Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 7 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 7 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Interrogazioni (Svolgimento):

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei ministri                                                

Picciardi                                                                                                           

Ferrari, Ministro dei trasporti                                                                           

Cifaldi                                                                                                              

Scelba, Ministro dell’interno                                                                             

Condorelli                                                                                                      

Discussione del disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, c successive modificazioni:

Lami Starnuti                                                                                Presidente      

Priolo                                                                                                               

Condorelli                                                                                                      

Platone                                                                                                            

Zotta                                                                                                                

Interrogazione con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana precedente.

(È approvato).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca una interrogazione dell’onorevole Pacciardi al Presidente del Consiglio dei Ministri, «sul senso e la portata delle sue strabilianti dichiarazioni ai giornalisti stranieri, relative alla stabilità del regime repubblicano».

L’onorevole Presidente del Consiglio ha facoltà di rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. L’interrogante trova strabilianti le mie dichiarazioni. Io trovo stupefacente la sua interrogazione (Commenti). Mi pare quasi che egli voglia, in questi lumi di luna, invitarmi ad una strana tenzone, a ripetere una specie di dialogo ciceroniano del De Republica, nel quale dialogo, che si svolge fra Lelio e Scipione Emiliano Africano Minore, il posto del generale spetta naturalmente all’interrogante.

Ma lasciamo stare queste reminiscenze scolastiche, che mi sono state richiamate alla memoria proprio dalla interrogazione. Vengo al fatto concreto. Si tratta di una intervista. Per conoscere bene il senso e la finalità delle risposte occorre avere notizia delle domande, e forse l’interrogante non ne ha avuto la possibilità; certo, perché la stampa non è stata esplicita né sul contenuto né sulla forma delle domande che mi sono state poste nel corso di una conversazione conviviale. Ed allora rimedio io, perché conoscendo le domande meglio si possono giudicare la finalità e il tono delle risposte.

Il Presidente dell’Associazione dei giornalisti americani, di cui ero ospite, mi ha posto due domande di carattere politico, che corrispondono alle questioni che mi sono state quasi sempre proposte anche in America, e che evidentemente corrispondono a certe esigenze ed a certe curiosità non meramente teoriche della opinione pubblica americana. Ecco le due questioni: la prima, circa la posizione dei comunisti nel Governo; la seconda sulla consistenza del movimento monarchico e sulla possibilità di una rinascita legittimista.

Alla prima domanda – e il senso era chiaro: «come è possibile che voi collaboriate insieme con i comunisti, dei quali non è certo che accettino il programma integrale di una Repubblica liberale e democratica?» – ho risposto che se i comunisti continuano a collaborare nel mio Governo dopo una discussione programmatica, è perché ci siamo trovati d’accordo sopra l’attività del Governo – a parte tutte le ideologie e il futuro, su cui non abbiamo da far profezie – in questo periodo della difesa della Repubblica, evidentemente in armonia con i principî fondamentali di libertà e di democrazia.

Sarà meglio che citi il testo della mia risposta: «Sono uomini che si mettono al servizio temporaneo di questa azione, senza rinunciare al loro programma generale, alle loro ideologie e alle loro responsabilità future; che si mettono al servizio del consolidamento della Repubblica italiana e della democrazia con i metodi della libertà; sono cioè uomini che si mettono al servizio della democrazia e della libertà».

Alla seconda domanda: «Consistenza del movimento monarchico e possibilità di un movimento legittimista», ho risposto così: «La questione della monarchia in Italia non esiste. Se la Repubblica farà il suo dovere, se sarà un regime di libertà dove il diritto e la dignità dell’uomo saranno rispettati; se sarà un regime tutore dell’ordine e della libertà, se sarà un regime di democrazia con rappresentanza della volontà popolare, e se a questa democratica formula politica si aggiungerà una formula democratica che tocchi anche la struttura sociale e sia ragione di giustizia a tanti milioni di uomini che soffrono in miseria, che non hanno nulla e tutto hanno perduto; se la Repubblica sarà così, la questione monarchica non esiste e non esisterà».

Che cosa voleva dire questa risposta? Voleva dire che non ci sono ragioni positive di temere che, sia per motivi sentimentali, sia per attaccamento a tradizioni, il movimento monarchico e legittimista abbia una base. L’unico pericolo per un regime – per ogni regime, ma anche per la Repubblica – è se questa viene meno al suo programma, alle sue finalità.

Mi pare di essere qui in perfetta ortodossia mazziniana, perché il vostro e, se permettete, come italiano, nostro Mazzini dice: «La Repubblica, cosa pubblica, ma Governo della nazione tenuto dalla nazione stessa; Governo sociale; Governo nato dalle leggi che siano veramente l’espressione della volontà generale». Ossia, la Repubblica non è semplicemente regime nel senso strutturale, cioè cambiamento di forme rappresentative di Governo, ma è soprattutto nel suo contenuto sostanza sociale, sostanza di riforme sociali, di giustizia sociale e di libertà nel metodo e di libertà nel fine e nell’evoluzione umana.

Voi direte: «A chi lo viene a dire?».

PACCIARDI. Sono contento che si sia rinfrescata la memoria.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Però, io debbo rinfrescare anche la sua, mi scusi, caro Pacciardi, ricordandole che questa definizione di Mazzini corrisponde appieno alla definizione ciceroniana: igitur respublica res populi. E qui non ho bisogno di rinfrescare niente, come ho accennato altre volte, perché ai tempi in cui ero bibliotecario, ho studiato il palinsesto del De Republica, scoperto, come sapete, nella Biblioteca vaticana.

Esso dice che «la Repubblica è lo Stato del popolo… che lo vincola ad una condizione sociale. Ma è popolo non qualsiasi riunione di uomini, ma una consociazione di uomini che accettano le stesse leggi ed hanno comuni interessi». Questo signor Cicerone, che ha pagato con la sua testa la sua fedeltà alla Repubblica contro i pericoli della tirannia e che dichiarava che l’unico compenso che egli aveva avuto, il più grande compenso al suo lavoro, era di aver potuto salvare la Repubblica (ed infatti così si esprime: «quando, all’uscita dal mio consolato, potei giurare all’Assemblea del popolo che la Repubblica era salva, allora mi sentii ben ricompensato di tutte le cure e gli affanni sofferti»); questo Cicerone, però, in tutto quel volume sulla Repubblica, fa dire ora a Lelio ed ora ad Africano Minore tante critiche sopra il regime repubblicano e tanti moniti: che la Repubblica andrebbe perduta, che si finirebbe in una dittatura se la Repubblica non rispondesse ad esigenze morali e democratiche di libertà, ecc. (E questo è il più bello esempio che io potrei citare in risposta all’interrogante circa i moniti che io, lontano epigone, ho potuto introdurre nella mia intervista).

Ma, vediamo un po’ in questa intervista le dichiarazioni positive che vi sono contenute circa la Repubblica. Ho cominciato ringraziando (e non venite ora a spaccarmi il pelo in due, perché si tratta di una intervista improvvisata alla radio e le parole sono talmente controllate che tutto quello che si dice viene inciso; tuttavia non è un testo sottoposto ad una esegesi minuta); ho cominciato, dicevo, con un augurio che nasca una pace con la quale si assicuri la libertà e l’amicizia fra il Governo repubblicano americano e la piccola, giovane, ma piena di speranze, Repubblica italiana. E qui vi furono applausi generali dei convitati. Poi, a proposito della domanda che mi si era fatta sulla stabilità o meno di questo Governo, io ho risposto, con un certo senso di distacco, che in un uomo di opposizione può essere più comprensibile che in me stesso: «Io non saprei dire quale sarà l’avvenire di questo Governo, ma posso dire quale è la mia volontà, quale la tendenza, e quale il mio indirizzo. Io sono ben deciso a consolidare lo stato presente, la Repubblica italiana, col concorso di tutte le nazioni che hanno una intelaiatura più robusta e possono essere più utili perché un nuovo Stato, ancora bambino, cresca forte e si prepari a prendere parte alla costruzione della pace nella comunità delle Nazioni. Per questo piano io vorrei intorno a me uniti in un pensiero di collaborazione, quanti più italiani è possibile, senza differenza di partito».

Ma, onorevole interrogante, c’era proprio bisogno di andare a cercare e frugare in questa mia conversazione conviviale, quando voi avevate sott’occhio, e forse anche nell’orecchio, ancora la mia dichiarazione ultima fatta all’Assemblea in sede di comunicazioni del programma di Governo, del quale programma siamo tutti responsabili, ed in modo particolare io, come Presidente del Consiglio? E si ricordi il discorso che pronunziai dinanzi a questa Assemblea il 25 febbraio e nel quale dissi: «Onorevoli colleghi, voi voterete secondo coscienza; ma comunque, voterete; spero che la mia presenza qui per la terza volta non attribuirete ad altra ragione che al senso di responsabilità che a me, socio fondatore, per dir così, di questa Repubblica, ha imposto di non disertare, nel momento storico in cui l’Assemblea è chiamata a darle un regime solido, libero e giusto. Il tempo corre e i problemi incalzano; ma il primo problema rimane quello di dare alla Repubblica una base solida nei suoi istituti rappresentativi, i quali, superando i partiti e gli interessi, costituiscano l’espressione politica definitiva della nostra millenaria civiltà».

È più oltre aggiungevo: «Quanto più libero è lo spirito che si respirerà in queste istituzioni autonome, tanto più largo sarà il settore della nostra comunanza, tanto più sicura quella parte di vitalità comune che si svolge al di fuori della lotta quotidiana ed ha carattere superiore e permanente, perché sugge dal terreno della nostra civiltà ed è perciò stesso la res publica che svolge la sua vita sopra di noi e la continua dopo di noi». (Vivi applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PACCIARDI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Se io devo dare alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, fatte ai giornalisti americani, il valore di un carattere conviviale, come ha detto oggi il Presidente del Consiglio stesso, è evidente che io non possa che dichiararmi soddisfatto delle delucidazioni date oggi in questa Assemblea.

Ma quando io ho sentito le sue dichiarazioni alla radio, cioè le ho sentite di prima voce, sono rimasto veramente stupito o, per dir meglio, stupefatto, per usare il suo termine, onorevole Presidente del Consiglio.

Se l’onorevole De Gasperi permette, io gli rileggerò la parte che mi ha stupito, che mi ha «strabiliato», leggerò la parte che considero negativa; in tutto il suo discorso e nella sua conversazione vi sono evidentemente anche lati positivi, altamente apprezzabili.

Ma per quanto riguarda la Repubblica, egli ha risposto – lo rilevo dal Popolo, perché non vi siano equivoci – esattamente così: «Voi mi avete fatto un’altra domanda, anch’essa un poco delicata, ma i giornalisti ci sono apposta per queste domande, lo capisco.

– E la monarchia?

– Io vedo quello della monarchia, non come un problema positivo, perché non penso che un regime si cambi per ragioni positive o per affezione. In genere si cambia per ragioni negative. La monarchia in Italia è esiliata e scomparsa, non perché sia ammesso, come cosa evidentissima, il regime repubblicano…».

DE GASPERI, Presidente del Consigliò dei Ministri. Né solo per questo.

PACCIARDI. …«ma per ragioni negative, ché la monarchia, in un momento di capitale importanza, soprattutto durante il periodo delle dittature e nel momento di guerra, non ha esercitato la funzione che doveva esercitare per tutelare il destino della Nazione che le si era affidata e per il quale, in altri che rispetti la libertà, è l’interesse del Paese.

«Ho risposto così non per citare una formula ma, in tutta sincerità, con convinzione: la questione della monarchia in Italia non esiste, se la Repubblica saprà fare il proprio dovere, se sarà un regime di ordine come tutore della libertà, se sarà un regime di democrazia come rappresentante delle singole libertà popolari e se a questa formula politica si aggiungerà una formula che tocchi la giustizia sociale per tanti milioni di uomini che soffrono la miseria ed hanno perduto tutto.

«Se la Repubblica sarà così, la questione monarchica non esiste e non esisterà. Se invece la Repubblica venisse meno al suo compito, tutti i rimpianti sarebbero possibili e può essere che in un altro periodo torni negli italiani il pensiero che mutare regime voglia dire mutare sostanzialmente la questione delle cose, come il malato che nel letto sente male ad un fianco e si volta su un altro, non perché sia certo che il male scompaia, ma perché spera che il suo male si attenui. E così può accadere nella vita politica italiana. Io spero di no, e quando si parla di rivolgimenti dell’estrema sinistra o dell’estrema destra, io dico che tutto dipende dal centro» ecc., ecc.

Io, a queste dichiarazioni faccio alcune osservazioni che mi sembrano di una evidenza palmare. Il Presidente del Consiglio è il Capo del Governo della Repubblica italiana. Non è un professore di scienze politiche o di diritto costituzionale, che può dissertare in astratto sulla monarchia o sulla Repubblica. Se lo avesse fatto come professore, io direi che mettere la Repubblica e la monarchia sullo stesso piano, in questi tempi, dopo le rivoluzioni liberali e sociali, anche sul piano teorico, sarebbe, secondo me, un’aberrazione. Non si può non fare una distinzione fra regimi che considerano la Nazione come una specie di proprietà privata di famiglia, che si trasmette per diritto di eredità ai componenti la famiglia stessa, e regimi che invece sono l’organizzazione politica, giuridica, morale e sociale di una nazione che governa se stessa, com’è la Repubblica. Ma, ripeto, queste sono dissertazioni che potremo fare in altra sede come cultori di diritto pubblico. Ma lei è Presidente del Consiglio e Capo del Governo della Repubblica; lei non può mettere la Repubblica e la monarchia sullo stesso piano, perché se lei non è convinto della superiorità del regime repubblicano, come si può convincere il cittadino comune che ha ancora nostalgie monarchiche a trovare nella Repubblica la strada della vera salute della Nazione?

La seconda osservazione che volevo fare, onorevole Presidente del Consiglio, è questa: ella dice che noi abbiamo la Repubblica in Italia non per ragioni positive, cioè perché c’è un sentimento repubblicano, una simpatia repubblicana diffusa nelle masse del Paese, perché c’è una concreta realtà repubblicana nelle masse, ma l’abbiamo per ragioni negative, perché la monarchia, quella monarchia, si è alleata col fascismo, cioè non ha assolto le funzioni che tutti i bigotti della monarchia le attribuiscono. Se la monarchia non avesse fatto tutto questo, ella sottintende, avremmo la monarchia e non la Repubblica.

Ed anche qui, onorevole Presidente del Consiglio, io non voglio fare una polemica teorica. Se crede, pregherò il Presidente attuale dell’Assemblea di darle qualche volume della copiosa letteratura repubblicana che è a nostra disposizione, per approfondire nel suo spirito questi argomenti. Non starò a dirle come i mutevoli aspetti che assume in un Paese la monarchia (monarchia militarista, monarchia liberale, monarchia fascista, e perfino monarchia di sinistra e monarchia comunista, perché ha parlato anche di questo l’ex re in una delle sue interviste proprio ai giornalisti americani), non sono aderenze sincere agli sviluppi della vita nazionale, ma sono apparenze per obbedire alla sola legge a cui obbediscono le dinastie, che è questa: perpetuare il loro dominio. Nella Repubblica non ci saranno mai conflitti di questo genere, perché la Repubblica è la Nazione che governa se stessa, mentre nella monarchia, quando c’è conflitto tra l’interesse dinastico e l’interesse nazionale, è evidente che per la legge della sua stessa conservazione, è l’interesse dinastico che prevale sull’interesse nazionale, come abbiamo fatto tragica esperienza in questi ultimi anni.

Ma mi dispiace di essere messo nella necessità di portare argomenti alla convinzione repubblicana del Presidente del Consiglio, perché se a un cittadino comune si può domandare soltanto di essere leale al regime repubblicano, al Presidente del Governo repubblicano si deve domandare qualche cosa di più che la lealtà – la sua lealtà indiscussa – si deve domandare fede repubblicana, convinzione repubblicana. La terza osservazione…

PRESIDENTE. Onorevole Pacciardi, la prego di concludere.

PACCIARDI. Solo di un minuto ho ancora bisogno.

Altra osservazione che desidero fare, che è poi, a mio avviso, la più importante, è questa:

Interrogando se stessa, o interrogandola i giornalisti americani sulla stabilità del regime repubblicano, ella ha messo un serie di «se». Se la Repubblica farà il suo dovere, se garantirà la libertà, se soddisfarà le esigenze sociali dei lavoratori, sarà un regime che durerà. Se no, la Nazione inferma si può rivoltare sull’altro fianco. Le faccio notare questo scetticismo désabusé, che mi pare fuori posto. Si rivolterà la Nazione inferma sull’altro fianco, credendo di potersi salvare dalla sua infermità, mentre probabilmente non si salva, come l’inferma dantesca. Ora, io dico, onorevole Presidente del Consiglio, che lei parlando come Presidente del Consiglio, come del resto ella stessa ha giustamente rilevato, non può dire cose effimere e scherzose; sono le ragion superiori dello Stato e del Governo che escono dalla sua bocca, anche nelle conversazioni conviviali, specialmente con dei giornalisti stranieri.

E questa serie di «se» all’indirizzo della Repubblica, francamente mi ha impressionato, per non dire strabiliato, se le dispiace la parola. Ella, come Presidente del Consiglio, deve pur sapere che il ritorno della monarchia non può avvenire con mezzi legali.

Una voce a destra. Perché?

PACCIARDI. Non ci sono mezzi legali che possano far tornare la monarchia. Non ci sono nella Costituzione che stiamo per votare, perché la Costituzione repubblicana non ammetterà mai che si possa, con mezzi legali, far ritornare la monarchia.

BENEDETTINI. Ma la volontà sovrana del popolo?

PACCIARDI. Non c’è possibilità di mezzi legali per il ritorno della monarchia (Proteste a destra Rumori a sinistra), perché ella che è il custode delle leggi, il secondo cittadino della Repubblica – il primo è il Presiderite della Repubblica – deve nelle leggi repubblicane trovare la difesa della Repubblica e impedire il ritorno della monarchia. Né tanto meno può tornare con mezzi illegali, perché ella è tenuta, come Capo del Governo, e noi siamo tenuti come cittadini, a contrastare le violenze per il ritorno della monarchia, con qualunque mezzo. Anche questo è stato scritto nel progetto di Costituzione che noi approveremo.

Quindi, la sola cosa che ella doveva dire ai giornalisti americani, che deve dire ai giornalisti stranieri, che deve sempre dire a tutti gli italiani, è che il regime repubblicano, uscito dalle elezioni del 2 giugno, è un regime permanente e definitivo e guai a chi lo tocca. (Applausi vivissimi a sinistra).

Fatte queste osservazioni, onorevole Presidente del Consiglio, posso dirmi soddisfatto delle sue dichiarazioni fatte oggi dinanzi all’Assemblea.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io mi richiamo alla mia dichiarazione fatta all’Assemblea, dove parlai di definitiva espressione politica della nostra millenaria civiltà. Quando parlai della civiltà, non mi pare che lasciassi dei dubbi sul programma del Governo e sulla concezione del Governo. Quando faccio della filosofia della storia, posso però anche approfittarne, e mi pare che sia doveroso approfittarne, per un monito, perché nonostante tutta la nostra volontà e nonostante tutti i nostri statuti, se non facciamo uno sforzo per dare contenuto di libertà, di democrazia e di socialità – e questo è il vostro programma, come è il nostro – se non ci uniremo tutti su questa parte sostanziale, difficilmente potremo trovare la definitività o la conserveremo. La storia è la storia.

Non vorrei che dalla discussione potesse risultare il minimo dubbio sul mio proposito, sul proposito del Governo che qui presiedo. Sulla definitività del referendum del 2 giugno ho fondato tutta la mia propaganda; dopo il 2 giugno ho fondato tutte le mie manifestazioni all’Assemblea e tutto il mio ragionamento in confronto di quelli che non vogliono accettare la definitività. Credo su questo debba fondarsi l’azione avvenire dell’Assemblea e del Governo. Però, devo aggiungere che sarebbe vano chiudere gli occhi innanzi agli esempi della storia. In generale, non si progredisce per ragioni positive del bene o del meglio, ma si progredisce abbattendo qualcosa che in quel momento appare un male. Questa è una legge della storia, che è facile, perché corrisponde al sentimento, alle esigenze psicologiche delle masse popolari.

Qui parliamo, naturalmente, non di coloro che possono essere illuminati da un programma, da una cultura o da convinzione profonda o da entusiasmo tradizionale o da educazione familiare; parlo della grande massa, la quale deve essere avvinta ad un regime strutturale con un contenuto di programma.

Non faccio nessuna obiezione a quello che ha detto l’onorevole Pacciardi, perché so che nel programma mazziniano la parte essenziale è parte di contenuto, parte sociale; lo riconosco e dico questo: desidero, voglio, devo tendere con tutte le forze, dobbiamo tendere tutti, perché questa Repubblica abbia il contenuto sociale che avvinca a sé tutti quanti: tanto coloro, che originariamente erano repubblicani, quanto coloro che lo sono diventati il 2 giugno – e spero saranno tutti gli italiani – in un momento in cui è necessario guardare al popolo e pensare che Repubblica vuol dire popolo e che avvenire della Repubblica è avvenire del popolo italiano. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dei trasporti intende rispondere anch’egli alla seguente interrogazione degli onorevoli Cifaldi e Lucifero, alla quale ha già risposto l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno nella seduta del 27 febbraio scorso:

«Chiedono d’interrogare gli onorevoli Ministri dell’interno e dei trasporti, per conoscere che cosa ci sia di vero sui fatti pubblicati da qualche giornale circa il trasporto di ordigni di guerra e di materiale esplosivo fatto da privati su strada rotabile e per ferrovia e per conoscere quali provvedimenti intendano nel caso adottare per identificare e punire i colpevoli e prevenire l’eventuale ripetersi di fatti simili».

L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di parlare.

FERRARI, Ministro dei trasporti. L’interrogazione dell’onorevole Cifaldi e Lucifero, verosimilmente, si riferisce ad una pubblicazione apparsa sul Momento Sera del 15 febbraio.

Posso precisare quanto segue:

La Direzione generale delle ferrovie dello Stato ha disposto, insieme coi Commissariati compartimentali di pubblica sicurezza, accuratissime indagini sui trasporti effettuati antecedentemente al 25 febbraio. È risultato: nelle stazioni di Bologna e di Roma, stazioni alle quali si riferiscono le notizie date dai giornali, nessun carico abusivo di esplosivi è stato mai effettuato.

Risulta che sono stati eseguiti i seguenti trasporti regolari di materiale esplosivo, con destinazione allo scalo di Roma San Lorenzo: il 20 febbraio, un carico di esplosivo di chilogrammi 19,500, spedito dal deposito aeronautico militare di Vanvassone (Friuli) al 9° magazzino aeronautico militare; 21 febbraio, un carro di esplosivi di chilogrammi 16,200, stesso mittente e stesso destinatario.

All’infuori delle stazioni di Bologna e di Roma e indipendentemente dalle suddette indagini, svoltesi in tali stazioni, è stato constatato il giorno 21 febbraio un trasporto irregolare di esplosivi sul treno viaggiatori Torino-Roma.

E precisamente, all’atto della partenza di detto treno dalla stazione di Maccarese, dove aveva fermato un minuto per ragioni di servizio (perché il treno essendo direttissimo, non ha questa fermata) si sporse un viaggiatore dallo sportello di una vettura di 3a classe, gridando: «Qui c’è una valigia di dinamite». Il dirigente di Maccarese, che non ebbe il tempo di fermare il treno, avvisò subito del fatto il collega di Ponte Galeria (la stazione successiva), il quale provvide a far trovare all’arrivo del convoglio una pattuglia di carabinieri. Questa, dopo alcune ricerche, rinveniva nelle ritirate d’una vettura una cassetta di legno contenente circa 40 chilogrammi di tritolo, che fu scaricata e depositata in un punto lontano dal fabbricato viaggiatori, restando in consegna alla pattuglia dei carabinieri. Non è stato possibile identificare il viaggiatore che aveva dato l’allarme mentre il treno era già in moto e, d’altra parte, una volta consegnata la cassetta all’Arma dei carabinieri, esula dalla competenza di questo Ministero ogni ulteriore ingerenza nel fatto.

Le ferrovie dello Stato, nella accettazione di trasporti di esplosivi, si attengono rigorosamente alle norme prescritte, fissate in relazione al peso dell’esplosivo e alla sua natura. Tutta la materia è precisata dall’allegato 7, categoria 22, delle condizioni e tariffe per i trasporti delle cose sulle ferrovie, approvato per legge e in vendita al pubblico. Per quanto riguarda i trasporti di esplosivo sulle ferrovie in concessione, valgono le stesse norme che per le ferrovie dello Stato.

L’Ispettorato non ha finora notizia che trasporti abusivi di esplosivi siano stati effettuati dalle ferrovie in concessione. È stato rivolto invito a tutte le aziende esercenti tali ferrovie affinché sia svolta una accurata vigilanza sulle spedizioni delle merci.

In ordine ai trasporti privati su strade rotabili, ove si voglia far riferimento ai pubblici esercizi automobilistici, si fa presente che, essendo questi destinati al trasporto di persone, limitano il trasporto di cose ai soli bagagli e ai pacchi agricoli. Per quanto poi si riferisce ai veri e propri trasporti di cose effettuate da privati a mezzo di autocarri, l’Ispettorato non esercita alcuna diretta sorveglianza sulla natura dei carichi.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

CIFALDI. Ringrazio l’onorevole Ministro dei trasporti delle informazioni e dei chiarimenti forniti. Io mi riferivo però, nella mia interrogazione, non già alle garanzie necessarie per assicurare l’incolumità dei viaggiatori e delle cose circa il trasporto degli esplosavi, ma all’episodio, ricordato dallo stesso Ministro, relativo al trasporto di esplosivi fatto abusivamente da privati su un treno viaggiatori. Ed è per questo fatto che io richiesi contemporaneamente di interrogare il Ministro dell’interno e il Ministro dei trasporti affinché congiuntamente potessero fornirci le informazioni opportune. Indubbiamente il Ministro dei trasporti ha avuto della cortesia nel fare un riferimento preciso all’episodio ricordato; ma, a mio avviso, i chiarimenti dovrebbero essere forniti dal Ministro dell’interno, per quanto si riferisce alla sicurezza e alla tranquillità dei viaggiatori sulla nostra rete.

Qui non si tratta di una questione di tariffa o dei mezzi per assicurare che l’incolumità dei viaggiatori nei trasporti autorizzati di esplosivi, ma si tratta di assodare le possibilità di indagine in ordine alla responsabilità per un fatto di così grande e grave importanza.

E in effetti il Ministro dei trasporti ha dovuto dichiarare che, avendo fatto le ferrovie dello State consegna di questa cassetta ai carabinieri della stazione competente, alla prima fermata, il Ministro dei trasporti era liberato da ogni responsabilità. Per queste ragioni mi ero permesso di sollecitare qualche spiegazione da parte del Ministro dell’interno. Sono soddisfatto di quanto ha detto il Ministro dei trasporti, ma non per quanto si riferisce alla sostanza delle cose, sulla quale avrei desiderato chiarimenti da parte del Ministro dell’interno. Siccome il Ministro dell’interno non è presente, mi limito a formulare la raccomandazione perché gli organi competenti del suo dicastero vogliano portare avanti con la maggiore efficacia e premura l’inchiesta per assodare donde venissero e dove fossero dirette le rilevanti quantità di esplosivo. Forse con una più attenta indagine, fatta subito, si sarebbe potuto giungere, esaminando la posizione di tutti i viaggiatori, ciò che era non difficile trattandosi di un treno direttissimo, alla identificazione di colui il quale aveva fatto la consegna. Si tratta ora di continuare le indagini, per dare la sicurezza che si tende effettivamente a tutelare l’ordine e la tranquillità sulle linee ferroviarie e che si vuole evitare che i privati possano disporre delle ferrovie per trasporto di esplosivi, essendo evidente che tale trasporto non può avere che delle finalità non confessabili.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno intende rispondere alla seguente interrogazione presentata, con richiesta di urgenza, dagli onorevoli Benedettini, Condorelli, Colonna, Penna Ottavia, Perrone Capano, Miccolis, nella seduta antimeridiana di ieri:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere: a) in base a quali disposizioni di legge l’onorevole Ministro si è inteso autorizzato a vietare con una circolare telegrafica «l’esposizione in pubblico o in luoghi aperti al pubblico della bandiera con lo scudo sabaudo e di altri emblemi della decaduta monarchia », scudo ed emblemi che sono anche insegne e distintivi di partiti e associazioni politiche; b) se ritenga che ciò, oltreché arbitrario ed illegale, non sia, comunque, contrario ai principî fondamentali e più certi della libertà politica; c) se non creda necessario revocare d’urgenza la denunciata circolare telegrafica, che costituisce un palese eccesso di potere, una flagrante violazione della libertà politica, una grave offesa al sentimento di milioni di italiani, un oltraggio alla storia».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di parlare.

SCELBA, Ministro dell’interno. Rispondo agli onorevoli interroganti che io non sono disposto a revocare la disposizione telegrafica (Applausi), che fa divieto di esporre in luogo pubblico e nelle pubbliche manifestazioni la bandiera con lo scudo sabaudo o altri emblemi sabaudi. È anzi chiaro che mi propongo di rafforzare la disposizione già presa nell’interesse della Repubblica.

La ragione del provvedimento sta però nei suoi limiti: il divieto della esposizione della bandiera vale per i luoghi pubblici e per le pubbliche manifestazioni. Ed in tali limiti sta la ragione; cioè nel dovere che ha il Ministro dell’interno di garantire il pacifico sviluppo della vita politica del popolo italiano; sviluppo repubblicano che, come ha dichiarato il Presidente del Consiglio, per quanto riguarda la forma dello Stato, noi consideriamo definitivo. Questo Governo ha programmaticamente assunto l’impegno di difendere le istituzioni repubblicane.

L’ordine di divieto è stato originato da una serie di fatti che si sono verificati in Italia, cioè da dimostrazioni pubbliche con emblemi dinastici e col proposito di mettere in pericolo l’esistenza della Repubblica e la esecuzione della volontà popolare espressa con il referendum del 2 giugno.

Un Governo che sente il senso di responsabilità della sua ragion d’essere, mi pare che abbia questo elementare dovere di garantire la vita repubblicana dello Stato, impedendo qualsiasi manifestazione di carattere violento o provocatorio contro le istituzioni repubblicane. Ora, per impedire questi attentati alla libertà e alla sovranità popolare, espressi nel referendum del 2 giugno in senso repubblicano, per impedire questo attentato che viene ripetuto in diversi luoghi di Italia attraverso ostinate manifestazioni con emblemi dinastici, che rappresentano – dobbiamo dirlo – non un attentato alla storia, perché la storia non è in gioco, né un attentato alla libertà politica, ma un attentato alla pace del popolo italiano, ho preso questo provvedimento. (Applausi a sinistra e al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CONDORELLI. È inutile ch’io dichiari che non sono sodisfatto da questa risposta. Però io credo di poter dar conto all’Assemblea delle ragioni per cui non sono sodisfatto e non può essere sodisfatto il popolo italiano e non lo possono essere i suoi rappresentanti (Commenti a sinistra). Perché la prima domanda che era contenuta nella mia interrogazione era tale che avrebbero potuto sottoscriverla tutti i 556 componenti di questa Assemblea. Io chiedevo al Ministro da quale disposizione di legge egli fosse autorizzato a limitare, con una circolare telegrafica, la libertà dei cittadini; sarà la libertà di propaganda, sarà la libertà politica, sarà la libertà di pensiero; saranno tutte queste libertà messe insieme. Io mi aspettavo che il Ministro dell’interno mi dicesse in base a quale legge egli fosse autorizzato a fare ciò. (Interruzioni). Io mi sarei atteso che un giurista mi rispondesse citandomi la legge che lo autorizzava a farlo. Egli mi ha parlato di ragioni d’ordine pubblico. Contesto queste ragioni d’ordine pubblico. Comunque, queste ragioni d’ordine pubblico potevano autorizzare il Governo a fare delle norme, potevano anche autorizzarlo a sciogliere determinate riunioni in cui queste agitazioni si fossero manifestate; non lo autorizzavano però certamente il Governo a stabilire con una circolare che la libertà dei cittadini italiani era così limitata.

E questa, cari signori, è l’opportuna chiosa a quanto ha detto poco fa il Presidente del Consiglio: un solo mezzo voi avete di consolidare la Repubblica: facendone veramente un regime di libertà!

CAMANGI. E di serietà!

CONDORELLI. E di serietà, certo. (Interruzione a sinistra). Quella serietà che non dimostra colui che mi interrompe in questo momento. Io ho posto una questione giuridica e mi attenderei che mi si rispondesse in questi termini. (Interruzioni).

PRESIDENTE. Non interrompano. Non raccolga le interruzioni, onorevole Condorelli.

CONDORELLI. Ora è indubbiamente questa una di quelle azioni che, sommate, potrebbero avere un effetto controproducente, quello di turbare l’ordine pubblico; perché voi darete la sensazione al popolo italiano che si voglia comprimere la sua libertà politica, che è prima di tutto libertà di propaganda che si estrinseca attraverso i simboli.

Poi, io avevo fatto anche un’altra domanda al Governo: se non gli sembrasse che questo provvedimento, comunque preso arbitrariamente, cioè non secondo legge, ma contro legge, fosse conforme ai principî della libertà. Questi da voi aborriti simboli, che poi sono i simboli intorno ai quali si è fatta l’unità d’Italia e con cui l’Italia è diventata protagonista della storia…

SCELBA, Ministro dell’interno. Ma, anche la disfatta è avvenuta con quei segni.

CONDORELLI. Anche; comunque l’Italia si è fatta onore attraverso quei simboli, ed è divenuta protagonista della storia!

Tutte le questioni che si sono agitate qui con elegante dibattito fra il Capo del Governo ed il leader del Partito repubblicano, si sono richiamate ai principî di libertà, secondo cui deve essere consentito a tutti i partiti di servirsi di qualsiasi emblema, così come nei tempi della monarchia, prima del fascismo, non si è mai vietato, che io sappia, nessun simbolo… (Commenti Rumori). Io mi riferisco a un periodo di libertà; (Commenti Interruzioni). Infatti, allora non è stato mai vietato che un partito adottasse persino una bandiera straniera e non è mai stata fatta nessuna limitazione ai partiti repubblicani nella scelta dei loro simboli.

Non dovete quindi fare limitazioni ai partiti aventi diversa dottrina e non bisogna dimenticare che, vogliate o non vogliate, i risultati che abbiamo avuto nel referendum, risultati che noi impugniamo e continueremo ad impugnare… (Interruzioni Commenti), risultati sui quali sarà fatta completa luce, sono stati tali per cui è indiscutibile che dieci milioni e 600 mila italiani hanno votato per la monarchia. (Rumori Commenti).

Oggi, un ministro, che è rappresentante della Sicilia monarchica, ha potuto fare una simile offesa al sentimento di così larghe correnti di italiani, che sono così ampiamente rappresentate nella sua Isola! Questa è dunque una palese offesa al principio di libertà ed io, non nell’interesse della mia idea, ma nell’interesse dello Stato, dico che voi avete offeso proprio quella Repubblica di cui parlava Cicerone e che non è certamente quella Repubblica che amava l’onorevole Pacciardi: respublica, secondo Cicerone,est res populi. Non amministrata, quindi, nell’interesse di una parte, più o meno vasta, ma amministrata nell’interesse della collettività, di tutta la collettività. (Interruzioni Commenti).

PRESIDENTE. Non interrompano! Ad un avversario si lascia libertà di parola.

CONDORELLI. Dicevo che altrimenti la Repubblica non sarebbe più respublica, ma res della parte al potere. E voi con questo atto, che di per sé è insignificante, fate una affermazione contraria. (Commenti a sinistra Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro dell’interno. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Sento il dovere di replicare all’onorevole Condorelli che anzitutto un Ministro non rappresenta la Sicilia monarchica, ma la Sicilia repubblicana. (Applausi a sinistra e al centro).

BENEDETTINI. Ma è per la monarchia che hanno votato le popolazioni meridionali!

SCELBA, Ministro dell’interno. Se l’onorevole Benedettini crede di utilizzare l’aula parlamentare per la propaganda politica ed elettorale in Sicilia, l’onorevole Benedettini sa che la Sicilia, il 2 giugno, attraverso i partiti, ha dato una espressione di maggioranza repubblicana, perché anche in Sicilia i partiti monarchici sono risultati in netta minoranza.

E quindi io dichiaro, nell’interesse della Sicilia, a nome della Sicilia, che posso parlare doppiamente della Sicilia repubblicana, perché la Sicilia è repubblicana nella sua maggioranza, perché io sono Ministro di un Governo repubblicano che ha preso l’impegno di difendere la Repubblica contro quel tentativo che voi, onorevole Condorelli, dichiarate, in questa Assemblea, che rappresenti un’affermazione di sovvertimento giuridico, politico e morale; perché quando voi dichiarate che continuerete ad impugnare quel referendum del 2 giugno, che noi consideriamo definitivo e legale, acquisito legalmente (Applausi a sinistra e al centro), noi abbiamo il diritto di difendere questo regime che è sorto dalla libera volontà del popolo italiano, contro tutte le mene che tendono a screditarlo e ad annullare quella che è stata la libera espressione del popolo italiano. E se nel difendere il regime repubblicano che il popolo si è dato liberamente, l’uso degli emblemi monarchici rappresenta un elemento di disordine nella vita italiana, il Ministro dell’interno, in virtù di una legge che esiste – esiste, sissignore, non è una illegalità che ha compiuto, perché, sia pure molto abusato, l’articolo 19 della legge di pubblica sicurezza consente ai prefetti di prendere tutte le misure necessarie per tutelare l’ordine pubblico italiano – il Ministro dell’interno non ha dato un ordine ai prefetti, ma li ha autorizzati a vietare l’emblema sardo e qualsiasi emblema dinastico, perché l’uso di questi emblemi, in questo momento, rappresenta un attentato al libero e pacifico sviluppo del popolo italiano.

Non c’è nessun attentato alla libertà politica dei partiti italiani, perché di questa libertà politica è garante il Ministro che vi parla e lo dimostra quotidianamente nella difesa contro tutti i tentativi che tendono a minare i diritti e le libertà dei cittadini.

Non è vietando un emblema in questo momento che rappresenta un segno di contraddizione e di disordine nella vita italiana, proprio per quelle ragioni che voi indicate, perché intendete contestare il risultato della volontà popolare, non è vietando questo emblema che si limita o viola la libertà dei cittadini, perché la esistenza vostra in questo Parlamento, la libertà garantita in tutte le maniere quando chiedete che sia garantita – ed io intervengo nell’interesse di tutti i partiti – dimostrano che il Governo della democrazia, della Repubblica garantisce tutte le libertà civili e politiche, garantisce tutti i partiti ed il loro libero sviluppo anche se, e ne ha il dovere, interviene per reprimere quelle manifestazioni politiche che possono turbare il libero sviluppo delle libertà civili e politiche. (Applausi).

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

Discussione sul disegno di legge: Modifiche al Testo unico della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni (2).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Modifiche al Testo unico della legge comunale e provinciale, approvate con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni (2).

È aperta la discussione generale. È iscritto a parlare l’onorevole Lami Starnuti. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Onorevoli colleghi. Io ho da fare soltanto alcune modeste osservazioni in questa discussione generale. Mi ero iscritto a parlare con il proposito di proporre che la discussione del disegno di legge presentato e contenente modificazioni alla legge comunale e provinciale, venisse rinviato a dopo l’approvazione della Costituzione.

Nel progetto della legge fondamentale vi sono alcuni criteri di ordine generale, vi è la creazione di nuovi enti locali amministrativi i quali, senza dubbio, avrebbero potuto trovare accoglimento o disciplina in questo disegno di legge, che è necessariamente transitorio tra le vecchie leggi comunali e provinciali e quello che sarà il nuovo Codice di diritto amministrativo. Se noi, onorevoli colleghi, nelle discussioni e nelle deliberazioni sulla legge costituzionale, accetteremo il concetto e l’istituto della regione, ci troveremo necessariamente di fronte al problema di dare a questo concetto, finora teorico e giuridico, un contenuto pratico e concreto. A me pareva che queste modificazioni alla legge comunale e provinciale avrebbero dovuto o potuto essere ritardate, per rispondere anche a questo bisogno che si manifesterà assoluto e urgente.

Io non so se nel nuovo ordinamento giuridico italiano la Provincia sarà mantenuta, o se la Provincia sarà trasformata secondo le proposte della Commissione dei 75. Nel primo caso noi dovremo coordinare la Provincia alla Regione, e nel secondo caso, nell’ipotesi, cioè in cui la Provincia non sia mantenuta come ente autarchico, noi potremo utilizzare provvisoriamente tutte le disposizioni di legge che regolano la vita dell’Amministrazione provinciale per regolare la nuova vita dell’ente regionale.

Per questo, dicevo, mi pareva opportuno che il disegno di legge venisse ritardato, avesse atteso cioè la discussione della nostra Costituzione per far tesoro di quelli che saranno i voti e le decisioni dell’Assemblea Costituente.

Il disegno di legge, alla sua lettura, non può che deludere. È senza dubbio una cosa modesta. Dopo vent’anni di regime dittatoriale, dopo vent’anni di distruzione di quasi tutte le libertà comunali, dopo che i Comuni italiani erano stati ridotti dal fascismo ad organi amministrativi del potere centrale, vedere delle proposte di riforme così tenui e così modeste, come sono quelle contenute nel disegno di legge che noi esaminiamo, non può che essere oggetto di meraviglia.

Il disegno di legge riporta puramente e semplicemente i Comuni nello Stato giuridico in cui si trovavano prima del fascismo, riporta i Comuni a quella che è la vigilanza e la tutela dell’autorità centrale. Dirò, anzi, che non li riporta nemmeno completamente alla loro situazione giuridica preesistente, perché il disegno di legge mantiene quella figura singolare, strana, del segretario comunale, del capo cioè della burocrazia comunale, alle dipendenze del potere centrale, alle dipendenze del Ministero dell’interno, lasciando così viva una delle maggiori ferite che all’autonomia comunale aveva inferto il regime fascista.

Tutto questo il disegno di legge non esamina; di tutto questo non si grava nemmeno. Ed allora io mi domando: è opportuna questa modificazione, sia pure a carattere transitorio, della nostra legge comunale e provinciale, quando fra qualche mese, se non fra qualche settimana, si presenteranno le urgenze alle quali io ho modestamente e brevemente accennato? Non sarebbe più opportuno e più logico sospendere il disegno di legge per riprenderlo in esame quando la Costituzione sarà approvata, quando i nuovi concetti di autonomie comunali saranno sanciti nella Costituzione, quando il grave problema amministrativo che sorgerà per la creazione delle Regioni, per il mantenimento delle Provincie, sarà stato risolto dall’Assemblea Costituente?

Mi si consenta un’altra osservazione. Il decreto legislativo luogotenenziale 7 gennaio 1946, n. 1 introducendo la proporzionale nelle amministrazioni comunali, ha creato nuovi problemi per la continuità e il funzionamento delle nostre amministrazioni locali. Io non sollevo il problema in sé del mantenimento della proporzionale amministrativa: discuteremo questo problema, se verrà in discussione, in occasione delle prossime leggi elettorali. Ma richiamo l’attenzione del Ministro dell’interno su quella che è la situazione creatasi in conseguenza dell’applicazione della proporzionale ai consigli comunali. Io non vorrei che in molti Comuni d’Italia ci fossero prossime crisi o difficoltà di funzionamento.

Nella legge del 1915 vi è una disposizione, che, fra qualche mese, potrà turbare la vita ed il funzionamento delle amministrazioni comunali: quella disposizione, cioè, o quelle disposizioni che riguardano l’approvazione dei conti consuntivi e per i quali i componenti delle Giunte comunali e il Sindaco potranno, sì, intervenire nelle discussioni del conto da loro presentato e che i Consigli esaminano, ma dovranno necessariamente astenersi dalla votazione per l’approvazione del bilancio, non soltanto per assolute ragioni di dignità morale, ma perché questo è il preciso categorico disposto della legge.

Ed allora, quando le amministrazioni comunali non beneficeranno, e difficilmente beneficiano, d’una larga maggioranza nel Consiglio comunale, queste astensioni necessarie e forzate nell’approvazione del bilancio consuntivo potranno porre le amministrazioni comunali in minoranza ed in crisi. Cosa accadrà, onorevoli colleghi, se nei nostri Consigli comunali i conti consuntivi non saranno approvati per un giuoco politico di opposizione?

Il disegno di legge non esamina affatto nemmeno questo aspetto del problema, che, a mio avviso, è pure urgente; e nemmeno la relazione, fa parola di alcuno dei problemi cui ho accennato.

Ed allora – io mi proponevo soltanto di porre all’attenzione dell’Assemblea queste modeste osservazioni e queste domande – non sarebbe preferibile fare l’esame di questo disegno di legge con maggiore competenza e tranquillità in un secondo tempo, quando tutti questi problemi di carattere amministrativo saranno davanti a noi sicuri? Altrimenti, oggi ci troveremo a fare una legge transitoria, cui fra poche settimane dovrà seguire altra legge transitoria per dare esecuzione alle norme di carattere costituzionale che l’Assemblea Costituente avrà deliberate ed approvate.

Ho presentato, ad ogni modo, alcuni emendamenti che racchiudono le osservazioni alle quali ho brevemente accennato. Se la Assemblea Costituente, se la Commissione parlamentare incaricata dell’esame del disegno di legge, non saranno d’avviso di sospenderne la discussione per rinviarla a dopo l’approvazione della Costituzione, io ritornerò, in sede di emendamenti, sulle questioni alle quali ho accennato, non soltanto per difendere, da un punto di vista tecnico, gli emendamenti da me proposti, ma soprattutto per difendere quello che io credo indispensabile nella vita amministrativa locale, cioè l’autonomia piena ed assoluta dei nostri Comuni.

Il disegno di legge, come ho detto, mantiene non soltanto il controllo di legittimità, il quale è necessario perché risponde ad una esigenza di legalità e di giustizia, che ha valore assoluto, ma mantiene anche la tutela di merito, la quale ferisce l’autonomia dei Comuni, impedisce alle amministrazioni comunali di governarsi con i propri criteri e i propri sentimenti e subordina al beneplacito delle autorità centrali tutta la vita e tutto lo slancio delle amministrazioni comunali.

Se si dovrà scendere all’esame particolareggiato del disegno di legge, ritornando sugli emendamenti, difenderò soprattutto quest’ordine di idee, il quale ha già avuto l’approvazione della Commissione dei 75, perché lo ritengo, più che utile, necessario, indispensabile ad una vita proficua e altamente feconda dei Comuni italiani. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Lami Starnuti, lei ha accennato alla sospensiva, ma io le faccio osservare che la richiesta di sospensiva può essere discussa soltanto se presentata per iscritto da 15 Deputati.

LAMI STARNUTI. Onorevole Presidente, mi ripromettevo di presentarla formalmente dopo la discussione.

PRESIDENTE. Ciò non è possibile, dato che si deve decidere se sospendere o no la discussione. La faccia quindi pervenire rapidamente.

LAMI STARNUTI. Sta bene.

PRESIDENTE. Essendomi pervenuta da parte dell’onorevole Lami Starnuti la richiesta di sospensiva con le prescritte firme, hanno diritto di parlare due oratori a favore della sospensiva e due contro.

PRIOLO. Chiedo di parlare contro la sospensiva.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Non so se onorevole Lami Starnuti abbia mai rivestito la carica di sindaco: se sì, mi meraviglio che chieda la sospensiva di questo disegno di legge. Quanti di noi hanno avuto il grande onore, ma anche il pesantissimo onere di essere stati o di essere ancora, sindaci, conoscono le difficoltà enormi, attraverso le quali i comuni si muovono, con danno delle collettività e del regime repubblicano, difficoltà che pongono i nuovi amministratori comunali, nominati in seguito a libere elezioni, in grandissime imbarazzo. Mi ero illuso, conversando giorni or sono con il compagno Lami Starnuti, di averlo persuaso a non proporre la sospensiva: purtroppo ho predicato al vento. Siamo d’accordo che in un secondo tempo potrà essere fatto meglio e di più, ma occorre intanto cominciare a fare qualche cosa. Il progetto in esame non è perfetto, ed io stesso lo dirò più tardi e presenterò alcuni emendamenti, ma d’altra parte occorre uscire, sia pure in via transitoria, dalla precaria situazione attuale, la quale può essere così riassunta. Quando gli Alleati sbarcarono nel Mezzogiorno, soppressero la legge comunale e provinciale fascista del 1934 e rimisero in vigore quella del 1915. Si accorsero però subito dopo, che la legge del 1915 non suffragava completamente, ed allora si servirono ora dell’una ora dell’altra, contemperandole con uno spirito pratico, che noi dobbiamo prendere ad esempio; ma, andati via gli Alleati, si tornò alla legge del 1934. A questa situazione incerta occorre però porre intanto un rimedio. Siccome la Costituente ha ancora quattro mesi di vita, il Ministro dell’interno potrà frattanto presentare un nuovo disegno di legge più organico e più ampio.

Perché, prima che si metta in moto tutto l’ingranaggio burocratico, conseguente alla riforma costituzionale, dovranno passare, a mio avviso, almeno due anni e non è assolutamente possibile ed opportuno prolungare di tanto la situazione attuale. Ciò risulterebbe pregiudizievole alle collettività ed allo stesso regime repubblicano, perché nei paesi, specialmente in quelli del Mezzogiorno, non si esita a giudicare la Repubblica dal modo come funziona l’amministrazione comunale. Ora, non fare niente in attesa di fare di più è per me un male: cominciamo a fare qualche cosa, togliamo alcuni controlli, liberiamo i comuni da alcune opprimenti bardature, snelliamo un poco la vita delle amministrazioni comunali.

Io sono stato sindaco di Reggio Calabria prima e poi prefetto politico di quella provincia: porto quindi in questa discussione il frutto di una esperienza pratica.

E poiché desidero la discussione e la sollecita approvazione, sia pure con i dovuti emendamenti, dell’attuale disegno di legge, chiedo che l’Assemblea respinga la proposta di sospensiva, che anzi vedrei volentieri ritirata dallo stesso proponente. (Approvazioni).

CONDORELLI. Chiedo di parlare a favore della sospensiva.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Sono convinto che l’Assemblea farebbe cosa savia rinviando l’esame del disegno di legge in discussione. Mi pare che l’intervento dell’onorevole Priolo abbia portato argomenti, anziché contro, a favore della sospensiva. L’onorevole Priolo si rende infatti conto che le decisioni della nostra Assemblea in rapporto al progetto di Costituzione, che prevede l’autonomia regionale e l’autonomia comunale, porteranno certamente alla formazione di una nuova legge comunale e provinciale, per necessità. Ma dice che questa legge verrà troppo tardi; che intanto sono necessari altri emendamenti, altri ritocchi per continuare sino a quando la nuova organica non ci sarà. E allora oggi facciamo dunque una prima serie di provvedimenti, salvo fra due mesi a farne una seconda serie, e poi tornare sull’argomento in via definitiva. Evidentemente tutto questo non conferirebbe né al principio dell’economia dei nostri dibattiti, né all’economia dell’attività legislativa e nemmeno alla bontà dell’opera nostra, perché si sa che questi ritocchi che si susseguono uno dopo l’altro incrinano l’organicità di una legge, che poi è il primo requisito di tutte quante le leggi.

Dunque, se davvero volessimo fare dei ritocchi ulteriori, non previsti da questo progetto e che l’esperienza dell’onorevole Priolo ci lascia supporre necessari e urgenti, sarebbe per lo meno il caso di esaminare i ritocchi oggi proposti insieme con i ritocchi che vorrà proporre l’onorevole Priolo.

Mi pare, dunque, che le ragioni espresse dall’onorevole Priolo vengano a sorreggere la richiesta della sospensiva. Questo mi pare troppo evidente e credo che su questo non si possa dubitare. Discutiamo, una volta tanto, al di fuori degli schieramenti politici.

PRIOLO. Facciamo questo intanto.

CONDORELLI. È un provvedimento in materia amministrativa, puramente tecnico, sul quale mi aspetterei che si votasse al di fuori degli schieramenti. Non c’è nessun dibattito di carattere politico: ci possiamo benissimo intendere. Ora io mi sono inteso su questo con l’onorevole Priolo, e mi sembra, in sostanza, che io venga a dar ragione a lui, e lui venga a dar ragione a me; cioè che è inutile che torniamo sullo stesso argomento a distanza di due mesi. (Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, la prego di concludere.

CONDORELLI. Debbo ancora dire gli argomenti miei; questi sono gli argomenti dell’onorevole Priolo. Noi, in fondo, siamo oggi in argomento di autonomie locali e dobbiamo giudicare su questa questione. Se vogliamo fare dei ritocchi a questa legge, aspettiamo le direttive che ci verranno dalla Costituzione; e dopo esamineremo magari in sede di ritocchi, non di legge organica, questi stessi ritocchi con le direttive che ci avrà dato la discussione che qui si svolgerà.

Ma poi io trovo che anche per altre ragioni non sia il caso di discutere oggi questo disegno di legge. Esso in sostanza, tende ad attenuare i controlli del Governo, e magari ad escluderli in una certa maniera. Io penso che questa è una delle ragioni dell’intempestività di questa legge. E questa ragione, badate, non ha relazione con lo schieramento politico al quale io appartengo, giacché la dottrina liberale è proprio fautrice del «self-government», è fautrice delle autonomie locali. E aggiungo che, se anche volessi guardare agli interessi transeunti del mio schieramento politico, dovrei vedere di buon occhio tutte quelle disposizioni che tendono a diminuire le interferenze del Governo, del quale sono oppositore. Evidentemente!

Dunque, interessi teorici e pratici del mio schieramento politico mi dovrebbero portare ad essere favorevole a questa legge. Ma è proprio la mia preoccupazione per gl’interessi del Paese che mi fa porre in seconda linea quelli che potrebbero essere gli interessi dottrinari o pratici del mio schieramento.

Ora, noi, in questo momento, credo che, se mai, dovremmo aumentare i controlli perché si è ripetuto ovunque che ci troviamo in una situazione…

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, non entri nel merito!

CONDORELLI. No, voglio soltanto riferirmi alla ragione di intempestività di queste disposizioni. Siamo tutti d’accordo che navighiamo in un momento in cui la miseria è dilagante, e volete proprio in questo momento diminuire il controllo di merito? La sostanza di queste disposizioni è che si diminuiscono i controlli di merito, e si lasciano modificati i controlli di legittimità. Si abolisce però il controllo di merito del Prefetto. Ma vi pare che sia proprio questo il momento di farlo? C’è anche un’altra ragione: la tradizione amministrativa del nostro Paese è stata scombussolata. L’antica classe degli amministratori, che era costituita di uomini dei partiti e degli uomini più in vista della politica locale, fu dal fascismo allontanata dalle amministrazioni.

PRESIDENTE. Lei deve parlare sull’opportunità o meno della sospensiva, senza divagare.

CONDORELLI. Io dico che in questo momento la classe degli amministratori, tanto quella prefascista, quanto quella che bene o male si formò durante il fascismo, è stata messa in disparte. Noi ci troviamo di fronte a degli amministratori che, anche se hanno retta coscienza, hanno una certa inesperienza. Ora, è questo il momento di togliere o attenuare i controlli? A me sembra che queste e molte altre ragioni militino per la sospensiva.

Prima di tutto bisogna tener conto delle direttive che ci verranno dalla discussione che si farà sulle autonomie regionali, e questo darà tempo perché la tradizione amministrativa si riprenda e siano più preparate le amministrazioni alla più larga autonomia. Le amministrazioni oggi non sono preparate né tecnicamente, né, spesse volte, politicamente. Io mi dichiaro, quindi, per la tesi della sospensiva.

PLATONE. Chiedo di parlare contro la sospensiva.

QUINTIERI ADOLFO. Chiedo di parlare anch’io contro la sospensiva, come rappresentante dell’Associazione dei Comuni d’Italia.

PRESIDENTE. Non posso concederle di parlare, in quanto ha già chiesto di parlare contro la sospensiva l’onorevole Platone.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Platone.

PLATONE. Onorevoli colleghi, noi siamo contro la sospensiva. L’esperienza di due anni ha dimostrato soprattutto che la vita dei Comuni è priva di respiro, è oppressa dall’intervento continuo operato dai prefetti e paralizzata dalla mancanza di un termine perentorio entro il quale l’autorità tutoria debba esprimere il suo parere, prendere le proprie decisioni.

Abbiamo fatto così la nostra amara esperienza in questi due anni di amministrazione comunale; abbiamo avuto contratti importanti annullati dalla tardata approvazione da parte delle autorità tutorie; abbiamo avuto dei casi anche dolorosi nelle nostre amministrazioni dovuti a questo intralcio insormontabile da parte delle autorità tutorie.

È per questo che noi siamo contro la sospensiva, in quanto questo progetto, pur essendo poca cosa, è sempre qualche cosa.

Questa situazione di disagio delle nostre amministrazioni è di tutti i giorni ed è intollerabile, né valgono a mitigarla sensibilmente i buoni rapporti che si stabiliscono con i prefetti, con le autorità tutorie, né valgono le continue sollecitazioni.

Ritengo pertanto necessario che ogni qual volta sia richiesto il parere del prefetto e della Giunta provinciale amministrativa, sia sempre fissato un termine perentorio entro il quale la decisione deve essere presa e notificata.

Poiché in questo progetto vi è qualche cosa in questo senso, noi siamo contro la sospensiva.

PRESIDENTE. Onorevole Platone, le annuncio il ritiro, da parte dell’onorevole Lami Starnuti, della proposta di sospensiva.

PLATONE. Allora, non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Lami Starnuti. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Non insisto nella domanda di sospensiva, anche perché la domanda è combattuta o accolta per ragioni antitetiche e contraddittorie. Mi si permetta un’osservazione.

L’onorevole Condorelli, che aderisce alla proposta di sospensiva, vi aderisce per mantenere sui comuni il giogo del potere centrale.

Nella mia intenzione, invece, come ho detto, la proposta di sospensiva era fatta per affermare, in migliori condizioni, il diritto dei comuni alla loro piena autonomia.

Discutiamo pure il disegno di legge. Quando la Costituzione sarà stata approvata, chiederemo all’onorevole Ministro dell’interno di proporre un’altra legge per coordinare con la Costituzione le varie leggi sugli enti locali.

PRESIDENTE. Allora si continui la discussione sul disegno di legge.

CONDORELLI. La proposta di sospensiva la facciamo noi!

PRESIDENTE. Deve essere sottoscritta da 15 deputati.

CONDORELLI. Ma è stata già presentata con la firma di 15 deputati.

PRESIDENTE. È stata ritirata!

CONDORELLI. La riproduciamo.

PRESIDENTE. Occorre una nuova proposta di sospensiva che abbia 15 firme. Se non vede questa possibilità, onorevole Condorelli, è preferibile non insistere.

Lei ha largo campo d’intervento quando si tratterà degli emendamenti.

CONDORELLI. Mi permetta, onorevole Presidente. Mi pare che i colleghi della sinistra abbiano ritirato questa proposta di sospensiva per la sola ragione che ho avuto la disavventura di sostenerla io. Evidentemente è così.

Quali che potessero essere le ragioni di merito che potevano indurre me ad essere d’accordo con loro, eravamo perfettamente d’accordo nella sospensiva, perché dicevamo che questo problema si deve esaminare funditus.

PRESIDENTE. Si prosegua nella discussione generale. Ha chiesto di parlare l’onorevole Priolo. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Se il collega, onorevole Lami Starnuti, col quale avevo parlato qualche giorno fa, si fosse persuaso, come io consigliavo, della inopportunità della sospensiva, noi avremmo risparmiato tempo ed io avrei già esposto le mie considerazioni sulla legge. Comunque, la sospensiva è stata ritirata e possiamo andare avanti nella discussione.

Ora, onorevoli colleghi, io sento il bisogno, ed anche il dovere, di esporre brevemente qualche rilievo, che mi sembra importante, sul disegno di legge in discussione, perché, come sindaco e come prefetto, ho vissuto per due anni dopo la liberazione la vita degli enti locali, ho conosciuto le difficili condizioni delle amministrazioni, ed ho condiviso il tormento dei nuovi amministratori democratici, costretti a lottare giornalmente contro difficoltà finanziarie insuperabili e, quel che è peggio, contro ostacoli giuridici e burocratici che il fascismo, insieme con innumeri altri malanni, ci ha lasciati in eredità, e che paralizzano il funzionamento delle Provincie e dei Comuni;

È ormai ora, onorevoli colleghi, di rimuovere tali ostacoli, dopo tre anni di regime democratico, per rendere meno arduo e pesante il compito degli amministratori, e per far sì che le amministrazioni, sorte dai liberi suffragi, non siano esposte a deprecabili insuccessi, che potrebbero apparire derivanti dal nuovo ordine democratico e che sarebbero sfruttati a fine politico, mentre in realtà essi sarebbero determinati unicamente dal perdurare d’impedimenti e di interferenze della legislazione fascista, in contrasto con i bisogni attuali degli enti e coll’aspirazione del popolo al decentramento ed alla autonomia.

Dell’autonomia si discuterà in seguito, a proposito della nuova Costituzione, per valutare fino a qual punto e come l’autonomia potrà giovare alla vita locale, armonizzandosi con la vita nazionale; ma intanto debbo osservare che un’autonomia locale anche limitata deve essere preceduta e preparata da un coraggioso decentramento dell’Amministrazione statale, e da una larga autarchia degli enti locali, poiché, continuando sulla strada finora seguita, ci troveremo nella situazione anacronistica di dover attuare un’autonomia regionale mentre sarà ancora vigente ed operante l’ordinamento accentratore del fascismo.

Quale è oggi la legge comunale e provinciale in vigore? Durante i sei mesi in cui il Governo militare alleato resse direttamente il Mezzogiorno, abolì senz’altro la legge comunale e provinciale fascista del 3 marzo 1934, e rimise in vigore l’ultima legge comunale e provinciale democratica, che è quella del 4 febbraio 1915.

Ma gli stessi Alleati rilevarono nell’applicazione che la legge del 1915 era insufficiente, talché essi finirono coll’applicare anche la legge del 1934 ogni qualvolta ciò risultò conveniente.

Non appena i poteri degli Alleati furono trasferiti al Governo italiano, questo rimise in vigore ed applicò unicamente la legge fascista del 1934, ma poiché essa demanda al Governo stesso la nomina degli amministratori locali, è stata modificata una prima volta col decreto legislativo luogotenenziale del 7 gennaio 1946, che regola la ricostituzione delle amministrazioni comunali elettive.

Tale decreto, emanato prima della elezione di questa Assemblea, potrà essere riveduto e completato dalla nuova Camera, quando essa procederà alla formazione della nuova legge comunale e provinciale.

Invece, il disegno di legge che stiamo discutendo, e che costituisce una seconda modifica alla legge comunale e provinciale vigente, merita tutta la nostra attenzione, perché nelle intenzioni del Governo esso si propone (cito le parole della relazione) «di apportare una semplificazione nel vigente sistema dei controlli in modo da rendere meno grave l’ostacolo, che essi frappongono allo svolgimento della vita amministrativa degli enti locali». In realtà però, è ben lontano da tale finalità, e costituisce appena un timido tentativo di semplificazione informato a schemi teorici tradizionali, non più aderenti all’attività odierna degli enti locali.

Senza scendere a dettagli, che metterebbero a prova la vostra pazienza, accennerò per sommi capi alle lacune del decreto in esame, ed alle aggiunte e modificazioni che mi appaiono urgenti.

I venti articoli del disegno in esame contengono:

1°) un aggiornamento, in rapporto al valore della lira, dell’importo dei contratti per i quali è consentita la licitazione o la trattativa privata; dei contratti da sottoporsi al parere del Consiglio di prefettura: degli atti da sottoporsi alla Giunta provinciale amministrativa; dei progetti di opere da sottoporsi al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici ed a quello del genio civile.

2°) La modificazione delle Commissioni di disciplina degli impiegati o salariati dei Comuni e delle Provincie, con l’aggiunta dei rappresentanti delle amministrazioni e delle categorie interessate.

3°) La sostituzione del controllo preventivo col controllo repressivo di legittimità del prefetto sulle deliberazioni dei consigli o delle giunte comunali e delle deputazioni provinciali.

Com’è evidente si tratta di modesti ritocchi alla legge vigente, che mantengono al prefetto la facoltà di intervenire nell’attività degli enti locali, per agevolarli od ostacolarli secondo proprie direttive personali o secondo la volontà e le disposizioni del Governo centrale.

Ora, sembra inutile avere ripristinato le amministrazioni comunali elettive, quando a queste non si assicuri la possibilità di funzionare con libertà d’iniziativa e di esecuzione, e con organi e mezzi idonei; e sembra grave incoerenza che, mentre nelle Commissioni della nuova Costituzione sono stati approvati all’unanimità o a grande maggioranza moderni ordinamenti di autonomia locale, si mantenga nella legge comunale e provinciale vigente, quell’ordinamento fascista, che l’esperienza ha dimostrato deleterio, e per la sua inefficienza sostanziale mal dissimulata sotto un presuntuoso formalismo, e, soprattutto, per l’esoso centralismo autoritario, che per venti anni ha tenuto in piedi la dittatura ed ha corrotto ed ingannato il popolo italiano. (Applausi).

Poiché son certo che il Governo e tutti i partiti democratici sono animati dal desiderio di andare incontro alle nostre Provincie ed ai nostri Comuni per aiutarli a risolvere i problemi locali, oggi complicati e moltiplicati da enormi difficoltà economiche e finanziarie di ordine nazionale, propongo che entro il breve periodo di attività, che ancora resta alla Costituente, il Governo presenti un disegno di legge, che modifichi opportunamente la legge comunale e provinciale fascista, conferendo una maggiore autarchia agli enti locali per il periodo di uno o due anni, che presumibilmente dovranno ancora trascorrere prima che la nuova Camera legislativa possa approvare la nuova legge comunale e provinciale sulla scorta della nuova Costituzione.

Le modifiche che i nostri comuni chiedono unanimi e che gli esperti ritengono non dilazionabili, sono fondate sui seguenti criteri:

1°) Totale abolizione del controllo di legittimità del prefetto, che il disegno in esame trasforma invece da preventivo in repressivo; il che significa che i Comuni dovrebbero rimettere, come oggi fanno, copia di tutte le deliberazioni dei consigli e delle giunte alle prefetture, le quali dovrebbero egualmente rivederle, per annullare quelle eventualmente viziate da violazioni di legge.

SCELBA, Ministro dell’interno. Di questo si parlerà in sede di discussione degli articoli.

PRIOLO. Per ora accenno genericamente, a suo tempo proporrò degli emendamenti.

Si tratterebbe, quindi, di un visto tacito, che non allevierebbe in alcun modo il lavoro degli uffici municipali e prefettizi, e che, come ho detto, consentirebbe in ogni caso (sia pure con pretesti legali) l’intervento nell’amministrazione locale del prefetto.

Tale controllo defaticante per gli uffici e politicamente inammissibile, risulta praticamente inutile, perché a garanzia della legge e dei terzi basterebbe stabilire che le sole deliberazioni contro le quali venissero elevati reclami, fossero sottoposte insieme colle opposizioni all’esame, non del prefetto, ma della Giunta provinciale, per l’eventuale annullamento.

2°) Totale abolizione dei pareri e dei controlli del Consiglio di prefettura, che è un doppione del prefetto, perché costituito da funzionari da lui dipendenti.

Si tratta del resto di un organo, che in molte prefetture non funziona da tempo, e che esiste solo formalmente, per dare autorità collegiale a relazioni compilate secondo le istruzioni del prefetto da singoli funzionari, designati caso per caso dal prefetto stesso.

3°) Mantenimento del controllo preventivo sui bilanci comunali e provinciali del controllo di merito nel corso della gestione sugli atti più importanti delle amministrazioni; nonché del controllo contabile successivo sui conti consuntivi annuali, riservando però tale controllo unicamente alla Giunta provinciale amministrativa.

Un sistema di completa autarchia dovrebbe affidare ogni controllo sulle amministrazioni locali ad organi locali elettivi come le amministrazioni stesse, ma perché ciò presupporrebbe un grado di esperienza amministrativa e di maturità democratica, che ancora non abbiamo raggiunto, si può ammettere per alcuni anni ancora l’esistenza della Giunta provinciale amministrativa così com’essa è oggi, cioè un organo misto di componenti elettivi e di elementi tecnici, nell’intesa però, che, quando si applicherà la nuova Costituzione, i funzionari tecnici, oggi governativi, passeranno alla dipendenza dell’ente autarchico regionale o provinciale, mentre il presidente della Giunta amministrativa sarà elettivo.

Però, lasciando in vita l’attuale organo misto, è necessario che il numero dei componenti elettivi sia portato da 4 a 7, per modo che nell’eventualità di una votazione prevalga la decisione degli elementi rappresentativi locali su quella dei funzionari tecnici.

Vedrà la futura Camera legislativa se i membri rappresentativi della Giunta amministrativa debbano essere eletti dall’Assemblea dei Sindaci, o dai Consigli comunali, ma intanto i membri da aggiungersi a quelli oggi in carica potrebbero essere nominati, come questi ultimi, dalle amministrazioni provinciali.

Per tal modo le amministrazioni comunali, alleviate da un lavoro burocratico inutile, sarebbero più libere nella loro attività, mentre le Giunte provinciali amministrative, quali unici organi di controllo autarchico locale, potrebbero meglio dedicarsi alla vigilanza finanziaria e contabile, che deve essere sviluppata ed intensificata in un regime di democrazia, il quale voglia dimostrare coi fatti che il denaro dei contribuenti è sacro, e che come tale esso viene rigidamente amministrato e tutelato. (Approvazioni).

4°) Attribuzione alla Giunta provinciale amministrativa anche dei controlli di merito, oggi affidati al Ministero dell’interno ed alla Commissione centrale per la finanza locale.

In regime fascista, per la manìa centralista, che la burocrazia alimentava di buon grado, allo scopo di istituire nuovi uffici ministeriali e nuovi posti nei gradi superiori, fu avocata al Ministero dell’interno tutta la materia relativa ai segretari comunali, e assorbita dal Ministero delle finanze quella della finanza locale, istituendo per tale ultimo scopo una direzione generale.

Sarebbe lungo ridire i ritardi, i disagi, i danni, che tali avocazioni hanno apportato ai Comuni, i quali chiedono, perciò, che il sistema vigente sia modificato e decentrato.

Ed a tale fine i segretari comunali potrebbero, comunque, essere considerati quali funzionari di Stato, ma dovrebbe essere riservato alle Giunte amministrative delle rispettive Provincie di giudicarli, di promuoverli, di trasferirli nell’ambito della Provincia, ed anche fuori Provincia per accordi interprovinciali.

Il fascismo istituì e poi abolì in ogni Provincia un consiglio di amministrazione, che, formato da un ispettore, da un consigliere e da un ragioniere capo di prefettura, era in grado di valutare la capacità ed il rendimento dei segretari, e tale consiglio potrebbe essere utilmente ripristinato, ma completato con almeno tre membri eletti dalla classe interessata per dar parere su tutti i provvedimenti relativi ai segretari comunali.

Questi, infatti, sono oggi trasferiti e promossi a volontà dei prefetti e del Ministero dell’interno, con danno delle amministrazioni interessate, le quali si vedono all’improvviso private di ottimi elementi e costrette ad accettarne in cambio altri scadenti e non desiderati, senza avere neanche il diritto di esprimere il proprio parere.

Circa la Commissione centrale per la finanza locale, essa è competente, fra l’altro, ad approvare i bilanci dei Comuni, che non riescono a pareggiare la propria gestione con le ordinarie risorse, previste dalla legge, e che, perciò, hanno bisogno di un contributo d’integrazione dello Stato. E, poiché nell’attuale periodo quasi tutti i Comuni italiani sono deficitari, quella Commissione ha dovuto rivedere ed approvare migliaia di bilanci, non avendo all’uopo adeguato numero di funzionari competenti: da ciò enorme ritardo nella restituzione dei bilanci ai comuni.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ma questi non li mandano in tempo.

PRIOLO. Ciò’, onorevole Ministro, talvolta è vero, ma molti sono gli inconvenienti, che derivano da tale accentramento. Basterà per tutti accennare al fatto che i bilanci approvati da tale Commissione pareggiano solo fittiziamente, perché dagli stessi vengono stralciate molte spese obbligatorie, mentre vengono aggiunte entrate non realizzabili.

Ciò si verifica perché, chi sta al centro si trincera facilmente dietro enunciazioni formali, e ritiene a torto, che, dilazionare i problemi, sia anche un modo di risolverli.

Lo stesso Ministero delle finanze si è accorto che le cose non possono continuare così come oggi vanno, e di recente ha consentito che i bilanci dei Comuni, con popolazione inferiore a 5000 abitanti, siano approvati dalle Giunte amministrative.

È questo un provvedimento lodevole, ma insufficiente e che perciò deve essere esteso a tutti i Comuni e a tutte le Provincie.

Il Ministero delle finanze obietterà che, quando lo Stato deve concedere contributi per centinaia di milioni e per miliardi, non può affidarsi alle decisioni di organi locali come le Giunte amministrative, ma è facile rispondere che delle giunte fanno parte oggi anche gli intendenti di finanza, i quali possono tutelare gli interessi dell’erario dello Stato.

Il Ministero delle finanze, all’evidente scopo di garantirsi contro eventuali larghezze delle Giunte, ha richiesto che i bilanci dei Comuni inferiori a 5000 abitanti, siano approvati su relazione degli intendenti di finanza, e questa norma ricalca le orme e ripete gli errori, già commessi dal Governo militare alleato, il quale, ignorando l’ordinamento statale italiano, attribuiva agli intendenti compiti per i quali mancava loro la competenza e la preparazione.

Ora, se si vuol restare nel campo della realtà, bisogna riconoscere che i bilanci dei Comuni debbono essere approvati su relazione del competente della Giunta amministrativa, specificamente competente in materia, che è il ragioniere capo della prefettura, il quale, attraverso l’esame dei conti consuntivi e tutto il controllo esercitato dal suo ufficio, è in grado di prospettare alle giunte stesse le reali risorse patrimoniali, la capacità contributiva ed il fabbisogno di spesa dei Comuni.

E però, qualora il Ministero delle finanze voglia prevenire eccedenze nelle concessioni di contributi statali, egli potrà raggiungere praticamente meglio lo scopo, stabilendo responsabilità personali per i ragionieri revisori e relatori, così come già esse esistono per la revisione dei conti consuntivi.

Comunque, assicuro l’onorevole Ministro delle finanze, che, se, affidando l’approvazione dei bilanci dei Comuni alla Commissione centrale per la finanza locale, lo Stato ha risparmiato alcune centinaia di milioni, tale beneficio dell’erario si è risolto però in un grave danno per le amministrazioni comunali e provinciali, le cui gestioni sono rimaste deficitarie di fatto, i cui servizi pubblici restano in gran parte disorganizzati, ed i cui dipendenti riescono a riscuotere con enorme ritardo le loro magre e sudate retribuzioni. (Approvazioni).

LUCIFERO. Esattissimo.

PRIOLO. Confido, perciò, che l’onorevole Ministro delle finanze consenta che anche il controllo finanziario sugli enti locali deficitari passi per intero alle giunte provinciali amministrative, i cui componenti, vivendo a contatto con le amministrazioni locali, sono particolarmente idonei a valutarne le esigenze ed a soddisfarle con la ragionevole parsimonia, imposta dalle odierne condizioni dell’economia nazionale.

La medesima esperienza pratica, che mi ha indotto a proporre una riforma in senso autarchico e democratico della legge comunale e provinciale vigente, mi impone però, in pari tempo, di avvertire che, affinché l’autarchia riesca proficua alle amministrazioni locali, e più specialmente ai minori comuni, essa deve essere accompagnata da altri provvedimenti intesi:

1°) a precisare e rafforzare le responsabilità dei funzionavi e degli amministratori locali;

2°) ad assicurare anche ai più poveri Comuni, specialmente del Mezzogiorno, i mezzi finanziari richiesti dai servizi loro attribuiti dalla legge;

3°) a conferire maggiore efficienza agli uffici municipali dei Comuni minori.

Illustro dettagliatamente ciascuno di codesti tre punti.

Primo punto. Le responsabilità da precisare sono quelle del Segretario comunale, del ragioniere, del tesoriere, del sindaco, dei componenti la Giunta municipale, dei revisori dei conti.

Anzi, sarebbe utile sostituire questi ultimi, che nella pratica non hanno mai funzionato, con ristrette Commissioni di finanza, le quali, elette dai Consigli comunali, ed assistite dai ragionieri municipali, dovrebbero rivedere i bilanci di previsione, i conti consuntivi ed apporre il visto di ammissione a pagamento sui mandati emessi dal sindaco.

Commissioni di finanza, sindaci e Giunte comunali dovrebbero però essere equamente retribuiti, non essendo concepibile, in regime democratico, l’assolvimento gratuito di funzioni onerose e laboriose, e non potendosi ammettere, d’altra parte, che i soli ricchi abbiano il diritto di assumere le funzioni di pubblici amministratori. (Approvazioni).

Secondo punto. Circa le risorse occorrenti ai Comuni, è noto che l’attuale ordinamento della finanza locale non assicura i mezzi necessari al funzionamento delle amministrazioni locali e dei servizi pubblici.

L’onorevole Ministro delle finanze ha fatto assai bene a rendere obbligatoria e con aliquota progressiva l’imposta di famiglia, perché questa non darà solo un cospicuo gettito, ma servirà anche a perequare il carico tributario fra i contribuenti, finora eccessivamente gravoso per i minori abbienti, sulle cui povere risorse incidono fortemente le imposte di consumo.

Ma in molti piccoli Comuni del Mezzogiorno anche l’imposta di famiglia rende ben poco, o per la povertà dell’economia locale, o perché i ricchi proprietari risiedono nelle grandi città, e sfuggono, quindi, alla tassazione proprio nei Comuni, dal cui territorio essi ricavano le loro rendite, che spesso ascendano a molti milioni annui. A tale riguardo, chiedo che siano accolti i voti dei Comuni rurali, i quali hanno proposto di ripartire l’imposta di famiglia fra il Comune di residenza e quelli dal cui territorio derivano i redditi tassabili.

Una voce. Ma ciò non è tecnicamente possibile.

PRIOLO. Io non sono un tecnico della materia, ma una formula si potrà e si saprà ben trovare dai tecnici della finanza.

È stato assicurato autorevolmente che nel 1947, applicandosi le nuove disposizioni tributarie in corso di esame, i Comuni potranno pareggiare con risorse proprie i rispettivi bilanci.

Sarà bene però che il Governo proceda in tale materia con ponderazione, evitando di ridurre i contributi statali prima che abbiano effettiva applicazione le disposizioni modificative dei tributi locali, per dar tempo ai Comuni di riscuotere le nuove entrate, e per non inasprire le difficoltà finanziarie già gravissime nelle quali le amministrazioni locali si dibattono.

E, poiché fra le modificazioni predisposte sono compresi aumenti delle tariffe vigenti delle imposte di consumo, è necessario dire chiaramente che tali aumenti frustreranno praticamente la lotta al caro vita, che il Governo deve condurre.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ma di ciò non si parla in questo decreto.

PRIOLO. Lo so, onorevole Ministro, ma io qui sto facendo un poco anche una esposizione generale dei problemi, che riguardano i nostri comuni. Ora l’esperienza insegna infatti, che un aumento del 5 per cento delle imposte di consumo determina in definitiva un aumento del 50 per cento per il consumatore, dappoiché il rimanente 45 per cento si disperde nella organizzazione commerciale a beneficio di speculatori, di grossisti e di dettaglianti.

All’aumento delle imposte di consumo si dovrebbe ricorrere perciò in giorni più tranquilli, mentre oggi si dovrebbero aiutare i Comuni, cedendo loro parte di talune entrate statali di agevole riscossione, come quella dei monopoli.

Anche tale cessione, però, renderà dove molto e dove poco, talché resterà sempre insoluto il problema finanziario di molti Comuni meridionali, i quali, tanto dalle sovrimposte sui terreni, quanto dalle imposte di famiglia e di consumo ricavano poco per la povertà del territorio, cui consegue la generale povertà economica ed il basso tenore di vita degli abitanti.

Mi sia permesso, a questo punto, di citare il caso di un comunello della mia Provincia, che può considerarsi tipico fra quelli poveri del Mezzogiorno: il comune di Roghudi, che ha 1800 abitanti e dista dallo scalo ferroviario 35 chilometri, 15 dei quali sono di mulattiera, interrotta nell’inverno dalle piene di due fiumi a regime torrentizio.

Il territorio, che solo l’irrigazione potrebbe rendere altamente produttivo, è molto misero e malarico, così che la popolazione, costituita di pastori, contadini e piccoli proprietari, conta appena una trentina di famiglie in mediocri condizioni, mentre tutte le altre sono formate di lavoratori e lavoratrici poverissimi, senza scarpe, con vestiti e biancheria laceri, ricoverati in stamberghe antigieniche e primitive.

Il paese non ha luce elettrica, non ha acquedotto, non fognature, non edificio scolastico, non edificio comunale, non caserma di carabinieri: ha solo il cimitero per seppellire i propri morti. (Commenti).

L’acqua potabile viene attinta ad una sorgiva distante cinque chilometri dall’abitato, e che in estate si dissecca, mentre in inverno è sotto la perenne minaccia d’inquinamento.

Codesti 1800 abitanti, che vivono ancora come nei paesi di più arretrata civiltà, e che nel dicembre scorso rimasero per 25 giorni senza pane, si troverebbero certo in ben altre condizioni se il fascismo, nella sua megalomane follia, non avesse dispersi circa cento miliardi (pari forse a tremila miliardi di oggi) in Etiopia, in Albania ed in Ispagna, ed avesse invece costruito acquedotti, scuole, strade, bonificato le zone sterili del litorale ionico, imbrigliando a monte ed arginando a valle i fiumi, per produrre energia per l’industria, acqua copiosa per l’irrigazione, e per salvare le campagne da periodiche devastazioni. (Applausi).

Ebbene, il comune di Roghudi, con tutta la buona volontà dei suoi amministratori, riesce appena a realizzare 12.000 lire annue dalla sovrimposta terreni, lire 50.000 – dalle imposte di consumo, lire 40.000 – dalla imposta di famiglia, lire 130.000 dall’imposta sul bestiame e dalle altre minori, ed in totale circa 235.000 lire annue, colle quali deve far fronte oggi ad un complesso di almeno un milione e mezzo di spese obbligatorie, senza poter provvedere, come pur sarebbe necessario, a lavori di manutenzione stradale, a medicinali e spedalità per i poveri, ad arredamento, per le scuole, ecc.

Di comuni come Roghudi ve ne sono parecchi in provincia di Reggio, in Calabria, ed in tutto il Mezzogiorno, ed io spero, perciò, che l’onorevole Ministro delle finanze vorrà convenire che, per tali comuni, occorrerà l’aiuto finanziario dello Stato ancora per molti anni.

Ed a proposito di aiuti finanziari, mentre ringrazio pubblicamente l’onorevole Romita, ex Ministro dei lavori pubblici, per l’interessamento e la comprensione da lui dimostrati a favore della Calabria, la quale gli è e gli sarà perennemente grata, mi permetto pregare oggi il nuovo Ministro di detto dicastero onorevole Sereni, di voler visitare con me a dorso di mulo i paesi di Roghudi, di Roccaforte e di Africo, ed altri paesi ancora, che per brevità non nomino, per rendersi conto della enorme distanza, che esiste fra le condizioni nostre e quelle del nord e per convincersi che, se noi rappresentanti della Calabria assilleremo anche lui come abbiamo fatto col paziente Romita, di richieste incessanti, e che possono sembrare eccessive, ciò facciamo non già per spirito campanilistico, ma perché non possiamo restare sordi agli appelli disperati, che ci giungono da popolazioni, che ancora sono prive di ogni conforto civile. (Approvazioni).

Terzo punto. Per conferire maggior efficienza agli uffici municipali dei piccoli Comuni, bisogna fissare per legge l’organico obbligatorio del personale necessario per i servizi amministrativi, contabili, igienici, di nettezza, di polizia urbana e campestre, e determinare altresì le retribuzioni minime, equiparandole, per quanto sia possibile, a quelle dei dipendenti statali…

Una voce al centro. Ma è contro l’autonomia: è ciascun comune, che deve provvedere a questo.

PRESIDENTE. Lascino parlare l’onorevole Priolo.

PRIOLO. …tenendo presente che i dipendenti dei piccoli comuni sono degli autentici benemeriti dell’amministrazione pubblica italiana, perché disimpegnano con onestà e con zelo il proprio dovere in località quasi sempre disagiate ed in cambio di retribuzioni modestissime, e che gli impiegati e salariati residenti in piccoli centri all’interno per istruire i propri figli debbono sottoporsi a spese ingenti ed a sacrifizi spesso eroici. Ed insieme con quella dei modesti impiegati e salariati deve essere migliorata particolarmente la condizione dei segretari comunali, i quali sono, specie nei Comuni minori, collaboratori tecnici preziosi ed insostituibili delle amministrazioni elettive e la cui funzione implica responsabilità e richiede anche spirito di abnegazione. (Approvazioni).

Tale miglioramento si potrebbe ottenere mediante ruoli aperti, che, partendo dall’attuale grado sesto, assicurino a tutti i segretari, qualunque sia il Comune nel quale prestano servizio, di pervenire almeno al grado quarto di segretario capo nel termine di venti anni di servizio.

Un trattamento decoroso attirerà alla carriera di Segretario comunale elementi preparati, e permetterà di dare ai Comuni funzionari competenti e laboriosi attraverso la selezione di esami e concorsi da affidarsi alle Giunte amministrative.

Tali funzionari non difettano nei Comuni maggiori e medi, ma sono ancora scarsi nei piccoli Comuni, molti dei quali sono perciò paralizzati dalla incapacità di segretari inidonei per età, o perché assunti in via temporanea senza alcuna garanzia.

Nell’interesse dei Comuni e delle amministrazioni elettive è perciò necessaria una selezione da affidarsi alle Giunte provinciali amministrative, stabilendo che i segretari che saranno dichiarati non idonei possano godere di un trattamento favorevole di pensione, se titolari, o possano essere assunti a posti esecutivi se siano reggenti.

Inoltre, a fianco al segretario, occorrerà dare ad ogni Comune un ragioniere egualmente idoneo, che assicuri l’efficienza dei servizi finanziari e che condivida ed allevi le responsabilità degli amministratori.

Oggi i soli Comuni di una certa importanza dispongono di un ragioniere, talché in tutti i Comuni minori non funziona il controllo sulla gestione finanziaria e contabile con giustificata preoccupazione degli amministratori, i quali si sentono spesso malsicuri ed ostacolati nella loro attività e nelle loro iniziative, dal dissesto contabile delle civiche amministrazioni.

Ma perché la funzione del ragioniere nei Comuni possa riuscire proficua per gli enti ed utile per gli amministratori, essa dev’essere parificata a quella del segretario, perché un controllo razionale ed efficace sorge automaticamente dalla contrapposizione di funzioni e d’interessi posti sopra un medesimo piano gerarchico.

Tale criterio è del resto seguito dallo Stato, il quale ha inquadrato nel gruppo A i funzionari delle ragionerie dei Ministeri, assicurando loro la medesima carriera dei funzionari amministrativi.

La stessa parificazione va, pertanto, estesa dallo Stato ai Comuni ed alle Provincie, comprendendovi anche i funzionari dei servizi tecnici e sanitari.

Mi è stato segnalato che il Ministero dell’interno non avrebbe approvato la deliberazione di un grande Comune della Sicilia, che ha parificato al segretario comunale i dirigenti dei servizi tecnici, sanitari e di ragioneria, mentre ritengo che quel Comune sia proprio sulla giusta strada, e che in tutti i Comuni ed in tutte le provincie le funzioni amministrative e quelle tecniche debbano essere parificate e coordinate sotto la direzione degli amministratori elettivi, così come nei Ministeri le varie direzioni generali sono coordinate sotto l’autorità dei Ministri e dei Sottosegretari.

E a tale proposito, per analogia di materia, rivolgo all’onorevole Ministro delle finanze e del tesoro la raccomandazione di colmare al più presto una lacuna, lasciala dal Governo fascista, il quale, mentre ha unificato il controllo contabile e finanziario dello Stato, concentrando presso il Ministero del tesoro le ragionerie di tutti gli altri Ministeri, e conferendo così a tali uffici l’autorità ed indipendenza, di cui abbisognano, ha lasciato invece le ragionerie dei capoluoghi di Provincia alle dipendenze dei rispettivi Ministeri, ed in condizioni di inferiorità gerarchica rispetto agli uffici amministrativi.

Ciò ha portato come conseguenza che in regime fascista le ragionerie delle Provincie hanno dovuto spesso avallare irregolarità ed abusi delle rispettive amministrazioni, perché non avevano l’autorità e l’indipendenza per contrastarle.

Nell’interesse dello Stato, e per evitare il ripetersi degli sperperi, che hanno caratterizzato la gestione fascista del pubblico danaro, risulta, quindi, necessario che anche le ragionerie provinciali di tutte le amministrazioni statali abbiano lo stesso inquadramento gerarchico delle ragionerie centrali, e siano poste alla diretta dipendenza del Ministero del tesoro, anche se materialmente debbano essere distaccate presso gli uffici provinciali, così come per pratica convenienza le ragionerie centrali, pur dipendendo dal Tesoro, svolgono la loro attività a fianco dei singoli Ministeri.

Onorevoli colleghi, concludo formulando il voto che le mie proposte, frutto di pratica e recente esperienza, siano accettate dal Governo e riscuotano il vostro consenso.

Il Paese lamenta a ragione che la pubblica amministrazione sia tarda, arretrata, ingombrante, perché ancora regolata, al centro ed alla periferia, dallo spirito centralista del fascismo, che opprime, soffoca, e spesso paralizza la vita nazionale.

È certo che la futura Camera legislativa rinnoverà radicalmente l’apparato statale sopra sicure basi democratiche, realizzando le autonomie locali e chiamando a guidare e controllare l’alta burocrazia centrale, Commissioni di tecnici e di rappresentanti elettivi, tratti anche dai gradi minori della burocrazia periferica, che, vivendo a stretto contatto colla vita del Paese, meglio ne conosce i bisogni.

Ma intanto, è compito urgente di questa Assemblea di preparare condizioni favorevoli a tale rinnovamento, decentrando e semplificando l’attuale struttura dell’apparato statale per modo che esso incominci finalmente a funzionare con quel ritmo sciolto e veloce che le moderne esigenze richiedono, e col quale il popolo italiano ha vitale bisogno di avanzare e di ascendere sulle vie dell’avvenire, sinceramente democratico, decisamente repubblicano. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Zotta. Ne ha facoltà.

ZOTTA. Onorevoli colleghi, l’onorevole Priolo ha fatto molte proposte e molte osservazioni. Io ne farò una sola e mi sorge perciò il dubbio se per caso la sede per essa più opportuna sia quella della discussione sui singoli articoli. Però, riflettendo che il progetto ha due obbietti ben determinati, limitazione o abolizione del controllo e della ingerenza dei poteri statali nelle amministrazioni degli enti pubblici e adeguamento al diminuito potere di acquisto della moneta, poiché la mia proposta riflette per intero il primo punto, pur dovendosi essa compendiare nel richiedere l’abrogazione di un solo articolo del progetto, essa trova fin da questo momento utile collocazione.

Lo schema si propone di abolire il controllo generale di merito attribuito al prefetto su tutte le deliberazioni delle amministrazioni locali dalla legislazione fascista; poi va molto più oltre nel cammino delle autonomie, in quanto sostituisce il tradizionale intervento di legittimità in forma preventiva del prefetto con un controllo successivo e repressivo. Dunque lo schema fa un passo notevole nel settore delle autonomie locali e delle libertà democratiche. Ma mi sembra, onorevoli colleghi, che sotto questo aspetto sia insufficiente, perché lascia al prefetto un ampio potere di ingerenza nell’attività degli enti locali.

Questa ingerenza del prefetto trova la sua sede nel famoso articolo 19, comma 5°, della legge comunale e provinciale. Tale norma, concedendo al prefetto il potere di adottare, in caso di necessità od urgenza, i provvedimenti che creda indispensabili nel pubblico interesse, come ognuno sa, fu introdotta dal passato regime col preciso intento di rafforzare l’ingerenza dei poteri centrali nella vita autarchica locale.

Qual è la storia di questo articolo 19? Vi era nella vecchia legge comunale e provinciale l’articolo 3, il quale, ricevendo l’eredità da analoga norma contenuta nella legge del 1889, era così concepito: «In caso di urgenza, il prefetto fa i provvedimenti che crede indispensabili nei diversi rami dei servizi». Con la vecchia legislazione, quella prefascista, il prefetto, dunque, aveva un controllo sostitutivo, aveva un potere diretto ad assicurare, in ogni caso, il funzionamento degli organi ordinari, preposti ai diversi rami di servizio, sempre nell’ambito delle norme vigenti. Quindi il controllo, il potere del prefetto, secondo l’articolo 3, era di stimolo, era di sollecitazione, era di integrazione, ma sempre nel quadro della legge.

Poi, trasformato lo Stato di diritto in Stato di polizia, incomincia la vicenda dell’articolo. E molti ricorderanno che fu prima un prefetto a chiederne l’applicazione per ottenere il divieto sulla libertà di stampa. Fu poi il legislatore ad ampliarlo, ad arricchirlo, a trasformarlo di forma e di contenuto, inserendolo prima nell’articolo 2 della legge di pubblica sicurezza del 1926, che è stato riprodotto poi nella legge del 1931, e poi nella forma attuale nell’articolo 19 del testo unico della legge comunale e provinciale. L’onorevole Federzoni, alla Commissione parlamentare chiamata ad esaminare il progetto di legge di pubblica sicurezza, nella sua relazione disse: «Si è inteso attribuire al prefetto una competenza funzionale, e non una semplice competenza surrogatoria». Il che significa che, mentre in virtù dell’articolo 3 della legge del 1915 il prefetto poteva intervenire soltanto quando mancava l’azione degli organi preposti dalla legge ai diversi rami di servizio, e nei casi urgenti soltanto, in virtù di questo articolo 19 veniva dato al prefetto un ampio indeterminato potere discrezionale, al di là della materia legislativamente circoscritta nei diversi rami di servizio, in una sfera, direi, delimitabile soltanto col criterio elastico della necessità e dell’urgenza, con elementi quindi molto sensibili alle valutazioni e alle influenze delle situazioni politiche.

Per cui avvenne che, forte di questo potere, il prefetto poté allora legittimare ogni usurpazione, rendersi arbitro del diritto di proprietà, arbitro del diritto di libertà, con aperta offesa sia degli enti locali che dei cittadini.

Ora viene qui in esame uno schema il quale intende ridurre o abolire questa penetrazione dell’autorità centrale nella vita autarchica degli enti locali. Ebbene, non si prevede – e ciò mi sorprende – l’abolizione di questa norma creata dalla dittatura, dall’accentramento, dall’esclusione di ogni idea democratica. Questa norma, nonostante tante innovazioni, è ancora in vita. E i prefetti, spesso, continuando la prassi del cessato regime, e talvolta aggravandola (Interruzioni), se ne valgono, facendo un uso che è pernicioso quanto l’abuso.

Se dovessero invocarlo soltanto per la applicazione della legge, non ci sarebbe bisogno dell’articolo 19. Il prefetto sostanzialmente fa questo ragionamento; quando prende un provvedimento dice: quello che io stabilisco e che non trova riferimento nelle norme delle leggi speciali, viene sanato dal potere straordinario che mi conferisce l’articolo 19».

Quindi, onorevoli colleghi, l’articolo 19 non serve per l’applicazione della leggo, ma per superare i limiti che la legge pone, con aperta ingiuria dei diritti dei cittadini e degli enti locali.

Io vorrei citare un esempio solo, perché riguarda la mia circoscrizione, la provincia di Matera, dove c’è un prefetto che fa il legislatore, specialmente in materia agraria. Questo prefetto stabilisce che la proprietà al di là dei 40 ettari di terreno deve essere distribuita. Egli dispone della proprietà e l’assegna, secondo norme di legge, che egli stesso crea in virtù del suddetto potere, al di là di ogni norma giuridica vigente.

A questo proposito vorrei domandare al Ministro degli interni se non sia giunto il tempo che questo improvvisato legislatore vada a fare i suoi esperimenti legislativi in qualche altro luogo, lasciando un po’ in pace la mia provincia che viveva in perfetta pace e che ora è messa a soqquadro dalle velleità soloniche di questo improvvisatore. E sarà appunto prudenza dell’onorevole Ministro dell’interno di vedere nel mio invito un motivo per meditare e per provvedere, perché costui osa essere un nostro emulo nella funzione costituente.

Ora questo schema intende eliminare i sistemi, cui il cessato regime faceva ricorso per rafforzare la sua ingerenza nella vita degli enti locali.

Ebbene, si abroghi l’articolo 19, richiamando in vigore l’articolo 3 della vecchia legge comunale e provinciale, e così davvero nel quadro delle libertà democratiche saranno salvi e garantiti i diritti degli enti locali e dei cittadini.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a martedì 11, alle ore 10.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Pastore Giulio ha presentato, con richiesta di risposta urgente, la seguente interrogazione:

«Ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e degli affari esteri, per conoscere d’urgenza i motivi in base ai quali il Ministero del lavoro si oppone a che l’emigrazione in Francia avvenga in via normale mediante richieste o contratti individuali, ed insista nel dare assoluta preferenza al sistema dell’emigrazione collettiva, nonostante i gravi inconvenienti cui ha già dato luogo.

«L’interrogazione ha carattere di estrema urgenza, poiché la questione forma in questi giorni oggetto di esame da parte della Commissione mista italo-francese e si deve fra l’altro dare corso a migliaia di richieste da mesi giacenti al Ministero del lavoro».

Il Governo si riserva di far conoscere nella seduta di martedì se intende rispondere d’urgenza a questa interrogazione.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle altre interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per sapere quale ordinamento intenda dare al Corpo di Stato Maggiore delle Forze armate.

«Nobile, Longo, Scotti Francesco, Barontini Ilio».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in favore dei militari che subirono l’internamento in Svizzera dopo l’8 settembre 1943, per una loro equiparazione ai reduci dalla prigionia, ai fini dell’ammissione ai concorsi a posti di notari, banditi con decreti in data 24 dicembre 1946 (Gazzetta Ufficiale 30 dicembre 1946, n. 297). (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Puoti, Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere se non intenda estendere a favore degli editori di musica non rilegata la tariffa postale ridotta per le spedizioni nel Paese, quando il diritto alla tariffa stessa nella specie in questione è riconosciuto da tutti gli Stati stranieri, in base alla convenzione del Cairo, con la quale tali pubblicazioni vennero definite «carte di musica» ed ammesse alla riduzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Puoti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se, in accoglimento dei voti espressi in ogni parte d’Italia dai Consigli dell’Ordine degli avvocati e procuratori, non intenda promuovere la sollecita abrogazione dell’attuale Codice di procedura civile e il ripristino del Codice anteriore e della legge sul procedimento sommario, unico mezzo pratico per rimediare al crescente disagio nel funzionamento della giustizia civile, resa dal vigente Codice fascista intollerabilmente lenta, complicata e dispendiosa. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Platone, Lozza».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere come intenda venire incontro alla inderogabile esigenza delle tre Vallate del Sesia, del Sermenza e del Mastallone, in provincia di Vercelli, le quali chiedono il ripristino in Varallo Sesia, loro capoluogo, del Tribunale ingiustamente soppresso dal fascismo. L’interrogante rileva che prima dell’avvento del fascismo, allorché nel 1921 si ventilarono proposte per la soppressione di vari Tribunali, il Tribunale di Varallo Sesia venne escluso dall’elenco di quelli da sopprimere, riconoscendosi così esplicitamente, anche allora, l’incontestabile sua utilità e quindi la necessità della conservazione. La posizione geografica della zona per la grande distanza di molti paesi dal capoluogo di Provincia e per la mancanza di comodi mezzi di comunicazione, nonché la particolare situazione delle popolazioni interessate sottoposte ai gravi disagi dei paesi di montagna, inducono l’interrogante ad insistere perché la richiesta sia al più presto accolta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pastore Giulio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per segnalare il caso del Manicomio di Racconigi. A questo Manicomio – dove in media sono ricoverati 1200 ammalati – era stato assegnato dal Commissariato combustibili Alta Italia, con sede in Milano, piazza Diaz 5, a datare dal mese di gennaio 1947, un quantitativo mensile di 20 tonnellate fossile estero e 40 tonnellate fossile sardo.

«A tutt’oggi detto Ospedale non ha ricevuto, in conto di tale assegnazione, nemmeno un chilogrammo di carbone, perché l’Unione trasportatori carboni con sede in Genova, alla quale le assegnazioni tutte vengono trasmesse, ha delegato la ditta Perinetti di Torino, via Saluzzo 9, ad effettuare le forniture al Manicomio di Racconigi.

«La ditta Perinetti, ripetutamente sollecitata, dichiara che il carbone non è arrivato e quindi non può dar corso alle assegnazioni stesse. Genova interessata in proposito ha confermata questa situazione. Di conseguenza la Direzione del Manicomio di Racconigi ha dovuto provvedere al riscaldamento ed al funzionamento della centrale termica con della legna acquistata a caro prezzo, perché difficilmente reperibile, incorrendo così in una maggior spesa di qualche milione: milioni sciupati a beneficio di nessuno!

«Ora, invece, è notorio che tutte le ditte che trattano carbone di qualsiasi specie sono rifornite di tutti i tipi e che lo vendono al prezzo di mercato libero, cioè a lire 25.000 la tonnellata in confronto al prezzo d’assegnazione che è di lire 7000 la tonnellata.

«Dato questo stato di cose e l’importanza vitale del fattore carbone in tutti i settori dell’economia del Paese, l’interrogante chiede se l’onorevole Ministro non crede opportuno di prendere severi provvedimenti per approfondire l’andamento di questo mercato e soprattutto di prendere provvedimenti adeguati perché alle assegnazioni sia dato corso puntualmente e con ogni sollecitudine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Chiaramello».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se gli sia stato riferito dai dipendenti uffici sull’ingiusto diniego della libertà provvisoria ad alcuni operai della Commissione di fabbrica degli stabilimenti industriali di Crotone, ai quali si erano attribuiti, al principio, dei reati gravissimi, apparsi in prosieguo di tempo alle Autorità inquirenti di assai tenue entità.

«Le reiterate reiezioni della libertà provvisoria da parte della Sezione istruttoria e del tribunale di Catanzaro, sono tanto più ingiustificate, in quanto in stridente contrasto con le favorevoli richieste del procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro e con la concessione dello stesso beneficio a un notevole numero di coimputati in identica posizione processuale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Silipo, Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere: 1°) il numero dei nostri soldati prigionieri, tuttora trattenuti in Jugoslavia; 2°) le ragioni che ne ostacolano il rimpatrio; 3°) i passi che ha fatto, o intende fare il Governo per effettuare il rimpatrio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Coppa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere perché da cinque mesi (1° ottobre 1946) i dispensari antitracomatosi pubblici e scolastici della provincia di Messina sono chiusi; se non ritiene opportuno farli riaprire con ogni sollecitudine, dato il carattere endemico ed anche epidemico del tracoma in quella provincia.

«Candela».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere quali motivi ostino alla emanazione di un provvedimento – chiesta sin dal settembre 1946 – che estenda le indennità di disagiata residenza previste dal decreto legislativo luogotenenziale 11 gennaio 1946, n. 18, ai dipendenti statali nel comune di Troina (Enna), dove sono stati distrutti o danneggiati dagli eventi bellici del 1943 quasi tutti gli edifici destinati ad abitazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, sui motivi del ritardo dello sgombero del deposito in Taurienova (Reggio Calabria), permanente causa di allarme e preoccupazione in quella laboriosa popolazione dopo l’esplosione avvenuta il 5 settembre 1943, che causò gravi danni all’abitato, fortunatamente senza vittime umane. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Turco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei trasporti e dei lavori pubblici, per sapere se non ritengano necessario ed urgente provvedere alla ricostruzione sulla Genova-Spezia delle stazioni di Recco-Levanto-Zoagli distrutte dai bombardamenti di guerra, nonché al sollecito riattamento della elettrificazione del tratto Sestri Levante-Spezia, indispensabile alla normale ripresa del traffico su quella importantissima e troppo dimenticata linea ferroviaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 12.25.