ASSEMBLEA COSTITUZIONALE
XLVI.
SEDUTA DI MARTEDÌ 25 FEBBRAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
Caronia
Martino Enrico
Presidente
Condorelli
Congedi:
Presidente
Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:
Presidente
Gallo
Villani
Treves
Gronchi
Pallastrelli
Caronia
Uberti
Mastino Pietro
Tonetti
Parri
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Perassi
Orlando Vittorio Emanuele
Cianca
Vigorelli
Lucifero
Sardiello
Selvaggi
Finocchiaro Aprile
Nitti
Cevolotto
Cingolani
Togliatti
Bellavista
Andreotti
Mazzoni
Cotellessa
Risultato della votazione nominale:
Presidente
Interrogazioni e interpellanza d’urgenza:
Presidente
Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste
Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
Mannironi
Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 15.
RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
Sul processo verbale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Caronia. Prego l’onorevole Caronia di precisare le ragioni della sua richiesta:
CARONIA. La mia richiesta è motivata dal fatto che l’onorevole Colonnetti ha chiamato in causa il Rettore dell’Università di Roma, perché avrebbe preso un provvedimento anti-sociale.
PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Caronia: lei ha presentato un ordine del giorno che svolgerà nella seduta di oggi e che si riferisce per l’appunto a problemi connessi agli studi. Io le vorrei soltanto chiedere se non ritiene possibile includere le sue dichiarazioni nel contesto dello svolgimento dell’ordine del giorno.
CARONIA. Ritengo opportuno di fare alcune brevi considerazioni in merito al processo verbale, per chiarire un episodio di carattere esclusivamente locale riguardante l’Università di Roma.
Se l’onorevole Presidente permette, svolgerò brevemente le mie osservazioni.
PRESIDENTE. La pregherei però di voler soltanto chiarire ciò che l’onorevole Colonnetti ha detto in merito all’episodio specifico dell’Università di Roma.
CARONIA. Mi occuperò semplicemente di questo. Il professore Colonnetti ha criticato il Rettorato dello Studium Urbis, perché ha applicato un aumento di tasse, anzi, dice precisamente, perché ha triplicato le tasse a carico degli studenti, ed ha aggiunto che questo provvedimento è un provvedimento di carattere antisociale.
In realtà anche noi, d’accordo con l’onorevole Presidente del Consiglio delle ricerche, vorremmo che lo Stato onnipotente potesse provvedere a tutti i bisogni del cittadino, dalla culla alla bara, assicurandogli l’assistenza materiale, spirituale e morale; ma purtroppo lo Stato italiano non è così ricco, e sono pochi quegli Stati così ricchi da potersi permettere simile lusso e, quindi, il cittadino deve intervenire con il suo sacrificio personale nell’interesse della collettività.
Il Rettore dell’università di Roma, nella mia persona, il Consiglio di amministrazione ed il Senato accademico della stessa Università, alieni da ogni sogno demagogico, ma consci della realtà della situazione, richiesta l’approvazione regolare al Ministero della pubblica istruzione, hanno creduto opportuno, per evitare di chiudere le porte degli Istituti e per continuare a dare agli studenti quel minimo di assistenza che vogliamo dar loro, di applicare un piccolo aumento di tasse, non una triplicazione, come ha detto l’onorevole Colonnetti.
Questo provvedimento, ripeto, è stato preso con lo scopo di non arrivare a quegli estremi a cui sono arrivate altre Università, con applicazione di tasse molto più onerose, oppure con la chiusura addirittura di Istituti.
Io voglio leggere, perché gli onorevoli colleghi si rendano conto di questo fatto, il famoso manifesto che ho indirizzato agli studenti e che riguarda il provvedimento preso dall’Università di Roma:
«Cari studenti, dai direttori degli istituti, dalle vostre organizzazioni, dai reduci dalla Camera del lavoro, da tutte le parti si chiede di adeguare il «servizio» didattico e scientifico della nostra Università ai reali odierni bisogni ed all’accresciuto numero degli iscritti.
«Aumentare la capienza delle aule, aprire le biblioteche e le segreterie anche nel pomeriggio per gli studenti impiegati, sdoppiare per incarico alcune cattedre, aumentare il numero degli assistenti e dei tecnici per dividervi in molti gruppi durante le esercitazioni, aiutare realmente i più diligenti e bisognosi con la concessione di sussidi e di libri, migliorare ed aumentare il numero dei pasti gratuiti… e molte altre analoghe provvidenze si impongono in modo assoluto ed urgente, se non vogliamo che l’insegnamento sia per voi, in troppi casi, soltanto una finzione.
«Tutti questi problemi, però, non si possono in modo alcuno risolvere senza considerevoli mezzi economici; ed invece il bilancio universitario è oberato di debiti, mentre le autorità ministeriali – per ragioni che non mi è dato valutare – non aumentano le tasse, né le dotazioni e nemmeno riescono ancora a rimborsarci le fortissime spese da noi anticipate per ordine degli stessi Ministeri.
«Valga qualche cifra ad illustrare le attuali condizioni del nostro bilancio: nel primo anno dell’autonomia universitaria (1924-25) lo Stato ci concesse un contributo ordinario annuo di circa cinque milioni, pari, cioè, al 50 per cento delle entrate effettive del bilancio; oggi tale contributo è stato quintuplicato, ma il suo importo corrisponde ad appena il 3 per cento delle entrate effettive.
«Un altro esempio: poco prima della guerra si spendevano lire 1.500.000 l’anno per il riscaldamento di tutti i locali dell’Università, del Policlinico e degli altri Istituti; oggi per riscaldare, in modo ridottissimo, soltanto le cliniche e le camere operatorie, si spendono oltre 24 milioni, cioè l’intera dotazione annua ministeriale.
«La Facoltà d’ingegneria ha richiesto 40 assistenti per poter compiere le esercitazioni; l’istituto di anatomia con 2400 studenti ha solo 3 assistenti; mancano i banchi; i tavoli da disegno, i microscopi ed altri apparecchi, scientifici indispensabili… Ma l’elenco delle urgenti necessità sarebbe troppo lungo; e rispondere per tutti in modo negativo equivarrebbe a spegnere la vita di molti Istituti.
«In queste condizioni, fra tradire il compito per cui l’Università vive ed opera, e chiedere un modesto sacrificio economico, il Senato accademico (adunanza del 1° febbraio 1947), il Consiglio di amministrazione (adunanza del 4 febbraio 1947), sono stati costretti a seguire, pur con vivo rincrescimento, l’unica via che rimane aperta per non ingannarci reciprocamente con un incompleto infecondo insegnamento: l’imposizione di un contributo per le biblioteche, per le esercitazioni e per l’aumento di personale, approvato con lettera ministeriale del 20 gennaio 1947, n. 332.
«La somma stabilita per quest’anno – ivi compreso il contributo di lire 100 per le attività sportive – è di lire 4000 (pari a lire 333 mensili) da pagarsi in 4 rate da lire 1000 ciascuna, di cui la 1a e la 2a dovrebbero essere pagate entro il 31 marzo e le altre due prima o assieme alla domanda di esami per la sessione estiva.
«Da tale contributo verranno esonerati, in tutto o in parte, quei giovani che abbiano superato con la media di 27-30 o di 24-30 tutti gli esami obbligatori dell’anno scolastico 1945-46.
«Questo contributo – che in varie Università è già applicato per cifre altissime e che suonerà invito al Governo per meglio corrispondere alle nostre vitali ed elementari necessità – sono certo che verrà sopportato dalla classe studentesca come un sacrificio indispensabile, perché la classe stessa non venga ingannata da un insufficiente insegnamento». (Commenti).
Questo manifesto ha avuto la miglior risposta dagli studenti, i quali in un recente congresso interuniversitario hanno presentato al Ministro della pubblica istruzione, tra l’altro, le richieste di un aumento non eccessivo e la perequazione del livello delle tasse… (Interruzioni a sinistra – Rumori).
Finisco rilevando che trovo naturale che lo studente che possa pagare paghi per chi non può. Noi nelle nostre decisioni abbiamo chiaramente detto che intendiamo escludere dalle tasse gli studenti benemeriti, cioè coloro i quali mostrano maggiori attitudini allo studio, anche se abbienti. Per i bisognosi e meritevoli si è cercato di fare di più con l’aiuto ed il sacrificio dei loro colleghi più fortunati, del Rettorato e dell’amministrazione universitaria, apprestando, nei limiti del possibile, alloggio, vitto, libri, assistenza sanitaria.
Il piccolo aumento di tasse che noi abbiamo applicato serve esclusivamente per gli studenti e non già per una costosa gestione presidenziale o per dare sussidi ai professori: serve solo per aiutare gli studenti, per assicurare loro il necessario pane dello spirito, e, quando è possibile, quello del corpo.
Questa è la realtà, il resto è utopia o demagogia.
MARTINO ENRICO. Chiedo di parlare sul processo verbale.
PRESIDENTE. Indichi il motivo.
MARTINO ENRICO. Ieri, sono stato chiamato in causa dagli onorevoli Longo e Condorelli; desidero precisare alcuni punti al riguardo.
PRESIDENTE. Onorevole Martino, se ella fosse stato presente alla seduta di ieri avrebbe avuto la facoltà di chiedere di parlare immediatamente, come hanno fatto altri onorevoli colleghi. Sostanzialmente la sua richiesta si riferisce alla seduta dell’altro ieri. Non è possibile trascinare così da una seduta all’altra le rettifiche sul processo verbale.
MARTINO ENRICO. Sono dolentissimo, onorevole Presidente, di non aver potuto esser presente alla seduta di ieri; osservo però che ieri, in sede di processo verbale, gli onorevoli Longo e Condorelli hanno parlato d’un mio discorso precedente al quale essi pure non erano stati presenti.
PRESIDENTE. Ma sempre però in sede di processo verbale; il processo verbale rappresenta, direi, una parte prorogata della seduta precedente. Io non voglio adesso impedirle di parlale, ma faccio appello al senso che i nostri colleghi hanno del modo migliore di impiegare il tempo che abbiamo a disposizione. La prego quindi, onorevole Martino, di parlare veramente pochissimi minuti.
MARTINO ENRICO. Sono spiacentissimo di entrare in polemica con l’onorevole Longo su una questione così importante, che sta a cuore a tutti noi, qual è quella dei partigiani. Ma l’onorevole Longo ha detto che il Ministro della guerra e l’onorevole Martino non si sarebbero resi conto della realtà. Gli faccio presente che le leggi sui partigiani sono legate al nome del Ministro Facchinetti, mentre i partiti che sono stati al Governo per due anni non hanno fatto approvare quelle leggi. Faccio presente all’onorevole Longo – ed egli può credere ai suoi compagni Boldrini e Moscatelli cui potrà domandarne – che io mi sono attivamente battuto per fare approvare quelle leggi. Boldrini, se non mi hanno mal riferito, ha sottolineato al Congresso del Partito a Firenze, il mio interessamento per questa questione. Debbo far rilevare all’onorevole Longo che non sono io ad aver suscitato questa polemica; siccome è stato detto che non sono stati inseriti i partigiani nell’esercito, io mi sono limitato ad osservare che questi inserimenti vengono fatti in seguito alle proposte trasmesse dalla Commissione presieduta dall’onorevole Longo. Ora, io posso dire che, di queste proposte, è pervenuto al Ministero un primo blocco in numero di cinque, alla data del 4 dicembre, e un secondo blocco, in numero di 32, è pervenuto il 23 dicembre. Un terzo ed un quarto elenco sono poi giunti successivamente, quando già era stata aperta la crisi.
Siccome la legge stabilisce che queste domande devono essere esaminate dall’apposita Commissione esistente presso il Ministero della guerra, è evidente che in così poco tempo non era possibile fare di più.
Questi sono dati presi dal Ministero; ed io desidero che dall’altra parte, invece di continuare a fare delle asserzioni, si diano date e nomi precisi.
Per quanto riguarda la immissione di partigiani nell’esercito, le relative proposte, nelle quali occorre precisare il grado con il quale il partigiano entrerà nell’esercito, sono fatte da una Commissione, mentre il riconoscimento viene fatto dal Ministro. Nessuna segnalazione è a tutt’oggi pervenuta al Ministero da parte della Commissione.
LONGO. Dipende dalle modalità emanate dal Ministero della guerra.
MARTINO ENRICO. Questo non mi riguarda.
Quanto all’onorevole Condorelli, evidentemente egli non era presente quando io parlai, o non ha capito quello che io ho detto. Egli si è lamentato per il fatto che una Commissione mista di civili e di militari esaminerebbe le posizioni degli ufficiali reduci dalla prigionia. Devo fare presente che per tutto quello che si riferisce alle capacità tecnico-professionali ed al comportamento degli ufficiali esistono soltanto commissioni composte di ufficiali superiori, con esclusione dei civili. Esisteva invece, come per tutti i cittadini italiani, una Commissione di epurazione, che non esamina l’attività militare, ma la eventuale compromissione con il regime fascista o l’eventuale collaborazione con i tedeschi. E questa Commissione dava sufficienti garanzie, perché composta di un magistrato, di un generale e di un rappresentante nominato dalla Presidenza del Consiglio.
PRESIDENTE. Onorevole Martino, la prego di scusarmi: non si tratta di un fatto personale. Ella non è responsabile dell’operato di queste Commissioni.
MARTINO ENRICO. L’onorevole Condorelli ha smentito quanto io ho dichiarato nel mio discorso; e di fronte ad una smentita credo di avere il diritto di fare una contro-smentita.
PRESIDENTE. No, ella può fare personalmente la contro-smentita all’onorevole Condorelli, oppure pubblicamente a mezzo della stampa. Si ha un fatto personale quando la persona specifica dell’onorevole deputato è chiamata in causa. Lei non risponde delle Commissioni di epurazione dell’esercito. Lei è stato un ottimo Sottosegretario per la guerra e sarebbe strano che per ogni atto del suo Ministero lei dovesse render conto qui. La prego di concludere.
MARTINO ENRICO. Ieri l’onorevole Condorelli ha detto che noi abbiamo smentito che esiste una Commissione mista per l’esame dei generali. Non ho mai negato questo. Ho detto anzi che la Commissione esiste: ma non nei termini indicati dall’onorevole Condorelli.
L’onorevole Condorelli ha aggiunto: «Vi è stato poi lo sfollamento dei quadri, sovvertendo tutte le regole della disciplina, poiché si sono posti i generali alla mercé di politici nettamente avversi ad ogni idea di militarismo. Sarebbe bastato invece affidare questo compito al Ministro ed al Sottosegretario in carica, per evitare dei sovvertimenti».
Mi permetta il Presidente dell’Assemblea di precisare che questi politici nettamente avversi ad ogni idea di militarismo sarebbero tutti i Ministri e tutti i Sottosegretari alla guerra che sono stati in carica.
Ora, ho il diritto e il dovere di difendere tutte queste persone. Dice l’onorevole Condorelli che sarebbe stato sufficiente che il Ministro esaminasse lui le pratiche. La legge, infatti, glielo concedeva, ed è stato il Ministro che ha voluto, per maggiore garanzia, che fossero esaminate da una Commissione mista, con i precedenti Ministri. Precedenti Ministri che sono: il Presidente Parri, l’onorevole Jacini, l’onorevole Casati che non ha accettato, l’onorevole Brosio, e l’onorevole Facchinetti e tutti i Sottosegretari, fra cui i due Sottosegretari comunisti Colajanni e Palermo. Ora, io ho la sensazione che dalla parte destra si facciano troppe critiche perché sono stati inclusi questi due Sottosegretari, il che sarebbe assolutamente ingiusto, perché questi due Sottosegretari sono stati nel passato due ufficiali brillantissimi, attaccati all’onore militare dell’esercito e che insieme a tutti gli altri hanno solo questo grande desiderio: che i futuri quadri dell’esercito dovranno essere ben selezionati, perché non dovranno essere attaccati da nessuna parte, né da questa Assemblea né dalla stampa.
(Applausi).
CONDORELLI. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, il processo verbale non è sede per polemiche fra gli onorevoli deputati. Ritengo opportuno richiamare l’articolo 80 del Regolamento: «È fatto personale l’essere intaccato nella propria condotta, o il sentirsi attribuire opinione contrarie alle espresse. In questo caso, chi chiede la parola deve indicare in che consiste il fatto personale; il Presidente decide; se il deputato insiste, decide la Camera senza discussione per alzata e seduta».
Desidero avvertire che d’ora innanzi darò la parola sul processo verbale per fatto personale soltanto quando, dietro mio invito, gli onorevoli colleghi mi avranno precisato in che cosa sono stati intaccati, in relazione alla loro condotta, o se si sono sentiti attribuire opinioni contrarie a quelle espresse. In questo limite, non da me stabilito, ma dal Regolamento, d’ora innanzi si potrà parlare sul processo verbale.
CONDORELLI. Chiedo la parola perché mi sono state attribuite opinioni contrarie alle espresse.
PRESIDENTE. Lei chiederà la parola, se mai, sul processo verbale della prossima seduta.
CONDORELLI. Mi riservo di chiedere di parlare sul processo verbale nella prossima seduta.
PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo gli onorevoli deputati Pignataro, Lussu e Tambroni Armaroli.
(Sono concessi).
Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
L’onorevole Gallo ha presentato il seguente ordine del giorno, firmato anche dagli onorevoli Finocchiaro Aprile e Castrogiovanni:
«L’Assemblea Costituente,
constatato che, ripetutamente, sono stati denunziati al Paese i sistemi di tortura e di sevizie adottati dagli organi della polizia per strappare dichiarazioni e confessioni ai prevenuti, sistemi seguiti sempre in Sicilia e che si continua ancora oggi a seguire, anche sulle persone degli indipendentisti tratti in arresto, e ciò con deplorevole ritorno al medioevo e con dispregio delle leggi della civiltà e dell’umanità,
invita il Governo a far cessare tanto obrobrio e a punire esemplarmente i responsabili di tali delitti e si riserva di procedere alla nomina di una Commissione d’inchiesta, a norma del vigente regolamento».
L’onorevole Gallo ha facoltà di svolgerlo.
GALLO. Onorevoli colleghi, il mio ordine del giorno è collegato alla mia interrogazione del 20 corrente, trasformata poi in interpellanza, che il signor Ministro dell’interno non ha ritenuto avesse carattere di urgenza.
Dall’ordine del giorno che io svolgerò voi giudicherete se parlare di certi fatti sia urgente o no. Dal giugno 1946 ad oggi, in quest’aula, già altri colleghi – che hanno avuto la sensibilità di sentire quanto profonde e quanto pericolose fossero le dichiarazioni fatte per primo dall’onorevole Finocchiaro Aprile circa i mezzi inumani usati dalla polizia, specie in Sicilia – hanno chiesto ripetutamente che il Governo provvedesse alla nomina di una Commissione di inchiesta parlamentare per accertare fatti. Questi colleghi, ai quali desidero rivolgere il mio plauso, rispondono ai nomi degnissimi degli onorevoli Mazzoni, Perrone Capano e Pertini. Un atto di accusa vero e proprio circa 8 mesi addietro è stato pubblicato da un giornale edito a Roma. Dopo questa pubblicazione ci fu anche una lettera dell’allora Ministro degli interni, onorevole Romita, una risposta a un giornalista, al quale lo stesso onorevole Romita aveva chiesto un memoriale.
In questa lettera è detto testualmente: «In relazione al memoriale da lei rimessomi con lettera del 18 giugno 1946, le confermo che i fatti segnalati formeranno oggetto di una rigorosa inchiesta da parte di un ispettore generale di pubblica sicurezza, al quale ho dato disposizioni di partire immediatamente per la Sicilia, anche per studiare e riferire sul problema siciliano; la notizia, beninteso, è riservata e lei vorrà, per comprensibili ragioni, mantenerla tale». Sono passati nove mesi, ma nulla è venuto fuori da allora. Il funzionario di pubblica sicurezza, da qui ad arrivare in Sicilia – il viaggio è lungo – si è perduto per strada.
Da parte del Governo nulla è stato fatto. Il popolo siciliano ha ragione di ritenere che, se i funzionari di polizia si sono permessi di commettere gli atti inumani che io illustrerò a questa Assemblea – e non semplici funzionari o semplici agenti, ma alti ufficiali dei carabinieri reali; insisto: reali, ed alti funzionari di polizia hanno presenziato a queste sevizie – da parte del Governo ci sia per lo meno una tacita autorizzazione.
In questi giorni va in giro una circolare, sembra, della Legione dei carabinieri di Messina, con la quale si invitano tutti i Commissariati a segnalare: 1°) i nomi dei componenti dei comitati delle varie sezioni M.I.S., il numero degli iscritti, nonché l’elenco nominativo di essi. Io chiedo a voi tutti, di tutti i partiti, se questa è libertà e se le autorità di pubblica sicurezza sono autorizzate dal Governo a far ciò.
Sono autorizzate a chiedere il numero ed il nome degli iscritti? (Commenti).
Ah! Sono autorizzati?
PAJETTA GIANCARLO. Sono autorizzati in base ad una legge fascista. (Commenti).
GALLO. La ringrazio; era quello che volevo confermato: in base ad una legge fascista!
Ma c’è di meglio! In questi giorni, e da gran tempo, si sente in Italia parlare di processi contro criminali di guerra. Io chiederò a voi, colleghi, dopo che avrò descritto quelle che sono le torture e le sevizie che ancora oggi – nel 1947 – le autorità di polizia fanno, se intendete o no fare il processo ai criminali di pace!
Le autorità di polizia in Sicilia, al fine di ottenere dai prevenuti delle confessioni, si servono di questi mezzi di tortura: percosse, fustigazioni, tortura dell’unghia, cassetta, bicicletta, arresto dei congiunti, specialmente donne.
Che cos’è la fustigazione? Le percosse, lo sappiamo e quindi non mi soffermerò. La fustigazione consiste in ciò: gli indiziati vengono legati su una panca, ai loro piedi viene avvolto uno straccio bagnato di acqua salmastra per circa venti minuti, mezz’ora. Si toglie poi questo straccio e, con una sottile verga, si comincia la fustigazione. Questa dura venti minuti, mezz’ora. Poi, bontà loro, è concesso un riposo, quindi si ricomincia. Questa è la fustigazione. Non avveniva solamente nel medio evo, avviene oggi, mentre io vi parlo, in Sicilia: queste torture sono state inflitte anche ai giovani indipendentisti.
Io ho tutta la documentazione, tutte le testimonianze, ed alla Commissione d’inchiesta, e solamente alla Commissione d’inchiesta, io consegnerò queste documentazioni, queste testimonianze, queste dichiarazioni.
Ho dichiarazioni firmate, pur anco da funzionarî di polizia, da carabinieri. Ripeto, le consegnerò solo alla Commissione d’inchiesta, e non un nome farò qui, chiederò solamente che in questa Commissione d’inchiesta, se voi lo credete, si possa includere anche me, perché saprei dove mettere le mani, e laddove si fosse cercato di togliere prove saprei dove andarle a ritrovare. Sono diventato pratico, dopo quello che ho subito e dopo quello che ho vissuto!
Tortura dell’unghia: si lega l’individuo su una panca o su un tavolo, poi, con una lunga pinza, si cominciano a tirare le unghie; si sospende per dieci minuti, poi si prendono dei piccoli e ben appuntiti pezzetti di legno, delle piccole stecche e si infilzano sotto l’unghia. Si lascia stare così a soffrire quel povero disgraziato per dieci minuti o un quarto d’ora e con la stessa pinza si estirpa l’unghia. (Commenti).
Abbiamo delle prove e delle documentazioni, e ho da mostrare alla Commissione di inchiesta individui che ciò hanno subito.
La cassetta: è la tortura più in uso oggi.
Si tratta di due comuni cassette militari, che tutti conosciamo, sovrapposte l’una sull’altra.
L’individuo viene denudato, fustigato per bene, schiaffeggiato, preso a calci e buttato sul pavimento più o meno bagnato. Poi lo si prende e lo si lega su queste cassette. Lo si lega in maniera che il busto sia completamente fuori delle cassette. Le caviglie vengono assicurate saldamente con una corda, e poi legate con la maniglia della cassetta inferiore.
Un carabiniere o un agente si mette a cavalcioni sull’addome. Un’altra corda lega le braccia e i polsi dietro la schiena. La corda, lunga questa volta, viene fatta passare in maniera da scorrere dentro una maniglia, e due carabinieri cominciano a tirare, tirare al punto che l’individuo è costretto a mettersi supino, e dunque a far ponte con la schiena. Si continua a tirare al punto da far alzare le braccia fino a provocare la slogatura delle braccia stesse, e non è molto bello sentire il rumore delle ossa, onorevoli colleghi. (Commenti).
Ma non finisce qui la tortura della cassetta. Un secchio, capace di contenere 20-30 litri d’acqua, viene posto sotto la testa del paziente (chiamiamolo paziente!). Altro agente lo prende per i capelli e lo costringe a stare con la testa rivolta in alto. Un altro con un recipiente più o meno sporco prende dal secchio della luridissima acqua e la versa sulla bocca e sul naso, in modo che il paziente è costretto ad aprire la bocca per non soffocare e ad ingoiare questa luridissima acqua. L’operazione, continua per venti minuti, per mezz’ora, fino a quando l’addome si gonfia per il quantitativo d’acqua ingoiato. Ebbene, colleghi, l’agente che sta a cavalcioni sull’addome, aiutato, occorrendo, da un altro, preme fortemente sull’addome stesso fino a provocare la fuoruscita dell’acqua che va a cadere nella secchia. (Commenti).
L’operazione si riprende. Pugni di sale vengono messi nella bocca del povero paziente, teste di acciughe salate vengono infilate nelle narici e l’operazione continua.
Giacche questo nome è stato già fatto dai giornali, dirò che al dottore Rigo La Manna, giovane indipendentista, arrestato e imputato di… indipendentismo, questa operazione è stata fatta, per quattro giorni, quattro volte al giorno.
Quando l’individuo ha perduto completamente i sensi, lo si slega e lo si getta sul pavimento che nel frattempo è diventato una pozzanghera; quindi nudo, lo si butta nella cella. Si fa passare un’ora o due e lo si interroga per vedere se è disposto a dire quello che si pretende che dica.
Quando risponde no, lo si riporta alla tortura della cassetta.
Questo, onorevoli colleghi, nel 1947, si fa in Sicilia, mentre io vi parlo. (Commenti).
Io non intendo qui parlare in prima persona. Non ho mai parlato in prima persona, perché l’idea di libertà e di civiltà per la quale combatto non vede persone, e tanto meno la vita. Ma ad una Commissione di inchiesta sarà facile, facilissimo constatare cosa si è fatto in Sicilia ed anche con giovani idealisti, cosa si fa, tutt’ora.
Ancora oggi, nelle carceri, in Sicilia giacciono due giovani studenti, uno dei quali ha appena 18 anni, ed è quasi tisico; ed un altro giovane, imputato di essere rimasto al mio fianco disarmato durante il combattimento di San Mauro, che tutti conoscete, e che mai mi abbandonò. Da un anno è in galera, non si riesce a metterlo fuori, neppure con l’amnistia. Questi giovani si trovano nelle carceri…
FINOCCHIARO APRILE. …e buttano sangue.
GALLO. …e buttano sangue; ma sono lì. C’è un processo, il processo dell’Evis; è il mio processo; sono orgoglioso di dire che è il mio processo; ma non si farà – state tranquilli! – non si farà!
Io chiedo solennemente in quest’aula che questo processo si faccia, perché io lo voglio, perché da questo processo l’Italia o, meglio, il popolo italiano dovrà dire chi sono coloro che imbrattano la bandiera della libertà e coloro che per la libertà sanno sacrificare la vita. Nulla i siciliani ebbero ed hanno mai avuto dal popolo italiano, dagli italiani; ma i siciliani sono stati, sono e saranno sempre contro i governi d’Italia, che hanno fatto quello che ho denunciato, che hanno oppresso il popolo siciliano, contro i Governi d’Italia che così pensano di creare quello spirito di fratellanza, che condusse i siciliani sul Carso e sul Piave, quei siciliani che hanno benedetto le terre d’Italia col loro sangue, quei siciliani che oggi, alla luce di 87 anni di storia, hanno il diritto di dire: «Noi nulla vediamo che ci dica che al di là dello stretto ci siano fratelli».
Questo i Governi d’Italia hanno fatto.
Il popolo, siciliano ha chiesto comprensione, riconoscimento dei diritti; questo i governi d’Italia non l’hanno saputo fare, non lo fanno.
Ed io accuso i Governi d’Italia di fronte al popolo italiano, di fronte a tutti i popoli civili del mondo. E giudicate voi, rappresentanti del popolo, se io ho ragione di sostenere e di combattere per la causa, per la quale ho combattuto e combatto; dite voi, rappresentanti della democrazia, se è vero che questa non è democrazia, ma barbarie. Questo io chiedo.
Quando contro il popolo siciliano si sono scritte tutte le parole, che qui non ripeto, perché, quale rappresentante della nuova democrazia italiana, non voglio offendervi; quando ci si è divertiti a scrivere contro quest’uomo (Indica l’onorevole Finocchiaro Aprile), contro la mia persona, contro questo misero uomo, questo bandito, quello che si è scritto – voi avrete anche, spero, notato che mai una mia parola di risposta c’è stata – ebbene, io sono orgoglioso di essere stato giudicato un bandito. Sì, bandito da quel consorzio umano che ruba sul sangue del popolo con l’autorizzazione della legge; da quel consorzio io sono stato bandito; ma se bandito io sono, se tale mi avete giudicato, lasciate che i giudici mi giudichino. Perché il Governo non fa questo processo?
Io chiedo che questo processo si faccia, perché dovrà dimostrare che cosa è stato commesso dalle forze dell’ordine, come io abbia rubato: sì, a mio figlio; ho rubato a mio figlio, perché ho distrutto il mio patrimonio. Ma oggi sono orgoglioso di essere un nullatenente, sono fiero della mia miseria, perché a questo sono arrivato per la difesa dei diritti di libertà di un popolo, che è il popolo più sano, più morale, più civile del mondo.
E io qui, prima che mi si dica che la nostra Patria è l’Italia, io ripeto e vi invito a considerare che disposto sono io a dire «Viva l’Italia», quando in questo consesso di uomini liberi si riconoscerà che è giusto, per il sangue versato insieme, che si dica «Viva la Sicilia!».
FINOCCHIARO APRILE. Viva l’indipendenza della Sicilia! (Interruzioni – Rumori).
Una voce. Viva l’Italia!
GALLO. Viva l’Italia libera! Ma l’Italia libera non come la crearono nel 1860, ma un’Italia confederale, dove tutti gli uomini, dove tutte le genti vivano in civile libertà. (Rumori – Interruzioni – Commenti).
PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Cairo e firmato anche dagli onorevoli Villani, Canevari, Morini, Carboni:
«L’Assemblea Costituente, richiamandosi all’ordine del giorno Canevari ed altri, svolto nella seduta del 25 luglio 1946 e nella seduta stessa accettato, come raccomandazione, dal Presidente del Consiglio, invita nuovamente il Governo ad emanare d’urgenza il provvedimento richiesto nel predetto ordine del giorno ed inteso a riparare il grave danno subito dagli Enti cooperativi, mutualistici ed istituti similari a seguito delle violenze fasciste».
Non essendo presente l’onorevole Cairo, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Villani.
VILLANI. Non si tratta, onorevoli colleghi, di svolgere l’ordine del giorno presentato; si tratta molto più semplicemente di ricordare al Governo attuale che la questione che già fu qui discussa e l’ordine del giorno che già fu qui svolto dal compagno Canevari, mentre trovò nella persona del Presidente del Consiglio un’accoglienza di massima, non ha avuto nei sette mesi decorsi dalla seduta del 26 luglio, nessun seguito.
Ora noi abbiamo voluto ripresentare la questione, perché riteniamo che, se il Governo precedente non ha avuto la possibilità di risolvere o di affrontare questo problema, il Governo attuale debba sentire l’urgenza di assolvere il compito che già fin d’allora noi abbiamo voluto affidargli.
Noi non ci nascondiamo le difficoltà, anche di carattere tecnico-giuridico, che la risoluzione di questo problema comporta.
D’altra parte, però, ritengo che in un Paese come il nostro, dove il popolo soffre di molte cose, ma soprattutto soffre della mancanza di giustizia, della sensazione che manchi la giustizia, sia cosa veramente indispensabile di dare, specie in questo campo – dove il fascismo è stato feroce, ed anche inutilmente feroce – la sensazione di capire questo bisogno di giustizia e di sodisfarlo
Poiché non è mia intenzione di svolgere l’ordine del giorno, mi limito semplicemente a formulare questa speranza: che il Governo trovi la volontà di risolvere un problema che per i lavoratori del nostro Paese, per i lavoratori italiani, non è uno degli ultimi, ma è anzi uno dei più importanti problemi; ed anche perché, così facendo, darà una dimostrazione pratica di essere cosciente dei compiti che esso ha verso i lavoratori, verso i cooperatori italiani e, nello stesso tempo, potrà dare finalmente la netta impressione che si vuole procedere, dove è possibile, con giustizia nel nostro Paese.
PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Rossi Paolo, firmato anche dagli onorevoli Cairo, Pera, Treves, Vigorelli, Ruggiero, Persico, Binni, Tremelloni, D’Aragona, Longhena, Bianchi Bianca, Lami Starnuti, Canevari, Simonini.
«L’Assemblea Costituente,
ritenuta l’urgenza che la prima Costituzione repubblicana, con le leggi costituzionali indispensabili per la Sua entrata in vigore, diventi realtà,
considerato lo stringere del tempo, l’imponente mole e la gravità del lavoro da compiere,
mentre si dichiara pronta a riunirsi normalmente in due sedute quotidiane, antimeridiana e pomeridiana,
invita il Governo a presentare entro il più breve termine possibile i progetti delle leggi elettorali politiche e amministrative».
Poiché l’onorevole Rossi, primo firmatario dell’ordine del giorno, è assente, chiedo se qualcuno dei firmatari intende svolgerlo.
TREVES. Lo mantengo, rinunciando a svolgerlo.
PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Gronchi:
«Il popolo italiano vive oggi, con profonda delusione, il dramma della sua pace, che dalle solenni premesse di giustizia dei «Grandi» si è isterilita in soluzioni, le quali rispecchiano un transitorio faticoso regolamento di interessi dei vincitori, e ritardano – se pur non negano – il ritorno ad una pacifica e solidale convivenza dei popoli.
La situazione, che ci viene fatta, nei suoi aspetti giuridici, nelle sue conseguenze economiche, nei suoi riflessi morali, non trova alcuna giustificazione storica; il popolo italiano, pur cosciente delle responsabilità derivanti da un orientamento politico e da un regime di Governo, i quali peraltro avevano raccolto molteplici consensi, anche presso i suoi attuali giudici, ha la certezza di essersi riconquistato, con il sacrificio dei suoi figli migliori nelle Forze armate e nelle formazioni Partigiane e colla immensa rovina del suo territorio, il diritto di porre fin da oggi il problema della revisione delle imposte condizioni di pace: problema che è già nella coscienza delle Nazioni amanti della pace.
E l’Assemblea Costituente, sicura interprete dell’Italia intera, rivolge un appello ai Parlamenti delle Nazioni Unite, affinché le condizioni più dure possano essere fino da ora alleviate, e particolarmente affinché:
1°) non siano mantenute mutilazioni territoriali intollerabili al sentimento nazionale;
2°) venga evitata ogni ingiusta umiliazione all’Esercito e alla Marina, che, fedeli alle loro tradizioni di ardimento e di devozione alla Patria, hanno dato così valido contributo alla lotta comune;
3°) non siano imposti oneri economici e finanziari, che determinerebbero condizioni insostenibili per il nostro progresso e per la nostra vita stessa».
L’onorevole Gronchi ha facoltà di svolgerlo.
GRONCHI. Rinunzio a svolgerlo, pregando il Governo di prenderlo in considerazione, e l’Assemblea di votarlo, come espressione unanime del sentimento del popolo italiano.
PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Pallastrelli:
«L’Assemblea, udite le dichiarazioni del Governo in materia di politica agraria, afferma la urgente necessità di provvedere a quelle soluzioni che valgano a far cessare l’incertezza oggi predominante nei ceti agricoli, incertezza che ha per effetto di ritardare la ripresa della produzione e di pregiudicare quelle riforme che, inspirate alle esigenze della tecnica e dirette da un Ministero opportunamente riordinato nei suoi organismi centrali e periferici e fornito di mezzi adeguati, potranno veramente sodisfare anche alle esigenze di una maggiore giustizia sociale e prepararci a superare le difficoltà determinate dal futuro mercato mondiale».
L’onorevole Pallastrelli ha facoltà di svolgerlo.
PALLASTRELLI. Onorevoli colleghi, mi duole di non vedere al banco del Governo l’amico Segni, perché, in modo speciale, e con intenzione di cortese collaborazione, io desideravo rivolgermi a lui. Spero che fra poco ritorni e, intanto, farò alcune premesse, dirò precisamente che oggi io in questa aula parlo, dopo molti anni di assenza, per portare – sia pure attraverso la mia modesta persona – soprattutto la voce del tecnico: la voce del tecnico che ha ascoltato per molto tempo quanto, in fatto di politica agraria, si è detto; del tecnico che, i problemi importanti dell’agricoltura sa essere poliedrici ed esamina tutti i loro lati e a ciascun lato vuole, e credo sappia, dare il giusto valore.
È la voce di chi nelle campagne, senza aver da difendere interessi particolari, ha sempre, come professore di cattedra ambulante, propugnato il progresso dell’agricoltura; che oggi vorrebbe, negli ambienti rurali scoraggiati, riportare la fiducia e che, avendo vissuto in mezzo ai contadini nella sua Emilia, ha collaborato insieme ad uomini illustri, purtroppo scomparsi, quali Cardillo Prampolini, Nullo Baldini, il professor Benassi e il qui presente amico Nino Mazzoni, per difendere particolarmente i contadini, per diffondere quelle forme di conduzione cooperative e collettive che oggi si proclamano di attualità, ma che, in tempi lontani, potevano sembrare audaci. Noi (i democratici cristiani e i socialisti) abbiamo condotto a termine esperimenti che, ben guidati e assistiti, diedero ottimi risultati, sia dal punto di vista sociale che da quello tecnico, nelle terre dell’Emilia, ed io anche nell’Agro Romano; e in Sicilia ne fu pioniere Luigi Sturzo.
Ma i pionieri di parte politica che ho nominati, fra i quali, ripeto, va ricordato Don Sturzo per l’opera svolta a vantaggio di utili iniziative sociali, non furono mai inspirati da quella idiota demagogia che imperversava nelle campagne d’Italia quando Mussolini e i suoi satelliti, senza alcuna competenza, pontificavano in mezzo alle masse rurali per servirsene e non per servirle. Era tanta la malafede di quei demagoghi che, cambiata casacca e uccisa la democrazia con la dittatura, fecero bastonare e punire con l’olio di ricino i poveri braccianti.
Una premessa allo svolgimento del mio ordine del giorno: onorevole Segni, sono lieto che ora ella sia presente, perché, ripeto, desidero parlare cori lei come amico che ha grande stima di lei e che vuole collaborare per lo stesso ideale che ci unisce: il bene del nostro Paese. Molte cose le si chiedono e io comprendo, per avere avuto parte, prima del fascismo, al Ministero di agricoltura, quanto sia difficile il suo compito. Le farà piacere che io dica, con un po’ di esperienza che credo di avere in materia, che prima di tutto al Ministero di agricoltura bisogna dare i mezzi necessari.
Ma procediamo con ordine.
Perché l’agricoltura italiana possa avviarsi a riprendere un ritmo più sodisfacente, è indispensabile far cessare nelle campagne lo stato di incertezza, che agisce negativamente in tutti i settori. Incertezza, preoccupazione, irrequietezza, che a mio avviso richiedono si provveda adeguatamente in linea di rapporti sociali, in linea tecnica e in linea di politica generale. Dirò, dopo una breve parentesi, qualche cosa su questi argomenti. E, in parentesi, mi preme prima di tutto ricordare, come ho già detto, che al Ministero di agricoltura bisogna dare mezzi adeguati, ma bisogna pure decidersi a riorganizzare molto ampiamente gli organi centrali e periferici. Al centro provvedere adeguatamente perché i vari servizi siano efficienti, specialmente dal punto di vista tecnico, e tali da corrispondere a tutti i compiti, anche più ampi di quelli attuali, ai quali essi dovranno dedicarsi, particolarmente in base alle nuove esigenze tecniche e sociali.
In molti suoi uffici il Ministero dell’agricoltura è deficiente.
C’è da riorganizzare qualche direzione, generale, che dovrà avere compiti moltò più vasti di quelli che ha oggi, se vogliamo sul serio provvedere all’interesse delle campagne; vi sono direzioni generali che hanno bisogno di mezzi finanziari e di tecnici. Occorre far funzionare anche nuovi uffici, se vogliamo che il Ministero dell’agricoltura possa veramente rispondere a quegli scopi sociali che tutti reclamano; esso dovrebbe avere a sua disposizione – non per burocratizzare – gli uffici necessari e i mezzi finanziari per aiutare la cooperazione, le bonifiche, la sperimentazione; per tutto ciò insomma che le esigenze tecniche della produzione e sociali oggi attendono, e soprattutto a vantaggio delle classi lavoratrici. Scusate se insisto su questo.
Per quanto riguarda gli organi periferici, debbo insistere che è assolutamente indispensabile che a ciascuna provincia si ridia la cattedra ambulante di agricoltura. La quale non deve più essere, come gli Ispettorati, un organo dello Stato, ma bensì provinciale, e deve avere mezzi anche dallo Stato, ma non devono mancare, anzi devono essere in prevalenza, i contributi degli enti locali, e perciò occorre una amministrazione autonoma. Così, sia pure con altro nome se volete, si ridarà a ciascuna provincia quella istituzione che fece fiorire l’agricoltura italiana, e i tecnici che vi avranno parte ritorneranno ad essere amici delle popolazioni rurali (dirigenti e contadini) e potranno essere – badate bene, è l’esperienza di tempi lontani ed agitati che me lo insegna – veramente di prezioso e decisivo aiuto per portare nelle campagne pace, fiducia, lavoro e giustizia.
Chi non ha vissuto la vita delle cattedre ambulanti di agricoltura non può comprendere tutta la importanza che esse avevano in ogni campo, e si illude che gli Ispettorati agrari servano anche ai fini cui ho accennato. Gli ispettori non hanno più tempo per esercitare la loro vera funzione tecnica, sono costretti a diventare dei burocrati contro la loro volontà, e la popolazione rurale tali li considera, non concede loro più la sua fiducia e su di essa questi funzionari non hanno più ascendente. Nelle campagne non c’è più il benemerito professore che tutti assiste, che consiglia e che, per la stima che gode, sa risolvere tante difficili situazioni e pacificare gli animi. Le cattedre, con le loro sezioni sparse nei centri più importanti di ogni provincia, furono e saranno, se ritornate alle loro funzioni, le istituzioni base anche per preparare quella coscienza cooperativistica e dare quella istruzione tecnica che è necessaria per ogni seria riforma che possa essere duratura; quell’istruzione che, oggi, lei, onorevole Segni, e il professore Casalini con tanto lodevole intento cercano di dare a mezzo del Centro di istruzione professionale.
Organi periferici considero pure i Consorzi agrari. Essi hanno servito egregiamente lo Stato in periodi di emergenza, e purtroppo per queste funzioni statali hanno perduto la fiducia degli agricoltori. Occorre che essi ritornino, come semplici cooperative, ad essere quello che erano, e così la loro Federazione. Oggi la politica si è impossessata di queste organizzazioni che io ho viste nascere nella mia provincia; lo Stato si è almeno finora dimostrato restìo alla completa loro libertà. Politica e burocrazia svisano i Consorzi, che devono essere, sì, organi democratici, ma estranei alle mire dei partiti politici. Grande contributo i Consorzi e la loro Federazione (quest’ultima anche nel campo internazionale) potranno dare alla agricoltura e perciò occorre che si ridia quella libertà della quale il fascismo li aveva privati. Mi consta che il commissario professore. Albertario sta bene provvedendo, e gliene va data lode. Bisognerà che egli pensi anche a trovare i mezzi finanziari; spero che utilmente si potrà usufruire del fondo lire U.N.R.R.A. e per questo richiamo l’attenzione del Ministro Segni su di un progetto studiato da me con altri e che ho motivo di pensare possa essere gradito negli ambienti dell’U.N.R.R.A. Ciò che bisogna far finire sono le troppe strutture fasciste tuttora sopravviventi e che ostacolano l’attività degli agricoltori. Ma ritorniamo al tema.
Una voce a sinistra. Una ragione della incertezza è la mancata approvazione del lodo De Gasperi. (Commenti – Rumori).
PALLASTRELLI. Verremo anche al lodo De Gasperi. Facile ne è stata la critica di chi considera il problema interessatamente e da un solo punto di vista. I tecnici possono dissentire da ciò che si è fatto, ma sanno anche valutare equamente i motivi politici contingenti che lo ispirarono e, nel suggerirne le modificazioni, intendono non fare una critica sterile ma di utile collaborazione, come vedremo più avanti. Mi permetterò di dire sommessamente pure quello che penso sulla difesa che è stata fatta, l’altro giorno, dal mio buon amico onorevole Bosi, dei grossi affittuari dell’Emilia e della Lombardia, che egli dipingeva come gente quasi al fallimento. Credo che il quadro non sia stato perfettamente rispondente alla verità e che questi affittuari siano invece veramente benemeriti del razionale progresso dell’agricoltura padana, ma non in stato fallimentare. (Si ride). Essi vanno aiutati, bisogna schiarire quell’orizzonte che per loro si presenta assai oscuro…
In linea di rapporti sociali:
1°) Occorre definire il problema della mezzadria e cioè:
- a) applicazione del così detto giudizio De Gasperi; limiti e zone;
- b) limiti della trasformazione dei patti esistenti, da attuarsi con criteri essenzialmente pratici e tenendo presente quanto la Commissione per il contratto di mezzadria ha riferito al Ministro Segni, in modo da portare in questo campo provvedimenti concreti e adeguati, senza correre il pericolo di distruggere la mezzadria che, anche non avendo, come io non ho, feticismi per questo sistema di conduzione, è pur sempre un sistema utile per molte località, ma che va aggiornato perché nulla può essere statico.
Molte chiacchiere si sono fatte sulla mezzadria, ma vi è un problema, complesso e perciò di difficile soluzione, che non è stato ancora risolto: non quello fatto presente dall’amico Bosi, il quale vorrebbe che la mezzadria fosse considerata come un contratto di società (se mai, è contratto associativo), ma quello, principale, di vedere quale sia il valore del lavoro del mezzadro (lavoro che ha caratteristiche speciali sulle quali non mi fermo per brevità) e di conseguenza di correggere gli errori che derivano in gran parte dalla ignoranza che si ha di questo problema (Applausi) con opportuni adeguamenti;
2°) Bisogna studiare e risolvere il problema della definizione dei rapporti salariali con l’applicazione della scala mobile.
3°) Bisogna rivedere le vigenti disposizioni sui fitti. So bene che si tratta di materia molto delicata e dove non si possono fare contenti tutti. Bisognerà, come diceva Luzzatti, distribuire equamente il malcontento avendo di mira che non ne scapiti la produzione e considerando i pro e i contro, data la delicata situazione attuale.
In linea di massima sarebbe opportuno ridare la libertà, perché di libertà c’è bisogno in agricoltura, ma almeno,
а) dare libertà completa nei fitti ad imprenditori capitalisti (non lavoratori);
- b) e almeno con la trasformazione, che credo sia anche nelle intenzioni del Ministro Segni, in generi contrattati dei canoni dei fitti ai coltivatori diretti, valutandoli secondo i prezzi dei prodotti al tempo in cui i fitti furono stipulati, o secondo i prezzi 1939-40 e revisionandoli sulle attuali quotazioni ufficiali. Bisogna vedere se la proroga, salve comprovate deficienze di conduzione, convenga e se convenga si limiti ad un anno o a più (tre) per evitare i danni inevitabili quando l’affittuario si trovi sempre ad agire sul podere di anno in anno, come di regola agisce a detrimento della efficienza produttiva, quando è alla fine della locazione.
4°) Mettere fine alle disordinate occupazioni delle terre. Per ciò revisionare gli attuali decreti, in modo da assicurare il conseguente sviluppo tecnico della coltura delle terre occupate e l’impiego del lavoro dei contadini a condizioni di maggiore sodisfazione economica.
5°) Precisare il contenuto e i limiti di una eventuale «riforma agraria». È necessario che a questo si provveda, perché è principalmente per il fatto che ogni giorno si parla di «riforma agraria» che si ha la incertezza, e con questa la stasi di quanto dovrebbe servire alla ripresa della produzione agricola. L’onorevole Nenni ha detto che il 1947 dovrà essere l’anno della riforma agraria; se ne diano dunque le linee generali, ma non secondo il suo motto: politique d’abord, bensì col motto technique d’abord. L’onorevole Nenni, in un breve amichevole colloquio, ha approvato questa idea. Tale approvazione, il riconoscimento fatto dall’onorevole Bosi, della importanza che, nella nostra agricoltura, ha la classe dei grandi veri agricoltori, ossia della iniziativa privata in armonia con i fini sociali, l’attenzione benevola in questo momento della estrema sinistra, anzi di tutta l’Assemblea alle mie considerazioni, i discorsi pronunciati in vari congressi dall’onorevole Gullo, quando era Ministro di agricoltura, in risposta ai miei, tutto questo dimostra che siamo per fortuna usciti dalle enunciazioni vaghe, dal periodo delle frasi fatte a sensazione, dalla demagogia e che perciò si possa sperare che si voglia sul serio provvedere al risorgimento della nostra agricoltura. Soprattutto si definisca il principio dell’indennizzo per le cessioni di terre, corrispondente al reddito in relazione allo stato normalizzato della economia agraria. Più avanti illustrerò più ampiamente questi concetti; qui mi preme affermare subito che non si può lasciare il peso di questa incognita sull’agricoltura italiana, e dire che la riforma sarà compito della futura Camera, ma fino da oggi bisogna chiarire, sia pure in linea di massima, e dire quali dovranno esser certe direttive generali di questa riforma, che non può essere uguale per tutta l’Italia.
Purtroppo vi sono altre e non meno gravi incognite che giustificano la incertezza e da ciò la inazione. Fra queste incognite la principale è quella che dipende da problemi di carattere internazionale; quindi, almeno per quel tanto che si può, occorre essere precisi fin da ora. A me e ai tecnici, più che le formule vaghe, piacciono i programmi concreti: non ci preoccupano le proposte audaci; le studieremo e vedremo se e come convenga attuarle. In linea tecnica:
1°) Occorre assicurare le materie prime a prezzi relativamente stabili, o per lo meno adeguati ai prezzi dei prodotti agricoli.
È da fare in modo, per quanto è possibile, che le nostre fabbriche di fertilizzanti possano lavorare e lavorare tempestivamente. Oggi vi sono molte fabbriche quasi inattive, e potrebbe accadere che la deficienza di fertilizzanti facesse scendere di molto le produzioni unitarie di quanto è indispensabile per l’alimentazione.
2°) È da mantenere l’equilibrio dei prezzi dei prodotti razionati al livello medio, o almeno minimo dei prodotti liberi.
In linea politica generale:
1°) Occorre raggiungere l’assestamento monetario.
2°) È da studiare il problema fiscale agricolo, soprattutto tenendo presente che gli oneri non siano tali da produrre, come conseguenza inevitabile, il rialzo dei generi alimentari. Sarebbe perciò bene definire l’imposta sul patrimonio; precisare il gravame delle imposte; mettere limiti ben precisi agli interventi delle autorità comunali e provinciali circa gli oneri imposti agli agricoltori per la disoccupazione che si risolverà certamente con opere di bonifica e per l’assistenza (da regolare meglio, con piani sistematici fissati per legge); fare in modo che l’azione fiscale nei riguardi dell’agricoltura abbia un indirizzo unico organico.
Parlerò anche di questo problema più dettagliatamente: qui mi basta affermare che il problema fiscale io lo prendo particolarmente in considerazione per quella influenza che esso ha sulla soluzione dei problemi sociali dipendenti dall’agricoltura e particolarmente sul carovita.
3°) Da ultimo, occorre che nelle campagne siano assicurati il rispetto della libertà e delle leggi e la tutela di chi è adibito alla gestione delle aziende agricole; che cessi l’arbitrio e che i prefetti siano maggiormente compresi della necessità di non abusare del troppo spesso da loro invocato articolo 19.
Scusate se io approfitto della vostra cortese pazienza, ma è pure necessario, anzi doveroso, da parte mia che vi intrattenga più dettagliatamente su alcuni punti.
E vengo alla applicazione del lodo De Gasperi.
È ben noto come il lodo De Gasperi – certo contrariamente al pensiero di chi lo suggerì per la soluzione di problemi sorti nelle zone mezzadrili italiane, in seguito ai danni determinati dalla guerra ed ai disagi ad essa conseguenti – sia accusato di aver dato luogo, non alla auspicata pacificazione nelle campagne, ma, anzi, ad una ripresa di agitazioni e discussioni. Vi è chi lo accusa anche di aver fatto sorgere una agitazione viva in zone dove, si dice, regnava la massima tranquillità, e dove non erano affatto sensibili i danni di guerra.
Si deve pure lamentare, almeno da parte mia, che il nome del Presidente del Consiglio sia stato incautamente coinvolto in tale questione; e che spesso si attribuiscano a lui gli inconvenienti determinati dalla applicazione del lodo. Bisogna invece rendere omaggio alla buona intenzione del Presidente che, malgrado sia preoccupato da problemi interni ed internazionali, che non gli lasciano tempo, ha dato prova di essere animato dal desiderio di occuparsi anche di questa controversia. A questo riguardo io proporrei che i futuri provvedimenti che occorresse prendere, vadano sotto altra dizione; ad esempio quella di «Norme per la risoluzione delle controversie mezzadrili», o altra simile: dizione che parmi più appropriata al fine che si vuole raggiungere, ossia di emanare un provvedimento che, con opportune modifiche, in modo complesso e organico e tenendo conto delle varie situazioni, regoli questa delicata materia.
Le vicende del lodo sono note. Sorto dapprima come proposta di un premio ai coloni che maggiormente avessero sopportato danni per cause belliche, e che avessero effettuato (o contribuito ad effettuare) il salvataggio di scorte morte, di bestiame o di raccolti, contro le asportazioni e le razzie nemiche, si lamenta che si sia poi esteso a tutti i coloni, in ogni zona, e che lo si sia anche portato ad un limite finanziario che costituisce talora un esborso di peso grandissimo per molti proprietari, non assenteisti, né misoneisti o latifondisti inattivi, suscitando reazioni di varia natura, specie quando esso si è dimostrato, per una sua troppo ampia applicazione, una non dovuta concessione a gente che non aveva subìto danni di sorta e che nulla aveva fatto per salvare cose e raccolti. (Commenti).
Le accuse, in definitiva, che oggi in generale si muovono al lodo sono le seguenti:
- a) Esso non distingue le varie situazioni, e va quindi a vantaggio sia dei coloni danneggiati o che hanno salvato bestiame e macchine, sia di quelli che nulla hanno fatto. Anzi, essendo la misura del premio commisurata alla produzione lorda vendibile, si viene ad assicurare una somma maggiore a coloro che non hanno sofferto danni (e che perciò hanno avuto una maggiore produzione) e così i contadini non bisognosi, sia pure per ragioni contingenti, sono premiati più dei poveri.
- b) Si sottraggono ingenti somme – che potevano essere utilizzate per la ricostruzione – per darle alla categoria rurale che, forse, salve le debite eccezioni, ha oggi in Italia le minori necessità.
- c) Si dà modo alle organizzazioni dei lavoratori (e specie alla Federterra) di prelevare contributi notevoli (ad esempio cinque per cento a Grosseto, due settimi a Modena) delle somme realizzate col lodo, affermando che è stata la loro azione a determinare la concessione del premio ai coloni. (Commenti).
- d) L’applicazione del lodo è pretesto per intervento di commissioni di azienda extralegali, che spesso estromettono il proprietario e gestiscono per conto loro l’azienda, a tutto scapito del buon andamento dell’azienda e quindi della produzione.
Le proposte che si fanno sono le seguenti:
1°) Si crede, per quelle zone ove vi furono danni di guerra, innanzi tutto conveniente – per uscire dal presente stato di incertezza e di agitazione e per eliminare ogni possibile prolungamento della questione che ormai minaccia di divenire cronica e pericolosa per la produzione agraria di molti territori – che il lodo sia emanato sotto forma di legge. Ma è opportuno che tale legge sia congegnata in modo da rimediare, almeno, ai più gravi inconvenienti cui ha dato luogo l’applicazione del lodo.
2°) In relazione al progetto di legge, che è stato recentemente compilato, per l’applicazione del lodo, si osserva che quel progetto può essere notevolmente migliorato, dettando norme di condotta alle commissioni provinciali e regionali che il progetto presuppone, le quali norme diano a tali Commissioni possibilità di applicazione elastica.
Perciò, più che parlare di adattamenti «strettamente necessari» del lodo, che le Commissioni possono fare, sarà meglio dire semplicemente di adattamenti «necessari» o di adattamenti «opportuni» (art. 2 del progetto).
3°) Sarà opportuno che gli accordi liberamente intervenuti, su base individuale o su base collettiva, siano riconosciuti; e ciò allo scopo di non ritornare su accordi già fatti e di non far nascere artificiosamente l’agitazione dove essa non esiste. L’articolo 5 del progetto dà questa possibilità.
4°) Il progetto presuppone che le Commissioni stipulino accordi di carattere collettivo per provincia e per zone. Questo può essere pericoloso, in quanto impedisce alle Commissioni di prendere in esame le varie situazioni singole, che sono sempre assai diverse tra loro. Ed inoltre presuppone che le organizzazioni sindacali, rappresentate in dette Commissioni, abbiano la rappresentanza giuridica di tutti gli organizzati, il che oggi non è, in regime di libere organizzazioni.
D’altra parte, l’esame dei casi singoli, uno per uno, porterebbe ad una eccessiva lentezza di procedura, che solo in parte sarebbe ridotta dalle rilevate possibilità di accordi individuali. Si pensa, in definitiva, che la forma di giudizio individuale potrebbe essere la preferibile, ma che le Commissioni potrebbero operare, zona per zona, stabilendo alcune formule di soluzioni e di applicazione del lodo per casi tipici, salvo poi far rientrare i vari casi individuali in uno o nell’altro dei vari schemi di soluzioni.
I criteri cui dovrebbero attenersi le Commissioni per precisare questi casi tipici potrebbero essere: a) distinzione in base alla entità dei danni di guerra; b) distinzione in base all’azione svolta dai mezzadri per salvare il patrimonio zootecnico, le scorte o i raccolti; c) distinzione in base alle possibilità economiche dei proprietari e diverso trattamento dei grandi e dei piccoli.
A titolo di raccomandazione si penserebbe, infine, di invitare le organizzazioni degli agricoltori a studiare un sistema di conguaglio, tra coloro che hanno avuto danni e coloro che non li hanno avuti, in modo da ripartire anche il peso del lodo in misura diversa, tra concedenti che hanno subito i danni (e quindi, oltre questi, debbono pagare un premio più elevato al colono) e coloro che non hanno avuto danni, e che quindi dovrebbero poco sborsare, qualora fossero adottati i criteri detti sopra.
Il problema della assegnazione delle terre.
Onorevoli colleghi, i precedenti della questione sono noti nelle loro linee generali. Il decreto Segni a questa materia ha dato maggiore elasticità di applicazione, in confronto al precedente decreto Gullo. Quest’ultimo decreto era assai preciso nella elencazione delle norme, secondo le quali era possibile identificare in modo obbiettivo le circostanze che giustificavano l’assegnazione delle terre. Il decreto Segni, invece, nell’intento di favorire il più possibile la diffusione del sistema e di rendere più efficaci le disposizioni, dà più largo posto a valutazioni di carattere soggettivo che – male interpretate da organi non tecnici o non preparati – possono anche essere fonti di squilibri o di peggioramenti delle condizioni della produzione: il che certamente non è nello spirito del decreto e nella volontà del proponente.
I casi di erronea o dannosa interpretazione del decreto sono assai numerosi. Essi fanno seriamente pensare alla necessità di prendere ulteriori provvedimenti e di dare chiare direttive, non allo scopo di annullare l’efficacia e le disposizioni di detto decreto – che, opportunamente interpretato, può essere utile strumento di progresso agricolo e sociale – ma di eliminare i danni di una applicazione erronea, o troppo ispirata a preoccupazioni di carattere locale, o a pressioni delle organizzazioni interessate. Spero che l’onorevole Segni accetterà questa mia raccomandazione.
Si segnalano, ad esempio, casi di assegnazione a contadini (riuniti in associazioni improvvisate, di scarsa o talora anche nessuna consistenza)…
Una voce a sinistra. Questa è la conseguenza della manìa della piccola proprietà artificiale.
PALLASTRELLI. Onorevole collega, la piccola proprietà è economicamente utile e può essere socialmente necessaria dove c’è l’ambiente di elezione economica per essa. Dove è il luogo economico per la grande azienda a carattere industriale, non è la piccola proprietà che può risolvere problemi: ma le affittanze collettive possono trovarvi luogo. (Approvazioni).
Si segnalano, ripeto, casi di assegnazione di terre ottimamente coltivate e condotte secondo sistemi corrispondenti alle necessità economiche della zona. Si sono rilevati casi di assegnazioni di terreni regolarmente appoderati (Grosseto), il che ha necessariamente suscitato la reazione degli stessi coloni. Si sono rilevati casi di assurdi interventi dei prefetti (in base all’articolo 19) con assegnazione di terreni ottimamente coltivati. Si sono dati casi, assai frequenti, di cooperative di contadini che hanno ceduto in affitto a terzi le terre avute in concessione; esattamente come avrebbe fatto lo stesso proprietario. Questo non costituisce altro, in sostanza, che una funzione di intermediazione perfettamente inutile, ed un sistema che dà un vantaggio economico di speculazione, senza che si influisca in nessun modo sulla produzione agraria e senza che si provveda alla soluzione del problema sociale. (Commenti).
Occorre in questo campo sostanzialmente:
- a) precisare bene (mediante norme chiaramente espresse, che valgano ad interpretare i decreti nello spirito e ad impedire le arbitrarie applicazioni) quali sono caratteri delle terre che possono essere sottoposte a concessione ai contadini;
- b) stroncare con una attenta sorveglianza della gestione dei contadini, ogni movimento o tendenza alla speculazione (azioni di mera intermediazione; subaffitti; sfruttamenti del terreno);
- c) controllare tecnicamente la gestione, con applicazione severa delle norme che determinano la decadenza dai diritto di sfruttamento delle terre, qualora non siano assolti gli obblighi che il decreto presuppone;
- d) istituire un secondo giudizio di appello (circoscrizione regionale), contro i deliberati delle Commissioni provinciali e contro eventuali interpretazioni troppo estensive date dai prefetti alle disposizioni del decreto;
- e) compiere una rapida inchiesta nelle varie zone agrarie dove il decreto ha avuto applicazione, al fine di rilevarne, sia gli inconvenienti, sia le ripercussioni utili che esso abbia determinate.
A proposito di questo decreto, mi pare opportuno ricordare che, per i fini che esso vorrebbe proporre, non solo di carattere contingente, bisogna evitare da una parte che si instaurino sistemi che saranno domani di ostacolo a quei provvedimenti che si dovranno emanare per una vera riforma agraria, e dall’altra che si crei la convinzione che bastino questi provvedimenti senza tutto quel complesso di altre cose che si rendono necessarie (credito, cooperazione, ecc.) perché si ottengano fini sociali duraturi ed efficaci.
Qui verrebbe a giusto punto di parlare di qualche cosa d’altro, cioè delle conduzioni a compartecipazione, della mezzadria, delle affittanze collettive, e poi delle bonifiche del piano, del monte, della piccola proprietà, dell’azione dello Stato; ma sorvolo, già al riguardo ho detto in più occasioni il mio pensiero, e anche in un mio volumetto di recente pubblicazione.
Mi sia consentito di ripetere che occorre ugualmente riorganizzare il Ministero di agricoltura nei suoi organi centrali e periferici, e che al Ministero di agricoltura bisogna dare mezzi finanziari adeguati perché esso possa provvedere direttamente, oppure con il credito, a risolvere tutti i grandiosi problemi che potranno veramente far risorgere l’agricoltura e da cui dipendono le riforme sociali che si invocano. La terra deve certamente contribuire a provvedere alla sistemazione finanziaria dello Stato, ma alla terra devono pure convergere quegli aiuti che servono a mettere sempre più in efficienza questo grande complesso produttivo, avendo di mira che la distribuzione dia la sua giusta parte al lavoro, e che si vadano via via attuando quelle trasformazioni dei sistemi di conduzione che i nuovi tempi esigono.
Desidero anche, poiché sto parlando particolarmente di alcuni fra i più interessanti argomenti agricoli, fare un accenno alla situazione del mercato fondiario italiano.
La situazione del mercato fondiario italiano merita di essere attentamente considerata, anche perché molti movimenti sono ora al loro inizio, e potranno domani sfociare in una situazione di grave crisi e perturbamento, che potrebbe essere assai pericolosa per la produzione agraria nazionale.
Si ricorda che, dopo il periodo di rapida ascesa dei valori fondiari (che cominciò durante la guerra e toccò il culmine dopo la fine di essa), si manifestò un forte movimento al ribasso, determinato dalle agitazioni politiche e dalla situazione di scarsa sicurezza delle campagne. Tale ribasso ebbe le sue maggiori manifestazioni in Emilia ed in Romagna. Seguì un movimento di ripresa, ed ora si assiste ad una nuova tendenza alle svendite e ai ribassi, che si estende anche a zone mezzadrili che prima erano rimaste più tranquille.
Le preoccupazioni che si nutrono circa la portata e il contenuto della «riforma agraria»; le agitazioni coloniche; le incognite del nuovo patto di mezzadria; il peso degli imponibili di mano d’opera; la crescente pressione fiscale, ecc., determinano una situazione di agitazione del mercato fondiario, caratterizzato qua e là da tendenza alla rapida vendita. Tutto finora fa prevedere che, nel futuro, essa si possa accentuare notevolmente, e che quindi sia opportuno, sino da oggi, seguire la situazione e non lasciarsi poi sorprendere da essa quando gli eventi possono aver raggiunto una intensità che non permette di regolarli. (Approvazioni).
In molte zone italiane (Emilia, Toscana, Umbria, Veneto, Piemonte, particolarmente) si notano tendenze al passaggio rapido della terra nelle mani di contadini; all’investimento di capitali in imprese agrarie estere e anche transatlantiche (tendenza assai diffusa in Piemonte, Emilia, Veneto, ecc.) ed anche ad acquisti in zone dell’Italia meridionale. Si nota, anche, una tendenza a dividere i beni fondiari tra i vari componenti le famiglie, allo scopo di evitare o ridurre i pericoli di possibili riforme. Nessuna o poca attività è invece volta alle opere di miglioramento o di potenziamento produttivo delle aziende, anche in anni di relativa prosperità, come sono gli attuali. Questo, esclusivamente, per i dubbi che si hanno circa la sicurezza dell’impiego dei capitali.
È inoltre incipiente, e già visibile qua e là, una grande azione di speculazione sui beni fondiari. Si costituiscono gruppi privati o società, che hanno lo scopo di acquistare terre e di rivenderle a lotti a contadini. La speculazione può essere pericolosa, e determinare (alimentandosi ad agitazioni locali) passaggi di terra a categorie non selezionate o preparate; divisione della terra in spezzoni privi di organicità; quindi depressione della produzione in molte zone. Tutto questo contrasta con un sano indirizzo verso una riforma agraria, che, per la parte che dovrà determinare l’ascesa alla proprietà di categorie contadine, non dovrà certo far questo a tramite di azioni di speculazione privata e senza l’adozione di intelligenti criteri di scelta dei coloni. Si ricordano, del resto, dopo l’altra guerra, le gravi ripercussioni determinate dall’azione di gruppi speculatori (le «bande nere» della Toscana e dell’Emilia) e le analoghe, e ancor più gravi speculazioni scandalose, che ebbero luogo in molti paesi della Europa medio-orientale, con l’esecuzione di riforme agrarie frettolose e a sfondo demagogico. (Approvazioni).
Si ritiene che una «riforma agraria» in Italia debba avere applicazione. Ma è opportuno che essa segua le reali linee della nostra economia agraria, e che non sia avventatamente applicata. Soprattutto si chiede che siano escluse, e decisamente combattute, tutte le possibilità di speculazione in questo campo. Si è anche di avviso che, in parte del territorio italiano, la riforma dovrà portare ad un maggiore graduale sviluppo della piccola proprietà coltivatrice; ma che non è questa la sola strada che si può battere: in altri ambienti saranno convenienti altre diverse soluzioni e specialmente le affittanze collettive ben organizzate e ben assistite.
È qui necessaria una tempestiva azione statale, non volta ad impedire un movimento che è nella natura stessa delle cose e che costituisce l’aspirazione di gran parte delle masse rurali italiane, ma a regolare tale movimento ed impedirgli di prendere indirizzi erronei e estremamente pericolosi per la produzione agricola. Occorra, sovrattutto, evitare soluzioni drastiche generali, ed invece studiarle per ogni zona; in quanto le soluzioni di tali problemi dovranno necessariamente essere diverse da zona a zona e basarsi su tipi di impresa agraria del pari diversi, mantenendo anche i tipi esistenti, dove essi dimostrino di essere il migliore sistema di conduzione e quello che più si concilia con il pregresso agrario è con i fini sociali. (Vivi applausi).
Vari sono i mezzi che il Governo può mettere in atto per ottenere lo scopo detto.
Innanzi tutto, ripeto, è necessario che si arrivi presto, se non a formulare una legge vera e propria (che – come è stato detto – sarà compito della futura legislazione del regolare Parlamento), almeno a dare alcune linee direttive di quella che sarà la riforma agraria. Gli indugi e le eccessive – e spesso chimeriche – preoccupazioni, scoraggiano i buoni agricoltori, impediscono loro di migliorare le terre, di darsi ad opere di bonifica, di ricostruire la nostra agricoltura. Già è stato affermato dal Ministro responsabile che i bonificatori saranno esenti da provvedimenti di riforma agraria: ma si vorrebbe che tali dichiarazioni assumessero una forma più impegnativa e sicura. Si pensi, sempre, che grandi forze latenti sono inutilizzate per la attuale situazione di insicurezza e di panico che esiste nelle campagne.
Così dicasi per tanti altri provvedimenti di legge, rimasti sospesi e che determinano pure uno stato di incertezza e impediscono iniziative.
Per quel che riguarda le svendite di terra, un progetto di una certa efficacia potrebbe essere quello, già ventilato, di costituzione di un ente di carattere privato, ma con l’intervento finanziario ed il controllo statale, volto a regolare il mercato terriero e ad impedire le dannose sue depressioni di carattere psicologico. Il progetto contemplava l’istituzione di un ente apposito, costituito per circa il 40 per cento del suo capitale dall’intervento statale (I.R.I.) e per il 60 per cento da agricoltori proprietari, eventualmente sorretti dalle loro organizzazioni. L’ente dovrebbe avere l’esenzione dalle imposte per trapassi fondiari, costituirsi il suo patrimonio terriero con vendite da parte di agricoltori partecipanti, ratizzate in forme da stabilire, e procedere alla emissione di obbligazioni. Esso sarebbe vincolato per un periodo di 5 o 10 anni nella destinazione della terra. Potrebbe poi procedere a successiva cessione graduale della terra alle categorie più adatte: contadini, medi proprietari e eventualmente, cooperative di contadini. Dovrebbe sovrattutto curare di evitare gli errori della speculazioni privata, cedendo terra in forme organiche ed adatte ai tipi di impresa che si vogliono sviluppare, e non in base ad esclusivi criteri speculativi. Nel caso che il trapasso abbisognasse di opere di adattamento o trasformazione, esso potrebbe fruire dei vantaggi della legge sulla bonifica. L’Ente potrebbe anche provvedere alla costituzione preliminare di organizzazioni cooperative, sia per la trasformazione che per la vendita dei prodotti del suolo, sia, anche, per l’impiego cooperativo di mezzi di produzione (macchine, trattrici, ecc.); questo eliminerebbe gli aspetti negativi della piccola proprietà coltivatrice e – determinando forte remora ai fenomeni di speculazione – avvierebbe l’opera di riforma agraria sopra una strada che può essere la più feconda. Inoltre farebbe cessare i fenomeni di panico terriero e le svendite precipitose e, quindi, pericolose.
E veniamo a meglio precisare gli accenni fatti sulla politica tributaria in relazione alla agricoltura, e specialmente in confronto della piccola proprietà che si vorrebbe, non solo difendere, ma diffondere, e che corre il rischio, a causa del fisco, di essere distrutta e in confronto anche di quei sistemi di conduzione a carattere collettivo cooperativo che sono le più adatte, se ben preparate, per le grandi aziende a colture industrializzate.
Il quesito preliminare che si può porre, trattando della politica tributaria nei particolari riflessi dell’agricoltura, è quello di accertare se, fin qui, essa abbia corrisposto al sano indirizzo di salvaguardare l’avvenire della produzione e dei miglioramenti fondiari, quando è ben noto che sull’una e sugli altri si fondano le maggiori speranze per la ripresa economica e sociale del Paese.
Purtroppo al quesito non è lecito dare una risposta affermativa. Anzi, il susseguirsi di provvedimenti tributari non coordinati al fine esposto e prevalentemente ispirati da particolari ideologie politiche, hanno determinato una situazione che merita tutta l’attenzione del Governo.
Mi sembra necessario porre in rilievo che, di fronte all’unicità dei redditi dell’agricoltura, si siano costituite duplicità di tassazioni, come ne dà l’esempio più palese lo sganciamento della complementare dall’imposta di famiglia; quest’ultima accertata dai Comuni assai spesso con eccesso nei confronti dei portatori dei redditi fondiari, e particolarmente dei piccoli agricoltori.
Più in generale, di fronte alla difficoltà di raggiungere i redditi di altre attività che meno di quella agricola sono catalogate e note al fisco, e di colpire, soprattutto, le attività extra-legali, l’azione fiscale, si osserva da molti – si è esplicata più energicamente nei confronti della proprietà e redditi terrieri. Tanto che oggi si può affermare che già soltanto con i provvedimenti in atto, in questo settore, si ha un carico di imposta percentualmente superiore a quello di anteguerra. In effetto, il carico medio di imposta sul reddito effettivo attuale è del 26 per cento, contro il 21 per cento dell’anteguerra. Questa incidenza si esaspera tuttavia nella zona cerealicola, ove l’incidenza tributaria sul reddito effettivo supera talvolta il 40 per cento.
Si dovrebbe perciò seriamente riflettere sull’opportunità e i modi di gravare ulteriormente tali redditi. Senonché, oltre all’enorme incremento dei contributi unificati in agricoltura (che dai miliardi 2,5 nel 1945 e dai miliardi 6,8 del 1946, raggiungeranno in quest’anno almeno16 miliardi) si annunziano due altri provvedimenti. L’uno inteso ad una ulteriore maggiorazione degli estimi su cui incidono l’imposta e le sovraimposte fondiarie, l’altro che si intitola a provvidenze a favore delle Provincie e dei Comuni, provvidenze che in definitiva comportano inasprimenti di tributi locali per un complesso di 28 miliardi, dei quali circa 24 a carico della proprietà, impresa e consumo agricoli.
Se tali provvedimenti dovessero avere corso, il maggior gravame a carico dell’agricoltura, rispetto al 1946, è stato calcolato intorno ai 55 miliardi.
Quali le conseguenze?
Ve ne è una che giudico preminente ed essenziale in questo momento, in cui gli sforzi dei Governo debbono tendere a contenere il costo della vita, elemento fondamentale della pace sociale. (Applausi).
Sarebbe puerile nascondersi che il maggior carico tributario non si trasferisca automaticamente sul costo dei prodotti agricoli, tanto quelli che resteranno bloccati a prezzi che non potranno distanziarsi da quelli economici, quanto, e maggiormente, sui prezzi dei prodotti liberi.
I provvedimenti che si volessero escogitare per contenere i prezzi non farebbero, come la dura esperienza insegna, che deviare i prodotti verso il mercato nero.
Bisogna perciò assolutamente evitare questa politica anti-alimentare, quando oggi la massima preoccupazione di tutti gli italiani è proprio quella di nutrirsi, e con questo non si intende affatto di cercare, di trovare un motivo per la difesa, contro il fisco, della terra che pure deve contribuire a rimettere in sesto la finanza statale. (Approvazioni).
Altra conseguenza, ma meno grave, può dedursi riflettendo che la nostra politica agricola deve rivolgersi ad incrementare la produzione, per contribuire a sanare il deficit della bilancia commerciale, da un lato, e indirizzarsi dall’altro a rendere attuabili quelle trasformazioni fondiarie che si rendono indispensabili per adeguarci ai riflessi dell’apertura degli scambi internazionali e per redimere poi ancora zone estese del nostro territorio.
Con quali mezzi fronteggiare questi compiti, se la pressione fiscale assorbirà i necessari margini di risparmio?
Non posso tacere, a questo riguardo, l’inqualificabile sistema di applicazione agricola della legge sui profitti di guerra. Vi è una agitazione fra gli agricoltori di molte provincie, per il modo di applicazione indiscriminata, per cui si vuol tassare anche l’illecito, creando tabelle di fantastiche rese unitarie di ogni prodotto, soggetto o non soggetto all’ammasso, e considerando profitto eccezionale di speculazione quello che non è altro che l’apparente espressione di una diversa misura monetaria, falsando così le finalità e l’intendimento del legislatore e tentando di mettere in essere il più palese arbitrio giuridico e morale.
Se fossero assorbiti in tal modo i margini di risparmio che si erano contenuti quando la pressione fiscale non era ancora adeguata alla nuova realtà economica, impossibili a costituirsi nuovi risparmi dai carichi incombenti, il programma delle opere indispensabili al nostro avvenire agricolo si presenterebbe quanto mai incerto.
Sarà perciò nella saggezza del Governo di rivedere, con indirizzo unitario e lungimirante, la posizione contributiva del settore agricolo, ed orientarla in guisa da ridare fiducia nell’ambiente rurale, che dovrà anche, fra breve, fronteggiare l’onere dell’imposta patrimoniale, per la quale mi auguro si abbandoneranno i fini espropriativi che erano alla base dello schema predisposto. (Approvazioni).
Si tenga anche conto dei difficili periodi a cui andremo incontro per i nuovi orientamenti che all’agricoltura italiana dovranno darsi, in base, come già accennato, alle esigenze degli scambi mondiali. Insomma, con quanto ho esposto non si vuole affatto favorire una categoria di contribuenti, perché tutti vanno colpiti; ma l’onere deve essere tale da non isterilire la fonte, e tale ancora, si ripete, da non determinare una probabile stasi nei miglioramenti che richiedono forti investimenti stabili di risparmio. (Applausi).
Ed ora, prima di chiudere, mi si consenta di dire brevi parole su quanto ha annunciato il Capo del Governo, circa alcune iniziative per la irrigazione. Non mi fraintendano i colleghi delle province direttamente interessate.
Parlo, non per ostacolare queste iniziative, ma perché tali iniziative non diano origine a illusioni alle quali non tarderebbero a seguire delusioni gravissime e sperpero di denaro senza alcun risultato.
Io ho una esperienza in materia di irrigazione, perché la mia provincia ha condotto a termine opere grandiose. Già esistevano in quella provincia organismi riguardanti la utilizzazione delle acque, consorzi di derivazione di acque dai principali torrenti, pozzi per il sollevamento delle acque del sottosuolo, piccoli serbatoi a corona nella zona collinare. Da ultimo si costrussero due grandi serbatoi, quello della Val Tidone e quello della Val d’Arda. Ma quanti studi preliminari durati lunghi anni! quale cura nel progettare, in base a profonde ricerche geologiche! quanta cura nel vedere se questi serbatoi avrebbero potuto correre il pericolo di interramenti! quanta attenzione nel vedere che vi potessero essere salti adatti a produrre energia elettrica! Ma di tutto questo basta un accenno. Vi dirò invece che queste opere avevano già pronto – cosa che non si improvvisa – tutto un vasto territorio preparato a ricevere e ad utilizzare quest’acqua, e una esperienza di tecnica irrigatoria che solo col tempo si può ottenere.
Scusate questi brevi accenni ed eccomi ai casi particolari.
L’irrigazione in Puglia ha un duplice aspetto tecnico: una irrigazione oasistica, mediante acqua del sottosuolo, ed una grande irrigazione, anche mediante serbatoi progettati finora con progetti di massima. Ma la visione tecnica va integrata, necessariamente, con altri due concetti, dei quali comunemente si parla troppo poco: in primo luogo, se si tratti di terre agronomicamente e agricolamente preparate o no ad essere irrigate: in secondo luogo, il costo delle acque irrigue. Infatti l’irrigazione generalmente rappresenta il coronamento di un progresso agricolo, e non è lecito sperare che questo progresso, diremo, preparatorio si possa realizzare in ogni caso in poco tempo. D’altra parte il costo, a cui l’acqua irrigua può essere ceduta alle aziende agrarie, influisce decisamente sull’uso agrario di essa, ed anzi coltivazioni diverse consentono costi-limite diversi in ambienti agrari diversi.
Mentre naturalmente non si perdono di vista le grandi irrigazioni, e mentre deve spronarsi il progresso che deve portare molte terre ad essere preparate per la irrigazione, sembra pratico dare sviluppo, il più possibile immediato, alle piccole irrigazioni, per le quali in Puglia vi hanno notoriamente plaghe provviste di acque del sottosuolo e (come lungo il litorale) plaghe provviste di piccole sorgenti. Di queste piccole o oasistiche irrigazioni vi hanno già in Puglia esempi egregi.
Quanto alle grandi irrigazioni mercé bacini, non da oggi ma da assai tempo è stato rilevato che i progetti sono puramente di massima, e perciò richiedono di essere studiati ulteriormente per poter divenire progetti esecutivi. Perché deve anche e specialmente essere assodato con certezza lo studio geologico, per esser sicuri da un lato della costruzione delle dighe, e da altro lato di evitare un interramento eccessivo. In particolare è stato elevato il dubbio che, data la costituzione geologica e agraria, per esempio, del bacino del Fortore, possa essere facile un eccessivo interramento del serbatoio che ivi si costruisse; e ciò porta all’opportunità di uno studio specifico, allorché si debba passare al progetto definitivo.
Chiarito che comunque non si tratta di progettazioni in genere che non abbiano bisogno di ulteriori studi, si vede come è illusorio contare – oggi – su consimili opere per i loro effetti utili per la occupazione operaia, e quindi contro la disoccupazione che funesta la Puglia. Queste opere, una volta giunte alla loro esecuzione, hanno un costo in cui molto contano i materiali e relativamente poco la mano d’opera; la quale più precisamente vi è richiesta per notevole parte specializzata e per modesta parte non qualificata, come è in genere quella a cui occorre venire incontro in fatto di disoccupazione. Insomma non è sotto il profilo della disoccupazione che in prevalente e immediato modo queste opere debbano essere considerate; né il loro stato tecnico di progettazione è tale che da un momento all’altro, appena provveduto ai finanziamenti, esse possano essere poste in esecuzione.
Ciò che il Ministero di agricoltura (che ha un consesso tecnico consultivo a ciò specializzato) deve fare utilmente al più presto, si è di fare il piano, graduato tecnicamente, delle opere di irrigazione in Puglia e Lucania, tenendo anche presenti le condizioni tecniche dell’agricoltura nei vari luoghi irrigandi e i costi dell’irrigazione in essi. È un delicato compito, che esso saprà bene assolvere, e che porrà in grado di giudicare al disopra di tendenze localistiche o di interessi privatistici. Naturalmente il piano deve essere di piccola e di grande irrigazione, sotto ogni profilo tecnicamente possibile; ma la duplice coordinazione con lo stato agricolo delle varie zone e con i costi delle acque, renderà questo piano serio ed efficace. I dissensi locali, che si sanno complessi e agitati, si dovranno comporre di fronte a motivate considerazioni tecniche di utilità generale.
La Commissione legislativa della Costituente ha da poco approvato uno schema di decreto per l’istituzione dell’ente per la irrigazione in Puglia e Lucania. Anche su ciò localmente vi fu divergenza di idee.
Tecnicamente, va appena ricordato che la irrigazione non è che una forma di trasformazione fondiaria. Ora, per la legge generale, i comprensori di bonifica e trasformazione fondiaria hanno già i loro consorzi in Puglia; e la legge stessa prevede, allorché si tratti di coordinare l’opera di più consorzi, il consorzio «di secondo grado». Certo, in confronto a questo, un ente speciale è più costoso; ma ha anche il difetto di essere più lontano dagli agricoltori interessati alla trasformazione.
Nello schema, l’ente appare una cosa grandiosa; ma logicamente, in confronto alla legislazione generale, l’articolo 2 lo svuota di assai, stabilendo che nei comprensori di bonifica, ove esistano i consorzi, questi provvedono allo studio e all’esecuzione delle opere: ciò era indispensabile per l’unità del piano di bonifica, se no consorzi ed ente, potevano andare per strade diverse: ma prova la parziale superfluità dell’ente, ove, come in Puglia, già funzioni l’organizzazione consortile.
Comunque, nella ipotesi che il detto ente si costituisca secondo il modo previsto nello schema, bisogna almeno che esso funzioni per un primo periodo non breve, soprattutto come ente di studio e di ricerca per la irrigazione nelle due Regioni: cioè deve dar luogo allo studio definitivo ed esecutivo, contemporaneamente, di progetti immediati di piccole irrigazioni e di grandi progetti che non possono non richiedere lunghi tempi per loro definitivo allestimento: deve in specie regolarsi in quanto tali grandi progetti insistano su terre più o meno pronte all’irrigazione, ed invece su terre che richiedono lunghi o lunghissimi periodi di progresso dell’agricoltura, prima di richiedere l’irrigazione (non deve accadere come nel Tirso, dove il grandissimo serbatoio, oltre alla azienda bonificata d’Alborea, irriga solo qualche decina di ettari, e l’acqua che ha servito alla produzione di energia elettrica defluisce pur inutilmente a mare!): deve provvedere alla sperimentazione pratica dei modi più razionali di irrigazione (già aveva cominciato a sperimentare un Ufficio speciale dell’Acquedotto pugliese) ed anche alla necessaria sperimentazione tecnico-scientifica ed economica: deve provvedere alla formazione di maestranze specializzate per l’irrigazione e via dicendo. Questi sono i primi e fondamentali compiti, pei quali sarebbe inutile una organizzazione burocratica più o meno rigonfia, ed occorrono ottimi tecnici specialisti. (Applausi).
Ma intanto che tutto ciò si prepara, non si perda tempo a dare incremento alla irrigazione oasistica, che è senza incertezze dove la terra è pronta a riceverla, e che è di immediato rendimento per l’economia pubblica e merita perciò la precedenza. (Approvazioni).
PASTORE RAFFAELE; Sì, sì, per evitare che, mentre il medico studia, l’ammalato muoia.
PALLASTRELLI. Ciò che ho detto per la Puglia, potrebbe ripetersi, come ho accennato, per la Sardegna e anche per la Calabria e per tutte le regioni, specialmente per quelle più in arretrato.
L’amico Segni e i colleghi sardi sanno meglio di me quanto sia meravigliosa la opera costituente il serbatoio del Tirso; ma sanno anche, ripeto, che oggi ancora scorre molta acqua di quel bacino inutilizzata per l’agricoltura; e certo meglio di me sanno che le nuove opere irrigue, che si intendono fare dovrebbero avere di pari passo preparati, sia materialmente che tecnicamente, i terreni da irrigare. Ma questi terreni non possono essere quelli di certe zone destinati ai pastori; devono essere terreni dove le acque captate, disciplinate e convogliate su di essi, razionalmente sistemati e coltivati, potranno apportare un vero utile alla produzione.
Si agisca quindi in questo campo, ma si agisca con tecnicismo, perché tutto non si riduca a sperperi di danaro e a creare grandiose organizzazioni di una inutile burocrazia.
Una voce. Ha ragione, bisogna non sperperare i fondi; bisogna, oltre all’irrigazione, provvedere a che i contadini possano vivere nelle campagne.
PALLASTRELLI. Ho finito. Scusate se ho abusato della vostra pazienza, e anche se mi sono limitato ad esporre il mio pensiero, su argomenti tanto importanti, in modo incompleto. Ben altro avrei dovuto dire per trattare tutto esaurientemente.
Unico scopo che mi ha guidato è quello di collaborare al risorgimento agricolo del nostro Paese; unico desiderio quello di incrementare la produzione, di avviare ad una razionale soluzione i problemi sociali e perciò di giovare in modo particolare ai lavoratori della terra, in mezzo ai quali ho vissuto e operato conquistandomi la loro fiducia. Come spero, per il disturbo che vi ho arrecato, di avere il vostro perdono e particolarmente quello del Presidente De Gasperi e dell’amico Segni, che vedranno se in quanto ho esposto vi sia qualche cosa di utile da tener presente per la loro difficile azione di Governo. (Vivi applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Caronia.
«L’Assemblea Costituente,
sentite le dichiarazioni del Governo nei riguardi della scuola,
considerato che il problema dell’alta cultura, il quale si identifica con il problema universitario, rientra tra i più urgenti e vitali per la ripresa non solo morale, ma anche materiale della Nazione,
fa voti perché siano presi gli opportuni provvedimenti per potenziare in modo adeguato e sollecito gli istituti universitari».
L’onorevole Caronia ha facoltà di svolgerlo.
CARONIA. Onorevoli colleghi, il mio ordine del giorno non ha bisogno di lunghe illustrazioni. Altri già in quest’aula ha ripetutamente ed opportunamente trattato dell’argomento. Lo stesso Presidente del Consiglio ha dedicato alla questione parole acconce ed ha dimostrato di avere a cuore la sua soluzione. A completamento di quanto è stato detto mi limito ad alcuni rilievi.
Contrariamente all’opinione pubblica, che sotto l’assillo di pressanti necessità materiali lo ha relegato in seconda fila, il problema dell’alta cultura è di primissima importanza, senza con questo volere esagerare. Quando un ciclone ha tutto travolto e distrutto, la prima preoccupazione è quella di vivere, è quella cioè del pane e del ricovero. Questo si è fatto anche da noi, uomini di studio, che non ultimi siamo stati al pronto soccorso, cercando nello stesso tempo di salvare quanto era salvabile dell’edificio della nostra cultura.
Ma, passato il vero momento di emergenza, diventa primo dovere quello di preoccuparsi della cultura, che rappresenta il mezzo più importante per la ricostruzione materiale e morale del Paese. Non si rimproveri quindi a noi, uomini di scienza, di non avere agitato prima il problema, o meglio, di non averlo agitato con eccessivo calore. È stato il nostro senso di pietà per le miserie della Patria che per un momento ci ha fatto trascurare la scuola per correre dove maggiore era il bisogno. Ora che l’avviamento verso la ripresa è evidente, la nostra voce si farà sentire alta e forte e la ricostituzione dei nostri valori culturali ci avrà difensori e lavoratori infaticabili.
Se l’ingiustizia degli uomini e la fatalità degli eventi infiniti danni hanno apportato all’Italia, non hanno potuto toglierle le sue naturali bellezze, il suo patrimonio spirituale, l’intelligenza dei suoi figli. Su questi elementi bisogna ricostruire. Occorre quindi sostituire una coscienza universitaria alla passione militarista, il senso universale della scienza ai sogni imperiali, occorre insomma sostituire alle caserme le scuole, al fragore delle armi la serena armonia degli studi.
Purtroppo non siamo ancora su questa via, come ci dimostra il linguaggio arido delle cifre dei bilanci dei nostri massimi istituti culturali. Esemplifico con quelli della Università di Roma, che pur passa per essere tra le più ricche e che è certo la più popolosa.
Nel bilancio del 1924-25, su circa 9 milioni di entrate, io Stato contribuiva per circa 4 milioni, cioè per il 47 per cento. Nel bilancio 1938-39, su di una entrata di 33 milioni, lo Stato figura per circa 5 milioni, con una percentuale di circa il 10 per cento. Nel bilancio 1946-47, su di un’entrata complessiva prevista di circa 720 milioni, lo Stato contribuisce con circa 24 milioni, cioè con poco più del 3 per cento!
Di fronte a questo bilancio delle entrate, ecco quanto si è verificato nelle uscite. Le spese sono aumentate di 60 volte e più, specialmente per quanto riguarda il materiale scientifico (apparecchi, prodotti chimici, pubblicazioni, ecc; un microscopio che costava circa lire 3.000 oggi costa dalle 80.000 alle 120.000 lire). Le spese generali sono enormemente aumentate ed alcuni servizi si son dovuti sopprimere. Per esempio, si è speso per il riscaldamento di tutti gli edifici nel 1938-39 la somma di lire 1.850.000; oggi non si parla più di riscaldamento e soltanto per riscaldare un numero limitato di locali delle cliniche si sono spesi 24.000.000! Nel campo del personale la sproporzione è ancora più grande.
Nel 1939, con una popolazione scolastica di circa 18.000 studenti, si disponeva di 356 assistenti e 96 tecnici, di una unità cioè per circa 40 studenti; oggi, con una popolazione di circa 40.000 studenti, si dispone dello stesso numero di assistenti e tecnici, cioè di una unità per ogni 90 studenti. La stessa sproporzione esiste tra le varie categorie del personale e la popolazione studentesca.
Conseguenza di tutto questo è il languire della ricerca scientifica, che, se non è del tutto spenta, lo si deve all’intelligenza ed alla tenacia dei nostri studiosi.
Si son fatti sforzi considerevoli per la ricostruzione degli istituti danneggiati da azioni belliche, che sono oggi quasi del tutto ricostruiti, ma poco si è potuto fare sinora per l’attrezzatura scientifica. Qualche tempo fa il Ministero ha avuto dal Tesoro 500 milioni per tutte le Università, ma se si pensa che la sola Università di Roma a tutto il dicembre scorso aveva 360 milioni di crediti verso lo Stato, i 500 milioni rappresentano una goccia d’acqua nel deserto.
Il Ministro Gonella, che, ad onor del vero, molto ha fatto e si ripromette di fare mostrando tutta la sua comprensione per i bisogni dell’alta cultura, ha comunicato di aver richiesto oggi 3 miliardi per la ricerca scientifica. Sono pochi, ma se saranno concessi e devoluti alla ricerca scientifica, e non già ad estinguere i debiti, qualche cosa si potrà fare.
Ci auguriamo che il Ministro del tesoro non deluda le speranze delle Università ed accolga la modesta richiesta del nostro Ministro Gonella.
Potremo così ancora tenere accesa la maggiore gloria nostra che è quella di artisti, di ricercatori, di maestri del sapere.
L’Italia, nell’oscurità del medio-evo, illuminò il mondo con le sue Università; le Università ridaranno all’Italia la sua vera gloria e nuova luce agli uomini accecati dall’odio e dalla disperazione.
Mi dispiace ora dover dire cosa sgradita a qualcuno, ma non vi è dubbio che la ricerca scientifica in Italia – per tradizione e forse anche per la nostra scarsezza di mezzi – si compie e si può compiere solo nelle Università. I risultati del Consiglio delle ricerche non sono che ben poca cosa. L’esserci orientati verso criteri adottati da Paesi di diversa tradizione e con dovizia di mezzi ha ben poco giovato alla ricerca.
Questa dura verità è meglio dirla, se non vogliamo deludere l’aspettativa della Nazione. Il Consiglio delle ricerche – soprattutto dopo l’ultimo decreto del 1° marzo 1945 – si è rivelato non un potenziatore dello nostre capacità scientifiche, ma un elemento di dispersione.
Meglio sarebbe che il Consiglio delle ricerche rientrasse nel suo naturale alveo, nell’ambito cioè del Ministero della pubblica istruzione, per il necessario controllo e la opportuna coordinazione con gli Istituti superiori di cultura. Adempirebbe sicuramente meglio le sue funzioni di stimolo e aiuto alla ricerca, senza dispersione di mezzi, di cui purtroppo non abbonda il nostro Paese.
Vorrei ora accennare alle fonti di aiuto che dovrebbero affluire agli Istituti di alta cultura da parte di Enti e Società produttrici. Oggi molti Enti industriali hanno propri laboratori di ricerca bene attrezzati e attirano, per il miglior trattamento, i nostri migliori studiosi. Se invece questi Enti riversassero gli aiuti ai nostri centri di studio, utilizzandone l’opera, grande aiuto verrebbe ai nostri studiosi e grande vantaggio all’industria privata. Ma per brevità sorvolo su quest’argomento che meriterebbe più attento esame.
In attesa di una migliore coordinazione di quanto esiste, in attesa che una vera coscienza universitaria si formi nel Paese, gli aiuti principali noi oggi dobbiamo attenderli dal Governo. Le parole dell’onorevole De Gasperi in proposito ci confortano e ci fanno bene sperare, l’amore della cultura del Ministro Gonella ci danno sicura garanzia che sarà fatto tutto quanto, fra le difficoltà del momento, sarà possibile fare per le nostre Università. Ogni contributo ad esse dato potrà essere ricuperato con alto interesse per il potenziamento dell’industria e dell’agricoltura, per il miglioramento delle capacità produttive del singolo individuo, meglio assistito ed istruito.
Ripeto, fra tante distruzioni, una sola vera ricchezza resta all’Italia, il suo patrimonio spirituale. Un grande pensatore, il Mauriac, di recente, dinanzi allo spettacolo del nostro Paese prostrato, ma non domo, così si esprimeva:
«L’Italia imperiale non è più. Resta all’Italia di ricordare quello che essa fu e che ridiventerà: la prima educatrice d’Europa, il luogo del mondo dove di generazione in generazione i più alti spiriti e le anime più sante si son ritemprate e si ritempreranno». (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Uberti:
«L’Assemblea Costituente,
considerate le difficoltà di realizzazione del piano predisposto per la ricostruzione e per la lotta contro la disoccupazione,
considerato il pericolo che nel bilancio straordinario – istituito in contrasto col principio dell’unicità del bilancio – si inseriscano spese continuative non afferenti alla ricostruzione,
considerata l’insidia di oneri che derivano allo Stato da enti che sfuggono al controllo parlamentare,
ritenuto che l’equilibrio fra mezzi realmente disponibili (tributari e creditizi) e programma di spesa è indispensabile così ai fini della stabilità della moneta, che a quelli di una organica ricostruzione,
confida che il Governo vorrà al più presto informare l’Assemblea con una documentata esposizione finanziaria, che permetta una esatta valutazione della situazione».
L’onorevole Uberti ha facoltà di svolgerlo.
UBERTI. Rinunzio a svolgere l’ordine del giorno; ma lo mantengo, perché mi sembra che, a due anni e oltre dalla liberazione, una esposizione finanziaria documentata sia ormai improrogabile per avere dati di giudizio oggettivi, di fronte alla delicatezza della situazione e alle contrastanti soggettive opinioni che rendono assolutamente incerta l’Assemblea nel giudizio sulle decisioni possibili da prendere.
Pertanto confido che il Governo vorrà al più presto fare davanti all’Assemblea una esposizione completa di tutta la situazione finanziaria.
PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Mastino Pietro, firmato anche dagli onorevoli Lussu, Corsi, Mastino Gesumino, Falchi, Chieffi, Abozzi, Mannironi, Murgia:
«L’Assemblea Costituente, convinta che solo una politica d’assoluta giustizia fra le varie Regioni giovi all’unità della Nazione, invita il Governo ad inspirarsi a tale principio anche nei confronti della Sardegna».
L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di svolgerlo.
MASTINO PIETRO. Onorevoli colleghi, io credo che l’invito rivolto col mio ordine del giorno al Governo per una politica di giustizia fra le varie Regioni, come base per l’unità nazionale, debba essere accolto con piacere da tutti i rappresentanti di questa Assemblea, ma soprattutto da quanti espressero delle preoccupazioni per la possibilità che i movimenti autonomistici non giovino all’unità nazionale.
Noi sardi veniamo spesso qualificati queruli, ma ritengo che la protesta cui procedo in questo momento, nell’interesse della mia Regione, sia una protesta fondata su ragioni di giustizia e che non dipenda affatto da tale nostra pretesa caratteristica.
Già davanti a questa Assemblea, giorni or sono, nel discutere una interrogazione sui provvedimenti che il Governo intende adottare per combattere a Roma il mercato nero, ho svolto un ordine di idee diretto soprattutto a ristabilire, anche in questo campo, un criterio di giustizia fra le Regioni, e rammentai allora come ciò che pubblicamente in Roma si verifica e si consuma, in Sardegna rappresenti un reato, e chi, ad esempio, nell’isola deve applicare la legge, cioè il Magistrato, qui in Roma si può sentire, eventualmente, autorizzato a trasgredirla. Nel parlare della politica del Governo nei confronti della Sardegna, io devo rilevare un sistematico trattamento di ingiustizia. Questo non è il luogo né il tempo per parlare di dazi doganali, né dei lavori dati a regìa (sistema sconosciuto nella nostra Regione, ma per i quali il denaro è dato anche dai nostri contribuenti), ma mi riferisco a provvedimenti concreti che nei confronti della mia Regione vengono adottati con difficoltà, mentre sono stati di già adottati nei confronti di altri centri.
Intendo come sarebbe ingiusto e addirittura inopportuno indicare le Regioni che hanno già avuto, onorevoli colleghi, provvidenze a base di centinaia di milioni e, recentemente, anche di molti miliardi, ma domando: perché, nei confronti dell’isola, il progetto che già è stato preparato dall’onorevole Segni (progetto che ripete le linee direttive contenute in quello analogo già approvato per le Puglie), e secondo il quale si dovrebbe procedere allo stanziamento di somme opportune e necessarie per opere pubbliche di bonifiche, per sistemazioni idrauliche, per sussidi ad opere private di miglioramento fondiario, trova difficoltà ad essere approvato?
A un certo punto parve che una nuova era sorgesse per l’isola, cioè un periodo di maggiore giustizia. Nel dicembre del 1944 fu emanato il decreto istitutivo dell’Alto Commissariato, ed in quel decreto fu previsto lo stanziamento di un miliardo per opere pubbliche in Sardegna. Pareva allora che quel miliardo dovesse rappresentare una somma non troppo sproporzionata alle necessità ed alle esigenze dell’isola, ma in pratica la cifra si dimostrò di troppo inferiore ai bisogni. D’altra parte troppe altre città, per ragioni di disoccupazione, o per altri motivi rappresentati dalla ritenuta necessità di interventi e di concorsi straordinari, hanno avuto delle provvidenze concrete e finanziariamente ingenti, mentre la Sardegna finora non ha avuto quasi nulla.
Avrei voluto presentarvi un quadro dimostrativo delle verità che sto affermando basato soprattutto su cifre, e per questo sono stato al Ministero dei lavori pubblici, ma vanamente ho tentato di avere dei dati; la mia fatica è stata inutile. Perché in questo campo che, a mio avviso, dovrebbe essere un campo di possibile doveroso esame e controllo da parte di ciascuno di noi; in questo campo, cioè in quello dei lavori pubblici, in cui, in certo senso, si concretano i sacrifizî finanziari nei riguardi delle varie Regioni ed in cui, quindi, dovrebbero essere possibili le libere critiche e le approvazioni, tutto è, invece, mantenuto gelosamente segreto e mi sono sentito rispondere che non è possibile avere le notizie che richiedevo. Ho dovuto, quindi, ricorrere all’esame del bilancio dello Stato, ed in base all’esame dei dati di questo bilancio, constatare l’insufficienza e l’ingiustizia di trattamento che nei confronti delle altre Regioni italiane viene fatto all’isola di Sardegna.
Dirò a questo proposito che noi abbiamo, sì, un provveditorato alle opere pubbliche, ma che manca dei fondi necessari. Ultimamente il Ministro Romita aveva comunicato che per la Sardegna sarebbero stati predisposti fondi sufficienti, ma come fosse necessario che enti, Comuni, autorità intervenissero e provvedessero alla tempestiva preparazione dei progetti.
L’Alto Commissario ed il Provveditore alle opere pubbliche visitarono le tre province, con l’intendimento di spronare gli enti alla preparazione dei progetti. Già da allora io temevo si potesse verificare un’amarissima delusione, e di fatti, a quelle prime adunanze, altre ne succedettero, dirette non più a sollecitare gli enti alla preparazione dei progetti, ma a significare, fra le righe, come i progetti già preparati non potessero più avere attuazione per mancanza di fondi. Si arrivò allora alla decisione che sarebbero state eseguite le opere che avessero presentato carattere di maggior urgenza. Sovente però le opere che presentano questo carattere figurano nell’elenco delle opere che devono assolutamente eseguirsi, ma l’esecuzione rimane sulla carta, poiché, soprattutto i Comuni minori, sono nell’impossibilità di sostenere convenientemente e vittoriosamente la gara con i maggiori. Tutto ciò non dovrebbe verificarsi. Il provveditore alle Opere pubbliche dovrebbe, a mio avviso, dipendere meno da Roma, dal Ministero dei lavori pubblici, ed essere invece più legato agli enti locali. Non dico con ciò che esso, nella propria attività, debba sottrarsi ai principî direttivi, dati dal Ministero, che anzi deve ricevere da esso l’indirizzo generale; ma che tutto quanto riguarda la sistemazione pratica, l’adattamento all’ambiente, deve rientrare nell’opera che il Provveditore alle opere pubbliche per la Sardegna, d’accordo, con la Consulta regionale, deve svolgere in modo autonomo. Sarebbe anche bene venisse largamente applicata una disposizione, già contenuta in una legge, secondo la quale, l’esecuzione dei lavori pubblici locali debba essere condotta dagli enti locali, sotto l’alta vigilanza del Provveditorato.
Onorevoli colleghi, credo di avere, in modo sintetico, accennato alle ragioni che hanno condotto me e gli altri colleghi della Sardegna, a nome dei quali anche vi parlo, a protestare contro un trattamento che non è di giustizia nei confronti della Sardegna. Ho messo in evidenza, soprattutto, quell’insieme di rilievi che si riferisce alle provvidenze poste in essere dallo Stato verso l’Isola; ma v’è anche un’altra parte della questione che deve essere esaminata. Io penso che, quando si parla di ricchezza e di povertà, questa affermazione e questo riferimento non debbano farsi soltanto nei confronti delle persone, ma anche nei confronti delle Regioni. E credo di essere nel vero, quando affermo che la Sardegna sia senza dubbio da porre fra le Regioni povere. Essa non ha subìto, è vero, per effetto della guerra, danni così gravi come altre Regioni d’Italia. Delle città quella maggiormente bombardata e semidistrutta è Cagliari, che, però, risorge dalle macerie, pulsa già nuovamente di vita febbrile per commerci e per industrie che tentano di riprendere il passo nell’interesse dell’isola e della economia nazionale.
Tutto questo la città di Cagliari ha potuto fare non per aiuti forniti dal Governo, sempre incerto sulla linea da adottare in materia di risarcimento dei danni di guerra, bensì per l’attività veramente lodevole e per lo spirito di iniziativa veramente encomiabile dei propri abitanti.
La Sardegna, dicevo, non ha avuto grandissimi danni di guerra; ma le perdite non devono essere vedute soltanto nelle distruzioni per bombardamenti ed in quella che può essere stata azione diretta di guerra. L’economia dell’Isola dovette provvedere durante l’ultimo periodo della guerra all’alimentazione ed al sostentamento di molti eserciti che vi si accampavano, ed il formaggio fu, allora, ceduto a 12 lire il chilogrammo. Le merci di produzione locale furono asportate a prezzi di imperio; i manufatti, gli arnesi e gli strumenti agricoli importati dal continente italiano furono e sono pagati a prezzi impossibili. Questo dà diritto ad una speciale considerazione dei bisogni dell’Isola, oggi che si preparano provvedimenti d’indole fiscale.
Ripeto, si deve fare una discriminazione tra Regioni povere e Regioni ricche. Non si deve ripetere l’ingiustizia lamentata quando fu istituito il Fondo di solidarietà nazionale, per il quale vennero tassate le poco fertili terre di Sardegna nella stessa misura di quelle della Valle Padana. È vero che un successivo decreto, in accoglimento delle proteste dell’Isola, ha in parte diminuito questa ingiustizia, ma non l’ha ancora eliminata del tutto.
La Sardegna non ha avuto arricchimenti o lucri di contingenza, non industrie di guerra, non ha avuto e non ha industrie manifatturiere. Tutto questo dev’essere ricordato e tenuto presente alla vigilia dei provvedimenti fiscali. La legge eguale per tutti, quando le condizioni e le situazioni sono diverse, è il massimo dell’ingiustizia.
Sbaglierebbe chi interpretasse il mio ordine del giorno come dovuto a considerazioni solo regionalistiche. Esso invoca giustizia fra le Regioni come base per l’unità nazionale; ed è appunto perché crediamo che la Sardegna possa avere possibilità di vita piena nel quadro di una economia nazionale e di una giustizia per tutti, che io ho parlato. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Tonetti ha presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente,
constatato che elementi del fascismo e della reazione anti-democratica, responsabili della rovina della Nazione, si sono riorganizzati e svolgono attività contraria alla Repubblica ed alla democrazia, clandestinamente, perpetrando assassinî ed attentati terroristici e, apertamente, mascherati sotto varie denominazioni, pubblicando giornali, che fanno esplicitamente apologia del fascismo;
considerato che la libertà di associazione e di stampa non deve oltrepassare limiti precisi, oltre ai quali vengono posti in pericolo l’esistenza e la sicurezza della Repubblica e della democrazia;
che ogni regime deve poter contare sicuramente sugli organi dell’apparato statale per la sua difesa;
che dopo 8 mesi dalla proclamazione della Repubblica il funzionamento e la composizione degli organi statali non è tale da garantire l’espletamento di questo loro compito specifico;
invita il Governo a riformarli e ad emanare provvedimenti adeguati alla difesa ed al consolidamento delle istituzioni repubblicane e democratiche».
L’onorevole Tonetti ha facoltà di svolgerlo.
TONETTI. Dopo le ampie discussioni sulle dichiarazioni dell’onorevole Presidente del Consiglio, mi limito a poche considerazioni, a sostegno dell’ordine del giorno che ho presentato.
Sarebbe vano negare che oggi il sentimento predominante della maggioranza del popolo italiano, specialmente nella classe lavoratrice, è la delusione. Infatti, durante il periodo della lotta contro i nazi-fascisti, i combattenti per la libertà e tutti i cittadini amanti della libertà speravano che dopo la liberazione la mala pianta del fascismo fosse distrutta ed il nuovo regime che doveva sorgere dalle rovine del fascismo e della monarchia, oltre ad ampie riforme d’ordine economico e sociale, avrebbe dovuto attuare anche un profondo rinnovamento nell’apparato statale.
Oggi possiamo constatare che questo non è avvenuto. A tutt’oggi le organizzazioni fasciste possono pubblicare impunemente giornali nei quali si fa l’apologia del fascismo, possono organizzare attentati, assassini, mentre negli organi dell’apparato statale – burocrazia, magistratura, forze di polizia e forze armate – vi sono ancora troppi elementi arnesi del passato regime, i quali, dopo un periodo di incertezze e di perplessità, agiscono contrariamente agli interessi della democrazia e della Repubblica.
Per quanto riguarda la burocrazia, si deve riconoscere il merito di molti dipendenti statali, i quali, mal pagati, mal trattati, si conservano onesti e fanno il loro dovere. Ma chi ha rapporti con i Ministeri, per questioni di pubblico interesse, sa quali resistenze trova in certi ambienti dell’alta burocrazia ministeriale. Fatte sempre le debite eccezioni, ci sono dei funzionari i quali sembra che credano di non dover far altro se non di ostacolare e di ritardare le pratiche, con grave danno dell’Amministrazione pubblica. E viene fatto di domandarci talvolta se non si tratti di ostruzionismo.
Per quanto riguarda la magistratura, l’onorevole Targetti, da par suo, ne ha denunciato gli inconvenienti e i difetti. Certo che le quotidiane assoluzioni di gerarchi, di profittatori e perfino di criminali fascisti suscitano l’indignazione in tutti coloro che hanno sofferto per causa del fascismo. Circa due settimane or sono un colonnello della guardia repubblicana, noto seviziatore e rastrellatore, certo Bassi di Venezia, condannato a morte dalla Corte d’Assise speciale fu assolto in sede di revisione del processo. Ora, quando una magistratura, senza che emergano circostanze di fatto inoppugnabili, trasforma una sentenza di morte addirittura in una assoluzione, si copre di discredito.
Altro esempio: alcuni mesi or sono, sono stati celebrati due processi di collaborazionismo, uno contro un certo Angelini, direttore generale per l’Italia delle costruzioni navali tedesche, l’altro contro certo Mazzolini e compagni, i quali dopo l’8 settembre abbandonarono la loro professione per impiantare con capitale tedesco i cantieri del Levante. Questo risulta dagli atti processuali. Naturalmente furono assolti, non solo, ma, nella celebrazione del secondo processo, furono fatte insinuazioni oltraggiose a carico di un avvocato che, designato a suo tempo dal Comitato di liberazione a esercitare la funzione di pubblico ministero, aveva istruito il processo ed aveva rinviato a giudizio i prevenuti. A questo punto arriva la sfrontatezza dei collaborazionisti per la colpevole indulgenza della magistratura.
Anche il funzionamento delle forze di polizia non è sodisfacente. Nelle Questure, accanto a funzionari corrotti e fascisti, vi sono dei funzionari onesti, sinceramente democratici i quali vorrebbero fare il loro dovere, vorrebbero agire energicamente contro le formazioni sammiste e neo-fasciste, ma non osano farlo, perché, a torto o a ragione, hanno l’impressione che questa loro attività non sia gradita agli organi centrali.
Citerò un esempio edificante: alcuni mesi prima che fossero arrestati Padre Zucca e Parini mandai una persona di mia fiducia dal Questore di Milano ad avvertirlo che nel convento di Via Moscova si ordivano complotti fascisti ed erano rifugiati alcuni gerarchi latitanti. Il Questore stabilì di fare una perquisizione, ma quando il mio incaricato si presentò il giorno fissato si sentì rispondere che l’operazione era sospesa. Mandai la persona di mia fiducia a Roma alla Direzione di polizia a ripetere la denuncia: non fu presa in considerazione.
Ora io ho sentito giorni or sono l’onorevole Presidente del Consiglio manifestare in quest’aula un giudizio favorevole alla Direzione di pubblica sicurezza. Fatti come quelli che ho denunciato ed altri ancora che non riferisco per non far perdere tempo all’Assemblea mi autorizzano a dissentire dal suo giudizio e credo che non sia troppo pretendere chiedendo che il capo della polizia, Ferrari, ed il capo del personale, Pianese, siano sostituiti con due funzionari di provata fede repubblicana e democratica.
Analoga situazione vi è nell’Arma dei carabinieri. Il comando è affidato al generale Brunetti, che nessuna persona in buona fede vorrà qualificare campione della Repubblica e della democrazia, autore di quelle circolari segrete contro i partiti di sinistra che sono state pubblicate anche dal giornale L’Unità. Le conseguenze di quelle direttive sono le spedizioni intimidatorie, del genere di quella di Nemi, che non è il solo caso, e la condotta di certi brigadieri e di certi marescialli dei carabinieri che, disponendo di una grande autorità nei confronti della libertà personale dei cittadini, specialmente nei piccoli paesi, esercitano in modo fazioso il loro ufficio contro i lavoratori e i militanti dei partiti di sinistra.
Vi sono degli ufficiali e dei sottufficiali dei carabinieri che dopo l’8 settembre, piuttosto che giurare fede alla repubblichetta di Salò, si diedero alla latitanza. Alcuni hanno anche combattuto valorosamente nelle formazioni partigiane. Ebbene, costoro sonò sottoposti ad una vera persecuzione, legalissima, a base di disposizioni regolamentari, mediante trasferimenti, e sabotando le loro promozioni.
Analoga situazione si registra anche nelle Forze armate, soprattutto nella Marina, sebbene si debba riconoscere che recentemente la situazione è alquanto migliorata. Comunque, ufficiali e sottufficiali, individuati quali repubblicani e democratici, sono vessati in base ai regolamenti medioevali, ancora in uso nelle Forze armate.
Per quanto riguarda l’Aeronautica, mi auguro che l’esposizione, fatta ieri dall’onorevole Cingolani, corrisponda a verità, sebbene qualche notizia apparsa sui giornali e qualche notizia che ho avuto io e che non ho avuto ancora il mezzo di controllare, mi faccia pensare che egli sia stato troppo ottimista.
Insomma, ci troviamo in questa situazione paradossale che, dopo otto mesi dalla proclamazione della Repubblica, i fascisti possono svolgere la loro attività senza essere eccessivamente disturbati e nelle file dei dipendenti statali vi sono elementi che sono avversari, quando non sono nemici, della democrazia e della Repubblica.
Ora il popolo italiano, il 2 giugno, col suo voto ha istituito la Repubblica e la democrazia ed il Governo ha il dovere di rimediare a questo stato di cose, perché un regime non ha garanzia di resistenza se non sa difendersi e se non può contare sugli organi dell’apparato statale.
Non ho intenzione di esagerare, anzi condivido l’opinione di coloro che non credono alla possibilità di un ritorno al passato, perché sono certo che se debolezze di Governo inducessero i responsabili della catastrofe nazionale a tentare di restaurare un regime antidemocratico, liberticida, un regime di tipo fascista, i combattenti per la libertà, il popolo lavoratore, che non hanno avuto paura di lottare contro il terrore nazi-fascista, saprebbero stroncare questi conati. Ma, carità di Patria c’impone d’impedire qualsiasi possibilità di avventure che ritarderebbero l’urgente opera della ricostruzione nazionale.
Del resto non occorrono provvedimenti straordinari.
Ieri il Presidente del Consiglio ha detto che presenterà una legge sulla stampa. Venga presto e sia tale da eliminare lo sconcio dei giornali libellistici, scandalisti, diffamatori ed, aggiungo, fascisti. Sarebbero opportuni ordini tassativi agli organi di polizia perché agissero contro le formazioni fasciste, e sarebbe opportuno sospendere temporaneamente, per un breve periodo, lo stato giuridico dei dipendenti dello Stato dei primi quattro gradi in modo da poter licenziare in tronco quelli che non servissero fedelmente la Repubblica.
Speciale attenzione bisogna rivolgere alla formazione delle Commissioni per lo sfollamento delle Forze armate per evitare il tentativo di… sfollarle dai repubblicani.
L’onorevole Presidente del Consiglio ha ripetuto, nelle sue dichiarazioni, la volontà di difendere e consolidare la Repubblica. Io non mi permetto – e non ho nessun motivo per farlo – di mettere in dubbio la sincerità di queste dichiarazioni, ma si deve affermare chiaramente che s’impone una politica, una azione di governo più energica, più severa. I fatti devono seguire alle parole, affinché tutti si convincano che il Governo è deciso a reprimere qualsiasi attività contro l’esistenza della Repubblica e della democrazia. (Vivi applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno dell’onorevole Parri:
«L’Assemblea Costituente,
in ordine all’assetto dato ai servizi ed istituti relativi alla assistenza ai combattenti reduci e partigiani, invita il Governo:
ad adottare provvedimenti che assicurino l’effettiva continuità dell’attività di assistenza, concedendo anche i mezzi finanziari necessari a tenere in vita provvidenziali istituzioni assistenziali e che valgano a permettere un coordinamento efficace dei varî servizi;
a provvedere a che l’Opera nazionale combattenti, passata alle dipendenze del Ministero dell’agricoltura, abbia riforme legislative, assistenza di credito e soprattutto autonomia di azione, che valgano a svilupparne l’attività, evitarne l’insabbiamento burocratico, ed ogni deviazione dai fini sociali che le sono istituzionali».
L’onorevole Parri ha facoltà di svolgerlo.
PARRI. Io ero iscritto a parlare ieri sulle comunicazioni generali del Governo, ma l’intervento del collega Pastore Raffaele del Partito comunista ha risparmiato all’Assemblea un nuovo discorso di indole generale.
Mi limito in questa sede a toccare soltanto alcuni punti particolari richiamati nel mio ordine del giorno.
Il primo di questi punti riguarda la soppressione del Ministero dell’assistenza post-bellica, che è già stata oggetto di censure e di discussioni da parte di altri oratori.
Io dichiaro che a questa censura e a questi dissensi devo associarmi, nel senso che se l’attività del Ministero della post-bellica poteva presentare errori e deficienze, non credo che la cura migliore fosse questa, che è negativa e controperante.
Lo smembramento del Ministero è un errore psicologico. Le assicurazioni date dal Governo che gli impegni per l’assistenza ai reduci, ai partigiani ed ai combattenti non sarebbero stati per nulla interrotti sono contradette dalla realtà attuale. Tutti gli impegni sono stati finora sospesi.
La sospensione degli impegni si traduce in questo: bambini che non hanno possibilità di ricovero; convalescenziari che si chiudono; scuole che non si aprono; gruppi di lavoratori che cessano di lavorare, aumentando l’esercito dei disoccupati.
A nome degli interessati io chiedo al Governo assicurazioni precise in proposito.
Lo smembramento di questo Ministero è stato anche un errore tecnico, in quanto esso non era un coacervo di attività eterogenee; ammetto che potessero operarsi delle sfrondature, ma vi era un nucleo centrale di attività, le quali esigevano una certa unità di direzione ed esigono ancora una certa unità di visione del problema, unità che, evidentemente, si perde con la ripartizione dei servizi fra i vari Ministeri.
Meglio, a mio parere, sarebbe stato mantenere un Sottosegretariato omogeneo, alle dipendenze, invece che della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero del lavoro, più affine, per sua natura, alle specifiche funzioni del cessato Ministero.
Ricordo, in proposito, l’esperienza della Francia, la quale, disfatto il suo Ministero per l’assistenza post-bellica, è stata poi costretta dagli eventi a ricostituirlo. Sarebbe doloroso se anche in Italia si dovesse ripetere questa esperienza negativa.
Devo chiedere al Governo queste assicurazioni formali, perché sopra il Governo esiste ed opera una specie di cripto-governo, tanto più preoccupante, qualche volta, in quanto non è responsabile.
Il Presidente De Gasperi sa che intendo alludere alla Ragioneria generale dello Stato, organo certo pieno di ottime intenzioni per la difesa del bilancio dello Stato. Quando può, appena può, ritarda od annulla tutti gli impegni; e qualche volta, forse, procede bene e utilmente e costituisce un’effettiva difesa del bilancio. Ma altre volte, no; quest’azione per ritardare, bloccare, annullare impegni e spese urgenti svolta spesso dalla Ragioneria generale dello Stato si traduce in danno del prestigio, del credito del Governo e dello Stato, causa malumori, causa delusioni; ed in ogni modo non è certo al Corpo degli ispettori generali del Tesoro che si può riconoscere una competenza per l’esame di merito, che compete agli organi centrali del Governo.
Ora, quando il Governo sopprime, smembra il Ministero dell’assistenza post-bellica, la Ragioneria generale dello Stato ritiene che non si devono spendere più soldi per l’assistenza post-bellica ed evita che si spendano soldi per questo cessato Ministero. E per questo credo sia necessario un intervento preciso da parte del. Presidente del Consiglio.
Vi è un altro problema: quello della cosiddetta riqualificazione professionale dei disoccupati, problema veramente urgente, di primo piano, del quale abbiamo la sensazione immediata, più acuta, più parlante, specie noi che siamo più a contatto con questa massa di gente che è da cinque, sei, sette anni senza lavoro, senza professione ed è quindi in uno stato di degradazione professionale preoccupante. Il nostro materiale umano è andato deteriorandosi terribilmente, non solo per queste categorie, poiché dappertutto si è verificato un deterioramento del materiale umano, fisico, intellettuale, professionale e anche morale, rappresentando per noi un pericolo tremendo.
Quando si dice che la Nazione ha perduto un terzo della sua capacità di reddito, si deve aggiungere che ha perso un terzo, o anche di più, della capacità di lavoro dei suoi figli. E allora voi intendete come quest’opera di ripristino di questa energia umana perduta, abbia un valore importante, superiore a molti altri problemi di pura politica. Questi sono veramente gli investimenti produttivi: quando ridiamo la capacità di lavoro, quando il manovale ritorna ad essere un operaio qualificato; o quando salviamo i bambini di oggi dal diventare tubercolotici domani, allora sì che compiamo veramente l’opera più produttiva per la Nazione.
E qui vorrei dire ai miei amici onorevoli Lombardo e Tremelloni, che hanno con tanta eloquenza – ed anche concreta eloquenza – spiegate le ragioni che rendono necessario per un Paese come il nostro, nella nostra situazione, d’inquadrare i problemi della produzione in un piano organico e coordinato, che un piano organico e coordinato occorre non soltanto per le opere economiche, ma anche per questa opera sociale; opera sociale che non si può scaglionare nel tempo, ma deve avere inizio subito. E non un inizio disordinato, ma un inizio ordinato che tenga conto non solo degli istituti, non solo dalle Amministrazioni statali, ma di tutte le altre forze e iniziative libere che occorre coordinare, che occorre convogliare, assegnando ad ognuna il compito più efficiente.
Mi rincresce un po’ di non aver potuto parlare ieri, in quanto su questo piano economico, delineato dagli onorevoli Tremelloni e Lombardo, avrei avuto da esporre qualche considerazione circa l’utilità di definire più chiaramente le posizioni relative.
Vorrei accennare a questo proposito soprattutto a questo, che quando voi parlate di piani dovete considerare due momenti diversi: il momento attuale, che è momento di contingenza, di mercato chiuso, di non circolazione dei beni, ecc., che esige evidentemente un piano di emergenza, per il quale devono essere adottati provvedimenti di emergenza; il successivo momento, che si può chiamare di stabilizzazione, per il quale dovremo invece predisporre un piano normale di ricostruzione da attuare quando la riacquistata normalità del mercato internazionale, e quindi la normalità della circolazione dei beni, dei capitali, dei servizi, potrà permetterci una politica economica normale.
In questo periodo di emergenza il Governo si trova sollecitato da due tendenze: una tendenza socialista, che lo spinge inevitabilmente verso soluzioni collettive o collettivizzanti, e la tendenza propria della Democrazia cristiana ancorata a diverse esigenze. Queste traspaiono chiare dagli ostacoli che incontra una politica di limitazione della proprietà e del possesso agrario, poiché il programma del Ministro Segni (il quale peraltro ha tutta la nostra stima) resta nei limiti d’un programma tecnico. Ma questa incertezza e contradittorietà si è rivelata anche nella politica economica generale, non soltanto agraria propriamente detta, e non si è giunti a risolvere l’esperienza passata ed il programma nuovo del Governo in una organica conciliazione di tendenze.
E sul piano normale, che l’onorevole Lombardo ha disegnato con abbondanza di particolari come un piano articolato, organico, particolareggiato, le riserve che possono venire da noi sono sostanzialmente queste: che noi, tenendo conto della fase storica nella quale viviamo, e delle necessità obiettive della situazione italiana, dobbiamo limitare al massimo le leve di controllo che possono assicurare questa pianificazione, che anche noi del resto vogliamo come egli la vuole.
L’Italia è in una posizione economica e storica, della quale bisogna prendere chiara e precisa coscienza, che non ci permette di seguire tanto l’esempio russo, il quale è quello di una nazione, di una economia ridotta a zero, la quale può permettersi il lusso di una grande esperienza rinnovatrice; quanto l’esempio inglese, che è quello d’una nazione a reddito medio individuale elevato e consolidato, che non teme di essere scardinato dalla politica di nazionalizzazione.
Noi ci troviamo in una posizione intermedia, con una capacità di reddito insufficiente, e questi esperimenti per noi possono essere molto pericolosi; non ce li possiamo permettere, credo, perché non li pagherebbero i ricchi, ma in definitiva i poveri.
Questa è l’osservazione che sentivo la necessità di fare agli onorevoli Togliatti e Nenni, dopo i loro discorsi.
Voi postulate, voi chiedete trasformazioni sociali, chiedete audaci iniziative, chiedete prestiti, ma chi pagherà? Voi dite: pagheranno gli abbienti, i ricchi. Ma avete fatto i conti? Se i ricchi non potranno dare denari sufficienti, questo significherà che quella certa ricostruzione che l’amico Tremelloni desiderava compiuta nel 1950 lo sarà nel 1960. E questo che cosa vorrà dire? Vorrà dire perpetuazione di un basso tenore di vita, vorrà dire che pagherà il proletariato.
Quale è, su questo punto, la nostra posizione? Evidentemente la nostra conclusione non è negativa. La conclusione è questa: che la vostra politica, che è anche nostra, cioè la politica intesa a ridistribuire ai poveri il massimo di ricchezza possibile, è realizzabile soltanto ad una condizione, che voi accompagniate la vostra politica con una contropartita, con una politica che permetta effettivamente di accrescere il reddito.
Ora questa politica non si può limitare ad affermazioni generiche; voi, quando parlate, mettete l’accento sulle necessità sociali e non dico che neghiate le necessità economiche. Ma le ignorate o le scavalcate; mentre esse hanno un senso preciso e vogliono una precisa politica economica che il vostro Governo – o i partiti di Governo – non ha realizzato e che non credo possa realizzare risolvendo le contradizioni che ho indicate.
Quando ascoltavo il discorso dell’onorevole Nenni, quando sentivo nel suo discorso e nella sua perorazione – calda perorazione – risuonare certe fanfare, non potevo non riandare col pensiero a quella che è stata la storia cinquantennale del Partito socialista come strumento di ascensione e di elevazione delle classi proletarie. Non è stato merito della pratica, e tanto meno della predicazione della violenza e dell’illegalismo, non sono stati gli assalti garibaldini, ma è stata l’opera quotidiana, silenziosa, metodica della propaganda e della organizzazione che ha fatto grande il Partito socialista e che gli acquisisce grandi meriti nella storia sociale italiana, e che ha permesso che le numerose conquiste graduali fossero consolidate e diventassero sostanziali.
Io non mi faccio illusioni; gli amici di sinistra mi consentano queste osservazioni che faccio unicamente perché siano definite le posizioni fra un settore e l’altro.
Torno all’oggetto del mio ordine del giorno, il quale si racchiude nella necessità di un piano organico, per queste opere di assistenza sociale che sono di così diretto interesse per le categorie delle quali mi occupo.
Avevo accennato alla necessità di dare uno sviluppo rapido e ampio a quest’opera di addestramento tecnico professionale; è evidente la necessità per l’Italia di esportare piuttosto un operaio qualificato od un cameriere finito invece di un manovale o di uno sguattero. È lo stesso come esportare macchine invece di materie prime.
Ora noi, la esperienza di questo addestramento, di questa qualificazione professionale l’avevamo già impostata con serietà, con larghezza di criteri e con ottimi risultati. Il Governo veda in questo una ragione dell’urgenza del mio intervento.
Sono state interrotte, dallo smembramento del Ministero dell’assistenza post-bellica, sia questa, come altre attività, anche queste minacciate di esaurimento e di morte, come l’attività sociale dell’Opera nazionale combattenti, largamente sperimentata già in vari campi, e soprattutto in quello della organizzazione del lavoro. Così, anche per una rete di collegi, di orfanotrofi, di convalescenziarî, per l’infanzia abbandonata e per gli orfani dei partigiani e dei reduci: tutte iniziative sacrosante per le quali io chiedo al Governo che si provveda con l’iscrizione delle somme occorrenti nei relativi capitoli di bilancio. Quelli esauriti del Ministero dell’assistenza post-bellica siano rinsanguati, nei limiti, s’intende, delle possibilità generali dei bilancio.
E mi permetta ancora l’onorevole De Gasperi su questo una parola. Il Ministero dell’assistenza post-bellica, quando è stato costituito, insieme con l’Alto Commissariato dell’alimentazione, diede origine a critiche di bassa lega, come se ci fossero state all’origine soltanto ragioni di alchimia ministeriale.
Le intenzioni nostre corrispondevano invece a un altro disegno, che è bene che l’Assemblea abbia presente: corrispondevano cioè al disegno di modernizzare la macchina del Governo, secondo una maggiore aderenza alle mutevoli necessità, al progresso dei tempi, all’estensione dei compiti dello Stato. Vi ricorderò, al riguardo, che la Russia ha sessanta Ministri, dei quali la massima parte – almeno una cinquantina– tecnici; la Francia e l’Inghilterra hanno esse pure un numero di Ministri assai maggiore che non l’Italia. Non è dunque evidentemente l’ideale un Ministero di pochi Ministri; il problema è un altro, è un problema di efficienza di Governo. Non è necessario quindi che i Ministri siano pochi, ma è necessario che siano tanti quanti devono essere. Si tratta soprattutto di un problema di stabilità e di competenza.
Queste amministrazioni centrali, ben lontane dall’essere delle macchine burocratiche mastodontiche, devono tuttavia assicurare il coordinamento al centro e la divisione del lavoro delle attività e delle iniziative periferiche. In questo senso aveva una ragione d’essere anche il Ministero dell’assistenza post-bellica, che avrebbe però dovuto svolgere la sua attività per mezzo di organi di decentramento, non come un grande organismo burocratico centrale.
Lo stesso dicasi per alcuni organi dei quali il Presidente De Gasperi ci ha annunciato la creazione, e che io credo segneranno un passo in avanti. Alludo al Commissariato per l’emigrazione e al Commissariato per il turismo: iniziative lodevoli; ma questi organi devono, a mio avviso, essere autonomi, sia pure sotto il controllo dello Stato, ma indipendenti dallo Stato medesimo. Credo che l’esperienza del passato sia istruttiva.
Un altro di questi grandi organi autonomi, richiamato nell’ordine del giorno, è l’Opera nazionale combattenti, a proposito della quale vorrei esporre al Governo alcune preoccupazioni sulle quali gradirei avere delle assicurazioni.
L’Opera nazionale combattenti dovrebbe venire inserita nella economia del Paese. Nata dopo l’altra guerra, per merito dell’onorevole Nitti, essa sviluppo una notevole attività nel campo agrario ed in quello sociale. Essa si è fatta una attrezzatura tecnica sua propria, che è preziosa, e che può rendere utili servizi al Governo. Di tale attrezzatura si servì anche il fascismo, per le sue bonifiche di prestigio.
L’Opera nazionale combattenti è oggi passata alle dipendenze del Ministero dell’agricoltura, mentre sarebbe stato meglio porla sotto quelle della Presidenza del Consiglio, oppure del Ministero del lavoro e della previdenza, sociale, il quale ultimo è più vicino ai fini istituzionali di questo ente. L’Opera nazionale combattenti può svolgere ancora una proficua funzione sociale, perché possa godere della necessaria autonomia.
E se potrà avere dei mezzi, e sarà riformato il suo regolamento, che il Ministro Segni conosce bene, l’Opera nazionale combattenti potrà essere di prezioso aiuto per il progresso dell’economia agraria. Ma ultima iattura sarebbe che l’Opera nazionale combattenti diventasse una specie di direzione generale del Ministero dell’agricoltura. E faccia posto, il Ministro Segni, in questo istituto ai rappresentanti delle categorie dei reduci, dei combattenti e partigiani, che sono troppo interessati all’istituto stesso.
Ho poche altre cose da dire. Una di queste è che la necessità di finanziamento per l’assistenza sociale deve essere inquadrata chiaramente nel programma finanziario del Governo, a proposito del quale attendiamo le stesse informazioni che ha chiesto ora l’onorevole Uberti, informazioni evidentemente fondamentali.
Il Governo si renda conto che il Paese è stanco dell’incertezza in cui si trova, di fronte all’ignoranza su quella che è la reale situazione economica e finanziaria e su quelle che sono le effettive possibilità di azione.
Non possiamo più accontentarci di affidamenti generici. Abbiamo bisogno di numeri, abbiamo bisogno di numeri sul bilancio dello Stato, sul bilancio di cassa, sulla bilancia internazionale dei pagamenti, numeri per quanto riguarda i mezzi che il Governo potrà mettere a disposizione delle grandi necessità presenti: disoccupazione, lavori pubblici e, infine, opere di assistenza sociale.
Noi abbiamo bisogno di queste informazioni generali dal Governo, perché una delle ragioni evidenti del disagio della Camera, oltre alla situazione morale nella quale l’ha messa la recente ondata scandalistica, è la sensazione di assenza, questa sensazione di essere tagliata dalla possibilità di intervento e controllo sull’azione del Governo. Questa Assemblea non è la Camera legislativa normale, è la Costituente, legata ai suoi compiti specifici. Ma il Paese, che vede in noi i suoi rappresentanti, accusa questa Assemblea di inerzia e di abbandono.
Sono stati perduti mesi preziosi, e non dobbiamo nasconderci che è crescente nel Paese una ostilità contro i suoi rappresentanti. Se il Parlamento non riuscirà a diventare uno strumento di lavoro e di Governo, le prospettive che possiamo formulare per il nostro avvenire democratico non possono non essere veramente preoccupanti. Il Governo, se darà, nel modo che crederà più opportuno, concrete e precise informazioni all’Assemblea e al Paese, agirà nel modo più utile e più efficace per diminuire questo disagio.
Oltre a questo, noi, per la parte nostra, non possiamo chiedere molto al Governo. Né attendiamo molto dal Governo, verso il quale la nostra sfiducia non vuole essere, e non è, una scortese diffidenza pregiudiziale, ma si riporta a quelle considerazioni obiettive che dicevo prima, relative alla struttura del Governo in confronto con l’esperienza del passato.
Abbiamo avuto la riprova di ciò in questo stesso dibattito dinanzi all’Assemblea, che è stato dominato dal duetto Togliatti-Democrazia cristiana. Io intendo le ragioni per le quali l’onorevole Togliatti ha impostato, con la massima chiarezza, ed insieme con la massima longanimità, il suo tema, anche se egli sapeva già in anticipo qual era la risposta, perché la risposta era già implicita nell’atteggiamento della Democrazia cristiana quale era stato indicato a suo tempo dal suo segretario politico, onorevole Piccioni, il quale aveva fissato la posizione della Democrazia cristiana come una posizione di centro (centro in senso proprio, in senso stretto) ma centro, come dire, bivalente verso la destra e verso la sinistra: ciò che non era una posizione di inerzia, una posizione di imbarazzo, ma era invece una posizione imposta dalla necessità vitale del Partito, il quale non voleva respingere a destra, ma ancorare al centro, forze che stimava essenziali alla sua consistenza ed al suo avvenire.
Voi sapete che la risposta che l’onorevole Cappi ha dato all’onorevole Togliatti è stata interpretata come un «ni», sul quale hanno influito certamente quegli elementi relativi ai rapporti con la Chiesa che l’onorevole Togliatti ha introdotti nel suo «vieni meco», che è stato indirizzato oltre la Democrazia cristiana, per giungere fino al Vaticano. Dentro questo «ni» non ci può essere posto per un organico programma sociale di Governo; ci può esser posto tuttavia per una modesta ma seria opera amministrativa, per la quale formula gli auguri più cordiali.
PRESIDENTE. Onorevole Parri, mi permetta, le faccio osservare che ha parlato già tre volte il tempo che le sarebbe regolarmente concesso. La prego di avviarsi verso la conclusione.
PARRI. La mia conclusione è questa. Non credo che la situazione permetta al Governo grandi opere, e consenta di farsi illusioni su di esse. Suo compito principale deve essere la progressiva normalizzazione economica, che si risolverà anche in una graduale normalizzazione della situazione politica. Il Governo opererà bene se saprà intendere e sodisfare le necessità elementari e fondamentali del Paese, poiché la strategia politica migliore è sempre quella che viene diretta dai grandi interessi del Paese. La necessità primordiale del Paese è quella di essere amministrato; la seconda è quella della pace, che non è una frase retorica, ma deve essere la costruzione attiva e quotidiana d’una politica consapevole e determinata, la terza è quella della miseria, miseria della gente che non mangia, secondo la sua fame, miseria secolare di plebi abbrutite, miseria fisica che finisce per essere anche morale, che richiede giorno per giorno la vostra sollecitudine.
Questo è l’appello che dovete sentire nella vostra opera. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Dopo la chiusura della discussione generale, sono stati presentati alcuni ordini del giorno che non possono, a norma del Regolamento, essere svolti.
Invito l’onorevole Segretario a darne lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«L’Assemblea Costituente,
afferma che la Repubblica, ancor prima di concepire i suoi nuovi ordinamenti costituzionali, deve affrontare, in una rinnovata severità di costumi, problemi vitali inacerbiti dal fascismo e dalla guerra;
considera, tra gli altri, problemi non dilazionabili:
- a) la restaurazione dell’autorità e della moralità dello Stato, il riordinamento delle pubbliche amministrazioni e l’effettivo disarmo di tutti i cittadini;
- b) il riordinamento dei tributi statali e comunali, con particolare riguardo a quelli diretti e indiretti che incidono su consumi voluttuari;
- c) la stabilizzazione monetaria, condizione e premessa per il risanamento dei bilanci dello Stato e degli enti locali e per la ripresa economica;
- d) una moderna legislazione agraria, che tenendo conto della diversità delle esigenze regionali, sia diretta all’incremento della produzione ed a porre le basi per un radicale rinnovamento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori della terra;
- e) un piano di lavori pubblici produttivi, che dia risolutivo contributo alla ricostruzione, iniziandola dalle case per il popolo, ed alla rioccupazione dei lavoratori e dei reduci;
- f) una disciplina degli approvvigionamenti e una politica dei prezzi che assicurino a tutti i lavoratori un livello vitale e meno sperequato di esistenza;
- g) l’unificazione e il coordinamento dell’assistenza sociale, intesa non come carità, ma come dovere della collettività verso i bisognosi e i diseredati e affidati a specifici organi centrali e periferici; ed un miglioramento immediato delle condizioni economiche dei pensionati;
- h) l’allacciamento dei rapporti con l’estero, per inserire l’economia italiana nell’economia internazionale con la maggiore, possibile mobilità di uomini, merci e capitali; per regolare l’emigrazione dei lavoratori italiani con la tutela dei loro diritti e della loro dignità; per preordinare le condizioni e i congegni destinati alla ripresa del turismo e della marina mercantile;
- i) la restaurazione del prestigio e dell’indipendenza della giustizia, affidata a magistrati e a funzionari non più assillati da preoccupazioni economiche;
- l) il rinnovamento educativo della scuola – da sottrarre alle influenze confessionali e di parte – e degli istituti di riqualificazione professionale per i reduci e i disoccupati da avviare a nuove attività produttive;
constata che la mancanza di tempestivi ed efficienti provvedimenti sui problemi sopraccennati ha determinato nel Paese un senso di disinteressamento e di sfiducia, non solo verso il Governo, ma anche verso la Costituente, che non è stata consultata neppure nelle ore più tragiche della vita nazionale, come in occasione dell’iniquo trattato di pace;
osserva che tale sfiducia è anche aggravata dall’ambiguità e dal doppio giuoco nei rapporti fra i partiti che sono al Governo, e ne accettano il programma, ma contro il Governo conducono una campagna d’opposizione nel Paese;
ritiene incapace l’attuale Governo, non solo di predisporre quel piano organico che è necessaria premessa della rinascita, ma neppure di adempiere le funzioni relative ai provvedimenti di emergenza;
non ne approva le dichiarazioni e passa all’ordine del giorno».
Vigorelli, Canevari, Lami Starnuti, Chiaramello, Treves, Bianca Bianchi, Pera, Carboni, Grilli, Cairo, Zagari, Villani, Fietta, Bocconi, Calosso, Persico, Di Gloria, Ghidini, Longhena, Zanardi, Montemartini, Salerno.
«L’Assemblea Costituente, riservando il suo giudizio sul Trattato di pace in sede di ratifica del Trattato stesso, rivolge alla Camera dei Comuni del Regno Unito, al Parlamento Francese, al Senato Americano, al Soviet Supremo della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche l’invito a voler considerare la situazione creata alla Repubblica Italiana con una pace che urta e lede la coscienza nazionale del popolo italiano; domanda il riconoscimento del principio della procedura democratica della revisione da realizzarsi attraverso pacifici accordi bilaterali fra i paesi interessati e nell’ambito dell’O.N.U.».
Nenni.
«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo, le approva e passa all’ordine del giorno».
Andreotti, Minio, De Micheli.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Onorevoli colleghi, ho fatto le dichiarazioni programmatiche a nome del nuovo Governo sabato 8 febbraio; oggi 25, dovrei rispondere, reagire o associarmi a 53 oratori: compito troppo analitico per la vostra pazienza e poco adatto ad offrirvi una sintesi che sia base del vostro giudizio e quindi del vostro voto. Mi scusino quindi i colleghi se non li prenderò a partito uno ad uno e cercherò di riassumere i loro discorsi, quando è possibile, nell’anonima considerazione degli argomenti.
Anche questa volta però giova fare una osservazione preliminare. Io venni qui a farvi delle dichiarazioni a nome del Gabinetto: certo la concezione e lo stile delle dichiarazioni portavano la mia impronta personale, ma il contenuto del discorso rifletteva il programma approvato da tutti i membri di questo Governo di coalizione, ed era una risultante degli accordi elaborati durante la formazione del Ministero e sanciti dal Consiglio dei Ministri.
È strano che si debba fare una constatazione tanto ovvia; eppure, dopo settimane di discorsi, dei quali molti per comodità polemica tentarono di isolarmi da ogni corresponsabilità che altri avessero assunto nel passato o nel presente, inchiodandomi solo sul banco degli imputati, è forse necessario avvertire ch’io nella replica intendo mantenermi fedele al principio della solidarietà ministeriale, senza di cui nessun sistema di coalizione, tripartito o no, potrà mai resistere nella nostra vita politica. Non risponderò quindi né come persona, né come uomo di parte, ma come portatore di una responsabilità collettiva nel passato e nel presente.
Questi limiti reprimono la mia vena oratoria e mi privano di quell’illuminazione che sembra sopravvenire sui miei ex colleghi, quando da questo banco passano nei liberi settori dell’anfiteatro. (Si ride).
Tre colleghi, già miei colleghi di Governo, hanno parlato del cambio della moneta; io non ne tratterò, perché è materia riservata all’esposizione del Ministro del tesoro, ma poiché nel dibattito qui svoltosi s’è fatta questione soprattutto della decisione del Consiglio dei Ministri dell’11 gennaio 1946, decisione presa dal primo Gabinetto da me presieduto, conviene non lasciare correre delle relazioni romanzate.
È già stato detto che la storia del cambio risale al giugno 1944, e che la prima fase, durata un anno intero, si chiuse nel giugno 1945, col disimpegno degli alleati dal proposito di stampare i nuovi titoli in America. Quando la questione venne sottoposta a noi, la Banca d’Italia, utilizzando le nostre risorse interne ancora esistenti, era riuscita a stampare una quantità notevole di biglietti, ma in una diffusa memoria presentata al Consiglio fissava alcune condizioni indispensabili, a parere della sua commissione tecnica, per poter effettuare il cambio nella primavera del 1946. Le principali di tali condizioni erano:
che si stampasse un documento di identificazione per ogni capo famiglia;
che si attuasse la stampa di circa 100 milioni di moduli di diverso tipo;
che si mettessero a disposizione della Banca 700 autocarri e 36 automobili;
che fossero attuate particolari misure di sicurezza per le quali era necessario il concorso di parecchie decine di migliaia di uomini;
che si ottenessero dagli alleati garanzie per il cambio nelle terre occupate (Dodecanneso, Colonie, Venezia Giulia);
e che gli alleati stessi rinunciassero alla richiesta, ripetutamente fatta, di avere, per riguardo ai loro pagamenti, una comunicazione del piano di cambio due mesi prima della sua entrata in vigore.
Alla fine del lungo rapporto la Banca esprimeva per suo conto parecchi dubbi circa la possibilità di compiere l’operazione entro il termine desiderato.
La discussione del Consiglio dei Ministri, che era stata preparata da una riunione dei Ministri tecnici, cercò di evitare la decisione di merito, essendo ormai noto che la maggioranza era per il cambio, mentre il Ministro del tesoro non credeva alla sua utilità.
Il dibattito quindi si svolse intorno al quesito se i mezzi tecnici e i provvedimenti di pubblica sicurezza ritenuti necessari si potessero garantire anche durante il periodo nel quale coincidevano le elezioni amministrative e soprattutto i macchinosi preparativi per il referendum e le elezioni politiche; e finì con la votazione di un ordine del giorno Togliatti del seguente tenore: «Il Consiglio dei Ministri deplora che non sia possibile procedere, prima dell’inizio delle consultazioni popolari, al cambio dei segni monetari cartacei, operazione che avrebbe consentito allo Stato di procedere più rapidamente al risanamento delle finanze e di conseguenza al miglioramento della situazione economica generale».
Questa è la storia documentata nei verbali del Consiglio dei Ministri, ed io la cito non tanto per la cosa in sé, quanto per provare un’altra volta che, guardando le cose dal di fuori o all’indietro, riesce difficile di farsi un’idea dello stato di necessità nel quale si trova chi deve prendere una decisione, che troppo spesso equivale alla scelta del male minore.
L’incalzare e l’incrociarsi degli avvenimenti spiegano l’ineluttabile realtà, di cui, quando la pressione è cessata, si tentano spiegazioni che attribuiscono ai protagonisti maggiore libertà di azione di quella che hanno avuto.
Il ritmo del tempo è stato in questo immediato dopoguerra travolgente e non è umiliante l’ammettere che esso ha superato e supera ancora gli uomini e le loro capacità di sopportazione e di ricostruzione. Ciò vale per tutto il mondo; non è disonorevole ammettere che la società italiana non costituisce una eccezione.
Avevo rinunziato a diffondermi sulle origini della crisi, pensando che un’analisi mia difficilmente sarebbe stata accolta come una conclusione oggettiva, e che ad ogni modo, nell’interesse del paese, conveniva affrontare l’avvenire, invece che indugiarsi sulla situazione critica del passato. Ma parecchi oratori, e, più autorevolmente degli altri, l’onorevole Togliatti, non furono del mio parere.
Secondo me, della crisi bastano le cause accidentali per spiegarla: le dimissioni del Ministro degli esteri, proprio alla vigilia della firma del trattato; la secessione di una parte del partito socialista che modificava, almeno in dimensione, la coalizione ministeriale, il voto del congresso repubblicano che parlava di una nuova politica e di un nuovo Governo. Tutto ciò infirmava il prestigio e là consistenza della compagine governativa. Un rimpasto, sostituendo singoli ministri, avrebbe dato all’operazione un carattere antipaticamente personalistico. D’altro canto i ripetuti attacchi sulla stampa, anche in occasione del mio viaggio in America, non mettevano in causa anche la persona del Presidente dei Consiglio? Era più schietto, più logico, più democratico che egli stesso affrontasse la questione in toto. È anche vero che in tale circostanza ritornai al pensiero dell’allargamento della base governativa, in verità non per calcoli di partito, ma perché dinanzi alle responsabilità che si sarebbero dovute assurgere nella politica estera ed in quella economico-finanziaria due cose parevano necessarie per il bene del Paese: maggiore efficienza ed unità di condotta, un consenso e una corresponsabilità più larga che fosse possibile.
Diedi così modo al Capo dello Stato di consultare i parlamentari più autorevoli, i quali nelle consultazioni designarono ad unanimità la mia persona. Avevo dato le dimissioni con estrema rapidità, perché il 10 febbraio, con la sua angosciosa alternativa, non era più lontano e speravo di poter rapidamente concludere. È superfluo chiedersi perché la crisi divenne anche questa volta un serpe strisciante fra esitazioni di gruppi e difficoltà personali.
Se mai c’era necessità di una giustificazione postuma della crisi, questa si trova nelle pieghe del suo svolgimento e nella presa di posizione dei partiti durante e dopo la soluzione.
L’onorevole Saragat ha pronunciato qui un discorso fine ed elegante; a molte sue affermazioni fondamentali, quale quella ove egli si dichiara contrario alla dittatura anche provvisoria, aderisco cordialmente ed aderirei a molte altre, se egli, coi suoi amici, non volesse ad ogni costo assumere la funzione dei veri oppositori.
Come avrebbe potuto precisare questa sua opposizione il nuovo gruppo socialista, se, in mancanza della crisi totale, avesse mantenuto i suoi rappresentanti nel Ministero?
Sarebbero stati anche questi ministri «oppositori veri» o il gruppo avrebbe assunto una posizione indefinibile? Il chiarimento della crisi era dunque, presto o tardi, inevitabile.
E che dire del discorso dell’onorevole Pacciardi che mette in causa tutto il Ministero passato, nel quale i suoi amici avevano una parte notevole?
In verità, fra gli oppositori veri, i sostenitori condizionati e gli oppositori ministeriali, ci troveremmo come l’asino di Buridano, a non saper scegliere la pastura.
Ma, gli imprescindibili interessi del Paese, i bisogni del popolo italiano, l’ora decisiva per il consolidamento della Repubblica reclamano da noi un nuovo sforzo collettivo, e noi ci proponiamo di compierlo, fondandoci sul senso di solidarietà reclamato dal nostro destino ed espresso dal nostro programma al quale i partiti della maggioranza hanno aderito e al quale confidiamo che anche altri colleghi daranno il loro appoggio.
Senonché, l’onorevole Togliatti stesso ci dice che la crisi è dovuta anche ad un certo disagio sopravvenuto fra i Partiti governativi e in particolare fra il Partito democratico cristiano e il Partito comunista. L’onorevole Cappi ha risposto per quanto riguarda il mio partito; io, come Presidente dei passato Gabinetto, mi limiterò ad osservare che la diagnosi del male fatta dall’onorevole Togliatti non mi pare completa.
Secondo l’onorevole Togliatti, la causa vera sarebbe la mancata attuazione del programma precedente dovuta al fatto che i Ministri democratici cristiani sarebbero venuti meno agli impegni presi innanzi agli elettori. Egli non ha fatto esatto riferimento di quali impegni intenda parlare. Riforma fondiaria, riforma industriale? No, perché nel programma governativo non si è mai preso impegno di attuarle nelle presenti condizioni. Si è detto anzi espressamente che bisogna prepararle, per quando i gravissimi problemi di emergenza, quali la ripresa della produzione e la stabilizzazione finanziaria, avranno creato per tali soluzioni le premesse indispensabili; ed è ciò che riguardo all’agricoltura è in corso, coi provvedimenti di bonifica e di miglioramento del Ministro Segni. Si riferisce forse alla riforma fiscale ed alla imposta patrimoniale straordinaria? No certo, perché su tale materia e sul termine della possibile applicazione non è mai nato, fra i membri comunisti del Governo e gli altri, tale dissidio da rendere inevitabile la separazione della propria responsabilità, dimettendosi dal Gabinetto.
Nel Gabinetto abbiamo sempre trovato modo di comporre tutte le differenze, ma le difficoltà ci vennero dal di fuori.
Il Consiglio dei Ministri dovette spesso occuparsi per spegnere incendi, per fortuna soltanto simbolici, scoppiati nella stampa e nella propaganda, od a causa di operazioni politico-elettorali, tentate o compiute al di fuori della responsabilità governativa.
È un fatto invece che la solidarietà ministeriale, nonostante qualche temporanea incrinatura, sempre contenuta, non ebbe l’integrativa, indispensabile logica conseguenza della solidarietà fra i partiti della coalizione.
Nel Consiglio, superando difficoltà oggettive in faticose discussioni, si prendevano decisioni unanimi circa i provvedimenti possibili contro la carestia e la disoccupazione, ma nelle piazze mi si impiccava in effigie come affamatore del popolo, o nei manifesti mi si denunciava come traditore della Patria, sia che tornassi da Parigi o partissi per l’America. Mi pare accertato che i simbolici impiccatori ed i manifesti non provenissero dall’apparato democratico cristiano. (Si ride) Non voglio dedurre che nelle polemiche, negli atteggiamenti si possa sempre tagliar netto fra il torto e la ragione, fra l’attacco e la difesa.
Comunque, guardando l’avvenire, accetto l’augurio dell’onorevole Togliatti per una migliore collaborazione e soprattutto che ci sia possibile fare ancora insieme un lungo cammino nell’interesse delle classi popolari; ma non mi stancherò di affermare che il segreto della riuscita sta nel distinguere nettamente il settore dei propri impegni da quello della libertà dei propri movimenti. L’onorevole Togliatti ha ricordato a tal proposito una mia intervista. Fu, se non erro, alle Azzorre che a certi intervistatori americani, i quali mi avevano posta l’insidiosa domanda «come mai voi, cristiani, collaborate coi comunisti?», ho risposto che la collaborazione impegnava le due parti solo per un programma concreto di Governo lasciando impregiudicate e al libero dibattito questioni di dottrina, di ideologia, di sistema politico ed economico.
Non è onesto affermare, ed attuare nella pratica, questa distinzione, la quale non vale solamente in confronto del vostro partito, ma che nel nostro caso è più doverosa, appunto perché, se fra voi e noi nel campo della giustizia sociale ci sono molte affinità, tra voi e noi però c’è tutta una storia di dottrine insegnate e di regimi applicati che formano appunto le caratteristiche del comunismo storico, quale in diversi aspetti si è cristallizzato in tutti i Paesi?
L’onorevole Togliatti ha cercato di gettare un ponte anche in materia costituente. Mi auguro che si riesca, ma se il ponte è necessario, è appunto perché si tratta di creare una comunicazione tra due sponde lontane che hanno assunto spesso, nel corso degli avvenimenti politici degli ultimi decenni, forme e carattere di trincee più che di fossati.
Se non ho male compreso, il segretario generale del Partito comunista crede, altresì, che la collaborazione sarebbe più agevole se il Presidente del Governo democratico fosse semplicemente «democratico» e non anche «cristiano».
Su questo punto egli prende abbaglio.
In Italia, culla della civiltà cristiana, il mezzo di sollevare le minori obiezioni possibili contro una collaborazione sul terreno economico, politico e contingente, è quello di dimostrare anche visibilmente che essa non è inconciliabile con una coscienza fedele ai principî ed alle esigenze della tradizione cristiana. (Vivissimi applausi al centro).
Se l’onorevole Togliatti intende installarsi nel tripartito col corteo di altri minori satelliti, l’onorevole Nenni, invece, il quale non rifiuta il compromesso presente, respinge però il connubio ed intende preparare l’avvento di un Governo di lavoratori; il che evidentemente – poiché nemmeno il travaglio di questi ultimi anni rende meritevoli noi di questo onorifico titolo (Applausi al centro è a destra) – significa Governo a prevalenza ed a direzione social-comunista. È sempre la formula «dal Governo al potere» ma espressa più cautamente.
In fondo, parafrasando una frase di Prampolini, egli dichiara di votare per l’attuale Governo, per far dispetto all’onorevole Giannini. (Si ride).
Questa specie di suffragio indiretto, anzi di suffragio-carambola (Si ride) non è molto lusinghevole (Applausi al centro e a destra); ma forse potremo consolarci con la speranza che sarà vero anche il contrario; cioè che quando all’onorevole Nenni capitasse di scrivere o di parlare contro di noi, sarà per far un piacere all’onorevole Giannini o a qualche altro, non per sostanziale antitesi contro di noi. (Applausi al centro).
Fuori scherzo, pero, nella concezione fondamentale sono pienamente d’accordo con l’onorevole Nenni: questo è un Governo di emergenza che ha per compito di provvedere alla soluzione dei problemi economici più urgenti; di consolidare il regime repubblicano e di preparare il terreno per le riforme più importanti. Per il resto, fare le elezioni il più presto possibile e rendere arbitro il Paese della direttiva politica ed economica dell’indomani. Dipende dalla buona volontà di tutti che l’impostazione per la battaglia di domani non ci renda impossibile la collaborazione efficace per risolvere il grave compito di oggi. (Approvazioni)
Il discorso più aderente alla realtà quotidiana è stato quello del collega Tremelloni che ha conservato sui banchi dell’opposizione quelle qualità di Governo che abbiamo apprezzate accanto a noi.
Le condizioni attuali della vita economica, egli ha detto, limitano le nostre esigenze.
Bisogna condizionare il fine ai mezzi, creare una gerarchia dell’urgenza, fra il fondamentale e l’accessorio. Noi ci esasperiamo mutualmente dando schiaffi al vento; i partiti possono ricorrere a degli slogan, ma il Governo cammina per strade obbligate; ecco il suo veridico linguaggio. Sono pienamente l’accordo quando egli, ricordando le celebri inchieste parlamentari del passato, preconizza una collaborazione dei tecnici coi politici; credo meno all’efficacia di un superministero degli affari economici, benché non neghi che ad un certo punto della nostra evoluzione si possa tornare a quello che fu il Ministero dell’economia nazionale. Né mi spavento della pianificazione e dei controlli, purché si rispetti l’iniziativa privata e la parola d’ordine sia quella che anche un nostro cultore di filosofia sociale ha invocato: «solidarismo».
Meno obiettivo m’è parso il discorso dell’onorevole Di Vittorio, il quale ha affermato che l’azione sociale del passato Governo è stata nulla. Strana constatazione per un rappresentante di quella Confederazione che nei momenti più difficili abbiamo sempre consultato e che, avendo assistito a molte trattative su problemi del lavoro o dell’impiego, ha più degli altri cognizione delle difficoltà oggettive che impediscono o hanno ritardato certe riforme; noi abbiamo fatto fiducia alla Segreteria della Confederazione e dobbiamo riconoscere che talvolta essa è intervenuta ad evitare disordini ed illegalità. Ma altre volte essa non ha potuto attuare l’auto-disciplina nelle categorie del lavoro. (Interruzione dell’onorevole Di Vittorio – Commenti).
Vecchio sindacalista, sono convinto che una forte ed efficace organizzazione sindacale è lo strumento necessario per promuovere la democrazia e la giustizia sociale, purché essa sia al di sopra dei partiti e riconosca e faccia riconoscere la legalità repubblicana. (Vivi applausi al centro).
Prego i miei amici di non applaudirmi, altrimenti potrebbe sembrare che quelli che non applaudono non siano d’accordo, mentre sono evidentemente d’accordo anch’essi. (Si ride – Applausi al centro).
Qualche oratore ci accusa di marcare il passo, specie per quanto riguarda provvedimenti speciali contro il fascismo e contro il movimento monarchico.
In quanto al fascismo abbiamo applicato parecchie volte provvedimenti di polizia e vi proporremo di richiamare in vigore il decreto legislativo del1945, che in armonia colla politica smobilitatrice, iniziata con l’amnistia, avevamo lasciato cadere. E in quanto al movimento pretendentista, sarete chiamati a decidere su progetti concreti che ho già indicato. Ma a ragione l’onorevole Nenni ha avvertito che non bisogna contare troppo su misure di polizia, ed io aggiungo che la psicologia dell’ex-perseguitato e carcerato politico mi ha fatto sempre esitante a dettare provvedimenti che assomigliassero, sia pure con intenzioni più legittime, a quelle leggi eccezionali contro le quali abbiamo combattuto e sotto le quali abbiamo sofferto! (Vivi applausi al centro).
Tuttavia è innegabile che, in seguito al modo e alla misura imprevista con cui l’amnistia fu applicata e all’impudenza o all’incoscienza di taluni amnistiati più responsabili del disastro nazionale, si impone la necessità di provvedere non tanto contro la loro pericolosità, quanto con riguardo alla legittima reazione di chi ha sofferto e resistito alla dittatura. (Vivissimi applausi a sinistra e al centro).
In quanto alla monarchia, prima del 2 giugno ognuno aveva il diritto di considerarla dal punto di vista dei legami storici o dei vincoli del giuramento, ma oggi, dopo il referendum, nessuno ha il diritto di rifiutarsi all’applicazione leale e onesta della decisione popolare. Noi, Governo, abbiamo l’obbligo di fare ogni sforzo affinché le istituzioni repubblicane siano difese e consolidate in un clima di libertà, ma nessuno ha il diritto di richiamarsi alla libertà per negare i risultati vincolativi del referendum che stanno alla base del regime democratico. (Vivissimi applausi a sinistra e al centro).
E qui devo dire qualche cosa anche all’amico onorevole Pacciardi. Egli ritiene che noi siamo in un periodo di salute pubblica e immagina che il Governo possa agire al di fuori delle norme giuridiche dello Stato liberale che hanno creato delle guarentigie per i funzionari e specie per la magistratura. Abbiamo compiuto, egli ragiona, una rivoluzione: questo è un Governo provvisorio ed è assurdo innestare un regime provvisorio sopra una sopravvivente legalità. Ora, lasciamo stare che questa tesi della mancata continuità giuridica è fondamentalmente e storicamente inesatta, ma, politicamente parlando, non rinunceremo noi, accettandola, all’argomentò più forte che abbiamo contro il pretendente e i suoi sostenitori e contro tutti coloro che preferirebbero tornare al regime monarchico? Verremmo ad ammettere che l’atto legale del plebiscito popolare celebrato da 23 milioni di italiani non è stato un atto libero di rinnovamento, ma un colpo di forza, rinunziando all’immenso vantaggio che abbiamo nella storia del mondo d’aver compiuto il passaggio nelle libere e consapevoli forme della democrazia. (Vivi applausi).
Perché non esaltare quest’atto solenne, legittimo, definitivo del popolo italiano e dar troppa importanza a inconvenienti formali, che vanno eliminandosi, e di cui domani non si parlerà più?
Quando il Commissario della Repubblica sostituì il Ministro della real casa trovò giacente presso l’ex Segreteria reale molti diplomi di onorificenza concessi nei primi quattro mesi del 1946: di questi, numerosi erano quelli intestati ad ufficiali delle Forze armate alleate.
Il Commissario si limitò ad archiviare detti diplomi, provvedendo alla consegna solo nei casi in cui gli interessati ne facessero richiesta. Si trattava, infatti, di documenti ormai di pertinenza di terzi che il Commissario non poteva né sopprimere né rifiutarsi di consegnare, tanto più che, come si è fatto per l’ordine militare di Savoia, divenuto ordine militare d’Italia, si è parlato nella stampa della possibilità di convertire tali ordini, quando siano stati dati per ragioni obiettive, in equivalenti ordini repubblicani.
L’onorevole Pacciardi sembra pieno di diffidenza verso il Consigliere di Stato Baratono, Commissario al Quirinale. Il curriculum vitae di costui dimostra in lui una concezione rettilinea dei suoi doveri di funzionario, al servizio non di un Partito, ma del Paese.
L’onorevole Pacciardi non può avere l’impressione, che avemmo noi dopo il colpo di Stato del 25 luglio, quando vedevamo il Baratono Sottosegretario alla Presidenza di Badoglio preparare per il Consiglio dei Ministri i primi decreti per l’abolizione del partito nazionale fascista e di tutti gli organi dipendenti, il decreto relativo agli arricchimenti dei gerarchi e quello dell’epurazione, che fu poi approvato dal Consiglio dei Ministri, ma non pubblicato per il sopraggiungere dell’8 settembre. Baratono fu l’ultimo ad abbandonare il suo posto, finché il suo successore, il famigerato Barracu, non diede l’ordine di trovarlo vivo o morto e lo costrinse a fare la vita del sottosuolo. Ho visto anche il suo curriculum vitae, come egli intervenne contro otto funzionari di polizia di Milano, che, colla complicità e la protezione del federale della città, costituivano un centro di corruzione, sì che avevano persino imposto il monopolio della fornitura dello champagne nelle case di prostituzione; come affrontò a Torino il federale Gazzotti e il podestà Sartirana, liquidando l’uno e l’altro, provandone le scorrettezze e denunziando il potente segretario federale per malversazioni nella gestione dei fondi dell’Ente opere assistenziali, sulla cui cassa si era fatta persino gravare la spesa per l’acquisto dei purisangue donati a Starace. Non credo, onorevole Pacciardi, che possiamo impunemente rinunziare a questi uomini, anche se provengono dal periodo monarchico, perché abbiamo tutto il diritto di credere che, monarchia o Repubblica, essi si sentono intimamente vincolati dalla loro coscienza alle leggi scritte e non scritte della lealtà e dell’onestà. (Vivi applausi).
In quanto al Senato, esso è stato abolito con decreto del 24 giugno 1946, n. 48; ci siamo solamente rimessi alla Costituente perché decida sulle poche prerogative personali di cui fruiscono i cento Senatori non epurati.
L’onorevole Pacciardi ha parlato anche delle Forze armate; ne ha parlato più concretamente l’onorevole Cingolani svolgendo il suo ordine del giorno.
Circa l’unificazione dei Ministeri intendo rispondere anche alle obiezioni degli onorevoli Lombardi, Nobile e Bencivenga colle seguenti osservazioni che mi paiono conclusive:
1°) Il trattato di pace e la situazione finanziaria comportano solo Forze armate ridotte con bilancio ridotto.
Per tre piccole Forze armate e con una politica militare difensiva il Ministero unico può essere sicuramente adeguato e sufficiente. A mano a mano che l’unità verrà attuata, essa consentirà anche sensibili economie di bilancio.
2°) La fusione permetterà anche di eliminare gradualmente le sperequazioni nel trattamento del personale e di realizzare una maggiore omogeneità di armamento e di equipaggiamento e una semplificazione dei servizi di rifornimento.
3°) Se le maggiori potenze mondiali, con una politica militare espansionistica, si sono decise per l’unificazione, come mai la si potrà ritenere inopportuna e inattuabile in un caso come il nostro di inevitabile contrazione delle Forze armate?
Sappiamo che vi sono molte difficoltà e che bisogna procedere per gradi. Arriveremo subito all’unificazione di direzione; esamineremo poi l’opportunità e la misura dell’unificazione amministrativa, in materia di servizi, equipaggiamento, mezzi di trasportò a terra.
L’unificazione amministrativa non potrà essere perfezionata che in un secondo tempo con la collaborazione del nuovo Parlamento, ma intanto conveniva ottenere l’unità di direzione.
Vi faccio notare, onorevoli colleghi, che ad ogni crisi la questione si è presentata e si è finito col dire: «Non siamo pronti, aspettiamo; creiamo intanto un comitato». Abbiamo dovuto, però, concludere che finché vi sono tre Ministri, il comitato non lavora e che bisogna creare un fatto compiuto per arrivare, gradualmente, alla unificazione.
Non vi è dubbio che il Ministro Gasparotto, il quale conosce il problema ed ha già ottenuto la collaborazione dei tre Ministri uscenti, Marina, Guerra, Aeronautica, con il concorso dei tre Capi di stato Maggiore, terrà conto delle preoccupazioni manifestate anche in questa Assemblea e procederà, con fermezza, ma con prudenza, verso la meta dell’unità che è ormai una delle riforme risolutive della democrazia moderna.
Assicuro infine l’onorevole Bencivenga che dall’attuale Ministero non sono da temere né disparità di trattamento né persecuzioni e che tolleranza e giustizia verranno usate verso tutti coloro che se ne renderanno degni per lealtà e nobiltà dì condotta.
L’onorevole Benedettini fa grave torto alla lealtà degli ufficiali che nella quasi totalità hanno giurato alla Repubblica ed a quella dei funzionari che faranno analogo giuramento.
Nessuno è forzato, nessuno è coartato, né tali saranno e sono le sanzioni regolamentari, da imporre una qualsiasi pressione maggiore di quella legge suprema dell’onore che vale in tutti i regimi ed in tutte le età.
Ed ora alcune osservazioni circa particolari oggetti del dibattito.
Pensioni di guerra. Abbiamo avuto, in un primo tempo, l’idea di affidare ad apposito Sottosegretario il disbrigo delle pensioni: ma, riservando ad altro termine una decisione in proposito, quel che importa è di superare l’intasamento degli attuali servizi, causato da difficoltà di locali e da scarsezza di personale.
Nel 1923 la Direzione generale disponeva di milleduecento esperti impiegati; oggi, dopo un ciclo di altre guerre, gli addetti alle pensioni di guerra non sono più di 816. Abbiamo disposto che si adibissero alle pensioni alcune centinaia di impiegati resisi liberi in altri Dicasteri, ma la questione dei locali, che è la più grave, dovrà essere risolta fra breve.
Ci sono ancora 401.154 pratiche di pensioni inevase; arrivano 25.000 domande al mese e i servizi, nonostante ogni impegno, riescono a definirne, in progetti completi di pensione, soltanto 12.000.
Circa l’ordine del giorno degli onorevoli Nobile, Uberti, Li Causi ed altri, il Ministro della difesa ha già accolto in via di massima il voto dell’Associazione nazionale mutilati di iscrivere i grandi mutilati affetti di invalidità totale in un albo d’onore con adeguato trattamento economico.
Specie dopo il discorso del collega Parri, sento il dovere di rinnovare l’assicurazione che la nuova ripartizione dei servizi dell’assistenza post-bellica non recherà danno all’assistenza stessa. Le difficoltà non dipendono dallo svolgimento dei servizi, ma dalla scarsezza dei fondi che è una triste realtà, sia che i servizi siano concentrati in un solo Dicastero o affidati alle due Amministrazioni dell’interno e del lavoro.
Già il Ministero della post-bellica aveva insistito perché si erogassero nuovi fondi, giacche gli insufficienti stanziamenti concessi dal Tesoro per l’anno finanziario 1° luglio 1946-30 giugno 1947 andavano già, in gennaio, esaurendosi. Bisognerà quindi fare nuovi sacrifizi perché gli aiuti indispensabili a tante benemerite categorie non vengano meno.
Dichiaro, per altro, che non ho nessuna obiezione di principio alla creazione di un miglior organismo unificato per l’assistenza in genere. Ho ritenuto, però, che non sarebbe stato possibile creare un organismo di carattere permanente, innestandolo sopra un organismo che, per quanto necessario, aveva una durata limitata e uno scopo specifico di guerra.
A questo riguardo dichiaro all’onorevole Parri che sono completamente d’accordo che si debba arrivare ad organi autonomi, nel senso che siano sottoposti al controllo dello Stato, ma si basino essenzialmente sul consenso e sulla cooperazione delle parti interessate, sia per il turismo che per l’emigrazione e, in quanto possibile, anche per l’assistenza.
Naturalmente, finché tutto si attende dallo Stato ed è difficile che l’iniziativa privata contribuisca in misura notevole, dobbiamo riconoscere che questa è una meta a cui dobbiamo tendere, ma che non è di facile attuazione entro i prossimi mesi.
Parecchie osservazioni sono state fatte sulla legislazione agraria.
Confermo che il progetto per il ritorno alla normalità elettiva dei Consorzi agrari è già stato approvato dal C.I.R. e dovrebbe passare prossimamente al Consiglio dei Ministri.
La legge sulla concessione delle terre ha avuto una discreta applicazione: dal 1° settembre 1946 sono stati concessi 108.000 ettari, dei quali 46.000 in Sicilia.
La proroga degli affitti sta nell’immediato programma del Governo, come l’estensione del lodo, estensione che non dovrà avvenire meccanicamente, ma permettere una applicazione elastica, secondo la diversa coltura e le diverse esigenze regionali.
La legislazione di miglioramento agrario e sulla bonifica sta sommamente a cuore al Governo, che farà ogni sforzo possibile per lo sviluppo dell’agricoltura e l’equa ripartizione del suo rendimento.
Conveniamo anche nell’opportunità di ricostituire le amministrazioni normali dei vari enti di previdenza, volgendo particolare attenzione alle prestazioni assistenziali in agricoltura. Ma tali progressi dipendono dalla pace sociale nelle campagne che bisogna ristabilire con criteri di legalità.
All’onorevole Lombardo, che in un notevole discorso ha parlato anche del futuro indirizzo della produzione agricola, e all’onorevole Quintieri che esprime nel suo ordine del giorno la stessa preoccupazione, do assicurazione che se il Governo deve tendere per ora ad accrescere la produzione di derrate, che importiamo, non perde però di vista i nuovi indirizzi necessari per incoraggiare la esportazione di alcune produzioni ora in difficoltà, come la seta e gli agrumi.
Convengo con l’onorevole Bulloni, che ha richiamato l’attenzione del Governo sul problema essenziale dell’ordine pubblico. Si sono fatti dei progressi, ne faremo degli altri. Bisogna arrivare al disarmo. Se tutti i partiti ci aiutassero a reperire le armi, rimaste un po’ ovunque (Applausi al centro) come triste eredità del conflitto, libereremo l’opinione pubblica da un incubo che suscita fantasmi di guerra civile. Sono fantasmi, ma danneggiano all’interno e all’estero.
Il Governo ha la ferma volontà di riuscire.
Scuola. Coloro che hanno accusato il Ministro Gonella di favorire la scuola privata in confronto della scuola statale sono male informati.
L’onorevole Gonella ha anzi posto un freno alle troppo facili parificazioni: durante la sua amministrazione ha riconosciuto soltanto sedici scuole private, di cui cinque rette da religiosi ed undici da insegnanti laici, cifra assai esigua se la si confronti a quella dei Ministri precedenti (Arangio-Ruiz 140, Molè 355). Di fronte a queste, furono istituite 7.000 nuove scuole elementari dello Stato, sia fondando nuove classi, sia sdoppiando le classi numerose.
Il nuovo tipo di scuola popolare associata al sussidio di disoccupazione, che si inaugura in questi giorni a Roma e che occuperà mille maestri e professori, sarà diffuso, se non mancheranno i mezzi, a tutte le Regioni.
TEGA. Bisogna aumentare le pensioni ai maestri!
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Va detto all’onorevole Colonnetti, che ha svolto speciale ordine del giorno, che il Governo si è preoccupato e si preoccupa dell’alta cultura universitaria. I contributi del Ministero a favore delle Università si sono quintuplicati: è ancora pochissimo e si sono dovuti chiedere altri stanziamenti, che dipendono naturalmente dalle possibilità di bilancio.
Si è fatta molta critica, non solo in questo dibattito, alla cosiddetta legislazione commissariale. Sarà bene ricordare come è nata e come si è svolta.
La legislazione commissariale si inizia ancora pel 1943 con un decreto Badoglio, sulla nomina di Commissari per enti pubblici, allo scopo di eliminare dirigenti fascisti; si applica poi, in via di fatto, dal Governo militare alleato e dai Comitati di liberazione nazionale e forma infine oggetto di altri particolari decreti dell’anno 1944. Quello del 12 settembre si riferisce alle aziende di credito, quello del 19 ottobre alle imprese private concessionarie di pubblici servizi, quello del 2 novembre agli enti parastatali di assicurazione e di assistenza, quello del 23 novembre alle organizzazioni sindacali fasciste. L’esecuzione di ognuno di questi decreti, e quindi la nomina dei Commissari, era affidata al Ministero competente per materia.
I Commissari potevano venir nominati nei casi ove l’azienda non potesse altrimenti funzionare: quando occorresse comunque, nell’interesse pubblico, rimettere in attività una azienda sospesa, e finalmente quando i precedenti fascisti o di illecita speculazione politica dei titolari non dessero garanzia di servire ai compiti della ricostruzione.
Le gestioni commissariali avrebbero dovuto cessare sei mesi dopo la cessazione dello stato di guerra, ma per la mancata ricostituzione delle amministrazioni ordinarie si dovette prorogare il termine fino al 31 marzo 1947, fatta eccezione degli enti parasindacali che sono stati prorogati fino al 30 giugno.
Secondo uno specchietto statistico inviatomi oggi, e purtroppo ancora incompleto, il numero totale dei Commissari nominati dai vari Ministeri dal 1944 ad oggi fui di 203 e quelli ancora in carica a tutt’oggi sono 133; devo però avvertire che mancano ancora le cifre esatte dei Commissari nominati dal Ministero del tesoro e delle finanze, per quanto riguarda il periodo precedente alle elezioni.
Di questi Commissari, i Deputati sono una ventina.
Non intendo qui interferire su altri incarichi nelle amministrazioni normali; sulla loro compatibilità morale statuirà, come crede l’Assemblea, ma, ricordando le cifre, ho voluto prospettare le proporzioni del settore sul quale è vertita la polemica.
Ed ora vengo alla questione delle Borse.
TEGA. Pilotti?
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ho ricevuto ieri un documento che mi riservo di sottoporre al Ministro della giustizia e per questo mi astengo dal fare in questo momento delle dichiarazioni.
Vengo, dunque, alla questione delle Borse. Come è stato documentato da dichiarazioni rese pubbliche dei Ministri Morandi e Sforza, del direttore generale del Tesoro e da un verbale del Direttore generale Antonucci, l’onorevole Campilli ignorava l’invio dei telegrammi diramati dalla Direzione Generale del Tesoro alle Borse.
Ne fu occasionalmente informato nelle circostanze a tutti note, ventiquattro ore dopo, quando era già avvenuta la ripercussione in Borsa.
Non conosceva e quindi non poteva informare.
Esclusa così ogni responsabilità personale del Ministro Campilli, esaminiamo ora oggettivamente il fatto in sé per stabilirne la natura e ridurlo alle sue vere proporzioni.
Il primo telegramma spedito dalla Direzione Generale del Tesoro alle Borse in data martedì 11, ore 13,30, chiedeva che fosse comunicato l’ammontare complessivo dei depositi relativi al 25 per cento effettuati nel mese di gennaio.
Questo e non altro. Era quindi una semplice richiesta di rilevazione globale di dati statistici relativi allo scorso mese.
Il telegramma non poteva provocare, come non provocò, alcuna reazione ai ribasso tanto che le Borse nei giorni 12 e 13 continuarono il loro movimento al rialzo.
Il secondo telegramma è stato spedito il giorno seguente e cioè mercoledì 12 alle ore 20,20. La disposizione che ripristinava l’obbligo della denuncia mensile dei riporti effettuati su titoli azionari era diretta a conoscere l’ammontare globale – e non nominativo – dei riporti effettuati mensilmente dagli agenti di cambio, banche e banchieri.
Anche questa disposizione tendeva, pertanto, ad un accertamento statistico. La disposizione, conosciuta dopo la chiusura di borsa di giovedì 13, determinò una flessione dei titoli nel dopo borsa del giovedì e nelle prime ore della seduta di venerdì.
Il turbamento fu originato non dalla diposizione in se stessa, ma – come dimostrerò – da arbitrarie interpretazioni, non condivise peraltro dalla generalità degli operatori, le quali vollero vedere nella disposizione stessa l’indice di un indirizzo generale governativo interventista in borsa, o, come taluno riteneva, un accertamento di dati utili per l’istituenda imposta sul patrimonio.
Che si trattasse di un’impulsiva ed inconsistente interpretazione lo dimostra il fatto che il ribasso fu di limitata importanza e durò poche ore.
Le quotazioni di chiusura di venerdì segnano già una ripresa e quelle del successivo sabato riguadagnano per intero le quotazioni precedenti la pubblicazione del telegramma. La borsa continuò anzi nei rialzo nei giorni successivi e ciò nonostante che le disposizioni – contrariamente a quanto si è falsamente affermato – non siano mai state revocate e siano tuttora in vigore.
Le disposizioni non erano dunque di tal natura da provocare un rimarchevole movimento di ribasso. Vediamo ora, sulla base d’inoppugnabili dati statistici, se l’hanno provocato di fatto.
Il numero indice del corso delle azioni pubblicato sul giornale Il Sole a cura della Giunta tecnica della Edison passa da punti 1.298 del giorno 13 a punti 1252 del giorno 14 con una diminuzione percentuale del 3,6. Siffatta diminuzione rientra nei limiti della normalità, come è facile rilevare dagli stessi numeri indici, pubblicati da Il Sole, che per i mesi di dicembre e gennaio segnano varie altre volte ribassi della stessa importanza e cioè: il 13 dicembre 3,6; il 27 dicembre 3,5; il 31 dicembre 3,3; il 7 gennaio, 3,1; l’8 gennaio 3,4; il 13 gennaio 3,5; il 14 gennaio 3,8.
Si faccia attenzione alle date e si noti che: nei giorni 12 e 13 dicembre e nei giorni 13 e 14 gennaio si è avuto un ribasso assai più sensibile di quello registrato il 13 e 14 febbraio, dopo cioè la pubblicazione della disposizione in questione, e questo perché una flessione dei corsi delle azioni a metà del mese si verifica sempre per ragioni ben note ai tecnici, nei periodi in cui il mercato è orientato al rialzo.
Si è poi parlato di ingenti volumi di titoli trattati: anche su questo punto valgano le cifre a smentire fantasiose affermazioni. Basta esaminare i listini di borsa per accertare che il movimento è normale e che anzi nei giorni 14 e 15 le trattazioni hanno avuto una portata inferiore a quella dei giorni precedenti.
Posso concludere così, sulla base di elementi oggettivi, che le disposizioni non potevano di per se stesse essere causa di turbativa del mercato e che di fatto non lo sono state.
Oltre i commenti di giornali finanziari e gli articoli di esperti di riconosciuta competenza, ciò è stato esplicitamente riconosciuto dalle organizzazioni rappresentative delle banche e degli agenti di cambio.
L’Associazione Bancaria Italiana, a firma del suo presidente, Stefano Siglienti, dichiara tra l’altro che il provvedimento può ritenersi in sé di limitata portata sotto il profilo tecnico e pertanto non poteva dar luogo a preoccupazioni per i singoli contraenti, ma esso «è stato interpretato come un indice di ulteriori interventi governativi nei mercati finanziari; si è cioè avuta la sensazione che esso non fosse che il primo atto di una politica intesa ad imbrigliare l’attività borsistica».
L’Associazione Italiana Agenti di Cambio, a firma del suo presidente, dichiara che «dopo gli opportuni chiarimenti ed i dati forniti dai singoli Comitati direttivi delle borse valori italiane, ritiene di poter affermare che le note disposizioni diramate dalla Direzione Generale del Tesoro non avrebbero dovuto, di per se stesse, determinare un serio turbamento del mercato, e che soltanto arbitrarie interpretazioni potevano far ritenere che esse fossero l’inizio di successivi provvedimenti.
«Comunque nei giorni di giovedì 13 e venerdì 14 corrente l’andamento del mercato ufficiale fu regolare, mentre le flessioni di prezzi si verificano soltanto nel breve periodo del dopo borsa di giovedì 13 e nella prima parte della riunione ufficiale di venerdì 14. Ciò esclude anche, per i normali quantitativi di titoli trattati, la possibilità che si siano sviluppate rilevanti operazioni speculative».
È dimostrato, quindi: 1°) che il Ministro non ha conosciuto preventivamente le disposizioni emanate dalla Direzione del Tesoro; e poteva non conoscerle in quanto si trattava di competenza della Divisione del Tesoro; 2°) che le disposizioni non erano, per la loro portata, tali da creare uri rovesciamento dell’andamento del mercato; 3°) che questo rovesciamento non c’è stato. La flessione verificatasi è stata di breve durata, di modesta ampiezza e contenuta entro limiti minori di altre, verificatesi nei mesi di dicembre e di gennaio, e il mercato ha subito ripreso la sua tendenza al rialzo nonostante che le disposizioni siano state mantenute.
Egregi, colleghi, ho voluto, diffondermi in dettaglio su questo argomento, non perché le prove già addotte durante la passata polemica non bastino a pienamente chiarire la posizione del Ministro Campilli, ma perché non si poteva tollerare che nemmeno la più piccola ombra cadesse sul Ministro del tesoro, il quale, anche nella missione recente, ha ottenuto un personale successo ch’egli dovrà utilizzare in prossimi negoziati (Applausi al centro) e che all’interno è chiamato a promuovere, nel Consiglio dei Ministri e innanzi a questa Assemblea, dei provvedimenti finanziari straordinari che non potrebbero essere portati a fondo senza il concorso di una generale fiducia.
Ed ora qualche parola di politica estera, della quale la trattazione fu scarsa da parte dell’Assemblea. .
Ringrazio l’onorevole Saragat per il suo amichevole atteggiamento in armonia coll’opera preziosa che egli volle concedermi durante l’elaborazione dei Trattato. Una tale cooperazione in difesa degli interessi del Paese ci lascia nell’animo dei vincoli di cameratismo che non vengono annullati dai dissensi politici. Lo si sentì anche nei discorsi degli onorevoli Corbino e Nenni.
Mi è dispiaciuto solo che l’ex-Presidente dell’Assemblea abbia potuto ritenere, a proposito della firma, ch’io volessi trascurare i diritti dell’Assemblea stessa. Essa avrebbe potuto, egli dice, inviare almeno un appello agli altri Parlamenti.
Non so se egli abbia saputo che una analoga proposta ho fatto io stesso nella riunione dei capi gruppo, ma che non fu considerata come fattibile senza ingaggiare ad un tempo una discussione dell’Assemblea che l’avrebbe impegnata sul merito del Trattato.
Devo ripetere qui, nel modo più formale, anche in confronto di altri che hanno sollevato tale dubbio, che la firma è stata data solo con riserva della ratifica dell’Assemblea e ciò risulta già dallo stesso testo delle credenziali dell’Ambasciatore Di Soragna. Ma, poiché i giuristi di qualche Potenza volevano far valere una interpretazione contraria, cioè che l’Assemblea fosse già vincolata con la firma, fu presentata, prima della firma stessa, una dichiarazione possibilmente ancora più esplicita la quale avvertiva che il plenipotenziario italiano era autorizzato ad apporre la sua firma, subordinandola però, come la legge prevede, alla decisione sovrana dell’Assemblea. E di tale dichiarazione il Segretario Generale a Parigi prese atto prima della cerimonia e dopo aver, come pensiamo, consultato le Cancellerie competenti.
Lupi di Soragna aveva l’ordine di rifiutare la firma, qualora non fosse ben chiaro che essa sarebbe condizionata all’approvazione di questa Assemblea.
Siamo ancora in tempo, dunque, di fare l’appello che è formulato in un ordine del giorno che il Governo, naturalmente, per quanto gli spetta, non può che approvare.
Del mio viaggio in America ho inserito nella mia relazione solo alcuni rapidi cenni.
Ne avrei potuto menar vanto, perché, senza dubbio esso fu un successo politico che portò anche alcuni notevoli vantaggi economici, ed altri ne assicurò per l’immediato avvenire. Ma gli avvenimenti incalzavano e, potendosi prevedere una discussione circa il nostro atteggiamento di fronte alla pace, ho voluto evitare che si potesse parlare del viaggio in tale connessione. Ma, poiché l’onorevole Valiani mi ha rimproverato di non aver risposto al brindisi di Byrnes, che i giornali del resto non riferirono esattamente, devo ricordargli che ho evitato di obiettare immediatamente al primo Segretario di Stato americano, di cui ero ospite, ma gli dissi subito che gli avrei risposto pubblicamente a Cleveland. E lo feci con maggiore solennità, in quel discorso che fu trasmesso per radio in tutta l’America, quando, citando il messaggio di un Presidente americano, rilevai che un popolo perde l’onore se aderisce in spirito ad un trattato che non può considerare giusto.
Anzi, a Washington stessa, il giorno seguente a quello del banchetto, nella conferenza stampa all’Ambasciata, smentii recisamente d’aver discussa e contrattata la firma verso concessioni economiche.
Di questa pubblica dichiarazione m’ero dimenticato io stesso; ci pensò un’agenzia fotografica a provarlo, cogliendomi col suo obiettivo nel momento, come l’agenzia stessa attesta, che facevo ai giornalisti la dichiarazione in argomento.
Onorevoli colleghi, l’onorevole Togliatti ha citato il Presidente del Congresso americano Martin; ciò risveglia in me un ricordo personale.
Quando entrai nell’Aula del Congresso americano nella quale erano radunati i Rappresentanti ed i Senatori, mi colpì il fatto che nella tribuna della Presidenza sedevano, l’uno accosto all’altro, i due Presidenti, Martin per i Rappresentanti e Vandenberg per i Senatori. Quando il Presidente democratico della Repubblica fece il suo ingresso, si alzarono democratici e repubblicani applaudendo; quando entrò il Gabinetto democratico si levarono in piedi, fra applausi, tanto i democratici che i repubblicani. Questo senso della continuità e della permanenza dell’istituzione al di sopra del mutare dei Governi e del prevalere dei Partiti, è lo spirito veramente repubblicano, uno spirito cioè universale di tutta la comunità che non conosce parti, ma dà vita all’unità della Nazione. (Vivi applausi al centro e a destra).
Esiste un partito di maggioranza che tiene temporaneamente l’Amministrazione, ma non esiste uno Stato-Partito: ciò avviene perché la comunità non è assorbita e ristretta dal Governo centrale, ma nel decentramento vi ha come una ossatura che protegge i nervi vitali dalla soffocazione e permette il fiorire delle libertà locali e delle libertà associative.
Nell’Ohio i nostri emigrati, che hanno fatto carriera e sono entrati nei Governi dei Comuni o dello Stato, mi dicevano di non saper più capire i violenti conflitti personali che inquinano la vita politica europea. «Qui ci si batte, anche con mezzi spettacolari, durante la campagna elettorale: ma cessata la campagna, torniamo al tavolo comune e la discussione assume veramente un carattere impersonalistico». (Commenti).
Onorevoli colleghi, voi voterete secondo coscienza; ma, comunque voterete, sperò che la mia presenza qui per la terza volta, non attribuirete ad altra ragione che al senso di responsabilità che a me, socio fondatore, per dir così, di questa Repubblica, ha imposto di non disertare, nel momento storico in cui l’Assemblea è chiamata a darle un regime solido, liberò e giusto. (Vivissimi applausi).
Il tempo corre ed i problemi incalzano: ma il primo problema rimane quello di dare alla Repubblica una base solida nei suoi istituti rappresentativi, i quali, superando partiti ed interessi, costituiscano l’espressione politica definitiva della nostra millenaria civiltà.
Seguirà il compito, altrettanto innovatore, di creare una burocrazia imparziale che obbedisca solo alla legge; una magistratura, leale, ma indipendente; Forze armate fedeli al giuramento ed al culto delle virtù militari; Università degne e libere custodi delle nostre tradizioni scientifiche; sindacati che esprimano liberamente, ma disciplinatamente, le aspirazioni e gli impulsi delle forze del lavoro.
Quanto più libero è lo spirito che si respirerà in queste istituzioni autonome, tanto più largo sarà il settore della nostra comunanza, tanto più sicura quella parte di vitalità comune che si svolge al di fuori della lotta quotidiana ed ha carattere superiore e permanente, perché sugge dal terreno della nostra civiltà ed è perciò stesso la res publica che svolge la sua vita sopra di noi e la continua dopo di noi. (Vivissimi applausi).
È negli organi del Lavoro, onorevoli colleghi, sotto questi presidî istituzionali di libertà e di solidarietà, che il popolo italiano, nei Comuni, nelle Regioni, nelle Camere potrà attuare senza scosse eversive o lotte cruente quella riforma economica che è reclamata dalla giustizia sociale. (Vivissimi, prolungati, reiterati applausi).
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Presidente del Consiglio di voler esprimere il suo avviso sui vari ordini del giorno presentati.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. L’ordine del giorno Martino Gaetano sulla ripresa edilizia, sul patrimonio zootecnico, sulla vita degli Istituti di cultura superiore contiene dei postulati che accettiamo come meta e, comunque, come raccomandazione per il nostro lavoro.
Nello stesso senso, non ho difficoltà ad accettare l’ordine del giorno Quintieri Quinto, per una sana politica finanziaria.
Accetto come raccomandazione, che riguarda soprattutto il Ministro della difesa, l’ordine del giorno Cingolani.
Non ho obiezioni Contro l’ordine del giorno Perassi.
Circa il trattamento degli ufficiali invalidi mi sono espresso durante le dichiarazioni, quindi accetto l’ordine del giorno Nobile.
L’ordine del giorno Damiani sul censimento, come postulato generico, lo posso accettare, nel senso che, presto o tardi, il censimento bisognerà attuarlo; però debbo fare i conti con il Ministro del tesoro, in quanto si tratta di un’operazione molto costosa.
L’ordine del giorno Marinaro lo accetto in generale come tendenza, ma non posso accettare il testo così come è formulato.
Ho già dichiarato, per quanto riguarda gli ordini del giorno Colonnetti e Caronia, che il Governo farà tutto il possibile per venire in-contro alle necessità della scuola e dell’alta cultura. Lo stesso si può dire per quanto riguarda la scuola media ed il relativo ordine del giorno presentato dall’onorevole Rescigno.
Farò il possibile per tener presenti i problemi prospettati dall’ordine del giorno Uberti.
Sono convinto della necessità di difendere, ricostituire e far rifiorire l’organizzazione del turismo che è una delle fonti della nostra ripresa economica. Accetto, quindi, l’ordine del giorno Canepa.
Non posso accettare invece l’ordine del giorno Gallo ed altri.
Accetto quello riguardante la cooperazione presentato dall’onorevole Cairo, e altri.
In merito all’ordine del giorno degli onorevoli Rossi Paolo ed altri, spero di presentare entro poche settimane, forse entro pochi giorni, la legge elettorale politica. Non so se potrò mantenere eguale promessa per quella amministrativa: dipenderà dai lavori della Costituente.
Accetto l’ordine del giorno Pallastrelli.
Per quanto riguarda la Sardegna, devo osservare che l’ordine del giorno Mastino Pietro, che ne tratta, riguarda problemi che hanno già preoccupato il Governo e per cui ci sono numerosi progetti concreti. Accetto quindi l’ordine del giorno come raccomandazione.
Circa l’ordine del giorno Tonetti, non vi sarebbero osservazioni da fare, ma l’ispirazione ed il modo con cui è stato svolto gli danno un sapore che non può essere gradito ai membri del Governo.
Accetto, nel senso che ho prima espresso, l’ordine del giorno Parri. Non sono molto informato circa l’Opera nazionale combattenti; mi pare di aver capito, dal discorso dell’onorevole Parri, come egli sia contrario a sottoporre l’Opera a qualsiasi controllo dell’agricoltura; piuttosto preferisce la Presidenza del Consiglio.
PARRI. Il massimo di autonomia.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il massimo di autonomia: su questo siamo d’accordo.
Mi pare che gli ordini del giorno Nenni e Gronchi in materia di politica estera riguardino l’Assemblea e non siano di competenza del Governo. Posso dire la mia opinione come membro dell’Assemblea: affermo che sono accettabili tutti e due; preferirei che si trovasse una formula più adatta ai singoli destinatarî, quando se ne darà concreta espressione attraverso la Presidenza dell’Assemblea.
Non accetto l’ordine del giorno Vigorelli che è di sfiducia.
Accetto l’ordine del giorno a firma Andreotti, Minio e De Michelis e prego che su di esso l’Assemblea esprima il proprio voto.
PRESIDENTE. L’onorevole Presidente del Consiglio ha dichiarato di accettare l’ordine del giorno a firma Andreotti, Minio e De Michelis ed ha chiesto che su di esso si svolga la votazione. Questo ordine del giorno, in quanto pone il problema nella forma più generale, ha la precedenza. Ritengo tuttavia che, per la gravità delle materie che affrontano, per la solennità dell’atto che essi propongono all’Assemblea, sia opportuno – e credo di interpretare l’attesa dei colleghi – porre prima in votazione gli ordini del giorno che si riferiscono ai problemi di carattere internazionale, a quei problemi che hanno rapporto col trattato di pace e con l’atto con cui il Governo ha già proceduto, come è noto all’Assemblea, alla firma, subordinatamente all’approvazione o meno che l’Assemblea concederà.
Due ordini del giorno sono stati presentati dagli onorevoli Nenni e Gronchi, i quali, per la materia e per i motivi cui si richiamano, si integrano a vicenda. Essi propongono all’Assemblea di rivolgersi, con atto i solenne, ai Parlamenti delle Nazioni Unite e, in particolare, di quelle che hanno una influenza decisiva nella soluzione dei problemi internazionali, per far presente quale sia il sentimento e l’animo con cui l’Assemblea Costituente italiana considera e giudica il Trattato di pace.
Proprio per questo, io penso che l’Assemblea debba, per prima cosa, prendere posizione nei confronti degli ordini del giorno dell’onorevole Perassi, che il Presidente del Consiglio ha dichiarato di accettare e di quelli degli onorevoli Nenni e Gronchi, che il Presidente del Consiglio ha riconosciuto essere di competenza dell’Assemblea, indipendentemente dall’opinione del Governo stesso.
Se, pertanto, questa opinione è condivisa dall’Assemblea, pongo a partito per primo l’ordine del giorno a firma Parassi ed altri, del quale faccio dare ancora lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«L’Assemblea Costituente, preso atto delle comunicazioni del Governo sulle condizioni nelle quali è stato firmato il Trattato di pace, afferma che il deposito della ratifica italiana, per la quale è costituzionalmente richiesta l’autorizzazione dell’Assemblea Costituente, costituisce – in conformità alle regole del diritto internazionale – un requisito essenziale per la perfezione e l’entrata in vigore del Trattato».
Perassi, Facchinetti, Conti, Parri, Pacciardi, Bellusci, Martino Enrico, Azzi, La Malfa, Natoli, Della Seta, Sardiello, Camangi, De Mercurio, Santi, Mazzei, De Vita, Bernabei, Dominedò.
PERASSI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. Onorevoli colleghi, io non avevo alcun dubbio che l’onorevole Presidente del Consiglio avrebbe dichiarato di non opporsi, anzi di aderire, a che l’Assemblea Costituente votasse l’ordine del giorno che abbiamo presentato. Mi auguro che l’Assemblea Costituente consacri, con l’autorità di un voto unanime, l’affermazione giuridica che è formulata in questo ordine del giorno. (L’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, generali, reiterati applausi – Il pubblico delle tribune si associa alla manifestazione dell’Assemblea – Si grida: Viva l’Italia!).
Di fronte a questa significativa manifestazione dell’Assemblea, che risponde al mio augurio, rinunzio alla parola.
PRESIDENTE: Prendo atto con compiacimento di questa manifestazione. Pongo ai voti l’ordine del giorno. (Vivissimi, generali, prolungati applausi).
L’ordine del giorno è approvato per acclamazione all’unanimità.
Porrò ora in votazione gli ordini del giorno dell’onorevole Gronchi e dell’onorevole Nenni. Propongo che l’Assemblea esprima il proprio voto con un solo atto sui due documenti, dato che, come ho già sottolineato, essi si integrano vicendevolmente.
(L’Assemblea approva).
Se ne dia di nuovo lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«Il popolo italiano vive oggi, con profonda delusione, il dramma della sua pace, che dalle solenni premesse di giustizia dei «Grandi» si è isterilita in soluzioni, le quali rispecchiano un transitorio faticoso regolamento di interessi dei vincitori, e ritardano – se pur non negano – il ritorno ad una pacifica e solidale convivenza dei popoli.
«La situazione, che ci viene fatta, nei suoi aspetti giuridici, nelle sue conseguenze economiche, nei suoi riflessi morali, non trova alcuna giustificazione storica; il popolo italiano, pur cosciente delle responsabilità derivanti da un orientamento politico e da un regime di Governo, i quali peraltro avevano raccolto molteplici consensi, anche presso i suoi attuali giudici, ha la certezza di essersi riconquistato, con il sacrificio dei suoi figli migliori nelle Forze armate e nelle formazioni partigiane e colla immensa rovina del suo territorio, il diritto di porre fin dai oggi il problema della revisione delle imposte condizioni di pace: problema che è già nella coscienza delle Nazioni amanti della pace.
«E l’Assemblea Costituente, sicura interprete dell’Italia intera, rivolge un appello ai Parlamenti delle Nazioni Unite, affinché le condizioni più dure possano essere fino da ora alleviate, e particolarmente affinché:
1°) non siano mantenute mutilazioni territoriali intollerabili al sentimento nazionale;
2°) venga evitata ogni ingiusta umiliazione all’Esercito e alla Marina che, fedeli alle loro tradizioni di ardimento e di devozione alla Patria, hanno dato così valido contributo alla lotta comune;
3°) non siano imposti oneri economici e finanziari, che determinerebbero condizioni insostenibili per il nostro progresso e per la nostra vita stessa».
Gronchi.
«L’Assemblea Costituente, riservando il suo giudizio sul Trattato di pace in sede di ratifica del Trattato stesso, rivolge alla Camera dei Comuni del Regno Unito, al Parlamento Francese, al Senato Americano, al Soviet Supremo della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche l’invito a voler considerare la situazione creata alla Repubblica Italiana con una pace che urta e lede la coscienza nazionale del popolo italiano; domanda il riconoscimento del principio della procedura democratica della revisione da realizzarsi attraverso pacifici accordi bilaterali fra i paesi interessati e nell’ambito dell’O.N.U.».
Nenni.
PRESIDENTE. Li pongo ai voti.
(L’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, generali, reiterati applausi, cui si associa il pubblico delle tribune).
Constato che anche questi ordini del giorno sono stati approvati per acclamazione, all’unanimità.
La Presidenza eseguirà senza indugio la volontà dell’Assemblea trasmettendo alle Assemblee rappresentative delle Nazioni Unite l’espressione del sentimento manifestato dalla Costituente italiana con la sua votazione. (Vivissimi generali applausi).
Pongo in votazione l’ordine del giorno di fiducia presentato dagli onorevoli Andreotti, Minio e De Michelis, accettato dal Governo:
«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo, le approva e passa all’ordine del giorno».
Avverto che su quest’ordine del giorno è stata chiesta la votazione per appello nominale dai seguenti deputati: Andreotti, Sullo, Cappi, Raimondi, Giacchero, Carbonari, Pat, Salvatore, Perlingieri, Burato, Froggio, De Martino Carmine, D’Amico Diego, Valenti, Guerrieri Emanuele, Colombo, Moro, Corsanego, De Maria, Scoca, Canevari, Lami Starnuti, Paris, Mazzoni, Montemartini, Treves, Persico, Villani, Bianchi Bianca, Tremelloni, Ruggiero, Bennani, Piemonte, Carboni, Canepa, Longhena, Gronchi, Cingolani, Balduzzi, Casati, Volpe, Roselli, Salizzoni, Ermini, Guerrieri Filippo, Proia, Titomanlio Vittoria, Gotelli Angela, Jervolino Maria, Bianchini Laura, Federici Maria, Belotti, Ferrario Celestino.
ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Confesso di trovarmi imbarazzato, quasi per un senso di commettere un’indiscrezione, perché debbo ripetere una dichiarazione di voto che fa riscontro ad un’altra fatta a proposito di un altro voto di fiducia. Dissi allora di rappresentare un gruppo che si riassumeva in me stesso: oggi mi trovo nulla stessa condizione. Ora non v’ha dubbio che questa condizione crei necessità particolari. Il deputato che è iscritto ad un partito ha la giustificazione del suo voto nel fatto che aderisce al pensiero e alle direttive dei suoi capi; coloro, invece, che non sono iscritti a nessun partito, in un certo senso sono obbligati a motivare sempre il loro voto, perché occorre dargli una spiegazione specifica, caso per caso: e ciò, bisogna riconoscerlo, può riescire – come dire? – alquanto ingombrante.
Io non so se la futura Costituzione, se ed in quanto riprodurrà il tripartitismo, non debba negare la funzione di Deputato a chi non sia iscritto ad un partito: sarebbe nella logica pura del nuovo stato di cose. Poiché, ad ogni modo, questa anomalia per ora c’è, vi prego, onorevoli colleghi, di essermi indulgenti: del resto, se vi annoiassi, non risparmiatemi le interruzioni che mi affretterei a capire.
Nel precedente voto cui ho accennato, e che è del 25 luglio 1946, si pose una questione di fiducia di partito nei riguardi della pace, che allora si sperava fosse giusta, e nei riguardi della politica interna; e, per questo, si chiese la votazione per divisione sui due punti, politica internazionale e interna, dell’ordine del giorno di fiducia. Io dichiarai che avrei votato a favore del Governo, sull’uno e sull’altro argomento, perché ritenevo – punto di vista personale, punto di vista del mio gruppo, punto di vista del partito di me stesso – che in quel momento l’Assemblea si dovesse affermare, in maniera assolutamente unitaria, solidale col Governo, in quanto il Governo doveva difendere le ragioni della Patria, mentre ancora poteva sperarsi in un miglioramento delle condizioni del Trattato.
E votai a favore anche sulla politica interna, verso la quale – siccome mi considero, in un certo senso, completamente sorpassato – provo una certa indifferenza, un agnosticismo prudente, rassegnato, modesto. Io non so, ad esempio, che cosa è il tripartitismo. So soltanto che è la forma di Governo di cui usiamo, ma ignoro se sarà pure nella Costituzione futura. Comunque, non è questo il problema che più mi interessa e verso il quale, ripeto, ho una relativa indifferenza.
Sento, invece, profondamente l’altra questione: cioè se l’Italia riconquista, integralmente o no, la sua indipendenza. Ora la questione non si presenta più nei termini del 25 luglio 1946, perché il Trattato, che allora era in formazione, oggi ci è arrivato ed anzi ci è imposto; e quell’unità, che io auspicavo e volevo fosse affermata al di sopra di tutti i partiti, oggi si trova di fronte a un fatto compiuto.
Orbene, in questa Assemblea è avvenuto un fatto curioso: che la discussione sulle dichiarazioni del Governo si è dilungata – e se la parola può sembrare poco rispettosa per gli oratori, dirò si è diffusa – sopra moltissimi argomenti, ma è stata assai limitata sulla politica estera. Si è detto che vi sia stato un accordo di silenzio fra i partiti. Non so se la voce sia esatta; certo, però, la discussione non è stata proporzionata alla formidabile gravità dell’argomento.
Noi abbiamo or ora votato, ed io con un calore, con un entusiasmo non superato da quello di nessun altro, tre ordini del giorno, di cui uno importa un appello dell’Assemblea Costituente italiana alle Assemblee di popoli che si affermano liberi e dicono di voler tutelare la giustizia nei rapporti internazionali. Questo appello ha un alto contenuto; tuttavia, non ho compreso, e me ne scusi l’onorevole Presidente del Consiglio (anche qui, sono un sorpassato) perché il Governo ritenga che la cosa appartiene esclusivamente all’Assemblea, come se il Governo dall’Assemblea si fosse estraniato.
Qui sorgerebbe il problema – che non è stato neppure sfiorato nella discussione – dell’organo sovrano competente per sottoscrivere questa pace. Vige ancora lo Statuto albertino, secondo il quale per i trattati, che importassero cessioni di territorio, si impegnava sempre il Capo dello Stato, salvo la ratifica del Parlamento; o il nostro è, invece, un momento storicamente di rivoluzione e quindi di assoluta vacatio statutaria?
E l’Assemblea, questa Assemblea Costituente, che non può certo confondersi col vecchio Parlamento – non so del futuro – è essa stessa l’organo immediato e sovrano, così da far pensare, onorevole Togliatti, al Commissario del popolo; e in tal caso avrebbe dovuto l’Assemblea nominare, essa, un suo rappresentante cui affidare le credenziali occorrenti alla firma?
Badate, è una questione che mi limito ad accennare. È stato l’atteggiamento del Governo a richiamarla alla mia mente; perché, se esso crede che, come Governo, questa competenza non lo riguardi, e riguardi, invece, l’Assemblea, allora ciò significherebbe che l’Assemblea ha un suo potere diretto ed esclusivo nei rapporti di carattere internazionale. E in questo caso, non avrei niente in contrario che si creasse Commissario del popolo anche lo stesso onorevole De Gasperi o l’onorevole Sforza…
Ma io mi accorgo di oltrepassare i limiti di una motivazione di voto e, da antico Presidente dell’Assemblea, mi auto-richiamo all’ordine. In sostanza, volevo solo dire che, come nel precedente voto, anche oggi io subordino tutto alla questione di politica estera; ma se questa volta dessi un voto favorevole, pregiudicherei il giudizio futuro, visto che discussione non c’è stata. Per la stessa ragione, tuttavia, non ho neanche motivo di disapprovare; e allora non v’è che la via di uscita dell’astensione, se pure questo voto abbia l’inconveniente di richiamare il motto del marchese Colombo, di restare, cioè, fra il sì ed il no, del parere contrario.
Spero, in ogni modo, che le dichiarazioni fatte ne abbiano resa chiara la ragione. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Cianca. Ne ha facoltà.
CIANCA. L’onorevole De Gasperi ha giustamente posto in rilievo che il dibattito è stato lungo; tuttavia, noi dobbiamo confessare che, anche attraverso questo lungo dibattito, non sono state sufficientemente chiarite le ragioni profonde – non le ragioni accidentali – che hanno determinato, all’infuori di ogni intervento della nostra Assemblea, la crisi governativa, per effetto della quale alla vecchia compagine si è sostituita una nuova formazione, la cui caratteristica essenziale è di accentuare la preminenza della Democrazia cristiana nella direzione della cosa pubblica.
È stato d’altronde dimostrato, dai nostri e dagli altri oratori, come il programma del Governo, la cui attuazione urterà contro il giuoco meccanico dei contrasti interni della coalizione, appaia troppo generico nella sua parte economica e sociale e non privo di ambiguità nella sua parte politica.
In verità, l’onorevole De Gasperi ha esaltato la conquista repubblicana; ma egli mi permetterà di dirgli che nessun atto politico è stato finora compiuto da questo Governo per la difesa della Repubblica. E mi domando quale documento dell’ultima ora potrà giustificare la scandalosa permanenza del Procuratore generale Pilotti al vertice dell’ordine giudiziario. (Applausi a sinistra – Commenti).
E, per quanto riguarda il campo economico sociale, noi ci domandiamo con legittimo timore se i soli provvedimenti governativi, che indicano delle tendenze innovatrici… (Rumori – Segni di impazienza al centro). (Mi Stupisco di certe impazienze, che non rivelano del resto se non una insufficiente profondità di convinzioni) …quelli sui consigli di gestione e per la riforma agraria, non appaiano fin d’ora condannati ad essere svigoriti o rinviati.
Trovandoci così di fronte ad una situazione che non muta, se non in senso peggiorativo la situazione del Governo precedente, ragioni di coerenza non soltanto formale ci impongono di assumere oggi, come allora, atteggiamento di opposizione: opposizione democratica dettata da motivi e volta a fini antitetici a quelli cui si ispira l’opposizione delle destre.
Aggiungiamo che tra i fattori di questo nostro atteggiamento entrano anche le preoccupazioni suscitate in noi dalle accuse che in quest’aula sono state sollevate nel campo morale.
Siamo avversi allo scandalismo quando sia strumento di passione partigiana, ma affermiamo che supremo interesse e dovere primo della democrazia repubblicana è di salvaguardare la dignità e il prestigio delle istituzioni rappresentative.
L’onorevole De Gasperi ci consenta di dirgli, col più profondo rispetto, che su questo punto avremmo desiderato da lui dichiarazioni più complete e tranquillanti.
Convinto che solo un Governo omogeneo delle sinistre democratiche potrà difendere la Repubblica e attuare quelle forme di struttura che la situazione economica e sociale del Paese rende nello stesso tempo possibili e inderogabili, il gruppo autonomista, nel cui nome ho l’onore di parlare, voterà contro l’ordine del giorno accettato dal Governo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Vigorelli. Ne ha facoltà.
VIGORELLI. Il Gruppo parlamentare del Partito Socialista dei lavoratori italiani voterà contro la fiducia al Governo. E per la. prima volta accomunerà così il proprio voto col voto degli altri partiti della sinistra. (Commenti).
Voce al centro: E della destra si è dimenticato? (Commenti – Si ride).
VIGORELLI. Nessuno vorrà sorprendersi per l’atteggiamento del nostro partito, che è sorto col fermo proposito di chiarire la situazione politica, di uscire fuori dalle convenzioni e dai compromessi, di negare l’abilità dei doppi giochi e delle ambiguità sulle quali nessuno può durevolmente costruire.
Il Partito Socialista dei lavoratori italiani vuol ricondurre il Paese, i lavoratori italiani che sono del Paese la sola forza viva, sulle vie maestre del socialismo, cioè della democrazia e della dignità umana che conducono al socialismo.
Questa – in cui, per ora viviamo – democrazia, illusoria e convenzionale ci dà, sì, una successione di Governi sostanzialmente uniformi e sempre più staccati e lontani dalla vita del Paese, ma non è ancora la democrazia vera e durevole. Ben oltre la volontà degli uomini, che in buona fede vi si adoperano, essa può prepararci delusioni e amarezze per l’avvenire!
Per questo, soltanto chi fosse deliberato a non vedere l’evidenza potrebbe confondere la nostra opposizione con quella che al Governo viene dai banchi delle destre.
Tutte le volte che saremo chiamati a votare qui dentro le più severe misure per il consolidamento della Repubblica, o i provvedimenti più decisamente progressivi a favore della classe lavoratrice; tutte le volte che qui dentro, o fuori di qui, noi potremo ricomporre nell’azione quella unità dei lavoratori, nella quale riconosciamo il mezzo più efficace per combattere e debellare le nostalgiche speranze dei monarchici e dei reazionari, ebbene, tutte quelle volte, i nostri compagni degli altri partiti che seggono con noi sui questi stessi banchi della estrema sinistra sanno che i nostri voti si confonderanno con i loro. (Commenti a destra).
Non però, per puntellare un Governo predestinato all’impotenza; e non soltanto all’impotenza quanto ai piani della ricostruzione nazionale (che pure – dopo due anni dalla liberazione – gli italiani avrebbero avuto il diritto di conoscere), e quanto all’attuazione di quelle provvidenze urgenti ed improrogabili, senza le quali il Paese ha la legittima impressione di essere abbandonato a se stesso, sicché ogni giorno più, dà segni di sfiducia e di diffidenza verso gli uomini di Governo.
Quali siano questi provvedimenti di urgenza, abbiamo riassunto nell’ordine del giorno dai noi presentato: sonò molti e gravi…
PRESIDENTE. Onorevole Vigorelli, la prego di esporre in modo succinto i motivi del suo voto.
VIGORELLI …tant’è che la semplice loro elencazione, ha suscitato la vostra impazienza. Pure molti sono i Ministri e i Sottosegretari, e molti i Dicasteri e gli uffici, che debbono dedicarsi – secondo le competenze rispettive – all’esame ed alla soluzione di ciascuno di quei problemi.
Per parte nostra, non ne disconosciamo l’imponenza – né disconosciamo lo sforzo di dedizione e di sacrificio che essi impongono. Ma pensiamo che simili problemi non potranno trovare soluzione ad opera di un Governo che nasce senza neppure il credito dei partiti che lo compongono, e che sarà, quindi, costretto a trascinarsi tra espedienti e compromessi, finché all’onorevole De Gasperi non piaccia di provocarne, una volta ancora, la fine!
Questi i motivi dei voto contrario, che noi daremo non senza amarezza: perché, nell’ora tragica che volge – al di sopra di tutte le divisioni ideologiche, molto al di sopra di tutte le ambizioni e di tutti gli interessi di parte – noi siamo sensibili soprattutto ai bisogni e alle sofferenze del popolo italiano: e quei bisogni vorremmo che fossero appagati, e quelle sofferenze lenite.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Lucifero. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Onorevoli colleghi, io parlo dal banco degli appestati; da quella tale destra con la quale voi non volete confondervi, ma che pure vi ha preceduto in una posizione di opposizione, e che oggi le circostanze vi impongono di seguire, perché, ad un certo momento, l’amor di Patria e la preoccupazione per la Patria vanno al di là delle posizioni tipografiche dell’emiciclo parlamentare.
Ad ogni modo, per me una dichiarazione di voto non è un atto polemico; è semplicemente un giudizio che si formula sopra una situazione e sopra un programma.
Noi fummo contrari al precedente Governo; è logico, pertanto, che siamo contrari a questo, che ne è una continuazione assottigliata.
L’onorevole De Gasperi ha parlato di due cose: ha parlato di allargamento del Governo, nelle sue intenzioni, che è diventato restringimento (chiedo scusa del termine clinico) nei fatti. Ha parlato di maggiore efficienza del Governo.
Io ho dei buoni motivi per ritenere – e l’onorevole De Gasperi sa a cosa mi riferisco – che maggiore efficienza non ci sia. Mi auguro che venga ed in quel caso sarò il primo a darne atto.
Come programma è quello di prima. Confesso che come programma avrei preferito l’ordine del giorno Vigorelli; è un po’ più lungo, ma però più esplicito e sodisfacente. La verità è che programma non c’è. La verità è che anche in questa discussione sono venuti fuori elementi che non possono non destare preoccupazioni. Non mi riferisco alle questioni di indole morale che sono state qui sollevate e che riguardano, per me, soprattutto le singole coscienze delle persone che possono essere state giustamente o ingiustamente accusate. Questo ognuno se lo regola da sé per quello che è fatto personale; ma per il Governo indubbiamente, finché tutto non sarà chiarito, vi è un’ombra; che noi siamo convinti sarà chiarita, così come è nostro desiderio di deputati, di colleghi di questi Ministri, e soprattutto di democratici d’Italia.
Però vi sono alcune dichiarazioni che hanno pienamente giustificata la non voluta partecipazione liberale a questo Governo. L’onorevole Togliatti vi ha fatto cenno, e anche altri. Sì, onorevole Togliatti, noi non abbiamo ritenuto di poter partecipare ad un Governo che non desse quelle garanzie di omogeneità che consideriamo in un modo diverso da lei. Lei vede una specie di omogeneità numerica scaturita da certe indicazioni di cifre del corpo elettorale. Questa è una omogeneità parlamentare; ma per noi l’omogeneità governativa è di altro genere: è l’omogeneità di intenzioni, di programmi e di metodi. Fra noi e voi questa omogeneità non ci poteva essere. L’unico atto di collaborazione che noi potevamo fare con l’onorevole De Gasperi era quello di non creargli una maggiore confusione in seno alla compagine ministeriale. Ma appunto per queste ragioni noi non possiamo avere fiducia in un Governo che per l’ennesima volta trasporta nel suo seno quella dialettica che dovrebbe essere prestigio e peculiare proprietà del Parlamento, e per cui certe volte nel Governo si combattono quelle battaglie che si dovrebbero combattere qui; e forse per questo tante battaglie fin qui non arrivano.
Né gli accenni alle limitazioni della libertà di stampa, alle leggi sul confino e a simili provvedimenti possono a noi liberali dare affidamento per l’avvenire.
E finalmente, sia detto senza offesa, con dolore e con pieno senso di responsabilità, noi – pure avendo votato l’ordine del giorno Perassi, pur avendo apprezzato i motivi addotti dal Presidente dei Consiglio – non ci sentiamo – noi che se fossimo stati al Governo, avremmo assunto ben diverse responsabilità – di dare il nostro voto al Governo che ha firmato il Trattato di Parigi. (Approvazioni a destra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Sardiello. Ne ha facoltà.
S RDIELLO. Il Gruppo parlamentare repubblicano dichiara di votare contro la politica del Governo. Non deve parere un paradosso, se affermiamo che il movente di questa decisione è lo stesso di quello che ci ha indotti a partecipare al precedente Governo. L’una e l’altra determinazione sono state ispirate per noi dal desiderio e dal dovere di collaborare al consolidamento e alla difesa delle istituzioni repubblicane, che sono oggi il consolidamente e la difesa della vita nazionale. E abbiamo a questo fine presentato precise richieste, concreti programmi; abbiamo additato precisi problemi. Su questi abbiamo avuto delle promesse, ed i nostri uomini sono andati per questo al Governo.
Noi non facciamo, illustre Presidente del Consiglio, recriminazioni contro i nostri uomini. Noi, forti di quelle promesse, e della fede che la Repubblica avrebbe avuto il suo potenziamento e la sua difesa, abbiamo dato i nostri uomini. Ma abbiamo dovuto constatare che mancava nella compagine ministeriale quello spirito saldo ed unitario che è elemento essenziale per affrontare i gravi problemi che rispondono alle supreme esigenze nazionali. Così, il Partito Repubblicano ha lasciato i suoi posti nel Governo.
Ora, nel discorso dell’onorevole Presidente del Consiglio sulle comunicazioni del Governo abbiamo dovuto constatare il silenzio assoluto su quei problemi. Pareva oggi che il silenzio stesse per rompersi, ma l’onorevole De Gasperi, nel suo discorso odierno, si appagò soltanto di vestirlo di un paludamento sentimentale.
Noi dobbiamo dunque in questa situazione di cose votare contro la politica interna del Governo. È chiaro però che toglierò all’onorevole Lucifero la sodisfazione di poter pensare che abbia preceduto anche i repubblicani: tanto diverso dal suo è il motivo della nostra opposizione. È chiaro che, muovendo da questi presupposti programmatici e di idee, la nostra opposizione non si confonde con altre diversamente ispirate o – più ancora – che sono fine a se stesse. Dirò anzi, che il nostro voto contrario è accompagnato dall’augurio sincero, profondo e sentito, che da questi banchi ci sia ancora possibile collaborare col Governo se questo, valutando le necessità nazionali con maggiore aderenza alla realtà, con più profonda sensibilità, affronterà i più urgenti problemi politici, economici, finanziari e sociali, dai quali dipendono la ricostruzione ed il rinnovamento morale della vita nazionale. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Selvaggi. Ne ha facoltà.
SELVAGGI. Onorevoli colleghi, sarò brevissimo, perché per dire che si vota contro il Governo bastano pochissime parole.
Tuttavia nel giustificare per sommi capi questa posizione del mio gruppo, dirò che il Governo precedente non ha saputo svolgere e realizzare quel programma che si era prefisso, e noi abbiamo ben ragione di ritenere che anche il nuovo Governo De Gasperi non riuscirà a realizzare il programma prefisso.
Oltre a tutto noi siamo molto sensibili al problema della politica estera e non riteniamo che la politica estera sia stata svolta e sviluppata con quella sensibilità e quella energia che avrebbe dovuto richiedere. Soprattutto noi temiamo che manchi a questo Governo ogni solidarietà, la quale in un certo senso è sinonimo di omogeneità, e qui, perdonatemi la frase, vediamo di nuovo insieme il diavolo e l’acqua santa. (Commenti). Tuttavia noi, onestamente e lealmente, formuliamo l’augurio che l’onorevole De Gasperi riesca a porre almeno le basi della ricostruzione morale e materiale del nostro Paese ed in questo ci troverà sempre consenzienti e favorevoli. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO APRILE. Nel mio discorso di alcuni giorni fa, signori deputati, voi avete ascoltato l’esposizione delle ragioni per le quali noi indipendentisti siciliani siamo contro il Governo presieduto dall’onorevole De Gasperi. Noi esprimemmo varie ragioni in materia di politica estera, di politica interna, di politica economica. Oggi, nell’immediatezza del voto politico, desideriamo aggiungere due altre ragioni del nostro profondo ed irriducibile dissenso: la prima è una ragione di ordine particolare, la seconda di ordine generale.
La prima è questa: il Capo del Governo non si è degnato di dire una sola parola per la nostra amata terra di Sicilia. (Commenti).
Non l’ha detta mai il Capo del Governo questa parola: l’altra volta promise molto vagamente che si sarebbe occupato della Sicilia; oggi noi siamo nelle stesse condizioni di prima.
Ma il Capo del Governo, evidentemente, non conosce le condizioni della Sicilia, condizioni veramente preoccupanti, condizioni di disagio, di miseria, di fame.
In Sicilia abbiamo un uomo degnissimo, l’Alto Commissario Selvaggi. Io lo ricordo a particolare titolo di onore, perché si è dedicato con vera passione ai problemi siciliani con il proposito di avviarli a soluzione. Tutti in Sicilia lo amano e lo stimano. Io, poi, ho un particolare motivo di gratitudine, perché Giovanni Selvaggi assunse la mia difesa dinanzi al Consiglio di Stato, quando un piccolo visir da operetta fu mandato da voi su quei banchi… (Interruzioni dell’onorevole Parri – Scambio di vivaci apostrofi fra gli onorevoli Finocchiaro Aprile e Parri – Richiami del Presidente).
L’Alto Commissario ha informato parecchie volte il Governo sulla situazione siciliana: egli non può andare avanti.
La disoccupazione è spaventosa nell’Isola. Voi avete stanziati molti fondi: avete stanziato 30 e più miliardi di lire per l’elettrificazione, 8 miliardi di lire per lavori pubblici, ma in Sicilia non arriva un soldo e ancora non si dà un colpo di piccose.
Questo è molto spiacevole, onorevole Presidente del Consiglio. Badate che il popolo siciliano è arrivato ad un punto tale di esasperazione, per cui potrebbe venire a decisioni molto gravi! (Vive proteste – Interruzioni dell’onorevole Parri – Invettive dell’onorevole Finocchiaro Aprile contro l’onorevole Parri).
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, quando io la interrompo, la prego di sospendere il suo discorso. Ella ha adoperato una espressione verso un suo collega che è assolutamente inammissibile! (Vivissimi applausi). Io la richiamo all’ordine.
FINOCCHIARO APRILE. Mi ha internato per sette mesi a Ponza, applicando una legge fascista. (Interruzioni – Vive protesse).
PARRI. Venduto agli americani! (Rumori vivissimi – Commenti).
FINOCCHIARO APRILE. È lei venduto alla Banca commerciale e alla Edison! (Vivissimi rumori – Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Parri, mi permetto farle osservare che lei si sottrae alla disciplina dell’Assemblea. Mi pare che proprio per tutelare lei ho richiamato formalmente l’onorevole Finocchiaro Aprile.
La prego, quindi, di sedere e permettere all’onorevole Finocchiaro Aprile di parlare, salvo che l’onorevole Finocchiaro Aprile per una terza volta non adoperi un eloquio del genere di quello che abbiamo ascoltato.
FINOCCHIARO APRILE. L’altra ragione della nostra decisa opposizione al Governo dell’onorevole De Gasperi è, come dicevo, una ragione di ordine generale. Qualche giorno fa sono state sollevate in quest’Aule accuse molto gravi riguardanti alcuni membri democratici cristiani dell’Assemblea e riguardanti, soprattutto, qualche membro del Governo. E, giustamente, poco fa è stato rilevato che da parte del Capo del Governo non si è accennato a questa questione morale che investe tutto il Gabinetto. Dichiarai che il Ministro Vanoni nella sua attività…
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, mi permetto ricordarle che ella sta facendo una dichiarazione di voto, nel corso della quale ella non ha il diritto di entrare nel merito della discussione.
FINOCCHIARO APRILE. Il Capo del Governo non si è occupato di questo argomento e io ho il diritto di rimproverargli ciò.
PRESIDENTE. Non le è consentito entrare nel merito.
FINOCCHIARO APRILE. Però il Capo del Governo aveva il dovere di venire dinanzi all’Assemblea e dimostrare che il Ministro Vanoni sta degnamente al suo posto. Noi questo non lo crediamo; il Ministro Vanoni è sotto inchiesta da parte della Commissione che esaminerà la sua attività. (Commenti). Ora questa attività non è soltanto quella che ho denunciata, ma riguarda tutta la sua gestione scandalosa della Banca d’agricoltura.
Per quanto riguarda il Ministro Campilli, l’onorevole Presidente del Consiglio ci è venuto a recitare una dichiarazione preparata dal Ministro stesso. Ora, io confermo pienamente quello che dissi in quest’Aula: il direttore generale Ventura…
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, se ha da dire qualche cosa sa che esiste una Commissione nominata dall’Assemblea a questo scopo. Mi permetto di osservare che l’onorevole Presidente del Consiglio ha dimostrato, se mai, deferenza verso l’Assemblea che ha nominato una Commissione, non anticipando giudizi che sono deferiti alla Commissione stessa. La prego di comportarsi nello stesso modo. (Vivissimi applausi).
FINOCCHIARO APRILE. Dico soltanto, ed ho finito, che delle due l’una: o il Ministro Campilli è un disonesto ed egli non può rimanere a quel posto, o il Ministro Campilli e un inetto e non può rimanere ugualmente a quel posto. (Interruzioni – Rumori).
Dichiaro che il nostro voto sarà contro il Ministero De Gasperi, perché esso non risponde a quei requisiti di moralità che sono necessari per governare il Paese. (Commenti – Rumori al centro).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.
NITTI. Stimo inutile dichiarare che nessuno dei miei amici crede che io voterò la fiducia al Governo. I motivi della mia diffidenza non sono diminuiti: sono aumentati. L’onorevole De Gasperi, di cui riconosco volentieri il fervore e la buona volontà, ha oggi cercato di dissipare le incertezze del nostro animo: non le ha dissipate. Il suo discorso, se mi permette, le ha anzi aumentate, perché egli non ha pronunciato una sola parola rassicuratrice. Dobbiamo temere danni immediati: abbiamo dinanzi le ansie di pericoli gravissimi, le ansie di pericoli che si prospetteranno fra uno o due anni e che possono solo essere evitati o mitigati da una saggia opera di Governo. L’onorevole De Gasperi non ha detto nulla.
Avremo domani stesso, o fra quindici giorni, una situazione monetaria che bisogna considerare da ora ed affrontare. L’onorevole De Gasperi non ne ha parlato; avrebbe forse dovuto parlarne il Ministro del tesoro, ma nessuna parola rassicuratrice ci è venuta invece nemmeno da lui. Abbiamo ansie di ogni natura e grave è la situazione economica. Siamo inquieti sulla situazione industriale. Si lavora in Italia sempre con difficoltà; non è solo la disoccupazione che aumenta, è il costo del lavoro. Ormai l’Italia non è più un Paese che produce a buon mercato; è un Paese per cui ogni esportazione diventerà, se non impossibile, molto difficile. Che cosa ci ha detto il Governo? Noi dobbiamo dunque attendere dal Governo non parole vaghe, ma un’opera e un’azione che diano al pubblico la fiducia. Io sono contrario a tutto ciò che è violenza; io non credo che si possano imporre, con la legge e con atti di Governo, cose che non sono nella realtà. Noi dobbiamo vivere nella realtà.
Non desideriamo che dinanzi al dramma della realtà si rimanga nel vuoto di promesse e affidamenti internazionali. Quale è il programma? Quali sono i propositi dell’onorevole De Gasperi per il prossimo avvenire? Un programma non basta: ogni uomo può fare programmi; bisogna dire quali mezzi e quali procedure si intendono seguire. Ora per tutti questi problemi immediati angosciosi per il nostro avvenire, nessuna parola rassicuratrice abbiamo avuto. Nessuna passione politica mi fa velo; dichiaro che non so nulla dei partiti né dei Governi che qui si uniscono, si fanno e si disfanno spesso come neve al sole. Io ho paura delle crisi; non ho spinto mai a votare per provocare una crisi; una triste esperienza da quando sono qua mi dice che una crisi conduce sempre a un Governo peggiore del precedente, a un Governo più numeroso, meno tecnico e meno forte, a un Governo soprattutto non capace di soluzioni vere. Non desidero quindi le crisi, fin quando le fonti del potere sono le stesse: partiti politici che vivono e si paralizzano a vicenda in ogni opera di costituzione.
Se voto contro questo Governo, è perché non l’ho trovato migliore del precedente, contro cui già votai, e forse l’ho trovato peggiore e meno efficiente. Nel mio pensiero non vi è il desiderio di crisi, ma quello di richiamare alla realtà e di invitare le forze politiche del Paese ad andare verso situazioni che ci rendano la vita possibile.
L’onorevole Togliatti ha fatto un interessante discorso di politica costituzionale presente e avvenire, parlandoci del tripartitismo come di una necessità presente ed avvenire e della democrazia progressiva. Io non ho ben capito e non so come si possa formare una democrazia progressiva in queste condizioni. Ma l’onorevole Togliatti è un uomo di intelligenza talmente fine che ci darà il modo, nelle prossime sedute, di discutere questi che sono problemi vitali anche dal punto di vista politico.
L’onorevole De Gasperi, in uno dei suoi ultimi discorsi, ha detto con bontà verso di me di avere accolto tutte le cose che io avevo detto e che parevano malignità o motti di spirito. Io avevo detto all’onorevole De Gasperi di dare egli stesso l’esempio di sani propositi rinunziando a tutte le cariche non necessarie, compresa quella della direzione del suo partito, e di non pensare che alla coordinazione delle forze per dare al Governo efficienza. L’onorevole De Gasperi mi ha usato la bontà di dire che egli aveva accolto questi suggerimenti. Ed io ne lo ringrazio. Ma purtroppo molti di questi suggerimenti sono stati accolti troppo tardi, e non si è potuto avere dalla sua rinunzia quella efficienza di Governo che era necessaria.
Ora io chiedo all’onorevole De Gasperi che dia la sensazione di una qualche efficienza del suo Governo. Tutti questi suoi discorsi, ed anche quello di oggi, hanno qualche cosa di triste. (Commenti). Vi è come l’impressione, nell’Assemblea, che egli non abbia affrontato con volontà la situazione. Io non ho compreso ancora che cosa il Governo vuole fare, né nella politica finanziaria, né in quella economica, né nella politica interna: neppure nella politica interna, perché questa democrazia progressiva che si basa su due partiti e che è una democrazia di una natura particolare – l’onorevole Togliatti l’ha prospettata non solo come cosa del momento attuale, ma anche come cosa che deve illuminare l’avvenire – non ha offerto, così come esposta, la possibilità di essere compresa. L’onorevole Togliatti discuterà con noi questi problemi. Sono questi problemi che si discutono nelle assemblee, anche se determinano contrasti e se producono frizioni. Queste discussioni sono soprattutto necessarie di fronte al pubblico, al quale noi dobbiamo presentarci come una Assemblea cosciente e come un Governo efficiente. Ed il giudizio del pubblico non mi pare sia oggi favorevole a noi. Non ci illudiamo: alcune manifestazioni chiare ci dicono che l’opinione pubblica non è favorevole al Governo, e anche non è favorevole all’Assemblea nostra. Tutto l’edifizio che ci ospita e in cui viviamo è minacciato. Non vi è certezza in alcuna cosa né nell’ordine pubblico, né nella moneta, né nel credito, né nella produzione. Noi dobbiamo sapere dove andiamo, su quali forze possiamo contare, quale è il programma che ci deve guidare, con quali metodi e con quali forze possiamo attuarlo. Il Governo rimane in un ottimismo indeterminato.
Noi dobbiamo riconquistare la fiducia del pubblico. È una volontà d’azione che vogliamo. Io non ho desiderio, io non ho volontà, di togliere il posto a nessuno. (Commenti). Nessuno può rimproverare a me di aver partecipato una volta sola, in alcun modo, a combinazioni di Governo o a movimenti di partito. Queste cose mi sono state sempre indifferenti. L’onorevole De Gasperi, mi dispiace il dirlo, non ha dato la sensazione di volontà né di energia per riconquistare la fiducia della pubblica opinione al Governo ed all’Assemblea; non ha dato una sola manifestazione di forza in quest’ora in cui tutto sembra si sgretoli, ora che è più necessario mantenere il nostro prestigio, e quindi avere efficacia nell’azione, come saldezza e fierezza nei propositi. Io auguro che l’onorevole De Gasperi possa dire domani ciò che non ha detto oggi, ma oggi nulla mi autorizza ad aver fiducia e tanto meno a dichiararla. (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Cevolotto. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO. Il Gruppo democratico del lavoro voterà contro il Governo, perché le dichiarazioni del Presidente del Consiglio non hanno potuto modificare la nostra posizione, la quale posizione è quella degli altri partiti della sinistra democratica. Io sono lieto che quella unione di partiti della sinistra democratica, che hanno auspicato l’onorevole Molè e l’onorevole Pacciardi, trovi la sua conferma spontanea nei fatti e nella situazione politica e parlamentare. Noi però ci auguriamo che il Governo attuale riesca a superare le due correnti, le due anime che lo dividono, riesca ad unificarsi e possa, non dico attuare, ma avviare il Paese, verso quelle grandi riforme democratiche e sociali che sono necessarie e urgenti. In questo caso non ci troverà più oppositori. (Approvazioni).
Voci. Ai voti! Ai voti!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Cingolani. Ne ha facoltà.
CINGOLANI. Cari colleghi siate pazienti, perché ho da esercitare il mio diritto e compiere il mio dovere. Farò una brevissima dichiarazione. Devo dire che noi voteremo a favore del Governo. Voteremo a favore del Governo per lo spirito del quale il Governo è informato e per il programma e per il dettaglio del programma che è stato esposto, nel suo discorso, dal Presidente del Consiglio. Voteremo a favore soprattutto per la rispondenza del Governo ad una maggioranza parlamentare qualificata che, piaccia o non piaccia, risponde allo stato politico attuale dell’Italia, ad una maggioranza che esiste nel Paese. (Commenti). Non possiamo aver fatto finta di non avere compreso le dichiarazioni fatte dai rappresentanti dei tre Partiti democratici di opposizione, auspicanti la formazione di un Governo espressione delle sinistre democratiche.
In Italia ci siamo ancora noi come forze vive e democratiche rispondenti alle aspirazioni del Paese, oggi, e ci auguriamo anche nel domani; e senza di noi non si potranno fare governi nel nostro Paese.
Dico soltanto all’onorevole Finocchiaro Aprile, che, come al solito, rimastica…
PRESIDENTE. Onorevole Cingolani, nelle dichiarazioni di voto non si risponde.
CINGOLANI. Allora non vi è che da attendere l’opera del Comitato parlamentare per le incompatibilità. Ma non posso non sottolineare, concludendo, che è assurdo parlare di una questione morale per il nostro Governo. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Si proceda alla votazione per appello nominale.
Estraggo il nome del deputato dal quale avrà inizio la votazione. Il deputato è l’onorevole Novella. Si faccia la chiama.
RICCIO, Segretario, fa la chiama:
Rispondono sì:
Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Arcangelo – Assennato.
Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando –Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni –Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bonomi Ivanoe – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.
Cacciatore – Caccuri – Caiati – Caldera – Campilli – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappuggi – Caprani – Carbonari – Carignani – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chieffi – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Corbi – Corsanego – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo.
Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – Dugoni.
Ermini.
Fabriani – Faccio – Falchi – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.
Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchèro – Giacometti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.
Iotti Leonilde.
Jacini – Jervolino.
Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Lopardi – Lozza – Lupis.
Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa –Matteotti Carlo – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Micheli – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Moro – Mortati – Motolese – Mùrdaca – Murgia – Musotto.
Nenni – Nobile Umberto – Nobili Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.
Orlando Camillo.
Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paratore – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Perlingieri – Pertini Sandro – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Priolo – Proia – Pucci.
Quarello.
Raimondi – Ravagnan – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.
Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Secchia – Segni – Sereni – Sforza – Silipo – Spano – Stampacchia – Storchi – Sullo Fiorentino.
Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini – Turco.
Uberti.
Valenti – Valmarana – Vanoni – Viale – Vicentini – Vigna – Vinciguerra – Volpe.
Zaccagnini – Zappetti – Zotta.
Rispondono no:
Abozzi – Azzi.
Basile – Bassano – Bellavista – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bennani – Bergamini – Bernabei – Bianchi Bianca – Binni – Bocconi – Bonino – Bozzi – Buonocore.
Calosso – Camangi – Canepa – Canevari – Capua – Cevolotto – Chiaramello – Chiostergi – Cianca – Cicerone – Cifaldi – Codignola – Colonna di Paliano – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Corbino – Corsi – Cortese – Covelli – Crispo.
D’Aragona – Della Seta – De Mercurio – De Vita.
Fabbri – Facchinetti – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Foa.
Galioto – Gallo – Ghidini – Grassi – Grilli.
La Malfa – Longhena – Lucifero.
Marina Mario – Marinaro – Martino Enrico – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mazza – Mazzoni – Miccolis – Molè – Montemartini.
Nitti.
Paolucci – Paris – Parri – Patricolo – Pera – Perassi – Persico – Perugi –Piemonte – Preti – Preziosi – Puoti.
Reale Vito – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggiero Carlo. .
Salerno – Santi – Saragat – Sardiello – Schiavetti – Selvaggi – Silone – Spallicci.
Tieri Vincenzo – Tremelloni – Treves – Tumminelli.
Valiani – Vallone – Venditti – Veroni – Vigorelli – Villani.
Zagari – Zanardi – Zuccarini.
Si è astenuto:
Orlando Vittorio Emanuele.PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.
(Gli onorevoli Segretari procedono al compiuto dei voti).
Passiamo intanto all’esame degli altri ordini del giorno presentati.
L’onorevole Presidente del Consiglio ha dichiarato di accettare come raccomandazione, come incitamento o come indicazione gli ordini del giorno degli onorevoli Martino Gaetano, Quintieri Quinto, Cingolani, Nobile, Damiani, Marinaro, Uberti, Colonnetti, Caronia, Rescigno, Canepa, Cairo, Rossi Paolo, Pallastrelli, Mastino Pietro, Parri.
Penso che gli onorevoli colleghi che li hanno presentati non vorranno insistere per mantenerli.
(Gli ordini del giorno sono ritirati).
L’onorevole Presidente del Consiglio, ha dichiarato di non accettare gli ordini del giorno degli onorevoli Gallo, Tonetti e Vigorelli.
Chiedo ai presentatori di questi tre ordini del giorno se intendano mantenerli.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Gallo. Ne ha facoltà.
GALLO. Devo dichiarare che, non avendo il Governo accettato il mio ordine del giorno col quale si chiede la nomina di una Commissione di inchiesta, io non posso se non pensare che il Governo sottoscrive tutto quello che ho denunciato, cioè il Governo, accetta che continuino le sevizie.
Comunque, mantengo il mio ordine del giorno.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Gallo, Finocchiaro Aprile, Castrogiovanni e non accettato dal Governo:
«L’Assemblea Costituente,
constatato che, ripetutamente, sono stati denunziati al Paese i sistemi di tortura e di sevizie adottati dagli organi della polizia per strappare dichiarazioni e confessioni ai prevenuti, sistemi seguiti sempre in Sicilia e che si continua ancora oggi a seguire, anche sulle persone degli indipendentisti tratti in arresto, e ciò con deplorevole ritorno al medioevo e con dispregio delle leggi della civiltà e dell’umanità,
invita il Governo a far cessare tanto obbrobrio e a punire esemplarmente i responsabili di tali delitti, e si riserva di procedere alla nomina di una Commissione di inchiesta, a norma del vigente regolamento».
TOGLIATTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Desidero dichiarare che, di fronte alla gravità dei fatti denunziati, non possiamo respingere un ordine del giorno, il quale si limita a chiedere una Commissione d’inchiesta.
PRESIDENTE. Osservo che l’ordine del giorno non chiede senz’altro la nomina di una Commissione d’inchiesta. L’ordine del giorno dice che l’Assemblea Costituente, constatate alcune premesse, invita il Governo a far cessare tale obbrobrio e a punire esemplarmente i responsabili di tali delitti e si riserva di procedere alla nomina di una Commissione d’inchiesta, a norma dei vigente regolamento.
La riserva potrà essere sciolta in qualunque momento.
BELLAVISTA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BELLAVISTA. Condivido pienamente gli apprezzamenti e la relazione sulle torture che certa polizia giudiziaria usa infliggere agli inquisiti, non soltanto in Sicilia, ma purtroppo in tutta Italia. (Approvazioni). Debbo associarmi a quanto ha dichiarato l’onorevole Gallo, sottolineando che questa procedura la polizia non ha usato soltanto nei confronti degli indipendentisti siciliani, ma suole usare verso tutte le categorie degli inquisiti. Ritengo che la proposta di invitare l’Assemblea a nominare una Commissione d’inchiesta non possa essere respinta, investendo una questione di alta giustizia nell’interesse di tutto il Paese.
(Segue la votazione per alzata di mano).
ANDREOTTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREOTTI. Osservo innanzi tutto che quelle che il Presidente ha chiamato premesse dell’ordine del giorno in questione rappresentano una vera e propria accettazione dell’esposizione di fatto dell’onorevole Gallo quando ha svolto il suo ordine del giorno, in quanto i sistemi di tortura e di sevizie avrebbero una certa base di realtà.
Chiedo comunque che sia fatta la constatazione del numero legale.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Mi richiamo al Regolamento. Mi permetto di far notare che siamo in votazione e quindi non possiamo entrare in discussione sul merito.
PRESIDENTE. Poiché vari deputati hanno preso la parola, ho pensato che per questo vi fosse una tacita intesa di prescindere dal Regolamento. Ma se l’onorevole Lucifero vi fa un richiamo espresso, non posso che accedervi.
LUCIFERO. Vi faccio richiamo espresso, perché ritengo che dobbiamo stabilire il principio che le procedure che abbiamo ritenuto di dover stabilire non possono essere omesse. Se noi istituissimo la prassi per cui possiamo modificare la procedura, non so se l’Assemblea, di fronte alle discussioni gravi che la attendono, potrà funzionare regolarmente.
PRESIDENTE. Di fronte al richiamo al Regolamento fatto dall’onorevole Lucifero, dobbiamo proseguire la votazione, la quale fu interrotta per l’impossibilità di procedere al computo.
Avverto, comunque, che la domanda di verifica del numero legale da parte dell’onorevole Andreotti è giunta troppo tardi perché la votazione era già incominciata. (Commenti).
MAZZONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAZZONI. Mi rendo conto delle ragioni di forma che il Presidente ha esposte; ma vi sono anche delle ragioni di sostanza che non possiamo dimenticare, e che militano a favore di quelli che, come me. avevano chiesto la parola. Ognuno di noi ha qualche cosa da dire. Dissento dall’onorevole Lucifero circa la violazione del Regolamento. Comunque, se pur fosse vero che ci siano inoltrati in una violazione delle forme, non è consentito ritrarsene aggiungendo alla violazione di forma la violazione di sostanza. Non è lecito ammettere che qualcuno possa aver parlato e agli altri sia tappata la bocca. Insisto nel fare brevissime dichiarazioni, non più di tre minuti.
PRESIDENTE. Non è questione di tempo, il problema è quello dell’osservanza del Regolamento.
Siamo in sede di votazione di ordini del giorno presentati a conclusione d’una discussione sulle dichiarazioni del Governo. Secondo il Regolamento può parlare il solo presentatore.
COTELLESSA. Chiedo la constatazione del numero legale.
PRESIDENTE. Onorevole Cotellessa, ho già fatto presente che la richiesta del numero legale è stata fatta tardivamente, in quanto deve precedere l’inizio della votazione. Orala vot azione era già cominciata, e non è stato possibile concluderla col computo dei voti.
Pongo, dunque, di nuovo ai voti l’ordine del giorno dell’onorevole Gallo.
(Dopo prova e controprova, non è approvato).
Non essendo presenti gli onorevoli Tonetti e Vigorelli, si intende che abbiano rinunziato ai rispettivi ordini del giorno.
Risultato della votazione nominale.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale sull’ordine del giorno Andreotti:
Presenti e votanti 400
Maggioranza 201
Hanno risposto sì 292
Hanno risposto no 107
Astenuto 1
L’Assemblea approva l’ordine del giorno Andreotti, Minio, De Michelis. (Applausi).
Interrogazioni e interpellanza d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che dagli onorevoli Bellavista, Galioto, Covelli e Fabbri è stata presentata la seguente interrogazione, chiedendone lo svolgimento d’urgenza:
«Al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti siano stati presi, e quali istruzioni riceveranno i Prefetti ed i Questori della Repubblica, per la tutela delle libertà politiche dei cittadini e dei partiti o gruppi politici di opposizione, in relazione alla selvaggia e vandalica distruzione ad Enna, in occasione della Giornata del contadino e ad opera di elementi social-comunisti, della sede del Partito nazionale monarchico, con violenze fisiche e tentativi di linciaggio contro cittadini colpevoli soltanto di aver fede politica diversa».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il Governo risponderà nella seduta di domani.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Massini e Minio hanno presentato la seguente interrogazione, chiedendone lo svolgimento di urgenza:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere i motivi per cui, in occasione del loro Congresso provinciale, si è ostacolato, in varî comuni della provincia, l’arrivo a Roma dei contadini, che avrebbero dovuto partecipare alla pubblica manifestazione di chiusura del Congresso stesso; manifestazione i cui limiti erano già stati, il giorno avanti, concordati con il responsabile dell’organizzazione sindacale, il Ministro dell’interno e il Questore di Roma».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il Governo risponderà domani anche a questa interrogazione.
PRESIDENTE. Gli onorevoli De Maria, Codacci Pisanelli, Franceschini, Trimarchi, Gui, Storchi, Corsanego, Moro, Colombo, Di Fausto hanno presentato la seguente interrogazione, chiedendone lo svolgimento d’urgenza:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti ha adottato il Governo a favore degli esuli giuliani, cui si rivolge in questa ora tragica della nostra storia l’attenzione accorata e fraterna di tutti gli italiani».
L’onorevole Preziosi, ha presentato anch’egli la seguente interrogazione, analoga alla precedente, per la quale chiede lo svolgimento d’urgenza:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri,
- a) per sapere se e quali provvedimenti sono stati disposti per venire in soccorso – in maniera concreta – in favore dei profughi istriani ed in special modo di quelli di Pola, abbandonati quasi a se stessi (basti per tutti l’episodio di Roma dell’arrivo di centinaia di profughi senza che nessuno li accogliesse);
- b) per sapere se non è il caso di assegnare ad un ente cooperativo di contadini istriani, profughi, che ascendono al numero di 16.000, la tenuta ex reale di Castel Porziano, che invece pare si voglia vendere a privati per la somma di 400 milioni;
- c) per sapere altresì se il Governo non reputa necessaria la emanazione di un decreto-legge, di urgenza, che, come per i reduci, contempli l’assunzione obbligatoria di un’aliquota di profughi dalle terre irredente (Istria, Venezia Giulia, Briga e Tenda) nei vari uffici governativi o in aziende controllate dallo Stato, dando così un pane, che non abbia soltanto l’aspetto di una umiliante elemosina, a tante povere famiglie italiane, degne di ogni considerazione».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il Governo risponderà ad entrambe le interrogazioni nella seduta di dopodomani, giovedì.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Vigna, Canevari e Piemonte hanno presentato la seguente interrogazione, chiedendone la discussione d’urgenza:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e all’Alto Commissario dell’alimentazione, per avere esatte notizie sui fatti esposti nell’articolo «Il blocco del pesce conservato e le relative conseguenze» apparso sul giornale Il Sole del 12 novembre, n. 37, e per conoscere quali provvedimenti ha adottato per assicurare un servizio più razionale di importazione del pesce conservato, e per una più onesta difesa del consumatore».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Governo non ne riconosce l’urgenza.
PRESIDENTE. L’onorevole Volpe ha presentato la seguente interpellanza chiedendone lo svolgimento d’urgenza:
«Ai Ministri delle finanze e tesoro, dell’industria e commercio e del lavoro e previdenza sociale, per sapere quali provvedimenti s’intendono adottare in vista della minacciata sospensione del lavoro nelle miniere siciliane di zolfo, a decorrere dal 28 febbraio, con conseguente disoccupazione di circa 14 mila operai, non essendo stato garantito dal Governo il prezzo minimo dello zolfo».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Governo si riserva di fissare la data dello svolgimento.
MANNIRONI. Chiedo quando possa essere svolta l’interrogazione da me a da altri già presentata circa il mancato piano organico di bonifica in Sardegna, e per la quale richiese la discussione d’urgenza.
SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il Governo potrà rispondere nella settimana ventura.
Interrogazioni e interpellanza.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.
RICCIO, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché – in attesa che i beni della disciolta G.I.L., ora amministrati dalla G.I., ritornino ai loro legittimi proprietari (comuni, Consorzi intercomunali, provincie, ecc.), come da più parti si è reclamato nei Convegni dei rappresentanti degli Enti interessati – vengano date agli uffici competenti della provincia di Torino le necessarie disposizioni, affinché sia messo a disposizione dell’Opera San Luigi di Torino la ex-colonia «3 Gennaio», che si presterebbe magnificamente per risolvere il problema di un sanatorio di mezza quota, indispensabile per tanti ammalati della provincia di Torino. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bonfantini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per avere conferma di un provvedimento preso dall’Ufficio Alto Commissariale della Sicilia (Corriere di Sicilia, n. 45, del 22 febbraio 1947) nell’assenza del titolare, col quale si vieta l’esportazione dall’Isola dei rottami metallici, e sulla ragione che lo ha determinato.
«Se non creda necessario che vengano esclusi nell’ordinamento regionale simili facoltà, che ridurrebbero l’Italia in tanti compartimenti stagni, mentre l’esperienza passata (cotone, formaggi, ecc.) ha dimostrato che simili provvedimenti servono solo all’indebito arricchimento di chi ottiene i permessi di esportazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«D’Agata».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere come mai, essendo stati eseguiti in Sora, alla contrada «Campovarigno» i lavori di rilievo dalla fine di maggio a tutto agosto del 1946 ed il relativo progetto, dal settembre al 3 dicembre dello scorso anno, per la bonifica di detta contrada, non ancora tale progetto è stato inviato ai competenti e superiori uffici ministeriali per la necessaria ed urgente approvazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Andreotti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi che hanno determinato il Governo ad escludere dal recente aumento delle pensioni i militari di truppa (tabellari) che godono di pensione privilegiata ordinaria.
«Del predetto aumento hanno beneficiato tutti i pensionati per mutilazione o invalidità contratta per causa di guerra, nonché i sottufficiali e gli ufficiali pensionati per mutilazione o invalidità contratta per causa di servizio ordinario.
«La diversità di trattamento porta una differenza per il militare di truppa pensionato di guerra di prima categoria (lire 18.000 circa mensili) ed un tabellario ordinario di prima categoria (solamente lire 1.948) che non è comprensibile né giustificabile, se si considera che, sia l’uno che l’altro, sono egualmente incapaci alle fatiche del lavoro, per identica minorazione fisica.
«Poiché fra i pensionati ordinari si è ritenuto di escluder dall’aumento solo i tabellari, si fanno voti perché il Governo provveda ad eliminare al più presto l’incongruente d sparità di trattamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mastrojanni»
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e della pubblica istruzione, per conoscere se non ritengano opportuno sollecitare l’Ufficio del Genio civile di Frosinone perché sia restituito alla sua funzione l’edificio scolastico di Ceprano.
«Tale edificio fu occupato, all’inizio dello scorso gennaio, per dare provvisorio ricovero ad alcune persone, rimaste prive di alloggio a seguito del crollo di un fabbricato.
«Viceversa, le autorità competenti ancora non hanno provveduto a sistemare in alloggi più convenienti i senza tetto, e questa loro inerzia minaccia di far divenire definitiva la provvisoria occupazione dell’edificio scolastico, con danno rilevante della scolaresca, la quale da due mesi è stata costretta a sospendere le lezioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«De Palma».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere:
se è vero che il 30 gennaio 1947 il maresciallo comandante la Stazione dei carabinieri di Casacalenda (Campobasso) fermò otto agenti di pubblica sicurezza (squadra celere Divisione di pubblica sicurezza di Napoli) al comando di un maresciallo, che, acquistati al mercato clandestino circa 50 quintali di grano, tentavano di asportarlo su di un camion con rimorchio del Corpo di pubblica sicurezza; e che, alla intimazione del maresciallo operante, gli agenti, che erano in divisa e armati di mitra, tentarono giustificarsi esibendo un documento di autorizzazione sottoscritto da un alto funzionario di cui si tiene celato il nome;
se è vero che il carico fu portato a Campobasso e versato al locale Consorzio agrario;
e per conoscere quali provvedimenti furono adottati in merito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Canevari».
«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro della difesa, per segnalare gli inconvenienti determinati dal regio decreto legislativo 14 maggio 1946, n. 384. Questo decreto presenta, infatti, una grave lacuna in quanto, mentre sono stati fissati provvedimenti economici di favore nei riguardi degli ufficiali in servizio permanente effettivo che lasciano il servizio perché collocati nella riserva, ai sensi del citato regio decreto, e di cui beneficiano gli ufficiali mutilati ed invalidi delle guerre precedenti «riassunti in servizio» (compresi i minorati della guerra di Spagna), e perfino quegli ufficiali che, pur essendo stati discriminati, hanno avuto inflitte sanzioni disciplinari per il loro comportamento tenuto dopo l’8 settembre, è stata, invece, omessa tutta la categoria degli ufficiali mutilati ed invalidi di questa guerra (compreso il periodo di liberazione), ai quali prima di ogni altro bisognava estendere il trattamento di favore previsto dalla legge, migliorandolo addirittura per tali benemeriti.
«Ciò premesso, e premesso altresì, che il Ministero della guerra, riconosciuta la disparità del trattamento esistente tra gli ufficiali mutilati ed invalidi delle guerre precedenti e quelli della guerra attuale e ritenuto giusto sanare questa omissione, ha preso a cuore la segnalazione inoltrata dalla Associazione mutilati ed invalidi di guerra di estendere a favore di quest’ultimi ufficiali le previdenze economiche accordate con il citato regio decreto legislativo.
«L’interpellante chiede se è stato già provveduto nel senso invocato dalla detta Associazione ed in caso negativo sollecita la urgente favorevole definizione per por fine ad una grave ed incresciosa omissione che, oltre a ripercuotersi sul morale già tanto depresso, incide tragicamente sulla situazione economica in cui si trovano moltissimi ufficiali in servizio permanente effettivo mutilati della guerra attuale i quali oggi vivono nella più squallida miseria.
«È inoltre necessario che, analogamente a quanto è stato praticato per gli ufficiali che dovranno lasciare il servizio ai sensi del citato decreto, gli ufficiali mutilati invalidi, in attesa dei provvedimenti in loro favore, vengano messi in licenza straordinaria con assegni, sospendendo in pari tempo il loro collocamento nella riserva previsto dall’articolo 122 della legge sullo stato degli ufficiali.
«Cingolani».
PRESIDENTE. Le interrogazioni teste lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.
La seduta è rinviata a domani alle 16,30.
La seduta termina alle 23.10.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16,30.
- – Svolgimento delle seguenti interrogazioni:
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti siano stati presi, e quali istruzioni riceveranno i Prefetti ed i Questori della Repubblica, per la tutela delle libertà politiche dei cittadini e dei partiti o gruppi politici di opposizione, in relazione alla selvaggia e vandalica distruzione ad Enna, in occasione della Giornata del Contadino e ad opera di elementi social-comunisti, della sede del Partito nazionale monarchico, con violenze fisiche e tentativi di linciaggio contro cittadini colpevoli soltanto di aver fede politica diversa.
«Bellavista, Galioto, Fabbri, Covelli»
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere i motivi per cui, in occasione del loro Congresso provinciale, si è ostacolato, in vari comuni della provincia, l’arrivo a Roma dei contadini che avrebbero dovuto partecipare alla pubblica manifestazione di chiusura del Congresso stesso; manifestazione i cui limiti erano già stati, il giorno avanti, concordati con il responsabile dell’organizzazione sindacale, il Ministro dell’interno e il Questore di Roma.
«Massini, Minio»
- – Svolgimento della seguente mozione:
«L’Assemblea, ritenuto che per la realizzazione organica dello Statuto siciliano, ad evitare eventuali conflitti di carattere costituzionale dopo la sua applicazione, occorre che lo Statuto sia coordinato colla Costituzione della Repubblica, come del resto è previsto dallo Statuto stesso; ritenuto, altresì, che i lavori della Commissione paritetica per lo Statuto siciliano non sono ancora conclusi, ciò che pregiudica la migliore realizzazione dell’autonomia; considerato che le elezioni per l’Assemblea siciliana, indette per il 20 aprile, non sono, allo stato, conciliabili con le premesse esigenze; invita il Governo a disporre le elezioni in Sicilia alla data più vicina possibile, dopo l’avvenuto coordinamento costituzionale in sede di Assemblea.
«Nasi, La Malfa, Di Giovanni, Lombardi Riccardo, Canevari, Veroni, Cevolotto, Silone, Rossi Paolo, Preziosi, Corsi, Bocconi, Costantini, Lombardo Ivan Matteo».