Come nasce la Costituzione

MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XLVII.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Sul processo verbale:

Parri                                                                                                                 

Finocchiaro Aprile                                                                                         

Aldisio, Ministro della marina mercantile                                                           

Gallo                                                                                                               

Caporali                                                                                                           

Taviani                                                                                                             

Condorelli                                                                                                      

Carboni                                                                                                            

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Bellavista                                                                                                       

Massini                                                                                                             

Mozione (Svolgimento):

La Malfa                                                                                                          

Ambrosini                                                                                                         

Bellavista                                                                                                       

Caronia                                                                                                            

Codignola                                                                                                        

Vigo                                                                                                                  

Finocchiaro Aprile                                                                                         

Musotto                                                                                                           

Presidente                                                                                                        

Sui poteri di una Commissione:

Rubilli                                                                                                              

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Romita, Ministro del lavoro e della previdenza sociale                                        

Pella, Sottosegretario di Stato per le finanze                                                       

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.30.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

Sul processo verbale.

PARRI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARRI. Prego la Camera di volere scusare se sono obbligato a prendere la parola per fatto personale: ne sono mortificatissimo, come tutti siamo umiliati che, in un momento così serio per il Paese, si debba perdere il tempo per simili questioni. Ma l’offesa che mi è stata recata è troppo grave, perché io non debba chiedere il giudizio della Camera su di essa e non debba chiedere una riparazione.

Le ingiurie che mi sono state rivolte ieri, e non per la prima volta, da parte del signor Finocchiaro Aprile, che mi rincresce non sia ora presente, derivano da un provvedimento, che presi quando ero Capo del Governo, relativamente al suo invio al confino di Ponza. Fornisco i precedenti perché la Camera possa giudicare.

Il movimento separatista siciliano, del quale l’onorevole Finocchiaro Aprile è a capo, dopo varî atteggiamenti anteriori, aveva sviluppato nel 1945 un’azione internazionale intesa ad ottenere l’appoggio delle grandi Potenze per raggiungere la separazione della Sicilia dallo Stato. E già, a questo scopo, nel marzo, il movimento separatista aveva inviato un memorandum in tal senso alla Conferenza di San Francisco. È vero che i rapporti che tale movimento vantava con le potenze alleate si sono rivelati poi una vendita di fumo; ciò non toglie però che essi fossero preoccupanti, per ragioni ovvie, sulle quali non ho bisogno di insistere, data la situazione del 1945, con la occupazione alleata e con un armistizio pesante che, a parte le cortesie formali e gli aiuti materiali, veniva soprattutto interpretato con senso fiscale dagli Alleati stessi, almeno negli aspetti maggiori. Quando andò a Londra l’allora Ministro degli esteri, onorevole De Gasperi, il movimento separatista siciliano inviò alla Conferenza di Londra un altro memorandum con il quale chiedeva l’appoggio delle potenze alleate per ottenere l’erezione della Sicilia in stato sovrano ed indipendente. Sono parole loro, parole sottoscritte dal Finocchiaro e da molti altri elementi, alle quali evidentemente si poteva dare maggiore o minore intrinseca importanza, ma che, in quel momento, costituivano per il Governo un grave imbarazzo ed una ragione di preoccupazione.

Evidentemente, il punto di vista del Governo italiano di fronte a questa situazione non poteva essere quello del Capo del separatismo siciliano: il Governo italiano considerava la Sicilia come parte integrante dello Stato italiano. Dall’altra parte, in quei documenti si diceva invece che i separatisti siciliani non avrebbero esitato, occorrendo, ad impugnare le armi contro l’Italia.

Qui tralascio una infinità di particolari per non farmi richiamare dall’onorevole Presidente alla necessaria brevità; particolari sulla intollerabile truculenza provocatoria usata da questa gente nei riguardi del Governo italiano e dei suoi organi locali. Parimenti intollerabile era il complottar sotterraneo con alcuni elementi alleati.

Ad aggravare la situazione si era verificato il ritorno ad una fase insurrezionale armata, nel senso che, da parte di elementi legati visibilmente a quella gente, si tornava ad occuparsi di organizzazione di squadre armate.

A colmare la misura intervenne, infine, una campagna di propaganda del movimento separatista, intesa a far credere che la causa della indipendenza siciliana avrebbe potuto ottenere l’appoggio degli alleati occupanti. Questa propaganda approfittava di alcune apparenze, e tra l’altro della presenza di molti siculo-americani nei comandi e negli uffici alleati di allora in Sicilia. Si trattava ancora una volta di vendita di fumo, tanto che devo dire per la verità che non trovai alcuna difficoltà ad ottenere dalle autorità alleate il trasferimento di un alto ufficiale che si era alquanto incautamente compromesso. Ciononostante, la situazione che questa campagna di propaganda veniva a creare era veramente grave e poteva diventar pericolosa, dato lo stato d’animo di allora nella opinione pubblica siciliana, facilmente suggestionabile, che poteva essere tratta a fare il raffronto fra l’Italia povera e impotente e la ricca America.

Io domando a voi, rappresentanti del popolo italiano qui presenti, se poteva essere permesso, in un momento così delicato, in cui primo dovere della Nazione era quello di tutelare la propria indipendenza, da riguadagnare a passo a passo; in cui il primo bene da difendere era la dignità del Paese; domando se poteva essere tollerato impunemente che l’opinione pubblica italiana fosse indotta a credere seriamente che si lasciasse via libera a presunti intrighi alleati per la separazione della Sicilia dalla Patria.

Io non lo potevo tollerare e mi decisi allora, sia pur riluttante, a prendere provvedimenti definitivi: riluttante, perché, basandomi su altre apparenze ed indicazioni, avevo sperato che questo movimento indipendentista potesse evolversi verso una forma legale, potesse rientrare nella legalità della libera propaganda.

Gli esperti legali ai quali mi ero rivolto avevano riscontrato, negli atti del movimento separatista firmati da Finocchiaro Aprile e da altri, più che gli estremi configurati dal Codice penale vigente per il reato di alto tradimento. Avrei, quindi, potuto denunciare il signor Finocchiaro Aprile ed i suoi compagni in sede penale. Devo anzi dire che ricevetti molti consigli di agire in tal senso, perché la situazione sarebbe forse stata più netta, ed io meno esposto a censure.

Non volli farlo. Non me ne attendo gratitudine da coloro che allora furono risparmiati. Non volli farlo per un senso di misura, per un senso di proporzione e per un senso di giustizia. E mi pareva, e mi pare anche adesso, che sarebbe stato un provvedimento eccessivo, che non volli prendere.

Ed allora non mi rimaneva che l’altro provvedimento, spiacevole, ma necessario. Feci mandare al confino l’onorevole Finocchiaro Aprile insieme ad altri due. Una parte delle ingiurie che egli mi rivolge, e mi ha rivolto, si riferisce all’uso di una legge fascista per l’invio al confino. Io non avevo altro mezzo. E le ingiurie che allora mi furono rivolte mi lasciano perfettamente tranquillo e perfettamente sereno.

Io stesso fui vittima di una simile legge fascista, poiché due volte mandato al confino dalla polizia fascista, come due volte andai al tribunale speciale e quattro in galera. Ma so che ben diversa è la stessa legge usata da un regime fascista e da un regime democratico. In regime di dittatura e di oppressione il confino è un’arma di oppressione. In un regime nel quale si può fare propaganda di idee e vi è libertà di organizzazione per tale propaganda, il confino può essere una misura di difesa, io credo, necessaria ed inevitabile nei periodi di transizione da un regime all’altro, quando non si può pretendere che vi sia un capovolgimento completo della psicologia del Paese, in cui occorre per forza tutelare questa situazione transitoria con mezzi di difesa deplorevoli, ma necessari.

Naturalmente, i dirigenti politici devono assumere la responsabilità piena di questi atti, come io la assumo, responsabilità che dà la misura del senso del limite e della coscienza di governo di questi uomini. Né è detto che democratico debba essere obbligatoriamente sinonimo di minchione.

Mi permetta l’onorevole Aldisio, allora Alto Commissario per la Sicilia e che adesso vedo al banco del Governo, di rivelare che non è vero quello che Finocchiaro Aprile sostenne altra volta, almeno secondo quello che riportarono i resoconti dei giornali, non è vero, dicevo, che io sono stato una specie di stupida vittima di Aldisio, perché invece Aldisio in quei frangenti ed in quel momento, di fronte a quella situazione difficile, mi aveva consigliato di procedere gradualmente. Egli mi aveva proposto di procedere ad una preventiva diffida; e fui io che ritenni che si doveva tagliare e troncare netto.

E di questo assumo, come dico, la piena e personale responsabilità. So che ho fatto bene, so che nelle stesse circostanze farei la stessa cosa. So che ha fatto male il Governo successivo liberando troppo presto l’onorevole Finocchiaro Aprile e rinviandolo in Sicilia. (Applausi – Commenti).

E naturalmente comprendo anche quali possono essere i sentimenti di Finocchiaro Aprile nei miei riguardi dopo questa avventura; comprendo il suo naturale rancore. Ed è per questa ragione che, insultato altra volta da lui, non volli rilevare questa provocazione, anche per rispetto della dignità dell’Assemblea. L’Assemblea comprende che se oggi reagisco la responsabilità non è mia, perché ora le offese sono arrivate all’eccesso.

Non raccolgo le ingiurie sue, le quali fanno torto a lui e, venendo da quell’ingiuriatore, fanno onore a me.

Ma egli ha creduto di aggiungere all’ingiuria un oltraggio pubblico, e come è stato pubblico l’oltraggio, pubblica occorre che sia la riparazione.

Egli mi ha dichiarato «venduto alla Banca Commerciale e all’Edison».

Qui devo premettere che io stesso ho sbagliato nel senso che, nell’eccitazione della ritorsione, gli ho rivolto una frase come «venduto agli americani» o qualcosa del genere. Devo dire che nella mia intenzione di ieri, e di oggi, nella parola «venduto» non c’è nessun senso mercantile. Ho inteso dire «venduto» soltanto nel senso politico.

Ma esser venduto ad enti finanziari e industriali ha invece un significato specifico. Significa che io sono stato o sono pagato dalla Banca Commerciale e dalla Edison. E allora sorge netto un dilemma: o il signor Finocchiaro fa dinanzi a voi ritrattazione formale del suo oltraggio, o deve rispondere a me e all’Assemblea di diffamazione.

Se egli è in grado di dare le prove, o semplicemente gli indizi, che io possa esser pagato e legato per stipendio in qualunque forma a due enti commerciali qualunque, io rassegno immediatamente le dimissioni da Deputato.

Bisogna che la situazione sia chiarita e riservo a me libertà d’azione secondo quelle che saranno le spiegazioni che potrà fare il signor Finocchiaro Aprile, lasciando poi l’Assemblea a risolvere il problema che le rimane aperto: se cioè la libertà di parola debba essere anche libertà di vilipendio. (Vivissimi prolungati applausi).

FINOCCHIARO APRILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO APRILE. Sono arrivato un po’ tardi e non ho potuto ascoltare le prime parole del signor Parri. Ma ho capito che egli ha mirato a giustificare il provvedimento dell’internamento a Ponza preso contro di me e contro gli indipendentisti siciliani Varvaro e Restuccia.

Questo provvedimento, comunque considerato, è un provvedimento arbitrario e illegittimo. È tale, in quanto si applicò a noi una legge fascista che nemmeno Mussolini aveva avuto il coraggio di applicare mai. (Viva ilarità – Commenti).

Vi prego di ascoltare. Mussolini, all’inizio della guerra, era annoiato di dover rinviare gli antifascisti e gli avversari che non voleva mantenere in circolazione alle commissioni per le assegnazioni al confino, le quali agivano con una qualche apparenza di legittimità. Pensò, così, di passare sopra alle norme e alle disposizioni della legge di pubblica sicurezza in materia di confino di polizia ed istituì l’internamento, cioè il provvedimento per cui il Ministro dell’interno, per la durata della guerra, senza la necessità di alcuna procedura, ed al di fuori dell’intervento di alcuna commissione, poteva procedere con suo semplice decreto e senza veruna possibilità di gravame, alla privazione della libertà delle persone, mediante internamento.

Una voce. Ve n’erano mille a Ventatene.

FINOCCHIARO APRILE. Sì, ma tutti v’erano stati mandati con il normale procedimento dell’assegnazione al confino, previa decisione delle apposite commissioni.

Dunque, il provvedimento dell’internamento era tanto grave, che fu applicato soltanto a sudditi nemici che erano in Italia, e più numerosi i serbi, i croati e i montenegrini. Non fu internato nessun italiano. (Interruzioni – Rumori).

Altro era, dunque, il confino, altro l’internamento: erano due cose diverse sia dal punto di vista procedurale, sia da quello del trattamento, più duro per gli internati. (Interruzione dell’onorevole Lussu – Commenti).

PRESIDENTE. Lascino che l’onorevole Finocchiaro Aprile parli del fascismo così come lo ha conosciuto. (Applausi).

FINOCCHIARO APRILE. Ad ogni modo, il provvedimento del signor Parri fu emesso in applicazione d’una vera legge fascista, abrogata implicitamente con la caduta del fascismo e con l’avvento della democrazia.

Contro quel provvedimento io ed i miei amici ricorremmo al Consiglio di Stato, convinti che il provvedimento fosse da considerarsi, come fu da tutti i giuristi unanimemente considerato, arbitrario. (Interruzione dell’onorevole Lussu – Commenti).

PRESIDENTE. La prego, onorevole Lussu, faccia silenzio; ella non è incaricato del contradittorio.

PREZIOSI. Faceste male; se eravate tutti democratici, non dovevate applicare la legge fascista. (Commenti).

FINOCCHIARO APRILE. Quando il ricorso stava per essere portato in discussione, alla IV Sezione del Consiglio di Stato si manifestarono aperte tendenze a dichiarare l’illegittimità del provvedimento, balzante ictu oculi, e fu convinzione generale che il ricorso sarebbe stato accolto con grave smacco del Governo.

Allora, in pubblica udienza, il rappresentante dell’Avvocatura generale dello Stato, persuaso di non poter sostenere in verun modo la legittimità del provvedimento, chiese il rinvio e propose al Ministero dell’interno, onorevole Romita, e al Governo la revoca dell’ingiusto provvedimento; e ciò avvenne.

Non è, quindi, per generosità di alcuno che io e gli altri due indipendendisti internati fummo lasciati in libertà per volontà del Consiglio di Stato, sia pure senza una formale deliberazione. Ciò onora quell’alto consesso.

Questa è la parte, dirò così, giuridica e giurisdizionale.

Veniamo alla ragione politica che determinò l’illegale, iniquo e fascista provvedimento.

Ho detto altre volte all’Assemblea che noi indipendentisti, sin dal primo momento, sin dal 23 luglio 1943, dichiarammo nel nostro memoriale al generale Alexander essere nostro intendimento che si addivenisse ad una confederazione di Stati italiani. Noi non parlammo mai di distaccare la Sicilia dall’Italia ma… (Rumori).

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Stati mediterranei, non italiani.

FINOCCHIARO APRILE. Lasciatemi dire. La verità è questa che il signor Aldisio fu il primo a spargere la notizia che noi volevamo il distacco della Sicilia dall’Italia e lo volle fare a puro scopo di speculazione elettoralistica. (Rumori – Commenti).

Allo stesso modo, il signor Aldisio proseguì la sua campagna e riuscì a persuadere l’ignaro e credulone signor Parri che noi fossimo dei separatisti.

Dal 23 luglio 1943 in poi, in ogni occasione, in ogni documento internazionale e interno, noi non abbiamo fatto altro che auspicare una grande confederazione di Stati italiani ed eventualmente mediterranei ed europei. (Rumori).

Ora per chiunque abbia coscienza morale e rettitudine politica l’affermare la necessità di una confederazione di Stati italiani, destinata a cementare, a rafforzare l’unità dei popoli di lingua italiana, non può rappresentare un delitto, come lo hanno considerato il signor Aldisio e il signor Parri.

Queste cose, ripeto, le ho sempre dette e continuerò a ripeterle anche in quest’aula. Io le ho dette ripetutamente anche alla seconda Sottocommissione per la Costituzione, come l’onorevole Terracini e altri colleghi possono testimoniare, e non cesserò di dirle, dappertutto, in ogni occasione, perché sono profondamente convinto che il solo modo di salvare veramente il nostro Paese è l’introduzione nel nostro ordinamento costituzionale del sistema della confederazione dei liberi Stati italiani. Se persisterete nell’affermare la necessità del mantenimento del sistema unitario del 1860, voi porterete l’Italia alla rovina.

Ora, per avere, signor Parri, sostenuto queste idee, lei mandò tre galantuomini all’internamento di Ponza, facendoli trattare nel più incivile dei modi. (Rumori – Interruzioni dell’onorevole Parri).

Il provvedimento non fu tale da potere essere giustificato in verun modo. Fu un provvedimento che offese e mortificò gravemente la libertà e la democrazia.

Io non mi sarei mai aspettato che, proprio con l’avvento della democrazia, sarebbe stato impedito a liberi cittadini di esprimere il loro pensiero sull’ordinamento del proprio paese. (Commenti – Interruzioni – Rumori).

MAZZA. Mi pare che lei esageri adesso!

Una voce a sinistra. Perché non ha fatto il separatismo con Mussolini?

FINOCCHIARO APRILE. E perché lei non ha fatto la democrazia con Mussolini? (Commenti).

Quindi non vi è giustificazione di sorta nell’opera del signor Parri. Per carità di patria e per non mortificare l’Assemblea, io mi fermo su questo punto. (Interruzioni – Rumori).

La verità è questa, che l’arresto mio, di Varvaro e di Restuccia doveva servire a lasciare la via libera al signor Aldisio e ai suoi compagni, perché noi davamo loro molta noia. Questa è la sola ragione: una indecente speculazione elettoralistica.

Vengo ai risentimenti dell’onorevole Parri. Egli ieri disse, rivolto a me: «Venduto agli americani».

Io auguro all’onorevole Parri di poter lasciare ai suoi figli il nome onorato che io lascerò ai miei. (Commenti).

Ma è evidente che le parole ingiuriose, che egli ha oggi ritrattate e ritirate, non rispondevano al suo pensiero, perché egli sa chi sono io, come io so bene chi è lui. (Commenti).

Io dissi, per ritorsione, all’onorevole Parri: «Venduto alla Banca Commerciale e alla Edison». Le mie parole andarono oltre il mio pensiero, così come le sue parole sono andate oltre il suo pensiero. (Commenti).

Però noi sappiamo che cosa sia costata alla Banca Commerciale l’elezione dell’onorevole Parri: parecchie diecine di milioni di lire; ed erano denari dello Stato. (Vivi commenti – Rumori).

Signori, io non ho altro da aggiungere.

Tante cose, onorevole Parri! (Commenti).

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Desidero confermare quello che poco fa ha detto l’onorevole Parri. Ma desidero portare altri elementi, anche per chiarire i motivi che mi indussero a sostenere nei confronti del Governo centrale la tesi del non arresto dell’onorevole Finocchiaro Aprile.

L’onorevole Finocchiaro Aprile, checché oggi venga a dire, sostenne costantemente, fin dal primo giorno dello sbarco delle truppe alleate in Sicilia, il distacco della Sicilia dal territorio italiano.

FINOCCHIARO APRILE. Falso! Falso!

GALLO. Ha fatto lei il primo discorso. (Rumori).

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Lo vedremo; lo proveremo. Io spero che i documenti che il signor Finocchiaro Aprile ha firmato e diffuso nell’isola non siano del tutto scomparsi; sono acquisiti alla cronaca, e quindi alla storia; e non c’è diniego dell’onorevole Finocchiaro Aprile che potrà distruggere questi documenti. (Approvazioni al centro – Interruzione dell’onorevole Finocchiaro Aprile).

PRESIDENTE. Non interrompa, onorevole Finocchiaro Aprile!

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. L’onorevole Finocchiaro Aprile, a parte i proclami che fece trovare a Palermo in occasione dell’entrata delle truppe alleate, mandò due documenti, dei quali ha fatto cenno l’onorevole Parri: uno a San Francisco; si può dire che è stata vendita di fumo, che i documenti non furono nemmeno inviati.

FINOCCHIARO APRILE. Conservo anche le ricevute.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Comunque, in Sicilia, fu fatta larghissima diffusione di questi documenti; e l’onorevole Finocchiaro Aprile giurava quotidianamente ai giovani, che egli ingannava, di aver inviato questo documento – che non era stato recapitato – e che perfino fu oggetto di discussione, tanto è vero, che si disse perfino quanti erano stati i voti a favore e i voti contro dei partecipanti alla discussione di San Francisco.

FINOCCHIARO APRILE. Non è vero! (Interruzioni – Rumori).

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. È vero; e la stampa dell’epoca lo ha riportato. In quel documento l’onorevole Finocchiaro Aprile diffamò l’Italia e il Governo italiano…

FINOCCHIARO APRILE. Il Governo! Soltanto il Governo! Ho sempre onorato l’Italia! (Rumori – Interruzioni).

ALDISIO, Ministro della marina mercantile . …domandando perfino la rioccupazione militare della Sicilia da parte degli Alleati.

FINOCCHIARO APRILE. Per liberarci da voi! (Rumori – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, la prego vivamente di non interrompere. Attenda la fine dell’esposizione dell’onorevole Aldisio ed eventualmente chieda la parola.

FINOCCHIARO APRILE. Senz’altro.

PRESIDENTE. Sta bene; ne prendo atto, ma con questo non si ritenga autorizzato ad interrompere.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. E aggiungo che fu chiesto in quella circostanza il non riconoscimento della cobelligeranza da parte dell’Italia. Nel successivo documento inviato a Londra fu detta la stessa cosa, ma v’è un documento ancora più grave che l’onorevole Finocchiaro Aprile presentò ai rappresentanti alleati alla vigilia della consegna della Sicilia al Governo italiano, e fu una intimazione, nella quale era detto che la Sicilia non doveva essere consegnata al Governo italiano. Questi sono documenti che non possono essere distrutti da chicchessia.

FINOCCHIARO APRILE. Chiedemmo che non fosse consegnata alla monarchia dei Savoia. (Interruzioni – Commenti).

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Ma c’è di più: l’onorevole Finocchiaro Aprile dice di non avere mai sostenuto il distacco della Sicilia dall’Italia. Quando egli ha parlato di Confederazione degli Stati, ha parlato di Confederazione di Stati mediterranei…

FINOCCHIARO APRILE. Di Stati italiani, ed eventualmente mediterranei ed europei.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. ..e soltanto in un ultimo tempo di Stati italiani. Ad ogni modo ho qui un ordine del giorno votato dal cosiddetto Comitato nazionale per l’indipendenza della Sicilia, del 1° settembre 1944, nel quale tra l’altro è detto: «Delibera di intensificare la sua propaganda per la realizzazione dell’aspirazione dell’indipendenza del popolo siciliano deciso a rompere ogni rapporto con lo Stato italiano». (Interruzioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile – Rumori – Commenti).

E c’è un altro documento dello stesso tenore, un ordine del giorno dello stesso Comitato, riunito il 15 gennaio 1945, nel quale si delibera di fare appello agli Alleati «perché cessi in Sicilia uno stato di cose assolutamente intollerabile, che, continuando, potrebbe determinare una generale insurrezione…».

GALLO. Si trattava della soppressione delle pubbliche libertà!

ALDISIO, Ministro della marina mercantile «…e di chiedere agli alleati la consegna del governo dell’Isola, essendo il Comitato nazionale l’unico e vero rappresentante del popolo siciliano, o quanto meno la rioccupazione dell’Isola da parte degli alleati medesimi. (Vivi commenti); e di dare incarico al Comitato esecutivo di predisporre tutto il necessario sia per l’attuazione della presente deliberazione, sia soprattutto per affrettare la realizzazione dell’indipendenza, secolare, santa aspirazione del popolo siciliano».

Dopo di questo dirà l’onorevole Finocchiaro Aprile se è ancora disposto a sostenere di non avere mai sostenuto il distacco dall’Italia.

FINOCCHIARO APRILE. Mai! Mai! (Commenti).

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Ma c’è ancora un ultimo documento del 20 luglio 1944, nel quale è detto: «Il Comitato Nazionale in questa occasione, di fronte all’abisso che il Governo ha creato fra la Sicilia e l’Italia, conferma il proprio indefettibile proposito di continuare la sua lotta per il distacco delle due Nazioni, conformemente alle supreme necessità morali, politiche, economiche del popolo siciliano, e rinnova l’esortazione che questo sia chiamato ad un plebiscito sotto il controllo internazionale, non avendo noi alcuna fiducia nel Governo italiano e dichiara di volersi governare da sé in uno Stato sovrano ed indipendente». (Rumori – Interruzioni – Commenti).

Questi i precedenti della situazione.

Ma, come diceva l’onorevole Parri, purtroppo noi eravamo in Sicilia ancora in istato di armistizio e gli Alleati dicevano l’ultima parola, anche nei processi intentati contro cittadini italiani. E quando l’onorevole Finocchiaro Aprile fu denunziato ai tribunali dell’Isola, furono gli Alleati ad intervenire, e l’onorevole Finocchiaro Aprile se ne è sempre fatto un vanto…

FINOCCHIARO APRILE. Certamente!

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. …per sostenere che questa materia, momentaneamente, i tribunali dell’Isola non dovevano trattarla. Per questo si cercò, da parte dei responsabili, di mettere i punti sugli i. Purtroppo, per ragioni di forza maggiore, l’onorevole Finocchiaro Aprile si giovò di una situazione che non fu del tutto spontanea, ma sollecitata, indubbiamente.

Ora, in queste condizioni politiche, venne il momento in cui l’onorevole Parri decise il fermo e l’invio all’isola di Ponza dell’onorevole Finocchiaro Aprile e compagni. Io, che stavo in Sicilia in quel momento, sapevo che l’onorevole Finocchiaro Aprile era in uno stato di vera difficoltà, perché aveva annunziato a tutti i siciliani che erano già arrivati dall’America 15.000 italo-americani in borghese, i quali erano stati inviati per assistere alle operazioni del plebiscito dell’isola. (Si ride). I 15.000 americani erano, more solito, nella fantasia dell’onorevole Finocchiaro Aprile. Egli aveva promesso a data fissa l’attuazione del plebiscito (Commenti – Interruzione dell’onorevole Finocchiaro Aprile) e non potendo mantenere sarebbe caduto nel ridicolo. Poi, con una sua radio trasmittente, andava annunziando ai siciliani fuori dell’Isola, anche a quelli che erano impiegati sotto il Governo italiano, di rientrare, sotto pena di processo da farsi da un tribunale straordinario. (Commenti – Si ride). Queste fantasiose promesse avrebbero messo in difficoltà e in estremo imbarazzo l’onorevole Finocchiaro Aprile. Comunque…

FINOCCHIARO APRILE. Era lei ad essere nell’imbarazzo; io non vi fui mai, perché dissi sempre la verità.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. …tutta questa roba era a cognizione del Governo, abbiamo i documenti e non li distruggeremo. Io sostenni pertanto che era opportuno mettere un punto alla situazione. Dissi che era necessario dichiarare illegale il movimento indipendentista siciliano, far seguire alla dichiarazione di illegalità la diffida, e, nel caso che si fosse continuato nella propaganda indipendentista, denunziare tutti gli aderenti al movimento separatista, perché in quel momento non volevo dare la facile palma del martirio a Finocchiaro Aprile, che l’ha sfruttata largamente poi, in Sicilia, specie durante le elezioni del 2 giugno.

Questi i motivi della mia condotta che è bene che l’Assemblea conosca, perché nei 18 mesi di Alto Commissariato da me tenuto ho la coscienza serena e tranquilla di aver servito il Paese…

FINOCCHIARO APRILE. …e gli intrallazzatori siciliani. (Rumori).

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. …e di averlo difeso contro tutte le mene dell’onorevole Finocchiaro Aprile e contro tutte le organizzazioni che egli ha creato in Sicilia e che hanno portato e disseminato lutti numerosi e gravi in tutta l’Isola. (Vivi commenti).

FINOCCHIARO APRILE. Li ha lei sulla coscienza i nostri morti.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Un’ultima cosa debbo ricordare e termino. L’onorevole Finocchiaro Aprile, e più che lui, tutto il suo movimento, solidalmente, è responsabile di tutte le uccisioni avvenute nel dicembre 1945 dei carabinieri sorpresi nelle stazioni di campagna e di tutti quei moti che culminarono nella farsa famosa (che purtroppo non fu poi veramente farsa) del campo di Santo Mauro. (Interruzione dell’onorevole Gallo).

Fu allora che si seppe che tra il movimento separatista siciliano ed elementi e gruppi responsabili di Roma – leggi monarchia – c’era stata completa collusione.

NATOLI. E con il comandante del corpo di armata di Palermo, generale Berardi.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Ed il qui presente onorevole Gallo, quando fu catturato con le armi in pugno dai carabinieri e dalle Forze armate di Sicilia non mancò di dichiarare tutto il suo stupore per l’azione militare che si esercitava contro quel campo, perché, secondo le trattative e l’accordo raggiunto a Roma, era stato violato il patto, in quanto era stato stabilito che l’azione del campo di Santo Mauro doveva essere semplicemente dimostrativa e che le Forze armate dello Stato non avrebbero dovuto mai attaccare, trattandosi di una manovra per cercare di impressionare il Governo del tempo onde, per via di transazioni, tornare a consegnare, se non allo stato indipendente siciliano, agli uomini della reazione siciliana tutti i gangli della vita politica dell’isola e tutte le chiavi principali di dominio e di Governo dell’Isola stessa.

LI CAUSI. Generale Berardi! (Commenti).

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Sissignore, generale Berardi. Io non debbo continuare oltre, perché ho detto abbastanza ed ho già anticipato su quello che a suo tempo sarà chiarito; ma colgo la occasione per dire al Governo, del quale faccio parte, che sarebbe opportuno anticipare il processo contro l’onorevole Gallo (Vivi applausi al centro), dal quale processo finalmente dovrà uscire la verità e dovranno essere conosciuti tutti i sottintesi che questo movimento ha cercato di stabilire con ogni genere di persone, in quanto alla base del movimento c’è sempre stato l’inganno e la sorpresa. (Vivi applausi – Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Parri. Ne ha facoltà.

PARRI (Vivissimi ripetuti applausi – L’Assemblea ed i membri del Governo sorgono in piedi). Ringrazio l’Assemblea per questa manifestazione. Comprendo come possa dispiacere al nostro Presidente riprender la discussione sui fatti di Sicilia, che rischiano di portar fuori di carreggiata i dibattiti parlamentari. Rinuncio a parlare ancora sulle vicende siciliane, appunto per non allungare la discussione. Mi limito ad indicare quello che è il provvedimento che, se crede, l’Assemblea potrebbe prendere a conclusione di questa discussione: procedere cioè alla nomina di una Commissione di inchiesta, anziché continuare a discutere in sede di approvazione del processo verbale. L’inchiesta potrebbe risultare più ampia e conclusiva di quello che non possa essere il processo all’onorevole Gallo.

Domando scusa se sono costretto a riproporre il mio caso personale. L’Assemblea mi ha voluto rivolgere un’attestazione di stima della quale sono, credetemi, lusingatissimo e sensibilissimo. Tuttavia, di fronte ad accuse precise come quelle che sono state formulate, io non posso passarle sotto silenzio, e chiedo allora formalmente all’onorevole Presidente se non creda, applicando l’articolo, mi pare, 80-bis del Regolamento della Camera, di nominare una piccola Commissione che raccolga quegli elementi di prova, quelle testimonianze, quegli indizî, che potranno comunque attestare se, come ha detto l’onorevole Finocchiaro Aprile, io sono stato eletto a spese della Banca Commerciale, nel qual caso io sarei indegno di stare qui come libero deputato. Ho bisogno che questo sia chiarito. Chiedo che il termine che verrà assegnato a questa Commissione, se l’onorevole Presidente accoglierà la mia richiesta formale, sia breve, tale da potermi permettere il più presto possibile di trarre le mie conclusioni, per le quali mi riserbo piena libertà d’azione. Per ora le mie conclusioni sono queste, che qui l’onorevole Finocchiaro Aprile si comporta da cialtrone. (Vivi applausi – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Parri mi ha rivolto una richiesta formale in base all’articolo 80-bis del Regolamento, il quale prevede che «quando nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, egli può chiedere al Presidente di nominare una Commissione che giudichi il fondamento dell’accusa. Alla Commissione può essere assegnato un termine per riferire». L’onorevole Parri, valendosi dell’ultima parte di questo articolo, chiede che il termine per riferire sia, per quanto possibile, breve.

Dichiaro all’onorevole Parri che accetto la sua richiesta e mi riserbo di procedere alla nomina della Commissione. Acconsento anche alla sua richiesta che la Commissione espleti il suo lavoro nel più ristretto tempo possibile.

GALLO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GALLO. Vorrei rispondere brevissimamente alle parole dell’onorevole Aldisio, sorvolando su quanto egli ha detto circa il processo a mio carico: processo che io stesso ho chiesto che si faccia e presto. Sono dieci mesi che si parla di questo processo, e non si è fatto. Intendo soffermarmi su un solo punto, cioè sulle accuse fatte dall’onorevole Aldisio che noi giovani siciliani siamo andati sulle montagne per proteggere i monarchici e solo a servizio dei monarchici.

Preciso che fui chiamato a Palermo, dieci o dodici giorni prima dei fatti di San Mauro. Mi fu comunicato in quella occasione che l’onorevole Aldisio aveva, d’accordo con il generale Berardi, avuto disposizioni dal Governo di porre fine alle persecuzioni contro gli indipendentisti siciliani per addivenire ad una distensione degli animi. Mi si raccomandava quindi la calma. Non avevo mai avuto sollecitazioni in questo senso prima del 29 dicembre, giorno in cui i giovani dell’Evis furono attaccati da 5 mila uomini armati con cannone, carri armati, mortai, mitragliatrici! Domandate conferma di queste mie dichiarazioni al generale Fiumara, che comandava queste forze. Quando, a nome dell’onorevole Aldisio e del generale Berardi, mi furono rivolte le parole cui ho accennato, io dissi che nessuna cosa noi avevamo fatto fino a quel momento contro le forze dell’ordine e che nessuna cosa avremmo fatto.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Chi glie le rivolse quelle parole?

GALLO. Lo dirò quando si farà il processo. (Proteste – Rumori). Non sono così ingenuo da far sapere prima a lei quello che dovrò dire io per lei.

Preciso qualche cosa di più. Arrestato, o meglio fatto prigioniero subito dopo le elezioni del 2 giugno, vennero a trovarmi nelle carceri di Palermo tre persone – e potrei fare i nomi nel processo – a dirmi che avrei potuto essere immediatamente liberato solo che io avessi accettato di riprendere il comando dell’Evis e di tutte le forze della gioventù siciliana, per un colpo di Stato in favore di Umberto di Savoia. (Commenti).

BENEDETTINI. Non è vero niente questo! Non racconti storie! (Commenti – Rumori).

GALLO. Lo giuro sul mio onore di uomo! (Commenti –Vivi rumori).

PRESIDENTE. Invito l’Assemblea ad un senso di compostezza.

GALLO. La gioventù siciliana non si è mai battuta per interessi di parte o di uomini; essa è andata sulle montagne per difendere il     diritto alla libertà di parola e di pensiero. Risposi che non mi sarei mai imbrattato, mai avrei venduto il mio onore. Questo, onorevole Aldisio, io risposi: e avrei potuto essere liberato all’indomani.

FINOCCHIARO APRILE. Aldisio era amico del generale Berardi.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Questo poi no! (Rumori – Commenti).

PRESIDENTE. Considero chiuso l’incidente relativo alle dichiarazioni fatte ieri dall’onorevole Parri e dall’onorevole Finocchiaro Aprile.

Ha chiesto la parola sul processo verbale anche l’onorevole Caporali. Prego di precisare le ragioni della sua richiesta.

CAPORALI. Devo dichiarare che se fossi stato presente ieri alla votazione, avrei votato contro l’ordine del giorno di fiducia al Governo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Taviani. Ne ha facoltà.

TAVIANI. Dichiaro che se fossi stato presente ieri avrei votato la fiducia ai Governo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Condorelli. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Dopo questo dibattito, sembrerà un’inezia la ragione per cui ho chiesto di parlare; ma, ancora ieri, l’onorevole Martino Enrico, parlando sul verbale del giorno precedente, mi ha attribuito delle inesattezze; e, questa volta, ha potuto anche soggiungere che tali inesattezze dipendessero dal fatto che non lo avessi capito.

Voglio assicurare l’onorevole Martino che io l’avevo capito perfettamente e che peraltro sono anche abbastanza informato personalmente, per esperienza fatta, studiando le leggi, della composizione, del funzionamento e della competenza delle Commissioni di epurazione, anche per quanto riguarda gli ufficiali. E proprio per questo deploravo che non si fosse trovato il modo di risparmiare ai nostri ufficiali combattenti ed ai nostri ufficiali reduci, la tortura di un inutile e superfluo giudizio di epurazione, che non doveva certamente raggiungere persone che tanto avevano sofferto per il loro Paese.

Aggiungo che sono perfettamente al corrente della competenza, della composizione e delle procedure delle Commissioni che devono giudicare gli alti ufficiali dell’esercito italiano, dai comandanti d’armata ai comandanti di corpo d’armata, ed in base alla recente legge Facchinetti, anche i generali di divisione, di brigata ed i colonnelli.

E proprio perché ne sono a conoscenza, deploravo che gli alti ufficiali dovessero essere giudicati, anche per quanto attiene alla loro competenza, da una Commissione in cui elementi politici ed incompetenti prevalgono sugli ufficiali.

Non ho altro da aggiungere. Voglio domandare all’avvocato onorevole Martino se si è trovato perfettamente a suo agio quando ha dovuto giudicare gli alti ufficiali dell’esercito italiano, e se egli, di fronte ai suoi giudicabili, non abbia sentito l’impulso di mettersi sull’attenti. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Carboni. Ne ha facoltà.

CARBONI. Secondo il resoconto sommario di ieri io non avrei partecipato alla votazione per appello nominale. Tengo a dichiarare invece che ero presente e che votai contro l’ordine del giorno Andreotti.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati: Andreotti, Tosi e Giordani.

(Sono concessi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: svolgimento di interrogazioni. La prima è quella degli onorevoli Bellavista, Galioto, Fabbri, Covelli, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti siano stati presi, e quali istruzioni riceveranno i prefetti ed i questori della Repubblica, per la tutela delle libertà politiche dei cittadini e dei partiti o gruppi politici di opposizione, in relazione alla selvaggia e vandalica distruzione ad Enna, in occasione della «Giornata del contadino» e ad opera di elementi social-comunisti, della sede del Partito nazionale monarchico, con violenze fisiche e tentativi di linciaggio contro cittadini colpevoli soltanto di aver fede politica diversa».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Nella mattinata del giorno 23 si è svolta a Enna la manifestazione per la «Giornata del contadino» con la partecipazione di circa tremila rurali convenuti dalla provincia.

Terminati i vari discorsi di occasione si formò un corteo che percorse le vie della città. Giunto all’altezza della sede del Partito monarchico, dove era esposta la bandiera, il corteo sostò e numerosi partecipanti riuscirono a penetrare nella sede distruggendo la bandiera e varie suppellettili, nonostante la ferma resistenza opposta dalla forza pubblica che, peraltro, non fece uso delle armi, tanto che nelle colluttazioni seguitene due agenti rimasero feriti con lesioni guaribili oltre gli otto giorni.

Sono in corso gli opportuni accertamenti per l’identificazione dei responsabili della devastazione della sede del Partito monarchico e del ferimento degli agenti, e disposizioni sono state impartite perché al riguardo si proceda con decisione e tempestività.

Il Governo prende occasione da questo fatto per riaffermare il suo proposito di garantire in ogni caso le libertà politiche dei cittadini e dei partiti o dei gruppi politici di qualsiasi tendenza, e di reprimere le manifestazioni contrarie, colpendo decisamente i violatori di tale libertà.

PRESIDENTE. L’onorevole Bellavista ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BELLAVISTA. Devo dichiararmi sodisfatto delle comunicazioni del Sottosegretario all’interno.

Io ho fiducia che il Governo della Repubblica, se vorrà essere grande, saprà far rispettare la legge contro tutto e tutti e contro tutte le tendenze squadristiche, sia di destra, sia di sinistra.

Ad Enna la forza pubblica si è comportata bene. Solo che, se fosse stata usata in numero maggiore, quegli atti di vandalismo si sarebbero potuti evitare. Atti di vandalismo che hanno avuto strascichi anche nel vicino paese di Leonforte, dove la bandiera strappata dai locali dell’Unione monarchica italiana è stata trascinata per le strade del paese e fatta a brandelli. Le assicurazioni del Governo, comunque, calmano le preoccupazioni di quanti sono solleciti della vera garanzia della libertà, che è una ed indivisibile, e che appartiene, perciò, a tutti i partiti. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Massini e Minio, al Ministro dell’interno, «per conoscere i motivi per cui, in occasione del loro congresso provinciale, si è ostacolato, in vari comuni della provincia, l’arrivo a Roma dei contadini che avrebbero dovuto partecipare alla pubblica manifestazione di chiusura del congresso stesso; manifestazione i cui limiti erano già stati, il giorno avanti, concordati con il responsabile dell’organizzazione sindacale, il Ministro dell’interno e il questore di Roma».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Nessuna disposizione è stata impartita per ostacolare l’arrivo a Roma dai comuni della provincia dei partecipanti al congresso provinciale della Federterra in occasione della «Giornata del contadino» indetta per il 24 corrente.

L’azione della polizia si è limitata soltanto ad una opportuna vigilanza sulla disciplina del traffico e all’accertamento che fra i partecipanti non si fossero infiltrati elementi male intenzionati ed armati.

Risulta, al contrario, che nonostante fosse stato accertato da parte di agenti che numerosi mezzi adibiti al trasporto dei congressisti non fossero in regola agli effetti della circolazione, la questura dette espresse disposizioni affinché l’afflusso dei partecipanti non venisse in alcun modo ostacolato.

Occorre aggiungere che fino alla tarda mattina del 23 le autorità non erano state debitamente informate del programma delle manifestazioni esterne del congresso, ed in particolare di un progettato comizio e corteo cui avrebbero dovuto partecipare circa 30.000 persone.

Tuttavia, ricevutane notizia, le autorità stesse presero contatto con gli esponenti della Federterra e concordarono con essi, in rapporto all’entità del raduno, il programma delle manifestazioni che si sono svolte regolarmente.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MASSINI. Mi spiace di non potermi dichiarare sodisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario. Innanzi tutto, il Congresso provinciale della Federterra era stato preannunziato al commissario politico della questura.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il congresso, non il corteo.

MASSINI. Non era stato avvertito del corteo, perché è stato deliberato in pieno congresso. Ma, d’altra parte, anche per il corteo sono state svolte trattative tutta la giornata della domenica, tanto con il signor questore, quanto con il Ministro dell’interno, e furono stabilite tutte le modalità, compreso il percorso. È a mia disposizione il documento ufficiale della questura di Roma. Quindi non c’era bisogno, dopo questi accordi, di dare disposizioni restrittive. Che queste disposizioni restrittive vi siano state è documentato anche dal questore di Roma, il quale ha detto che non ha dato l’ordine di vietare le partenze, ma di determinati controlli in una forma tale che, manco a farlo apposta, circa 10 Comuni della Provincia di Roma l’hanno interpretato come un ordine di non partenza, allegando tutte le scuse immaginabili.

Così è avvenuto a Genzano, Montecompatri, Frascati, Albano, Castel Gandolfo, Velletri, il cui commissario, fra le altre cose, diceva che la manifestazione era stata rimandata.

Si è fatta la questione se i camions potessero partire o no. Neanche questo è esatto, perché anche a quelli che dovevano partire con i treni, con i vagoni messi a disposizione precedentemente, d’accordo con il Ministero dei trasporti, è stato fatto il divieto e con tutto l’ostruzionismo possibile sono stati fatti scendere, per quanto ci fosse l’autorizzazione del viaggio a pagamento forfetario.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non è esatto; dovevano pagare!

MASSINI. È esattissimo. Questo è avvenuto a Civitavecchia, dove i contadini, che erano già sui vagoni, sono stati fatti scendere e con la scusa di far fare il biglietto, più della metà è rimasta a terra.

Così è avvenuto a Cecchina; e ciò giustamente ha esasperato i contadini, i quali naturalmente sapevano di dover fare a Roma una manifestazione pacifica, come poi in realtà si è svolta, e volevano semplicemente confermare con la loro presenza talune rivendicazioni immediate agitate al congresso e contenute in memoriali già più volte presentati al Governo e a tutte le altre autorità.

Si possono anche accennare, sia pure fugacemente, queste rivendicazioni.

Si è persino andati a vedere se questi contadini venivano a Roma armati, come se alla Camera del lavoro, invece di manifestazioni pacifiche, qualche volta si fossero svolte manifestazioni con le mitragliatrici.

Ebbene, questi contadini venivano a sollecitare l’applicazione del lodo De Gasperi, a sollecitare la distribuzione di terre – si ricordi che dei 60.000 ettari richiesti e occupabili ne sono stati distribuiti soltanto 10 mila – venivano a sollecitare il blocco dei fitti dei terreni, la concessione immediata di quanto occorre per le colture primaverili, la concessione degli assegni familiari; insomma tutte le rivendicazioni di carattere sindacale sempre richieste e mai ottenute. Quindi nessuna intenzione, signor Sottosegretario, di minacciare nessuno, né enti, né persone.

Si trattava è si tratta ancora semplicemente di ricordare ai partiti, che hanno la maggiore responsabilità di Governo, che i contadini, come tutti gli altri lavoratori, desiderano di vedere realizzate al più presto le promesse loro fatte durante le elezioni.

Hanno avuto torto certi giornali di minimizzare e criticare queste manifestazioni pacifiche, anche se imponenti, dei contadini.

Malgrado tutti gli ostacoli frapposti alla loro venuta da molto lontano, si sono radunati a Roma, davanti alla Camera del lavoro, circa 10 mila lavoratori della terra, di tutte le categorie. Senza quegli ostacoli avrebbero potuto essere il doppio.

I contadini hanno attraversato mezza Roma, come era stato convenuto con le autorità, senza creare incidenti, come del resto è nell’abitudine dei lavoratori di Roma e della Provincia.

Ho l’orgoglio di dire che le adunate avvenute a Piazza del Popolo, di 100 o 120 mila persone, non hanno mai dato luogo al più piccolo incidente. Abbiamo il diritto di dichiarare che le masse organizzate sono disciplinate e conoscono il proprio dovere di cittadini.

L’apparato di polizia è stato dunque veramente sproporzionato alla circostanza. Il corteo stesso fu scortato a doppi cordoni; gli sbarramenti di strade furono fatti con intere compagnie, specialmente al Corso. Sembrava che Roma fosse in stato d’assedio! Troppe forze per dei pacifici lavoratori che chiedevano soltanto la realizzazione di loro rivendicazioni, da troppo tempo promessa e mai conseguita. Viene voglia di domandarsi se la Repubblica non abbia da difendersi con tutte queste forze da qualche altra parte.

Il Ministro dell’interno e il Governo democratico non devono temere questi assembramenti di lavoratori, tanto della campagna quanto della città; lavoratori di tutte le categorie che, mentre lottano per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro, sono e vogliono essere i più tenaci difensori della Repubblica e della democrazia. Sarebbe bene non dimenticarlo. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le interrogazioni inscritte all’ordine del giorno.

Svolgimento di una mozione.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento della seguente mozione presentata dall’onorevole Nasi, unitamente agli onorevoli: La Malfa, Di Giovanni, Lombardi Riccardo, Canevari, Veroni, Cevolotto, Silone, Rossi Paolo, Preziosi, Corsi, Bocconi, Costantini, Lombardo Ivan Matteo.

«L’Assemblea, ritenuto che per la realizzazione organica dello Statuto siciliano, ad evitare eventuali conflitti di carattere costituzionale dopo la sua applicazione, occorre che lo Statuto sia coordinato colla Costituzione della Repubblica, come del resto è previsto dallo Statuto stesso; ritenuto, altresì, che i lavori della Commissione paritetica per lo Statuto siciliano non sono ancora conclusi, ciò che pregiudica la migliore realizzazione dell’autonomia; considerato che le elezioni per l’Assemblea siciliana, indette per il 20 aprile, non sono, allo stato, conciliabili con le premesse esigenze; invita il Governo a disporre le elezioni in Sicilia alla data più vicina possibile, dopo l’avvenuto coordinamento costituzionale in sede di Assemblea».

L’onorevole Nasi, primo firmatario della mozione, ha giustificato la sua assenza per malattia. L’onorevole La Malfa, secondo firmatario, ha chiesto di svolgerla. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Onorevoli colleghi, sono dolente che questa giornata non sia propizia ad una calma discussione del problema siciliano.

La Sicilia vi è apparsa, in questi giorni e soprattutto oggi, attraverso manifestazioni un po’ clamorose, se non addirittura esorbitanti, delle sue passioni e dei suoi contrasti politici. E come siciliano, se pure come siciliano costretto nei venti anni di regime fascista a girare fuori del territorio dell’isola, debbo manifestare il mio vivo rincrescimento che attorno ad un grave problema di vita politica nazionale si sia creata questa atmosfera.

Giorni fa, l’onorevole Russo Perez mi ha contestato, bandendo una sorta di nuovo catechismo politico, il diritto di interloquire nella questione siciliana. In verità, io stesso sentivo, data la mia lunga lontananza dall’Isola, di dover essere molto prudente, molto cauto nella considerazione dei problemi isolani. Tuttavia l’atmosfera creatasi negli ultimi giorni mi ha incoraggiato a parlarvene.

Della Sicilia, del resto, ci si è occupati frequentemente nei corridoi e negli angoli stessi della Camera. Il tema del rinvio o meno delle elezioni è stata la ragione occasionale di una preoccupazione e di una discussione più ampia, e sarebbe stolto ignorarne il significato. Né risponde a verità quanto è stato riferito dalla stampa, che cioè la mozione sul rinvio delle elezioni in Sicilia abbia avuto l’adesione dei partiti di sinistra contro i partiti di destra o viceversa.

Nella discussione non ufficiale svoltasi in questi giorni non vi è mai stato uno schieramento del genere. Io ho sentito vecchi parlamentari che non appartengono a frazioni di sinistra, uomini di parte moderata e della stessa Democrazia cristiana, parlare con preoccupazione della situazione siciliana, delle elezioni, dei prevedibili futuri orientamenti politici dell’Isola.

È stata questa, onorevoli colleghi, l’introduzione, il preambolo alla discussione ufficiale del problema siciliano. Mi rincresce che quando si è trattato di firmare una mozione, un esercito, che pareva numeroso, si sia ridotto ad una scarsa pattuglia. La mozione ha avuto la firma dell’onorevole Nasi, del sottoscritto e dell’onorevole Di Giovanni. L’onorevole Nasi è ammalato – ed io, anche a nome vostro, gli mando i miei auguri – l’onorevole Di Giovanni non è presente; sono rimasto quindi – come siciliano che naviga tra il Continente e l’Isola – solo a difendere la mozione. Mi trovo anche in una situazione particolarmente delicata, militando in un partito che sul problema delle autonomie ha una posizione dottrinaria ben radicata e definita, quando non abbia addirittura, attraverso una particolare corrente, un pensiero federalista. Devo perciò ringraziare il partito che su un problema che ha costituito per me un vero e proprio caso di coscienza, mi ha lasciato completamente libero di manifestare il mio pensiero, salvo a riservarsi un giudizio definitivo sul fondo della questione.

E vengo a questa. I colleghi del gruppo parlamentare siciliano ricorderanno che fin dalla prima riunione del gruppo stesso, al tempo in cui si è discusso del problema dell’autonomia, ho fatto un’eccezione di principio. Ho detto che trovavo assai difficile rendere compatibile lo Statuto, non come sostanza di autonomia, ma come manifestazione formale, con quelli che io considero i diritti ed i doveri della Costituente. Per me c’era un problema fondamentale, che era il problema del rapporto fra Statuti autonomistici e competenza e funzioni dell’Assemblea Costituente in tema di costituzione dello Stato, che doveva essere risolto prima di ogni altra questione.

Qual era per me il significato di questa eccezione? Non puramente formale – e i colleghi me ne vorranno dare atto – ma di ordine esclusivamente politico.

In Sicilia la contrapposizione delle forze politiche è molto più accentuata e grave che altrove. Direi che in Sicilia, per quanto operino i grandi partiti nazionali, le questioni politiche hanno preso un carattere particolare e si sono adattate all’ambiente, alle passioni, alle situazioni e alle aspirazioni locali. Io non mi riferisco soltanto alla posizione della corrente indipendentista, che mi pare anzi la più chiara possibile, precisa e ferma nelle sue rivendicazioni, una posizione cioè che non dà luogo a dubbi di sorta; mi riferisco a quei gruppi, quelle organizzazioni, quelle formazioni politiche che possono qualche volta appellarsi a nomi e orientamenti nazionali, ma che in definitiva si richiamano a interessi e aspirazioni prettamente locali.

Non creda l’Assemblea, come ha sospettato qualcuno, che nel dir questo io od altri si sia mossi da preoccupazioni elettorali. Considero la situazione in Sicilia talmente delicata e difficile dal punto di vista di uno sviluppo democratico da non venirmi affatto in mente che il rinvio delle elezioni di uno o due mesi possa servire a spostare la situazione, a dare tranquillità sul terreno, dirò così, di una politica nazionale. Non credo cioè che rinviando di qualche mese le elezioni si venga a creare in Sicilia un rapporto di forze politiche diverso da quello che oggi si prospetta. Occorre una lunga politica di democrazia, e un intervento costante nella soluzione dei problemi fondamentali dell’Isola, perché un risultato utile si possa raggiungere dopo un certo numero di anni.

Il problema che voglio sottoporre all’Assemblea è un fondamentale problema costituzionale, che ha importanti riflessi politici. Non vedo finora definito il rapporto tra Statuto autonomistico siciliano e Costituzione generale del Paese. E siccome ritengo improbabile realizzare in Sicilia quell’equilibrio di forze politiche che in sede nazionale oggi garantisce la permanenza della democrazia in Italia – e che molti di noi sintetizzano nell’esistente rapporto di collaborazione fra Democrazia cristiana e Comunismo, fra l’onorevole De Gasperi e l’onorevole Togliatti – riserva fatta per il sistema di doccia scozzese che quest’ultimo applica all’onorevole Presidente del Consiglio – sorge per me, e spero per altri, il problema se la situazione politica della Sicilia si possa ritenere, fin da ora, racchiusa in un quadro costituzionale ben fermo.

Spiegherò ancor meglio questo concetto. Ritengo che con l’applicazione dell’autonomia nelle diverse Regioni d’Italia noi dobbiamo scontare la possibilità che in una Regione vi sia un Governo di un certo orientamento politico e in altra Regione un assai diverso governo; che in Sicilia, ad esempio, ci sia un Governo regionale monarchico, o qualunquista o fascista, e in Emilia, ad esempio, un governo comunista… (Interruzioni – Commenti).

Prego gli onorevoli colleghi di ascoltare: non sto dicendo nulla che esorbiti dal tema. Voglio dire che con l’attuazione delle autonomie regionali, alla quantità di problemi che oggi angustiano la vita nazionale, e che sono problemi di difesa contro i fattori di disgregazione e di dissolvimento ereditati dal fascismo e dalla guerra, si aggiungerà anche questo problema, di equilibri politici diversi da una Regione

all’altra.

Poiché abbiamo tutti optato per le autonomie, dobbiamo affrontare coraggiosamente la situazione che ne deriva.

Ma quale è la garanzia che, attraverso questa articolazione autonomistica, l’Italia continui a rimanere unita? Non è certo quella di non fare le elezioni o di rinviare sine die attuazioni di Statuti regionali. Noi non possiamo cioè, in regime di democrazia, ritenere che, creandosi rapporti e situazioni politiche particolari nel campo autonomistico, si possa risolvere il problema rinviando le elezioni o rinunciando alle autonomie.

La garanzia è anzitutto di ordine costituzionale. È necessario che noi ci garantiamo che qualunque situazione politica si crei in Sicilia, come altrove, sul terreno regionale, questa sia ancorata a un fondamento costituzionale ben chiaro ed esplicito, che in nulla diverga dal quadro costituzionale di ordine nazionale.

Questo è il problema. Ed io non credo che noi l’abbiamo finora concretamente e seriamente affrontato.

So – e me ne rammarico – che si è scatenata in Sicilia una campagna contro i cosiddetti sabotatori dell’autonomia; ma io dichiaro contro questi falsificatori di ogni verità, che non intendo combattere la sostanza dell’autonomia (sono disposto a farla mia, con tutti i colleghi del gruppo parlamentare siciliano) ma accertare il fondamento costituzionale attraverso cui quella sostanza è attuata. È necessario stabilire solennemente che lo Statuto autonomistico è emanazione della Costituente e parte della Costituzione generale dello Stato, poiché, altrimenti, noi combatteremmo il separatismo con le sue stesse armi, cioè creeremmo, in Sicilia, una fonte di potere politico autonomo, che potrebbe portare a pericolose avventure.

A questo punto la discussione non può più essere generale, ma diviene specifica. Ed io mi riferisco, per chiarirla meglio agli onorevoli colleghi, ad alcuni documenti legislativi ed in primo luogo alla relazione stessa con cui, in sede di Consulta, venne accompagnato il progetto di legge sullo Statuto autonomistico.

Rileverete dalla relazione che in materia di cosiddetto coordinamento tra Statuto autonomistico e Costituzione generale si sono affacciate da varî organi e parti tre possibilità.

Da parte del Comitato siciliano di azione – come si legge nella relazione della Consulta – si proponeva questa formula: «Lo Statuto della Regione siciliana, per ogni effetto, ha carattere e valore di legge costituzionale e formerà appendice della Carta costituzionale dello Stato italiano e ne farà parte integrante». Questa la formula di partenza che, a mio giudizio, tendeva a considerare lo Statuto siciliano come una emanazione costituzionale autonoma rispetto alla Costituzione generale: «formerà appendice della Carta costituzionale», ma non è inquadrato nella Carta costituzionale.

Il Governo, nel suo progetto, non fece sua questa formulazione e presentò alla Consulta un diverso testo: «Il presente Statuto sarà approvato con decreto legislativo… e sarà in seguito sottoposto alla approvazione dell’Assemblea Costituente». Debbo dichiarare che questa seconda formulazione era la più corretta, ed io l’avrei senz’altro accettata.

La Commissione della Consulta, invece, che ha dovuto tener evidentemente conto di certe necessità e di certe pressioni politiche, fra il primo testo ed il secondo ha scelto una terza via, che è quella che è stata poi adottata nel decreto legislativo. La formulazione della Commissione suona così: «…esso (lo Statuto) sarà sottoposto all’Assemblea Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato».

Credo che questa terza soluzione abbia ricreato l’equivoco sulle fonti costituzionali dello Statuto autonomo siciliano. Perché, domando, onorevoli colleghi, che cosa significa coordinare uno Statuto con la Costituzione dello Stato? Non sono un cultore di scienze costituzionali; e ci sono qui insigni maestri che possono eliminare i miei dubbi; ma ho l’impressione che coordinare uno Statuto con la Costituzione dello Stato significhi in certo senso ammettere l’esistenza di due formazioni costituzionali autonome, ammissione che io considero sommamente pericolosa. Se ora andiamo ad esaminare il progetto di Costituzione generale esso ci dice all’articolo 108: «Le Regioni sono costituite in enti autonomi con proprî poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione. Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige ed alla Val d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali adottati con leggi costituzionali».

Da questa dizione risulta che la Commissione dei 75, nel preparare il progetto di Costituzione generale, si è preoccupata, e giustamente, del problema che sia posto: anzi mi consterebbe che proprio in questo campo un onorevole collega, fra i più competenti, ha sollevato ben precise questioni.

A tenore della disposizione su citata, gli Statuti autonomistici particolari, per essere costituzionalmente validi, devono essere incorporati in leggi costituzionali speciali, adottate dall’Assemblea Costituente. Non possono essi considerarsi fuori della Costituzione generale, ma devono, per così dire, inquadrarsi nella Costituzioni stessa, senza di che, evidentemente, noi avremo creato il disordine costituzionale nel nostro Paese. In altri termini l’articolo 108 ci dice che l’Assemblea Costituente approverà la Costituzione generale, le autonomie regionali e, con sovranità propria, emanerà le leggi costituzionali speciali contenenti alcuni statuti autonomistici particolari. La Costituente, cioè, è il solo potere costitutivo esistente oggi in Italia. Badate, che e diverso dire come dice l’articolo 108 del progetto di Costituzione: «alla Sicilia, ecc., sono attribuite forme e condizioni di autonomia adottate con legge costituzionale», è diverso parlare di coordinamento. Vi è cioè una contradizione tra la dichiarazione dell’articolo 108 e la dichiarazione dello Statuto autonomistico che parla di coordinamento. Può parere una quisquilia questa, ma il rilievo attiene alla sostanza della questione: coordinamento non ha lo stesso valore che deliberazione e adozione di una legge costituzionale. La facoltà riconosciuta all’Assemblea Costituente dal decreto legislativo non è diritto, ma un dovere che l’Assemblea ha verso se stessa.

Trasportate la questione sul terreno politico e ne vedrete l’importanza. Io non voglio affatto negare – come ho ripetutamente affermato – la sostanza dell’autonomia, ma desidero solo che tale autonomia non possa essere giammai considerata emanazione di una fonte costituzionale autonoma, al di fuori e al disopra dell’Assemblea Costituente che il popolo italiano ha liberamente eletto.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

Guardiamo anche questo problema dal punto di vista delle conseguenze del cosiddetto rinvio delle elezioni. Ho letto, come tutti voi avrete letto, un interessante articolo di Luigi Sturzo su questo tema. L’illustre corregionario afferma, in sostanza, che se il problema dell’autonomia si porta all’Assemblea Costituente, il popolo siciliano avrà l’impressione di essere defraudato di un suo diritto. Io rispondo che noi possiamo fare ben nostre le esigenze autonomiste della Sicilia. Non comprendo perché l’Assemblea debba rifiutarsi a ciò e non intendo perché intorno all’Assemblea si debba creare un’atmosfera di sfiducia.

La politica del fatto compiuto può offrire qualche vantaggio, ma offre anche molti svantaggi. Le elezioni, se fatte il 20 aprile, verrebbero fatte su di un equivoco di ordine costituzionale: equivoco del quale – non voglio assolutamente gettare il sospetto su nessuna forza politica – dobbiamo tener conto. Il 20 aprile nasce il Governo regionale, ed esso entrerà in funzione il 10 maggio. Voi capite che non più tardi della fine di maggio l’Assemblea Costituente (che si scioglierà in giugno) dovrà aver discusso il problema delle autonomie regionali. Nel momento stesso in cui il Governo regionale siciliano entra in funzione, l’Assemblea Costituente inizia la discussione sullo Statuto. La situazione sarebbe molto più chiara se le elezioni regionali in Sicilia avessero luogo dopo che l’Assemblea Costituente ha discusso lo Statuto. Non solo la nazione avrebbe una maggior garanzia, ma i siciliani stessi troverebbero una tutela e una garanzia superiori nelle loro aspirazioni autonomistiche.

Se venisse fissata, come data non più dilazionabile per queste elezioni, il 10 giugno – data che del resto è suggerita da molte parti – potremmo discutere con più tranquillità lo Statuto siciliano.

Questo per quanto riguarda l’aspetto costituzionale. Dal punto di vista politico, e della sostanza stessa dello Statuto, considero che una discussione in seno all’Assemblea sia utilissima per tutti. Come ho detto, sono disposto a sottoscrivere pienamente la sostanza dello Statuto autonomistico. Però credo che sia necessario uscire dalla semi-clandestinità con cui problemi del genere sono stati finora trattati.

L’autonomia risolve indubbiamente problemi di autogoverno locale; però – lasciatemelo dire – diversa sarebbe stato il valore dell’autonomia, introdotta nel sistema dello Stato unitario del 1860, diversa è l’autonomia del 1947. L’autonomia creerà nel popolo siciliano una coscienza dei propri problemi, una coscienza di autogoverno delle cose locali. Però, può cristallizzare la situazione di sperequazione, di diverso sviluppo economico fra Nord e Sud, che si è creata dal 1860 in poi. Ora, anche questo aspetto del problema, secondo me, va pubblicamente discusso e dibattuto in sede di Assemblea. Bisogna dare la sensazione ai siciliani – combattendo alcuni pregiudizi diffusi dal movimento separatista – che l’autonomia non è un toccasana, non è la panacea.

L’autonomia è un mezzo per risolvere alcuni problemi; ma l’autonomia ha essa stessa dei limiti. Dando vita all’autonomia, come mezzo di sviluppo di energie locali, credo che si sarà risolta solo una parte del grande problema economico e sociale che starà di fronte all’Italia, nei prossimi decenni: il problema del Mezzogiorno. Vi sono aspetti di questo problema che sono uguali sia che si pongano a Palermo, a Cagliari o a Napoli. Sono questi aspetti che devono richiamare l’attenzione dell’Assemblea Costituente e impegnare la nazione. Sono questi aspetti che devono essere considerati in un tutto, al di fuori dello spirito particolaristico, e costituire motivo di interesse e di grande politica nazionale.

Una somma di considerazioni quindi, di ordine costituzionale e di ordine politico, la coscienza stessa del modo come si pone oggi il problema del Mezzogiorno, mi fa propendere per l’idea di ritardare le elezioni per quel tanto che permetta, nei mesi venturi, di discutere ampiamente tali problemi.

In linea subordinata, se l’Assemblea non accettasse il rinvio, consiglierei di fare espressa riserva sui diritti dell’Assemblea stessa, di inserire, nel quadro costituzionale del nuovo Stato, lo Statuto autonomistico siciliano.

Se l’Assemblea non intendesse nemmeno affermare questo suo potere sovrano, potrebbe parere stranamente insensibile a uno dei suoi compiti e doveri fondamentali, ciò che sarebbe di grande rammarico per noi. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ambrosini. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Onorevoli colleghi. Le osservazioni del collega onorevole La Malfa porterebbero l’Assemblea ad affrontare uno dei problemi centrali che verranno in discussione quando si tratterà del progetto di Costituzione. Ma siccome dobbiamo ora limitarci al tema della mozione, io ritengo che non sia necessario e forse nemmeno opportuno andare a toccare quegli argomenti generali ai quali, per altro, il collega onorevole La Malfa ha fatto un accenno fugace. Mi riferisco specialmente alla dizione di quell’articolo 108 del progetto di Costituzione, nel quale si delinea la figura giuridica che andranno ad assumere le Regioni. Effettivamente, siccome ha detto l’onorevole La Malfa, ci fu una lunga discussione sul termine dell’ultimo capoverso – «adottato» o «approvato» – ma sia la seconda Sottocommissione che la Commissione dei 75 e il Comitato di redazione, che si occuparono ampiamente del problema, finirono per concludere che, sostanzialmente, i termini si equivalevano in quanto non poteva restare alcun dubbio che la fonte di emanazione degli Statuti regionali non fosse e non potesse essere altro che lo Stato nell’esplicazione del suo potere sovrano.

Detto questo, occorre affrontare subito l’asserzione fondamentale del collega onorevole La Malfa; asserzione che sembrami vada oltre a quanto è richiesto nella mozione; giacché, mentre nella mozione si chiede al Governo di disporre il rinvio delle elezioni a dopo avvenuto il coordinamento dello Statuto siciliano con la Costituzione, nella motivazione della richiesta si inficia l’essenza stessa del decreto legislativo del 15 maggio 1946, col quale venne approvato lo Statuto siciliano.

Per esaminare la mozione nel merito, io credo che noi dobbiamo partire da un presupposto, da un punto fermo. Premetto che è fuori questione il potere dell’Assemblea che è sovrana. Ma il problema è un altro. Qui ci troviamo di fronte ad una disposizione di diritto positivo, della quale, finché esiste, non possiamo arrestare l’efficacia.

Con una coerenza, della quale tutti dobbiamo dargli atto, l’onorevole La Malfa si dichiara disposto ad approvare lo Statuto siciliano quando verrà in discussione davanti all’Assemblea, ma non ammette che fino a quel momento si riconosca ad esso valore, ed all’uopo chiede con la sua mozione che venga revocato il provvedimento col quale il Governo ha indetto le elezioni per l’Assemblea regionale siciliana. La sua richiesta non appare però fondata, perché contrasta col diritto positivo, il quale deve venire eseguito come ha fatto il Governo indicendo le elezioni. Non si può arrestarne l’efficacia se non abrogandolo; ma per chiedere di abrogarlo non basta la presentazione di una mozione, come quella che ora discutiamo.

La nostra Assemblea è indubbiamente sovrana; però nel procedere nelle sue decisioni deve seguire l’ordinamento che si è data, cioè non può sorpassare le norme del suo regolamento. Perciò, in considerazione specialmente del presupposto e del fine a cui tende, la mozione non potrebbe essere approvata, per una ragione quasi pregiudiziale, dall’Assemblea.

Onorevoli colleghi, in sostanza, la mozione dell’onorevole La Malfa, per quanto dice espressamente e più ancora per le esplicazioni lucidissime e coerenti che egli ha dato, in sostanza tende ad arrestare e mettere nel nulla un testo di diritto positivo (Commenti), cioè il decreto legislativo 15 maggio 1946 (Commenti).

Esiste questa norma di diritto positivo? È questa la prima domanda che noi dobbiamo farci. Non mi attardo in una dimostrazione. Se qualcuno la chiedesse, sarei disposto a farla. Devo dire, come presupposto, che la risposta è affermativa. Ed allora, se questa legge esiste, l’Assemblea non potrebbe farla cadere nel nulla se non abrogandola, e non attraverso la votazione di una mozione, che tende ad arrestarne l’efficacia con la richiesta della sospensione di un provvedimento che il Governo ha emanato, che doveva emanare per eseguire la legge.

Egregio collega La Malfa, io aggiungo che l’impostazione del problema andrebbe capovolta. Si sarebbe dovuto muovere lagnanza ed appunto al Governo se non avesse dato esecuzione alla legge. Noi dobbiamo difendere il sistema della legalità. Fino a quando una legge esiste, tutti i poteri dello Stato e lo stesso potere legislativo, non devono mettere remore alla sua esecuzione. Se una legge non si ritiene giusta, se non si ritiene più compatibile con le nuove esigenze, il potere legislativo la modifichi o la abroghi; ma fino a quando c’è una legge, questa deve essere eseguita.

Ebbene, giacché il decreto legislativo 15 maggio 1946 è diritto positivo, il Governo non poteva sottrarsi alla esecuzione di esso, e non poteva quindi non indire le elezioni, tanto più che in tale diritto c’è una norma esplicita che gliene dava tassativamente il compito, e quindi indubbiamente l’obbligo. L’articolo 42 dice che la prima elezione dell’Assemblea regionale avrà luogo a cura del Governo dello Stato entro tre mesi dall’approvazione del presente Statuto. Sento che qualcuno si preoccupa di questa parola «statuto», quasi si tratti di un ordinamento giuridico extra statuale. No. Chiariamo, si chiama Statuto, ma è una legge dello Stato. Lo Statuto non proviene da una fonte diversa dallo Stato. È lo Stato che lo ha deliberato attraverso l’organo che nel momento della sua emanazione aveva costituzionalmente i poteri sufficienti. Eliminiamo qualsiasi equivoco, in proposito, perché è bene che anche qui ci sia la chiarezza assoluta. Non è la Regione siciliana che, in modo autonomo, con potere autonomo ed originario – siccome pare ritenga l’onorevole La Malfa – ha emanato lo Statuto in questione.

La Regione siciliana, attraverso l’organo competente, cioè la Consulta regionale, propose al potere legislativo dello Stato uno schema di Statuto; e il potere legislativo dello Stato lo ha adottato.

Quindi è lo Stato che ha emanato lo Statuto della Regione siciliana; e il Governo ora non può sottrarsi alla sua esecuzione, perché ciò importerebbe non eseguire una legge.

Bene. Ci si potrebbe domandare: ma come mai il Governo non fece le elezioni infra i tre mesi stabiliti dall’articolo 42 di questa legge? La colpa è un poco della infelice dizione della legge. Anche Omero qualche volta dormiva. Anche il legislatore può sbagliarsi. In questo articolo appunto è capitata una svista che ha portato a qualche incertezza. Il testo dell’articolo 42 dice che la prima elezione dell’Assemblea regionale avrà luogo a cura del Governo, entro tre mesi dall’approvazione dello Statuto «in base alla emananda legge elettorale politica dello Stato». Tutta l’incertezza è provenuta dalla parola «emananda».

A fugare la incertezza è valsa la corretta interpretazione del testo, in base a tutto il congegno della riforma ed alle condizioni in cui fu deliberata.

Ecco i termini della questione. La Consulta siciliana, dopo una discussione nella quale tutti i pareri furono manifestati e alla quale la popolazione siciliana, caro La Malfa, partecipò con ansia ed interesse seguendo le varie opinioni, approvò, in data 23 dicembre 1945, la proposta dello schema di Statuto, nel quale si fece riferimento anche alle elezioni ed alla legge elettorale che le avrebbe regolate. Non esistendo alcuna legge elettorale, i redattori del progetto e poi la Consulta regionale si riferirono «alla emananda legge elettorale», alla legge elettorale cioè che sarebbe stata emanata per l’elezione della Costituente. Ciò fu deliberato nel dicembre 1945. Quando il progetto di Statuto fu approvato dal Governo col decreto legislativo del 15 maggio 1946, quella che dalla Consulta siciliana era stata indicata come legge elettorale «emananda» era stata di poi già emanata; quindi il legislatore avrebbe dovuto cambiare nell’articolo 42 la parola «emananda» con quella «emanata».

Ci fu una svista. Per l’incertezza derivatane il Governo ritardò ad adottare il provvedimento per indire le elezioni. Al fine, chiarita la situazione, il Governo ha provveduto ad eseguire la legge.

Ma è bene subito chiarire ancora nel merito: il legislatore – perché dobbiamo precisamente parlare di legislatore – il legislatore del 15 maggio 1945 che cosa poteva fare? Prevedere le elezioni per dopo il «coordinamento» del quale ha parlato La Malfa? Indubbiamente no. L’interpretazione dell’articolo 42 è evidente, e l’ha data quell’autore così illustre, Don Sturzo, al quale ha accennato il collega la Malfa (Interruzioni dell’onorevole Musotto).

Io porto argomenti che lei può benissimo controbattere.

Io ritengo di essere su terreno assolutamente obiettivo e di non forzare assolutamente i testi di legge.

Non l’ho mai fatto; meno che mai lo farei di fronte a questa illustre Assemblea. (Approvazioni).

Adunque, perché il legislatore escluse la possibilità, alla quale ha accennato l’onorevole La Malfa ed alla quale accenna l’onorevole Musotto, dell’indizione cioè delle elezioni dopo il «coordinamento»?

Perché questo provvedimento legislativo di approvazione dello Statuto siciliano – teniamo presenti le date – venne emanato, quando già esisteva il provvedimento legislativo che è venuto a costituire quasi un sistema di Costituzione provvisoria, il decreto legislativo cioè del 16 marzo 1946, nel quale si stabilisce la convocazione della Costituente e si fissa il termine della sua durata: cioè 8 mesi, prorogabili a 12. Riguardiamo le varie disposizioni legislative nel loro complesso.

Prego gli onorevoli colleghi di prestare un momento di benevola attenzione.

L’articolo 2 del provvedimento legislativo del 15 maggio 1946, che approva lo Statuto della Regione siciliana, dice:

«Lo Statuto predetto sarà sottoposto all’Assemblea Costituente, per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato».

L’articolo 42 dello Statuto parla di elezioni che dovranno aver luogo entro tre mesi dalla sua approvazione.

Ora, salvo a pensare che il legislatore del 15 maggio 1946 avesse potuto credere che l’Assemblea Costituente potesse arrivare infra i tre mesi previsti dall’articolo 42 suddetto, cioè in concreto entro i primi di settembre del 1946, ad approvare la Costituzione, e a procedere ed ultimare il coordinamento di cui all’articolo 2 – il che, in base allo svolgimento normale delle cose, doveva anche allora apparire assolutamente impossibile – salvo questa ipotesi assurda ed impossibile, è evidente che nel pensiero del legislatore non vi era né poteva esservi connessione fra le elezioni ed il coordinamento. Le elezioni dovevano svolgersi necessariamente prima del coordinamento. Significa forse ciò diminuire i poteri della Costituente? No di certo.

Chi nega i poteri dell’Assemblea?

L’Assemblea procederà al coordinamento. Non solo; ma (l’abbiamo varie volte pubblicato e proclamato nelle riunioni di gruppo ed in questa Assemblea), siccome noi desideriamo, nell’interesse del Paese, che si vada al più presto alle elezioni generali, faremo di tutto, per quanto sta in noi, perché si arrivi al più presto all’approvazione della Costituzione e al «coordinamento» in questione.

Perché questo è indispensabile, egregio onorevole La Malfa. Per coordinare un testo che esiste con un altro che deve essere elaborato ed approvato, occorre che quest’altro testo sia completo ed in vigore. Si tenga presente che quest’altro testo è il principale, il fondamentale, al quale quello esistente, il particolare, cioè lo Statuto in questione, deve venire coordinato.

Quindi, prima sono da fare le norme della Costituzione, che costituiranno, come importanza come punto di riferimento, il prius di fronte allo Statuto regionale da coordinare con esse. È per ciò che solo dopo l’approvazione della Costituzione da parte di questa Assemblea, si deve procedere al «coordinamento». (Interruzioni). Il prius è la Costituzione! (Commenti). Quale coordinamento? (Commenti). E che cosa – perdonate, onorevoli colleghi – che cosa io dico di diverso? Noi abbiamo bisogno prima delle norme della Costituzione…

Una voce. No!

AMBROSINI. …di questo prius, come ho detto, e dopo procederemo al «coordinamento»; perché, lo ripeto, la Costituzione è il documento fondamentale col quale lo Statuto speciale siciliano va coordinato.

Ora, noi auspichiamo che l’Assemblea Costituente possa al più presto (e pare che il titolo che si riferisce all’ordinamento regionale verrà in discussione dopo le libertà civili) approvare queste norme della Costituzione; dopo di che si potrà procedere al coordinamento. Dal punto di vista mio personale dico, che per procedere al «coordinamento» non occorre nemmeno che l’Assemblea abbia approvato prima tutta la Costituzione, giacché basta che siano state approvate le norme fondamentali riguardanti l’ordinamento regionale, perché è a queste norme che dovremo riferirci per fare il «coordinamento».

Adunque, stabilito che c’è questa possibilità e che il procedersi alle elezioni non esclude che la Costituente – prima ancora del 20 aprile, o, comunque, prima che l’Assemblea regionale eligenda vada a funzionare – possa procedere a questo coordinamento, nessuno degli inconvenienti ai quali ha accennato l’onorevole La Malfa verrebbe a verificarsi: non l’inconveniente del quale si parla della mozione, cioè la possibilità di contrasti costituzionali fra Regione e Stato; e nemmeno gli altri inconvenienti relativi all’applicazione della legge, né tanto meno quello riferentesi alla preclusione dell’esercizio dei poteri della Costituente. Noi siamo ben lieti che l’amico La Malfa abbia portato la discussione non sul terreno del calcolo elettorale, ma su quello dei principî. Ma, stando in questo campo alto dei principî, noi diciamo: giacché c’è un testo di diritto positivo, giacché questo testo di diritto positivo promana dallo Stato secondo le norme costituzionali vigenti al momento della sua emanazione, giacché il Governo ha, non solo la facoltà, ma il dovere di eseguire la legge, fino a quando questa esiste, è evidente che non si può arrestarne o sospenderne l’efficacia, e che si debba quindi respingere la mozione La Malfa, che concretamente importerebbe tale risultato, chiedendo che il Governo sospenda quel provvedimento che ha emanato per eseguire la legge del 15 maggio 1946.

Egregi colleghi, io non vorrei nemmeno accennare a quello che è il gioco delle forze politiche in rapporto alle elezioni. C’è una pregiudiziale, che per essere di indole giuridica non è meno importante e meno decisiva per indurre a prendere posizione contraria alla mozione. Si tratta del rispetto e dell’esecuzione della legge. A questo proposito, prima di concludere, non sarà inopportuno ripetere (giacché mi pare di notare in proposito qualche dubbio) e chiarire che non c’è stato nulla nell’adozione dello Statuto siciliano che possa ritenersi contrario al sistema allora vigente di emanazione dei provvedimenti legislativi o che possa, nella sostanza, considerarsi lesivo della sovranità dello Stato. Basterà all’uopo fare un cenno all’origine di questo Statuto regionale. Il 18 marzo 1944, da parte del Ministero di Salerno – al quale apparteneva l’onorevole Corbino – fu istituito l’Alto Commissariato per la Sicilia, accanto al quale venne creata contemporaneamente una Giunta consultiva. Con un provvedimento legislativo del 28 dicembre successivo, che porta la firma dell’onorevole Bonomi e degli altri suoi colleghi al Governo di quel tempo, si apportarono innovazioni al precedente provvedimento, e fra le altre una riguardante la trasformazione della Giunta in Consulta regionale, alla quale venne attribuito anche il compito di «formulare proposte per l’ordinamento regionale».

Fu proprio in virtù di questo potere, ed anzi, di questo dovere della Consulta, che essa procedette all’elaborazione di quel progetto di Statuto che il Governo fece poi proprio e che approvò col decreto legislativo del 15 maggio 1946, dopo aver avuto il parere favorevole della Consulta Nazionale. Non sarà superfluo ricordare che la Consulta regionale siciliana elaborò tale progetto ispirandosi al criterio dell’interesse generale della Patria secondo l’incitamento del messaggio che il Presidente del Consiglio del tempo, onorevole Bonomi, aveva inviato alla Consulta e che fu letto al momento dell’insediamento di questa. Parlando dell’esperimento che la Consulta si apprestava fare, l’onorevole Bonomi diceva fra l’altro:

«Solo l’esperimento che voi vi preparate a fare, solo le voci che ci farete udire, potranno dirci come dovrà essere congegnata quell’autonomia regionale che da più parti si invoca. Io attendo da voi, dalla vostra opera, dai vostri suggerimenti, una guida ed un lume per la soluzione di un problema che è fra i problemi massimi della nuova democrazia italiana. La Sicilia è in particolari condizioni per assolvere il suo compito di precorritrice e di esempio».

A conclusione di questo messaggio, l’onorevole Bonomi diceva: «Io confido che la Consulta siciliana indicherà all’Italia quali vie deve battere per costituire un ordinamento interno in cui il centro e la periferia possano collaborare insieme con mutua comprensione. Auguro che i vostri lavori siano tali quali l’Italia ha il diritto di attendersi dalla vostra fervida e antica devozione al Paese».

Onorevoli colleghi, ho finito. Sì, fervida e antica devozione e dedizione della Sicilia alla Madre Italia. Nessuno può dubitarne. Rammento che, quando due anni addietro apparvero le prime minacce alla Venezia Giulia e ad altri territori che l’ingiusto Trattato di pace ci sta strappando, fu a Palermo, da parte degli studenti di quell’Ateneo, che si levò il primo grido di protesta, di angoscia e di dolore. (Applausi al centro e a destra). Noi siciliani sentiamo, non per calcolo, ma per istinto, la devozione completa alla Patria, così nella buona come nella cattiva fortuna. È con questo animo, onorevoli colleghi, malgrado tante delusioni, che noi abbiamo sempre lavorato, che lavoriamo e che continueremo a lavorare, sentendoci parte inscindibile di tutto il Paese, per la ricostruzione di esso e per la rinascita e la gloria d’Italia. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bellavista. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, non abuserò della vostra pazienza: sarò brevissimo.

Sono contrario alla mozione Nasi-La Malfa, perché la credo fondata su un doppio equivoco giuridico e politico. E non mi soffermo su quello giuridico, perché l’ha già fatto con abilità e ricchezza di dottrina quel maestro che è Gaspare Ambrosini. Devo soltanto sottolineare, a rassicurazione della buona fede costituzionalistica che anima il collega La Malfa, che i pericoli di quel caos costituzionale, che egli intravede e crea, non esistono affatto nella realtà giuridica e politica.

Non esistono; e ne converrà l’onorevole La Malfa, sol che consideri quale è l’esatto contenuto, quale è l’esatta sostanza giuridica dello Statuto di autonomia, che, lungi dall’essere potere originario – che non trova limiti altro che in se stesso, quale è quello statuale – è invece un potere derivato, sottoordinato, che lo Stato concede – come vassallo a valvassore – e che può togliere in qualsiasi momento. Quindi, pericoli non esistono e non è il caso di inventarli, perché le preoccupazioni politiche agitate da La Malfa esistono, ma in senso perfettamente opposto e contrario.

Debbo anzitutto respingere quell’aura di diffidenza che, con bel garbo, La Malfa ha agitato a proposito delle prossime elezioni regionali. Credo che in democrazia si abbia il diritto e il dovere di credere alla libera scelta dei popoli che vanno alle urne. Io credo che non si abbia il diritto di sospettare degli orientamenti della politica popolare, perché, delle due una: o del popolo si ha fiducia e bisogna riconoscerne il verdetto, nulla facendo per evitarlo, o non si ha, e questo non può esser detto o sostenuto all’Assemblea Costituente italiana.

Non meno che le giuridiche, dunque, queste preoccupazioni politiche non esistono. La Malfa ha detto che ha paura che la vita politica siciliana, in un momento così delicato, si cristallizzi in forme destinate ad essere superate.

Io ho il sospetto – mi consenta il collega ed amico La Malfa – che egli non abbia «funditus» esplorato lo Statuto dell’autonomia siciliana. Su proposta dell’onorevole Li Causi, fu discusso alla Consulta di Sicilia e approvato all’unanimità da tutti i Partiti un articolo – se egli ha inteso alludere a quel progresso sociale che è ansia di tutti – nel quale testualmente si statuisce che la legislazione particolare siciliana, destinata alla esclusiva competenza dell’Assemblea regionale, non può discostarsi da tutte le conquiste sociali che nel campo del lavoro venissero effettuate nella legislazione statuale.

Nemmeno questa preoccupazione può sussistere perché i partiti, tutti i partiti, hanno preteso e concesso questa legittima e santa garanzia, che è arra di progresso civile e sociale.

L’unica preoccupazione politica che ha ragione di esistere è quella opposta e contraria: dobbiamo dire le cose come stanno, e dire pane al pane e vino al vino. Io faccio appello all’onorevole Natoli, invocandone la testimonianza, per dire che fin dal tempo della mia prigionia in America scrissi un articolo coraggioso contro l’antistoricità del separatismo siciliano; debbo però riconoscere che in tutta questa tragica, sanguinosa, deplorevole vicenda c’è una causa che non deve essere dimenticata o sottovalutata, ed è l’esasperazione regionalistica che da 80 anni abbiamo in Sicilia, e che è stata placata non dagli esilii di Ponza, ma soltanto dall’autonomia. È stato soltanto allora che il separatismo si è rivolto a forme più attenuate. Questa è la verità e noi non dobbiamo prestarci a che il passato risorga, non dobbiamo farlo se abbiamo sentimenti italiani… (Commenti). Perdonatemi se l’ansia interna ed il pericolo che scorgo esaltano un poco il tono della mia voce.

Ma la realtà è questa, la verità è che noi incoraggeremmo un risorgere di quel fenomeno e delle conseguenze di quel fenomeno, del quale non è il caso di parlare. Abbiamo il dovere di far sì che il popolo di Sicilia, che per una strana congiura di circostanze, dopo l’emanazione della legge dello Stato, ha visto ritardare le elezioni per quei motivi di miopia legislativa cui alludeva così bene l’onorevole Ambrosini, non abbia oggi a fortificarsi nel sospetto che le promesse di Roma siano destinate a non essere mantenute. Noi dobbiamo dare la certezza al popolo siciliano che Roma mantiene le sue promesse, che Roma lo reputa democraticamente capace di autogovernarsi, non solo, ma nell’orientamento verso lo Stato regionale, quale si profila nel progetto di Costituzione, restituisce anche alla Sicilia quel privilegio di grandi iniziative che le fu attribuito da Garibaldi. La Sicilia è il primo grande esperimento dell’autonomia regionale; grande esperimento, perché qui si è taciuto, e non ne capisco il perché, l’esperimento della Val d’Aosta.

Date, onorevole colleghi, questa fiducia ai siciliani che guardano all’Assemblea Costituente del popolo italiano; essi saranno degni di questa fiducia che accorderete loro, essi, che furono quelli di Cascino «la valanga che sale» dal Carso verso la Bainsizza, daranno prova di costruire un’autonoma regionale, veramente degna del tempo democratico nel quale viviamo (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Caronia. Ne ha facoltà.

CARONIA. Onorevoli colleghi, non intendo entrare in merito alla parte giuridica dell’argomento in discussione; mi pare che in proposito siano state esaurienti la parola dell’onorevole Ambrosini e quella dell’onorevole Bellavista, e non sono certo le obiezioni dell’onorevole La Malfa che possono sminuirne il valore.

Guarderò la quistione soltanto da un punto di vista politico e umano.

La storia dell’autonomia siciliana è ormai nota in tutti i suoi particolari. Si sa attraverso quali vicende si è pervenuti alla sua prossima realizzazione, che si tenta oggi sabotare.

Per renderci conto dell’importanza dell’autonomia siciliana, dobbiamo risalire al primo momento della formazione della tanto sospirata unità italiana, al 1860, quando la Sicilia per prima insorse aprendo le sue braccia al liberatore, a Giuseppe Garibaldi, con la precisa condizione che alla Regione fosse dato un proprio governo autonomo nell’ambito dello Stato italiano in via di formazione.

Ricordo, in proposito, il classico progetto di autonomia elaborato da Michele Amari e poi dimenticato per il prevalere dell’unitarismo accentratore, che eluse l’aspirazione dei siciliani.

Ma tale aspirazione sopita e non spenta, dopo varî conati violentemente soffocati, è rinata vivace durante la guerra infausta, sino a degenerare in movimento addirittura separatista, trasformatosi poi nel movimento federalista.

Non bisogna dimenticare quello che avvenne in Sicilia al momento dell’occupazione anglo-americana, in assenza di tutti i poteri dello Stato. Dinanzi ai grandi disagi della guerra, dinanzi alla carenza di ogni potere, dinanzi al crollo dello Stato, molti siciliani eccitati dall’entusiasmo di pochi elementi ben decisi, pensarono seriamente alla possibilità di formare non una Regione, ma uno Stato autonomo e certamente non sarebbero valse le forze dell’Italia in sfacelo ad impedirlo.

Ma sulle velleità separatiste prevalse il sentimento unitario del popolo siciliano, il sentimento nazionale di quel popolo che per primo invocò l’unità d’Italia, e il movimento separatista dovette segnare il passo.

Dovette segnare il passo perché – soprattutto per l’azione della risorgente democrazia cristiana, non dimentica del primitivo programma del 1919, circa il decentramento regionale – sorse a contrapporsi alle esuberanze del separatismo il movimento autonomista.

Dissero i siciliani: «Noi vogliamo sì provvedere alle cose nostre, noi vogliamo risolvere i nostri problemi, che i varî governi d’Italia succedutisi da Cavour a Mussolini mai sono stati buoni a risolvere, ma non vogliamo intaccare l’unità italiana, non vogliamo distaccarci dai nostri fratelli d’Italia».

Anche stavolta la Sicilia diede prova del suo incrollabile spirito nazionale. Chi va cianciando di antitalianità non conosce lo spirito dei siciliani, chi mette avanti lo spauracchio del pericolo dell’infrangersi dell’unità italiana sotto la spinta delle autonomie, mostra di non conoscere né gli italiani di Sicilia, né quelli delle altre Regioni; non si rende conto che una vera prova del fuoco è stata superata per il sopravvivere e prevalere dello spirito nazionale, nonostante i grandi disagi, non ostante la lunga occupazione straniera, non ostante la suggestione di un’attiva propaganda separatista.

I governi democratici, che si son succeduti dalla caduta del fascismo ad oggi, della saldezza dello spirito unitario dei siciliani non hanno dubitato e non hanno avuto paura d’istituire l’Alto Commissariato e la Consulta siciliana, che rappresentano una prima forma, per quanto embrionale, di autonomia.

È venuto poi il progetto di Statuto di autonomia elaborato dalla Consulta siciliana, che la Consulta nazionale ha approvato e che il Governo De Gasperi ha fatto legge, come quella del referendum e della Costituente; legge quindi, come queste, perfettamente costituzionale, perché costituzionale era il potere da cui emanava.

Lo Statuto della Regione siciliana, emanato il 15 maggio 1945, fu per la Sicilia come un pegno di pacificazione; il movimento separatista attenuò il suo ardore, lo stesso onorevole De Gasperi, nella sua visita a Palermo e a Catania verso la fine di maggio, poté constatare, attraverso le festose accoglienze, quale fosse lo spirito dei siciliani e quale la loro viva attesa per l’attuazione dello Statuto, che la legge stabiliva per il 15 agosto 1946, e che per una serie di circostanze inspiegabili soltanto ora comincia ad avere attuazione.

Nello scorso settembre, e precisamente il 18 settembre 1946, dinanzi alla mancata attuazione dello Statuto, sotto il pretesto che era vacante la sede dell’Alto Commissario, i miei colleghi siciliani al completo, senza distinzione di partiti, fecero formale richiesta al Governo di procedere all’immediata nomina dell’Alto Commissario, alla nomina della Commissione paritetica prevista dallo Statuto, alla convocazione dei comizi elettorali.

Leggo il documento con tutte le firme:

«Il Gruppo Parlamentare Siciliano chiede

1°) L’immediata nomina dell’Alto Commissario.

2°) La nomina della Commissione paritetica a norma dell’articolo 43 dello Statuto della Regione siciliana.

3°) Conseguentemente la convocazione dei comizi per l’elezione dell’Assemblea regionale secondo gli articoli 3 e 43 dello Statuto della Regione siciliana.

«Firmati: La Pira, Caronia, Volpe, Galioto, Gullo, Cannizzo, Varvaro, Mastrojanni, Adonnino, De Vita, Guerrieri, Mattarella, Martino, Basile, Nicotra, Vigo, Nasi, Cartia, Condorelli, D’Amico, Di Giovanni, Salvatore, Bonino, La Malfa, Borsellino, Musotto, Candela, Paratore, Castrogiovanni, Corbino, Orando Vittorio Emanuele, Gallo, Tumminelli, Trimarchi, Salvatore, Romano, Ambrosini, Russo-Perez, Natoli, Penna, Castiglia, Patricolo, Bellavista, Montalbano, Li Causi, Orlando Camillo, Medi, Finocchiaro-Aprile».

Il Governo, dopo qualche tergiversazione, aderì, e fu nominato l’Alto Commissario, fu formata la Commissione che ultimerà il lavoro entro il 20 marzo, furono fissati i termini per la convocazione dei comizi. Debbo, anzi in proposito, ricordare che, mentre i comizi avrebbero dovuto aver luogo tra la fine di dicembre e i primi di gennaio, per desiderio espresso di tutti i sunnominati colleghi, furono ritardati sino al 20 aprile.

Le condizioni stagionali furono argomento valido per il ritardo e alcune zone dell’opinione pubblica siciliana, che mal vedevano i continui rinvii, accettarono per buono l’argomento e si rassegnarono.

Ora si ripropone altro rinvio e, in violazione della legge, in violazione di un diritto acquisito, si vuole addirittura rimandare l’attuazione dello Statuto siciliano alla fine dei lavori della Costituente.

Ma chi questo desidera (e purtroppo fra di essi vi sono, in patente contrasto con se stessi, alcuni dei firmatari della richiesta presentata al Governo lo scorso settembre) si rende conto delle ripercussioni che un nuovo arbitrario rinvio avrebbe sulle popolazioni siciliane? Un ritorno indietro, una violazione della legge, una mancanza alla parola data, un vero atto di malafede nazionale! Quale argomento per la propaganda separatista, quale delusione ed irritazione per le popolazioni siciliane!

Onorevoli colleghi, vogliate guardare in faccia la realtà politica e vogliate soprattutto fare appello alla vostra coscienza democratica.

Agli amici di Sicilia che hanno firmato la mozione, venendo meno agli impegni precedentemente assunti, io dico: «Volete davvero calpestare la volontà della grandissima maggioranza del popolo siciliano? Credete sul serio al pericolo di una restaurazione monarchica che parta dalla Sicilia? O non sono invece altre le preoccupazioni che v’inducono a mancare all’impegno?».

Agli amici del continente che hanno compiacentemente sottoscritto la mozione io dico: «Conoscete voi la Sicilia? Vi rendete veramente conto dei problemi che vi si agitano? Non temete di acuire quei contrasti tra Nord e Sud, che noi tentiamo in tutti i modi di eliminare?».

A tutti poi debbo ricordare quanto recentemente ha scritto uno dei nostri più illuminati e grandi statisti, Luigi Sturzo:

«Là dove non ci sono elezioni – ed aggiungo, là dove non vi è rispetto delle leggi da parte del legislatore – vi sono il disordine e l’insurrezione».

Volete voi assumere questa tremenda responsabilità, opponendovi per di più ad un esperimento che di tanta utilità può essere alla nostra opera di ricostituzione democratica del Paese?

Abbiamo già un’autonomia in atto, quella della Val d’Aosta. In che cosa essa ha nociuto al Paese? In che modo ha incrinato l’unità della Patria? Non vediamo sinora che vantaggi e nessun danno: un insano movimento irredentista è spento, la tranquillità è tornata tra le popolazioni.

Nulla l’Italia ha da temere dalle autonomie. Contrariamente a quanto da taluno si vocifera, le autonomie non indeboliscono, ma rafforzano l’unità della nazione, perché eliminano contrasti altrimenti irriducibili e danno ai popoli una maggiore coscienza di se stessi, una migliore educazione politica democratica e soprattutto rendono più difficile l’avvento delle dittature.

In nome della Sicilia, in nome della democrazia, in nome della legge, io vi prego, onorevoli colleghi, di non volere accogliere la mozione, che sotto il pretesto di un semplice rinvio di elezioni, mira a colpire l’autonomia siciliana e con essa tutte le autonomie regionali. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Codignola. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Mi pare che l’onorevole La Malfa abbia con grande esattezza ed acutezza indicato la sostanza del problema costituzionale che ci sta di fronte. Egli ha osservato che l’attività costituzionale dell’Assemblea Costituente non può essere subordinata ad una realtà costituzionale preesistente, e che l’autonomia siciliana deve fondarsi sopra una realtà costituzionale la più solida possibile.

Mi sembra invece che l’onorevole Ambrosini, pur dichiarando ripetutamente che egli non metteva in dubbio la sovranità di questa Assemblea, abbia in realtà lasciato sussistere molti dubbi su questa effettiva sovranità, perché egli ha dichiarato che è vero, sì, che l’Assemblea Costituente ha potere di deliberare in piena libertà sulla materia costituzionale, ma deve pure rispettare il diritto positivo esistente.

Ora a me pare che se questa Assemblea ha pieni poteri nel determinare nuove norme costituzionali, cioè nel dettare la nuova Costituzione dello Stato, a fortiori essa ha i poteri per rivedere quelle norme di carattere provvisorio che sono state emanate in periodo di vacanza costituzionale.

Il problema, quindi, mi pare che si sposti su un piano più importante di quello puramente locale, dove qualcuno ha cercato di restringerlo.

In realtà, il problema della autonomia siciliana è legato strettamente al problema dell’autonomia in generale, e, discutendo di questo, non si può non toccare del modo come esso è accennato negli articoli della nuova Costituzione, che noi siamo chiamati ad approvare.

L’onorevole La Malfa ha parlato dell’articolo 108 del progetto, ma osservo che vi sono altri articoli del progetto che presentano molto interesse al riguardo. Vi è l’articolo 114, comma 2°, che dichiara che una legge della Repubblica stabilisce il numero dei membri del Consiglio regionale ed il sistema elettorale, che deve essere conforme a quello della formazione della Camera dei Deputati. Vi è inoltre l’articolo 124 che dice che lo statuto di ogni Regione è stabilito in armonia alle norme costituzionali.

Ora mi pare evidente che noi, nel caso concreto, possiamo trovarci di fronte ad una situazione siciliana assai delicata, poiché può darsi che le norme contenute nello statuto provvisorio per l’autonomia siciliana siano per essere in contrasto, almeno parzialmente, con le norme sulla autonomia in generale, che saranno deliberate da questa Assemblea.

Se l’articolo 114 stabilisce addirittura che il sistema elettorale dovrà essere conforme a quello deliberato per la formazione della Camera dei Deputati, si pone anche il problema della legge elettorale, che oggi potrebbe essere diversa dalla legge elettorale che sarà stabilita domani da questa Assemblea, si pone cioè il problema della validità sostanziale delle elezioni che si stanno facendo in Sicilia. Si potrebbero domani mettere in discussione i risultati di queste elezioni, perché fondate su uno Statuto che è in contrasto con la legge fondamentale dello Stato, e questo proprio nel momento in cui si sta per discutere all’Assemblea Costituente intorno agli articoli di questa legge fondamentale.

In generale, penso che le deliberazioni prese a suo tempo dal Governo provvisorio in materia di autonomia della Sicilia e di altre Regioni italiane prestino il fianco all’osservazione che il problema dell’autonomia non può essere considerato semplicemente dal punto di vista dei diretti interessati, sebbene codesto punto di vista sia importante e legittimo.

Comprendo che gli onorevoli colleghi siciliani si preoccupino particolarmente del problema che stiamo discutendo, ma essi consentiranno che il problema riguarda egualmente tutti i membri di questa Assemblea, poiché il problema dell’autonomia regionale investe la struttura dello Stato ed egualmente tanto la Sicilia, come le altre Regioni italiane.

Credo che in sede di legislazione provvisoria si siano fatti dei passi troppo affrettati in questa materia. Evidentemente, quanto diceva La Malfa, che cioè non si può pensare ad un semplice coordinamento delle norme stabilite dallo Statuto provvisorio della Sicilia con le norme deliberate da questa Assemblea, è esattissimo, poiché questo coordinamento presuppone, per dire così, la coesistenza di due ordinamenti giuridici, presuppone, in certo senso, che lo Statuto siciliano sia portato sullo stesso piano dello Statuto della Repubblica, poiché quando si parla di coordinamento, si presuppone evidentemente che si sia di fronte a due norme giuridiche parallele. Ecco perché, da un punto di vista generale, il problema deve essere affrontato con grande attenzione da questa Assemblea.

Evidentemente vi sono dei riflessi politici. Tutti noi siamo informati della situazione molto preoccupante che si sta manifestando in Sicilia, ma giustamente osservava l’onorevole La Malfa che qui non si pone il problema del rinvio per un tempo indeterminato.

Si pone il problema pregiudiziale, se cioè le elezioni che sono indette in Sicilia siano tali da rafforzare l’autonomia regionale ovvero da indebolire questa autonomia, in quanto si fondano su disposizioni non riconosciute da questa Assemblea.

Il problema della scadenza verrà successivamente. Mi pare che non appena questa Assemblea abbia preso le sue deliberazioni in merito alle autonomie regionali si potranno anche prendere le deliberazioni relative all’autonomia siciliana. Non vedo perché l’Assemblea, come ha asserito l’onorevole Ambrosini, non potrebbe sospendere l’applicazione della legge in atto. Questa Assemblea non ha alcun bisogno di ripudiare la legge esistente, fintantoché essa non venga assorbita dalle norme generali in materia: ma, in attesa che entrino in vigore tali norme generali, si potrebbe intanto sospendere l’applicazione della legge, per permettere all’autonomia regionale siciliana di rientrare nel quadro generale delle autonomie, che a noi sta molto a cuore, in quanto rappresenta un aspetto generale della riforma strutturale dello Stato. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Vigo. Ne ha facoltà.

VIGO. Avrei rinunziato alla parola anche perché, dopo quello che ha detto l’onorevole Ambrosini, credevo che non ci potesse essere più nulla da obiettare contro la mozione e in favore di questa esigenza siciliana.

Ma poiché l’onorevole collega Codignola in questa seconda ripresa pare abbia spostato i termini della questione, ritengo necessario intervenire.

Qui non si vuole da parte dei siciliani fare il colpo e procedere alle elezioni per far trovare la Sicilia con le elezioni già fatte quando si dovrà discutere della struttura generale dello Stato. Noi non vogliamo, attraverso questa richiesta di elezioni, forzare la Costituente quando dovrà trattare delle autonomie.

Voi non considerate la situazione particolare e psicologica della Sicilia in questo momento. Essa è già preparata per l’autonomia; ha avuto il suo Alto Commissariato, provvede con organi autonomi alla sua costituzione e aspetta da tempo la possibilità di realizzare il suo autogoverno.

Non abbiamo proceduto all’organizzazione dell’ente regionale in forma clandestina, come ha detto l’onorevole La Malfa, ma in seguito ad invito formale solenne del Governo e dello Stato e dopo che la Consulta ha elaborato in diverse giornate, veramente storiche, nel dicembre 1945, quello Statuto che dopo essere stato oggetto di lunghissime e appassionate discussioni, è stato tradotto il 15 maggio del 1946 in una legge dello Stato, nella quale è inserito anche l’obbligo di indire entro tre mesi le elezioni regionali.

Una mozione portata qui nel momento in cui l’Assemblea ha un senso di stanchezza dopo la discussione durata una ventina di giorni sulle dichiarazioni del Governo, non credo che possa, nella forma più legittima, richiedere che si venga meno alla legge.

Esiste l’iniziativa parlamentare per cui si può chiedere l’abrogazione di questa legge, che è legge fondamentale dello Stato, con altra legge; ma attraverso una mozione non credo che si possa, né legittimamente né costituzionalmente, chiedere la sospensione della esecuzione della legge stessa.

Ritengo che l’onorevole La Malfa non abbia considerato anche un’altra situazione. Va bene che nel coordinamento occorrono due termini, ma coordinamento significa costituire quasi il testo unico di due leggi emanate in sedi o in tempi diversi.

Questa legge fondamentale dovrà essere coordinata; e se, per caso, la Costituente troverà nello Statuto siciliano norme eventualmente in conflitto con quello che sarà il sistema generale dello Stato, essa sarà sovranamente capace di modificarle.

Ma non si può in questo momento alla Sicilia, che è così preparata e protesa verso il suo autogoverno, dire che si rinvia, con lo specioso motivo di dover coordinare, quando tutti noi siamo disciplinatamente pronti ad accettare il coordinamento, che domani la Costituente detterà. Noi vorremmo, in conclusione, sodisfare le aspettative, le esigenze ed i bisogni della nostra popolazione. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO APRILE. Brevissime dichiarazioni.

Noi indipendentisti siciliani siamo contrari alla mozione presentata dall’onorevole La Malfa e da altri colleghi, per due ordini di considerazioni: per considerazioni di ordine giuridico e per considerazioni di ordine politico.

Per le considerazioni di ordine giuridico, io mi riferisco a quelle esposte dall’onorevole Ambrosini. Sono perfettamente d’accordo con lui – non vi meravigliate che io sia d’accordo con un democristiano – per questo: effettivamente il Governo nove mesi fa – lasciamo stare le ragioni della fretta di allora del Governo, che ebbe manifesto carattere elettoralistico – emanò un cosiddetto Statuto della regione siciliana. Questo Statuto, che è una legge costituzionale, ha atteso sinora la sua attuazione, che parecchie volte noi in questa Assemblea abbiamo sollecitato.

Il Governo ha fatto sempre orecchio da mercante.

Soltanto poco tempo fa fu convocata la Commissione paritetica, prevista dallo Statuto medesimo, per studiare le modalità dell’attuazione.

Ora, lo Statuto è, ripeto, una legge vera e propria dello Stato. Nessuna obiezione è da farsi al potere sovrano dell’Assemblea Costituente. Ma siamo di fronte ad una legge dello Stato, che poteva essere emanata prima della convocazione dell’Assemblea Costituente e che fu emanata legittimamente.

Questa legge dello Stato può essere revocata dall’Assemblea Costituente, innegabilmente; ma finché è legge dello Stato, essa deve essere attuata. Se non fosse attuata, si commetterebbe un abuso di potere. Questo è il concetto espresso dall’onorevole Ambrosini.

Non credo che, dal punto di vista giuridico, si possa accennare a motivi e criteri diversi da quelli enunciati dall’onorevole Ambrosini. Quindi, necessita l’attuazione dello Statuto, senza ulteriori indugi.

Sul terreno politico noi indipendentisti siciliani abbiamo da fare riserve e censure all’azione del Governo. Vi è una legge dello Stato che, dopo nove mesi, non ha avuto ancora attuazione senza alcuna plausibile ragione: vi è l’impegno contenuto nella legge, che, dopo tre mesi, avrebbero dovuto aver luogo le elezioni dei deputati al Parlamento siciliano. Queste elezioni non sono avvenute, e ne è derivata una delusione ed una irritazione nelle popolazioni dell’Isola. In altri tempi ciò avrebbe provocato una crisi: oggi, invece, il Ministero ha avuto un grande voto di maggioranza e rimane al suo posto. Noi siamo dell’opinione che, sul terreno dell’autonomia, il Governo avrebbe dovuto comportarsi in modo completamente diverso. Il mio pensiero e quello dell’onorevole Gallo e degli altri indipendentisti – ed il vostro pensiero non può essere diverso – è che una legge dello Stato esiste e che questa legge deve essere, senza meno, attuata.

Presidenza del Presidente TERRACINI

Mi pare, però, che noi ci siamo messi un po’ fuori strada, perché non era questa l’occasione di fare una discussione così larga, come si è fatta, a proposito dell’autonomia siciliana. Noi ne discuteremo a tempo opportuno, quando ci occuperemo della nuova Costituzione e del coordinamento con essa dello Statuto siciliano. Qui siamo in presenza di una mozione, con la quale si chiede il rinvio delle elezioni. Da un punto di vista costituzionale, vorrei dire che noi invadiamo il potere del Governo. Si tratta, infatti, di materia che rientra nell’esercizio del potere esecutivo e il Governo deve conoscere da sé i suoi doveri e deve esercitarli senza bisogno di sollecitazioni da parte dell’Assemblea, se sa adempiere al suo compito.

Oggi noi avremmo dovuto limitarci all’argomento della mozione: all’invito, cioè, fatto dai proponenti al Governo di rinviare le elezioni siciliane. A questo proposito gli indipendentisti siciliani vi dicono essere loro avviso che le elezioni si debbano fare alla data stabilita. Però, siccome noi dobbiamo renderci conto delle varie esigenze politiche esistenti, noi consideriamo che i nostri amici socialisti, per esempio, in seguito alla scissione, non hanno avuto la possibilità di organizzarsi sul piano elettorale. Se quindi si venisse da loro a chiedere all’Assemblea: «Dateci il tempo congruo per prepararci», noi indipendentisti non avremmo nessuna difficoltà di consentire alla loro richiesta, anche per un dovere di cortesia e di cavalleria.

Ma non credo che sia questo quello che si voglia. Ripeto che, se ci si chiedesse un breve rinvio, noi saremmo molto lieti di consentire ad esso. Ma non questo si vuole; si vuole un rinvio a tempo indeterminato; si vuole un rinvio a quando lo Statuto siciliano sarà coordinato con la Costituzione. Ciò significa, parliamoci chiaro, aspettare da questo coordinamento un rifacimento dello Statuto in senso più restrittivo; significa mandare all’aria l’autonomia siciliana; significa un rinvio delle elezioni sine die.

LA MALFA. Entro maggio.

FINOCCHIARO APRILE. Non ci si arriverebbe. Ora, indipendentemente dalla situazione giuridica, che è quella che è, c’è una legge che bisogna osservare. Ma, a parte ciò, io insisto nella mia impressione che, attraverso il rinvio, si voglia attentare a quella che è l’essenza dello Statuto siciliano. Perché – è inutile dissimularlo – molti qui dentro parlano di autonomia, perché non possono farne a meno, ma, nel loro intimo, sono contrari all’autonomia. E perché sono contrari all’autonomia? Perché vedono in essa un principio di disgregazione del sistema unitario italiano. Io ho ripetuto varie volte che noi indipendentisti non consideriamo questo Statuto dell’autonomia siciliana come qualche cosa, non dico di perfetto, ma di giuridicamente passabile: è una misera cosa. Ma noi accettiamo lo Statuto siciliano non come fine a se stesso, ma come mezzo al fine, come mezzo per arrivare all’indipendenza della patria siciliana.

È evidente che un rinvio, dopo che per nove mesi il Governo non ha dato attuazione alla legge, avrebbe, sul terreno politico, una interpretazione molto penosa in Sicilia.

La Sicilia è scottata da questi indugi e da queste perplessità. È un pezzo che si dice: avrete l’autonomia, avrete il Parlamento siciliano, vi governerete da voi; ma non si vede nulla ancora.

Onorevoli colleghi, pensate che il rinvio delle elezioni a tempo indeterminato sarebbe considerato come un’offesa al popolo siciliano. È necessario che tale rinvio non avvenga.

Questi sono gli intendimenti e i consigli degli indipendentisti siciliani.

MUSOTTO. Ringraziamo l’onorevole Finocchiaro Aprile per la gentilezza avuta nei riguardi del Partito Socialista, ma il Partito Socialista è pronto a combattere tutte le battaglie.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione sulla mozione è rinviato a domani alle ore 16. Vi sono ancora sette iscritti a parlare.

Voci. Chiusura! Chiusura!

PRESIDENTE. La discussione è già stata rinviata a domani. All’inizio di seduta, domani si presenti la proposta di chiusura, ed io la porrò in votazione.

Sui poteri di una Commissione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Rubilli. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Come Presidente della Commissione nominata su proposta Natoli, ho inviato all’onorevole Presidente dell’Assemblea questa mattina, a nome della Commissione stessa, un ordine del giorno votato all’unanimità, col quale si domandano chiarimenti circa i limiti ed i poteri che sono consentiti a questa Commissione. Chiedo all’onorevole Presidente quali provvedimenti intende adottare al riguardo, facendo rilevare che sarebbe opportuno provvedere d’urgenza, perché la Commissione intende iniziare al più presto possibile i suoi lavori ed espletarli in un breve termine, specialmente per la dignità dell’Assemblea. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Confermo che il Presidente della Commissione nominata in seguito alla proposta dell’onorevole Natoli, onorevole Rubilli, mi ha trasmesso stamane, con una lettera di breve commento, un ordine del giorno approvato all’unanimità dalla Commissione. Questo ordine del giorno pone il problema dei limiti e dei poteri della Commissione stessa, cioè della materia nei cui confronti essa è chiamata a pronunciare il suo giudizio e delle facoltà che le competono, allo scopo di giungere alle necessarie chiarificazioni.

Il problema è di competenza dell’Assemblea, ed io quindi lo porrò, nella seduta di domani, all’Assemblea stessa, dando comunicazione dell’ordine del giorno votato dalla Commissione e della lettera di breve commento con cui il Presidente della Commissione stessa me l’ha trasmesso.

L’Assemblea è investita del potere di interpretare la propria decisione in quanto non ritengo – allo stato dei fatti – di poter io stesso dare questa interpretazione.

RUBILLI. Data l’opportunità che la questione sia esaminata e decisa al più presto possibile, mi permetto pregarla, signor Presidente, perché voglia anche valutare la possibilità di portarla dinanzi all’Assemblea nella seduta di domani, prima di ogni altro argomento.

Vedrà lei se vi sia questa possibilità: è soltanto una preghiera da tener presente in giusti limiti.

PRESIDENTE. La questione sarà portata in discussione e conclusa nella seduta di domani indipendentemente dal numero d’ordine che le sarà dato.

Comunque, nella giornata di domani deve essere decisa, perché concordo pienamente con le considerazioni dell’onorevole Rubilli che non convenga frapporre alcun indugio a che la Commissione possa decidere e completare i suoi lavori.

RUBILLI. Ringrazio, anche a nome della Commissione.

Interrogazioni d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata, con richiesta d’urgenza, la seguente interrogazione dall’onorevole Sullo:

«Ai Ministri degli affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, per conoscere se non ritengano, di fronte allo stato d’animo messianico diffusosi nel Paese sulla possibilità di emigrare senza limite nel numero e senza ritardo nel tempo in Argentina, intervenire con una immediata dichiarazione chiarificatrice al fine di:

1°) rendere nota, se è possibile, la procedura da seguire per il reclutamento, per evitare che il pullulare di iniziative private incontrollate non sia oggetto di delusioni che si riverserebbero non solo sugli eventuali responsabili, ma anche sul Governo;

2°) fornire all’opinione pubblica (se per regolamentare il reclutamento occorre ancora attendere) elementi che diano l’esatta visione delle possibilità emigratorie distinte per categorie e ripartite nel tempo;

3°) vietare per ora, comunque, prenotazioni illegittime che in talune zone diventano anche oggetto di private speculazioni.

«L’interrogante ritiene che solo con una tempestiva precisazione si possa evitare nel Paese il sorgere di correnti di sfiducia e di delusione prodotte da facili entusiasmi».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

ROMITA. Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Risponderò domani.

PRESIDENTE. È stata presentata, con richiesta di risposta urgente, un’altra interrogazione dell’onorevole Sullo, firmata anche dall’onorevole Monticelli, così formulata:

«Ai Ministri delle finanze e tesoro e della difesa, per conoscere se intendano venire incontro al più presto alle giuste lagnanze che si elevano da molte parti dalle famiglie dei militari dispersi in Russia (ed altre categorie assimilate), alle quali, in attesa della liquidazione della pensione, viene sospeso il sussidio corrisposto per il passato.

«Sembra opportuno agli interroganti che non si debbano, nelle more tra la cassazione del sussidio e la concessione delle pensioni, per un intervallo di tempo che è accresciuto dalla poca sveltezza degli uffici interessati, porre in tanta difficoltà le famiglie duramente provate dalla guerra».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

PELLA, Sottosegretario di Stato per le finanze. Il Sottosegretario di Stato per il tesoro comunicherà domani quando potrà rispondere.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione, con richiesta di risposta urgente, dall’onorevole Platone:

«Al Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere:

1°) se non ritenga opportuno vietare la riscossione, a mezzo delle Esattorie, di contributi associativi di Enti diversi, sistema che gli stessi fascisti con legge 12 luglio 1940, n 1199, vietarono e punirono con la sola eccezione per i contributi volontari corrisposti dai cittadini al partito nazionale fascista;

2°) quali provvedimenti intenda adottare nei confronti della Associazione coltivatori diretti di Asti, la quale, senza autorizzazione, passava agli esattori della provincia per la distribuzione con la bolletta delle tasse, le sue cartelle di pagamento compilate in modo da lasciar supporre trattarsi di contributi obbligatori, le quali cartelle furono consegnate a tutti i proprietari di terreni iscritti e non iscritti alla Coltivatori diretti ed il contributo venne fissato in base alla superficie posseduta o al reddito, variando cioè, da contadino a contadino, valendosi all’uopo degli elenchi dell’Ufficio contributi unificati, di cui è direttore lo stesso dirigente della Coltivatori diretti;

3°) se non ritenga opportuno o urgente revocare la successiva autorizzazione concessa in data 7 febbraio 1947 dalla Direzione imposte dirette, che si presta ad abusi ed equivoci e menoma gravemente il carattere di assoluta volontarietà che deve essere assicurato ad ogni contributo associativo;

4°) dato il vivo fermento e la confusione provocati in provincia di Asti dalla iniziativa denunciata, la presente interrogazione ha carattere di urgenza».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

PELLA, Sottosegretario di Stato per le finanze. In assenza del Sottosegretario di Stato per il tesoro, dichiaro che il Governo risponderà domani.

Sciogliendo poi la riserva fatta dall’onorevole Petrilli, circa l’interrogazione dell’onorevole Camangi, dichiaro che il Governo risponderà domani anche a questa.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione urgente dall’onorevole Angelucci:

«Ai Ministri dei lavori pubblici e delle finanze e tesoro, per sapere quali siano le ragioni per le quali è stata sospesa, presso gli uffici del Genio civile del Lazio e presso il Provveditorato delle opere pubbliche, ogni attività tendente a predisporre i lavori pubblici già in programma ed il relativo finanziamento; e per conoscere quali siano i provvedimenti urgenti che i due Ministri ritengono di dover prendere per superare la suddetta situazione, che determina disoccupazione e grave malumore tra le amministrazioni comunali e le popolazioni, specialmente per il raffronto che esse fanno con i dispendiosi lavori di movimento di terra che si eseguono nella città di Roma con una spesa di centinaia di milioni al mese».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

PELLA, Sottosegretario di Stato per le finanze. Il Sottosegretario di Stato per il tesoro comunicherà domani quando potrà rispondere.

PRESIDENTE. Infine è stata presentata, con richiesta di risposta urgente, la seguente interrogazione dell’onorevole Mazzoni, firmata anche dagli onorevoli Piemonte, Montemartini, Rossi Paolo, Ghidini, Canepa, Canevari e Pera:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se, di fronte a denunzie che sono cadute ieri nel silenzio angosciato e turbato dell’Assemblea e relative a sistemi adottati dalla polizia in Sicilia, non ritenga necessario promuovere senza indugio una inchiesta per accertare i fatti nella loro soggettività. In caso affermativo, se, per rispetto alla pubblica coscienza e per la stessa necessità di prestigio alle Autorità, non ritiene assolutamente necessario che la indipendenza e serenità della inchiesta siano garantite dal suo carattere parlamentare».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Ministro dell’interno risponderà domani.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro per sapere quali direttive intenda adottare nei confronti dell’Istituto nazionale delle assicurazioni per ottenere:

1°) che l’Istituto delle assicurazioni provveda quanto meno alla ricostruzione di case di sua proprietà assicurando così lavoro ai disoccupati e lenendo la grave crisi delle abitazioni.

«Risulta per vero che in Torino immobili di proprietà di tale Istituto sono nello stato di abbandono e sinistramento tali e quali erano successivamente alle incursioni aeree;

2°) che l’Istituto stesso provveda ad erogazioni o anticipi a favore nei confronti dei propri assicurati necessitanti di fondi per ricostruzioni di immobili e provveda alla ricostruzione di case specie popolari.

«Né può essere dimenticata la situazione di particolare disagio nella quale si trovano gli assicurati, che dopo avere per anni, e con sacrifici, pagato i ratei assicurativi in moneta pregiata, si trovano ora, per lo svilimento della moneta, ad esigere le rendite o liquidazioni in cifre irrisorie.

«Ciò mentre l’istituto ebbe ad investire, od avrebbe dovuto investire le quote degli assicurati, in notevole parte, in beni reali, creandosi così, nei confronti degli assicurati, una posizione di privilegio».

«Bovetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se creda opportuno far seguire alla circolare 15 maggio 1946, n. 4, sull’imposta di famiglia altri chiarimenti per l’applicazione degli articoli 112, 113, 117 del testo unico sulla Finanza locale, approvato con decreto 14 settembre 1934, tenuto presente quanto segue:

  1. a) che la circolare ministeriale sopra ricordata si è limitata a parafrasare il dettato dell’articolo 117 del testo unico, senza eliminarne la grave tautologia, con la quale si indicano, per la determinazione dell’«agiatezza» da colpire, due categorie di elementi, una delle quali è costituita dagli indici dell’«agiatezza», definita con questa denominazione: tautologia accoppiata a confusione fra l’oggetto dell’imposta e la sua fonte;
  2. b) che, secondo gli articoli 112 e 113, il marito e la moglie, il genitore e i figli, anche minorenni, debbono essere tassati come famiglie distinte quando abbiamo patrimoni distinti, anziché patrimonio unico e indiviso, la quale ultima circostanza quasi mai si verifica, mentre la prima porterebbe a tassazioni distinte, con illogico vantaggio di aliquota.

«Costa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se sia legittimo e normale far gravare sul bilancio di un piccolo comune (Montubeccaria) l’onere dell’indennità dovuta, per il periodo in cui fu sottoposto a procedimento di epurazione, ad un segretario comunale, trasferito d’ufficio da poche settimane e non più tornato a Montubeccaria.

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere quando e come si intenda provvedere alla liquidazione del controvalore della carta monetata francese, versata alla Banca d’Italia dai militari del nostro Esercito al loro rimpatrio dalla prigionia. L’interrogante fa presente: a) che alle truppe operanti in Tunisia veniva corrisposto nel 1943 lo stipendio in valuta francese e che al momento della cattura il Comando occupante ordinò la consegna dei fogli monetati, che furono custoditi nei fascicoli personali di ciascun prigioniero; b) che allorquando la Francia annunciò il cambio della moneta non mancarono da parte dei Comandi di campo italiani pressanti sollecitazioni verso le Autorità militari francesi, perché venisse provveduto in conformità; c) che tali risparmi, invece, furono restituiti al rientro dei prigionieri in Patria, allorquando la prescrizione era già avvenuta. Poiché per ordine delle Autorità italiane i biglietti prescritti furono fatti versare alla Banca d’Italia, in attesa di superiori istruzioni, l’interrogante chiede che la numerosa schiera degli aventi diritto abbia ad essere messa sollecitamente nella condizione di poter incassare il controvalore dei biglietti versati.

«Cimenti».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti intende adottare a favore dei professori che, vergognoso a dirsi, percepiscono al grado iniziale, la somma di lire 8717 mensili.

«Detti provvedimenti si presentano ancor più urgenti quando si consideri che il Sindacato professori ha minacciato per il 3 marzo prossimo lo sciopero generale, qualora entro tale termine non si sodisfino le loro giustissime richieste. Tanto più che gli interessati non ritengono risolto il problema concedendo loro l’indennità di presenza che apporterebbe il beneficio di sole mille lire circa al mese.

«Monterisi, De Maria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quante automotrici sono in servizio in Italia, e su quali linee; e per sapere, inoltre, se, per elementare giustizia distributiva, non possano essere utilizzate alternativamente anche su linee importanti che ne sono state sempre sfornite. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Reale Vito».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze e tesoro, per sapere a quale punto si trova la liquidazione del patrimonio della defunta Confederazione fascista degli agricoltori e a quali enti è stata o sarà destinata l’eredità della suddetta Confederazione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scotti Alessandro, Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non creda doveroso portare dinanzi al Consiglio dei Ministri la questione dei presidi e dei professori anziani, affinché la legge De Vecchi, che, con aperta violazione del contratto di impiego, ridusse il limite di età a 65 anni, sia abrogata, e rimessa in vigore la legge sotto il cui impero sono stati assunti detti presidi e professori o che almeno siano tenuti in servizio fino a che non sia provveduto, col nuovo ordinamento, a pensioni adeguate alle necessità del momento.

«Con questo atto di giustizia sarà evitato:

  1. a) che un ulteriore notevole gruppo di insegnanti, che hanno dato la miglior parte della loro esistenza alla scuola, siano, per le attuali penose condizioni di vita, esposti, con le rispettive famiglie, alla fame;
  2. b) che molti insegnanti siano collocati a riposo prima di raggiungere i 40 anni di servizio e conseguentemente perdano il diritto al massimo della pensione;
  3. c) che perduri lo stridente contrasto tra le disposizioni che consentono ai supplenti di insegnare fino a 70 anni (circolare 5877 del 1° agosto 1945) e quelle che fissano per i professori di ruolo il limite di età a 65;
  4. d) che rimanga in vigore una ingiusta legge fascista mentre molte altre sono state abrogate;
  5. e) che i professori trattenuti in servizio oltre il 65° anno, su domanda degli stessi di anno in anno, come richiede il Ministero, «mancando il riconoscimento legale della proroga», abbiano al momento del collocamento a riposo, «il danno enorme» di vedersi liquidata la pensione sullo stipendio percepito nell’anno in cui compivano i 65 anni e non sull’ultimo stipendio goduto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bruni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se creda opportuno provvedere a che la tariffa della imposta sui cani, stabilita dall’articolo unico della legge 22 gennaio 1942, n. 35, ed aumentata con l’articolo 21 del decreto legislativo 8 marzo 1945, n. 62, sia ulteriormente aumentata in misura congrua, quanto meno per i cani di la categoria e 2a. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Governo, per rilevare che durante il periodo della lotta di liberazione, varî impiegati dei comuni e di altri enti locali, partecipanti al movimento cospirativo, senza tuttavia prender parte diretta alla lotta come partigiani, furono costretti ad assentarsi dal servizio così per sottrarsi alla cattura, come per continuare l’attività clandestina, e per sapere se non si ritenga equo di riconoscere ad essi il diritto al pagamento degli assegni, per il periodo di forzata assenza, da parte degli enti di appartenenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere quali risoluzioni definitive intendano prendere per porre fine alla giusta agitazione degli inquilini dell’I.N.C.I.S. determinata dall’enorme ed illegittimo aumento dei canoni, la cui sospensione è prossima a scadere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se, di fronte alle rinascenti voci di propositi relativi al trasferimento nell’Italia centrale dell’Accademia aeronautica, voci che hanno avuto anche un’eco di deprecazione nello svolgimento da parte dell’onorevole Cingolani, già Ministro dell’aeronautica, di un recente ordine del giorno all’Assemblea Costituente, ritenga opportuno assicurare le popolazioni dell’Italia meridionale che tale trasferimento non avverrà. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere la ragione per cui si ritarda ancora la sistemazione di quei direttori didattici che ebbero a sostenere e superare le prove scritte del concorso ispettivo del 1941. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fabriani».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non ritenga opportuno che i giornali, già appartenenti al partito fascista e passati in proprietà dello Stato, debbano essere affidati, con tutte le debite cautele, a organizzazioni cooperative, impedendo così che cadano nelle mani di speculatori e di reazionari.

«In particolare, se non creda opportuno affidare La Gazzetta di Parma, già ceduta temporaneamente in affitto a una locale cooperativa tipografi dal Ministero delle finanze, con piena garanzia di indirizzo democratico, alla stessa cooperativa, nelle forme che si riterranno più consone agli interessi dello Stato e della democrazia.

«Canevari, Gorreri».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16.

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione sulla seguente mozione:

«L’Assemblea, ritenuto che per la realizzazione organica dello Statuto siciliano, ad evitare eventuali conflitti di carattere costituzionale dopo la sua applicazione, occorre che lo Statuto sia coordinato colla Costituzione della Repubblica, come del resto è previsto dallo Statuto stesso; ritenuto, altresì, che i lavori della Commissione paritetica per lo Statuto siciliano non sono ancora conclusi, ciò che pregiudica la migliore realizzazione dell’autonomia; considerato che le elezioni per l’Assemblea siciliana, indette per il 20 aprile, non sono, allo stato, conciliabili con le premesse esigenze; invita il Governo a disporre le elezioni in Sicilia alla data più vicina possibile, dopo l’avvenuto coordinamento costituzionale in sede di Assemblea.

«Nasi, La Malfa, Di Giovanni, Lombardi Riccardo, Canevari, Veroni, Cevolotto, Silone, Rossi Paolo, Preziosi, Corsi, Bocconi, Costantini, Lombardo Ivan Matteo».