ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCXCVII.
SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Merlin Umberto
Mannironi
Crispo
Grassi
Adonnino
Bertini
Mastino Gesumino
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Romano
Colitto
Mastino Pietro
Persico
Ghidini
Laconi
Costa
Nobili Tito Oro
De Palma
Perrone Capano
Caroleo
Conti
Targetti
Abozzi
Caccuri
Damiani
Rossi Paolo
Lussu
Moro
Interrogazione urgente (Svolgimento):
Presidente
Scelba, Ministro dell’interno
Sansone
Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
Scelba, Ministro dell’interno
Sui lavori dell’Assemblea:
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 17.
RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Sono stati presentati altri ordini del giorno, che debbono ancora essere svolti, Tuttavia, non so se sia opportuno di procedere subito allo svolgimento di tutti, in quanto alcuni di essi pongono questioni che si ritrovano in articoli, nel cui merito dobbiamo ancora entrare.
Ritengo che sia opportuno limitarsi ora agli ordini del giorno che hanno carattere generale; quelli nei quali vengono trattate questioni specifiche credo sia bene riservarli (sia per quanto riguarda il loro svolgimento, come per la votazione) al momento in cui affronteremo gli articoli nei quali dette questioni vengono esaminate.
Debbo osservare inoltre che molti di questi ordini del giorno non mi sembrano pertinenti a problemi costituzionali e precisamente alla determinazione costituzionale della struttura e del funzionamento della Magistratura.
Se per connessione si intende il fatto che in questi ordini del giorno si pongono questioni che toccano il problema del funzionamento e della struttura di determinati organi giurisdizionali, la connessione c’è, ma essa deve essere valutata in relazione al quesito se si tratti o no di questioni costituzionali. Io penso che molti e forse tutti i colleghi dell’Assemblea sono giunti di già a questa convinzione: che una parte di questi ordini del giorno troverà ottimamente sede allorché la futura Camera legislativa discuterà dell’ordinamento e della struttura giudiziaria, ma che in questo momento essi non dicono nulla che interessi l’Assemblea. Ve ne è poi qualcuno di questi ordini del giorno che si riferisce addirittura ad aspetti così particolari del funzionamento della Magistratura che forse non potrebbero essere esaminati neanche quando si discutesse all’Assemblea legislativa del riordinamento generale della Magistratura ma soltanto allorché vi fossero poste questioni del tutto particolari.
Io voglio comunque decidere fin da questo momento se sia opportuno porre in discussione tutti questi ordi.ni del giorno e quindi dare la parola ai presentatori: è una questione che verrà risolta nel momento in cui di questi ordini del giorno daremo lettura. Ma io vorrei che i colleghi che li hanno presentati accedessero alle proposte che farò o alle decisioni che mi riservo di prendere in proposito, mosso unicamente dalla preoccupazione non di evitare che si dica ciò che si deve dire, ma che si dicano cose che in questo momento non hanno ragione di essere dette e che potrebbero essere più utilmente dette in altra sede. Dopo queste considerazioni, l’onorevole Merlin Umberto ha facoltà di svolgere il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente riafferma:
che base e fondamento di un regime democratico deve essere la autonomia e la indipendenza assoluta della Magistratura, la quale non deve dipendere da alcun altro potere dello Stato;
che, per assicurare tale indipendenza, bisogna vietare la istituzione di giudici sia speciali, sia straordinari, che il più spesso nascondono organi che il potere esecutivo si crea per giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti di prepotenza, violatori delle libertà fondamentali del cittadino;
che la eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sarebbe cosa vana senza la unicità della giurisdizione civile, penale ed amministrativa e che, in particolare, va mantenuta la Cassazione unica, come supremo giudice di diritto, e va evitato qualsiasi trasferimento delle sue funzioni ad altro organo con conseguente menomazione dei diritti dei cittadini;
che, per assicurare la indipendenza dei magistrati, occorre dare adesso la libertà dal bisogno;
che il reclutamento dei magistrati deve essere fatto solo per concorso o per titoli, con divieto ai magistrati di appartenere a partiti politici o ad associazioni segrete;
che la giuria popolare va abolita avendo fatto pessima prova in tutte le materie che vennero sottoposte al suo giudizio;
che, infine, ad accentuare il carattere giurisdizionale della Corte costituzionale, a coordinare l’attività delle due Supreme Corti e ad evitare la possibilità di conflitti, è giusto che la Corte costituzionale sia presieduta dal Primo Presidente della Cassazione.
«Accettando i principî affermati in queste premesse,
delibera
1°) che nella nuova Costituzione sia garantita alla Magistratura piena autonomia e perfetta indipendenza;
2°) che siano aboliti i giudici speciali o straordinari e sia affermato il principio della unità della giurisdizione civile, penale, amministrativa;
3°) che conseguentemente sia mantenuta la Cassazione Unica per tutte le materie civili e penali;
4°) che sia rimessa all’ordinamento giudiziario la questione della giuria popolare;
5°) che sia data ai magistrati una posizione economica adeguata alle loro funzioni, alla loro dignità ed al necessario prestigio».
MERLIN UMBERTO. Io accolgo subito il desiderio espresso dal nostro illustre Presidente, e mi limiterò a svolgere i punti più importanti del mio ordine del giorno. Dico anzi che un mio intervento, dopo tanti discorsi di autorevoli colleghi, potrebbe anche essere o sembrare superfluo. Ho un’unica scusa, per la quale mi permetto di rivolgermi ai colleghi in questo momento e alla chiusura della discussione generale. La scusa è questa: che, per quanto per pochi mesi, ho vissuto al Ministero di giustizia; ho lavorato in quel dicastero, ho studiato il grave problema della Magistratura, ho conosciuto da vicino anche i desideri dei magistrati. E quindi mi sembra quasi di rendere un doveroso omaggio a questi benemeriti servitori dello Stato, esprimendo il mio parere su questo delicato ed importante argomento.
Il mio ordine del giorno è abbastanza complesso, e riguarda soprattutto quella che è la funzione della Magistratura, quelli che sono i doveri e i diritti di quello che venne definito il terzo potere dello Stato.
Nella Carta statutaria noi dovevamo occuparci di questo problema, non solo perché se ne occupano tutte le carte statutarie, ma perché è chiaro che se noi della Costituzione vogliamo creare i muri maestri e il tetto, dobbiamo anche ben fissarne le fondamenta; e dobbiamo necessariamente regolare e disciplinare gli organi che saranno incaricati domani di applicare e difendere, se occorra, contro tutto e contro tutti, quei diritti che la nuova Carta statutaria assicura a tutti i cittadini.
Io non do una grande importanza alla distinzione del nome «ordine» o «potere»; a me basta che rimanga ferma la libertà e la indipendenza della «funzione». Ora è quasi superfluo ch’io ricordi ai colleghi che noi abbiamo votato già tutti gli articoli, che assicurano le libertà fondamentali dei cittadini: la libertà personale, la libertà di stampa, la libertà di organizzazione, la libertà di professare la propria fede religiosa e di diffonderla, la libertà di organizzarsi nei partiti che ciascuno creda di scegliere, concorrendo con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Questo complesso di diritti forma la «democrazia costituzionale». Avremmo perduto perfettamente del tempo, e avremmo scritto degli articoli che rimarrebbero lettera morta, se noi non assicurassimo anche la libertà e l’indipendenza all’organo che sarà chiamato a difendere questi diritti contro tutti. Sempre, nella storia di ogni popolo, in qualunque momento, la democrazia ha potuto resistere, vivere e prosperare, se ha saputo contare su una Magistratura libera e indipendente; e la democrazia, invece, è crollata come un ramo secco, dove la Magistratura è stata soltanto serva del potere esecutivo.
La Magistratura è la garanzia effettiva della libertà e dei diritti dei cittadini.
Come noi dobbiamo assicurare questa indipendenza alla Magistratura e in che modo? Ci si è domandato: contro chi? Forse contro lo Stato? No, mai contro lo Stato, ma contro uno dei poteri dello Stato, contro quello che più spesso è tratto, per mala volontà di uomini o per lo strapotere di un partito, ad uscire dai limiti della sua sfera d’azione. Troppo spesso è accaduto nei secoli che «vicino a un principe che viola la legge è rarissimo che non vi sia un giurista, il quale assicuri di non esservi nulla di più legittimo, dimostrando sapientemente che la violenza è giusta», perché non si senta irrefrenabile l’aspirazione di formare dei magistrati superiori per moralità, cultura e perfetta indipendenza di giudizio. Onde, se vogliamo assicurare la libertà ai cittadini, bisogna che la Magistratura sia assolutamente libera e indipendente; e l’articolo 97 pare che non contraddica a questo principio quando dice che «la Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente».
Qualche riserva è stata fatta da qualche banco, ma io credo e spero (lo ha detto qui con parola più autorevole della mia un uomo da tutti noi stimato per la sua indipendenza, per il suo carattere, per la sua fede: l’onorevole Conti, che l’Assemblea possa votare all’unanimità questo articolo che è uno dei capisaldi del nuovo Statuto.
Non c’è bisogno che io vada divagando nel vasto campo delle discipline politiche per riaffermare cose che costituiscono patrimonio e conoscenza comune.
Tutti sanno che la tripartizione dei poteri dello Stato non è una creazione artificiosa né dei cultori di diritto pubblico, né della filosofia o delle scienze politiche.
Essa è una realtà, risponde alla diversità delle funzioni, che possono anche confondersi nella stessa persona, ma che esistono.
Già in Aristotele si parla di potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e Montesquieu ha ricalcato le vie di Marsilio da Padova e di Machiavelli.
Ora, fin dalle più antiche costituzioni – io alludo per esempio a quella degli Stati Uniti d’America, che ha preceduto anche la rivoluzione francese – si scriveva che «la separazione dei poteri è la prima condizione di un governo libero».
Alcuni dicono: «Ma volete mettere un potere contro l’altro? Volete offendere la sovranità dello Stato che deve essere unica?».
Rispondo: il principio della separazione dei poteri non rinnega l’altro della sovranità una ed indivisibile, ma postula invece una sana ed utile collaborazione. Ciascun potere nei suoi limiti e nei suoi confini. Questo è lo Stato democratico ed è il contrapposto dello Stato totalitario. Come lo Stato democratico autolimita i suoi poteri nei riguardi della famiglia e dell’individuo, così esso fissa i limiti dell’esecutivo, del legislativo e del giudiziario. E ciascuno di questi tre poteri, osservando le sfere della sua competenza, è di necessità portato alla sana collaborazione, con che viene rafforzata e non indebolita la unità della sovranità dello Stato.
Io per primo riconosco ed ammetto che la teoria fondamentale del Montesquieu abbia nel corso del tempo subito anche delle trasformazioni e delle modificazioni e che, pur avendo avuto sempre (come insegna il nostro illustre collega Orlando) una notevole influenza nel campo di queste discipline, tuttavia abbia anche subito delle attenuazioni. Ma è certo, onorevoli colleghi, che se noi non diciamo francamente di essere tutti d’accordo su questo punto, noi creiamo dei dubbi, delle incertezze e delle confusioni a tutto danno della «democrazia» che vogliamo invece rafforzare e difendere.
Credetelo, io rispetto l’opinione contraria, rispetto anche i dubbi che possono essere stati sollevati; ma in questo campo non si può volere e disvolere. Non si può, per esempio, volere una indipendenza a metà ed ammettere, viceversa, un controllo per l’altra metà.
O la si vuole piena ed intera questa indipendenza, e la si riconosce come un dovere e un interesse dello Stato, o se no, un po’ alla volta, si riduce la libertà dei magistrati e si cade nell’arbitrio.
Parliamoci chiaro: che cosa si domanda ai magistrati? Si domanda forse ai magistrati di essere dei giudici «futuristi», dei giudici i quali applichino leggi che non sono state ancora approvate? Voi capite benissimo che questo sarebbe un pericolo gravissimo perché si sovvertirebbe tutto l’ordine giuridico dello Stato e si creerebbe l’abuso dove, viceversa, noi vogliamo la sicurezza del diritto di ciascuno.
Voi, quando dubitate dei magistrati, forse non li conoscete a sufficienza. Essi non sono né conservatori né retrivi. Sono, sì, conservatori in quanto, per forza di cose, applicando la legge che esiste, vogliono rispettare l’ordine giuridico costituito, ma non sono dei conservatori se voi e il Parlamento farete delle leggi progressiste, la riforma agraria, la riforma industriale; se faremo soprattutto delle leggi chiare, delle leggi ben fatte, delle leggi meditate e non improvvisate, delle leggi con linguaggio giuridico esatto e con terminologia precisa, i giudici osserveranno la legge e l’applicheranno in tutta la sua estensione! (Approvazioni).
Del resto, che paura avete della Magistratura? Badate che nel corso dei secoli mai si sono avuti colpi di Stato da parte dei magistrati! I colpi di Stato son venuti da ben altro potere e precisamente dal potere esecutivo. La Magistratura qualche volta ha piegato anche la schiena, ma io vorrei dire a questo proposito, ripetendo quello che ha detto l’onorevole Conti in quest’Aula, che, se noi proprio con animo sereno vogliamo giudicare quella che è stata la Magistratura anche durante il regime fascista, non potremmo dire onestamente che essa sia stata semplicemente composta di uomini schiavi. Se noi antifascisti trovavamo conforto nella nostra pena, se noi avevamo qualche funzionario dello Stato al quale confidare le nostre tribolazioni e dal quale avere qualche aiuto, se soprattutto nel nostro esercizio professionale noi andiamo ricordando quello che hanno fatto i magistrati, noi dobbiamo riconoscere che c’era sì da parte del gerarca avvocato l’illecita intromissione, con la quale egli spesso pretendeva delle sentenze ingiuste, ma, fatta qualche rara eccezione, i magistrati non ne hanno scritto delle sentenze ingiuste! E il cittadino, anche in quel periodo di tempo, ha potuto affidare ai magistrati il suo patrimonio ed il suo onore senza avere il pericolo che gli si negasse giustizia! E gli avvocati anche antifascisti hanno potuto liberamente parlare nelle aule dei tribunali.
Ora pare – ripeto – che la Costituzione a questi principî si ispiri; ma una subordinazione almeno parziale della Magistratura al potere esecutivo e legislativo io la trovo in questi quattro punti: istituisce giudici speciali in ogni materia, meno che in quella penale; stabilisce che metà dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, e fra questi anche un Vicepresidente, che sposta la maggioranza a danno dei magistrati, siano eletti dalle Assemblee legislative; dispone in linea generale e limita a proprio beneplacito la tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi verso gli atti della pubblica amministrazione; sospende l’esecuzione d’una Sentenza irrevocabile.
Ora, o colleghi, per non cadere in questi inconvenienti, bisogna correggere qualche articolo. La Costituzione, com’è proposta, merita ad esempio correzione all’articolo 97 che riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura. Questo Consiglio è presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto da due Vicepresidenti: uno è il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il secondo è nominato dall’Assemblea Nazionale; poi vengono i membri eletti per metà dai magistrati e per metà ancora dall’Assemblea Nazionale.
Ora basta tirare le somme per vedere che in questa maniera noi approveremmo non il Consiglio della Magistratura, ma un altro Consiglio, perché in quel Consiglio i magistrati sarebbero in minoranza. L’Assemblea Nazionale, che è un’Assemblea politica, verrebbe a disporre del Consiglio Superiore della Magistratura. E qui io voglio ricordare una cosa: siccome tutto migliora, noi dobbiamo, prima di accingerci a modificare quello che è lo stato di fatto e di diritto attuale, tenere conto delle conquiste che la classe dei magistrati ha ottenuto; noi non possiamo dimenticare che oggi è in vigore una legge, quella del 31 maggio 1946, n. 511, che porta la firma di De Gasperi, porta la firma di Corbino, ma porta anche la firma del Guardasigilli Togliatti.
Ora, se vi è stata una legge democratica, una legge la quale sia venuta incontro alle aspirazioni dei magistrati nel modo migliore, è questa e io ne faccio lode precisamente a colui col cui nome questa legge si appella, all’onorevole Togliatti perché, evidentemente, come Guardasigilli fu lui che l’ha preparata, l’ha fatta approvare e l’ha fatta diventare legge dello Stato. Con questa legge sono istituiti i Consigli giudiziari in ogni Corte d’appello, è istituito il Consiglio Superiore della Magistratura, tutti eletti dai magistrati. In ogni Corte d’appello si riuniscono i magistrati per la nomina del Consiglio distrettuale e per il Consiglio Superiore votano tutti i magistrati d’Italia.
Ora, è vero che voi mi potete rispondere che questo Consiglio Superiore della Magistratura in atto non ha tutti i poteri che noi, con l’articolo 97, gli daremmo. Ma intanto, o signori, c’è questo: tutti i giudizi disciplinari contro i magistrati sono decisi da tribunali composti di magistrati: l’ammonimento, la censura, la perdita di anzianità, la rimozione e destituzione sono decisi da tribunali composti esclusivamente di magistrati. Sono provvedimenti delicatissimi che non vengono affidati ad estranei, ma a magistrati. Ma anche sulle promozioni, le assegnazioni e i trasferimenti è il Consiglio Superiore che dà il suo parere e voi ne comprendete tutta la importanza.
Voi capite benissimo che non c’è Ministro e non c’è stato Ministro dal momento della nostra liberazione ad oggi che non abbia tenuto in massimo conto questo parere. Nessuno ha promosso un magistrato trascurando il parere del Consiglio Superiore. Ed allora, volete oggi dare meno di quanto i magistrati abbiano già ottenuto?
Allora ecco la proposta che io faccio: io tengo fermo che questo Consiglio Superiore della Magistratura sia presieduto dal Presidente della Repubblica. È una innovazione identica a quella della Costituzione francese, articolo 83.
Io spero e confido che i magistrati accetteranno questo loro capo, sentiranno anzi l’onore, l’orgoglio che il loro massimo Consiglio sia presieduto proprio dal Capo dello Stato.
Io domando semplicemente che sia tolto il secondo Vicepresidente che non ha ragione di essere; sia lasciato un solo Vicepresidente e cioè il Primo Presidente della Corte Suprema e sia data la maggioranza, leggera, se volete, ma maggioranza, ai magistrati e che gli altri membri siano eletti dall’Assemblea Nazionale sia pure, ma siano eletti in certe categorie, ex magistrati, avvocati, non che abbiano sospeso la professione, ma che la abbiano abbandonata del tutto e che si siano fatti cancellare dall’albo degli avvocati, perché solo così questi uomini potranno compiere con piena indipendenza il loro dovere, ed infine professori di università. Ecco la collaborazione in atto. Tra questi uomini eccelsi per studio, per ingegno, per capacità, sorgerà piena e facile la più cordiale fusione di intenti e di opere.
È una proposta semplicissima, ma è una proposta che viene incontro ai desideri dei magistrati.
Io non so anche qui, perché noi, che cerchiamo nelle nostre leggi di accontentare, se è possibile, tutti i legittimi interessi della classe cui il provvedimento si riferisce, non dovremmo tener conto dei desideri dei magistrati e venire incontro in questa maniera ai voti che essi hanno espressi anche in Assemblee recenti, tenute qui a Roma. Diamo dunque soddisfazione a queste domande che, a parer mio, sono legittime.
Oltre a questo, quattro punti io intendo toccare. Io domando: 1°) che non possano essere istituiti giudici speciali o straordinari per nessuna materia; 2°) che la Corte di Cassazione sia unica nello Stato ed abbia sede in Roma e che essa abbia il compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge da parte degli organi giurisdizionali; 3°) che le questioni della giuria popolare siano rimesse alla legge sull’ordinamento giudiziario; 4°) che la Corte Costituzionale sia presieduta dal Primo Presidente della Corte di Cassazione.
Brevissimamente su ciascun punto.
Sapete voi quanti sono in Italia i giudici speciali? Se voi andate in biblioteca e consultate il Caliendo, che oggi se non erro è Primo Presidente della Corte di Appello di Roma, voi trovate che i giudici speciali in Italia sono 300. Voi credete forse che io scherzi? Ebbene, vi prego di leggere quel volume e di consultarlo, e voi vedrete che non c’è stata mai una legge in Italia con cui si sia riformato questo o quello istituto, la quale legge o per ragioni tecniche, o per necessità, o per alleviare i magistrati dalle loro fatiche o per inserire esperti nel Collegio giudicante (ciò che ammetto anche io, ma che può essere fatto anche accettando il mio principiò) non abbia creato un giudice speciale. In questa maniera, evidentemente, si viene ad offendere l’indipendenza della Magistratura, perché è chiaro che non si rispetta un organo se gradualmente gli si sottraggono le sue naturali funzioni.
Posso ammettere la necessità di rispettare il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, ma nessun altro giudice speciale o straordinario deve ammettersi.
Io vi ricordo semplicemente questo: nel corso della storia di ogni popolo, la creazione del giudice speciale è stata sempre un atto di prepotenza del potere esecutivo, con cui questo potere ha cercato di giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti contro la libertà, ed è per questo che io prego la Camera di voler accogliere l’emendamento che io propongo e che serve a garantire ancor più le libertà fondamentali del cittadino.
Ho creduto opportuno di insistere sulla Corte di Cassazione unica. Su questo argomento ho letto un ordine del giorno firmato da autorevolissimi colleghi, i quali vogliono ristabilire le Corti di Cassazione territoriali. Mi inchino a quello che è stato il contributo giuridico degli illustri magistrati di Torino, di Firenze, di Napoli, di Palermo, soprattutto di Napoli, la cui Cassazione ha una tradizione giuridica eccelsa. Mi inchino, ma non si dica: noi siamo contro la Cassazione unica perché questa è stata creata dal regime fascista. Storicamente è vero, ma basta conoscere per esempio il pensiero di Ludovico Mortara, che ha preceduto il fascismo e che non è stato certo fascista, e di tutti i giuristi, che sono una vera coorte, che hanno insistito sulla necessità della Cassazione unica, per non dover tener conto di quella osservazione. In Italia esisteva la Cassazione penale unica fin dal 1889; non c’era ragione perché non vi fosse anche la Cassazione unica civile.
Anche se cronologicamente la Cassazione unica civile è stata istituita dal fascismo nel 1923, il fascismo ha raccolto quello che già era stato elaborato dai giuristi in epoca anteriore. Ma io vi porto la mia modesta esperienza, che è quella di un avvocato senza pretese, che ha cominciato la professione giovanissimo e l’ha incominciata con le cinque Cassazioni territoriali.
Ebbene, non c’era causa in cui io citassi la cassazione di Firenze, nella quale l’avversario non mi controbattesse citandomi la cassazione di Napoli o di Firenze o di Palermo. Voi mi direte che ciò si verifica anche con la Cassazione unica a Roma attraverso le varie sezioni. Ma io vi rispondo che ciò si verifica per lo meno in misura assai inferiore. Anzi si può dire che durante tutto il periodo in cui è durata la presidenza di D’Amelio, la Cassazione unica ha mantenuto una lodevole uniformità di pareri e di decisioni.
Questa uniformità è una utilità evidente, perché chi conosce le sottigliezze del diritto e chi soprattutto sa il pochissimo tempo che hanno i giudici, specialmente quelli di grado inferiore, per rendere le loro sentenze, capisce quanto valga per loro una direttiva costante della Corte regolatrice. La dottrina sia libera e si evolva in piena libertà, ma la Corte regolatrice sia quanto più è possibile costante per dare una guida sicura ai giudici inferiori.
Vi dirò ora molto brevemente della giuria. Anche qui, io reco la mia esperienza. Io sono contro la giuria popolare. Anche se io rispetto il parere di coloro i quali hanno manifestato un’opinione diversa, non posso non affermare che in Italia oggi non c’è più un giurista che sostenga la giuria popolare: sono tutti contrari ed anche coloro che sono favorevoli riconoscono tutte le manchevolezze dei giudici popolari. Difettano i requisiti dei giudici, le modalità di esercizio delle loro funzioni, la natura delle decisioni che ne promanano e soprattutto manca la saldezza della pietra angolare su cui dovrebbe poggiare il giudizio: e cioè una precisa e netta separazione del fatto dal diritto.
Non esiste questa distinzione tra fatto e diritto: è una finzione perfetta. Manca nei giurati la competenza, il senso critico, la freddezza d’animo. È viva in loro la passionalità, l’emotività, tanto che è facile persino che essi piangano; e quando il giurato piange è finita: l’imputato è assolto. (Ilarità a sinistra).
MAFFI. Che peccato!
MERLIN UMBERTO. È davvero un peccato, perché non si rende giustizia. E poi c’è la faccenda della scheda: la scheda del giurato che non ha capito niente, la scheda del giurato che non ha nemmeno saputo vergare un sì o un no, la scheda bianca, le scheda mal scritta o sgorbiata.
MANCINI. Ma, da che mondo è mondo, il dubbio è per il reo.
MERLIN UMBERTO. Per i reati che hanno un’importanza lievissima, ci può essere un primo giudizio, un secondo giudizio, la Cassazione: ma, per le Assise dove si decide della vita di un cittadino, non vi è alcuna possibilità di rimedio.
Ma poi senta, collega Mancini: io rispetto la sua opinione, ma sa lei il fascismo a chi ha principalmente dovuto il suo rafforzamento, per lo meno iniziale? Proprio alle Corti d’assise ed ai giudici popolari che hanno assolto tutti gli assassini fascisti ed hanno in questa maniera glorificato proprio coloro che hanno ucciso i suoi compagni di fede, ed anche i miei. (Commenti).
C’è qui infatti il collega Costa che può darmene fede. Nel mio Polesine 13 assassini fascisti a danno dei socialisti (Interruzioni) ed un altro assassinio a danno di un popolare. Ebbene, tutti gli imputati assolti dal giudici popolari.
MANCINI. Basile è stato assolto adesso.
MERLIN UMBERTO. Ed è stato assolto proprio da giudici popolari. Ed anche quando voi farete anche un reclutamento, il più severo possibile, arriverete allo stesso risultato, perché il giurato, comunque reclutato, non può essere un buon giudice.
Vi dico un ultimo argomento. Io sono favorevole evidentemente all’articolo che dice che i magistrati non possono partecipare a partiti politici o ad associazioni segrete. È inutile che ne dica le ragioni. Non capirei neanche che, soprattutto nei piccoli centri, un magistrato potesse, il giorno prima di un’udienza, battagliare alla sezione del partito cui appartiene, partecipare magari ad un comizio, discutere con quel calore che è tutto proprio degli italiani (pare che i nostri dissensi politici debbano manifestarsi sempre rumorosamente e che la politica sia palestra di odîi feroci). Ebbene, come si concepirebbe che quell’uomo stesso andasse il giorno dopo a sedere come giudice e giudicare un democristiano o socialista o liberale, cioè proprio color che aveva il giorno prima definito suoi acerrimi nemici? (Commenti). Non parliamo poi delle associazioni segrete. Io non credo e non voglio credere che in Italia siano risorte. Non ce ne sarebbe ragione, perché un regime libero non dà neanche il pretesto perché i cittadini debbano riunirsi in conventicole segrete; ma peggio che mai poi un magistrato potrebbe appartenere ad esse. Ed allora noi cadremmo in questa bella situazione: ai magistrati, divieto di appartenere a partiti e ad associazioni segrete, ma ai giurati del popolo, che sono quelli che decidono dei più gravi delitti, questo sarebbe consentito.
Un ultimo punto, e la mia esposizione è finita. Io domando nel mio ordine del giorno che sia assicurata ai magistrati una posizione economica adeguata al loro grado ed alla elevatezza delle loro funzioni. Non sono avvezzo alle adulazioni, ma sento il dovere di dire che i magistrati si sono conquistata in Italia tale una chiara fama di onestà e di correttezza, che riconoscerlo è un dovere. Si può dire che la vita dei magistrati si svolge in un quadro così modesto, con mezzi economici così palesemente limitati, che ogni malevolenza ed ogni alito di sospetto ne restano disarmati. Ma tutto ha un limite, e la condizione in cui vivono i magistrati è talmente inferiore alla dignità del loro ufficio ed al prestigio che devono godere, che esprimere alla Costituente un voto per ovviare a ciò, è un dovere. Nel mio breve passaggio nel Ministero di via Arenula ho studiato il progetto della istituzione di una Cassa nazionale dei magistrati, che del resto non era mio, ma era stato già preparato dal Ministro Togliatti e fatto proprio dal Ministro Gullo. Io qui non voglio tediare la Camera nel dire le ragioni per cui questo progetto non ha potuto essere attuato, ma dico che in quanto la nostra Carta costituzionale afferma o affermerà che i magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di grado, sganciata la Magistratura dal rimanente personale dello Stato, spero, confido, che sia possibile dare ad essi, con questo congegno o con un altro analogo, quella sistemazione economica che permetta di dire che noi abbiamo dato loro la massima delle libertà: la libertà dal bisogno.
Queste sono, onorevoli colleghi, le ragioni semplici, con le quali io ho svolto il mio ordine del giorno. La mia parola ha voluto essere più che tutto un atto di omaggio alla Magistratura italiana degna delle sue tradizioni. I magistrati, io ne sono sicuro, con la loro fermezza e con la loro indipendenza, daranno il più valido contributo allo sviluppo ed al rafforzamento della nostra democrazia. Ed io preferisco magistrati liberi che qualche volta dichiarino incostituzionale un decreto del potere esecutivo, a magistrati servi, i quali con la loro viltà sarebbero indegni di servire il nuovo Stato che stiamo faticosamente creando. (Applausi – Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi ha presentato il seguente ordine del giorno, che reca anche le firme degli onorevoli Guerrieri Filippo, Ciampitti, Tozzi Condivi, Scalfaro e Cappi:
«L’Assemblea Costituente ritiene che nella prossima riforma della legislazione penale sia istituito il giudizio di appello anche per i reati di competenza di Corte di assise, secondo le modalità da stabilirsi con la legge».
Ho l’impressione che sia uno di quegli ordini del giorno, i quali, perché non possono comunque tramutarsi in nessuna disposizione specifica da inserire nel testo costituzionale, non avrebbero ragione di essere presentati e svolti.
Ad ogni modo, se l’onorevole Mannironi si impegna a svolgerlo in maniera rapidissima, gli do facoltà di parlare.
MANNIRONI. Io sono abitualmente breve; però desidero far rilevare che l’argomento contenuto nel mio ordine del giorno fa parte anche di alcuni emendamenti ed è stato già illustrato, mi pare, dall’onorevole Rubilli.
L’argomento, peraltro, del quale mi devo occupare è, a parer mio, di natura squisitamente costituzionale. Si è detto qui e fuori di qui da taluno, che in questa parte del progetto costituzionale si siano voluti inserire molti principî, che non sarebbero strettamente costituzionali. Penso che, in ogni caso, l’abbondare in questa parte del progetto nel definire determinati principî ed affermazioni non sia inutile, perché in sostanza noi ci stiamo preoccupando di creare la struttura del potere giudiziario e di garantire, per altre vie, le libertà del cittadino. Ad evitare che domani facili maggioranze parlamentari possano modificare certi principî, che riteniamo di carattere fondamentale, mi pare che l’unico rimedio debba proprio consistere nell’agganciare questi principî alla Costituzione. Ora io intendo brevemente illustrare le richieste contenute nell’ordine del giorno, che tendono a fare affermare il principio, secondo il quale, nella legislazione italiana, debba esistere sempre il secondo grado di giurisdizione e debba esistere anche nei giudizi di Corte di assise, nei quali oggi il giudizio di appello non è ammesso.
Gli onorevoli colleghi che si sono occupati di studi di diritto sanno che da lungo tempo si è discusso nella dottrina se dovesse essere ammesso o no l’appello.
Dai sostenitori dell’abolizione dell’appello si è detto che, se l’appello è ammesso per reati minori, lo si dovrebbe a maggior ragione ammettere anche per i reati più gravi, quali quelli di competenza della Corte di assise; e si è aggiunto che, per evitare che i giudizi più gravi si dilunghino in inutili fasi dilatorie, meglio sarebbe abolire l’appello.
Onorevoli colleghi, voi capite quanto un ragionamento di questo genere possa essere pericoloso. Il diritto di appello è qualcosa, che è connaturata all’uomo e rientra nelle sue esigenze naturali e legittime. Il magistrato che interpreta la legge e l’applica al caso specifico, si preoccupa sempre di una cosa fondamentale: di accertare l’effettiva responsabilità dell’imputato. Ora questo giudizio di accertamento della responsabilità è proprio quello che costituisce la sostanza della giustizia e l’opera della Magistratura. Qualunque sforzo e qualunque tentativo possa essere fatto in questo senso, allo scopo di garantire e meglio assicurare la libertà del cittadino e allo scopo di scoprire la verità giudiziale e di impedire, in sostanza, che un’ingiustizia sia fatta, mi pare sia proficuo, utile e necessario. In tutti i tempi e presso tutti i popoli è esistito un giudizio di appello. Mi pare di aver letto che Platone si considerava sodisfatto di una sentenza e di un giudizio solo quando era passato attraverso tre vagli.
Senza dilungarmi troppo e senza sfoggio di inutile erudizione, voglio tralasciare di richiamare i precedenti del diritto romano e medievale. Comunque è certo questo: che il diritto di appello, fin dalle epoche più remote, è stato, direi, reclamato dalla coscienza di tutti i popoli, che di una cosa sola sempre si sono preoccupati; di garantire in tutte le maniere la libertà del cittadino, per evitare che questa libertà potesse essere violata e in qualche modo, compromessa, o coartata da giudizi erronei o da giudizi affrettati e irreparabili. Il giudizio di appello, onorevoli colleghi, è fondato su un concetto popolare, che è pieno di buon senso e di logica: quando si dice che quattro occhi vedono meglio di due, si afferma una verità sacrosanta. Ora il giudizio di appello porta proprio a questo; a far in modo che uno stesso fatto od una serie di fatti, che hanno costituito oggetto di esame e di giudizio da parte di un giudice, possano in un secondo tempo essere riesaminati da altro giudice diverso, lontano dal fatto, dal tempo e dal luogo del delitto, in modo che possa avere quella maggiore serenità di giudizio, che è la garanzia più sicura per la bontà e la correttezza del giudizio stesso.
Per combattere questa tesi del giudizio di appello anche per i reati di competenza delle Corti di assise, si adducono generalmente due motivi. Uno è di carattere formale. Si dice che non è consentito il giudizio di appello per i reati di competenza delle Corti di assise, in quanto tale giudizio è pronunciato da un giudice che è già di appello. Mi pare che questa sia una obiezione di natura formale, facilmente superabile. Non è necessario che il giudizio di primo grado per i reati gravi sia affidato ad un giudice di appello; può benissimo essere affidato ad altro giudice. E, d’altra parte, seppure fosse vero che il primo grado è affidato ad un giudice di appello, nulla esclude che una seconda fase di giurisdizione sia affidata ad altri giudici di appello, che sono sì di pari grado, ma di diversa giurisdizione. Si potrebbe, in sostanza, adottare il criterio già seguito quando la Cassazione cassa una sentenza e rinvia il giudizio per il riesame ad un altro giudice di appello, la cui sentenza resta definitiva.
L’altro argomento di merito e più grave, che si adduce contro l’opportunità del giudizio di appello per i reati gravi, lo si fa consistere nel fatto che i reati di Corte di assise sono di competenza della giuria popolare. E poiché la giuria è sovrana in tale suo giudizio, non si può consentire che un altro giudice superiore sia in diritto di giudicarne l’operato.
Qui si potrebbe riaprire nuovamente e a lungo la discussione sulla questione della giuria. Per quello che mi riguarda personalmente vi dirò che sono anch’io contrario alla giuria popolare, così come lo sono molti avvocati che hanno fatto l’esperienza del giudice popolare. In quest’Aula abbiamo potuto ascoltare il parere di autorevolissimi colleghi, che sono lustro del Foro e sono considerati meritatamente dei maestri. Io vorrei però dimostrarvi che l’ammettere oggi il principio dell’appello anche per i reati di Corte di assise, non porta come conseguenza all’abolizione della giuria. Vi sono dei colleghi che hanno proposto un emendamento tendente a far sopprimere il giudice popolare; vi sono altri colleghi che hanno chiesto che questo argomento sia rimandato al legislatore ordinario. Ora, se voi vi orientaste in questo senso e decideste di demandare al legislatore di domani la decisione sulla giuria popolare o se voleste anche fin d’ora conservarla, pare a me che oggi possiate, senza contraddirvi, affermare il principio della necessità del secondo grado di giurisdizione anche per i reati di Corte d’assise.
Quando voi parlate di giudice popolare, credo che non dobbiate cristallizzarvi a quell’ordinamento di giurati che vigeva nella legislazione passata; credo che anche quelli che sono sostenitori tenaci della giuria popolare, debbano ammettere che la giuria è suscettibile di modificazioni e di perfezionamenti e che, per esempio, la giuria popolare non escluda la necessità della sentenza motivata.
In sostanza, con questo si tornerebbe al parere ed all’opinione espressi da un autorevolissimo politico e studioso di diritto, quale era Giuseppe Pisanelli. Egli era uno dei più tenaci difensori della giuria popolare, come ebbe a manifestarsi nelle discussioni avvenute alla Camera nel 1874; ma fu anche autore di un libro nel quale sosteneva che tutte le sentenze dovessero essere motivate, comprese quelle dei giurati. Egli disse tra l’altro che «nessuno può dubitare che l’obbligo imposto al giudice di rendere ragione della sua sentenza è una delle maggiori garanzie della innocenza in quanto la motivazione era, ad un tempo, sussidio e freno per i magistrati, ecc.».
E si potrebbero richiamare qui anche altri principî fondamentali, enunciati dal Pisanelli in quel suo pregevole libro.
Ora, onorevoli colleghi, se anche voi siete dei tenaci assertori della giuria, potete e dovrete ammettere che questa giuria non debba essere considerata come un oracolo. Nessuno può essere ritenuto infallibile: neppure i giurati popolari. Anche a loro perciò bisogna imporre l’obbligo della motivazione del giudizio, perché soltanto in tal modo avremo dato la possibilità di esercitare un utile controllo anche su di loro e sui loro giudizi. Così soltanto si potrà inspirare, nelle cause più gravi, la necessaria fiducia nel popolo, che guarda all’operato della giustizia e della Magistratura, e vuole essere però in grado di controllarlo.
Badate, il pubblico, il popolo non si preoccupa tanto di sapere che giustizia è fatta o che è fatta rapidamente; si preoccupa, anzitutto, di sapere che la giustizia è stata fatta bene e di essere messo nella condizione di accertare veramente se bene è stata fatta.
Ora, questo accertamento soltanto per una via si può esercitare ed è attraverso l’esame della motivazione che il giudice pone a base del proprio giudicato. Ora, ripeto, se anche voi vi preoccupate della esistenza dell’istituto della giuria nella legislazione di domani, credo che vorrete essere concordi in questo, nel riconoscere la necessità della motivazione in ogni sentenza. Non sarà inutile ricordare che già un po’ in questo senso vi siete pronunciati, onorevoli colleghi, quando avete approvato l’articolo 8 della Costituzione.
In tale articolo è detto che «non è ammessa forma alcuna di detenzione né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria». Ora, la giuria può rientrare, deve rientrare in questa dizione generica di «autorità giudiziaria» e quindi mi pare che il concetto generale dell’obbligo della motivazione in tutte le sentenze, comprese quindi quelle di assise, debba ritenersi sancito fin da quando si è approvato l’articolo 8. Ad ogni modo, il ripeterlo o il precisarlo con apposito emendamento, sarà sempre utile e opportuno.
La motivazione delle sentenze, onorevoli colleghi, è d’altra parte la base di ogni giudizio di appello ed è la base anche dei giudizi di Cassazione. Perché, se la Cassazione fosse soltanto chiamata a giudicare sull’applicazione retta della legge, indipendentemente dall’esame di ogni giudizio sul fatto, o dal criterio che il giudice ha seguito anche nell’accertamento del fatto, credo che sarebbe messa, direi, in una condizione di inferiorità. Sarebbe messa nella condizione di emanare giudizi assolutamente parziali, che non potrebbero investire l’intero giudizio, e quindi non potrebbero offrire quelle sicure garanzie di cui il popolo ha bisogno per tranquillarsi dell’esito delle sentenze, specie di condanna nei reati gravi.
La Costituente francese, in una agitata seduta del maggio 1790, si era proposto questo quesito: devono esistere oppur no due gradi di giurisdizione? E la maggioranza aveva votato e risposto affermativamente a questo quesito.
Credo, onorevoli colleghi, che questa stessa preoccupazione vorrete avere voi. Credo che faremo opera utile e saggia se fra i principî fondamentali della nostra Costituzione fisseremo anche noi questo principio del doppio grado di giurisdizione per tutti i giudizi: principio che non mira a priori ad abolire la giuria popolare, ma mira soprattutto a garantire la libertà dei cittadini e ad una migliore amministrazione della giustizia.
Questa libertà del cittadino, come sapete, può essere insidiata non soltanto da atti illegali e illegittimi dei privati, ma può essere menomata, trasformata, ridotta anche da atti del potere legislativo, del potere esecutivo, e, purtroppo, anche da atti del potere giudiziario.
Ora, per evitare che errori commessi siano irreparabili, per evitare che ingiustizie anche per un solo nostro simile siano commesse irrimediabilmente, mi pare che la garanzia del giudizio di appello sia la conquista migliore o una delle conquiste principali che realizzeremo, in concomitanza con tutti gli altri principî affermati nella prima parte della Costituzione e tendenti tutti a salvare la libertà dell’uomo e del cittadino. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Crispo ha presentato il seguente ordine del giorno, che reca le firme anche degli onorevoli Rodinò Mario, Rubilli, Bonomi Ivanoe, Cortese Guido, Gabrieli, Bellavista, Caccuri, Moro, Jervolino, Sullo, Candela, Murgia, Martino Gaetano, Turco, Carboni Enrico, Franceschini, Sansone, Mazza, De Unterrichter Jervolino Maria, Badini Confalonieri, Bastianetto, De Caro Raffaele, Ciampitti, Micheli, Siles, Lucifero, De Martino, Condorelli, Rognoni, Fabbri, Lizier, Morelli Renato, Corbino, Corsini, Gui, Bettiol, Zotta, Abozzi, Cappi, Gasparotto, Villabruna, De Mercurio, Basile:
«L’Assemblea Costituente,
considerato che il problema del collocamento a riposo dei magistrati non ha avuto finora una uniforme soluzione: si passò, difatti, dal regime che ignorava i limiti di età alla legge 14 luglio 1907, n. 511, che determinava il limite di età ad anni 75 per i consiglieri di cassazione e i magistrati di grado superiore; successivamente alla legge 19 dicembre 1912, n. 1311, che riduceva a settanta anni il limite di età per i consiglieri di cassazione, mantenendolo a 75 anni per magistrati di grado superiore; infine alla norma vigente che determina i limiti di età al 70° anno per tutti i magistrati;
considerato che il problema del limite di età dovrà formare oggetto di esame nella elaborazione della legge di ordinamento giudiziario, alla quale, in esecuzione della Costituzione, dovrà attendere il nuovo Parlamento;
ritenuta l’opportunità in tale sede di adeguare la condizione dei magistrati a quella dei professori universitari (per i quali una legge in corso di pubblicazione determina il limite di età al 75° anno);
considerato che, intanto, è opportuno e necessario sospendere il collocamento a riposo dei magistrati al 70° anno di età;
invita il Governo a prorogare la legge attualmente in vigore, per la quale il Ministro di grazia e giustizia è autorizzato a trattenere in servizio i magistrati che abbiano raggiunto il 70° anno di età fino alla nuova legge sull’ordinamento giudiziario, collocandoli fuori ruolo».
Onorevole Crispo, questo suo ordine del giorno è uno di quelli che rientrano nella categoria dei non pertinenti né direttamente né indirettamente alla materia in esame.
CRISPO. Onorevole Presidente, il mio ordine del giorno ha effettivamente un rapporto semplicemente occasionale con l’ordinamento giudiziario. Lo scopo mio e degli altri colleghi firmatari è infatti soltanto quello di fare una segnalazione all’Assemblea; segnalare, cioè, che vi è una legge con la quale si prorogava fino al 31 dicembre ’47 la legge del 28 gennaio ’43 sulla sospensione del collocamento a riposo del personale giudiziario, di cui appunto è cenno nel mio ordine del giorno.
Noi chiediamo che questa legge, la quale dovrebbe, come ho detto, cessare di aver vigore con il 31 del prossimo dicembre, sia invece prorogata. Le ragioni della nostra richiesta sono due. La prima è che innanzitutto, quando la legge dovrà occuparsi del nuovo ordinamento giudiziario, dovrà anche disciplinare questa materia dei limiti di età in rapporto al collocamento a riposo dei magistrati, il che non è stato per ora mai fatto. Ma vi è anche un’altra ragione ed è che è in corso una legge relativa al collocamento a riposo dei professori d’università, nella quale sembra che verrà fissato il limite di 75 anni. Sotto questo aspetto quindi, il limite di settanta anni potrebbe costituire una sperequazione. Noi chiediamo pertanto una proroga di un anno, fino a quando cioè non sarà entrato in vigore il nuovo ordinamento giudiziario.
È questa la raccomandazione che noi facciamo al Ministro della giustizia.
GRASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà, in veste di Guardasigilli.
GRASSI. Debbo anch’io osservare che, come ha avvertito l’onorevole Presidente, l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Crispo e dagli altri colleghi non è pertinente alla Costituzione. Non sarebbe dunque questa la sede, ma, trovandomi qui ed essendo chiamato in causa, non posso esimermi dall’assicurare l’onorevole Crispo e gli altri membri dell’Assemblea che, pur non pensandosi a prorogare la legge, non essendo questa una cosa possibile, il Governo si preoccupa della situazione in cui vengono a trovarsi i magistrati settantenni, non solo per le loro condizioni economiche ma anche perché il Ministero della giustizia non ha potuto procedere, durante gli anni della guerra a tutte le necessarie promozioni. Sono per conseguenza in corso adesso dei provvedimenti al riguardo, i quali spero potranno sodisfare le esigenze manifestate dall’onorevole Crispo e dagli altri firmatari dell’ordine del giorno.
Assicuro l’onorevole Crispo che il Governo provvederà a favore dei magistrati che dovrebbero essere collocati in riposo entro il 1948 e lo prego pertanto di ritirare l’ordine del giorno.
PRESIDENTE. Onorevole Crispo, ritira il suo ordine del giorno?
CRISPO. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Sta bene. Ci sarebbe ora un ordine del giorno dell’onorevole Adonnino relativo alla Corte costituzionale, che penso sarebbe più opportuno venisse svolto quando saremo in sede di discussione del titolo relativo.
ADONNINO. Onorevole Presidente, a me sembra che il mio ordine del giorno sia pertinente nella discussione attuale. A mio parere, l’argomento della Corte costituzionale è infatti strettamente connesso con quello della Magistratura, con quello di tutto l’ordinamento giudiziario.
PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, a me pare che basta la lettura del suo ordine del giorno per convincersi che quello che ho detto non è errato:
«L’Assemblea Costituente, considerato che la Corte Costituzionale ha il carattere di suprema moderatrice dei poteri dello Stato, delibera che alla sua composizione debbano concorrere tutti e tre i poteri in cui si esplica la sovranità dello stato».
Non comprendo perché lei debba preferire di svolgerlo adesso anziché al momento in cui affronteremo l’esame della Corte costituzionale.
ADONNINO. Secondo me, onorevole Presidente, l’argomento della Corte costituzionale è assolutamente e inscindibilmente connesso anche con l’argomento della Magistratura e di tutto l’ordine giudiziario. Ed in questo senso io intenderei, nei limiti concessimi, trattarlo: è un punto sintetico e conclusivo di vari punti che desidererei svolgere.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, nei limiti concessi dal Regolamento.
ADONNINO. Onorevoli colleghi, dato il punto al quale la discussione è giunta, non è consentito che esprimere idee determinate su punti specifici; tutti gli argomenti generali e fondamentali ormai sono stati ampiamente trattati, e perciò non vi è che da richiamarsi semplicemente ad essi.
Però a me pare che un punto importante e fondamentale in tutta questa discussione non è stato completamente trattato e lumeggiato, cioè quello della futura Corte costituzionale. Infatti, chi di noi finora ha parlato ampiamente e compiutamente della Corte costituzionale? Appunto perciò credo che se ne debba dire qualche cosa.
Fino a ieri, penultimo giorno della discussione, l’onorevole Zotta ha toccato un punto basilare relativo ad essa, e precisamente questo: qual è il carattere di questa Corte costituzionale? Che cosa si deve deferire ad essa e quali sono i rapporti tra la Corte costituzionale e la Corte di cassazione? Dunque vedete, onorevoli colleghi, che si tratta di un punto molto importante, in cui poi si accentra gran parte della Costituzione; proprio questo istituto nuovo costituisce una delle principali caratteristiche di tutta la Carta costituzionale.
Dicevo poco fa, accennandone brevemente, che questo è un punto strettamente connesso anche con l’indipendenza della Magistratura, perché, dato che io concepisco la Corte costituzionale come un derivato di tutti e tre i poteri della sovranità: potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario, è evidente che essa suppone in maniera assoluta l’indipendenza della Magistratura. Noi abbiamo parlato degli altri due poteri, ma dell’indipendenza della Magistratura si deve fare un punto fondamentale, e assolutamente rispettato perché se no cadrebbe il concetto stesso che io mi faccio, e che vi sottopongo, della Corte costituzionale.
Dunque, come è organizzata genericamente l’indipendenza della Magistratura nel nostro progetto di Costituzione? Qualche osservazione schematica e brevissima. In primo luogo, nell’articolo 94 si parla di una funzione giudiziaria. Ora io dico: perché si deve parlare della funzione prima di determinare l’organo? Si dovrebbe parlare, come è già stato proposto, di potere giudiziario. Ma io osservo che nell’articolo 94 si dice subito che la funzione giurisdizionale è «espressione della sovranità». Ora, onorevoli colleghi, che cosa significa «espressione della sovranità»? Qualunque atto dello Stato in sostanza è espressione della sovranità; anche quando il più umile dei carabinieri arresta un delinquente, egli adopera un potere che è espressione della sovranità. Perciò mi pare che non si debba solo dire «espressione della sovranità», ma si debba dire «espressione immediata e diretta della sovranità».
Se si fissasse l’organo e si caratterizzasse come «organo sovrano» si potrebbe obiettarmi: la sovranità è indelegabile e perciò, quando si dice che un organo è sovrano, non c’è bisogno di dire «direttamente e immediatamente».. Siccome però qui non si parla di un organo, ma si parla di una funzione, e si dice che essa è «espressione della sovranità» mi pare che sia assolutamente necessario dire che ne è manifestazione «diretta ed immediata». Solo così noi poniamo il potere giudiziario sullo stesso piano degli altri due poteri, il legislativo e l’esecutivo.
E allora noi veniamo a proporci il problema: la Corte costituzionale (e mi ricollego subito alla Corte costituzionale, come vedete) che cosa è? Se abbiamo questi tre poteri sullo stesso piano, piano elevato, al disopra del quale nulla vi è, la Corte costituzionale che cosa rappresenta? Rappresenta qualcosa di più elevato ancora? Non è possibile, perché qualcosa di più elevato degli organi sovrani non c’è.
E allora come si può concepire? La concepirei (e mi riferisco al mio ordine del giorno) come organo di collegamento di tutti e tre i poteri sovrani, come organo che è l’emanazione e la sintesi di essi e che tutti e tre li armonizza.
Dunque non è un quarto potere, non è un qualche cosa di superiore ad essi, ma è una sintesi armonizzatrice di tutti e tre.
Questo concetto fondamentale mi pare che ci debba essere guida nel definire i poteri della Corte costituzionale.
Ma prima, ritorniamo brevemente al concetto della giustizia quale noi la vogliamo per tutto il popolo, e che deve essere giustizia vera: è stato già detto che questa giustizia si fonda sui due concetti fondamentali: unicità della giurisdizione e indipendenza assoluta della Magistratura. Anche la materia dell’unicità della giurisdizione ha stretta attinenza con la Corte costituzionale: vedremo infatti più innanzi che l’Alta Corte costituzionale, pure essendo emanazione dei tre poteri dello Stato ed organo centrale che tutti tre li armonizza, costituisce sempre una giurisdizione, e le sue funzioni sono di carattere prettamente giurisdizionale; è un’eccezione dunque al principio dell’unicità della giurisdizione, e, da un punto di vista teorico, dovrebbe essere l’unica eccezione. Vedremo in seguito come si giustifica teoricamente la sua esistenza nella nostra Costituzione. Qui basti aver rilevato il suo carattere giurisdizionale; e basti rilevare che la sua esistenza non infirma per nulla la necessità assoluta dell’unicità della giurisdizione ai fini della vera giustizia.
Ed è in relazione a ciò che occorre esaminare, sia pure fugacemente, se tale unicità sia raggiunta ed attuata nel progetto che ci sta dinanzi. Non mi pare che lo sia. È vero che è ammesso il ricorso per cassazione contro tutte le decisioni di giurisdizioni speciali. Ma ciò non significa unicità di giurisdizione; significa invece soltanto unicità d’interpretazione della legge da parte di tutte le giurisdizioni, anche molteplici e varie. La verità è che la giurisdizione non è unica, come teoricamente dovrebbe essere, ma varie importanti giurisdizioni speciali sono conservate.
Si dice che ci sono delle ragioni per la conservazione o per la creazione di certe giurisdizioni speciali. In fatto di giurisdizioni speciali, in sostanza, credo che – indipendentemente dai molti argomenti portati pro e contro – due sono gli argomenti fondamentali su cui esse si basano. Un argomento ingiusto, da respingere, e un argomento veramente serio e giusto, da accogliere. L’argomento da respingere è che in sostanza il mantenimento o la creazione delle giurisdizioni speciali è voluto principalmente dai partiti e dall’interesse degli uomini politici. Parlo dell’influenza che sulla giustizia, principalmente attraverso speciali giurisdizioni appositamente create, cercano di esercitare i partiti politici e gli uomini politici per loro particolari interessi, e non dell’influenza delle grandi correnti di idee politiche e sociali che guidano la vita del Paese. Queste esercitano le loro influenze psicologiche, e specialmente culturali, su tutti gli uomini, specialmente di pensiero e di studio, che vivono nel Paese, e non se ne possono astrarre o isolare; e perciò, anche su tutti i magistrati ordinari nei limiti – s’intende – dell’ossequio alle leggi; onde non hanno bisogno di ricorrere alla creazione artificiosa di giurisdizioni speciali per influire sulla giustizia. Come grandi correnti di idee e di cultura, del resto, non potrebbero nemmeno creare giurisdizioni speciali. Le giurisdizioni speciali le creano i partiti e gli uomini di parte che positivamente agiscono ed operano nella sfera politica. E costituiscono così il più grave pericolo per la giustizia, come, del resto, costituiscono il più grave pericolo per l’amministrazione della cosa pubblica. Quando Silvio Spaventa nel 1880 pronunciò, dinanzi all’Associazione costituzionale di Bergamo, quel celebre discorso che viene ancora ricordato come fondamento della nostra giustizia amministrativa, cominciò il suo dire ricordando una precedente riunione tenutasi pochi mesi prima a Napoli, nella quale erano intervenuti i più autorevoli uomini politici italiani, i quali tutti avevano concordemente rilevato e proclamato, il più grave pericolo per le istituzioni del nascente Stato italiano essere costituito dall’illegittima ingerenza dei deputati nell’amministrazione.
La stessa cosa si può dire ora della possibile influenza di deputati e di partiti sull’amministrazione della giustizia, influenza che può principalmente esercitarsi mediante la creazione di giurisdizioni speciali.
Ricordo l’episodio del discorso di Silvio Spaventa, onorevoli colleghi, perché in esso si trattava dei deputati… del 1880! Comunque il principio, la vera spinta, la vera molla delle giurisdizioni speciali è questa.
Ma c’è un’altra ragione, che è una ragione giusta e logica e perfettamente accoglibile, dell’esistenza delle giurisdizioni speciali, cioè che in tante materie speciali – e nei tempi moderni tutte le materie si vanno sprofondando sempre più nella specializzazione – il giudice ordinario non è adatto, perché il giudice ordinario ha un sistema rigido, dagli spigoli netti, dal sillogismo rigoroso quale s’addice al vigile senso del diritto, e non può essere pronto a quegli apprezzamenti duttili, elastici che sono richiesti da tanti ambienti e da tante materie speciali. Prendiamo, ad esempio, la materia amministrativa, in cui prevale l’interesse pubblico, pur commisto con l’interesse individuale. In essa più che il criterio rigido del giudice ordinario, occorre la duttilità dell’amministratore, del giudice proveniente dall’amministrazione il quale ha viva la sensibilità di tanti interessi contrastanti, e dell’interesse collettivo in ispecie.
Ecco la ragione fondamentale per cui le giurisdizioni speciali sono necessarie. È una ragione profondamente diversa, da quella che giustifica l’esistenza della Corte costituzionale, giurisdizione speciale anch’essa, come vedemmo, richiesta però al fine dell’equilibrio e dell’armonia fra i tre fondamentali poteri della sovranità. Ora, per un compiuto parallelo tra queste varie speciali giurisdizioni, e per l’esame del grado di indipendenza che a ciascuna di esse devesi assicurare, è mestieri indagare come il progetto le configuri e le congegni.
A quali criteri, a quali principî il progetto si informa? Vediamo brevemente qui la struttura e l’indipendenza che dà alle giurisdizioni speciali; vedremo dopo, a confronto, quelle della Corte costituzionale. Il progetto, in primo luogo, riconosce la giurisdizione ordinaria. In questa giurisdizione ordinaria si propone poi di creare delle sezioni speciali con l’intervento di tecnici per le materie speciali, che dovrebbero avere speciali giurisdizioni. Passi pure, ma io devo dire che non è una cosa che mi sodisfi completamente. Ho parlato con illustri magistrati che moltissime volte nella loro carriera si sono trovati in questi collegi composti da giudici e da laici, e mi hanno detto che le due parti non si fondono, non avviene una composizione intima fra l’una e l’altra, in modo da dar vita a un organismo nuovo, differente dai due organismi originari. I giudici restano giudici, i laici restano laici. Le questioni giuridiche sono decise soltanto dai giudici come se i laici non ci fossero; le questioni tecniche, vengono decise dai laici come se i giudici non ci fossero.
Non è dunque, una soluzione che possa lasciare completamente tranquilli.
Tanto vero che lo stesso progetto conserva certe giurisdizioni speciali. Conserva in primo luogo il Consiglio di Stato. Va bene. Ma gli organi della giustizia regionale, della giustizia amministrativa locale, perché non li conserva? E non solo: conserva il Consiglio di Stato, ma lo conserva come adesso è, cioè niente affatto indi- pendente dal potere esecutivo. Ricordiamo: il Consiglio di Stato pur avendo funzionato in maniera ottima – e qui ha ricevuto l’autorevolissima lode di tutti coloro che ne hanno parlato, lode alla quale io intendo tato corde associarmi – è formato in una maniera che non dà assoluta tranquillità. Il reclutamento è fatto – per una parte almeno – su nomina del Consiglio dei Ministri e non su concorso regolare; i Presidenti di sezione sono nominati dal Consiglio dei Ministri. Molti incarichi distribuisce ed assegna il Governo. Adunque, ci sono tali e tante interferenze da parte del potere esecutivo nel Consiglio di Stato, che tranquillità completa non credo possa esservi.
La Corte dei conti è pure conservata. Ma il progetto non parla degli organi di giurisdizione contabile locale che si dovrebbero pure richiamare.
E per la Corte dei conti è da fare la stessa osservazione che si è fatta per il Consiglio di Stato. Ed anzitutto, anche per essa e per il suo ottimo funzionamento, è da ripetere la lode più ampia. Ma, anche per essa, la lode massima non toglie che, a cagione della sua odierna struttura, che non si dice, nel progetto, di voler modificare, le più gravi perplessità debbano manifestarsi. Il personale della Corte è reclutato per concorso, indetto, oltre che fra avvocati e procuratori, fra elementi provenienti dalla pubblica amministrazione. Ed i vincitori, appena entrati in carriera, non sono giudici, ma semplici funzionari, i quali, ciò nonostante, collaborano con i collegi giudicanti in operazioni preparatorie e pur senza intervenire nelle decisioni. In seguito acquistano la qualità di magistrati. Ma, anche qui, come nel Consiglio di Stato, i consiglieri possono essere nominati, per metà, senza concorso tra elementi estranei, per deliberazione del Consiglio dei Ministri; e dal Consiglio dei Ministri stesso sono designati i Presidenti di sezione e il Primo Presidente. Continue ingerenze ha poi il Governo nell’amministrazione dell’istituto, e nel conferimento di molteplici incarichi retribuiti.
Ora questo tipo di struttura, per cui questi organi importantissimi sono permanentemente soggetti alle influenze del potere esecutivo, e perciò delle fluttuanti maggioranze parlamentari e dei partiti e degli uomini politici, non può non essere profondamente modificato.
Vi è poi ancora un terzo campo di cui non ho sentito proprio parlare nessuno. In queste materie tanto difficili, anche se si discutesse per anni, ci sarebbe sempre qualche punto dimenticato e qualcuno che potrebbe sempre sollevare questioni nuove. Dico, della giustizia fiscale. A me pare un ramo così importante che lo ritengo più importante della stessa giurisdizione ordinaria. Tutti quanti sappiamo che la giustizia ordinaria può coinvolgere questo o quel cittadino, e vi possono essere cittadini che mai hanno avuto a che fare con essa. Ma la giustizia fiscale è un’ombra che segue chiunque e con la quale chiunque ha da fare e alla quale nessuno si sottrae. In questo momento, specialmente, in cui così gravi tributi gravano, e debbono gravare, sulle nostre misere spalle. Orbene, in che stato è questa giustizia tributaria? Voi mi insegnate che c’è un caos completo. Vi sono certi rami in cui vi è un solo grado di giurisdizione; vi sono certi rami in cui ve ne sono sei: tre speciali e tre ordinari; non solo, ma quello che è assolutamente inesistente è l’indipendenza: la maggior parte dei giudici fiscali sono nominati dalle stesse amministrazioni, e così sono giudici e parti.
Ora, è possibile che nella Costituzione a tutto questo non si accenni nemmeno? La Commissione nominata dal Ministero della Costituente si propose questo problema. Naturalmente non è possibile scendere nei minimi particolari, ma qualche norma direttiva fondamentale bisogna darla, ed io credo che sarebbe opportuno dire che è conservata la giurisdizione speciale e che ha le necessarie garanzie di indipendenza.
Quarto settore di giurisdizione speciale: la giustizia militare. Vi sono certi reati che sono tipicamente e specificamente militari. Un furto, che sia commesso da un soldato o che sia commesso da un borghese, è sempre furto, ma quando parliamo dell’insubordinazione, quando parliamo della diserzione, dell’abbandono di posto, abbiamo reati tipicamente militari. Ed allora, anche in tempo di pace, perché sottrarli a quelli che possono meglio indagare l’anima del militare che li ha commessi, e che meglio sono in grado di capire le necessità dell’organismo che da essi è leso? Per quale ragione ci devono essere i tribunali militari per il tempo di guerra e non anche per il tempo di pace?
PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, con ogni sforzo, non riesco a vedere in qual modo il problema dei tribunali militari entri nel tema in esame. L’avverto di ciò perché lei ha a disposizione ancora solo quattro minuti.
ADONNINO. Onorevole Presidente, io comprendo le sue preoccupazioni per lo svolgimento dei lavori, ma tali preoccupazioni Ella per gli altri oratori non le ha avute. Ella vede bene del resto che io vado svolgendo un confronto fra la Corte Costituzionale – che è la materia del mio ordine del giorno – e le altre giurisdizioni speciali, dunque sto perfettamente al tema. Finalmente: vogliamo fare un patto? Io ho nove emendamenti, e se Ella non mi permette di svolgerli ora, avrò diritto ad un quarto d’ora per ciascuno per svolgerli dopo. Cioè avrò due o tre ore di tempo. Rinuncio ad esse, se posso brevemente svolgerli ora. Vede quale generosa rinuncia?
PRESIDENTE. Onorevole Adonnino la prego di attenersi alla materia del suo ordine del giorno e di concludere.
ADONNINO. Resto nel mio tema. Trattandosi di elementi interdipendenti, debbo considerarli tutti, se no, non posso compiutamente esporre come concepisco la Corte costituzionale.
Abbiamo così accennato ai quattro settori principali di giurisdizioni speciali, in contrapposto alla speciale giurisdizione costituita dalla Corte costituzionale. Possiamo cominciare a delineare le fondamentali differenze che caratterizzano le une e l’altra. Le une agiscono ciascuna dentro un determinato settore; l’altra non ha un settore proprio (tranne per i giudizi sulle accuse alle alte cariche dello Stato, attività accessoria e secondaria) ma garantisce l’osservanza dei limiti posti ai poteri della sovranità, sta, cioè, in un piano superiore a quello delle altre giurisdizioni speciali che restano entro l’ambito del potere giurisdizionale. Altre giurisdizioni speciali vi sono, e l’onorevole Merlin vi ha detto che sono numerosissime; vi sono molteplici collegi arbitrali, vi sono i Consigli di Prefettura, i Consigli di leva, le attribuzioni giurisdizionali dei Ministri. Il progetto dice che di esse si dovrà fare una revisione entro cinque anni; e che per crearne di nuove occorrerà la maggioranza assoluta dei membri delle due Camere. Norme, queste, insufficienti di certo. A me pare che un progetto organico e completo possa essere questo: alla base, la giurisdizione ordinaria, sia pure con delle sezioni specializzate per speciali materie; poi i quattro settori già esaminati di giurisdizioni speciali: amministrativa, contabile, fiscale, militare; e, all’infuori di esse, stabilire una netta direttiva tendente al divieto di creare nuove giurisdizioni speciali. E siccome a rendere veramente efficace tale direttiva è insufficiente la remora proposta nel progetto, cioè la maggioranza assoluta dei membri delle Camere, io propongo che si renda più grave tale remora richiedendo la maggioranza dei due terzi dei membri delle Camere e il parere del Consiglio Superiore della Magistratura ed altresì della Corte costituzionale. A di sopra di tutte, e a garanzia dei limiti posti all’attività dei vari poteri dello Stato, la giurisdizione della Corte costituzionale. Entro tre anni, revisione delle giurisdizioni speciali ora esistenti, permettendone la conservazione solo se approvata da una maggioranza di due terzi dei membri delle Camere, e su parere del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte costituzionale. Questo mi parrebbe un complesso architettonico, del quale i piloni fondamentali sarebbero i tre poteri dello Stato, in cui le varie giurisdizioni ordinarie e speciali, comprese nell’ambito del potere giudiziario, sarebbero regolate dalla Cassazione e i tre poteri sarebbero regolati dalla Corte costituzionale.
Vengo agli ultimi due punti dell’ampia materia della Magistratura, che si ricollegano direttamente al mio tema della Corte costituzionale, come elementi essenziali di un’organica concezione di essa. Cioè: l’indipendenza assoluta delle giurisdizioni tutte ordinarie e speciali; e la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Se il potere legislativo e l’esecutivo potessero influire sulle varie giurisdizioni componenti l’ordine giudiziario, vano sarebbe affidare alla Corte costituzionale il compito di garantire i limiti dell’azione dei tre cennati poteri. Dunque necessità d’indipendenza assoluta di tutto il potere giudiziario; l’indipendenza e l’autogoverno delle giurisdizioni speciali debbono essere identiche a quelle della giurisdizione ordinaria. Altrimenti cade il disegno architettonico sopra delineato, e in cui è caratterizzata la figura della Corte costituzionale. Per necessaria conseguenza le norme regolatrici delle giurisdizioni speciali debbono essere incluse nella legge sull’ordinamento giudiziario che regola la giurisdizione ordinaria; l’ammissione a tutte le giurisdizioni deve avvenire mediante concorso, pure ammettendo ai concorsi per le giurisdizioni speciali solo le categorie adatte psicologicamente per provenienza, per abito mentale, per preparazione culturale; l’autogoverno di tutta la Magistratura deve essere completo, considerando la Magistratura formata sia dalla giurisdizione ordinaria, sia dalle speciali; i magistrati debbono definitivamente lasciare la amministrazione di provenienza; quelle giurisdizioni che formano ora parte integrante di un più vasto organismo amministrativo debbono da esso distaccarsi, anche come sede. Questo è il sistema fondamentale, per il quale potremo dire di attuare veramente l’indipendenza della magistratura.
Se aggiungiamo che il Consiglio Superiore della Magistratura deve essere composto, secondo la mia proposta, per un terzo di magistrati scelti fra le alte cariche, per un terzo di magistrati eletti fra tutti i magistrati di Italia nelle diverse categorie e per l’altro terzo fra insegnanti universitari ordinari di diritto, possiamo concludere che la Magistratura sarà veramente indipendente e completamente avulsa dagli altri organi dello Stato, nella sua organizzazione, nel suo capo, nella sua direzione.
Né è da temere di creare una «casta chiusa». Sarebbe chiusa alle deleterie influenze delle maggioranze e dei partiti; ma bene aperta alla benefica influenza delle grandi correnti di pensiero e di sentimento politico e sociale, che ogni giudice assorbirebbe nella vita sua quotidiana e nei suoi studi, e che lo avvierebbero alle più moderne concezioni, pur dentro i limiti del rigoroso ossequio alle leggi.
Tutto ciò posto, che cosa è la Corte costituzionale? È l’espressione dei tre organi dello Stato: il giurisdizionale, l’esecutivo e l’amministrativo; veglia sulla costituzionalità delle leggi; risolve i conflitti d’attribuzione fra i poteri dello Stato; giudica sulle accuse alle alte cariche dello Stato.
Qualcuno ha proposto che la materia, che devesi devolvere alla Corte costituzionale, sia devoluta invece alla Corte di cassazione. No; secondo il mio concetto, che cioè, sono tutti tre gli organi del potere e della sovranità dello Stato quelli da cui promana la Corte costituzionale, non si può ad essa sostituire la Cassazione, perché questa sarebbe rappresentante di uno solo dei poteri, mentre nella Corte costituzionale abbiamo i rappresentanti di tutti e tre i poteri.
E qui sorge il problema grave posto dall’onorevole Zotta. Senza dubbio l’attività della Suprema Corte costituzionale è attività giurisdizionale. Si tratta di applicare una legge, la legge costituzionale, all’attività degli organi dello Stato. Dunque – e del resto l’ho già dimostrato in tutto il mio dire – la Corte è una giurisdizione speciale.
Ma se noi in altro articolo diciamo che contro tutte le decisioni delle giurisdizioni speciali si può ricorrere in Cassazione, allora anche le decisioni della Corte costituzionale sarebbero denunciabili in Cassazione.
L’onorevole Zotta proponeva di attribuire la risoluzione di tutti i conflitti di giurisdizione alla Corte costituzionale.
I conflitti di giurisdizione sono giurisdizione interna, nell’interno della Magistratura, almeno come io l’ho delineata, cioè composta di un tutto unico, in cui entrano la Magistratura ordinaria e la Magistratura speciale. Allora è mestieri che i conflitti tra giurisdizioni, tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale, li affidiamo alla Corte di cassazione.
Unica norma, invece, che si può porre, è questa: che le sentenze dell’Alta Corte costituzionale non debbano essere denunciabili alla Corte di cassazione. Noi sganciamo così la Corte costituzionale e le sue decisioni dalla sottomissione al potere giudiziario. Ma. intanto, ho detto che la Corte Suprema costituzionale è emanazione dei tre poteri dello Stato: il legislativo, l’esecutivo ed giudiziario.
Come allora essa deve essere composta? Essa è certo una giurisdizione speciale.
Però richiamo quanto dianzi ho detto, comparando la Corte costituzionale a tutte le altre speciali giurisdizioni; nelle sue decisioni ha la caratteristica di essere l’organo equilibratore e armonizzatore dei tre supremi poteri della sovranità dello Stato, organo reso necessario dal carattere rigido della nostra Costituzione. Questa che è la sua giustificazione teorica, costituisce, insieme, la sua caratteristica.
È cioè un organo di giurisdizione speciale, separato da tutte le altre forme di giurisdizione e di esse più alto. È sullo stesso piano dei tre poteri dello Stato, e allora, considerando le sue relazioni con essi, considerando il suo precipuo carattere giurisdizionale, deve apparire nella sua composizione una preponderanza del potere giudiziario e una partecipazione degli altri due poteri: cioè deve essere composta, come io propongo che si componga, per metà di magistrati nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura, cioè da tutti i magistrati; per un quarto di magistrati nominati dal potere esecutivo, cioè dal capo del potere esecutivo su designazione del Consiglio Superiore della Magistratura e per l’ultimo quarto da membri nominati dall’Assemblea. Dunque noi avremmo, nella Corte costituzionale, la rappresentanza diretta di tutti i poteri dello Stato di cui la Corte è emanazione ed a cui essa deve servire di garanzia. Ma c’è una parte preponderante alle altre, la parte che riguarda il potere giurisdizionale. L’indipendenza della Magistratura, così come noi l’abbiamo garantita, e come, secondo me, si deve riconoscere anche alle Magistrature speciali, è così garantita anche all’Alta Corte costituzionale, di fronte al potere politico.
Questa è, onorevoli colleghi, la concezione generale che io ho di questa materia e che sottopongo al vostro esame. Io non parlo per le persone che siamo e per l’ora che volge, ma mi preoccupo, come ognuno di noi si deve preoccupare, del nostro buon nome e della nostra responsabilità di fronte all’avvenire. Noi ci troviamo nel punto conclusivo e fondamentale di tutta la Costituzione. Se questo punto si risolve bene, tutta la Costituzione riuscirà: se questo punto si risolve male tutta la Costituzione fallirà. Ognuno di noi dovrebbe sentire impellente ed imperativa una voce che lo induca a dire apertamente il suo pensiero o attraverso una votazione nominale o con dichiarazioni di voto, tenendo ben presente quello che sarà il giudizio che il futuro darà su ciascuno. Ed allora veramente potremo spogliarci delle scorie dei nostri interessi di individui o di membri di un partito, potremo dimenticare le nostre ideologie e pensare che l’ideologia fondamentale più alta e più vera è proprio in questo campo, in cui maggiormente l’uomo si eleva, tanto da avvicinarsi a Dio, e che questo è il campo in cui si attua la vera democrazia, con la giustizia per il popolo tutto, per le minoranze, per i miseri, per i deboli. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Bertini ha presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente afferma la necessità:
1°) che il potere giudiziario sia posto in grado di tutelare prontamente ed efficacemente la libertà e i diritti dei cittadini e che l’esercizio della funzione giurisdizionale sia regolato secondo le supreme esigenze della giustizia in uno stato di diritto, mediante magistrati che godano della più netta e congrua indipendenza ed autonomia di funzioni, nonché di un trattamento decoroso e pienamente adeguato alla delicatezza e difficoltà dei compiti di loro spettanza;
2°) che non si abbia più oltre a ritardare la riforma dei Codici in modo organico e conforme allo spirito ed alle garanzie del nuovo reggimento politico e sociale dello Stato;
3°) che sia portato un riparo alle ormai inveterate e deplorate insufficienze della giustizia penale, provvedendola di tutti i mezzi strutturali, processuali ed economici, a cominciare dall’istituzione di un corpo speciale di polizia alla diretta dipendenza dell’autorità giudiziaria;
4°) che si ribadisca il principio dell’assoluta incompatibilità dei magistrati con l’appartenenza a qualsiasi partito od organizzazione politica o segreta, in vista sia del compito di inderogabile imparzialità inerente alla delicatezza delle loro mansioni, sia del conforme affidamento che il pubblico deve riportare in ogni circostanza per la condotta del magistrato in tutti i suoi atti;
5°) che il Governo, in coerenza ai principî ora indicati, non abbia a rallentare o a lesinare più oltre quelle misure di riparazione atte a ristabilire la Magistratura nella piena sicurezza della sua posizione, della sua efficienza e del suo avvenire».
Ha facoltà di svolgerlo.
BERTINI. Onorevoli colleghi, non simpatizzo per i duplicati, e questa è garanzia che non tratterò, per quanto mi sarà possibile, nessuno dei temi su cui ormai, non in un punto solo ma sotto vari aspetti, si è esercitata la competenza dei miei colleghi.
Rilevo – mi piace dirlo qui nella discussione sulla Magistratura – che a Bologna per discutere di questo tema, si sono tenute assemblee del ceto forense e di tutti i magistrati e gli articoli della Carta costituzionale, che sono oggi in discussione, hanno formato oggetto di imparziali ed anche vivaci, ma sempre rette, osservazioni. Tralascio quindi, di ripetere il pensiero dei convenuti alle adunanze di Bologna, i quali ebbero la deferenza di affidare a me l’incarico, che li presiedetti, di recare l’eco delle loro discussioni e dei loro voti in quest’Assemblea.
Rilevo, ad onor del vero, e per brevità, che i voti svolti o caldeggiati in queste importanti riunioni, hanno trovato, nel testo della Carta costituzionale, pieno accoglimento, il che, in massima, lascia vedere non dico l’entità, ma la similarità di vedute non solo fra l’ordine giudiziario e l’ordine forense, di cui io qui potrei dirmi il portavoce, ma in molti casi la unità di pensiero fra i membri della Commissione che preparò la Carta costituzionale.
È vero che sono stati presentati notevoli emendamenti sovra i quali la discussione specifica potrà essere opportunamente portata.
Intanto, io rilevo che l’indipendenza della Magistratura non può confondersi con la creazione di una casta chiusa, ma deve essere intesa come una salutare tendenza a mantenere nell’unità dello Stato il funzionamento libero e conveniente di tutti gli ordini, che, come il potere giudiziario, sono investiti di una loro speciale autonomia. Questa autonomia di funzione, di carriera, di disciplina deve essere sempre mantenuta rigorosamente. E se potremo raggiungere meglio questo fine attraverso gli emendamenti che sono stati presentati e che saranno poi illustrati, io credo che la Carta costituzionale, per questa parte, potrà ottenere il consenso e l’approvazione della Magistratura.
Peraltro, io pongo a me stesso un problema. Voglio essere pratico come lo fu il relatore onorevole Conti nella seduta di sabato scorso. Signori, voi me lo insegnate, questa è una carta morta che vuole però dare vita ad organismi i quali traggano dallo scritto l’interiore vitalità, senza della quale non potrebbero svolgersi gli intendimenti ed i propositi dei proponenti della Carta su cui ci soffermiamo. Ora qui si tratta di adattare al nuovo ordinamento stabilito in questo documento quella che deve essere la realtà viva, il funzionamento, la condizione della Magistratura.
E se io vi dovessi dire una parola sullo stato d’animo della Magistratura in questo momento, almeno di quella che io ho occasione più facilmente di avvicinare, non potrei nascondervi che la Magistratura oggi vive in uno stato di abbattimento, di incertezza. Molte cause contribuiscono a ciò. Accenno alle maggiori, che credo non siano sfuggite all’opera di chi presiede alla giustizia; non gli deve essere così sfuggito questo stato d’incertezza in cui vive la Magistratura, perché da ciò derivano inconvenienti nell’amministrazione della giustizia, dei quali, giorno per giorno, si accusano i magistrati, e non si accusa invece il difettoso funzionamento degli organi giudiziari; tutto si fa risalire oggi alla Magistratura, ed è pubblicamente qui da riprovare quanto spesso avviene nel Paese allorché alla Magistratura si fanno attacchi ingiusti. Su di essa si manifestano dubbi, le si addossano responsabilità e si crede di poter giocare con la Magistratura come con qualsiasi corpo politico adattabile, cioè se ne accetta l’opera e la si giudica favorevolmente solo quando dà ragione o arriva ad assoluzioni facili compiute in uno stato d’animo che non è né di libertà né di dignità. (Applausi al centro).
Signori, io vi parlo con molta franchezza e con quella imparzialità che mi deriva dall’osservare i fatti con uno stato d’animo il più indipendente, il più autonomo. Credo di rilevare queste condizioni particolari della Magistratura, aggiungendo che il Governo di oggi, il Governo di domani, lo Stato italiano per dire tutto in una parola, ha l’obbligo di preparare fin da ora tutti gli elementi i quali servano a far entrare la Magistratura nel contatto vivo di quegli elementi che rappresentano la sostanza scritta del documento che noi ora discutiamo. Perché da oggi al giorno in cui la Carta costituzionale sarà emanata, il tempo è breve, e come faremo, perciò, se fin da oggi non si compie questo compito di fattiva e sapiente preparazione?
Bisogna anzitutto pensare al trattamento economico dei magistrati, bisogna subito provvedere perché non si può dire sempre a questa gente: «aspettate». Intanto l’inverno viene e i magistrati non hanno di che riscaldarsi nelle aule e nei luoghi dei loro raduni. I magistrati vivono in una posizione di disagio anche per mancanza di personale efficiente. Si è creato da parte dei Governi precedenti un sovraccarico di funzioni, anche speciali, a carico della Magistratura, e non si è pensato che questo sovraccarico gravava su un personale che era già sproporzionato al vero lavoro in cui la Magistratura era già precedentemente impegnata. Quando io sento a proposito del progetto sulla stampa, che si è voluto stabilire il procedimento per direttissima, io mi metto a sorridere, perché si vede che nell’amministrazione della giustizia e specialmente in Italia si creano situazioni teoriche e non si pensa mai alla realtà che può soltanto essere assicurata con i mezzi esistenti. Ora c’è, è vero, il procedimento per direttissima, e stamane sentivo parlare di direttissima anche per le repressioni dell’attività fascista, ecc. Si farebbe molto meglio a rimettersi all’apprezzamento delle varie Procure per usare il procedimento più adatto e spedito, secondo le possibilità del lavoro giudiziario, anziché continuare a far leggi, come quella annonaria, in cui si è fatto un carico enorme di disposizioni transitorie, nuove, che regolano decreti precedenti; tanto che oggi in materia annonaria non sappiamo più da che parte volgerci, per cui sarebbe ora che il Governo pensasse a fare un testo unico che, coordinando le varie disposizioni, evitasse le anormalità che si verificano nella applicazione della legge, attraverso o ad agevoli e troppo facili soluzioni, o attraverso ad un rigorismo accompagnato da mandati di cattura qualche volta ferocissimi, dei quali si potrebbe fare a meno quando la norma legale non ne imponesse obbligatoriamente l’emissione. Se con tutto ciò si voglia far gravare sulla Magistratura un peso enorme di responsabilità, malgrado la incapacità delle sue forze nell’adempimento di tutto questo lavorò cui è costretta a sobbarcarsi, io non so; ma voi sapete che il decreto 10 agosto 1944 venne a stabilire mitigazioni in ordine al mandato di cattura, sia obbligatorio che facoltativo, e stabilì, nel caso di mandato di cattura facoltativo, un termine di 6-8 mesi, dopo i quali la detenzione dell’imputato sarebbe divenuta automatica nella sua terminazione.
Ebbene, quel decreto, la cui validità aveva limite circa tre mesi or sono, non è stato prorogato, e siamo, così, tornati a quelle gravissime disposizioni sul mandato di cattura che si erano volute evitare proprio col decreto 10 agosto 1944. Al Congresso di Firenze il Ministro informò che il provvedimento di proroga era in preparazione nel senso, però, di limitarla al fatto della terminazione automatica della custodia preventiva. In tale occasione io dovetti osservare al Ministro – e l’ho osservato anche informandolo privatamente – che la custodia preventiva sta in funzione del mandato di cattura facoltativo, perché soltanto in questo caso è applicabile.
Quindi, o voi ritornate alla integrità del decreto 10 agosto 1944 e farete opera giusta – vi dirò ora per quale ragione – o altrimenti voi, se togliete questa proroga, verrete a dare piena efficienza al codice fascista, con tutti i suoi inusitati rigori. Scegliete e provvedete, questo è il dilemma per chi regge oggi la giustizia.
Inoltre ho citato un inconveniente e vi dico subito in che consiste. Esso mi veniva segnalato la settimana scorsa da un dirigente di un importante ufficio di istruzione, il quale segnalava oltre l’inconveniente dell’enorme massa di processi che si arrestano per mancanza di personale e di altri mezzi necessari per provvedere alle istruttorie, altri inconvenienti gravissimi:
1°) che non si hanno a portata di mano gli imputati detenuti, che vengono frequentemente, anche per necessità, spostati da un carcere ad un altro, sicché quando il giudice istruttore li vuole interrogare, deve cercarli da tutte le parti e in tal modo l’istruttoria procede molto lentamente;
2°) non si vuol dare la libertà provvisoria, quando invece il decreto 10 agosto 1944 l’ammetteva. Ma le carceri sono piene zeppe e ne abbiamo avuto una eco anche ieri nella risposta del Ministro alle interrogazioni di alcuni colleghi, tra cui Pertini; e c’è di peggio: tutti trovano espedienti per ottenere una mitigazione e si dànno malati per andare in case di cura, oppure trovano un mezzo qualsiasi per eludere il rigore in cui li taglierebbe dal mondo una situazione che è delle più incresciose.
Detto ciò, signori, non insisto: ho detto di voler essere breve e passo oltre. Mi limiterò a dire una parola che è strettamente aderente al tema di cui ci occupiamo; accennerò all’ordinamento giudiziario penale. Non parlo dell’ordinamento giudiziario civile, perché in questi giorni una Commissione nominata dal Congresso di Firenze sarà a Roma e mi auguro che su quel punto potremo avviarci su una buona strada e diminuire il collasso del lavoro incompiuto, che ormai affligge tutti i tribunali per le cause civili.
Parliamo dell’ordinamento penale; e mi riferisco alla nostra proposta per dare la possibilità al giudice istruttore o al magistrato di merito di servirsi della polizia giudiziaria addetta alle Questure.
Questo è un argomento che va affrontato apertamente e senza peli sulla lingua. Signori, molte delle istruttorie penali vanno male, perché sono un monopolio della polizia, perché la polizia si diletta, per una sua abitudine o tendenza, a queste istruttorie. Si capisce anche la tendenza che c’è in ogni organo di allargare e di trattenere gelosamente quanto più è possibile la sua competenza su una determinata serie di attività.
Ma oggi c’è un latente conflitto, se non continuo, intermittente, fra le questure, la polizia giudiziaria, e le procure della Repubblica. Bisognerebbe invece qui mutare sistema. Il centro motore della polizia giudiziaria debbono essere le procure della Repubblica; non dovrebbe essere ammesso che le questure, come avviene quasi, direi, settimanalmente, se non giornalmente, trattengano per settimane, settimane e settimane i procedimenti, dopo l’arresto degli imputati, mentre la procura non ne sa nulla.
Accade, infatti, continuamente che noi ci si rivolga alla procura e la procura ci risponda che nulla risulta dalla sua rubrica, come è avvenuto in un processo per il quale da un mese e mezzo si fa la spola da una città all’altra e ancora si discute della competenza.
Ora, è ammissibile tutto ciò? Il principio, se veramente si vuole il senso della libertà applicato all’amministrazione della giustizia, nei rapporti di chiunque sia inquisito, deve essere questo: nei casi urgenti, si comprende che la polizia giudiziaria debba agire senza limitazione; ma in ogni modo essa deve informare subito la procura della Repubblica, con suo rapporto, del procedimento che si sta iniziando, perché è soltanto la procura della Repubblica che deve dirigere l’istruttoria o per lo meno iniziarla.
Sarebbe in tal modo evitato, seguendo cioè queste giustissime e ormai reclamate innovazioni, quello che succede oggi: che cioè i procedimenti pervengano alle procure già istruiti, dando, fra l’altro, luogo a tutta quella serie di questioni che nascono, che cioè gli interrogatori siano stati fatti sotto lusinghe o sotto minacce e con atti, con perizie che senza alcun dubbio esulano dalla competenza della questura. Avviene così che i fascicoli relativi ai processi si accumulino sui tavoli della questura; avviene così che si venga a ribaltare la causa o ad affrettarla oltre misura; avviene così che si commettano ingiustizie nel senso che si viene a condannare un imputato che meriterebbe di esser considerato innocente o che si consideri innocente un imputato che meriterebbe di esser considerato colpevole.
Il principio dunque che noi vorremmo vedere affermato nella Carta costituzionale e che io contemplo con uno specifico comma nel mio ordine del giorno è appunto costituito dalla proposta che la polizia giudiziaria passi direttamente alla direzione e alla competenza – salve le dovute norme di coordinamento – per tutto ciò che riflette al suo andamento e alla personificazione dell’organo che deve avere la responsabilità dell’istruttoria, all’autorità giudiziaria.
E non aggiungo altro, o signori, ché dire altre cose significherebbe aggiungere cognizioni a chi ne ha già troppe. Non dico rispondendo, ma accennando a quello che, con molta franchezza, ebbe l’opportunità di dire l’onorevole Conti, io rilevo che la Magistratura in Italia è in realtà fondamentalmente onesta. È molto più onesta di quel che non pensi il Paese. Ma sapete chi è molte volte che circuisce la Magistratura e attenta alla sua integrità? I faccendieri; i faccendieri che si annidano nelle Questure e si annidano nel foro esterno del tribunale. Io ho dovuto lottare e lotto contro questi faccendieri, i quali, non so perché, riescono sempre a prevalere contro la condotta degli avvocati onesti.
Poi, io vorrei che si richiamassero – e questo potrebbe farlo il Ministro; e farà cosa ottima – i Consigli forensi ad essere più avveduti, più severi, più accurati nella ricerca di queste inframmettenze che un po’ dappertutto, ma specialmente nei grossi centri, formano uno scandalo continuo. (Approvazioni). Si sente parlare di migliaia e migliaia di lire, vantandosi questi faccendieri di poter ottenere tutto per il loro tramite e, si sottintende, si ottiene dalla Magistratura, che si dà quindi come complice. Questo è un grossolano ma persistente millantato credito; verso la Magistratura, evidentemente, viene a crearsi nel Paese, per coloro che non ne conoscono la compagine e la condotta, un senso di sospetto, che è veramente doloroso, e di cui i magistrati, come si sono lagnati con me, hanno diritto di lagnarsi un po’ dappertutto. Perciò io ravviso qui la necessità di raccomandare alla solerzia del Ministro della giustizia di voler richiamare le procure della Repubblica ed i Consigli forensi ad intervenire con tutta l’energia possibile, volgendo le loro ricerche su queste vere piaghe, sia pure esteriori alla giustizia, ma che però influiscono sull’opinione che fuori si ha di poter ottenere tutto attraverso la corruzione dei giudici. Facendo questo si potrà collaborare a risanare l’ambiente, come ce n’è tanto bisogno.
Un’ultima osservazione. Vorrei dire una parola sola sulla questione della appartenenza dei magistrati ai partiti politici. E dico subito che sono contrario all’appartenenza dei magistrati ai partiti politici per una ragione superiore, nella quale io voglio che si mantenga e sia riconosciuta la posizione del magistrato.
E a proposito vi dirò che per primi i magistrati desiderano di non avere questa facoltà di iscriversi ai partiti politici. Vi riferirò un episodio, col quale termino. In quelle assemblee che ho detto essere state tenute a Bologna sotto la mia presidenza, ad un certo momento, avvocati molto colti ebbero a sostenere l’adesione libera ai partiti da parte dei magistrati. Si discusse del «sì» e del «no», specialmente nel ceto forense; ma ad un certo momento si alzò un insigne magistrato, universalmente stimato a Bologna, ove ha svolto un compito di grande integrità e di grande equilibrio; ed egli – vecchio, ma ancora fresco di forze ed esempio di grande onestà; una onestà che egli fino alla povertà oggi mantiene ed ha mantenuto in tutta la vita – si alzò e con parola calma disse: «Signori, alle vostre domande io oppongo una questione: sareste voi sicuri che di tutte le sentenze che noi alla Sezione istruttoria abbiamo dovuto emanare – sentenze più o meno controverse, più o meno temute, più o meno gravi – si sarebbe fatta accettazione da parte del pubblico, se noi fossimo stati esponenti di un partito politico? Evidentemente tutti avrebbero creduto, in un caso o nell’altro, che il partito A o il partito B o il partito C, secondo la natura dei giudici che hanno contribuito a formare quei giudicati, abbia influito a determinare o l’assoluzione o la condanna».
Signori, ho finito. La giustizia deve essere come la moglie di Cesare: deve essere esente da ogni richiamo e da ogni ombra; e ciò perché c’è tendenza nel Paese a dire che il magistrato si compra perché la giustizia se la fanno i più ricchi e per i poveri la giustizia non c’è.
Lasciamo andare l’eccesso di questa frase. Noi, in Assemblea Costituente, discutendo su questo argomento, dobbiamo sforzarci di dare all’ordinamento della giustizia e ai magistrati, sacerdoti della giustizia, un trattamento, un ordinamento tale da poter dire che si è fatto quanto era possibile a che la giustizia sia la vera condizione della libertà e della imparzialità del giudice! (Applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Gesumino ha presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente:
afferma che l’indipendenza dei magistrati, considerata non come privilegio loro concesso, ma come garanzia essenziale per i cittadini, impone sia costituzionalmente fissato l’assoluto divieto di essere iscritti ad un partito politico e di partecipare comunque a pubbliche manifestazioni politiche per tutti coloro che fanno parte dell’Ordine giudiziario, delibera che:
1°) istituita la giuria popolare, sia demandata alla legislazione del futuro Parlamento la fissazione delle norme che ne disciplinino il funzionamento, ne organizzino la formazione e ne disciplinino la competenza, tenuto conto dei dati dell’esperienza e delle necessità che i giudici popolari abbiano i requisiti necessari, intellettuali e morali per l’esercizio della loro grave funzione;
2°) siano conservati i tribunali militari, il cui funzionamento e la cui competenza saranno regolati da leggi del futuro Parlamento;
3°) con la creazione del Consiglio superiore della Magistratura, sia attribuita al Governo la facoltà ispettiva nel funzionamento dell’amministrazione della giustizia, al fine di rendere possibile l’iniziativa dell’azione disciplinare da parte del Ministro responsabile, ed il controllo parlamentare».
Ha facoltà di svolgerlo.
MASTINO GESUMINO. Onorevoli colleghi, le molto concise osservazioni che io farò, dirette ad illustrare il contenuto del mio ordine del giorno, sono essenzialmente dirette alla precisazione di determinati concetti; perché, lungo questa appassionata discussione – certe volte di altissimo tono – che noi abbiamo fatta, io ho creduto, con sommessa modestia, di dovere rilevare che alcune volte, volendo seguire in tutti i possibili sviluppi i concetti espressi, si è dimenticato di partire dall’esatta posizione dei problemi.
Così, ad esempio, per quanto riguarda l’appartenenza o meno dei magistrati ai partiti politici. Sono perfettamente d’accordo col collega Bertini che il magistrato non debba appartenere a nessun partito politico. E non solo non dovrebbe appartenere a partiti politici, ma non dovrebbe partecipare pubblicamente a manifestazioni di carattere politico.
Ma questa mia affermazione è la diretta conclusione d’un principio che io credo debba essere univocamente posto.
Questa nostra faticosa impostazione del nuovo ordinamento giudiziario, che deve essere la base e, insieme, il coronamento della costruzione delle garanzie delle libertà dei cittadini, è diretta non a creare nell’ultima fase (autonomia della Magistratura, elevazione sociale e morale dei magistrati) un privilegio per la classe dei magistrati, ma è diretta soprattutto a creare la suprema garanzia per i diritti dei cittadini.
Badate, non si tratta d’una posizione puramente dialettica e formale. È posizione – secondo me – essenziale, perché noi in tanto dobbiamo creare questa suprema costruzione che dia ai magistrati l’autonomia e quasi l’autogoverno, in quanto questa autonomia e questo autogoverno rappresentino una garanzia ulteriore per i singoli cittadini.
Ogni autonomia ed ogni autogoverno devono cessare di funzionare quando da essi possa essere diminuito od in qualche modo offuscato il completo esplicarsi di tale garanzia.
Ora, se partiamo da questo principio, noi dobbiamo necessariamente dedurre (a prescindere da qualsiasi considerazione di ordine politico che io credo debba essere estranea alla «discussione attuale di ordine esclusivamente tecnico-giuridico) che la partecipazione del Magistrato a un partito politico sminuisce la garanzia dell’assoluta indipendenza del giudice.
Questa garanzia infatti non deve essere solo costituita nell’ordine logico giuridico, ma dev’essere subiettivamente appresa da ogni cittadino. Ogni cittadino deve avere, evidentemente, chiaramente, limpidamente la sensazione che il magistrato nel giudicare è estraneo a quella che può essere la passione di parte, o fazione di parte, o idealità politica, o lotta politica. Ora, come può questa garanzia che, come vi dicevo, deve essere apparente, deve essere certa, deve essere sicura, esistere quando il cittadino abbia visto partecipare a dimostrazioni politiche, magari contrarie alle sue idealità, il magistrato che poi deve giudicare della sua libertà e dei suoi interessi? Credo che evidente sia la risposta: il magistrato deve essere posto in una situazione tale da essere considerato non, come con frase abusata si dice, non sospettabile, come la moglie di Cesare, ma neanche adombrabile dal dubbio sulla sua purezza, nell’attimo supremo in cui esprime il suo giudizio. Identicamente – e in una sfera maggiore, anzi in una sfera più alta e comprensiva di tutte le nostre discussioni – io ritengo che l’autonomia dei magistrati, che si attui attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura, debba essere limitata dalle necessità di garanzia verso i cittadini.
Ma, onorevoli colleghi, se noi concepiamo l’autonomia e l’autogoverno della Magistratura quasi con un debito dovuto alla Magistratura a prescindere da ogni altra considerazione, considerandola nell’ordine puramente logico ed astratto, come necessità deduttiva del principio che la Magistratura non deve, nell’esercizio della sua suprema missione, essere in qualsiasi modo influenzata dagli altri poteri; se questa concezione noi dovessimo condurre alle estreme conseguenze, considerandola a sé, io credo che una tale autonomia, così intesa nelle sue più late accezioni, non potrebbe essere accettata. Se noi invece partiamo dal principio, che, come detto, deve essere considerato come essenziale presupposto di tutto il problema, noi vedremo che non è possibile porre la Magistratura al di fuori, quasi al di sopra, della compagine dello Stato. Noi dobbiamo questa autonomia della Magistratura considerarla incuneata, compresa, articolata nell’insieme dell’organizzazione dello Stato.
Ora, siccome non è possibile che noi neghiamo la necessità del controllo del Parlamento sul governo della Magistratura, mi pare eccessiva la frase contenuta nell’articolo del progetto in cui è detto che il Consiglio Superiore della Magistratura ha autonomamente, con esclusione di qualsiasi ingerenza, il governo della Magistratura. Perché allora io vorrei chiedere: come si potrà esercitare il controllo parlamentare sull’opera della Magistratura, che pure è essenziale in ogni Stato ordinato e libero? L’onorevole Conti, nel suo così vasto, così completo, così appassionato discorso ha elencato, tra i poteri che attualmente spettano al Ministro per la giustizia, il potere ispettivo; ma il potere ispettivo, contenuto nelle leggi attuali, dovrebbe essere inquadrato nelle norme costituzionali che noi dobbiamo statuire. Ora, se le norme costituzionali stabilissero la facoltà esclusiva del supremo organo della Magistratura di autogovernarsi, evidentemente la facoltà ispettiva del Ministro della giustizia si dovrebbe esplicare sulle attività marginali dell’amministrazione giudiziaria o sull’attività dei cancellieri, e non mai sul governo della Magistratura. Ma questo è inammissibile in un retto Governo e in uno Stato democratico.
Quindi io propongo, nel mio ordine del giorno, che «con la creazione del Consiglio Superiore della Magistratura, sia attribuita al Governo la facoltà ispettiva nel funzionamento dell’amministrazione della giustizia, al fine di rendere possibile l’iniziativa dell’azione disciplinare da parte del Ministro responsabile ed il controllo parlamentare».
Non credo che questo possa, in alcun modo, nuocere alla creazione di quella nuova Magistratura autogovernantesi ed organicamente costituita come potere autonomo nella sfera delle sue competenze, che noi vogliamo istituire. Noi dobbiamo questa nuova Magistratura crearla in modo da non estraniarla dall’ambito dello Stato; perché, se è vero che la divisione dei poteri è uno dei principî che hanno regolato la creazione dello Stato moderno, è anche vero che non si può ritenere la divisione dei poteri essere un qualche cosa di meccanico, che funzioni automaticamente, al di fuori della realtà sociale, giuridica e politica.
Anche la Magistratura, concepita come organo sovrano dello Stato e, se si vuole, come potere dello Stato, deve essere inquadrata, essere amalgamata, essere inserita nella Costituzione in modo da potere essere compresa in tutto quell’insieme di controlli, che forma la garanzia suprema della libertà di tutti i cittadini.
Ed io, che vi ho promesso di essere rapidissimo, passo senz’altro alla discussione dell’argomento intorno al quale tanta vasta eloquenza è corsa in quest’Aula: l’argomento della istituzione delle giurie popolari.
Permettetemi che vi dica che anche su questo punto è bene che si precisino più esattamente i concetti. La maggior parte degli oratori, che hanno negato l’opportunità dell’istituzione della giuria popolare, l’hanno negata affacciando le grandissime deficienze che la giuria popolare ha manifestato finora; hanno cioè negato, discusso, dichiarato inammissibile non l’istituto, ma la giuria popolare così come ha finora funzionato.
Ma noi non possiamo partire dal presupposto che la giuria popolare debba necessariamente funzionare nel futuro come sempre ha funzionato nel passato; e che non sia possibile costituirla diversamente e creare della giuria popolare un organismo giuridico tale che funzioni senza i difetti che giustamente sono stati affacciati, in modo da potere inserire nell’amministrazione della giustizia un istituto circondato dal prestigio e dalla forza derivantigli dalle sue fonti naturali, popolari, dirette. Si sono prodotti, a sostegno delle diverse tesi, molti esempi. Permettetemi che vi dica che anche io potrei fornirvi esempi numerosi e citarvi casi diversi, avendo indossato la toga del procuratore generale nelle Corti d’assise, e successivamente, per molti anni oramai, indossato la toga del difensore; sicché ho potuto valutare, partendo dalle diverse concezioni, da un campo e dall’altro, e i difetti e i pregi dell’istituto. Io ho iniziato la mia missione di avvocato, difendendo la parte civile in un processo in cui erano imputati varî fascisti che avevano selvaggiamente assassinato nel piccolo paese di Portoscuso, due poveri pescatori. Si era all’inizio del movimento fascista, e tutte le bande armate, assoldate dal potere, che ancora non si era fortemente costituito, ma che cercava in tutti i modi di fortemente costituirsi, premevano alle porte dell’aula dove si svolgeva il processo, affinché gli imputati fossero assolti. Ogni mezzo terroristico fu usato; ma i giurati non piegarono, e condannarono.
Successivamente io difesi in Corte di assise, per tre mesi, alcuni imputati di aver ucciso il segretario politico di un piccolo comune. Le forze del fascismo erano allora in piena esplosione di violenza; ed anche allora tutti i mezzi furono usati perché gli imputati venissero condannati. Quattro testimoni di difesa furono arrestati. Il processo durò tre mesi. Il collegio di difesa dovette in gran parte abbandonare l’aula ed affidare la difesa ad uno solo degli avvocati. I giurati – coti fermissimo animo – assolsero gli imputati ad unanimità di voti.
Per darvi un esempio dell’altro campo, vi dico che ancora echeggia nel mio cuore il pianto di una povera donna ottantenne che ho difeso davanti al tribunale. Era imputata di aver dato un litro di olio per un poco di grano. Io la difesi d’ufficio, disperatamente. Chiesi al tribunale che concedesse almeno, se non voleva accedere alla tesi dell’infermità mentale o della semi infermità mentale, la sospensione condizionale della pena.
Il tribunale non applicò la legge; ma applicò una circolare ministeriale che vietava la concessione della sospensione condizionale della pena, anche nei casi in cui la legge tale diritto attribuiva all’imputato condannato. Questo vi dico, perché è mia profonda convinzione che gli errori della Magistratura togata siano pari, nella linea morale e di fatto, agli errori che ha commesso l’antica giuria popolare. Dalla mia esperienza ho tratta la profonda convinzione che la giuria popolare ha in grado eminente quella dote essenziale che dovrebbero avere tutti coloro cui spetta il tremendo dovere di giudicare i propri simili: la particolare sensibilità derivante dall’essere il giudice prodotto dell’ambiente in cui il delitto nacque. Se un insegnamento profondo io ho tratto dalla mia vita e dalla mia passione di avvocato, l’insegnamento è questo: che allorquando si tratta dei più gravi delitti, soprattutto di quelli di sangue, non ci troviamo mai di fronte ad un fatto normale. Non è esatto che giudicare un ladro sia lo stesso che giudicare un assassino. Esiste tra i due giudizî una differenza essenziale. Nelle profondità stesse di ogni essere umano c’è un profondo ribrezzo per il sangue. Per superare questo ribrezzo, ed uccidere; per commettere questo atto che è tremendo per tutti, devono concorrere, insieme col crollo psicologico di tutte le barriere opposte dalla coscienza e dall’istinto, speciali situazioni di fatto, speciali condizioni ambientali, specialissime posizioni subiettive. Tutto deve essere valutato con sincerità e, direi, con naturalità, senza contorsioni dialettiche molte volte abili, troppe volte aberranti. La Magistratura ordinaria, attraverso la professione del giudicare, qualche volta perde la prontezza della facoltà di reagire con sensibilità umana al fatto umano.
Ed allora, per quali ragioni noi dobbiamo privare il cittadino di questo mezzo di giudizio, unicamente partendo dai difetti di funzionamento finora rilevati?
L’essenziale è che noi studiamo i mezzi per migliorarlo.
Affermiamo ora nella Costituzione il principio istitutivo della giuria popolare. Rimandiamo al futuro legislatore le norme, con cui questa funzione sarà disciplinata. Questa è la conclusione cui giungo nel mio ordine del giorno: della giuria popolare dovrà essere organizzata la formazione e disciplinata la competenza, tenuto conto dei dati dell’esperienza e della necessità che i giudici popolari abbiamo i requisiti intellettuali e morali richiesti per l’esercizio di questa grave funzione.
Penso che una giuria diversamente organizzata, diversamente scelta, diversamente composta, possa contemperare i pregi della Magistratura togata coi grandissimi pregi della Magistratura popolare.
Una delle ragioni, per cui penso che la giuria popolare è da conservare, è anche la seguente: il modo egregio con cui funzionano i tribunali militari. Non credo che questo debba parer strano a chi ha pratica dei tribunali militari. È mia profonda convinzione, formatasi attraverso l’esperienza personale, che, sia in pace come in guerra, i tribunali militari funzionino con tanto profondo senso di giustizia proprio perché si attua in essi quella formazione speciale della selezionata ed idonea giuria popolare, che io invoco.
L’istituto della giuria popolare rappresenta pertanto una necessità di giustizia, non formale ma sostanziale, anche se rapportato al tribunale militare, che ha sempre dimostrato prontezza di reazione psicologica e profondo senso di umanità.
L’obiezione fondamentale mossa contro l’istituzione della giuria, cioè la inappellabilità delle sue sentenze, deriva anch’essa dal presupposto che la giuria debba rimanere tale quale è stata organata finora. Non è obiezione insuperabile, perché non è impensabile una sentenza della giuria popolare riesaminata da una sezione della Corte di cassazione, anche nel merito, e rimandata ad altra Corte di assise per il riesame.
Non si dica, come con superficialità si è detto, che ciò snaturerebbe la Corte di cassazione; perché non è esatto che la Corte di cassazione non giudichi mai sul merito, che la sua funzione si esaurisce sempre in una pura indagine di diritto. In tutte le materie che attengono ai conflitti di giurisdizione e di competenza, la Cassazione giudica necessariamente anche pel merito. Perciò l’obiezione giuridica non regge, essendo sempre possibile che la Cassazione riesamini, anche nel merito, i giudizi delle Corti di assise, li annulli, e rimandi al giudizio di altra Corse di assise.
In quanto al sì ed al no, in cui si concentra tutto il giudizio dei giurati e che tanti clamori di disapprovazione ha suscitato in vari oratori, mi si consenta di dire che tutti i giudizi umani si concretano e si concludono in un sì od in un no. È la motivazione del sì e del no, quella che a noi sta a cuore. Anche qui si commette l’errore di dare come immutabile il funzionamento attuale della giuria, il quale non è altro che una trasformazione malfatta dell’antico funzionamento. Infatti anticamente i giurati si radunavano per il verdetto e discutevano in camera di consiglio per ore ed ore, in modo che il sì od il no era il frutto di una lunga meditazione e di una approfondita discussione.
In quanto alla motivazione, è possibile che voi, esperti giuristi, che qui siete convenuti da ogni parte d’Italia, vi fermiate di fronte ad un obiezione la quale può essere in molti modi, giuridicamente, superata? Come il magistrato togato può associarsi tecnici estranei alle sue file in certi giudizi, così non è impensabile che alla Magistratura popolare si aggreghi un giudice togato il quale partecipi al processo ed, in camera di consiglio, alle decisioni. Io non intendo presentare una conclusione, ma voglio prospettare una proposta unicamente per rilevare che le impossibilità affacciate da alcuni colleghi sono soltanto apparenti e non insuperabili, in quanto vengono dedotte da un dato di fatto inesatto ed aberrante. Si afferma la inaccettabilità della giuria popolare perché ha funzionato male; invece di studiare i mezzi e le forme perché funzioni bene. Vorrei aggiungere, e questo più che una affermazione, è un sentimento trepido, velato di angoscia, che tutta questa faticosa costruzione giuridica, tutta questa nostra Costituzione alla quale abbiamo collaborato con tanto appassionato amore, potrebbe risultare opera vana, costruita sulla sabbia, La garanzia suprema di tutti i diritti e di tutte le libertà, non consiste infatti nella formulazione sapiente di determinate norme, o nella creazione di determinati organi di tutela. Le une e gli altri, di solito, funzionano in periodo di pace, e non funzionano allorché la Nazione è squassata dalle tempeste interne ed esterne, susseguentisi nella storia. Ora, vorrei dire ai magistrati che, al disopra e al di fuori delle garanzie organiche loro concesse, i cittadini avranno la garanzia suprema nella loro coscienza, nella loro rettitudine, nella loro fermezza. E vorrei dire a tutti gli italiani che non ci sarà ordinata amministrazione della giustizia, finché non risorga in tutti gli spiriti il senso del rispetto del diritto e l’ossequio alla legge, garanzia suprema di tutte le libertà, finché dal profondo di tutti i cuori non rinasca il santo orrore del sangue e finché non ci sentiamo nuovamente fratelli nell’amore a questa nostra Patria e nel comune dolore per le sue immense sventure. (Applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Dichiaro chiuso lo svolgimento degli ordini del giorno. Gli altri che mi sono stati consegnati nel corso di questa seduta, a tenore del Regolamento, non dànno diritto ai loro presentatori di svolgerli.
Un primo ordine del giorno è stato presentato dagli onorevoli Crispo, Quintieri Quinto, Rubilli, Candela, Villabruna, Rescigno, Martino Gaetano, Gabrieli, Bellavista, Cortese Guido, Sansone:
«L’Assemblea Costituente,
considerato che la funzione del Pubblico Ministero nel procedimento penale è intesa a realizzare la pretesa punitiva dello Stato;
considerato che tale funzione ha un suo proprio carattere, e che l’esercizio di essa costituisce il Pubblico Ministero nella posizione di parte, nel contrasto tra le esigenze della tutela sociale e quelle della difesa dell’imputato, mentre, in tale contrasto, l’opera del giudice è in funzione di sintesi;
ritenuto, infine, che il ripetuto esercizio di detta funzione conferisce un abito mentale che mal si adatta all’opera giurisdizionale
afferma
la necessità che la carriera del Pubblico Ministero sia tenuta distinta da quella della Magistratura giudicante».
È stato poi presentato dagli onorevoli Rossi Maria Maddalena, Noce Teresa, Bei Adele, Merlin Lina, Mattei Teresa, Gallico Spano Nadia, Basso Lelio, Mancini, Cevolotto, Martino Gaetano, Abozzi, Costa, Veroni, Rubilli, Bonomi Ivanoe, Sansone, Bellusci, Gasparotto, Lussu, Porzio, Facchinetti, Paolucci, Mazzoni il seguente altro ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente,
considerato che con l’articolo 48 è stato solennemente affermato nella nuova Costituzione italiana il diritto della donna ad accedere alle cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza rispetto all’uomo,
afferma che nessuna limitazione dovrà essere posta dalla legge all’accesso della donna alla Magistratura».
Darò ora lettura di altri due ordini del giorno presentatli nel corso di questa seduta. Uno è firmato dall’onorevole Patricolo, del seguente tenore:
«L’Assemblea Costituente
afferma
che l’autonomia e l’indipendenza dei poteri dello Stato deve essere considerata come esigenza fondamentale di ogni regime democratico
delibera che il potere giudiziario venga riconosciuto dalla nuova Carta costituzionale dello Stato come potere autonomo e indipendente, senza pregiudizio della facoltà di sindacato e di controllo spettante al Parlamento.
L’altro ordine del giorno è firmato dall’onorevole Mortati ed è del seguente tenore:
«L’Assemblea Costituente, considerato:
che qualsiasi tipo di decentramento, il quale non voglia conformarsi allo schema federalistico, esclude ogni estensione di esso alla funzione giurisdizionale;
che, in ogni caso, contradittorio sarebbe invocare il principio del decentramento dell’istituto della cassazione e limitarne poi l’applicazione al solo ripristino delle quattro Corti soppresse nel 1923, mentre esso imporrebbe, per ovvie esigenze di logica e di equità, l’assegnazione ad ogni regione di una propria cassazione;
che questa necessaria conseguenza del decentramento accrescerebbe fino all’assurdo i noti inconvenienti della pluralità delle cassazioni, pluralità sconosciuta alle legislazioni di tutti i paesi del mondo;
che l’ordinamento regionale, anziché giustificare tale pluralità, esige l’attuazione di una maggiore unitarietà dell’interpretazione della legge, onde evitare che le divergenze interpretative ostacolino il sorgere dei rapporti fra cittadini appartenenti alle diverse regioni;
che la constatazione delle difficoltà manifestatesi in pratica al conseguimento dell’unità della giurisprudenza pur dopo l’accentramento della cassazione possono consigliare l’adozione di mezzi tecnici onde evitare in avvenire le difficoltà stesse, non mai giustificare il ritorno ad un sistema, verso cui erano in passato rivolte le critiche generali, e che riuscirebbe utile solo ad alcuni appartenenti alla classe forense, non certo agli interessi della Nazione;
delibera:
che la Corte di cassazione debba essere unica per tutto il territorio della Repubblica».
Faccio subito rilevare che non si tratta di ordini del giorno simili a quelli che l’Assemblea ha preso in considerazione in sedute precedenti e sui quali è giunta ad una votazione. Relativamente a quest’ultimo Titolo della Costituzione, gli ordini del giorno si sono moltiplicati con due caratteristiche. La prima è che ognuno di questi ordini del giorno si propone di dare risoluzione a tutta una serie di questioni. Essi non sono ordini del giorno che enunciano un problema e ne propongono la soluzione, ma ciascuno di essi prende in esame diversi punti del problema generale offrendone la soluzione. La seconda caratteristica è che, dato che questi punti essenziali non sono innumerevoli, questi ordini del giorno toccano tutti gli stessi punti e propongono soluzioni analoghe o quasi.
Ciò crea una grave difficoltà per l’ordine delle votazioni. Se poi aggiungo che ciascuno di questi ordini del giorno propone all’Assemblea di pronunciarsi su ciò che è materia dei singoli articoli, precludendo così la presa in esame degli emendamenti, che sono numerosissimi, mi pare che si debba concludere che in realtà su questi ordini del giorno, quanto meno in questo momento, non si possa o non si debba votare. Altrimenti sorgerebbe in primo luogo la questione a quale ordine del giorno dare la precedenza nella votazione? In secondo luogo, se noi votassimo, a fine discussione generale e prima di esaminare gli articoli, tutti questi ordini del giorno, praticamente pregiudicheremmo tutta una serie di votazioni che comunque bisognerà fare successivamente. Queste votazioni iniziali degli ordini del giorno assumerebbero infatti un carattere preclusivo, e l’Assemblea avrebbe il diritto, quanto meno in quella parte che rimanesse in minoranza, di protestare contro questa formazione troppo sollecita e prematura di decisioni.
Sono del parere che noi possiamo votare questi ordini del giorno, se mai, mano a mano che incontreremo gli argomenti specifici che essi trattano.
Occorrerebbe che in precedenza, però, i presentatori dei vari ordini del giorno, che toccano problemi comuni, con soluzioni eguali, si mettessero d’accordo, per presentare un testo solo, in maniera da togliere all’Assemblea la preoccupazione della scelta dell’ordine del giorno da porre in votazione.
Non vorrei che, accingendoci poi a votare quegli ordini del giorno che presentano una analogia e che sono confondibili tra di loro, sorgesse la questione della precedenza.
In genere gli ordini del giorno trattano questi problemi:
1°) La giuria. A questo tema è dedicato un articolo sul quale è stata presentata tutta una serie di emendamenti. Io credo che il modo migliore di pronunciarci sull’argomento è di votare sugli emendamenti e poi sull’articolo.
2°) L’indipendenza della Magistratura. Tutti coloro che hanno parlato, vi si sono a lungo soffermati.
Si ritiene necessario votare un ordine del giorno a questo proposito, o non è ben più consigliabile dare agli articoli della Costituzione per questo Titolo un tale contenuto, che assicuri di per sé questa indipendenza senza affermarla con una votazione che non porterebbe a nessun risultato concreto?
3°) La Corte costituzionale. Ho già fatto presente all’onorevole Adonnino che questo problema potrebbe essere esaminato quando passeremo al sesto Titolo di questa parte del progetto di Costituzione;
4°) Cassazione unica oppure Cassazioni regionali.
Nel testo del progetto non c’è nessun articolo che si riferisca al problema della Cassazione, ma vari emendamenti lo trattano e propongono. Io credo che sia opportuno rinviarne, al momento nel quale li esamineremo, la soluzione, e pertanto di decidere allora sugli ordini del giorno che propongono la Cassazione unica o le Cassazioni regionali.
5°) Ed infine abbiamo la questione del divieto della iscrizione a partiti politici da parte dei magistrati. Data la definita concretezza della questione, mi pare che sia assai meglio votare sull’articolo, anziché su un ordine del giorno, che dovrebbe poi essere a sua volta trasfuso in un articolo per acquistare valore costituzionale.
Per tutte queste considerazioni io sono del parere che (essendo stato utile ed interessante ascoltare in soprannumero, oltre agli oratori iscritti nella discussione generale, anche i presentatori degli ordini del giorno), giunti a questo punto, possiamo passare all’esame degli emendamenti.
Se non vi sono obiezioni, o se qualche presentatore di ordine del giorno non rivendica il diritto di porlo in votazione, propongo dunque all’Assemblea di passare all’esame degli emendamenti relativi all’intitolazione di questo titolo.
L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione a questo riguardo.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Aderisco pienamente alla proposta del Presidente.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. Vi è una prima serie di emendamenti, già svolti, in ordine alla intitolazione del Titolo IV:
«Sostituire il titolo: La Magistratura, con l’altro: Potere giudiziario, oppure, subordinatamente: Ordine giudiziario.
«Romano».
«Sostituire il titolo: La Magistratura, col seguente: Amministrazione della giustizia.
«Colitto».
«Sostituire il titolo: La Magistratura, col seguente: Il potere giudiziario.
«Mastino Pietro».
«Sostituire il titolo: La Magistratura, col seguente: Il potere giudiziario.
«Persico».
Prego l’onorevole Ruini di voler esprimere l’avviso della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il termine proposto nel testo, e cioè «Magistratura», corrisponde, con euritmia e con concretezza, agli altri che designano i vari Titoli: Parlamento, Governo, ecc.; e mi sembra dia risalto e debba soddisfare i magistrati. Ad ogni modo, non è questione sostanziale; e di fronte a tutte le nuove intitolazioni proposte, il Comitato di redazione non si oppone a che sia adottata un’altra espressione, che possa ottenere più larghi consensi.
Dichiaro subito, relativamente alla proposta «Il potere giudiziario», che il Comitato sente profondamente ciò che significa la distinzione dei poteri come spirito di tutta la Costituzione. Ma un incasellamento preciso di norme in tal senso non è possibile; avremmo dovuto dire anche: «Il potere legislativo» e «Il potere esecutivo». Non è, per questa ragione, possibile accettare la proposta dizione.
Per quanto riguarda «Ordine giudiziario» – o giurisdizionale, come è proposto dall’onorevole Grassi – ci sembra che questa espressione, che potrebbe valere al più per una sezione, non corrisponda a tutto il contenuto del titolo e non abbia lo stile delle altre formule: Parlamento, Governo, ecc.
Se si vuol mutare «Magistratura» preferiamo si adotti un altro termine «La giustizia», che è largo e solenne, e che è usato in altre Costituzioni, come la weimariana. È un po’ astratto, ma dà il senso alto della funzione, di cui si tratta nel titolo.
GRASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI. Non penso che sia una grossa questione questa dell’intitolazione del Titolo IV. Però, siccome questa intitolazione entra nella seconda parte della Costituzione, intitolata «Ordinamento della Repubblica», e siccome ogni Titolo specifica gli organi e l’organizzazione che corrispondono ai vari poteri dell’ordinamento generale della Repubblica, penso che l’intitolazione «La Magistratura» sia quella da preferire; nel senso che, per mantenere l’euritmia di tutte le intestazioni fatte, dobbiamo dire anziché «La giustizia» (che rappresenterebbe non più un organo, ma la funzione dell’organo stesso), «La Magistratura».
Preferirei questa dizione.
PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la proposta che lei ha fatto è della Commissione, ovvero lei ha parlato a titolo meramente personale?
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È la proposta del Comitato, piuttosto che la mia personale. Io vi ho acconsentito, ripeto, perché non è questione sostanziale, e di fronte alle difficoltà sollevate con la pioggia, che comincia qui, degli emendamenti, cerco di concludere e di evitare lunghi dibattiti.
Il Comitato propone «Giustizia»; ma se l’espressione non è accolta dall’Assemblea, io insisto per la intitolazione anteriore di «Magistratura».
PRESIDENTE. Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?
ROMANO. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Colitto, lei mantiene il suo?
COLITTO. Io non insisto nel mio emendamento, anche perché la formulazione da me proposta «L’amministrazione della giustizia» si avvicina alla formulazione proposta dalla Commissione.
PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo?
MASTINO PIETRO. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?
PERSICO. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Grassi, lei allora fa propria l’intitolazione: «La Magistratura»?
GRASSI. Sì, onorevole Presidente. Noi abbiamo infatti la prima intitolazione, che è «Il Parlamento», quella del secondo titolo, che è «Il Capo dello Stato», quella del terzo, che è «Il Governo»: noi abbiamo quindi intestato tutti i titoli agli organi e non alle funzioni. È evidente quindi che anche in questo caso dobbiamo dire «La Magistratura»; avremmo dovuto dire infatti altrimenti: anziché «Il Governo» «L’esecutivo» e così via.
PRESIDENTE. Passiamo allora alle votazioni. Restano dunque le seguenti proposte: quella base della Commissione, che è attualmente la seguente: «La Giustizia»; vi sono poi altre tre proposte. Gli onorevoli Romano, Mastino Pietro e Persico propongono «Potere giudiziario»; l’onorevole Romano propone ancora, in subordine, «Ordine giudiziario». L’onorevole Grassi poi, riprendendo il primitivo testo della Commissione, propone «La Magistratura».
GHIDINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GHIDINI. Io voto per l’intitolazione «La Giustizia». La ragione è che, con l’intitolazione «La Magistratura», come anche con l’intitolazione «Il Potere giudiziario» o «L’Amministrazione della giustizia», siamo perfettamente intonati soltanto con il sottotitolo della sezione prima, che riguarda appunto l’ordinamento giudiziario; ma non siamo invece intonati con il sottotitolo della sezione seconda, relativo alle norme sulla giurisdizione.
Per questo motivo quindi io voterò a favore dell’intitolazione «La Giustizia».
LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Il nostro Gruppo voterà per la formulazione originaria della Commissione, e cioè per «La Magistratura», per una ragione di armonia generale fra i Titoli delle diverse parti, che non può essere modificata per le considerazioni fatte testé dall’onorevole Ghidini: non si può concepire l’armonia di un Titolo preso a sé e in riferimento al suo contenuto. I Titoli si collegano di capitolo in capitolo e devono avere una loro continuità. Tutti i Titoli contengono un richiamo concreto a determinati organi; questo sarebbe l’unico Titolo che introdurrebbe una formulazione astratta. Non comprendiamo il senso di questa modificazione e voteremo perciò il Titolo originario.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io rivolgo una preghiera all’Assemblea, e cioè di voler tenere presente il chiaro indirizzo del Comitato: noi non possiamo accogliere le designazioni di «Potere giudiziario» o di «Ordine giudiziario», perché queste, sì, altererebbero tutta la simmetria della Costituzione e creerebbero posizioni ed impostazioni non chiare. Il Comitato non può accettare tali dizioni.
La sua vecchia dizione rispondeva ai criteri di concretezza che sono stati qui accennati; il Comitato l’ha modificata ed io non mi sono opposto, perché ritenevo che, così mutando, si avrebbe più facile consenso. Se non è così, torniamo pure alla dizione di «Magistratura».
Ciò su cui insisto è che non si adotti né «potere» né «ordine giudiziario».
CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CRISPO. Noi del Gruppo liberale voteremo contro la sostituzione della parola «Giustizia» a quella di «Magistratura», perché per noi «Giustizia» indica un concetto astratto e non la funzione né l’organo della funzione.
PRESIDENTE. Sta bene. Allora passiamo alla votazione.
Pongo ai voti per prima la formulazione fatta propria dall’onorevole Grassi, perché mi pare, per le ragioni stesse con le quali si è sostenuta la formula contraria, la più lontana dalla proposta della Commissione.
Pongo quindi ai voti la vecchia formulazione: «La Magistratura».
(È approvata).
Vi sono ora delle proposte di emendamento al sottotitolo della Sezione I di questo Titolo IV.
Vi sono due emendamenti relativi alla intitolazione della Sezione I, che nel progetto è: «Ordinamento giudiziario». Il primo è dell’onorevole Romano, il quale lo ha già svolto:
«Sostituire la denominazione della Sezione I: Ordinamento giudiziario, con l’altra: Funzione giurisdizionale».
Il secondo è dell’onorevole Grassi:
«Sostituire la denominazione della Sezione I: Ordinamento giudiziario, con la seguente: Ordinamento giurisdizionale».
L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerlo.
GRASSI. Si tratta di una semplice osservazione. Se noi parlassimo soltanto della Magistratura ordinaria, andrebbe benissimo «ordinamento giudiziario»; ma siccome comprendiamo anche il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, ritengo che tecnicamente sia meglio dire «ordinamento giurisdizionale».
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il pensiero della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per verità, nel desiderio che ho di ottenere un consenso e di non ritardare, potrei accedere alla proposta dell’onorevole Grassi. Però faccio una riserva. Io desidero che, quando noi avremo approvate tutte le disposizioni sulla Magistratura fino all’ultima, si veda se è il caso di conservare due sezioni o no, perché è possibile, riducendo al minimo le «norme sulla giurisdizione» e rimandandone una parte all’ordinamento giudiziario o ai Codici e alle leggi di procedura, che non si senta più la necessità di una apposita sezione. Quando si può semplificare, io sono contentissimo.
PRESIDENTE. Lei fa una proposta formale di sospensiva?
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se occorre, sì; propongo la sospensiva sulla intitolazione delle sezioni, che scompariranno se sfronderemo, e quindi sopprimeremo, la seconda sezione. Non avrei difficoltà a votare l’intitolazione dell’onorevole Grassi, con l’intesa di tornarvi su se non faremo più le due sezioni; ma per chiarezza ed ordine dei lavori è meglio votar la sospensiva.
PRESIDENTE. L’onorevole Ruini propone di sospendere la decisione a questo proposito. Pongo ai voti la sua proposta.
(È approvata).
PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 94. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo.
«I magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano ed applicano secondo coscienza.
«I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».
PRESIDENTE. A questo articolo 94 sono stati presentati numerosissimi emendamenti, molti dei quali sono stati già svolti. Così, l’onorevole Mastino Pietro ha svolto il suo emendamento che era il seguente:
«Sostituirlo col seguente:
«La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero, che dipendono soltanto dalla legge».
L’onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La giustizia è amministrata in nome del popolo».
Non essendo presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.
Sono stati svolti anche i seguenti emendamenti:
«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:
La funzione giurisdizionale, espressione diretta della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo italiano.
«I magistrati non hanno vincoli di subordinazione gerarchica e sono tenuti soltanto alla osservanza della legge che interpretano ed applicano secondo coscienza.
«Caccuri».
«Sostituire il primo ed il secondo comma con i seguenti:
«Il potere giudiziario emana direttamente dalla sovranità dello Stato.
«Questo lo esercita a mezzo di magistrati indipendenti.
«Le sentenze sono rese in nome del popolo.
«Castiglia».
«Sostituire il primo comma col seguente:
«La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo italiano.
«Romano».
«Sostituire il primo comma col seguente:
«La giustizia è amministrata in nome del popolo.
«Colitto».
«Sostituire il primo comma col seguente:
«La funzione giurisdizionale, espressione della volontà popolare, è esercitata in nome della Repubblica.
«Bellavista».
«Sostituire il primo comma col seguente:
«Il potere giudiziario, emanazione diretta ed immediata della sovranità dello Stato, esercita la funzione giurisdizionale in nome del popolo».
«Adonnino».
«Al primo comma, dopo le parole: in nome del popolo, aggiungere l’altra: italiano.
«Persico».
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«I magistrati sono indipendenti e sono soggetti soltanto alla legge.
«Ruggiero Carlo».
«Sopprimere l’ultimo comma.
«Subordinatamente, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete.
«Ruggiero Carlo».
«All’ultimo comma, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete.
«Persico».
«All’ultimo comma, dopo la parola: segrete, aggiungere: né far parte di qualsiasi organo estraneo alla Magistratura.
«Damiani».
«All’ultimo comma, aggiungere le parole: né essere chiamati a far parte di Commissioni od organi di carattere politico.
«Rossi Paolo».
L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:
«Al primo comma, alle parole: funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, sostituire: La funzione giudiziale».
Ha facoltà di svolgerlo.
COSTA. È una questione tecnica. Mi sembra che la funzione sia giudiziale e che si debba dire appunto giudiziale e non funzione giurisdizionale. È una tautologia, una ripetizione. Quindi mi pare che l’argomento che adduco sia sufficiente per giustificare questa proposta di sostituire alla formula. «funzione giurisdizionale» quella di «funzione giudiziale».
Credo poi che sia inutile aggiungere «espressione della sovranità della Repubblica» e possa solo bastare dire «la giurisdizione».
PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato i seguenti altri emendamenti:
«Sopprimere il secondo comma.
«Subordinatamente, alle parole: dipendono, sostituire le altre: sono vincolati, e sopprimere le parole: che interpretano ed applicano secondo coscienza».
Ha facoltà di svolgerli.
COSTA. Ritengo che il secondo comma sia superfluo. E ad ogni modo, non si dica che i magistrati «dipendono» soltanto dalla legge, ma che i magistrati «sono vincolati» soltanto dalla legge.
È un’espressione tecnica, che mi sembra assai più appropriata di quella della dipendenza, la quale fa pensare a un rapporto gerarchico, mentre il concetto è che i magistrati non hanno altro vincolo, altra soggezione che quella della legge. Mi sembra, poi, superfluo dire che questa legge i magistrati «interpretano ed applicano secondo coscienza».
È inutile che ciò dica la Costituzione. Trattasi di un principio di ordine morale e giuridico il quale è nella coscienza comune. Quindi considero una superfluità che se ne occupi la Costituzione.
Poi, quanto all’ultimo comma, quello riguardante i partiti politici, propongo che sia soppresso per le ragioni che da vari oratori sono state svolte nella discussione generale.
PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato i seguenti emendamenti:
«Al primo comma, alle parole: La funzione giurisdizionale, sostituire: La giurisdizione;
sopprimere l’inciso: espressione della sovranità della Repubblica;
alle parole: è esercitata in nome del popolo, sostituire: è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«Il popolo partecipa direttamente all’esercizio della giurisdizione nei processi di Corte d’assise nei modi stabiliti dalla legge».
«Sopprimere l’ultimo comma».
L’onorevole Nobili Tito Oro ha facoltà di svolgerli.
NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, la lunga, nutrita e profonda discussione seguita su questo Titolo ha dimostrato insieme il culto che l’Assemblea, scrupolosa interprete del sentimento della Nazione, ha per la giustizia, bene a ragione definita fundamentum rei publicae, e la necessità che essa avverte di dare alla Magistratura, che ne costituisce il sacerdozio, quelle garanzie di difesa morale e di indipendenza economica e politica che, da tanto tempo reclamate e promesse, non tollerano più dilazioni. D’altra parte esse implicano, per il nuovo ordinamento che l’indipendenza politica della Magistratura esige, la necessità che vi sia provveduto in sede di Costituzione. Il consenso di tutti i Gruppi in questo generale riconoscimento, renderà più agevole l’esame degli articoli e più facile l’accordo sulla loro definitiva formulazione; perché attorno al problema della giustizia la cura di ciascuno di noi si è trasformata in una spasmodica emulazione per la ricerca del meglio; così da richiamarci alla mente la rievocazione fatta dall’onorevole Ruini, nella sua relazione al progetto, di quel simpatico amico dell’Italia che fu Henry Beyle, alias monsieur de Stendhal, spirito lucido, come egli lo definisce e – aggiungerei io illuminato, il quale – è l’onorevole Ruini che ce lo ricorda – ha scritto che, avvicinandosi a una Costituzione, egli si sentiva sempre preso da un vero senso religioso. Bisogna avere la lealtà di riconoscere che tale è il sentimento che domina noi tutti nell’affrontare questo Titolo, che contempla il segreto della pace dei singoli e della fratellanza fra i cittadini.
Bisogna riconoscere che il testo del progetto risponde sufficientemente non soltanto ai desideri dell’Assemblea, ma anche alle richieste dell’Associazione nazionale dei magistrati: le manchevolezze che essi rilevano potranno essere facilmente eliminate, mentre le pretese lacune non si addimostrano effettivamente tali riguardando materia di legge ordinaria. Il Titolo, così come proposto dalla Commissione, si preoccupa di fermare due principî fondamentali, quello della unità della giurisdizione, che non tollera abuso e prolungamento di giurisdizioni speciali, e quello della autonomia e dell’indipendenza della Magistratura. I due principî sono sanciti, rispettivamente, sotto l’articolo 95 e sotto l’articolo 97; mentre l’articolo 94 riguarda le fonti della giurisdizione e gli articoli dal 98 al 100 contengono norme completive.
Avete udito, onorevoli colleghi, quale sia il testo dell’articolo 94 come da me emendato; esso comprende anche gli emendamenti che ha svolti testé il collega Costa. Mi permetterò di aggiungere qualche breve considerazione in ordine a questi e ai rimanenti emendamenti miei.
Al primo comma del progetto: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo» io propongo di sostituire: «La giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».
Le ragioni di queste modifiche sono evidenti. La giurisdizione è termine tecnico e chiaro, e nel suo significato proprio vuol dire appunto: «La funzione giurisdizionale».
«La giurisdizione» significa «dichiarazione del diritto», «applicazione della legge», e quindi «funzione e potestà di giudicare». Pertanto è pleonasmo tautologico dire «funzione giurisdizionale» anziché puramente e semplicemente «giurisdizione».
A questa locuzione segue, nel testo del progetto, l’inciso: «espressione della sovranità della Repubblica». Mi si permetta di confessare che lo trovo non necessario, pretenzioso, non producente; esso non può rappresentare la definizione della giurisdizione, in quanto non ne determina il contenuto; non ne segnala né una caratteristica essenziale, né una caratteristica differenziale; perché espressioni della sovranità della Repubblica sono del pari l’esercito, che si substanzia nel diritto di difesa armata dello Stato e del suo territorio, la diplomazia che realizza il diritto di ambasceria, il Parlamento che esercita il potere legislativo, il Governo e l’amministrazione che il potere esecutivo esprimono nel diritto di batter moneta e di imporre tributi, ecc. L’attribuzione di una caratteristica che non è speciale ed essenziale della giurisdizione, che abusa di un nome che deve esser sacro e che per questo non va sciupato con l’abuso, ad evitare atteggiamenti demagogici e vacuità stilistiche, costituiscono già giustificazione sufficiente alla proposta soppressione dell’inciso.
D’altra parte, dire che la giurisdizione è «espressione della sovranità della Repubblica» è un pleonasmo concettuale rispetto all’affermazione successiva che essa «è esercitata in nome del popolo»: anche la sovranità, dalla quale la giurisdizione deriva procede dal popolo, al pari della sovranità della Repubblica. E precisare che la giurisdizione è esercitata in nome del popolo non è soltanto riallacciarsi alla formula d’investitura della potestà giusdicente, che nel nostro ordinamento repubblicano abbiamo sostituita alla quasi secolare, aulica e non veritiera formula d’investitura cesarea, come requisito formale delle sentenze che sono il prodotto della giurisdizione, ma è precisare la fonte prima dalla quale la giurisdizione deriva: giacché dai primordi della umana società, dal periodo matriarcale e patriarcale alle prime civiltà, fu sempre nel popolo, e non soltanto simbolicamente, il potere di rendere giustizia. Per questo dicevo che il primo articolo del Titolo quarto riguarda la fonte della giurisdizione; per questo ho proposto che anche la norma dell’articolo 96, che al popolo riserva la diretta partecipazione all’esercizio della giurisdizione nei processi di Corte di assise, sia qui trasferita.
Ma l’emendamento da me proposto al primo comma va ancora oltre: poiché questa parte della Costituzione s’intitola alla Magistratura, e questo titolo è stato già approvato: poiché questo primo articolo riguarda la fonte della giurisdizione e il suo esercizio, io non vedo la ragione per cui non si dovrebbe dire subito, in questa stessa sede, che la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura, agganciando immediatamente alla trattazione l’organo della giurisdizione che ne forma l’oggetto.
E ho proposto altresì di non limitarci a dire, coll’abusato linguaggio dei sacri principî, che la giurisdizione è esercitata in nome del popolo, ma di precisare concretamente, che essa è esercitata «in nome del popolo italiano». So che mi si obietterà che l’aggettivazione è superflua: purtroppo, onorevoli colleghi, a parte che un’aggettivazione si fatta non potrebbe mai, almeno sentimentalmente, considerarsi sciupata, versiamo in una situazione che non la rende affatto superflua: il vecchio Piemonte, ha reclamato, per voce dell’onorevole Villabruna, la reintegrazione nel godimento della Cassazione sabauda e contro l’unità della nostra legislazione si è decisamente manifestata la tendenza regionalista. Onde non è affatto superfluo porre il punto fermo, così che non si abbia domani, in sede legislativa, ad avanzare la pretesa che siano pronunciate sentenze in nome del popolo della Valle, di quello siciliano, di quello sardo, di quello veneto, ecc.
Ecco dunque perché, soppresso l’inciso, ho proposto di sostituire al primo comma «la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».
E vengo al secondo comma, che nel testo del progetto dice «i Magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano ed applicano secondo coscienza». È affermazione questa che prelude alla concreta dichiarazione di indipendenza che faremo fra poco risolutamente all’articolo 97. Mi pare che sia perfettamente inutile questa prolusione astratta, superflua, vaga e di stile che vorrei superato. Che cosa significa: i magistrati «dipendono soltanto dalla legge»? È poi elementare, che il magistrato ha per compito specifico di interpretare e di applicare la legge e di farlo secondo la propria coscienza. Questa è una cognizione così estesa, di così generale dominio, che appare assolutamente pretenzioso sentire il bisogno di enunciarla in una Costituzione.
Per queste ovvie considerazioni, e per evitare il più possibile il superato stile illuminista ad alleggerimento del testo, io ho proposta la soppressione del comma. E la raccomando all’Assemblea. E soggiungo che, se qualche cosa si sentisse il bisogno di proclamare qui in riferimento al tema annunciato, sarebbe preferibile la concreta affermazione che il magistrato requirente, il pubblico ministero, non rappresenta, come fìnora si è tenuto ad affermare, il potere esecutivo, ma soltanto la legge della quale è depositario, custode e vindice. (Approvazioni). Questo potrebbe utilmente inserirsi ove non piacesse meglio inserirlo altrove.
Il terzo comma, onorevoli colleghi, è stato largamente svolto, e io confido che tutta l’Assemblea si trovi d’accordo nel volerlo soppresso.
Confido che tutta l’Assemblea sarà concorde nel respingere il pensiero che ai magistrati possa vietarsi l’appartenenza a partiti politici, che possa imporsi loro questa inaudita diminutio capitis, che sopprimerebbe completamente la loro eguaglianza a tutti gli altri cittadini nel godimento delle libertà essenziali, da quella di pensiero a quella di associazione; che toglierebbe loro, in una parola, quei diritti politici che sono la caratteristica non soltanto del vir probus, ma di ogni cittadino. Il magistrato deve conservare intatti e intangibili questi diritti e deve solo corrispondere, nel loro esercizio, a quei doveri di compostezza e di austerità, che formano le caratteristiche indefettibili del suo ministero, che è sacerdozio. Si può partecipare alla vita politica senza darsi all’attivismo demagogico ed esasperato, che potrebbe sminuire la fiducia dei litiganti per la manifestazione di dissenso politico o per quella di consenso coll’uno o coll’altro di essi. Il magistrato deve sapersi imporre il riserbo, deve saper porre il sentimento della giustizia al di sopra di ogni divergenza politica; e quando, così comportandosi, egli saprà tenere lontano il sospetto di partigianeria faziosa, acquistandosi la fiducia delle parti quale che ne sia il pensiero politico, egli avrà assolto ogni dovere, verso la legge e verso il proprio ufficio; e null’altro si potrà esigere da lui. Il divieto di questo terzo comma, a parte anche l’impossibilità di un serio controllo della relativa osservanza, ricorda concezioni di tempi passati, che non torneranno mai più.
Detto questo, non ho bisogno di occuparmi – e credo che l’astensione conferisca senso di responsabilità alla discussione – di quegli emendamenti che hanno voluto fare una distinzione fra l’iscrizione ai partiti politici e l’iscrizione alle associazioni segrete. Riassumendo. Vanno soppressi, secondo la mia proposta, i commi due e tre. Ma, poiché, come ho spiegato, nell’articolo 94 io vedo l’indicazione delle fonti della giurisdizione, in quanto vi si afferma che la Magistratura esercita la giurisdizione in nome del popolo, io vorrei qui completare lo sviluppo di questo concetto, col trasferirvi la disposizione che è contenuta all’articolo 96, per quanto riguarda la possibilità della partecipazione diretta del popolo all’esercizio della giurisdizione nei processi di Corte di assise. In altri termini, poiché nel primo comma è affermato che la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo, il che implica il riconoscimento che il potere di giustizia risiede originariamente nel popolo, io chiedo che al popolo sia riservato di partecipare direttamente ai processi di Corte d’assise nei modi stabiliti dalla legge. Non faccio richiamo specifico alla giuria, ma chiedo sia affermata la possibilità che coll’ordinamento giudiziario o coll’ordinamento processuale si riconosca al popolo questo diritto nelle forme che saranno stabilite; mi pare che questa formula possa soddisfacentemente risolvere i contrasti che si sono rivelati: dacché rimane impregiudicata la forma della reclamata partecipazione del popolo a questi giudizi, che riguardano anche i più gravi processi politici; come rimane impregiudicata la reclamata necessità d’imporre anche per essi la motivazione delle decisioni e di riconoscere contro queste il diritto di appello.
Affido per tanto fiducioso all’Assemblea il testo di questo articolo, quale risulta dagli emendamenti da me proposti. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Grassi, al secondo comma, così formulato:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, che applicano secondo coscienza».
L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerlo.
GRASSI. Ho presentato un emendamento per il secondo comma, perché per il primo comma io non avrei nessuna difficoltà ad accettare il testo della Commissione. Però ritengo utile il secondo comma, per quanto l’onorevole Oro Nobili abbia detto che si tratta di affermazione generica, ed effettivamente questa affermazione generica potrebbe essere superflua, dato che nell’articolo successivo si parla di indipendenza della Magistratura. Tuttavia io penso sia necessario che rimanga, perché mentre lì parliamo di Magistratura in genere, che è indipendente ed autonoma, qui invece parliamo dei singoli, facenti parte dell’organo generale. Dire la frase «dipendono dalla legge» mi sembra più corretto, in quanto non è un senso di dipendenza dalla legge, ma un senso di soggezione di tutti i cittadini alla legge. L’importante è dire, con questa affermazione, sia pure di carattere teorico e generale, che non solo la Magistratura, ma il singolo magistrato è libero e indipendente e non è soggetto che soltanto alla legge.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Palma così formulato:
«All’ultimo comma, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete».
Ha facoltà di svolgerlo.
DE PALMA. L’emendamento da me presentato non credo che abbia bisogno di essere illustrato. È già stato illustrato da altri, quindi io lo mantengo riportandomi a quanto altri colleghi hanno precedentemente detto.
PRESIDENTE. Lei, onorevole Grassi, ha fatto la stessa proposta.
GRASSI. Sì, siamo tutti d’accordo. L’articolo 13 della Costituzione proibisce le associazioni segrete, quindi sarebbe inutile ed anzi pericoloso dirlo in queste occasioni.
PRESIDENTE. Poiché vi sono numerosi emendamenti del tutto simili, vorrei pregare i presentatori di volersi mettere d’accordo fra loro perché uno solo li svolga.
Segue l’emendamento dell’onorevole Perrone Capano:
«Al terzo comma, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete».
L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerlo.
PERRONE CAPANO. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole De Palma.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Sardiello.
«All’ultimo comma, aggiungere le parole seguenti: né accettare cariche ed uffici pubblici elettivi».
Non essendo presente l’onorevole Sardiello, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
Segue l’emendamento dell’onorevole Varvaro:
«Aggiungere, in fine, il seguente comma:
«I magistrati non possono essere destinati ad uffici estranei all’ordine giudiziario».
Non essendo presente l’onorevole Varvaro, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
Segue l’emendamento dell’onorevole Caroleo:
«Al secondo comma, dopo le parole: secondo coscienza, sostituire le altre: secondo la volontà, che vi è espressa».
L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.
CAROLEO. Il mio emendamento è questo: alle parole «secondo coscienza» sostituire le altre: «secondo la volontà, che vi è espressa».
È ben detto che i magistrati devono dipendere esclusivamente dalla legge, ma bisogna intendersi bene a proposito di questa dipendenza, che verrebbe in certo qual modo superata dall’aggiunta delle parole «secondo coscienza».
Io penso che quando ci si riferisce ai magistrati italiani sia inutile fare un appello alla coscienza, mentre è necessario, se non si vuol cadere in una specie di contraddizione, fare un espresso richiamo alla volontà della legge, altrimenti sarebbe quasi inutile affermare che i magistrati dipendono dalla legge.
In ogni paese democratico, più che di separazione, deve parlarsi di delimitazione di poteri, e la legge segna il limite della sovranità devoluta ai magistrati, come la legge segna il limite per tutti gli altri poteri dello Stato. Ho sentito da taluno affermare che l’indagine del giudice intorno al pensiero del legislatore sia quasi un conformismo, uno zelo inammissibile per il magistrato. Ma questo mi pare che non sia rispondente al principio della indipendenza della Magistratura, che trova il limite nella legge, e soltanto nella legge. Perché, se questo è, bisogna non soltanto ammettere, ma addirittura fare obbligo al magistrato di ricercare, ogni qual volta applichi o interpreti la norma, il vero pensiero del legislatore. Taluno confonde spesso la pessima legge con il presupposto conformismo del magistrato; ma occorre tener presente che, anche quando si ha riguardo al periodo fascista e si fa rimprovero ai magistrati di essersi conformati alla legge, quel rimprovero e quel processo andrebbero più rettamente fatti alla pessima legge che si poté emanare durante il fascismo e non al cosiddetto conformismo del magistrato.
Su questo punto, onorevoli colleghi, credo ci si debba fermare e ci si debba chiaramente intendere, se non si vuole assistere a quello spettacolo poco edificante a cui noi abbiamo assistito a proposito di certe sentenze che hanno trattato dell’applicazione dei decreti Gullo prima, e Segni poi.
Se si vuol fare questo riferimento alla coscienza del magistrato, lo si mantenga; ma prima che alla coscienza, si faccia obbligo al magistrato di obbedire al pensiero ed alla volontà del legislatore.
PRESIDENTE. Sullo stesso articolo 94 è stato presentato dagli onorevoli Conti, Perassi, Bettiol, Leone Giovanni, Reale Vito un emendamento del seguente tenore:
«La giustizia è amministrata in nome del popolo.
«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».
Si intende così assorbito l’emendamento dell’onorevole Bettiol del seguente tenore:
«Al secondo comma, sopprimere le parole: che interpretano ed applicano secondo coscienza».
L’onorevole Conti ha facoltà di svolgerlo.
CONTI. Rinunzio a svolgerlo.
PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato di redazione ha tenuto conto, uno per uno, dei numerosi emendamenti presentati; ma mi consentirete che, per impostare la questione, io parli dal testo proposto dalla Commissione dei 75, il quale dice: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo».
Il Comitato ritiene che si possa sopprimere l’inciso «espressione della sovranità della Repubblica», perché questa formula non è espressa né a proposito del Parlamento, né a proposito del potere esecutivo, cioè degli altri poteri a cui è parallelo il potere giudiziario; il metterla qui non avrebbe significato e valore specifico.
Il Comitato mira ad ottenere la maggiore semplificazione possibile. Questo articolo 94 è come un’epigrafe, come una parola iniziale di tutto il Titolo; quanto è più breve e lapidario, tanto è certamente migliore.
Nel primo comma abbiamo accolto gli emendamenti presentati dagli onorevoli Targetti, Colitto e Conti. Così questo primo comma si ridurrebbe all’espressione: «La giustizia è amministrata in nome del popolo».
MAFFI. Italiano.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nessun dubbio che le sentenze continueranno, come già si fa, ad essere emanate in nome del popolo italiano. Ma non è il caso di specificare qui; poiché abbiamo parlato di popolo tante altre volte, in questo testo costituzionale, e non abbiamo mai messo l’aggettivo «italiano»; e del resto di quale altro popolo si potrebbe trattare nelle nostre sentenze?
Secondo comma: «I magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano e applicano secondo coscienza».
È stato proposto di sostituire alla parola «dipendono» le parole «sono vincolati» oppure «obbediscono» oppure «sono soggetti». Il Comitato accetta quest’ultima espressione, che pare migliore, o almeno ha minori inconvenienti, e comunque rientra piuttosto nella revisione stilistica.
Riguardo alla seconda parte del secondo comma, «che interpretano ed applicano secondo coscienza» si presenta un dilemma: o questa è una dichiarazione generica di ovvio significato, ed allora possiamo anche abbandonarla, senza molto rincrescimento, o apre la via, e di ciò si espresse il timore, ad una interpretazione che sarebbe pericolosa, ed allora vi è una ragione di più per abbandonarla. Io non credo che, parlando di coscienza del giudice, si possa intendere la tendenza e l’ammissione del cosiddetto «diritto libero», costruzione teorica per me inammissibile; ma non discara, fra gli altri, all’hitlerismo. Ad ogni modo, poiché è stato manifestato un dubbio; ed il togliere l’inciso non nuoce – anzi, Dio sia lodato, abbrevia il testo – il Comitato acconsente alla soppressione.
Resta l’ultimo comma, sul divieto di iscrizione a partiti politici o ad associazioni segrete. D’accordo per la soppressione del cenno alle associazioni segrete. Avevo già sostenuto da tempo che è un duplicato ed una ripetizione inutile, posto che in un altro articolo v’è già il divieto di tali associazioni. Quanto all’iscrizione nei partiti politici, non sembra il caso di risolvere la questione qui, soltanto per i magistrati. Potrebbero esservi per loro maggiori ragioni; ma insomma vi sono altre categorie di funzionari, pei quali si può esaminare l’opportunità dello stesso divieto ed è opportuno decidere con una visione d’insieme. Vi è un emendamento che comprende appunto nel divieto altre categorie, e l’Assemblea ne ha rimandato l’esame complessivo. Ce ne occuperemo fra non molto e decideremo allora anche pei magistrati. Sopprimiamo intanto l’ultimo comma dell’articolo 94.
La formulazione dell’articolo si riduce così a due brevi commi. Nel primo si tien conto dell’emendamento degli onorevoli Conti, Perassi e Bettiol e degli altri emendamenti degli onorevoli Colitto e Targetti. Nel secondo comma si tien conto dell’emendamento Grassi. In complesso il testo che noi proponiamo è molto breve (Dio sia lodato) ed è questo: «La giustizia è amministrata in nome del popolo. I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».
GHIDINI. È una sospensiva?
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Ghidini, noi chiediamo la soppressione del terzo comma, salvo considerare poi la questione sotto un altro aspetto, non pei soli magistrati. Non è, dunque, una sospensiva formale, anche se può averne la portata sostanziale.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Vorrei fare una proposta sull’emendamento presentato dall’onorevole Caroleo. Domando se egli sarebbe disposto a combinare il suo emendamento con quello accettato dalla Commissione, e che in questa forma il nostro Gruppo sarebbe disposto a votare: «I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, che interpretano ed applicano secondo la volontà che vi è espressa». (Commenti).
PRESIDENTE. Quale è il suo parere, onorevole Ruini?
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Laconi di non insistere su questa proposta, perché l’affermare che la legge va interpretata secondo la volontà che vi è espressa è così elementare e tautologico, che non è davvero il caso di inserirlo in una Costituzione. Ripeto: avrebbe avuto un significato mettere: «che interpretano ed applicano secondo coscienza»; ma poiché è sorto un dubbio e non è necessario inserire una tale disposizione, la Commissione ritiene opportuno limitare il secondo comma alla sola frase: «i magistrati sono soggetti soltanto alla legge». (Approvazioni).
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Onorevoli colleghi! A nome anche di alcuni colleghi, come l’onorevole De Michelis, l’onorevole Costa ed altri, propongo la soppressione di questo secondo comma presentato dalla Commissione per queste considerazioni. Che cosa si intende di significare con la frase: «i magistrati sono soggetti soltanto alla legge»?
Evidentemente, si vuole affermare l’indipendenza del magistrato; ma vi sarà modo di affermarla in un altro articolo, e, me lo permetta l’onorevole Ruini e gli altri sostenitori di questa formula, ci sarà anche modo di esprimerla un po’ meno male, un po’ meglio, non so come dire. Certamente questa espressione, per la quale il magistrato si dice soggetto alla legge, non è la più felice per riconoscere ed affermare la superiorità del magistrato, la sua indipendenza. Tanto peggio poi quando si aggiunge «che interpreta secondo coscienza». Non già perché io mi preoccupi dell’aggiunta, mentre non approverei in nessun modo la frase «secondo la volontà che vi è espressa», perché non vi sarà nessun magistrato che interpreterà una disposizione di legge secondo una volontà che non vi è espressa o che è espressa in un’altra disposizione di legge, ma è che mi sembra che vi sia un contrasto fra questi due concetti. Da una parte si dice che il magistrato sta sotto la legge, che vi è soggetto, e dall’altra si dice che la interpreta. Cioè interpreta ciò a cui è soggetto. È un insieme di espressioni che non mi sembrano le più felici.
Per queste considerazioni, proponiamo la soppressione di questo comma.
PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?
ABOZZI. L’onorevole Mastino Pietro non è presente. Faccio mio il suo emendamento e lo mantengo.
PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento?
TARGETTI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Caccuri, mantiene il suo emendamento?
CACCURI. Lo ritiro. Aderisco in pieno alla nuova formulazione Conti, Bettiol e altri.
PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Castiglia, l’emendamento si intende decaduto.
Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?
ROMANO. Mi associo alla proposta della Commissione.
PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?
COLITTO. Non ho nulla da dire, avendo la Commissione accolto il mio emendamento.
PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Bellavista, Adonnino, Costa e Ruggiero, i loro emendamenti si intendono decaduti.
Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?
NOBILI TITO ORO. Non ho nessuna difficoltà ad accettare, per il primo comma, il nuovo testo della Commissione, che ha accolto alcuni degli emendamenti da me proposti e, fra questi, la soppressione dell’inciso; accetto che sia sostituita la locuzione «la giustizia è amministrata» a quella del progetto. Insisto perché sia inserita l’indicazione della Magistratura come organo dell’amministrazione della giustizia, e ciò in via di transazione perché ritengo più precisa la formula complessiva da me proposta. Confermo le ragioni svolte a sostegno dell’aggettivazione del popolo, ma non insisto nell’emendamento.
Relativamente al secondo comma, prendo atto dell’accettazione della soppressione della seconda proposizione; insisterei per altro nella soppressione totale, trattandosi di concetto che sarà poi introdotto coll’articolo 97. Prendo atto in fine della accolta proposta di soppressione dell’ultimo comma.
Per quanto poi si riferisce al trasferimento dell’articolo 96, come da me emendato, all’articolo 94, l’onorevole Presidente della Commissione non ha esposto il suo pensiero. Io tuttavia vi insisto: perché trasferendo l’articolo 96 all’articolo 94, noi completeremmo la disposizione relativa alle fonti della giurisdizione…
PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, la prego, poiché lei mantiene il suo emendamento, non è più necessario che lo motivi ulteriormente, avendolo già fatto in precedenza.
NOBILI TITO ORO. Volevo dire solo che in proposito non ho avuto modo di conoscere il pensiero della Commissione: comunque, non insisterò in questa sede nel proposto trasferimento dell’articolo 96, ma tornerò ad insistervi quando di questo si discuterà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io prego l’onorevole Nobili Tito Oro di considerare che il mettere qui questa disposizione significherebbe risolvere incidentalmente una questione sulla quale ci potremo pronunciare per mezzo di altri emendamenti più chiari. Vi sono altre formule proposte in questo senso. Ve n’è una dell’onorevole Targetti che dice che il popolo partecipa alla giustizia direttamente, nei casi stabiliti dalla legge; vi sono altre formulazioni che ammettono che si possano stabilire presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate con la partecipazione di elementi estranei alla Magistratura; il che potrebbe dare la possibilità di qualcosa d’analogo alla giuria. Vedremo allora; non è il caso qui di una risoluzione incidentale e dubbia. E poi non comprendo perché si dovrebbe, con l’accenno desiderato dall’onorevole Oro Nobili, spezzare la linea semplice e solenne di un’affermazione che apre l’intero Titolo.
Giacché ho la parola, prego l’Assemblea di conservare il secondo comma, con l’espressione «i magistrati sono soggetti alla legge». Altrimenti rimarrebbe un solo comma, con una espressione meno completa e più vaga. Noi dobbiamo dirlo, che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge; parleremo in seguito dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario. Qui dobbiamo parlare della legge.
Quando entriamo nelle aule di un tribunale, vediamo scritto: «La legge è uguale per tutti». Quasi proporrei di mettere nella Costituzione questa vecchia frase, che ha una bellezza che viene dalla tradizione. In sostanza, credo che, mettendo subito il concetto della legge, affermiamo ed eleviamo il carattere della funzione del magistrato.
Per queste considerazioni insisto perché resti l’espressione: «I magistrati sono soggetti soltanto alla legge». (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo emendamento.
PERSICO. Accetterei l’emendamento Conti-Perassi; però proporrei di aggiungere: «in nome del popolo italiano». (Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha facoltà di dichiarare se mantiene i suoi emendamenti,
GRASSI. Io accetto l’ultimo comma così come è stato presentato dalla Commissione; però penso che sia opportuno aggiungere, come propone il collega Nobili Tito Oro: «La giustizia è amministrata dalla Magistratura, in nome del popolo italiano». Perché altrimenti, dicendo solamente «in nome del popolo», rimarrebbe l’interrogativo: da chi?
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è il titolo stesso che lo dice.
GRASSI. Il concetto generale di Magistratura abbraccia tutti, non parliamo di giudici togati o non togati. Io, per mio conto, accetterei la proposta dell’onorevole Oro Nobili.
Per quello che riguarda il secondo comma, ringrazio la Commissione di aver accettato la formula da me proposta e ritengo, contrariamente a quello che ha detto l’onorevole Targetti, che sia utile che sia mantenuto, non solo per le considerazioni espresse dal Presidente della Commissione, ma anche per quello che ho accennato prima. Non basta dire che la Magistratura è autonoma e indipendente; bisogna dire anche che il magistrato è indipendente, e la forma migliore di indipendenza è di riconoscere che egli è soggetto solo alla legge.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l’onorevole Persico di non insistere sulla proposta di aggiungere la parola «italiano». Si capisce che è il popolo italiano, e non è il popolo turco!
NOBILI TITO ORO. Si stanno creando le Cassazioni regionali!
PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, mantiene il suo emendamento?
CAROLEO. Aderisco al testo della Commissione.
PRESIDENTE. L’onorevole De Palma ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo emendamento.
DE PALMA. Aderisco al testo della Commissione.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Persico, Perrone Capano e Grassi hanno visto accettata la proposta di sopprimere al terzo comma: «o ad associazioni segrete».
Onorevole Damiani, mantiene il suo?
DAMIANI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Rossi Paolo, mantiene il suo emendamento?
ROSSI PAOLO. Sarei disposto a ritirare il mio emendamento, purché fosse mantenuto quello dell’onorevole Sardiello del seguente tenore: «All’ultimo comma, aggiungere le parole: chiamati a far parte di commissioni od organi di carattere politico».
PRESIDENTE. Ma l’onorevole Sardiello è assente, e perciò il suo emendamento decade.
LUSSU. Lo faccio mio.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo allora ai voti. Abbiamo innanzitutto un emendamento sostitutivo integrale di tutto l’articolo, che era stato proposto dall’onorevole Mastino Pietro e che era stato successivamente fatto proprio dall’onorevole Abozzi. Onorevole Abozzi, lo mantiene?
ABOZZI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alla votazione di questo emendamento sostitutivo dell’intero articolo 94:
«La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero, che dipendono soltanto dalla legge».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione non accoglie questo emendamento.
MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Dichiaro che voteremo per il testo della Commissione e quindi contro tutti gli altri emendamenti.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo testé letto.
(Non è approvato).
Passiamo alla votazione del primo comma della nuova dizione proposta dalla Commissione:
«La giustizia è amministrata in nome del popolo».
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Onorevole Presidente, anche il mio emendamento è sostitutivo dell’intero articolo.
PRESIDENTE. Onorevole Targetti, noi, ponendo in votazione la dizione «La giustizia è amministrata in nome del popolo», veniamo implicitamente a porre in votazione la sua proposta di sopprimere il secondo comma. Infatti coloro che accettano la sua proposta voteranno contro il comma mirando a farlo cadere.
Mi pare che a questo primo comma non siano stati presentati emendamenti sostitutivi né aggiuntivi, perché tutti i colleghi hanno accettato la formula della Commissione. Resterebbe la proposta dell’onorevole Persico di aggiungere la parola «italiano».
PERSICO. La ritiro.
PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha proposto la seguente formula:
«La giustizia è amministrata dalla Magistratura in nome del popolo».
GRASSI. La ritiro.
PRESIDENTE. Resta allora la sola formula della Commissione: «La giustizia è amministrata in nome del popolo».
La pongo in votazione.
(È approvata).
Passiamo allora al secondo comma:
«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».
A questo comma l’onorevole Laconi ha presentato il seguente emendamento:
«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, che interpretano ed applicano secondo la volontà che vi è espressa».
Lo mantiene, onorevole Laconi?
LACONI. Ho chiesto all’onorevole Caroleo se era disposto ad accordare il suo emendamento aggiuntivo alla proposta della Commissione.
PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo aveva presentato il suo emendamento come aggiuntivo alla proposta della Commissione. Quindi dipende dall’onorevole Caroleo il mantenerlo o meno. Egli vi ha rinunciato. Lei lo fa suo?
LACONI. No, vi rinuncio.
PRESIDENTE. Sta bene. Allora, pongo in votazione la formula proposta dalla Commissione, facendo presente che secondo la proposta dell’onorevole Targetti l’articolo 94 dovrebbe essere limitato al primo comma, già votato. Coloro che Recedono alla proposta Targetti, pertanto, voteranno contro questo secondo comma, che pongo ora in votazione:
«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».
(È approvato).
Vi sono ora due formulazioni aggiuntive, quella dell’onorevole Sardiello, fatta propria dall’onorevole Lussu, del seguente tenore:
«All’ultimo comma aggiungere le parole: né accettare cariche ed uffici pubblici elettivi».
e quella dell’onorevole Damiani:
«All’ultimo comma, dopo la parola: segrete, aggiungere: né far parte di qualsiasi organo estraneo alla Magistratura».
Faccio, però, presente che queste proposte dovrebbero essere coordinate con l’ultimo comma del primitivo testo della Commissione, che è quello che si riferisce al divieto di iscrizione dei magistrati a partiti politici e ad associazioni segrete.
Poiché la Commissione rinunzia a questo comma, chiedo all’onorevole Damiani e all’onorevole Lussu se intendono di proporre le formulazioni come a sé stanti, autorizzandomi in questo caso a darvi l’opportuna forma letteraria.
Onorevole Lussu?
LUSSU. Mi rimetto..
PRESIDENTE. Onorevole Damiani?
DAMIANI. Propongo che sia mantenuta come comma a sé stante.
PRESIDENTE. Allora in questa formulazione:
«I magistrati non possono far parte di nessun organo estraneo alla Magistratura».
DAMIANI. Sì.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei far osservare agli onorevoli colleghi che hanno proposto questo emendamento aggiuntivo che non v’è nessuna ragione di metterlo in questo articolo, che apre tutta la materia della giustizia della Magistratura. Dopo che abbiamo affermato i principî generali: la giustizia amministrata nel nome del popolo, la soggezione dei magistrati alla sola legge, dovremmo proprio mettere la questione degli incarichi dei magistrati? Sarebbe una stonatura; e si rimpiccolirebbe l’intero articolo.
La questione sarà riesaminata a suo luogo., Dichiaro comunque, fin d’ora, che non si dovrebbe inserire nel testo costituzionale la norma proposta, ma farla, caso mai, oggetto di un ordine del giorno perché se ne tenga conto nella legge per l’ordinamento giudiziario. Prego intanto l’Assemblea di non accettare questo emendamento. (Approvazioni).
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Dichiaro che voteremo contro questa proposta di aggiunta dell’onorevole Damiani, attenendoci noi al testo della Commissione. Infatti, se è una giusta esigenza che il magistrato sia distolto il meno possibile dalle sue funzioni, non si può non considerare il pericolo insito in una espressione così larga, la quale può essere tratta a significare cose che vanno, magari, al di là delle intenzioni dei proponenti.
Se si vuole, si presenti un ordine del giorno che manifesti un voto dell’Assemblea ed in termini più precisi e concreti.
Debbo poi confermare che la soppressione dell’ultima parte dell’articolo è da noi intesa come un rinvio della trattazione della questione in altra sede. Mi pare che vi sia un emendamento apposito che si estende anche ad altre categorie. In quella sede preciseremo il nostro atteggiamento.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Damiani, se accetta la proposta dell’onorevole Moro.
DAMIANI. Io avevo proposto questo emendamento aggiuntivo per il fatto che nella formulazione originaria dell’articolo era detto che i magistrati non potevano essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete.
Ora, questa parte è stata esclusa dal nuovo testo elaborato dalla Commissione; quindi riconosco che il mio emendamento aggiuntivo, rimanendo isolato, verrebbe a costituire un comma non bene armonizzato con il resto dell’articolo, perciò rinuncio a mantenerlo in questa sede e mi riservo di ripresentarlo in sede più appropriata.
PRESIDENTE. E l’onorevole Lussu?
LUSSU. Rinunzio alla mia proposta.
PRESIDENTE. Sta bene. Pertanto l’articolo 94 risulta approvato nella seguente formulazione:
«La giustizia è amministrata in nome del popolo.
«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».
Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana di domani.
Svolgimento di una interrogazione urgente.
PRESIDENTE. Comunico che il Ministro dell’interno ha dichiarato di essere pronto a rispondere alla seguente interrogazione presentata nella seduta di ieri dall’onorevole Sansone:
«Per conoscere – come è diritto dell’Assemblea e del Paese – le ragioni ed i fatti che lo hanno indotto a fare le gravi dichiarazioni al San Carlo di Napoli, e dalle quali appare che egli ed il Governo non sono in grado di mantenere l’ordine pubblico e di tranquillizzare la pubblica opinione gravemente scossa dalle dichiarazioni stesse».
Il Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.
SCELBA, Ministro dell’interno. Immagino che l’onorevole Sansone abbia presentato la sua interrogazione in base a resoconti sommari del mio discorso. Poiché il testo stenografico e il testo integrale del discorso è stato pubblicato dalla stampa e il mio pensiero appare chiaro e completo dal discorso, io non ho nulla da aggiungere in materia.
D’altro canto, gli argomenti che hanno formato oggetto del discorso stesso sono stati già oggetto di ripetute dichiarazioni da parte mia, in questa Assemblea, e da parte del Sottosegretario di Stato ancora ieri.
Ritengo pertanto di non avere altro da aggiungere.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SANSONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non credo che il Ministro dell’interno abbia detto a Napoli le stesse cose che ha detto in questa Assemblea, né quanto ha riportato la stampa ha falsato il suo pensiero.
Ieri sera, in Roma, era venduta, e andava a ruba, l’ultima edizione del Momento Sera, nella cui testata, a grandi caratteri, si leggevano queste parole: «Non nutro nessuna fiducia sulla situazione dell’ordine pubblico».
Si determinò in Piazza Colonna e in molti ambienti di Roma un senso di panico – che potetti rilevare personalmente nella gran massa di italiani che affollavano le edicole – il che mi spinse a presentare la interrogazione di cui testé è stata data lettura.
Ho pensato, mi sono illuso, ho vivamente sperato che fosse una esagerazione giornalistica. Ma quando questa mattina ho letto Il Popolo, giornale ufficiale del partito al Governo, ed ho rilevato le istesse parole, sono costretto a far constatare al Ministro Scelba che egli non ha espresso un pensiero come quello che ebbe ad esprimere in questa Assemblea, ma ha espresso il pensiero di chi veramente determina un panico nel Paese e perciò deve – ora – rassicurare l’Assemblea. Ella, onorevole Scelba, non può eludere dal rispondere, perché io le leggo le parole che riporta in corsivo il Popolo: «Quale oggi è la situazione dell’ordine pubblico? Io, amici, dichiaro che non nutro affatto fiducia sulla situazione dell’ordine pubblico. Io non nutro fiducia che il tentativo di ricorrere alla violenza possa essere del tutto abbandonato». (Proteste al centro). Che significa questo? (Interruzioni al centro e a destra – Si ride).
Signor Presidente, questo riso avrebbe determinato in me sorpresa se non assistessi da tempo in questa Assemblea ad una inversione effettiva dei valori, delle parole e delle cose; ma quando il Ministro dell’interno, che afferma di parlare non come aderente ad un partito, ma che tiene a dichiarare di parlare come Ministro dell’interno – è questa la dichiarazione pregiudiziale che ebbe a fare l’onorevole Scelba al San Carlo di Napoli – dice: «Io non nutro fiducia sull’ordine pubblico», vuol dire che egli riconosce che noi siamo veramente in una situazione gravissima, che può addirittura sfociare in vasti movimenti popolari o che egli è incapace di reggere l’ordine pubblico. Di qui non si esce. (Rumori al centro e a destra).
È quindi una dichiarazione gravissima che egli ha fatto al San Carlo di Napoli, ed io torno a chiedere a lui che deve tranquillizzare il Paese. Ma io domando specificatamente all’onorevole Scelba: quindi non nutre fiducia sull’ordine pubblico! Cioè teme… (Rumori al centro e a destra – Interruzioni).
Lasciatemi dire! (Ilarità al centro).
Dunque, anche a volere essere benevolo con l’onorevole Scelba, egli ha detto o ha ritenuto di dire (voglio fare un’interpretazione ottimistica, estensiva delle sue parole): io temo che l’ordine pubblico non potrà essere più mantenuto. (Proteste al centro).
Neanche questo dunque ha voluto dire, ed allora se non siamo d’accordo nemmeno sulla interpretazione da dare alle parole del Ministro dell’interno, io prego l’onorevole Scelba affinché ci dica – per lo meno – da quali fatti, da quali elementi egli ricava che l’ordine pubblico non potrà essere più mantenuto, o che l’ordine pubblico sarà sconvolto; ma ha il dovere di dire all’Assemblea, al Paese, dopo che in un pubblico teatro si è lanciata una frase così grave, ha il dovere di dire da quali – ripeto – precisi elementi egli trae questo convincimento e principalmente quali provvedimenti intende adottare.
Io ritengo che l’onorevole Scelba ha detto una qualche cosa che rispondeva a un suo pensiero intimo. Evidentemente l’onorevole Scelba, nel momento che parlava, aveva il convincimento che la politica svolta da lui e dal Governo condurrà a gravi agitazioni… (Rumori al centro e a destra – Applausi a sinistra). Questo è il punto cruciale, questo è il punto effettivo. Insomma, noi domandiamo al Ministro, dove si vuole arrivare in Italia. (Rumori al centro). Voi del Governo avete rotto la collaborazione con le masse popolari (Rumori al centro e a destra) ed in conseguenza di questa azione del Governo esse sono inquiete… (Rumori). Voi, talvolta, vi fate uno schema delle masse popolari fuori della realtà. (Rumori al centro e a destra). Le masse popolari hanno una sensibilità politica superiore a quello che credete voi! (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra). Di qui la loro inquietudine, la quale determina questo stato di cose che è giunto ad eccessi – che noi riproviamo – perché noi desideriamo per le classi popolari un avvenire sereno (Rumori al centro e a destra) e non lo spargimento di sangue.
Ora, che cosa ha fatto il Governo per sbloccare questa situazione, questo stato d’animo, e questa inquietudine? Invece di sbloccarla l’ha aggravata, l’ha esasperata. Le minacce che sono state fatte dal banco del Governo e dal teatro S. Carlo, di ricorrere alla maniera forte, sono una forma di esasperazione atta a determinare l’accentuarsi della maggiore compressione che si vuole fare di ogni movimento ascensionale del popolo italiano! (Rumori al centro e a destra).
Le parole dell’onorevole Scelba mi sono sembrate in un certo momento – egli me lo permetterà – le parole di un Ministro di polizia austro-ungarico del tempo del nostro primo risorgimento. (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra), perché egli ha parlato e parla di democrazia, di difesa delle libertà politiche, ma praticamente quando, con la sua autorità di Ministro, dice in un pubblico congresso e in un pubblico teatro che egli teme che possa determinarsi, da parte di gruppi di italiani, una forma di violenza, egli ha autorizzato, implicitamente, un’altra parte di italiani a ricorrere alla violenza per rispondere a quella violenza. (Interruzioni al centro e a destra).
Mi hanno sorpreso veramente le parole dell’onorevole Scelba, perché egli, praticamente, con la sua autorità e nelle sue funzioni di Ministro, anziché tentare di trovare un afflato, una forma di unione di tutte le forze, ha messo praticamente gli italiani gli uni contro gli altri, creando ed approvando lo stato attuale. (Interruzioni al centro e a destra).
Ripeto, la situazione è tale che occorrerebbe lo sforzo di tutti noi per risolverla prima che possa diventare veramente angosciosa ed irreparabile.
Lei, onorevole Scelba, non ha mostrato di essere capace di fare tanto. Creda pure che sono dolente di doverglielo dire. (Commenti al centro.) Mi creda, ella non è in questi giorni il Ministro dell’interno d’Italia, ma è un democristiano che sta lì per gli interessi politici del suo partito e non per l’interesse di tutto il Paese. (Applausi a sinistra).
A nome del mio Gruppo, a nome dei lavoratori italiani, io protesto contro il suo operato (Interruzioni al centro e a destra), e lo addito al giudizio del Paese. Ricordi però, onorevole Scelba, che se da oggi nelle piazze d’Italia vi saranno scontri più forti e lutti maggiori (Interruzioni al centro e a destra), lei ne è responsabile! (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra).
SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro dell’interno. (Vivissimi applausi al centro – Rumori a sinistra). Io non posso naturalmente rispondere delle pubblicazioni e delle interpretazioni della stampa. Desidero soltanto replicare all’onorevole Sansone, il quale speravo avesse letto per intero il mio discorso e si fosse sforzato di comprendere le mie parole, così come la maggior parte della stampa italiana ha cercato di comprenderlo. Cioè: quando io ho detto «non nutro fiducia nell’avvenire dell’ordine pubblico» non ho inteso dire che il Governo si dichiarava incapace di garantire l’ordine pubblico; è una illazione completamente sbagliata e falsa, che mai sarebbe stata fatta da qualsiasi Ministro dell’interno; avrei dovuto essere troppo ingenuo per arrivare a questa dichiarazione, che poteva essere segno di impotenza dell’autorità dello Stato, ma ho inteso dire che non sono convinto che la tranquillità del nostro Paese sarà assicurata nel prossimo avvenire. Gli avvenimenti di ieri e di oggi e le dichiarazioni autorevoli fatte da ogni parte convalidano questa mia convinzione.
Vorrei, onorevole Sansone, che lei con la sua autorità potesse fugare questa nostra preoccupazione. (Interruzioni a sinistra).
Purtroppo, questa assicurazione non ci potrà venire da lei…
Una voce a sinistra. Sono i vostri alleati del Movimento sociale italiano. (Interruzioni – Commenti al centro).
SCELBA, Ministro dell’interno. …perché non imputo in modo particolare a lei né a nessuno, in modo specifico, la responsabilità dei fatti.
Ma, ripeto, nello stesso momento in cui io parlavo e prima ancora che si conoscessero le mie dichiarazioni, altri incidenti, altre violenze ed altri attentati alle libertà dei cittadini si verificavano in alcune città d’Italia. Questi fatti, ripeto, che non erano minimamente in relazione con le mie dichiarazioni al San Carlo, dimostravano che, se domani altri incidenti si verificheranno in Italia, non saranno conseguenza delle dichiarazioni fatte dal Ministro dell’interno al San Carlo.
In quanto ai propositi del Governo di garantire le libertà, se queste venissero minacciate, in quanto ai mezzi di cui dispone lo Stato per garantire queste libertà, penso sia controproducente dichiarare continuamente che lo Stato ed il Governo tuteleranno le libertà dei cittadini ad ogni costo e con tutti i mezzi.
Preferisco lavorare ed operare in questo senso; e credo che operando nel senso di garantire le libertà sia operare nel senso…
AMENDOLA. …di dare la libertà ai fascisti! (Commenti al centro).
GIACCHERO. Trovate qualche cosa di nuovo!
SCELBA, Ministro dell’interno. …sia operare, ripeto, nell’interesse generale di ogni partito, perché le libertà politiche rappresentano la condizione necessaria per lo sviluppo di una sana democrazia.
Assicurare le libertà politiche è dovere di ogni Governo, che si chiami democratico e che voglia veramente esserlo.
MOSCATELLI. E che assassina le libertà.
SCELBA, Ministro dell’interno. Del resto, onorevole Sansone, mi pare che nel mio discorso ho cercato di comprendere il sentimento e le preoccupazioni che venivano da altre parti dell’Assemblea e da altre correnti del Paese. Ed in materia mi pare di avere fatto delle dichiarazioni, che purtroppo non vengono sottolineate, perché non conviene che siano sottolineate…
PAJETTA GIULIANO. E quelle contro i segretari delle camere del lavoro?
SCELBA, Ministro dell’interno. …ma che io considero come parti integranti del mio discorso. Io dichiaravo nettamente che proposito del Governo è di impedire…
AMENDOLA. Sciogliete il Movimento sociale italiano. (Rumori al centro).
SCELBA, Ministro dell’interno. …è di impedire ogni ritorno del fascismo ed ogni restaurazione di questo movimento, di voler garantire la Repubblica che consideriamo non come semplice espressione formale e giuridica, ma come sostanza, vale a dire come l’espressione di un nuovo regime che vuol essere essenzialmente vita libera e vita democratica del popolo italiano. Mi pare che, intese in questo senso e completate così le mie dichiarazioni anche per questo verso, esse diano un apporto a quell’auspicata concordia e pacificazione che tutti desideriamo. (Vivissimi applausi al centro – Rumori a sinistra).
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:
«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga opportuno e doveroso che a favore dei sinistrati per lo scoppio della polveriera di Vigevano, in attesa che si provveda come di legge, sia ordinata la immediata riedificazione delle case operaie gravemente lesionate, prelevando i fondi necessari sulle somme stanziate per alleviare la disoccupazione invernale.
«Sampietro, Castelli Edgardo, Balduzzi, Ferreri, Meda, Morini».
Avverto che a questa interrogazione risponderà all’inizio della seduta pomeridiana di domani il Ministro della difesa.
Do anche lettura delle seguenti altre interrogazioni urgenti:
«Al Ministro dei trasporti, per sapere se siano a sua conoscenza le disagiate condizioni in cui si svolge il servizio per i viaggiatori di terza classe e segnatamente dei treni operai lungo la linea Bra-Carmagnola-Torino, il quale servizio è esplicato da oltre 5 anni quasi esclusivamente mediante carri merci, privi di chiusure, di sedili, di illuminazione, di pedane per l’accesso; e se, per l’imminente lungo e duro inverno, non si ritenga indeclinabile necessità destinare d’urgenza a tale servizio delle carrozze viaggiatori, onde attenuare le asprezze del viaggio a coloro che per ragioni di lavoro sono costretti a trasferirsi quotidianamente a Torino.
«Bubbio».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per stroncare nella provincia di Como il sorgere di raggruppamenti politici, che sono la causa determinante di azioni violente contro i movimenti democratici e antifascisti.
I fatti si riassumono in questa triste e dolorosa rassegna:
1°) cippo di Barilani – Ponte del Passo – dedicato ai caduti della liberazione, frantumato;
2°) bruciata una corona d’alloro alla lapide dei partigiani di Moltrasio;
3°) strappati i nastri tricolori, con dedica dei partigiani, dalla corona deposta al monumento dei caduti di Carate Urio;
4°) spaccata la lapide dedicata al partigiano Carlo Brenna in una via cittadina di Como;
5°) frantumate le lapidi dei partigiani e della lega insurrezionale a Como;
6°) posa di una bomba alla Casa del Popolo di San Rocco;
7°) Renzo Pigni, membro dell’esecutivo della Camera del lavoro di Como e vicesegretario della Federazione socialista di Como, appostato da sconosciuti mentre si recava ad un comizio e fatto segno ad alcuni colpi di arma da fuoco, fortunatamente andati a vuoto.
«I fatti di cui sopra, avvenuti saltuariamente da sei mesi ad oggi, denunciano un sistema di lotta politica e sociale contrario ai principî della democrazia e basato sulla violenza e hanno sollevato un grave fermento nella popolazione, scaturito in uno sciopero generale di 24 ore, che non è degenerato per la profonda maturità democratica dei lavoratori comaschi e per il senso di responsabilità dei movimenti antifascisti e della locale Camera del lavoro, mentre le autorità provinciali non hanno fatto, né fanno, nulla di concreto per dimostrare la loro effettiva volontà di difendere le libertà democratiche dei cittadini di Como.
«Bernardi, Pressinotti».
«Al Ministro dell’interno, sullo sciopero generale in Puglia e sui provvedimenti che si intendono adottare per restituire la pace a quella laboriosa regione, ove la quasi totalità della popolazione reclama la tranquillità del lavoro ed ove l’attività facinorosa degli agitatori professionali minaccia il completamento delle semine e il maggior raccolto dell’anno.
«Perrone Capano, Cortese, Badini Confalonieri».
«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in favore degli agricoltori della provincia di Cagliari, ai quali è stato ingiunto di pagare, entro il 1947:
- a) i contributi agricoli unificati per l’anno 1945-46;
- b) il premio della Repubblica;
- c) i contributi agricoli unificati per l’anno 1946-47; in modo che gli agricoltori stessi sarebbero costretti – nel periodo delicatissimo, in cui devono sostenere le spese fortissime per la preparazione colturale dei terreni e per le semine, ed occupare il maggior numero possibile di lavoratori – a versare somme ingenti, che essi non si trovano in grado di pagare.
«Quali conseguenze deleterie a danno della produzione, della alimentazione e dell’occupazione della mano d’opera, possano derivare da una simile situazione deve essere presente al Governo, che potrebbe risolvere la questione nel modo seguente: applicazione di una aliquota regionale per la Sardegna, anziché quella nazionale.
«In linea contingente: sospendere immediatamente la riscossione dei contributi agricoli, fino almeno al nuovo raccolto.
«Mastino Gesumino».
Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.
SCELBA, Ministro dell’interno. Mi riservo di rispondere non appena mi saranno pervenute le informazioni necessarie.
Sui lavori dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prima di dar lettura dell’ordine del giorno per le sedute di domani, desidero sottolineare il fatto che stamattina non si è potuto raggiungere il numero legale per una votazione. Questo fatto è notevolmente spiacevole, ed è reso ancora più spiacevole ed ancor meno simpatico dalla considerazione che le firme sui registri di presenza superavano di molto il numero legale. (Commenti).
La votazione è avvenuta fra le 13 e le 14, e non era quindi questione di treni che si dovessero prendere o dovessero arrivare. Mi si permetta di dire, deplorandolo, che vi sono molti colleghi i quali ritengono di aver fatto il loro dovere non appena hanno apposto la loro firma sui registri, e non comprendono che il loro dovere è di esser presenti ai lavori dell’Assemblea. Vi prego di apprezzare la serietà delle cose che sto dicendo: l’impressione spiacevole che siffatti episodi possono produrre non deve essere trascurata o sminuita.
Domani, dunque, alle ore 10, seduta per le votazioni a scrutinio segreto dei disegni di legge discussi oggi. I colleghi sappiano che per le votazioni a scrutinio segreto è indispensabile il numero legale, e che non è possibile tenere le urne aperte all’infinito. Vorrei pertanto sperare che domani mattina alle 10 sia presente un numero sufficiente di deputati perché le votazioni si possano concludere.
Le votazioni, riguardano, l’approvazione del trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine e l’approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, I colleghi questa mattina hanno compreso che il Ministro degli esteri annette una grande importanza alla rapidità con cui questi due disegni di legge saranno approvati, in relazione alle esigenze dei nostri rapporti internazionali.
Sempre nella seduta antimeridiana di domani si discuteranno i seguenti disegni di legge:
Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico;
Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di Casa Savoia.
Nel pomeriggio, alle ore 16, si avrà il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
CHIEFFI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se i provvedimenti di prossima promulgazione a favore dello sviluppo industriale nell’Italia meridionale saranno applicati, come di ragione, a quella zona del circondario di Gaeta ed a tutto il circondario di Sora che, per contingenze puramente amministrative, sono stati distaccati dalla provincia di Caserta (Campania), ma che, senza alcun dubbio, fanno parte del Mezzogiorno d’Italia.
«Persico».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti abbia preso nei riguardi dei responsabili del saccheggio della sezione provinciale dell’Unione monarchica italiana di Varese, i quali il 13 novembre, approfittando della temporanea assenza delle forze di polizia, distrussero la sede suddetta con i ben noti sistemi facinorosi e poscia passarono alla distruzione del settimanale indipendente l’Ammonitore.
«Benedettini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere: 1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni;
2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso;
3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica.
«Tumminelli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare al fine di migliorare l’attuale disagiatissima situazione degli amanuensi degli uffici giudiziari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Russo Perez».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e dei trasporti, per conoscere se non ritengano opportuno, di comune intesa, di promuovere al più presto un accordo con la Francia per il ripristino della linea internazionale Torino-Cuneo-Nizza, linea che venne nella massima parte distrutta dalle operazioni belliche.
«Consta all’interrogante che per la parte italiana i lavori sono ormai ultimati sino al confine, mentre è pure in via di completamento il viadotto sul fiume Stura a Cuneo.
«L’importanza di questa linea che, proseguendo da Torino, si riallaccia a quella internazionale del Sempione verso la Svizzera, non ha bisogno di ulteriori illustrazioni; essa servirebbe, inoltre, a collegare, come per il passato, il Piemonte con la Costa Azzurra e col sud-est francese, ove innumerevoli sono gli interessi degli italiani emigrati in Francia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Chiaramello».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga, con alto senso di giustizia, in questo momento, nel quale l’Esercito nazionale viene ricostituito, ridare a Torino che li creò e li ebbe ospiti nel momento del loro massimo splendore, gli istituti superiori militari, quali la Scuola di guerra e la Scuola di applicazione di artiglieria e genio.
«Torino durante il fascismo è già stata sacrificata coll’allontanamento a favore di altre città di innumerevoli Enti, Fondazioni, ecc., nati e creati dai Piemontesi e purtroppo pare che anche nel clima repubblicano la spogliazione continui con un metodo sistematico.
«Anche ultimamente, con la creazione di una nuova Accademia militare, Torino si è vista sottratta l’Accademia di artiglieria e genio e sarebbe quindi opera di giustizia se almeno fra le sue mura rimanessero la Scuola d’applicazione d’artiglieria e l’Istituto superiore di guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Chiaramello».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se creda opportuno ridurre per gli agenti di custodia da anni 30 a 28 l’età minima pel matrimonio, allo scopo di consentire che i giovani utilizzino gli anni migliori e più adatti per costituire una famiglia, evitando in pari tempo pericoli di danni alla salute, tanto più che ora per la qualità di reduci sono anche gli ammogliati ammessi in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rubilli».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 21.10.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10:
- – Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:
Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica Italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).
Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).
- – Seguito della discussione del disegno di legge:
Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).
- – Discussione del disegno di legge:
Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (11).
Alle ore 16:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.