo che nessuno applica e di cui nessuno si occupa.

Onorevole Guardasigilli, ha lei presente l’articolo 273 del Codice penale? Mi permette che glielo legga? «Chiunque, senza autorizzazione del Governo, promuove, costituisce, organizza o dirige nel territorio dello Stato associazioni, enti o istituti di carattere internazionale o sezioni di esse, è punito, ecc.».

Come dunque le mettiamo certe cose in campo politico, onorevoli colleghi? (Commenti a sinistra).

Limitiamoci quindi alla legge ordinaria che già sarebbe molto difficile applicare, e non facciamo leggi speciali che potrebbero farci cadere o nella criminalità penale – non nel senso pensato dall’onorevole Bettiol – o nel ridicolo; il che sarebbe ancor peggio, perché sarebbe criminalità nazionale contro lo Stato che noi stiamo costruendo. (Applausi a destra – Commenti).

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io mi associo, onorevoli colleghi, a quanto hanno detto l’onorevole. Benedettini, l’onorevole Condorelli, l’onorevole Russo Perez, l’onorevole Lucifero e l’onorevole Nitti, che io ho ascoltato, come sempre, con la maggiore attenzione e con profondo interesse.

Il disegno di legge in esame può anche essere – come ha detto dianzi l’onorevole relatore Bettiol – «né di Caino né di Abele»; ma ciò è in contrasto, in evidente contrasto, con la finalità, che noi tutti ci proponiamo, o diciamo di proporci: il raggiungimento della pacificazione del popolo italiano. Il popolo italiano non sente più gli odî e le divisioni, il popolo italiano depreca gli uni e gli altri, perché li considera deleteri per la propria vita e per il proprio progresso.

Non sembra neanche a me, d’altra parte, che questo disegno di legge sia espressione di un clima veramente democratico, che pure tutti dicono di auspicare. Ci troviamo di fronte all’emanazione di una legge speciale, straordinaria, eccezionale, di una legge che eufemisticamente il Relatore ha chiamato «di difesa». Ora, le leggi eccezionali, le leggi straordinarie, le leggi di difesa rappresentano sempre una stonatura – sempre, dico, non in alcuni casi soltanto – nel sistema della repressione penale. E ciò senza sottolineare, come da altri è stato sottolineato, che nel Codice nostro abbiamo tutta una serie di chiare, precise disposizioni, frutto di una lunga elaborazione scientifica e giurisprudenziale, le quali prevedono – prevedono con esattezza – tutti i fatti delittuosi, che sono indicati nel disegno di legge, di cui ci stiamo occupando.

Io voterò, quindi, a favore degli ordini del giorno che sono stati presentati, diretti a respingere il disegno di legge. (Commenti a sinistra – Applausi a destra).

CASTIGLIA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTIGLIA. A nome del Gruppo parlamentare dell’Unione nazionale, dichiaro che noi voteremo a favore dell’ordine del giorno Benedettini… (Interruzioni – Commenti all’estrema sinistra) per delle ragioni che sono intuitive. (Commenti).

Prima di tutto noi siamo assolutamente contrari a qualsiasi legge eccezionale… (Interruzioni a sinistra).

MUSOLINO. Nel 1926 non ha parlato!

Una voce a destra. Non c’eravamo noi.

CASTIGLIA. Non mi interessa, perché non facevo della politica nel 1926. La vostra insinuazione non mi riguarda.

Noi siamo contrari alle leggi eccezionali, specialmente quando queste leggi eccezionali sono congegnate così come è congegnata questa. Questa legge, attraverso l’equivocità della formulazione, attraverso la imperfezione delle definizioni sia per quanto riguarda l’attività fascista in senso così lato, sia per quanto riguarda l’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico – perché, si badi bene, non si parla della dinastia sabauda, ma dell’istituto monarchico – si presta a tutte le interpretazioni malevoli (Commenti a sinistra). Conseguentemente, può trasformarsi in uno strumento di oppressione politica (Commenti a sinistra) alla quale noi ci opponiamo con tutte le nostre forze.

Questa legge, in un momento nel quale si parla di pacificazione degli animi, è niente altro che l’antidoto contro questo tentativo di pacificazione; e siccome noi siamo convinti che è necessario pacificare realmente gli animi, voteremo perché la legge non sia presa in considerazione e non sia votata. Così facendo noi riteniamo di servire veramente gli interessi del Paese, perché, se v’è qualche cosa che possa turbare l’ordine, la tranquillità, l’ordinamento giuridico dell’Italia, bastano le norme punitive ordinarie, bastano le norme del Codice penale – come da altri è stato detto – senza ricorrere a quelle leggi eccezionali le quali, checché ne pensi il Ministro liberale della giustizia, sono sempre antiliberali.

Né importa quella definizione fatta, sia dal Ministro della giustizia, sia dal Relatore, sulla differenza che correrebbe fra le norme ordinarie del Codice penale e la legge eccezionale. Mi dice il Ministro Guardasigilli che la differenza consisterebbe nel fatto, che le norme che oggi si vorrebbero votare avrebbero uno scopo di difesa preventiva. Francamente non so come si possa attribuire a questa legge eccezionale questa particolare funzione preventiva che è anche di tutte le leggi penali. Né il fatto che si limiterebbe la durata della legge nel tempo inficia questi concetti che vi ho brevemente esposti. Né vale quello che ha detto l’onorevole Relatore Bettiol…

PRESIDENTE. Onorevole Castiglia, nelle dichiarazioni di voto non v’è bisogno di rispondere ai Relatori!

CASTIGLIA. Cosa intende dire il Relatore dichiarando che con questa legge si vogliono punire i fascisti recidivi? Ancora una volta denunciamo al Paese che la legge, così come è congegnata, con questa inesattezza di linguaggio tecnico e giuridico, si presta a divenire strumento di oppressione, contro il quale noi ci ribelliamo! (Applausi a destra – Commenti all’estrema sinistra).

COPPA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Vorrei dire una banalità e cioè che in sede di dichiarazioni di voto si debbono fare solo dichiarazioni di voto. È giusto che ogni singolo membro dell’Assemblea abbia il diritto – e spesse volte il dovere – di dichiarare personalmente il proprio voto; bisognerebbe però evitare che deputati, che appartengano ad una stessa corrente politica, ripetano la dichiarazione, e tutti con gli stessi motivi.

Fatta questa osservazione, do facoltà di parlare all’onorevole Coppa.

COPPA. Dopo l’intervento del collega Castiglia, sarebbe inutile – come ha detto il Presidente – prendere la parola. Senonché, fra tanti colleghi avvocati, i quali sarebbero i responsabili delle leggi che approviamo, lasciate che parli anche chi la legge apprende per la prima volta avendo fra le mani queste carte.

PRESIDENTE. Ma, onorevole Coppa, è dal 17 marzo che sono stampate queste disposizioni!

COPPA. Pochi mesi non bastano a cambiare la forma mentis di tutta una vita, naturalmente. Ora, io rilevo – ed è per questo che voterò a favore dei due ordini del giorno – che v’è una contradizione fra le dichiarazioni del Relatore e quello che è scritto nella relazione. Precisamente il Relatore ha detto: «qui non si farà il processo alle intenzioni». Invece è precisamente il processo alle intenzioni che questa legge darà la possibilità di fare. Basta leggere quello che ha scritto l’onorevole Bettiol: «Per quanto riguarda il secondo comma dell’articolo 1, pare alla Sottocommissione che la pena prevista per la semplice adesione sia troppo elevata, per cui propone che chiunque vi aderisce sia punito con la reclusione sino a 3 anni. Si deve trattare di adesione, non di iscrizione, perché chi si iscrive ad un partito, concorre alla costituzione del partito stesso».

Scusatemi, come farete a dimostrare l’adesione di un individuo? Basterà una frase pronunziata in pubblico o in privato e riportata e denunciata per mettere sotto processo un individuo? Questa è la legge che voi state preparando.

Soltanto questo volevo mettere in evidenza perché tutto il resto è stato rilevato. (Approvazioni a destra).

MAFFIOLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFIOLI. A titolo esclusivamente personale, dichiaro che voterò a favore della legge, e quindi contro gli ordini del giorno.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. A nome del Gruppo repubblicano, dichiaro che mi associo alle conclusioni del Relatore e che voteremo contro i due ordini del giorno presentati che intendono rinviare la discussione sui singoli articoli.

GEUNA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Faccio una dichiarazione di voto a titolo esclusivamente personale, in quanto in questa votazione dissento dal mio Gruppo, e dichiaro che non voterò a favore di questa legge, ma voterò a favore dell’ordine del giorno Benedettini. Io non posso concepire e non posso ammettere l’unione che si è fatta fra l’attività fascista, che deve essere repressa, e per la quale io sono pronto per il primo a dare il mio voto, con quella che è l’attività intesa alla restaurazione dell’istituto monarchico per cui non entro in merito. Io non posso col mio voto, che vuole approvare le norme per la repressione dell’attività fascista, unire in un giudizio uguale una legge per la repressione della medesima e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (Commenti a sinistra – Applausi a destra).

PRESIDENTE. Avverto che sull’ordine del giorno Benedettini è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Benedettini, Puoti, Patrissi, De Falco, Bonino, Condorelli, Castiglia, Russo Perez, Miccolis, Coppa, Rodi, Colitto, Perrone Capano, Bencivenga, Marinaro, Abozzi, Penna Ottavia, Patricolo e Covelli.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sull’ordine del giorno dell’onorevole Benedettini, di cui ho dato testé lettura.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Camposarcuno. Si faccia la chiama.

COVELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi.

Bencivenga – Benedettini – Bonino.

Castiglia – Colitto – Condorelli – Coppa Ezio – Covelli.

De Falco.

Fresa.

Geuna – Giacchero.

Lucifero.

Marina Mario – Marinaro – Mazza – Miccolis.

Patricolo – Patrissi – Penna Ottavia – Perrone Capano – Perugi – Puoti.

Quiptieri Quinto.

Rodi – Rodinò Mario – Russo Perez.

Siles.

Tumminelli.

Rispondono no:

Amadei – Arata.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Ilio – Bartalini – Bazoli – Bei Adele – Belotti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Braschi – Bubbio – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Carboni Angelo – Carignani – Carpano Maglioli – Carrafelli – Cassiani – Castelli Avolio – Cevolotto – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Colonnetti – Conci Elisabetta – Corbi – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – D’Aragona – Del Curto – Della Seta – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – D’Onofrio – Dossetti.

Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Filippini – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fuschini.

Gariato – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giolitti – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Lozza – Luisetti.

Maffi – Maffioli – Malagugini – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Marinelli – Martinelli – Mastino Gesumino – Mattarella – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina –Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagana Mario – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto.

Paolucci – Parri – Pat – Pecorari – Pellegrini – Pera – Perassi – Pertini Sandro – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Priolo.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo.

Salvatore – Sampietro – Sansone – Sapienza – Saragat – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Sicignano – Silipo – Spallicci – Stampacchia.

Tambroni Armaroli – Targetti – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Veroni – Vicentini – Vigna – Villani.

Zanardi.

Si sono astenuti:

Conti.

Sono in congedo:

Arcaini.

Bergamini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Vischioni.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Comunico che l’Assemblea non è in numero legale, e pertanto la seduta è sciolta e l’Assemblea è riconvocata domani mattina, alle 10 per riprendere la discussione su questo disegno di legge.

I nomi degli assenti senza regolare congedo saranno pubblicati sulla Gazzetta. Ufficiale.

Avverto che nel pomeriggio la seduta si terrà alle 17 per il seguito della discussione del progetto di Costituzione.

La seduta termina alle 14.10.