Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 20 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 20 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegno di legge (Discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Micheli, Presidente della Commissione

Scelba, Ministro dell’interno

Russo Perez

Colitto

Fuschini

Mattarella

Fabbri

Rubilli

Scoccimarro

Targetti

Rivera

Perassi

Cosattini

Mortati, Relatore per la minoranza

Corbino

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana del 22 dicembre 1947.

(È approvato).

Discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

La discussione generale relativa a questo disegno di legge è stata fatta a suo tempo, allorché l’Assemblea, in sede di esame del progetto di Costituzione, ha affrontato la questione del sistema per l’elezione del Senato della Repubblica. Si restò allora d’accordo che non si dovesse inserire nel testo costituzionale la menzione specifica del sistema da applicare a questa elezione e si giunse all’approvazione di un ordine del giorno Nitti, che indicava il collegio uninominale come base di elezione per il Senato della Repubblica.

La discussione fatta in quella occasione ha sostituito la discussione generale che sempre precede l’esame degli articoli di ogni disegno di legge.

Questa discussione generale ha avuto, poi, una ripetizione – sia pure in scala ridotta – allorché all’Assemblea è stato presentato un ordine del giorno dell’onorevole Perassi e altri colleghi, a tenore del quale, fermo restando l’impegno assunto dall’Assemblea Costituente, che normalmente il Senato della Repubblica dovesse essere eletto col sistema uninominale, per l’elezione del primo Senato della Repubblica si proponeva di adottare la stessa legge approvata per l’elezione della Camera dei deputati.

Come i colleghi rammentano, la prima volta il voto, dopo la discussione di questo ordine del giorno dell’onorevole Perassi, aveva portato alla constatazione della mancanza del numero legale e si era rinnovata poi la votazione in base ad una pregiudiziale dell’onorevole Cevolotto, pregiudiziale che sosteneva non doversi prendere in considerazione l’ordine del giorno dell’onorevole Perassi. Con una seconda votazione per appello nominale, la proposta dell’onorevole Cevolotto era stata accolta e pertanto l’ordine del giorno dell’onorevole Perassi era stato dichiarato non proponibile.

Le due discussioni hanno ampiamente consentito di entrare nel merito della questione e pertanto ritengo che si possa essere ora senz’altro d’accordo nel senso che la discussione generale non sia più oggi necessaria, e si debba senz’altro passare all’esame dell’articolazione del disegno di legge.

Due relazioni sono state presentate al disegno di legge del Governo: una di maggioranza ed una di minoranza. Quella di maggioranza riprende in parte il disegno di legge governativo e lo modifica poi nella sua seconda parte; altrettanto fa quella di minoranza: ma le rispettive modificazioni vanno in direzioni diametralmente opposte.

Vi sono, comunque, queste due relazioni e pertanto ritengo non più necessario l’ascoltare una relazione orale dell’uno o dell’altro o di entrambi i relatori della maggioranza e della minoranza: se tuttavia essi o il Presidente della Commissione, onorevole Micheli, ritenessero di dover aggiungere qualche cosa, ne hanno facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. La ragione del dissenso determinatosi in seno alla Commissione, è espressa in modo così chiaro nelle due relazioni, che ritengo inutile aggiungere altro, e questo anche per brevità di discussione.

PRESIDENTE. Sta bene. Si tratta allora di decidere su quale testo debba svolgersi la discussione stessa. Abbiamo dinanzi a noi il disegno di legge del Governo, il disegno di legge della maggioranza della Commissione e il disegno di legge della minoranza della Commissione. In realtà però i disegni di legge sono soltanto due, in quanto quello della minoranza va considerato piuttosto come una serie di emendamenti che noi potremo di volta in volta prendere in esame, di mano in mano che giungeremo ai corrispondenti articoli.

Invito l’onorevole Scelba a dichiararmi su quale testo egli ritiene che si possa procedere alla discussione: su quello governativo o su quello della Commissione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ritengo si debba procedere su quello governativo.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Ministro dell’interno ritiene dunque che l’Assemblea debba portare il suo esame sul testo governativo. Possiamo quindi senz’altro dare inizio a questo esame.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi permetto di osservare che l’esame dovrebbe svolgersi, a parer mio, sul testo della Commissione perché, come ricordano i colleghi commissari, nella prima nostra riunione il progetto Scelba non fu trovato rispondente al voto dell’Assemblea e lo stesso Ministro onorevole Scelba ebbe poi a suggerire delle notevoli modificazioni, in base alle quali la Commissione ha fatto un lavoro unitario, valendosi anche non poco del contributo dei colleghi della parte di minoranza, i quali sono riusciti anzi, con i loro interventi e con il loro voto, ad apportare notevoli modificazioni a quello che sarebbe stato un nostro progetto di maggioranza.

Quindi, tenuto conto di tutte queste circostanze, ritengo che il progetto-base per la discussione dovrebbe essere quello della Commissione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’onorevole Russo Perez ha fatto una affermazione, e cioè che il Governo avrebbe apportato delle varianti al primitivo progetto di legge, affermazione che trovo ripetuta anche nella relazione di maggioranza. In realtà le cose non stanno in questi termini. Il Governo ha presentato un disegno di legge; la Commissione ha richiesto ad un certo momento la formulazione tecnica di articoli per un progetto di legge che prevedesse l’ipotesi del ballottaggio. Il Governo, aderendo all’invito, ha fornito la propria consulenza tecnica alla Commissione, formulando alcuni articoli del disegno di legge per l’ipotesi del ballottaggio. Ma, con questo, esso non ha inteso di assumere minimamente la paternità di queste varianti; si tratta solo di una collaborazione tecnica che il Governo ha fornito alla Commissione. Quindi le varianti che sono state apportate al primitivo progetto di legge non si possono considerare come varianti del governo al suo progetto, ma come varianti della Commissione al progetto governativo. Pertanto, mentre dovrei insistere affinché la discussione si faccia sul testo del Governo, rilevo che in fondo la questione è solo di forma, perché saranno presi in considerazione sia il testo del Governo, sia quello della maggioranza, sia quello della minoranza, nonché altri emendamenti presentati dai colleghi.

PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez insiste?

RUSSO PEREZ. Mi rimetto all’Assemblea, ma credo fondata la mia osservazione anche dopo i chiarimenti del Ministro Scelba, il quale, aderendo al desiderio espresso di presentare queste varianti, ha concorso ai lavori della Commissione. Ragione di più, quindi, perché il testo-base sia quello della Commissione.

FUSCHINI. Ragione per cui si dovrebbe concludere diversamente, tutto al contrario.

PRESIDENTE. Comunque, l’intervento dell’onorevole Russo Perez è servito a chiarire il processo formativo di questo disegno di legge.

Penso che possiamo aderire alla richiesta del Ministro dell’interno di esaminare il progetto di legge tenendo come base il testo governativo.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 1. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge.

Titolo I.

DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1.

«Il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto con le norme stabilite dalla presente legge.

«Il numero dei senatori spettante a ciascuna Regione, ai sensi dell’articolo 57 della Costituzione, è determinato in base alla popolazione residente al 31 dicembre 1946, secondo i dati ufficiali dell’Istituto centrale di Statistica, come risulta dalla tabella A allegata alla presente legge».

PRESIDENTE. Nel testo della Commissione l’articolo 1 è riportato nella stessa formulazione, e così pure in quello della minoranza.

A questo articolo l’onorevole Colitto ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il primo comma».

«Nel secondo comma, dopo le parole: ai sensi dell’articolo 57 della Costituzione, aggiungere: e dell’articolo IV delle disposizioni transitorie e finali.

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerli.

COLITTO. Ritengo superfluo il primo comma dell’articolo.

L’articolo 58 della Carta costituzionale dispone che i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto. Ora, a parte il rilievo che sarebbe meglio parlare di elezione dei senatori e non di elezione del Senato, ritengo davvero inutile una norma della legge che riproduca parzialmente il testo di una norma costituzionale.

Per quanto attiene all’emendamento che ho proposto in relazione al secondo comma, mi permetto di fare rilevare che l’aggiunta da me suggerita dovrebbe trovare l’accoglimento dell’Assemblea, perché è evidente che, nel determinare il numero dei Senatori spettante a ciascuna Regione, bisogna tener presente – e si è tenuto presente – l’articolo 57 della Costituzione, ma non bisogna dimenticare (e nella tabella A non si è dimenticata) la quarta delle disposizioni transitorie e finali, con la quale si dispone che per le sue particolari ragioni il Molise, per la prima elezione del Senato, deve essere considerato come una Regione a sé stante.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Presidente ad esprimere il pensiero della Commissione sulle proposte dell’onorevole Colitto.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione non comprende le ragioni per le quali si debbano fare queste modificazioni. In fondo non spostano nulla. È vero che è già detto nella Costituzione quanto è affermato nel 1° comma, ma è anche vero che non è male ripeterlo. Siamo al primo articolo e quindi un’affermazione in partenza mi pare possa stare benissimo. Per questa ragione la Commissione mantiene il testo come è stato proposto dal Governo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro dell’interno ad esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Sono d’accordo col Presidente della Commissione.

Per quanto riguarda l’osservazione relativa al secondo capoverso, se n’è tenuto conto presentando anche la circoscrizione per quanto riguarda il Molise. Quindi non vedo la ragione di accettare quella modificazione e sono d’accordo nel mantenere il testo ministeriale.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene gli emendamenti?

COLITTO. Dopo i chiarimenti dell’onorevole Scelba, vi rinuncio.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Io credo che sia necessario aggiungere e completare questo primo comma dell’articolo, nel senso cioè che bisogna riprodurre qui la disposizione dell’articolo 58 della Costituzione, che stabilisce che sono elettori per il Senato soltanto coloro che hanno compiuto il venticinquesimo anno di età. Questo non bisogna dimenticarlo.

RUBILLI. Ma deriva di già dalla legge fondamentale. Quindi si ridurrebbe ad una inutile ripetizione.

FUSCHINI. Tutto è legge! Non è una ripetizione inutile, perché bisogna tener presente che sono due corpi elettorali diversi e questo deve essere affermato nella legge elettorale, in base ad una disposizione precisa della Costituzione.

MATTARELLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTARELLA. Quanto propone l’onorevole Fuschini è già previsto dall’articolo 16 della presente legge, dove è detto: «All’elezione dei senatori partecipano gli elettori che hanno compiuto il venticinquesimo anno di età».

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, lei fa una proposta precisa in questo senso?

FUSCHINI. Io dico che siccome nel primo comma si fa richiamo all’articolo 57, si deve fare anche richiamo all’articolo 58, dicendo che il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età, a norma dell’articolo 58 della Costituzione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Io pregherei il collega Fuschini (dico collega in quanto fa parte della nostra Commissione) di voler evitare una votazione inutile, in quanto ciò che si è dato carico di suggerire è già esplicitamente affermato nella legge, all’articolo 16, dove è detto: «All’elezione dei senatori partecipano gli elettori che hanno compiuto il venticinquesimo anno di età».

Siamo d’accordo che c’è diversità di corpo elettorale fra una Camera e l’altra. Ma non è qui la questione. Sarà tutt’al più il caso di vedere se convenga mettere l’accenno all’inizio o a metà della legge. È un’altra cosa. Caso mai il Comitato di coordinamento, a suo tempo, giudicherà sulla opportunità di spostare, ma allora gli spostamenti dovranno essere parecchi, non questo solo.

FUSCHINI. Occorre l’affermazione.

MICHELI, Presidente della Commissione. L’affermazione è all’articolo 16. Non si può affermare tutto nel primo o nel secondo articolo. (Rumori). Se continuiamo con queste sottilizzazioni non concluderemo nulla. La Commissione è d’avviso che sia per lo meno inutile questa proposta del collega Fuschini e lo prega di ritirarla.

FUSCHINI. Io insisto.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Mi pare che sarebbe più semplice sostituire il primo comma col seguente:

«Il Senato della Repubblica è eletto con le norme stabilite dalla Costituzione e dalla presente legge».

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione accetta.

FUSCHINI. Accetto anch’io.

PRESIDENTE. Prego il Governo di esprimere il suo parere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 1 nella formulazione proposta dall’onorevole Fabbri, accettata dalla Commissione e dal Governo:

«Il Senato della Repubblica è eletto con le norme stabilite dalla Costituzione e dalla presente legge».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Il numero dei senatori spettante a ciascuna Regione ai sensi dell’articolo 57 della Costituzione, è determinato in base alla popolazione residente al 31 dicembre 1946, secondo i dati ufficiali dell’Istituto centrale di Statistica, come risulta dalla tabella A allegata alla presente legge».

(È approvato).

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Dopo l’approvazione della formula Fabbri mi sembra che non sarebbe più il caso di dire nel secondo comma: «ai sensi dell’articolo 57 della Costituzione».

PRESIDENTE. Provvederà il Comitato di coordinamento.

Passiamo all’articolo 2, identico nel testo della Commissione e della minoranza. Se ne dia lettura.

MOLINELLI. Segretario, legge:

«In ogni regione sono costituiti tanti collegi quanti sono i senatori assegnati alla regione.

«Le circoscrizioni dei collegi risultano dalla tabella B che fa parte integrante della presente legge».

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Io credo che sia necessario indipendentemente dalla approvazione dell’articolo, riservare l’approvazione delle tabelle a quando si potranno consultare.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Io propongo che sia sospeso questo articolo perché è opportuno che sia esaminato ed approvato quando avremo le tabelle sotto mano.

Meglio mi pare accantonarlo finché non siano uscite le tabelle, perché può darsi che viste le tabelle vogliamo proporre delle modificazioni all’articolo. Esaminiamolo adunque insieme alle tabelle.

PRESIDENTE. Io comprendo che si possano proporre modificazioni alle tabelle, ma non riesco et comprendere che si possano proporre modificazioni al testo letterale di questo articolo.

RUBILLI. Vuol dire che riserviamo almeno le nostre osservazioni a quando si discuterà sulle tabelle.

PRESIDENTE. È evidente. Qui si pone piuttosto un’altra questione, e cioè quella del procedimento da adottare per l’esame di queste tabelle e, se mai, occorrerebbe dire in questo momento qualche cosa.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io volevo dire quello che ora ha detto il Presidente: con quale procedimento esamineremo le tabelle? L’approvazione di questo articolo sarebbe bene che fosse rinviata a quando saranno compiute e approvate le tabelle. Non vorrei che, approvato l’articolo, si intendessero approvate anche le tabelle. La mia richiesta deriva da informazioni che ci sono pervenute sui criteri con cui si sono formate le tabelle: su tale questione ci sarà molto da discutere.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io credo che per l’approvazione delle tabelle non vi sia libertà di scelta nei metodi perché, come i colleghi sanno, le circoscrizioni non sono state mai, almeno per quanto io ricordi, oggetto di discussione particolare da parte dell’Assemblea, data la natura dell’argomento. Si tratterà quindi di trovare un sistema che assicuri che la formazione delle tabelle corrisponda alla volontà dell’Assemblea. Io credo che l’unica via sia di votare un ordine del giorno col quale si dia delega alla Commissione parlamentare incaricata dell’esame del disegno di legge, di stabilire d’intesa col Governo, le tabelle ispirandosi però ai criteri a, b, c, che l’Assemblea sarà arbitra di determinare. Credo che, in pratica, non ci sia una via diversa per tutelare da una parte i diritti dell’Assemblea, e dall’altra per ovviare agli inconvenienti innumerevoli a cui si va incontro portando l’Assemblea a discutere partitamente questo argomento.

PRESIDENTE. Mi pare che questo problema delle tabelle abbia una tale importanza da esigere che sia quanto meno immediatamente affrontato.

La proposta dell’onorevole Targetti, che d’altra parte non ha fatto che dare espressione a quanto la maggioranza pensava, richiede, quanto meno, una discussione in sede di articolo 2 dei criteri generali per la redazione delle tabelle: Bisogna infatti dare mandato alla Commissione perché, in unione col Governo, rediga le tabelle definitive sulle quali l’Assemblea non potrà più entrare minutamente nel merito. Poiché non abbiamo più molti giorni per il nostro lavoro, non si può pensare di discutere l’ordine dei giorno Targetti quando sarà concluso l’esame del disegno di legge. Nel corso di questa settimana, penso, la Commissione e il Governo potranno applicarsi all’esame delle tabelle stesse. Pregherei dunque l’onorevole Targetti di redigere l’ordine del giorno in materia, in modo che su questa questione si venga ad una rapida conclusione.

TARGETTI. Mi riservo allora, di formulare un ordine del giorno.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Desideravo dichiarare per eliminare le indecisioni sorte intorno a questo articolo, che la Commissione ritiene che esso non implichi affatto l’approvazione delle tabelle; e quindi il primo comma dell’articolo può essere approvato con questa assicurazione, per la quale credo ci sia l’accordo col Governo.

Quanto al secondo, la Commissione è a disposizione dell’Assemblea per discutere i criteri informatori. Quanto alla seconda parte della proposta Targetti, la Commissione ne comprende l’opportunità. Peraltro, non può prendere parte alla discussione dell’incarico da affidarsi a essa stessa, per ragioni evidenti di delicatezza.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Sono d’avviso che convenga non votare adesso neanche il primo comma dell’articolo, perché, a seconda del modo come saranno costituite le circoscrizioni elettorali, può darsi che sia da rivedere la redazione di tutto l’articolo. Siccome non vedo perché non si possa votare l’articolo 2 dopo aver preso visione delle circoscrizioni, mantengo la proposta di rinviare la votazione di questo articolo.

PRESIDENTE. Accediamo senz’altro alla richiesta dell’onorevole Scoccimarro, che non muta l’ordine dei nostri lavori; nel momento in cui avremo l’ordine del giorno Targetti potremo ritornare sull’argomento.

RIVERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RIVERA. Quando si parla delle circoscrizioni elettorali senatoriali ci si riferisce alle Regioni in obbedienza ad un preciso disposto della Costituzione (articolo 57). Ora, a me sembra che fino a questo momento nel progetto che abbiamo sott’occhio non abbiamo rispettato altro che l’indicazione del nome della Regione trascurando di riportarci alla delimitazione delle Regioni secondo il volere esplicitamente espresso dalla Costituente.

Quali debbano essere le Regioni è chiaramente dettato dall’ordine del giorno Targetti, che abbiamo votato a grande maggioranza a conclusione della discussione sull’articolo 131 e che dice che le Regioni, nelle quali noi dobbiamo ripartire i collegi elettorali senatoriali, sono le Regioni storiche e tradizionali. Orbene, a me sembra che la questione della Regione storico-tradizionale non si esaurisca con la semplice indicazione di Piemonte, Lombardia, Veneto, ecc., perché ci sono delle Regioni che sono state territorialmente variate dal fascismo. Ora, io domando se le variazioni apportate recentemente dal fascismo siano da accettare come fatto storico e tradizionale o invece se la storia e la tradizione del nostro Paese vada oltre queste imposizioni del fascismo.

È questa una questione da me sollevata un’altra volta ed alla quale la Camera non ha creduto allora di doversi soffermare. Ma oggi mi sembra che, trattandosi di precisare circoscrizioni dei collegi elettorali uninominali in seno alla Regione, dobbiamo farlo prendendo a «base» le Regioni storico-tradizionali sulle quali l’ordine del giorno Targetti ha deciso e sulla cui deliberazione è poi stato stilato l’articolo 131. A me sembra che ciò posto, la legge che stiamo discutendo sarebbe anticostituzionale se stabilisse i collegi elettorali senatoriali, secondo la ripartizione che alle Regioni diede il fascismo e non secondo la deliberazione presa il 29 ottobre dall’Assemblea con voti 203 contro 83, tanto più che da parte delle popolazioni si è dato più di un segno di insofferenza nei riguardi di questi trasferimenti di zone da una Regione all’altra. Questo trasferimento coatto può essere considerato un prodromo od uno dei primi esempi, che è stato poi funestamente ingigantito dalla guerra, di dislocazioni di arbitrio di territori e, purtroppo, di popolazioni da una Regione all’altra.

È un esempio qui germogliato di barbarico dispotismo, che io vorrei che questa Camera, che si dichiara così appassionatamente antifascista, correggesse, tanto più che si tratta di una violenza contro cui, ripeto, si stanno levando le popolazioni da circa due decenni. Ora, vorrei che, in occasione della revisione di questo secondo articolo, fosse ben dichiarato quali sono le circoscrizioni delle Regioni storico-tradizionali che, vive ieri geograficamente e di fatto, oggi rivivono politicamente e di diritto, circoscrizioni queste durate immutate per secoli senza che esse venissero variate neppure in occasione dell’unificazione dell’Italia, sulle quali dunque è veramente passata la storia.

Ricordiamo ancora che allora, quando l’Italia ha saldato insieme Stati differenti, quando cioè la storia ha unito gli Stati, ha rispettato le Regioni tradizionali e che solo il fascismo apportò, in omaggio alle sue gerarchie, quelle variazioni capricciose ed irrazionali che lamentiamo.

RUBILLI. Quali sono queste Regioni?

RIVERA. Sono due sole: la Campania e l’Abruzzo.

Io domando che si faccia valido il criterio costituzionale delle Regioni storiche nella delimitazione dei collegi elettorali del Senato.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Pur essendo d’accordo con l’onorevole Rivera per le due Regioni da lui indicate e forse per qualche altra ancora, per la quale non fa che rinnovellare il mio rammarico per quella da me desiderata che non è arrivata al traguardo, non posso aderire a nome della Commissione alla sua proposta.

L’articolo 131 della Costituzione contiene un elenco di Regioni. Queste Regioni saranno state scelte bene o male; questa è altra questione.

Io ho combattuto il criterio ritenuto storico-tradizionale ed ho ricordato a suo tempo come altre Regioni, che chiedevano di essere comprese nell’elenco, e non vi furono, si basassero appunto sulla storia e sulla tradizione. Oggi siamo di fronte ad un fatto compiuto. Come possiamo mettere in essere una particolare organizzazione amministrativa delle Regioni, quale quella indicata nell’articolo 131 della Costituzione, e poi nella legge per l’elezione del Senato stabilire altro elenco?

RIVERA. È lo stesso.

MICHELI, Presidente della Commissione. Non è lo stesso. Non mi pare si possa introdurre la variante in questa sede.

RIVERA. Nessuna variante.

MICHELI, Presidente della Commissione. Ad ogni modo, il parere della Commissione è questo. Non so se il rinnovellato dolore mi abbia impedito di comprendere bene la proposta dell’onorevole Rivera. La Commissione non può aderire ad una proposta, che cambierebbe quanto è stato sancito nella Costituzione.

Il futuro Parlamento avrà modo di accogliere il desiderio di quelle popolazioni. Oggi siamo rammaricati di non poterlo fare.

PRESIDENTE. Il problema posto dall’onorevole Rivera è questo: che fin da questo momento, in questa sede, si realizzi la deliberazione presa in sede costituzionale. Cioè, senza mutare l’elenco delle Regioni comprese nella Costituzione e nell’allegato alla presente legge, ogni singola Regione sia senz’altro riportata nei suoi confini tradizionali.

Ritengo personalmente, onorevole Rivera, che questo sia un lavoro di tanta lena, anche se si limitasse soltanto alle Regioni di cui lei ha fatto cenno, che certo non potrebbe essere completato prima delle elezioni e tanto meno nel corso di questa settimana.

La sua parola, onorevole Rivera, varrà come stimolo ad accelerare, più che possibile, il processo di riorganizzazione delle Regioni, in base ai loro confini storici; ma, nel momento attuale, non so in qual modo la sua proposta potrebbe trovare attuazione.

RIVERA. È semplicissima.

PRESIDENTE. L’onorevole Scelba, Ministro dell’interno, ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Sono d’accordo col Presidente dell’Assemblea nelle osservazioni da lui fatte in ordine alla possibilità di modificazione delle circoscrizioni regionali.

Praticamente si tratterebbe di riportare all’Abruzzo un territorio che oggi fa parte di altra Regione.

Tutti i calcoli fatti nella formazione dei collegi partono dal presupposto che le Regioni sono quali risultano dai dati dell’Ufficio centrale di Statistica.

In questo momento mi sembra intempestiva una operazione di questo genere ed abbiamo rimesso ad un secondo tempo, alle Regioni stesse, la possibilità di modifica in questo senso delle Regioni. Io ritengo che in questa sede non si possa prendere in esame la proposta dell’onorevole Rivera di modificare le circoscrizioni regionali, così come sono ora considerate dal progetto.

Voglio fare, poi, un’osservazione all’onorevole Scoccimarro, il quale, opponendosi alla votazione del primo comma dell’articolo 2 ha dichiarato che la sostanza di quest’articolo potrebbe essere modificata nel senso che si possa dare alle Regioni un numero di collegi diverso, superiore od inferiore, a quelli risultanti dalla tabella. Ora, il contenuto del primo comma dell’articolo 2 corrisponde ad una disposizione tassativa della Costituzione la quale ha stabilito che in ogni Regione vi siano tanti collegi quanti sono i senatori assegnati alle Regioni in base alla popolazione. Che questa disposizione non si possa modificare, è una verità lapalissiana. Se ad una Regione, la Costituzione ha attribuito sei senatori, ritengo che l’Assemblea non possa tornare su questa deliberazione.

Possiamo rimandare la votazione in sede di approvazione delle tabelle delle circoscrizioni, ma sul contenuto del primo comma dell’articolo 2, credo che non possano essere espressi dubbi di sorta.

PRESIDENTE. Restiamo all’intesa poco fa accennata, cioè soprassediamo brevemente alla votazione sull’articolo 2, in attesa che l’onorevole Targetti rediga l’ordine del giorno.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura nel testo governativo.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«L’assegnazione del numero dei senatori alle singole Regioni e la circoscrizione dei collegi devono essere rivedute, per legge, nella prima sessione successiva alla pubblicazione ufficiale dei risultati del censimento generale della popolazione.

«I cambiamenti nella circoscrizione amministrativa e giudiziaria dei comuni, dei mandamenti e delle province, che si verifichino prima della revisionerai cui al comma precedente, non hanno alcun effetto sulla circoscrizione dei collegi.

«Qualora si verifichino cambiamenti nella circoscrizione della Regione, il numero dei senatori alla stessa assegnato è riveduto per legge, tenendo presente il dispetto dell’articolo 57 della Costituzione ed i risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione. Con la medesima legge sono rivedute, eventualmente, le circoscrizioni dei singoli collegi della Regione».

PRESIDENTE. La Commissione propone al primo comma la seguente variazione formale;

«L’assegnazione del numero dei senatori a ciascuna Regione ecc.»; per il resto del comma la formulazione coincide con quella del testo governativo.

Il secondo comma è identico per entrambi i disegni.

Il terzo comma, nel testo formulato dalla Commissione, è del seguente tenore:

«Qualora si verifichino cambiamenti nella circoscrizione della Regione, il numero dei senatori alla stessa assegnato è riveduto per legge. Con la medesima legge sono rivedute, eventualmente, le circoscrizioni dei singoli collegi della Regione».

Vi sono, come i colleghi hanno constatato, modificazioni di semplice carattere formale. La minoranza della Commissione, poi, si attiene alle proposte di modificazione fatte dalla maggioranza.

L’onorevole Colitto ha proposto il seguente emendamento:

«Aggiungere alle ultime parole del terzo comma le seguenti:

«Anche con legge si determinano il numero dei senatori di nuove regioni e le circoscrizioni dei loro collegi».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Non so se, quanto io propongo, possa considerarsi compreso nella dizione del testo della Commissione, ma forse un chiarimento non è inopportuno. L’articolo 132 della Costituzione prevede la formazione di nuove Regioni. In tal caso, a mio avviso, bisognerà rivedere non soltanto la circoscrizione della preesistente Regione, ma determinare il numero dei senatori spettanti alla nuova e la circoscrizione dei collegi elettorali della medesima. Ora a me pare che nell’articolo in esame si preveda la revisione delle circoscrizioni regionali della preesistente Regione, ma non si prevede la determinazione delle circoscrizioni elettorali delle nuove. Di qui la ragione del mio emendamento.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Micheli di esprimere il parere della Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Siccome la Costituzione ammette l’eventualità di formazione di nuove Regioni, non vi è difficoltà da parte della Commissione ad accettare l’emendamento Colitto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Scelba di voler esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Accetto le modifiche proposte dalla Commissione al testo governativo.

Per quanto si riferisce all’emendamento Colitto, io confesso che tale emendamento mi pare una superfluità, perché in realtà la Costituzione già stabilisce la possibilità della formazione di nuove Regioni, la quale non può essere fatta che con legge avente valore di legge costituzionale. È implicito che con legge deve essere fatta la ripartizione per collegi e la stessa formazione dei collegi delle nuove Regioni, perché se per tutte le altre Regioni si è seguito il procedimento della legge, non vedo come si potrebbe fare diversamente, e cioè seguire la via del provvedimento amministrativo, per i collegi nelle nuove Regioni.

Comunque, siccome si tratta di un chiarimento che non guasta, non mi oppongo a che sia approvato, pur riconoscendone la superfluità.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 3, nel testo della Commissione:

«L’assegnazione del numero dei senatori a ciascuna Regione e la circoscrizione dei collegi devono essere rivedute, per legge, nella prima sessione successiva alla pubblicazione ufficiale dei risultati del censimento generale della popolazione».

(È approvato).

Metto in votazione il secondo comma, nel testo del Governo:

«I cambiamenti nella circoscrizione amministrativa e giudiziaria dei comuni, dei mandamenti e delle provincie, che si verifichino prima della revisione di cui al comma precedente, non hanno alcun effetto sulla circoscrizione dei collegi».

(È approvato).

Metto in votazione il terzo comma, nel testo della Commissione.

«Qualora si verifichino cambiamenti nella circoscrizione della Regione, il numero dei senatori alla stessa assegnato è riveduto per legge. Con la medesima legge sono rivedute, eventualmente, le circoscrizioni dei singoli collegi della Regione».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Colitto:

«Anche con legge si determinano il numero dei senatori di nuove Regioni e le circoscrizioni dei loro collegi».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 4.

Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I comizi elettorali sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri.

«Dal giorno della pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica al giorno stabilito per la votazione devono decorrere almeno settanta giorni».

PRESIDENTE. La Commissione propone di sopprimere il secondo comma. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti. Prego l’onorevole Ministro dell’interno di dire se accetta la soppressione proposta dalla Commissione.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’accetto.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione avverte che si sopprime il secondo comma perché lo si trasporta nelle disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 4 nel testo governativo, così formulato:

«I comizi elettorali sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 5. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Quando, per qualsiasi causa, escluse le ipotesi previste dall’articolo 22, il numero dei senatori si riduce di almeno un terzo nelle Regioni aventi sino a 15 collegi e di almeno un quarto nelle altre, si procede con le norme stabilite dalla presente legge, sempre che manchino più di sei mesi alla scadenza normale della legislatura, a nuove elezioni in tutti i collegi della Regione per i seggi rimasti vacanti: lo scrutinio si effettua in base alle disposizioni di cui all’articolo 20.

«Se il numero dei senatori assegnati alla Regione non sia esattamente divisibile per tre o per quattro, il minimo dei seggi vacanti si determina arrotondando per eccesso il quoziente».

PRESIDENTE. La maggioranza della Commissione ha proposto il seguente testo:

«Quando per qualsiasi causa resti vacante un collegio, si procede, con le norme stabilite dalla presente legge, sempreché manchino più di sei mesi alla scadenza normale della legislatura, a nuove elezioni nel termine di ottanta giorni dalla data della comunicazione con la quale il Presidente del Senato dà notizia della vacanza al Ministro dell’interno.

«Il prefetto della Provincia nel cui territorio si trova il capoluogo del collegio rende edotti gli elettori del decreto di convocazione dei comizi per mezzo dei sindaci che vi provvedono con manifesto».

La minoranza, infine, ha proposto la soppressione dell’articolo. Chiedo al Presidente della Commissione il suo parere in merito.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione chiederebbe di accantonare questo articolo, perché vi affiora, sia pure in modo marginale, quella che è la ragione del dissenso.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori della Regione che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovino in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dagli articoli … del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto presidenziale … gennaio 1948, n. …».

PRESIDENTE. La Commissione propone la seguente formulazione:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovano in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dal decreto legislativo 10 marzo 1946, m 74, modificato dalla legge …».

Questa proposta della Commissione è unanime.

L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: previste dal decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, modificato dalla legge …, sostituire: previste per i deputati».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Lo mantengo e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

MICHELI, Presidente della Commissione. Si tratta della medesima cosa: o riprodurre il titolo della legge tale e quale è in essa indicato, oppure indicare la materia. Ma non credo convenga metterci su questa via. Le leggi si citano o con la loro intitolazione o col numero e data della legge stessa. Non altrimenti.

PRESIDENTE. Dopo le dichiarazioni testé fatte dall’onorevole Micheli a nome della Commissione, chiedo all’onorevole Colitto se insiste.

COLITTO. Non insisto.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Non capisco perché nella formulazione dell’articolo, come è proposto dalla Commissione, la frase del progetto ministeriale, con la quale sì faceva richiamo di articoli del testo unico della legge per reiezione della Camera dei deputati è stata sostituita con l’espressione: «previste dal decreto legislativo 10 marzo 1946 modificato dalla legge, ecc.».

Io ricordo che il titolo della legge che abbiamo votato giorni or sono, dice: «Norme per l’elezione della Camera dei deputati»; non dice più «Legge che modifica il decreto 10 marzo 1946».

Per conseguenza, crederei opportuno mantenere la dizione del disegno di legge ministeriale, anche perché il richiamo al testo unico, che è in corso di pubblicazione, è usato anche in articoli successivi, e precisamente nell’articolo 25.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Micheli di esprimere il parere della Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione non ha difficoltà ad accettare la proposta dell’onorevole Perassi. È una precisazione che rientra nel criterio che avevo enunciato poco fa.

PRESIDENTE. Allora, la Commissione non ha nulla in contrario a ritornare al testo governativo.

Onorevoli colleghi, vi è in questo articolo un aspetto che merita di essere tenuto particolarmente presente.

La diversità della redazione del testo della Commissione e quello governativo non concerne soltanto il modo di richiamare le condizioni di ineleggibilità, ma anche un altro punto essenziale. Dice il testo governativo: «Sono eleggibili a senatori gli elettori della Regione»; dice il testo della Commissione: «Sono eleggibili a senatori gli elettori che, ecc.».

Secondo il testo governativo, quindi, in ogni singola Regione sono eleggibili a senatori soltanto gli elettori di quella Regione. Secondo il testo della Commissione, questa condizione scompare.

Mi permetto di richiamare l’attenzione dell’Assemblea su questo punto, prima di passare alla votazione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione è stata unanime nell’eliminare dal testo ministeriale questa limitazione, la quale è sembrata che non potesse coesistere con l’ultimo comma dell’articolo 58 della Costituzione, nel quale si stabilisce che sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno di età. Quindi, la limitazione della Regione era un’aggiunta che parve alla Commissione non fosse possibile consentire.

Non siamo entrati nella discussione di parecchie altre ragioni di opportunità, che renderebbero meno conveniente una limitazione di questo genere. Tanto più, poi, che si è ammessa in un altro punto della legge, la possibilità di candidature multiple, quindi, che queste avvengano anche fuori della Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi rimetto all’Assemblea.

PRESIDENTE. Allora, voteremo l’articolo 6 nel testo del Governo, con la soppressione delle parole «della Regione».

Il testo resta quindi il seguente:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovino in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dagli articoli … del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto presidenziale … gennaio 1948, n. …».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

L’onorevole Cosattini ha presentato il seguente emendamento:

«L’ineleggibilità a senatore, di sindaci di capoluogo di provincia ha effetto limitatamente ai collegi elettorali in cui sia compreso il detto capoluogo». (Commenti).

Ha facoltà di svolgerlo.

COSATTINI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento tende a stabilire un’eccezione alla regola generale dell’ineleggibilità ora stabilita. La disposizione della ineleggibilità dei sindaci dei capoluoghi di provincia, sancita per i deputati, aveva per presupposto che il sindaco del capoluogo di provincia potesse esercitare nel collegio sull’esercizio delle preferenze, un’influenza particolare, derivantegli dalla sua posizione di primo cittadino del capoluogo della provincia. Ora, è evidente che questo presupposto non ha ragione di essere per i cittadini che siano candidati a senatori in un altro collegio elettorale della provincia, diverso da quello ove essi ricoprano quella carica.

Mi permetto di far considerare che la nuova classe dirigente va faticosamente costituendosi ed affermandosi; e che la presenza di questi cittadini al Senato potrà essere molto utile per l’esperienza amministrativa che potranno recarvi. Ricordo del resto che, secondo le leggi precedenti al fascismo, i sindaci delle grandi città, lungi dall’avere una ragione di ineleggibilità a senatori, avevano un titolo per l’elezione stessa.

Tale limitazione mi sembra quindi oggi assolutamente inopportuna.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Micheli a pronunciarsi a nome della Commissione su questo emendamento.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione ha esaminato questa questione e a maggioranza ha respinto tale proposta, perché ha ritenuto che le ragioni sopra le quali il concetto di ineleggibilità è basato, siano assai più complesse e diverse, inerenti alla carica stessa di senatore in questo particolare momento della Nazione, e che non vi sia opportunità di altro incarico egualmente grave.

La Commissione quindi non si è limitata al fatto della possibilità di un’influenza sul gioco accennato delle preferenze, ma si è riferita piuttosto ad un criterio di indole generale.

Faccio inoltre osservare all’onorevole Cosattini che tale ineleggibilità è relativa, perché basta che il sindaco si dimetta al momento della candidatura per diventare eleggibile. Era questo infatti un sistema che, anche per il passato, veniva praticato, e la legge prevedeva appunto dei termini: bastava un periodo di tre mesi, e successivamente di sei.

Ora è stato ancor più limitato: basta che il giorno prima dell’accettazione della candidatura il sindaco dia le dimissioni ed egli si metta in regola per poter correre anche quest’altro palio, il palio politico, insieme a quello amministrativo, a cui partecipava antecedentemente.

Quindi rimane una certa possibilità e una certa libertà, tale che consente di poter inviare al Senato coloro che, per le loro esperienze amministrative anche più recenti, possano giovare al nuovo Parlamento italiano.

PRESIDENTE. Il Governo ha facoltà di esprimere il proprio parere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Personalmente sono d’accordo con l’onorevole Cosattini, perché ho sempre pensato che l’autonomia comunale dovrebbe essere valorizzata costituendo quello di sindaco un titolo per essere rappresentanti nelle Assemblee nazionali. E pur rimettendomi all’Assemblea Costituente, tengo tuttavia a dichiarare che, a mio avviso, non si può trovare alcuna incompatibilità neppure per il sindaco di una grande città ad essere contemporaneamente senatore, ma che anzi si renderebbe omaggio all’autonomia comunale riconoscendo questo diritto.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Il Gruppo comunista voterà per l’emendamento Cosattini, poiché non ritiene giusto imporre una limitazione al diritto di eleggibilità che si può evitare con la proposta dell’onorevole Cosattini.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Cosattini, testé letto.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Passiamo all’esame del Titolo II:

«Degli Uffici elettorali circoscrizionali e regionali».

La Commissione propone di modificare l’intitolazione di questo Titolo in relazione ad una proposta che essa fa, per gli articoli successivi. Pertanto in merito all’intitolazione prenderemo una decisione dopo che l’Assemblea avrà deciso sul contenuto degli articoli di questo Titolo.

Passiamo all’articolo 7. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il tribunale, nella cui giurisdizione si trovino collegi previsti dall’unita tabella B, si costituisce in tanti uffici elettorali circoscrizionali quanti sono i collegi medesimi.

«Ogni ufficio elettorale circoscrizionale esercita le sue funzioni con l’intervento di tre magistrati, di cui uno presiede, nominati dal presidente entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi».

PRESIDENTE. Propone la Commissione, nell’articolo 7 e nei successivi titoli degli articoli in cui si fa menzione dell’ufficio elettorale circoscrizionale, che questo deve essere indicato con la locuzione: «ufficio elettorale centrale».

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Ho domandato la parola per avere un chiarimento dalla Presidenza e dall’Assemblea, chiarimento che può contenere anche una mozione d’ordine.

Noi dobbiamo esaminare i vari articoli, modificarli, renderli più perfetti, se possibile; ma più per questioni di forma che di sostanza. Qui la sostanza vera dei progetti, la divergenza che può sorgere è unicamente sull’assegnazione dei posti e quindi sul sistema elettorale. Per cui abbiamo tre progetti: il progetto del Governo, il progetto della di maggioranza, il progetto della minoranza.

Ora, questa questione fondamentale in cui rimaniamo divisi nelle varie opinioni, dobbiamo pure esaminarla ampiamente ed affrontarla in pieno.

Il chiarimento che io desidero è: qual è il momento in cui detta questione di evidente importanza dovrà e potrà essere posta in discussione?

Perché comincia da questo articolo. Perciò ho ora domandato la parola. Io mi ero iscritto a parlare sull’articolo 9 perché, per equivoco, non avevo pensato alla intestazione del titolo. Io avevo pensato agli articoli, preferendo l’articolo 9 da cui cominciano a sorgere le maggiori divergenze; poi ho visto in questo momento che la divergenza sorge sin da questo Titolo con l’articolo 7; quindi è giunto il momento d’intenderci.

Domando alla Presidenza e all’Assemblea chiarimenti e proposte per potermi regolare; il problema fondamentale che la legge impone, cioè vedere, esaminare e decidere quale dei tre progetti risponda meglio alle precedenti deliberazioni prese dall’Assemblea in sede di legge costituzionale, quand’è che vogliamo proporcelo e risolverlo? Vogliamo farlo in questo momento? Forse sì, perché la Commissione di maggioranza propone come titolo: «Ufficio elettorale centrale» e – dice il progetto governativo – «Uffici elettorali circoscrizionali e regionali». Da una parte si prevede un unico ufficio, dall’altra due uffici diversi con diverse mansioni. Quindi da questo Titolo comincia la divergenza fra i tre progetti.

Dica la Presidenza e dica l’Assemblea se la questione fondamentale di cui dobbiamo occuparci vogliamo trattarla a proposito di questo articolo 7 oppure, meglio ancora, a proposito dell’articolo 9, o dell’articolo 18, o dell’articolo 20, il quale è il più completo per quanto riguarda l’assegnazione dei seggi.

Questo io domando.

Prima di esprimere la mia opinione sul merito, desidero sapere quale è il momento in cui con maggiore opportunità io possa farlo.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, il problema da lei sollevato si pone all’articolo 9, e in quella sede sarà discusso.

Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Ove in un collegio si trovino sedi di uno o più tribunali, l’ufficio si costituisce nella sede avente maggiore popolazione».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Questo emendamento mira, se non mi inganno, a colmare una lacuna nell’articolo 7. L’articolo 7 prevede che nella circoscrizione di un tribunale si trovino più collegi, ma non prevede che in un collegio si trovino le sedi di più tribunali.

Il primo comma dice: «Il tribunale, nella cui circoscrizione si trovino collegi previsti dalla unita tabella B, si costituisce in tanti uffici elettorali ecc.». Dunque un tribunale e più collegi. Ma può anche verificarsi che in unica circoscrizione elettorale si trovino le sedi di due o più tribunali. In questo caso, che a mio avviso occorre espressamente prevedere, io propongo che l’ufficio elettorale si costituisca nella città, sede di tribunale, che ha maggiore popolazione. Ecco la ragione del mio emendamento.

PRESIDENTE. La Commissione ha facoltà di esprimere il proprio parere.

MICHELI, Presidente della Commissione. Nella Commissione non si è presentata questa questione. Pare ad ogni modo ad essa che effettivamente il problema venga risolto nella sotto intitolazione del collegio, quando si dà al collegio un determinato nome si aggiunge anche il tribunale cui esso fa capo. Il quesito che si propone l’onorevole Colitto mi pare che praticamente sia già risolto.

In sede delle tabelle si potrà discutere; essendo in ciascuna tabella indicato di fianco al capoluogo del collegio anche il tribunale.

Quindi se in qualche caso potesse esservi stata una meno esatta indicazione si potrà nella compilazione delle tabelle, con un più diligente esame, cercare di correggerla. Per questo pare alla Commissione che l’emendamento Colitto non abbia ragione di essere.

PRESIDENTE. Il Governo ha facoltà di esprimere il proprio parere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Concordo con la Commissione.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Il Presidente della Commissione ha fatto riferimento alle tabelle. Ma lo stampato con le tabelle non è ancora in distribuzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha fatto riferimento alle tabelle come alla sede opportuna per tenere in considerazione la sua richiesta.

COLITTO. Onorevole Presidente, se ella consente, vorrei osservare che l’onorevole Micheli diceva che nelle tabelle sarebbero già indicati i tribunali che devono funzionare come uffici elettorali centrali dei collegi.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, voglia precisare meglio la questione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Ripeto che nelle tabelle è indicato, insieme col capoluogo del collegio, anche il tribunale al quale il collegio fa capo per le operazioni elettorali.

Per questo la Commissione è d’avviso che non sia necessario l’emendamento dell’onorevole Colitto. Se vi è qualche caso che possa aver dato occasione alla sua osservazione per la pratica conoscenza di collegi che si trovino nelle condizioni da lui esposte, se ne terrà conto nell’esame delle tabelle e potremo sostituire a quello indicato il nome del tribunale del luogo che ha maggiore popolazione.

Bisogna d’altra parte osservare che, per il criterio della maggiore popolazione e data pure l’importanza che esso ha dal punto di vista demografico, non debbono trascurarsi altri criteri, come la centralità, come l’esistenza di mezzi di trasporto per fare accedere i rappresentanti di tutte le sezioni al centro. Il baricentro elettorale è qualcosa di diverso da quello che può essere il comune più popolato. Quindi si tratta di ben altro criterio per il quale occorrerebbe provvedere a tutta una discussione complessa che, in questo momento, mi pare fuori luogo.

Ritengo quindi che quando l’onorevole Colitto sia persuaso che attraverso l’esame delle tabelle si può tener conto del suo desiderio, egli possa rinunziare al suo emendamento.

COLITTO. Mi riservo allora di ripresentare l’emendamento quando discuteremo le tabelle.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla questione sollevata dall’onorevole Colitto. In effetti bisogna considerare che i collegi elettorali sono indicati con un titolo: collegio di Catania I, di Roma I, di Gela o di Piazza Armerina. Non so se in tutti i collegi esista un tribunale, o, per lo meno, se la città indicata come capoluogo del collegio sia anche sede di tribunale.

Mi sovviene in questo momento che Gela è stata indicata come capoluogo di circoscrizione, e credo che neppure Piazza Armerina – da me proposta come capoluogo – abbia il tribunale. Debbo arguire perciò che non esiste coincidenza tra sede di collegio e sede di tribunale.

Bisognerebbe essere d’accordo nel senso che la Commissione, nell’elaborare le circoscrizioni elettorali, farà coincidere il capoluogo con la sede del tribunale. Se vi sono più tribunali o se non ve n’è alcuno, si vedrà quale altro criterio adottare. Si vedrà se scegliere il criterio dell’onorevole Colitto; ma io non credo si possa accettare, perché vi sono altri criteri più congrui che possono suggerire la sede del collegio. Ad ogni modo si sappia esattamente che come ufficio circoscrizionale si intenderà la sede del collegio che risulterà dalle tabelle.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo su che cosa si vota. A me sembra che la votazione dovrebbe vertere sulla proposta fatta dalla maggioranza della Commissione circa la soppressione della distinzione tra uffici circoscrizionali e uffici centrali.

Ora, se si vota su questo, trovo che si pregiudichi la questione di merito che si era detto di rinviare, perché la nostra proposta, in difformità da quella della maggioranza della Commissione, tende a conservare i due uffici, in quanto la distinzione corrisponde a quel congegno elettorale che noi proponiamo. Le votazioni sugli articoli 7 e 8 dovrebbero quindi essere rinviate al momento in cui sarà decisa la questione principale che divide in due parti la Commissione. A nome della minoranza propongo pertanto la sospensiva.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Targetti e Amadei hanno fatto pervenire alla Presidenza il testo dell’ordine del giorno relativo alle tabelle. Ne do lettura:

«L’Assemblea Costituente delega la Commissione parlamentare per la legge sulla elezione del Senato della Repubblica a formare, d’intesa col Governo, la tabella delle circoscrizioni territoriali secondo i seguenti criteri:

1) rispettare le unità provinciali;

2) mantenere in linea di massima intatte le unità cittadine;

3) suddividere le città con popolazione superiore ai 400 mila abitanti tenendo conto della loro particolare configurazione topografica e, in mancanza di questa, procedendo a suddivisioni con criteri omogenei».

Questo ordine del giorno sarà subito stampato e distribuito.

Se non sorgono obiezioni, si intende rinviata ogni decisione sull’articolo 7, conformemente alla richiesta dell’onorevole Mortati, a quando si deciderà di risolvere il punto del disegno di legge maggiormente controverso.

(Così rimane stabilito).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Ricordo che all’articolo 18 vi è un mio emendamento. È la proposta più radicale. Io propongo, come proposi senza successo nella Commissione, che si proclami eletto senatore chi nella prima elezione riporti la maggioranza dei voti. È la proposta che più si allontana da quelle del Governo e della Commissione.

PRESIDENTE. Non possiamo affrontare la questione sulla base dell’articolo 18. Ci sono articoli che lo precedono e che pongono la questione in maniera più di principio.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Anche nei riguardi dei criteri di formazione delle tabelle la questione pregiudiziale ha importanza. Quindi, penso che, prima di discutere la proposta Targetti, dobbiamo affrontare la questione pregiudiziale, perché potremo stabilire criteri diversi per la formazione delle tabelle a seconda delle decisioni che prenderemo. Ecco perché io penso che sarebbe il caso, se non subito all’inizio della seduta pomeridiana, di affrontare senz’altro il problema del metodo elettorale, secondo le diverse proposte del Governo, della maggioranza e della minoranza della Commissione.

PRESIDENTE. Ritengo sia opportuno rinviare al pomeriggio il seguito della nostra discussione. Prego i colleghi di pensare al modo preciso con cui muovere i passi verso i temi che dobbiamo risolvere.

La seduta termina alle 11.45.

LUNEDÌ 19 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 19 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Disposizioni sulla stampa (15)

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Treves

Cianca

Cevolotto, Relatore

Uberti

Mattarella

Russo Perez

Gullo Fausto

Dominedò

Gullo Rocco

Mastino Pietro

Rubilli

Ghidini

Colitto

Giannini

Scoccimarro

Fuschini

Bertone

Perassi

Condorelli

Guerrieri Filippo

Sull’esame dei progetti per l’emblema della Repubblica:

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Bubbio

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Orlando Vittorio Emanuele e Colombo Giulio.

(Sono concessi).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Cannizzo, il quale faceva parte del Gruppo di Unione Nazionale, si è iscritto al Gruppo liberale.

Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa. (15).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa. (15).

Ricordo che la seduta di sabato 17 scorso fu tolta per mancanza del numero legale nella votazione nominale sulle seguenti parole dell’emendamento Moro al n. 4 del secondo comma dell’articolo 22: «di apologia di reato ai sensi dell’ultimo comma dello stesso articolo».

Si tratta adesso di ripetere la votazione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. È oltremodo increscioso che nel corso della discussione di questa legge, che per concorde desiderio di tutti noi deve meglio regolare la libertà della stampa, si sia ricorso a manifestazioni che, anche all’esterno, hanno potuto dare la sensazione di una volontà da parte governativa di volere in qualche modo comprimere la libertà di stampa. In particolare, per quanto riguarda il sequestro, occorre richiamare, a mio giudizio, il fatto che – quando nei mesi scorsi, di fronte alla riconosciuta necessità di uscire dal regime autorizzativo per avere, attraverso il nuovo meccanismo delle registrazioni, chiaro ed esplicito segno della nuova concezione della libertà della stampa, noi, preoccupati che non si riuscisse a discutere tutta la legge prima del 31 dicembre, facemmo, come Governo, una proposta di stralcio – non comprendemmo nella nostra proposta l’articolo relativo al sequestro appunto perché si riteneva che, data la particolare delicatezza della materia, meglio se ne potesse trattare in sede di una legge organica generale su tutto l’argomento della libertà della stampa, e meglio specialmente discuterne non in una fase immediatamente pre-elettorale ma quando, in una maggiore serenità di spiriti, fosse meno probabile destare apprensioni.

Fu la Commissione – come si desume dalla relazione Cevolotto – a chiedere che si aggiungesse questo articolo 28, nell’ipotesi che la discussione vertesse sullo stralcio e non sull’intera legge.

Fu poi la stessa Assemblea, che, dovendo decidere quali articoli dovessero essere discussi, comprese l’articolo sul sequestro. Per le ragioni che ho detto all’inizio di queste mie dichiarazioni e per eliminare da parte di chiunque il sospetto che il Governo voglia in qualche modo attentare o comprimere la libertà della stampa, io propongo all’Assemblea di non discutere in questa sede l’articolo sul sequestro, rimandandone l’esame, insieme agli altri argomenti che già sono stati stralciati, al futuro Parlamento, quando si discuterà l’intera disciplina della stampa.

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Pur riaffermando le ragioni che ci hanno indotto, nella nostra dichiarazione, a indicare il nostro voto favorevole al testo della Commissione, il nostro Gruppo accetta la proposta di stralcio di questo articolo, fatta dall’onorevole Andreotti.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Anche noi aderiamo alla proposta fatta dal rappresentante del Governo.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione aderisce.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Andreotti.

(È approvata).

Passiamo all’esame dell’articolo 23 del testo della Commissione che riproduce, senza modificazioni, l’articolo 29 del testo governativo. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Stampa clandestina.

«Chiunque intraprende la pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta dall’articolo 7, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire centomila.

«La stessa pena si applica a chiunque pubblica uno stampato non periodico dal quale non risulti il nome dell’editore né quello dello stampatore o nel quale questi siano indicati in modo non conforme al vero».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Colitto aveva presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma sopprimere le parole: o con la multa fino a lire centomila».

Non essendo presente l’onorevole Colitto, l’emendamento si intende decaduto.

Pongo in votazione l’articolo 23 testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 24 del testo della Commissione, che corrisponde all’articolo 30 del testo governativo.

Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Omissione delle indicazioni obbligatorie sugli stampati.

«Salvo quanto disposto dall’articolo precedente, qualunque altra omissione o inesattezza nelle indicazioni prescritte dall’articolo 3 è punita con l’ammenda sino a lire ventimila».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Moro e Dominedò hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Salvo quanto disposto dall’articolo precedente, qualunque altra omissione o inesattezza nelle indicazioni prescritte dall’articolo 3 o la violazione dell’ultimo comma dello stesso articolo è punita con l’ammenda sino a lire ventimila».

Gli onorevoli Moro e Dominedò non sono presenti.

UBERTI. Faccio mio l’emendamento, rinunziando allo svolgimento.

PRESIDENTE. L’onorevole Cevolotto ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. In sostanza, si tratta di un semplice chiarimento di quello che risultava già dal testo proposto, quindi la Commissione è indifferente.

PRESIDENTE. L’onorevole Andreotti ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Aderisco al parere espresso, a nome della Commissione, dall’onorevole Relatore.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 24 nella formulazione proposta dagli onorevoli Moro e Dominedò e fatta propria dall’onorevole Uberti.

(È approvato).

L’onorevole Mattarella ha proposto il seguente articolo 29-bis:

«Asportazione, distruzione o deterioramento di stampati.

«Chiunque asporta, distrugge o deteriora stampati per i quali siano state osservate le prescrizioni di legge, allo scopo di impedirne la vendita, distribuzione o diffusione, è punito, se il fatto non costituisce reato più grave, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

«Con la stessa pena è punito chiunque con violenza o minaccia impedisce la stampa, pubblicazione o diffusione dei periodici per i quali siano state osservate le prescrizioni di legge.

«La pena è aumentata se il fatto è commesso da più persone riunite o in luogo pubblico, ovvero presso tipografie, edicole, agenzie o altri locali destinati a pubblica vendita.

«Per i reati suddetti si procede per direttissima».

Ha facoltà di svolgerlo.

MATTARELLA. Rinunzio allo svolgimento.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Ritengo che la seconda parte dell’emendamento proposto dall’onorevole Mattarella debba essere soppressa, perché si tratta di reato di violenza privata, che è punito dal Codice penale con pena più grave.

Approvo il resto dell’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione concorda con quanto ha detto l’onorevole Russo Perez: per i reati di violenza provvede già il Codice penale.

Ritengo che l’ultima parte dell’articolo: «Per i reati suddetti si procede per direttissima», sia del pari superflua, in quanto un articolo seguente prevede che per tutti i reati di stampa si debba procedere per direttissima.

PRESIDENTE. L’onorevole Andreotti ha facoltà di esprimere il parere del Governo sulla proposta di un articolo 29-bis presentata dall’onorevole Mattarella.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Accetto l’emendamento proposto dall’onorevole Mattarella. Se qualche parte di questo articolo è superflua, in quanto si richiama ad altri articoli e norme generali, si potrà in sede di coordinamento, specialmente per la ipotesi detta, prenderla in esame e stralciarla. Mi pare che con questo emendamento si riaffermi proprio uno dei principî fondamentali per la difesa pratica della libertà di stampa.

MATTARELLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTARELLA. Volevo osservare che anche per il secondo comma mi pare opportuno insistere nella formulazione presentata, soprattutto per quanto si riferisce alla possibilità del giudizio per direttissima. Nella ipotesi, infatti, in cui cadesse il secondo comma, per i reati che esso prevede non ci sarebbe l’obbligo del giudizio per direttissima e mi sembra che in ordine a fatti tanto gravi, la rapidità del giudizio costituisca uno degli elementi più rassicuranti per la tutela del diritto e della libertà della stampa.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Il Codice stesso prevede che, quando c’è la flagranza, il Procuratore della Repubblica può procedere per direttissima. Se la flagranza non c’è, bisogna far ricerche per rintracciare elementi di prova.

MATTARELLA. Ma quella è una facoltà, non è un obbligo.

PRESIDENTE. Il quesito è chiarito: ciascuno si regolerà come meglio crede nella votazione.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Rilevo che l’emendamento diminuisce il limite massimo della pena stabilita dal Codice per la violenza privata che sarebbe – mi pare – applicabile nei fatti ipotizzati. Il primo comma dell’articolo 610 del Codice penale recita: «Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni». Penso che, restando al Codice, si dovrebbe applicare l’articolo 610 del Codice penale, piuttosto che l’articolo 635 del Codice penale, che riguarda il danneggiamento.

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Dichiaro che noi voteremo quest’articolo aggiuntivo, richiamandoci ai motivi di difesa della libertà di stampa anche da questa forma di attentato, che in un’occasione specifica ho già avuto l’onore di ricordare in questa Assemblea. Sono lieto che questo articolo difenda, con pene sufficientemente gravi, la libertà di stampa contro questi attentati, che tuttavia ci auguriamo non continuino.

PRESIDENTE. Voteremo per divisione l’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mattarella.

Pongo in votazione il primo comma:

«Chiunque asporta, distrugge o deteriora stampati per i quali siano state osservate le prescrizioni di legge, allo scopo di impedirne la vendita, distribuzione o diffusione, è punito, se il fatto non costituisce reato più grave, con la reclusione da sei mesi a tre anni».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma, del quale l’onorevole Russo Perez ha chiesto la soppressione:

«Con la stessa pena è punito chiunque i con violenza o minaccia impedisce la stampa, pubblicazione o diffusione dei periodici per i quali siano state osservate le prescrizioni di legge».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«La pena è aumentata se il fatto è commesso da più persone riunite o in luogo pubblico, ovvero presso tipografie, edicole, agenzie o altri locali destinati a pubblica vendita».

(È approvato).

Passiamo all’ultimo comma:

«Per i reati suddetti si procede per direttissima».

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Prego di non insistere sull’ultimo comma, perché, come dissi, nel successivo articolo 37, che prevede le procedure e forme di giudizio per i reati di stampa, è detto: «Al giudizio si procede col rito direttissimo», in tutti i casi di reati di stampa.

PRESIDENTE. Si può approvarlo, salvo poi a coordinarlo nella sede opportuna. Pongo in votazione l’ultimo comma.

(È approvato).

L’articolo aggiuntivo, proposto dall’onorevole Mattarella, rimane così approvato.

Passiamo all’articolo 25 del testo della Commissione, che corrisponde all’articolo 31 del testo governativo. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Violazione degli obblighi stabiliti dall’articolo 8.

«Chi non effettua la dichiarazione di mutamento nel termine indicato nell’articolo 8, o continua la pubblicazione di un giornale o altro periodico dopo che sia stata rifiutata l’annotazione del mutamento, è punito con l’ammenda fino a lire cinquantamila».

PRESIDENTE. Questa dizione differisce dal testo governativo unicamente per quanto concerne la pena, che dalla Commissione è stata fissata in una ammenda fino a lire cinquantamila, mentre il Governo propone una multa fino a lire centomila. Non sono stati presentati emendamenti. Pertanto, chiedo all’onorevole Cevolotto se la Commissione insiste sul limite di pena pecuniaria da essa stabilita.

CEVOLOTTO, Relatore. Abbiamo proposto la pena dell’ammenda al posto della multa, per stabilire il carattere contravvenzionale di questa infrazione, che non ha il carattere di delitto. Quindi, poiché il limite massimo dell’ammenda è di lire cinquantamila, abbiamo proposto la pena dell’ammenda fino a tale somma.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Aderisco alla proposta dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 25 testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 26 nel testo della Commissione, corrispondente all’articolo 32 del testo ministeriale. Esso è distinto in due commi, il secondo dei quali, nel testo della Commissione, viene ad essere soppresso. Prego pertanto l’onorevole Segretario di dare lettura del testo governativo, in maniera che ognuno si renda conto della modifica che la Commissione propone di apportare.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«False dichiarazioni nella registrazione di periodici.

«Chi nelle dichiarazioni prescritte dagli articoli 7 e 8 espone dati non conformi al vero è punito a norma del primo comma dell’articolo 483 del Codice penale».

«Se il fatto è commesso per colpa, si applica l’ammenda sino a lire cinquantamila».

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: chi nelle dichiarazioni prescritte, sostituire: chi nella dichiarazione prescritta».

Non essendo egli presente, l’emendamento si intende decaduto.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Abbiamo proposto la soppressione del secondo comma perché non sembra opportuno di creare una forma di delitto colposo per questa figura di falso ideologico, che secondo noi, nel caso di colpa, non dev’essere punito; ma che dev’essere punito solo quando è doloso.

PRESIDENTE. Il Governo accetta?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 26 nel testo della Commissione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 28 del testo della Commissione, identico all’articolo 34 del testo governativo. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Mancata pubblicazione di rettifiche e omissione di pubblicazioni a richiesta dell’autorità.

«Chi non effettua sul giornale o altro periodico, non più tardi della seconda pubblicazione successiva al giorno in cui pervenga la richiesta, le pubblicazioni indicate negli articoli 14, 15 e 23, è punito con l’ammenda fino a lire cinquantamila.

«La sentenza che pronuncia la condanna ordina, ove ne sia il caso, che la pubblicazione omessa venga effettuata».

PRESIDENTE. Poiché non vi sono emendamenti, lo pongo in votazione, salvo coordinamento.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo all’articolo 30 nel testo della Commissione.

Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Competenza e forme del giudizio.

«La cognizione dei delitti commessi col mezzo della stampa e del delitto previsto dall’articolo 29 appartiene al tribunale, salvo che non sia competente la Corte di assise.

«Non è consentita la rimessione del procedimento al pretore.

«Al giudizio si procede col rito direttissimo, tranne che per il delitto di cui all’articolo 23».

PRESIDENTE. Quest’ultimo comma differisce, nel testo della Commissione, dal testo governativo, che affermava doversi procedere nel giudizio sempre per direttissima.

L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: si procede col giudizio direttissimo».

Non essendo presente, l’emendamento s’intende decaduto.

L’onorevole Gullo Fausto ha presentato unitamente all’onorevole La Rocca un emendamento così formulato:

«È fatto obbligo al giudice di emettere in ogni caso la sentenza nel termine massimo di 20 giorni dalla data di presentazione della querela o della denunzia».

L’onorevole Gullo Fausto ha facoltà di svolgerlo.

GULLO FAUSTO. Lo mantengo. Già parecchi oratori hanno avuto modo di lamentare il fatto che, in occasione specialmente di processi per diffamazione, non si riesca ad avere la sentenza in un termine ragionevole, anzi si riesca quasi sempre ad averla soltanto dopo lungo tempo.

Il progetto ministeriale (non ricordo bene se quello ministeriale o quello della Commissione) parla di giudizio per direttissima.

Ora, questa è una garanzia molto relativa, in quanto, se il giudizio per direttissima comporta senz’altro la fissazione di una udienza prossima, in realtà non costituisce affatto una garanzia per la durata del processo; perché tutti sanno quanto sia facile ottenere rinvii, soprattutto attraverso l’istanza di procedere ad una istruzione più accurata.

A me pare quindi che l’unico modo per garantire una immediata decisione su una querela per diffamazione sia di porre il giudice di fronte all’obbligo di emettere la sentenza entro un breve termine, che noi abbiamo fissato in 20 giorni. Questa è la ragione giustificatrice dell’emendamento. Non credo che i colleghi abbiano bisogno che io illustri la necessità di ottenere che nei delitti di stampa, specialmente in quelli per diffamazione, la sentenza del magistrato, che viene ad affermare se si è di fronte ad un calunniatore o di fronte ad un colpevole, sia emessa nel più breve tempo possibile.

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò ha presentato, unitamente all’onorevole Moro il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: «dei delitti commessi» sostituire le parole: «dei reati commessi».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Questo emendamento ha semplicemente un valore di consequenzialità ad una modificazione introdotta nel testo della legge.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi rendo perfettamente conto delle ragioni esposte dall’onorevole Gullo Fausto, e sono d’accordo che dovremmo poter ottenere la rapidità del giudizio; ma, se questa norma che egli propone crea nel giudice l’obbligo di decidere entro 20 giorni, essa potrebbe contravvenire ad un obbligo maggiore che ha il giudice, e che è quello di rendere giustizia.

Spessissimo – e questo lo sappiamo tutti noi che esercitiamo la professione di avvocato – è materialmente impossibile che in venti giorni il giudice riesca ad istruire il processo in modo da poter dire una parola che per lui rappresenti la verità. Io vorrei quindi pregare l’onorevole Gullo che voglia modificare la sua proposta nel senso che il giudizio debba essere pronunciato entro il termine di due mesi, perché soltanto entro tale lasso di tempo vi sarà realmente la possibilità che si dia luogo, con cognizione di causa, al pronunciamento della sentenza.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. L’onorevole Russo Perez chiede che io rinunci al termine di venti giorni per accettare quello di due mesi e giustifica tale sua proposta con il fatto che è difficile in venti giorni procedere all’istruzione del processo.

Ma, come ho già precedentemente accennato, la disposizione vale specialmente per i giudizi di diffamazione. Ora, l’istruzione complessa non può essere spiegata se non dalla necessità di presentare le prove del fatto. Ma qui si è di fronte a chi è imputato di diffamazione con l’attribuzione di un fatto determinato e si deve presumere che egli sia già in possesso delle prove; giacché, ove ciò non fosse, egli dimostrerebbe con il suo atto per lo meno una colpevole leggerezza nell’aver mosso un’accusa senza essere in possesso delle prove.

Pur tuttavia, allo scopo di venire incontro, in qualche modo, al desiderio dell’onorevole Russo Perez, sono disposto a modificare la proposta, prolungando il termine da venti giorni ad un mese.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Cevolotto a pronunciarsi a nome della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. Onorevoli colleghi, quando io ho riferito in generale su questo disegno di legge, ho messo appunto in rilievo le difficoltà che hanno indotto l’onorevole Gullo a proporre il suo emendamento. È vero; è difficile con le forme della nostra procedura penale ottenere che nei casi di diffamazione o di ingiuria, si abbia un rapido processo, che porti a una sentenza sollecita.

Ma, d’altra parte, non è sembrato che in una legge speciale – e particolarmente in una legge di stralcio – si potessero inserire innovazioni sostanziali rispetto al Codice di procedura penale. L’innovazione si presenta spontanea agli occhi di tutti e consisterebbe precisamente nel tornare all’antico. Un tempo infatti, nel Codice di procedura penale del 1865, e in quello del 1913, esisteva la forma della citazione diretta di parte. Però tornare a quella forma in una legge di stralcio non sarebbe cosa ragionevole.

L’onorevole Gullo Fausto ha proposto un emendamento che, anche se accolto – diciamolo pure – sarebbe destinato a restare lettera morta. Quando si dice in una legge che la sentenza deve essere pronunciata entro venti giorni, si fissa prima di tutto un termine troppo breve. Sarà infatti assolutamente, materialmente impossibile, entro tale termine, in molti e molti casi, avere la sentenza. O si adotta il rito direttissimo, e allora in qualche caso la sentenza si potrà ottenere entro i venti giorni; o non lo si adotta e allora non vi è da illudersi si possa in nessun caso arrivare alla pronuncia della sentenza entro gli stessi venti giorni.

I venti giorni non sono e non possono essere un termine di decadenza. Non lo possono essere per ragioni di giustizia.

Ma se il termine è senza comminatoria, cioè non è un termine perentorio non servirà a niente; come il termine che, per esempio, nella procedura civile è dato al giudice di depositare la sentenza entro quindici giorni da quello in cui la causa è stata decisa, termine che non viene rispettato mai. E perfettamente inutile sancire solennemente un termine di questo genere, che non funzionerà.

Nella situazione in cui ci troviamo non c’è altro da fare che prescrivere il rito direttissimo e poi pregare il Ministro della giustizia di mandare una circolare ai Presidenti di Tribunale, perché il rito direttissimo venga realmente applicato nei casi di reati di stampa.

GULLO FAUSTO. Ma il rito direttissimo resterebbe anche col mio emendamento, intendiamoci!

CEVOLOTTO, Relatore. D’accordo, non è in contrasto, ma il termine è lo stesso troppo ristretto.

Quanto alla proposta degli onorevoli Moro e Dominedò di sostituire «reati» a «delitti», dichiaro di accettarla.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Andreotti di esprimere il parere del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Circa il primo dei tre emendamenti credo sarebbe meglio lasciare il termine «delitti», perché portando di fronte al tribunale contravvenzioni di lieve entità si renderebbe più complicato il meccanismo che abbiamo stabilito. Comunque, a questo proposito il Governo si rimette all’Assemblea.

Nei confronti della proposta di esclusione dal rito direttissimo fatta dalla Commissione per l’ipotesi prevista all’articolo 23, cioè degli stampati clandestini, credo che non si debba aderire alla stessa, perché non vedo la ragione per la quale si debba consentire una disposizione di favore proprio nei riguardi della stampa clandestina rispetto alle altre ipotesi previste.

Riguardo all’emendamento dell’onorevole Gullo Fausto, lo spirito con cui egli lo propone ci trova certamente tutti d’accordo, per raggiungere una maggiore rapidità della giustizia in questo settore. Circa la possibilità o meno di applicare praticamente questo termine di trenta giorni, mi rimetto all’Assemblea. Vuol dire – e faccio mia la raccomandazione fatta dall’onorevole Cevolotto come relatore – che se non si ritenesse di inserire questo termine nell’articolo, potremmo avere un voto dell’Assemblea da trasmettere al Ministro della giustizia per i provvedimenti di ordine amministrativo di sua competenza.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. La proposta dell’onorevole Gullo Fausto ci trova d’accordo, in quanto chi diffama deve avere le prove, e non può chiedere al magistrato che istruisce la causa di ricercarle, se egli ha già pubblicato l’articolo diffamato, senza averle. (Commenti).

D’altro canto, non c’è dubbio che è esatta l’osservazione fatta, che cioè un impedimento materiale dell’imputato o dei testimoni può far sì che la sentenza non sia emanata entro il termine stabilito.

L’onorevole Gullo Fausto ha accettato di estendere il termine da venti giorni ad un mese, ed io non credo che il termine stesso possa essere ulteriormente esteso, perché, accettando la formula di due mesi proposta dall’onorevole Russo Perez, noi finiremmo per svalutare lo stesso giudizio per direttissima, perché si dimostrerebbe che neppure nel giudizio direttissimo si potrebbe avere la sentenza entro due mesi.

È perfettamente vero quanto dice l’onorevole Cevolotto, cioè che questa disposizione non avrà alcun valore, ma io dico: non avrà valore assoluto. Il relatore ricordava esattamente che vi sono disposizioni analoghe nel nostro Codice di procedura, quale quella che impone al magistrato di depositare la sentenza motivata entro quindici giorni dalla pronuncia. È vero che i magistrati non sempre osservano questa disposizione, ma è anche vero che questa disposizione è bene che ci sia, perché costituisce, se non altro, una raccomandazione.

Quindi, pur essendo esatto che questa norma non avrà valore assoluto perché difficilmente la sentenza potrà essere emessa entro un mese, penso che sia opportuno inserire questa disposizione nella legge perché, pur non contenendo una sanzione, costituisce per il giudice un obbligo morale a cui egli dovrà attenersi quando non vi siano difficoltà insormontabili.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Io non so intendere che valore possa rimanere ad una disposizione del genere se l’Assemblea crederà di doverla affermare, dopo i chiarimenti e le dichiarazioni fatte dal collega Gullo Rocco, per cui, nell’atto in cui si affermerebbe l’obbligo della pubblicazione della sentenza entro 20 giorni, si riconoscerebbe però che questo non sarebbe che un avvertimento di ordine morale.

Infatti in venti giorni non è possibile che nella normalità dei casi si possa avere una sentenza. È vero che chi pubblica un articolo che dia luogo ad una querela per diffamazione si deve ritenere abbia già pronte le prove dimostrative del fatto, ma è anche vero che non sempre queste prove sono rappresentate da documenti. Basta l’impossibilità a comparire di un testimone ritenuto essenziale agli effetti del giudizio, perché non si possa avere una sentenza nel termine su detto.

Per conciliare le due tesi a me pare giusto quanto ha osservato l’onorevole Cevolotto, cioè che sia sufficiente il giudizio per direttissima, il quale potrà essere completato da una circolare del Ministro della giustizia che consigli il giudizio d’urgenza, e che i dibattimenti per diffamazione a mezzo della stampa abbiano la priorità di fronte agli altri. Bisogna tener conto dello stato degli uffici giudiziari poiché se in taluni le cose procedono nel modo più regolare, ne conosciamo altri in cui è assolutamente impossibile che le cose vadano bene e celermente per l’insufficienza numerica dei magistrati.

Per queste ragioni voterò contro l’emendamento dell’onorevole Fausto Gullo.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Pare che abbiamo dimenticato quello che c’insegnano la pratica e l’esperienza professionale, quello che pure avviene ogni giorno.

Noi non possiamo fissare un termine di un mese, di 45 giorni o di due mesi per la pubblicazione della sentenza in tema di diffamazione, ma possiamo fissare solamente un termine per il passaggio degli atti in cancelleria, sollecitando l’istruttoria, che, sia pur breve e sommaria, non può però mai mancare in tema di diffamazione.

Ma come vogliamo e possiamo prevedere, specialmente in questi dibattiti senza dubbio assai delicati che spesso richiedono parecchie udienze, con prosiegui ad intervalli, con testimoni che non arrivano, come vogliamo prevedere dicevo, le vicende del giudizio? Abbiamo dimenticato che cosa sono i giudizi per diffamazione?

Quindi, io credo che se un termine si possa stabilire per dimostrare il giusto e legittimo desiderio di sollecitare nell’interesse delle parti il procedimento, noi possiamo farlo per il passaggio degli atti in cancelleria.

Si capisce che quando gli atti sono passati in cancelleria, sono le parti che possono direttamente sollecitare il dibattimento. Ma stabilire un termine per la pubblicazione della sentenza mi pare che significhi andare contro la realtà e l’esperienza che abbiamo di simili dibattimenti.

Quindi, in questo senso, vorrei rettificata la proposta e vorrei presentare un emendamento, se occorre, in guisa che sia stabilito il termine di un mese per il passaggio degli atti in cancelleria con sommaria istruzione.

Una voce. Anche la direttissima?

RUBILLI. Anche la direttissima è un pericolo che può mettere allo sbaraglio il querelante, il quale non ha termine a difesa e si risolve in un grande vantaggio solo per l’imputato che ha pronte le sue prove ignorate dall’altra parte. Meglio stabilire termini solo per l’inizio del dibattimento, che dovrà svolgersi pur con serenità e con calma nell’interesse della giustizia, con vicende che non si possono prevedere. Questa è la conclusione cui pervengo per esperienza quotidiana. Non vi sono procedimenti più difficili, di quelli che derivano da diffamazione, specialmente quando siano fondati su questioni di partito. Quindi meglio affidarsi al Tribunale per le vicende giudiziarie dando alle parti il compito e la facoltà di sollecitare, e dichiarando che il procedimento per diffamazione ha sempre un carattere d’urgenza.

Ripeto che sarà opportuno fissare il termine soltanto per il dibattimento, in maniera che possa iniziarsi e debba essere fissato per l’udienza in un termine non superiore ad un mese dalla querela.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione ritiene che debba essere mantenuta la formula del testo governativo, che ai processi per i reati di stampa si applichino le norme del giudizio direttissimo, naturalmente con quegli adattamenti che sono necessari per reati che in genere non consentono l’arresto e spesso sono promossi con querela. Il giudizio per direttissima si svolge nel modo che è stabilito dall’articolo 502 del Codice di procedura penale. L’imputato, che è stato arrestato in flagranza di reato, viene dal procuratore della Repubblica portato direttamente e immediatamente al giudizio del Tribunale, nell’udienza stessa se si tratta di reato commesso in udienza, o entro cinque giorni, senza formalità di procedura, senza termini per i testimoni. Questo è il giudizio direttissimo; che in questa forma precisa non è possibile in un giudizio che si svolga in seguito ad una querela. L’analogia – che in procedura penale è ammessa – porta a ciò: che il procuratore della Repubblica, appena ricevuta la querela, dovrà provvedere immediatamente perché sia spiccata la citazione per il giudizio all’udienza più vicina possibile. Non ravviso altra forma di adattamento del giudizio per direttissima al giudizio – ad esempio – per diffamazione a querela di parte. È perfettamente inutile mettere altri termini perché si incominci il dibattimento, perché giudizio direttissimo nella nostra legge non ha altro significato che giudizio più sollecito che sia possibile.

Quanto al termine per la sentenza, di cui ha parlato il collega Gullo, mi rimetto a quanto ho detto.

VERONI. Cinque giorni.

CEVOLOTTO, Relatore. Non è possibile. Perché l’imputato domanderebbe il termine a difesa dell’articolo 503 del Codice di procedura penale, e, in ogni modo, specialmente nei casi di diffamazione con la concessione della prova liberatoria, non sarebbe possibile negargli le condizioni e i termini per difendersi.

GHIDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Non sono d’accordo coll’onorevole Rubilli che occorra stabilire un termine per l’istruzione delle cause e ciò per le ragioni che ha esposto il Relatore. Si tratta di un giudizio direttissimo in cui la causa viene portata immediatamente all’udienza.

Per conto mio, sono contrario alla fissazione di qualunque termine per la pronuncia delle sentenze e sono contrario per questo motivo. Se è vero, come osservava l’onorevole Fausto Gullo, che colui che diffama deve avere già pronte le prove, nella diffamazione noi dobbiamo tener conto soprattutto delle condizioni in cui si viene a trovare il diffamato.

Nelle cause per diffamazione con facoltà di prova (la facoltà di prova può essere concessa e in certi casi è obbligatoria, ma si può dire che praticamente la facoltà di prova c’è sempre) il vero imputato è il diffamato, il quale si trova colpito improvvisamente e quindi sprovvisto di difesa. Ci possono essere diffamazioni che hanno apparenza di verità ed essere invece sostanzialmente false. Ma questa apparenza di verità deve essere distrutta e questo lavoro di demolizione è sovente complesso e non può essere improvvisato in un breve termine. Se ci sono delle cause delicate sono precisamente quelle di diffamazione nelle quali è leso il patrimonio più sacro del cittadino.

Stabilire un termine fisso alla sentenza mi sembra che sia il più grave degli errori. A me pare che basti stabilire, come ha proposto l’onorevole Relatore, che il giudizio si svolga per direttissima; vuol dire che poi il procedimento, in sede di giudizio, avrà le vicende che può e deve avere a seconda della complessità della causa e delle necessità delle prove, e in genere delle esigenze che si impongono per conseguire quell’accertamento della verità che è appunto lo scopo che si vuole raggiungere.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori di emendamenti se li mantengano.

Onorevole Gullo Fausto, mantiene il suo emendamento?

GULLO FAUSTO. Lo mantengo, modificando il termine da venti giorni a un mese.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, mantiene la sua formulazione?

RUBILLI. Dico soltanto che la proposta dell’onorevole Gullo non mi sembra di pratica attuazione.

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, mantiene la proposta di due mesi?

RUSSO PEREZ. Mi appago di un mese per deferenza al collega, ma sono convinto che la norma rimarrà lettera morta.

PRESIDENTE. Ricordo che il Governo insiste per il mantenimento dell’ultimo comma del testo ministeriale.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione accetta ma propone che si sopprimano al primo comma le parole «e del delitto previsto dall’articolo 29», perché il richiamo all’articolo 29 deve essere tolto in quanto questo articolo è stato stralciato.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione l’articolo 30 con la soppressione proposta dal Relatore e con l’emendamento Moro-Dominedò:

«La cognizione dei reati commessi col mezzo della stampa appartiene al tribunale, salvo che non sia competente la Corte di assise.

«Non è consentita la rimessione del procedimento al pretore.

«Al giudizio si procede col rito direttissimo».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Gullo Fausto:

«È fatto obbligo al giudice di emettere in ogni caso la sentenza nel termine massimo di un mese dalla data di presentazione della querela o della denunzia».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo all’articolo 31, identico all’articolo 38 del testo governativo. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Periodici già autorizzati.

«Per i giornali e gli altri periodici autorizzati ai sensi delle leggi precedenti la registrazione prescritta dall’articolo 7 deve essere effettuata nel termine di quattro mesi dall’entrata in vigore di questa legge».

PRESIDENTE. Non essendovi proposte di emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 33 identico all’articolo 40 del testo governativo. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Abrogazioni.

«Sono abrogati:

1°) il regio editto sulla stampa 26 marzo 1848, n. 695;

2°) il regio decreto-legge 15 luglio 1923, n. 3288, convertito nella legge 31 dicembre 1925, n. 2309, sulla gerenza e vigilanza dei giornali e delle pubblicazioni periodiche;

3°) il regio decreto-legge 10 luglio 1924, n. 1081, convertito nella legge 31 dicembre 1925, n. 2308, con norme di attuazione del regio decreto-legge precedente;

4°) la legge 31 dicembre 1925, n. 2307, sulla stampa periodica;

5°) il regio decreto-legge 24 ottobre 1935, n. 2040, convertito nella legge 19 marzo 1936, n. 542, sulle attribuzioni del Ministero per la stampa e propaganda in materia di sequestro di stampati;

«6°) il regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 54, contenente norme sul sequestro dei giornali e delle altre pubblicazioni;

«7°) ed ogni altra disposizione contraria od incompatibile con quelle della presente legge».

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Dobbiamo modificare il testo dell’articolo 33. Poiché è stata cambiata la legge, diverse sono anche le abrogazioni. Propongo, d’accordo con il Governo, il seguente testo:

«Sono abrogati il regio decreto-legge 14 gennaio 1944, n. 13, ed ogni altra disposizione contraria od incompatibile con quelle della presente legge».

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto aveva presentato il seguente emendamento:

«Al n. 1°), alle ultime parole, aggiungere le seguenti: e gli altri provvedimenti legislativi, che ad esso recarono modificazioni ed aggiunte.

«Dopo il n. 4°), aggiungere il seguente:

4°-bis) il regio decreto 4 marzo 1926, n. 371, con cui fu approvato il regolamento concernente disposizioni sulla stampa periodica.

«Dopo il n. 5°), aggiungere i seguenti:

5°-bis) la legge 2 febbraio 1939, n. 379, contenente norme per la consegna obbligatoria di esemplari degli stampati e delle pubblicazioni;

5°-ter) il regio decreto 12 dicembre 1940, n. 2052, con cui fu approvato il regolamento per l’attuazione della legge precedente».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Non insisto, perché è in relazione all’articolo 4, che non è compreso fra gli articoli esaminati.

PRESIDENTE. Chiedo il pensiero del Governo su questa nuova formulazione dell’articolo 33.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il Governo è d’accordo con l’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il nuovo testo dell’articolo 33, concordato fra Commissione e Governo.

(È approvato).

Vi è infine l’articolo 34. Se ne dia lettura:

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Governo emanerà le norme per l’attuazione di questa legge».

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto aveva presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Governo è autorizzato ad emanare le norme per l’esecuzione della presente legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Ritiro il mio emendamento e mi rimetto la formulazione della Commissione.

PRESIDENTE. Chiedo l’opinione del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Mi rimetto anch’io alla formulazione della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 34 testé letto.

(È approvato).

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Prima del coordinamento, devo fare una comunicazione all’Assemblea. Mi è pervenuta una lettera firmata da un cittadino italiano profugo di Pola e residente a Firenze. Essa dice: «Il sottoscritto, Ferrari Vittorio, cittadino italiano profugo di Pola e residente in Firenze, Via Palazzuolo, intende valersi della norma dell’articolo 50 della Costituzione, proponendo la seguente disposizione transitoria per la legge sulla stampa di imminente pubblicazione…». Io non credo che l’articolo 50 della Costituzione permetta ad ogni cittadino di proporre alla Camera degli emendamenti a un progetto legge. Il diritto, che la Costituzione consente ai cittadini con l’articolo 50, è un altro. Ma, ad ogni modo, ho creduto di dover far presente l’istanza, e, se l’Assemblea crede, potrò dire che cosa questo cittadino chiede. (Approvazioni).

La proposta è in questi termini: «Tutti coloro che sono soggetti a procedimenti di avocazione dei profitti di regime: a) non potranno essere direttamente o indirettamente direttori di giornali e pubblicazioni periodiche di qualsiasi genere, finché non siano definiti gli accertamenti e le procedure in corso, non sarà pagato quanto eventualmente dovuto; b) per un periodo di anni 5, analogamente a quanto è disposto per l’eleggibilità alle cariche politiche dalla nuova Costituzione, a datare dal predetto accertamento».

Questa è la proposta, che naturalmente non posso far mia, perché non ho sentito la Commissione.

PRESIDENTE. Chiedo se qualche membro dell’Assemblea fa sua la proposta.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Si potrebbe fare qualche considerazione su questa, come su altre proposte di articoli a questa disgraziata legge sulla stampa, anche stralciata. Questa proposta fa parte di un corpus, che si potrebbe intitolare: «l’arte di darla a bere». Ma che significa che non possa essere proprietario di un giornale chi è sottoposto ad un processo di avocazione? Si prende il portiere di colui che è sottoposto al processo di avocazione, e lo si fa proprietario del giornale. È come la pubblicità sulle fonti di finanziamento. È una cosa che fa ridere. Tutta la legge fa ridere. Quindi, io non vedo perché non si potrebbe accogliere anche la proposta del cittadino che si è rivolto all’onorevole Cevolotto. Non farebbe che aumentare il contenuto di sana comicità che ha tutto il provvedimento in materia di stampa, il quale non è che un affastellamento di ironie, di luoghi comuni e di mezzi per evadere sia la legge che la consuetudine; perché tutti sanno che questa legge non si può applicare. Essa non può essere che evasa; e non sarà che fonte di seccature e di noie, senza dare né libertà di stampa, né di stampare, né – tanto meno – il diritto di sapere al popolo italiano.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Poiché la lettera è stata letta all’Assemblea, proporrei che l’onorevole Cevolotto convocasse la Commissione e ci facesse conoscere il pensiero di essa su questa proposta.

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, ho fatto presente che la Commissione non può esaminare una proposta, della quale non sia entrata in possesso attraverso le forme, che sono proprie della nostra Assemblea e di qualunque Assemblea legislativa.

Anche nel prossimo Parlamento l’iniziativa legislativa popolare dovrà assumere determinate forme.

Non è sufficiente che una lettera giunga ad un singolo deputato, perché diventi materia di elaborazione parlamentare. Occorrerebbe, come ho detto poco fa, che qualche deputato assumesse in nome proprio la proposta; allora, naturalmente, la Commissione potrebbe esaminarla.

SCOCCIMARRO. La Commissione può esaminarla come proposta sorta nel seno della Commissione stessa.

PRESIDENTE. Nessuno l’ha fatta sorgere.

SCOCCIMARRO. Allora, io faccio mia quella proposta, e prego la Commissione di esprimere il suo parere.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Mi permetto far rilevare che l’Assemblea procedette nei giorni scorsi allo stralcio di determinati articoli, per esaminarli; e si rimase d’accordo che soltanto quelli avrebbero potuto essere esaminati e non altri. Quindi, anche se questa proposta venisse fatta propria da un collega, io credo che l’esame relativo sarebbe precluso all’Assemblea.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUZZO PEREZ. A quanto ha detto l’onorevole Colitto aggiungo che, dopo che si è saputo che questo Oronzo Marginati si è indirizzato all’onorevole Cevolotto, il quale ha creduto di farci conoscere la proposta, la questione è pregiudicata. Se uno di noi facesse propria quella proposta, qualsiasi cittadino presenterebbe proposte del genere, nella speranza che l’Assemblea se ne occupasse.

PRESIDENTE. C’è sempre un vaglio pregiudiziale, che è costituito dall’accettazione o meno in proprio da parte di uno dei deputati. Escludo che qualsiasi proposta, proveniente dall’esterno dell’Assemblea, trovi sempre un deputato disposto ad apporvi la propria firma ed a farla propria. Ma proposte di questo genere, che vengono rese note e trovano una paternità di questa fatta, cambiano natura e possono essere prese in considerazione.

Lei sa, onorevole Russo Perez, quante volte ciascuno di noi ha ritenuto di dover presentare all’Assemblea o in seno alle Commissioni suggerimenti pervenuti da elementi estranei all’Assemblea, ma non estranei rispetto alle esigenze del popolo italiano.

Quanto alla osservazione fatta dall’onorevole Colitto, io mi richiamo a ciò che ha detto l’onorevole Cevolotto, prima di leggere la sua lettera: che, cioè, eventualmente, ove qualche deputato assumesse la paternità di questa proposta (abbiamo trovato adesso l’onorevole Scoccimarro), essa non apparirebbe come articolo nuovo, ma come emendamento aggiuntivo ad un articolo approvato, e precisamente a quell’articolo, nel quale vengono indicate le condizioni per poter essere proprietario, o direttore di un periodico o di un giornale.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io potrei stendere subito un emendamento, da sottoporre al giudizio della Commissione.

Desidero chiedere alla Commissione che, discutendo questa proposta, mi voglia invitare alla riunione, perché avrei particolari informazioni da dare.

PRESIDENTE. Sta bene. Faccio presente, come ultima necessità, che questo esame da parte della Commissione dovrebbe avvenire rapidamente, perché dobbiamo procedere al più presto alla votazione a scrutinio segreto dell’intero disegno di legge.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Come semplice comunicazione di un dato di fatto alla Assemblea credo che qualcuno di noi sappia che c’è in pendenza, presso il Consiglio di Stato, un ricorso che verte esattamente su questo punto. Ora, questo cittadino che si è valso del diritto di petizione in questa forma particolare, può darsi che non sia del tutto estraneo a questa controversia, la quale è ormai in fase avanzata dinanzi al Consiglio di Stato; potrebbe anche darsi che fosse una maniera per intervenire in un procedimento, il quale, per una combinazione non molto strana, riguarda proprio la stessa città dalla quale è partita questa lettera diretta al collega Cevolotto. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, penso che la cosa più opportuna da fare sia questa: poiché della questione si è parlato, la Commissione la esamini, e veda se anche da un punto di vista di principio, possa essere presa in considerazione in questa sede.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Signor Presidente, dal momento che la proposta ci è stata comunicata, in una forma, dirò così, inconsueta (perché poteva essere trasmessa alla Presidenza da parte della Commissione, affinché la Presidenza decidesse il modo di sottoporla all’Assemblea) e considerato che un collega ha fatto propria questa proposta, è naturale che essa sia sottoposta all’esame della Commissione. Mi pare che si potrebbe concludere in questi termini: consentire un’ora di sospensione della seduta per dar modo alla Commissione di riunirsi e di esaminare la proposta, riferendo in questa stessa seduta, fra un’ora.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Propongo che, ove si adotti quanto è stato proposto dal collega Fuschini, si proceda prima all’esame delle due o tre questioni di coordinamento che dobbiamo ancora prendere in considerazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi mi ha fatto pervenire la seguente proposta di articolo aggiuntivo:

«La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

Prego la Commissione e il Governo di esprimere il loro parere.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione è d’accordo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Anche il Governo.

PRESIDENTE. Metto in votazione l’articolo aggiuntivo, testé letto, proposto dall’onorevole Perassi.

(È approvato).

A proposito di questi coordinamenti ne segnalo uno agli onorevoli colleghi.

Vi è, fra l’articolo 5 e l’articolo 6 del testo votato, una diversità che, quanto meno, esige una interpretazione autentica. Nell’articolo 5 è escluso che possa essere direttore responsabile di un giornale lo straniero, anche residente in Italia. Nell’articolo 6 è detto invece, parlando della proprietà: «Se il proprietario è cittadino italiano residente all’estero o cittadino straniero, deve possedere gli altri requisiti ecc.». Ora, si potrebbe interpretare la dizione «o cittadino straniero» nel senso che esso comprenda esclusivamente l’ipotesi dell’italiano che sia cittadino straniero, cioè italiano di nazionalità, ma straniero in quanto a cittadinanza. È evidente che occorre chiarire il senso di questo articolo. Chiedo alla Commissione di formulare una proposta in merito.

CEVOLOTTO, Relatore. L’opinione della Commissione è di coordinare i due articoli in modo da permettere anche allo straniero di essere direttore di un giornale in Italia, come era proposto nel testo della Commissione.

PRESIDENTE. Noi abbiamo votato questo testo dell’articolo 5.

«Può essere direttore responsabile anche l’italiano non appartenente alla Repubblica», e si era soppressa la dizione: «o lo straniero residente in Italia».

La Commissione è d’avviso di annullare la soppressione e di ammettere che possa essere direttore responsabile anche lo straniero residente in Italia, quando naturalmente abbia i requisiti richiesti.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Sopra questo problema si è votato molto precisamente a favore dell’esclusione, e non vedo come in sede di coordinamento si possa risollevare un problema che è stato risoluto in modo preciso dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, faccia tuttavia qualche proposta.

UBERTI. Faccio la proposta di mantenere, per quello che riguarda i requisiti dei direttori dei giornali, il testo che è stato votato dall’Assemblea, senza ristabilire la frase «e lo straniero residente in Italia», che è stata soppressa.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, i due articoli sono in contrasto. Se lei propone di conservare il testo dell’articolo 5, proponga di modificare quello dell’articolo 6, il quale tuttavia è stato anch’esso votato dall’Assemblea.

UBERTI. Non trovo questo contrasto che rileva il Presidente, perché una situazione è quella di direttore di giornale, che ha possibilità di intervenire nella politica interna del Paese, ed un’altra è quella di proprietario di un giornale. Queste situazioni sono profondamente diverse. Ha un senso molto maggiore di responsabilità politica il primo. Si è votato nel senso che si è voluto escludere dalla direzione del giornale un cittadino straniero, e non introdurre simile esclusione per quello che riguarda la proprietà del giornale. Se ci sono di quelli che vogliono escludere il cittadino straniero anche dalla proprietà del giornale, lo possono proporre, ma noi non vediamo nessuna incongruenza in questi due articoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere l’avviso della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione insiste nella sua osservazione. Non mi persuade, me lo permetta, ciò che ha detto l’onorevole Uberti. Se alcuno è proprietario di un giornale, interviene nella politica del Paese forse più che se ne è semplicemente il direttore, perché il direttore, scelto opportunamente, balla secondo la musica che gli suona il proprietario.

Ritengo, quindi, che una contraddizione sostanziale ci sia, e a proporre di eliminarla sono indotto dalle considerazioni che ho fatto altre volte. Vi sono all’estero dei giornali italiani diretti da italiani: ve ne sono a Buenos Aires, a New York ed in altri paesi. Potrebbe darsi che, per reciprocità, il permesso di dirigere questi giornali italiani ad italiani all’estero fosse tolto, per il fatto che noi non consentiamo agli stranieri residenti in Italia di dirigere giornali in Italia. D’altra parte, vi è la questione delle riviste scientifiche. Vi sono stranieri che, per un concetto di larga ospitalità, che è tradizionale nelle nostre Università, e che è bellissimo, possono insegnare come professori ordinari nei nostri massimi istituti di cultura. Fra questi stranieri ve ne sono che hanno onorato la nostra scienza. Ricordo qui a Roma, per la storia romana, il Beloc. Noi impediremmo a questi scienziati stranieri che lavorano in Italia, di dirigere riviste di carattere scientifico.

Mi pare che questo sia un errore. E, perciò, la Commissione insiste nel denunciare una contraddizione che, se non è formale, è certamente sostanziale.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Per quello che riguarda la diversità tra i giornali e le riviste, siamo d’accordo che debba poter essere direttore di una rivista scientifica anche uno straniero; non c’è nessuna difficoltà, ma qui si parla di quotidiani. Per quanto riguarda la questione di reciprocità rilevata, la situazione degli italiani residenti in altri paesi non dà preoccupazioni; comunque, le ragioni esposte dall’onorevole Relatore sono state già considerate dall’Assemblea e, siccome al primo punto è stata manifestazione esplicita della Assemblea di togliere che la direzione di un giornale politico quotidiano sia nelle mani di un cittadino straniero, l’unica possibilità che rimane alla Commissione è quella di proporre che anche i proprietari di giornali non possano essere stranieri; cioè bisogna coordinare la norma non modificata con quella modificata.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consigliò ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Effettivamente altra cosa è essere proprietario ed altra cosa essere direttore di un giornale. Mentre potrebbe sembrare difficile perseguire uno straniero, se fosse egli direttore, non si vede perché sia accettato il principio di impedire al New York Times, alla Pravda ecc. di farsi anche delle edizioni italiane e ad una grossa azienda editoriale straniera di avere una rivista propria in Italia. Poiché dalle discussioni, peraltro, è emerso che non vi sarebbero difficoltà ad accettare la possibilità di un direttore responsabile, anche straniero, per la stampa scientifica, o anche, secondo quello che ha detto l’onorevole Uberti, per la stampa non quotidiana, forse potrebbe essere formulato in termini di legge questo concetto e forse ci si potrebbe trovare d’accordo nel votarlo. In altri termini può darsi che sia questione di formulazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Cevolotto ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione conserva la proposta. Se prevalesse la proposta dell’onorevole Andreotti, di ammettere che il direttore responsabile possa essere anche straniero, se si tratta di pubblicazioni scientifiche ecc., bisognerebbe concretarla in un emendamento, che mi pare non sia ancora maturo, e che veramente non saprei come inserire nel testo dell’articolo 5 così come è formulato.

PRESIDENTE. La Commissione, in base all’articolo 96 del Regolamento, propone di includere nel testo approvato dell’articolo 5, dopo le parole: «non appartenente alla Repubblica» le altre: «e lo straniero residente in Italia».

UBERTI. Non si può modificare una votazione fatta in modo esplicito.

PRESIDENTE. A sentire le sue argomentazioni, onorevole Uberti, si direbbe che l’Assemblea abbia votato soltanto l’articolo 6, e non anche l’articolo 5, mentre ha votato l’uno e l’altro.

L’articolo 96 del Regolamento dice che, quando alcune disposizioni votate «sembrino inconciliabili con lo scopo della legge o con alcune delle sue disposizioni», la Commissione o un ministro «potrà richiamare l’attenzione della Camera e proporre le mutazioni che gli paiano opportune».

UBERTI. Allora, si ponga ai voti il quesito se le due formule sono o meno conciliabili.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, mi permetta, la procedura non si improvvisa di volta in volta. In questo caso non si può che seguire l’articolo 96 del Regolamento che ho già citato e che, inoltre, specifica che «la Camera, sentito l’autore dell’emendamento o un altro in sua vece, un membro della Commissione e il ministro, delibera».

Non rimane, quindi, che passare alla votazione della proposta della Commissione.

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. A nome del mio Gruppo, dichiaro che noi rinnoveremo il voto dato l’altra volta.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Io dichiaro, sinceramente, che non riesco a comprendere come abbia potuto sollevarsi una simile questione. Sarà evidentemente debolezza mia nell’intendere i concetti.

L’articolo 5 riguarda i direttori dei giornali, mentre l’articolo 6 riguarda i proprietari. Nell’articolo 5 l’Assemblea ha deliberato che il direttore debba essere italiano: e questa mi pare cosa di evidenza intuitiva. Un direttore straniero sarebbe inconcepibile. Diversa è la posizione del proprietario del giornale, per cui fu ammesso all’articolo 6 che possa anche essere straniero. Ma, in questo momento, ritornare indietro sulla posizione del direttore non mi pare possibile.

SCHIAVETTI. È più delicata la proprietà che la direzione… (Commenti).

BERTONE. Intendiamoci bene: non ho nessuna difficoltà, personalmente, se si vuole modificare l’articolo 6 nel senso che il proprietario del giornale debba essere anch’esso italiano. Quello che mi importa è che gli organi responsabili di un giornale che si pubblica in Italia siano italiani.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Credo che questo problema abbia particolare importanza per le condizioni in cui si trova oggi il nostro Paese. È un problema che, una volta sollevato, non può essere lasciato passare senza risolverlo.

Sono d’accordo con l’onorevole Uberti che i direttori di giornali siano cittadini italiani. E sono anche d’accordo con l’onorevole Bertone, che sia cittadino italiano il proprietario di un giornale.

Perciò sarei favorevole che il coordinamento si facesse nel senso di vietare ai cittadini stranieri di essere proprietari o direttori di giornali quotidiani.

PRESIDENTE. Il Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione su questa nuova proposta.

CEVOLOTTO, Relatore. La dichiarazione dell’onorevole Scoccimarro porta a questo: che egli riconosce in realtà la necessità di un coordinamento, ma lo propone nel senso di togliere la facoltà allo straniero di essere anche proprietario di un giornale.

Io non ho, naturalmente, nessuna facoltà di proporre al Presidente quello che egli deve fare; vorrei tuttavia che, nel caso in cui la nuova votazione sull’articolo 5 portasse al mantenimento dell’esclusione dello straniero dal diritto di essere proprietario di un giornale, si procedesse lo stesso al coordinamento, per togliere la contraddizione, mettendo in votazione l’esclusione, per lo straniero, anche dal diritto di essere proprietario di un giornale. Che mi pare veramente eccessivo e in contrasto con l’indirizzo della nostra legislazione e forse della stessa Costituzione.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Ho già accennato l’altra volta alle ragioni per le quali, in sede di Commissione, abbiamo sostenuto la tesi che convenisse, per molte ragioni, anche di politica internazionale, sancire che lo straniero possa dirigere giornali in Italia. Ma poi v’è stato quel voto e successivamente, essendosi rilevata questa incongruenza fra i due articoli, la questione è stata risollevata e si rimase nell’intesa che ne avremmo riparlato alla fine.

Ritorno, pertanto, su una mia proposta che costituiva una formula intermedia; essa era basata sulla considerazione che già, in molti campi, si fa una distinzione fra cittadino straniero in genere e cittadino straniero residente da un certo tempo in Italia. Per trovare allora una soluzione conciliativa, io avevo proposto e tutt’ora propongo la seguente formula:

«e, sotto condizione di reciprocità, lo straniero residente in Italia da almeno cinque anni».

PRESIDENTE. Invito il Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione ritiene di potere accettare la formula transattiva proposta dall’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Uberti se accetta la proposta dell’onorevole Perassi.

UBERTI. Onorevole Presidente, intanto io ritengo, da un punto di vista formale, che la votazione già fatta sia assolutamente preclusiva. Circa poi la sostanza della questione, ritengo che la materia sia talmente delicata che un cittadino straniero, quand’anche sia residente da cinque o più anni in Italia, non dia sufficienti garanzie.

Quello che invece, secondo me, si potrebbe fare sarebbe di sopprimere, nell’articolo 6, il diritto dello straniero di essere proprietario di un giornale. Sarebbe in tal modo realizzata quella concordanza di cui dalle diverse parti si è sentita l’esigenza e ne faccio pertanto proposta formale.

PRESIDENTE. Sta bene. Pertanto la proposta dell’onorevole Uberti consiste nel sopprimere dall’articolo 6 le parole «o cittadino straniero».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Vorrei permettermi di far presente all’Assemblea che sarebbe opportuno riflettere sulla circostanza che noi, durante il corso della discussione intorno a questa legge, abbiamo sempre assimilato ai giornali le agenzie giornalistiche. Non vorrei quindi che si giungesse ad una votazione in base alla quale fosse preclusa allo straniero anche la possibilità di essere il proprietario di un’agenzia giornalistica.

PRESIDENTE. Onorevole Andreotti, il suo timore mi sembra infondato, perché l’articolo 6 dice: «Per poter pubblicare un giornale o altro periodico è necessario che il proprietario ecc.».

Non riguarda le agenzie.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. È bene però che la mia precisazione rimanga agli atti.

PRESIDENTE. Sta bene.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Vorrei chiedere alla Commissione quale è lo stato della legislazione comparata in materia. Noi oggi vorremmo precludere agli stranieri di essere proprietari di giornali in Italia; ma all’estero che cosa si fa? Non potrebbe questa disposizione anche danneggiare dei cittadini italiani all’estero?

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Ho un dubbio che vorrei manifestare all’Assemblea, cioè sulla possibilità che esistano nel nostro Paese dei giornali in lingua straniera, pubblicati e diretti quindi da stranieri. Ora, come vengono disciplinati questi casi, se votiamo questa legge? Attualmente, ve n’è uno qui a Roma, e potrebbero uscirne degli altri. E io non credo che sia un punto che possiamo trascurare, anche perché – come è stato osservato – si potrebbero avere ripercussioni sfavorevoli su giornali italiani pubblicati in paesi stranieri.

Mi sembra che anche questo punto sia da prendere in considerazione.

PRESIDENTE. Onorevole Treves, in fondo è lo stesso problema che ci si era posto in relazione alla direzione dei giornali, ma che tuttavia l’Assemblea ha risolto in maniera tale da dimostrare che questa preoccupazione non è sufficientemente valida per provvedere in conseguenza.

Passiamo ai voti.

Porrò dapprima in votazione la formulazione dell’onorevole Uberti, che può considerarsi come un emendamento alla proposta della Commissione.

TREVES. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Dichiaro, a nome del mio Gruppo, che voteremo la formulazione della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Uberti di sopprimere al secondo comma dell’articolo 6 l’inciso «o cittadino straniero».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Onorevole Cevolotto, vi sono altre questioni di coordinamento?

CEVOLOTTO, Relatore. Vi è un’altra questione, sulla quale richiamo l’attenzione dell’onorevole Presidente.

Noi abbiamo oggi votato un articolo, il 28, che si riferisce alle disposizioni dell’articolo 14 e degli articoli 15 e 23.

Per l’articolo 15 mi pare che quando l’abbiamo votato abbiamo tenuto conto di un emendamento dell’onorevole Titomanlio, coordinato con altro emendamento dell’onorevole Russo Perez e altri, stabilendo penalità per la mancata pubblicazione delle rettifiche. Così il contenuto dell’articolo 28 diventerebbe superfluo e contradittorio e bisognerebbe stralciarlo. Si tratta insomma di mantenere l’articolo 14 come è stato votato e di togliere il 28.

PRESIDENTE. Onorevole Cevolotto, si provvederà a questo in sede di coordinamento formale, al quale ella stessa dovrà collaborare insieme con l’Ufficio di presidenza.

Comunico che l’onorevole Guerrieri Filippo, unitamente agli onorevoli Uberti, Notarianni, Guerrieri Emanuele e numerosi altri, ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, constatato il continuo crescente divulgarsi della stampa oscena e scandalistica nelle varie sue forme e manifestazioni e il conseguente irreparabile danno alla saldezza morale del Paese e in modo particolare della gioventù, invita il Governo ad una rigorosa applicazione delle norme in merito vigenti».

L’onorevole Guerrieri ha facoltà di svolgerlo.

GUERRIERI FILIPPO. Onorevole signor Presidente, onorevoli colleghi, quello che andrò brevemente illustrando è un modestissimo ordine del giorno che si ricollega a precedenti interrogazioni specifiche presentate in merito sia da me che da altri colleghi dei vari settori. Non ha quest’ordine del giorno nessun carattere politico, aveva bisogno di un po’ di serenità anche nell’Aula e l’ha trovata, quella serenità che consente di dire e comprendere le cose nella loro intima essenza. Nessuna pretesa politica adunque; la politica sta diventando per me ogni giorno una cosa sempre più triste e sempre più amara, ma soltanto idee personali di schietta umanità e soltanto nella mia qualità di cittadino e di padre di famiglia.

È la mia una povera voce che vorrebbe però, partendo dal cuore arrivare al cuore, al cuore di tutti indistintamente, al di sopra e al di fuori di partiti, per il raggiungimento di un superiore fine comune che supera ogni altra diversa e controstante ideologia, cioè restaurare e rafforzare nel nostro Paese la morale pubblica anche per mezzo della stampa, morale oggi così tanto compromessa. E non sarebbe forse male, anzi forse bene, che in simile materia, voci del genere, certo di persone di me più autorevoli, fossero più spesso espresse ed ascoltate anche in questa Assemblea.

È vero che la parola morale ha un significato ampio che investe tutto e tutti interessa ugualmente a prescindere dalle singole qualità personali; ma nella fattispecie trattasi di un settore di essa quasi, direi, riservato all’ambito familiare, dove è e vuol restare viva quella tradizione di onestà e di purezza che gli è sempre stata propria. Io non so e non oso dare consigli, lo dico a me stesso: se nelle commissioni che elaborano questi progetti legislativi fossero incluse rappresentanze di madri e padri di famiglia, e magari ne costituissero la prevalenza, forse molte divergenze potrebbero essere appianate e molti punti di disaccordo ritrovarsi e risolversi in una comune intesa; poiché nessuno può mettere in dubbio che tutti i genitori, con la stessa intensità e lo stesso amore, sono gelosi custodi della sanità spirituale dei loro figli. Lasciatemi credere ed affermare che se anche per questa legge si fosse in tal modo operato, la discussione non sarebbe stata turbata da fantasmi e preoccupazioni politiche; avrebbero prevalso i valori dei sentimenti affettivi e familiari, ed essa sarebbe stata integralmente approvata.

Pur tuttavia, anche in mezzo ai dissensi, è apparsa evidente l’esistenza e la gravità del problema morale cui si riferisce il mio ordine del giorno e che impone di essere affrontato senza indugi di sorta.

La stampa oscena è in Italia in allarmante progressivo sviluppo; se fosse lecito in proposito parlare di fioritura, direi che è in crescente fioritura! Ogni giorno un giornale pornografico di più, ogni giorno una maggior oscenità che viene ostentata in tutte le edicole, in tutte le strade, in tutte le piazze di tutte le città, niente e nessuno rispettando o risparmiando. Siamo giunti a tal punto che non sembra si possa più porvi rimedio. Di qui l’urgenza e l’importanza della legge testé discussa, che doveva avere migliore fortuna e che non ha liberato il mio animo da molta perplessità e da molta inquietudine. Credete invero, onorevoli colleghi, che per salvare una situazione tanto incresciosa, come del resto tante altre analoghe, sia sufficiente formulare delle leggi? Credete che sia proprio questo l’elemento risolutivo ed essenziale del problema di cui trattiamo o non invece l’applicazione concreta e costante delle leggi stesse? Credete che valga il numero? Non pare. In Italia, come in Francia, vi è abbondanza di norme, ma troppo spesso vengono dimenticate, non contrastando così ma aggravando il male chiamate a riparare. Anche per la stampa immorale non è chi non veda che si ripete la stessa cosa. Le leggi si aggiungono alle leggi, ma la loro applicazione è tanto tarda e tanto rara che hanno perduto qualsiasi efficienza; se l’articolo 528 del Codice penale e le altre disposizioni che regolano la medesima materia non fossero restate «lettera morta», non saremmo giunti al punto oggi lamentato.

L’articolo che ho ricordato se è vero che è inserito in un Codice fascista è altrettanto vero però che richiama una saggia norma zanardelliana che prevede e punisce per l’appunto la stampa oscena, ma assai raramente vi si fa appello, anche da chi pure lo dovrebbe per ragioni del suo ufficio, giacché il reato in esso articolo contemplato è d’azione pubblica e non richiede pertanto sollecitazione alcuna. È una indifferenza deplorevole.

Non v’è forse palazzo di questura in Italia, non v’è forse palazzo di giustizia che davanti alla porta o nei pressi non abbia un’edicola con la esposizione ben visibile ed abbondante di giornali osceni e di turpi riviste, ma l’azione, obbligatoriamente repressiva per dovere e per legge, quasi mai giunge e provvede.

Occorrono restrizioni più adatte e severe; questo è pacifico, ma intanto necessita a parer mio il richiamo a quelle esistenti ed imporre il loro rispetto e punire chi le viola – senza riguardo – con sentenze di condanna esemplari. La magistratura è e deve restare indipendente, oggi ancora di più in regime democratico, non cedere né a lusinghe né a minacce, ma non è detto per questo che non possa e non debba aderire alla realtà viva del Paese e, come nel caso in esame, rispondere alle sue imprescindibili esigenze di ordine morale.

Cessino una volta tanto anche le diverse e contrastanti decisioni in materia. La scienza e l’arte non debbono servire di copertura ai trasgressori della legge, né l’una né l’altra possono confondersi con l’oscenità, le differenzia una netta demarcazione che non può sfuggire ad uomini d’intelletto e di sensibilità quali sono i giudici italiani.

Onorevoli colleghi, vi è anche un’altra legge, quella del 31 maggio 1946, ma uguale è la sorte, dimenticanza ed irrisione. Se avessimo al riguardo dati statistici sono sicuro che sarebbero quasi o completamente negativi. Eppure quanta propaganda contro la procreazione si va impunemente facendo! Quante pubblicazioni maliziosamente truccate con pseudo rivestimento scientifico si vanno diffondendo! E quanto grave il danno! Anche sotto questo particolare profilo occorre che la legge alla quale mi riferisco abbia la sua attuazione effettiva. Anche qui nessun preconcetto, nessun timore di nostalgici ritorni fascisti; per noi la procreazione è solo l’obbedienza ad un comandamento umano e divino cui è colpa sottrarsi; noi vogliamo oggi dei figli non per dare loro domani dei moschetti e farne dei soldati di ventura ma per dar loro dei libri sani ed onesti e farne dei buoni cittadini come al tempo del «Cuore» che consentì alla nostra lontana giovinezza di arrivare a Vittorio Veneto, nel cui splendore vivremmo ancora se quel libro si fosse continuato a leggere dalle altre generazioni. Questa è la penosa situazione in rapporto alla stampa oscena e scandalistica in Italia. Onorevole Andreotti, si faccia sì che il Governo tuteli e difenda appieno la libertà della stampa degna di tale nome, ma con altrettanto vigore e rigore reprima quella che tale nome offende e deturpa con la sua immoralità.

Osservate e rammentate. Se un povero uomo costretto dalle sua miseria ruba un pezzo di pane, tutti si levano contro di lui e lo mandano in galera. Contro i sovvertitori dell’ordine morale che bruciano la carne e rubano l’anima dei nostri figlioli nessuno si muove. Siano anch’essi perseguiti e puniti e, se indulgenza vi ha da essere, sia per chi ruba per fame di pane non per gli altri: è un’altra ignobile fame di danaro e di male, e non sono mai sazi. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Guerrieri, di cui do nuovamente lettura:

«L’Assemblea Costituente, constatato il continuo crescente divulgarsi della stampa oscena e scandalistica nelle varie sue forme e manifestazioni e il conseguente inseparabile danno alla saldezza morale del Paese e in modo particolare della gioventù, invita il Governo ad una rigorosa applicazione delle norme in merito vigenti».

(È approvato).

Invito ora la Commissione a riunirsi e a riferire nel più breve termine sulla proposta pervenuta alla Commissione stessa, che l’onorevole Scoccimarro ha dichiarato di fare sua.

Sull’esame dei progetti per l’emblema della Repubblica.

PRESIDENTE. Frattanto, mentre i nostri colleghi della Commissione assolveranno questo compito, vorrei interrogare brevemente l’Assemblea su un’altra questione che non è all’ordine del giorno, ma su cui dovremo prendere qualche decisione. Si tratta della scelta dell’emblema della Repubblica.

Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 ottobre 1946, in esecuzione del decreto legislativo presidenziale 29 giugno 1946, n. 1, che autorizza la nomina di una Commissione per lo studio dell’emblema della Repubblica, è stata istituita una Commissione incaricata appunto di «studiare l’emblema della Repubblica e di presentare i risultati dell’opera sua alla Presidenza del Consiglio, che li sottoporrà all’Assemblea Costituente».

La Commissione fu insediata, indisse un concorso, ricevette molti disegni e progetti e procedette ad una scelta di quelli più degni di considerazione. Questi disegni si trovano attualmente esposti in una sala nella sede dell’Assemblea. (Commenti prolungati). Mi compiaccio della sensibilità artistica della maggioranza dei membri dell’Assemblea, ma mi permetto concludere questa breve relazione. Dicevo dunque che i disegni sono stati esposti in una sala nella quale ogni collega ha avuto certo occasione di passare molte volte; e molti si saranno chiesta la ragione di quella insolita esposizione. La ragione è appunto quella che l’Assemblea deve esaminare la questione dell’emblema della Repubblica; deve farlo, considerando anche i disegni esposti, che nulla vieta di non accettare in blocco.

Qualunque sia la decisione cui l’Assemblea perverrà, occorre seguire la normale procedura, cominciando col nominare una Commissione che, esaminati la questione e i disegni esposti, sottoponga all’Assemblea proposte concrete.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il bozzetto premiato dall’apposita Commissione presieduta dall’onorevole Bonomi è stato presentato alla Costituente, ma senza la convinzione da parte del Governo che fosse tale da poter essere poi prescelto come stemma della Repubblica.

Certamente fu il migliore di quelli presentati alla Commissione. Si tratta ora di vedere se questo giudizio relativo può essere preso a base per una scelta. Poiché ad opera degli uffici della Presidenza del Consiglio sono stati fatti eseguire, ma senza la procedura di un concorso, nuovi bozzetti da parte di artisti ed anche da parte di persone molto modeste del Poligrafico dello Stato, tali bozzetti, non privi di valore artistico, potrebbero essere sottoposti alla considerazione dell’Assemblea insieme con quello premiato dalla Commissione. Se l’onorevole Presidente crede, all’in– fuori di qualunque particolare procedura, noi potremmo domani sottoporre all’Assemblea Costituente tutti questi nuovi bozzetti, affinché possa procedersi ad una scelta.

PRESIDENTE. Credo che possiamo senza altro accettare la proposta dell’onorevole Andreotti, e cioè di sottoporre al giudizio della Commissione – che provvederemo subito ad eleggere – anche i bozzetti presentati all’infuori dei termini regolamentari stabiliti nel concorso.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. In materia d’arte sono profano, ma siccome qualche cosa posso anche comprendere, esprimo il mio avviso. Di fronte alla proposta di esaminare altri progetti, una Commissione non può onestamente discutere di concorso e di aggiunta al concorso stesso. È un problema che apparentemente ha poca importanza, ma simbolicamente ne ha molta. Decidere negli ultimi giorni su questo argomento mi pare, non dico eccedere i nostri compiti, ma fare una cosa troppo sollecita e poco seria. Quindi, domando che si rinvii questa materia alle future assemblee legislative. (Commenti).

RUSSO PEREZ. Non potrebbe rimanere la bandiera come era?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Non parliamo di bandiera: si tratta dello stemma dello Stato.

PRESIDENTE. Onorevole Bubbio, nessun danno si potrà avere dal fatto della presa di conoscenza o di visione di questi disegni. Resterà sempre aperta la via di declinare il compito della scelta immediata e di invitare il Governo a provvedere altrimenti, con la collaborazione del futuro Parlamento. Vi è ora la questione se la Commissione deve essere eletta dall’Assemblea oppure nominata dalla Presidenza.

Voci. Dalla Presidenza.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, rimane allora inteso che la Presidenza nominerà la Commissione.

(Così rimane stabilito).

Pregherò i colleghi che chiamerò a questo incarico artistico di volervi provvedere con una certa sollecitudine. D’altra parte, poiché i bozzetti residuati del primitivo concorso sono pochissimi e suppongo che i nuovi non siano numerosi, il lavoro della scelta non sarà lungo. Sospendiamo ora la seduta fino alle 18.30, nella speranza che la Commissione, che ha preso in esame l’ultimo emendamento al progetto di legge sulla stampa, ci porti le sue decisioni.

(La seduta, sospesa alle 18.10, è ripresa alle 18.35).

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea i nomi dei componenti la Commissione incaricata di esaminare i disegni dell’emblema della Repubblica italiana: Maffi, Lussu, Guidi Cingolani Angela, Cevolotto, Giannini, Condorelli, Pieri, Mazzoni, Conti, Candela e Russo Perez.

Si riprende la discussione del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa. (15).

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Cevolotto di voler riferire sulle conclusioni della Commissione circa la proposta dell’onorevole Scoccimarro.

CEVOLOTTO, Relatore. La prego di voler dare la facoltà di parlare all’onorevole Scoccimarro, che credo non insista sul suo emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di parlare.

SCOCCIMARRO. In seno alla Commissione l’onorevole Perassi ha sollevato l’obiezione che l’articolo di legge da proporre per sodisfare la richiesta pervenuta alla Commissione sarebbe incostituzionale, perché in contrasto con una norma precisa della Costituzione. Dopo questa constatazione, non potevo fare altro che ritirare la proposta avanzata. La Costituzione esiste e dobbiamo rispettarla.

Tuttavia, io ho esposto alla Commissione le ragioni che mi avevano indotto a fare mia quella proposta, per cui, una volta posta la questione in Assemblea, questa non poteva rifiutare di prenderla in considerazione.

In taluni casi di procedimento per profitti di regime, in relazione a proprietà di giornali, vi sono particolari situazioni sulle quali prego la Commissione di richiamare l’attenzione del Ministro delle finanze, di richiedere tutte le informazioni in merito e di riferire poi all’Assemblea, prima della votazione a scrutinio segreto del disegno di legge.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione assumerà queste informazioni e riferirà all’Assemblea.

COPPI. Come possiamo subordinare la votazione alle informazioni? (Approvazioni al centro).

MATTARELLA. Chiedo di parlare.

RESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTARELLA. L’onorevole Scoccimarro ha accennato a una eccezione di incostituzionalità dell’emendamento che egli aveva proposto, facendo sua la proposta del profugo di Pola. Ora non credo che l’incostituzionalità o meno della norma possa essere influenzata dalla qualunque risposta che può venire dal Ministero delle finanze. O è incostituzionale, o non lo è. E, se siamo d’accordo che costituirebbe una limitazione non ammessa dalla Costituzione, tanto che per l’elettorato passivo ed attivo abbiamo dovuto far ricorso a una disposizione transitoria, credo che potremmo chiudere stasera la discussione sulla legge e procedere, quando sarà opportuno, magari domani, alla sua votazione, senza attendere i risultati della proposta indagine, che non può essere pertinente ai fini della legge.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Ritengo che l’onorevole Scoccimarro possa presentare un’interrogazione con richiesta di risposta scritta al Ministro delle finanze.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione è a disposizione dell’Assemblea: quel che l’Assemblea le chiederà di fare essa farà.

PRESIDENTE. Dato che l’onorevole Scoccimarro ha dichiarato di ritirare la proposta formulata come emendamento, le ulteriori questioni sono al di fuori del disegno di legge e delle votazioni relative. Può pertanto considerarsi chiusa la discussione del disegno di legge che reca disposizioni sulla stampa, che sarà votato a scrutinio segreto nel suo complesso all’inizio della seduta pomeridiana di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le ragioni per cui non si è creduto mettere in atto il progetto già approvato il 18 giugno 1938, in merito alla ricostruzione della scala di accesso alla monumentale Cattedrale di Foggia.

«Se ritiene che il ritorno alla ricostruzione di uno scalone demolito non suoni offesa all’arte, alla conservazione dei nostri monumenti ed al senso artistico di una popolazione, gelosa delle sue tradizioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Miccolis».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, circa il motivo, per cui non furono trasmesse, fin dal principio dell’anno scolastico, e non sono state impartite a tutt’oggi ai capi d’Istituto chiare disposizioni intorno ai programmi per gli esami di maturità e d’abilitazione delle sessioni 1947-48, in modo che i candidati conoscano se dovranno essere esaminati nelle materie dell’ultimo anno di studio o anche nelle materie degli anni precedenti o in una parte di esse, e in modo che gli insegnanti possano conformare tempestivamente la loro attività didattica alle disposizioni medesime. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bartalini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, sulle manchevolezze dei programmi per l’insegnamento della storia contemporanea nelle scuole della Repubblica e precisamente sull’urgente opportunità di sostituire, anche per l’anno scolastico in corso, quelli ancora in vigore, impartiti dalla cosiddetta Commissione alleata, nei quali si contengono ridicole disposizioni, come le seguenti, che valgono soltanto a disorientare gli insegnanti più volonterosi: «Ripresa di coscienza generale dei fondamentali problemi umani nel corso della storia e presa di coscienza dei più gravi problemi ancora insoluti e delle nuove aspirazioni di collaborazione sociale e internazionale». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bartalini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere per quali vie intenda riconoscere ai profughi giuliani il diritto di voto nelle località dove risiedono. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Calosso, Vigorelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere che cosa intende fare il Governo per assicurare la diffusione degli alberghi per la gioventù, al fine di suscitare il turismo giovanile e scolastico, giacché è palese che il ritardo frapposto al riconoscimento giuridico dell’Associazione italiana alberghi per la gioventù ed al conseguente finanziamento di essa, già ora compromettono l’iniziativa; e quale è il programma governativo per l’idoneo appoggio morale e finanziario presente e futuro di questo organismo, al fine di garantirne la funzionalità al di fuori delle influenze politiche, e per evitare che in questo campo perduri l’assoluta inferiorità dell’Italia nei rapporti di tutte le Nazioni civili.

«L’interrogante chiede inoltre se la Presidenza del Consiglio non ritenga di dover far dar corso a quanto disposto per la trasformazione in alberghi per la gioventù di un certo numero di immobili ex G.I.L. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Calosso».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri di grazia e giustizia e della difesa, per conoscere se non ritengano indispensabile, ai fini di un atto generale di clemenza, che, nell’amnistia per la Costituzione della Repubblica, siano compresi anche i reati militari finora esclusi da amnistia o solo toccati dal condono condizionato e gli altri esclusi da ogni misura di clemenza, come quelli commessi a danno delle forze alleate; reati tutti strettamente derivati dalla situazione politica in cui, a causa del fascismo e della guerra, si è trovato il Paese.

«Per conoscere ancora se non sia obbligatoria l’esclusione, da ogni misura di clemenza, dei reati commessi dai criminali di guerra e dai comandanti in guerra. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Lussu, Pertini. Longo, Nasi, Azzi, Zanardi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli affari esteri, per sapere se sono stati informati che numerosi lavoratori italiani emigrati in Francia sono stati espulsi, ed altri sono minacciati di espulsione per aver partecipato agli scioperi che hanno avuto luogo recentemente in quel Paese.

«In tal caso, premesso che i lavoratori italiani in Francia hanno diritto alla eguaglianza di trattamento economico e di diritti sociali con i lavoratori francesi – e che pertanto i nostri emigranti hanno il diritto ed il dovere di partecipare agli scioperi decisi dall’organizzazione sindacale francese – gli interroganti chiedono se il Governo italiano è intervenuto presso quello francese per domandare il ritiro delle espulsioni eseguite e la garanzia per i nostri connazionali di non essere sottoposti alla continua minaccia di espulsione. In caso contrario, quali misure intende prendere il Governo per proteggere i lavoratori italiani in Francia.

«Si prega una chiara risposta, dato che in base ad essa le organizzazioni sindacali qualificate dei lavoratori italiani potrebbero essere indotte a rivedere la loro posizione sulla emigrazione italiana in Francia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Di Vittorio, Ravagnan, Fiore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere quali provvedimenti intenda prendere onde aumentare l’efficienza e accelerare il lavoro della Commissione medica di Udine per le pensioni di guerra; risultando da autorevoli informazioni che – contrariamente alle informazioni pervenute al Ministero, e comunicate nella risposta del Sottosegretario di Stato in data 19 dicembre 1947 a precedente interrogazione – sarebbero oltre 4000 le pratiche in corso presso la detta Commissione. (L’interrogante chiede la risposta, scritta).

«Gortani».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se, in relazione agli accordi con l’organizzazione sindacale nazionale dei lavoratori della terra, abbia disposto le opportune aggiunte all’articolo 4 del decreto legislativo 12 agosto 1947, n. 975, relativo al decreto legislativo 1° aprile 1947, n. 273, inerenti la proroga dei contratti agrari di mezzadria e di affitto, nel senso di considerare annata agraria anche quella che abbia inizio fra il 1° gennaio ed il 1° marzo, e che la proroga sia estensibile anche ai contratti di mezzadria, conformemente all’articolo 1 della legge 1° aprile 1947, n. 273.

«Per sapere inoltre in quale considerazione il Ministro abbia tenuto la lettera del prefetto di Pistoia, in data 7 novembre 1947, n. 951, nella quale era fedelmente riprodotta la situazione che si era venuta a creare nella provincia di Pistoia, in seguito alle disdette ed all’atteggiamento della magistratura locale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Maltagliati, Bardini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri del lavoro, dell’interno, delle finanze e del tesoro, per conoscere come intendono tutelare gli interessi delle categorie dei professionisti e artisti.

«Al riguardo gli interroganti fanno presente che l’Ente che ha la legale rappresentanza e la tutela delle suddette categorie è la Confederazione generale italiana dei liberi professionisti e artisti (C.G.I.L.P.A.), la quale deve perciò essere considerata come l’unico soggetto avente diritto alla successione della disciolta Confederazione fascista professionisti e artisti.

«La situazione impone urgentemente l’intervento del Governo perché siano evitati ulteriori atti, da parte dei Commissari liquidatori, lesivi del patrimonio e degli interessi delle categorie e perché siano adottate le provvidenze necessarie affinché la tutela degli interessi medesimi sia affidata a chi ne ha la legale rappresentanza. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Reale Vito, Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere – date le precarie condizioni di gran parte delle opere di pittura del nostro patrimonio artistico, e date anche le insistenti voci su gravi danni che sarebbero stati arrecati da restauratori inesperti – se l’Istituto centrale del restauro abbia effettivamente risposto alle precise finalità per le quali fu creato, e cioè, esecuzione e controllo del restauro, studio dei mezzi tecnici per la migliore conservazione delle opere, scuola del restauro.

«Si chiede, inoltre, se il rendimento dell’Istituto giustifica la vasta attrezzatura tecnica e l’onere finanziario che comporta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se intenda o meno disporre inchiesta a carico dell’Amministrazione civica del comune di Ariano Irpino (Avellino), in relazione alla gestione della quale l’interrogante ebbe a presentare formale specifica denunzia nelle mani del Sottosegretario di Stato onorevole Marazza.

«Il bilancio del Comune predetto ha un deficit di 18 milioni e risulta intanto che il sindaco in carica ha fatto passare gran parte delle entrate attraverso l’economato, sottraendole ai controlli di legge, per cui l’economato ha amministrato ed amministra milioni, mentre altre entrate di ingente valore il sindaco stesso ha riscosso direttamente, rendendosi contabile di fatto.

«Risulta, inoltre, che la detta Amministrazione ha erogato milioni in pretesi lavori pubblici comunali senza previe deliberazioni, senza piani tecnici, senza appalti o licitazioni comunque intese, per cui il denaro pubblico è stato sostanzialmente malversato.

«Inoltre l’Amministrazione suddetta ha conceduto per 10 anni gratis ad una ditta di favore l’unico cinema-teatro del comune di Ariano, per effetto di che, mentre privati speculatori hanno intascato ed intascano milioni, il comune di Ariano non riscuote un centesimo.

«L’Amministrazione ha anche tentato delle truffe a danno dello Stato, facendo apparire pretesi danni di guerra ad un campo sportivo per favorire una società privata di sfruttamento del campo stesso, della quale società fa parte l’istesso sindaco avvocato Franza per la interposta persona dei fratelli Francescopaolo e Giovanni.

«Ha assunto personale in estrema esuberanza, creando rami di servizio fittizi, come per la Villa comunale, per la quale, pur costituita da appena pochi metri quadrati di terreno, il Comune spende un milione all’anno per personale.

«Altri elementi gravissimi di malversazione, di interessi privati in atti di ufficio, sono stati elencati negli esposti relativi.

«Si è chiesto pure – e si insiste – perché l’inchiesta sia eseguita a mezzo di funzionario del Ministero e non dalla Prefettura di Avellino, per essersi questa addimostrata compiacente verso l’Amministrazione del comune di Ariano, diventando corresponsabile delle sue malefatte. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vinciguerra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere:

1°) se gli consti che quei pochi ufficiali e sottufficiali di complemento, che dopo 1’8 settembre, dagli aeroporti del Nord si trasferirono in volo nel Sud con i loro apparecchi, ricostituendo l’Aeronautica italiana e partecipando eroicamente, con quei velivoli e con altri forniti dagli alleati, alla guerra di liberazione, sono stati da vari mesi congedati e vivono oggi, disoccupati, una vita di stenti, di umiliazioni e di inaudita miseria, mentre, nella stessa Aeronautica:

  1. a) sono stati riammessi, solo perché in servizio permanente effettivo, tutti quegli ufficiali, anche di grado superiore, che dopo quella data si nascosero nei conventi o divennero repubblichini;
  2. b) sono stati promossi, dal 1° ottobre 1945 al 15 aprile 1947, numero 41 colonnelli al grado di generale;
  3. c) sono attualmente in servizio – nonostante che il Trattato di pace abbia limitato l’efficienza della nostra Aviazione a soli 350 apparecchi – ben 34 generali (vedi Annuario del luglio 1947) tra i quali si trovano, nei più alti posti di comando e di responsabilità, tre che furono squadristi ed altri che guidarono l’aviazione italiana nella guerra di Spagna o che furono capi dell’Aeronautica repubblichina;
  4. d) che molti ufficiali in servizio permanente effettivo, impiegati nell’Aviazione civile, percepiscono contemporaneamente i loro assegni militari e lo stipendio delle linee aeree civili;

2°) in caso affermativo, se non ritenga giusto oltreché umano, proporre al Consiglio dei Ministri che i predetti ufficiali e sottufficiali di complemento, che meritano la riconoscenza della Patria, ed ai quali esclusivamente si deve la rinascita della nostra Aeronautica, vengano sistemati col passaggio in servizio permanente effettivo per merito di guerra, conservando, come nella marina e nell’esercito, lo stesso grado e la stessa anzianità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del commercio con l’estero e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se sia vero che recentemente sia avvenuta l’importazione dalla Grecia di 12.000 tonnellate di carrube, e nell’affermativa, quali ragioni abbiano indotto ad autorizzarla, malgrado la sovrabbondanza della produzione siciliana.

«Per conoscere altresì se, anche in rapporto alla crisi attuale nel mercato di tale prodotto, che pregiudica notevolmente l’economia agricola siciliana, non si creda necessario di impedire ulteriori importazioni e di favorire invece una più larga esportazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Emanuele».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quando sarà indetto il concorso per cattedre di istituti d’istruzione media a favore delle categorie (da anni in attesa di sistemazione e finora completamente trascurate) previste dall’articolo 17 del decreto legislativo 21 aprile 1947, n. 343, tenuto pure presente che, anche a mezzo della radio, tempo addietro, l’onorevole Ministro della pubblica istruzione ebbe a dichiarare che si sarebbe provveduto per la emissione del bando di tale concorso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni per le quali da oltre cinquanta giorni una coppia di littorine si muove inutilmente sul percorso Benevento-Campobasso senza far servizio di viaggiatori, sottraendo così, per carbone, nafta e personale, oltre cinquantamila lire al giorno al bilancio dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni, per le quali non ancora è stata concessa agli agenti di custodia l’indennità di alloggio, che è, invece, concessa agli agenti di pubblica sicurezza ed ai carabinieri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se, giusta le promesse già fatte, per evitare lunghe ed inutili soste ai viaggiatori, non sia ancora possibile far coincidere a Falconara i treni rapidi Roma-Ancona con treni diretti verso l’Alta Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Filippini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere le ragioni per le quali ancora non è stato ripristinato il servizio cumulativo nel trasporto merci da e per la Sardegna.

«Tale mancato ripristino è causa di gravi danni al commercio, sia per i ritardi che derivano nelle spedizioni, sia per la maggior spesa cui vanno incontro gli speditori con ripercussioni sul costo delle merci alla produzione e al consumo, sia per la mancata garanzia dei rischi derivanti da furti, divenuti in tal modo più frequenti, e sia per il mancato coordinamento tra il servizio ferroviario e quello marittimo, che molto spessa agisce con eccessiva autonomia e con scarsa cura degli interessi dei privati, specie nelle operazioni di carico e scarico. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mannironi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere la ragione per cui, contrariamente ai pareri delle autorità prefettizie, sono state nuovamente sospese le elezioni amministrative nel comune di Civita d’Antino (Aquila), a cui viene sistematicamente preclusa la possibilità di darsi una amministrazione democratica.

«Questa quarta (!) sospensione delle elezioni, comunicata negli ultimi giorni di una campagna elettorale, che ha inevitabilmente esaltato gli animi e acuito i contrasti, pregiudica gravemente il prestigio e la serietà del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fabriani».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 18.40.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica.

Alle ore 16:

  1. Votazione a scrutinio segreto del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa.

  1. Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica.

SABATO 17 GENNAIO 1948

COSTITUENTE

CCCLIII.

SEDUTA DI SABATO 17 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

PRESIDENTE

Sull’ordine dei lavori:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Disposizioni sulla stampa (15)

Presidente

Cianca

Gullo Rocco

Gronchi

Votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Bennani, Carboni Angelo, Conti, Costa e Guidi Cingolani Angela.

(Sono concessi).

Sull’ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Credo opportuno intrattenere brevemente l’Assemblea sull’ordine dei prossimi lavori. Lunedì non si terrà seduta per modo che i membri dell’Assemblea possano studiare attentamente il disegno di legge sull’elezione del Senato, di cui saranno distribuiti domani il progetto della maggioranza e quello della minoranza.

Si terrà seduta martedì mattina e saranno posti all’ordine del giorno il disegno di legge sulla elezione del Senato ed eventualmente la conclusione della discussione di quello per le disposizioni sulla stampa.

Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa (15).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa. (15).

Ricordo che ieri la seduta è stata tolta per mancanza del numero legale a seguito della votazione nominale sulle seguenti parole dell’emendamento Moro al n. 4° del secondo comma dell’articolo 22:

«di apologia di reato ai sensi dell’ultimo comma dello stesso articolo».

Prego i colleghi che hanno fatto la richiesta di appello nominale di dichiarare se intendono mantenerla.

CIANCA. Anche a nome degli altri firmatari, la mantengo.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Signor Presidente, se noi dovessimo ora rifare la votazione che abbiamo tentato di fare ieri sera, molto probabilmente mancherebbe il numero legale, e questa volta senza bisogno di assenze momentanee. Siccome sarebbe una cosa molto dolorosa se venisse oggi a mancare il numero legale, perché si finirebbe con l’invadere anche la seduta di lunedì, che si sarebbe stabilito di non tenere, vorrei pregare il signor Presidente di voler sospendere per pochi minuti la seduta, e vorrei pregare gli esponenti dei gruppi di raggiungere, se è possibile, un accordo per l’eventuale ritiro dell’emendamento o per trovare, comunque, una formula, che ci consenta di arrivare fino alla fine della discussione ed alla votazione della legge in discussione.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Non avrei difficoltà ad accogliere la proposta del collega Gullo.

Vi sarebbe però un’altra alternativa, che potrebbe esser presa in considerazione: sospendere la discussione su questo articolo e continuarla sugli altri, per poi tornare successivamente all’articolo in questione e adottare le decisioni del caso.

PRESIDENTE. Mi pare che le due proposte non si contraddicano. Si potrebbe sospendere per breve tempo la seduta. Eventualmente, tra le altre proposte su cui si potrebbe realizzare l’accordo, v’è anche quella dell’onorevole Gronchi.

(La seduta, sospesa alle 16.25, è ripresa alle 17.40).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, poiché non è stato raggiunto alcun accordo, non ci resta che passare alla votazione per appello nominale.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione, per appello nominale, sulle seguenti parole dell’emendamento Moro aggiuntivo al n. 4° del secondo comma dell’articolo 22:

«di apologia di reato, ai sensi dell’ultimo comma dello stesso articolo».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Morelli Luigi. Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Avanzini – Ayroldi.

Balduzzi – Baracco – Bellato – Belotti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchini Laura – Bonomi Paolo – Borsellino – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro.

Campilli – Camposarcuno – Cannizzo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Caronia – Carratelli – Caso – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corsanego – Cortese Pasquale – Cremaschi Carlo.

Damiani – De Caro Gerardo – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò.

Ermini.

Fabriani – Fantoni – Ferrario Celestino – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Galati – Garlato – Gatta – Geuna – Giacchero – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo.

Jervolino.

Leone Giovanni – Lettieri – Lizier.

Malvestiti – Mannironi – Manzini – Mastino Gesumino – Mattarella – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Micheli – Montini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Ponti – Preziosi – Proia.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Recca – Rescigno – Riccio Stefano – Rivera – Romano – Rumor – Russo Perez.

Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Schiratti – Scotti Alessandro – Segni – Siles – Spataro – Storchi.

Taviani – Titomanlio Vittoria – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Rispondono no:

Amadei – Azzi.

Basile – Bencivenga – Benedettini – Bergamini – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bozzi.

Calosso – Caporali – Carpano Maglioli – Chiaramello – Corbi – Corbino – Covelli.

Fabbri – Fietta – Filippini.

Gasparotto – Giannini – Ghia – Grilli – Gullo Rocco.

Jacometti.

Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Lucifero.

Marinaro – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mazzoni – Merighi – Miccolis – Molinelli – Montemartini – Morini.

Nasi – Nitti – Nobili Tito Oro.

Perassi – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Priolo.

Reale Vito – Rodinò Mario – Rossi Maria Maddalena – Rubilli.

Sapienza.

Targetti – Tega – Treves.

Villabruna.

Si è astenuto:

Salerno.

Sono in congedo:

Bennani.

Carboni Angelo – Conti – Costa.

Guidi Cingolani Angela.

Martinelli.

Valiani.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Comunico che dal computo dei voti risulta che l’Assemblea non è in numero legale. Pertanto la seduta è sciolta e l’Assemblea è convocata per le ore 16 di lunedì, fermo restando l’ordine dei lavori fissato per martedì mattina.

La seduta termina alle 18.30.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì.

19 gennaio 1948.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa.

VENERDÌ 16 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLII.

SEDUTA DI VENERDÌ 16 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Commemorazione:

Cimenti

Congedo:

Presidente

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Disposizioni sulla stampa (15).

Presidente

Cimenti

Moro

Villabruna

Bettiol

Schiavetti

Cevolotto, Relatore

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Gullo Fausto

Togliatti

Dominedò

Manzini

Molinelli

Fabbri

Russo Perez

Scoccimarro

Targetti

Treves

Votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Commemorazione.

CIMENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIMENTI. Onorevole Presidente, l’altro ieri si è levato in questa Aula alto e solenne il grido di dolore e di protesta per il barbaro, inumano e premeditato eccidio di Mogadiscio.

Dico premeditato, perché il nome della grande maggioranza delle vittime (che io mi auguro possa esser limitato al numero riportato dai giornali, ma che sembra esser di molto superiore) era già designato, con scritte e con manifesti, all’ira dei massacratori.

Fra i caduti, il più rappresentativo per lo spirito di italianità, congiunto ad un amore del tutto particolare per la terra che da oltre un ventennio lo ospitava, figura Ivo Balsimelli, notaio e cancelliere del Tribunale di Mogadiscio, segretario della Democrazia cristiana di Mogadiscio e direttore del giornale Il Popolo, che lui stesso aveva fondato.

Non intendo commemorare il democratico cristiano, bensì l’uomo di profondi sentimenti democratici, che alla causa dell’antifascismo aveva dato tutta la sua opera, mettendo più volte a repentaglio, nel lontano 1921, la incolumità della sua stessa esistenza.

Legato a lui da fraterni vincoli di affetto, scaturiti dalle comuni lotte e sofferenze, ricordo di essere, per ben due volte, nel 1921 sfuggito con lui da pericoli, che potevano essere anche mortali, durante le distruzioni operate dalle squadre di azione agli uffici ed alla tipografia di Palazzo Filodrammatici a Treviso.

Ora – quasi a coronamento di tutta una vita spesa per la fede, per il popolo nelle opere sociali e assistenziali, per la Patria – egli è caduto mentre sosteneva i buoni diritti dell’Italia nella nostra colonia.

Ho sentito il dovere di ricordarlo in quest’Aula, pregando gli onorevoli colleghi di associarsi alle espressioni di cordoglio che intendo inviare alla sua degnissima consorte (forse a quest’ora rinchiusa in un campo di concentramento), ai suoi figlioli, fortunatamente da lei lontani, perché del padre avrebbero potuto subire la stessa sorte, ed al fratello Carlo, perseguitato politico, già tre volte Capitano reggente della Repubblica di San Marino. (Approvazioni).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Valiani.

(È concesso).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, avendo gli onorevoli Avanzini e Costa rassegnato le dimissioni da componenti della Commissione speciale per il disegno di legge sulla elezione del Senato della Repubblica, ho chiamato a sostituirli gli onorevoli Bovetti e Carpano Maglioli.

Comunico, inoltre, che l’onorevole Mazza, il quale faceva parte del Gruppo parlamentare misto, si è iscritto a quello della Democrazia cristiana.

Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa. (15).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa. (15).

Ricordo che dobbiamo ora esaminare l’articolo 21 nel testo della Commissione che riprende il contenuto dell’articolo 26 del testo governativo, soppresso nel testo della Commissione e del quale l’onorevole Cimenti chiede il ripristino. L’articolo 26 è del seguente tenore:

«Ai fini dell’applicazione degli articoli 528 e 529 del Codice penale, per le pubblicazioni destinate all’infanzia o all’adolescenza si ha riguardo in modo particolare alla sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti».

Possiamo congiuntamente esaminare i due testi o riassumerli così come la Commissione propone, oppure dare un altro rilievo con una formulazione contenuta nell’antico articolo 26. Ciò deciderà l’Assemblea.

Si dia lettura dell’articolo 21 nel testo della Commissione.

RICCIO, Segretario, legge:

«Pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante.

«Le disposizioni dell’articolo 528 del Codice penale si applicano anche nel caso di stampati periodici prevalentemente rivolti a descrivere od illustrare con particolari impressionanti o raccapriccianti avvenimenti realmente verificatisi od anche soltanto immaginari, in modo da turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da provocare il diffondersi di manifestazioni suicide o delittuose.

«Le pene degli articoli 528 e 529 del Codice penale sono aggravate nel caso di pubblicazioni che non abbiano riguardo alla sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Moro e Dominedò hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Le disposizioni dell’articolo 528 del Codice penale si applicano altresì nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari e siano pertanto idonei a turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare od a provocare il diffondersi di omicidi o delitti.

«Le disposizioni dell’articolo 528 del Codice penale si applicano anche alle pubblicazioni destinate ai minori degli anni diciotto, quando per la sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti siano comunque idonee ad offendere il loro sentimento morale o costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto o al suicidio. Le pene in tali casi sono aumentate».

CIMENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIMENTI. Io avevo chiesto il ripristino dell’articolo 26 che in questo caso dovrebbe avere la numerazione 26-bis.

PRESIDENTE. La numerazione è semplicemente un problema di coordinamento. Mi pareva di aver fatto un piccolo preambolo abbastanza chiaro, che cioè noi esamineremo insieme i testi degli articoli 26 e 21.

L’articolo 21, d’altra parte, nella sua seconda parte, riprende integralmente il testo dell’antico articolo 26, e pertanto la sua richiesta era già stata esaurita in precedenza.

CIMENTI. Ho presentato anche un emendamento all’articolo 21.

PRESIDENTE. Tutta la sua proposta si risolve nel ritornare a scindere la materia. Di ciò si potrà parlare dopo. L’importante è la sostanza; che poi si abbiano due articoli separati o un articolo solo, è questione di rilevanza secondaria.

L’onorevole Moro ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MORO. Le modificazioni da me proposte all’articolo 21 si limitano ad alcuni punti, restando invariata l’intonazione generale dell’articolo. Ora dovrei appunto chiarire brevemente la ragione delle modificazioni da me proposte.

Innanzi tutto, per la prima parte dell’articolo 21, io propongo che si parli non di stampati periodici, come è detto nel testo della Commissione, ma di stampati senz’altro, comprendendo così nell’incriminazione che si compie con l’articolo 21 non soltanto gli stampati periodici, ma anche quelli non periodici, i quali, dal punto di vista della tutela della moralità, che noi abbiamo di mira, possono essere più pericolosi che gli stessi stampati periodici. Faccio notare ai colleghi che, se restasse l’indicazione limitativa contenuta nell’articolo 21, evidentemente sarebbe facile eludere questa norma, stampando numeri unici, supplementi o altri simili, sottraendo così una rilevantissima materia alla giusta incriminazione dell’articolo 21.

Inoltre io propongo si sopprima la parola «prevalentemente» che è stata introdotta nel testo della Commissione, modificando con ciò il testo del Governo. Ciò vuol dire che gli stampati, per incorrere nell’incriminazione di cui all’articolo 21, devono essere prevalentemente rivolti a descrivere o illustrare con particolari impressionanti o raccapriccianti, ecc. e cioè che essi devono con continuità essere rivolti a questo fine? Allora evidentemente la norma diventa inapplicabile, perché bisogna rifare la storia di quella pubblicazione, per vedere se essa è continuamente diretta, e quindi prevalentemente diretta allo scopo di destare quelle ripercussioni morali che vogliamo evitare.

Se poi con l’espressione «prevalentemente» non si volesse considerare il complesso della pubblicazione, ma un solo numero, per limitare l’incriminazione ai casi nei quali esso, nella sua prevalenza abbia effetto impressionante e raccapricciante secondo l’indicazione dell’articolo, evidentemente renderemmo anche in questo modo la norma praticamente inapplicabile e verremmo a dire che non possa essere commesso reato di oscenità ai sensi di questo articolo, se non in quanto esso si manifesti con una consistenza che sia, dal punto di vista materiale nella pubblicazione, di carattere prevalente.

Propongo un’altra modificazione: e cioè nell’ultima parte del primo comma dell’articolo 21, chiedo che si dica che gli stampati costituenti reato ai sensi di questo articolo siano quelli idonei a turbare il comune sentimento della moralità o l’ordine familiare, ecc. Domando cioè che questa incriminazione abbia carattere di reato di pericolo. Non occorre perciò, a mio parere, che, secondo gli accertamenti del giudice, si sia verificato il turbamento del comune sentimento della morale o dell’ordine familiare: si richiede soltanto che nella valutazione del giudice questi stampati siano in astratto idonei a turbare questi beni giuridici. Non si richiede che il bene giuridico della moralità sia in atto turbato, ma si richiede soltanto che vi sia idoneità generica a turbare questi beni giuridici di importanza fondamentale.

Un’altra variante di forma è nell’ultima parte del primo comma dove, invece di dire «manifestazioni suicide o delittuose», domando, per una ragione estetica, che si dica «il diffondersi dei suicidi o delitti».

La seconda parte da me proposta all’articolo 21 intende dare una qualche correzione tecnica alla seconda parte dell’articolo 21, così come fu prospettata dalla Commissione, obbedendo ad una nobile ispirazione della quale si era fatta portatrice la collega signora Merlin. La norma originaria contenuta nell’articolo 26 del testo governativo, poi soppressa, era questa: dare una norma di carattere interpretativo, cioè indicare in quali casi si possa considerare verificato il reato di pubblicazione oscena, avuto riguardo alla particolare sensibilità dell’infanzia e della gioventù. Questa finalità interpretativa sembrò alla Commissione malamente espressa nell’articolo 26; ed è per questo che essa accedette alla formulazione contenuta nell’ultima parte dell’articolo 21, la quale però volle raggiungere un altro obiettivo: non dare soltanto una norma interpretativa del reato di pubblicazione oscena, ma aggravare la pena tutte le volte che fosse in giuoco la moralità dell’infanzia e della gioventù. Mi sembra che entrambe le finalità debbano essere realizzate ed è per questo che mi sono permesso di formulare una norma che io ritengo più chiara e tecnicamente più corretta, Io cito la disposizione dell’articolo 528, perché è il solo che contenga disposizioni incriminatrici. Inoltre affermo che esse sono applicabili, quante volte possa riscontrarsi una oscenità consistente nel turbamento della coscienza dei fanciulli e dei giovinetti in vista della sensibilità propria di essi. Cioè si domanda al giudice, nel fare l’accertamento del reato di pubblicazione oscena, che tenga conto che vi è una sensibilità particolarmente viva e, in alcuni casi, morbosamente viva, tanto che nei confronti di essa si verifica il caso di pubblicazione oscena.

Pertanto io dico: «quando per la sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti gli stampati siano comunque (ed intendo chiarire che si tratta di una norma interpretativa, la quale vuole allargare la portata della disposizione dell’articolo 528) idonee ad offendere (reato quindi di pericolo) il loro sentimento morale e costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto ed al suicidio». «Le pene – aggiungo – in tali casi sono aumentate». Così si dà una norma interpretativa e si dispone insieme un aumento di pena, per realizzare una più sicura tutela della moralità, così gravemente minacciata, della nostra gioventù. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Cimenti ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire l’articolo 21 (testo della Commissione) col seguente:

«Gli stampati che descrivono o illustrano, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti – reali od immaginari – che turbino il comune sentimento della morale e dell’ordine familiare, oppure che diffondano manifestazioni suicide o delittuose, costituiscono reato ai sensi dell’articolo 528 del Codice penale».

«Ripristinare l’articolo 26 del progetto governativo, aggiungendo dopo le parole: alla sensibilità, le seguenti: impressionabilità e suggestione che le medesime possono suscitare nell’animo dei fanciulli e degli adolescenti».

Ha facoltà di svolgerli.

CIMENTI. Anch’io propongo la soppressione della parola «prevalentemente».

Non sono giornalista e tanto meno proprietario di giornale; non sono neppure giurista e forse la presenza di tanti giuristi in quest’Aula mi mette in molta soggezione; però sono padre di famiglia, onorevoli colleghi, e sono profondamente preoccupato della sanità fisica e della sanità morale non soltanto dei miei figli, perché io sento in questo momento la responsabilità di seicentomila padri di famiglia, che rappresentano oltre 5 milioni e mezzo di figliuoli.

Per questa ragione noi siamo profondamente preoccupati, dato che l’aria stessa che respiriamo, mentre contiene da una parte i germi di quella triste malattia, che è la tubercolosi fisica, dall’altra contiene, in una forma spaventosa, i germi di una tubercolosi morale.

Chiedo, quindi, agli onorevoli colleghi di tutti i settori, di voler condividere la preoccupazione, che noi genitori sentiamo, per quel senso di responsabilità, che è innato nell’avere figliuoli, e di volere accettare l’emendamento proposto, così bene illustrato pure dall’onorevole Moro; e non soltanto per le ragioni da lui così bene espresse, ma per quelle che ora mi permetto di aggiungere.

Scopo della legge è anzitutto quello di non creare dubbi di interpretazione e di applicazione. L’avverbio «prevalentemente» si presterebbe magnificamente a diverse interpretazioni ed a diverse valutazioni.

La sussistenza del reato non può essere esclusa semplicemente perché alcuni articoli o pubblicazioni sul medesimo stampato vengono associati a quanto costituirebbe per sé oggetto di reato. La pubblicazione di uno stampato, che, secondo l’intendimento dell’editore, non è diretta prevalentemente a iscrivere l’oggetto del reato, cui si riferisce l’articolo 21, ma contiene anche l’oggetto del reato, è maggiormente pericolosa agli effetti di una buona diffusione, data la buona fede dei lettori, i quali sapendo che la pubblicazione non è tutta immorale, ma che soltanto qualche volta contiene degli articoli immorali, ne consentono più facilmente la lettura ai propri figli.

Anche per questa ragione noi chiediamo la soppressione dell’avverbio «prevalentemente» dal testo della Commissione.

Poiché ho presentato anche l’altra proposta, intesa ad ottenere che il secondo capoverso dell’articolo 21 sia restituito alla articolazione a sé stante, come precedentemente esisteva nel testo governativo, debbo insistere affinché si ritorni allo smembramento dell’articolo come proposto nel testo governativo. Sono qui a dare testimonianza alla collega onorevole Merlin, la quale in sede di Commissione dei Settantacinque ha voluto spendere una parola in difesa della moralità della stampa e quindi trovo un suffragio alla mia richiesta, che oltre alla frase: «la sensibilità propria dei fanciulli» si aggiunga anche: «la impressionabilità e la suggestione dei fanciulli e degli adolescenti». Noi non possiamo fermarci soltanto alla sensibilità, che è una cosa soggettiva nell’animo dei giovani, sviluppata in modo più o meno forte a secondo del loro carattere, quando la visione di pubblicazioni immorali nelle edicole, nei manifesti e nei quadri murali può creare il fermento che è determinato dalla impressione visiva. Per questo, caldeggio non soltanto il ritorno ad una articolazione separata, che sia conseguente all’articolo 26 proposto dal Governo, ma chiedo che sia aggiunta alla frase: «la sensibilità propria dei fanciulli», la frase: «la impressionabilità e la suggestione dei fanciulli e degli adolescenti». Non credo che su questo delicato argomento, di cui sento, per la mia posizione, la profonda responsabilità, troverò il contrasto da parte degli onorevoli colleghi. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Crispo, Villabruna e Candela hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere tutte le parole successive all’aggettivo: immaginari».

L’onorevole Villabruna ha facoltà di svolgerlo.

VILLABRUNA. Lo conservo, rinunciando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Bettiol ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: in modo da turbare, sostituire le altre: in modo da poter provocare».

Ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Mi pare di averlo già svolto nel mio intervento dell’altro giorno, nel senso che ritengo opportuno prospettare la possibilità di trasformare questo reato, da reato di danno, in reato di pericolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il comma seguente:

«Le medesime disposizioni si applicano a quei giornali e periodici che comunque si rendano ripetutamente responsabili delle descrizioni o illustrazioni di cui nel comma precedente, nonché ai giornali e periodici destinati all’infanzia, nei quali la descrizione o l’illustrazione di vicende poliziesche e di avventure sia fatta, sistematicamente o ripetutamente, in modo da favorire il disfrenarsi di istinti di violenza e di indisciplina sociale».

Ha facoltà di svolgerlo.

SCHIAVETTI. L’articolo 21 e gli emendamenti aggiuntivi che sono stati proposti, tendono a sostituire gli articoli 26 e 27 del progetto governativo, nei quali era contemplato un duplice caso: il caso della cronaca, che noi chiamiamo raccapricciante, ed il caso delle pubblicazioni che possono offendere e turbare lo sviluppo spirituale dell’animo infantile.

Ora, mi pare che per questi due generi di reato sia necessario l’elemento della continuità, perché se noi crediamo di poter incriminare una pubblicazione una volta tanto, perché desta del raccapriccio, o perché sembra atta a turbare lo sviluppo spirituale dei ragazzi, noi chiediamo troppo e sarà molto difficile che un giudice arrivi a conclusioni positive. L’elemento della continuità, nelle pubblicazioni che tendono a sviluppare certi sentimenti e che offrono certi pericoli, mi sembra necessario ed indispensabile. È per questo che io ho proposto un semplice emendamento aggiuntivo all’articolo 21 formulato dalla Commissione, articolo in cui già si parlava di «stampati periodici prevalentemente rivolti, ecc.». Ci è stato fatto noto da alcuni colleghi giornalisti che l’articolo 21 della Commissione colpirebbe in sostanza soltanto le pubblicazioni dirette per loro natura alla illustrazione dei fatti di cronaca delittuosa, pubblicazioni che sono deplorevoli e traggono la loro sola giustificazione dal desiderio del guadagno, senza nessuna preoccupazione del male sociale e spirituale che esse compiono.

Vi sono però altre pubblicazioni in cui si verifica l’eccesso lamentato: sono quelle inserite nella cronaca dei giornali quotidiani. Orbene, anche questi eccessi, a mio parere, devono essere colpiti; ma perché siano efficacemente e concretamente colpiti è necessario che vi sia l’elemento della continuità, cioè l’abitudine, a cui ho già accennato, così che il giudice possa dare il proprio responso non su una semplice infrazione, ma su una serie di infrazioni che attesti il deliberato proposito, da parte del colpevole, di dedicarsi a descrizioni e ad illustrazioni di carattere pericoloso, dal punto di vista sociale e dal punto di vista educativo.

Finalmente, nella seconda parte del mio emendamento faccio allusione ad un genere particolare di reato. Forse, non si potrebbe nemmeno chiamarlo reato, perché ho parlato dell’illustrazione di vicende poliziesche e di avventure. Voi sapete che c’è tutta una letteratura per i ragazzi, una specie di letteratura gialla infantile, che in questi ultimi tempi è diventata altrettanto pericolosa quanto la stampa oscena. Essa è difficilmente identificabile, ma produce dei guasti morali non meno importanti di quelli che produce la letteratura oscena. Questa letteratura si basa sull’eroico e sull’avventuroso, la cui esigenza è un elemento fondamentale dell’animo di tutti i ragazzi. Ma invece di portare i giovani in quell’ingenuo mondo dell’avventura, che noi abbiamo trovato durante la nostra adolescenza nei romanzi di Verne e di Salgari, questa letteratura porta i giovani in un mondo di delitti e di criminalità, la cui descrizione ed illustrazione sviluppano i peggiori sentimenti antisociali: sentimenti di violenza e di crudeltà nell’animo dei ragazzi.

Questo si ricollega un po’ all’educazione guerriera che era caratteristica del fascismo. Il fascismo non si preoccupava molto di questo, perché pensava che l’esaltazione delle forze istintive nell’animo dei giovani potesse servire domani a creare combattenti e soldati. Noi abbiamo, del coraggio militare dei cittadini, un’idea del tutto diversa. L’esperienza ci dice che per esser buoni soldati, non è affatto necessario avvelenarsi, da ragazzi, con questa letteratura criminale, ma che buoni soldati diventano più facilmente i cittadini che hanno tratto dalle loro letture giovanili, l’esaltazione delle virtù e dei valori morali che sono al fondamento dei sacrifici che, nel momento decisivo della propria storia, la Patria chiede a tutti i cittadini.

Io devo ricordare, ad esempio, che in Russia c’è una letteratura infantile la quale ha saputo risolvere benissimo questa necessità di far leva sul sentimento dell’eroico e dell’avventuroso che è proprio dei ragazzi. Io non sono molto versato nella letteratura russa, ma per quello che ho letto della letteratura infantile di quel paese, posso dire che i russi hanno risolto brillantemente questo problema. Infatti tutte le avventure che sono descritte nei libri che la Russia dedica all’educazione della propria gioventù, si basano sulla devozione alla collettività e sul sacrificio che si deve compiere, da parte dei giovani, piccoli contadini e operai, per la salvezza dei villaggi, per la salvezza del corpo sociale, per correre in aiuto delle persone minacciate.

Quello nostro attuale è invece l’ingiusto sfruttamento di questo sentimento dell’avventuroso e dell’eroico. Noi dobbiamo reagire contro questo sfruttamento. Ed è appunto a questo che tende il mio emendamento. Non vorrei che per perseguire il reato di oscenità o quello della cronaca raccapricciante perdessimo di vista la necessità di porre un freno a questa letteratura per ragazzi, che è tanto perniciosa e pericolosa per la sanità morale del nostro Paese.

PRESIDENTE. L’onorevole Cevolotto ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. Onorevoli colleghi, l’articolo 26 del testo governativo diceva: «Ai fini dell’applicazione degli articoli 528-529 del codice penale per le pubblicazioni destinate all’infanzia e all’adolescenza si ha riguardo in modo particolare alla sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti».

Niente in contrario da parte della Commissione al concetto qui espresso, ma è sembrato alla Commissione che questa norma fosse imprecisa, avesse un significato non chiaro. Perciò noi l’abbiamo trasfusa in un capoverso dell’articolo 21, che, in fondo, è più severo del testo governativo, in quanto qui si dice che: «le pene degli articoli 528-529 del codice penale sono aggravate». Noi chiediamo un aggravamento di pena per tutte le pubblicazioni, di qualunque genere, che non abbiano riguardo alla sensibilità dei fanciulli e degli adolescenti. Sembrava alla Commissione di avere portato un perfezionamento, proprio nel senso voluto dai pro-ponenti, al testo governativo. Le varie proposte che sono state fatte riguardo all’articolo 21, in sostanza mirano a trasformare quello che è ravvisato come un reato di danno in un reato di pericolo.

Io personalmente, pur essendo favorevolissimo, com’è naturale, alla persecuzione più decisa delle pubblicazioni oscene o contrarie al buon costume, dubito un po’, ho paura, di tutti gli interventi dell’esecutivo in materia di stampa, perché li trovo sempre pericolosi. Non si sa mai dove si può arrivare attraverso queste forme di incriminazione. Avevo ritenuto, come aveva ritenuto la Commissione, che il prospettare l’ipotesi delittuosa come reato di pericolo poteva portare a conseguenze non accettabili. A nostro avviso, è meglio attenersi al reato di danno, alla violazione della norma che avviene quando si commette il reato di danno. Ad ogni modo, l’Assemblea è di fronte a vari testi, i quali mirano tutti ad uno stesso fine. Si deve scegliere anche su un altro punto, che porta a diversità fra il testo governativo e gli emendamenti proposti: il testo governativo parla «di stampati periodici, prevalentemente rivolti a descrizioni, ecc.»; parla di periodici e non di stampati in genere (e quindi non anche dei libri che sono invece compresi nell’emendamento Moro) e parla di periodici prevalentemente rivolti a descrivere o ad illustrare con particolari raccapriccianti fatti avvenuti o immaginari, intendendo di chiedere proprio quella ripetizione, quella abitualità della commissione del reato su cui ebbe ad insistere l’onorevole Schiavetti, perché noi ci preoccupiamo che non sia possibile imputare un giornale semplicemente perché ha pubblicato una fotografia, in occasione di un crimine, che possa sembrare, agli occhi di lince di un procuratore della Repubblica, particolarmente sensibile, orripilante o raccapricciante.

E bene che certi particolari del delitto, che possono essere particolarmente impressionanti, non compariscano nemmeno attraverso la illustrazione dei giornali; ma la possibilità di incriminare anche i singoli fatti sporadici in questa maniera può portare molto in là; può impedire molte volte o rendere particolarmente disagevole il servizio della cronaca fotografica dei giornali.

Però in questa materia, che è delicata, ci rimettiamo a ciò che l’Assemblea crederà di decidere, non mancando di rilevare che a proposito dei «periodici prevalentemente rivolti ad illustrare o descrivere avvenimenti reali o immaginari» abbiamo avuto da parte di alcuni editori di giornali delle proteste molto vivaci, in quanto sembra che così si potrebbe limitare la libertà di stampa anche di giornali seri, i quali pubblichino resoconti giudiziari.

Vi sono (e non è difficile distinguere) in questa materia, periodici che sono veramente intollerabili. Tutti li abbiamo presenti: qualcuno ha anche un contenuto sospetto nello stesso titolo. Ma vi possono essere anche dei periodici seri che si dedicano alla cronaca o alla storia giudiziaria.

L’Assemblea veda se il testo della Commissione, così com’è, appare sufficiente a tutelare il bene giuridico che vogliamo sia protetto.

Sull’emendamento Moro mi permetterei di fare una osservazione riguardo alla seconda parte. Esso dice: «Le disposizioni dell’articolo 528 del codice penale si applicano anche alle pubblicazioni destinate ai minori degli anni 18». Non vi sono pubblicazioni destinate ai minori degli anni 18; non mi pare che sia possibile identificare questa stampa. Vi sono pubblicazioni destinate ai bambini, pubblicazioni destinate ai fanciulli, ai ragazzi; ma pubblicazioni destinate ai minori di anni 18 non ne conosco. Quindi, ove si voglia adottare il testo Moro, la espressione andrebbe, evidentemente, modificata.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Vorrei fare soltanto alcune brevissime osservazioni. Anzitutto, per quanto riguarda l’articolo 26, in relazione al capoverso dell’articolo 21 della Commissione, ho la sensazione che si creda che il contenuto di questi due articoli sia in sostanza lo stesso, mentre invece è profondamente diverso, nel senso che con l’articolo 26 si intende allargare il raggio d’azione di una norma del codice penale (art. 528) per colpire penalmente dei fatti che secondo un criterio di morale comune e corrente non sarebbero da considerare delittuosi, mentre divengono delittuosi tenendo presente la sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti: quindi norma interpretativa autentica, che allarga la sfera di incriminazione dell’articolo 528; mentre invece il capoverso previsto dalla Commissione all’articolo 21 prevede esclusivamente un aumento di pena, ciò che è cosa diversa da quello che può essere l’allargamento del raggio di estrinsecazione di una determinata norma penale.

In secondo luogo, osservo che, per quanto riguarda il problema se i reati di stampa siano reati di danno o reati di pericolo, è nella stessa logica dei reati di stampa di essere sempre reati di pericolo e non reati di danno, dato il carattere proprio della stampa, come mezzo di divulgazione delle idee.

Quindi, credo sia opportuno aderire a quegli emendamenti i quali cercano di trasformare il reato di danno in reato di pericolo.

Per quanto riguarda la formulazione puramente estrinseca del capoverso dell’articolo 21, dove si dice che le pene degli articoli 528 e 529 del Codice penale sono aggravate, ricordo che nell’articolo 529 non sono previste delle pene, ma soltanto un criterio interpretativo in relazione all’articolo 528 del Codice penale. Questo diciamo naturalmente soltanto per amore di chiarezza, per il desiderio che il testo venga appunto emendato, con la eliminazione di una superfluità che non presenta invero alcuna ragione normativa.

CIMENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIMENTI. Vorrei aggiungere, onorevole Presidente, che, con la soppressione dell’articolo 26 proposto dalla Commissione, verrebbe a sparire il titolo: «Pubblicazioni destinate all’infanzia e all’adolescenza». Poiché pertanto il contenuto di questa disposizione verrebbe ad esser posto alla fine dell’articolo 21 proposto dalla Commissione, rimarrebbe soltanto l’intitolazione: «Pubblicazioni a contenuto impressionante e raccapricciante» mentre tutto l’articolo non parla soltanto delle pubblicazioni a contenuto impressionante e raccapricciante, ma anche delle pubblicazioni immorali, che possono turbare la coscienza della fanciullezza.

Io non ho pertanto alcuna difficoltà a modificare il contenuto del mio emendamento, accettando, mediante una variazione che mi riprometto di proporre, il secondo capoverso dell’articolo 21, purché di questo secondo capoverso sia fatto un articolo a sé stante, che riprenda integralmente il vecchio titolo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Cevolotto a pronunziarsi a nome della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. Signor Presidente, vorrei pregarla di invitare gli onorevoli colleghi di voler intervenire sempre prima che il Relatore presenti le proprie conclusioni, ad evitare che io debba prendere la parola due o più volte, il che non è certo piacevole per gli ascoltatori, anche se a me evidentemente ciò non reca noia.

Quanto ha detto l’onorevole Bettiol non mi sembra esatto. L’articolo 26 allarga la sfera di applicazione degli articoli del Codice penale 528 e 529; ma il nostro capoverso l’allarga lo stesso, giacché in esso si parla di pubblicazioni che non abbiano riguardo alla sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti.

Ripeto comunque che, in questa materia, la Commissione, poiché, si è, in fondo, mostrata d’accordo, in linea di principio, con quanto è stato detto da tutti gli oratori, sarà del pari sempre d’accordo con l’Assemblea per quel testo che essa vorrà preferire.

PRESIDENTE. Onorevole Andreotti, la prego di esprimere il parere del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Io penso che le due ipotesi vadano distinte, anche dopo le osservazioni dei colleghi onorevoli Bettiol e Cimenti, dato che esse di fatto sono sostanzialmente diverse. Non si tratta infatti tanto di interpretare estensivamente quell’articolo del Codice penale, quanto di menzionare espressamente certi determinati tipi di pubblicazioni, quelli cioè destinati all’infanzia ed all’adolescenza.

È vero che, in effetti, sarebbe più idonea ed efficace la formulazione proposta dalla Commissione; ma a me sembra preferibile individuare, in qualunque tipo di stampato, la sua incidenza sulla sensibilità dei fanciulli e degli adolescenti. Mi sembra poi che accogliendo il testo della Commissione, possa sorgere, in sede interpretativa, il dubbio che la valutazione della ricordata influenza sulla sensibilità dei fanciulli, debba essere limitata alla stampa di cui al primo comma dell’articolo 21. Penso quindi che sia bene lasciare distinte le due ipotesi.

Riguardo all’articolo 21 dello schema della Commissione, concordo nel proporre l’abolizione del «prevalentemente». A tale conclusione si può arrivare non soltanto attraverso le considerazioni, in base alle quali l’onorevole Moro ed altri, hanno rilevato che il mantenimento dell’avverbio sposterebbe il criterio discriminatore da fatti obiettivi, precisi, ad una prevalenza di indirizzo non facilmente accertabile, ma anche per la considerazione inversa, e cioè perché non si pensi che noi indiscriminatamente vogliamo mettere sotto imputazione quei giornali che hanno come loro contenuto specifico le descrizioni di cronaca nera, anche se non incorrono poi in quegli estremi delittuosi da noi qui contemplati. Io mi preoccupo di ciò, perché non dobbiamo dimenticare che la legislazione del periodo fascista contro la cronaca nera, per il suo carattere generico ed assoluto, non colpì soltanto le aberrazioni, cioè le descrizioni raccapriccianti o impressionanti, ma tutta la cronaca nera quotidiana, la cui soppressione non presentava alcuna giustificazione. Credo quindi che, abolendo il «prevalentemente», si compia anche un atto di rispetto verso questo determinato settore della libertà di stampa che, comunque lo si voglia valutare, ha anch’esso bisogno e diritto di essere protetto e salvaguardato.

Mi sembra anche giusto escludere la parole «periodici», perché l’esperienza, tratta dall’esame dei casi in cui le Procure hanno dovuto ordinare il sequestro e hanno dovuto poi procedere penalmente, insegna che forse il maggior numero delle pubblicazioni a contenuto raccapricciante, di quelle pubblicazioni cioè che turbano veramente il sentimento morale comune, non sia da ricercarsi fra i periodici ma proprio in quei «numeri unici», in quei foglietti che non sono giuridicamente e formalmente periodici, anche se poi di fatto escono a periodi fissi. Credo che se la proposta verrà accolta dall’Assemblea, noi avremo contribuito a far applicare questa norma anche a quella stampa che, specialmente in questo momento, richiede la nostra particolare attenzione.

L’emendamento dell’onorevole Moro suona così: «e siano pertanto idonei a turbare il comune sentimento, ecc.». Ora, pur convenendo sull’opportunità di contemplare in sede di formulazione dell’articolo non soltanto il fatto materiale dell’avvenuto turbamento, ma anche la possibilità di esso, temo che l’emendamento Moro e Dominedò ponga in minore evidenza del testo della Commissione il fatto che questo turbamento, sia pure possibile, del sentimento comune della morale o dell’ordine familiare, è una condizione assolutamente indispensabile per l’applicazione di questo articolo. Non basta infatti constatare che i particolari di una illustrazione o descrizione reale od immaginaria, siano impressionanti o raccapriccianti, ma occorre che questa descrizione sia tale da turbare il sentimento morale. Questa condizione va posta anche a tutela di quella parte della cronaca nera e di altra stampa che noi non dobbiamo genericamente condannare.

Riguardo all’ultimo emendamento dell’onorevole Schiavetti, relativo alla stampa destinata all’infanzia e tendente ad impedire la divulgazione delle descrizioni di vicende poliziesche o di avventure, non sono d’accordo con l’onorevole Schiavetti. Non è infatti che io non riconosca la pericolosità che dal punto di vista pedagogico, possono talvolta contenere simili tipi di pubblicazioni, ma penso, nel contempo, a due pericoli che potrebbero derivare dall’accoglimento dell’emendamento: il primo consiste nel mettere nelle mani di un magistrato, che può avere una grandissima esperienza in tutti i settori ma forse pochissima o quasi nulla in fatto di pubblicazioni destinate ai fanciulli ed agli adolescenti, determinati saggi di pubblicazioni che forse, agli effetti morali, lasciano il tempo che trovano ma che, staccate da tutto quel particolare mondo di pubblicazioni destinate ai ragazzi, potrebbero essere considerate come scuola di delitto, mentre invece non meritano alcuna sanzione di ordine penale.

Lo stesso accenno che ha fatto, molto lealmente, l’onorevole Schiavetti alle pubblicazioni russe destinate all’infanzia, è forse caratteristico di quel mondo. Ed io ho la preoccupazione che si voglia riportare anche questa parte di pubblicazioni, anche questa letteratura di divertimenti per fanciulli e ragazzi, a certi temi obbligati, quali noi abbiamo conosciuto anche in Italia nel periodo fascista. Vi erano allora determinati argomenti che dovevano essere sempre considerati, e considerati in una determinata maniera. Tutti coloro che hanno figliuoli ricordano (e l’onorevole Cimenti si è appellato al diritto dei padri di famiglia) che esistevano alcuni giornali, come Il Balilla destinati appunto a questo scopo. È altresì vero che tutti leggevano il Corriere dei Piccoli, perché certe infiltrazioni di carattere politico erano palesi.

SCHIAVETTI. Ma questa disposizione è di carattere puramente negativo. Ciascuno scriverà poi quello che vuole.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ma impedendo determinati temi si verranno poi a rendere obbligatori certi altri.

Io non conosco la letteratura russa per ragazzi, ma conosco dei films russi, che hanno tutti questo tono di propaganda e di esaltazione e sono fatti secondo determinati clichés di certi valori. Ora io vorrei non essere corresponsabile dell’imposizione ai nostri figli di una letteratura di divertimento, se non altro, molto noiosa.

SCHIAVETTI. Lei, per diffidenza verso la Russia preferisce che i nostri ragazzi subiscano influenze morali pericolose. Non c’è autonomia nella vostra pedagogia. (Proteste al centro).

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. L’autonomia in fatto di educazione nei paesi totalitari è una cosa molto discutibile.

Concludendo, io aderirei all’emendamento dell’onorevole Moro con quella variazione che spero l’onorevole Moro accetti, e aderirei altresì all’idea di lasciar staccati l’ex articolo 26 (che attualmente dovrebbe essere il 21) e il 21 della Commissione (che diventerebbe 22); non accetterei invece la seconda parte dell’emendamento Schiavetti.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori di emendamenti se li mantengano.

Onorevole Moro, mantiene il suo emendamento?

MORO. Vorrei sapere se l’onorevole Andreotti sia disposto ad accogliere la formulazione dell’onorevole Bettiol, alla quale io aderirei.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. L’accetto.

PRESIDENTE. Onorevole Cimenti, mantiene i due emendamenti?

CIMENTI. Aderirei alla formula della Commissione purché si includano nell’articolo le parole: «impressionabilità e suggestione».

PRESIDENTE. Non essendo gli onorevoli Crispo, Villabruna e Candela presenti, il loro emendamento si intende decaduto.

Onorevole Schiavetti, mantiene il suo emendamento?

SCHIAVETTI. Sì, lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole dell’articolo 21:

«Le disposizioni dell’articolo 528 del Codice penale si applicano anche nel caso di stampati».

(Sono approvate).

Ora passiamo alla parola «periodici», contenuta nel testo della Commissione di cui l’onorevole Moro propone la soppressione.

Si tratta di decidere se la norma in discussione debba valere per tutti gli stampati oppure soltanto per gli stampati periodici.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Io vorrei che i colleghi tutti valutassero bene l’importanza della votazione sull’aggettivo «periodici». (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, la prego; abbiamo discusso più di un’ora su questo argomento.

GULLO FAUSTO. Onorevole Presidente, nel momento in cui bisogna votare la soppressione o il mantenimento della parola «periodici», io penso che sia opportuno dichiarare espressamente il proprio voto.

Che cosa vorrà dire «stampati» senza che la parola venga seguita dall’aggettivo «periodici»?

Io ripresento ancora il pericolo a cui si può andare incontro perché non vorrei che, attraverso questa voluta difesa della infanzia, si immettessero nella legge disposizioni che verrebbero a colpire altre diverse manifestazioni. Vorrei a questo proposito dire, specialmente all’onorevole Schiavetti, questo: a me pare che qui si faccia come quel medico che pensa di andar dietro alla febbre e non alla causa che la determina.

Cinquant’anni fa i fanciulli preferivano il Cuore e c’era una ragione. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, penso che il primo esempio da dare ai fanciulli sia quello della tolleranza.

GULLO FAUSTO. Noi insistiamo perché l’aggettivo «periodici» sia mantenuto, altrimenti verrebbe meno la ragione che potrebbe dare una apparente giustificazione alla norma.

Che cosa vuol dire che sono puniti con una grave sanzione gli «stampati rivolti a descrivere od illustrare ecc.»?

Ma anche il libro viene ad essere compreso fra gli stampati. Noi puniremmo il grande artista appunto perché ha la colpa di descrivere con maggior vivezza d’immagini, meglio di quanto non sappia fare io o altri, tutti i particolari di un delitto. A me pare pericolosa l’abolizione dell’aggettivo «periodici» ed anche l’abolizione dell’avverbio «prevalentemente»…

PRESIDENTE. Non è ancora in votazione.

GULLO FAUSTO. I due concetti sono intimamente legati. Comunque noi voteremo contro la soppressione dell’aggettivo «periodici».

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Io vorrei porre una questione preliminare, quasi pregiudiziale, che si riferisce ai poteri che ha l’Assemblea in questo momento.

Abbiamo deciso in dicembre che avremmo nel mese di gennaio discusso e approvato alcuni articoli di una legge sulla stampa, intendendo chiaramente la stampa periodica. Infatti abbiamo parlato di elezioni, di giornali quotidiani e di settimanali. Per questo argomento eravamo d’accordo che l’Assemblea Costituente si riunisse durante il mese di gennaio e dedicasse alcune sue sedute al dibattito di questo tema, ed elaborasse alcuni articoli i quali potessero orientare e regolare in questo campo l’azione del Governo, dell’autorità di pubblica sicurezza e della magistratura, meglio di quanto non possa avvenire con le leggi attualmente ancora in vigore. È ben chiaro però che non abbiamo mai pensato di attribuire all’Assemblea Costituente, in queste sedute del mese di gennaio, il potere di limitare la libertà in genere di espressione. Orbene, questo è il problema che ora viene affrontato. Se sopprimiamo l’aggettivo «periodico», noi passiamo dal giornale quotidiano e dal settimanale, al libro, al dramma, alla commedia, a qualsiasi manifestazione del pensiero. Ritengo che nessuna disposizione autorizzi questa Assemblea, in questo momento, a rivedere o a limitare un diritto che è stato sancito nella Carta costituzionale che abbiamo approvato nello scorso mese di dicembre e che è andata in vigore il primo gennaio. Qui si vorrebbe invece che, sotto il pretesto di sancire una norma sulla «stampa», si deliberasse anche in merito a qualsiasi manifestazione del pensiero per iscritto. Ripeto: ritengo che non siamo assolutamente autorizzati ad una simile discussione e a dare un simile voto, e mi appello a lei, signor Presidente, perché ella faccia osservare quelle disposizioni che abbiamo approvato nel momento in cui abbiamo interrotto il nostro lavoro costituzionale e legislativo ordinario, fissando chiaramente i limiti dell’attività dell’Assemblea nel corso di queste sedute del mese di gennaio.

GULLO FAUSTO. Sono colpiti da questa sanzione anche i Promessi Sposi!

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Io credo di poter rispondere con una semplice considerazione alla pregiudiziale sollevata dall’onorevole Togliatti che dobbiamo prendere immediatamente in esame. Non eccepirò motivi formali, che pure avrebbero il loro peso. Ogni eccezione di carattere pregiudiziale va sollevata in limine e noi siamo già nell’esame addentrato di questa legge. Non mi voglio tuttavia attenere ad un motivo di logica formale, ma esaminando la disposizione transitoria della Costituzione sulla prorogatio e il contenuto del disegno di legge, contenuto che è predeterminato dall’articolo 2 ove si definisce la stampa e gli stampati in modo indiscriminato, io credo di poter rispondere con piena coscienza che la pregiudiziale sollevata non trova fondamento né nella lettera né nello spirito della legge.

PRESIDENTE. Sulla questione sollevata dall’onorevole Togliatti mi pare che ci si debba richiamare alla scelta degli articoli da esaminare. Tra questi vi è l’articolo 21 del testo della Commissione. Ora, nel momento in cui si è proceduto all’elencazione di questi articoli, non si sono sollevate questioni di carattere generale. Da varie parti si sono fatte proposte, sono state valutate e, in definitiva, si è redatto l’elenco.

Ora si pone un problema di carattere generale. Non era stato stabilito che gli emendamenti proponibili dovessero restare in un certo ambito. Pertanto è l’Assemblea stessa, nel momento in cui vota la singole proposte, che procede, semmai, ad una definizione del limite che ha ritenuto di dover dare alla scelta degli articoli. È vero che nel testo dell’articolo 21 è incluso l’aggettivo «periodici», il che fa pensare che è stato prescelto anche in relazione a questa indicazione specifica in esso contenuta. All’infuori di questa constatazione di carattere obiettivo, ritengo che non possano essere messi dei limiti alla presentazione di emendamenti. È l’Assemblea stessa che, valutandoli di volta in volta, stabilisce se debbano esser presi in esame. Pertanto mi sembra che non possiamo non porre in votazione la proposta di sopprimere l’aggettivo «periodici». Secondo quanto ha richiamato anche l’onorevole Dominedò, il termine generico di «stampati» è già incluso in altri articoli e al momento in cui questi sono stati approvati non è stata sollevata alcuna obiezione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI. Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Io trovo che l’onorevole Togliatti ha sollevato una questione di ordine più generale di quella alla quale ella, onorevole Presidente, si è riferito. L’onorevole Togliatti ritiene che, nel periodo di proroga dei lavori, l’Assemblea non possa affrontare un problema così vasto quale è quello in discussione poiché, sopprimendo l’aggettivo «periodici», si estenderebbe a tutti gli stampati la disciplina delle norma. Volevo osservare che nel testo governativo non si parla di stampati periodici, ma di stampati in generale. E qui si parla nel senso preciso richiamato dall’articolo 2, dove si dà la definizione dello stampato, come abbiamo fatto nei giorni scorsi. Quindi, votando i tre argomenti per cui ci si sarebbe riconvocati nel mese di gennaio, includendo la legge sulla stampa, evidentemente ci si riferiva a quel testo della legge sulla stampa che era presso la Commissione. Quindi, semmai, ci siano mantenuti nei limiti più ristretti di quelli consentiti dai nostri poteri, dal momento che abbiamo deciso uno stralcio.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Mi sembra utile chiarire, a seguito di quanto ha detto l’onorevole Andreotti, che il testo governativo si ispirava a sua volta a documenti precedenti, vale a dire al decreto legislativo 31 maggio 1946, che è decreto firmato dall’onorevole Togliatti, dove si diceva all’articolo 2, a proposito del sequestro di pubblicazioni oscene od altro: «giornali, pubblicazioni o stampati, che ai sensi della legge penale…». Quindi, la parola «stampati» è richiamata.

MOLINELLI. Chiedo di parlare per illustrare la proposta, da me fatta, e dalla Commissione accettata, di aggiungere al testo governativo l’espressione «periodici prevalentemente rivolti».

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Nel Codice penale esiste un articolo, il quale punisce il reato di oscenità commesso attraverso la stampa. A questo reato la legge voleva aggiungere anche quelli che, per il loro carattere impressionante o raccapricciante, potessero turbare l’ordine familiare e morale. Fin qui eravamo tutti d’accordo. Senonché, a questo punto è intervenuta un’osservazione giustissima, a mio modo di vedere: cioè, che dando facoltà così ampia al giudice, si potessero perseguire anche coloro che, incidentalmente o per ragione artistica, potessero produrre scritti, disegni o altro che, come opere d’arte, non possono essere giudicate offensive della morale dalla generalità degli uomini, ma possono essere giudicate tali da un determinato giudice.

Per questa ragione ci siamo domandati: cosa vogliamo colpire?

Vogliamo colpire quella stampa periodica, la quale si propone come fine il lucro e come mezzo la eccitazione dei sentimenti meno nobili del pubblico; la cosiddetta stampa gialla o nera, la quale fa commercio di queste notizie impressionanti o raccapriccianti; non quella che pubblica la fotografia di un partigiano impiccato, la quale è raccapricciante sì, ma non offende né la morale né l’ordine familiare.

Per perseguire questo preciso scopo, il carattere offensivo della morale familiare di certa stampa non può essere dedotto che dal carattere stesso della pubblicazione, dal suo perseguimento, attraverso la periodicità, di quel fine di lucro. Per questo avevamo detto che il periodico deve essere colpito, quando prevalentemente dirige la sua azione verso questo fine speculativo.

Togliendo questo carattere di periodicità dello stampato, noi diamo al giudice la possibilità di colpire qualsiasi stampa, qualsiasi notizia di cronaca. E siccome questo articolo era stato esaminato in relazione all’articolo successivo, il 28, sul sequestro, noi arriviamo a questo: che in Italia un giudice potrà sequestrare col minimo pretesto qualsiasi giornale (Commenti al centro) e questo proprio nel periodo elettorale.

Se volete questo, votate pure per la soppressione della parola «periodici».

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro questa disposizione, la quale si riferisce esclusivamente agli adulti; e voterò contro, perché la ritengo nettamente anticostituzionale, in quanto che con questa disposizione si può proibire agli adulti, ad esempio, di leggere le novelle di Poe o i romanzi di Dostoevskij. Cito questi autori stranieri, per non fare pubblicità incriminabile agli italiani.

Ritengo la disposizione nettamente contraria ai principî stabiliti nella Costituzione e noto che l’Assemblea, dopo aver fatto la Costituzione, si avvia a violarla giorno per giorno. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la parola: «periodici».

(Dopo prova e controprova non è approvata).

Gli onorevoli Scoccimarro, Togliatti e altri hanno proposto di aggiungere le parole:

«che non abbiano carattere di opere d’arte». (Commenti).

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Mi pare che l’aggiunta proposta dall’onorevole Scoccimarro sia forse superflua, ma non possa in ogni caso trovare opposizione nel suo concetto, perché è compresa nell’articolo 529 del Codice penale, il quale dice: «Non si considera oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto». Ora, qui non si tratta soltanto di oscenità, ma si tratta anche di descrizione di fatti raccapriccianti o comunque impressionanti. Il concetto contenuto nell’articolo 529 del Codice penale per l’opera oscena, a maggior ragione non può essere negato per l’opera semplicemente raccapricciante o impressionante. Sarebbe assai strano che la disposizione del Codice penale per l’opera anche oscena, quando sia opera d’arte, non venisse ripetuta quando si parla di pubblicazioni semplicemente raccapriccianti o impressionanti.

Una voce. È pleonastica.

CEVOLOTTO, Relatore. Non è pleonastica, perché l’articolo 529 si riferisce al 528, che parla di pubblicazioni e spettacoli osceni, e qui non parliamo di spettacoli osceni ma di pubblicazioni impressionanti o raccapriccianti. Certamente l’aggiunta precisa l’interpretazione che deve essere data all’articolo 529 del Codice penale.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Condividendo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Cevolotto e ritenendo che qui non siano da prendere in considerazione le opere d’arte, che sono ad altro titolo escluse, dichiaro che voteremo contro l’emendamento aggiuntivo Scoccimarro.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Se la proposta tende ad escludere dall’incriminazione le vere opere d’arte, come la Fucilazione del Goya o le Bestie squartate del Rembrandt, la disposizione è superflua perché ciò è nella coscienza di tutti. Se viceversa tende a fare sfuggire alla repressione penale giornalisti o pseudo artisti che vogliono violare la legge servendosi di questo stratagemma, la proposta è pericolosa, e perciò voterò contro.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Non vorrei che adesso, attraverso una votazione fatta, diciamolo pure, un po’ per impeto, si venisse a pregiudicare l’applicabilità dell’articolo 529 del codice penale. Poiché noi ci riferiamo all’articolo 528 del Codice penale, è evidente che si deve applicare anche l’articolo 529. Questo mi pare chiaro. La votazione dell’emendamento proposto dall’onorevole Scoccimarro sotto questo aspetto potrebbe anche ritenersi superflua perché, secondo me, non vi è dubbio che dal richiamo dell’articolo 528 discende l’applicabilità anche dell’articolo 529. L’elemento costituisce semplicemente un chiarimento interpretativo. Ma io mi preoccupo che dalla eventuale reiezione dell’emendamento non si possa dedurre una interpretazione che io ritengo certa. Penso che ciò sia pericoloso e perciò prego l’onorevole Scoccimarro di considerare la questione sotto questo aspetto. Se il suo emendamento venisse respinto, il voto della Camera potrebbe avere un significato che toglierebbe la possibilità di quella interpretazione che, secondo me, è evidente.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. L’emendamento presentato avrebbe avuto significato se fosse stato votato all’unanimità dall’Assemblea. Poteva essere superfluo, ma in ogni modo precisava. Poiché si delinea la possibilità di un voto contrario, questo creerebbe equivoci e difficoltà, per cui ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Seguono le parole del testo della Commissione: «prevalentemente rivolti a descrivere od illustrare». L’onorevole Moro, ha proposto di sostituirle con le seguenti:

«i quali descrivano o illustrino»,

Pongo in votazione questa formulazione. (Dopo prova e controprova è approvata).

Pongo in votazione le parole: «con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi od anche soltanto immaginari».

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Pongo in votazione la formulazione dell’onorevole Bettiol a cui si è associato anche l’onorevole Moro: «in modo da poter turbare il comune sentimento della morale e l’ordine familiare».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo in votazione le parole della formulazione Bettiol-Moro:

«o da poter provocare».

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Pongo in votazione le parole della formulazione Moro:

«il diffondersi di suicidi o delitti».

(Sono approvate).

Passiamo al secondo comma.

Onorevole Cimenti, la prego di dirmi se mantiene il suo emendamento.

CIMENTI. Potrei anche aderire alla proposta Moro qualora egli accettasse di aggiungere dopo la parola «sensibilità» le altre «impressionabilità e suggestione proprie».

PRESIDENTE. L’onorevole Moro ha facoltà di dichiarare se accetta la proposta dell’onorevole Cimenti.

MORO. Mi pare che l’aggiungere questa ulteriore determinazione sia, in certo senso, un diminuire la portata dell’espressione «sensibilità» che è la più comprensiva. Potrei comunque accettare una sola delle parole che si vorrebbero aggiungere: «impressionabilità»; mentre «suggestione» mi pare che ci porterebbe su un altro piano e renderebbe oscuro il testo.

Secondo poi quanto ha osservato lo stesso onorevole Relatore, accetterei che si dicesse, anziché «destinate ai minori degli anni diciotto» «destinate ai fanciulli ed agli adolescenti, quando ecc.».

PRESIDENTE. Onorevole Cimenti, mantiene l’emendamento?

CIMENTI. Accetto la proposta dell’onorevole Moro.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la prima parte del secondo comma nel testo dell’onorevole Moro, così modificato:

«La disciplina dell’articolo 528 del Codice penale si applica anche alle pubblicazioni destinate ai fanciulli e agli adolescenti».

(È approvata).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Per ragioni formali, propongo di dire «per la sensibilità e l’impressionabilità ad essi proprie».

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo pertanto in votazione la restante parte del secondo comma con la correzione formale, proposta dall’onorevole Moro:

«quando per la sensibilità e la impressionabilità ad essi proprie siano comunque idonee ad offendere il loro sentimento morale o costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto e al suicidio. Le pene in tali casi sono aumentate».

(È approvata).

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Desidero far presente che, per ragioni di coordinamento, la parola: «idonee», potrebbe sostituirsi con la frase che è stata adoperata anche nell’articolo precedente nella formulazione analoga: «in modo da poter offendere». Si potrebbe cioè usare la stessa espressione perché la legge riesca armonica.

PRESIDENTE. Sta bene. La proposta dell’onorevole Cevolotto potrà essere tenuta presente in sede di coordinamento, nel momento in cui redigeremo il testo definitivo prima della votazione finale.

Ad ogni modo c’è da risolvere adesso la questione posta dall’onorevole Cimenti, se fare due articoli distinti nel testo che abbiamo votato oppure un articolo solo. L’onorevole Cimenti propone di ricostituire, come ho già detto, un articolo a sé stante per le pubblicazioni destinate all’infanzia e all’adolescenza.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Cimenti di fare del secondo comma dell’articolo 21 un articolo a parte.

(È approvata).

PRESIDENTE. Passiamo all’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Schiavetti.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Vorrei, a titolo di dichiarazione di voto, se lei crede, dire una parola ai miei colleghi della Democrazia cristiana, per un problema di coscienza; perché mi pare, che essi non abbiano bene capito il valore della mia proposta e si siano fatti turbare da fantasmi di carattere politico.

Tutti noi siamo sensibili ai problemi relativi all’educazione dei nostri ragazzi, ma in particolar modo lo sono i colleghi della Democrazia cristiana, e ciò per vecchie tradizioni. Ora, il problema da me proposto è di importanza fondamentale ed esclude completamente qualsiasi considerazione di carattere politico, anche se io, con una certa ingenuità, avevo fatto cenno del modo con cui la Russia aveva risolto il problema di sfruttare la tendenza dei fanciulli all’eroico e all’avventuroso. Si tratta di una disposizione che è già stata votata all’unanimità dal Congresso dei giornalisti a Palermo nell’ottobre del 1946; si tratta di una disposizione alla quale io ho già accennato nel marzo dello scorso anno, quando presi per la prima volta la parola sui problemi della stampa a proposito dell’articolo 16 e trovai il consenso della maggior parte dei miei colleghi. Vi furono anche delle congratulazioni personali che – come ebbi a dire scherzando – mi fecero correre il pericolo di compromettermi politicamente.

Evidentemente si tratta di un problema che va al di là della politica, e perciò vi prego di pensar bene alla responsabilità che vi assumete, prima di votare contro.

Noi dobbiamo opporci a questa letteratura, consistente soprattutto in giornalini «a fumetti» che portano i nostri ragazzi in un’atmosfera morale che non possiamo assolutamente tollerare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Schiavetti è il seguente:

«Le medesime disposizioni si applicano a quei giornali e periodici che comunque si rendano ripetutamente responsabili delle descrizioni o illustrazioni di cui nel comma precedente, nonché ai giornali e periodici destinati all’infanzia, nei quali la descrizione o l’illustrazione di vicende poliziesche e di avventure sia fatta, sistematicamente o ripetutamente, in modo da favorire il disfrenarsi di istinti di violenza e di indisciplina sociale».

BETTIOL. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Voterò favorevolmente a questo articolo aggiuntivo dell’onorevole Schiavetti, perché ritengo opportuno che sia ucciso in germe il pericolo che i nostri ragazzi e i nostri adolescenti siano educati secondo criteri, diciamo così, militareschi e antidemocratici, che portano indubbiamente alla rovina spirituale. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Pongo in votazione lo emendamento aggiuntivo dell’onorevole Schiavetti testé letto.

(È approvato).

Naturalmente sarà incluso nell’articolo destinato appunto alla stampa per l’infanzia e l’adolescenza.

I due articoli nei quali verrà ridistribuita la materia, che è ora stata votata dall’Assemblea, risultano nel complesso così approvati.

Il primo è del seguente tenore:

«Le disposizioni dell’articolo 528 del Codice penale si applicano anche nel caso di stampati, i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi od anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti».

L’articolo successivo da porre sotto il titolo «Pubblicazioni destinate all’infanzia o all’adolescenza» è del seguente tenore:

«La disciplina dell’articolo 528 del Codice penale si applica anche alle pubblicazioni destinate ai fanciulli e agli adolescenti, quando per la sensibilità e l’impressionabilità ad essi proprie siano comunque idonee ad offendere il loro sentimento morale o costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto o al suicidio. Le pene in tali casi sono aumentate».

Vi sarà poi da coordinare il comma aggiuntivo proposto dell’onorevole Schiavetti e approvato:

«Le medesime disposizioni si applicano a quei giornali e periodici che comunque si rendano ripetutamente responsabili delle descrizioni o illustrazioni di cui nel comma precedente, nonché ai giornali e periodici destinati all’infanzia, nei quali la descrizione o l’illustrazione di vicende poliziesche e di avventure sia fatta, sistematicamente o ripetutamente, in modo da favorire il disfrenarsi di istinti di violenza e di indisciplina sociale».

Passiamo all’articolo 22. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Sequestro.

«Non si può procedere al sequestro delle edizioni dei giornali o di altre pubblicazioni o stampati se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria.

«L’autorità giudiziaria può tuttavia, anche all’inizio dell’azione penale, disporre, con decreto motivato, il sequestro:

1°) delle pubblicazioni non periodiche, quando da esse non risulta il nome dell’editore né quello dello stampatore, ovvero quando questi siano indicati in modo non conforme al vero;

2°) dei giornali e di ogni altro periodico, pubblicati senza che sia stata eseguita la registrazione prevista dall’articolo 7;

3°) dei giornali e di ogni altro periodico pubblicati in violazione delle norme sul riposo festivo;

4°) dei giornali e degli altri stampati, quando in essi si concreti il reato di offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica o del Capo di uno Stato estero, di istigazione a delinquere nell’ipotesi dell’articolo 414, comma primo, n. 1, del Codice penale, ovvero di pubblicazioni oscene o contrarie alla pubblica decenza o, infine, il reato previsto dall’articolo 553 del Codice penale.

«In ogni altro caso l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro di non oltre tre esemplari dei giornali o altri stampati che concretino una violazione della legge penale.

«Nulla è innovato alle norme sulle difese e sulle sanzioni giudiziarie stabilite a tutela del diritto d’autore».

PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente numero 3-bis:

«dei giornali il cui direttore responsabile si sia rifiutato all’obbligo sancito dall’articolo 14».

Ha facoltà di svolgerlo.

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi, sembra che sulla tesi che convenga reprimere severamente la diffamazione a mezzo della stampa siamo tutti d’accordo. Se dovessi servirmi di una espressione giuridica – come suole fare l’amico Dominedò – direi che sull’argomento si è costituita qui una communis opinio.

Orbene, tutto quello che abbiamo fatto fin qui, compresa quella disposizione che è stata approvata ieri, secondo la quale il diffamatore che si rifiuta di pubblicare la rettifica del diffamato può essere punito con la reclusione fino a sei mesi e con la multa da 30 a 50 mila lire, sarebbe assolutamente vano, se non votassimo anche questo emendamento aggiuntivo.

Pensate che normalmente il libellista abituale non si impressiona neanche della pena comminata dal Codice penale, che è molto superiore al massimo dei sei mesi stabilito ieri, perché, come sanno i giuristi, la diffamazione a mezzo della stampa, secondo il Codice penale vigente, è punita con la reclusione fino a tre anni.

Quindi, colui che non arretra neanche dinanzi alla possibilità di essere condannato a tre anni di reclusione, figuratevi se possa impressionarsi per quella disposizione che commina fino a sei mesi di reclusione, qualora egli si rifiuti di pubblicare la rettifica del diffamato! Tanto più che si è introdotta ieri quella clausola, che io ho definito molto pericolosa: cioè, che egli si può rifiutare di pubblicare la rettifica quando questa potrebbe dar luogo ad incriminazione penale.

Quindi, occorre togliere di mano al libellista i ferri del mestiere, tagliargli le unghie! Ora, qual è il mezzo di cui si serve per compiere il delitto? Il giornale. Quindi egli deve sapere che, ove si rifiuti di pubblicare la rettifica del diffamato, gli sarà tolta di mano l’arma del suo delitto.

La rettifica nel giornale incriminato è l’unica forma seria di riparazione, in quanto, quando il direttore si rifiuta, è vero che il diffamato può ricorrere – come avviene – alla pubblicazione in altri giornali; ma egli non può fare pervenire la rettifica a quel pubblico che ha letto la diffamazione, al pubblico di quel determinato giornale; il che è molto diverso, perché c’è chi legge un giornale e chi ne legge un altro.

Per conseguenza, è necessario che ci sia questa grave sanzione.

Del resto, vi sembra grave, questa disposizione? Vi sembra grave che si sequestri il giornale in questo caso? Dovrebbe sembrare grave al diffamatore abituale! Ebbene, se egli non vuole incorrere in questa sanzione, se egli vuol continuare a possedere l’organo attraverso cui diffama le persone, non ha da fare altro che, o non diffamare, oppure pubblicare la rettifica del diffamato.

TREVES. Il sequestro avverrebbe attraverso la richiesta del diffamato.

RUSSO PEREZ. La proposta fatta ieri da me e approvata, cioè che si stabilisse una sanzione per colui che non pubblica la rettifica e che la sanzione fosse della reclusione e della multa, pene riservate ai delitti, è stata fatta di proposito, perché non nascesse alcun contrasto col testo della Costituzione, giacché voi sapete che, per la Costituzione, il sequestro non può essere disposto che dall’autorità giudiziaria. E siccome il testo dice che l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro quando è iniziata l’azione penale, questa azione penale non si può iniziare se non c’è il delitto; e il delitto è stabilito dal rifiuto di pubblicazione. E quindi sono concatenate le norme da noi approvate ieri e quella che io vi chiedo oggi di approvare.

PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti ha presentato i seguenti emendamenti:

«Aggiungere al n. 2°) del secondo comma le parole seguenti: o che non siano stati eseguiti i depositi e le pubblicazioni previsti dall’articolo 10».

«Sopprimere al n. 4°) del secondo comma le parole: o, infine, il reato previsto dall’articolo 553 del Codice penale».

Ha facoltà di svolgerli.

SCHIAVETTI. Prima di passare allo svolgimento, vorrei dire una parola per fare osservare all’onorevole Russo Perez, se il Presidente me lo consente, che la sanzione da lui proposta del sequestro, sia pure ad opera dell’autorità giudiziaria, per la mancata inserzione di una rettifica, mi sembra sia veramente eccessiva, perché pone i giornali, con l’aiuto della Magistratura, alla mercé di un privato qualsiasi, il quale potrebbe, a protezione dei interessi puramente personali, mandare una lettera e poi con un pretesto o con un altro contestare che questa lettera non è stata pubblicata. Il sequestro avverrebbe immediatamente, prima che si potesse provare, ad esempio, che c’è stato un caso di forza maggiore.

Mi sembra che ci mettiamo per una strada eccessivamente pericolosa.

Detto questo per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Russo Perez, passo a svolgere il mio emendamento, il quale riguarda la soppressione della facoltà di sequestro preventivo per il reato previsto dall’articolo 553 del Codice penale. Per quei colleghi che non lo sapessero, l’articolo 553 del Codice penale riguarda l’incitamento alle pratiche contro la procreazione. Chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o a fare propaganda a favore di esse è punito con la reclusione fino ad un anno e la multa fino a 10.000 lire, ecc.

Io propongo, naturalmente, non che questo articolo del Codice sia abolito, perché non sarebbe, in ogni caso, questa la sede, ma propongo che il reato contemplato in questo articolo del Codice non costituisca causa sufficiente per determinare il sequestro preventivo del giornale.

Mi pare che anche qui ci sia un eccesso pericoloso. Perché il fascismo si lasciò indurre a una forma così gelosa, così severa di repressione di questo reato, per cui potevano essere sequestrati anche i giornali che portassero annunzi relativi ai mezzi anticoncezionali? Il fascismo fece questo, come tutti sanno, perché aveva messo in piedi tutto un apparato tendente allo sviluppo di una campagna demografica, campagna demografica, non dimentichiamolo, che era in rapporto con la sua politica internazionale e con i suoi fini di guerra.

Ora, io non faccio una questione di carattere morale o religioso; se ne discuterà in un’altra sede. Io domando all’Assemblea se essa ritiene conveniente che noi dobbiamo mantenere in piedi questo strumento tipico della campagna demografica del fascismo. Questa campagna demografica fu determinata non da ragioni di carattere religioso o filosofico, ma da ragioni contingenti di politica internazionale, che oggi sono venute a decadere, e che hanno anzi determinato una reazione in senso contrario in tutta la Nazione, ammaestrata dalla triste esperienza fatta.

Da questo punto di vista credo che, pur restando la pubblicazione in parola un reato, essa non debba però comportare il sequestro preventivo del giornale. Faccio notare a questo proposito che c’è stato qualcuno che, fin dai primi giorni che seguirono il 25 luglio 1943, si preoccupò di smontare alcuni elementi di questo apparato per la campagna demografica, e questo qualcuno è stata appunto la burocrazia. Se gli onorevoli colleghi andranno a consultare la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 1943, troveranno che alla data del 2 agosto, una settimana dopo il 25 luglio, quando tante altre provvidenze erano ben più necessarie – bisognava pensare a cose molto più importanti – insieme ai decreti-legge che abolivano il Gran Consiglio del fascismo e scioglievano il partito fascista, fu pubblicato anche un regio decreto-legge contenente disposizioni per la soppressione dei privilegi concessi ai coniugati in fatto di carriera e di avanzamento. La burocrazia, alla quale noi rimproveriamo giustamente tante volte di essere torpida e lenta, approfittò della caduta di Mussolini per preparare, pochi giorni dopo il 25 luglio, questo decreto-legge, il quale evidentemente sistemava gli interessi e la carriera di molti burocrati. Evidentemente si sentì allora, ma solo per il raggiungimento di fini particolari, il bisogno di cominciar subito a smontare questo apparato della campagna demografica. Ora credo che noi, da un punto di vista generale, dobbiamo cercare di smontarlo per quel che riguarda un suo eccesso evidente. L’eventuale pubblicazione e propaganda per la vendita di mezzi anticoncezionali non può costituire allo stato attuale delle cose, nelle condizioni attuali dell’Italia, quando ci sono tanti problemi determinati appunto dalla soprapopolazione, un reato di tale pericolosità sociale che si possa minacciare di sequestro preventivo il giornale che se ne rende responsabile.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Moro e Dominedò hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il n. 4°) del secondo comma col seguente:

4°) dei giornali e degli altri stampati, quando in essi si concreti il reato di offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica o del Capo di uno Stato estero, di istigazione a delinquere nell’ipotesi dell’articolo 414, comma primo, n. 1°), del Codice penale, di apologia di reato ai sensi dell’ultimo comma dello stesso articolo, di delitti contro il sentimento religioso nelle ipotesi previste dagli articoli 402, 403 e 406 del Codice penale, ovvero di pubblicazioni oscene o contrarie alla pubblica decenza anche nelle ipotesi configurate nell’articolo 27 della presente legge o, infine, il reato previsto dall’articolo 553 del Codice penale e che comunque divulghino mezzi rivolti a impedire la procreazione o a procurare l’aborto o illustrino l’impiego di essi o diano indicazioni sul modo di procurarseli o contengano inserzioni o corrispondenze relative ai mezzi predetti.

«Reintegrare il quarto comma nel testo del progetto ministeriale.

«Aggiungere infine: L’autorità giudiziaria deve provvedere nelle successive 24 ore».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Con l’emendamento al n. 4° del secondo comma dell’articolo 28, noi proponiamo che si considerino una serie di ipotesi le quali, pur movendo dall’elenco del progetto governativo e della Commissione, lo integrano, prevedendo altre ipotesi, la cui mancanza mal si spiegherebbe innanzi al fatto che, viceversa, casi similari sono già esplicitamente contemplati nella norma in esame. Quindi si tratta di un emendamento che, accogliendo le ipotesi previste; ritiene di completarle opportunamente. Le figure nell’ambito delle quali si crederebbe doveroso di integrare la norma, si concentrano essenzialmente in quattro.

La prima è quella per cui si menziona la stampa mediante la quale si commetta apologia di reato: con ciò si ritorna dal testo della Commissione al testo del Governo. Dobbiamo considerare che già precedentemente erano menzionate delle ipotesi, come quella della istigazione, le quali si avvicinano a quella dell’apologia. Se è vero infatti che ogni apologia porta psicologicamente seco un elemento di istigazione, ne segue l’evidente ragionevolezza dell’allargamento a termini dell’articolo 414 del Codice penale.

Secondo: il comma in esame lascia scoperta una necessità che a noi pare fondamentale, nel senso che, mentre si contemplano le ipotesi in cui attraverso la stampa si vengano a perpetrare delitti che colpiscono esigenze di ordine etico, esigenze che attengono alla coscienza morale, non si fa parola di quelle offensive pubblicazioni attraverso cui si commettono delitti che colpiscono il sentimento religioso. Ci sia pertanto consentito richiamare, accanto all’esigenza morale, l’esigenza religiosa, che spesso può essere considerata la matrice di quella e che certamente attiene alla coscienza generale del popolo italiano. Né con ciò si vuole conferire alla materia carattere di confessionalismo, poiché, attraverso il richiamo degli articoli 402, 403 e 406 del Codice penale, viene altresì compresa l’ipotesi dell’offesa a qualsiasi sentimento religioso, a prescindere da ogni apprezzamento confessionale, dato che il detto articolo 406 estende precisamente il delitto nei confronti dei culti ammessi. Ci sembra quindi, con questa innovazione che oseremmo definire centrale rispetto alla sistematica della norma, di rendere omaggio alla volontà e alla coscienza comune.

Terzo punto: si vuole integrare la norma con l’inclusione della stampa mediante la quale si compiano delitti attinenti a pubblicazioni oscene, di contenuto impressionante o raccapricciante come quelle di cui all’articolo 21 precedentemente votato. Qui ci sembra di essere conseguenziali rispetto alla norma sulla quale l’Assemblea si è già intrattenuta, approvando l’allargamento delle sanzioni previste dall’articolo 528 del Codice penale.

Ultimo punto di integrazione. Noi penseremmo che debba essere anche menzionata l’ipotesi in cui attraverso la stampa si incorra nel delitto previsto dall’articolo 553 del Codice penale sull’incitamento alle pratiche contro la procreazione. Mi permetto a questo riguardo di dissentire dalla impostazione dell’onorevole Schiavetti, mentre precedentemente abbiamo dimostrato il nostro consenso, quando egli invocava altre esigenze di ordine morale che vibrano nel nostro animo al pari che nel suo. Ora qui io debbo fare capo ad un criterio del tutto diverso da quello da lui invocato. Esattamente egli condannava quanto in questa materia attenga a finalità politiche contingenti e di carattere demagogico, quali potrebbero essere quelle costituite da un indirizzo meramente demografico, che voglia piegare il sentimento e l’esigenza morale, o addirittura quella religiosa, ad una sovrastante valutazione di imperio da parte dello Stato. Nessuno, il quale alimenti in sé un autentico senso religioso, può ammettere una visione che faccia della morale o della religione uno instrumentum regni. Piena adesione su questo punto. Ma ciò non esclude che, se è veramente in giuoco una valutazione morale al di sopra della valutazione politica, la quale vorrebbe strumentalmente legare l’etica allo Stato, se è in giuoco un valore morale, questo deve essere, come tale, e non già strumentalmente protetto. E per tale diversa impostazione, la quale ponendo nuove e sovrastanti premesse rispetto a quelle dall’onorevole Schiavetti, deve giungere a diverse conseguenze, non solo conviene qui richiamare l’articolo 553, ma si dovrà altresì allargarlo, come faceva lo stesso decreto del 4 luglio 1946, che porta la firma del guardasigilli del tempo onorevole Togliatti. In tale decreto vi è un’elencazione più ampia e circostanziata, che noi intendiamo fare nostra nell’emendamento che abbiamo l’onore di sottoporre all’Assemblea, colpendo così la stampa che comunque divulghi mezzi rivolti a impedire la procreazione o a procurare l’aborto o ne illustri l’impiego o ne agevoli il modo di fornirsene.

A noi pare che con questa integrazione venga avvalorata l’armonia della norma, onde tutto quello che concerne la tutela di esigenze essenziali di ordine morale sia organicamente tenuto presente, in modo che la disposizione non offra il difetto di lacune, le quali ferirebbero quel supremo sentimento etico che per ipotesi non fosse protetto dalla norma giuridica.

Tutto ciò detto sulla sfera di applicazione del sequestro pendente iudicio, il collega onorevole Moro svolgerà l’ulteriore proposta di ripristinare a termini della Costituzione il 4° comma dell’articolo relativamente al sequestro preventivo, comma al quale noi abbiamo aggiunto un ultimo inciso, secondo cui l’autorità giudiziaria dovrà comunque provvedere alla convalida del sequestro amministrativo, entro le successive 24 ore, sempre in aderenza all’articolo 21 della Costituzione, restando così rigorosamente circoscritto l’esercizio di un eccezionale potere contemplato dalla legge solamente nel caso di delitti che offendano con particolare gravità la coscienza morale del popolo italiano.

PRESIDENTE. L’onorevole Moro ha facoltà di svolgere quella parte dell’emendamento che propone di reintegrare il quarto comma nel testo del progetto ministeriale.

MORO. La nostra proposta si ricollega alla impostazione contenuta nell’articolo della Carta costituzionale, che si occupa della libertà di stampa e della materia dei sequestri.

Anzitutto una considerazione di carattere storico, relativa alla formazione di questa disposizione costituzionale, per la quale vi fu una votazione molto contrastata in questa Assemblea; molto contrastata, ma appunto per ciò molto chiara. Si trattava di stabilire se, accanto alle ipotesi di sequestro disposto dall’autorità giudiziaria al principio dell’azione giudiziaria, si dovesse anche riconoscere una possibilità di sequestro da parte di autorità di polizia in casi di urgenza.

L’Assemblea su questo punto si divise, in quanto alcuni colleghi ritennero che fosse essenziale garanzia di libertà per la stampa che il sequestro fosse ammissibile soltanto ad opera dell’autorità giudiziaria; mentre da altri, fra i quali i colleghi del mio Gruppo, si ritenne che la libertà di stampa potesse essere garantita, al tempo stesso tutelando esigenze di ordine morale e sociale, con lo stabilire, in via eccezionale, in casi di necessità e di urgenza, la possibilità di un intervento da parte della autorità di polizia; possibilità di intervento, per altro, limitata rigorosamente ad ipotesi previste appunto dalla legge sulla stampa; possibilità di intervento limitata dall’obbligo di denunzia entro le 24 ore all’autorità giudiziaria; la quale deve provvedere entro le successive 24 ore.

Comunque, questa votazione molto chiara, nettamente discriminatrice, avvenne, e fu sancito quell’articolo, per il quale, accanto alle forme di sequestro ad opera dell’autorità giudiziaria, erano previste forme di sequestro ad opera degli ufficiali di polizia giudiziaria.

Ora, abbiamo visto una proposta fatta dalla Commissione, che per altro decise a lieve maggioranza, per la quale il comma quarto dell’articolo in discussione dovrebbe essere soppresso, in quanto nell’articolo correlativo della Carta costituzionale sarebbe contenuta una norma facoltativa. Tenderebbe, cioè, questo articolo, semplicemente a rendere possibile alla legge sulla stampa di prevedere queste forme di sequestro ad opera dell’autorità di polizia.

Contro questa tesi, acutamente sostenuta dall’onorevole Cevolotto, mi pare che vi siano molte ragioni da opporre; non le citerò tutte; mi limiterò a un breve cenno.

Anzitutto un cenno di carattere storico. Credo che l’Assemblea conosca che questa questione, secondo una proposta contenuta nella stessa relazione dell’onorevole Cevolotto, fu portata insieme ad altre pochissime dinanzi alla riunione dei capi dei Gruppi parlamentari, nell’intento di stabilire se vi fosse, in ordine a queste questioni, quella unanimità o quasi unanimità – come si diceva – che avrebbe permesso di portare in discussione in Assemblea il problema per una nuova decisione.

Quindi, mentre nella relazione dell’onorevole Cevolotto si tende a far ritenere che sia una questione di interpretazione della norma costituzionale, mi pare che a ciò osti il precedente citato, in quanto si ritenne che le questioni dovessero essere pregiudizialmente esaminate dai capi-gruppo per stabilire se vi era l’unanimità necessaria per revocare la precedente deliberazione. Quindi non si tratta di interpretare, ma si tratta di revocare, e così fu intesa la questione ed in questo senso, non essendosi raggiunta la necessaria unanimità in sede di riunione dei capi dei Gruppi parlamentari, essa non fu portata affatto dinanzi all’Assemblea. Non si può perciò venire oggi a dire all’Assemblea che si tratta di interpretare largamente la norma costituzionale, per intenderla come norma facoltativa e non come norma obbligatoria. Se io volessi fare una piccola malignità, direi che noi potremmo votare favorevolmente all’abolizione del comma 4°, perché questo comma 4°, restando nella norma costituzionale, non ha bisogno di essere ripetuto in una esplicita disposizione di legge, ed ha valore per se stesso. La legge sulla stampa non è chiamata a discutere l’ammissibilità concreta del comma 4°, ma soltanto a definire quali sono i casi, i limitati casi di delitti, per i quali abbiano vigore le norme stabilite dalla Costituzione per il sequestro preventivo.

D’altra parte bisogna che l’Assemblea abbia presente il collegamento che vi è tra questa ipotesi del comma 4° e le precedenti. Questa ipotesi è, evidentemente, un’ipotesi di surrogazione: siamo nei casi in cui, non potendo l’autorità giudiziaria intervenire tempestivamente, sussistendo la necessità e l’urgenza di cui parla la disposizione costituzionale, subentra ad essa, con la garanzia dei termini di cui già si è detto, l’autorità di polizia giudiziaria. Il sistema è unitario, onorevoli colleghi: non si può prenderlo a metà. O noi per ipotesi concepiamo nella legge sulla stampa una disciplina tutta diversa da quella costituzionale, ipotesi assurda, o noi accettiamo – e non possiamo non accettarla – la disciplina costituzionale, così come è data dal relativo articolo, e dobbiamo prenderla integralmente con la sua ipotesi principale e con quella subordinata; perché nel comma 4° non si prevede che una ipotesi, una ipotesi di surrogazione, che non può essere distaccata dalla disposizione principale, cui inerisce. Per queste ragioni non impostiamo qui la questione come di un normale emendamento; noi impostiamo una questione di corrispondenza della legge alla Carta costituzionale e ci auguriamo che tutti i colleghi sentano che qui non è questione di maggioranza o di minoranza, ma di leale adesione alla Carta costituzionale votata.

Quando l’onorevole Cevolotto dice che la Carta costituzionale pone una garanzia della libertà, ma che quando risulti incrementata la libertà il limite da essa fissato può essere sorpassato, io rispondo che né la Costituzione, né la legge sulla stampa tutelano soltanto la libertà. La Costituzione e la legge sulla stampa, tutelano la libertà, sì, ma insieme tutti i valori morali e sociali caratteristici di un ordinamento giuridico. E qui mi richiamo a quanto disse, forse con espressione non molto felice, ma, credo, sostanzialmente esatta, l’onorevole Schiavetti. Se noi dessimo l’interpretazione che ci propone l’onorevole Cevolotto, noi avremmo forse garantito la libertà, ma non avremmo garantito quei valori che la Costituzione intese tutelare quando pose in quella forma l’articolo relativo alla stampa.

PRESIDENTE. L’onorevole Bettiol ha presentato il seguente emendamento, già svolto:

«Ripristinare il quarto comma del testo ministeriale, sopprimendo la parola: periodiche».

L’onorevole Manzini aveva presentato il seguente emendamento all’articolo 28 del testo ministeriale, corrispondente all’articolo 22 in esame:

«All’articolo 28, comma secondo, n. 4°), invece del richiamo all’articolo 553 del Codice penale, inserire il seguente periodo: …ovvero che divulgano mezzi rivolti ad impedire la procreazione, o a procurare l’aborto, o illustrano l’impiego di essi, o dànno indicazioni sul modo di procurarseli, o contengono inserzioni o corrispondenze relative ai mezzi predetti».

Ha facoltà di svolgerlo.

MANZINI. Vi rinuncio, associandomi a quello Moro-Dominedò, ma desidero aggiungere poche parole.

Siccome il nostro emendamento ha un contenuto perfettamente contrapposto a quello dell’onorevole Schiavetti, desidero sottolineare uno degli argomenti che egli ha qui espresso, e che ha un valore sia morale che politico. L’onorevole Schiavetti ha detto che il suo emendamento, soppressivo dell’inciso che riguarda la pratica abortile e anticoncezionale, si riferiva alla campagna demografica. Ora, io dico che da un lato noi possiamo anche convenire che certi aspetti della campagna demografica avevano un contenuto materialistico, che non ha niente a che fare con quella che è la concezione morale della famiglia e dell’adempimento dei doveri della famiglia cristianamente intesa; però, altro è affermare questo e altro è non tendere ad arginare tutta quella campagna a carattere maltusiano, o comunque disgregatrice dell’elemento morale della famiglia. Noi abbiamo visto che, anche dopo la liberazione, questo ha talmente preoccupato il legislatore che, se abbiamo avuto quegli interventi che Schiavetti ha rilevato, essi si sono avuti soprattutto per quanto riguarda la famosa inferiorità che era stata stabilita sul piano giuridico verso i celibi. Ma, per quanto riguarda invece la campagna contro la famiglia, o quella campagna di stampa che riguarda la pratica anticoncezionistica, noi abbiamo un decreto del 1946 in cui è ammesso il sequestro proprio a questo fine ed a questo titolo. Quindi, credo che rientriamo, anche da questo punto di vista, nel solco dei precetti, già precedentemente stabiliti, anche in regime di democrazia e di libertà.

Con questa aggiunta intendo associarmi all’emendamento Moro.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. Onorevoli colleghi, è forse questo il punto più delicato della nostra discussione e credo che dovrebbe interessare particolarmente. Dico «dovrebbe», perché i banchi vuoti dimostrano che in realtà non l’interessa. Quindi, mi limiterò a pochissime parole.

Quale è sempre stato, da quando la democrazia ha avuto una prima affermazione in questo campo in Italia, cioè dal 1906, il regime del sequestro della stampa, salvo la nefasta parentesi fascista?

La legge Sacchi del 1906 dice: «Il giudice istruttore o anche il pubblico ministero potranno far procedere al sequestro di tutti gli esemplari degli oggetti che riconoscessero offensivi del buon costume e del pudore, ai sensi degli articoli 338 e 339 del Codice penale. Nel qual caso, entro il termine di 24 ore si dovrà da loro promuovere l’opportuno procedimento». È questo l’unico caso di sequestro della stampa che dal 1906 al regime fascista ha avuto luogo in Italia. E non è successo niente di male e la stampa ha potuto svolgere la sua funzione senza che nessuno di quei pericoli sociali di cui oggi si parla si sia manifestato. Questa libertà non ha nociuto né alla morale né al buon costume, ma soprattutto ha dato libertà alla stampa politica.

Dopo la parentesi fascista è stato promulgato il decreto che porta la firma degli onorevoli De Gasperi e Togliatti, il decreto 31 maggio 1946 n. 561, il quale dice: «Non si può procedere al sequestro della edizione di giornali o di qualsiasi pubblicazione o stampato se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria. È tuttavia consentito all’autorità giudiziaria di disporre il sequestro di non oltre tre esemplari di giornali o pubblicazioni o stampati che importino una violazione della legge penale». E poi aggiunge: «In deroga a quanto stabilito dall’articolo precedente si può fare l’azione di sequestro di giornali od altre pubblicazioni e stampati che, ai sensi della legge penale, sono da ritenersi osceni ecc.».

Questo è il regime che vige oggi. Si propone ora di tornare a prima del 1906, di rinunciare alla libertà riconquistata e che esisteva prima del fascismo. A questo è necessario che tutti gli spiriti democratici si ribellino.

Non è concepibile che si torni al sistema dei sequestri della polizia, che permettono tutte le angherie da parte dell’esecutivo. Perché, badate, quando si allarga la portata del n. 4, secondo comma, dell’articolo proposto e si dice, per esempio, che potranno essere sequestrate dall’autorità giudiziaria le pubblicazioni che costituiscono delitto contro il sentimento religioso, pensate un momento quanto facile sarà – durante la campagna elettorale – trasformare una qualsiasi polemica contro un partito, che apertamente è legato ad una determinata fede religiosa, nella offesa al sentimento religioso.

Sarà facilissimo confondere le cose, volutamente o no, e sequestrare la stampa; e quando un giornale è sequestrato per 24 ore, quel numero del giornale non esiste più.

Si dice: c’è la Costituzione; ma io la Costituzione credo di averla esaminata con attenzione e pensata con profonda meditazione. Prima di tutto contesto che la votazione dell’articolo 21 sia avvenuta (come certamente in buona fede dice l’onorevole Moro) con perfetta convinzione, perché io mi ricordo che questo articolo noi l’abbiamo votato alle 11.30 di notte dopo una seduta estenuante, ed io ho avuto l’impressione – e l’ho detto – che l’Assemblea non si rendesse in quel momento conto di ciò che votava, e ne sono sicuro, perché era troppo stanca.

UBERTI. Questo significa infirmare la Costituzione!

CEVOLOTTO, Relatore. Io dico apertamente quella che è la mia convinzione.

È per questo che, quando i capi dei Gruppi parlamentari si sono raccolti per esaminare quali punti si potevano, in sede di coordinamento, portare all’Assemblea, si è indicato anche questo punto, per le ragioni che dirò subito. (Interruzione del deputato Moro). Ma i capi dei Gruppi parlamentari non si sono trovati d’accordo con quella unanimità che avrebbe consentito all’Assemblea di rivedere la questione in sede di coordinamento. La Assemblea non ha potuto prendere in esame l’argomento, per la mancata concordia dei capi dei Gruppi parlamentari. Però anche in questo caso l’opposizione – che credo sia venuta dal Gruppo della Democrazia cristiana – a riportare la questione davanti all’Assemblea, per me (esprimo una mia opinione personale), non è stata giusta, perché l’articolo 21 contiene una contradizione dalla quale non si può in nessun modo uscire.

Dice l’articolo 21:

«La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».

Dunque, il giornale non può essere censurato, cioè dal giornale non può essere tolto un brano che, eventualmente, sia anche delittuoso. Ed allora, come potete togliere non soltanto un brano, ma tutto un giornale? (Commenti al centro). Il sequestro è qualche cosa di più della censura; se impedite la censura non è logico che possiate ammettere il sequestro!

Una voce al centro. Ma lei confonde la censura con il sequestro!

CEVOLOTTO, Relatore. Non confondo niente! Censura vuol dire impedire la pubblicazione di un determinato brano di un giornale e sequestro vuol dire togliere di mezzo tutto il giornale.

RUSSO PEREZ. La censura è preventiva! (Commenti).

CEVOLOTTO, Relatore. Ma anche il sequestro è preventivo. (Interruzioni – Commenti). Per me, vi è una contradizione che non può essere eliminata.

GAVINA. Nel più sta il meno, onorevole Russo Perez. (Commenti).

CEVOLOTTO, Relatore. In ogni modo, se volete tornare ad un regime antidemocratico non avete altro da fare…

RUSSO PEREZ. No; ad un regime morale!… (Commenti a sinistra).

CEVOLOTTO, Relatore. Lasciatemi dire: avrò anche il diritto di dire che quella che fate è opera antidemocratica, perché questa è la mia profonda convinzione. Noi facciamo una legge che ci porta indietro di trenta anni! (Commenti al centro – Applausi all’estrema sinistra).

TONELLO. Volete fare una legge come piace a voi, questa è la verità! (Commenti).

CEVOLOTTO, Relatore. E poiché verrà il momento… (Interruzione del deputato Moro).

PRESIDENTE. La prego, onorevole Moro, sembra che si tratti di un suo caso personale…

CEVOLOTTO, Relatore. …e verrà senza dubbio, in cui a questo – che per me è uno sconcio – si riparerà, sarà stato bene che si sia elevata nell’Assemblea Costituente una voce di protesta contro la violazione della libertà democratica. (Applausi all’estrema sinistra – Commenti e interruzioni al centro).

L’articolo 21 della Costituzione dice:

«Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato della autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili».

Quindi, una legge sulla stampa deve indicare i casi in cui il sequestro è disposto dall’autorità giudiziaria, casi che, nella pratica democratica dopo il 1906, erano quelli della stampa oscena o contraria al buon costume, esclusivamente.

Aggiunge l’articolo 21:

«In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria».

Questa seconda norma è una norma cogente, è una norma che obbligatoriamente si deve inserire nella legge sulla stampa, o è una disposizione permissiva, nel senso che autorizza, in casi particolari, in casi di emergenza, in casi di necessità assoluta, la legge speciale sulla stampa a consentire il sequestro?

SCHIAVETTI. Anche per la pubblicità dei mezzi finanziari c’è nella Costituzione una disposizione cui noi abbiamo provvisoriamente rinunciato. (Commenti).

CEVOLOTTO, Relatore. Come va interpretato tale capoverso, secondo cui il sequestro può essere eseguito dalla polizia? Per me non c’è che una sola interpretazione possibile, perché bisogna porre il capoverso in relazione con ciò che precede, che cioè la stampa non può essere sottoposta a censure; bisogna porlo in relazione con lo spirito della legge, che è quello di autorizzare il legislatore, in casi del tutto particolari, ad emettere disposizioni che ammettano in via del tutto eccezionale il sequestro. Bisogna interpretare nel senso che la legge può limitare – e anche escludere del tutto – i casi di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria, tanto più può limitare i casi di sequestro da parte della polizia.

Questa è la mia tesi, e non mi pare che le osservazioni formulate dall’onorevole Moro possano infirmarla. Secondo me noi possiamo anche inserire nel comma quarto quei casi nei quali ammettiamo che il sequestro possa essere eseguito dall’autorità giudiziaria, ma non per questo siamo obbligati a sancire l’altra norma che, in tutti questi casi, in via di urgenza, il sequestro possa essere eseguito anche dagli ufficiali della polizia giudiziaria.

Questa è la tesi che propone la maggioranza della Commissione. Io credo che, se vogliamo veramente restare aderenti allo spirito della Costituzione, se vogliamo veramente restare aderenti allo spirito della democrazia, se vogliamo veramente evitare che venga offerto all’esecutivo un mezzo, che non deve avere in alcun caso, di reprimere, attraverso interpretazioni estensive che certamente verrebbero, la libertà della stampa, dobbiamo restare nei limiti che la Commissione ha proposto.

La Commissione ha limitato il comma quarto a pochi casi, anche per il sequestro da parte dell’autorità giudiziaria. Tali casi sono tuttavia sempre più numerosi dei casi contemplati dalla legge Sacchi del 1906 e dalla legge De Gasperi del 1944. E forse sarebbe stato bene mantenere i limiti di quelle leggi. Ma, poiché la Commissione e il Governo avevano proposto un allargamento, la Commissione parlamentare non ha creduto, in questo campo, di restringere l’ambito del quarto comma, tornando alla legge Sacchi e alla legge De Gasperi.

Che cosa si propone ora con questi emendamenti? Si vuole allargare anche di più questo quarto comma, il che comporta, se si voterà contro la soppressione del comma successivo, che si giungerà all’allargamento anche ai casi in cui il sequestro può essere eseguito dalla polizia giudiziaria.

Ed è molto pericoloso consentire questo allargamento, perché, se, ad esempio, il sequestro può essere eseguito dalla polizia giudiziaria «nei casi di apologia di reato», l’apologia di reato può essere intesa in molti sensi; e può portare ad una facilità di sequestri, di cui, chi ha pratica di queste cose, chi ha pratica di lotte politiche, si rende conto subito. Vi sono poi i «delitti contro il sentimento religioso nelle ipotesi previste, ecc.». Nella aspra lotta politica che si prepara è molto facile confondere un attacco, per esempio, alla Democrazia cristiana con un attacco alla religione. (Proteste al centro – Commenti a sinistra). Se, per esempio, durante la lotta del 2 giugno, qualcuno di noi avesse scritto che vi erano dei sacerdoti i quali venivano meno al loro dovere e commettevano un reato, perché in chiesa, valendosi della loro qualità di pastori di anime, consigliavano la votazione di una determinata lista, dicendo che era peccato mortale non votare quella lista… (Proteste al centro – Approvazioni a sinistra) – (non fingete di non saperlo) – se questo attacco fosse stato eventualmente accompagnato – come è facile che succeda nell’ardore di una lotta politica – da qualche parola irriverente, che è male sia pronunciata o scritta, ma che può sfuggire nel fervore della polemica (Commenti al centro), si sarebbe subito detto che vi era offesa al sentimento religioso e si sarebbe sequestrato il giornale (Commenti al centro – Interruzione del deputato Tonello e del deputato Mazza).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non cominciamo a dare esempi pratici di cose dette puramente in linea di ipotesi.

RUSSO PEREZ. Qui non parla il Relatore, ma il pubblico accusatore.

TONELLO. Dice delle verità.

ANGELUCCI. Il Relatore riferisce sulla legge o fa delle considerazioni personali?

PRESIDENTE. Onorevole Angelucci, la prego.

CEVOLOTTO, Relatore. Ad ogni modo non cesso, perché sono Relatore, di essere un deputato che ha diritto di dire quello che pensa. (Commenti al centro). Io ho parlato a titolo individuale.

Durante l’altra campagna elettorale io ho pubblicato, ad esempio, una lettera di un vescovo, il quale diceva ad un consultore che aveva votato un certo articolo della legge elettorale, quello che punisce i sacerdoti che fanno propaganda, che era caduto in peccato mortale. (Prolungati commenti e interruzioni al centro – Interruzione del deputato Tonello).

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, la prego. Onorevoli colleghi, desidero sapere se hanno dimenticato che stiamo discutendo un disegno di legge. Nessuno ha interrotto l’onorevole Moro quando ha parlato nel senso che ha ritenuto utile. Vorrei si fosse altrettanto tolleranti Verso il Relatore. Continui, onorevole Cevolotto.

CEVOLOTTO, Relatore. Questo che dico per un partito si potrebbe dire anche per altri. Se domani a quel banco, invece che un Ministero eventualmente liberale o in gran parte democratico cristiano, sedesse un Ministero comunista, voi gli fornireste il mezzo di restituire i torti con un’azione analoga. (Commenti).

Una voce al centro. La legge sulla stampa non ci sarebbe più.

CEVOLOTTO, Relatore. La legge sulla stampa deve essere fatta per non permettere, per non dare il mezzo a nessun Governo, di nessun colore, di intervenire con i sequestri a mezzo dell’esecutivo. Se oggi faccio delle ipotesi che si riferiscono all’attuale situazione, le stesse ipotesi possono essere prospettate per il caso che la situazione si rovesciasse. Sarebbe altrettanto antidemocratico, illiberale e pericoloso se quegli abusi che io temo fossero resi possibili ad un Ministero di colore opposto. La legge deve garantire la libertà di stampa in tutti i casi, qualunque sia il Governo o la maggioranza che tengono il potere. E aggiungo qualcosa di più: non è questa una legge che una maggioranza possa votare per forza del numero, senza tener conto dei diritti delle minoranze. E non vorrei credere, non vorrei pensare nemmeno che, valendosi del numero che in questo momento è a loro favore, alcuni gruppi politici uccidessero la libertà di stampa non rispettando i diritti delle minoranze. (Commenti).

Concludo dicendo che noi non accettiamo, come maggioranza della Commissione, l’allargamento del n. 4 dell’articolo; non accettiamo che venga ripristinato quel capoverso che abbiamo proposto di sopprimere. Crediamo con questo di non fare azione di parte, ma semplicemente di proteggere la tradizione democratica che da molto tempo almeno – almeno dopo il 1906 – in questa materia ha prevalso in Italia.

Riteniamo che sia tornare indietro di molti anni, tornare ad un regime antidemocratico e illiberale, dare il voto favorevole agli emendamenti che sono stati proposti! (Vivi applausi all’estrema sinistra).

BETTIOL. Chiedo di parlare per la minoranza della Commissione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. L’argomento è molto interessante ed anche, sotto certi punti di vista, grave, dato che in seno alla Commissione si è creata questa discrepanza fra maggioranza e minoranza.

È stato detto che l’Assemblea Costituente ha approvato l’articolo 21 della Costituzione in un momento di sonnolenza, in un momento di stanchezza. Ora è vero che anche l’Assemblea Costituente, come il grande Omero, può talvolta dormicchiare; ma la realtà è che, quando ha deliberato, il testo approvato ha il suo pieno valore costituzionale. Non si potrà in nessun caso cercare di fare il processo alla validità del testo costituzionale tirando in ballo argomenti di carattere psicologico o di carattere fisiologico dei componenti dell’Assemblea Costituente, argomenti che sono assolutamente fuori posto e che nessun giurista, da che esiste il mondo, da che esiste una tecnica giuridica e da che esiste un metodo di studio ha mai tirato in ballo per inficiare la validità di una legge! (Approvazioni al centro).

Noi ci troviamo di fronte ad un testo molto chiaro e molto preciso, ad un testo costituzionale che concede in casi eccezionali agli ufficiali della polizia giudiziaria di procedere al sequestro preventivo di certa stampa quando vien meno a determinati, fondamentali doveri. E quali sono questi fondamentali doveri? Qui si nasconderebbe il veleno antidemocratico su cui ha parlato tanto abbondantemente l’onorevole Cevolotto. Questi limiti sono esclusivamente quelli stabiliti dal Codice penale, vale a dire da quella legge che in concreto garantisce la possibilità di una ordinata e pacifica convivenza democratica fra uomini liberi; perché, quando si viola la legge penale si minano le possibilità di una pacifica e ordinata convivenza democratica! (Applausi al centro).

La Costituzione sancisce il principio che la libertà personale è inviolabile, ma giustamente dispone che in casi eccezionali la polizia può limitarla; anche il domicilio è inviolabile, ma v’è una disposizione per cui, in casi eccezionali, anche questa libertà domiciliare può essere violata, onde non si trasformi in licenza! (Interruzioni all’estrema sinistra).

È proprio per evitare che la libertà trasmodi, attraverso la stampa, in violenza e licenza che noi riteniamo tener presente quel limite costituzionale, che non è facoltativo, permissivo, ma è cogente, posto all’attività del legislatore, perché in materia di stampa contempli anche la possibilità del sequestro, ad opera della polizia giudiziaria, della stampa delittuosa.

Qui si tratta esclusivamente di intervenire per impedire la perpetrazione di un reato o per colpire un reato già perpetrato. Io ripeto, e questo deve essere come cardine fondamentale in tutta questa nostra discussione, che questa possibilità di intervenire la limitiamo esclusivamente alla ipotesi di violazione della legge penale che è limite alla attività di tutti indistintamente.

Quindi limite alla libertà dell’uno perché la libertà dell’uno, secondo la formula classica, possa coesistere con la libertà dell’altro. Non per violare la legge democratica, ma per dare fondamento morale alla legge, per dare valore alla legge democratica, noi approviamo, almeno io, a nome della minoranza, quegli emendamenti che tendono a determinare i limiti desunti dalla legge penale positiva perché il potere esecutivo, attraverso gli ufficiali di polizia giudiziaria, possa intervenire per frenare gli abusi della stampa delittuosa, immorale o morbosa.

Una voce all’estrema sinistra. Bella libertà di stampa, questa!

BETTIOL. Voi (Indica l’estrema sinistra) avete un’idea strana della libertà di stampa, lo so. Per voi la libertà di stampa è una libertà… manovrata! (Commenti).

Non è il caso poi di ribattere le gratuite affermazioni dell’onorevole Cevolotto circa la possibilità che, attraverso la previsione di reati di vilipendio di religione, si possa domani impedire una critica, una discussione politica di un determinato partito che operi sulla piattaforma politica, perché tanto è ovvia la critica che farei offesa all’intelligenza dei colleghi.

A nome della minoranza della Commissione, dichiaro di accettare tutte quelle limitazioni, desunte dalla legge penale, che autorizzano l’intervento degli ufficiali di polizia giudiziaria, che i miei colleghi hanno presentato al progetto. (Vivi applausi al centro – Commenti all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Il Governo ha facoltà di esprimere il proprio parere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il tono forse eccessivamente polemico con cui si è fin qui discusso su questo articolo potrebbe forse indurre il Governo, nella sua risposta ai singoli emendamenti, ad affrontare argomenti che non hanno di per sé attinenza col testo da votare.

Io ritengo che, ragionando con assoluta serenità su questo articolo e tenendo fede a quanto abbiamo deciso con l’articolo 21 della Costituzione, si possa dimostrare con chiarezza che, sia il testo governativo che le proposte dei colleghi, che possono essere accettate, non compromettono assolutamente la libertà di stampa intesa nel senso più pieno e più serio di questa parola. E ripetendo quanto ebbi l’onore di dirvi l’altro giorno, circa la precisa posizione del Governo attuale riguardo a questa legge, non soltanto confermo che vi è il proposito di non fare il minimo abuso della legge stessa quando sarà votata, ma ritengo anche doveroso ricordare – pure se ciò sembri presunzione da parte del Governo – che delle stesse disposizioni sin qui vigenti si è fatto un uso limitato o nessun uso dagli ultimi governi; il che sta a dimostrare che il Governo formato nel giugno del 1947 è stato il più geloso custode e il più parco esecutore del principio della libertà di stampa, rispetto anche ai governi precedenti. Di fronte alle ipotesi e alle vaghe preoccupazioni, è questa una constatazione di fatto su cui non è possibile discutere o avere una opinione diversa. L’articolo 21 della Costituzione stabilisce chiaramente che la legge sulla stampa fisserà i casi in cui può addivenirsi, per atto motivato dell’autorità giudiziaria, ad un sequestro, prima di una sentenza divenuta definitiva. Questa è la sede appunto di fissare tali casi, i quali vanno al di là di semplici violazioni amministrative delle condizioni richieste per la registrazione, descritte a parte dallo stesso articolo 21. Non si può pertanto parlare di un ritorno al 1906 o più indietro: si ritorna semmai a quello che abbiamo stabilito chiaramente nella Costituzione, quando si è discusso – nel mese di marzo o nel mese di aprile, se non erro – dell’articolo 21. Se poi lo abbiamo stabilito alle undici di sera o alle dieci del mattino, questo non ha rilevanza pratica, anche perché v’è stata una serie di appelli, il giorno del coordinamento delle singole norme, nella Commissione dei Settantacinque e forse qualcuno avrebbe potuto proporre qualche modifica, in quella sede, cosa che non è stata fatta.

In quali casi è ammessa la possibilità di un sequestro? A parte i primi due casi relativi alla violazione di norme amministrative, vi è quello riguardante i giornali pubblicati in violazione delle norme sul riposo festivo. Io sarei d’accordo di togliere questa ipotesi in quanto si tratta di una contravvenzione e non di un delitto, mentre l’articolo 21 parla di delitti e non genericamente di reati. Se volessimo quindi rispettare l’articolo 21 della Costituzione, la terza ipotesi dovrebbe essere del tutto esclusa. E su questo non vi sono particolari difficoltà.

Vi è poi il quarto comma, su cui la Commissione ha proposto modifiche di carattere non sostanziale rispetto al testo del Governo, mentre alcuni colleghi hanno formulato aggiunte sostanziali. L’onorevole Russo Perez vorrebbe estendere la possibilità di sequestro al caso di rifiuto a pubblicare una rettifica. Ora, a parte la considerazione che tale proposta potrebbe meglio inquadrarsi nel sistema di severe garanzie che abbiamo voluto porre nel disciplinare l’obbligatorietà di pubblicazione delle rettifiche, io vedo tali difficoltà di ordine pratico che mi fanno sconsigliare di raccomandare una simile proposta; sarebbe infatti, innanzi tutto, difficile stabilire quando deve essere sequestrata la pubblicazione, e poi bisognerebbe vedere anche quanto tempo debba durare il sequestro. L’onorevole Russo Perez, dicendo di voler togliere di mano lo strumento, prevede anche l’ipotesi che un quotidiano sia sequestrato tutti i giorni finché non sia pubblicata la rettifica. Ora a me pare che già la pena stabilita per il caso di mandata pubblicazione della rettifica sia tale da sodisfare quella giusta esigenza e che pertanto non sia opportuno dar vita ad un meccanismo così duro e in qualche modo così ipotetico nella sua applicabilità, quale quello previsto dall’onorevole Russo Perez.

L’onorevole Schiavetti ha proposto di togliere qualsiasi accenno al reato previsto dall’articolo 553 del Codice penale relativo alla propaganda o all’incitamento all’uso di mezzi anticoncezionisti. Mi pare che anche qui ci si debba richiamare, con le parole stesse usate nell’emendamento Moro-Dominedò, al testo del decreto legislativo del 1946, decreto che, come ricordava l’onorevole Cevolotto, porta la firma degli onorevoli De Gasperi e Togliatti. Al di sopra poi di questa circostanza, mi pare che un principio del genere vada difeso nel vero ed indiscutibile interesse generale della Nazione al di fuori di quello specifico di un singolo partito. Né mi pare che questa norma possa essere classificata genericamente sotto l’etichetta della politica demografica, e che possa essere messa sulla stesso piano di quelle disposizioni che vietavano lo sviluppo di carriera amministrativa per i dipendenti dello Stato che non avevano contratto matrimonio. È sintomatico del resto che sia stato proprio uno dei primi decreti del Governo succeduto al 25 luglio, quello che abrogava quelle disposizioni limitative di carriera che, forse, colpivano direttamente anche i collaboratori immediati del Governo nella formazione e promulgazione delle leggi.

Quindi, sull’argomento relativo alla condanna della propaganda dei mezzi rivolti ad impedire la procreazione e a procurare l’aborto mi pare che si possa in tutta coscienza democratica rimanere al testo della legge Togliatti, che è stato riprodotto integralmente dall’onorevole Dominedò.

In materia di apologia di reato, la Commissione ha ritenuto di prevedere soltanto la istigazione a delinquere. A scuola ci si insegnava che anche concettualmente non sempre sono ben divisibili l’istigazione a delinquere e l’apologia del reato; poiché pertanto penso che la Commissione non abbia motivi sostanziali di sostenere la propria tesi limitativa, credo che possa essere lasciato il testo governativo, che sembra più chiaro. Infine, nell’emendamento Moro-Dominedò, sono stabilite ipotesi che tutelano il sentimento religioso, non proprio di un gruppo politico. La minoranza ha sempre detto che il sentimento religioso è qualche cosa che va al di là dell’interesse di un singolo gruppo politico.

TONELLO. Stia fuori della legge. Affidatelo alla coscienza dei credenti.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Questo argomento presupporrebbe un adeguato sviluppo educativo della collettività; in tal caso la religione sarebbe rispettata senza necessità di una protezione giuridica, sia per la sua stessa essenza che come manifestazione esteriore del pensiero della maggioranza dei cittadini. (Interruzione del deputato Tonello).

Del resto, è da rilevare che, nell’invocare questa particolare protezione, l’emendamento Dominedò si richiama agli articoli del Codice penale; e sebbene detto Codice sia stato sottoposto a revisione dai guardasigilli precedenti all’attuale i quali hanno soppresso quelle norme che si consideravano non più compatibili con la realtà attuale, nessuno ha mai parlato di sopprimere gli articoli che interessano nel caso specifico.

Anche se avessi nei confronti degli altri una forza di convinzione molto maggiore di quella che ho, non credo che riuscirei a convincere l’onorevole Tonello, che su questo ha una tale maggiore effervescenza…

TONELLO. La libertà me la prendo per me, anche se non me la danno; non m’importa se vado in galera. Ma sotto i preti non ci sto! (Commenti al centro). Voi volete fare la Repubblica del Vaticano, ma non la farete. (Commenti al centro). Noi vogliamo la Repubblica laica italiana.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. V’è da ultimo da valutare la proposta della Commissione relativa all’abolizione dal progetto ministeriale della norma, secondo la quale in armonia a quanto chiaramente detto nell’articolo 21 della Costituzione nei casi di evidente ed assoluta urgenza in cui la legge sulla stampa ammette il sequestro prima di una sentenza definitiva, gli ufficiali della polizia giudiziaria possono disporre il sequestro, salvo a darne entro ventiquattro ore avviso all’autorità giudiziaria, che entro altre ventiquattro ore deve confermare o meno l’atto amministrativo compiuto dall’ufficiale.

Anche questo, se pur non espressamente previsto, era ammesso dalla legge Sacchi più volte citata; tanto è vero che, vigente la legge Sacchi, erano fatti sequestri non soltanto da ufficiali, come oggi viene stabilito, ma da semplici agenti della polizia giudiziaria.

Io credo che non potremmo togliere questa disposizione, così chiaramente fissata dalla Costituzione, come giustamente ha rilevato l’onorevole Moro. Anche se non ne parlassimo, s’intenderebbe automaticamente applicato il disposto dell’articolo 21.

Quindi, perché non sussistano equivoci di interpretazione, credo debba essere mantenuto l’articolo del progetto governativo che, in piena aderenza all’articolo 21 della Costituzione, conteneva anche un esplicito cenno ai mezzi adeguati per prevenire, oltre che per reprimere, le pubblicazioni e le manifestazioni di pensiero contrarie al buon costume.

Confermando in tal modo il disposto dell’articolo 21, non soltanto compiamo il preciso dovere di applicare la Costituzione, ma compiamo altresì un atto che, sul piano morale, ci dà la tranquillità di aver tutelato un principio di carattere generale in materia di libertà di stampa (Applausi).

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Ho dimenticato, e potrebbe sembrare scortesia, di esprimere il parere della Commissione sull’emendamento Russo Perez. Voglio fare un’osservazione, all’amico Russo Perez, nella speranza che egli non insista. Un giornale si può sequestrare perché contiene qualche cosa che deve esser messa fuori circolazione, non lo si può sequestrare perché non ha pubblicato una rettifica: è evidente che questo non rientra nei casi di sequestro.

PRESIDENTE. Sta bene. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono. Onorevole Russo Perez?

RUSSO PEREZ. Non insisto.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Schiavetti?

SCHIAVETTI. Mantengo i miei emendamenti.

PRESIDENTE. E l’onorevole Moro?

MORO. Anch’io insisto.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Bettiol?

BETTIOL. Mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione

TARGETTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ritengo, signor Presidente, che per economia di tempo sia opportuno che la nostra dichiarazione di voto si riferisca ai vari argomenti che saranno messi in votazione relativamente alle due questioni di cui abbiamo discusso. In base al testo del disegno ministeriale, al testo della Commissione ed in seguito ai vari emendamenti proposti dovremo dichiarare come voteremo su questi due punti: concessione o no, anche all’autorità di pubblica sicurezza, della facoltà di applicare il sequestro preventivo; limiti entro cui il sequestro preventivo, sia nel caso in cui sia riservato soltanto all’autorità giudiziaria, sia nel caso in cui ne sia estesa la facoltà anche alla polizia giudiziaria, possa essere consentito.

Noi dichiariamo di non essere d’accordo con quello che ha sostenuto l’onorevole Moro. Anzi, ad esser precisi, ci è sembrato che egli non sia stato neppure conseguente, perché se abbiamo ben compreso egli ritiene che la Costituzione nel suo articolo 21 – se non erro – impedisca una eventuale deliberazione, in questa sede, cioè in sede di approvazione della legge sulla stampa, una deliberazione che non estenda nei casi di urgenza la facoltà del sequestro preventivo amiche agli ufficiali di polizia giudiziaria.

MORO. A rigore…

TARGETTI. A rigore, noi ci aspettavamo che l’onorevole Moro venisse a questa conseguenza: prospettare all’onorevole Presidente se non fosse il caso di dichiarare improponibile questa disposizione del disegno di legge presentato dalla Commissione.

MORO. Ci riserviamo di farlo.

TARGETTI. Noi riteniamo – ed esporremo le nostre ragioni il più concisamente possibile – che questa tesi non abbia un serio fondamento giuridico. Noi abbiamo la Carta costituzionale che anzitutto stabilisce il principio della libertà di stampa e poi per eccezione ammette che si possa procedere al sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa ne conceda esplicita autorizzazione. Quindi, dobbiamo mettere in rilievo che anche il sequestro preventivo da parte dell’autorità giudiziaria non ha una prescrizione nella Carta costituzionale, ma è una permissione che la Carta stessa fa al legislatore di domani, che sarebbe poi il legislatore di oggi, di andare contro al principio della libertà di stampa stabilendo il sequestro preventivo, e al tempo stesso fa anche l’ipotesi che, in caso di urgenza, questa facoltà possa essere dalla legge sulla stampa estesa anche alla polizia giudiziaria.

Per essere fedele alla mia promessa, non mi dilungo a dimostrare le ragioni per le quali siamo convinti che in base a questa disposizione della Costituzione la nostra Assemblea oggi, in sede di approvazione della legge sulla stampa, potrebbe perfino non attribuire neppure all’autorità giudiziaria la facoltà di procedere al sequestro preventivo. A maggior ragione noi riteniamo che la Commissione poteva liberamente venire, com’è venuta, nella determinazione di limitare la facoltà del sequestro preventivo all’autorità giudiziaria.

Quindi, noi siamo contrari al ripristino di questa parte dell’articolo 22 nella formulazione presentata dal disegno di legge del Governo e siamo favorevoli, accontentandoci del meno peggio, alla proposta della Commissione. Diremo che non abbiamo un grande entusiasmo neppure per questa proposta perché ci sembra che il numero dei casi in cui si attribuisce all’autorità giudiziaria la facoltà del sequestro preventivo sia eccessivo.

Quando io ho sentito l’onorevole Bettiol, che è evidentemente un forte giurista, dire che voleva il sequestro preventivo perché aveva interesse alla persecuzione dei reati di stampa, ho avuto l’impressione che fosse caduto in una imprecisione di linguaggio giuridico. L’onorevole Bettiol m’insegna che anche la repressione di un delitto di stampa si fa con la condanna di un delitto accertato. Ma il sequestro preventivo è quello che al tempo della discussione della legge del 1906 fu chiamato, non mi ricordo da chi, carcere preventivo della stampa periodica, perché in realtà corrisponde alla detenzione preventiva di un imputato che ancora non si sa se sia o no responsabile di un delitto. Ed in materia di stampa se fosse possibile evitare il carcere preventivo del periodico sarebbe a tutto vantaggio della libertà di stampa che la nostra Carta costituzionale ha inteso ed ha proclamato di tutelare.

Venendo poi alla estensione dei casi in cui l’autorità giudiziaria può procedere al sequestro preventivo, noi vorremmo, quantunque questi siano tutti desideri destinati a rimanere inappagati, vorremmo che persino i nostri colleghi della Democrazia cristiana si persuadessero (non interpretino male le nostre parole) della opportunità di non esagerare in questa materia. Il sequestro preventivo, anche se la facoltà di disporlo è affidata unicamente alla autorità giudiziaria, rappresenta sempre un attentato alla libertà di stampa.

Ricordo di avere letto che quando, nel 1906, il Governo, per iniziativa dell’onorevole Sacchi, presentò il disegno di legge con l’abolizione del sequestro preventivo, questa proposta non dette luogo nemmeno a discussione, perché tutti dissero: come, si è aspettato tanto ad abolire il sequestro preventivo? Esso costituiva ormai un fenomeno superato dalla civiltà moderna.

E quando per eccezione si ammise il sequestro preventivo nel caso di delitti contro il buon costume, questa ammissione trovò forti opposizioni, e, senza nessuna punta di malignità, debbo ricordare proprio ai nostri compagni secessionisti che oggi fanno parte del Ministero, all’onorevole D’Aragona specialmente, che è di quel tempo, ed anche all’onorevole Saragat, che Filippo Turati insorse contro questa ipotesi del sequestro preventivo nei casi di delitti contro il buon costume, chiamandolo «la foglia di fico» del progetto di legge, perché in fondo si trattava di un eccesso di pudore, di un eccesso di puritanesimo.

Voi vedete quanto oggi siete lontani da ciò. Io avrei voluto dire a questi amici – e mi dispiace che non siano presenti, come è da lamentarsi l’assenza costante da questa discussione di tutti i ministri – avrei voluto dire: voi che in tante cose vi vantate di riportarvi a Filippo Turati, sempre presente anche al nostro pensiero e al nostro cuore, perché non vi domandate quale accoglienza egli avrebbe potuto fare a simili proposte?

Per quanto poi riguarda la specifica proposta di estendere il sequestro preventivo anche al caso di apologia di reato, tutti noi che per ragioni professionali abbiamo una conoscenza ed un’esperienza particolare in questa materia sappiamo quante mai volte, nel passato, si è incriminata la propaganda socialista con l’accusa di apologia di reato. Oggi si parla così del comunismo ma domani si direbbe lo stesso anche per la nostra propaganda come per quella di qualche altro partito che turbasse i sonni di chi detiene il potere.

BETTIOL. Non si potrà sequestrare più un giornale che fa l’apologia del regime che fu, con questa sua tesi!

TARGETTI. C’è la legge! (Commenti).

BETTIOL. Ma no! Non si potrà sequestrare attraverso la polizia giudiziaria, si dovrà attendere la sentenza definitiva del magistrato. (Commenti).

UBERTI. Vi date la zappa sui piedi!

TARGETTI. Ma vengo alla conclusione sul sequestro preventivo, accennando all’ipotesi della violazione degli articoli 402, 403, 406 del Codice penale che si propone di includere fra le ipotesi di sequestro. Può darsi che per una parte del grosso pubblico sentir dire che noi ci opponiamo all’estensione del sequestro preventivo anche ai casi di delitti contro il sentimento religioso voglia dire che noi non siamo abbastanza rispettosi del sentimento religioso. Interpretazione questa arbitraria o addirittura faziosa. Ci opponiamo a questa estensione, perché, quando voi vi rifate al tenore dell’articolo 403, voi vedete che per quell’articolo, di marca squisitamente fascista, si ritiene vilipendio della religione il vilipendio di chi la professa. Ma ora, egregi colleghi, voi sapete con quale elasticità si può interpretare questo concetto di vilipendio. Si può affermare che si vilipende un sacerdote se gli si attribuiscono fatti semplicemente ingiuriosi e che possono anche corrispondere a verità, e il passo dal vilipendio del sacerdote al vilipendio della religione è molto breve. Anzi, non c’è bisogno di farlo perché l’articolo 403 identifica l’un fatto con l’altro.

Concludendo vi chiedo infine, onorevoli colleghi, di immaginarvi quali strane ed aberranti interpretazioni una norma del genere potrebbe avere, se non dai procuratori della Repubblica (non vogliamo essere troppo pessimisti!), da qualche modesto, impreparato ufficiale di polizia giudiziaria. Simili esagerazioni, aberrazioni del genere, potrebbero mai riuscire utili alla repressione dei veri delitti che la stampa può commettere? Non lo crediamo.

Ed è per queste considerazioni che voteremo contro tutti questi emendamenti. (Applausi all’estrema sinistra).

TREVES. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Dichiaro che voteremo il testo della Commissione perché ci pare sufficientemente chiaro e comprensivo, nel suo insieme, per colpire quelle manifestazioni morbose che noi vogliamo siano colpite.

E credo anche che Filippo Turati – quella foglia di fico di cui parlava l’onorevole Targetti rientra nella dichiarazione di voto, col permesso del signor Presidente – non potrebbe non riconoscere che l’immoralità di allora, le vignette di allora erano molto ma molto meno immorali di quanto siano adesso. Quindi, se il nostro Filippo Turati potesse essere qui e fare un paragone tra l’immoralità di allora e quella di adesso, non credo che egli avrebbe l’impressione che abbiamo troppo esteso questa foglia di fico.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 22:

«Non si può procedere al sequestro delle edizioni dei giornali o di altre pubblicazioni o stampati se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria».

(È approvato).

Pongo in votazione il primo periodo del secondo comma, esclusi gli alinea:

«L’autorità giudiziaria può tuttavia, anche all’inizio dell’azione penale, disporre, con decreto motivato, il sequestro».

(È approvato).

Pongo in votazione, successivamente, gli alinea:

«1°) delle pubblicazioni non periodiche, quando da esse non risulta il nome dell’editore né quello dello stampatore, ovvero quando questi siano indicati in modo non conforme al vero».

(È approvato).

«2°) dei giornali e di ogni altro periodico, pubblicati senza che sia stata eseguita la registrazione prevista dall’articolo 7».

(È approvato).

«3°) dei giornali e di ogni altro periodico pubblicati in violazione delle norme sul riposo festivo».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Perdoni, onorevole Presidente: io ritengo che questo accapo sia incostituzionale e ne ho proposto la soppressione.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione questo alinea.

(Non è approvato).

Pongo in votazione le seguenti parole del quarto alinea:

«4°) dei giornali e degli altri stampati, quando in essi si concreti il reato di offesa all’onore o al prestigio del Capo dello Stato o del Capo di uno Stato estero, di istigazione a delinquere nell’ipotesi dell’articolo 414, comma primo, n. 1, del Codice penale».

(Sono approvate).

Ed ora procediamo votando sempre sulla base del testo della Commissione, ma considerando le proposte dell’onorevole Moro come emendamenti. Al punto dell’alinea quarto al quale mi sono fermato l’onorevole Moro propone di includere le parole:

«di apologia di reato, ai sensi dell’ultimo comma dello stesso articolo».

Su questo emendamento è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Fiorentino, Gavina, Nobili Tito Oro, Corbi, Tega, Carpano Maglioli, Pistoia, Cianca, Schiavetti, Nasi, Pellegrini, Mastino Pietro, Lussu, Pressinotti, Giua, Barontini Ilio, Barontini Anelito, Buffoni, Scoccimarro, Maffi e Merighi.

A norma dell’articolo 99 del Regolamento, procedo all’appello dei firmatari allo scopo di accertare la loro presenza in Aula.

(Tutti i firmatari sono presenti nell’Aula).

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione, per appello nominale, sull’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Moro, del seguente tenore:

«di apologia di reato ai sensi dell’ultimo comma dello stesso articolo».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Sicignano.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcangeli.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellato – Belotti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchini Laura – Bonino – Borsellino – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bulloni Pietro.

Caccuri – Campilli – Camposarcuno – Cannizzo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chieffi – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Coppi Alessandro – Corsanego – Cortese Pasquale – Cremaschi Carlo.

Damiani – De Caro Gerardo – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Galati – Galioto – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchero – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

Lazzati – Leone Giovanni – Lizier.

Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marinaro – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Micheli – Monterisi – Montini – Morelli Luigi – Moro – Mùrdaca – Murgia.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Pecorari – Petrilli – Piccioni – Ponti – Preziosi – Proia.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scotti Alessandro – Segni – Siles – Spataro – Sullo Fiorentino.

Taviani – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo.

Zaccagnini – Zotta.

Rispondono no:

Amadei – Azzi.

Bardini – Bennani – Bergamini – Buffoni Francesco.

Candela – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Chiaramello – Cianca – Conti – Corbino.

Fabbri – Filippini – Fiorentino.

Gavina – Giannini – Giua – Gullo Rocco.

Lami Starnuti – Longhena – Lussu.

Mastino Pietro – Merighi – Molinelli – Morelli Renato – Morini.

Nasi – Nobili Oro.

Paris – Pellegrini – Perassi – Piemonte – Pressinotti – Priolo.

Rodi – Rodinò Mario – Rognoni.

Sapienza – Schiavetti – Silone.

Targetti – Tega – Treves.

Si è astenuto:

Rubilli.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Comunico che dal computo dei voti risulta che l’Assemblea non è in numero legale.

Pertanto la seduta è sciolta e l’Assemblea è convocata per le ore 16 di domani col medesimo ordine del giorno della seduta odierna.

La seduta termina alle 20.30.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa.

GIOVEDÌ 15 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLI.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 15 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Verifica di poteri:

Presidente

Sostituzione di un deputato:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Disposizioni sulla stampa (15)

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Cevolotto, Relatore

Manzini

Cingolani

Schiavetti

Fabbri

Perassi

Treves

Dominedò

Uberti

Russo Perez

Colitto

Titomanlio Vittoria

Guerrieri Filippo

Miccolis

Siles

Bertone

Maffi

Mazzoni

Molinelli

Villani

Bettiol

Bellavista

Bartalini

Mattarella

Gavina

Corbi

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole Martinelli.

(È concesso).

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. La Giunta delle elezioni, nella riunione di ieri, ha verificato non essere contestabili le elezioni dei seguenti deputati:

onorevole Giammatteo Matteotti per la lista del Partito socialista italiano nel Collegio unico nazionale;

Onorevole Ezio Bartalini per la lista del Partito socialista italiano nella Circoscrizione di Pisa (XVI);

onorevole Giuseppe Chiostergi per la lista del Partito repubblicano italiano nel Collegio unico nazionale;

onorevole Oddo Marinelli per la lista del Partito repubblicano italiano nella Circoscrizione di Ancona (XVIII).

Do atto alla Giunta di queste comunicazioni e, salvo i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.

Sostituzione di un deputato.

PRESIDENTE. Comunico che, in seguito alla morte, avvenuta il 23 dicembre scorso, dell’onorevole Bruno Bernabei, deputato nella lista del Partito repubblicano italiano per la Circoscrizione di Roma (XX), la Giunta delle elezioni, nella riunione di ieri, ha deliberato, a termini dell’articolo 64 della vigente legge elettorale politica, di proporne la sostituzione col candidato Leone Azzali, primo dei non eletti nella lista medesima.

Pongo ai voti questa proposta della Giunta.

(È approvata).

Avverto che da oggi decorrono i 20 giorni per la presentazione di eventuali reclami.

Seguito del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa. (15).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa (15).

Ricordo che nella seduta di ieri fu rinviato l’esame degli emendamenti all’articolo 7, per dar modo ai vari presentatori di mettersi d’accordo con l’onorevole Schiavetti per un testo comune.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Avrei preparato un nuovo testo, sul quale peraltro non ho avuto modo di consultare il Relatore:

«Un documento da cui risulti l’iscrizione nell’albo dei giornalisti nei casi in cui questa sia richiesta dalla legge sull’ordinamento professionale».

Potrei esprimere il mio pensiero dopo aver sentito le obiezioni del Relatore.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

CEVOLOTTO, Relatore. La ragione per la quale io non concordo in tutto con questa formulazione è la seguente:

Si dice: «sia richiesto dalla legge sull’ordinamento professionale». Ed allora sorge subito la questione della legge fascista del 1928: questa legge è ancora in vita o non è ancora in vita? Infatti, l’onorevole Schiavetti sostiene che è ancora in vita, ma che viceversa alcune disposizioni – ad esempio quelle dell’articolo 5 – non si applicano o non sono applicabili.

Ho visto che l’Associazione della stampa ha pubblicato un suo comunicato, lamentando, in certo senso, che all’Assemblea Costituente si sia detto che non esiste una legge sull’albo, mentre essa sostiene che la legge del 1928 è ancora in vigore. Ora non mi pare che la lamentela abbia base, perché della legge del 1928 si è discusso lunghissimamente in questa sede. Soltanto io espressi questo avviso: che la legge del 1928 non sia praticamente più in vita, sia in certo modo, caduta in desuetudine dopo il decreto transitorio del 1944. L’onorevole Schiavetti ha sostenuto invece il contrario. Su questo, dunque, abbiamo discusso. Senonché l’onorevole Schiavetti disse: noi, però, quella legge non l’applichiamo, non applichiamo l’articolo 5, non applichiamo altri articoli. Ed allora l’obiezione è facile. O ho ragione io, e la legge del 1928 si deve ritenere abrogata tacitamente, ed allora si arriva a determinate conclusioni; o ha ragione l’onorevole Schiavetti, e la legge, invece, non è tacitamente abrogata, è in pieno vigore, ed allora il fatto che una determinata Commissione non ne applichi un articolo non significa che un’altra Commissione, domani, non potrebbe applicare quell’articolo e tutti gli altri articoli.

Se la legge è in vigore, domani una Commissione potrà applicarla in tutta la sua estensione e portata.

È possibile in questo momento ammettere che la legge del 1928 (che si riconosce da tutte le parti non debba essere applicata, almeno in alcuni suoi articoli) e il decreto transitorio del 1944 regolino la professione giornalistica, in modo che si possa fare riferimento a questa legislazione nella legge sulla stampa che stiamo votando? Io dico di no, tra l’altro, per una ragione: il decreto del 1944 affida l’albo esclusivamente ad una Commissione unica, nominata dal Ministro di grazia e giustizia, e così toglie persino quelle garanzie, sia pure illusorie, che erano nella legge del 1928, che contemplava una commissione superiore alla quale si poteva appellarsi sul giudizio della prima commissione. La commissione è nominata dal Ministro di grazia e giustizia, sentita la Federazione della stampa. L’attuale commissione dà pienissimo affidamento. Ma chi vi dice che domani un Ministro di grazia e giustizia (noi non dobbiamo guardare le persone, ma i fatti) di un Ministero ben differente da questo, che non abbia nessuna tinta democratica, non possa nominare una commissione, la quale provveda in un determinato senso, applicando la legge del 1928 anche nell’articolo 5, che voi non applicate, ed escludendo quindi i giornalisti che non fanno comodo, con la scusa che sono anti-nazionali? Questo è il contenuto dell’articolo 5: questa è la situazione.

D’accordo che praticamente oggi, per la commissione che è stata nominata, per le tendenze del Governo, non ravvisiamo un pericolo imminente di sopraffazioni; ma noi dobbiamo vedere come stanno legislativamente le cose. Benché questa nostra legge sulla stampa sia transitoria (il transitorio in Italia dura spesso molto a lungo) non c’è da pensare che questa transitorietà duri soltanto fino alle elezioni o fino a pochi giorni dopo. Probabilmente, durerà qualche anno. Noi non dobbiamo fare riferimento all’albo ed alla legge sull’albo, ma alla futura legge, a quella del resto preannunciata e prevista dal decreto del 1944.

Credo di essere stato chiaro nella mia esposizione; credo di aver detto quale è il fondo della questione, che non è contro le aspirazioni dei giornalisti, né contro l’organizzazione professionale della classe giornalistica, ma che è relativa ad una situazione legislativa che è quella che è, e che dobbiamo vedere nella sua realtà.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Andreotti.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. La formulazione importa poco. Secondo me, non essendocene attualmente un’altra in discussione, quella che ho presentato potrebbe servire di base. Desideravo solo fare due osservazioni, nei confronti di quanto ha detto l’onorevole Cevolotto. Innanzi tutto, la legge sull’albo, nei limiti in cui – direi – è applicabile, perché inquadrata negli attuali principî generali, esiste; e non solo non è stata abrogata, ma anzi è stata esplicitamente richiamata dalla disposizione del decreto luogotenenziale del 23 ottobre 1944 che regolava anche la tenuta dell’albo. Anche il Ministro di giustizia stamani stesso, per troncare una discussione e non lasciare dubbi su questo punto, ha diramato un comunicato ufficiale in cui dice che l’albo dei giornalisti non è stato mai abolito. Perché non vorremmo che fosse detto semplicemente: «successive leggi sull’ordinamento professionale»? Perché questo potrebbe creare equivoci sulla permanenza o meno dell’attuale albo, cioè sul vigore che ha in questo momento l’albo.

Le organizzazioni rappresentative dei giornalisti ne hanno fatto una questione di principio, in quanto avvertono tutta la importanza che, una discussione del genere, può rappresentare per la loro categoria. È vero che domani – come ha detto l’onorevole Cevolotto – un Ministero reazionario potrebbe servirsi di questo strumento, ma io obietto semplicemente questo: noi qui stiamo facendo una legge ordinaria, non una legge costituzionale. Se si formasse un Ministero di reazionari, che non desse più queste garanzie, ebbene questo Ministero potrebbe, con gran semplicità, modificare od abolire in tutto o in parte quello che noi stiamo facendo oggi. Oserei dire un’altra cosa: che potremmo in fondo, in qualche modo, dare una prova di fiducia nei confronti della stessa categoria, la quale, se potesse essere messa in pericolo nella sua stessa libertà dalla ipotesi di un governo reazionario, sarebbe essa stessa ad insorgere e ad impedire il crearsi di queste condizioni.

Se si dovesse ipotizzare una modificazione radicale della situazione politica attuale, tutto ciò che noi abbiamo fatto, non soltanto in materia di legislazione ordinaria, ma anche in materia costituzionale, verrebbe ad essere posto in discussione e forse cadrebbe nel nulla. Questa forma: «nei casi in cui sia richiesta» mi pare sia tale da non destare preoccupazioni di chi si è prospettato i casi dei piccoli giornali (di commercio o tecnici). Questo è previsto dalle disposizioni, non abrogate, sull’elenco speciale annesso all’albo ed è anzi una disposizione larghissima, perché nel criterio di stampa non concettuale, come è detto nella legge sull’albo, è stato sempre incluso – come è noto – un gran numero di pubblicazioni anche di carattere concettuale (sociologico e culturale). Non mi pare quindi legittima la preoccupazione, che taluni colleghi hanno, di votare questa formula. Prego il presentatore, se lo ritiene, di voler mettere in discussione la formula stessa.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Ieri sera, con l’onorevole Treves abbiamo presentato un’aggiunta all’emendamento Schiavetti. Ora ci associamo pienamente alla proposta dell’onorevole Andreotti, perché troviamo che essa risponde alle esigenze dei giornalisti e nello stesso tempo dà le garanzie che sono state richieste dalla categoria. Pertanto ritiriamo quel nostro emendamento.

CINGOLANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI. Potrà sembrare forse fuori tema una breve parola che sento il dovere di dire.

Ho inteso parlare qui di riferimento alla futura legge sugli ordinamenti professionali. A nome degli ordini professionali italiani, i quali mi hanno dato incarico di esprimere alla prima occasione il loro pensiero, vorrei pregare l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza perché si faccia parte diligente presso il Ministro del lavoro, affinché si affretti la legge sugli ordini professionali. Oggi gli ordini hanno o Commissioni o Presidenze provvisorie elette dagli iscritti. In questi giorni un Commissario, non eletto dagli ordini, che presiede ad un complesso di attività finanziarie, appartenenti già agli antichi ordini professionali, sta per porre in liquidazione un asse cospicuo: il grande palazzo degli ordini professionali in Via Sicilia. Prego il Sottosegretario di dire al Ministro Fanfani che metta un fermo, per lo meno, ad una alienazione che se varrebbe a pagare gli asseriti 80 milioni di debito, comprometterebbe i 200 milioni e più di attivo, che appartengono a tutti gli ordini professionali finora riconosciuti nel nostro Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti aveva presentato il seguente emendamento:

«Inserire fra il n. 2°) e il n. 3°) del secondo comma il numero seguente:

«2°-bis) un documento attestante l’iscrizione del generale responsabile nell’albo professionale dei giornalisti».

Lo mantiene?

SCHIAVETTI. Lo ritiro e aderisco al nuovo testo presentato.

PRESIDENTE. L’onorevole Cappa aveva presentato il seguente emendamento:

«Allorquando la legge professionale avrà regolato l’albo dei giornalisti professionisti, dei direttori dei giornali quotidiani occorrerà la presentazione del documento comprovante la iscrizione all’albo».

Non essendo presente, si intende che vi abbia rinunziato.

L’onorevole Fuschini aveva presentato il seguente emendamento:

«2-bis) Un documento attestante che il direttore o vice-direttore responsabile dei giornali quotidiani sia iscritto nell’albo professionale dei giornalisti non appena questo sarà costituito».

Non essendo presente, si intende che vi abbia rinunziato.

La Commissione ha poi proposto il seguente emendamento:

«2-bis) Ogni altro documento che venga richiesto da successive leggi relative all’albo dei giornalisti».

Onorevole Relatore, ella insiste?

CEVOLOTTO, Relatore. Insisto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 7 per divisione.

Pongo in votazione il primo comma:

«Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi».

(È approvato).

Pongo in votazione la prima parte del secondo comma:

«Per la registrazione occorre che siano depositati nella cancelleria:

1°) una dichiarazione, con le firme autenticate, del proprietario e del direttore responsabile, dalla quale risultino il nome e il domicilio di essi e della persona che esercita l’impresa giornalistica, se questa è diversa dal proprietario, nonché il titolo e la natura della pubblicazione».

(È approvata).

Pongo in votazione la successiva parte del secondo comma:

«2°) i documenti comprovanti il possesso dei requisiti indicati negli articoli 5 e 6».

(È approvata).

Passiamo alla votazione dell’emendamento proposto dalla Commissione.

«2-bis) Ogni altro documento che venga richiesto da successive leggi relative all’albo dei giornalisti».

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Voterò contro perché, dal punto di vista tecnico, non capisco molto bene come si possa fare una disposizione di legge attuale regolatrice della libertà di stampa, la quale si rimetterebbe poi, sul punto essenziale della direzione di giornali e riviste varie, a future leggi, relative all’albo dei giornalisti.

Come ebbi occasione di dire ieri, l’argomento è di una estrema importanza per una quantità di riviste e di giornali che non rientrano fra quelle categorie per le quali potrebbero pensarsi quelle tali esigenze, a cui accennavano gli onorevoli Schiavetti e Manzini, ed il dire che le leggi future sull’albo dei giornalisti potranno tener conto di queste esigenze, mi pare che sia un mettere il carro avanti ai buoi, perché si capisce che una legge successiva sarà innovatrice rispetto ad una legge anteriore. Ma il disporre, in una legge attuale, requisiti fondamentali restrittivi che dovranno poi essere discussi in futuro, mi pare che sia un pregiudicare il principio essenziale, stabilito nella Costituzione, della libertà di pensiero e della manifestazione del medesimo attraverso la stampa. Mi pare che queste considerazioni dovrebbero far riflettere molto, prima di votare una disposizione di questo genere; che rimette poi ad una legge di carattere professionale l’attuazione di una facoltà generale e fondamentale per quelli che sono i diritti elementari dei cittadini.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Fabbri e richiamo l’attenzione dell’Assemblea Costituente su questo problema delicato: se cioè una disposizione che, comunque, prevede la iscrizione in un albo come requisito indispensabile per esercitare la qualità di direttore di un giornale, sia conciliabile con l’articolo 51 della Costituzione. Questo è un problema delicatissimo. Ora, siccome le formulazioni proposte sono tutte formulazioni che rinviano a leggi successive, mi sembra opportuno non pregiudicare il problema. Quando verrà il momento opportuno si dovrà anzitutto esaminare se la disposizione prevista sia conciliabile con la Costituzione, ed allora si potrà decidere.

Per queste ragioni io voterò contro. Ieri ho sentito da un collega un’interruzione, quando parlavano coloro che si opponevano alla disposizione di cui trattiamo. Si è detto cioè: vogliamo ritornare allo stato liberale? Questa interruzione mi ha sorpreso, direi quasi, sbigottito, quando si pensa che è stata pronunciata nel momento in cui si sta facendo la legge che ha per scopo di garantire l’esercizio della libertà di stampa. Abbiamo fatto un articolo nella Costituzione che afferma in modo preciso la libertà di stampa, e non dobbiamo, in questa prima legge che facciamo dopo l’entrata in vigore della Costituzione, menomare questo principio.

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Non ho bisogno di dichiarare che voterò a favore dell’emendamento Andreotti, perché ho già dato la mia firma ad esso. Vorrei aggiungere, con tutto il rispetto per un giurista come l’onorevole Perassi, che l’articolo 51 della Costituzione non è contraddetto da queste disposizioni di legge; perché l’articolo 51 sancisce per ogni cittadino il diritto di manifestare il suo pensiero con qualunque mezzo – il che è una cosa – ma il fatto di essere direttore di un quotidiano è un’altra cosa, perché chiunque può essere direttore di una qualsiasi rivista o periodico senza avere bisogno della qualifica di giornalista professionista, che si richiede invece per un giornale politico.

RUSSO PEREZ. E se vuole diffondere il suo pensiero con un organo suo? Non può farlo, perché deve iscriversi all’albo dei giornalisti.

TREVES. Se avrà i requisiti potrà sempre iscriversi. Se egli fa il giornalista di professione si iscriverà all’albo, ma senza avere un suo giornale e tramutarsi in professionista. Il cittadino ha i mezzi per poter esporre e diffondere il suo pensiero.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione della Commissione, testé letta.

(Non è approvata).

Pongo in votazione la formulazione dell’onorevole Andreotti:

«Un documento da cui risulti l’iscrizione nell’albo dei giornalisti nei casi in cui questa sia richiesta dalla legge sull’ordinamento professionale».

(È approvata).

Pongo ai voti il numero successivo:

«3°) copia dell’atto di costituzione o dello statuto, se proprietario è una persona giuridica».

(È approvata).

Passiamo al terzo comma, che l’onorevole Schiavetti ha proposto di sostituire col seguente:

«Il cancelliere, constatata la regolarità dei documenti prodotti, ne prende atto in apposito registro e ne rilascia ricevuta, attestando l’avvenuta registrazione».

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Nella discussione generale ho già esposto le ragioni per le quali la Commissione aveva preferito affidare l’esame dei documenti al Presidente del Tribunale o a un giudice da lui delegato, in luogo del cancelliere. Ho detto anche che la ragione per cui, invece, l’onorevole Schiavetti chiede che sia il cancelliere a compiere questa registrazione, consiste nel dar maggiore rilievo al fatto che si tratta di un atto che non implica un’indagine di merito, ma soltanto una constatazione formale dell’esistenza dei documenti.

Niente in contrario da parte della Commissione, se questa è la preoccupazione dell’onorevole Schiavetti, di sostituire il cancelliere al Presidente del Tribunale o al giudice delegato, perché si tratta realmente – nell’intenzione della commissione, del Governo, dei proponenti della legge – di una registrazione puramente meccanica.

Però osservo che, quando manchi la garanzia che è data dal Presidente del Tribunale o da un giudice e la registrazione sia affidata ad un semplice cancelliere, bisognerebbe provvedere, quanto meno, alla possibilità di un reclamo contro il rifiuto del cancelliere di compiere l’iscrizione. Lasciare al cancelliere soltanto – sia pure per lo scrupolo di voler fare apparire anche esteriormente che non è consentita un’indagine di merito – il fatto della registrazione, senza alcun rimedio contro l’atto negativo, mi pare pericoloso.

La ragione per la quale i giornalisti tengono molto che si dica «cancelliere» e non «Presidente del Tribunale», è perché hanno paura che questo fatto di nominare il presidente del tribunale o il giudice implichi il riconoscimento della possibilità di un’indagine di merito. Se si tratta di dissipare questa preoccupazione, la Commissione può anche aderire alla richiesta dei giornalisti. Essa fa tuttavia presente che occorrerebbe allora, consentire un rimedio contro l’eventuale errore del cancelliere.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. La preoccupazione dell’onorevole Schiavetti, come giustamente ha osservato l’onorevole Cevolotto, è che il cancelliere, per influenze più o meno nascoste, possa in qualche maniera compromettere o ritardare un’operazione la quale dovrebbe svolgersi secondo una prassi meramente meccanica.

Sul merito della questione, mi pare vi sia da osservare che il rimedio proposto dall’onorevole Schiavetti non sarebbe sufficiente, in quanto sarebbe più facile influenzare un cancelliere, che un presidente di tribunale. Ma a me pare che sussista invece, sotto altro riguardo, una preoccupazione consistente appunto nel fatto che si affiderebbe tale verifica al cancelliere.

Tale verifica, anche se non importa un esame di merito, richiede infatti per lo meno un esame accurato per accertare se concorrano o meno le condizioni che escludono la mancanza del requisito dell’elettorato attivo. È un esame, quindi, che comporta una certa esperienza ed una certa responsabilità.

Se potesse comunque sembrare che il Governo, insistendo per la forma del progetto ministeriale, avesse un qualche pensiero nascosto, nutrisse un qualche proposito meno che chiaro sull’applicazione di fatto di questo articolo, noi non insisteremmo. A me sembra tuttavia, che con raggiunta apportata dalla Commissione, stabilendosi, cioè, che vi sia un termine di 15 giorni entro il quale il tribunale deve evadere questa pratica, venendo così a cadere praticamente l’ipotesi di quel piccolo boicottaggio per cui la pratica giace inevasa per un periodo di tempo più o meno lungo, a me sembra, dicevo, che ogni preoccupazione debba venire a cadere.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Debbo dichiarare che, pur non potendo aderire all’emendamento dell’onorevole Schiavetti, ritengo si debba restare ben fermi sul principio che la presenza del magistrato non significa affatto controllo di merito, bensì di legalità, e cioè mero controllo del concorso di tutti i requisiti richiesti dalla legge.

D’altra parte, anche l’espediente suggerito dall’onorevole Relatore, per cui si verrebbe incontro alla proposta Schiavetti attraverso un ricorso al magistrato contro il cancelliere, è inaccettabile, perché non si inquadra, nei principî del nostro ordinamento processuale. Voteremo pertanto a favore del testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Schiavetti, mantiene il suo emendamento?

SCHIAVETTI. Vorrei mantenerlo, perché questo emendamento si riferisce ad un problema che è stato trattato da quella Commissione cui il Governo affidò la prima elaborazione del disegno di legge sulla stampa, Commissione di cui facevano parte uomini politici, tecnici, giuristi.

E questa Commissione fu, a mio parere, legittimamente preoccupata del pericolo che la prassi da seguire per ottenere di far uscire un giornale non si esplicasse in modo del tutto automatico, ma che invece, in qualche modo, potessero verificarsi boicottaggi.

Invito, pertanto, l’Assemblea a voler accettare questa proposta la quale, ripeto, è mia soltanto formalmente, perché i primi a formularla furono precisamente i tecnici e i giuristi che per la prima volta elaborarono il testo di questa legge.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Schiavetti:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Il cancelliere, constatata la regolarità dei documenti prodotti, ne prende atto in apposito registro e ne rilascia ricevuta, attestando l’avvenuta registrazione».

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Passiamo al terzo comma del testo proposto dalla Commissione:

«Il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, verificata la sussistenza dei requisiti prescritti, ordina, entro 15 giorni, l’iscrizione del giornale o periodico in apposito registro tenuto dalla cancelleria».

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Vorrei domandare ai colleghi che sono stati contrari all’approvazione del mio emendamento, se consentissero di modificare il testo sostituendo la frase: «verificata la regolarità dei documenti presentati», all’altra «verificata la sussistenza dei requisiti prescritti» in modo che risulti ben chiaro che non si tratta di un esame di merito.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento Schiavetti, che chiarisce forse meglio l’automaticità di questa verifica.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. A me sembra che l’emendamento proposto dall’onorevole Schiavetti non migliori la formulazione del testo perché con esso non si richiede soltanto che debbano sussistere dei requisiti, ma anche che i documenti siano regolari. Così si domandano due cose invece di una. Comunque, credo che si debba votare prima l’emendamento Schiavetti e poi il testo della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo dunque, in votazione la prima parte del terzo comma con la modificazione proposta dall’onorevole Schiavetti:

«Il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, verificata la regolarità dei documenti presentati».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo in votazione la seconda parte di questo comma:

«ordina, entro 15 giorni, l’iscrizione del giornale o periodico in apposito registro tenuto dalla cancelleria».

(È approvata).

Pongo in votazione l’ultimo comma:

«Il registro è pubblico».

(È approvata).

L’articolo 7 risulta così approvato.

Passiamo all’articolo 8. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Dichiarazione dei mutamenti.

«Ogni mutamento che intervenga in uno degli elementi enunciati nella dichiarazione prescritta dall’articolo 7 deve formare oggetto di nuova dichiarazione da depositarsi, nelle forme ivi previste, entro quindici giorni dall’avvenuto mutamento, insieme con gli eventuali documenti.

«L’annotazione del mutamento è eseguita nei modi indicati nel terzo comma dell’articolo 7.

«L’obbligo previsto nel presente articolo incombe sul proprietario o sulla persona che esercita l’impresa giornalistica, se diversa dal proprietario».

PRESIDENTE. Non essendo stati presentati emendamenti e nessuno chiedendo di. parlare lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 9. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Decadenza della registrazione.

«L’efficacia della registrazione cessa qualora, entro sei mesi dalla data di essa, il periodico non sia stato pubblicato, ovvero si sia verificata nella pubblicazione una interruzione di oltre un anno».

PRESIDENTE. Non essendo stati presentati emendamenti e nessuno chiedendo di parlare lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 14. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Risposte e rettifiche.

«Il direttore responsabile è tenuto a far inserire nel periodico, integralmente e gratuitamente, le risposte, rettifiche o dichiarazioni delle persone che siano state nominate o indicate nel periodico, purché le risposte, rettifiche o dichiarazioni non abbiano contenuto che possa dar luogo a incriminazione penale e non superino il doppio dello scritto al quale si riferiscono.

«La pubblicazione prevista nel comma precedente deve farsi nella medesima parte del periodico e con i medesimi caratteri dello scritto che l’ha determinata».

PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere:

«Il rifiuto di ottemperare all’obbligo anzidetto è punito con la reclusione sino a mesi sei e con la multa sino a lire cinquantamila».

Ha facoltà di svolgerlo.

RUSSO PEREZ. Devo ricordare un altro mio emendamento all’articolo 22, in cui si dice che il sequestro dei giornali può avvenire anche nel caso in cui il direttore responsabile si sia rifiutato di ottemperare all’obbligo sancito dall’articolo 14.

Tutti quanti siamo concordi nel ritenere che la diffamazione a mezzo della stampa debba essere severamente punita, poiché è invalso l’uso di servirsi dei giornali per calunniare, per ingiuriare, per diffamare…

Una voce a destra. E per ricattare.

RUSSO PEREZ. …e per ricattare. Naturalmente, non parlo della grande massa dei giornalisti, che sono – come ognun sa – onesti, ed è anche naturale che – come leggiamo negli schermi dei cinematografi – quanto io dico non ha riferimento a fatti o persone determinate. Ma è necessario che i diffamatori, i quali agiscono a mezzo della stampa, siano duramente colpiti.

C’è il rimedio della querela. Come diceva l’altro giorno un collega, io do querela oggi, il processo si discuterà fra un anno; e, anche quando c’era il sistema della citazione diretta, si riusciva a portare entro un mese in giudizio il responsabile, ma per la prima volta. Poi c’era il differimento a richiesta dell’altra parte, l’impedimento del giudice, l’impedimento del difensore, e poi sopravveniva l’amnistia, su cui i criminali intelligenti possono sempre contare in Italia!

Certamente, quando il responsabile sarà raggiunto dalla sentenza penale, ci sarà la condanna; ma quello che più interessa il diffamato non è tanto la condanna del diffamatore, quanto il potersi purgare dall’accusa che gli è data pubblicamente fatta.

Ora, molte volte accade che il giornale che ha pubblicato la diffamazione o l’ingiuria, nonostante invitato nelle forme di legge a pubblicare la rettifica, non rettifica. E allora occorre che ci sia la sanzione.

Ecco il perché dell’emendamento che ho proposto io, col quale si determinano le forme e i limiti della sanzione.

Ma può darsi che il diffamatore, specialmente il diffamatore abituale, che non trema per le querele, mentre il galantuomo ne trema, non si preoccupi neanche della pena da me prevista, che, come tutte le pene, è sempre lontana e aleatoria. Ed allora occorre, perché egli sia costretto a pubblicare nel suo giornale la rettifica del diffamato, che egli sappia che, se non la pubblica, vi sarà il sequestro del giornale. Ma di ciò parleremo poi.

Credo intanto, di avere illustrato il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti ha presentato i seguenti emendamenti.

«Sostituire la prima parte del primo comma, sino alle parole: nominate o indicate nel periodico, con le parole seguenti: Il gerente responsabile è tenuto a far inserire nel periodico, integralmente e gratuitamente, le risposte, rettifiche o dichiarazioni delle persone cui siano stati attribuiti atti o pensieri lesivi della loro dignità o ritenuti contrari a verità.

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La pubblicazione prevista nel comma precedente deve farsi nella medesima pagina o rubrica del periodico e con i medesimi caratteri dello scritto che l’ha determinata».

SCHIAVETTI. Il mio primo emendamento senza porre in questione il diritto fondamentale di rettifica e di risposta tende a renderlo più attuabile nel senso che il giornale non sia tenuto a inserire le rettifiche delle persone che siano soltanto nominate, perché mi sembra che questo sia eccessivo e servirebbe a porre il giornale in una specie di servitù che sarebbe per esso molto pesante. Si tratta quindi, a mio parere, di stabilire il dovere da parte del giornale di inserire le rettifiche che si riferiscono ad affermazioni relative ad atti o pensieri lesivi della dignità e ritenute contrarie alla verità da parte della persona interessata.

Nel secondo emendamento ho proposto che il giornale deve pubblicare la rettifica non nella medesima parte come è imposto dalla norma della Commissione, ma nella medesima pagina. Mi pare che sia sufficiente. O nella medesima rubrica, perché stabilire proprio l’obbligo di pubblicare la rettifica nella medesima parte del giornale, potrebbe costituire un ostacolo per il giornale stesso dal punto di vista tecnico. E credo e mi faccio io stesso proponente in questo momento di un emendamento aggiuntivo al mio emendamento, che bisognerebbe stabilire anche il limite di tempo in cui dovrebbe avvenire questa rettifica. La legge francese, che è molto compiuta e perfetta, stabilisce un limite di tempo di tre giorni e stabilisce anche, quando si tratta di indicare la lunghezza della rettifica, che questa deve essere pari a quella del pezzo a cui si riferisce; e nel caso si tratti. di un’allusione contenuta in poche righe, la rettifica deve disporre di un minimo di venti righe. Mi pare che tutto questo sia molto ragionevole e giusto perché ci può essere una allusione offensiva contenuta in due, tre righe ed allora non si può pretendere che la rettifica sia fatta in tre o quattro righe. Sono piccole questioni pratiche per cui non credo ci sarà bisogno di una votazione per appello nominale.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, all’emendamento Schiavetti, al primo comma, alle parole: o pensieri, le parole: o affermazioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Il mio emendamento costituisce nient’altro che una adesione all’emendamento dell’onorevole Schiavetti. A questa adesione io aggiungo la preghiera di voler aggiungere alle parole: «atti o pensieri», le parole: «o affermazioni».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Riccio Stefano, Titomanlio Vittoria e Schiratti, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere i commi seguenti:

«La omissione della pubblicazione va punita con l’ammenda da lire 1000 a lire 20.000.

«La sentenza di condanna va pubblicata per estratto nel periodico stesso».

In assenza dell’onorevole Riccio, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Titomanlio Vittoria.

TITOMANLIO VITTORIA. Mi associo a quanto ha detto poc’anzi l’onorevole Colitto e ritengo che l’omissione della pubblicazione debba essere punita con una ammenda da 1000 a 20 mila lire.

PRESIDENTE. L’onorevole Manzini ha presentato il seguente emendamento:

«Il direttore responsabile è tenuto a far inserire nel periodico, integralmente e gratuitamente, le risposte a rettifiche o dichiarazioni delle persone che sono state nominate o indicate a fine di diffamazione o per attribuire opinioni o fatti contrari a verità».

Ha facoltà di svolgerlo.

MANZINI. Avevo presentato l’emendamento quando non ero a conoscenza della formulazione Schiavetti alla quale intendo aderire.

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Mi sembra che l’emendamento dell’onorevole Riccio Stefano sia perfettamente giustificato, ma vorrei che il minimo di ammenda fosse aumentato da mille a cinque mila lire, perché oggi mille lire purtroppo non significano molto.

PRESIDENTE. Vi è la proposta Russo Perez che è assai più rigorosa. L’onorevole Russo Perez propone la reclusione fino a sei mesi e la multa fino a cinquantamila lire.

TREVES. Mi associo allora, a questa proposta.

GUERRIERI FILIPPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUERRIERI FILIPPO. Volevo chiedere un chiarimento in rapporto a questo articolo 14: la Commissione intende che, una volta adempiuto l’obbligo della pubblicazione della risposta e della rettifica, sia esaurita tutta la vertenza fra l’offensore e l’offeso, oppure, come io credo, rimane sempre viva la possibilità di agire per legge penale nei confronti dell’offensore da parte dell’offeso?

CEVOLOTTO, Relatore. Naturalmente questa legge non può sopprimere il diritto di querela.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

CEVOLOTTO, Relatore. Per quanto si riferisce all’emendamento Schiavetti, la Commissione non ha nessuna difficoltà ad accettarlo, anzi è lieta di accettarlo. Nella discussione generale ho messo in rilievo che la formulazione della prima Commissione giornalistica, mantenuta senza un preciso esame da parte della Commissione, era in fondo la vecchia formulazione dell’editto sulla stampa rimasta in questo nuovo progetto di legge quasi per forza di inerzia. Essa certamente non risponde alla situazione attuale perché non si può pretendere che perché una persona è stata nominata o semplicemente indicata in un giornale, questa persona abbia il diritto di fare inserire una risposta che superi il doppio dello scritto al quale si riferisce. Se, per esempio, quindi, una persona fosse nominata in un articolo di fondo, avrebbe diritto di inserire una risposta lunga il doppio dell’articolo di fondo e nello stesso punto del giornale. Basterebbe pensare a questo per riconoscere che questo testo non può sussistere. Quindi l’emendamento Schiavetti, nella prima e seconda parte, la Commissione lo accetta. Accetta pure la proposta dell’onorevole Colitto di aggiungere le parole «o affermazioni».

Quanto agli emendamenti dell’onorevole Russo Perez e dell’onorevole Riccio, evidentemente essi hanno un movente comune, cioè l’intenzione di punire la mancata pubblicazione della rettifica. Anche questo sembra opportuno; perché è invalso, in una parte della stampa, l’uso di non tenere nessun conto forse in parte anche per il fatto che oggi i giornali hanno pochissimo spazio delle rettifiche che vengono mandate: mentre è evidente il diritto di chi è offeso di veder pubblicata la risposta o il chiarimento che intende dare. Quindi, noi accettiamo il principio. Quanto alla misura della pena, la Commissione si rimette naturalmente all’Assemblea.

L’emendamento Riccio parla di ammenda da lire 1000 a 20.000. Intanto, noi proporremmo che non si parlasse di ammenda ma di multa, perché non si tratta di una contravvenzione ma di un reato che ha carattere di delitto. Ad ogni modo, sembra anche alla Commissione che l’ammenda da lire 1000 a 20.000 sia oggi poca cosa, col valore attuale della moneta. Probabilmente, qualche giornalista preferirebbe pagare le 5 o 6.000 lire a cui verrebbe condannato, piuttosto che pubblicare la rettifica che gli viene domandata. Quindi, occorre stabilire una pena che sia sensibile, che renda effettivo questo diritto della rettifica. Comunque, per quel che riguarda la misura della pena, la Commissione si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Cevolotto, accetta anche la seconda parte dell’emendamento Riccio?

CEVOLOTTO, Relatore. Sì l’accetto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Andreotti di esprimere il parere del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Concordo pienamente con l’opinione espressa dall’onorevole Cevolotto, cioè accetto i due emendamenti dell’onorevole Schiavetti, che mi pare rispondano alle due esigenze: all’esigenza di chi si senta ingiustamente nominato nel giornale (e non semplicemente nominato), e all’esigenza tecnica del giornale stesso. Per quanto riguarda la pena stabilita nel caso di mancata inserzione della rettifica, a me sembra che nella fase attuale, che è di formazione di un giornalismo nuovo e quindi presenta maggiori difficoltà, potremmo stabilire anche una pena forte, quale è quella contemplata nell’emendamento Russo Perez, augurandoci che l’uso di questa pena sia il più raro possibile nel nostro Paese.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Noi aderiamo all’emendamento Schiavetti, ma vorremmo che si facessero presenti ambedue le ipotesi lesive della dignità umana, in questa materia estremamente delicata.

La prima, tipicamente intenzionale, mi pare sia considerata adeguatamente con le parole: «atti o pensieri lesivi della loro dignità». Ma resta la seconda, per cui la dignità umana può essere lesa anche senza questa intenzionalità, per esempio a seguito di errore, ipotesi che è contemplata in maniera analoga anche nel regolamento della Camera, ove si disciplina il fatto personale che tocca la onorabilità del deputato. Ora, tale caso mi sembra espresso in maniera eccessivamente restrittiva, quando si dice: «ritenuti contrarî a verità», poiché sembra allora che l’offeso debba fare capo al giudizio corrente, a ciò che è l’opinione media, secondo un criterio di normalità. Viceversa, se noi ci vogliamo porre sul terreno di una effettiva difesa della dignità, dovremo contemplare non solo il caso in cui le persone siano lese da giudizi oggettivamente «ritenuti contrarî a verità», ma anche da apprezzamenti da esse considerati tali. Si potrebbe dire: «o da esse assunti come contrarî a verità».

SCHIAVETTI. Accolgo questa modifica.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Io non direi soltanto «contrarî a verità», perché il direttore di giornale non possa trincerarsi, nel suo rifiuto, dietro l’affermazione che i fatti sono veri o pretendere la previa dimostrazione che sono contrari a verità.

SCHIAVETTI. C’è il procedimento della diffamazione; è altra cosa.

PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez ha presentato una proposta, la quale è analoga a quella presentata dall’onorevole Titomanlio Vittoria. Fra le due, c’è diversità in relazione all’entità delle pene fissate.

Vorrei pregare i due proponenti di cercare di accordarsi, magari su una linea mediana.

TITOMANLIO VITTORIA. Aderisco alla formulazione dell’onorevole Russo Perez per quanto riguarda il primo comma, mantenendo il secondo comma.

RUSSO PEREZ. Accetto di aggiungere al mio emendamento il secondo comma dell’emendamento Titomanlio Vittoria.

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Siccome non sono un giurista, desidero un chiarimento: si propone la multa fino a 50.000 lire; ma vi è un minimo iniziale o no?

Io propongo che la multa vada da 5.000 a 50.000 lire.

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Propongo che la multa vada «da 30.000 a 50.000 lire».

SILES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SILES. Propongo che si dica: «non inferiore a lire 50.000». Dato il valore attuale della moneta non si tratta di cifra eccessiva.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione si permette di osservare questo: non procediamo adesso, come qualche volta accade, di inasprimento in inasprimento, verso qualche limite che sorpasserebbe quella che è la normalità delle pene nel nostro sistema. Non dobbiamo per questo caso stabilire delle penalità stravaganti rispetto alle pene che si comminano in tutti gli altri casi, altrimenti configureremo questo come il reato più grave e preoccupante che esista non soltanto nella legislazione della stampa, ma in tutta l’analoga legislazione italiana. Non usciamo dai limiti consueti. Mettiamo pure un minimo di cinque mila lire, perché non bisogna dimenticare che a questa pena si aggiunge la reclusione, la quale parte da un minimo di quindici giorni. Il limite di cinquanta mila lire è assolutamente eccezionale nella nostra legislazione.

SILES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SILES. Insisto nel far presente all’onorevole Cevolotto che il reato di diffamazione è molto grave.

PRESIDENTE. Non stiamo stabilendo la pena per la diffamazione. È stato spiegato che questa disposizione lascia inalterato il diritto di procedere per diffamazione: si tratta di due cose diverse.

Onorevole Miccolis, mantiene il suo emendamento?

MICCOLIS. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del primo emendamento Schiavetti, accettato dalla Commissione e dal Governo:

«Sostituire la prima parte del primo comma, sino alle parole: nominate o indicate nel periodico, con le parole seguenti: Il gerente responsabile è tenuto a far inserire nel periodico, integralmente e gratuitamente, le risposte, rettifiche o dichiarazioni delle persone cui siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni lesivi della loro dignità o da esse ritenuti contrari a verità».

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Vorrei rilevare una pura questione di forma; le parole: «il gerente responsabile» vanno sostituite con le altre: «il direttore o il vice-direttore responsabile», visto che la figura del gerente responsabile non esiste più.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora pongo in votazione la formulazione testé letta con questa modifica.

(È approvata).

Passiamo alla seconda parte del primo comma dell’articolo 14:

«purché le risposte, rettifiche o dichiarazioni non abbiano contenuto che possa dar luogo a incriminazione penale e non superino il doppio dello scritto al quale si riferiscono».

L’onorevole Schiavetti ha proposto di sopprimere le parole: «e non superino il doppio dello scritto al quale si riferiscono».

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io osservo però che di questo non si è parlato prima; se si fosse accennato a tale «incriminazione penale», io avrei detto che una norma del genere sarebbe pericolosa, perché darebbe al diffamatore la possibilità di eludere la disposizione di legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Cevolotto per esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. Questa formula è la vecchia formula tradizionale, ed è sempre stata usata. E per questa ragione: se alcuno, rettificando una notizia o una affermazione lesiva per lui, attribuisse a sua volta fatti disonorevoli, o diffamasse o ingiuriasse altra persona, esporrebbe, per ciò solo, il direttore del giornale che pubblicasse questa rettifica a poter essere perseguito, per diffamazione o per ingiuria; e questo assolutamente non si può permettere.

Dice l’onorevole Russo Perez: badate che in questo modo voi permettete al direttore di non pubblicare la rettifica, adducendo un pericolo di essere perseguito penalmente, pericolo che molte volte potrebbe non esserci. Però io faccio osservare questo: noi abbiamo proprio adesso stabilita una pena abbastanza sensibile per il direttore che non pubblichi la rettifica. Ora, se il direttore si trincerasse in mala fede dietro la formula che noi votiamo, e cioè adducesse di non aver pubblicato la rettifica perché poteva dar luogo a incriminazioni penali, il giudice giudicherà se questa è una scusa; vaglierà cioè se lo scritto che gli viene sottoposto poteva contenere il pericolo di una incriminazione penale. E nel caso che ritenga che questa non sia che una scusa cioè un modo di eludere la pubblicazione della rettifica, condannerà il direttore del giornale per non aver pubblicato la rettifica. Perciò, la garanzia c’è sempre.

Insisto quindi, nel ritenere che non sia il caso di prescindere da questa formula che si è sempre usata.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seconda parte del primo comma con la soppressione proposta dall’onorevole Schiavetti:

«Purché le risposte, rettifiche o dichiarazioni non abbiano un contenuto che possa dar luogo a incriminazione penale».

(È approvata).

L’onorevole Schiavetti ha anche proposto di sostituire il secondo comma dell’articolo 14 col seguente:

«La pubblicazione prevista nel comma precedente deve farsi entro tre giorni nella medesima pagina o rubrica del periodico e con i medesimi caratteri dello scritto che l’ha determinata».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il termine di tre giorni per i quotidiani va bene; credo che non possa ammettersi per le pubblicazioni di altra natura, che possono uscire mensilmente o trimestralmente.

Per i periodici si potrebbe dire: «nel secondo o terzo numero successivo».

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Vorrei dire anzitutto che probabilmente converrebbe precisare: «nel numero immediatamente successivo». In secondo luogo vorrei proporre all’onorevole Schiavetti un’aggiunta a questo emendamento, menzionando anche l’obbligo della pubblicazione nella medesima edizione o, più precisamente, nelle medesime edizioni. Anche la Francia ha una norma di questo genere.

PRESIDENTE. Onorevole Schiavetti, accetta la proposta dell’onorevole Dominedò?

SCHIAVETTI. Sì.

PRESIDENTE. Allora, l’emendamento Schiavetti risulterebbe del seguente tenore:

«La pubblicazione prevista nel comma precedente deve farsi entro tre giorni per i quotidiani e nel numero immediatamente successivo per gli altri periodici nella medesima edizione, pagina o rubrica del periodico e coi medesimi caratteri dello scritto che l’ha determinata».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Io ho dei dubbi sull’espressione: «nel numero immediatamente successivo» per quanto riguarda i giornali non periodici. Supponiamo che il giornale esca la domenica e che si mandi la rettifica il venerdì o il sabato; non ci sarebbe più tempo per la pubblicazione. Bisogna specificare meglio chiarendo che si intende nel numero successivo in cui sarà possibile fare la pubblicazione.

RUSSO PEREZ. Io direi: «nel primo numero che sarà pubblicato dopo l’arrivo della rettifica».

PRESIDENTE. Ritengo pericolosa la sua proposta, onorevole Russo Perez. È capitato a me personalmente di vedermi addurre il fatto che la rettifica non era giunta, o era giunta dopo tre mesi – cosa difficile a documentare – come giustificazione della mancata pubblicazione.

RUSSO PEREZ. Ma, in questi casi, la rettifica si manda per mezzo di ufficiale giudiziario.

BERTONE. Oppure con lettera raccomandata e ricevuta di ritorno.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Mi sembra che se si dice: «nel numero immediatamente successivo all’arrivo della rettifica» ci troviamo proprio nel caso ipotizzato dall’onorevole Bertone. Mentre se diciamo «nel numero successivo» s’intende che questo numero sarà quello nel quale è tecnicamente possibile pubblicare la rettifica. Non occorre dire di più. Quindi riterrei preferibile la formula «nel numero successivo» togliendo la parola «immediatamente».

MAFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Ritengo che valga la pena di prendere tutti i provvedimenti profilattici per sanare questo grave male della società. Affinché la rettifica avvenga di fatto e perché la gravezza di essa pesi sul colpevole. Io propongo pertanto che la rettifica sia pubblicata per tre giorni consecutivi. (Commenti).

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Mi pare che la proposta dell’onorevole Maffi sia veramente eccessiva. Faccio notare, al riguardo, che qui non si tratta di casi di diffamazione per i quali evidentemente intervengono altri mezzi. Qui si tratta di semplici rettifiche di dati che risultano inesatti: non bisogna attribuire poi troppa importanza a ciò che si scrive sui giornali.

Se ciascuno di noi dovesse inviare rettifiche di questo genere in base a quelli che sono, ad esempio, i nostri resoconti parlamentari, non la finiremmo più. Io – per restare all’esempio – avrei in questi giorni dovuto inviare per lo meno una cinquantina di lettere raccomandate!

PRESIDENTE. L’onorevole Cevolotto ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Maffi.

CEVOLOTTO, Relatore. Vorrei pregare l’onorevole Maffi di non insistere perché, fra le altre cose, dato il poco spazio che hanno attualmente i giornali quotidiani a sole due pagine, essi non potrebbero evidentemente pubblicare le rettifiche per tre giorni consecutivi: non lo potrebbero tecnicamente e cercherebbero tutti i mezzi per eludere questa disposizione.

Ho l’impressione che – l’Assemblea mi perdoni la franchezza – di aumento in aumento, se continuiamo altri quindici minuti, qui si arrivi alla pena di morte. (Ilarità). Pregherei pertanto l’Assemblea di volersi arrestare a quanto è stato già stabilito, che mi pare abbastanza severo.

PRESIDENTE. Onorevole Andreotti, vuole esprimere il pensiero del Governo su questa proposta?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Concordo anch’io con il pensiero dell’onorevole Cevolotto, poiché ritengo che, data la frequenza dei casi da noi giustamente previsti in modo abbastanza ampio, ciò non sia assolutamente possibile, in quanto, se ciò dovesse risultare in pratica troppo gravoso, si finirebbe molto facilmente con l’instaurare un principio di desuetudine pratica, subito dopo che la legge sarà stata pubblicata.

Io penso quindi che, se noi ci contenteremo e se noi faremo in modo che le rettifiche vengano pubblicate una volta, avremo già raggiunto con ciò un risultato sodisfacente, mentre l’obbligare a pubblicare per ben tre volte semplici rettifiche di notizie di cronaca significherebbe chiedere ai giornali di più di quanto legittimamente non si possa.

PRESIDENTE. Onorevole Maffi, mantiene la sua proposta?

MAFFI. La ritiro.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il secondo comma dell’articolo 14 nella formulazione Schiavetti così modificata:

«La pubblicazione prevista nel comma precedente deve farsi entro tre mesi per i quotidiani e nel numero successivo per gli altri periodici, nella medesima edizione, pagina o rubrica del periodico e con i medesimi caratteri dello scritto che l’ha determinata».

(È approvato).

L’onorevole Schiavetti ha presentato inoltre il seguente emendamento aggiuntivo:

«La rettifica non può sorpassare la lunghezza dell’articolo o del passo cui essa si riferisce. Essa potrà tuttavia raggiungere le venti righe, qualora l’articolo o il passo da rettificare sia di una lunghezza minore».

Lo pongo in votazione.

(È approvata).

Ora passiamo all’emendamento aggiuntivo concordato degli onorevoli Russo Perez e Titomanlio Vittoria:

«Il rifiuto di ottemperare all’obbligo anzidetto è punito con la reclusione fino a sei mesi e con la multa sino a lire 50.000».

«La sentenza di condanna va pubblicata per estratto nel periodico stesso».

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Proporrei tre mesi invece di sei e la multa da 30 a 50.000.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi accorgo che, dopo un’ondata di severità, c’è ora una ondata di benevolenza per i diffamatori; ma forse non si pensa che molte volte una diffamazione, la quale mette in gioco la vita privata di un uomo o i suoi più delicati sentimenti, è un fatto più grave di un ferimento e talvolta di un omicidio, e si discute se la pena possa arrivare nel massimo sino a sei mesi di reclusione! Ma è inferiore a quella che meriterebbe un libellista abituale!

MICCOLIS. Mantengo la mia proposta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le seguenti parole dell’emendamento Russo Perez, Titomanlio, con la modificazione dell’onorevole Miccolis:

«Il rifiuto di ottemperare all’obbligo anzidetto è punito con la reclusione fino a tre mesi».

(Non sono approvate).

Pongo in votazione la stessa formula con la modifica:

«sino a sei mesi».

(È approvata).

Relativamente alla pena pecuniaria vi sono tre proposte: quella dell’onorevole Siles: «non inferiore a lire 50.000», quella dell’onorevole Miccolis: «da 30 a 50 mila» e quella dell’onorevole Russo Perez: «50.000».

Pongo in votazione la formulazione dell’onorevole Siles:

«e la multa non inferiore a lire 50.000».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la proposta Miccolis:

«e la multa da trenta a cinquantamila lire».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte dell’emendamento Russo Perez-Titomanlio Vittoria:

«La sentenza di condanna va pubblicata per estratto nel periodico stesso».

(È approvata).

L’articolo 14 risulta nel suo complesso così approvato:

«Il direttore o il vice-direttore responsabile è tenuto a far inserire nel periodico, integralmente e gratuitamente, le risposte, rettifiche o dichiarazioni delle persone cui sono stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni lesivi della loro dignità o da esse ritenuti contrari alla verità, purché le risposte, rettifiche o dichiarazioni non abbiano contenuto che possa dar luogo a incriminazione penale.

La pubblicazione prevista nel comma precedente deve farsi entro tre giorni per i quotidiani e nel numero successivo per gli altri periodici nella medesima edizione, pagina o rubrica del periodico e con i medesimi caratteri dello scritto che l’ha determinata.

«La rettifica non può sorpassare la lunghezza dell’articolo o del passo a cui essa si riferisce. Essa potrà tuttavia raggiungere le venti righe qualora l’articolo o il passo da rettificare sia di una lunghezza minore.

Il rifiuto di ottemperare all’obbligo anzidetto è punito con la reclusione sino a sei mesi e la multa da trentamila a cinquantamila lire.

«La sentenza di condanna va pubblicata per estratto nel periodico stesso».

Passiamo all’articolo 15. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Pubblicazioni a richiesta dell’autorità.

«Il direttore responsabile è obbligato a far inserire integralmente, a pagamento, nel periodico da lui diretto gli scritti che, nel pubblico interesse, gli siano inviati dall’autorità per la pubblicazione.

«Nel pronunciare condanna per reato commesso mediante pubblicazione in un periodico, il giudice ordina in ogni caso la pubblicazione della sentenza, integralmente o per estratto, nel periodico stesso. Il direttore responsabile è tenuto ad eseguire gratuitamente la pubblicazione a norma dell’articolo 615, primo comma, del Codice di procedura penale».

PRESIDENTE. Anche in questo articolo per ragioni di coordinamento si deve dire: «il direttore o il vicedirettore responsabile».

Gli onorevoli Titomanlio Vittoria, Riccio Stefano e Schiratti hanno proposto il seguente emendamento:

«Al primo comma sopprimere le parole: a pagamento».

L’onorevole Titomanlio Vittoria ha facoltà di svolgerlo.

TITOMANLIO VITTORIA. Mettere che l’inserzione deve essere a pagamento significherebbe ridurre le possibilità delle pubblicazioni. Perciò chiedo che si sopprimano le parole «a pagamento».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione ricorda che nella discussione generale da parte di alcuni deputati si è obiettato a questo articolo – sebbene l’obiezione non sia poi stata concretata in un emendamento – che la formulazione, che è quella tradizionale, non è felice.

Si è detto che l’autorità può inviare uno scritto che essa qualifichi a suo arbitrio come scritto da pubblicare nel pubblico interesse, ma che può essere di qualunque natura. Si è persino fatto il caso di un capo di Governo che pretenda di far pubblicare un suo articolo, qualificandolo come scritto nell’interesse generale.

Invece l’obiezione non ha fondamento, perché è evidente la portata di questo articolo, che del resto ha un’applicazione tradizionale, da quando c’è l’editto sulla stampa.

Tuttavia non sarà male chiarire. Proponiamo, intanto, che si sostituiscano nella prima linea alle parole «è obbligato» le altre «è tenuto», per mettere l’articolo 15 in armonia con l’articolo 14, in cui si è usata questa espressione.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Andreotti ad esprimere il parere del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. La discussione di questo articolo è resa molto meno interessante per l’assenza dell’onorevole Labriola, che l’altro giorno vi dedicò gran parte del suo discorso in sede di discussione generale. L’onorevole Labriola disse che questa era la novità più atroce del progetto ministeriale, accettato dalla Commissione, novità, che, in realtà, esiste anche nel testo, finora in vigore, dell’editto albertino.

Ci troviamo, ora, di fronte ad un alleggerimento di questi obblighi.

È giusto parlare di «comunicati» anziché di «scritti», perché questa parola dà maggiormente il senso della finalità di questo articolo. Ma, nonostante la specificazione, rappresenta una specie di pleonasmo, perché non ci sarà mai un Governo che invii ai giornali, per la pubblicazione coattiva, un articolo o un romanzo a puntate di un Ministro o del Presidente del Consiglio.

Credo poi che debba rimanere l’espressione «a pagamento», perché questo rappresenta un atto di rispetto, in qualche forma, per la personalità dei giornali. L’articolo non mi pare che possa in qualche maniera offendere – come diceva l’onorevole Labriola l’altro giorno – la libertà di stampa, e credo che anzi avvenga il contrario: cioè, che molti giornali si potranno augurare di ricevere a pagamento dallo Stato e dalle autorità qualche comunicato per incrementare il proprio bilancio.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Confesso che l’articolo, anche con la modifica proposta, mi pare che possa lasciare adito a qualche perplessità, perché non si chiarisce abbastanza qual è la natura di queste comunicazioni ufficiali del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Nel pubblico interesse.

MANZINI. Appunto, l’onorevole Sottosegretario ha sottolineato la frase che esprime il concetto dell’interesse pubblico. Ma io credo che, dal punto di vista dei giornalisti, si possa rimanere alquanto incerti di fronte a questa formulazione, perché, che cosa s’intende per un comunicato che abbia interesse pubblico? Per esempio, il Governo promuove un prestito nazionale. Ma è pacifico che tutti i giornali pubblicheranno notizie di questa natura! Un comunicato del Consiglio dei Ministri, anche.

Quindi, non so a quali circostanze ci si possa riferire. Io propongo, quindi, di sospendere la votazione di questo articolo in attesa di una formulazione più sufficiente.

FUSCHINI. Quali sono questi comunicati? In che materia?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Possono essere quelli che attengono all’ordine pubblico.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io trovo che va benissimo, così come è stata formulata, la proposta, perché, nel fatto della spesa cui deve andare incontro l’ufficio, c’è una autolimitazione. Nessun ufficio pubblico ha interesse di mandare un comunicato e di andare incontro ad una spesa, se non ve ne sia la necessità. Quindi c’è un’autolimitazione, e non hanno ragion d’essere le preoccupazioni del collega Manzini.

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Proporrei che alla parola «comunicati» si aggiungesse: «indicati come tali», in modo che il pubblico che legge il giornale sappia che si tratti di comunicati di cui il giornale non è responsabile.

PRESIDENTE. Onorevole Manzini, insiste nella proposta di rinvio?

MANZINI. Insisto, perché non sono persuaso.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Propongo la soppressione di questo articolo.

Il Governo per la polemica politica ha la sua stampa, che è sempre, per ragioni intuitive, abbondante. Quando si tratta, invece, di comunicati di interesse generale, per esempio il caso di un prestito, come è stato già accennato, o il caso di notizie inerenti al funzionamento dei pubblici servizi, o di benessere della popolazione, tutti i giornali hanno piacere, anche per ragioni pubblicitarie, di pubblicare simili cose.

Se si tratta di offesa fatta alle autorità, le autorità possono valersi delle disposizioni votate. Quindi, credo che questo omaggio reso alle autorità sia di vecchio stile, e tradisca uno spirito che ha caratteristiche del regime che abbiamo sostituito.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Siccome è una norma che può benissimo essere staccata nell’economia di questa legge, possiamo anche rinviarla alla futura legge sulla stampa, quando si discuterà di tutto il resto delle disposizioni che oggi abbiamo accantonato.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Faccio rilevare che la proposta si richiama al primo comma, non al secondo, che si può votare.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Concordo.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il primo comma è rinviato alla futura legge sulla stampa.

(Così rimane stabilito).

Sta bene. Pongo in votazione il secondo comma:

«Nel pronunciare condanna per reato commesso mediante pubblicazione in un periodico, il giudice ordina in ogni caso la pubblicazione della sentenza, integralmente o per estratto, nel periodico stesso. Il direttore o vice-direttore responsabile è tenuto ad eseguire gratuitamente la pubblicazione a norma dell’articolo 515, primo comma, del Codice di procedura penale».

(È approvata).

Passiamo all’articolo 15-bis: se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Giornali murali.

«Il giornale murale, che abbia un titolo e una normale periodicità di pubblicazione, anche se in parte manoscritto, è regolato dalle disposizioni della presente legge. Tuttavia non si applicano ad esso le disposizioni di cui agli articoli 10 e 11.

«Nel caso di giornale murale a copia unica, agli effetti dell’articolo 4, è sufficiente che venga dato avviso della affissione al procuratore della Repubblica.

«I giornali murali sono esenti da ogni gravame fiscale».

PRESIDENTE. Faccio presente che il secondo periodo del primo comma, riferendosi ad articoli che non sono stati compresi nello stralcio, va soppresso.

(Così rimane stabilito).

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Non si è mai così impopolari, come quando ci si mette contro le cattive abitudini dell’ora che passa. Io sono abbastanza vecchio per aver conosciuto questa nostra Italia in momenti diversissimi, quando la gente era più povera di adesso e quando aveva meno mezzi per comperare i giornali. Io considero la cosa dal punto di vista di una assoluta obiettività, di estetica e di decenza. Lasciatemi dire che noi siamo ammalati di alcune perverse abitudini, che disonorano veramente il nostro buon gusto italiano: i muri tutti imbrattati da qualunque affissatore che si crede in diritto di appiccicare i manifesti dove vuole. (Applausi). Spero che non ci sarà nessuno che, in nome della colla o del pennello, voglia contestare l’obiettività di questa mia affermazione. Non basta questo, ma è venuto di moda anche il giornale murale, che è un misto fra l’attività lazzaronistica e l’analfabetismo. (Approvazioni).

MOLINELLI. Ma non sa che i giornali murali hanno servito alla lotta contro il fascismo, in Italia? (Commenti). Gli operai li hanno creati come mezzi di guerra contro il fascismo, e lei non lo sa, perché forse non c’era.

MAZZONI. Io ringrazio l’onorevole Molinelli, il quale ha dato un argomento alla mia tesi. Nel momento dell’impossibilità di agire, quando i giornali non si possono stampare e non si possono vendere, si fa nobilmente e gloriosamente lavorare il poligrafo anche con le lettere a mano, si va nei teatri d’Italia, come nel 1848, con il fazzolettino tricolore della dama in decolleté; ma questi sono mezzi eroici. Nei momenti gloriosi dell’insurrezione, interdetta qualsiasi possibilità, si adoperano tutti gli strumenti che sono a disposizione. Ma spero che l’onorevole Molinelli non vorrà darmi a intendere – benché egli gridi molto forte – che oggi qualunque povero della terra non sia capace di comperare e di leggersi il suo giornale in quella compostezza che si addice ad un popolo civile. Io, queste frecce fatte in lapis blu e rosso, non le capisco. (Rumori all’estrema sinistra). E badate bene: noi tutti abbiamo sulla coscienza di queste magagne, siamo tutti imputati. Però dico che è una cosa da popoli inferiori (Rumori all’estrema sinistra) e propongo formalmente che questi giornali murali non siano più permessi.

PRESIDENTE. Onorevole Mazzoni, forse sarebbe opportuno che lei sciogliesse un equivoco. Lei ha parlato cumulativamente di due cose diverse. Una cosa sono i giornali quotidiani, che vengono attaccati ai muri, ed un’altra i giornali murali. Vorrei che lei precisasse la sua proposta.

MAZZONI. Non ho particolari ragioni contro l’una o l’altra forma: dico che sono contro gli uni e gli altri. Questi giornali quotidiani appiccicati sui muri e che imbrattano tutte le città d’Italia sono un segno indecoroso. (Commenti all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Allora la proposta dell’onorevole Mazzoni va riferita ai giornali murali, in quanto dell’altro argomento non è fatta parola nel disegno di legge.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Credo che nella proposta dell’onorevole Mazzoni si debba distinguere una parte di sostanza e una parte di forma. Per quanto riguarda l’inserzione contro gli arabeschi murali, credo che sia argomento che evade dal testo della legge sulla stampa. Comunque, è già contenuto in quell’articolo della Costituzione che assicura la difesa del paesaggio. Quindi, si potrebbe ricorrere eventualmente a questo articolo.

Ma, quello che riguarda in questo momento la nostra discussione, e cioè la legge sulla stampa, credo sia lo spirito della proposta Mazzoni, se non la forma; in quanto non si può certo proibire che possa essere usata, come mezzo di propaganda, la forma decorosa e ordinata di un giornale murale, cioè una targa o una piastra di legno messa su di un crocicchio o in uno stabilimento. Quello che si deve fare è regolamentare (ecco la parte che a me pare accettabile della proposta Mazzoni), disciplinare il giornale murale, il quale diventa, per il suo carattere estemporaneo e popolaresco, la forma di stampa periodica, che assume più facilmente lo stile polemico più acuto e qualche volta diffamatorio, prescindendo da considerazioni di carattere estetico. Ma appunto di questo si preoccupa la legge: regolamentare, o per lo meno sottoporre alla forma di controllo legittima a cui è sottoposta tutta la stampa, cioè il foglio quotidiano, il foglio periodico ciclostilato ecc., anche i giornali murali, che oggi costituiscono una forma molto popolare ed incisiva di propaganda politica. Quindi, direi che in questo senso egli già trova un soddisfacimento della sua esigenza in questa legge sulla stampa, che impone ai giornali murali il limite del decoro e dell’obiettività.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Se avessi parlato prima, dato che avevo chiesto di parlare, l’onorevole Mazzoni avrebbe evitato di dire delle parole, che provano la scarsissima conoscenza che egli ha del problema dei giornali murali, della loro origine e della loro importanza. Tanto questo è vero, che egli scambia i giornali murali con i quotidiani affissi sui muri della capitale o con qualsiasi altro manifesto che imbratti i muri.

MAZZONI. Facevo il giornalista quando lei non era ancora nato.

MOLINELLI. Capisco gli scrupoli estetici dell’onorevole Mazzoni che, se non erro, faceva commercio di arte. (Interruzione del deputato Mazzoni). Non voglio dire cosa offensiva: si occupava di arte. Capisco, ripeto, che i sensi estetici dell’onorevole Mazzoni possano essere offesi da certe forme ancora primordiali, primitive di questi giornali…

MAZZONI. Degne dell’Abissinia.

MOLINELLI. Una delle preoccupazioni da cui era animato chi ha presentato questo articolo, per il quale in seno alla Commissione trovò l’appoggio di altri rappresentanti dei partiti di massa, compreso il democristiano, era appunto di dare anche a questa nuova forma di diffusione del pensiero un suo limite, una sua legalizzazione.

Tuttavia, bisogna che questo limite e questa legalizzazione siano contenuti in maniera tale, da non uccidere il giornale murale. Dopo lo stralcio fatto, una parte di questo articolo verrebbe a cadere; un’altra verrebbe ad essere aggravata, fino a rendere difficile la vita del giornale stesso, con l’approvazione dell’articolo 7, da cui è previsto che il direttore responsabile – anche del giornale murale, che qualche volta è il semplice operaio, il quale, uscendo dall’officina, lo compila a mano, esteticamente male, ma politicamente bene – dovrebbe essere iscritto all’albo dei giornalisti.

Penso che questa materia possa essere meglio esaminata dalla futura legge sulla stampa.

Pertanto propongo che la Commissione voglia accettare che sia tolto quest’articolo dallo stralcio che abbiamo fatto.

VILLANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VILLANI. Io non so se l’amico Mazzoni sia stato mosso, nel fare le sue osservazioni, da motivi prevalentemente o esclusivamente di carattere estetico. Devo però dichiarare, perché non nasca equivoco, che potrebbe essere sgradevole per una parte di noi, che almeno io personalmente e, penso buona parte del nostro Gruppo, non condivide gli apprezzamenti eccessivamente aspri, nella forma, con cui l’onorevole Mazzoni ha condannato in modo implacabile e definitivo il giornale murale.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Credo che la proposta Molinelli annullerebbe lo spirito della nostra discussione, perché il tema del quale maggiormente si è preoccupata l’Assemblea è quello della diffamazione. Nonostante tutta la buona volontà e l’entusiasmo, con cui vengono composti i giornali murali, proprio in questi avvengono più facilmente attacchi personali e qualche volta tali, da provocare incidenti.

Io vengo dall’Emilia: domenica scorsa sono stati sfasciati a colpi di scure dei giornali murali, perché si riteneva che citazioni in essi fatte offendessero una parte o una persona.

Sarebbe un errore lasciare nell’ombra, senza regolamentazione, questa forma di propaganda organica e continuativa, che va assumendo una grande importanza politica.

Quindi, mi dichiaro contrario alla proposta di rinvio di questo articolo, che ha il suo valore.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione, nell’accettare la proposta Molinelli di inserire l’articolo sul giornale murale, è stata animata appunto dalle considerazioni testé espresse dall’onorevole Manzini: cioè dall’opportunità di cominciare a regolare anche questa forma di propaganda.

Non mi sembra che l’obiezione fatta oggi dallo stesso onorevole Molinelli sia insuperabile. Egli ha fatto cenno alla circostanza che la condizione dell’iscrizione nell’albo per il direttore del giornale murale sarebbe troppo gravosa.

Credo che nessuno muoverebbe eccezione, se si dicesse: al direttore non è riferibile l’obbligo dell’iscrizione nell’albo dei giornalisti.

Sarebbe facile superare quest’ostacolo.

Comunque, la Commissione ritiene che questa novità, una delle poche novità della legge, di cominciare a regolare anche i giornali murali, sia cosa opportuna.

Se l’Assemblea ritiene, invece, di dovere rinviare alla futura legge, vuol dire che i giornali murali continueranno a vivere in una forma, la quale è abusiva ed illegale in questo momento. Sarebbe quindi opportuno legalizzarla ancora per un anno od un anno e mezzo.

PRESIDENTE. Onorevole Molinelli, lei fa proposta formale di rinvio?

MOLINELLI. Sì, e ringrazio l’onorevole Cevolotto di essermi venuto incontro, considerando che questa materia deve essere regolata in sede di discussione della legge sulla stampa.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Vorrei ricordare ad alcuni colleghi, i quali non se ne ricordano, che il codice penale provvede già in parte a risolvere questo problema, perché anche prima che avessimo approvata la nuova Costituzione (in cui si parla della tutela del paesaggio), esisteva l’articolo 734 dell’attuale codice penale, il quale dice: «Chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità, è punito con l’ammenda da lire cinquecento a tremila». (Commenti).

C’è poi un altro articolo, il 663, del seguente tenore: «Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, vende o distribuisce o mette comunque in circolazione scritti o disegni, senza avere ottenuto l’autorizzazione richiesta dalla legge ecc».

MOLINELLI. Ma per i giornali murali l’autorizzazione si chiede.

RUSSO PEREZ. «Alla stessa pena soggiace chiunque, senza licenza della Autorità o senza osservare le prescrizioni, in un luogo pubblico, aperto o esposto al pubblico, affigge – badi bene, onorevole Molinelli – affigge scritti o disegni, o fa uso di mezzi luminosi o acustici per comunicazioni al pubblico, o comunque colloca iscrizioni o disegni». Quindi la legge in parte provvede a risolvere già questo problema. (Rumori all’estrema sinistra).

MOLINELLI. Lei non ha capito: l’autorizzazione viene già richiesta. La questione è un’altra.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della proposta Molinelli tendente a rimettere alla futura legge sulla stampa la determinazione delle norme concernenti i giornali murali.

TREVES. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Voterò contro il rinvio, ma intendo con ciò di dare un significato positivo al mio voto, che riconosce il valore che oramai si attribuisce ai giornali murali. Penso quindi sia utile disciplinare, fin da adesso, questa materia.

BETTIOL. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Anch’io voterò contro il rinvio, per il semplice fatto che ormai ci troviamo di fronte ad una consuetudine, la quale regola i giornali murali. È bene che il legislatore cominci a prenderli in considerazione, anche dal punto di vista normativo.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Voterò contro, perché mi sembra improcedurale questo secondo stralcio.

Ieri, mi pare, infatti, uno stralcio fu effettuato, e con esso si voleva significare che determinate materie e determinati argomenti, per loro ragioni intrinseche, dovevano essere trattati senza ulteriore differimento.

Non si concepisce ora una eccezione alla eccezione ed un rinvio alla legge.

PRESIDENTE. Pongo ora in votazione, la proposta di rinvio dell’onorevole Molinelli.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

L’articolo 15-bis, con le modificazioni suggerite, risulterebbe così formulato:

«Il giornale murale che abbia un titolo ed una normale periodicità di pubblicazione, anche se in parte manoscritto, è regolato dalle disposizioni della presente legge. Tuttavia non è riferibile al suo direttore l’obbligo della iscrizione nell’albo dei giornalisti.

«Nel caso del giornale murale a copia unica è sufficiente che venga dato avviso della affissione al Procuratore della Repubblica.

«I giornali murali sono esenti da ogni gravame fiscale».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Io credo che il chiarimento che ha proposto l’onorevole Cevolotto sia superfluo, perché noi abbiamo detto che serve la iscrizione all’albo in quei casi in cui è tassativamente richiesta dalla legge. Per il giornale murale non v’è nessuna legge che prevede le iscrizioni all’albo. Quindi mi pare del tutto superflua, ed anzi pericolosa l’aggiunta proposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Cevolotto ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. L’unica disposizione che potrebbe essere richiamata in questo caso, è quella dell’articolo 19, mi pare, della legge del 1928, che si riferisce però espressamente al giornale quotidiano. Ora, è evidente che il giornale murale non è confondibile con quello quotidiano; quindi l’osservazione fatta dall’onorevole Andreotti è esatta.

Io avevo proposto la modificazione per una preoccupazione dell’onorevole Molinelli. Se l’onorevole Molinelli crede che questa sua preoccupazione sia caduta, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Andreotti, mi sembra che non è più il caso di insistere sull’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 15-bis nella seguente formulazione:

«Il giornale murale, che abbia un titolo ed una normale periodicità di pubblicazione, anche se in parte manoscritto, è regolato dalle disposizioni della presente legge».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Nel caso del giornale murale a copia unica, è sufficiente che venga dato avviso della affissione al Procuratore della Repubblica».

(È approvato).

Passiamo all’ultimo comma:

«I giornali murali sono esenti da ogni gravane fiscale».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il secondo comma ha un senso solo se si sottintende l’articolo 4, cioè la consegna obbligatoria degli stampati. Siccome l’articolo 4 non è stato stralciato, bisognerebbe adottare una formulazione diversa, in quanto non si capirebbe che cosa rappresenti questa necessità di dare avviso.

MOLINELLI. C’è già l’obbligo di consegnare le copie.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ma non quando si tratta di un giornale a copia unica.

L’ultimo comma, soltanto, mi pare che non dovrebbe aver sede in questa legge, perché si tratta di una disposizione di carattere fiscale, che dovrebbe trovar luogo in leggi di altra natura, nella legge sul bollo o in quella sul registro.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Il secondo comma, che prescrive l’avviso al procuratore della Repubblica, forse, non è del tutto inutile, perché, sebbene in questa legge non si parli della necessità di consegnare le copie del giornale, vi è tuttavia una legge speciale che è ancora in vigore. Questa legge, dice l’onorevole Andreotti, non si applica al giornale a copia unica. Può esser vero; ma è un’interpretazione. Si potrebbe anche dire che, dal momento che viene regolato come un giornale dalla legge sulla stampa, anche di questo giornale murale è necessario fare un certo numero di copie da mandare al procuratore della Repubblica, ecc.

Per togliere ogni dubbio in proposito, forse quel capoverso può essere mantenuto. Quanto all’ultimo comma, è esatto quello che dice l’onorevole Andreotti. Ma osservo che una delle ragioni principali, per la quale si è chiesta la regolamentazione dei giornali murali, è proprio questa, perché altrimenti vengono considerati come affissi e sono quindi soggetti al relativo bollo.

Se sono giornali, se li vogliamo considerare come giornali, non debbono soggiacere a questo sistema di imposizione relativo agli affissi. In questa legge che si riferisce alla stampa, è opportuno chiarire che, dal momento che vengono considerati come giornali, sono sottoposti alla disciplina della stampa e non è ad essi applicabile la norma che stabilisce il bollo per gli affissi.

Si viene così incontro a quello che avviene già ora, perché in realtà, chi li pubblica, li considera come giornali e il bollo non lo paga. Quindi è una situazione irregolare che va regolarizzata, per non creare poi incidenti che potrebbero succedere, qualora il fisco volesse esigere il bollo, che non dovrebbe essere richiesto.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Come prima osservazione, bisogna intendersi su cosa vogliamo, perché il comma, com’era stato redatto dalla Commissione, escludeva la necessità della consegna delle copie d’obbligo e limitava questa disposizione agli altri giornali. Adesso, che è scomparso l’inciso dell’articolo 4, rimane soltanto la frase: «nel caso di giornale murale, è sufficiente che venga dato avviso». Vogliamo dire che non è necessaria la registrazione, o vogliamo conservare una cosa che non può più essere conservata?

CEVOLOTTO, Relatore. Sarebbe bene mettere: «agli effetti della legge 2 febbraio 1939, n. 374».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Va bene; mi pare però che ciò potrebbe prestarsi ad abusi nei confronti delle leggi fiscali, in quanto, definendosi il giornale murale con una espressione un po’ elastica, potrebbe nascere un ulteriore sgravio, quello della tassa sulla pubblicità. Non ha comunque una grande importanza.

CEVOLOTTO, Relatore. È inoltre da osservare che, siccome i giornali murali devono essere registrati e quindi regolati dalla legge, le sue preoccupazioni non hanno ragione di essere.

PRESIDENTE. Il testo sarebbe dunque il seguente: «Nel caso di giornali murali a copia unica, agli effetti della legge del 2 febbraio 1939, n. 374, è sufficiente che venga dato avviso della pubblicazione al procuratore della Repubblica».

BARTALINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BARTALINI. Propongo che dopo la parola: «avviso» si aggiunga: «una volta tanto», perché mi sembra strano che ogni volta debba venire richiesto questo permesso.

PRESIDENTE. Onorevole Bartalini, in primo luogo non si tratta di un permesso, ma di un semplice avviso al procuratore della Repubblica; in secondo luogo, poiché nella legge del 2 febbraio, cui noi ci richiamiamo è detto che l’avviso deve essere dato volta per volta, è evidente che noi non possiamo derogare da questa norma. Occorrerebbe, quanto meno, che venisse qui data una diversa formulazione, senza il richiamo alla legge 2 febbraio 1939.

MATTARELLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTARELLA. Desidero semplicemente osservare che non può parlarsi di una segnalazione una tantum, perché se viene prevista l’ipotesi di giornale a copia unica, saremmo di fronte ad una iniziativa, che si rinnova completamente ad ogni occasione e che non avrebbe un carattere di normalità periodica.

PRESIDENTE. Onorevole Mattarella, mi pare che lei sia in errore. Altro è infatti, nel gergo giornalistico, il numero unico, altro la copia unica. Vi possono essere infatti giornali a copia unica che abbiano più numeri o, comunque, una certa periodicità; come vi possono essere numeri unici che abbiano 100.000 copie.

L’onorevole Bartalini propone la seguente formulazione:

«Nel caso di giornale murale a copia unica, è sufficiente venga dato avviso dell’affissione una volta tanto al procuratore della Repubblica».

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Qui vi è evidentemente un equivoco, perché anche il giornale murale a copia unica viene registrato come tutti gli altri giornali, e viene registrato una volta sola, perché è sottoposto alla disciplina della legge sulla stampa.

BARTALINI. Ma questo vuol dire sopprimerlo!

CEVOLOTTO, Relatore. Questa è la formulazione già votata.

Invece l’avviso è sostitutivo della consegna delle copie d’obbligo, che esiste per ogni numero che esce; consegna delle copie d’obbligo che ha due scopi: anzitutto di mettere il procuratore della Repubblica in grado di controllare, agli effetti dell’attività ch’egli può esercitare, il giornale; e in secondo luogo di dare le copie alle biblioteche e agli altri istituti che devono averle.

Ora, per questa seconda parte, per il giornale murale a copia unica evidentemente non vi è nessuna ragione di insistere. Per la prima parte, alla consegna delle copie si sostituisce il semplice avviso.

In sostituzione delle copie d’obbligo, che non ci possono essere, se non se ne tira più di una copia, vi è l’obbligo dell’avviso al procuratore della Repubblica. Quindi l’emendamento che è stato proposto non incide sulla situazione, perché non ha niente a che fare con la registrazione del giornale.

GAVINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GAVINA. Io intervengo per far presente ai colleghi, che non è questione di formalità; è questione di impossibilità materiale. Si rappresenta con i giornali murali in una figura, quella che è l’espressione della mentalità e sensibilità degli strati popolari.

È così come, onorevoli colleghi, quando eravamo bambini e abbiamo visto nei cartelloni del burattinaio espressi i nostri sentimenti e le nostre idee. (Commenti al centro).

Volete sopprimere questa attività?

Ecco perché proponevamo che la questione fosse rimandata alla futura legislazione, perché fosse studiata anche questa forma nuova di espressione popolare, la quale ha un substrato sociale e psicologico profondo. È il nuovo modo di espressione di una mentalità nuova…

RUSSO PEREZ. È vecchia, non è nuova.

MAZZONI. È antidiluviana.

GAVINA. Onorevole Russo Perez, è nuova, perché si ispira ad un concetto sociale nuovo. Non potete preventivamente regolare la materia; dovete lasciare che questa materia si esplichi, poi la regolerete.

Questa è la ragione per cui proponevamo il rinvio, e questa è la ragione per cui non possiamo parlare di copie. Perché non vi è che un originale, e l’originale è nella mente del creatore.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Chi ha proposto, e proprio in questa forma, di regolare i giornali murali, è un deputato che appartiene allo stesso settore del collega che ha parlato ora; non sembra quindi che le opinioni in quel Gruppo siano concordi.

Del resto l’articolo 15-bis parla di giornale murale che abbia un titolo e una normale periodicità di pubblicazione. Quello cui accenna il collega è un manifesto (Interruzioni all’estrema sinistra), è un’espressione estemporanea da parte del singolo e quindi non rientra nella disciplina della stampa. Qui parliamo di giornale murale vero e proprio, che ha un titolo, una registrazione, una normalità di pubblicazione. Il resto è una manifestazione individuale che continuerà liberamente anche dopo la legge.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. La discussione avvenuta sta a dimostrare come io avessi ragione di chiedere il rinvio di questo articolo, perché questa materia del giornale murale andrebbe maggiormente approfondita, anche in considerazione che la maniera in cui si manifesta oggi è diversa da regione a regione, da luogo a luogo, ed anche da ambiente ad ambiente.

Il proposito al quale io miravo quando ho fatto questa proposta era di sottrarre questa forma elementare e gratuita di diffusione del pensiero agli arbitrî delle autorità locali di pubblica sicurezza e ad una certa anarchia, chiamiamola così, di queste manifestazioni. Naturalmente non si può imbrigliare un giornale murale in tutta quella serie di norme che sono prescritte per i giornali quotidiani a larga diffusione; non si può chiedere al giornale murale di consegnare cinque o dieci copie al procuratore della Repubblica della sua edizione in unica copia; non si può chiedere al giornale murale di avere una periodicità tassativa, né si può chiedere che faccia delle edizioni numerate. La sua edizione è continua. Può avere un titolo, questo sì. In molti luoghi ha un titolo, ma in altri non lo ha, e si tratta di giornali di officine, di aziende.

La ragione principale del mio emendamento era questa: v’è oggi un arbitrio, non soltanto nel senso poliziesco della parola, ma anche un arbitrio fiscale. Un giornale murale costa mille lire. E quando si fa obbligo a piccole località, come al mio paese che conta quattrocento abitanti, di racimolare mille lire per il giornale murale, non vi si riesce.

D’altra parte bisogna riconoscere che il giornale murale rappresenta una forma più diffusa e più diretta per cui il pubblico riesce ad apprendere le notizie che è desideroso di apprendere. Attraverso il giornale murale i partiti arrivano direttamente alle masse organizzate. Per questo nella mia mente era sorta l’idea di dare una sua regolamentazione a questa nuova forma di espressione del pensiero.

Questa regolamentazione si riferiva innanzitutto a tutto il complesso della legge, facendo eccezione per alcuni articoli che non sono riprodotti nello stralcio; e inoltre si riferiva ad un bisogno generalmente sentito, quello di diffondere ciò che Giannini chiamava il sapere, la conoscenza, col mezzo più facile e meno costoso, anche se meno estetico, onorevole Mazzoni. Perché voi ci dite che vi sono stati tempi più difficili di questo. Io non credo. Certo è che oggi in Italia vi sono molto più disoccupati che in ogni altro periodo, ed è certo che in mezzo al nostro popolo non vi è la possibilità di comprare sempre contemporaneamente il pane quotidiano ed anche il giornale. È a costoro che il giornale murale è diretto!

Comunque il problema della regolamentazione v’è. Io avrei preferito che se ne fosse discusso più a lungo in sede di legge sulla stampa, ma non insisto perché è cosa passata. Nella posizione attuale e dato che questo rinvio non è stato accolto, io chiedo che si voglia intendere nel secondo periodo, con chiarezza, che l’avviso è dato per ogni nuova edizione del giornale, il semplice avviso. E questo per una ragione evidente: perché un ufficiale, un agente della pubblica sicurezza possa andare a vedere questo giornale e possa, se vuole, leggerlo.

Insisto poi particolarmente perché in questo articolo sia almeno stabilito il principio della esenzione fiscale, perché questo è uno degli argomenti materiali e solidi per cui l’articolo è stato suggerito.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ritengo che la questione sia stata chiarita abbastanza; tuttavia è da osservare che praticamente abbiamo riaperto la discussione sul secondo comma, già approvato nel seguente testo:

«Nel caso di giornale murale a copia unica agli effetti dell’articolo 4 è sufficiente che venga dato avviso della affissione al procuratore della Repubblica».

La Commissione ora propone di sostituire alle parole «agli effetti dell’articolo 4» le altre: «agli effetti della legge 2 febbraio 1939, n. 374».

Si dovrà, pertanto, considerare come non avvenuta la precedente votazione. Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

CORBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBI. Propongo che al posto di «al procuratore della Repubblica» si dica: «all’autorità di pubblica sicurezza»; ciò faciliterebbe le cose in quanto che i rappresentanti dell’ordine pubblico sono in tutti i comuni, in ogni frazione.

Se veramente vogliamo che questo modesto foglio adempia alla sua funzione, che non è solo di polemica politica ma anche di informazione, semplifichiamo le cose.

E allora mi sembra che la dizione: «avviso all’autorità di pubblica sicurezza» sia più che sufficiente a garantire la cittadinanza che questo giornale murale non sia un foglio scandalistico e ricattatorio.

PRESIDENTE, Il Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Andreotti ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Anche il Governo si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo ai voti. Pongo per prima in votazione la formulazione dell’onorevole Bartalini, del seguente tenore:

«Nel caso di giornale murale a copia unica è sufficiente che venga dato avviso dell’affissione una volta tanto all’autorità di pubblica sicurezza».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo allora in votazione la formulazione della Commissione, del seguente tenore: «Nel caso di giornale murale a copia unica, agli effetti della legge 2 febbraio 1939, n. 374, è sufficiente che venga dato avviso dell’affissione all’autorità di pubblica sicurezza».

(È approvata).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io credo, signor Presidente, che manchi la sanzione per questo articolo di legge, perché è vero che v’è un articolo nel Codice penale che parla della disubbidienza generica a un provvedimento dell’autorità, ma è redatto in modo che potrebbe considerarsi da esso non prevista questa violazione. Infatti l’articolo 650 dice: «Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità», ma qui non si tratta di un provvedimento dato legalmente; si tratta di una norma di legge, e quindi si dovrebbe dire: «L’inosservanza è punita ai sensi dell’articolo 650 del Codice penale».

PRESIDENTE. La Commissione ha facoltà di esprimere il proprio parere.

CEVOLOTTO, Relatore. Ritengo che questa aggiunta sia superflua, perché l’articolo 650 è operativo in tutti i casi, senza eccezione alcuna.

Ad ogni modo se si ritiene di dovere meglio specificare, la Commissione non si oppone.

PRESIDENTE. Il Governo ha facoltà di esprimere il proprio parere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. In una parte successiva del disegno originario riguardante le norme penali per tutte le omissioni agli obblighi stabiliti dalla legge sono contenute norme precise. In parte le abbiamo conservate, in parte stralciate.

Eventualmente ci si potrebbe rifare a quegli articoli. Comunque il Governo si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Russo Perez, del seguente tenore:

«L’inosservanza è punita ai sensi dell’articolo 650 del Codice penale».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo all’ultimo comma:

«I giornali murali sono esenti da ogni gravame fiscale».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei pregare il collega Molinelli di non insistere in questa richiesta. Se si trattasse di giornali esclusivamente politici, murali o non, sarebbe forse inutile richiedere una esenzione perché l’esenzione deriva dalla natura stessa del giornale. Il giornale politico non è sottoposto a nessuna tassa. Ma un giornale murale può anche essere non politico. Vi possono essere commercianti, industriali, banchieri, dei sindacati anche che periodicamente, vogliono far conoscere le loro intenzioni, i loro programmi e lo fanno per mezzo del giornale murale. È già accaduto e può accadere. Del resto è buona norma, quando si discutono disposizioni di leggi generiche, di non interferire in provvedimenti di natura finanziaria i quali hanno bisogno di essere regolati specificamente da disposizioni che siano adottate in contradittorio col Ministro delle finanze. Le ultime disposizioni sui tributi locali contemplano precisamente la tassa sulla pubblicità in una forma abbastanza vasta e che è tutta a beneficio dei comuni e delle province e i giornali politici sono esclusi. Ma introdurre qui una disposizione per cui i giornali murali sono esenti da ogni tassa credo che possa portare a conseguenze inaspettate che domani deploreremmo. Comunque proporrei il rinvio di quest’ultima parte.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione insiste nel suo testo.

PRESIDENTE. Il Governo è favorevole?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ritengo che altrimenti avremmo dovuto avere una intesa precedente col Ministro delle finanze. Ora è vero che il disegno di legge risulta presentato dalla Presidenza di concerto con tutti i Ministri, ma qui si tratta di un articolo che è stato aggiunto dalla Commissione. Comunque mi rimetto all’Assemblea.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’ultimo comma, testé letto, sul quale la Commissione insiste, mentre il Governo si rimette all’Assemblea.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo all’articolo 17. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore».

PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere le parole seguenti: nonché quei sovventori del giornale o periodico, e i rappresentanti legali di quei sovventori, le cui contribuzioni, per la loro continuità od entità, risultino singolarmente tali che senza di esse il giornale o il periodico non avrebbe potuto intraprendere o continuare le proprie pubblicazioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

SCHIAVETTI. Questa proposta è desunta dal vecchio progetto Modigliani ed ha lo scopo di colpire i finanziatori di una certa entità.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Crispo, Villabruna, Candela, hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo la parola: l’editore, aggiungere le seguenti: ferme restando le garanzie di cui all’articolo 621 del Codice di procedura penale, anche nel caso di reati commessi per mezzo di stampa non periodica».

Non essendo presenti, s’intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

Gli onorevoli Dominedò e Moro hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere le parole seguenti: a meno che essi dimostrino di non avere potuto impedire il fatto».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. In questa norma si stabilisce la responsabilità solidale dell’editore e del proprietario, cioè si contempla un tipico caso di responsabilità per fatto altrui. Ciò rientra nel quadro del nostro sistema giuridico generale, il quale configura varie ipotesi di responsabilità indiretta. Tuttavia, mentre nel sistema giuridico generale le ipotesi di responsabilità per fatto altrui accompagnate dalla solidarietà – quindi ipotesi di responsabilità presunta solidale – consentono la prova in contrario, sia pure circoscritta entro presupposti rigorosi, qui siamo in presenza di una responsabilità assoluta, juris et de jure e non juris tantum. La norma, quindi, è di particolare gravità. A me pare che, pur dovendosi e potendosi aderire al concetto dell’allargamento della responsabilità che investe altri soggetti oltre il principale soggetto responsabile che è il direttore, dovremmo, per ragioni di equilibrio, temperare questo allargamento attraverso l’ammissibilità di una prova in contrario, sia pur rigorosa e quindi tale da rafforzare la presunzione.

La formula che adotterei è quella normale del Codice civile nella generalità dei casi di responsabilità per fatto altrui. Saremo così in presenza di soggetti responsabili, a meno che essi dimostrino – con l’onus probandi a loro carico – di non aver potuto impedire il fatto.

Il Relatore, che si è posto il problema esplicitamente e ha tenuto presente come alcuni commissari abbiano posto questo quesito, fa un rilievo: e se l’editore o il proprietario si è posto nella condizione di non potere impedire il fatto? Ma evidentemente allora verrebbe meno la stessa possibilità della prova in contrario, precisamente perché v’è un elemento di colpabilità: la culpa in eligendo ovvero la culpa in vigilando.

Mi permetto pertanto di superare il dubbio prospettato dal Relatore, il quale peraltro, nel suo scrupolo, ha messo in evidenza la delicatezza del problema ed ha espressamente sottoposto il punto all’Assemblea.

A me pare che, se introducessimo la doverosa possibilità di fare cadere la presunzione, sia pure con una formula rigorosa, anche più rigorosa – se altri colleghi lo proponessero – di quella che io propongo in aderenza alla formula normale del Codice civile, rispetteremmo ad un tempo le esigenze del diritto e dell’equità.

Penso infatti che l’esigenza di attribuire la possibilità della prova in contrario aderisca ad un principio generale del nostro ordinamento, per cui la responsabilità può essere solidale, può essere presunta, ma poggia come regola sul presupposto effettivo della colpa.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Apprezzo le considerazioni svolte dall’onorevole Dominedò per giungere a eliminare quelle arcaiche prove legali, quelle presunzioni assolute di colpa che sono ricordo di tempi medioevali.

Però faccio presente che, se noi accettassimo in questo momento l’emendamento che l’onorevole Dominedò propone nel suo nobilissimo intento, verremmo ad avere in seno alla legge, per quanto riguarda le responsabilità della stampa, due discipline giuridiche diverse: una responsabilità penale presunta juris et de jure anche di terzi (ciò che è gravissimo, ed io ho cercato di reagirvi nel mio intervento in sede di discussione generale, che è andato completamente a vuoto, perché abbiamo approvato lo stralcio di quell’articolo) e una responsabilità civile molto attenuata, con un contrasto ideologico notevole tra una massima gravità penale da una parte e una minima gravità civile dall’altra. Sarebbe più logico attenuare la presunzione di responsabilità penale, che continua a trascinarsi nel campo giornalistico in virtù degli articoli 57 e 58 del Codice penale.

Lo spirito dell’emendamento Dominedò è moderno, è adeguato a quello ideologico e giuridico del momento. Ma faccio notare questo contrasto; e fino a quando non saremo riusciti a smantellare la presunzione penalistica di responsabilità personale di terzi, non posso votare per una attenuazione della loro responsabilità civile.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Bettiol; ma vorrei scendere sul terreno pratico. Quanto ha detto l’onorevole Dominedò è perfettamente esatto. È il nostro diritto, non c’è da discutere.

Ma io mi chiedo se, approvandosi l’emendamento Dominedò, vi sarà un solo caso in cui il direttore dell’impresa giornalistica non riuscirà a sfuggire alla presunzione juris tantum di responsabilità, perché evidentemente il proprietario o l’editore non ha il dovere di recarsi in tipografia al momento dell’impaginazione e di leggere tutti gli articoli scritti. Quindi, quando egli eccepisse l’impossibilità, in cui egli era, di accorgersi che in un determinato numero veniva pubblicato un determinato articolo, il magistrato dovrebbe, in ogni caso, esentarlo da ogni responsabilità. Invece, quando colui che scrive sa che andrebbe incontro a grave responsabilità civile anche il dirigente dell’impresa giornalistica e che questi, quindi, lo caccerebbe via, egli troverebbe un altro freno alla sua cattiva condotta.

Quindi, per ragioni non soltanto giuridiche ma anche pratiche, credo che debba respingersi l’emendamento Dominedò.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione è d’accordo con i colleghi Bettiol e Russo Perez. La responsabilità di cui all’articolo 17 non si basa soltanto sulla culpa in vigilando, la quale, come nel caso dei genitori rispetto agli atti dei minori, ammette la prova del non avere potuto impedire il fatto; ma parte piuttosto da un altro concetto, quello della culpa in eligendo. Cioè il proprietario e l’editore sono responsabili in quanto hanno scelto o accettato un direttore di giornale che non dava sufficiente garanzia di non incorrere in reati. In questo senso la colpa è sempre configurabile e non ammette prova in contrario: è la colpa di aver scelto male, della mala electio. Se vogliamo trovare chi sia perseguibile, dobbiamo restare in questi limiti. Se ammettessimo soltanto la culpa in vigilando e quindi la prova in contrario, tutti i proprietari e tutti gli editori sfuggirebbero, perché riuscirebbe loro facile dimostrare di non aver potuto impedire il fatto. Infatti il proprietario del giornale non può materialmente essere in condizione di impedire la pubblicazione di uno scritto diffamatorio. O ammettiamo la responsabilità del proprietario e manteniamo l’articolo 17, o rinunciamo a questa responsabilità e quindi a una garanzia effettiva per chi è diffamato, garanzia la quale non consiste tanto nella effettiva rifusione dei danni, perché vi è da noi il costume – ed è un errore – di chiedere la riparazione pecuniaria simbolica di una lira, quanto nella certezza di una responsabilità che può portare a notevoli conseguenze di carattere finanziario, il che renderà molto più vigili i proprietari e gli editori; e anche questa sarà una remora al dilagare della diffamazione che purtroppo in questo primo momento della libertà di stampa è imperversata in Italia – e forse era inevitabile che fosse così – e che è bene venga dominata da ostacoli più rigidi e seri.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Aderisco alle considerazioni del Relatore. In linea dottrinaria: quanto ha osservato il collega Dominedò è giusto, ma accettare il suo emendamento significherebbe rendere nulle o quasi le disposizioni di maggior rigore previste appunto come caratteristiche principali della legge.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Crispo, Villabruna e Candela, il loro emendamento si intende decaduto.

Onorevole Dominedò, mantiene il suo emendamento?

DOMINEDÒ. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Poiché l’emendamento Dominedò è aggiuntivo, pongo innanzitutto in votazione l’articolo 17 nel testo della Commissione, del quale do nuovamente lettura:

«Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e tra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Dominedò, non accettato dalla Commissione e dal Governo:

«a meno che essi dimostrino di non aver potuto impedire il fatto».

(Non è approvato).

Passiamo all’articolo 20 nel testo della Commissione. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Riparazione pecuniaria.

«Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’articolo 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Gli onorevoli Crispo, Villabruna e Candela hanno proposto di sopprimere l’articolo. Poiché nessuno dei presentatori è presente s’intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Russo Perez:

«Sostituirlo col seguente:

«La riparazione pecuniaria, che può esser chiesta, ai termini dell’articolo 7 del Codice di procedura penale, deve essere proporzionata alla gravità dell’offesa e alla diffusione dello stampato e in ogni caso non deve essere inferiore al doppio della somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni».

Poiché l’onorevole Russo Perez non è in questo momento presente nell’aula, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Treves ha proposto il seguente articolo 20-bis:

«Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 100.000».

L’onorevole Treves ha facoltà di svolgerlo.

TREVES. Non mi reputo autorizzato a portar via molto tempo all’Assemblea, dati i favorevoli orientamenti che ho potuto constatare durante la discussione della pena per la mancata rettifica di una pubblicazione giornalistica.

In realtà, le ragioni che mi hanno mosso a presentare questo articolo 20-bis mirano proprio a tutelare la libertà di stampa, e a me pare che la migliore tutela della libertà di stampa sia un’efficace legge contro la diffamazione commessa col mezzo della stampa. Il modo migliore per tutelare la dignità del giornalista è quello di colpire quei pochi indegni che si possono annidare nella professione giornalistica, e ciò, nello stesso tempo, è una necessaria tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini.

Non credo di aver bisogno di ricordare a questo proposito alla nostra Assemblea le pene, estremamente più gravi di quelle da me proposte, che vigono nelle legislazioni straniere, per esempio in. Inghilterra, per quanto riguarda la diffamazione commessa col mezzo della stampa. Il famoso Libel Act inglese è una vera spada di Damocle sulla testa di ogni giornalista.

Credo inoltre che la disposizione da me proposta, che inasprisce le pene del Codice penale, sia estremamente opportuna, nell’attuale momento, in cui il nostro Paese è vicino alla consultazione elettorale e che vede un pullulare spaventoso e vergognoso di fogli indegni, che disonorano il giornalismo professionale. Ci sono giornalucoli che pullulano e si diffondono, e ciò è veramente indegno per il nostro Paese. Non farò l’onore di nominarli questi giornalucoli, ma molti colleghi sanno quali sono. Ce li troviamo anche nelle nostre caselle delle lettere in questo palazzo. Essi diffondono nel Paese un malcostume giornalistico, che scambia la libertà di stampa con la libertà di offendere la prima libertà, che è la libertà di coscienza, la libertà di essere persone civili.

È contro questa stampa, e proprio per proteggere la vera libertà di stampa, che io chiedo un inasprimento della pena per il reato della diffamazione. Lo chiedo come giornalista, perché ho il culto della mia professione e voglio che si colpiscano gli indegni che si proclamano giornalisti e che sono soltanto dei libellisti; lo chiedo perché vedo altrimenti in pericolo, per colpa di pochi indegni che si debbono eliminare, la civiltà riconquistata dal nostro Paese. Credo di non dovere aggiungere altro per raccomandare questo articolo all’attenzione dell’Assemblea.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Mi dichiaro d’accordo con l’onorevole Treves. È stato detto giustamente che la diffamazione a mezzo della stampa è una specie di omicidio morale e spirituale per cui il diffamatore manifesta un animo perverso e cattivo tale da essere paragonato a colui che vuole ammazzare una altra persona. In un momento in cui i reati di diffamazione, purtroppo, si ripetono, si succedono con un crescendo talvolta preoccupante, è bene che noi con questa legge si preveda un aggravamento specifico delle pene, tanto detentive quanto pecuniarie, per coloro che li commettono.

Le pene previste dal Codice penale sono irrisorie, anche perché la pena detentiva è prevista alternativamente con la pena pecuniaria, e i limiti sono troppo bassi. Ritengo opportuno anche politicamente una maggiore severità contro la diffamazione per mezzo della stampa.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione era stata in genere contraria all’idea di modificare nella legge in esame disposizioni del Codice penale, e ciò specie nella imminenza di una riforma dei codici penali. La proposta Treves comporta una modificazione strutturale dell’istituto della diffamazione quale attualmente veduto dal Codice penale. «Chiunque – dice il Codice – fuori dei casi indicati dall’articolo precedente (relativo all’ingiuria), comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa fino a lire diecimila».

Quindi, la differenza fra l’ingiuria e la diffamazione consiste non più – come era invece stabilito dal precedente Codice penale – nella attribuzione di un determinato fatto disonorevole, ma nella circostanza di avere commesso l’ingiuria non direttamente ma comunicando con terzi, con più persone. Quindi l’ingiuria profferita comunicando con più persone diventa diffamazione. Se la diffamazione consiste nella attribuzione di un fatto determinato, la pena è maggiore. Ed allora l’aggravamento di pena che noi, evidentemente, vogliamo per la diffamazione commessa con l’attribuzione di un fatto determinato, se è indicato nella forma generica con cui lo è nell’articolo 20-bis proposto dall’onorevole Treves, potrebbe condurre a risultati non opportuni e non giusti. Ecco perché noi non avevamo pensato di modificare il sistema delle pene in questa legge particolare.

Evidentemente bisognerà tornare a una differenza fra diffamazione e ingiuria quale era stabilita nel codice Zanardelli, che è stato malamente cambiata nel codice Rocco. È chiaro che le penalità per la diffamazione (intesa secondo il codice Zanardelli) sono lievissime, consistendo nella reclusione fino ad un anno o nella multa fino a lire diecimila. (Commenti). E quasi sempre il giudice applica le diecimila lire di multa che sono diventate quasi una tariffa e che oggi – come ho udito dire ora da un collega – rappresentano il valore di due camicie e di una cravatta.

Non mi pare che si possa correggere questo difetto con l’articolo proposto dall’onorevole Treves. Quanto meno, ove si volesse aderire al suo concetto – e, come dicevo, la Commissione sarebbe più propensa ad attendere la revisione del Codice penale – bisognerebbe dire: «Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa consistente nella attribuzione di un fatto determinato».

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Non ho difficoltà ad aderire alla precisazione giuridica dell’onorevole Relatore. Quello che vorrei che fosse tenuto presente è l’urgenza – che chiamerei morale – della disposizione, in questa legge sulla stampa che deve avere applicazione immediata.

Su questo mi permetto richiamare l’attenzione dell’Assemblea. Non mi sentirei moralmente a posto se lasciassi questa norma alla revisione dei codici penali, che potrà avvenire in un termine di anni. Noi siamo davanti a una situazione di emergenza, che spero non continui, che ha cause e ragioni che non illustrerò. Rimane il fatto che dobbiamo prendere provvedimenti di fronte a una situazione di urgenza come l’attuale, e non vale rimandare la questione, come se fosse soltanto e strettamente giuridica, alla revisione dei codici, che avverrà quando avverrà.

Comprendo le ragioni giuridiche esposte dall’onorevole Relatore. Ma vedo anche la necessità morale di una norma come quella che ho proposto nella legge sulla stampa. In questo senso aderisco alla correzione giuridica dell’onorevole Cevolotto e mi permetto di insistere.

PRESIDENTE. Qual è l’opinione del Governo?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il Governo aderisce all’emendamento dell’onorevole Treves nei limiti da lui enunciati nel suo ultimo intervento.

Quanto alla omissione, fatta nel testo della Commissione, della misura minima per la riparazione pecuniaria, nel senso che questa non possa essere inferiore al doppio della somma liquidata per il risarcimento dei danni, il Governo non l’approva: non sarebbe stato forse male lasciare la norma, ad evitare il pericolo che si venga ad avere anche qui una misura puramente simbolica della entità di una o due lire.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Debbo osservare che non possiamo riportare la riparazione pecuniaria, che è quasi come una pena privata, alla somma liquidata a titolo di risarcimento di danni perché, sebbene il Codice processuale ammetta la liquidazione dei danni nel processo penale, di fatto quasi mai ciò avviene, per la difficoltà di recare davanti al giudice penale le prove dell’entità del danno subito, il che ritarderebbe il processo.

Si è così dimostrato una volta di più che è perfettamente inutile adottare una disposizione che non trova pratica applicazione. Osservo inoltre che molte volte si presenta il caso che colui il quale è stato diffamato, per un certo pudore, a evitare anche il più lontano sospetto che egli voglia fare una speculazione, o rinunzia addirittura al risarcimento, o lo chiede in una misura irrisoria.

Il riferimento alla somma liquidata a titolo di risarcimento di danni non è neppure teoricamente e concettualmente logico, perché una vera e propria pena non può essere riportata alla liquidazione di un danno.

Prego per questo l’onorevole Sottosegretario di Stato di non voler insistere.

PRESIDENTE. Onorevole Andreotti, insiste?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Non insisto.

PRESIDENTE. Poiché gli onorevoli Crispo, Villabruna, Candela e Russo Perez non sono in questo momento presenti nell’Aula, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Rimangono pertanto l’articolo 20 proposto dalla Commissione e l’articolo aggiuntivo 20-bis proposto dall’onorevole Treves con la modificazione proposta dal Relatore e accettata dall’onorevole Treves.

Pongo in votazione l’articolo 20 nel testo della Commissione, del quale do nuovamente lettura:

«Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’articolo 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Treves, con la modificazione del Relatore, che risulta essere del seguente tenore:

«Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nella attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 100.000».

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non stimi opportuno istituire un Ispettorato compartimentale delle imposte dirette per le tre provincie calabresi, le quali attualmente dipendono dall’Ispettorato per la Sicilia orientale con sede in Messina; eliminando così antichi lamentati inconvenienti nei rapporti fra i cittadini della Calabria e l’ufficio predetto.

«Tale provvedimento si appalesa opportuno (come già, in altro campo, quello adottato dal Ministro di grazia e giustizia, col trasferimento della Sezione di Corte di appello di Reggio Calabria dalle dipendenze di quella di Messina alle dipendenze di quella di Catanzaro) di fronte alla nuova organizzazione regionale.

«Non potrebbe, d’altra parte, pensarsi ad assegnare il territorio calabrese alla competenza dell’Ispettorato finitimo di Bari, sia per la rilevanza del carico imponibile delle tre provincie di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria, sia perché l’Ispettorato di Bari ha una circoscrizione già troppo vasta. D’altra parte, il provvedimento non imporrebbe oneri rilevanti, perché (a causa della distanza delle provincie dalla sede attuale di Messina) si trovano già a Catanzaro ed a Reggio funzionari distaccati dall’Ispettorato messinese e sia perché sarebbe assai facile il trasferimento degli uffici da Messina a Reggio, dove i locali potrebbero anche ricavarsi nel vasto edificio dell’Intendenza di finanza di quest’ultima città. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sollecitare un provvedimento in favore della S.A. Cooperativa per la costruzione ed il risanamento di case per gli operai di Bologna, perché questa antica organizzazione, composta di migliaia di aderenti e costituita sopra basi strettamente cooperativistiche, possa godere i beneficî nella più larga misura prevista dall’articolo 16 della legge 10 aprile 1947, n. 261, per la ricostruzione delle case danneggiate dalle incursioni aeree e dal flagello della guerra, che in forma tanto tragica hanno devastato il patrimonio edilizio della fiorente associazione, frutto del sacrificio dei pionieri del cooperativismo bolognese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zanardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quale provvedimento abbia inteso di adottare o intenda adottare in merito al ricorso che quattordici padri di famiglia veronesi (Avanzi, Bonazzi, Bressan, Costa, Capra, Crema, Della Cella, Denari, Gasparini, Gelmetti, Micheloni, Munari, Macaccaro ed Ambrosi) – sino dal 28 ottobre 1947 – ebbero ad inoltrare direttamente al Ministro, lamentando nell’interesse dei loro figliuoli gravi irregolarità di carattere sostanziale verificatesi durante la sessione autunnale di esame di maturità classica presso l’istituto «Stimate» di Verona. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caldera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non creda opportuno sollecitare gli uffici competenti per un nuovo speciale impulso alla pratica, da tempo in corso, riguardante il progetto dei lavori per la utilizzazione delle acque del torrente Torbido in Gioiosa Ionica (Reggio Calabria), tenuto presente che, dopo le precedenti assicurazioni e per l’interessamento del Commissario governativo al Consorzio, la ditta assuntrice dei lavori avrebbe già provveduto ad impegnare le forniture del materiale occorrente (cemento, legname, ecc.) e che tali lavori, oltre a rispondere ad una grande permanente necessità dell’agricoltura in quelle contrade calabresi, varranno ad attenuare il grave fenomeno della disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti ha preso o intende prendere di fronte all’invasione delle terre, che si compie in aperto dispregio dell’articolo 42 della Costituzione, in diverse regioni, e che si tenta giustificare dinanzi all’opinione pubblica con insussistenti e mendaci affermazioni nei riguardi dei legittimi proprietari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lucifero».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno disporre che, per i prossimi concorsi di abilitazione per il magistero professionale per la donna, analogamente ai concorsi magistrali, siano sede di esame tutti i Provveditorati agli studi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mazzei».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non creda opportuno concedere una breve proroga al termine scaduto il 12 novembre 1947 per chiedere alle Commissioni competenti l’aumento del canone delle locazioni dei fondi rustici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non creda opportuno estendere ai funzionari di cancelleria il provvedimento a favore dei magistrati che hanno compiuto i limiti di età, per mantenerli in servizio fino al 31 dicembre di quest’anno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per le quali nel decreto ministeriale 25 luglio 1947 (Gazzetta Ufficiale n. 225 del 1° ottobre 1947), nell’elenco dei Comuni ai quali sono applicabili le disposizioni di cui al decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261, concernente le disposizioni per l’alloggio dei rimasti senza tetto, in seguito ad eventi bellici e per l’attuazione dei piani di ricostruzione, non siano stati compresi né Messina, né i comuni della provincia di Messina, che subirono gravi danni come Milazzo, Taormina, Cesarò, Patti, ecc., e altri comuni delle provincie di Catania (come Randazzo), Enna e Ragusa, a cui è giustizia estendere i beneficî stabiliti dal citato decreto legislativo del Capo dello Stato 10 aprile 1947, n. 261. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se – autorizzando ed eseguendo sopraelevazioni di fabbricati nella città di Reggio Calabria ed, in genere, nei paesi delle province calabresi considerati dalle leggi speciali pel terremoto – si è provveduto ad assicurare che le parti sopraelevate siano progettate ed eseguite con l’osservanza delle norme speciali ed in modo da non compromettere la sicurezza delle parti preesistenti dei fabbricati che sono stati costruiti – per legge – secondo precisi calcoli tecnici nella determinazione di quantità e proporzioni di materiali (ferro, cemento, ecc.) in base alla ampiezza e profondità delle fondamenta, allo spessore dei muri, all’altezza della costruzione, ecc.

«L’intento nobilissimo di apprestare una maggiore disponibilità di alloggi assolutamente non deve dar luogo a preoccupazioni (che al postutto frustrerebbero il fine ultimo da raggiungere, cioè l’incremento di città e paesi) per la incolumità dei cittadini, in una terra dove il ricordo di catastrofi antiche e recenti (per alcuni paesi del Reggino e del Catanzarese può dirsi recentissime) è tuttavia presente – e dovrà essere sempre ammonitore – pur dopo che la vita ha ripreso il suo pieno ritmo soprattutto per virtù della sicurezza delle costruzioni, che consente di guardare con tranquillità assoluta alla deprecata eventualità di nuovi fatti tellurici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non creda necessario evitare altri indugi per la reintegrazione nelle sue funzioni del dottor Marco Aurelio Sansoni, magistrato insigne e di unanime estimazione, già presidente della Corte di appello di Brescia e da questo ufficio rimosso ingiustamente, come fu riconosciuto dagli organi competenti e da parte di tutti i Ministri di grazia e giustizia succedutisi dal 1945 in poi, i quali si mostrarono concordi nel proporre alla Presidenza del Consiglio questa doverosa reintegrazione, che ulteriormente ritardata viene a menomare il prestigio di tutta la magistratura. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bertini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, per sapere se a riguardo di magistrati pensionati, riassunti temporaneamente e tuttora in servizio, credano finalmente di concretare i provvedimenti già ventilati fra la Presidenza del Consiglio e il Ministro di grazia e giustizia, allo scopo di raggiungere una doverosa perequazione di trattamento verso coloro i quali ebbero la disavventura di venir compresi nella innovazione portante da 70 a 65 anni il limite di età per il collocamento a riposo, limite ripristinato a 70 anni dal decreto legislativo luogotenenziale 21 maggio 1946, n. 511, senza per altro che ad essi tale reintegrazione venga a giovare agli effetti della pensione, sicché la conseguente disparità si è verificata e si verificherà in loro danno sotto il duplice aspetto sia della minore integrazione del trattamento di quiescenza durante il periodo della riassunzione, sia dell’inferiore trattamento che loro verrà mantenuto agli effetti della pensione, allorché cesseranno la loro temporanea riassunzione.

«Diventa quindi evidente e inderogabile la ragione di giustizia per la quale il Ministro del tesoro aderisca alla proposta già fatta dai Ministri competenti e diretta ad assimilare ai soli fini del trattamento economico durante la riassunzione e del trattamento di quiescenza il servizio prestato prima del 70° anno dai richiamati a quello migliore dei magistrati trattenuti in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bertini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri degli affari esteri e dell’Africa Italiana, per avere notizie precise sui gravissimi e luttuosi incidenti di Mogadiscio e per conoscere i passi già fatti e da farsi da parte del nostro Governo per la tutela dei nostri connazionali in Somalia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Morini, Sampietro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non si ritenga necessario, per assicurare alla scuola regolarità di funzionamento proficuo, fissare al più presto la data dei concorsi magistrali, di cui nella circolare ministeriale 8 luglio 1947, così che i posti siano coperti da effettivi titolari e non da maestri provvisori o supplenti e molti giovani, meritevoli, possano avere una definitiva sistemazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastino Pietro».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ravvisi l’opportunità e l’utilità di mantenere in efficienza i servizi di linea dei corrieri aerei militari, e ciò tenendo conto non soltanto che l’addestramento dei piloti richiede quotidianamente il volo degli apparecchi usati per tali servizi, ma che la gestione delle linee fin qui percorse – oltre a neutralizzare ogni spesa per il conseguimento dello scopo primario – ha fruttato allo Stato un utile considerevole. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Cimenti, Sartor, Bastianetto, Pecorari, Lizier».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se, in relazione alle assicurazioni del Sottosegretario di Stato per l’interno, nella seduta dell’11 settembre 1947, in seguito ad analoga interrogazione, non intenda disporre, con la sollecitudine richiesta dalle imperiose necessità dei beneficianti e da motivi di inequivocabile buon diritto, la corresponsione a favore dei funzionari, ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza del compenso pel lavoro straordinario, che venne a detto personale sospeso fin dal 1° gennaio 1947, avendo esso beneficiato da detta data di una indennità di ordine pubblico, allora non cumulabile col detto compenso.

«E poiché con provvedimento del 18 luglio 1947 – come da affermazione del predetto Sottosegretario di Stato – il divieto di cumulo viene abolito, non si spiega il ritardo finora frapposto nel liquidare detta indennità ove si tenga conto sia della particolare delicatissima natura, specialmente nell’attuale momento, dei compiti del personale di pubblica sicurezza, con rischi continui e costante sacrificio, sia del gravosissimo lavoro espletato anche, ormai in via ordinaria, fuori dei normali turni di servizio, e cioè in qualsiasi ora del giorno e della notte ed in tutti i giorni, festivi o no; sia, infine, della circostanza che presso tutte le Amministrazioni dello Stato gli impiegati percepiscono un compenso per 50-75 e, sembra, perfino, 100 ore straordinarie al mese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bruni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Minestro del tesoro e l’Alto Commissario della alimentazione, per sapere se non ritengano necessario ed opportuno mantenere invariato, fino alla prossima stagione granaria, il prezzo del pane così come fissato dall’Amministrazione alleata per le provincie di Gorizia e di Udine e ciò per la loro specifica situazione geografica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Schiratti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere con quali criteri e con quali procedimenti è stato nominato il Comitato organizzatore della Esposizione internazionale biennale di arte della città di Venezia; con quali garanzie di imparzialità artistica e di pubblico controllo è stata compilata la lista degli invitati ad esporre in quella mostra; e per quali ragioni alla formazione di tale lista non si è sentita l’opportunità di ammettere la presenza di un rappresentante del Sindacato delle arti figurative. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Calamandrei».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste, dell’industria e commercio e delle finanze, per sapere se non ritengano opportuno, giusto, urgente estendere anche alla benzina destinata agli usi agricoli, le agevolazioni fiscali disposte per il petrolio e il gasolio, togliendo così ogni sperequazione di trattamento fra i motori azionati a benzina e gli altri e incoraggiando le più vaste e più economiche applicazioni della meccanizzazione agraria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni che hanno indotto gli organi di Governo ad escludere nella nuova formazione del Consiglio di amministrazione del Banco di Napoli la rappresentanza della Puglia, che dà il maggiore contributo all’attività dell’Istituto e che per conseguenza ha sempre avuto in esso il suo rappresentante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caccuri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri del bilancio e del tesoro, per conoscere come intendano risolvere il problema relativo alla riapertura dei teatri della piccola e grande provincia, che per una lunga tradizione sono stati sempre aperti per le stagioni di inverno e di quaresima.

«Maestri ed artisti di indiscusso valore si trovano in una dolorosa e triste condizione a causa di una legge male impostata, che prevede la erogazione del 12 per cento delle tasse erariali unicamente in favore degli Enti autonomi, e dimentica che esistono in Italia teatri di notevole importanza, quale il Regio di Piacenza, Sociale di Mantova, Municipale di Modena, Petruzzelli di Bari, Ponchielli di Cremona, Coccia di Mantova, Municipale di Reggio Emilia, Verdi di Pisa, Donizzetti di Bergamo, Teatro Grande di Brescia, e molti altri che non sono affatto da meno di quelli delle più grandi città.

«Si impone la modifica della citata legge estendendo la sovvenzione anche ai teatri minori, nei quali potranno trovare lavoro, oltre ad artisti lirici, anche ingente numero di comparse, coristi, complessi orchestrali e maestranze.

«Si domanda se non sia opportuno far partecipare artisti appartenenti alle Confederazioni delle categorie interessate alle Commissioni già esistenti per la modifica della legge e per il controllo delle ripartizioni di sovvenzionamenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se, in seguito alla svalutazione del potere di acquisto della lira, non reputa giusto e necessario – pur tenendo conto delle particolari condizioni del bilancio – elevare la cifra di liquidazione delle polizze rilasciate ai combattenti e reduci della guerra 1915-18, tutt’ora detenute dai legittimi proprietari a cui sono intestate, nella misura di lire 5000 per quelle di lire 1000 e di lire 25.000 per le polizze di lire 5000, e di procedere senz’altro al loro immediato pagamento. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Maltagliati, Saccenti, Barontini Anelito, Bardini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga opportuno, in accoglimento dell’ordine del giorno votato dal Consiglio di Presidenza della Federazione degli Ordini dei farmacisti italiani nella seduta del 21 dicembre 1947, disporre che un rappresentante della classe dei farmacisti sia chiamato a coprire una posizione ufficiale nella parte direttiva e rappresentativa dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità (un Vice Alto Commissario addetto alle specifiche funzioni di sovraintendenza ai servizi farmaceutici, produzione e distribuzione dei farmaci) e venga costituito un nucleo di funzionari provinciali (farmacisti provinciali), particolarmente dediti alle indispensabili funzioni di disciplina e controllo dei servizi nell’ambito di ogni provincia della Repubblica, con che senza dubbio il Governo acquisterebbe un’organizzazione corrispondente effettivamente alle esigenze, or troppo trascurate o non adeguatamente valutate, di uno dei più grandi settori dell’economia nazionale e del servizio sanitario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere se vi siano motivi, e quali, che possano mai giustificare diversità di trattamento assistenziale fra i cittadini italiani profughi, a seconda dei territori di provenienza, e particolarmente per conoscere le ragioni per le quali ai cittadini profughi della Grecia viene concesso un trattamento del tutto inadeguato, mentre dovrebbesi estendere anche a detti profughi il trattamento e le agevolezze tutte concesse ai profughi della Venezia Giulia, perché tutti possano avvertire, di fronte alla sventura, quella parità di soccorso che è norma conseguente alla proclamata uguaglianza dei diritti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Assennato».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritengano giusto ed opportuno, dopo il provvedimento di amnistia e di condono concesso in materia penale per la promulgazione della Costituzione, promuovere anche un equilibrato provvedimento di clemenza in ordine alle infrazioni amministrative commesse dai dipendenti statali e parastatali, di ruolo e non di ruolo, per le quali i medesimi abbiano subìto punizioni varianti dall’ammonizione al licenziamento, provvedimento che li metta in condizione di riprendere o continuare con la necessaria serenità il proprio lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici, dell’agricoltura e foreste, della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere quali provvidenze intendano promuovere nell’interesse e per doverosa giustizia verso il comune di Grottolella (Avellino), il più abbandonato dell’Irpinia, che, sito in collina rocciosa, ha avuto distrutti dalla fillossera i vigneti, unica sua fonte di vita (onde i poveri abitanti hanno dovuto tagliare gli alberi per poter pagare le tasse), ed è stato dalle operazioni belliche gravemente sinistrato, così da avere la chiesa parrocchiale ancora impraticabile, mentre è privo di un edificio scolastico, sia pure modesto, che ripari sufficientemente dal freddo i piccoli scolari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga giusta ed urgente la concessione del prolungamento fino a Salerno dell’autolinea in esercizio Camerota-Centola, in provincia di Salerno, gestita dalla ditta Infante Angelo Raffaele, e ciò per togliere dall’isolamento una vasta e laboriosa plaga del Cilento, della quale fanno parte paesi (Palinuro, Marina di Camerota, ecc.) di notevole interesse turistico nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se non ritenga urgente svolgere la necessaria azione e dare le relative disposizioni alle nostre rappresentanze all’estero, affinché i beni dello Stato italiano e dei cittadini italiani all’estero vengano, in virtù del Trattato di pace, rapidamente sbloccati e restituiti ai loro legittimi proprietari e, tra questi beni, le «Case d’Italia» vengano restituite alle nostre rappresentanze ufficiali e da queste affidate alle libere e democratiche associazioni degli italiani all’estero, in primo luogo all’Associazione generale degli italiani emigrati: l’«Italia Libera». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ravagnan».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se non ritenga doveroso disporre che sia data esecuzione al già deliberato rimborso all’«Italia Libera» di Parigi delle somme che questa, come erede e continuatrice dei C.I.L.N., ha speso onde esercitare specifiche funzioni di tutela dei nostri connazionali (rimpatrio dei prigionieri, assistenza, riapertura delle scuole italiane, servizio pensioni di guerra, ecc.) nell’intervallo tra la liberazione della Francia e l’arrivo colà delle nostre rappresentanze ufficiali.

«Tali somme, il cui elenco giace da oltre due anni presso i servizi del Ministero degli affari esteri, sono state già da tempo riconosciute e stanziate dal Tesoro e sono perciò disponibili.

«Si fa presente che una notevole parte di esse è stata data a titolo di prestito da nostri connazionali, dietro promessa di rimborso.

«Si chiede, inoltre, che, per maggiore speditezza, venga data disposizione alla nostra Ambasciata di Parigi di provvedere al rimborso complessivo con i fondi a sua disposizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ravagnan».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per conoscere se, in considerazione del grave danno apportato ad una rilevante attività esportatrice del Mezzogiorno, e specie della Calabria, dal vigente nuovo accordo commerciale italo-francese, che ha escluso dalle esportazioni italiane verso la zona del franco francese – con regolamento attraverso il conto di compensazione generale – ogni contingente di frutta secca, non ritenga opportuno promuovere delle trattative con il Governo francese, onde giungere ad una modifica, per questo punto, dell’accordo stesso, e così riaprire, sia pure parzialmente, un mercato al quale era tradizionalmente avviata una larga corrente esportatrice di detto prodotto. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Quintieri Adolfo, Turco, Mortati, Galati».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.40.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa. (15).

MERCOLEDÌ 14 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCL.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 14 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Per l’eccidio di Mogadiscio:

Fuschini

Mazzoni

Mastino Pietro

Bellavista

Cappa, Ministro della marina mercantile

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Disposizioni sulla stampa (15)

Presidente

Cianca

Cappa, Ministro della marina mercantile

Cevolotto, Relatore

Moro

Scoccimarro

Schiavetti

Gronchi

Nasi

Manzini

Bettiol

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Caronia

Colitto

Crispo

Molinelli

Perassi

Fabbri

Uberti

Dominedò

Targetti

Guerrieri Fiilippo

Treves

La seduta comincia alle 16.10.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Per l’eccidio di Mogadiscio.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, ieri l’altro a Mogadiscio, presente la Commissione di inchiesta sulle nostre Colonie nominata dall’O.N.U., una folla di somali, aderente non so bene a quale fronte, o a quale schieramento, ma decisamente ostile ed ingrata al beneficio apportato dall’Italia pre-fascista, la buona, vecchia Italia democratica, in quel lontano lembo di Africa, ha effettuato un pogrom nei confronti degli italiani, dei quali 42 sono morti e 39 sono rimasti feriti.

Io non so chi sia l’ispiratore o quali siano gli ispiratori di queste barbare zagaglie, che hanno ripetuto su gente nostra, a quanto pare non sufficientemente difesa da chi ne aveva l’obbligo e il dovere, uno scempio che non può non riscuotere la disapprovazione e la rampogna di tutto il mondo civile. Specialmente perché era sul luogo una Commissione di inchiesta, dovevano tacere i rancori e le manifestazioni così selvagge come quelle che sono invece esplose.

Non è per riecheggiare la frase di un nostro poeta, ma il sangue giovanile di Abba-Garima non era ancora asciutto su quelle terre lontane, che nuovo sangue è sgorgato dalle opre furtive degli inspiratori ai danni di questa nostra grande proletaria, che ha avuto il grande torto di aver beneficato e bonificato quelle lontane selvagge regioni.

I 42 morti però – si sgannino i mandanti e gli ispiratori! – sono testimonianza perenne della nostra esistenza laggiù.

Con un colpo di spada – lo stesso Poeta ammonisce – o di coltello, non si uccide, né si fa indietreggiare la storia!

È legittimo e giusto che in questa Assemblea, dai rappresentanti del popolo italiano, si elevi fiera e decisa la protesta, non soltanto contro il barbaro insensato, ma contro chi ha incoraggiato il folle ed incivile gesto omicida! (Applausi generali).

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Il Governo si associa alle parole di deplorazione e di protesta dell’onorevole Bellavista.

Il Governo sta ricercando informazioni e non mancherà di far presente all’estero la fiera protesta del nostro popolo per i connazionali caduti vittime in quella terra di Somalia che è stata resa civile ed attiva dal sangue di generazioni di italiani. Non mancherà di far presente la protesta dell’Assemblea per gli atti di terrore di cui sono stati vittime i nostri connazionali. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui l’Assemblea). È con dolore e con sdegno che abbiamo appreso la notizia dell’eccidio di nostri connazionali, che sono stati sorpresi lontano dalla Patria e forse lontano dai loro familiari, in un momento nel quale un gesto che pareva orientato a ridare serenità a quelle terre aveva in loro probabilmente acceso nuove speranze che, negli anni passati, si erano frequentemente oscurate.

È veramente un triste commento alle parole tante volte conclamate di libertà e di indipendenza dei popoli questo azzuffarsi di Stati già saturi di dominio e di potenza, intorno a terre che, fatte già fiorenti da un pacifico lavoro, potrebbero, se mai, dalla triste sorte di una guerra essere avviate non già verso un nuovo dominio od una nuova oppressione, ma a vita pacifica nella fraterna solidarietà con tutti i popoli, primo fra i quali il popolo italiano. (Vivi, generali applausi).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, avendo l’onorevole Camangi rassegnato le dimissioni da componente della Commissione speciale per l’esame del disegno di legge sulla elezione del Senato, ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Mazzei.

Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa. (15)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge concernente disposizioni sulla stampa (15).

Ricordo che ieri è stata chiusa la discussione generale e che il relatore e il rappresentante del Governo hanno già espresso il loro parere. L’onorevole Giannini ha presentato il seguente ordine del giorno, che è stato già svolto, e che porta la firma anche dell’onorevole Capua:

«L’Assemblea Costituente, esaminato il progetto di legge sulla stampa, ravvisa l’opportunità di rinviarlo allo studio più completo ed approfondito della futura Camera dei deputati».

Si tratta di una proposta di rinvio, la cui votazione è, pertanto, pregiudiziale.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Quando il relatore e presidente della Commissione accennò ieri alla proposta di rinvio e quando alla stessa proposta accennò il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, l’uno e l’altro dissero che la questione di rinvio era legata e, in un certo senso, subordinata allo stralcio di alcune delle disposizioni più urgenti del disegno di legge stesso. Ora, io domando alla Presidenza, se il porre in votazione la proposta di rinvio significhi, in qualche misura, compromettere lo stralcio, della cui opportunità tanto il rappresentante della Commissione, quanto il rappresentante del Governo, si dichiararono persuasi.

PRESIDENTE. Onorevole Cianca, è pacifico che, se l’Assemblea vota per il rinvio, essa esprime la sua volontà che nulla in questo campo venga fatto e che pertanto la situazione resti immutata. Se si vuole perciò lo stralcio, bisogna evidentemente votare contro il rinvio e poi presentare la proposta che si proceda allo stralcio. Sono due momenti distinti.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Onorevoli colleghi, il Governo ha dichiarato già ieri, per bocca dell’onorevole Sottosegretario Andreotti, che intende rimettersi per questa questione all’Assemblea. La dichiarazione che sto per fare è quindi a titolo puramente personale.

A me non sembra, a proposito dell’emendamento presentato dall’onorevole Giannini, che l’Assemblea non sia ancora matura per l’esame e la conseguente decisione relativi a questo disegno di legge. Mi permetto osservare che la legge sulla stampa è stata ripetutamente richiesta dalle varie parti politiche del Paese. È noto che noi siamo ancora, in materia di stampa, sotto il regime del decreto del 1944, il quale conferiva al Governo la facoltà di concedere l’autorizzazione ai giornali.

Noi siamo inoltre ancora sotto il regime di sequestro preveduto dal decreto legge 31 maggio 1946, proposto dall’allora Guardasigilli Togliatti. Ripetutamente è stato poi reclamato al Governo che fosse in qualche modo sistemata la materia della stampa ed infatti, nell’estate del 1946, la Presidenza del Consiglio nominò una Commissione di tecnici del giornalismo e di cultori del diritto pubblico, nella quale erano rappresentati uomini delle varie parti politiche del Paese ed anche di questa Assemblea.

Ricordo che la Commissione era esattamente composta, oltre che dal consigliere Zottoli, dall’onorevole professor Ambrosini, dal dottor Arcamone, dal giornalista Azzarita, dall’onorevole Berlinguer, dall’onorevole Calosso, dal professor Gambarella, dal professor Napoletano, dal dottor Olivieri, dal dottor Pannunzio, dal dottor Parrini per gli editori, da Platone Felice, dal dottor Riccardi, dal professor Tosatti, dal dottor Ventura, dall’onorevole Vernocchi, dal dottor Cavazzuti, e dal dottor Lazzara.

Questa Commissione, che io ho avuto l’onore di insediare, ha trattato e studiato largamente la sistemazione nuova della stampa nella Repubblica, ed ha fatto una relazione elaborata e dotta, accompagnata da un progetto, atto a costituire lo schema di un disegno di legge che regolasse l’intera materia.

Con questo progetto l’autorizzazione da parte del Governo era abolita e si proponeva il sistema risultato poi nel disegno di legge presentato a questa Assemblea. Si proponeva una semplice registrazione, a scopo, direi quasi, anagrafico, delle pubblicazioni a stampa.

La Presidenza del Consiglio ha redatto il disegno definitivo, che è stato poi approvato dal Consiglio dei Ministri. Per meglio dire, il Consiglio dei Ministri ha deciso di presentare a questa Assemblea il progetto, lasciando liberi i membri del Governo e i vari partiti politici in esso allora rappresentati, di assumere in Assemblea l’atteggiamento che avesse ciascuno ritenuto conveniente ed opportuno.

La redazione del disegno di legge tiene conto della quasi totalità delle proposte della Commissione ministeriale. Le varianti apportatevi sono più di forma che di sostanza. Questo disegno di legge è venuto all’Assemblea su decisione del Consiglio dei Ministri del marzo dell’anno scorso. Gli onorevoli colleghi hanno avuto tutto il tempo necessario per compulsarlo; una Commissione parlamentare lo ha esaminato; e in queste condizioni è venuto ora all’Assemblea. Il Governo si richiama alla legge costituzionale e si rimette alla decisione dell’Assemblea. Se l’Assemblea ritiene opportuno di rinviare la discussione, lo faccia. A me sembra però – e ripeto che esprimo un pensiero personale – ormai matura la definizione della materia. Anche le questioni di rilievo che sono sorte e che hanno sollevato polemiche e discussioni qui e sulla stampa, si riducono a ben poche: la responsabilità del direttore; gli accertamenti delle fonti finanziarie del giornale; il sequestro; l’obbligo dell’appartenenza del direttore all’albo dei giornalisti. Sono questioni che sono state largamente trattate nella discussione generale e sulle quali si potrà, ritengo, trovare un punto d’accordo, o per lo meno una piattaforma di decisione.

Mi sembra che abbiamo diversi giorni di tempo innanzi a noi, perché l’Assemblea in questo momento non può discutere la legge elettorale del Senato, in quanto non è ancora approntata; e quindi si potrebbe, a mio modesto parere, condurre in porto questa legge. Comunque, qualora l’Assemblea credesse di non avere il tempo o non volesse portare a compimento l’intera legge, che per me è fondamentale al nostro diritto pubblico, perché stabilisce una effettiva libertà della stampa, essendo essa a mio giudizio profondamente liberale, mi sembra opportuno stabilire, magari attraverso un parziale stralcio, nell’imminenza della lotta elettorale, il fondamento sostanziale della legge, cioè che la stampa non solo è libera, ma che per la pubblicazione di giornali basta la registrazione attraverso quelle forme che mi sembra siano state ben equamente e proficuamente stabilite.

Per conto mio ritengo che avremmo anche il tempo di arrivare ad una completa definizione.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione esprime il suo parere in questo senso: l’ordine del giorno dell’onorevole Giannini dovrebbe essere respinto dall’Assemblea perché è assolutamente necessario che cessi il regime autorizzativo dei giornali prima delle elezioni. In questo momento, se il decreto-legge autorizzativo permanesse, noi, nella imminenza delle elezioni, ci troveremmo sulla situazione che chi volesse, per il periodo elettorale, pubblicare un giornale, dovrebbe attendere il permesso del Prefetto.

Ora, pur manifestando la più ampia convinzione che non ci si varrebbe, da parte del Governo, di questo mezzo per impedire la pubblicazione di nuovi giornali, è evidente che l’attuale regime autorizzativo non consente la libertà della stampa.

D’altra parte, è urgente definire la questione del sequestro prima delle elezioni.

Quindi la Commissione è contraria al rinvio della legge alla nuova Camera, mentre non si oppone – come del resto ha detto nella sua relazione – che si faccia uno stralcio delle principali disposizioni, e anzi ha già indicato nella relazione i limiti che, secondo la Commissione, dovrebbero essere dati a questo stralcio.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Io ho ascoltato le dichiarazioni che a suo nome personale ha fatto l’onorevole Cappa. Non credo che sia il caso di riaprire la discussione per replicare agli argomenti che sono stati addotti dall’onorevole Cappa. Io sono perfettamente d’accordo che conviene risolvere nel più breve tempo possibile il problema della stampa. L’onorevole Cappa ricorderà che io stesso presentai una interrogazione al Governo perché venisse portato davanti all’Assemblea il disegno di legge formulato dalla Commissione competente. Però è innegabile che, se noi iniziamo il dibattito di questa legge, ci troveremo di fronte ad alcuni problemi per i quali non sarà possibile trovare immediatamente una soluzione che raccolga il consenso della maggioranza dell’Assemblea.

Io sono d’avviso che soprattutto le disposizioni le quali si riferiscono alla proprietà dei giornali debbano essere profondamente rivedute. Siamo perfettamente d’accordo che occorre tutelare la libertà della stampa, ma siamo anche d’accordo su questo principio: che conviene impedire che dei proprietari di giornali possano pubblicare dei fogli i quali rappresentino tesi politiche contrastanti. È assolutamente necessario garantire la libertà di stampa nelle sue radici più reali e profonde. Ecco perché io penso che se noi iniziassimo il dibattito, soprattutto per quel che riguarda il capitolo relativo alla proprietà dei giornali, correremmo il rischio di prolungare la discussione, perché – per esempio – io mi riservo di presentare vari emendamenti desunti dal progetto di legge francese. Disse ieri l’onorevole Andreotti che noi giudichiamo come punto di partenza quello che in realtà è un punto di arrivo. Io mi riprometto di presentare degli emendamenti che starebbero in mezzo fra questo punto di arrivo e questo punto di partenza.

Comunque, ripeto, è innegabile che la discussione correrebbe il rischio di prolungarsi, ed è per questo che, pur avendo insistito affinché il Governo presentasse il progetto di legge dinanzi all’Assemblea, noi non siamo contrari alla proposta di rinvio. Ma concordiamo pienamente con quanto ha detto l’onorevole Cevolotto, vale a dire nell’affermare l’urgente necessità che il regime attuale della stampa venga modificato per quel che riguarda le autorizzazioni e per quel che riguarda la disciplina dei sequestri.

Quindi noi, contrari in principio ad un rinvio di tutta la legge, chiediamo che siano stralciate le disposizioni che si riferiscono agli argomenti di cui ho parlato.

PRESIDENTE. Onorevole Cianca, se l’Assemblea respinge il rinvio e qualcuno propone lo stralcio, ove questa proposta sia accolta, si esamineranno gli articoli stralciati; se poi fossero respinti e il rinvio e lo stralcio, esamineremo tutto il testo della legge.

Sull’ordine del giorno Giannini è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Gronchi, Bertone, Uberti, Monticelli, Cremaschi, Micheli, Bubbio, Rivera, Manzini, Moro, Dominedò, Giacchero, Baracco ed altri.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il Gruppo democratico cristiano voterà contro la proposta di rinvio, riservandosi di prendere posizione sugli altri problemi, come quello dello stralcio. (Commenti a sinistra).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Dichiaro che il Gruppo comunista voterà contro il rinvio, accettando però la proposta di stralcio, che è stata già presentata alla Presidenza.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Visto che si è d’accordo sul punto espresso dall’onorevole Scoccimarro, pregherei l’onorevole Gronchi di ritirare la proposta di appello nominale che ci farebbe perdere tempo e non servirebbe a niente.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Ritiriamo la richiesta di appello nominale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il seguente ordine del giorno dell’onorevole Giannini:

«L’Assemblea Costituente, esaminato il progetto di legge sulla stampa, ravvisa l’opportunità di rinviarlo allo studio più completo e più approfondito della futura Camera dei deputati».

(Non è approvato).

L’onorevole Nasi ha presentato la seguente proposta:

«Il sottoscritto propone che del disegno di legge sulle disposizioni per la stampa siano stralciati e messi in discussione i Titoli I e II e gli articoli 5, 6, 7, 8, 9, 15-bis, 38, 40, 41».

Prego l’onorevole Cevolotto di esprimere il parere della Commissione su questa proposta.

CEVOLOTTO, Relatore. Pregherei l’onorevole Nasi di voler mantenere lo stralcio nei limiti che abbiamo indicato noi come Commissione nell’ultima parte della nostra relazione, cioè gli articoli 5, 6, 7, 8, 9, 3, 29, 31, 30, 32, 38, 40, 41 oltre il 28. Questo è presso a poco lo schema che aveva proposto nella Commissione dei Settantacinque l’onorevole Conti ed è studiato in modo che tutte le disposizioni che sono inerenti alla registrazione ed al sequestro vengano comprese nello stralcio. Naturalmente (questo lo dico subito per tranquillizzare qualunque preoccupazione), ciò non comporta un limite assoluto, perché è evidente che ciascun deputato ha il diritto o di chiedere in via di emendamento che si aggiunga qualche articolo, o di chiedere che ne venga tolto qualcuno. Ma per fare uno stralcio organico credo si debba prendere come punto di partenza lo stralcio che era stato già proposto alla Commissione dal Governo, aggiungendovi l’articolo 28. Sembra che questa proposta di stralcio sia più organica di quella dell’onorevole Nasi e quindi pregherei l’onorevole Nasi di volervi aderire.

PRESIDENTE. Onorevole Nasi, accetta la proposta del Relatore?

NASI. Non ho nessuna difficoltà ad accettare la proposta del Relatore, purché includa l’articolo 15-bis e l’articolo 20-bis proposto dall’onorevole Treves.

CEVOLOTTO, Relatore. L’articolo 15-bis si può includere; l’articolo 20-bis si potrà esaminare come emendamento.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Noi accettiamo in linea generale lo stralcio, ma vorremmo che si procedesse allo stralcio articolo per articolo, o per lo meno che si sospendesse la seduta per alcuni minuti, per raggiungere un accordo sugli articoli da stralciare.

PRESIDENTE. Non credo si possa accettare la sua proposta che si proceda allo stralcio articolo per articolo, perché è evidente che bisognerebbe allora esaminare ogni articolo e dopo che ci si sia reso conto del merito, decidere se stralciarlo o meno. Inoltre la Commissione ha già, nel corso dei suoi lavori, fatto un raggruppamento di articoli, i quali presentano in maniera organica i quesiti sui quali si chiede di decidere. Se vi fosse da fare qualche altra proposta, oltre a quella della Commissione, vorrei che fosse fatta immediatamente, in maniera che tutti i membri dell’Assemblea possano avere un quadro d’assieme del testo che verrà fuori dalla nostra discussione.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. La raccomandazione che ieri l’onorevole Presidente ha fatto è stata accolta, perché stamane si sono riuniti i vari gruppi e la Commissione. Però, la formula con cui si presenta ora la proposta dello stralcio è un po’ diversa da quella che avevamo previsto.

PRESIDENTE. Desidererei sentire su questo punto il parere dell’onorevole Cevolotto.

CEVOLOTTO, Relatore. Sono favorevole alla sospensione della seduta.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Vorrei proporre di includere anche l’articolo 16 relativo alla responsabilità penale del direttore del giornale; e poi gli articoli 26 e 27, che hanno riferimento con l’articolo 28, per quanto riguarda la facoltà di sequestro di alcune pubblicazioni.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Si può accedere alla proposta di sospensione per pochi minuti, per concordare una proposta di stralcio degli articoli da discutere.

(La seduta, sospesa alle 16.45, è ripresa alle 17.30).

Presidenza del Vicepresidente CONTI

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore onorevole Cevolotto, per riferire sugli accordi presi riguardo agli articoli da stralciare.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione si è riunita coi rappresentanti dei vari Gruppi e con i proponenti lo stralcio di alcuni articoli ed ha deciso di proporre uno stralcio in limiti piuttosto ampi. Però questa ampiezza è in relazione alle esigenze manifestate dai vari Gruppi che alcune singole disposizioni fossero mantenute ed in relazione anche a ciò che ha detto il Presidente: cioè, che niente altro si potrà aggiungere, mentre l’Assemblea sarà libera di togliere qualche cosa, presentando emendamenti soppressivi anche relativamente agli articoli prescelti.

In sostanza, si sono mantenute le disposizioni relative alla registrazione del giornale in sostituzione del sistema dell’autorizzazione, alcune disposizioni di dettaglio, le disposizioni relative al sequestro e qualche disposizione penale, oltre agli articoli di coordinamento. Si è tolto quindi tutto ciò che si riferisce alle altre parti penali, molto più ampie, alla responsabilità del direttore e alle Corti di onore, ciò che si riferisce alle fonti di finanziamento del giornale e ciò che costituisce la parte del progetto, su cui si era manifestato il dissenso più vivo, non soltanto quanto alla formulazione, ma anche quanto alla sostanza.

La proposta di stralcio verrebbe fatta, quindi, per i seguenti articoli (seguendo la numerazione del testo governativo, salvo naturalmente il collocamento, perché, facendosi una legge di stralcio, è evidente che l’ordinamento di questi articoli dovrà essere diverso): 2, 3, 5, 9, 14, 15, 15-bis (proposta di emendamento aggiuntivo), 17, 25, 25-bis, 26-32 (compreso il 29-bis), 37, 38, 40 e 41.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione di stralciare dal disegno di legge gli articoli testé citati dal Relatore.

(È approvata).

Passiamo all’esame degli articoli nel testo della Commissione. Si dia lettura dell’articolo 2.

RICCIO, Segretario, legge:

«Definizione di stampa o stampato.

«Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque impresse con mezzi meccanico-fisici o chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Evidentemente vi è un errore di stampa nell’articolo 2.

L’espressione «con mezzi meccanico-fisici o chimici» non aveva nessun senso. L’onorevole Caronia aveva proposto di sostituirla con l’altra: «meccanici o fisico-chimici» ed in questo senso noi avevamo approvato il testo.

PRESIDENTE. Sta bene. Il testo dell’articolo 2 è pertanto il seguente: «Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque impresse con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Vorrei che l’onorevole Caronia chiarisse il senso della modificazione che ha proposto.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Vorrei spiegare all’onorevole Andreotti che si tratta di termini tecnici, scientifici. La dizione: «meccanico-fisici» non ha nessun significato, in quanto tutto ciò che è meccanico è fisico. La dizione: «fisico-chimici» ha un significato, perché certi mezzi di stampa non sono semplicemente chimici o semplicemente meccanici, ma fisico-chimici, come ad esempio la foto-incisione, per la quale non si può parlare di un processo esclusivamente fisico o di un processo esclusivamente chimico, ma di un processo fisico-chimico, vale a dire di un processo che è nello stesso tempo fisico e chimico. È una questione di proprietà di termini.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha proposto all’articolo 2 il seguente emendamento:

«Alla parola: impresse, sostituire: ottenute, e alle parole: mezzi meccanico-fisici, sostituire: mezzi meccanici».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Il breve emendamento, da me proposto, attinge la sola forma dell’articolo. Chiedo che alla parola: «impresse» sia sostituita la parola: «ottenute». Meglio è, secondo me, parlare di «riproduzioni ottenute con mezzi meccanici o chimici», anziché di «riproduzioni impresse». Nella redazione governativa del progetto di legge si parla di «riproduzioni tipografiche» e di «impressioni con mezzi meccanici», ma non di «riproduzioni impresse» delle quali non so come, poi, si sia parlato nel progetto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Crispo, Villabruna e Candela hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Collocare al posto dell’articolo 1 l’articolo 2, contenente la definizione di stampa o stampato, aggiungendo il seguente comma:

«L’esercizio della libertà di stampa è regolato dalle norme seguenti».

«Sopprimere l’articolo 1 e trasferire le parole: «i reati commessi col mezzo della stampa sono puniti a norma della legge penale», all’articolo 16 (che contempla la responsabilità per reati commessi per mezzo della stampa».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerli.

CRISPO. Il mio emendamento: «l’esercizio della libertà di stampa è regolato dalle norme seguenti», è il cappello, in sostanza, dell’articolo 2. Lo svolgerò brevissimamente. Ho voluto esprimere questo concetto, poiché si è ritenuto necessario dare la definizione di stampa e di stampato. Il mio emendamento si riferiva agli articoli 1 e 2. Poiché si è ritenuto necessario definire stampe e stampati, cioè comprendere in una legge la definizione dell’oggetto della legge, ritengo che, dal punto di vista tecnico, questa definizione debba essere nell’articolo 1, ossia che si debba anzitutto dare la definizione dell’oggetto della legge. Quindi propongo che la norma, o per meglio dire la definizione, contenuta nell’articolo 2, sia contenuta nell’articolo 1.

PRESIDENTE. Ma l’articolo 1 è stato eliminato.

CRISPO. Allora chiedo che, come capoverso dell’articolo 2, dopo la definizione di stampe o stampati, si aggiunga: «L’esercizio della libertà di stampa è regolato dalle norme seguenti».

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Dal momento che è stato soppresso l’articolo 1, venendo incontro involontariamente, diciamo così, alla proposta dell’onorevole Crispo, ed è stato soppresso perché in una legge di stralcio, come quella che noi facciamo, a carattere provvisorio, è sembrato inutile mettere l’affermazione che la stampa è libera, che è già contenuta nella Costituzione, dal momento che l’articolo 1 non esiste più, sembra a noi che manchi anche la ragione di quella premessa che l’onorevole Crispo intendeva di proporre in sostituzione dell’articolo 1, e cioè: «L’esercizio della libertà di stampa è regolato dalle norme seguenti». E ciò anche perché non si adatterebbe neanche bene questo cappello al contenuto dell’articolo 2. Dire che la libertà di stampa è regolata dalle norme seguenti e poi incominciare con la definizione di stampe e stampati, non mi pare molto organico.

CRISPO. Credo di non esser stato compreso. Io proponevo che immediatamente dopo la definizione si introducesse il seguente capoverso: «L’esercizio della libertà di stampa è regolato dalle norme seguenti».

CEVOLOTTO, Relatore. Mi pare che anche questo capoverso sia una cosa superflua. È evidente, dal contenuto delle norme, che esse regolano la libertà di stampa.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Questa legge, già nella sua prima definizione, porta il titolo «Disposizioni sulla stampa». Implicitamente si è discussa come una legge che possa veramente garantire la libertà di stampa. Ma, a prescindere da qualsiasi giudizio che si possa dare sul complesso della legge, lo stralcio che ne abbiamo fatto non comporta che alcune diposizioni sull’esercizio della stampa, non sull’esercizio della libertà di stampa, che è altra cosa. Quindi, non potremmo accettare l’emendamento Crispo.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Per quanto si riferisce alla sostituzione della parola «impresse» con l’altra «ottenute», non abbiamo nulla in contrario. Per quanto si tratta invece di togliere le parole «mezzi meccanico-fisici» e di sostituirle con le altre «mezzi meccanici», per le ragioni che ha detto l’onorevole Caronia, cioè che vi sono anche dei mezzi fisico-chimici di cui si serve la stampa, pregheremmo l’onorevole Colitto di non insistere.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto insiste?

COLITTO. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione lo articolo 2 così modificato:

«Definizione di stampa o stampato.

«Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».

(È approvato).

L’onorevole Crispo mantiene il suo emendamento?

CRISPO. Non insisto.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Indicazioni obbligatorie sugli stampati.

«Ogni stampato deve indicare il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore e, se esiste, dell’editore.

«I giornali e gli altri periodici devono recare la indicazione:

del luogo e della data della pubblicazione;

del nome e del domicilio dello stampatore;

del nome del proprietario responsabile».

A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente:

«Al primo comma, alla parola: pubblicazione, sostituire: stampa».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Ho chiesto che, nel primo comma, alle parole «pubblicazione» si sostituisca la parola «stampa».

Se io ho ben compreso, la legge vuole che ogni stampato indichi il luogo e l’anno, in cui ha luogo la stampa. Se così è, non mi sembra esattamente usato il sostantivo «pubblicazioni», che fa pensare, nel linguaggio giuridico, più che nel linguaggio corrente, alla diffusione degli stampati. Tale diffusione può anche mancare; ma anche in tal caso le indicazioni predette vanno apposte sullo stampato. Quanto mi permetto di sostenere trova la sua conferma anche nel successivo articolo 4, in cui si dispone che lo stampatore ha l’obbligo di consegnare un determinato numero di ogni stampato a determinate autorità all’atto della diffusione o all’atto della consegna al committente, che può anche non renderlo più pubblico. Se anche non si creda di accogliere il mio emendamento, per lo meno si chiarisca che la parola «pubblicazione», usata nel primo comma, ha lo stesso significato di «stampa».

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Cianca, Nobili Tito Oro, Bernini, Barbareschi, Pistoia, Schiavetti, Grazia, Fogagnolo, Mastino Pietro, Cosattini e Bonomelli così formulato:

«Sostituire la prima parte del secondo comma con la seguente:

«I giornali, le pubblicazioni delle agenzie d’informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare la indicazione».

L’onorevole Cianca ha facoltà di svolgerlo.

CIANCA. Credo che sia perfettamente inutile che io spieghi le ragioni che mi hanno indotto a presentare questo emendamento. Il quale tende in sostanza a rendere esplicito ciò che è già implicito.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Moro e Dominedò:

«Al secondo comma, alle parole: del nome del proprietario responsabile, sostituire: del nome del proprietario e del direttore responsabile».

L’onorevole Moro ha facoltà di svolgerlo.

MORO. Credo che sia soltanto un errore di stampa e ritengo che la Commissione potrà chiarire che si tratti di una involontaria omissione.

Piuttosto se il Presidente permette, vorrei dire qualche parola sull’altro emendamento allo stesso articolo del seguente tenore:

«Aggiungere il seguente ultimo comma:

«All’identità delle indicazioni, obbligatorie e non obbligatorie, che contrassegnano gli stampati deve corrispondere identità di contenuto in tutti gli esemplari».

La ragione del mio emendamento aggiuntivo è questa. Si verifica talvolta che degli stampati – per ragioni tecniche prevalentemente, ma con conseguenze che è bene evitare – hanno contenuto diverso sotto uguali indicazioni. Sicché nell’attività di prevenzione e di repressione, di cui ci occuperemo nei successivi articoli, può accadere che uno stampato sia colpito pur essendo di contenuto diverso da quello che è stato preso in considerazione ai fini della prevenzione o repressione o che invece sfugga ad una legittima prevenzione o repressione.

Per il mio emendamento, quindi, si fa obbligo che, quando si verifichino due cambiamenti nel contenuto dello stampato per qualsiasi ragione, vi sia qualche elemento di variazione, per esempio l’indicazione di un’altra edizione, per mettere sull’avviso coloro i quali devono adempiere una qualsiasi attività preventiva o repressiva nei confronti degli stampati in questione. Quindi l’obbligo che, quando vi è identità di indicazione che contrassegna lo stampato, vi sia identità di contenuto e, se questo è diverso, diverso sia il contrassegno dello stampato.

PRESIDENTE. Ricordo che l’onorevole Schiavetti ha già svolto il seguente emendamento:

«Al secondo comma aggiungere il seguente alinea:

«dell’ufficio del registro del notaio, del cancelliere o di altro pubblico ufficiale presso il quale si trovano depositati gli atti relativi alla costituzione della società o dell’impresa avente per scopo la pubblicazione del giornale».

Quale è il parere della Commissione sugli emendamenti?

PERASSI. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Colitto il quale propone di sostituire la parola «pubblicazione» con quella di «stampa», la Commissione ritiene che in fondo questo non sia strettamente necessario: in sostanza risulta già dal sistema della legge che è l’anno della stampa quello che conta.

Il secondo emendamento dell’onorevole Cianca consiste in una precisazione e mi pare che la Commissione non abbia nulla in contrario ad accettarlo.

Per quanto, infine, concerne l’emendamento dell’onorevole Moro, come egli stesso ha fatto rilevare, si tratta di una semplice correzione di un errore di stampa. È evidente che nel testo della Commissione si deve leggere: «nome del proprietario e del direttore responsabile».

L’altro emendamento dell’onorevole Moro riguardante l’identità delle indicazioni sembra superfluo.

UBERTI. Vi sono dei giornali che hanno parecchie edizioni.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Appunto, è superfluo.

PERASSI. Comunque, la Commissione si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori di emendamenti se li mantengano. Onorevole Schiavetti?

SCHIAVETTI. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Dopo i chiarimenti forniti dal Relatore, non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Cianca, mantiene il suo emendamento?

CIANCA. Lo mantengo, essendo anche stato accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Moro, mantiene l’emendamento aggiuntivo?

MORO. Lo mantengo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Una sola osservazione. Nei confronti del testo ministeriale, la Commissione ha soppresso al secondo comma l’indicazione «stampata». Io credo invece che tale specificazione debba essere mantenuta, in quanto essa – sebbene possa apparire superflua – è una garanzia in quanto conferisce un certo contenuto di certezza. Se queste indicazioni potessero essere apposte stampigliate, vi sarebbe il pericolo di violazioni.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. In seno alla Commissione avevo chiesto la soppressione di questa parola. Ne do ragione. Non tutti i giornali, sono stampati. Ecco perché la parola «stampata» mi era sembrata troppo vincolativa, mentre era implicito che l’indicazione richiesta deve essere scritta con lo stesso mezzo con cui è redatto il giornale.

PRESIDENTE. Onorevole Andreotti, lei insiste?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. No, non è una questione preminente.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 3:

«Ogni stampato deve indicare il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore e, se esiste, dell’editore».

(È approvato).

Pongo in votazione la prima parte del secondo comma nel testo sostitutivo, presentato dall’onorevole Cianca:

«I giornali, le pubblicazioni delle agenzie di informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare l’indicazione».

(È approvato).

Pongo in votazione il primo alinea:

«del luogo e della data della pubblicazione».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo alinea: «del nome e del domicilio dello stampatore».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo alinea con la modificazione proposta dall’onorevole Moro: «del nome del proprietario e del direttore responsabile».

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Dal momento che noi, nello stralcio, non abbiamo compreso l’articolo 16 che limitava la responsabilità al direttore, si torna al testo del Codice penale, secondo il quale cioè, vi può essere un direttore o un redattore responsabile. Al posto quindi delle parole «del direttore responsabile», bisognerebbe mettere «del direttore o del redattore responsabile».

ANDREOTTI, Sottosegretario per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario per la Presidenza del Consiglio. Io penso che si potrebbe parlare semplicemente «del responsabile».

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

CEVOLOTTO. Relatore. Debbo ricordare che vi è anche il proprietario che è responsabile civilmente.

Qui si parla, evidentemente, di responsabilità penale. Ora, secondo il sistema che si avrà dopo che questo progetto di legge sarà stato votato, la responsabilità potrà essere del direttore o di un redattore, perché si torna al sistema del Codice penale. Quindi, è meglio precisare: «del direttore o del redattore responsabile».

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. C’è un mio emendamento all’articolo 5 in cui il problema se debba essere responsabile il direttore o un redattore è affrontato. Mi sembra, quindi, che questa votazione la potremo fare dopo che avremo discusso l’articolo 5. O possiamo anche farla immediatamente, ma allora si intende che sarà determinante anche per l’articolo 5.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Faccio osservare all’onorevole Schiavetti che possiamo anche rinviare la votazione a dopo che avremo discusso l’articolo 5; ma, forse, il suo emendamento all’articolo 5, dopo la eliminazione dell’articolo 16, perde d’importanza, e forse egli stesso non vi insisterà.

Ad ogni modo è giusto: se l’onorevole Schiavetti mantiene il suo emendamento la votazione su questo ultimo comma è bene rinviarla a dopo che avremo discusso l’emendamento stesso.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, rinviamo la votazione su questo ultimo alinea dell’articolo 3.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’emendamento degli onorevoli Moro e Dominedò:

«Aggiungere il seguente ultimo comma:

«All’identità delle indicazioni, obbligatorie e non obbligatorie, che contrassegnano gli stampati deve corrispondere identità di contenuto in tutti gli esemplari».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Voterò contro questa aggiunta, perché ritengo – per quanto io non sia un giornalista di professione – che essa implichi un impaccio troppo grave per l’editore e il direttore di un giornale, nel quale spesso si fa una piccola variazione all’edizione precedente e in un breve spazio non è possibile mettere tutte le indicazioni diverse che darebbero un’autonomia ad una edizione di per sé stante. Necessariamente la sostituzione di dieci righe, per togliere il bollettino di borsa alla sera e sostituirvi la notizia di un arrivo improvviso, non può implicare un rifacimento di un nuovo contesto, in modo che questo debba risultare anche dalle indicazioni diverse, rispetto alle indicazioni obbligatorie. Temo che sia un impaccio grave. Del resto, qui ci sono dei competenti dal punto di vista tecnico, che possono parlar con maggiore cognizione di causa della mia.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Non mi sembra che le ragioni contrapposte dall’onorevole Fabbri abbiano quel fondamento che egli attribuisce loro, perché oggi i giornali stampano edizioni profondamente diverse le une dalle altre, che tante volte contengono pagine regionali che sono effettivamente un nuovo giornale. Di fronte a questo fatto dichiaro, a nome del Gruppo democristiano, che voteremo per l’emendamento Moro.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Per tranquillizzare l’onorevole Fabbri dal punto di vista tecnico osservo che qualunque giornale nel mutamento anche rapido delle edizioni, mantiene fissa la parte che riguarda la pubblicità, le indicazioni stabili relative al gerente, alla tipografia ecc. Queste non vengono mai tralasciate. Quindi concordo con quanto detto dall’onorevole Uberti.

PRESIDENTE. Onorevole Andreotti, vuole esprimere il parere del Governo?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Io penso che già l’articolo 30 del progetto ministeriale garantisca abbastanza quello che è necessario garantire per questa norma. Comunque, il Governo si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Anche la Commissione ha dichiarato di rimettersi all’Assemblea.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Vorrei far notare una conseguenza delle osservazioni fatte dal collega Fabbri: cioè che, nel caso si accetti il suo criterio, il giornale dovrà portare ogni giorno all’ufficio competente un certo numero di copie di ognuna delle sue edizioni.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Mi parrebbe doveroso far osservare come le lievi varianti di cui ha parlato l’onorevole Fabbri non determinino quell’alterazione di contenuto che costituisce l’ipotesi essenziale dell’emendamento aggiuntivo da noi proposto. L’emendamento aggiuntivo ha riguardo a questa diversa ipotesi e a questa diversa realtà: che si alteri il contenuto senza indicazione all’esterno dell’alterazione stessa, senza l’indicazione di una nuova edizione, di un’edizione diversa per la materia contenuta. In conseguenza, con l’esigere che a questa alterazione sostanziale corrispondano nuove indicazioni, si osserva lo spirito della legge e si evita, attraverso le ipotesi fronteggiate dall’emendamento aggiuntivo, che si determinino evasioni alla legge stessa.

Ecco perché noi insistiamo nel nostro emendamento.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho domandato la parola per fare una semplice osservazione in questo senso, che la sostanza dell’emendamento Moro ci può trovare consenzienti, ma la forma, se restasse la stessa, darebbe luogo a difficoltà d’interpretazione.

Si dovrebbe rimanere d’accordo che in sede di coordinamento a questo concetto dovrebbe darsi un’espressione diversa, perché la frase «deve corrispondere identità di contenuto» non è molto chiara.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Moro e Dominedò, testé letto, avvertendo che la Commissione e il Governo si sono rimessi all’Assemblea.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Passiamo all’articolo 5.

Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Ogni giornale o altro periodico deve avere un direttore responsabile.

«Il direttore responsabile deve essere cittadino italiano e possedere gli altri requisiti per l’iscrizione nelle liste elettorali politiche.

«Può essere direttore responsabile anche l’italiano non appartenente allo Stato italiano, e lo straniero residente in Italia se nei loro confronti ricorrono gli altri requisiti per la iscrizione nelle liste elettorali politiche.

«Quando il direttore sia investito di mandato parlamentare, la qualità di responsabile è assunta da chi ne fa le veci.

«Le disposizioni di questa legge concernenti il direttore responsabile si applicano alla persona che assume la responsabilità ai sensi del comma precedente»..

PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 5 col seguente:

«Ogni giornale o altro periodico deve avere un gerente responsabile. Il gerente responsabile deve essere il direttore o uno dei principali redattori ordinari del giornale.

«Il gerente responsabile deve essere cittadino italiano e possedere gli altri requisiti per l’iscrizione nelle liste elettorali politiche.

«Può essere gerente responsabile anche l’italiano non appartenente allo Stato italiano e lo straniero residente in Italia, se nei loro confronti ricorrono gli altri requisiti per la iscrizione nelle liste elettorali politiche.

«I senatori e i deputati non possono essere gerenti responsabili».

Ha facoltà di svolgerlo.

SCHIAVETTI. Il mio emendamento interessa soprattutto i giornali quotidiani perché io ritengo che il direttore, il quale ha prevalentemente nel giornale delle funzioni politiche, non abbia la possibilità pratica di assumere la responsabilità di tutto quello che si stampa nel giornale e soprattutto di quello che si stampa nelle edizioni regionali, che spesso sono numerosissime in un grande quotidiano. Io ricordo che due mesi fa, se non sbaglio (non ricordo esattamente la data), il Popolo è stato condannato per diffamazione per una corrispondenza dalla provincia. Probabilmente, se la responsabilità invece che essere del direttore fosse stata di un redattore ordinario, che avesse avuto il compito di vagliare meglio le corrispondenze provenienti dalla provincia, il Popolo avrebbe evitato questo infortunio o sarebbe stato in condizioni più favorevoli per evitarlo.

Per questo, io credo che non si debba imporre questa responsabilità al direttore ma si debba invece concedere la facoltà di scegliere, per la gerenza, fra il direttore e uno dei redattori ordinari principali.

Qualcuno ha fatto notare che in questo modo si potrebbe tornare al vecchio sistema della gerenza, in quanto qualche giornale potrebbe affidare la gerenza ad un redattore di poca importanza. C’è intanto una difficoltà nella stessa organizzazione dei giornalisti per questa specie di evasione dalla legge, perché i giornalisti sono organizzati in sindacati e per molti di questi casi sarebbe facile stabilire che il gerente responsabile non appartiene al corpo politico del giornale ma al sindacato dei cronisti, dei giornalisti sportivi, ecc.

In ogni caso (come è stato detto dalla Commissione) quel che stiamo facendo ha il valore di una prova, perché spetterà alle prossime Camere di formulare un progetto di legge definitivo sulla stampa e allora si terrà conto delle prove che avremo fatte nel frattempo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Guerrieri Filippo e Arcaini hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«Quando il direttore sia investito del mandato parlamentare, deve essere nominato un vicedirettore che assuma la qualità di responsabile».

L’onorevole Guerrieri ha facoltà di svolgerlo.

GUERRIERI FILIPPO. La norma di cui all’articolo 5 del testo della Commissione al comma quarto, prevede l’eventualità che il direttore sia investito del mandato parlamentare nel qual caso la qualità di responsabile dovrebbe essere assunta da chi ne fa le veci; senonché la Commissione non ha tenuto conto che la stessa situazione potrebbe verificarsi e ripetersi anche per colui che ne fa le veci e, sempre in ipotesi, pure nei confronti dei principali redattori ordinari ai quali si riferisce il testo del progetto governativo. Ora, data la necessità che vi sia tra gli elementi direttivi del giornale o di altro periodico un responsabile reale e non fittizio e facilmente individuabile e raggiungibile e ritenuto nel contempo che l’assunzione di tale responsabilità è in diretto rapporto col mandato parlamentare che la esclude, pare a me evidente l’opportunità di stabilire l’obbligo della nomina di un vicedirettore non investito del mandato in oggetto, ogni qualvolta ne sia invece investito il direttore. In tale modo sarà eliminato ogni dubbio e le responsabilità facilmente e sicuramente accertate senza possibilità di evasione. A questo mira l’emendamento da me proposto all’approvazione dell’Assemblea.

MANZINI. Io ritengo molto pericoloso l’emendamento che, pur con ottime intenzioni, propone l’onorevole Schiavetti, perché lo ritengo contrario al principio di responsabilità che noi abbiamo affermato e che deve essere anzi il cardine della legge. Se noi ammettiamo il principio di un gerente responsabile, che già nella stessa dizione richiama la figura tipica di «capro espiatorio», del gerente dei tempi arcaici, troppo facile è pervenire ad addossare una responsabilità ad una persona qualsiasi. Ora la difficoltà reale che esiste per questo adempimento di un mandato di responsabilità è quella che ha accennato l’onorevole Schiavetti: e cioè che il direttore non può seguire minuziosamente tutto, nel complesso giornalistico dei. tempi moderni. Ma questo è un fenomeno di organizzazione, perché, quando il direttore adempie al proprio compito ed è presente in sede, ha i suoi redattori, i suoi esecutori e i suoi uffici che devono funzionare e che gli segnalano automaticamente tutte le questioni dubbie; cioè mentre un redattore di provincia lascerà passare la notizia di un furto di polli, tuttavia andrà dal direttore quando c’è una notizia dubbia, una critica, una accusa ed il direttore deciderà.

Unico caso che si può presentare – siccome tutti i giornali hanno sostanza politica ed è il direttore che deve giudicare con l’ausilio di un redattore responsabile – unico caso che possiamo accogliere come fondamentale è appunto quello del mandato parlamentare, in quanto ci troviamo di fronte a particolari immunità. Credo quindi, che la formulazione presentata dal testo della Commissione sia molto esauriente, perché stabilisce che, nel caso in cui il direttore abbia mandato parlamentare, si deve nominare un vicedirettore responsabile; se anche il vicedirettore fosse deputato o senatore dovrebbe esservi un redattore capo responsabile. Ma così facendo delimitiamo la figura dei responsabili e riaffermiamo il concetto di questo primato di responsabilità.

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Desidero dire che poco comprendo la formulazione dell’emendamento dell’onorevole Schiavetti, perché esso dice: «Ogni giornale o altro periodico deve avere un gerente responsabile». Poi soggiunge: «Il gerente responsabile deve essere il direttore o uno dei principali redattori ordinari del giornale».

È in certo senso una tautologia, poiché sono sicuro che l’onorevole Schiavetti non vorrà fare risorgere la figura del gerente dei vecchi tempi. In che cosa, dunque, il testo dello onorevole Schiavetti si allontana da quello della Commissione? Nel dire che oltre il direttore, può essere responsabile un redattore.

L’onorevole Schiavetti lo qualifica come uno dei principali redattori ordinari. Ha aggiunto che, evidentemente, non può trattarsi del redattore sportivo o dell’ultimo cronista. Però, se noi guardiamo la situazione obiettiva della stampa, vediamo che molto facilmente, sotto la qualifica di redattore responsabile, è in fatto responsabile qualcuno che non ha nessuna responsabilità politica del giornale e che viene scelto nell’ambito redazionale con funzioni molto diverse, secondo quelle che possono essere le circostanze e le situazioni particolari di vari giornali.

Io sono decisamente in favore della responsabilità del direttore o di chi ne fa immediatamente le veci, nel caso in cui il direttore sia investito del mandato parlamentare, proprio perché vedo la figura del direttore del giornale come la figura del capitano di una nave.

È lui che è responsabile.

Si dice che il direttore non ha il tempo di vedere tutto e non può essere al corrente dei minimi particolari: del carro rovesciato, del ladro di polli, ecc.

Siamo d’accordo. Nemmeno il capitano di una nave, nemmeno il direttore di una banca può sapere quello che succede ad ogni sportello o nella cambusa della nave. È responsabile, in quanto appunto esercita una funzione direttiva, ed egli ha il compito di circondarsi di collaboratori e di persone che lo possano coadiuvare. Ciò che non vorrei veder capitare (e so che questo non è nelle intenzioni dell’onorevole Schiavetti) è che, proprio attraverso questa formulazione, rispunti la vecchia testa di turco del gerente responsabile, che non ha la possibilità di controllare quello che succede nel giornale e che arriva nei processi a dire: io non so niente, io non c’ero, io mi rimetto.

Bisogna che noi trasferiamo la responsabilità precisa al direttore, proprio per il fatto medesimo che accetta quelle funzioni. Sono quindi contrario, e me ne dispiace, all’emendamento dell’onorevole Schiavetti.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, alle parole: se nei loro confronti ricorrono, sostituire: se posseggono».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. È un emendamento di pura forma, dettato dal desiderio che si usino in una legge sempre le stesse parole e le stesse frasi per esprimere gli stessi concetti.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. Sulla questione posta dall’emendamento Schiavetti occorre essere chiari e precisi. Il Codice penale, all’articolo 57, reca:

«Per i reati commessi col mezzo della stampa si osservano le disposizioni seguenti: 1°) qualora si tratti di stampa periodica, chi riveste la qualità di direttore o di redattore responsabile risponde, per ciò solo, del reato commesso, salvo la responsabilità dell’autore della pubblicazione».

La questione era già stata sollevata nel suo discorso dall’onorevole Bettiol, il quale tuttavia ha consentito a riservarla alla Commissione che dovrà riformare il Codice penale. Quindi, la questione della responsabilità obiettiva del direttore o del redattore non entra in discussione in questo momento. La Commissione giornalistica, che ha redatto il primo progetto, seguita in questa via sia dal Governo, sia dalla Commissione parlamentare, ha ritenuto di dover modificare, restringere, la portata dell’articolo 57, e cioè di addossare la responsabilità in genere, quindi la responsabilità penale in specie, al solo direttore, non ammettendo che questa possa essere attribuita anche ad un redattore. La ragione è chiara, proprio per quello che ha detto l’onorevole Schiavetti, quando si è riferito al caso che un direttore non possa seguire tutte le pubblicazioni, tutte le varie edizioni di un giornale. Se questo non può fare il direttore, e cioè se in certi casi la responsabilità obiettiva al direttore è gravosa, diventa addirittura ingiusta se la si trasferisce ad un redattore, perché il redattore, principale o non principale (e molte volte potrebbe essere chiamato alla responsabilità, sotto l’aspetto di redattore principale, un redattore che non è affatto principale), non ha in genere la piena disponibilità del giornale. È quindi un individuo che deve rispondere penalmente, senza avere il mezzo molte volte di impedire che, per esempio, il reato di diffamazione si compia; perché non può far togliere un determinato pezzo e non ha neanche la facoltà, molte volte, di controllare tutto il giornale; mentre il direttore, o direttamente o a mezzo dei suoi dipendenti, ha, almeno in quanto esercita le funzioni direttoriali, il mezzo di controllare il giornale, e quindi può assumere più equamente la responsabilità. Per questo la Commissione dei giornalisti ed il Governo hanno ristretto soltanto al direttore la responsabilità in genere e quella penale in ispecie.

La Commissione rimane in questo ordine di idee. Reputa pericoloso ammettere che la responsabilità del direttore possa essere trasferita ad altri.

Per quanto si riferisce all’emendamento Colitto, che è di pura forma, lo trova ragionevole e l’accetta.

L’altro emendamento, relativo ai direttori che abbiano mandato parlamentare, poiché risponde al concetto della Commissione è anche accettato. Accettiamo, cioè, che il direttore investito del mandato parlamentare possa trasferire la responsabilità ad un vice-direttore.

PRESIDENTE. Prego il Governo di esprimere il suo parere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il principio affermato sia dal testo ministeriale che da quello della Commissione rappresenta una delle novità più propizie, mi pare, di questo testo di legge, e corrisponde a quanto si augurava l’onorevole Manzini l’altro giorno, quando parlava della figura e del prestigio del direttore; esso, se può portare inconvenienti del tipo di quelli ricordati dall’onorevole Schiavetti, e cioè che il direttore possa trovarsi imputato per un malinteso, una svista o errore di un cronista di provincia, ha tuttavia il notevole lato positivo di aumentare la vigilanza a che non si commettano inesattezze: perché si sa che, cadendo le conseguenze di esse sul direttore, questi potrebbe far ricadere determinate altre conseguenze – nei casi più gravi anche il licenziamento – su chi è di fatto responsabile.

GIANNINI. Questo è un sogno, onorevole Andreotti.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Un sogno, ma rappresenta una garanzia. Il direttore potrebbe imporsi, se ha questa preoccupazione, molto di più.

GIANNINI. Non ha il tempo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Sceglierà persone di sua fiducia.

Osservo poi che, rispetto al progetto governativo, la Commissione ha creduto di dover estendere la possibilità di essere direttore responsabile anche allo straniero residente in Italia. Richiamo l’Assemblea Costituente su questa modificazione, che può avere conseguenze: perché lo straniero può non essere soggetto a tutte quelle eventuali responsabilità che normalmente ricadono sul cittadino.

Quanto alla formulazione, il testo ministeriale aveva usato l’espressione: «l’italiano che non appartiene alla Repubblica». La Commissione propone: «non appartenente allo Stato italiano». La dizione del disegno governativo era l’aggiornamento della voce «regnicolo», ed è conforme alla dizione usata nella Costituzione all’articolo 51. Comunque, si tratta di pura forma, su cui non vale insistere.

Per le altre osservazioni sono d’accordo con la Commissione.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Mi associo completamente alle considerazioni del Presidente della Commissione e dell’onorevole Andreotti. È verissimo: con questa disposizione noi diamo una grave responsabilità al direttore del giornale. Ma noi ne daremmo una più grave, senza conferirgli uguale autorità, ad un redattore che fosse qualificato responsabile. Indubbiamente, con questa legge noi garantiamo alla stampa, con la maggiore libertà, anche la possibilità di svolgere un’azione più ampia nella vita politica del Paese. Quindi, è giusto che chi è alla testa di un’azienda giornalistica ne assuma la responsabilità e ne corra i rischi. D’altra parte, il direttore di un giornale in Italia farà un po’ come fanno i direttori dei giornali inglesi, i quali stampano i loro giornali sotto la preoccupazione del bill sulla stampa, che è molto più grave della legge penale italiana. Il direttore organizzerà il suo giornale con controlli vigili per non andare incontro alla responsabilità penale, che con questa legge viene ad assumere. Noi con questa legge diamo alla stampa libertà e influenza maggiori, è giusto che anche il cittadino sia maggiormente garantito dalla diffamazione, che può avvenire a mezzo di essa, e delle offese alla sua dignità. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Schiavetti, insiste nel suo emendamento?

SCHIAVETTI. Insisto.

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Aderisco all’emendamento Guerrieri Filippo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento proposto dall’onorevole. Schiavetti:

«Ogni giornale o altro periodico deve avere un gerente responsabile. Il gerente responsabile deve essere il direttore o uno dei principali redattori ordinari del giornale».

(Non è approvato).

Decade, pertanto, tutto il resto dell’emendamento. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 5:

«Ogni giornale o altro periodico deve avere un direttore responsabile».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Il direttore responsabile deve essere cittadino italiano e possedere gli altri requisiti per l’iscrizione nelle liste elettorali politiche».

(È approvato).

Passiamo alla votazione del terzo comma con la modifica, proposta dall’onorevole Colitto ed accettata dalla Commissione e dal Governo, di sostituire alle parole «se nei loro confronti ricorrono» le altre «se posseggono».

UBERTI. Chiedo che si voti per divisione, e per prima, fino alle parole «non appartenente allo Stato italiano».

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Propongo di sostituire alle parole «allo Stato italiano» le parole «alla Repubblica».

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione per divisione, tenendo conto della proposta fatta dall’onorevole Relatore. Pongo in votazione la prima parte del terzo comma:

«Può essere direttore responsabile anche l’italiano non appartenente alla Repubblica».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole:

«e lo straniero residente in Italia».

(Dopo prova e controprova, non sono approvate).

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Forse converrebbe che l’ultima parte del terzo comma sia votata nel testo ministeriale:

«a condizione che sia maggiore di età e che nei suoi confronti non ricorra alcuna delle condizioni da cui deriverebbe la esclusione dalle liste elettorali politiche».

Sarebbe meglio usare la forma negativa anziché quella positiva, perché l’espressione mi pare più semplice.

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione su questa proposta.

CEVOLOTTO, Relatore. I membri della Commissione hanno preferito la formula positiva a quella negativa, ma naturalmente esse si equivalgono, in sostanza.

La Commissione mantiene la sua formulazione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Dichiaro di aderire al testo della Commissione e di ritirare pertanto la mia proposta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la restante parte del terzo comma nella formula della Commissione, con l’emendamento Colitto:

«se possiede gli altri requisiti per l’iscrizione nelle liste elettorali politiche».

(Sono approvate).

Pongo in votazione il quarto comma, nel testo dell’emendamento Guerrieri:

«Quando il direttore sia investito del mandato parlamentare, deve essere nominato un vice-direttore, che assuma la qualità di responsabile».

La Commissione e il Governo si sono dichiarati favorevoli a questo emendamento.

(È approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma:

«Le disposizioni di questa legge concernenti il direttore responsabile si applicano alla persona che assume la responsabilità ai sensi del comma precedente».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Proprietario.

«Per poter pubblicare un giornale o altro periodico il proprietario, se cittadino italiano residente in Italia, deve avere i requisiti per la iscrizione nelle liste elettorali politiche.

«Se il proprietario è cittadino italiano residente all’estero o cittadino straniero, nei suoi confronti non deve ricorrere alcuna delle condizioni da cui deriverebbe la esclusione dalle liste elettorali politiche.

«Se si tratta di minore o di persona giuridica, i requisiti indicati nei commi precedenti debbono essere posseduti dal legale rappresentante.

«I requisiti medesimi debbono essere posseduti anche dalla persona che esercita l’impresa giornalistica, se essa è diversa dal proprietario».

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: deve avere, sostituire: deve possedere».

«Al secondo comma, alle parole: nei suoi confronti non deve ricorrere alcuna delle condizioni da cui deriverebbe la esclusione dalle, sostituire: deve possedere gli altri requisiti per la iscrizione nelle».

Ha facoltà di svolgerli.

COLITTO. Li mantengo e rinuncio a svolgerli.

PRESIDENTE. Prego il Relatore di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione accetta gli emendamenti Colitto.

PRESIDENTE. E il Governo?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il Governo si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Allora, pongo in votazione il primo comma dell’articolo 6, con l’emendamento Colitto:

«Per poter pubblicare un giornale o altro periodico il proprietario, se cittadino italiano residente in Italia, deve possedere i requisiti per l’iscrizione nelle liste elettorali politiche».

(È approvato).

Pongo ora in votazione il secondo comma che, con l’emendamento Colitto, risulta così modificato:

«Se il proprietario è cittadino italiano residente all’estero o cittadino straniero, deve possedere gli altri requisiti per la iscrizione nelle liste elettorali politiche».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«Se si tratta di minore o di persona giuridica, i requisiti indicati nei commi precedenti debbono essere posseduti dal legale rappresentante».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma:

«I requisiti medesimi debbono essere posseduti anche dalla persona che esercita l’impresa giornalistica, se essa è diversa dal proprietario».

(È approvato).

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Abbiamo ammesso che possa essere proprietario del giornale un cittadino straniero, mentre abbiamo escluso che possa essere direttore. Formalmente non vi è una assoluta contraddizione; sostanzialmente un po’ di contraddizione c’è, perché forse è più grave ammettere che lo straniero possa essere proprietario di un giornale che non direttore di esso. Il direttore è sottoposto ad una vigilanza continua dell’opinione pubblica, e alla vigilanza della legge. Il proprietario può esercitare la sua azione stando fra le quinte, o stando anche all’estero.

Ora, il divieto che abbiamo approvato, forse un po’ affrettatamente, per lo straniero di essere direttore, è grave per le ripercussioni che può avere per gli italiani che sono all’estero; perché qualche nazione potrebbe anche avvalersi di questa legge, per escludere a sua volta gli italiani dalla direzione dei giornali. E non ho bisogno di ricordare a voi che, ad esempio, a New York è stato direttore, per molto tempo, di un giornale importantissimo un italiano, che è stato anche deputato: Falbo; e a Buenos Aires vi sono sempre stati giornali italiani diretti da italiani. L’Assemblea, credo, un po’ affrettatamente è passata su questo punto.

Ora, siccome sostanzialmente una certa contraddizione c’è, io vorrei domandare al Presidente se non si potesse, in considerazione di questa contraddizione sostanziale, rivedere la decisione sull’articolo precedente.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI Sottosegretario di Stato per la Presidenza Consiglio. A me pare che si tratti di casi profondamente diversi, perché, affermando che il direttore responsabile, secondo quel preciso concetto di responsabilità che è stato affermato da noi oggi, debba essere italiano, mi pare che non si violi l’aspettativa di tutti gli stranieri di vedere qui riconosciuti i più ampi diritti; mentre, se introducessimo il divieto anche per la proprietà, noi verremmo ad effettuare un vero attentato alla libertà della stampa.

Comunque, riguardo alla richiesta fatta dall’onorevole Cevolotto, qualora non ostino delle preclusive ragioni di carattere procedurale, io credo che si potrebbe accedere all’idea di discutere, per accertare se è stata una votazione cosciente ovvero se ci sono motivi che fanno riflettere qualcuno e tali da determinare un voto diverso. Spetta comunque alla Presidenza di stabilire se ciò è possibile.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LIBERTI. Osservo su questa questione della direzione di un giornale, che, se essa riguardasse i periodici tecnici, scientifici ecc, la soluzione sarebbe diversa, ma per un giornale politico la cosa è più delicata, in quanto si tratta di impedire che un direttore straniero possa influire attraverso una attività giornalistica nelle cose politiche del nostro Stato. Diversa è anche la questione in quelle nazioni formate da vari complessi etnici, come avviene per le Americhe, dove, per esempio, gli emigrati italiani possono fare dei giornali per gli italiani, perché questi colà sono una notevole parte di popolazione; mentre invece in Italia, nella situazione del nostro Stato, nel quale non vi sono minoranze straniere, è estremamente pericoloso che gli stranieri possano assumere la direzione di giornali politici. Quindi noi invitiamo a tenere ferma la deliberazione presa.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Poiché si è aperta la discussione a questo riguardo e poiché ritengo che l’Assemblea Costituente vorrà ben ponderare prima di prendere una decisione definitiva, mi sembra opportuno insistere sulle osservazioni fatte già in modo così preciso dall’onorevole Cevolotto; e cioè occorre pensare alla importanza di questa questione non soltanto da un punto di vista interno, ma anche dal punto di vista della situazione degli italiani all’estero.

È evidente che molti paesi potrebbero sottoporre a condizioni di reciprocità l’ammissione degli italiani alla direzione dei giornali. Se si stabilisce nella nostra legge che la cittadinanza è un requisito necessario per essere direttore, è evidente che noi esponiamo gli italiani all’estero al pericolo di non poter pubblicare i giornali sotto la loro direzione. Ma c’è un’altra osservazione da fare (e mi riferisco specialmente a quanto ha detto l’onorevole Uberti): l’articolo di cui si parla non concerne soltanto i quotidiani politici, né solo i giornali politici: si riferisce a qualsiasi periodico, compresi, quindi, anche i periodici scientifici e le riviste.

Ora, nel nostro diritto, non è escluso che vi siano dei professori universitari, che non siano cittadini italiani. Può avvenire che qualche professore universitario, specialmente di certe materie tecniche, abbia a pubblicare una rivista scientifica. Perché vogliamo impedire questo, esigendo la condizione della cittadinanza?

Vi è ancora un’altra osservazione da fare nei riguardi dello straniero: quando sia il caso, può intervenire un provvedimento che non si può prendere nei riguardi di un cittadino, quello della espulsione.

Per queste diverse considerazioni, soprattutto la prima, e tenuto conto anche delle garanzie che risultano dalle leggi vigenti, mi parrebbe opportuno che l’Assemblea Costituente tornasse sull’argomento.

Per superare l’obiezione formale che una votazione c’è stata, proporrei di dire che sia ammesso ad assumere la direzione e la responsabilità di un periodico lo straniero residente in Italia da 5 anni. È una formula che permetterebbe di superare anche l’obiezione di ripetere la votazione su una cosa già decisa. La residenza di 5 anni sarebbe una nuova garanzia, con la quale sembra che potrebbero cadere le preoccupazioni che si oppongono. (Commenti).

PRESIDENTE. La questione proposta può essere risolta in base all’articolo 96 del Regolamento, che dice:

«Prima che il progetto di legge sia votato a scrutinio segreto, la Commissione o un Ministro potrà richiamare l’attenzione della Camera sopra le correzioni di forma che esso richieda, nonché sopra quegli emendamenti già approvati che sembrino inconciliabili con lo scopo della legge o con alcune delle sue disposizioni, e proporre le mutazioni che gli paiano opportune. La Camera, sentito l’autore dell’emendamento o un altro in sua vece, un membro della Commissione e il ministro, delibera».

Noi abbiamo delibato la questione. Opportunamente l’Assemblea ha discusso a fondo, ma la decisione deve essere rimandata al momento che precede la votazione a scrutinio segreto.

Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Ora, prego l’Assemblea di tornare all’articolo 3, del quale abbiamo lasciato in sospeso – su proposta dell’onorevole Schiavetti – la deliberazione sull’ultimo alinea.

L’ultimo alinea dell’articolo 3 dice che i giornali e gli altri periodici devono portare l’indicazione «del nome del proprietario responsabile».

CEVOLOTTO, Relatore. Propongo la seguente formula: «del nome del proprietario e del direttore o vice-direttore responsabile».

PRESIDENTE. Chiedo il parere del Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione la formula proposta.

(È approvata).

Risulta così approvato l’intero articolo 3. Passiamo all’articolo 7.

Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Registrazione.

«Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi.

«Per la registrazione occorre che siano depositati nella cancelleria:

«1°) una dichiarazione, con le firme autenticate del proprietario e del direttore responsabile, dalla quale risultino il nome e il domicilio di essi e della persona che esercita l’impresa giornalistica, se questa è diversa dal proprietario, nonché il titolo e la natura della pubblicazione;

«2°) i documenti comprovanti il possesso dei requisiti indicati negli articoli 5 e 6;

«3°) copia dell’atto di costituzione o dello statuto, se proprietario è una persona giuridica.

«Il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, verificata la sussistenza dei requisiti prescritti, ordina, entro 15 giorni, l’iscrizione del giornale o periodico in apposito registro tenuto dalla cancelleria.

«Il registro è pubblico».

PRESIDENTE, A questo articolo l’onorevole Schiavetti ha presentato i seguenti due emendamenti, già svolti:

«Inserire fra il n. 2°) e il n. 1°) del secondo comma il numero seguente:

«2°-bis) un documento attestante l’iscrizione del gerente responsabile nell’albo professionale dei giornalisti».

«Sostituire il penultimo comma col seguente:

«Il cancelliere, constatata la regolarità dei documenti prodotti, ne prende atto in apposito registro e ne rilascia ricevuta, attestando l’avvenuta registrazione».

Prego l’onorevole Relatore di volere esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. Si tratta di una delle questioni più delicate e più importanti di questo stralcio del disegno di legge. La questione sulla quale la federazione della stampa italiana ha più insistito, ritenendola veramente fondamentale, essenziale, è quella che il direttore del giornale debba essere iscritto nell’albo professionale.

Ora, a parte il merito, su cui naturalmente le opinioni possono discordare, è manifesto che vi è una forte corrente anche nell’opinione pubblica e nei partiti politici, che giustifica l’aspirazione dei giornalisti al professionismo, se fosse stabilita in una forma legislativa precisa. Si tratta di riservare ai professionisti la direzione dei giornali, escludendo chi non eserciti esclusivamente e professionalmente il giornalismo. Ora, a questa aspirazione della classe giornalistica, la Commissione, pur non prendendo posizione su questo punto, non è stata in realtà contraria. Non vi è stata una vera opposizione a questo punto di vista, che pure va meditato e discusso, sebbene parecchi Commissari abbiano espresso riserve: alcuni hanno osservato che questo, in un certo senso, potrebbe sembrare una limitazione della libertà del giornalismo; altri hanno fatto altre osservazioni. Per esempio, il rappresentante nella Commissione del Gruppo comunista, onorevole Molinelli, ha portato una considerazione che ha la sua importanza, cioè egli ha detto: «Ma voi allora volete impedire ad un anarchico individualista, che non si iscriverà mai all’albo dei giornalisti, di pubblicare un suo giornale e di esserne il direttore».

Ma, a parte queste considerazioni, che meriterebbero un esame approfondito, la ragione per cui non abbiamo messo nel testo la condizione dell’iscrizione all’albo è una altra, ed è una ragione formale. Secondo noi, l’attuale disciplina della tenuta dell’albo dei giornalisti non è definitiva e non è tale da consentire, che in questo momento si possa adottare una formula di questo genere. Infatti l’albo dei giornalisti, che è stato creato dal regio decreto 26 febbraio 1928, n. 384, è ora regolato dal decreto legislativo 23 ottobre 1944, n. 302. Ma questo decreto-legge, che è brevissimo, dà evidentemente una regolamentazione temporanea, transitoria, alla tenuta dell’albo. E non si capisce bene se sostituisca la legge del 1928 oppure se semplicemente introduca delle modificazioni a questa legge. Io credo che la sostituisca piuttosto che la modifichi; e ciò per una ragione essenziale, e cioè che, se la legge del 1928 non fosse stata sostituita, per tutto quanto riguarda la tenuta dell’albo, da questo decreto, e fosse ancora in vita, allora molto probabilmente la questione che noi facciamo non avrebbe ragione di essere, in quanto l’articolo 19 della legge del 1928 dice: «Il direttore o redattore responsabile di un giornale quotidiano deve essere iscritto nell’elenco dei professionisti». Il decreto-legge del 1928 ha avuto efficacia anche quando vigeva l’editto albertino, che non metteva alcun limite alla qualità di direttore del giornale, e potrebbe avere efficacia anche adesso, fino a che la nuova legge non la abrogasse o non si mettesse in contraddizione con essa.

Ora, siccome il chiedere altri requisiti non è mettersi in contraddizione con la legge che stabilisce questa norma, questa norma potrebbe avere ancora vigore. E avrebbe vigore anche dopo che noi avessimo votato il nostro stralcio. Viceversa non ha vigore neanche oggi, perché neppure in questo momento si richiede, per l’assunzione della direzione di un giornale, l’iscrizione nell’albo dei giornalisti, secondo il testo dell’articolo 19 della legge del 1928.

Ciò dimostra che il testo del 1928 si reputa, anche per questa norma, abrogato dal decreto luogotenenziale del 1944.

Ad ogni modo il decreto luogotenenziale del 1944 stabiliva che, fino a quando non saranno emanate le nuove norme, la tenuta dell’albo dei giornalisti è affidata ad un’unica commissione sedente in Roma e composta di non meno di 12 e non più di 15 membri nominati dal Ministro di grazia e giustizia, sentita anche la federazione della stampa italiana.

Tutto è dunque affidato a questa commissione unica.

Si tratta evidentemente di una regolamentazione provvisoria, in attesa della legge sull’albo dei giornalisti, che è in elaborazione e che deve dare definitivo assestamento a questa materia e stabilire le norme del professionismo giornalistico, in modo da dare delle garanzie assolute ai giornalisti stessi, di tutte le parti politiche, di tutte le provenienze, per la loro iscrizione e per la loro cancellazione. Ora queste garanzie, se nella disposizione transitoria sono tutelate dalla serietà di questa commissione nominata dal Ministero e dalla federazione, non sono comprese in una struttura organica di legge professionale.

Ho ricordato l’altro giorno a questo proposito che l’articolo 5 del decreto-legge del 1928 stabilisce che in nessun caso possono essere iscritti all’albo dei giornalisti, e qualora vi si trovino iscritti devono essere cancellati, coloro che avranno svolta un’attività in contraddizione con gli interessi della Nazione.

In una formula di questo genere ben si vede che cosa si può far entrare. Noi non vogliamo certamente mostrarci contrari alle aspirazioni dei giornalisti di avere una regolamentazione professionale seria, e di avere il riconoscimento della loro professionalità; ma piuttosto che adottare la formula dell’onorevole Schiavetti, che non mi pare sia opportuna in questo momento (perché noi dobbiamo pensare alla regolamentazione professionale che verrà dalla futura legge, mentre oggi abbiamo solo norme di origine fascista e questi articoli stralciati, che sono provvisori) credo che si potrebbe tornare a quella formula che aveva adottato la Commissione giornalistica che ha elaborato il primo schema di questa legge, e cioè la seguente: «ogni altro documento che venga richiesto da successive leggi relative alla professione giornalistica».

È una formula un po’ di transazione e di transizione, ma mi pare risponda al momento. Penso che la formula Schiavetti sia prematura e pericolosa, mentre invece questa formula lascia aperta la via alle legittime aspirazioni dei giornalisti, con le dovute necessarie cautele.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Mi associo all’emendamento dell’onorevole Schiavetti e prego gli onorevoli colleghi e il Governo di fare particolarmente attenzione alla delicatezza della decisione che stiamo per prendere.

La questione dell’albo professionale è una questione fondamentale per i giornalisti italiani. Noi ci troviamo di fronte ad un ordinamento che pone l’attività del giornalismo su un piano di dignità, di selezione e di responsabilità morale e politica, e dà all’attività giornalistica le assolute garanzie nel campo economico e sindacale.

Ora, se è vero – come ha detto l’onorevole Cevolotto – che la legislazione sull’albo possa anche subire delle modifiche, però è altrettanto vero che la disciplina dell’albo giornalistico è stata confermata sia da un decreto luogotenenziale, sia da una solenne deliberazione dei giornalisti dopo il congresso di Napoli. L’attività professionale giornalistica è oggi regolamentata in Italia dall’albo, il quale è stato ricostituito e per cui sono state emanate anche di recente norme specifiche che hanno facilitato l’iscrizione all’albo di tutti quei professionisti che ne erano degni, sia per avere fatto del giornalismo in periodo clandestino, sia per requisiti di carattere culturale e morale.

Ora, se noi non sottolineassimo in questa legge la esistenza dell’albo, verremmo ad ammettere il principio che il giornalismo possa essere esercitato in Italia anche prescindendo dall’iscrizione all’albo, e le conseguenze sarebbero gravissime. Per portare un esempio, le norme sul contratto collettivo per i giornalisti verrebbe a cadere. (Commenti).

A proposito della tesi sostenuta dell’onorevole Cevolotto il quale afferma che oggi siamo di fronte ad una legislazione provvisoria, altrettanto dobbiamo dire di questa legge dal momento che abbiamo deciso che la legge sulla stampa non è legge costituzionale, ma, attraverso lo stralcio, diventa una codificazione transitoria – che ci consente di fare domani tutte quelle modifiche che si ritengano opportune e necessarie. Quindi, se per ipotesi la Camera di domani volesse sancire che l’esercizio del giornalismo non deve avere nessuna tutela e garanzia, allora si sarà in tempo a modificare questa legge.

A conferma di questo mio giudizio aggiungo, a tranquillità dei colleghi che hanno questa preoccupazione, che l’albo non rappresenta nessuna limitazione all’attività di pensiero. Oggi, sui giornali possono scrivere tanti, sia attraverso la categoria dei pubblicisti, sia uomini votati ad un’attività politica militante, a qualsiasi ceto appartengano. L’albo è semplicemente la codificazione che l’attività professionale giornalistica continua deve essere svolta soltanto da professionisti che diano quelle particolari garanzie di moralità, di competenza e di responsabilità.

Quindi mi associo all’emendamento dell’onorevole Schiavetti e credo che sia importante che il Governo accolga quello che non è soltanto il voto dei deputati giornalisti ma di tutta l’organizzazione dei giornalisti italiani, i quali, attraverso un ordine del giorno, hanno fatto voti perché l’Assemblea Costituente venga incontro a questo desiderio di una classe benemerita per la sua attività, anche dal punto di vista politico.

TREVES. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Credo che pochi sappiano veramente che cosa sia la professione del giornalista e che moltissimi ne abbiano quella nozione piuttosto vaga che ha il pubblico in genere, cioè che la professione del giornalista non è una vera professione, che tutti la sanno fare, che tutti sanno scrivere nei giornali e che in teoria tutti potrebbero scrivere nei giornali meglio dei giornalisti professionisti.

Questa è l’opinione che temo prevalga anche in questa Assemblea, mentre nessuno pensa che per fare il medico tutti saprebbero farlo meglio dei laureati in medicina. Io penso che chi ha conoscenza della professione del giornalista – e non soltanto noi giornalisti – non possa non essere a favore dell’albo e non dare all’albo questo valore preciso. So benissimo che si possono fare delle obiezioni, per esempio quella che è stata fatta dal collega Molinelli sui giornalisti anarchici.

MOLINELLI. Non soltanto questi.

TREVES. Ma quando uno arriva a queste posizioni spirituali estreme, allora anche il medico anarchico può rifiutarsi di fare il medico perché non è iscritto nell’albo dei medici. Non mi sembra che sia una obiezione tale da infirmare il principio generale. Penso quindi che quando si tratta del direttore del giornale, cioè effettivamente della persona che è responsabile di tutto l’andamento del giornale, della persona cui abbiamo dato con questa legge precise responsabilità morali e penali, non possa essere che un giornalista professionista che sappia, non solo tecnicamente, quella che è la professione, e ne senta anche il valore morale.

E come si stabilisce chi è giornalista professionista, cioè colui che ha questa cognizione tecnica e morale del giornalismo, se non attraverso l’albo? Mi rendo conto delle difficoltà attuali e dei dubbi dell’onorevole Cevolotto. Ho dei dubbi anch’io in questo momento. Oggi, effettivamente, l’albo non è quello che noi giornalisti ci auguriamo che sia: quello che dia quella disciplina e quel valore specifico alla nostra professione. Tuttavia, anche se questa legge è una legge che durerà quello che durerà e che il prossimo Parlamento può modificare, non sappiamo in realtà quanto tempo possa durare. Potrà durare parecchio tempo, e noi lo speriamo, e mi sembra un pericolo se non regoliamo la posizione del direttore responsabile.

Tutto sommato, pur rendendomi conto delle difficoltà, penso che sia meno pericoloso, proprio per la dignità del giornalismo e quindi anche per la libertà di tutti i cittadini, di non abbandonare questa posizione di responsabilità non solo per il giornalista, ma proprio la responsabilità verso tutto il pubblico, nelle mani di coloro che possono non avere (pur essendo degnissime persone) quella speciale sensibilità di fronte al proprio compito che ha il giornalista professionista regolarmente iscritto nell’albo dei professionisti. E quando noi diciamo che il responsabile del giornale deve essere iscritto nell’albo, non diciamo certo che tutti coloro che occasionalmente possono collaborare al giornale debbano essere, direi, corporativamente iscritti nell’albo professionale; è una sola persona, in tutto il complesso dei lavoratori di un determinato ambiente, che noi desideriamo abbia qualifica di giornalista professionista e quindi sia iscritto nell’albo. Non credo che vi sia alcuna limitazione alla libertà dei singoli se noi giornalisti di quest’Aula chiediamo questa qualifica, questo riconoscimento specifico della qualità di giornalista, per il direttore responsabile. (Applausi).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Relativamente a questo argomento, volevo fare due brevissime osservazioni. La prima è che il requisito del direttore responsabile è, naturalmente, generico per tutte le qualità di periodici, e cioè, ad esempio, per le riviste anche tecniche, religiose, mediche, giuridiche, fotografiche, ecc. Ora, se noi facciamo una disposizione di carattere generale la quale dispone che il direttore deve essere iscritto nell’albo, noi creiamo, anche per quelli che sono i riflessi speciali del contratto collettivo, addirittura impossibilità di vita per una quantità di periodici e di riviste dei più disparati rami dello scibile che oggi vivono la loro vita normale, fisiologica e che non capisco perché debbano essere improvvisamente disturbati da questa nuova legge. E questa è una osservazione che mi pare di notevolissimo peso.

Riguardo alla seconda, io riconosco in teoria tutto il contenuto morale di questa esigenza inerente al fatto che per esercitare la professione di giornalista sia necessario essere iscritto nell’albo professionale, ma faccio osservare che quando si fa riferimento ad una equiparazione con altre professioni – all’avvocato, all’ingegnere, al medico – si fa riferimento ad una attività di persone di cui l’istruzione è regolata dalla legge, la quale mette capo ad un certificato di idoneità rilasciato dall’organo competente dello Stato. Ora l’equiparazione immediata fra iscrizione all’albo ed esercizio della professione di giornalista porta questa conseguenza, che per essere iscritto nell’albo bisogna essere giornalista, ma per essere giornalista bisogna essere iscritto nell’albo e quindi v’è una situazione assolutamente inestricabile e che si risolve poi in fatto nel diritto di coloro che sono i componenti degli organi che tengono l’albo, di riconoscere, con una più o meno relativa arbitrarietà, i requisiti di coloro che pretendono o richiedono di essere iscritti nell’albo. Quando io sono avvocato munito di una laurea e ho fatto un determinato esame, non è più discutibile la mia iscrizione nell’albo: presento i documenti previsti dalla legge e l’iscrizione è obbligatoria. Ma relativamente all’esercizio della professione giornalistica, quando per esercitarla bisogna essere iscritti nell’albo, e quando non essendo iscritti nell’albo non si può, ad esempio, essere direttore di un giornale, non vedo come sia facilmente superabile la difficoltà per la situazione attuale circa un preteso regolamento giuridico che finisce per risolversi poi in limitazioni all’esercizio delle facoltà e delle libertà del cittadino. Per queste due osservazioni chiedo di avere dei chiarimenti sulla portata dell’emendamento restrittivo proposto.

MANZINI. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. L’albo è una istituzione che contempla già questo caso, perché l’albo è composto di tre categorie: l’albo dei professionisti che riguarda appunto l’attività del giornalismo quotidiano, l’albo dei pubblicisti, e poi vi è anche una categoria speciale.

FABBRI. Da chi è riconosciuto l’albo?

MANZINI. Dallo Stato, col noto decreto luogotenenziale. Tutti i bollettini parrocchiali hanno ad esempio un direttore che è un sacerdote, il quale non deve essere giornalista professionista. Si chiama categoria C e vi si contempla appunto il caso che il collega ha fatto. Per una rivista tecnica non v’è bisogno che si sia giornalisti professionisti per dirigerla.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Io volevo aggiungere alle considerazioni che ha fatto l’onorevole Fabbri, questa e cioè: mi sembra che troppe volte in questa legge si parli genericamente insieme di giornali e di periodici. Ora, quando si parla di giornali si deve intendere giornali quotidiani?

Una voce. No.

FUSCHINI. Allora vorrei domandare che cosa vuol dire giornale periodico, perché qui si fa una confusione che è gravissima nelle sue conseguenze.

Vi è una quantità di pubblicazioni che possono soggiacere a quella disciplina che si deve volere e che noi vogliamo per i giornali quotidiani. Ma non possiamo estendere ai periodici, alle riviste, ai giornali settimanali, che hanno un’importanza molto limitata, tutte le garanzie stabilite dalla legge che stiamo esaminando. Per quel che si riferisce al direttore responsabile, che si vuole iscritto all’albo professionale, noi dobbiamo distinguere. Se si riferisce ai giornali quotidiani, non abbiamo nessuna difficoltà a dire che è necessario che coloro che dirigono questi giornali siano iscritti all’albo professionale, quando naturalmente questo albo sarà riconosciuto da una legge del Parlamento. Perché non possiamo ritenere che la legge approvata dal fascismo, riguardante appunto l’albo professionale, possa valere oggi, in regime di libertà di stampa. Pertanto io modificherei l’emendamento Schiavetti in questo senso:

«un documento attestante che il direttore o il vice-direttore responsabile di giornale quotidiano sia iscritto nell’albo professionale dei giornalisti non appena questo sarà istituito».

Questo, per mettere in chiaro che noi accettiamo, come ho detto, che il requisito professionale sia richiesto per la stampa quotidiana, ma non per tutte le altre pubblicazioni periodiche.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Parlo a nome personale, perché non voglio coinvolgere la responsabilità della Commissione. Mi dichiaro contrario all’accettazione dell’emendamento Schiavetti, e non per la sola ragione che ha citato l’onorevole Treves, ma per un’altra, fondamentale. L’altro giorno, l’onorevole Bettiol diceva che la stampa è pensiero. La verità forse non è questa. Oggi la stampa è, oltreché manifestazione e diffusione di pensiero, anche industria della carta stampata. E quando l’onorevole Schiavetti parlava di degenerazione morale della stampa, in realtà intendeva riferirsi a quella degenerazione dovuta all’industrializzazione ed alla monopolizzazione della stampa, alla quale ha fatto cenno l’onorevole Scoccimarro. Ma, parlandone, noi intendiamo qui riferirci alla stampa come mezzo di diffusione del pensiero; e siccome non v’è cittadino il quale non abbia il diritto e il dovere di avere un pensiero e di diffonderlo, sarebbe incongruente, secondo me, che noi limitassimo ad una parte dei cittadini il diritto di diffondere il loro pensiero attraverso la stampa.

Per questa ragione io sono contrario all’obbligatorietà dell’iscrizione nell’albo professionale del direttore responsabile.

Ricordo un episodio. Durante il periodo fascista sono stato per qualche tempo impiegato in una casa editrice che stampava un periodico e della quale casa editrice non faceva parte nessun fascista e quindi nessun iscritto all’albo dei giornalisti. Per pubblicare il periodico era necessario avere un direttore responsabile, iscritto all’albo dei giornalisti; Ebbene: il direttore veniva una volta al mese, quando si trattava di riscuotere lo stipendio.

SCHIAVETTI. Allora l’albo aveva un significato politico, che non deve più avere.

MOLINELLI. Convengo che accanto alla stampa intesa come diffusione del pensiero vi è una stampa di informazione e una stampa varia, nella quale il giornalismo diventa professione e come tale richiede organizzazione, sindacato ed anche albo dei giornalisti.

Ma non mi pare che questa sia ragione sufficiente per imporre l’obbligo a chiunque stampi un giornale di avere un direttore responsabile iscritto nell’albo dei giornalisti.

Per questa sola ragione sono contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Schiavetti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Dichiaro, come ha dichiarato il collega Molinelli, che esprimo il mio pensiero personale, il quale non solo non vincola il pensiero degli altri componenti la Commissione, ma neppure il pensiero dei colleghi del mio Gruppo.

Io ritengo che, qualunque sia la nostra convinzione sulla opportunità di porre come condizione la iscrizione nell’albo giornalistico, non si possa risolvere questa questione se prima non si sia provveduto a legiferare intorno all’albo dei giornalisti.

È fuori di discussione: quando si entri nell’ordine di idee sostenute dal collega Schiavetti, si viene a limitare notevolmente l’esercizio del diritto di stampa. Non so se si possa anche dire che si va contro ad una tassativa e precisa disposizione della Carta costituzionale, che abbiamo approvato così di recente, che non abbiamo ancora il diritto di dimenticare neppure in qualche particolare. Non ricordo testualmente l’articolo, ma ne ricordo il contenuto, che è certamente presente alla memoria di tutti.

La Carta costituzionale riconosce a tutti il diritto di manifestare anche per mezzo della stampa, oltre che con altri mezzi di diffusione, il proprio pensiero.

A parte questa questione, che potrebbe essere pregiudiziale, io chiedo ai sostenitori del principio dell’obbligatorietà dell’iscrizione nell’albo se non riconoscano che una limitazione all’esercizio del diritto di stampa con questa prescrizione si pone. Potrà trattarsi di un’utile limitazione. Ma è certo che basta che a Tizio o a Caio sia stata negata l’iscrizione nell’albo, o ne sia stato cancellato, perché egli perda ipso facto, secondo questa proposta, la possibilità, di esercitare la sua attività di giornalista.

Vorrei che i sostenitori dell’iscrizione nell’albo convenissero in questo: che si può essere favorevoli a questa limitazione della libertà di esercizio del diritto di stampa…

MAZZONI. Non è una limitazione.

TARGETTI. Si può essere dell’opinione del collega Mazzoni e non ritenerla una limitazione – non facciamo apprezzamenti in merito – ma dico: si può essere favorevoli all’obbligatorietà dell’iscrizione nell’albo a condizione però di avere la certezza che quest’albo sia regolato da norme che assicurino il rispetto del diritto all’iscrizione di chi tale diritto possiede. Che ci diano la garanzia che non si possano avere cancellazioni arbitrarie. Quando, per analogia, si ricordano altri albi bisogna anche ricordare la disciplina a cui sono sottoposti. Domando ai colleghi sostenitori dell’obbligo dell’iscrizione se non ritengano la cosa prematura o meglio se non riconoscano che sia un anteporre cosa che dovrebbe essere posposta, stabilendo oggi un obbligo tassativo in materia. Giacché non siamo in sede di approvazione di una vera e propria legge sulla stampa, ma siamo rimasti nell’intesa che si stabiliscono soltanto alcune disposizioni, si dovrebbe esser tutti d’accordo nel rimandare la risoluzione di codesta questione a quando sarà regolata la tenuta dell’albo dei giornalisti da norme che offrano ben altre garanzie di quelle vigenti.

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Se l’onorevole Targetti si riferisce ad una questione procedurale, posso anche riconoscere che egli ha ragione. Prima di stabilire che dobbiamo ammettere l’albo, bisogna evidentemente stabilire che cosa è questo albo, che non sia cioè una cosa astratta, nella quale cadiamo senza sapere dove si cade. Ma dove non posso assolutamente arrendermi è nel concetto, veramente aberrante che l’albo sia una limitazione di libertà. Ma che limitazione! L’albo si riferisce ai direttori ed a coloro che assumono la responsabilità morale e politica del giornale e non a tutti quelli che sono liberissimi di scrivere quando, come e dove vogliono. Qui si cade nel solito sproposito di confondere la libertà col disordine. Libertà vuol dire diritto per tutti di dire il proprio pensiero, ma il giornalismo non deve essere né diventare l’organizzazione dei rifiuti e degli anonimi. Per questo dico: il giornalismo deve garantire la propria dignità, ed entro questa dignità la libertà è per tutti: l’albo non viola questa libertà.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Onorevoli colleghi, questa che discutiamo è una questione scottante, che appassiona tutta la classe giornalistica, anche se non vi apparteniamo più, abbiamo avuto con essa stretti rapporti e ne abbiamo quotidianamente.

I giornalisti reclamano che il direttore di giornale sia iscritto nell’albo professionale. La questione è già venuta dinanzi alla Commissione, che ha elaborato il progetto, ed è stata oggetto di consensi e di dissensi.

Il relatore della Commissione, nominata dalla Presidenza del Consiglio, ha anche accennato a questa diversità di opinioni. L’onorevole Fabbri ha fatto presente all’Assemblea che, oltre ai giornali politici, vi è una quantità di altre pubblicazioni, che non sono quotidiane, e che si occupano di studi scientifici, letterari, tecnici. Già fin da allora, durante i lavori della Commissione, il relatore faceva presente e richiamava l’attenzione su questo punto osservando:

«Questa la principale ragione per cui si è stimato pericoloso proporre anche per i direttori di periodici strettamente scientifici l’obbligo della iscrizione senza in precedenza aver avuto la sicurezza che tale iscrizione non possa in nessun modo reagire sugli enti che provvedono alla pubblicazione dei periodici stessi, turbandone la struttura economica e giuridica; dirò di più: senza avere la sicurezza che, per effetto della iscrizione, gli operai della scienza non rischino di trovarsi, magari di sorpresa, sottoposti a norme statuite a protezione della propria categoria da persone che, in un campo diverso dal loro, attendono ad occupazioni, certo non meno stimabili delle loro, ma di queste assai diverse».

L’onorevole Fabbri ha toccato questo testo, che fu richiamato anche dall’onorevole Fuschini. In primo luogo sorge, su questo punto, la questione del direttore dei giornali quotidiani politici e del direttore di riviste, di settimanali, di periodici tecnici, religiosi ecc. Mi pare che, mentre si può ritenere opportuno che il direttore di un giornale politico sia iscritto all’albo professionale dei giornalisti e sia professionista, bisogna però escludere questa necessità e questo obbligo da parte di tutti i direttori di altri fogli, pubblicazioni, riviste ecc., che non esigono nella loro attività una specializzazione prettamente professionale.

Io ritengo che l’onorevole Schiavetti vorrà concordare su questo punto sostanziale.

SCHIAVETTI. Dette pubblicazioni sono già escluse in grandissima parte.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Nel suo emendamento l’esclusione non appare, anzi si parla di albo professionale.

Io ricordo che cosa è stato l’albo giornalistico durante il fascismo e ricordo che sono stato escluso dalla professione giornalistica essendo stato cancellato anche dall’associazione giornalistica di cui facevo parte. Quindi, noi dobbiamo procedere cautamente su questo terreno.

Qui ci si domanda di imporre, come condizione essenziale all’esercizio della direzione di un giornale, l’iscrizione nell’albo giornalistico. L’onorevole Cevolotto ed altri colleghi hanno fatto presente come questi albi oggi siano una cosa provvisoria, perché la legge che disciplina gli albi non è ancora stata redatta e approvata. Anche per gli avvocati è necessaria l’iscrizione nell’ordine degli avvocati, ma vi è una legge che regola tutta questa attività che garantisce i singoli contro ogni violazione del loro diritto. (Interruzione del deputato Schiavetti).

La Commissione che aveva redatto il primo testo aveva già fatto questa considerazione ed infatti aveva proposto che fra le condizioni per ottenere la direzione di un giornale vi fosse anche quella di presentare «ogni altro documento che venga richiesto da successive leggi relative alla professione giornalistica».

Mi pare che la proposta del relatore Cevolotto di tener presente questa proposta e di aggiungere magari nell’elenco delle condizioni necessarie alla registrazione per quando l’albo sarà regolato da una legge, possa essere presa in considerazione, con la riserva avanzata dall’onorevole Fuschini, che credo verrà concretata in un emendamento, e cioè con riguardo esclusivo e particolare ai direttori dei giornali politici quotidiani.

In questo senso, mi pare, onorevoli colleghi, che noi andiamo incontro ai giusti desiderata della classe giornalistica, e nello stesso tempo teniamo anche in buona considerazione quella che è la realtà del momento presente, in cui la professione giornalistica non è ancora regolata da una legge che garantisca i diritti, le libertà e le facoltà di ognuno.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Qui si tratta di stabilire il principio dell’albo. Noi vogliamo che nello stralcio della legge sia affermato il principio del mantenimento dell’albo professionale dei giornalisti, affinché esso non possa essere messo in dubbio in avvenire.

Coloro i quali hanno parlato degli albi dei medici, dei farmacisti ecc. devono ritenere che a maggior ragione vi è necessità di un albo dei giornalisti, perché per le professioni su citate v’è un titolo di studio che garantisce che costoro possono esercitare la propria professione degnamente. Per quanto riguarda il giornalismo, invece, questo titolo di studio non è richiesto ed è necessario perciò che vi sia una regolamentazione seria, con l’imposizione di un tirocinio, del quale l’onorevole Fabbri non ha tenuto conto quando ha trattato la questione. La contradizione cui egli ha accennato si risolve, quando di contradizione si possa parlare, con l’introduzione del tirocinio, che è in vigore da molti anni. (Interruzione del deputato Fabbri). D’altronde, per molti altri aspetti della nostra vita pubblica, sociale, economica ecc., noi siamo ancora sotto la legislazione fascista.

PRESIDENTE. Tenga presente, onorevole Schiavetti, che noi oggi ci occupiamo non della professione dei giornalisti ma delle disposizioni riguardanti la stampa.

SCHIAVETTI. Io voglio dire che parlando dell’albo noi ci riferiamo a una legge che c’è già, una legge che appartiene al periodo fascista e che è stata soltanto epurata da talune disposizioni di carattere tipicamente politico; tutte queste sono cadute, ma resta il fatto che per esercitare la professione di giornalista è necessario ancora oggi essere iscritti in un certo albo, albo che di per sé, nella sua organizzazione generale, e per quel che non attiene alla politica, è abbastanza ragionevole e libero. Esso comprende diverse categorie e non ha mai tolto a nessuno la libertà di scrivere sui giornali.

V’è possibilità, cioè, di scrivere per tutti, e vi sono soltanto limitazioni di carattere tipicamente professionale. Si confonde spesso, parlando di giornalismo, tra quello che vi è di letterario e di artistico e quello che invece riguarda la tecnica e l’organizzazione del giornale o del foglio che offre occasione ai collaboratori di scrivere; ora si tratta di disciplinare la vera e propria professione del giornalismo, e non da un punto di vista politico, dato che nessuno di noi pensa di introdurre esclusioni o condizioni di carattere politico. Si tratta soltanto di introdurre condizioni di carattere professionale, e io mi meraviglio che un uomo come l’onorevole Targetti possa ancora pensare che costituisca una limitazione della libertà il fatto di esigere dai giornalisti che siano iscritti a un ordine professionale. Qualcuno ha anche parlato della possibilità di un colpo di maggioranza che possa escludere i giornalisti dal diritto di appartenere all’albo e di esercitare la relativa professione; ma questo è semplicemente grottesco. Si possono formulare tutte le ipotesi che si vogliono, ma nella organizzazione di un albo professionale, quando ci siano certi requisiti obiettivi, non c’è posto per nessun colpo di maggioranza né per la preparazione di alcun arbitrio.

Io penso che l’albo gioverà moltissimo a mantenere la dignità della professione giornalistica e che contribuirà anche a mantenere l’ordine nell’esercizio della professione, perché renderà possibili alcune sanzioni che in molti casi sarebbe difficile stabilire per legge contro i diffamatori e il malcostume della vita politica e giornalistica, a tutela della moralità e della onestà professionali.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha. facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Non mi pare che la preoccupazione dell’onorevole Fabbri abbia fondamento, in quanto, per il decreto-legge del 1928, «all’albo dei giornalisti è annesso un elenco speciale nel quale sono iscritti coloro che, pur non esercitando attività retribuita di giornalisti, attendono a pubblicazioni ed assumono responsabilità di riviste scientifiche o tecniche, escluse quelle sportive o cinematografiche, o di pubblicazioni periodiche prive di carattere concettuale, o aventi semplici finalità commerciali».

Questi ultimi direttori di periodici devono essere iscritti nella parte professionale dell’albo, gli altri soltanto nell’elenco annesso. Quindi alla preoccupazione manifestata oggi dall’onorevole Fabbri aveva già ovviato la legislazione precedente.

FABBRI. Nell’elenco si può essere iscritto dopo che si è cominciato a fare del giornalismo: ora invece si vuole stabilire che si deve essere iscritti prima di cominciare.

CEVOLOTTO, Relatore. La questione è semplice: chi diventa direttore di una rivista giuridica semplicemente si fa iscrivere nell’elenco annesso all’albo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Sì: è la legge che lo dice.

CEVOLOTTO, Relatore. Vi è tuttavia una diversa difficoltà. L’onorevole Schiavetti ha detto che gli articoli 5 e 19 della legge del 1928 non sono più applicati. Va bene: ma sono stati abrogati? Poiché voi sostenete che il decreto-legge del 1928 non è caducato per l’entrata in vigore del decreto del 1944, dovreste sostenere che non sono stati abrogati. Voi (dico «voi» perché l’onorevole Schiavetti fa parte della Commissione incaricata della tenuta dell’albo) non li applicate; ma potreste applicarli. Se la legge è ancora in vigore, voi potreste applicarli. Non sono applicati perché l’attuale Commissione per la tenuta dell’albo è composta di democratici, ma domani una nuova Commissione, che fosse composta di reazionari, potrebbe applicarli. Questa è la situazione.

Il decreto del 1944 comincia con queste parole:

«Fino a quando non saranno emanate nuove norme sulla professione dei giornalisti, le funzioni della tenuta degli albi sono affidate a una unica commissione sedente a Roma». Dunque, disposizione meramente transitoria e che prevede una nuova regolamentazione seria, democratica, della professione del giornalista; non solo, ma che, prevedendo un’unica commissione, esclude ogni gravame da parte di chi venga cancellato dall’albo oppure non vi venga ammesso. (Interruzione del deputato Schiavetti).

La Commissione attuale, ripeto, è degnissima, è composta di giornalisti che sarebbero incapaci di qualunque mancanza verso la loro stessa dignità. Ma, come dico, non dobbiamo badare alla Commissione attuale: dobbiamo badare al sistema legislativo, per il quale oggi non vi è un albo dei giornalisti regolato da una legge democratica; vi è un elenco tenuto da una commissione di giornalisti. Questa è la vera situazione.

Tutto quello che oggi si può fare per andare ai desiderata dei giornalisti professionisti è di stabilire che, quando la futura legge sulla professione dei giornalisti detterà condizioni (e se le detterà), esse saranno osservate ai fini della applicazione della legge sulla stampa. Ma non possiamo andare più in là, e cioè ammettere che l’iscrizione all’attuale albo sia condizione assoluta per l’esercizio della funzione direttoriale.

Quindi insisto perché si torni alla formula della Commissione ministeriale, così modificata: «ogni altro documento che venga richiesto da successive leggi relative all’albo dei giornalisti».

In questo modo si verrebbe a prevedere esplicitamente che quanto la legge sull’albo dei giornalisti sancirà – quando sarà legge democratica – sarà veramente osservato.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Questo per i direttori dei quotidiani?

CEVOLOTTO, Relatore. Ma si capisce, perché la futura legge terrà conto, come teneva conto la legge del 1928, della situazione dei direttori che non sono direttori di quotidiani; è evidente cioè che su questo punto la formula della legge del 1928 – o altra equivalente – sarà riprodotta nella legge nuova.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ho chiesto di parlare non perché voglia fare dichiarazioni che riguardano il merito, sibbene perché mi ha colpito l’ultima proposta fatta dall’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE. L’ha fatta un’ora fa, onorevole Mastino.

MASTINO PIETRO. Non credo che occorra seguire il metodo suggerito dal Relatore, perché è naturale che, quando vi sia una nuova legge, essa sia applicata, e sarebbe strano dire fino da oggi che rispetteremo la legge futura.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Desidero fare una precisazione. Quanto ho detto in quest’ultimo momento, poiché non ho avuto il tempo di interrogare gli altri colleghi della Commissione, l’ho detto a titolo del tutto personale.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo sulla proposta dell’onorevole Cevolotto?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Vorrei fare a mia volta una proposta. Dato che, con lo sfrondamento che noi abbiamo fatto di parecchi articoli di questo disegno di legge, abbiamo indirettamente guadagnato del tempo e dato che, dalla discussione fatta questa sera, si è chiaramente accertato che la maggior parte di noi non ha mai preso visione delle leggi che regolavano e che tuttora in parte regolano l’albo dei giornalisti – tanto che sono state presentate proposte in parte superflue e in parte scaturenti da presupposti infondati – io vorrei, se la Presidenza ne conviene, che la votazione sulla questione fosse fatta all’inizio della seduta di domani.

Mi sembra infatti strano che, dopo che la Federazione della stampa ha presentato attente e ponderate conclusioni, si sia qui quasi irriso ad esse. Indubbiamente vi è stata qualche corrente politica che ha influenzato la nostra discussione mutandone l’indirizzo, tanto che noi abbiamo anche potuto assistere alla formulazione, da parte dell’amico onorevole Molinelli, di proposte di pretta marca liberale.

MOLINELLI. Vi spostate voi: ci spostiamo anche noi.

PRESIDENTE. Il Governo ha proposto di rinviare a domani le votazioni sull’articolo in esame.

Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

La seduta termina alle 20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa. (15).

MARTEDÌ 13 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLIX.

SEDUTA DI MARTEDÌ 13 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Risposte scritte ad interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Disposizioni sulla stampa (15).

Labriola

Calosso

Scoccimarro

Cevolotto, Relatore

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Per una interpretazione autentica della XVII disposizione transitoria de la Costituzione:

Presidente

Sansone

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Interrogazione (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Zotta.

(È concesso).

Risposte scritte ed interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato risposte scritte a interrogazioni presentate da onorevoli deputati.

Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi.

Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa (15).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa (15).

È iscritto a parlare l’onorevole Labriola. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. Il mio intervento, onorevoli colleghi, non prenderà molto tempo: esso è quasi limitato ad una dichiarazione di voto in cui esporrò le ragioni in forza delle quali voterò contro la legge.

Da un pezzo non reputavo necessario prendere parte ai lavori dell’Assemblea, perché appunto pensavo che, purtroppo, oramai, le questioni essenziali sono risolute dai partiti, nelle loro stanze interne. Tuttavia alcune delle osservazioni le quali vennero fatte ieri in questa Assemblea da taluno dei nostri colleghi, mi hanno persuaso che, sia pure a titolo meramente dichiarativo, un intervento sia consigliabile.

Questa discussione, se mai, mi ha persuaso che la faccenda: destra o sinistra, è puramente accademica. Propositi di destra furono pronunziati a sinistra, ed a destra si esposero censure che dovevano essere dichiarate a sinistra.

Se la destra è autorità e la sinistra libertà; a sinistra c’è forse più autorità che a destra.

Il problema: conservatori o progressisti, sciaguratamente, non ha più senso nelle nostre Assemblee, dominate dai partiti e dai loro agglomerati parlamentari.

Prima di accennare alle osservazioni che il testo governativo della legge suggerisce, io desidero intrattenervi un semplice istante su una proposta la quale è stata affacciata dall’onorevole Giannini. Ha detto l’onorevole Giannini che sarebbe espediente non trattare la discussione di questa legge nella sede presente e rinviarla alla futura riunione del Parlamento ordinario.

A me pare che la proposta, come non è stata sufficientemente dimostrata dall’onorevole Giannini e non mi è parsa sostenuta da valevoli ragioni, non corrisponda alle condizioni di necessità dell’Assemblea. Abbiamo tutto il tempo possibile per poter discutere questa legge. In un certo senso è molto utile che questa legge si discuta. Nessuno ci urge ad affrettare il tempo della discussione e la questione è di interesse pubblico. La discussione degli emendamenti ci permetterà appunto di approntare un testo conforme alle esigenze del problema.

Aggiungo un’altra osservazione a proposito della proposta che l’onorevole Giannini ha fatto in questa Assemblea di rinviare la discussione ad un’altra Assemblea. La futura Camera, se lo crederà, potrà mutare il testo che noi le avremo trasmesso. Invece di rifiutarci di discutere il presente progetto, noi possiamo rimetterci al futuro Parlamento, per un testo nuovo, per una modificazione di quello che avremo approvato, o per la sua conservazione. Il rinvio della discussione è una superfluità, o uno schivare le responsabilità.

Il senso della presente discussione così dirò per entrare in materia è tutto dato da un contrasto che si è creduto di porre in rilievo: libertà contro licenza, e le parti più sgradevoli dell’attuale progetto sono state poste sul conto di una difesa che s’intendeva compiere della libertà contro la licenza.

Si è detto: noi vogliamo tutelare la libertà di stampa, ma non possiamo consentire a una licenza la quale si chiami libertà di stampa. Ho voluto richiamare questo punto perché i soli tre uomini politici e pensatori i quali dell’argomento si sono occupati in sedi e momenti differenti, dico successivamente, Robespierre, Humboldt e lo Stuart Mill, l’artificio di questa distinzione hanno voluto notare.

Licenza, libertà. Tutte le volte in cui alla libertà si è voluto fare oltraggio si è detto che questo si faceva per impedire la licenza, ma che sia licenza, nella sua differenza dalla libertà, ho pensato vedere e non ci sono riuscito.

In un discorso dell’11 maggio 1791, Massimiliano Robespierre si occupava della questione della libertà di stampa e proponeva all’Assemblea di adottare un disegno che corrispondesse alla sentenza della Dichiarazione d’indipendenza americana; sostanzialmente, nemmeno lui sapeva operare questa differenza fra libertà e licenza.

Egli andava tanto oltre, da dire che neanche in materia di diffamazione, la questione della licenza può proporsi. La diffamazione non trova un argine, un limite se non nell’opinione. Se c’è diffamazione contro la giustizia, contro la saggezza, essa sarà colpita dalla opinione pubblica e la repressione del fatto è dovuta dall’opinione pubblica. Naturalmente, qui si parla della diffamazione a mezzo della stampa. Ma la legge punisce in genere la diffamazione perché delittuosa, ed oltre la legge generale non si deve andare.

Ricordo per me stesso che le tesi di Robespierre sulla libertà di stampa, son poi la traccia delle più minute ed estese trattazioni sul tema della libertà tanto di Wilhelm von Humboldt, quanto dello Stuart Mill. Ad esse non vi è nulla da aggiungere, sebbene adesso la partitocrazia, fra le tante sue deviazioni, della libertà non parli più se non come uno strumento della parte. E quindi accade che mentre della libertà rintronino le nostre orecchie tutti, poi, son pronti ad immolarla. È chiaro, infatti, che se la libertà deve servire a me, perché essa mi serva, io la debba negare al mio avversario, ad ogni modo alle parti diverse dalla mia o ad essa opposte.

La libertà è un edificio, al sommo del quale io pongo la libertà di stampa. Persino quella di riunione è ad essa minore, e se dovessi scegliere, per elezione impostami, fra l’una, l’altra, appunto quella di stampa eleggerei. La conclusione è che nulla contro la libertà di stampa deve praticarsi. Soltanto per mezzo suo, noi siamo quello che siamo. Rispettiamola con senso religioso della sua essenza.

Il testo che ci è stato offerto, come tutti gli altri testi su questo argomento, comincia col concedere che alla libertà di stampa non si abbia da fare nessun ostacolo. Ma quando poi andate ad esaminare cotesto progetto di legge e particolarmente i vari articoli che lo formano, quando questo esame voi farete, allora vi accorgete che la proclamazione generica non risponde al fatto concreto.

Perciò appunto ho risolto il problema che essa pone: non voterò questo disegno di legge, darò un voto contrario ad esso. Vorrei però esprimere soltanto la mia turbata meraviglia che alcuni dei dispositivi di questo disegno di legge abbiano potuto trovare l’approvazione di uomini che seggono sui banchi alla mia destra, che son poi quelli dell’estrema sinistra. Non scorgo relazioni di minoranza di nessun genere e ne concludo che la solidarietà della Commissione è totale intorno a tutti i punti del disegno presentatoci, anche se alcuni di questi punti sono manifestamente da condannare e da eliminare. Ritorno al mio principio. Destra o Sinistra? Fole e baie. Tutti pensano al partito, ed al partito son pronti tutto a sacrificare. Povera libertà! Quando troverai devoti puri al tuo idolo?

Il disegno di legge, in sostanza, può richiamare la nostra attenzione su tre punti essenziali: quello che riguarda la registrazione, quello che riguarda la pubblicità, interessante la finanza delle pubblicazioni ed infine la questione del sequestro. Ma da questa parte dell’Assemblea, come da altre parti, è stato accennato, talvolta a titolo di lode, più spesso a titolo di deplorazione, alla mancanza nel testo di un accenno all’albo giornalistico. Vedo che alcuni dei miei colleghi in giornalismo si dichiarano appunto favorevoli all’introduzione di quest’albo. Per conto mio sono contrario ad esso. Il collega Manzini ieri notava che nessuno ha trovato a ridire che per gli avvocati si costituisse un albo, che per i medici o per altre professioni, e persino per la farmaceutica, e così via si formasse un albo. E perché dunque, si domandava l’oratore, perché dunque togliere la delizia di un albo ai giornalisti? Alcuni giornalisti hanno fatto propria questa rivendicazione e per poco non hanno proclamato che quell’albo dovesse essere la salute della professione, dicono: per risanarla e purificarla, a fine di evitare che gli elementi dubbi possano entrarvi o permanervi.

Io credo che ci sia un equivoco che vale la pena venga chiarito. Gli albi professionali attestano unicamente il possesso di titoli legali e tecnici, dichiarati nei diplomi, per esservi iscritti. Un albo degli avvocati serve per i giudici e per le parti contendenti allo scopo di conoscere se la persona interessata ha diritto di esercitare la professione, cioè se possegga i titoli per esercitarla. L’albo è una semplice indicazione del possesso di un diploma, altrimenti conseguito, e si forma automaticamente, cioè a nessuno che possegga il diploma si può negare l’iscrizione.

Ciò per gli avvocati, ciò per i medici, ciò per gl’ingegneri, e per i farmacisti. Esso è garanzia di servizi privati, è attestazione di facoltà: l’albo non è un esame; è un catalogo di esaminati.

L’utilità di questi albi è indiscutibile; appunto perché l’iscrizione in essi è automatica e legale.

Ma qui non si tratta di fare un albo il quale attesti che le persone comprese nell’albo hanno determinate facoltà legali e vi stanno in forza di un diritto proprio. Si tratta, invece, di un documento che attesta una selezione tra individui, praticata da altri individui del mestiere, però sprovvisti anch’essi di facoltà legale. Può essere utile un albo dei giornalisti – mi si perdoni la parola – per i beati possidentes, che possono in varia guisa ostacolare l’iscrizione in esso di altre persone. Ma che cosa può attestare un albo giornalistico? L’onestà delle persone? Le loro attitudini? La loro integrità? Questo si attesta con altre manifestazioni della parte. Non è l’iscrizione nell’albo che può aggiungere qualche cosa in simile materia od affermarla.

Il giornalista è colui che esercita la più libera di tutte le professioni e, nello stesso tempo, la più pericolosa: la più libera, perché chiunque può essere giornalista; la più pericolosa, perché deve esercitarla in condizioni di estrema incertezza soggettiva. Pericolosa professione indiscutibilmente, che non potrà mai essere esercitata se non da coloro che sappiano guadagnare i loro galloni. Professione pericolosa per definizione, ripeterò, ma libera come nessun’altra al mondo. Perciò ho detto che della libertà di stampa bisogna occuparsi nel senso in cui veramente ci si deve occupare di essa, cioè nel non creare ostacoli e porre limiti. La libertà è condizione negativa; e questa condizione negativa bisogna rispettarla. Allorché create un albo, avete creato l’esclusione; quando create l’esclusione avete creato un principio, in nome del quale voi escludete, e quindi fate opera di parte. All’infuori dei casi di mancanza di rettitudine e di probità, non vi sono ragioni per escludere chicchessia dall’esercizio di questa, come di qualsiasi altra professione. Ma se c’è una professione nella quale la mancanza di probità e di correttezza può subito essere intravista e identificata, indiscutibilmente è la professione del giornalista; la quale si esercita alla luce del sole, ed è esposta ad un esame permanente da parte del pubblico. Il cattivo avvocato, il cattivo medico possono celarsi, e vi son mille espedienti perché si camuffino. Purtroppo il cattivo giornalista si scorge a prima vista. Se v’è in lui scorrettezza o disonestà, ciò si scorge immediatamente. E qui l’albo non ci fa nulla, o invece offre un mezzo in una malintesa solidarietà per nascondersi.

L’opinione pubblica, onorevoli colleghi, sia che vi interessiate o no della professione giornalistica, non tollera che colui il quale non ha mani nette e cuore sano, che può rimproverarsi qualche cosa ammaestri gli altri intorno a qualche cosa. Materialmente può accadere che egli scriva, che egli enunci delle proposizioni, che egli si proponga di influire in qualche maniera sul pensiero dei suoi vicini e concittadini, ma ognuno sa quale valore si debba attribuire a questa pensiero ed a questa opinione. L’uomo non sorretto dall’opinione della probità pubblica non potrà influire seriamente sull’opinione pubblica. Ci vuole ben poco a poter ricondurre chi non abbia gli attributi della probità e correttezza nei suoi limiti naturali; perché, appunto a causa della libertà di stampa, egli potrà essere facilmente denunciato e messo nella condizione che la sua parola diventi indifferente e nulla per l’opinione pubblica.

Il mio sentimento personale è che l’albo non risolverebbe nulla. Può certamente accogliersi l’albo, se ne può proporre l’introduzione, si può anche consigliare che l’albo sia a sua volta proposto agli altri giornalisti come qualcosa, la quale sia utile che venga da essi in via libera e volontaria utilizzata. Si può, nelle condizioni puramente personali, pretendere e desiderare che il pubblicista, come qualsiasi altra persona che eserciti determinata funzione nella società, sia iscritto all’albo, ma non rendere ciò obbligatorio.

Ho sentito esporre non dirò querele, ma deplorazioni per la mancanza nel progetto di un rilievo dell’albo.

Per conto mio, trovo che una delle circostanze, la quale renderebbe almeno in parte accetto il disegno di legge e più degno di essere consigliato all’approvazione dei nostri colleghi, sia appunto la mancanza del rilievo della istituzione dell’albo.

Ripeto ancora una volta che se i giornalisti desiderano che un albo dei giornalisti si formi e che esso sia di regola comune per tutti i giornalisti e per coloro che del giornalismo intendono servirsi, tutto ciò sta bene; il desiderio è legittimo. Coloro i quali chiedono il parere dei loro colleghi per essere accolti nell’albo faranno bene; si può consigliare che ciò si faccia, ma non obbligatoriamente.

Non si deve creare una corrente di opinione, la quale suggerisca come obbligatoria la formazione dell’albo. L’albo è una necessità sociale per certe professioni, non può esserlo per i giornalisti. E vorrei appunto che i miei colleghi dell’Assemblea mettessero al di sopra di tutto la persuasione che, al di fuori delle qualità personali e delle attitudini di chi professa lo scrivere per ragion pubblica e del riconoscimento di queste qualità non v’è nulla; non c’è più niente da riconoscere e da ammettere.

I pubblicisti credano nelle loro qualità ed il pubblico sappia pregiarle. In questa materia non c’è altro da dire. L’albo o è un inganno o è una superfluità. Il giornalista sta oltre e al disopra dell’albo. E se no, facciamo persino un albo dei deputati! Gli elettori scelgano liberamente il deputato; i lettori eleggano liberamente il giornalista degno di essere letto!

Abbiamo in questa maniera esaurito la questione essenziale riguardante la libertà di stampa. Passiamo, per rapidi cenni, alla legge che ci è proposta. Quali sono gli elementi essenziali che la formano? Io dico che le particolarità essenziali, specifiche di essa, rispetto alle altre leggi del genere sono tre: quella che riguarda la registrazione; quella che concerne il render pubblica la finanza del giornale e poi la grossa questione del sequestro. Esse consentono una questione introduttiva ed io sono sincerissimamente meravigliato come abbia potuto sfuggire ai relatori, se non a tutti, almeno a quelli delle parti democratiche dell’Assemblea. Non so se i colleghi abbiano gettato uno sguardo sull’articolo 15 di questo disegno di legge, il quale contiene, di per sé, una vera enormità. Può darsi che io non conosca tutte le leggi sulla stampa dei vari paesi e che pertanto qualcosa di somigliante sia contenuto in leggi del genere, ma almeno, per quanto si riferisce al nostro Paese, questa mi appare la più evidente e malefica di tutte le novità che potevano mai proporsi. Mi pare che da sola qualifichi tutta la legge. Del resto, è proprio di ogni fatto intellettuale che esso si manifesti in un qualche elemento della totalità. Cotesto articolo 15 è la verità rivelata dell’attuale disegno di legge.

Vi è un articolo 15, sul quale realmente desidero che si porti l’attenzione dell’Assemblea e soprattutto l’attenzione di questi colleghi. (Indica l’estrema sinistra).

Dice l’articolo 15:

«Il direttore responsabile è obbligato a fare inserire integralmente, a pagamento, nel periodico da lui diretto gli scritti che nel pubblico interesse, gli siano dall’autorità inviati per la pubblicazione».

Sicché, oggi, l’onorevole De Gasperi potrebbe inviare all’Unità, per fare un esempio, un articolo, un esposto qualsiasi, un’apologia del proprio Governo, che, debitamente pagato dal Governo, cioè dai contribuenti, dovrebbe essere dall’Unità pubblicato nelle sue colonne. Qualunque Governo si pone così nella condizione di servirsi di tutta la stampa, compresa la stampa la più avversa al Governo. Tutta la stampa così diverrebbe officiosa. Ma in cotesto articolo 15 non si parla soltanto del Governo, sì bene di «tutte» le autorità; dunque, qualsiasi autorità può inviare ad un giornale qualsiasi un proprio scritto, che il giornale sarebbe tenuto a pubblicare e non può non pubblicare senza esporsi alle punizioni che la legge commina al riguardo. Ora, io capisco un po’ come vanno le cose in questo mondo. Oggi non sono al potere i comunisti, ma i cattolici. Domani vi potranno essere i comunisti ed essi potrebbero costringere i giornali cattolici a pubblicare una propria apologia… pagata. I comunisti, anzi tutti gli estremisti, oggi, al servizio dei cattolici, domani tutti i cattolici al servizio dei comunisti. E par serio tutto questo? Effetti della partitocrazia, a senso mio, ed il silenzio degli uni e degli altri su questo punto, si spiega con la speranza degli uni e degli altri di potersi servire dei propri avversari e delle loro gazzette.

Io non capisco da quali fonti saranno attinti i mezzi per pagare queste pubblicazioni; io non capisco nemmeno secondo quali tariffe queste pubblicazioni saranno pagate. I giornali che hanno la tariffa per la pubblicità di un preservativo contro le malattie veneree, ne dovranno avere un’altra per gli articoli spediti dal Governo. Un governo è dunque un articolo di pubblicità giornalistica. (Interruzione del deputato Tomba).

Il collega che m’interrompe, mi fa osservare che l’articolo 15 parla di richieste di inserzione per causa d’interesse pubblico. Sa egli spiegarmi che cosa è l’interesse pubblico nella sua differenza dall’interesse politico del governo? Ogni governo penserà naturalmente che l’interesse pubblico è la sua permanenza al potere. Oggi l’interesse pubblico sono i democristiani al governo, domani saranno i comunisti al posto dei democristiani.

La difficoltà consisterà sempre nella stabilire in che maniera l’interesse pubblico è distinto dall’interesse del governo di rimanere al potere. In forza dell’articolo 15 di cotesto progetto, tutti i giornali, principalmente quelli di opposizione, saranno a disposizione del partito al governo, mercé il pagamento di una retta da stabilire per l’inserzione.

Permettetemi di dire che resto strabiliato, e non posso comprendere in che maniera si possa ammettere che un Governo abbia il diritto, pagando, di far pubblicare quello che a lui fa comodo, nei giornali che lo combattono.

Questa è la maniera più totale di negare la sostanza della libertà di stampa. La libertà è contrasto, la libertà è contradizione, ed un paese non è libero se non quando sono liberi gli avversari della parte che sta al Governo e che spera di dominare l’opinione pubblica. Così operando, ritorniamo al periodo più fosco del dispotismo e dell’assolutismo.

C’è inoltre un particolare su cui richiamo l’attenzione dei colleghi. Nell’articolo 15 si dice: «le autorità». Insomma tutte le autorità potranno chiedere la inserzione, non una semplice rettifica, delle loro tesi, qualunque esse siano, nelle gazzette del paese, a loro scelta. Chi sono queste «autorità»? Ma persino un ispettore di pubblica sicurezza o un agente del fisco, e così via, dunque quali? L’ufficiale doganale, il rappresentante del fisco, il questore, l’ispettore di pubblica sicurezza, il magistrato?

Voi potrete dirmi che io mi dilungo troppo su una disposizione che potrebbe cadere nella votazione e nella discussione. Tuttavia qui nessuno ha fatto una controrelazione ed esiste il pericolo che anche per un colpo di maggioranza questa assurda disposizione sia accettata dall’Assemblea come un testo di legge. Ecco perché insisto sull’assurdo dell’articolo 15, e vi potremo ritornare appresso. Nel mio giornale, dovete lasciar fare a me. Voi avete i vostri giornali, ed in essi scrivete le vostre ragioni, se ne avete. Non c’è interesse pubblico che tenga. L’interesse pubblico è il mio diritto di persuadere io, con i miei mezzi, i miei lettori.

E accenno solo di sfuggita alla questione del gerente. Non facciamo tante storie per sapere quali devono essere le responsabilità del direttore o quali quelle del gerente. Del gerente responsabile si è parlato con soverchia leggerezza ieri; del resto io non ne proporrei mai il ritorno a questa istituzione. Essa ha avuto la sua ragione storica di essere: si trattava di impedire che persone invise alle autorità, per il fatto dell’esposizione del loro pensiero, dovessero pagare quella persona per essere messe in grado di poter continuare a farlo. Era una finzione legale, siamo d’accordo, che ha avuto tante e tante deplorevoli conseguenze; ma nell’ordine storico questa finzione legale ha reso importanti servizi. Ora io non so come risolveremo questa questione; la soluzione proposta nel progetto di legge non mi persuade.

Ho detto che gli altri punti che possono interessarci sono quelli che riguardano la registrazione dei giornali e la pubblicazione della loro situazione economica.

Il collega Manzini ieri ha interloquito a questo proposito. Per me la registrazione o è un’ipocrisia, o un agguato: è un’ipocrisia se incitate a non darvi le esatte notizie, è un agguato, se per effetto della registrazione voi vi riservate di respingere un giornale e di accettarne un altro, di rendere impossibile la pubblicazione d’un periodico inviso. Non leggo, perché le condizioni della mia vista non mi permettono d’avere sotto gli occhi un testo, e debbo citare a memoria. Scusate qualche inesattezza.

Per quanto ricordo nel progetto si parla della registrazione, ma non si è detto in quale spazio di tempo tale registrazione dovrà essere fatta. Una autorità quindi che sia avversa ad una pubblicazione potrà anche ritardare questa registrazione, così che essa praticamente non avvenga. A mio avviso, quando il direttore di una progettata pubblicazione avrà fatto sapere che egli il tal giorno si propone di uscire con una sua stampa, questo è, onorevoli colleghi, tutto quanto si può pretendere. Non si deve domandare altro, a fine di evitare che la registrazione diventi un mezzo per procrastinare o impedire una pubblicazione.

Io non voglio fare della retorica; posso però semplicemente deplorare che le stesse persone che si sono servite, in periodi di urto civile e di lotta contro lo straniero, di pubblicazioni clandestine, sottoponendosi per tal fatto, alle vendette del potere, ora condannino con tanta severità le pubblicazioni clandestine. Ma, nei tempi più foschi, nei tempi nei quali il dispotismo imperava incontrastato, chi è, chi è mai che ha aperto una qualche finestra, anche un solo spiraglio di luce sulle tenebre che ne circondavano per ogni dove? I giornali clandestini. Lo stesso Voltaire, il genio più alto che i tempi moderni abbiano avuto, dovette ricorrervi.

E passo all’articolo 28 del progetto per dire una sola parola sulla questione del sequestro. È veramente penoso per uno spirito libero doversi occupare ancora di un simile argomento. Prima accennerò a quello della pubblicità finanziaria delle fonti dei giornali.

Con le regole che voi imponete, si creano nuove difficoltà alla pubblicazione dei periodici, salvo che voi non imponiate la menzogna e il falso.

Stampare un giornale, diceva ieri appunto l’onorevole Giannini, non è cosa facile; i mezzi per stampare un giornale non son facili a riunire e coloro i quali sono disposti a spendere del proprio affinché una pubblicazione abbia luce sono pochissimi. Non metteteli in condizione di non poter svolgere un’attività in questo senso.

Non si tratta di mecenatismo, ma anche un plutocrate – pronunziamo pure la terribile parola – può avere le sue idee, e desiderare diffonderle. La difesa dell’interesse pubblico affidatela alla coscienza del pubblicista. Le vostre leggi non servono a niente. Se mai son la maschera d’un interesse di parte.

Credetelo: fuori la coscienza del pubblicista non ci son mezzi per difendere il paese.

E vengo molto rapidamente all’ultimo punto sul quale mi ero proposto di parlare, quello dell’articolo 28 dello stesso progetto di legge che riguarda il sequestro. Qui riappaiono in blocco tutti i mezzi di coercizione dei quali si servivano i governi che chiamavamo monarchici, dispotici, tirannici e così via. Voi indicate una serie d’infrazioni legali che, già colpite dal Codice penale, non solo ricevono aggravamento di pena per il fatto della stampa, ma possono dar luogo al sequestro della pubblicazione.

Per quanto riguarda poi l’offesa all’onore o al prestigio del Capo di uno Stato estero, voglio aprire una piccola parentesi. Voi considerate questo come qualche cosa che possa autorizzare il magistrato a sequestrare la pubblicazione. Non so se i vostri ricordi giungano fino a Wilson, genero del Presidente Grévy. La stampa poté stabilire che Wilson mercanteggiava le onorificenze dello Stato avvalendosi della sua qualità di congiunto del Presidente della Repubblica. Se l’autorità giudiziaria o l’autorità di pubblica sicurezza lo avesse voluto, tutti i giornali che denunziarono il fatto sarebbero stati sequestrati, e forse il fatto ignorato.

Non allarmatevi troppo di queste cose. Col pretesto di salvaguardare il «prestigio» del capo dello Stato, voi potreste giungere a farne ignorare le tare o le colpe. Ad ogni modo voi aggravate l’istituto del sequestro rendendo possibile il ricorso ad esso per mezzo della semplice autorità di polizia. Vi era una volta il sequestro dichiarato dalle autorità giudiziarie. Adesso abbiamo non solo il sequestro dichiarato dalle autorità giudiziarie, ma altresì il sequestro operato dalle autorità di pubblica sicurezza. Esse dovranno informare il giudice del ramo, ma anche prima si faceva così. Una volta l’autorità giudiziaria – non so se qui vi siano persone che hanno sofferto di questo passato – quando poteva sequestrare le nostre pubblicazioni, all’uscita della tipografia faceva trovare gli agenti pronti per il sequestro e non mancavano i procuratori della Repubblica a cui si chiedevano le ragioni per le quali si operava il sequestro. E voi avete peggiorato le condizioni dell’antico regime liberale monarchico, disponendo che il sequestro dei giornali possa farsi anche per opera della polizia.

Chiamate questo un progresso? Pretendete che ciò salvaguardi la libertà di stampa? Volete in questa maniera rassicurare i cittadini di una buona democrazia i quali hanno pigliato sul serio tutte le parole di libertà, di rispetto umano, di sovranità popolare che sono state dette? Io non lo credo. L’attuale progetto di legge è in sostanza un’atroce ironia, un sarcasmo dei più feroci sul conto della democrazia e sul conto della libertà popolare.

Io non penso che questo disegno di legge debba essere accolto. Noi lo dobbiamo respingere e poiché noi siamo dinanzi alle elezioni noi potremo appunto sperare che la futura Camera potrà adottare un nuovo e diverso disegno di legge il quale rassicuri meglio i cittadini e dia ad essi la tranquillità necessaria per svolgere la loro attività intellettuale. La libertà di stampa dovrebbe consistere puramente e semplicemente nel fatto che chiunque il quale si crede in grado e ne ha la possibilità di stampare possa farlo. La legge non può chiedere se non l’adempimento di alcune formalità tecniche. Qualunque cosa che in qualche misura, o per via diretta o per via indiretta, attenti a questa suprema libertà è un oltraggio che si fa alla sovranità popolare ed ai supremi diritti della ragione.

Per mio conto ho preso il giuramento dato alla Repubblica ed il voto dato alla Costituzione come una cosa seria. Coloro che saranno stati dello stesso sentimento non approveranno questa legge.

Noi voteremo contro il disegno di legge che ci è stato proposto. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Calosso. Ne ha facoltà.

CALOSSO. Ritengo, avendo preso parte ai lavori della Commissione, che il progetto rappresenti notevole progresso rispetto alla regolamentazione della stampa fatta in periodo fascista, ma penso che avrebbe dovuto concentrarsi di più sui punti che storicamente il fascismo ha messo in luce come difettosi: sarebbe stato necessario creare una legge generale in cui alcuni punti essenziali fossero chiariti, almeno per il profano, per coloro che, come me, non sono giuristi.

In fondo, i punti essenziali di questa legge quali sono? Quali sono le libertà che noi abbiamo raggiunto? Libertà, si intende, limitate, perché le libertà reali sono limitate: prima di tutte la libertà dallo Stato. Ed a questo, mi pare che il progetto provveda avendo messo la stampa solo in rapporto con l’autorità giudiziaria.

Seconda libertà che la pratica più evidente di tutti i giorni esige come necessaria, è la libertà dal capitale; oggi sappiamo tutti che la libertà in questo campo consiste nel fatto che solo chi ha molto danaro può fare un giornale. Indubbiamente l’ideale dell’onorevole Schiavetti, è un ideale meraviglioso quello che lo ha mosso a proporre che si dia un giornale ad ogni grande ente. Però, effettivamente, bisogna tener presente anche un altro punto: nella legislazione non si possono fare dei salti. Ora noi sappiamo che questa libertà del capitale non c’è e dove c’è, non esiste la libertà dallo Stato. Queste due libertà, dallo Stato e dal capitale, non sono mai insieme, ed è difficile che si trovi un esempio di coesistenza di queste due libertà. Trovare un Paese in cui tutte e due queste libertà esistano, che io sappia, è impossibile. Non so chi possa con facilità opporre qualche cosa a questa constatazione.

Su questo punto è necessario accettare la situazione quale è.

Certo la pubblicità delle fonti finanziarie di un giornale è un primo passo avanti, ma è certamente insufficiente. Il problema non è risolto e a dire il vero non sarà risolto se non nelle società socialiste democratiche le quali alla libertà dallo Stato congiungono la libertà dal capitale.

La terza libertà è quella dalla diffamazione. Pare che il cittadino italiano sia libero di calunniare. Lo vediamo tutti i giorni. C’è certa stampa, specialmente settimanale, che dice quello che vuole ed alcuni giornalisti pensano che la libertà di stampa consista nel poter sputare dalla finestra su chi si vuole. Invece, il cittadino italiano deve sapere che l’insultare costa fatica. La legge non dia ausilio in questo senso a coloro i quali pensano, invece, di poter insultare con l’aiuto dello Stato. Sappiamo che tutti i giorni vi è chi insulta, e conosciamo la difficoltà di rispondere all’insulto. So di giornali che insultano e, quando si manda loro una rettifica, non la pubblicano. Su questo punto bisogna essere particolarmente decisi. Nella Commissione io vi avevo insistito perché occorre proprio una legge speciale, contrariamente a quanto è detto nella relazione.

L’uomo italiano non ha la possibilità di difendersi; inoltre ci sono dei tipi di difesa vergognosa: il solo fatto di discuterne rendono l’uomo ridicolo. Ci vorrebbe, quindi, una legge particolareggiata e si dovrebbe mettere un limite alla sentenza. Mi pare che il giudice debba presupporre che colui che insulta, prima di fare una cosa così grave come l’insultare, dovrebbe aver preparato tutte le prove e tener pronti gli incartamenti.

Per l’ultima libertà delle quattro, la libertà dalla pornografia, sono perfettamente d’accordo con lo spirito di quanto ha proposto l’onorevole Moro.

È nel campo politico dove bisogna badare a porre tutte le garanzie fino al millimetro: nel campo della pornografia, è diverso. Il caso della pornografia è speciale. Una figura oscena, vista da un ragazzo, produce un’offesa irrimediabile, è chiaro. Quindi, non esiterei ad essere duro, anche col pericolo che, per esempio, Madame Bovary sia dal giudice tolta dal commercio. Questo rischio c’è, ma dobbiamo correrlo.

Sono contrario a collegare con una certa liberalità il fatto di permettere la pornografia. Non sono mai riuscito a capire quale rapporto ci sia tra la pornografia e lo spirito moderno.

Queste, a volo d’uccello, le mie impressioni sul progetto di legge.

Mi pare buono, in quanto difende la stampa dagli abusi dello Stato, affidando ogni potere alla Magistratura; non così per quando riguarda la libertà dal capitale; ma ho fatto presente le difficoltà di una legislazione su questo punto.

Riguardo alle Corti d’onore ritengo che la questione debba essere chiarita.

Avrei poi mantenuto un accenno all’albo dei giornalisti. Il fatto che fu creato dal fascismo non credo sia un motivo per non conservarlo.

Non conosco quale sia l’orientamento preciso dell’Assemblea, ma penso che quando vi sono dei dubbi, sia meglio aspettare; non è un errore attendere.

Quindi, se si rinviasse il disegno di legge al nuovo Parlamento, si permetterebbe un più oculato studio dei problemi ad esso inerenti (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Scoccimarro. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Farò una breve dichiarazione. È stato proposto per il progetto di legge sottoposto al nostro giudizio il rinvio alla futura Assemblea legislativa, poiché i problemi che esso investe sono di tale delicatezza e complessità da esigere maggiore e più approfondito esame. D’altra parte vi sono delle esigenze legate alla prossima campagna elettorale, per cui sarebbe opportuno che alcune disposizioni di questo progetto di legge entrassero al più presto in vigore. Il Gruppo comunista non è contrario al rinvio, però con la proposta di stralciare alcuni articoli e su quelli discutere e votare subito. Dirò brevemente i motivi di questo nostro atteggiamento che non coincidono con quelli dati ieri dall’onorevole Giannini,

Questo progetto di legge vuole tutelare e disciplinare la libertà di stampa, ma riesce esso veramente a tutelare l’esercizio di questa libertà? Orbene, basta tener presenti le critiche dell’onorevole Schiavetti e quelle prospettate dall’onorevole Giannini, per rispondere che questo progetto non è sufficiente a tutelare la libertà di stampa in Italia. Per tutelare la libertà di stampa occorre creare le condizioni affinché questa libertà possa esercitarsi. Queste condizioni non esistono e il progetto di legge non si preoccupa affatto di crearle.

L’onorevole Giannini ha fatto un’affermazione giusta, dicendo che la situazione finanziaria per i giornali quotidiani oggi è tale per cui sarebbe un inganno parlare di libertà di stampa: nelle attuali condizioni non esiste né può esistere libertà di stampa. In questa affermazione c’è molto di vero, ma noi riteniamo che non ci si debba fermare alla posizione negativa dell’onorevole Giannini e occorra affrontare il problema e risolverlo per lo meno nei limiti e con le possibilità che la situazione attuale consente.

Se noi osserviamo quanto è avvenuto negli ultimi due anni in materia di stampa possiamo cogliere alcuni fenomeni abbastanza interessanti. Si sono visti complessi tipografici che per ragioni diverse erano divenuti proprietà dello Stato, ritornare in proprietà di gruppi particolari, ben forniti di mezzi finanziari e notoriamente legati ad uomini e partiti politici. Le conseguenze non hanno tardato e manifestarsi: si sono visti sorgere giornali di determinate tendenze politiche, mentre scomparivano altri di tendenze opposte. Quelli che scomparivano erano, di solito, giornali democratici di sinistra. È chiaro che quando le condizioni per la stampa di un giornale sono soggette a pressioni e influenze politiche, parlare di libertà di stampa è un inganno. Ed allora si pone il problema di garantire a tutti parità di condizioni e possibilità di stampare, parità di condizioni e possibilità tipografiche. Questo non risolve interamente la questione, ma per lo meno ci avvicina alla soluzione. È un problema che, dopo votata la nuova Costituzione, può e deve essere affrontato e risolto: è il problema della nazionalizzazione dei grandi complessi tipografici, che deve garantire a tutti parità di condizioni di stampa, parità di condizioni nel campo tipografico. (Commenti al centro e a destra).

Perché poniamo ed insistiamo oggi in modo particolare su questo problema? Perché in questi due anni di così detto regime democratico sono avvenute cose sulle quali il Paese ignora la verità e che sarebbe tempo di porre in chiara luce. Io cito un solo episodio: ad Udine, una tipografia già di proprietà del partito fascista divenne proprietà dello Stato, sotto la gestione dell’Ente autonomo stampa dipendente dalla Presidenza del Consiglio. Questa tipografia, ad un certo momento, viene venduta a trattativa privata ad un gruppo finanziario per 10 milioni, mentre per il suo acquisto contemporaneamente si offrivano 14 milioni. Non si seguì la via della gara pubblica né quella della licitazione privata. Si trattò in segreto, in segreto si venne a Roma, in segreto funzionari andarono a Udine. Tutto si risolse e si concluse con una rapidità sorprendente. Dopo qualche mese, il giornale democratico di sinistra al quale collaboravano repubblicani, socialisti e comunisti deve cessare le pubblicazioni ed un giornale monarchico sorge…

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. In che periodo, per favore?

SCOCCIMARRO. Nel 1946, Presidente De Gasperi, Sottosegretario Arpesani.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Eravate al Governo anche voi!

SCOCCIMARRO. Onorevole Andreotti, le dirò che sarebbe bene non provocare dichiarazioni che non volevo fare oggi.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. No, dica tutto.

SCOCCIMARRO. Le dirò che avuto sentore della cosa, prima del 2 giugno 1946, avvertii il Sottosegretario Arpesani affinché vedesse un po’ che cosa c’era di vero in tutto questo. L’onorevole Arpesani mi diede la parola d’onore che nulla si sarebbe fatto sino alle elezioni. Dopo pochi giorni, il contratto era firmato. Forse, non lo sapeva nemmeno lui…

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Col Governo democristiano non è accaduto mai niente di tutto questo.

SCOCCIMARRO. Ma questo è avvenuto sotto la presidenza De Gasperi. Comunque la conclusione alla quale arriverò le darà soddisfazione.

UBERTI. Dipendeva dal Ministero delle finanze ed allora c’era proprio l’onorevole Scoccimarro al Ministero delle finanze!

SCOCCIMARRO. Non dipendeva dal Ministero delle finanze, ma dall’Ente autonomo stampa alla dipendenza della Presidenza del Consiglio.

Ora, io mi domando se, oltre al fatto politico in sé, la procedura non costituisce violazione di legge. E se questo ha potuto avvenire, io mi domando che cosa è avvenuto in tanti altri casi del genere. E mi domando pure che cosa sta avvenendo del grande complesso tipografico dell’ex Resto del Carlino, e di quello dell’ex Popolo d’Italia. In questi due anni c’è stato in Italia un vero e proprio arrembaggio a tipografie e giornali ed è un inganno parlare di libertà di stampa quando si permette che tutto questo avvenga nel Paese.

Noi crediamo che per la moralità della nostra vita pubblica, per il rispetto che dobbiamo alla Costituzione che abbiamo votato solo poche settimane or sono, si imponga una inchiesta parlamentare. Bisogna far luce, chiarire tutte le responsabilità, di uomini e di partiti. Ma si può chiedere un’inchiesta parlamentare a questa Assemblea che è al limite della propria esistenza’? Evidentemente no. E tuttavia un’inchiesta parlamentare è necessaria quando si pone il problema della nazionalizzazione dei grandi complessi tipografici, condizione essenziale per realizzare il massimo di libertà di stampa nella attuale situazione italiana.

Per questi motivi noi saremmo d’accordo di rinviare la legge sulla stampa, perché una legge di questo genere non può prescindere dal problema della nazionalizzazione delle tipografie, ma la soluzione di questo problema presuppone l’accertamento di ciò che è avvenuto in questo campo in Italia, specialmente negli ultimi due anni. Quanto è avvenuto a Udine ed altrove giustifica i più gravi dubbi e sospetti, che non consentono tacite sanatorie in omaggio al fatto compiuto.

Noi contesteremo la legittimità e legalità di certi contratti.

Una inchiesta parlamentare si impone perché sarebbe inconcepibile che domani l’indennizzo, per causa di nazionalizzazione, si risolvesse in un premio per coloro che sono riusciti ad accaparrarsi, più o meno illecitamente, delle tipografie, anche sotto costo. Così si premierebbe la frode, l’inganno, il favoritismo e la corruzione.

Per le ragioni esposte noi consentiamo al rinvio, tuttavia, nella imminenza della campagna elettorale, vi sono esigenze urgenti come il problema dei sequestri ed altri, che conviene affrontare e risolvere. Bisogna perciò fare uno stralcio di soli articoli, rinviando la legge sulla stampa alla futura Assemblea. Nella Repubblica italiana, non può essere questa la legge sulla stampa. (Approvazioni all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale. Ha facoltà di parlare l’onorevole Cevolotto, Relatore.

CEVOLOTTO, Relatore. Onorevoli colleghi, poiché da parte dell’onorevole Schiavetti, dell’onorevole Giannini, ed anche, sebbene sotto altro aspetto, da parte dell’onorevole Scoccimarro, si è in sostanza chiesto che a questa legge, cioè alla struttura di questa legge, sia sostituita una legge di altra struttura fondamentale e non semplicemente che se ne modifichi, attraverso emendamenti o attraverso correzioni, il testo è opportuno ricordare come il progetto di legge è nato.

Il primo progetto è stato compilato da una Commissione nominata dal Governo, della quale facevano parte pubblicisti, giornalisti ed editori di giornali, esperti insomma della materia, fra i quali anche alcuni nostri colleghi, come l’onorevole Ambrosini, l’onorevole Calosso, l’onorevole Vernocchi; e giornalisti come il dottore Azzarita, l’avvocato Berlinguer, il professore Tosato ed altri. Questa Commissione compilò un primo progetto, nella struttura, nelle linee generali, se non nei particolari, è diventato poi il testo che il Governo ha sottoposto all’Assemblea. Il Governo ha rivisto lo schema proposto dalla Commissione, lo ha modificato in alcune parti, ma ne ha mantenuto i lineamenti essenziali. La Commissione parlamentare che è stata nominata e che ha dovuto subire vari mutamenti anche nella Presidenza perché l’onorevole Grassi ha dovuto lasciare la Presidenza stessa quando ha assunto il Ministero di grazia e giustizia e allora il lavoro era già in buona parte compiuto la Commissione, dicevo, che è naturalmente rimasta, anche attraverso questi mutamenti solidale e, direi, eguale nella sua composizione, non ha creduto di dovere o di poter sostituire una nuova legge a quella che le era sottoposta.

Essa si è limitata ad esaminare il testo governativo ed a proporre quelle modificazioni che ha ritenuto del caso, articolo per articolo; in modo particolare quelle soppressioni e quelle semplificazioni che, a suo parere, sembravano opportune, sembravano rappresentare un miglioramento. Insomma, non ha proposto un nuovo testo legislativo, né poteva proporlo, perché non aveva facoltà di fare una legge nuova e diversa, ma non poteva se non portare il proprio esame sul testo proposto dal Governo.

Chi propone di modificare sostanzialmente il progetto, di creare una legge di una struttura diversa, su una base diversa, è logico che arrivi a quella conseguenza cui è pervenuto l’onorevole Giannini, e a cui è pervenuto l’onorevole Scoccimarro: che chieda cioè il rinvio, salvo lo stralcio, di cui lo stesso onorevole Scoccimarro ci ha parlato e di cui potremo discutere, se sarà il caso.

Le ragioni però per le quali l’onorevole Schiavetti e l’onorevole Giannini domandano il rinvio e la modificazione…

SCHIAVETTI. Io non ho domandato il rinvio.

CEVOLOTTO, Relatore. L’onorevole Giannini, quanto meno, sì, e poi anche l’onorevole Scoccimarro, sotto altro aspetto, lo ha domandato.

Quando dunque, dicevo, l’onorevole Giannini fa le sue considerazioni in base alle quali l’onorevole Schiavetti non domanda il rinvio, e osserva che bisognerebbe dare alla legge una struttura diversa, che cosa intende dire? Intende dire che la legge non attua una riforma profonda della legislazione sulla stampa, attraverso la quale sia garantita quella che l’onorevole Giannini chiama la libertà di stampare, la possibilità cioè, per gruppi, per i partiti, per le associazioni culturali come assumeva l’onorevole Schiavetti di avere un proprio organo.

Le possibilità di finanziamento potranno, sì, venire da qualche grande partito, ma in genere provengono da altre fonti: da fonti di industriali, da fonti di finanziatori che, come diceva l’onorevole Giannini, impongono anche un determinato indirizzo e molte volte anzi un cambiamento di indirizzo al giornale. È evidente allora che il giornalista o si piega, o uccide il giornale. E così – dice l’onorevole Giannini – la libertà di stampa non esiste, se un giornale dipende da un partito – e si comprende bene che da qualcuno deve pur sempre dipendere – rappresenta, di fronte a tutti, le idee di quel partito che ha la libertà di esprimere il proprio credo e di fare la propria propaganda.

Se dipende, invece, da altre fonti, non sarebbe illegittimo che un complesso finanziario qualsiasi, una grande industria avesse un proprio giornale per difendere proprie idee, quando si sapesse che quel giornale o quella pubblicazione è ai servizi e porta la voce di quel determinato gruppo finanziario o industriale. Ma quando si vuol fare apparire come organo indipendente un giornale che invece dipende da una potenza finanziaria, la quale lo domina e, attraverso il giornale, cerca di dominare l’opinione pubblica, la situazione non è altrettanto legittima.

L’onorevole Schiavetti propone dei rimedi drastici e cioè, rifacendosi al progetto di legge francese Ramadier-Bourdan e al regime attuato in Cecoslovacchia, propone tra l’altro il frazionamento della proprietà dei giornali, in maniera che nessuno possa possedere più di un decimo delle azioni. Sarebbe questo un sistema che potrebbe essere facilmente eluso, perché molti decimi possono essere posseduti apparentemente da persone diverse e, invece, far capo alla stessa fonte. Propone poi, che nessun magnate della finanza, nessun grande complesso finanziario, possa essere proprietario di giornali; che la proprietà dei giornali sia addirittura preclusa ai privati e lasciata solo ai grandi partiti politici e alle grandi organizzazioni e associazioni culturali. Sarebbe una bellissima cosa (parlo a titolo individuale, senza impegnare affatto la Commissione), se tutti i partiti potessero avere un foglio col quale esprimere il proprio pensiero e se tutte le grandi organizzazioni e le grandi associazioni culturali potessero avere un proprio organo di stampa libero, indipendente da soggezioni finanziarie più o meno nefaste. Sarebbe l’ideale.

Ma è possibile? Nell’attuale struttura della nostra società, nelle attuali condizioni nostre del diritto privato, nell’attuale sistemazione della nostra stampa, così com’è, una riforma di tanta profondità è attuabile? Badate che la legge, in sostanza, difficilmente modifica le situazioni che esistono obiettivamente: la legge è più uno specchio delle situazioni che un mezzo per cambiarle. Bisogna che prima si modifichino le situazioni di fatto e poi si può modificare la legge.

Diceva un giurista che la legge, in sostanza, non è altro che la fotografia di un determinato momento dei rapporti della vita comune, che vengono regolati dal diritto così come sono; tanto che siccome questi rapporti mutano la legge diventa vecchia nel momento stesso in cui viene promulgata. Ma bisogna per poter fare una nuova legge, che siano cambiate le fondamentali e sostanziali relazioni sulle quali la legge incide.

Bisogna che prima noi creiamo le condizioni per poter arrivare alle riforme cui aspira l’onorevole Schiavetti e che, per conto mio, reputo un bellissimo ideale. Oggi, fare una legge come egli spera, non credo che in Italia sarebbe possibile.

E questo è anche (sebbene sotto un altro aspetto) il pensiero dell’onorevole Scoccimarro.

L’onorevole Giannini, però, non si ferma a questo punto e dice: libertà di stampare. E questo in parte, salvo naturalmente un orientamento diverso – anzi, arrivo a dire, un punto di partenza diverso – coincide in realtà con quello che diceva l’onorevole Schiavetti. Ma, dice anche, non basta la libertà di stampare, ci vuole anche la libertà di sapere. E la libertà di sapere è, per l’onorevole Giannini, questa: la legge deve provvedere acché il pubblico non sia ingannato da notizie giornalistiche false. Egli proponeva alcuni esempi, che non ho bisogno di ricordare, perché tutti lo avete ascoltato. La indagine sulle fonti delle notizie, di cui abbiamo parlato anche in sede di discussione della Costituzione, è la cosa più difficile che si possa pensare e la più pericolosa. La più pericolosa, perché, se si pretendesse in qualunque maniera di disciplinare legislativamente questa materia, in modo da tentar di riuscire ad ottenere che i giornali pubblichino soltanto notizie vere, si arriverebbe ad un controllo che sopprimerebbe la libertà stessa della stampa. Sarebbe facilissimo, attraverso il controllo sulle fonti delle notizie, attraverso l’indagine sulle fonti delle notizie, impedire non soltanto la pubblicazione delle notizie false, ma anche la pubblicazione delle notizie che non fanno comodo.

Tutti i regimi che hanno preteso che i giornali dicessero soltanto la verità, hanno voluto che i giornali dicessero soltanto la loro verità, che quasi sempre era una menzogna. E il fatto che ha citato l’onorevole Giannini è proprio un esempio calzante per la mia tesi; perché egli ha ricordato che tutti gli organi, anche i più seri, della stampa ci hanno dato ad intendere che l’America era senza gomma, e quando gli Alleati sono arrivati al Po hanno costruito attraverso il nostro maggior fiume un magnifico ponte tutto di gomma – a Piacenza – sul quale passavano i camion, attraverso il Po. Ma quando noi abbiamo subito questa menzogna eravamo appunto sottoposti ad un regime che imponeva alla stampa di dire la verità, cioè quella menzogna che il regime fascista pretendeva si accettasse come verità.

Il desiderio dell’onorevole Giannini che si arrivi alla libertà del sapere, cioè alla garanzia della verità delle notizie giornalistiche, è – e non vorrei che questa parola potesse suonare irriverente – una utopia. La verità il pubblico la conosce soltanto se si permette ai giornali di pubblicare tutto quello che vogliono; perché allora, poco per volta, finirà per distinguere i giornali che dicono la verità dai giornali che dicono le menzogne, e avrà la percezione della verità attraverso le smentite di altri giornali rispetto a quelli che pubblicano cose non vere, che lanciano notizie fantastiche, e che, un po’ alla volta, vengono conosciuti ed apprezzati dal pubblico per quello che valgono, vengono identificati per giornali che approfittano delle notizie sensazionali e false per aumentare di qualche poco la loro tiratura. Ciò che riesce sì e no per poco tempo, perché poi il pubblico apprende qual è il giornale serio dalla stessa pratica quotidiana dell’acquisto del foglio preferito.

Se però non si chiede il rinvio per arrivare ad un cambiamento della legge nella sua essenza, se non si può pensare che neanche fra un anno la nuova Camera sarà in grado di proporre una legge sulla stampa che in qualche modo si avvicini agli ideali espressi dall’onorevole Schiavetti o dall’onorevole Giannini io domando a me stesso: ma la nuova legge che il nuovo Parlamento dovrà elaborare sarà poi profondamente diversa da questa che ci è oggi proposta? Sarà poi molto differente dal testo che è stato studiato dalla Commissione dei giornalisti, che è stato rivisto dal Governo, che è stato emendato dalla Sottocommissione, che è stato infine riesaminato dalla Commissione dei Settantacinque, che ha avuto, insomma, una elaborazione abbastanza ampia e probabilmente sufficiente, se non altro, ad indicare alla Costituente quali sono i problemi che si devono oggi approfondire? Resta l’altra obiezione, l’obiezione dell’onorevole Scoccimarro e resta anche un’altra obiezione che farò io poi, che è, forse, sostanziale dal punto di vista pratico.

L’obiezione dell’onorevole Scoccimarro è questa: noi dobbiamo arrivare necessaria mente, per avvicinarci a quella libertà di stampare di cui ha trattato l’onorevole Schiavetti, e cioè per mettere tutti nelle stesse condizioni rispetto alla possibilità di stampare un giornale e di sfuggire alla tirannia delle imprese tipografiche che sono in poche mani, di grossi complessi industriali, o finanziari, o bancari, noi dobbiamo arrivare alla nazionalizzazione delle tipografie e quindi alla possibilità di distribuire equamente la stampa fra tutti coloro che ne hanno bisogno. Per questo è necessario prima fare un’inchiesta; e deve essere un’inchiesta parlamentare su ciò che è successo delle tipografie di giornali negli anni che sono passati dalla liberazione a oggi.

Se si accede a questo ordine di idee, se si tiene conto specialmente della opportunità o della necessità di una inchiesta sulla situazione delle tipografie, allora il rinvio della legge si impone. Oltre a questa ragione che il Partito comunista prospetta, vi è anche un’altra ragione, sulla quale richiamo l’attenzione dell’Assemblea, molto più umile, ma molto più pratica.

Effettivamente questa legge è una legge delicata; è una legge che impone la discussione senza limiti di tempo di alcuni punti sui quali non vi è evidentemente il consenso di tutta l’Assemblea. Sono stati già presentati numerosissimi emendamenti.

Abbiamo noi il tempo per discutere a fondo, come va discussa, la legge? Questo è il problema che io pongo.

Se il nostro Presidente, se l’Assemblea riterrà che il tempo ci sia, potremo addentrarci nell’esame dei singoli punti della legge, ma se invece abbiamo la sensazione che il tempo non è sufficiente, allora bisogna provvedere differentemente. Però, per conto mio e per conto della Commissione, in questo secondo caso ricorderò che la Commissione nella sua relazione ha già esposto il problema e ha rilevato che anche nel caso che non si potesse per qualsiasi ragione o per la ragione politica prospettata dall’onorevole Scoccimarro, o per la ragione di tempo alla quale io ho accennato procedere alla discussione dell’intera legge, bisognerebbe provvedere sempre a quello stralcio che la relazione propone; perché vi sono alcune situazioni che vanno modificate prima della campagna elettorale, vi sono alcune questioni che vanno risolte prima che la campagna elettorale sia cominciata, al fine vi sia, almeno in questo periodo, una relativa libertà di stampa che ora non è affatto assicurata.

Le questioni che si sollevano, a proposito del progetto, anche da parte della Federazione della stampa, che ha mandato un appello all’Assemblea Costituente, sono in realtà poche, ma due almeno sono questioni grosse. Il Consiglio direttivo della Federazione nazionale della stampa italiana ha rivolto al Presidente della nostra Assemblea un indirizzo che io leggo, perché è opportuno tenerne conto.

«Chiamandosi alle intese intercorse a suo tempo colla Presidenza del Consiglio dei Ministri – onorevole Cappi – e con la Sottocommissione parlamentare – onorevole Grassi – per quanto riguarda il requisito professionale, articolo 7, la registrazione affidata al cancelliere, articolo 7, la pubblicità delle fonti finanziarie fatta attraverso il bollettino della Federazione della stampa anziché il foglio degli annunci legali della Prefettura, la istituzione delle Corti d’onore, ne domanda l’attuazione… Il Consiglio rivolge all’Assemblea un vivo appello affinché accolga nelle sue imminenti decisioni l’unanime aspirazione della classe giornalistica italiana espressa dal voto del Congresso nazionale della stampa di Palermo (ottobre 1946) per il mantenimento del requisito professionale giornalistico che costituisce la garanzia prima e fondamentale delle organizzazioni di stampa e del buon costume giornalistico senza di che il giornalismo sarebbe avviato a diventare una professione di avventura».

Qui, le questioni che si propongono sono di varia importanza. La questione della pubblicità dei mezzi di finanziamento attraverso il bollettino della Federazione della stampa anziché il foglio degli annunci legali, è questione sulla quale facilmente ci si mette d’accordo. La questione della registrazione affidata al cancelliere invece che al giudice è anche una questione sulla quale si può discutere senza che la soluzione implichi poi un problema di gravità eccezionale. L’istituzione delle Corti d’onore è questione sulla quale esporrò le nostre considerazioni, le considerazioni della Commissione, e credo che anche su questo non sarà difficile trovare il punto di consenso. Ma invece la questione dell’iscrizione nell’albo dei giornalisti è assai grave, assai delicata, e merita attenzione e discussione approfondita.

La necessità dello stralcio si determina innanzi tutto per due punti fondamentali sui quali è necessario richiamare l’attenzione dell’Assemblea. Il primo punto è che attualmente è ancora in vigore il decreto-legge luogotenenziale del 14 gennaio 1944, n. 13 che disciplina la stampa «durante l’attuale stato di guerra». È il decreto che sottopone la pubblicazione del giornale all’autorizzazione del Prefetto. Ancora siamo in questo regime. Notate che questo decreto è stato fatto in tempo di guerra più che altro, diciamolo apertamente, per suggestione degli alleati; e rappresenta la negazione della libertà di stampa, ed ha avuto ripercussioni ed applicazioni che tutti ricordiamo, senza bisogno che io vi richiami la vostra attenzione.

È necessario sostituire a questo regime un regime di libertà; ed è ciò che la Commissione dei giornalisti ha proposto di fare attraverso la semplice registrazione, che non è autorizzazione. La registrazione del giornale non vuol essere altro – dice la Commissione dei giornalisti – che un’anagrafe. Io dico che forse è meglio parlare di «stato civile». Non è altro che l’indicazione in un registro, che viene tenuto al tribunale, della nascita e della vita del giornale. Perché è necessario questo? Si potrebbe anche farne a meno; ma poiché si è domandato (e anche nella Costituzione se ne è fatto cenno, sebbene in forma di possibilità e non di obbligo) che si possa e che anzi si debba secondo lo spirito della Costituzione istituire un’indagine sulle fonti di finanziamento dei giornali, evidentemente l’indagine sulle fonti di finanziamento non è possibile se non vi è un registro dei giornali. Ecco il perché di questa registrazione, la quale vuole essere una registrazione assolutamente automatica, cioè: chi vuole stampare un giornale, deve presentare determinati documenti che sono richiesti dall’articolo 7 del progetto di legge. Presentati questi documenti l’autorità giudiziaria non può negare la registrazione del giornale: deve soltanto constatare se i documenti ci sono e se sono regolari; e in questo caso deve registrare il giornale. A questo proposito la Federazione della Stampa domanda che la registrazione sia fatta dal cancelliere e non dal giudice, appunto perché vuole accentuare il carattere di meccanicità della operazione e vuol togliere anche l’apparenza della possibilità di una indagine di merito. È abbastanza ovvio, sebbene le ragioni addotte dall’onorevole Schiavetti (me lo perdoni) non mi abbiano del tutto persuaso. La Commissione in fondo aveva pensato che, affidando al giudice il controllo dei documenti – sempre come controllo puramente di forma, di legittimità e non di merito – si desse una maggiore, non già una minore, garanzia. E quando l’onorevole Schiavetti dice che attraverso il giudice, l’esecutivo potrebbe anche eventualmente arrivare a negare un’autorizzazione che deve essere data, io gli rispondo di stare attento, perché forse l’esecutivo arriva più facilmente ad un cancelliere che ad un giudice; e semmai si ha una garanzia maggiore nel fatto che la registrazione sia controllata dal magistrato. Comunque, come dicevo prima, questa non è questione sulla quale non ci si possa mettere d’accordo e sulla quale (la Commissione eventualmente deciderà) non si possa accedere alla proposta che viene fatta dalla Federazione dei giornalisti.

Questione più grave è quella che attiene al problema dell’albo professionale. Le questioni più gravi sono sostanzialmente due, quella dell’albo professionale (che anche in caso di stralcio si dovrà probabilmente discutere), e quella del sequestro, che pure è necessario risolvere, perché implica una questione di interpretazione della Costituzione, che, se non fosse risolta subito da noi, potrebbe essere risolta in tempo di elezioni dall’esecutivo.

La questione della iscrizione nell’albo professionale è stata posta sin da principio dal progetto della Commissione dei giornalisti, il quale veramente aveva adottato una formula diversa da quella proposta dall’onorevole Schiavetti e sulla quale ora insiste la federazione della stampa.

Il testo della Commissione dei giornalisti diceva infatti che, «per la registrazione dei periodici deve essere prodotto ogni altro documento, che venga richiesto da successive leggi relative alla professione giornalistica».

Quando l’onorevole Schiavetti chiede, come egli oggi chiede, che si provveda senza altro a che il direttore di un giornale sia iscritto nell’albo professionale, egli non tiene conto, a mio avviso, della situazione giuridica esistente.

Infatti, egli si richiama a quel decreto del 26 febbraio 1928, che reca le norme per la istituzione dell’albo professionale dei giornalisti. Importa poco che questa sia una legge fatta dal fascismo o no; se fosse una legge buona, non avremmo alcun motivo per non conservarla, come si sono conservate tante altre leggi fatte durante il fascismo. Io direi durante il fascismo, anziché dal fascismo, perché molte leggi fatte durante il fascismo non hanno impronta fascista. Senonché, questa legge ha impronta fascista, non per quanto si riferisce alla istituzione dell’albo professionale, ma per le sue statuizioni concrete; tanto vero che oggi praticamente questa legge non si applica, non è in esecuzione, non vive più.

MANZINI. Vive.

CEVOLOTTO, Relatore. Vive per quanto si riferisce alla esistenza dell’albo, ma non si applica nel resto, perché è in relazione ad una organizzazione sindacale che non c’è più. C’è ancora il sindacato dei cronisti.

MANZINI. C’è l’Associazione.

CEVOLOTTO, Relatore. Non è sindacato. Questa legge è connessa col sistema sindacale e quindi a me pare oggi inapplicabile…

MANZINI. Una cosa è l’albo, altra cosa è il sindacato.

CEVOLOTTO, Relatore. D’accordo. Ma la legge si riferisce ai sindacati, perché dice che in ogni sindacato regionale fascista dei giornalisti è istituito l’albo professionale.

Il fatto che oggi l’albo sia tenuto dall’Associazione dei giornalisti è un adattamento della legge, che conferma in sostanza l’inapplicabilità di molte delle disposizioni di essa.

MANZINI. Si è ricostituito l’albo.

CEVOLOTTO, Relatore. Non è più basato su questa legge; ed è bene che non lo sia.

L’albo è stato ricostituito sulla base del decreto luogotenenziale 23 ottobre 1944, n. 302, che forse, più che modificare, ha sostituito la legge del 1928. Ad esempio, questa legge all’articolo 5 dice: «in nessun caso possono essere iscritti, e qualora vi si trovino iscritti devono essere cancellati, coloro che abbiano svolto pubblica attività in contraddizione con gl’interessi della nazione».

Se si volesse ritenere che una simile disposizione sia ancora in vita, dove si arriverebbe? Di questa norma si sono serviti i fascisti per estromettere tutti quei giornalisti che non erano graditi. Potrebbe servire oggi ad una maggioranza non liberale, per cacciare ad esempio quei giornalisti che facessero propaganda per la monarchia; potrebbe servire domani ad un governo reazionario per cacciare dei giornalisti che facessero propaganda comunista. La legge evidentemente non si deve applicare in quella parte, che è in contrasto con i principî democratici, in quella parte – ed è la quasi totalità di essa – che è tipicamente fascista. Il decreto del 1944, costituendo la Commissione unica presso la federazione della stampa, non ha certo inteso di attribuire a questa Commissione il potere di applicare le norme illiberali, fasciste, della legge del 1928.

Resta un albo che, per quel che riguarda le garanzie per lo stesso giornalista, le garanzie per i casi di cancellazione o di ammissione, è affidato a una Commissione unica, senza possibilità di appello. Ecco perché bisogna aspettare la futura legge sull’albo che si sta preparando. So infatti che il Ministro Grassi lavora attorno a questa legge, che darà tutte le garanzie. Se la legge del 1928 si reputasse ancora operante, non ci sarebbe bisogno di mettere nulla nel nostro progetto, perché la legge del 1928 dice all’articolo 19: «Il direttore e il redattore responsabile di un giornale quotidiano debbono essere iscritti nell’elenco dei professionisti». Meglio aspettare la nuova legge, che disciplini organicamente l’albo. Infatti mi pare che l’onorevole Manzini, nel suo eccellente discorso, non chiedesse altro se non la menzione nella nuova legge dell’albo dei giornalisti; non chiedesse, come l’onorevole Schiavetti, la condizione che il direttore deve essere iscritto fin da adesso nell’albo attuale. Non devo nascondere che la prima Commissione dei giornalisti, di cui ho fatto cenno, non era stata molto favorevole alla condizione dell’iscrizione dei direttori di giornali nell’albo dei giornalisti. Nella relazione del Presidente, professore Zottoli, leggo quanto segue: «Credo anche opportuno ricordare le discussioni che si sono avute e sono state lunghe e vive relativamente all’obbligo, per chi voglia dirigere un periodico, di iscriversi od essere iscritto nell’albo dei giornalisti; ricordarle però unicamente per far noto che tutti i commissari, salvo forse uno, sono stati contrarî a sancire l’obbligatorietà». Si noti che questa relazione è del 14 dicembre 1946, quindi posteriore al congresso di Palermo.

SCHIAVETTI. Vi furono molti assenti in quella riunione!

CEVOLOTTO. «…sono stati contrarî a sancire l’obbligatorietà e furono, nel sostenere la loro opinione, mossi da considerazioni scevre da ogni avversità al principio dell’albo. Queste considerazioni sono di due ordini; il primo riguarda tutti i periodici. È chiaro che, ammesso l’obbligo della iscrizione, la radiazione dall’albo importerebbe «ipso facto» la decadenza del radiato dalla gerenza, cioè dal diritto di restare alla direzione del periodico. Ora tutti coloro che ricordano la nefasta efficacia esercitata sulla stampa dal governo fascista, con la minaccia di ritirare la gerenza, sono molto guardinghi quando si tratti di accordare ad altri enti quella facoltà che giustamente si nega al potere esecutivo.

Probabilmente, se una nuova legge sull’albo fosse stata già sancita e offrisse, per quanto riguarda i procedimenti di radiazione dall’albo, sicure garanzie di imparzialità, di natura evidentemente anche giurisdizionale, la maggioranza della Commissione per questa parte non avrebbe insistito nella sua opinione» Poi, la relazione così prosegue: «L’altro ordine di considerazioni riguarda la stampa non politica, specialmente le pubblicazioni periodiche di studi scientifici ed atti accademici». Questa seconda considerazione ritengo che non abbia lo stesso valore della prima, perché anche nella legge del 1928 è previsto, per i direttori di pubblicazioni di carattere scientifico, culturale, un elenco a parte. È evidente che non può la stampa scientifica essere soggetta alla stessa disciplina, alla quale vengono sottoposti i giornalisti che esercitano la professione nella stampa quotidiana politica o di informazione.

Il Governo, modificando l’articolo proposto dalla Commissione giornalistica, ha tolto l’inciso: «ogni altro documento che venga richiesto da successive leggi relative alla professione giornalistica».

E lo ha tolto per la considerazione che leggo: «Non è stato poi riprodotto il riferimento ai requisiti eventualmente richiesti da leggi riguardanti l’esercizio giornalistico, introdotto dalla Commissione non senza contrasto, come risulta dalle osservazioni che il Presidente della Commissione stessa ha fatto nella sua relazione. Questa omissione si deve ad un duplice ordine di ragioni: la prima è di merito, come è detto nella ricordata relazione; la seconda è di carattere tecnico, che consiste nella inutilità di una disposizione che non abbia un concreto contenuto positivo, ma si riferisca soltanto ad un eventuale intervento legislativo». Su questa seconda considerazione la Commissione deciderà e, quando si discuterà l’articolo, dirà le sue conclusioni. Io, personalmente, osservo che molte volte, anche nella Costituzione, abbiamo fatto riferimento a leggi future. Non vedo difficoltà in questo senso. D’altra parte la formula non è impegnativa; la formula si riferisce ai requisiti che verranno richiesti, qualunque essi siano, dalla futura legge. Lascia semplicemente aperta la porta, ma viene incontro in sostanza al desiderio della federazione della stampa, che cioè del problema ci sia cenno nella legge, perché non si abbia l’impressione che l’aver tolto l’inciso proposto dalla Commissione giornalistica significhi aver voluto escludere la possibilità della richiesta del requisito professionale anche nella futura legge speciale.

Penso – ma non so ciò che la Commissione deciderà – che il ritornare al testo della Commissione giornalistica non sia cosa impossibile.

Mi riferisco a quello che ha detto così bene l’onorevole Manzini. Il problema è anche un problema di responsabilità, di elevazione del giornalismo, è un problema tecnico che implica un problema morale. Non è soltanto col sancire la obbligatorietà dell’iscrizione nell’albo o col negarla, che si può provvedere nel senso desiderato da tutti; ma principalmente col creare le condizioni per quella elevazione del costume e delle condizioni morali dei giornalisti, che sarà data soprattutto se si potrà trovare il modo di stabilire, attraverso ad un contratto collettivo ben fatto, una reale autonomia al direttore.

C’è poi la questione del sequestro, cioè la seconda delle grosse questioni a cui andiamo incontro, e sulla quale devo richiamare l’attenzione dell’Assemblea. Quale è la situazione attuale? Domando quale è la situazione attuale, perché ho l’impressione che, non certo la maggior parte, ma forse qualcuno della stessa nostra Assemblea non ne conosca i termini precisi.

I termini rapidissimamente riassunti, sono questi: nel 1906 la democrazia in Italia conquistò una grande vittoria. Con la legge Sacchi, che abolì il sequestro dei giornali, si ottenne questa vittoria. Fu una battaglia che durò molti anni e che fu vinta appunto nel 1906.

La legge Sacchi stabiliva che il giornale non può essere sequestrato che dall’autorità giudiziaria, e che non può essere sequestrato se non in determinate circostanze, cioè per pubblicazioni offensive del buon costume o del pudore. In tutti gli altri casi non è ammesso il sequestro se non per sentenza definitiva del magistrato. Fu questa una grande conquista della democrazia, conquista che fu però annullata dal fascismo.

Quando venne il fascismo si susseguirono, a cominciare dalla legge di pubblica sicurezza, le varie leggi particolari, che autorizzavano il sequestro dei giornali ad libitum da parte dell’autorità di pubblica sicurezza.

Riacquistammo la libertà e le cose andarono diversamente: è stato provveduto, fin dal 31 maggio 1946, con il decreto n. 561, a regolare la materia ritornando alla legge Sacchi. È questo appunto che si deve tener presente: prima della nostra Costituzione, in Italia, su questo punto si era già riacquistata la piena libertà in un regime di vera democrazia. Oggi ancora vige il decreto del 1946, e non succede niente di diverso, non è accaduto niente di male, nemmeno durante la battaglia elettorale del 2 giugno, e nemmeno dopo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. C’è la legge Togliatti.

CEVOLOTTO, Relatore, Sì, quella di cui parlo è la legge De Gasperi-Togliatti, che dice tra l’altro: «Non si può procedere al sequestro della edizione dei giornali… se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria. È tuttavia consentito all’autorità giudiziaria di disporre il sequestro di non oltre tre esemplari di stampati che comportino violazione ecc.». Si stabiliscono, in deroga, i casi di sequestro – da parte dell’autorità giudiziaria, evidentemente – che sono esclusivamente quelli di pubblicazioni oscene o indecenti, e di divulgazione di mezzi antifecondativi o abortivi; in questi casi si deve procedere per giudizio direttissimo. Questa è una legge abbastanza liberale.

SCHIAVETTI. Io ho citato due casi assolutamente preoccupanti.

CEVOLOTTO. Siamo perfettamente di accordo; non creda, onorevole Schiavetti, che vi sia un dissenso fra me e lei su questo punto. Ma se anche la legge più liberale dà luogo a qualche inconveniente, non è chi non vede il pericolo di una legge illiberale in questa materia.

Ora, la Costituzione, all’articolo 21, ha sancito delle norme che apparentemente e, secondo me, non sostanzialmente vanno contro il regime di libertà che noi abbiamo instaurato. Questo il punto: perché se all’articolo 21 non diamo una interpretazione che consenta di restare nel regime di libertà che abbiamo conquistato, rischiamo di tornare agli arbitri dei sequestri da parte della polizia. La legge Togliatti ammette il sequestro della stampa oscena, ma da parte dell’autorità giudiziaria. È implicito nella stessa dipendenza dell’articolo 2 dall’articolo 1.

L’articolo 21 della Costituzione dice che si può procedere al sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme, che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

Non occorre più la sentenza irrevocabile, basta l’atto dell’autorità giudiziaria. Però la Costituzione dice: «nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi»; quindi vi deve essere una disposizione che precisi in quali casi l’autorità giudiziaria può procedere al sequestro del giornale. Affermo subito che se il capoverso successivo si interpretasse come io credo non si deve interpretare, non resterebbe altro che limitare al minimo, nella legge sulla stampa, i casi nei quali si autorizza l’autorità giudiziaria a procedere al sequestro di giornali. Il capoverso successivo così si esprime:

«In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria etc».

Se questa fosse una norma cogente di immediata attuazione, noi torneremmo indietro, a prima del 1906, torneremmo indietro anche rispetto al regime attualmente in vigore, perché non è chi non veda che, quando si dà modo alla polizia giudiziaria di sequestrare in via di urgenza i giornali – sia pure per i casi di oscenità o per i casi di quei reati per cui sia concesso il sequestro all’autorità giudiziaria – è facilissimo, è inevitabile che la polizia vada oltre i confini che le sono assegnati, e si dà all’esecutivo un’arma, della quale può servirsi per violare la libertà della stampa.

Noi interpretiamo il capoverso collegandolo a ciò che precede. Il «può» non implica un obbligo della legge sulla stampa di inserire una norma autorizzativa del sequestro da parte della polizia giudiziaria, ma semplicemente autorizza in casi eccezionali, ad inserire sulla legge speciale una norma del genere. Questo è un limite che non può essere considerato se non come un limite massimo. Altrimenti la norma che discutiamo sarebbe in contrasto con ciò che precede: «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Se non si vuole creare una contraddizione irriducibile tra questa solenne affermazione e ciò che segue, si deve ammettere che si tratta qui di una norma permissiva, che autorizza la legge a mettere in casi particolari l’autorizzazione al sequestro da parte della polizia, ma non la obbliga a mettere in ogni caso questa norma.

Noi diciamo: la legge sulla stampa potrebbe anche, in casi di emergenza, autorizzare il sequestro da parte dell’autorità di polizia, ma non è obbligata ad inserire questa regola nel contesto della legge; e se non la inserisce, non va contro la Costituzione.

Questo è un punto che deve essere risolto. Altrimenti potremmo trovarci nel periodo elettorale di fronte ai sequestri dell’autorità di polizia. Il problema è grave e va approfondito ed affrontato con serena coscienza. Non vogliamo modificare in niente il contenuto normativo della Costituzione (non è attraverso una legge sulla stampa che si può modificare la Costituzione), ma vogliamo interpretarla in quel senso liberale che promana da tutta la Carta. È assurdo pensare che la Costituzione abbia voluto lasciare in ogni caso – abbia anzi voluto prescrivere che sia permesso – il sequestro della stampa da parte dell’autorità di polizia. Sarebbe andare contro i principî fondamentali storicamente acquisiti in questa materia.

Vi sono nella legge norme che potranno venire in discussione sotto vari aspetti e in molti casi potranno essere migliorate e modificate. Per esempio, è evidente che è stata una svista – intendiamoci bene, da parte della Commissione dei giornalisti prima, poi da parte del Governo, poi da parte della Sottocommissione, poi da parte della Commissione dei Settantacinque – quella di avere ammesso che il giornalista possa essere obbligato, quando nomina alcuno, a pubblicare una rettifica della persona nominata, lunga fino al doppio della notizia.

Una voce al centro. Non la pubblicano mai!

CEVOLOTTO, Relatore. La disposizione, come è stata formulata nel testo della legge, è inapplicabile. Una signora nominata da un cronista, il quale abbia scritto che ad un ricevimento portava un abito verde, potrebbe pretendere la pubblicazione della rettifica che il suo abito non era verde, ma rosso. Questo non è il senso della disposizione. Il senso della disposizione è che sia obbligatoria, e severamente obbligatoria, la pubblicazione della rettifica di chi è stato diffamato od offeso.

Così pure la disposizione che è stata tanto criticata dall’onorevole Labriola, relativa alla facoltà, da parte dell’autorità, di veder pubblicati a pagamento i suoi scritti; deriva anch’essa dall’editto sulla stampa, ed è stata poi trasportata in un testo, che è stato integralmente approvato dal Governo, così come era sfuggito all’attenzione della Commissione dei giornalisti. Anche questa disposizione va chiarita. Vi possono essere dichiarazioni, avvisi, ordini dell’autorità pubblica, che è interesse e diritto del Governo di inserire a pagamento nei giornali. Ma il limite dell’interesse pubblico va precisato.

Del resto, la relazione del Governo accenna a questi limiti: «Si tratta di due norme che sono state oggetto di critica. La prima, che vige nella consuetudine giornalistica dei più progrediti paesi, costituisce una salvaguardia opportuna, anzi necessaria, a tutela dei singoli. La seconda non deve essere interpretata nel senso di una illimitata facoltà alle pubbliche autorità, ponendo la norma stessa alla sua pubblicazione il limite del pubblico interesse, limite che potrà essere valutato dal magistrato, qualora dalla inosservanza di essa si faccia derivare la responsabilità del direttore». Il limite del pubblico interesse non è abbastanza preciso ed abbastanza chiaro. Bisogna trovare una formula che precisi meglio.

L’onorevole Bettiol nel suo discorso ha parlato (e ne ha parlato anche incidentalmente, sotto altro aspetto, l’onorevole Schiavetti) della responsabilità penale del direttore di giornale. E qui sorge, di riflesso, la questione del gerente.

La responsabilità penale oggettiva del direttore è già nella nostra legislazione penale, nel nostro Codice penale. Il Codice penale, infatti, agli articoli 57-58 precisa questa forma di responsabilità del direttore o del redattore responsabile del giornale: «Per i reati commessi col mezzo della stampa si osservano le disposizioni seguenti: 1° qualora si tratti di stampa periodica, chi riveste la qualità di direttore o redattore responsabile risponde, per ciò solo, del reato commesso, salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione».

Questa norma si ricollega all’articolo 42 del Codice penale. Nel sistema della nostra legge c’è anche il principio della responsabilità oggettiva, del quale gli esempi più frequenti si hanno in tema di contravvenzioni.

Altra volta (quando avevo il tempo di occuparmi di queste cose) ho scritto un lungo articolo per dimostrare che, nella maggior parte dei casi in cui si parlava di responsabilità oggettiva, anche nelle contravvenzioni, non si trattava in realtà di responsabilità oggettiva se non apparentemente, e che la responsabilità oggettiva era un non senso. Poi è venuto il nuovo Codice che l’ha sancita. Ad ogni modo, un caso di responsabilità oggettiva c’è sempre stato, ed è quello del gerente, il quale risponde penalmente di ciò che non poteva impedire, di ciò per cui non è imputabile né a titolo di dolo, né per colpa. Rispondeva perché era gerente; e questa è una assurdità. Ha ragione l’onorevole Bettiol di dire che si tratta di un istituto arcaico. Ma questa assurdità è anche, in materia di stampa, una necessità. Quando il Codice penale dice, all’articolo 57, che il «direttore o redattore responsabile risponde, per ciò solo, del reato commesso», dice una cosa che a tutta prima ripugna, ma che praticamente è necessaria, perché altrimenti, nella maggior parte dei casi la diffamazione non risulterebbe perseguibile. Tutte le volte che non si riesce a identificare l’autore dello scritto non si potrebbe imputare, secondo le normali regole dell’imputabile, il direttore, perché egli non sarebbe responsabile che a titolo di colpa e la diffamazione non è un reato colposo. Il direttore sfuggirebbe alla accusa, dimostrando che non era presente o che non ha visto lo scritto. Sarebbe facilissimo evitare la perseguibilità dei diffamatori abituali. Per questo si era istituito il gerente nella vecchia legislazione. L’onorevole Labriola ha detto che anche questa istituzione tanto malfamata ha avuto qualche lato buono, perché certe volte ha servito ad alcuno per esprimere liberamente la sua opinione, cosa che non avrebbero potuto fare in tempi di oppressione. Ma checché ne sia, oggi, per una ragione di moralità, si è sostituita alla figura del gerente, la figura del direttore. Responsabilità obiettiva anche in questo caso; ma in questo caso, la responsabilità oggettiva ha una qualche attenuazione nella sua configurazione. Si potrebbe dire che si tratta di un caso di responsabilità colposa, che viene perseguita come responsabilità dolosa, perché il direttore ha l’obbligo di vigilare, ha l’obbligo di seguire, la pubblicazione, anche se la affida ad altri, ha, quanto meno, la colpa della «mala electio». Comunque è colui che dispone del giornale, e quindi è più giusto che, se una responsabilità obiettiva si deve far risalire a qualcuno, la si faccia risalire a lui.

Ecco perché le critiche dell’amico Bettiol, fondate indubbiamente in teoria (egli è un giurista ed un penalista di grande valore, e quando dice cosa in questa materia, come del resto anche nelle altre, dice cosa esatta), praticamente non incontrano quella che è la situazione reale, la necessità della repressione dei reati di stampa.

Vi è la questione delle corti d’onore, sulla quale anche ha insistito la federazione della stampa ed hanno insistito vari degli oratori che ho ascoltato: l’onorevole Bettiol, mi pare l’onorevole Labriola, ed altri.

Bisogna riflettere alla situazione giuridica attuale, alla situazione di fatto della nostra legislazione. La Commissione ha cercato, nella semplificazione di questa legge (perché la legge proposta dal Governo è stata da noi semplificata e ridotta) di portare il meno possibile di modificazioni alle leggi penali o di procedura penale; in quanto ha ritenuto che in sede di legge sulla stampa non si debba procedere alla revisione del codice penale né della legge processuale penale.

Per esempio, di fronte alla necessità di un procedimento immediato per i reati di diffamazione a mezzo della stampa, di cui hanno parlato oratori anche poco fa, la Commissione si è limitata a prescrivere il giudizio direttissimo, mentre molti dei commissari, anzi forse la maggior parte, era propensa a tornare alla vecchia citazione di parte dei codici del 1913 e del 1865. Ma ha ritenuto che questa sia materia di modificazione del codice di procedura penale e non da inserire nella legge sulla stampa.

Ora qual è la situazione attuale? La situazione attuale è quella determinata dal codice penale Rocco. Non so perché questo codice penale, come tutti i codici del fascismo, sia ancora rimasto in piedi.

Lo dovrei chiamare codice Mussolini, e mi ripugna. È un codice profondamente reazionario; è un codice in camicia nera. Quando maneggio questo codice sento fastidio, come se discutessi con persona che vestisse la camicia nera. Questo codice ha tolto la facoltà della prova liberatrice per la diffamazione. Naturalmente, avendo tolto la facoltà della prova dei fatti (che è stata ora ripristinata con le modificazioni alla legislazione penale del decreto 14 settembre 1944, n. 288) l’ha sostituita con un istituto nuovo, quello del giurì d’onore. Chi querela alcuno per diffamazione non mira a fargli applicare diecimila lire di multa o anche un mese o dieci mesi di reclusione. Nella vecchia legislazione la pena era un anno di detenzione, come minimo, e superava il limite della condanna condizionale. Chi stampava il giornale ci pensava molto prima di diffamare, perché c’era la galera; e non sarebbe male ritornare a pene più severe di quelle, ridicole che oggi si danno per i reati di diffamazione. Anche questo però è forse un problema da risolvere in sede di revisione del codice penale.

Poiché non vi era la possibilità della prova liberatoria, si istituì il giurì d’onore per dar modo, a chi era diffamato con l’attribuzione di un atto specifico dimostrare che il fatto non sussisteva. Senonché, questo istituto, che era diretto a un giusto scopo, non è stato regolato nel codice di procedura: è stato regolato dagli articoli 9 a 12 delle norme di attuazione; ed è una regolamentazione pessima, infelicissima.

Una volta, dopo aver esperimentato nella mia pratica professionale l’istituto, scrissi in proposito una piccola monografia, concludendo che, dopo le mie esperienze non avrei mai suggerito a nessuno di ricorrere al giurì d’onore, che non portava a risultato, perché la procedura ne era male ordinata. Non si sapeva se era un organo giurisdizionale o non giurisdizionale. Ed i giuristi si sono affaticati a stabilire questo principio, che praticamente non aveva un’importanza decisiva, mentre invece le norme procedurali non offrivano alcuna garanzia.

Si vogliono istituire le corti d’onore. Ma le corti d’onore, che hanno altro ambito rispetto al giurì d’onore, porterebbero a questo: che vi sarebbe il procedimento normale per diffamazione; vi sarebbe il giurì d’onore; vi sarebbe la corte d’onore. Troppe cose. Per di più il progetto propone che le corti d’onore applichino per la procedura le disposizioni degli articoli 9 e 12 delle norme d’attuazione, cioè proprio le disposizioni tanto criticate relative al giurì d’onore, a causa delle quali, malgrado ci fosse la necessità di ricorrere al giurì d’onore per dimostrare la non verità dei fatti addebitati, l’istituto non ebbe se non scarsissime applicazioni. Non si ricorrerebbe ora neanche alle corti di onore; a meno che non si inserisse nella legge tutta una nuova regolamentazione procedurale, con norme chiare e precise. Queste norme di procedura, che non sarebbero poche, porterebbero all’inserimento di un vero testo processuale nella legge sulla stampa, che ne altererebbe le proporzioni e ne sviserebbe la natura.

Pure aderendo al principio della corte di onore, pensiamo che questa materia per forza di cose deve essere riservata alla revisione del codice penale e del codice di procedura penale; non alla riforma definitiva, ma a quei provvedimenti modificativi in corso di elaborazione, che potranno essere pronti fra poco tempo.

Molti altri particolari del progetto potranno essere vagliati in sede di discussione dei singoli articoli.

Io ho voluto enucleare le questioni principali: se l’Assemblea riterrà che non sia il caso oggi, per le ragioni dette dagli onorevoli Giannini e Scoccimarro, ma più specialmente per ragioni di tempo, di affrontare la discussione dell’intera legge, bisognerà provvedere allo stralcio; ma questo stralcio dovrà comprendere quei due o tre problemi fondamentali, che devono essere risolti.

Le questioni di dettaglio potremo esaminarle, se sarà il caso, nella discussione degli articoli. Questo disegno di legge, malgrado qualche resistenza, è accettato abbastanza favorevolmente anche dai giornalisti, nella sostanza se non nella forma; perché essi chiedono modificazioni sui seguenti punti: menzione dell’albo professionale, registrazione da parte del cancelliere, corti di onore, pubblicazione nel bollettino della stampa, invece che nel foglio degli annunci legali, dei bilanci dei giornali; ma una sola questione sostanziale essi fanno: la obbligatorietà dell’iscrizione del direttore nell’albo professionale.

Ho l’impressione che, anche aspettando, non si potrà fare una legge molto diversa da questo progetto. Del resto, non si tratta di una legge costituzionale; si tratta di una legge ordinaria, modificabile in qualunque momento, quando la mutata situazione lo comporti. Se ci fosse il tempo, non vedrei la ragione di rinviare la discussione se non per una modificazione sostanziale, di struttura, che probabilmente non potrà avvenire neppure fra un anno e più.

È necessario però ridare subito un clima di vera libertà alla stampa. Checché se ne dica, la Commissione – ed i nomi dei componenti ne sono garanzia – ha procurato, sulla base del testo redatto dai giornalisti, di garantire la nuova libertà. Questa è stata l’intenzione. Questa è la volontà. Quando comincerà la competizione elettorale, la stampa italiana dovrà essere libera, non dovrà avere vincoli di autorizzazioni o di sequestri, di nessun genere; dovrà trovare nella sua libertà i limiti della stessa libertà. Questo è ciò che esige il costume politico e ciò che esige il momento; questa l’aspirazione per cui noi – io meno degli altri, perché ho sostituito l’onorevole Grassi da poco tempo – noi tutti i componenti della Commissione, a cominciare dall’onorevole Grassi, il quale l’ha così autorevolmente presieduta, abbiamo lavorato con assiduità. Abbiamo lavorato – molto più gli altri che chi vi parla – con coscienza, per arrivare a un buon risultato. Auguriamo che attraverso il rinvio non si lasci ancora la stampa italiana nella condizione in cui si trova oggi. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha facoltà di parlare.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Nel momento attuale della discussione ci si può forse limitare a poche osservazioni, in quanto la gran parte delle cose che sono state dette nella discussione generale attiene a punti singoli di questo progetto di legge e quindi può essere meglio valutata e commentata se e quando noi discuteremo dei diversi articoli del disegno stesso.

Credo, comunque, necessario premettere una constatazione e cioè che questo disegno di legge non è stato formulato e presentato all’Assemblea Costituente dall’attuale Governo ma giace dal marzo 1947 presso la Commissione dei Settantacinque la quale, prima che ne fosse iniziata la discussione in questa Aula, lo trasmise all’esame di una apposita Sottocommissione; esso fu approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 13 marzo 1947 e quando al Governo erano Ministri appartenenti a partiti diversi da quelli oggi in esso rappresentati e precisamente dagli onorevoli Sereni, Gullo, Ferrari, Cacciatore, Morandi, Romita ed altri. Questo dico, non per declinare delle eventuali, ipotetiche responsabilità, o per allontanarmi da certi punti di vista che sono sanciti nel progetto, ma per rilevare che oggi il Governo mantiene quello stesso progetto che, anche se redatto alcuni mesi prima dell’approvazione dell’articolo 21 della Costituzione (che tratta della materia della stampa), è fedelmente aderente a quegli stessi principî che hanno trovato accoglimento nel detto articolo. E forse è significativo che nessuno, in questa discussione generale, abbia potuto portare qualche critica concreta al Governo, dopo che in più d’una occasione è stato accennato sia sulla stampa che in questa stessa Aula ad ipotetici abusi da parte del Governo delle disposizioni vigenti in questa materia. È vero che il regime delle autorizzazioni è un regime non certo desiderabile per la stampa. Siamo noi i primi ad auspicare il momento in cui, attraverso quel meccanismo più semplice della registrazione, sarà tolta al potere esecutivo la possibilità di interferire sulla pubblicazione di un periodico. Ma è pur vero che sia dal Governo attuale che da quelli passati è stato fatto l’uso più rigoroso della concessione delle autorizzazioni, nel senso che queste non sono state mai negate, senza che vi fosse un motivo fondato e riconosciuto. Basti pensare che sono state date, dalla liberazione ad oggi, in Italia 25.000 autorizzazioni per nuovi periodici, molti dei quali sono rimasti soltanto nell’intenzione di chi doveva forse profittarne per far commercio o per avere dei finanziamenti. 25.000 autorizzazioni testimoniano se non altro di una larghezza di indirizzo e nessuno può oggi sostenere che sia stata negata un’autorizzazione senza un motivo fondato e riconosciuto. Avrei gradito che qualcuna di quelle vaghe critiche che come accennavo poc’anzi sono state rivolte al Governo sulla stampa e in questa stessa sede avessero trovato concreta formulazione nella discussione attuale. Ciò vale anche per la materia dei sequestri, che, come è noto, è disciplinata dal decreto legislativo 31 maggio 1946, che porta la firma del Guardasigilli del tempo onorevole Togliatti. Ieri l’onorevole Schiavetti ha ricordato il sequestro del giornale Il Pollo del 28 novembre 1946, eseguito su ordine della procura della Repubblica e non della prefettura, ed il sequestro di quel foglio che si chiama, se non erro, Il matrimonio; il fatto che detti sequestri non hanno trovato conferma da parte della autorità giudiziaria costituisce la riprova dell’assoluta libertà in cui si svolge, nei confronti del potere esecutivo, l’azione dell’autorità giudiziaria.

SCHIAVETTI. Voi avete congelato le pratiche, cosicché questi due giornali, nonostante le pratiche fatte, non sono potuti uscire.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Del resto io, per un certo rispetto alla serietà dei nostri lavori, non ho portato qui i due fogli incriminati, altrimenti forse sarebbe stato facile vedere quanto sia, se non altro, singolare l’addebito fatto dall’onorevole Schiavetti secondo il quale il sequestro sia servito a mascherare, attraverso una asserita difesa del buon costume, la difesa di un determinato interesse politico. Non vedo come in questi casi e negli altri in cui, a tutela della pubblica decenza, è stato disposto il sequestro, sempre ad opera dell’autorità giudiziaria (e qui ho con me una busta che semmai potremo vedere insieme a seduta chiusa, onorevole Schiavetti) non vedo proprio che vi sia una difesa di un particolare ideale politico e di un particolare interesse di gruppo governativo. Mi pare che si tratti effettivamente di casi in cui il sequestro sia stato disposto a tutela di quanto è stato esplicitamente riconosciuto anche in sede di formulazione dell’articolo 21 della Costituzione.

Comunque, è notevole anche questo e cioè che i due casi ricordati dall’onorevole Schiavetti si stano verificati nel momento in cui maggiori le responsabilità politiche non ricadevano su uomini della democrazia cristiana. Dal giugno, da quando cioè si è formato il Governo attuale, prima del rimpasto e dopo il rimpasto, non si è mai dato un solo caso in cui sia stato possibile sospettare, se non accusare, un attentato volontario o involontario alla libertà di stampa. Questo il Governo credo abbia non soltanto il diritto ma il dovere di ricordare qui, oggi, mentre si discute di libertà di stampa. Il disegno di legge attuale, così com’era stato elaborato attraverso una eccezionale ed auspicabile, anche in altri settori, collaborazione tra gli organismi rappresentativi della stampa, dei giornalisti, degli editori ecc., non risolve certo tutti i problemi che sono stati accennati nella discussione generale.

Ieri l’onorevole Schiavetti ha, attraverso delle perifrasi, auspicato l’avvento di concezioni più moderne nel regime della stampa, attraverso la realizzazione di legislazioni simili a quella vigente in Cecoslovacchia o a quella proposta ma non ancora approvata in Francia; egli, peraltro, pare aver dimenticato che quelle leggi sono, non il punto di partenza di una determinata situazione politica e sociale, ma il punto di arrivo.

Ora io credo che, per quanto viva possa essere l’esigenza di criteri liberali nella attuale formulazione della legge sulla stampa, nessuno possa pretendere che sia il Governo stesso a proporre delle leggi che diano già per scontato l’avvento di certe situazioni e di certe cosiddette evoluzioni – non so se sono evoluzioni –; ritengo anzi che il Governo abbia il solo dovere di impedire che esse si realizzino.

Oggi infatti quello che l’onorevole Scoccimarro ha chiamato col vero nome, e che si intuiva nelle parole dell’onorevole Schiavetti, e cioè la nazionalizzazione delle imprese tipografiche, può essere un punto di arrivo che non mi pare si possa porre oggi in sede di legislazione sulla stampa. Esso dovrà, se mai, essere esaminato quando verranno trattati concetti più generali di libertà di proprietà.

In questo senso è giusto ed è comprensibile quanto l’onorevole Scoccimarro ha detto nei confronti del rinvio di questo progetto. È necessario anzi dire una parola di chiarimento a questo riguardo, cioè per quanto si è detto dall’onorevole Scoccimarro relativamente a quei complessi tipografici già appartenenti al partito fascista e che sono stati posti dalle circostanze della guerra in un regime particolare. Certamente, anche se avesse avuto un’altra soluzione, la destinazione di questi complessi tipografici non avrebbe risolto tutto il problema della stampa in Italia, perché si tratta di piccole imprese, che, se possono avere localmente un certo peso, nel quadro della editoria nazionale non hanno una rilevanza notevole. Io non conosco a fondo la cosa perché non ero al Ministero nel momento in cui è avvenuta la vendita della tipografia di Udine, ma mi riservo di accertare i fatti nella presunzione che, secondo quanto dice lo stesso onorevole Scoccimarro a questo riguardo, che un uomo serio come l’onorevole Arpesani non spenda la parola d’onore per ingannare, non un estraneo, ma addirittura un Ministro del proprio Governo.

SCOCCIMARRO. I dati che sono stati citati furono pubblicati anche da qualche giornale.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ma l’onorevole Arpesani è attualmente in Argentina…

SCOCCIMARRO. Io non ho detto una parola di più di quanto non sia stato già pubblicato.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Si può prospettare anche la probabile considerazione che, trattandosi di Udine, gli organi dello Stato che volevano addivenire alla vendita del complesso tipografico si preoccupassero non soltanto del quantum, ma anche delle persone che prendevano questo complesso tipografico; perché è vero che lei dice che sono caduti in mani di monarchici, ma potevano anche cadere in mani di prestanome… (Interruzione del deputato Russo Perez).

SCOCCIMARRO. Il Comitato di liberazione nazionale aveva offerto quattordici milioni.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ma il Comitato di liberazione nazionale non ha personalità. D’altro canto potrebbe darsi l’ipotesi che particolari ragioni politiche favorissero ad Udine il passaggio dell’impresa tipografica in mano a dei prestanome che non facessero gli interessi dell’Italia e ciò a prescindere dal dubbio sulla effettiva disponibilità dei detti quattordici milioni da parte del Comitato dì liberazione nazionale.

Una voce all’estrema sinistra. Come vuole che il Comitato di liberazione nazionale non provveda agli interessi dell’Italia? (Commenti).

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Dicevo che il Comitato di liberazione, non possedendo, non poteva acquistare.

Comunque, anche su questo punto, nei confronti del Governo attuale, sono in grado nel modo più assoluto di dire che per quanto riguarda questa materia di regolamentazione definitiva o provvisoria dei compiessi tipografici che appartenevano al partito fascista tutto si svolge nella forma più pubblica e più rigorosa possibile, tanto che io sarò lietissimo se si addiverrà, con la nuova Camera, ad una inchiesta parlamentare, o a qualsiasi altra forma di indagine pubblica.

SCOCCIMARRO. Nella forma più pubblica, e non come si è proceduto per il Resto del Carlino e per Il Popolo d’Italia! (Commenti – Interruzioni).

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Per il Resto del Carlino è stata applicata la legge sull’avocazione dei profitti di regime, che credo sia stata fatta da lei…

SCOCCIMARRO. Non mi induca a dire qualche cosa di più!

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Io vorrei indurre in tentazione per far dire cose serie e per poterle contestare.

SCOCCIMARRO. Per esempio, la vendita per 240 milioni di un complesso che oggi vale 900 milioni! (Commenti).

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Lei sa benissimo, per essere stato Ministro delle finanze, che l’accertamento base non può essere aumentato.

SCOCCIMARRO. Non è vero!

MICHELI. Ma questi sono fatti speciali! (Commenti).

PRESIDENTE. La prego, onorevole Micheli.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Comunque, non credo che questo punto della proprietà delle tipografie possa essere risolto nel senso accennato dall’onorevole Scoccimarro, cioè decidendone la nazionalizzazione, oppure nel senso meno perfettamente accennato dall’onorevole Schiavetti.

L’unica traccia precisa da seguire nel disciplinare questa materia è quella indicata nel progetto governativo che ha trovato una fedele riproduzione nell’articolo 21 della Costituzione.

Il punto cui ha accennato l’onorevole Cevolotto e che ha determinato un agitarsi legittimo e comprensibile di critiche e di proposte da parte della classe giornalistica, cioè la sanzione in questa legge dell’obbligatorietà dell’appartenenza all’albo dei giornalisti per poter ottenere la direzione responsabile e la registrazione di un periodico, è un punto su cui si potrebbe discutere molto.

Certo, i giornalisti oggi sono legittimamente preoccupati, non soltanto per un interesse ristretto di categoria, ma proprio perché tale obbligatorietà è una forma indiretta di controllo della serietà delle imprese giornalistiche; sono preoccupati che, in mancanza di ogni accenno ad una regolamentazione del genere, si possa domani, forse con degli artifizi, contestare la legge e renderne più difficile l’esecuzione.

Certamente la pura e semplice menzione dell’obbligo dell’iscrizione all’albo è una menzione al tempo stesso pleonastica ed insufficiente perché da un lato oggi gli albi già esistono, ma dall’altro la loro attuale disciplina non può considerarsi come una disciplina giuridica vera e propria. Non nego che l’accoglimento della dizione dell’articolo 6 del progetto possa anche rappresentare un pericolo in avvenire, perché un gruppo, un partito che riuscisse a dominare la classe giornalistica all’interno dell’albo, potrebbe, in qualche maniera, imporre l’esclusione di singoli giornalisti dall’albo o comunque rendere difficile l’appartenenza all’albo stesso. A tal fine basterebbe che la legge accennata richiedesse un certificato di buona condotta o qualche cosa del genere, per poter dar modo al potere esecutivo di rendere difficile l’appartenenza all’albo a chi sia nemico della maggioranza governativa.

Però credo che, mettendo sulla bilancia questo ipotetico pericolo e la necessità che si deve salvaguardare e che è richiesta dalla Federazione della stampa si possa accedere a questa seconda tesi. Quindi il Governo non è contrario a che si metta tra i requisiti anche quello contemplato dalla lettera c) del progetto primitivo dei giornalisti.

Per quanto riguarda il sequestro – riservandomi di parlarne a suo tempo, quando si discuterà l’articolo del progetto – debbo osservare che è gratuita una certa accusa di medioevalismo, di reazionarismo, di fascismo, che abbiamo sentito ripetere da qualcuno degli oratori che hanno parlato ieri e oggi, perché la possibilità del sequestro è esplicitamente ammessa dall’articolo 21 della Costituzione ed anzi, in un caso non soltanto è ammessa, ma è tassativamente richiesta. L’articolo 21 infatti, che nel terzo comma parla della possibilità di procedere al sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, nell’ultimo comma (votato qui dalla Costituente all’unanimità, con precise motivazioni, che si richiamano alla tutela particolare, ed al rispetto che meritano l’infanzia e l’adolescenza, ecc.) dice espressamente: «Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni». Viene così impegnato il legislatore a stabilire queste misure preventive.

Certamente questo può rappresentare un «erto pericolo, e dipenderà dal senso di responsabilità e dalla correttezza civile dei Governo di non abusare mai di una facoltà del genere; in ogni caso una remora ad ogni eventuale abuso è stabilita nello stesso articolo attraverso l’obbligo della trasmissione immediata dell’ordine di sequestro all’autorità giudiziaria, che entro un brevissimo termine, stabilito anche esso tassativamente dal disegno di legge, deve pronunciarsi, anche nel senso di rendere nulli gli effetti del provvedimento. Si profila così un’ipotesi di risarcimento, da fissarsi nei casi in cui fosse stato abusato di una tale facoltà.

SCHIAVETTI. Riguarda la stampa in generale, non quella periodica. Si riferisce ai capoversi precedenti.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Onorevole Schiavetti, se lei riguarda i resoconti stenografici di quella seduta si accorgerà che la questione è pacifica. Comunque, a prescindere dalla considerazione che la sua osservazione, a mio giudizio, doveva essere fatta in quel momento e non oggi che la Costituzione è già stata approvata, penso che di questo si potrà parlare più diffusamente nel momento in cui tratteremo dell’articolo sul sequestro.

Alle proposte di rinvio della discussione generale fatte ieri dall’onorevole Giannini, il quale si augura che questi mesi di vacanza parlamentare valgano ad illuminare quelli che torneranno nel Parlamento, per proporre delle formule legislative atte ad assicurare che l’uomo qualunque, l’uomo della strada, la folla, possano essere tutelati da eventuali inganni, rispondo che, benché possa avere una grandissima fiducia nella intelligenza di tutti gli appartenenti al primo Parlamento della Repubblica, credo che nessuno di essi sarà in grado di potere assicurare, attraverso una formula legislativa, un principio del genere. Di fronte a questa proposta di rinvio, motivata diversamente, ma proveniente da parti più diverse, il Governo osserva innanzi tutto che è pronto a discutere in tutto o in parte, secondo quanto voglia l’Assemblea, questo progetto. Nessuno domani sarà autorizzato a dire o a continuare a dire che il Governo voglia servirsi di certi strumenti provvisori attuali e faccia in modo che non si discuta e non si fissi in una forma più concreta e stabile quella che è la minima regolamentazione della stampa. Questo credo sia necessario dire ed è necessario che l’Assemblea di questo prenda atto. Il Governo stesso aveva fatto a un certo momento una proposta di stralcio.

Qualcuno ricorderà certo l’increscioso episodio del Corriere di Milano, in cui l’autorità prefettizia incorse in una errata valutazione dei propri poteri; e contro di essa si scagliarono alcuni che poi ne divennero ferventi sostenitori (si trattava infatti del prefetto di Milano). In quel momento il Governo, preoccupato che si continuasse a ripetere la diceria, la leggenda di tenebrosi poteri di un regime quasi nascosto, poliziesco, di stampa dichiarò che, se non fosse stato possibile prima del 31 dicembre (perché allora non si pensava alla prorogatio) approvare tutta la legge sulla stampa, si dovesse almeno approvarne subito pochi articoli, e soprattutto quelli relativi alla registrazione.

Ora, se l’Assemblea ritenesse di dover riprendere adesso, in questa nuova circostanza, la proposta di stralcio, il Governo sarebbe pienamente a disposizione dell’Assemblea stessa. Certamente non credo che si possa da alcuno immaginare che tutti i problemi della libertà di stampa siano esauriti, diventino ricordi, con l’approvazione dello stralcio o anche dell’intero disegno di legge. Molti altri problemi restano, ma credo che si debba affermare, per non creare confusioni specialmente per chi è fuori di questa Assemblea, che quasi mai lo Stato deve direttamente intervenire nella disciplina della stampa; deve intervenire il più possibile in modo indiretto; deve intervenire – io esprimerò al momento opportuno avviso concorde con quanti di voi hanno proposto di aggravare le pene per i reati di diffamazione commessi a mezzo della stampa – in quella forma indiretta che prima ricordavo, disciplinando e tutelando la posizione dei giornalisti, quindi dando anche, con una certa stabilità, una garanzia più generale a questo settore, favorendo il sorgere di forme consorziali e cooperativistiche per associare forze della mente, forze del braccio e forze del capitale in imprese giornalistiche, ove tutto ciò sia possibile fare seriamente e con la garanzia di fare qualcosa che contribuisca a consolidare la libertà di stampa.

E credo che il Governo debba assicurare la libertà di stampa anche sotto un altro profilo. La libertà di stampa deve essere assicurata a chiunque abbia da esprimere il proprio pensiero: ma non soltanto con una formula utopistica per la quale chiunque abbia un’idea, e formi un certo gruppo, possa esigere dallo Stato di esser messo in condizioni di stampare. Non bisogna dimenticare infatti che il miglior giudice di un giornale è sempre il lettore e che non possiamo pensare che si formino delle specie di gazzette ufficiali con le idee di determinati gruppi, o che si formi una specie di I.R.I. di giornali in cui tutti possano esprimere le proprie idee. Ma io credo che si debba tutelare da parte dello Stato la libertà di stampa sotto un altro profilo, garantendo cioè che nessuno possa o per ordini cellulari o per imposizione statale politica sostituirsi alla libera espressione di chi scrive un giornale e fare una specie di censura. Se in questi ultimi tempi in Italia non c’è stata nessuna censura da parte dell’autorità statale non si può dire altrettanto per quanto riguarda le commissioni interne delle aziende giornalistiche.

Credo inoltre che lo Stato abbia il sacrosanto dovere di proteggere la libertà di stampa anche contro quei volgari attentatori che sono rappresentati dagli incendiari delle edicole in cui si vendono giornali esponenti di gruppi che non la pensano come questi pompieri a rovescio. (Interruzione del deputato Scoccimarro).

La definizione di stampa diffamatoria è un po’ difficile a stabilirsi, onorevole Scoccimarro. (Interruzione del deputato Scoccimarro).

Mi sono domandato diverse volte, onorevole Scoccimarro, di fronte alla ripugnanza ispirata da certe critiche in blocco a tutta la classe democratica, con che coscienza noi possiamo dire a un neo-fascista o a un reazionario che non deve dir male di noi, quando negli stessi nostri giornali sono contenuti…

SCOCCIMARRO. Io non le consento neanche di fare un paragone. (Commenti al centro).

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Noi dobbiamo riconoscere la libertà uguale per tutti. Non vedo come si possa impedire ad un Tizio qualsiasi di chiamare, ad esempio, voi venduti alla Russia e noi all’America, se voi stessi nei vostri giornali dite che noi siamo venduti all’America.

Voi avete un concetto molto relativo di libertà, un concetto che fa comodo. (Applausi al centro Interruzione del deputato Scoccimarro).

Se vi leggessi tutti i titoli dei giornali per i quali si sono avuti i pochi casi di sequestro disposti dall’autorità giudiziaria in questi anni voi apprendereste che, accanto all’Adriana dal bel corpo e all’Abisso del piacere figurano L’anticomunismo, L’antimoscovita, L’antibolscevico, L’avanguardia nazionale, ciò che evidentemente testimonia almeno una certa obiettività in chi ha disposto i sequestri stessi.

Certamente il problema della libertà di stampa bisogna affrontarlo in pieno. Comprendo i discorsi pronunziati nel corso di questa discussione, come quello dell’onorevole Schiavetti, nei quali sono state esposte concezioni moderne, nuove; e mi auguro che esse si realizzino; ma queste espressioni si sono ripetute in tutti i periodi; ed anche nella «dottrina del fascismo», contenuta nell’Enciclopedia Treccani, che, a quanto pare, è stata scritta dallo stesso Mussolini, v’è il concetto, che io con molta preoccupazione ho sentito ieri enunciare dall’onorevole Scoccimarro, che la libertà individuale (neppure l’interesse individuale) può essere soffocata, repressa, subordinata, quando si tratta di un interesse comune. Chi è arbitro di questo interesse comune? È difficile dirlo. Se noi sapessimo con precisione in che cosa consiste veramente l’interesse nazionale, se ne avessimo una definizione accettata da tutti, capirei l’esigenza prospettata dall’onorevole Scoccimarro; ma forse noi dobbiamo ancora ricostruire parecchi pezzi della nostra patria perché si possa parlare uno stesso linguaggio in questo campo. Questa è la vera difficoltà per cui noi oggi non possiamo fare una legge solida, completa, definitiva in materia di libertà di stampa. Concordando in parte, discordando in altre parti dalle osservazioni specifiche fatte dal relatore, e riservandomi di esprimere l’avviso del Governo sui singoli punti, al momento in cui passeremo, se passeremo, alla discussione dei rispettivi articoli del disegno di legge, ripeto che il Governo è pronto a discuterli, in tutto o in parte, secondo quello che stabilirà l’Assemblea. (Vivi applausi al centro).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta di domani.

Per una interpretazione autentica della XVII disposizione finale e transitoria della Costituzione.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Sansone mi ha fatto pervenire la seguente lettera in data odierna:

«In relazione alla richiesta verbale avanzata da me nella seduta di ieri avente per oggetto la interpretazione della XVII Disposizione finale e transitoria della Costituzione, la prego di voler disporre affinché la questione sia portata con inserzione nell’ordine del giorno a cognizione dell’Assemblea per essere discussa e decisa.

«A sostegno della richiesta mi permetto farle osservare che trattasi di norma transitoria creata proprio pel funzionamento dell’Assemblea per il periodo che va dal gennaio 1948 fino alle prossime elezioni e che pertanto può l’Assemblea essere chiamata a decidere sul modo della sua applicazione interpretandola così in modo autentico.

«Né penso vi possa essere ostacolo di natura costituzionale, perché la richiesta da me avanzata investe una norma transitoria e non uno degli articoli della Carta costituzionale».

L’onorevole Sansone ha ritenuto di dar corso all’invito, che gli avevo rivolto ieri sera, di proporre in una forma organica e precisa la questione che egli aveva ieri sera formulato soltanto nelle sue linee generali. Penso tuttavia che questa sua richiesta debba trovare un ulteriore mezzo procedurale per giungere innanzi all’Assemblea; e ritengo che il mezzo più indicato sia quello di trasmetterla alla Giunta del regolamento, la quale ne riferirà all’Assemblea.

La Giunta potrà così impostare dinanzi all’Assemblea la discussione che l’onorevole Sansone propone. Ogni proposta deve essere prima elaborata attraverso la Commissione competente. Nel caso specifico, trattandosi di interpretare una norma relativa al funzionamento dell’Assemblea, la Giunta del regolamento, ripeto, mi pare la più indicata fra le varie Commissioni esistenti.

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. Ringrazio l’onorevole Presidente. Data la brevità del tempo, pregherei la Giunta del regolamento di presentare con cortese sollecitudine la sua relazione all’Assemblea; altrimenti il tempo passerà e non avrà più importanza l’interpretazione della norma transitoria della Costituzione.

PRESIDENTE. In attesa che la questione sia risolta, per dare alle interrogazioni la pubblicità desiderata, farò dare lettura alla fine di ogni seduta delle interrogazioni presentate, alle quali tutte, anche quando sollecitano risposta orale, il Governo darà risposta scritta.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Concordo e confermo che, per intanto, il Governo darà risposta scritta anche alle interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Raccomando che sia rispettato il Regolamento per quanto riguarda il termine entro cui deve essere trasmessa la risposta scritta.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ne assumo impegno.

 

Interrogazione.

 

PRESIDENTE. Si dia lettura di una interrogazione pervenuta alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della difesa, per conoscere quali provvedimenti urgenti intenda prendere il Governo per impedire che cittadini, con azione diretta, e partiti politici, a mezzo stampa, sobillino impunemente alla rivolta militari delle Forze armate, come recentemente si è verificato in molte città d’Italia, in occasione del ritardato congedamento di un’aliquota della classe 1925. (Gli interroganti chiedono la risposta urgente).

«Tumminelli, Lagravinese Pasquale, Lagravinese Nicola, Perugi».

PRESIDENTE. L’interrogazione testé letta sarà trasmessa ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16;

Seguito della discussione del disegna di legge:

Disposizioni sulla stampa. (15).

LUNEDÌ 12 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLVIII.

SEDUTA DI LUNEDÌ 12 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Commemorazioni:

Presidente

Veroni

Persico

Spallicci

Tumminelli

Cianca

Minio

Giordani

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Benedettini

Condorelli

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio (Annunzio):

Presidente

Disegno di legge (Discussione):

Disposizioni sulla stampa (15).

Schiavetti

Giannini

Bettiol

Manzini

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Sansone

Rodinò Mario

Labriola

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

La seduta comincia alle 16.15.

PRESIDENTE. Ricordo che il processo verbale della seduta pomeridiana del 22 dicembre scorso, è stato letto ed approvato alla fine della seduta stessa.

Commemorazioni.

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l’Assemblea). Onorevoli colleghi, con vivo rammarico abbiamo appreso tutti, mentre appena si erano iniziate le giornate che avrebbero dovuto essere dedicate da ciascuno di noi al riposo e alla letizia, la morte, avvenuta a Velletri il 23 dicembre ultimo scorso del collega onorevole Bruno Bernabei, fervente repubblicano, eletto alla nostra Assemblea, in rappresentanza del suo partito, avendo dietro di sé un passato di devozione alla sua fede politica ed ai principî democratici, come pure una giusta ed onorata rinomanza nel campo professionale.

Eletto sindaco di Velletri, si era reso benemerito della ricostruzione del suo comune, così tormentato e danneggiato dalla guerra, promuovendo una ripresa edilizia veramente ammirevole ed un’intensa attività della libera vita municipale. Ciò spiega il vivo dolore ed il generale rimpianto che hanno accolto la sua scomparsa immatura.

Ho creduto di interpretare il sentimento dell’Assemblea, inviando le condoglianze alla famiglia e facendomi rappresentare ai funerali, che si sono solennemente svolti a Velletri,

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Onorevoli colleghi, voglia l’Assemblea consentire che io mi associ alle parole di rimpianto che il nostro illustre Presidente ha pronunciato per la morte improvvisa di un nostro caro e valoroso collega: l’onorevole Bruno Bernabei.

La mia città di Velletri lo ebbe sindaco solerte, intelligente, sollecito soltanto del pubblico bene. Subito dopo la liberazione, per consenso unanime dei partiti antifascisti, venne nominato sindaco, e, più tardi, nelle libere elezioni del marzo 1946 venne eletto, con larghissimo suffragio, e restituito alla direzione della nostra città. Io lo ebbi mio compagno di lavoro professionale per oltre un ventennio e ne potei apprezzare l’esemplare correttezza e la larga preparazione. Come il signor Presidente ha ricordato, dette larghissima opera alla ricostruzione della nostra martoriata città, sicché può dirsi che il rimpianto nostro non trova facile conforto.

Era stato, durante il periodo della resistenza, militando nelle file del partito repubblicano, un elemento apprezzatissimo e, subito dopo, circondato dalla stima di tutti e soprattutto preceduto da una fama di avvocato insigne, era riuscito a conquistare nella vita pubblica locale una posizione veramente eminente.

Il nostro signor Presidente bene ha fatto ad inviare alla famiglia desolata, alla consorte e alla madre, le condoglianze dell’Assemblea Costituente. Io vorrei ora pregarlo di inviare l’espressione del nostro profondo rammarico anche alla nostra città di Velletri.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, è con animo profondamente commosso che mi associo alle parole dell’illustre Presidente e dell’amico onorevole Veroni per l’improvvisa dipartita di Bruno Bernabei.

A Bruno Bernabei mi legavano oltre trent’anni di affettuosa e fraterna amicizia. Avevamo insieme, nel Foro di Velletri, esercitato la professione in cause gravissime, ed in quelle occasioni imparai ad apprezzarne l’animo mite, sereno, leale, la sua devozione alla Patria, il suo disinteresse nella nobiltà dell’esercizio professionale che lo rendevano stimato e caro a tutti i cittadini di Velletri. Onde ricordo che, appena nominato Prefetto di Roma, volli che assumesse la carica di sindaco nella sua città, perché ero sicuro che nessuno meglio di lui avrebbe potuto interpretarne l’anima repubblicana e garibaldina.

È una grave perdita per questa Assemblea e per la vita politica del Lazio. Bruno Bernabei era ancora giovane e da lui la Patria poteva attendersi ancora molte realizzazioni positive ed egregie.

Vada alla famiglia, vada alla città di Velletri il mesto saluto dell’Assemblea ed il compianto del Partito socialista dei lavoratori italiani, al quale Egli era tanto vicino.

SPALLICCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SPALLICCI. Il Gruppo repubblicano ringrazia cordialmente l’onorevole Presidente di questa Assemblea ed i rappresentanti del Gruppo demolaburista e del Partito socialista dei lavoratori italiani per le nobili parole espresse a compianto della dipartita del nostro amico Bruno Bernabei. L’affetto che ci legava a Lui non vorremmo ci fornisse velo per farci fare una inutile apologia retorica dell’amico scomparso. Egli venne qui e rimase nella categoria dei silenziosi. Egli non volle seguire l’esempio di tanti che, con facondia a volte soverchia, si alzavano in cospetto delle tribune, oltreché dei colleghi, delle tribune, cioè di fronte al Paese, giudice sovrano in quest’Aula, a parlare colla presunzione di essere competenti su qualsiasi argomento; ma egli ha lavorato lo stesso come strenuo collaboratore, come facevano i chiosatori degli antichi codici ed a fianco di ogni paragrafo, di ogni emendamento, di ogni articolo, poneva il suo giudizio e il suo commento ed io, che ho avuto l’onore di sedere vicino a lui in questo settore, posso testimoniare di quella che era la sua affezione, il suo accoramento e la sua collaborazione vera al lavoro diuturno della nostra Assemblea. Egli è finito il giorno dopo la nostra solenne seduta storica, il cui ricordo aleggia ancora in quest’Aula con il canto dell’inno di Mameli. La sua giornata politica è finita con la sua giornata fisica. Se non fosse il grande rimpianto per l’amico giovane che abbiamo perduto, potremmo ammirare questo combattente che, dopo l’ultima trincea, cerca di alzare la sua bandiera in quella che ha considerato la sua città del sole, la sua Repubblica, la nostra Repubblica, la nostra Costituzione e muore in quell’attimo e in quel gesto.

TUMMINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUMMINELLI. A nome del Gruppo parlamentare dell’Uomo Qualunque, mi associo con profondo dolore alle espressioni pronunciate in quest’Aula per la immatura morte dell’onorevole Bruno Bernabei.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Il Gruppo parlamentare socialista si associa con sincero rimpianto alla commemorazione che qui è stata fatta della memoria e dell’opera del collega Bruno Bernabei.

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. Il Gruppo parlamentare comunista si associa, commosso, alle condoglianze per la perdita del collega Bruno Bernabei ed esprime il suo profondo cordoglio particolarmente ai Suoi familiari e alla città di Velletri.

GIORDANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORDANI. A nome del Gruppo democristiano esprimo le più profonde condoglianze al Partito repubblicano, alla famiglia dell’Estinto e alla sua città, per la immatura perdita dell’onorevole Bruno Bernabei.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Con tanta maggiore comprensione, in quanto appartenente al suo stesso circondario, mi associo, a nome del Governo, al lutto dell’Assemblea Costituente per la morte dell’onorevole Bruno Bernabei, il quale ha onorato, come professionista, come cittadino, come uomo politico, non soltanto il suo partito e la sua città di Velletri, ma anche l’intera classe politica democratica di una zona assai interessante dell’Italia.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su quale argomento, onorevole Benedettini?

BENEDETTINI. Ho chiesto di parlare per pregarla di sottoporre all’Assemblea una proposta: l’Assemblea Costituente, preso atto che un’altissima personalità ha espresso il cordoglio suo personale…

PRESIDENTE. La prego, onorevole Benedettini, lei sta già facendo una proposta. Desidero pregarla di dirmi su quale tema essa verta.

BENEDETTINI. In tema di commemorazioni, credevo doveroso da parte mia di ricordare in questa Assemblea la scomparsa di Vittorio Emanuele III… (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, mi perdoni se le faccio osservare che, giustamente, chiunque ha nel proprio cuore una fede e certi ideali, e nutre certi rimpianti, può e deve elevare a questa fede e a questi ideali nel proprio cuore un altare, e che coloro che hanno rimpianti comuni e possono comprendersi fra di loro, possono riunirsi per dare a tali rimpianti voce concorde. Ma onorevole Benedettini, ella mi comprenderà se dico che in questa Aula, nella quale con grande solennità poche settimane or sono la Repubblica ha affermato i propri principî, forse questa voce suonerebbe ingrata anche a coloro dei quali tuttavia potrebbe esprimere il pensiero, perché troppo grave contrasto vi è fra la nuova realtà che abbiamo costruito e quel mondo antico che lei – e gliene do atto con rispetto – ancora rappresenta. Non credo pertanto opportuno darle la parola.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Oggi, 12 gennaio 1948, scade il centenario del giorno fatidico per la storia di nostra gente, nel quale il popolo di Palermo, insorgendo nella piazza della Fiera vecchia al grido di «libertà, Sicilia, Italia!» dava inizio al 1848.

Palermo, 12 gennaio 1848; Parigi, 18 febbraio 1848; Vienna 15 marzo 1848, Berlino 17 marzo 1848.

Palermo quel giorno affermava, per la Sicilia e per l’Italia, un primato europeo, che ha insieme significazione di nascimento dell’attuale nostra concretezza di popolo unito in Stato libero e nazionale; perché se l’unificazione di libertà politica e di libertà nazionale era stata già celebrata nel pensiero, è il 12 gennaio 1848 che essa viene affermata nei fatti con un moto che, dopo 14 gloriose giornate, culminò nella creazione del primo Stato libero, intensamente e volutamente nazionale, in Italia: la Sicilia, profondamente italiana esprime inscindibilmente la sua volontà di libertà politica e nazionale.

Signor Presidente, colleghi, io penso e credo che tutti pensiate che il ciclo storico che quel giorno si iniziò, dando ideale nascimento allo Stato libero e nazionale, non è chiuso. Perché, se quei nostri padri ebbero la ventura di affermare che le libertà politiche si conseguono nella Nazione e per la Nazione, noi affermeremo, continuando quello che era implicito nella volontà e nel pensiero dei nostri padri, che la giustizia sociale si consegue nella libertà politica e nella Nazione, per la libertà politica e per la Nazione!

Noi sul 1848 edificheremo il 1948! (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Alle nobili parole dell’onorevole Condorelli desidero rispondere rendendogli noto che molte fra le pagine dei volumi celebrativi del centenario del 1848, che verranno pubblicati per l’iniziativa presa dalla Presidenza dell’Assemblea Costituente, saranno dedicati al glorioso primato che la Sicilia ha conquistato allora e rinnovato tante altre volte in altri campi, a maggior gloria della Nazione.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Saragat, nominato Vicepresidente del Consiglio, ho chiamato l’onorevole Persico a far parte della Commissione per i Trattati internazionali e lo stesso onorevole Persico e l’onorevole Preti a far parte, rispettivamente, della seconda e della quarta Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, in sostituzione degli onorevoli Cartia e Salerno, nominati Sottosegretari di Stato.

Inoltre, avendo gli onorevoli Bulloni, Lizier e Bovetti rassegnato le dimissioni da componenti della Commissione speciale per il disegno di legge sull’elezione del Senato della Repubblica, ho chiamato a sostituirli gli onorevoli Dossetti, Fuschini e Mortati.

Annunzio di domande di autorizzazioni a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso due domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro gli onorevoli deputati Pajetta Giancarlo e Penna Ottavia, per il reato di cui all’articolo 595 del Codice penale.

Saranno inviate alla Commissione competente.

Discussione sul disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa (15).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa (15).

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare l’onorevole Schiavetti. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Onorevoli colleghi, avverrà forse quest’anno a molti di noi quello che è avvenuto un momento fa per il caso ricordato dall’onorevole Condorelli, che dovremo cioè porre in rapporto gli avvenimenti di quest’anno relativi alla nostra opera di legislatori, con gli avvenimenti che si svolsero un secolo fa nel nostro Paese e che ebbero un’importanza così fondamentale e decisiva per l’avvenire della Nazione italiana.

Per quello che riguarda la legge sulla stampa, il riferimento è ovvio. Nessuno di noi ignora che nel 1848 re Carlo Alberto emanò l’editto, da lui detto Albertino, che regolava appunto la concessione della libertà di stampa ai sudditi del Regno di Piemonte e di Sardegna. È passato da allora un secolo e dovrebbe a tutti apparire molto chiaro che i problemi della libertà della stampa non si pongono oggi nello stesso modo di allora. Non dico con questo che essi si pongano in modo del tutto diverso; senza dubbio però si pongono in modo che, per molti riguardi, deve essere diverso.

Tuttavia, leggendo il progetto di legge che è stato presentato dal Governo e che è stato elaborato dalla Commissione, appare chiaro che il punto di vista fondamentale da cui si sono posti tanto i membri del Governo che hanno formulato il progetto quanto i membri della Commissione, è prevalentemente quello stesso da cui furono trattati dei problemi che preoccupavano i legislatori un secolo fa.

Il progetto si aggira tutto, fondamentalmente, intorno alla difesa della libertà della stampa e intorno alla punizione degli abusi che sono connessi con l’esercizio di tale libertà. Eppure oggi i problemi fondamentali, per una democrazia moderna che voglia interpretare le esigenze delle nuove democrazie, non sono più quelli della libertà della stampa dal punto di vista giudiziario, penale, amministrativo. Non voglio, naturalmente, dire che questi problemi non siano anch’essi in un certo senso fondamentali: sono pregiudiziali. Ma oltre a questi problemi ce ne sono oggi altri di importanza prevalente.

Siamo tutti d’accordo – o dovremmo essere quasi tutti d’accordo, in un’Assemblea democratica e repubblicana – nel ritenere che la libertà della stampa sia un bene ormai intoccabile. Non c’è quindi bisogno – non dovrebbe esserci bisogno – di profonde discussioni per regolare la libertà della stampa. I problemi che dovrebbero invece preoccuparci in questo momento in modo essenziale sono i problemi nuovi, che si pongono in seguito allo sviluppo del mondo moderno, alle degenerazioni dell’attuale società capitalistica e alle forme che il giornalismo è andato assumendo, soprattutto per quello che riguarda la sua organizzazione finanziaria e amministrativa.

In Italia questo problema appare ancora più attuale – come del resto in Francia e in altri paesi che sono usciti fuori dall’uragano dell’ultima guerra – per il fatto che la collaborazione data da molti organi della stampa fascista ai tedeschi, durante la lotta di liberazione, ha posto dei problemi urgenti e nuovi, determinati dal fatto che le aziende giornalistiche sono state sottoposte ad una gestione commissariale e si è dovuto formulare l’ipotesi – e si è anche giustamente tentato, seguendo ad esempio le suggestioni del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia – di creare, sopra gli avanzi di quel giornalismo che aveva tradito la causa della Nazione, le basi di una nuova regolamentazione della stampa, di un’applicazione più concreta, più precisa, più profonda dei concetti fondamentali della libertà della stampa.

Tutte queste ragioni fanno in modo che oggi questo problema della libertà di stampa deve essere sentito con una sensibilità diversa da quella del 1848, senza per nulla diminuire l’importanza dei problemi che furono trattati un secolo fa; quei problemi sono oggi superati, ma restano in alcune formulazioni, in alcuni postulati che sono ancora il fondamento per tutte le leggi che noi facciamo e che potremo fare in avvenire, riguardanti la libertà e l’ordinamento della stampa.

Ecco, dunque, che chi ha letto con un minimo di attenzione il progetto del Governo, ha provato un senso di delusione, perché si era pensato che questo Governo avrebbe stimato a suo onore di gettare le basi della libertà e dell’indipendenza della stampa in una maniera conforme alle aspettative e alle esigenze della nazione, quale essa è uscita dalla lotta di liberazione. La maggior parte delle disposizioni che sono contenute nel progetto del Governo restano, come ho già detto, nell’ambito tradizionale della difesa della libertà di stampa dall’arbitrio del potere esecutivo e della repressione penale ed amministrativa degli abusi della stampa.

Vi ripeto ancora una volta che questo aspetto non va sottovalutato. Potrebbe darsi, ma Dio non voglia, che noi dovessimo ancora ritornare a questo genere di difesa della libertà di stampa. Basterà ricordare che pochi mesi or sono in Argentina un grande giornale democratico è stato soppresso con una motivazione di questo genere, che non era tollerabile, per l’ingombro della viabilità cittadina, che i carri portanti la carta potessero essere scaricati dinanzi all’ingresso del giornale. E con questa singolare motivazione il dittatore Perón ha abolito uno dei più grandi giornali democratici di Buenos Aires.

Io auguro che nulla di simile avvenga più in Italia, dove è avvenuto recentemente qualche cosa che può ricordare questa facezia del dittatore Perón.

Ma il problema attuale, onorevoli colleghi, è essenzialmente un altro, è quello della proprietà delle aziende giornalistiche, e non tanto il problema dell’esercizio del giornalismo.

Ci sono due categorie diverse di problemi: quelli attinenti, appunto, all’esercizio del giornalismo, problemi che sono stati considerati in modo particolare dalla vecchia legislazione, cioè da quella che ha avuto inizio dal 1848; e ci sono i problemi di un’altra categoria, quelli attinenti a qualcosa di vivo e di attuale nell’organizzazione della società moderna; cioè i problemi inerenti alla proprietà delle aziende giornalistiche.

L’azienda giornalistica, per quel che riguarda gli organi d’informazione, ha acquistato una straordinaria potenza su tutta la vita pubblica, una potenza che deve legittimamente preoccupare non solo l’opinione pubblica, ma anche il legislatore.

Giustamente il Ministro francese della Gioventù, delle Arti e delle Lettere, il signor Bourdan, nel presentare alcuni mesi or sono al Parlamento francese il nuovo progetto sulla stampa, diceva che tutti coloro i quali impiegano i loro capitali nelle grandi aziende giornalistiche non cercano un investimento di capitali, ma un accaparramento di influenze politiche.

In questa espressione del signor Bourdan, che a me sembra legittima, possiamo trovare il nucleo centrale delle preoccupazioni che ci devono animare nel momento in cui studiamo il problema della libertà di stampa.

Problema vecchio, del resto, anche da questo punto di vista. Quando nel 1925, nel mese di dicembre, si tenne, in quello che restava del Parlamento italiano, al Senato, una lunga discussione sulla libertà di stampa in occasione del progetto liberticida presentato dal governo fascista, fu proprio il ministro Federzoni colui che dovette ricordare, a proposito di certe lagnanze del fascismo nei riguardi della stampa cosiddetta plutocratica (la quale non sempre era docile e ubbidiente al fascismo stesso, soprattutto nei primi anni), che anche in tempi lontani, quando le aziende giornalistiche non avevano raggiunto la complessità e la potenza di quelle attuali, il giornale aveva una influenza preponderante nello sviluppo degli avvenimenti politici. Federzoni ricordò in quella occasione una lettera (che nel 1925 pare fosse ancora inedita) in cui il liberale Cobden scriveva che Lord Aberdeen, che era stato Ministro d’Inghilterra prima della guerra anglo-francese contro la Russia, gli aveva dichiarato che la causa fondamentale, la forza fondamentale che aveva determinato l’alleanza fra la Francia e l’Inghilterra e la guerra alla Russia (guerra – diceva Lord Aberdeen – che non aveva a suo parere nessuna giustificazione), era stata appunto la stampa; non il Governo, non il Parlamento, ma semplicemente la stampa, diceva Lord Aberdeen. E la stampa era costituita allora, anche per quel che riguardava i suoi organi di informazione, da giornali di proporzioni modestissime, giornali i cui azionisti pagavano ogni azione poche centinaia di lire, giornali che si tiravano su macchine piane, giornali soprattutto che avevano un pubblico di lettori che non aveva nulla a che vedere col pubblico attuale. Essi si rivolgevano per solito a poche migliaia di borghesi, mentre oggi i nostri giornali, e particolarmente quelli di informazione, si rivolgono a milioni e milioni di cittadini appartenenti a tutte le classi sociali, quei milioni di cittadini che – in seguito alla guerra 1914-18 e agli avvenimenti che ne sono conseguiti – sono entrati oggi nel vivo della lotta politica ed hanno modificato tutte le condizioni fondamentali della lotta politica in Italia e in tutti gli altri Paesi.

È da questo carattere della stampa moderna che sorge dunque il problema della proprietà delle aziende, giornalistiche, problema della proprietà delle aziende giornalistiche, problema che – del nostro punto di vista – è oggi quello centrale, che dovrebbe essere risolto da una intelligente e moderna legislazione.

Questo problema è legato in modo molto chiaro all’antico problema della libertà della stampa. Al principio del secolo passato è stato affermato questo concetto, realizzato poi mercé le rivoluzioni europee, della libertà della stampa: libertà che assicurava a tutti i cittadini il diritto di esporre liberamente a mezzo della stampa le proprie idee e di esercitare soprattutto la propria critica nei riguardi dei Governi del tempo.

Oggi non si tratta più di affermare questo diritto teorico, che è riconosciuto da tutti ed è riconosciuto spesso anche dai governi reazionari, i quali compiono un’opera più sottile e più insidiosa di quella compiuta dai governi reazionari dei secoli precedenti. Oggi si tratta di assicurare la possibilità di esercitare congruamente questo diritto a tutte le forze rappresentative del Paese. Questo è il modo in cui si pone oggi il problema della libertà della stampa.

È stato pubblicamente riconosciuto il diritto di esporre liberamente il proprio pensiero e di esercitare liberamente la propria critica nei riguardi del Governo e in generale di tutta l’amministrazione dello Stato, ma oggi si tratta di fare in modo che tutte le forze politiche del Paese, anche se non dispongono dei potentissimi mezzi finanziari che sono ancora un monopolio di pochi ceti privilegiati, abbiano la possibilità di creare organi di stampa i quali portino l’espressione delle loro esigenze, della loro volontà, della loro critica in seno alla società nazionale. Questo è il problema fondamentale, onorevoli colleghi, ed io credo che noi avremo assicurato molta parte della stabilità della Repubblica e contribuito a salvaguardare lo stesso ordine pubblico del nostro Paese se faremo in modo di concedere a tutte le organizzazioni di. lavoratori, a tutti i ceti sociali, per quanto vivano in condizioni economiche non favorevoli, insomma alla enorme maggioranza dei cittadini del nostro Paese, organizzati in associazioni e in partiti politici diversi, la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero e di non sottostare ad un monopolio della stampa o monopolio della possibilità di esprimere con mezzi e con proporzioni congrui i propri pensieri, senza correre nella tentazione di far valere la propria volontà con metodi diversi.

Come voi vedete, si tratta di un problema di un grande valore politico, e non solo di un valore giuridico ed in un certo senso ideale e filosofico per quello che attiene al concetto fondamentale della libertà della stampa. Il problema politico è quello di dare a tutti i cittadini, a tutti i partiti, a tutte le associazioni, a tutte le forze organizzate del Paese, la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero, di influire liberamente sull’opinione pubblica e di essere quotidianamente a contatto con essa. Questa esigenza non sarà sodisfatta per il semplice fatto che un’associazione possa pubblicare un settimanale o pubblicare un piccolo, modesto, striminzito quotidiano; occorre che gli organi di stampa che circolano nel Paese siano proporzionali per il loro sviluppo, alla forza delle associazioni e dei partiti di cui essi interpretano la volontà e i desideri.

NITTI. La proporzionale nella stampa!

SCHIAVETTI. Si capisce anche questo; la proporzionale nell’uso dei mezzi di stampa è una cosa a cui forse bisognerà arrivare. Del resto molti Paesi sono andati anche al di là di questa proporzionale e vedremo che cosa ha fatto la Cecoslovacchia in proposito. (Interruzione del deputato Nitti).

Si tratta in sostanza, onorevoli colleghi, di spezzare il monopolio che si è venuto di fatto formando da parte delle oligarchie finanziarie, soprattutto per quello che riguarda la stampa di informazione, la cosiddetta stampa indipendente, di cui si potrebbe ripetere: lucus a non lucendo, canis a non canendo… perché la stampa «indipendente», infatti, è quella più dipendente di ogni altra dalle velleità e dagli interessi particolari di ceti e gruppi che cercano di prevalere sopra la volontà e sopra gli interessi generali. Naturalmente anche a proposito di questa impostazione del problema sentiremo dei liberali i quali deprecheranno che si voglia, regolamentando la proprietà dei giornali e soprattutto della grande stampa di informazione, limitare la libertà. In effetto queste limitazioni della libertà sono avvenute da un secolo e mezzo a questa parte dovunque e in un certo senso per tutti i problemi della vita civile. Dopo la rivoluzione francese sono stati affermati, soprattutto dalla borghesia, dei diritti di libertà. Oggi si tratta di dare alla grande massa di cittadini la possibilità di esercitare questi diritti di libertà, di esercitarli per tutti e per l’interesse di tutti. Ma perché questi diritti di libertà siano esercitati, perché soprattutto ci si possa difendere dalle sopraffazioni di coloro che dispongono della potenza del denaro, bisogna formalmente limitare qualche libertà. Questa limitazione di libertà non avviene, onorevoli colleghi, per una libidine di carattere reazionario, ma perché sentiamo che per approfondire il concetto della libertà bisogna limitare certe manifestazioni aberranti della libertà, intimamente contrarie al suo principio informativo. Quello che ne consegue è l’approfondimento del concetto della libertà, e soprattutto un più sano esercizio delle libertà che si vogliono difendere. Così è avvenuto, ad esempio, per quanto riguarda la legislazione del lavoro. Tutte le libertà che sono state strappate, nel mondo dell’economia, all’antico mondo feudale, sono state, dopo alcuni decenni, limitate dalla legislazione del lavoro; ma nessuno può dire che le leggi inerenti alla legislazione del lavoro costituiscano una offesa alla libertà. Esse accrescono la libertà delle masse dei lavoratori le quali devono essere poste in condizioni di lottare a parità di armi, in corrispondenza con la loro accresciuta capacità politica, con le altre forze sociali e politiche del Paese.

In questo progetto noi troviamo ben poco per quanto riguarda questa impostazione moderna del problema della libertà della stampa. Una delle poche disposizioni che vi si trovano, l’indicazione dei proprietari dei giornali resa obbligatoria all’atto della pubblicazione, è stata presa – non si sgomentino, onorevoli colleghi – proprio dalla legislazione fascista. È stato il fascismo per primo, nel 1925, che ha stabilito l’obbligo, per la creazione di un giornale, di indicare il nome del proprietario. Io spero che noi non vorremo reagire, per un malinteso antifascismo, contro questo poco di buono che avevano fatto i fascisti, che non vorremo per odio al passato regime, che è odiabile per tanti e più profondi motivi, rinunciare ad una risoluzione razionale dei problemi alla quale il passato regime ha dovuto, di buona o di cattiva volontà, contribuire.

Questo problema della limitazione delle forze finanziarie che hanno il monopolio di gran parte della stampa, il problema cioè della necessità di tagliare le unghie a chi le ha troppo lunghe e adunche, è stato sentito in alcuni momenti da molte parti dell’Assemblea.

Mi piace di ricordare, ad esempio, che anche uno scrittore democristiano. Armando Sabatini (il cui nome, a dir la verità, non ho ritrovato poi troppo spesso nei giornali), si è posto nel Popolo, edizione romana del 6 ottobre 1946, questo problema della necessità di difendere il diritto per tutti, di arrivare a contatto con l’opinione pubblica e di salvaguardare l’opinione pubblica stessa dal monopolio e dalla sopraffazione di coloro che detengono la maggior parte dei mezzi finanziari necessarî per le moderne imprese giornalistiche.

Il democristiano Armando Sabatini proponeva – a difetto di altre soluzioni – una soluzione estremamente ingenua. Egli si appellava al buon cuore ed alla comprensione dei proprietari di grandi imprese giornalistiche, esortandoli a costituire un fondo di solidarietà sottratto dai loro guadagni, il quale fosse poi posto a disposizione dei piccoli quotidiani perché potessero vivere e continuare la loro opera senza troppa fatica. Voi capite benissimo come non sia su concetti di questo genere, per quanto siano concetti molto ricorrenti nella scuola del solidarismo democristiano, che si possa creare una legislazione efficiente in tema di libertà della stampa. Bisogna ricorrere a provvedimenti di altro genere; ed uno di questi provvedimenti è senza dubbio quello contemplato nel progetto del Governo: un provvedimento il quale dimostra che nessuno si è potuto sottrarre a una esigenza di modernità nello stabilire le basi dello statuto della stampa. Si tratta della obbligatorietà per tutti i giornali della pubblicità della gestione e dei mezzi finanziari. Da qui in avanti, secondo l’articolo 10 del progetto, tutti i giornali saranno tenuti non solo ad indicare il nome del proprietario, ma anche ad indicare i dati fondamentali della provenienza dei fondi di cui dispongono e a depositare il bilancio presso uffici stabiliti e facilmente reperibili. Bisogna dar lode al Governo, naturalmente, di aver acceduto a questo criterio dell’obbligatorietà della pubblicazione del finanziamento dei giornali. Ma va ricordato che in questo Parlamento per la prima volta questa esigenza di fare dei giornali, per quanto sia possibile, delle case di vetro – di un vetro, purtroppo, non ancora perfettamente trasparente ma per lo meno di un vetro appannato attraverso il quale si possa vedere qualche cosa di quel che avviene nella casa – questa esigenza fu affermata fondamentalmente dal nostro compagno Giuseppe Modigliani con un progetto di legge del marzo 1920: un progetto di iniziativa parlamentare che, come la maggior parte dei progetti d’iniziativa parlamentare soprattutto in tempi come quelli, non potette poi farsi strada. Finì in un binario morto; ma resta sempre ad onore del nostro Parlamento questa affermazione di 28 anni fa, la quale testimonia della continuità di questa esigenza, sentita soprattutto da questa parte della Camera, di moralizzare il giornalismo e di porlo al servizio del paese, facendo il possibile per evitare che resti invece un’arma diretta alla soddisfazione degli interessi particolari contro gli interessi generali della Nazione. Il progetto del Governo, pur avendo ripreso il concetto fondamentale del progetto di legge Modigliani, non mostra una soverchia volontà di arrivare al cuore del problema. Tutti capiscono benissimo, infatti, che arrivare al controllo dell’amministrazione dei giornali non significa affatto assicurare l’indipendenza dei giornali; significa soltanto dare un mezzo all’opinione pubblica, perché essa possa fare un po’ di luce intorno alle intenzioni, alle manovre, alle pubblicazioni di gran parte della stampa di informazione o «indipendente».

Ai tempi di Modigliani, nel 1920, il processo di crisi e di degenerazione della morale corrente, che si è sviluppato in seguito alle due guerre ed ai venti anni di dittatura fascista, non era ancora sufficientemente sviluppato e si poteva, senza essere troppo ingenui, ritenere che l’obbligatorietà del finanziamento dei giornali potesse costituire una remora sufficiente al verificarsi di forme troppo sfacciate di immoralità giornalistica e politica.

Oggi, purtroppo, in seguito all’esperienza che abbiamo del guasto morale che due immani guerre e vent’anni di fascismo hanno fatto nel nostro Paese, non possiamo più cadere in illusioni di questo genere.

Nonostante questo, abbiamo il dovere di fare il possibile perché tutti i mezzi siano adottati per il raggiungimento di questa sana opera di moralizzazione della nostra vita pubblica. Purtroppo, però, il progetto governativo non arriva a misure drastiche e severe, del genere di quelle del progetto Modigliani.

Per quel che riguarda poi in generale il controllo della proprietà dei giornali, indipendentemente dalla obbligatorietà di denunziare pubblicamente le fonti di finanziamento, il nostro progetto ne tace completamente, eccezion fatta di quella disposizione già accennata, per cui quando si pubblica un giornale si deve indicare il nome del proprietario.

Vi sono esempi in altri Paesi, vicini a noi, anche in Paesi che non vivono al di là della cosiddetta cortina di ferro, dai quali risulta che questo problema della proprietà dei giornali è stato discusso e vorrei dire aggredito, con sincera volontà di risolverlo in senso schiettamente e genuinamente democratico.

Basterebbe ricordare, ad esempio, il progetto francese Ramadier-Bourdan, cui ho già accennato, secondo il quale il problema di sottrarre alle forze finanziarie la possibilità di influire sull’opinione pubblica mediante il monopolio delle aziende giornalistiche è stato risolto o è stato proposto che si risolva (perché credo che il progetto non sia arrivato al parlamento) mediante il frazionamento della proprietà delle aziende giornalistiche. Non si vuol tollerare che le aziende giornalistiche appartengono ad una o a pochissime persone e che in questo modo un giornale possa passare improvvisamente da sinistra a destra o inversamente, il che è più difficile a verificarsi, da destra a sinistra; né si vuol tollerare che ad un certo momento i redattori di un giornale siano venduti a una parte politica diversa o avversa, come si trattasse del bestiame di una fattoria o di una impresa agricola, per cui si vendono non soltanto i mezzi materiali di produzione ma anche le forze dell’ingegno e della capacità professionale di chi, dopo avere spiegato tutte le sue energie per l’affermazione di un determinato indirizzo politico, è costretto o ad affrontare il pericolo della fame o a passare, invece, al sostenimento di un diverso ideale politico.

Questo si può e si deve evitare. L’hanno detto uomini i quali non appartengono all’estrema sinistra; l’ha detto e proposto, fra gli altri, uno degli attuali Ministri, Luigi Einaudi. Il progetto di legge francese stabilisce che nessuna persona od associazione possa possedere più di un decimo delle azioni di un giornale e che nessun azionista possa appartenere a certe categorie di miliardari e di feudatari della finanza, dell’industria o della proprietà terriera. (Commenti a destra).

BELLAVISTA. Ma questo è contrario alla Costituzione!

SCHIAVETTI. È un sistema estremamente semplice che non dovrebbe suscitare terrore in nessuna coscienza democratica.

In Cecoslovacchia questo problema è stato risolto in un modo diverso, in un modo più preciso, ma che testimonia della stessa sollecitudine e della stessa preoccupazione. Il Governo czeco, nella legge che regola la stampa, già entrata in vigore in quel Paese, ha stabilito che il diritto di possedere aziende giornalistiche non possa più essere delle singole persone fisiche, ma debba invece essere limitato esclusivamente ai partiti politici od alle grandi associazioni sindacali e culturali. (Commenti). Badate bene, non limitata soltanto ai partiti politici, ma anche alle associazioni sindacali e culturali, il che vuol dire che l’individuo deve trovare una limitazione di fronte a interessi più vasti e organizzati… (Interruzioni al centro e a destra – Commenti).

BELLAVISTA. Viva la libertà di stampa! (Interruzione del deputato Labriola).

SCHIAVETTI. Le dirò, onorevole Labriola, che non mi dispiace affatto di non essere d’accordo con lei…

LABRIOLA. Oh, lo capisco!

SCHIAVETTI. …ma viceversa mi fa molto piacere di essere d’accordo con un democratico, il quale ha testimoniato veramente con la propria vita e con una lotta lunga e tenace di essere un democratico: voglio dire con Edoardo Beneš. (Commenti al centro e a destra – Interruzioni del deputato Labriola).

Quando si crea un nuovo regime, si assumono responsabilità di carattere storico. Non si tratta più di essere capo di un governo o capo di un partito, ma si lega il proprio nome e la propria responsabilità alla creazione di tutto un ordine nuovo!

BELLAVISTA. Anche Mussolini diceva lo stesso! (Interruzioni del deputato Labriola).

SCHIAVETTI. Ragionando alla stregua della sua obiezione dovrei farle notare che anche lei è arcivecchio!

LABRIOLA. Questo è Medio Evo, mio signore. Queste sono enormità, signor Presidente.

PRESIDENTE. Scriva un articolo sul suo giornale per protestare.

SCHIAVETTI. Beneš ha assunto dunque la responsabilità di patrocinare, presso l’opinione pubblica czeca, questo modo di tutelare la libertà della stampa, limitando il diritto di proprietà delle aziende giornalistiche. Egli si è posto i problemi che stiamo trattando in questo momento. Egli – non ci vuole un ingegno ed una sensibilità straordinaria per capirlo – ha detto: noi andiamo evidentemente incontro a limitazioni di alcune libertà individuali, ma la nostra è un’epoca nella quale, quando un conflitto si pone fra l’interesse collettivo e la libertà individuale, è la libertà individuale che deve cedere di fronte all’interesse collettivo. (Applausi a sinistra – Commenti al centro e a destra).

LABRIOLA. Questa è la tesi del fascismo.

SCHIAVETTI. Del resto, onorevole Labriola, se lei crede di poter ridurre il valore dell’argomento di Beneš per il fatto che egli è un capo di Governo e che potrebbe perciò parlare pro domo sua, io potrei pensare che anche ella cerca di parlare pro domo sua. (Commenti – Interruzioni del deputato Labriola).

In sostanza, onorevoli colleghi, nel progetto attuale noi non troviamo nulla di organico che si proponga di difendere la libertà, l’indipendenza e la moralità della stampa, se moralità è assoggettamento all’interesse generale in modo organico e preciso. E quasi a confermare che questa critica è esatta e coglie nel giusto, il progetto dimostra una singolare diffidenza verso un’istituzione nuova che è stata anch’essa oggetto delle critiche di tanti difensori dei diritti e della libertà individuali. Questo progetto non fa parola dell’albo e dell’ordine dei giornalisti. Ho sentito mille volte ripetere da parte di giornalisti liberali che il giornalismo deve rimanere un’attività completamente libera, che non si deve imporre la condizione di nessun titolo, l’appartenenza a nessun ordine, il possesso di nessuna tessera per esercitare la professione del giornalismo. Noi siamo invece di opinione perfettamente contraria, soprattutto perché partiamo dalla considerazione dell’interesse generale, anche se questo sacrifica, in qualche parte, un malinteso interesse individuale.

Mi permetto innanzi tutto di ricordare che anche il progetto francese Ramadier-Bourdan stabilisce, per la possibilità di esercitare il giornalismo, l’obbligo di avere la carte de identité des journalistes professionnels, bisogna avere cioè una carta speciale che attesti che si è giornalisti professionisti.

Devo anche ricordare che il Congresso della stampa italiana, che si è tenuto nell’ottobre del 1946 a Palermo, è stato unanime nella sua votazione per affermare il concetto che vi debba essere in Italia un albo dei giornalisti, a cui corrisponda naturalmente un ordine dei giornalisti. In regime fascista c’era l’albo e non c’era l’ordine dei giornalisti, ma il motivo di questa mancanza è chiaro. Il regime fascista si proponeva di creare l’ordine dei giornalisti, ma si trovò ad un certo punto tra i piedi l’esistenza di molteplici sindacati fascisti dei giornalisti, ed allora rinunciò a questa specie di perfezione architettonica del proprio sistema e non creò l’ordine dei giornalisti. Lasciò i sindacati dei giornalisti ma stabilì, in ogni modo, l’albo professionale. Ora, mi dispiace di dover difendere ancora una volta un istituto che è stato creato dal fascismo. (Interruzione del deputato Labriola).

Onorevole Labriola, io non ho avuto nessuna debolezza dinanzi al fascismo e credo che lei non possa dire altrettanto.

LABRIOLA. È falso!

SCHIAVETTI. Lei è tornato in Italia con la tolleranza del Governo fascista. Chi tornava spontaneamente in Italia, dopo lunghi anni di lotta antifascista all’estero, doveva finire logicamente in galera…

LABRIOLA. Io ho scritto tre volumi contro il fascismo!

SCHIAVETTI. È la vita che conta, non sono i libri! (Interruzione del deputato Labriola).

Devo in ogni modo desumere da questa sua soverchia sensibilità che lei non ha i nervi a posto. (Interruzione del deputato Bellavista).

Mi dispiace di dover difendere, dunque, ancora una volta, un istituto creato dal fascismo. Quello che ha detto un onorevole collega, di cui non conosco il nome, che io possa essere imputato di apologia del fascismo, è una facezia della quale non voglio tener conto e credo che non sia necessario di tener conto. Il fascismo istituì l’albo dei giornalisti, evidentemente, non con i medesimi intenti con i quali noi oggi vogliamo mantenerlo. Come per le corporazioni il fascismo voleva fare dell’albo dei giornalisti uno strumento per la sua politica di tirannia e di assoggettamento, la quale diceva che tutti i cittadini italiani dovessero essere controllati nella loro vita quotidiana e nell’attività per il pane quotidiano. I nostri fini sono diversi. In ogni modo non è detto che, per il fatto che io sono stato un avversario per tutta la vita del fascismo, non possa transitare per via dell’Impero e debba invece cercare la distrutta via Alessandrina per andare al Colosseo. Anch’io passo per via dell’Impero e non credo che questo significhi rendere omaggio al fascismo, onorevoli interruttori!

L’albo fu dunque proposto dal fascismo con intenti del tutto diversi da quelli per cui noi ne proponiamo il mantenimento. Noi proponiamo il suo mantenimento per la tutela anzitutto della dignità giornalistica, perché ci sono stati troppi casi di persone indegne che hanno praticato il giornalismo giovandosi della mancanza di qualsiasi organizzazione, diffamando così una classe di cittadini e di lavoratori italiani che non meritavano di essere diffamati. L’albo rappresenta anche una garanzia per il pubblico e per di più contribuisce in modo energico, in un certo senso ne costituisce il solo strumento possibile, all’auto-governo di una categoria così importante per la vita culturale e politica; un auto-governo che non deve servire alla soddisfazione di interessi particolari, ma che deve collaborare con le stesse autorità pubbliche e con lo Stato per il controllo dello esercizio del giornalismo e anche per risolvere taluni di quei casi di abuso della libertà giornalistica (ricatti, diffamazioni, ecc.), che spesso sono difficilmente colpibili dalla legge penale.

L’albo dei giornalisti deve divenire (insieme con la istituzione dell’ordine dei giornalisti) uno strumento devoto e intelligente per una regolamentazione moderna della libertà e dell’indipendenza della stampa.

Anche per quello che riguarda il vecchio, tradizionale terreno della libertà della stampa dagli abusi del potere esecutivo, il progetto del Governo non si dimostra troppo efficace, ed in un certo senso direi non si dimostra troppo convinto delle proprie ragioni. Voi sapete che una delle cose principali da fare era quella di reagire contro il sistema della autorizzazione, che era una caratteristica del regime fascista, per cui la pubblicazione di un giornale poteva essere ammessa o no a seconda della personalità del gerente e a seconda delle indicazioni di carattere politico che si potevano trarre dall’esame di questa personalità. A questa pratica della autorizzazione si vuole sostituire, invece, l’antica pratica tradizionale di tutte le democrazie in tutti i paesi liberi: la pratica della registrazione, del semplice avviso della pubblicazione di un giornale. Chi vuole pubblicare un giornale deve semplicemente depositare in un ufficio dello Stato i documenti dai quali risulti che esso è in accordo con le prescrizioni della legge. Non deve esservi nessun bisogno di autorizzazione per la pubblicazione di questo o di quel giornale, in senso singolo ed individuale. Si vuol fare, insomma, della registrazione qualche cosa di perfettamente automatico; viceversa, nel progetto del Governo – che non è stato, da questo punto di vista, sufficientemente emendato dalla Commissione – vi è un sistema ambiguo, per cui si ammette, sì, che per la creazione di un giornale basta soltanto depositare certi documenti presso la cancelleria del Tribunale, ma si stabilisce poi che l’autorizzazione ad iniziare le pubblicazioni deriva da un’ordinanza del magistrato, il quale ha riconosciuto che i documenti depositati sono conformi alla legge.

Ora, attraverso questo meccanismo del riconoscimento da parte di un magistrato (seppure nel termine di 15 giorni) che il deposito dei documenti è avvenuto conformemente alla legge si fa strada la possibilità per il potere esecutivo di compiere degli abusi. Noi invece non vogliamo indurre in tentazione nessuno, nemmeno il potere esecutivo, e riteniamo quindi più opportuno far sì che la creazione di un giornale avvenga automaticamente, mediante la presentazione di alcuni documenti depositati presso il Cancelliere del Tribunale.

Ed eccoci finalmente giunti ad uno dei problemi che, anche dal punto di vista della libertà di stampa, interessano di più coloro che pure non condividono il nostro concetto nei riguardi della proprietà della stampa e dei problemi della stampa in genere. Voglio dire il problema del sequestro preventivo dei giornali, sequestro preventivo inteso nel senso di sequestro anteriore ad una sentenza irrevocabile della magistratura.

Voi sapete che la nostra Costituzione ha stabilito all’articolo 16 – che è diventato nel testo definitivo l’articolo 21 – che il sequestro preventivo, anteriore cioè alla sentenza irrevocabile di un magistrato, possa avvenire, per alcuni reati, ad opera della polizia giudiziaria imponendo a questa l’obbligo, entro 24 ore, di comunicare il sequestro stesso all’autorità giudiziaria; e se l’autorità giudiziaria non dà il proprio assenso, il sequestro si ritiene come non avvenuto.

Tuttavia noi interpretiamo questa disposizione della Costituzione non come una norma impegnativa per il legislatore, ma soltanto come una possibilità che gli si dà nel caso che ritenga necessario di servirsene. Ma non è obbligatorio, se il legislatore non lo crede opportuno, di usare lo strumento del sequestro preventivo.

Noi possiamo stabilire, senza nessuna preoccupazione di violare la Costituzione (perché per quello che riguarda la tutela dei diritti dei cittadini restiamo al di qua, non andiamo al di là dei limiti fissati dalla Costituzione), che in nessun caso possa avvenire un sequestro di giornali da parte della polizia, cioè dell’autorità amministrativa; ma che per sequestrare un giornale, in casi di estrema urgenza, prima della sentenza irrevocabile della magistratura, sia necessaria l’ordinanza di un magistrato. Naturalmente, sarebbe preferibile che non avvenisse nessuna forma di sequestro preventivo, nemmeno per mezzo dell’ordinanza di un magistrato. Tuttavia vi sono delle eccezioni che possono essere benissimo comprensibili per la complicazione della società moderna, per i nuovi problemi posti da certi suoi caratteri e dall’intervento nella vita politica di vaste masse di cittadini.

Per quello, ad esempio, che riguarda i giornali che compiono dei reati di offesa al pudore, non c’è da meravigliarsi che si possa ammettere la possibilità del sequestro prima della sentenza del magistrato. Noi diciamo però che questo deve avvenire soltanto in seguito ad una ordinanza del magistrato e non per l’arbitrio di un commissario di pubblica sicurezza o di un questore o, sia pure, dello stesso Ministro dell’interno.

Com’è noto, vi sono soltanto alcuni reati, chiari e precisi, per i quali si ammette la possibilità del sequestro preventivo ad opera di un magistrato, e si tratta, come sapete, dell’offesa al pudore, dell’oltraggio alla persona dei sovrani esteri o del Presidente della Repubblica, dell’istigazione a delinquere e di pochi altri casi. La ragione per la quale noi insistiamo in modo particolare su l’esclusione dell’esecutivo dall’esercizio di questo diritto non è soltanto da ricondursi a delle norme generali di diritto, o a quelle norme politiche di carattere generale che si ricollegano a tutte le lotte che nel secolo scorso si sono condotte per ridurre l’invadenza e la potenza dell’esecutivo; essa si riferisce anche, onorevoli colleghi, ad esperienze molto precise che abbiamo fatte proprio in questi ultimi tempi.

Ci sono stati infatti dei casi in cui il Governo attuale – e intendo per attuale un Governo presieduto dallo stesso Presidente del Consiglio di oggi – ha operato il sequestro preventivo di alcuni giornali con il pretesto di un’offesa al pudore. Qualcuno di voi mi dirà: ma come si può affermare che è stato un pretesto?

E invero un giornalista appartenente alla stessa Democrazia cristiana, uno dei più stimati rappresentanti della classe dei giornalisti, ha scritto qualche tempo fa – e, se non erro, fu su Il Quotidiano, su un giornale quindi strettamente ortodosso – che sarebbe molto difficile confondere la difesa del pudore con la difesa del proprio interesse politico. Eppure proprio questo è avvenuto, come è provato dal fatto che in due processi, su cui si era particolarmente appuntata l’attenzione dell’opinione pubblica, il magistrato ha dovuto assolvere i responsabili di fogli che erano stati arbitrariamente sequestrati in nome della difesa del pudore. Ma intanto il sequestro preventivo era avvenuto e il danno al giornale era stato arrecato, anche se poi vi è stata la magra soddisfazione per le vittime di constatare che il magistrato aveva riconosciuto che non era stato commesso alcun reato contro il pudore. Alludo a un giornaletto anticlericale, Il Pollo, che era stato appunto denunziato per offesa al pudore nel suo numero del 23 ottobre 1946 e nei cui confronti era stato avviato procedimento per direttissima. In effetto si trattava di colpire il giornale per preteso vilipendio al clero e alla religione, reato questo sul quale evidentemente si possono professare diverse opinioni, ma che è contemplato dal Codice penale e che perciò deve essere colpito: colpito, però, senza sequestro preventivo. È chiaro che è stato per togliere di mezzo questo giornale che lo si è accusato di essere incorso nel reato di oscenità. La Magistratura ha dovuto invece riconoscere, con sentenza del 23 dicembre 1946, che questo reato non esisteva e che il giornalista da questo punto di vista era strettamente innocente.

Lo stesso fatto, e in un certo senso più grave, è avvenuto per un altro giornale, che non era specificamente anticlericale, ma che dibatteva problemi di morale familiare e sessuale: Il matrimonio. (Commenti al centro).

Nel febbraio del 1947 questo giornale è stato sequestrato per un articolo in cui poneva un vecchio problema, conosciuto e discusso da tutti coloro che si sono occupati venti o trent’anni fa di morale sessuale, il problema delle esperienze sessuali prematrimoniali della donna. Il problema era trattato con tutta onestà e serietà; si arrivava, naturalmente, a delle conclusioni più vicine a quelle di Léon Blum in Francia che non a quelle delle autorità cattoliche. Ma questo non importa; quello che è enorme è che si sia posto entro ventiquattr’ore fuori combattimento questo giornale, assolto poi dal magistrato, sequestrandolo sotto il pretesto che avesse offeso la pubblica decenza.

Questo dimostra che non c’è bisogno di ricorrere al governo fascista per trovare dei casi in cui il potere esecutivo approfitta di disposizioni ambigue della legge, per violare la legge stessa, per sottoporre il cittadino ad un arbitrio intollerabile. Ora, l’unico modo per impedire che questo avvenga – modo che potrà anche contribuire a far sì che la prossima lotta elettorale si svolga con maggiore calma – sarà quello di essere molto chiari e precisi in proposito. Non si deve ammettere più in Italia, in nessun modo, l’intervento del potere esecutivo, dell’amministrazione, delle autorità di polizia per quello che riguarda il sequestro preventivo dei giornali, ossia il sequestro anteriore alla sentenza irrevocabile del magistrato. I giornali, in alcuni casi di estrema gravità, per la salvaguardia di interessi generali, potranno essere sequestrati preventivamente, ma soltanto in seguito ad ordinanza dell’autorità giudiziaria.

MORO. C’è l’articolo 16.

SCHIAVETTI. Ed ecco, onorevoli colleghi, che sono arrivato alla fine di questo mio intervento. (Commenti). Esso vi ha forse stancati a causa della modestia dei mezzi di chi parla, ma io credo in ogni modo – e non faccio con questo che rendere omaggio alla vostra intelligenza e alla vostra sensibilità – che vi abbia interessato per la gravità, per la complessità e per la delicatezza dei problemi che sono connessi a questo progetto di legge. Problemi gravissimi, problemi soprattutto gelosi e delicati, quando si tratta di edificare un regime democratico. Il problema della libertà e dell’indipendenza della stampa è proprio uno di questi problemi. Ricordatevi, onorevoli colleghi, che l’esperienza di tutti i giorni ci dimostra che probabilmente non avverrà della stampa quello che è avvenuto per altre manifestazioni dello spirito, per il teatro, ad esempio, a causa della concorrenza che gli ha fatto il cinematografo: non avverrà, cioè, alla stampa che essa possa essere diminuita nel suo valore dalla radio, perché il valore documentario e il carattere di certezza che sono propri della parola scritta, ci assicurano che la stampa rimarrà un organo di informazione e di discussione preferito da tutti coloro i quali abbiano superato un livello minimo di cultura e di educazione politica. (Applausi all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, devo incominciare col ringraziare l’onorevole Cevolotto, presidente, nonché l’onorevole Colitto, segretario della Sottocommissione che ha preparato il progetto per la stampa, e a cui i nostri diligenti colleghi hanno dato il concorso d’un lavoro senza dubbio notevole.

Particolarmente ringrazio il mio buon Colitto, e desidero precisare che gli faccio questo ringraziamento proprio nel momento in cui prendo la parola per proporre che il progetto di legge sulla stampa, alla quale egli ha collaborato, sia rinviato alla nuova Camera, che ne potrà fare una discussione più attenta, un esame più particolareggiato, e non limitato, com’è qui limitato, fatalmente, e dalla costruzione stessa del progetto, a una sola parte del problema.

Non esaminerò il progetto con la diligenza che vi ha messo il collega Schiavetti, che ringrazio peraltro per avermi risparmiato una buona parte del discorso che intendevo fare; mi limiterò a tentar di provare che il progetto di legge è monco.

Esso appare dominato dalla preoccupazione di quello che è l’interesse del Governo nella stampa; di quelli che sono gl’interessi dei partiti nella stampa; di quelli che sono perfino gl’interessi e i diritti dei singoli. C’è, per esempio, una tutela del querelante che è sbalorditiva. Si arriva al punto di concedere al querelante un’infinità di diritti, i quali nascono, è vero, dall’offesa che egli può aver ricevuto dal giornalista; senonché non tutti i giornalisti sono incauti diffamatori, professionisti della diffamazione. Talvolta è nella concitazione del discorso che scappa la frase violenta. Alle volte accade che ci sono più diffamati, o ritenuti diffamati, i quali giudicano diversamente la diffamazione che li colpisce. E mi fa veramente piacere, onorevole Parri, di cogliere questa occasione per parlare un attimo di lei.

C’è il progetto d’amnistia, il quale comprende l’amnistia per tutti i reati di competenza del pretore: quasi certamente c’entrerà la diffamazione per mezzo della stampa. Quindi ritengo di essere, come amnistiando, al riparo delle frecce ch’ella potrà scagliarmi in veste di querelante, onorevole Parri.

PARRI. Non il pretore, è il tribunale che deve giudicare. (Commenti).

GIANNINI. Lasciatemi finire. Voglio dire semplicemente che questo rapporto, questo giudizio, che abbiamo con l’onorevole Parri (e non so come c’entri anch’io e personalmente, dato che personalmente vi sono estraneo, e vi apparisco indicato come imputato unicamente dall’onorevole Parri) questo procedimento, insomma, concerne, o dovrebbe concernere, anche l’onorevole Longo e il generale Cadorna, i quali non hanno sentito il bisogno di querelarsi né contro il gerente e i legali responsabili del giornale che si è occupato di loro, né contro di me, che, secondo l’avvocato d’una sola parte, ne sarei l’ispiratore, mentre al massimo potrei diventarne il responsabile civile.

Certo si è che tre persone rispettabilissime, l’onorevole Parri, il Generale Cadorna e l’onorevole Luigi Longo, hanno dato una differente valutazione d’un fatto che li riguarda. Due di essi non si ritengono diffamati e offesi, mentre l’altro si ritiene diffamato e offeso. Pure il fatto è lo stesso: unico per tutti e tre; e non si capisce come possa avere una diversa interpretazione politica e personale.

È chiaro, dunque, che anche la questione strettamente personale, che si riconnette alla diffamazione di carattere politico, è considerata con un eccessivo scrupolo e minuzia in questo progetto di legge sulla stampa, quasi che noi, come legislatori, non dovessimo avere altra funzione che quella d’intervenire nelle particolari questioni che possono insorgere fra l’onorevole Parri e me, o fra l’onorevole Schiavetti e me, il giorno in cui l’onorevole Schiavetti mi vorrà querelare.

Questo è uno dei difetti del progetto, ma ve ne sono degli altri. S’è parlato addirittura di limitare il diritto di fare un giornale (bel modo di tutelare la libertà di stampa!) solamente a certi grandi organismi. Si è parlato di limitare, e di non limitare, il diritto del Governo di sequestrare un giornale e, praticamente, di togliere dalla circolazione un giornale.

Il collega Schiavetti ci ha brillantemente ricordato l’esempio d’un giornale perseguito per oltraggio al pudore, mentre effettivamente l’oltraggio non era stato fatto che alla mancanza di pudore politico di chi perseguitava non una impudicizia, ma un’idea politica a cui è contrario.

Ci siamo preoccupati di limitare, d’individuare con precisione e a scopo persecutivo i proprietari delle aziende giornalistiche, di ridurre i loro diritti non so in base a quale nuova concezione della libertà, di stabilire una quota limite nella proprietà del giornale, di rivelare senza nessun velo e nessun mistero l’origine delle sue fonti finanziarie, e, in una parola, dell’alimentazione del giornale.

Amico Schiavetti, lei fa un giornale, io lo vedo il suo giornale, lo conosco: è povero. Si sanno le sue fonti, come si sanno le fonti di tutti gli altri giornali. Noi non riusciremo mai – per quante dichiarazioni si facciano – a dimostrare a tutti i «pinchi pallini» d’Italia come veramente si faccia a finanziare un giornale.

Il problema non è questo. Il giorno in cui viene dimostrato che un giornale è finanziato da un partito, credo che – se vogliamo andare veramente in fondo con le indagini sui mezzi di finanziamento – dovremo cominciare a domandarci chi è che finanzia il partito che finanzia il giornale,

Ciò che deploro, e che mi ha spinto a chiedere che il progetto di legge sia rinviato alla nuova Camera e rielaborato con maggiore accuratezza, è la mancanza d’un sia pur minimo accenno ai diritti d’una parte molto importante nella vita del giornale. Sosteneva poco fa il collega Schiavetti (suscitando le ire dell’onorevole Bellavista) che a un certo momento, quando si trovano in conflitto due libertà e due interessi, la libertà e l’interesse del singolo e la libertà e l’interesse della collettività, sono la libertà e l’interesse del singolo che devono cedere di fronte alle maggiori esigenze della collettività.

LABRIOLA. Proprio il contrario!

GIANNINI. Mio caro maestro Labriola, per far piacere al collega Schiavetti posso dichiararmi provvisoriamente d’accordo con lui e in disaccordo con voi! Senonché c’è un fatto: che anche nelle collettività c’è una gerarchia, per cui la libertà e i diritti di una collettività più piccola devono (secondo il ragionamento di Schiavetti) cedere il passo alla libertà e ai diritti della collettività più vasta. Ora, a quale collettività si è riferito l’onorevole Schiavetti? Ai sindacati, ai partiti, a quegli organismi politici, i quali, essendo numericamente superiori all’uomo isolato, hanno (secondo Schiavetti e i colleghi che la pensano come lui) diritto a una libertà preferenziale. E allora io vi dico: voi avete dimenticato la libertà e l’interesse d’una collettività maggiore e più importante, che è il pubblico, la collettività dell’uomo qualunque, la quale ha diritto di sapere! E voi, con questo progetto di legge sulla stampa, le negate il diritto di sapere. (Approvazioni).

LABRIOLA. Per le generazioni successive, che possono considerare non leale quello di oggi, è perfettamente leale il pensiero di domani.

PRESIDENTE. La prego, onorevole Labriola.

LABRIOLA. Mi perdoni, non ho mai interrotto nessuno.

GIANNINI. Io abbraccio l’amico Labriola. Ma lo prego di lasciarmi dire: questa maggiore collettività, che è il pubblico, è praticamente privata di quella elementare libertà che è «la libertà di sapere».

Noi abbiamo avuto un regime di stampa fascista, del quale non solo l’onorevole Schiavetti, ma molti altri uomini di sinistra hanno trovato motivo di lodarsi. C’è una causa fondamentale in questi motivi caro Schiavetti, e l’ha accennata lei stesso senza completarla, quando ha detto che dopo la rivoluzione del 1789 sono nati e sono stati proclamati dei diritti, per esercitare i quali ancora mancano i mezzi. Su questo possiamo essere d’accordo, è vero che mancano troppi mezzi per esercitare molti diritti che furono proclamati dalla Rivoluzione francese, la grande Rivoluzione europea della fine del 1700; ma non è certo ritornando al feudalesimo, e cioè al regime politico che da quella rivoluzione fu abbattuto, che possiamo esercitare quei diritti proclamati e non ancora applicati. Ora uno di questi diritti, che è contenuto nel diritto alla libertà della stampa, è, da parte del pubblico, «la libertà di sapere». Che importa a me, cittadino e deputato italiano, di tutelare il diritto d’un singolo che debba scrivere su un giornale?

Anch’io scrivo su un giornale: ma io sono qui non per me; io rappresento una parte, grande o piccola, della Nazione; grande o piccola del popolo italiano. Ed è di quelli che rappresento che mi devo preoccupare, qui dentro, di quella parte che è priva della libertà di sapere; debbo procurare di garantire ogni libertà a quelli che mi hanno mandato qui a difendere la loro libertà, non la libertà mia di scrivere quello che voglio, e che io posso anche scrivere in una lettera, per poi tirarla fuori a momento opportuno, com’è sempre avvenuto in epoca di calamitosi rivolgimenti politici.

Ora, noi ci troviamo in questa terribile situazione. Nel mondo moderno, e per fortuna non soltanto in Italia, altrimenti mi sentirei disonorato d’essere italiano, noi siamo costretti a dover giudicare ogni azienda giornalistica, quasi senza eccezioni amico Schiavetti, e lei me lo può confermare, perché fa un giornale e io so con quanti stenti, come se fossimo in presenza d’agenzie di menzogne, le quali non hanno altro compito che quello di disorientare il pubblico, d’ingannarlo, di creare in esso condizioni di spirito e di fatto il più delle volte artificiosi, mendaci, spesso producenti guerre, stragi, crisi.

Ricordo un malinconico episodio personale, tanto più malinconico, perché si riferisce alla guerra che ho odiato e che odio profondamente per tutto il male che m’ha fatto.

Mentre lei era in esilio, caro Schiavetti, noi abbiamo letto sui più seri giornali italiani che gli Stati Uniti d’America avrebbero perduto la guerra, perché non avevano più gomma, perché il Giappone aveva conquistato tutte le basi dove si poteva produrre la gomma, tutte le piantagioni di gomma, le distillerie di gomma, tutta la gomma del mondo. Pareva che non si potesse far più un impermeabile in America, se non vi fosse tornata la pace. Venne diffusa una notizia pubblicata da tutti i giornali, informante che negli Stati Uniti d’America era stata fatta una sottoscrizione per la gomma, una sottoscrizione nazionale per raccoglierne tutti i rottami, e che perfino il Presidente Roosevelt aveva versato a questa sottoscrizione nazionale il proprio tappetino da bagno, che era di gomma, per farne nuova gomma allo scopo di poter continuare la guerra. Schiavetti, noi abbiamo creduto a questo.

SCHIAVETTI. Noi no.

GIANNINI. Voi no ma qualcun’altro ci ha creduto. Non potete pretendere che ogni altro abbia la testa vostra. Molti vi hanno creduto, moltissimi sono morti per avervi creduto, e voi dovete rispettarli appunto perché sono morti credendo a qualche cosa. Ora, questa gente che è morta per aver creduto, se fosse vissuta si sarebbe trovata nella condizione di veder arrivare a Roma i carri armati pesanti Sherman coi cingoli di gomma, e di dover finalmente rendersi conto che non era affatto vero che il signor Roosevelt aveva versato il suo tappetino da bagno, né che gli Stati Uniti fossero privi di gomma.

Da che cosa nasce questa organizzazione menzognera, che non si limita soltanto al regime fascista, perché tutti i regimi, tutti i governi, tutti i partiti vi ricorrono, e noi lo sappiamo e ne abbiamo la prova ogni giorno? Questa violenza spirituale, esercitata attraverso i giornali, attraverso le agenzie di notizie, è esercitata all’unico scopo di derubare l’uomo qualunque, la donna qualunque, la folla, la parte più sana di tutti i Paesi e non soltanto dell’Italia, del suo sacro diritto alla «libertà di sapere».

È su questo che io chiedo che la legge si soffermi, ed è precisamente di questo che la legge non parla affatto, per cui io la ritengo monca, difettosa, e chiedo che sia rinviata alla nuova Camera per un esame più approfondito.

Concordo nel concetto che bisogna difendere, che bisogna nobilitare e magnificare la funzione del giornalista, perché troppo si è parlato, troppo spesso si è calunniato questo eroe della penna, che lavora per passione, che il più delle volte ha tanto di quell’ingegno che se si mettesse a fare una professione meno difficile e meno drammatica, certamente vivrebbe meglio e guadagnerebbe di più. È giusto che questo artista della penna sia tutelato, sia protetto; ma non facciamo le cose in fretta e furia. Non abbiamo nessuno che ci insegne. Possiamo benissimo commisurare quella che è la tutela del giornalista, con quella che è la tutela ancor più importante del giornale fatto per il pubblico, dato al pubblico, fatto col danaro del pubblico, al quale dev’esser lasciata intatta la libertà di sapere. Ora, nelle condizioni attuali, questa libertà non è in nessun modo garantibile. Non è garantibile, perché fra le altre, non dico, ridicolaggini, ma fra gli altri squilibri spirituali di quella che è tutta la polemica sulla stampa, c’è questo: si parla della libertà di stampa e non si parla mai della libertà di stampare.

Una volta il giornale costava un soldo: un soldo, all’epoca in cui i politici come Giovanni Giolitti avevano portato la lira al valore dell’oro. Io ricordo che in quel tempo prendevo la mia cinquina di caporal maggiore in Africa, in oro, col marengo tunisino. Ora c’è un rapporto da uno a quattrocento fra quella moneta e questa. Per comprare il giornale che allora costava un soldo, oggi si dovrebbero tirar fuori quattrocento soldi, forse quattrocentocinquanta soldi, ossia 25 lire. Il giornale non costa 25 lire, costa 10 lire, cioè a dire meno di 2 centesimi di prima. A quel prezzo il giornale non si può fare, e non c’è nemmeno chi lo fa.

Si dice: «Voi vi rifate sulla grande vendita». Non è vero! A 10 lire, il giornale non si può vendere; perché non sono le dieci lire che vanno all’amministrazione del giornale. Dalle 10 lire bisogna diffalcare circa il 25 per cento di spese, provvigioni al rivenditore, e tutte le altre spese generali. Delle 10 lire arrivano all’amministrazione 5 lire. Ma a chi racconto queste cose? All’onorevole Nenni, che le sa benissimo? All’amico Lizzadri, che si mette la mano davanti alla bocca per non far vedere che sta ridendo? Tutti sappiamo che i giornali sono passivi, e che il loro passivo è coperto o dal partito o dal contratto di pubblicità, o da coloro che, sotto il nome di finanziatori, diventano i veri e propri direttori dei giornali e quindi dei partiti politici, perché fatalmente finiscono col pretendere di non limitare il loro intervento nella vita pubblica a quella sola funzione, già abbastanza nobile, che è l’erogazione. Sì, onorevoli colleghi, l’erogazione, poiché il saper scegliere chi meriti il nostro aiuto, è indizio certo di possedere una forma altissima d’intelligenza. Invece, questi erogatori s’improvvisano direttori di correnti politiche, e alle volte si servono, contro il giornalista che s’infischia di loro, del sistema più rapido. «Noi ti tagliamo i viveri; tu non fai più il giornale». C’è chi ha paura di fare questa brutta figura, e si piega e continua a fare il giornale. C’è chi non ha paura e non si piega; ma il giornale finisce lo stesso.

Onorevoli colleghi, come si può, in tali condizioni, parlare di libertà di stampa, senza far ridere chiunque sappia che cos’è un giornale? La libertà di stampa nelle attuali condizioni economiche non è possibile, non esiste. La libertà di stampa può essere attuata soltanto da un settimanale a grande diffusione, a grande vendita, ad alto regime di pubblicità.

Si dirà certamente che sto «cicerando per il mio duomo»; ma la verità è questa: se il mio partito oggi è ancora vivo, se è ancora forte e ancora determinante d’una situazione politica, che ci ha valso il piacere e l’onore d’avvicinarci al nostro maestro Francesco Nitti e agli amici del Partito liberale, ciò si deve unicamente al fatto che c’è stato un settimanale, «l’Uomo Qualunque», che non è mantenuto da nessuno, che vive senza bisogno di nessun cordone ombelicale e che ha tenuto in piedi una situazione politica che altrimenti sarebbe precipitata.

Ora, questo non è un fatto che si ripete spesso: è un’eccezione, potrei dire un fenomeno personale. In simili condizioni parlare di libertà di stampa è, se non criminoso, almeno ridicolo. Tutti sappiamo che cos’è la vera libertà di stampa, che consiste nel poter scrivere ciò che sinceramente si pensa, alle volte anche indipendentemente dalle direzioni dei partiti, dai quali non è detto che un uomo libero debba dipendere come uno schiavo.

Non ho rimedi da suggerire per risolvere questo vastissimo problema; e non li ho, perché non li ho studiati e non ho avuto il tempo per studiarli. Come tutti sappiamo, tutti noi siamo in questo momento affaccendati in faccende elettorali certamente meno nobili, ma assolutamente più urgenti.

Rimandiamo questa legge alla nuova Camera, perché sia esaminata con quella accuratezza, con quella coscienza, con quel senso di giustizia con cui dev’esser esaminata; e, principalmente, esaminata dal punto di vista della «libertà di sapere», che dev’esser lasciata all’uomo qualunque, massa nella quale si confondono gli aderenti di tutti i partiti; perché, quando dico «uomo qualunque», non intendo creare il monopolio di nessuna specie umana; parlo della folla, di tutti.

Rinviamo lo studio di questo progetto e cerchiamo, noi che di stampa c’intendiamo, di collaborare con la Commissione nel miglior modo, perché sia assicurato al popolo il diritto e la libertà di sapere. Quando questa libertà di sapere sarà veramente conferita all’uomo qualunque, quando non ci sarà più nessuno che potrà ingannare un popolo intero sulla mancanza di gomma negli Stati Uniti, o sulla morte di Stalin in Russia, o su altre fanfaluche, che servono soltanto a turbare gli animi e a scavare abissi fra uomini e uomini, tempeste fra correnti e correnti, noi avremo dato all’uomo qualunque la base di tutte le libertà, che in sostanza noi tutti, in una forma o nell’altra, cerchiamo di dargli.

È per questo che, ringraziando di nuovo il collega Schiavetti, che m’ha risparmiato di fare l’esame dettagliato dell’articolazione della legge, invito gli onorevoli colleghi della Commissione, che così diligentemente hanno preparato il disegno di legge, trascurando però il punto di vista della «libertà di sapere», di volere accettare la mia proposta di rinviare a momento più comodo e più facile l’esame di questa importantissima legge, che interessa non soltanto giornalisti, editori e uomini politici, ma anche e soprattutto la grande massa del popolo italiano. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bettiol. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Onorevoli colleghi, concordo pienamente con l’onorevole Schiavetti nel ritenere che questa legge tocca realmente argomenti ardui, difficili e importantissimi, particolarmente in questo momento politico; ed è per questo che con senso di trepidazione mi accingo a portare un modesto contributo alla chiarificazione di problemi e di questioni, ai quali questa legge fa specifico riferimento.

Indubbiamente, onorevoli colleghi, se è possibile stabilire un paragone fra l’organismo fisiologico e l’organismo politico, la legge sulla stampa è come il polmone del corpo politico, che ha bisogno dell’ossigeno della libertà, onde potere funzionare e garantire all’organismo stesso la vita e le possibilità del suo sviluppo. Perché è indubbio che la legge sulla stampa costituisce la pietra di paragone per stabilire se un determinato organismo politico è a sfondo democratico o è a sfondo antidemocratico o totalitario.

Perché le declamazioni astratte sulla democraticità di un sistema a nulla giovano, se poi in concreto questo sistema si serve di una legge che può. mettere il bavaglio alla stampa di opposizione, quando in nome di presunti interessi di carattere generale si vuol limitare la libertà individuale. Quindi non già declamazioni astratte sulla libertà e sulla democraticità di un sistema servono a determinare il carattere dello stesso, ma l’esame concreto e dettagliato di quella che è la legge sulla stampa. E in vero, attraverso la stampa e la sua regolamentazione, si può procedere ad una pianificazione di carattere ideologico, che è come l’anticamera di quella pianificazione di carattere politico che è la palestra nella quale i regimi antiliberali fanno le loro capriole.

Ora, stampa vuol dire indubbiamente pensiero; pensiero vuol dire critica; critica vuol dire libertà ideologica, che in un regime democratico non può conoscere limitazioni al di fuori di quelle specificatamente determinate e sancite dalle leggi penali, o da quelle leggi che riposano su quella che può essere chiamata la volontà generale la cui concezione risale al padre della democrazia moderna: Gian Giacomo Rousseau.

Quindi libertà di stampa significa libertà di agire, libertà di criticare, libertà di manifestare un proprio pensiero nell’ambito delle fondamentali leggi penali o delle leggi predisposte per l’eventuale indicazione dei responsabili dei reati commessi attraverso la stampa. Quindi non una libertà che rinneghi l’osservanza di queste leggi fondamentali del vivere civile, non una libertà che si trasformi in vera e propria licenza, ma una libertà analoga alla libertà di agire di ogni cittadino, il quale può fare tutto quello che non è vietato espressamente dalle leggi penali.

Quindi, badate bene, all’idea ed al principio della libertà di stampa è correlativa l’idea di un certo qual limite, di una limitazione alla libertà stessa, onde la libertà non si trasformi in licenza, onde l’individuo non sia posto in grado di violare, o di compromettere le possibilità di un ordinato e pacifico convivere sociale, onde sia rispettato il principio della legalità che è il cardine supremo di ogni reggimento democratico. Quindi, quando noi ci troviamo di fronte ad una di queste limitazioni, non possiamo parlare di una eccezione rispetto a quella che può essere una regola, ma possiamo parlare di una limitazione, di un limite normale posto alla estrinsecazione della libertà.

Stabilito questo principio, dobbiamo vedere se il progetto di legge, presentato dal Governo ed elaborato dalla Commissione, è tale da garantire questa fondamentale libertà, è tale cioè da garantire sul piano politico – parliamo in concreto – la libertà alla minoranza, la libertà all’opposizione, la libertà a chi ha una propria ideologia politica da difendere, da manifestare e da propagandare, di essere libero di fronte alle possibili inframettenze o ai possibili divieti posti dal potere esecutivo. Perché, ripeto, nell’ambito di un reggimento autoritario la stampa è manovrata dall’esecutivo a tutto scapito delle libertà dell’opposizione, mentre in un reggimento democratico questa possibilità di manovra della stampa da parte dell’esecutivo dev’essere completamente scartata, a meno che la stampa stessa non violi la legge penale la cui osservanza costituisce la conditio sine qua non per poter garantire la convivenza sociale.

Ora, mi pare che questo cardine fondamentale della libertà di stampa è riconosciuto e sancito dall’articolo 1 di questa legge laddove, dopo aver espressamente stabilito che la stampa è libera, si aggiunge che i reati di stampa o commessi col mezzo della stampa sono puniti a norma della legge penale. Non è già questa, ripeto, un’eccezione posta al principio della libertà, non è già questa una menomazione della libertà stessa, ma è un limite normale ad una libertà che, senza questo limite, si trasformerebbe in licenza, la quale porterebbe direttamente ad una situazione politica ben presto insostenibile.

Ora, noi ci dobbiamo porre la domanda se, di fronte a questo progetto di legge, possiamo affermare e concludere che la libertà di stampa è garantita dalle inframettenze del potere esecutivo. La risposta è positiva, nel senso che la libertà di stampa è garantita, che questa legge non può in concreto considerarsi come legge sovvertitrice di quel canone fondamentale di libertà sul quale riposano tutte le singole, specifiche, particolari, libertà democratiche. Vi sono, naturalmente, dei limiti ed i limiti sono in concreto anche determinati e posti dalla possibilità di un sequestro della stampa, così come in concreto la libertà individuale può essere in certi particolari casi misconosciuta o meglio limitata dalla possibilità della custodia preventiva, dell’esecuzione di un mandato di arresto o di cattura, quando la legge penale o processuale consenta alla limitazione stessa.

Il problema del sequestro noi lo consideriamo molto importante e lo vogliamo esaminare analiticamente, per non arrivare alle frettolose conclusioni di chi, esaminando l’articolo 28, laddove si prevede il sequestro di un giornale, affermi di trovarsi di fronte ad una limitazione della libertà di stampa, quindi ad un intervento del potere esecutivo in un campo dove il potere esecutivo non dovrebbe comunque mai interferire.

Ora, se noi analizziamo in modo particolare il n. 4 del secondo comma dell’articolo 28, vediamo come i fatti, per i quali si può procedere ad un determinato sequestro, costituiscono reati, sono fatti che violano tutti la legge penale ed il Codice penale, sono fatti che violano la legge fondamentale della umana convivenza, nel senso che è esclusa a priori ogni possibilità di eliminare la stampa mediante il sequestro quando non ricorra in concreto un fatto che sia previsto come reato dalla legge penale. Ed in vero, l’articolo 28, nella formulazione governativa, prevede il reato di offesa all’onore o al prestigio del Capo dello Stato o del Capo di uno Stato estero; di istigazione a delinquere, nella ipotesi dell’articolo 414 del Codice penale, o di apologia di reato ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo stesso, ovvero di pubblicazioni oscene o contrarie alla pubblica decenza, o infine reati previsti dall’articolo 553 del Codice penale.

La Commissione ha voluto eliminare dal novero dei reati per i quali è possibile il sequestro, il reato di apologia di reato, mentre, invece, sarebbe opportuno conservare anche questo reato, perché attraverso la stampa molto facilmente si può scivolare proprio nella apologia di reato, che è bene invece prevenire e reprimere quando questo fatto si sia manifestato. Ed è anche a nome dei colleghi della mia parte che io insisto e faccio presente la necessità che debba essere considerato, mediante la possibilità del sequestro, anche il reato di offesa del sentimento religioso, tanto dei cattolici come degli israeliti ecc., perché il sentimento religioso è profondamente ancorato nel profondo del nostro cuore ed è un sentimento che tutti ci unisce.

D’altro canto, possiamo concludere che i fatti per i quali questo sequestro è possibile, sono tutti fatti che rappresentano violazioni della legge penale.

Ora, chi può fare il sequestro? Perché una cosa è stabilire la possibilità del sequestro ed altra cosa è vedere in concreto chi può procedere a questo sequestro. È chiaro che il principio fondamentale, in armonia con quanto già sancito dalla Costituzione nostra per tutte le altre limitazioni della libertà individuale, è che il sequestro può avvenire mediante una sentenza irrevocabile della autorità giudiziaria.

Ma d’altro canto (e lo ha accennato anche il collega Schiavetti) nel nostro mondo moderno non sempre è possibile, di fronte alla potenza, alla possibilità che ha la stampa ecc., di rimandare il sequestro ad una sentenza irrevocabile del giudice che può essere pronunciata dopo lunghi e lunghi mesi, mentre intanto la stampa può offendere sentimenti propri della collettività e perpetrare reati con la massima possibilità di diffusione.

Quindi è giusto, e noi sottoscriviamo alla possibilità che possa il sequestro avvenire anche mediante un decreto motivato del magistrato in limine litis, ma, hic sunt leones, ecco il problema: il problema cioè se, al di fuori di questa possibilità in limine litis, sia possibile consentire anche agli ufficiali di polizia giudiziaria questo intervento e quindi la possibilità del sequestro.

Hic sunt leones, dicevo, nel senso che qui si fa più vivo il contrasto ideologico ed avviene il cozzo tra opinioni diverse. Ora, io credo che quanto la Commissione ha fatto non sia da approvarsi, vale a dire quella eliminazione, quella soppressione del quarto comma dell’articolo 28 del progetto governativo, il quale accordava agli ufficiali di polizia giudiziaria la possibilità del sequestro nei casi espressamente specificati nel secondo comma. Quindi non già in base ad un puro e semplice arbitrio, non già in base a quella che può essere una velleità determinata da necessità politiche contingenti, ma nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un determinato reato o fatto commesso mediante la stampa, che realizzi in concreto una figura di reato espressamente prevista dal Codice penale.

Perché voler eliminare questa possibilità di sequestrare mediante un atto dell’ufficiale giudiziario la stampa che ha violato i doveri fondamentali della convivenza civile, quando accordiamo già agli ufficiali di polizia giudiziaria la facoltà di arrestare in flagrante qualsiasi cittadino, di limitare la libertà di qualsiasi cittadino per gli stessi reati, norma che è sancita espressamente dalla nostra Costituzione, che è garante di tutte le libertà fondamentali?

Ed è veramente strano che, mentre da un lato l’onorevole Schiavetti si aggancia a quella che può essere la considerazione degli interessi generali che prevalgono sul diritto concreto di libertà o di licenza, venga poi concretamente a negare la possibilità di questo sequestro compiuto dall’ufficiale di polizia giudiziaria: è un contrasto indubbiamente forte e, credo, insanabile nell’ambito della sua concezione che tanto acutamente e nobilmente ci ha chiarito nel corso del suo precedente intervento.

Pertanto, noi sosterremo la necessità di conservare in questa legge la possibilità del sequestro preventivo compiuto dall’ufficiale di polizia giudiziaria. E badate bene, non soltanto per le pubblicazioni periodiche, ma per tutte le pubblicazioni, tenendo presente il carattere licenzioso delle pubblicazioni stesse.

E qui è una cosa che ci sta particolarmente a cuore: il problema della pornografia, il problema della stampa pornografica, il problema della stampa oscena, il problema della stampa immorale, il problema della stampa scandalistica, il problema della cronaca nera o di stampe espressamente destinate a divulgare con carattere particolare i fatti della cronaca nera, il problema della stampa morbosa che realmente avvelena la coscienza dei giovani, la coscienza degli immaturi, dei ragazzi, cioè la coscienza dei cittadini di domani i quali, invece di essere sottoposti ad un processo di deformazione spirituale, hanno bisogno di trovare, nell’ambito della comunità politica nella quale vivono, le condizioni per il proprio perfezionamento, per la propria educazione morale, per il proprio sviluppo morale – che è reso impossibile dal diffondersi di una stampa morbosa o pornografica.

Ecco perché noi siamo contrari a quella che è la soppressione prevista dalla Commissione per quanto riguarda l’articolo 26.

L’articolo 26 di questa legge dice che, ai fini dell’applicazione degli articoli 528 e 529 del Codice penale, per le pubblicazioni destinate all’infanzia o all’adolescenza, si abbia riguardo, in modo particolare, alla sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti: cosa molto importante questa, perché la legge dà un criterio interpretativo per determinare in concreto quando sussista o non sussista la fattispecie dei reati previsti dagli articoli stessi. È un criterio interpretativo che dà la possibilità di allargare la sfera di incriminazione delle norme di cui agli articoli 528 e 529 del Codice penale, per colpire manifestazioni che attentano particolarmente alla moralità, alla coscienza morale dei giovani e degli adolescente.

Approviamo, poi, il primo capoverso dell’articolo 27 aggiunto dalla Commissione, là dove si dice che: «Lo pene degli articoli 528 e 529 del Codice penale sono aggravate nel caso di pubblicazioni che non abbiano riguardo alla sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti».

Non si tratta di una ripetizione dell’articolo 26, ma si tratta di una cosa molto diversa perché, mentre l’articolo 26 del progetto determina un criterio interpretativo per quanto riguarda la sfera dell’incriminazione relativa agli articoli 528 e 529 del Codice penale, questo capoverso viene ad aggravare giustamente la pena per coloro che fanno il commercio immondo delle anime, il commercio immondo degli spiriti, per coloro che sono intesi alla rovina delle generazioni, alla rovina del Paese.

Per quanto riguarda l’articolo 27 del progetto ministeriale, cui corrisponde l’articolo 21 nel testo della Commissione, noi vorremmo trasformare questo reato da reato di danno in reato di mero pericolo, aggiungendo la espressione: «in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o da poter provocare il diffondersi di manifestazioni suicide o delittuose».

Repressione penale dei reati di stampa. V’è qui, a questo riguardo, un articolo, il 16, che assolutamente non va, un articolo che deve essere sostanzialmente modificato. È questo, onorevoli colleghi, il problema della responsabilità penale del direttore della stampa periodica. Voi sapete, onorevoli colleghi, come il Codice penale, con gli articoli 57 e 58, preveda ancora, in contrasto con quelle che sono le linee di sviluppo culturale del diritto penale moderno, delle presunzioni di responsabilità, delle presunzioni juris et de jure che, come tali, non ammettono in concreto la prova del contrario, per cui, di fronte ad una sentenza penale di condanna per un reato commesso attraverso la stampa, ne dovrebbe rispondere sempre il direttore responsabile, anche se in concreto egli non abbia partecipato alla perpetrazione del reato, anche se egli non abbia saputo, non abbia avuto alcun sentore, che attraverso il suo giornale si commetteva quel determinato reato.

È questa, onorevoli colleghi, una arcaica, una vecchia presunzione di responsabilità penale, di responsabilità juris et de jure, una violazione del principio nullum crimen sine culpa. Presunzione che si tramanda da codice a codice, così come Goethe diceva che si tramandano di generazione in generazione dei relitti storici che sono in patente contrasto con la situazione di fatto sociale e politica della società che vuole assumere per sé quella determinata norma o che vuole creare per sé quella determinata istituzione.

Ma noi crediamo che un diritto ancorato, come dice la nostra Costituzione, all’idea della responsabilità personale, della responsabilità individuale, della responsabilità per fatto proprio, non si possa, dopo poche settimane, violare con l’introdurre nell’ambito di questa legge una stonatura, un arcaismo giuridico che contrasta con le nostre più profonde convinzioni morali e giuridiche.

Ecco perché io proporrei di ritornare al testo presentato dal Governo, con l’eliminazione di quelle tremende paroline «per ciò solo». Dice l’articolo 16: «Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione, dei reati commessi col mezzo della stampa periodica risponde, per ciò solo, il direttore responsabile». Tremende paroline che determinano un capovolgimento di quelle che sono le basi psicologiche e morali sulle quali poggia la responsabilità penale tanto nella Costituzione testé approvata come nel Codice penale in vigore. Bisogna al posto di queste tre paroline mettere l’espressione «anche»: «risponde anche il direttore responsabile»; vale a dire, al posto di una responsabilità juris et de jure, al posto di una presunzione di responsabilità, mettere invece una presunzione puramente relativa, che ammette in concreto la prova del contrario. Cosa che in pratica la magistratura già concede al direttore responsabile, perché non v’è nessun magistrato di questo mondo che di fronte alla prova concreta che l’imputato, cioè il direttore del giornale, non era presente in loco e non poteva concretamente prendere visione dello scritto, condanni il direttore responsabile stesso.

Qui bisogna farla finita con questa responsabilità juris et de jure e ammettere soltanto una presunzione di responsabilità juris tantum, la quale facilita indubbiamente l’opera della magistratura in quanto fa invertire l’onere della prova e fa venir meno il principio che nel dubbio si deve giudicare a favore del reo. Sarà quindi interessato il direttore del giornale a portare tutte le prove a suo discarico, ma si ammetta già sul piano normativo la possibilità di questa prova liberatoria; diversamente noi procediamo avanti con gli occhi bendati e le mani legate, ossequienti a quello che è un principio tradizionale, ma che oggi non è più sentito come principio ancorato alla nostra coscienza morale e giuridica.

Ora, accertato il reato di diffamazione commesso per mezzo della stampa, a mio avviso bisogna anche predisporre i mezzi per colpire efficacemente l’autore della diffamazione. Perché oggi è troppo facile per il direttore di un giornale o per un giornalista colpire il prossimo attraverso uno scritto ingiurioso, diffamatorio, quando poi, in concreto, il Codice penale prevede delle pene alternative, e prevede delle pene molto basse tanto detentive quanto pecuniarie.

È perciò che io propongo di aggiungere un articolo al testo che dovrà essere approvato dall’Assemblea Costituente, per stabilire che nel caso di reato di diffamazione commesso attraverso la stampa si applicherà la pena della reclusione sino a quattro anni e la pena della multa non inferiore alle lire 50.000. È un rafforzamento delle sanzioni che potrà costituire una remora efficace a quello che è il dilagare, come constatiamo sempre, di questi reati di diffamazione commessi attraverso la stampa.

Poi bisogna accettare anche l’idea della riparazione pecuniaria, di cui all’articolo 25 del progetto e 20 del testo emendato dalla Commissione, per rafforzare quello che può essere il risarcimento dei danni. Sebbene questa riparazione pecuniaria sia difficilmente giustificabile o spiegabile sul piano teoretico, in concreto essa si presenterà come un’arma efficace per stroncare la mala pianta della diffamazione.

E da ultimo ho visto che la Commissione ha soppresso l’articolo 36 sulla recidiva, là dove si diceva che nei reati di stampa la pena pecuniaria da infliggere è moltiplicata per tante volte quante sono le condanne riportate dal colpevole per la medesima motivazione.

Non vedo la ragione della soppressione di questa disposizione che viene a colpire l’inclinazione al reato, che si produce facilmente in coloro che sono più volte incorsi nel reato di diffamazione commesso attraverso la stampa. È bene che a tale riguardo sia previsto questo aggravamento di pena.

Non approvo invece la soppressione prevista dalla Commissione per quanto riguarda le corti d’onore che dovrebbero giudicare nei casi di diffamazione e di altri reati e fatti commessi attraverso la stampa. Non l’approvo perché, giustamente, già da parecchio tempo nell’ambito della categoria professionale queste corti d’onore sono state invocate e possono ritenersi come idonee a tradurre in concreto quei principî di moralità, di senso dell’onore, di libertà di critica e di apprezzamento che sono propri dei giornalisti, sicché non può non riconoscersi che i giornalisti vanno giudicati non col metodo comune, ma con criteri di giudizio maturati nell’ambito della loro categoria. Quindi le corti d’onore vengono incontro a questa necessità di rispettare i principî che informano la moralità e il codice della categoria.

Queste sono le osservazioni di carattere generale che ho fatto a questo progetto di legge in nome degli amici di Gruppo riservandoci, con altri amici, la libertà di presentare in concreto emendamenti ai singoli articoli. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Manzini. Ne ha facoltà.

MANZINI. Il problema che è posto dinanzi all’Assemblea è certo uno dei più appassionanti per un regime che vuol essere di libertà e di progresso civile ed umano.

La legge pone alla coscienza del legislatore e all’opinione pubblica dei dilemmi e dei problemi estremamente ardui ed impegnativi per noi, come uomini e come cittadini, come spiriti che aderiscono ad una visione liberale della società umana.

Tuttavia trovo che in questa legge vi è una lacuna, un difetto fondamentale. Abbiamo sentito enunciare in termini negativi gli aspetti del problema della stampa moderna. Se si raffronta il giornalismo dei tempi eroici, il giornalismo romantico che nasceva come apporto di pensiero, come espressione di nuclei liberamente associati, appassionati al servizio di un’idea, con quello che è il giornalismo tecnico del mondo moderno, ci troviamo di fronte ad un problema estremamente arduo.

Oggi che cosa fa il giornale? V’è un’idea da sostenere, si risponde. Ma l’idea, come ha detto l’onorevole Giannini, è posta in condizioni d’impotenza, o per lo meno di minore efficacia, di limitazione senza un secondo elemento che spesso è predominante: la finanza, il denaro. Perché il giornalismo quotidiano, che è quello che si inserisce ed incide nell’opinione pubblica, e crea la grande forza del dinamismo sociale, le grandi correnti del consenso, dell’opinione, questo giornalismo quotidiano, purtroppo, per un rapporto fatale che possiamo discutere ma non eliminare, è un organismo oramai di struttura tecnica così complessa e così ardua, a far vivere il quale non basta neppure il romanticismo e la passione dello scrittore e neppure la capacità intellettuale dello scrittore. Purtroppo la grande potenza dinamica del denaro è la potenza che dà oggi la facilità delle informazioni e la istantaneità di queste informazioni, dato che il quotidiano è organo soprattutto di notizie oltre che di concetti, e mette l’organizzazione tecnico-giornalistica in una posizione di difficoltà rispetto allo scrittore e crea l’urgenza e la necessità di grandi strutture economiche. Cosicché i giornali divengono formidabili concentrazioni di interessi e i giornali sono, come vediamo nelle grandi capitali dove il giornalismo assurge a vaste strumentazioni tecniche, a trusts e a confluenze di ricchezza veramente strepitose, i giornali – dicevo – diventano né più né meno che elementi della struttura capitalistica della società moderna.

Quale il rimedio? L’onorevole Giannini dice che il giornale costa poco: 10 lire, o 15 lire nel nord. E se è lecito esprimere per inciso un voto che non ha nulla a che fare con la legge ma che ha la sua importanza, è proprio il voto che cessi questo dualismo fra giornalismo del nord e del sud, poiché la linea gotica è superata da un pezzo e, con tutto il rispetto per gli amici di Milano e per gli amici del sud, sarebbe tempo che si risolvesse anche questo problema dei due emisferi del nord e del sud. Ma questo è un inciso.

Ebbene, l’onorevole Giannini dice: costa troppo poco. Io posso aggiungere invece che costa troppo rispetto al pubblico. È vero che costa troppo all’azienda, ma il pubblico ha fame di leggere e questo pubblico che in Italia ha progredito nella passione di temi culturali e politici, questo pubblico risente degli aumenti. Ogni azienda che non sia una grande azienda, le aziende medie e modeste come le aziende giornalistiche più pure e libere, vedono con terrore l’aumento del prezzo dei giornali perché ogni volta esso riduce la possibilità di assorbimento. Quindi non è aumentando il prezzo dei giornali che si risolve il problema. E allora, il controllo?

Ma io pongo un problema centrale. Il problema si risolve soprattutto facendo centro sulla figura che è protagonista dell’opera giornalistica, cioè sul giornalista. Il problema della libertà si riduce ad un problema di responsabilità, di autocontrollo e di educazione politica. Ora, è il giornalista l’eroe di questa impresa. E dico l’eroe perché pochi del mondo profano sanno e comprendono quale sia l’attenzione, la responsabilità e – direi – la dedizione che l’opera del giornalista richiede. È dunque proprio sulla figura del giornalista che noi dobbiamo puntare le prime esigenze e responsabilità e controlli, e soprattutto sollecitazioni, se vogliamo che il giornalista risponda a questa alta sua missione. E in che modo? Con un investimento sempre più vasto della sua responsabilità!

La legge non pronuncia neppure le parole: albo dei giornalisti. Ora, l’albo è una delle prime garanzie che si pongono quando si discute di libertà di stampa e si chiedono giustamente delle garanzie e dei limiti a questa responsabilità. Perché il primo limite è posto dalla coscienza del bene comune, dalla purezza dell’impegno, dalla coscienza della profonda influenza che l’opera dello scrittore e del propagandista esercita sull’opinione pubblica.

L’albo è uno strumento di questa elevazione. L’albo non è solamente un elemento di tutela economica o giuridica sacrosanta e quindi insuperabile del giornalista; è anche un elemento di elevazione morale del giornalista; perché è strumento di selezione e di elevazione, e come tale la sua rivendicazione e la sua enunciazione nel testo della legge costituiscono una delle prime, principali garanzie a quello che è l’oggetto dell’ansia che ha mosso il legislatore nell’elaborare i titoli ed articoli di questa legge, e cioè che i giornalisti sappiano essere consci dei limiti della loro responsabilità e dell’impegno della loro opera. Circa l’albo sento che vi sono qui delle prevenzioni che derivano da una insufficiente conoscenza del problema; l’albo non costituisce una limitazione della libertà, un ostacolo posto alla libera manifestazione della opinione del giornalista, del pensiero, dello scritto.

Mi domando perché devono esservi categorie sindacali giuridiche con albi l’iscrizione ai quali è condizione per l’esercizio delle professioni libere, per i medici, per i farmacisti, per gli avvocati, e non anche per la professione del giornalista. Perché? Quando si pongono particolari esigenze per fare il medico o per fare il professore si presuppongono titoli culturali ed educativi, di preparazione, di dignità morale e professionale ed anche di praticantato. Tutto questo non dovrebbe valere per il giornalista. Non capisco perché. (Interruzione del deputato Labriola).

Ciò che noi vogliamo, onorevole Labriola, è rendere sempre più eletta la figura del giornalista e porre la parola fine al concetto superficiale e volgare che quella del giornalista sia una professione che si possa improvvisare e soprattutto che la beata riva del giornalismo possa essere il rifugio degli uomini che non abbiano una elevata preparazione, che il giornalismo rappresenti un approdo di tutti i naufraghi. Il giornalismo moderno è un’ardua professione che richiede cultura, selezione tecnica, conoscenza, pratica, esercizio continuativo. Quindi da questo punto di vista l’albo è una istituzione fondamentale.

Credo che l’onorevole Schiavetti abbia fatto benissimo a ricordarlo. Non solo, ma noi non dobbiamo nemmeno porci delle pregiudiziali, cioè non vergognarci perché si tratta di una conquista della legislazione fascista. È una cosa ottima che ha fatto il fascismo e dobbiamo riconoscere che in questo campo abbiamo avuto una tutela che dobbiamo augurarci che abbia a svilupparsi, che si perfezioni e non retroceda.

L’albo rappresenta il primo cardine di una garanzia morale anche in tema di libertà di stampa, perché significa elevazione della funzione giornalistica, selezione della classe giornalistica, impegno morale dei lavoratori del campo giornalistico. Ma «albo» che cosa significa? Forse impediamo a chicchessia di esprimere attivisticamente il proprio pensiero di cultura? Ma neanche per sogno. L’albo richiede che chi fa del giornalismo continuativo, professionale, tecnico, abbia a subire il suo collaudo attraverso l’esperienza professionale ed appartenga a una specifica categoria di professionisti, nei quali si presuppongono una certa preparazione di cultura, una certa onestà morale, una certa illibatezza della propria condotta professionale.

Ognuno può scrivere sui giornali. Vi sono le categorie dei pubblicisti. Solo per acquisire il titolo per dirigere un giornale occorrono diciotto mesi di praticantato. Chiunque, purché non pregiudicato, può fare il giornalista professionista. Quindi non so quale impedimento alla espressione libera di pensiero, all’attivismo universale delle proprie opinioni, possa essere l’esistenza di quell’albo professionale che invece è semplicemente una conquista di carattere culturale, di carattere civile, della classe giornalistica, la quale vuole assolutamente rivendicarsi. E mentre domando che nella legge questo riconoscimento dell’albo sia un fatto indiscutibile aggiungo che – e così rispondo all’onorevole Giannini – è esso una delle prime garanzie della professione giornalistica per quanto possa essere inapparente. Perché attualmente abbiamo un contratto collettivo che perpetua un errore e una condizione insopportabile di inferiorità del giornalista rispetto all’azienda.

Tutti discutono del giornale, di leggi sui giornali, di limiti ai giornali, mentre il povero giornalista non è, spesso, che l’ultima pedina di questo gioco nel quale dovrebbe invece essere la prima.

Taluni vogliono il controllo economico dell’azienda giornalistica. Come concetto, per quanto pericoloso e arduo, può essere anche accolto, in quanto fondato sul principio che la stampa è un’attività pubblica talmente impegnativa che la collettività ha anche il diritto di cautelarsi. Non è una attività individualistica qualsiasi. Anzi io, come cattolico, affermo che non vi è una libertà che vada oltre i limiti del bene comune. Quindi questa libertà deve essere piena, ma se si scontra a un certo punto con i limiti che sono segnati dall’interesse, dal bene pubblico, dalla coscienza anche della sicurezza nazionale, della pubblica moralità di costume, allora non è più libertà.

D’altra parte i vari controlli stabiliti nel disegno di legge in esame mi sembrano puramente ingenui. Quando io leggo che dovranno depositarsi i libri, che è istituito un registro in cui si dovrà dire quali sono le fonti pubblicitarie ecc., io mi domando: che cosa vieta domani a un’azienda di dichiarare di avere versato un milione a un giornale mentre ne ha versati cinque? Nessuno può controllare certe tariffe, certi contratti; e voi capite che si possono sempre trovare le scappatoie molto facili. Quindi, va bene, noi stabiliremo nella legge questa o quella clausola, ma in concreto non avremo quel controllo della stampa che molti si propongono di effettuare.

Parimenti ingenue, o per lo meno insostenibili, sono altre clausole, come per esempio quella secondo la quale il giornale deve dichiarare non solo le copie tirate giornalmente ma anche le copie vendute, ciò che tocca il segreto più delicato di un’azienda giornalistica. E questo deve essere controllabile dal pubblico! Ma voi sapete che sarebbe gravissimo danno economico per un giornale, perché soprattutto ai fini della pubblicità un giornale che tira diecimila copie ha tutto l’interesse di dichiarare che ne tira centomila. La tiratura è il peso morale di un quotidiano. È il suo valore economico di avviamento. Vi sono quotidiani che hanno avuto in passato una tiratura di duecentomila copie. La loro testata vale per questa tradizione, per questo prestigio. Un articolo su tali giornali ha una ripercussione profonda perché tutti dicono: è un giornale di primo ordine, è un giornale di grande portata.

Quello che è il valore di avviamento di questo giornale, e che supponiamo sia un valore cento, verrebbe, se si sapesse che negli ultimi due anni quel giornale ha tirato cinquantamila copie, screditato del cinquanta per cento. Quindi la tiratura è il segreto professionale più delicato. È come la formula di fabbricazione di un prodotto. Come volete che l’azienda giornalistica vada tutti i giorni a denunciare che ieri ha avuto una resa di cinquanta, oggi una resa di trenta? Tutte queste sono cose lesive dell’interesse dell’azienda.

SCHIAVETTI. Una cosa è la resa e una cosa è la tiratura.

MANZINI. Ma il disegno di legge prevede anche l’obbligo di dichiarare le copie vendute. Qual è l’azienda che ammetta di vendere solamente venti copie? Purtroppo oggi si vendono poche copie di giornali perché, più aumentano i giornali di numero e di prezzo, meno copie si vendono. Il segreto più geloso di un’azienda giornalistica, quello che l’amministrazione di un giornale non dice neppure ai propri operai (certe volte si aggiustano perfino i contatori della rotativa perché nessuno sappia quante copie si stampano), è proprio questo della tiratura. Se tutti dovessero dire al fisco quello che hanno di introito…

 

MOLINELLI. Almeno nella legge stabiliamo che si deve essere galantuomini.

MANZINI. Ma quando stabiliamo una disposizione che non può essere osservata, spingiamo il pubblico a violarla! E ciò è immorale.

SCHIAVETTI. All’estero, in Svizzera e in Francia, è osservata.

MANZINI. Ma perché, onorevole Schiavetti, colà le tirature sono altissime.

CAPORALI. La tiratura è controllata.

MANZINI. Come giornalista io vi dico che nessuna azienda giornalistica ha piacere che si conosca la tiratura. Il pubblico quasi sempre crede che sia maggiore del reale.

Questi controlli sono comprensibili nell’ansia del legislatore, ma non credo che possano essere efficaci. Credo invece in un’altra forma di efficace controllo, ed è l’albo. La professione giornalistica in Italia oggi non è ancora tutelata nelle forme e con l’intensità che sarebbero necessarie. Il direttore è quello che stampa il suo nome sul giornale: troppo spesso – dobbiamo dirlo – non è che il dipendente di un’azienda economica che tutti ì giorni lo può liquidare e porgli delle limitazioni.

Pongo un problema di ordine generale fondamentale: il problema è di conferire maggiore prestigio, maggiore autorità, maggiore autonomia al direttore del giornale; di far sì che possa essere e non solo apparire responsabile moralmente della sua opera. Si dice che vi sono giornali che in ventiquattro ore, specie nell’Italia settentrionale, sono passati da sinistra a destra. Che cosa significa ciò? È cambiato il pacchetto azionario. Questo è un fenomeno immorale, che ci umilia e che condanna, direi, la santa missione del giornalista, il quale non deve essere un mercantile servo; egli è l’apostolo di un’idea. Ma come ne controlleremo l’attività ai fini del pubblico interesse? Con il controllo? Neanche per sogno. L’unico mezzo è quello del riconoscimento dell’albo giornalistico, fondamento primo per un contratto collettivo (non come quello che vige oggi, che del direttore del giornale fa un impiegato qualsiasi dell’amministrazione, il quale non può nemmeno scegliersi i collaboratori), tale per cui al direttore sia conferita una figura giuridica ed economica che lo renda veramente il direttore, cioè l’arbitro della vita del suo giornale di fronte alla prevalenza dell’elemento economico; ponendo con ciò ad arbitro della situazione l’elemento idealistico, di pensiero, di coscienza, di libertà di coloro che esercitano la missione giornalistica.

Quindi siamo per un investimento maggiore di responsabilità del direttore e del corpo redazionale, sia come tutela di fronte al predominio economico dell’azienda, sia di fronte al pubblico. Perciò, sono profondamente contrario alla riapparizione di quello istituto assolutamente anacronistico e immorale che è il gerente responsabile.

Chi è il gerente responsabile? Un disgraziato che per guadagnare dieci o ventimila lire, va in galera per conto del direttore politico. Cioè, il direttore può scrivere e il gerente va in galera. Il direttore di fatto, come è avvenuto in un giornale di altri tempi, poteva scrivere che ogni volta che incontrava il gerente responsabile di un giornale sputava tre volte per terra. Questo significa esautorare la responsabilità personale del giornalista. Quindi affermo che, se vogliamo stabilire una garanzia di fronte alla Nazione perché la missione civile del giornalismo non venga mai meno, dovremo puntare sul protagonista di questa immensa fondamentale missione che nel mondo moderno si affianca a quella dell’opera del Governo, cioè il giornalista, il quale è educatore, formatore di coscienze, selezionatore del pensiero, delle direttive della collettività; è uomo su cui riposano responsabilità immensamente elevate.

E mentre oggi si valuta il professore universitario o il grande clinico o l’uomo che esercita professioni liberali nei settori più elevati, dobbiamo rivendicare la figura del giornalista, che sia profondamente degno del suo compito, attraverso, da un lato, l’esigenza rigorosa di formazione e di preparazione culturale e morale, e dall’altro attraverso garanzie giuridiche, perché le aziende giornalistiche siano veramente, per quello che è direttiva e vita spirituale, tutte ispirate dalla sua opera; ed infine conferire al giornalista una responsabilità per la quale dovrà pagare di persona, qualora la sua opera sia lesiva del bene pubblico e tradisca l’importanza veramente sociale e universale della sua missione.

Quindi propongo che nella legge sia rivendicato l’albo del giornalisti, che ritengo uno dei pilastri della vera libertà di stampa e che, mentre non è per nulla lesivo dell’ampio limite dell’esercizio del pensiero e della sincera espressione della propria opinione e della propria missione di coscienza, crea intorno al giornalismo quelle severe esigenze e garanzie di responsabilità che sono condizionali alla saggezza del giornalismo.

Aggiungo a questa richiesta qualche altra osservazione. Anche sulla diffamazione a mezzo della stampa vi sono nel disegno di legge alcune ingenuità. Un articolo dice che un giornale dovrebbe sempre stampare integralmente e gratuitamente le risposte, le rettifiche, le dichiarazioni delle persone nominate.

Ora, nella rapidità e nella sommarietà necessarie della nostra azione informativa, specialmente per quanto riguarda la cronaca, purtroppo molte volte il giornalista o il direttore del giornale non è in grado di controllare minutamente le sue informazioni. Un giornale è opera febbrile e vive un istante. È giusto chiedere alla coscienza del direttore di rettificare. Ma se dovessero essere pubblicate tutti i giorni le rettifiche più arbitrarie, il giornale sarebbe pieno di lettere del pubblico. Specialmente nella rissa politica e nella discussione polemica che imperversa oggi, i giornali dovrebbero tutti i giorni pubblicare documenti e rettifiche a fascio, invece di lasciare lo spazio per le informazioni.

Riconosco l’urgenza e la fondatezza di questa esigenza, perché vi sono giornali e giornalisti i quali non sentono il dovere della lealtà e la correttezza di riprodurre anche il pensiero dell’avversario. Questo per me è dovere elementare della libertà. Esso deve essere per lo meno delimitato in qualche modo, in maniera che non diventi un presupposto irrealizzabile nel concreto.

Altra osservazione, che concorda con quanto ha detto l’onorevole Bettiol, è che sia mantenuta l’accentuazione circa la stampa immorale, soprattutto per quanto riguarda i giovani, la sensibilità degli adolescenti e le forme morbose di questa stampa; credo che nessuno debba esitare. Sento ancora una specie di rispetto umano su questo punto; quando si tratta di moralità, di razionalità del costume, di limiti posti alla oscenità, si teme da troppi quasi un cedimento a concetti retrivi o ad una visione rigidamente professionale dei problemi di questa natura. Non è vero. Ho letto la legislazione straniera. Persino nell’Unione Sovietica la stampa oscena e immorale è perseguita dalla giustizia. Anche in regimi in cui i principî laici, estremisti, sono così radicali da essere agli antipodi della concezione nostrana si sente questa esigenza elementare di natura razionale, si avverte che, se non si difende il sacro patrimonio della coscienza umana e della sanità della coscienza e del costume di fronte alla veramente oscena speculazione dei mercanti della carta stampata, si viene a mancare a un dovere non soltanto etico ma anche politico e democratico.

Noi non possiamo tacere: dobbiamo riconoscere che dalla liberazione in poi abbiamo assistito a una eruzione sconcertante e bassa di questa turpe speculazione delle editorie mercantili le quali, appena avvertita la sensazione di poter agire, si sono scatenate nelle forme più turpi e più offensive della coscienza umana. Abbiamo visto pullulare, nelle nostre editorie, le pubblicazioni criminali, la cronaca nera con l’esaltazione delle assise, dei processi, dei delitti e delle camere mortuarie, con il pullulare delle stampe pornografiche le quali riproducono l’immagine e la raffinatezza dell’immagine quasi per una eccitazione morbosa e continua del tessuto nervoso dell’individuo in una società già tanto estremamente spinta alla sollecitazione dei sensi e alla decadenza del costume. Diciamo che veramente già c’è un reato capitale di corruzione e di insidia non soltanto dal punto di vista religioso ma anche da quello civico, consistente nel tradimento degli interessi collettivi e della prima esigenza profonda della democrazia, che può vivere soltanto in una società fondata sulla purezza della coscienza e del costume, che risponda alle leggi razionali della natura e del cuore dell’uomo. (Vivi applausi).

Alle volte voi avete paura di mettere dei limiti su questo punto, mentre sentite tutta l’estrema gravità di qualunque limite posto alla libertà del pensiero politico, sociale e culturale. Io affermo che la coscienza dell’uomo, del cittadino e del democratico non deve avere nessuna esitazione, neppure quella di peccare in eccesso, quando si tratta di limiti posti all’azione disgregatrice del costume e della coscienza più impressionabile delle giovani generazioni o comunque della vita privata e familiare, perché qui si va contro l’interesse oggettivo della coscienza dell’individuo e della intima struttura organica della società.

Concludo dicendo: mentre non credo si possa accettare la semplice proposta di rinvio di questo progetto di legge così importante, perché la stampa è abbandonata a norme momentanee e non è ancora posta nel quadro e nella tutela di quel giure democratico che deve essere il pilastro della nostra Costituzione, credo che attraverso la revisione e il perfezionamento di questa legge si possa avviare il problema a soluzione.

Onorevoli colleghi, mentre discutiamo della libertà di stampa e della responsabilità della stampa, come di tutti i problemi che riguardano la libertà, cioè la base stessa della democrazia, non dimentichiamo che la legge è l’elemento condizionale e il pilastro del nostro edificio; ma nemmeno che l’elemento risolutivo è l’elemento soggettivo, l’elemento morale della coscienza, ed è su questo elemento, sull’elemento della coscienza del cittadino e dell’uomo, dello scrittore e del giornalista, che dobbiamo puntare, perché l’opera libera della stampa sia opera non di disgregazione o di tradimento degli interessi pubblici ma di edificazione nel clima della libertà e del progresso (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate alcune interrogazioni alle quali si è voluto dare il carattere della urgenza. Ne do lettura:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se si ritiene democratico ed opportuno che, solo dopo che è venuta a formarsi l’impossibilità per i deputati di chiedere spiegazioni e fornire al Governo, attraverso interrogazioni di urgenza e pubbliche discussioni, dati, elementi e critiche circa provvedimenti in corso, la Presidenza del Consiglio ed il Ministro del tesoro abbiano, dopo aver mantenuta, nonostante premure ed insistenze, la pratica sospesa per mesi ed, anzi, anni, improvvisamente deciso di provvedere alla nomina dei nuovi amministratori e dirigenti del Banco di Napoli.

«Per conoscere, inoltre, se il Governo ritiene democratico ed opportuno che la nomina del Presidente di una Banca di così vasto interesse pubblico e di così vitale importanza per le collettività meridionali, venga eseguita nella persona dell’amministratore delegato di una società locale che ha interessi esclusivamente privati ed industriali e che, proprio nel momento, ha rapporti e riporti per ingentissime cifre con la Banca stessa e se non si ritiene aggravata la posizione dal fatto che il direttore generale di questa società è contemporaneamente e notoriamente dirigente politico della organizzazione napoletana di un partito governativo.

«Per conoscere, infine, se il Governo ritiene democratico ed opportuno che, mentre del Banco di Napoli fa parte tutta una vastissima ed organica schiera di impiegati, funzionari e dirigenti superiori, di cui molti notissimi e stimati per personale valore e competenza, nonché per l’attaccamento dimostrato per decenni ai veri e vitali interessi dell’istituto, venga a complemento della nomina del suddetto presidente, nominato come direttore generale del Banco, non il più autorevole, esperto e meritevole dei direttori in carica, ma un funzionario bancario di grado inferiore, proveniente da altra Banca, dove è tuttora in servizio, il che conferma il sospetto che la scelta dei nomi non si basi sulla tutela degli interessi del Banco di Napoli che sono quelli del popolo e del risparmiatore napoletano e meridionale, ma, bensì, su convenienza ed interessi del tutto particolari e diversi.

«Rodinò Mario, Covelli, Crispo».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se vere le notizie ufficiose riportate da vari giornali, secondo le quali la nominanda Amministrazione del Banco di Napoli potrebbe apparire come un tentativo palese di asservimento del Banco stesso ad altro Istituto bancario, in netto contrasto con gli interessi del Mezzogiorno.

«E per conoscere, nel caso le notizie fossero vere, quali provvedimenti rapidi vuole emettere per evitare che tale tentativo appaia realizzato.

«Sansone».

Queste interrogazioni saranno inviate al Governo per la risposta scritta.

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. Ho presentato la mia interrogazione con il carattere dell’urgenza perché, a parte la gravità dell’argomento in essa trattato che non voglio ora illustrare, ho ritenuto di avere il diritto di presentarla e di ottenere una risposta dal Presidente del Consiglio.

Ho ritenuto e ritengo di avere, come ogni altro deputato, questo diritto, perché, e con me, credo, altri colleghi, interpreto la XVII disposizione finale e transitoria della Costituzione nel senso che per il periodo che va fino al 31 gennaio 1948 noi possiamo, insieme con gli altri lavori elencati nella norma stessa, svolgere le interrogazioni secondo il Regolamento, mentre se la Costituente sarà convocata dopo il 31 gennaio, in virtù del secondo comma, noi, nel periodo dal 31 gennaio fino al giorno delle elezioni, potremo presentare interrogazioni e ricevere la risposta scritta.

Pertanto, io mi permetto di fare osservare alla Presidenza che non basta trasmettere solo le interrogazioni al Governo per la risposta scritta, come si potrebbe interpretare con una lettura non approfondita della citata disposizione; penso che fino al 31 gennaio noi possiamo, anzi dobbiamo avere dal Governo risposta orale, regolare, e con urgenza, nel caso specifico, data la gravità della questione di cui alla mia interrogazione odierna. Onorevole Presidente, a tal uopo voglio osservare che la questione investe gli interessi di tutto il Mezzogiorno. La eligenda amministrazione del Banco di Napoli rischia di sommergere il nostro Istituto, e questo è un fatto che ci induce a chiedere provvedimenti adeguati.

RODINÒ MARIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODINÒ MARIO. Mi associo alle richieste che ha fatto l’onorevole Sansone, affinché la risposta sia data verbalmente.

In modo particolare, chiedo all’unico rappresentante del Governo ora presente che siccome la decisione sul Banco di Napoli interessa non solo larghe masse di cittadini meridionali ma anche moltissimi deputati, essa venga posposta al ricevimento da parte del Presidente del Consiglio di una commissione di deputati che, come già ho precisato al Sottosegretario di Stato onorevole Andreotti, sarà composta di deputati di tutti i settori, anche democristiani, i quali desiderano far presente al Presidente del Consiglio, prima che il provvedimento sul Banco di Napoli divenga definitivo, le loro argomentazioni e le loro ragioni.

A me questa richiesta sembra eminentemente democratica e parlamentare. Siccome c’è tempo fino a domani per poter essere ricevuti, vorrei dalla Presidenza del Consiglio assicurazioni in proposito.

LABRIOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Labriola, lei non ha firmato questa interrogazione e non ne ha presentata alcun’altra.

LABRIOLA. Mi pare che l’onorevole Rodinò abbia fatto una proposta che non rientra nella interrogazione in questione; su di essa vorrei esprimere il mio pensiero.

PRESIDENTE. Lei non ha il motivo per poter parlare, onorevole Labriola. L’onorevole Rodinò ha parlato perché ha presentato un’interrogazione, e questo gli ha dato, quanto meno, un buon pretesto per parlare. Se lo crei anche lei un pretesto, onorevole Labriola.

LABRIOLA. Non possiamo mettere il Banco di Napoli in mano alla Banca Commerciale!

PRESIDENTE. Posso esserne convinto, ma ciò è già largamente esposto nella interrogazione, e non c’è bisogno che lei aggiunga altro.

Per quanto riguarda le cose dette dall’onorevole Sansone, evidentemente non è questo il momento e forse nemmeno la sede opportuna per risolvere il difficile problema di interpretazione e di esegesi che egli ci ha presentato. Per la sua odierna interrogazione atteniamoci intanto alla lettera della XVII norma finale e transitoria della Costituzione.

L’interrogazione sarà dunque trasmessa al Governo con l’invito che esso voglia osservare le disposizioni del Regolamento, che stabiliscono il termine massimo di sei giorni per dare risposta scritta ad una interrogazione; speriamo che nel frattempo i passi che l’onorevole Rodinò ha sollecitato possano essere compiuti. La questione posta dall’onorevole Sansone dovrà essere vista successivamente, se mai, e non in modo così improvvisato.

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. A proposito della questione che mi sono permesso di sollevare nell’interesse dell’Assemblea, prego la Presidenza di voler fissare il giorno per la discussione, con l’intervento del Governo. Il problema non può restare senza una pronta soluzione! Chiedo che l’Assemblea si pronunzi sull’interpretazione da me data alla norma transitoria e che si prenda una decisione. Ripeto ancora: non è possibile che il problema da me posto resti senza soluzione, dato che fino al 31 gennaio abbiamo l’obbligo di sedere qui e di svolgere la nostra attività parlamentare.

PRESIDENTE. Tenga presente che si tratta, se mai, di interpretare un articolo della Costituzione e non una norma di legge ordinaria. Se mi indicasse la procedura che possiamo seguire, glie ne sarei grato.

SANSONE. Non si può, certamente, non guardare alla realtà. Si tratta di una norma transitoria. Ciò a parte, noi sostituiamo in questo momento il Parlamento normale; e d’altra parte abbiamo sempre svolto una duplice funzione: costituzionale e parlamentare.

Ora se dal 31 dicembre fino al 31 gennaio l’Assemblea Costituente continua il suo lavoro in funzione della sua precedente investitura ritengo che possa continuare anche nell’attività legislativa. Dopo il 31 gennaio potremo forse esser d’accordo che non sarà possibile discutere interrogazioni.

Propongo alla Presidenza che l’Assemblea si pronunzi sull’interpretazione da darsi alla XVII norma transitoria della Costituzione.

PRESIDENTE. Per investire l’Assemblea di una questione occorre che colui il quale prende l’iniziativa trovi le forme opportune. La Presidenza non è un automatico dove s’imposti una richiesta e ne esca la soluzione. Ella, onorevole Sansone, pone un problema molto serio: trovi la maniera procedurale per farlo discutere dall’Assemblea.

SANSONE. Mi riservo di presentare la proposta in termini precisi nella seduta di domani.

RODINÒ MARIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODINÒ MARIO. Ho rivolto una domanda precisa all’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio; credo che egli avrà la cortesia di rispondermi.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Credo che non vi sia dubbio che l’interpretazione da darsi alla XVII disposizione transitoria della Costituzione sia semplicemente quella letterale: cioè che alle interrogazioni il Governo deve dare solo risposta scritta.

L’onorevole Rodinò ha fatto a me, non come membro del Governo, ma come persona, un invito di carattere extra-parlamentare, chiedendomi se posso fare in modo che alcuni deputati siano ricevuti dal Presidente del Consiglio. La risposta potrò dargliela a titolo personale, dopo che il Presidente avrà tolto la seduta.

PRESIDENTE. Sta bene.

Si dia lettura delle altre interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quali provvedimenti intende adottare l’Ufficio centrale della cinematografia circa l’agibilità del cinema-teatro di Ariano Irpino (Avellino), considerato che l’Amministrazione comunale di Ariano vi apportava abusive innovazioni pericolose per la sicurezza degli spettatori chiudendo una delle porte principali di accesso per lo smistamento del pubblico e l’ingresso alla biglietteria e tamponando altra porta col trasloco della biglietteria stessa, mentre eliminava una delle porte principali di sicurezza al fine di destinarne il vano di accesso a sala da giuoco, il tutto senza alcuna autorizzazione ed anzi in violazione della destinazione stessa del locale di cui l’Amministrazione suddetta intenderebbe adibire una parte rilevante a locale di pubblico commercio vietato dalla legge.

«La Commissione permanente di vigilanza per la provincia di Avellino, prevista dall’articolo 156 del regolamento di pubblica sicurezza, ha rimesso, dopo l’accesso sul posto, ogni decisione all’Ufficio centrale della cinematografia, cui resta oggi deputata la sicurezza dei cittadini, tenendo presente che Ariano Irpino, con una popolazione di 30.000 abitanti, ha un solo cinema, sempre affollatissimo, ed in cui recentemente per l’incendio di una pellicola, quando tutte le porte funzionavano, ebbero a verificarsi ferimenti e contusioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vinciguerra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali misure intende prendere per impedire lo scandalo della pubblicazione su giornali quotidiani di «memorie» di Rodolfo Graziani, detenuto in attesa di giudizio per reato di tradimento, e fino ad oggi non giudicato per pretese cattive condizioni di salute. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Togliatti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno: 1o) sui luttuosi incidenti di Canicattì, Campobello di Licata e Favara provocati dalla polizia, che continua a sparare sui lavoratori, malgrado ogni assicurazione data in senso contrario alla Costituente; 2°) sulle ragioni che lo hanno indotto a fare revocare il commissario prefettizio dottor Domicoli, che già aveva assunto l’amministrazione straordinaria del comune di Ravanusa, a seguito delle proteste di quella popolazione stanca della inattività e della faziosità della amministrazione ordinaria, e a seguito del grave turbamento che ne era derivato nell’ordine pubblico; nonché sui modi con i quali intenda mantenere in carica a mezzo della forza pubblica, il cui intervento già è stato effettuato, il sindaco democristiano, e sulle ragioni con le quali intenda giustificare il diverso criterio adottato in questo caso rispetto ad altri, ricordando come a Cariati, San Lucido e in altri Comuni e da ultimo più clamorosamente a Pescara si sia proceduto da parte del Ministro allo scioglimento del Consiglio comunale elettivo per pretestati e insussistenti motivi di ordine pubblico, che in quei Comuni non risulta turbato, laddove consta che a Ravanusa si reputa necessario distaccare apposite forze di polizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fiorentino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere se non creda che debbasi ormai provvedere alla riattivazione del servizio telegrafico diretto fra Ausonia e Frosinone ed Ausonia e Formia, servizio di notevole importanza al fine del ritorno alla normalità della vita di quelle popolazioni tanto duramente colpite dalla guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere nei suoi esatti termini la questione del pagamento dei crediti dei prigionieri italiani già cooperatori, in tempo di guerra, dell’esercito americano.

«Sembra infatti che alcuni prigionieri siano stati pagati in un primo momento dai distretti militari sulla base di 18 lire per ogni dollaro; che in un secondo momento sono stati invitati detti militari a restituire il danaro per avere indietro la lettera di credito per poterla presentare agli uffici dell’esercito americano ed essere pagati sulla base del cambio corrente al momento del pagamento.

«Sembra però che benché gli interessati abbiano presentato la lettera di credito ad uno dei tre uffici di Udine, Livorno e Roma, non abbiano ancora riscosso nulla. Questo fatto ha prodotto dell’agitazione in quanto si sa che i reparti dell’esercito americano stanno lasciando l’Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non ritenga opportuno di riconoscere ai prigionieri di guerra, cosiddetti «cooperatori» per avere lavorato al seguito delle forze armate alleate, la qualifica di combattenti della guerra di liberazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga opportuno:

  1. a) estendere in materia penale l’aumento apportato alla tariffa giudiziaria in materia civile col decreto legislativo 1° novembre 1946, n. 468;
  2. b) abrogare l’articolo 5 del decreto legislativo citato relativo all’efficacia delle disposizioni in esso contenute. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, sulle ragioni che ritardano il pagamento dei certificati di credito agli ex prigionieri italiani dell’esercito americano; pagamento già effettuato dagli uffici americani di Livorno, Roma e Caserta, e sospeso dal settembre scorso, con grave disagio degli ex prigionieri stessi, che hanno realizzato quei proventi col loro lavoro in prigionia e che, disoccupati o in gravi condizioni economiche i più, riceverebbero un sollievo dal pagamento fatto subito in questa stagione più cruda. Sembra che tra le autorità italiane e americane siano in corso trattative per far eseguire i pagamenti dai distretti militari o dalle tesorerie provinciali d’Italia; si prega di condurre a termine il più rapidamente possibile tali trattative. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Giordani».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e dell’interno, per conoscere se intendono occuparsi delle gravissime condizioni in cui versano i profughi e i rimpatriati dalla Grecia dopo aver perso tutti i beni; se si pensa risarcirli al più presto dei loro beni come è imposto dallo stesso trattato di pace, articolo 79, paragrafo 3; se sarà accolta la loro domanda di un aiuto di lire diecimila a testa in occasione delle prossime feste natalizie e di fine d’anno; se sono a conoscenza che questi profughi, a differenza di quelli della Venezia Giulia e dell’Africa, percepiscono un soccorso di sole cinque lire al giorno e un irrisorio pasto giornaliero, fatti che li inducono alle più inumane privazioni e li espongono a tutte le malattie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Matteo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere, se prima di porre in congedo i numerosi ufficiali dei carabinieri che, non potendo essere promossi durante la guerra, hanno raggiunto il 47° anno di età col grado di capitano, non creda opportuno farli presentare alle prove di esame, per evitare che benemeriti ufficiali, devoti alla Repubblica, siano ingiustamente colpiti da un immeritato provvedimento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere le ragioni per le quali, ad un anno di distanza da una precedente interrogazione, quasi tutto il materiale di medicazione e medicinale Endimea, in deposito presso 13 filiali, e del valore attuale di diecine di miliardi, è ancora indistribuito, invenduto, in deperimento e soggetto a furti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«La Gravinese Nicola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere le ragioni per le quali l’Endimea, da quando ha cominciato a funzionare, cioè dal 1945, ha incamerato nei depositi e distribuito quintali di stupefacenti senza ottemperare alle leggi di carico e di scarico regolanti l’impiego di detti stupefacenti, il che non ha mancato di determinare, all’ombra dell’Endimea, inconvenienti di varia natura, di cui si è dovuta poi occupare la polizia in varie regioni d’Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«La Gravinese Nicola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere le ragioni per le quali, contrariamente a quanto il Governo ebbe a dichiarare a seguito della precedente interrogazione, per la quale esso prendeva impegno di venire incontro e colmare il fabbisogno ospedaliero, tale fabbisogno non solo non è stato colmato, ma per alcuni ospedali, e particolarmente per quelli di Puglia, cioè della regione dell’interrogante, è stato preteso dagli Ospedali il pagamento anticipato e straordinariamente caro per le forniture Endimea, aggravato per di più dal 15 per cento di spese di distribuzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«La Gravinese Nicola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere se e quando potranno essere soddisfatti i crediti dei prigionieri cooperatori degli Alleati.

«Vi sono dei reduci tornati dalla prigionia da più di due anni che non sono stati ancora soddisfatti delle retribuzioni loro spettanti, quali compensi per il lavoro prestato durante la permanenza negli Stati Uniti d’America. Prigionieri degli americani, fu loro offerto da questi di cooperare per la comune lotta contro la Germania. Già il maresciallo Badoglio aveva firmato un accordo con gli americani ed inglesi, in base al quale essi potevano servirsi dei prigionieri, qualora questi fossero consenzienti, come cooperatori, ed inviava ai prigionieri stessi un messaggio col quale li spronava a portare il loro aiuto a quella lotta, che già in Italia si era intrapresa con le armi contro il nuovo nemico.

«La maggior parte dei prigionieri accettò la cooperazione, firmando una dichiarazione impegnativa, che fissava la retribuzione giornaliera in 80 cents di dollaro, compenso irrisorio in considerazione del lavoro da essi svolto, a volte umiliante, spesso gravoso, sempre disagiato e pericoloso.

«Al momento del rimpatrio, fu rilasciata ai prigionieri una semplice lettera di credito con l’ammontare dei loro compensi per il lavoro prestato oltre la paga mensile di militari. I distretti di appartenenza ritirarono tali documenti, dando un esiguo acconto agli interessati, in attesa della definitiva chiarificazione sulla modalità da seguire per il pagamento totale.

«Dopo ben due anni si informavano i reduci, con lettera del distretto ed articoli apparsi sui giornali, che essi potevano ritirare la lettera di credito, dietro versamento dell’acconto precedentemente ricevuto e consegnare quindi tale documento ad un apposito ufficio americano costituitosi a Roma.

«Sono ormai trascorsi sei mesi e nulla si è più saputo al riguardo.

«Sembra ora che sia il Governo italiano tenuto a liquidare il pagamento degli ex prigionieri cooperatori, in base all’articolo 2, punto 11, dell’accordo firmato a Washington il 15 agosto dall’onorevole Ivan Matteo Lombardo e dal facente funzione di Segretario di Stato Robert A. Lovet. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e dell’interno, per conoscere il motivo per il quale non vengono aperti i concorsi per primario, aiuto ed assistente ospedaliero, sospesi in Italia dal 1938, conseguendo da questa mancata normalizzazione grave danno per i medici in carriera universitaria ed ospedaliera in attesa da anni di sistemazione, con vantaggio unicamente di medici che occupano i posti come incaricati, loro affidati a volte non soltanto per la loro provata capacità tecnica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lucifero».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se nel Ministero da lui diretto esistono ancora o dove e come funzionano uffici per liquidazione di pensioni e indennità di buonuscita nei casi di collocamento a riposo o di morte in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i motivi che lo hanno indotto a non rispondere alla interpellanza con carattere di urgenza, presentata nella seduta del 17 settembre 1947 con numerosi altri deputati, con la quale si chiedeva la rielaborazione del bando di concorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 158 del 14 luglio 1947 e l’accoglimento delle richieste degli insegnanti elementari e medi reduci, combattenti, ecc.; e per sapere se intenda proporre al Consiglio dei Ministri l’accoglimento delle proposte avanzate dalla Commissione parlamentare che, almeno in parte, accolgono le aspirazioni degli insegnanti reduci ed ex combattenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pignatari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se è a sua conoscenza – e come lo giustifica – il fatto che l’intendente di finanza di Catania dà acconti che variano da lire 450 a lire 1000 o lire 2000, per pratiche di danni di guerra, le spese delle quali si aggirano intorno a 3000 lire; se è a conoscenza di episodi disgustosi di danneggiati che hanno lacerato il buono in presenza dello stesso intendente, in conseguenza della precarietà dell’acconto, che non copre le spese sostenute per i documenti e se e quando vorrà provvedere alla nomina della Commissione che dovrà liquidare detti danni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga di riesaminare il provvedimento di eccezione col quale la Direzione generale dei monopoli di Stato ha licenziato, in tronco e senza indennità, gli impiegati pensionati riassunti in servizio durante e dopo il periodo bellico, in qualità di avventizi; e se non creda equo e giusto di riammetterli in servizio (in conformità a tutte le Amministrazioni, compresa quella di finanza) anche in considerazione delle recenti direttive, che consentono il prolungamento del limite di età fino a 70 anni per il collocamento a riposo degli impiegati in servizio attivo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e delle poste e telecomunicazioni, per conoscere se non credano opportuno, ed anzi necessario, disporre che tutti i pagamenti degli acconti sul risarcimento per beni mobili danneggiati dalla guerra vengano effettuati dagli uffici postali dei Comuni nei quali gli interessati risiedono.

«Il sistema oggi vigente importa spese di viaggio sino al capoluogo di provincia e di soggiorno, con falcidia non lieve del già tanto modesto indennizzo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non consideri conforme a giustizia il prendere in considerazione l’aspirazione degli aiutanti di cancelleria e segreteria ad essere giuridicamente inquadrati nel gruppo B, di cui disimpegnano le funzioni con continuità e competenza.

«Tale provvedimento, fondato su un meticoloso esame dei precedenti di servizio, decimerebbe la dolorosa sperequazione esistente fra aiutanti e cancellieri, adibiti al medesimo lavoro, ma vincolati a diversa carriera economica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Preziosi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quale sia la attuale posizione giudiziaria dei giovani che non risposero alla chiamata alle armi nel 1944, momento in cui la disorganizzazione statale e il malessere spirituale erano largamente diffusi, e per sapere altresì se il Governo non ravvisi opportuno di seguire anche in questo settore quella politica di pacificazione, che segue in altri settori, ove esistono ben maggiori responsabilità, al fine anche di non precludere ad una quantità rilevante di giovani l’accesso ai concorsi banditi per l’accesso agli uffici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Angelucci».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze, dell’industria e commercio e della marina mercantile, per conoscere quali provvedimenti intendono adottare per venire incontro alla crisi peschereccia dovuta in gran parte all’aumentato costo dei carburanti, oltre che all’aumento dei prezzi dei filati e dei cavi di acciaio ed attrezzature pescherecce in genere, a cui non può corrispondere un proporzionale aumento del prezzo del prodotto, trattandosi di industria alimentare. L’aumento del costo dei carburanti danneggia oltre che l’azienda anche i lavoratori ad essa addetti, i quali quasi ovunque sono retribuiti in compartecipazione. (Linterrogante chiede la risposta scritta).

«Borsellino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare onde evitare la preannunciata cessazione di attività della ferrovia a scartamento ridotto Ragusa-Siracusa-Vizzini, gestita da una Società privata.

«Si ricorda che tale linea allaccia paesi dell’interno della zona sud-orientale della Sicilia, che altrimenti resterebbero uniti solo da linee automobilistiche, e che detta linea è molto utile oltre che per il trasporto di persone anche per scambi di merci; e che se un inconveniente presenta è proprio nella scarsa intensità del traffico, nella lentezza di esso, e nell’insufficiente attrezzatura del materiale rotabile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se il Governo non ravvisi opportuno ed urgente rimediare con provvedimento legislativo all’iniqua condizione di quegli odontotecnici giuliani e tridentini che, avendo iniziato sotto l’impero delle leggi austriache il periodo di pratica odontotecnica di nove anni prescritto dalle ordinanze 20 marzo 1892 (Boll. n. 55) e 14 febbraio 1904 (Boll. n. 15) dell’ex-Impero austro-ungarico, non lo avessero ancora compiuto alla data del 3 novembre 1922 fissata dal regio decreto 25 settembre 1921, n. 1388, o comunque non avessero prodotto in tempo utile la domanda per il conseguimento della concessione di odontotecnico e per l’autorizzazione all’esercizio dell’odontoiatria, riparando così a una patente ingiustizia legislativa contrastante col principio fondamentale di ogni legislazione del rispetto del diritto quesito e col riguardo dovuto ad odontotecnici provetti aventi capacità professionale adeguata in un campo in cui esercitano la loro attività una quantità di odontoiatri non laureati in medicina e chirurgia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Tessitori, Piemonte».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se siano vere, e fino a che punto, le voci insistenti che circolano in merito alla nomina del direttore generale e del presidente del Banco di Napoli: voci le quali indicano rispettivamente come designati alle cariche predette un modesto dirigente di altro Istituto di credito e il capo di una impresa la quale, oltre ad avere tuttora in corso cospicui legami finanziari col Banco stesso – il che già escluderebbe evidentemente la possibilità per il proprio amministratore di andare a ricoprire la indicata carica – è anche diretta emanazione di gruppi finanziari dell’Italia settentrionale, in netto contrasto con gli interessi del Mezzogiorno d’Italia.

«Nel caso che le predette voci rispondano ad effettive determinazioni, non ancora per fortuna attuate, gli interroganti – pensosi come sono dei legittimi e fin troppo negletti interessi del Mezzogiorno d’Italia, che quasi tutti, direttamente o indirettamente, si ricollegano alle vie di gestione che seguirà la nuova amministrazione del Banco di Napoli – domandano che sia con urgenza esaminata e risolta la questione, chiamando all’amministrazione del Banco stesso uomini non legati ad altri interessi e che siano del Mezzogiorno, e degni e consapevoli. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Notarianni, Firrao, Fresa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga equo, urgente ed opportuno un provvedimento legislativo, che consenta agli impiegati degli uffici delle ferrovie dello Stato di permanere in servizio fino al raggiungimento del 65° anno di età, in conformità delle disposizioni analoghe vigenti per tutti gli altri impiegati dello Stato.

«Trattasi di una categoria benemerita di funzionari che, per il diverso e non giustificato trattamento, si vedrebbe costretta, secondo le disposizioni in vigore, a lasciare il servizio attivo al compimento del 62° anno di età – ed in un momento particolarmente difficile per le ben note condizioni economiche che rendono, all’atto del collocamento a riposo, assai disagevole l’esistenza – e quando il funzionario, ancora in perfetta efficienza fisica e psichica, può continuare a rendere all’Amministrazione segnalati servizi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se ed in base a quale articolo di legge, sia proibita la esposizione della bandiera tricolore con lo scudo sabaudo, in comizi indetti da organizzazioni e partiti a tendenza monarchica e patriottica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere come intende garantire i pescatori di Palermo, i quali vengono fermati con i pescherecci nella costa settentrionale dell’Africa (Tunisia, Algeria), pur essendo oltre il mare territoriale.

«In conseguenza di tali fermi i pescatori sono costretti a sospendere il lavoro, con grave danno alla alimentazione delle città siciliane e rilevante aumento di disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se intenda migliorare la misura dell’indennità di licenziamento al personale borghese giornaliero dei depositi cavalli stalloni della Repubblica.

«Come risulta dalla lettera del Ministro stesso, n. 11740/33/II del 9 aprile 1936, indirizzata ai direttori dei depositi cavalli stalloni, ai palafrenieri borghesi in questione è dovuta, in caso di licenziamento, una indennità commisurata ad una giornata di paga (escluse le relative indennità) per il primo anno di servizio, a due giornate di paga per ciascuno degli anni di servizio prestati dal secondo al quarto, a tre giornate di paga per ciascuno degli anni di servizio prestati dal quinto al dodicesimo, a quattro giornate di paga per ciascuno degli anni di servizio prestati successivamente al dodicesimo.

«Pertanto l’interrogante chiede di conoscere se si intende applicare, nei riguardi dei palafrenieri giornalieri recentemente licenziati dai depositi stalloni, il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 4 aprile 1947, n. 207, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 90 del 18 aprile 1947. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se – data la attuale eccezionale situazione economica – non ritenga opportuno promuovere un provvedimento legislativo, che sospenda provvisoriamente il collocamento a riposo dei dipendenti dagli Istituti di diritto pubblico e dagli Enti comunque di pubblico interesse, i cui regolamenti prevedono il passaggio allo stato di quiescenza dei dipendenti stessi alla età di anni 55 per le donne e di 60 per gli uomini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere:

1°) se, tenuto presente che il Fondo pensioni delle ferrovie trovasi in grado di provvedere, senza alcun aggravio per il bilancio dello Stato, al maggior onere – non ritenga opportuna ed equa l’adozione di un provvedimento di revisione delle pensioni al personale cessato dal servizio in data precedente al 1° giugno 1947. Detti pensionati che percepiscono assegni irrisori, verranno a trovarsi, nei confronti di coloro che sono cessati o cesseranno dal servizio dopo il 1° giugno 1947, in una situazione di assoluta ed indiscriminata inferiorità, in quanto ad essi viene corrisposto un trattamento pari al 20 per cento dello stipendio goduto dai pari grado in servizio, mentre che per coloro che sono andati o andranno in pensione dal 1° giugno 1947 la liquidazione è in base ai nove decimi degli assegni percepiti, comprensivi anche del supplemento del servizio attivo incorporato nello stipendio;

2°) se non ritenga di ritoccare sensibilmente in favore dei suddetti pensionati la misura dell’indennità di carovita che non oltrepassa le lire 3500;

3°) se, infine, non ravvisi l’opportunità di corrispondere il premio della Repubblica e la tredicesima mensilità anche a questa benemerita categoria di cittadini che hanno servito lo Stato e che sono forse gli unici ad essere stati esclusi dai predetti benefici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Martino».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Governo, per conoscere le ragioni che lo hanno spinto ad assegnare alla provincia di Caserta mezzi inadeguati alla ricostruzione delle opere distrutte dalla guerra e per quelle da farsi a favore della disoccupazione.

«Di fronte alla cifra irrisoria, in rapporto ai bisogni e alla sperequazione evidente con altre Provincie (nelle quali è notoriamente diffuso un maggiore benessere), si presenta ora l’occasione per riparare alla insufficiente assegnazione, mercé il prelevamento di almeno un miliardo dalla sottoscrizione, proprio con la suddetta cifra, così nobilmente iniziata dal Governo medesimo a favore dei disoccupati. L’esemplare calma delle popolazioni del Casertano non deve costituire un motivo di trascuratezza, dato che essa è espressione consapevole della difficoltà del momento e ripudio del metodo della violenza, ma non certo supina rinunzia a quei benefici che il Governo, molte volte, elargisce con preferenza alle popolazioni che si mostrano turbolente per abitudine ricattatoria e, non sempre, per necessità di guadagno e di lavoro. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Caso, De Michele».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere se l’articolo 8 del decreto legislativo 5 aprile 1945, n. 157, relativo alla proroga dei contratti agrari, vada riferito anche agli Enti ecclesiastici e ai contratti di affitto dei beni prebendali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere a qual punto si trovino le trattative del nostro Governo con quello degli Stati Uniti del Brasile, dirette allo scopo di ottenere il dissequestro e la riconsegna dei beni esistenti nel territorio di quella Repubblica di spettanza dei cittadini italiani, a somiglianza di ciò che hanno fatto altre Potenze partecipanti alla guerra; al qual riguardo si fa presente l’opportunità di giungere ad una sollecita favorevole conclusione, in vista pur del beneficio che ne risulterebbe alla nostra bilancia dei pagamenti, nonché del ristabilimento di quei rapporti di reciproca fiducia e di cordiale amicizia che per il passato sono esistiti fra le due Nazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno ripristinare una vecchia disposizione che consentiva agli appartenenti all’Arma dei carabinieri di contrarre matrimonio all’età di 28 anni, revocando la nuova che eleva a 32 anni.

«Ciò per evitare che buoni elementi preferiscano arruolarsi nel Corpo di pubblica sicurezza o delle guardie di finanza dove per l’appunto detto limite è di anni 28. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per chiedere se non ritenga necessario un immediato intervento del Governo a favore dei cinque giovani cattolici italiani che – a rischio della vita – fuggiti in condizioni drammatiche dall’isola di Lussino, per raggiungere la costa italiana e ricongiungersi ai parenti esuli superstiti, sono stati arrestati e relegati nella colonia criminale di Ustica.

«A questi giovani – testimoni, nella terra natale, della decimazione e della deportazione di fratelli inermi e della distruzione di focolari sacri e di beni – deve rivolgersi tutta la materna comprensione della Patria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non ravvisi l’opportunità e la necessità di revocare, o quanto meno modificare le disposizioni attualmente vigenti, regolatrici delle concessioni dei servizi di linea, rese più gravose dalla interpretazione restrittiva ad esse data dagli organi centrali e periferici: e ciò allo scopo di porre alfine un termine ad un sistema che il più delle volte si traduce in un protezionismo incompatibile con le esigenze di libertà, lesivo della volontà democratica delle popolazioni interessate, suscettibile, a volta, di deformazioni ed àabitri, e contrario al naturale sviluppo dei traffici e delle comunicazioni, quale è determinabile dagli effettivi bisogni delle popolazioni, specie nelle regioni meridionali, ove l’attuale insufficienza della rete ferroviaria postula una maggiore intensità ed estensione dei servizi di linea, che solo può determinare un più ampio respiro concesso alla iniziativa privata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perlingieri».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste, delle finanze e del bilancio, per conoscere se non ravvisino l’opportunità di adottare provvedimenti atti a impedire che il recente precipitoso ribasso nei prezzi dell’olio d’oliva – non adeguato al generale ribasso degli altri prezzi all’ingrosso, e indubbiamente aggravato da manovre speculative – venga a compromettere una delle principali fonti di reddito di vaste plaghe, e per sapere se non ritengano opportuno facoltizzare, su richiesta delle provincie interessate, l’aumento dei limiti del contingente di olio conferibile agli «oleari del popolo» a sensi del decreto legislativo presidenziale n. 1214 del 15 novembre 1947, in modo da costituire una vera e propria riserva a disposizione dello Stato per sopperire alle esigenze dell’alimentazione nazionale anche nell’anno prossimo, in vista della scarsezza della produzione di olive, inevitabile per l’alternanza dei raccolti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bonomi Paolo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se è vero che non è stato dato corso ad una domanda della ditta Urso da Capo d’Orlando (Messina), tendente ad ottenere il nulla osta per il servizio d’autolinea Galati Mamertino-Messina, per favorirne altre che avevano presentato domanda in epoca posteriore.

«La pratica della ditta Urso è stata trasmessa dall’Ispettorato regionale per la motorizzazione civile all’Assessorato regionale dei trasporti con parere favorevole e da questo sembrerebbe ritrasmesso alla Commissione per le concorrenze del Ministero dei trasporti in data 3 dicembre 1947. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni che a tutt’oggi si oppongono alla conclusione della pratica relativa al riconoscimento giuridico ed alla erezione in ente morale della Confederazione nazionale perseguitati politici antifascisti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Minio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere con quali criteri sono stati assegnati recentemente alla provincia di Caserta solamente trecento milioni per le opere di ricostruzione e per la disoccupazione. La Provincia di Caserta è stata danneggiatissima dalla guerra. Gran parte dei Comuni sono senza acqua, senza luce, senza strade, senza ponti, senza fognature, senza edifici scolastici. Notevole è il numero delle persone che non ancora hanno riavuto il tetto, del quale furono violentemente private per le incursioni aeree e per i cannoneggiamenti terrestri. Le opere di bonifica sono allo stato iniziale, con gravissimo nocumento dell’agricoltura. Le popolazioni, disilluse per le tante promesse fatte e mai adeguatamente mantenute dagli organi governativi, sono vivamente sconfortate e scontente nel constatare che le loro legittime aspirazioni non sono state mai soddisfatte e che il Governo non ha avuto alcuna necessaria cura e premura della Terra di Lavoro.

«Gli interroganti, poi, rilevano con vivo rammarico che tutti i loro appelli rivolti al Governo dalla tribuna parlamentare, in varie occasioni, perché la provincia di Caserta fosse tenuta in debito conto sia per la ricostruzione che per la disoccupazione, sono rimasti inascoltati. Recentemente circa settanta sindaci della Provincia invocarono dal Ministero dei lavori pubblici proporzionati fondi per la disoccupazione, determinando anche le cifre del fabbisogno; ma anche tale fervida invocazione è rimasta senza eco presso le autorità governative. È il caso perciò di conoscere se non sia il Governo disposto ad erogare con urgenza una maggiore assegnazione di fondi per la ricostruzione e la disoccupazione della provincia di Caserta. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Fusco, Caso, Numeroso, De Michele».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se si ritenga opportuno destinare alla formazione di un fondo a favore dei disoccupati i proventi che ancora si possono ottenere dalla applicazione dell’imposta complementare di registro sui trasferimenti immobiliari, di cui al decreto ministeriale 12 novembre 1943 e al decreto interministeriale 7 febbraio 1944, numero 58.

«Tali decreti potrebbero essere convalidati, revocandosi la sospensione di cui la circolare 9 settembre 1944, n. 103727, divis. III del Ministero delle finanze, disposta quando tutti gli accertamenti erano già stati completati presso gli uffici esecutivi e quando taluni di essi già erano stati seguiti dal pagamento del tributo straordinario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se le recenti lodevoli disposizioni impartite, perché «nelle assegnazioni di materiale, nelle concessioni di permessi, licenze, ecc., non sia tenuto conto di pressioni o raccomandazioni» siano state determinate dal fatto che, prima d’ora, furono violate, in materia, le procedure normali, e, in caso affermativo, se non creda opportuno render di pubblico dominio le violazioni accertate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bartalini».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.25.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa.

POMERIDIANA DI LUNEDÌ 22 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI LUNEDÌ 22 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana:

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Orlando Vittorio Emanuele

Approvazione del processo verbale della seduta:

Presidente

La seduta comincia alle 17.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi, con la seduta di poche ore fa il compito dell’Assemblea Costituente può dirsi adempiuto. Ecco il testo definitivo della Costituzione, che mi appresto a consegnare al Presidente dell’Assemblea.

Era un compito difficile e faticoso. Il Comitato di redazione è apparso molte volte quasi una mitica unità; i suoi membri si sono divisi ed hanno combattuto fra loro; ma dopo tutto vi è stato, e si rivela oggi, uno spirito comune, uno sforzo di unità sostanziale; ed oggi il Comitato compatto sente la responsabilità e la solidarietà del suo lavoro, ed è orgoglioso di averlo portato a termine. Questo io devo dichiarare, a suo nome, all’Assemblea e ringraziarla di aver sanzionato l’opera nostra.

Questa è un’ora nella quale chi è adusato alle prove parlamentari, chi è stato in trincea, chi ha conosciuto il carcere politico, è preso da una nuova e profonda emozione. È la prima volta, nel corso millenario della storia d’Italia, che l’Italia unita si dà una libera Costituzione. Un bagliore soltanto vi fu, cento anni fa, nella Roma repubblicana di Mazzini. Mai tanta ala di storia è passata sopra di noi.

E ciò avviene in una congiuntura non ancora definita, in un processo di trasformazione ancora in cammino, in cui alcuni istituti vecchi non sono ancor morti, ed altri nuovi non sono ancora interamente vivi. Esistono due crepuscoli tra il giorno e la notte: questo che ora scorgiamo sarà per la nostra Italia crepuscolo di aurora e non di tramonto.

Dobbiamo darci la nostra Costituzione in una situazione tragica; dopo la disfatta; dopo l’onta di un regime funesto. Dobbiamo cercare di costruire qualche cosa di saldo e di durevole, mentre viviamo in piena crisi politica, economica, sociale. Ebbene, vi siamo riusciti. L’Italia darà un’altra prova di ciò che è stato il segno della sua storia e la rende inconfondibile con le altre nazioni: l’Italia è la sola che abbia saputo e saprà, risorgendo, rinnovare e vivere fasi successive ed altissime di nuove civiltà.

Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. No! abbiamo la certezza che durerà a lungo, e forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell’esperienza storica. Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come richiede la tutela delle libertà democratiche, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede meditata riflessione, ma che non la cristallizza in una statica immobilità. Vi è modo di modificare e di correggere con sufficiente libertà di movimento. E così avverrà; la Costituzione sarà gradualmente perfezionata; e resterà la base definitiva della vita costituzionale italiana. Noi stessi – ed i nostri figli – rimedieremo alle lacune ed ai difetti, che esistono, e sono inevitabili.

Critiche sono venute anche da questo banco; ma non ci dobbiamo abbandonare ad un abito di auto-denigrazione, che sembra talvolta un tristo retaggio italiano. Nessuna Costituzione è perfetta. Tutte le volte che se n’è fatta una, sono risuonati lamenti e deprecazioni fra i costituenti. Ciò è avvenuto, anche subito dopo che a Filadelfia fu votata, un secolo e mezzo fa, la Costituzione nord-americana; che ora è giudicata la migliore di tutte!

Un giudizio pacato sui pregi e sui difetti della nostra Carta non può essere dato oggi, con esauriente completezza. Difetti ve ne sono; vi sono lacune e più ancora esuberanze; vi sono incertezze in dati punti; ma mi giungono ormai voci di grandi competenti dall’estero, e riconoscono che questa Carta merita di essere favorevolmente apprezzata, ed ha un buon posto, forse il primo, fra le Costituzioni dell’attuale dopoguerra. Noi, prima di tutti, ne riconosciamo le imperfezioni; ma dobbiamo anche rilevare alcuni risultati acquisiti.

I «principî fondamentali» che sono sanciti nell’introduzione, e che possono sembrare vaghi e nebulosi, corrispondono a realtà ed esigenze di questo momento storico, che sono nello stesso tempo posizioni eterne dello spirito, e manifestano un anelito che unisce insieme le correnti democratiche degli «immortali principî», quelle anteriori e cristiane del sermone della montagna, e le più recenti del manifesto dei comunisti, nell’affermazione di qualcosa di comune e di superiore alle loro particolari aspirazioni e fedi.

Nella enunciazione dei diritti e doveri dei cittadini, se la Francia, che ha una tradizione superba di tali dichiarazioni, ha potuto rimettersi ad esse, noi, che non l’abbiamo, siamo tenuti a formulare noi, per la prima volta, questi diritti e doveri. Lo abbiamo fatto non senza vantaggi e passi avanti; e qui le esigenze etico-politiche hanno ceduto il posto alla tecnica più precisa e concreta. Nessuna altra Carta costituzionale contiene un sistema così completo e definito di garanzie di libertà, ed alcuni istituti non sono privi di novità; mi hanno segnalato appunto la nullità delle misure di polizia non comunicate e convalidate subito dalla Magistratura, ed il diritto di associazione, inteso nel senso che chi ha diritto di svolgere singolarmente un’attività può farlo anche in forma costituzionale. Per il suo tecnicismo giuridico-costituzionale (e per la struttura e l’architettonica dell’intera Costituzione) la nostra Carta è una cosa seria.

Nessuno si deve scandalizzare se nei testi costituzionali è entrata – ormai da tempo – la nota dei rapporti economici. Le direttive che noi abbiamo formulato aprono, con la maggior adeguatezza possibile, la via a progressive riforme verso quella che deve essere ormai, lo abbiamo detto nel primo articolo, la democrazia basata sul lavoro; e nel tempo stesso escludono, proprio per lo sforzo di tracciare concreti istituti, i metodi rivoluzionari e violenti.

La seconda parte della Costituzione – ordinamento della Repubblica – ha presentato gravi difficoltà. Si tenga presente che nell’edificare la nostra Repubblica non abbiamo trovato, come in altri paesi, continuità di tradizione. Avevamo tutto da fare. Non abbiamo risoluto con piena soddisfazione tutti i problemi istituzionali. Ad esempio, per la composizione delle due Camere ed il loro sistema elettorale, rimesso del resto alla legge ordinaria. Ma in complesso si è seguita una linea media ed equidistante dai due estremi. Da un lato, dalle suggestioni, talvolta inconsapevoli, in cui cadono certuni che hanno sempre davanti agli occhi i congegni del passato, e non si sono ancora persuasi che il potere del re è per sempre caduto. Dallo opposto lato, dalle visioni degli estremisti che idealizzano un governo di assemblea e di convenzione, di cui tutti gli altri poteri sarebbero semplici commessi ed appendici. Ne ho parlato qui più volte; anche oggi confermo che le soluzioni adottate erano, dopotutto, le sole possibili, in attesa che l’esperienza indichi ulteriori processi ed adattamenti. Certo è che – pur non entrando nella via, almeno parziale, di alcuni poteri riservati al Capo dello Stato senza correlativa responsabilità ministeriale – il Presidente della Repubblica italiana è tutt’altro che un fantoccio. Certo è che, mantenendo la indeclinabile condizione della fiducia delle Camere, si è cercato di evitare le sorprese e la soverchia instabilità dei governi. E certo è – per ritornare alla parte tecnica – che più di ogni altra Costituzione la nostra definisce e precisa gli istituti del decreto-legge, del decreto legislativo, della formazione e della gerarchia delle leggi.

Per quanto concerne la magistratura, vi possono essere rilievi e riserve; ma in sostanza si è fatto un passo decisivo, il solo possibile, non ancora raggiunto in molti altri paesi, verso la unicità della giurisdizione, con l’obbligo di trasformare in sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari le attuali giurisdizioni speciali, esclusi soltanto per necessità imprescindibili delle loro funzioni il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti.

La nostra Costituzione affronta lo spinoso problema dell’ordinamento regionale. Molti sono i dubbi; e vi possono essere inconvenienti; ma non si poteva non andare incontro ad una irresistibile tendenza; vi sono riforme storiche che non si possono evitare; e si sono di fatto predisposti i nuovi istituti in modo che la prova concreta e l’adattamento della esperienza consentirà di dare ad essi maggiore o minore ampiezza, salvaguardando in ogni caso la necessità suprema della unità ed indivisibilità della patria.

Perdonatemi se ho creduto necessario rivendicare non solo le ombre, ma le luci della Costituzione. Si è fatto il possibile: nessuna altra Carta ebbe una più minuta preparazione; nessuna fu più a lungo discussa; per nessuna si è fatto con maggior completezza il punto, e si è condotto quasi un esame di coscienza di tutti i problemi più gravi del momento. È un eccesso? Sì; ma non è senza significato che un popolo, nell’accingersi ad un rinnovamento, abbia voluto compiere quest’esame di coscienza.

La formulazione della nostra Costituzione non poteva che svolgersi con metodi democratici. Noi abbiamo assistito – foggiandolo noi stessi – a ciò che è un processo di formazione democratica e cioè collettiva. Una Costituzione non può più essere l’opera di uno solo, o di pochissimi. Deve risultare dalla volontà di tutti i rappresentanti del popolo; e i rappresentanti del popolo non si conducono con la violenza; l’unico modo, in democrazia, di vincere è di convincere gli altri. Che cinquecentocinquanta individui prendano parte (e tutti credono di aver eguale competenza) nella formulazione degli articoli di una Costituzione, ha fortissimi inconvenienti; non si fa così per i codici; ma come si fa a delegare la stesura della Costituzione? Con molta pazienza la tecnica riesce a farsi comunque strada; ed a rimediare, se non a tutti, a molti inconvenienti. Ciò avverrà sempre più, con l’autolimitazione volontaria e la maggior educazione politica di domani. Intanto vi è anche un vantaggio: che tutti i rappresentanti del popolo, tutte le correnti del popolo da essi rappresentate possono dire: questa Costituzione è mia, perché l’ho discussa e vi ho messo qualcosa.

Onorevoli colleghi, l’esigenza dell’opera collettiva, della collaborazione di tutti, in democrazia è l’inevitabile, ed è la forza stessa della democrazia. E vi è un’altra cosa inevitabile, una conseguenza di questa stessa esigenza: la Costituzione, come ogni opera collettiva, non può che essere, come si dice in senso deteriore, un «compromesso». Preferisco dire con il purissimo Cattaneo che non può essere se non «una transazione», come è tutta la storia. Ed è «equilibrio»; questa è la caratteristica della nostra Costituzione; un equilibrio realizzato, come era possibile, fra le idee e le correnti diverse. Mi si dica in quale altro modo – forse con una prevalenza forzata, forse con un totalitarismo costituzionale – si sarebbe potuto fare una Costituzione democratica. Anche le altre Costituzioni storiche, che oggi ci sembrano monolitiche, furono sempre il risultato di transazioni e di equilibri.

Quando oggi voteremo, il largo suffragio che daremo alla nostra Costituzione attesterà che, malgrado i dissensi e le lacerazioni, è scaturita dalle viscere profonde della nostra storia, la convergenza di tutti in una comune certezza; il sicuro avvenire della Repubblica italiana. (Vivissimi, generali applausi).

Con queste dichiarazioni mi onoro consegnare al Presidente dell’Assemblea Costituente il testo definitivo della Carta costituzionale. (L’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi – Da una tribuna un gruppo di garibaldini intona l’inno di Mameli, ripreso dall’Assemblea e dal pubblico delle tribune – Rinnovati, vivissimi applausi).

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ruini della consegna del testo definitivo della Costituzione, al cui perfezionamento di forma e di sostanza egli ha dato opera diuturna ed appassionata fino, possiamo ben dirlo, a poche ore fa. Ancora stamane noi lo abbiamo udito mentre forniva a noi tutti gli ultimi chiarimenti che ci erano necessari per metterci in condizioni di procedere ora al voto definitivo.

Credo che non ci fossimo resi conto tutti, in un primo momento, della gravità e dell’importanza del compito che avevamo affidato al Presidente della Commissione dei Settantacinque. È certo che molti di noi forse ancora non conoscono la somma di fatiche che il suo assolvimento ha imposto all’onorevole Ruini.

Voglio esprimere la mia riconoscenza personale all’onorevole Ruini, senza la cui valida collaborazione io stesso non avrei potuto rispondere alla fiducia riposta in me dall’Assemblea. E credo che se esprimo all’onorevole Ruini anche il ringraziamento dell’intera Assemblea, questa darà alle mie parole plauso e consenso. (Vivissimi generali applausi).

Indico la votazione a scrutinio segreto sulla Costituzione della Repubblica italiana.

Si procederà alla votazione a scrutinio segreto con appello nominale. Pertanto ogni singolo deputato, il cui nome sarà chiamato, verrà a deporre nell’urna il suo voto.

Si faccia la chiama per ordine alfabetico, cominciando dalla lettera A.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la votazione – Quando il Presidente Terracini si reca a votare l’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, prolungati, generali applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto. Invito gli onorevoli Segretari a numerare i voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Proclamo il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     515

Maggioranza           258

Voti favorevoli        453

Voti contrari                        62

(L’Assemblea approva – L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa – Si grida: Viva la Repubblica! – Nuovi, prolungati applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caroleo – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michells Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – La Gravinese Nicola – La Malfa – Lami Starnuti – Landi– La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Motolese – Murdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Selvaggi – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terracini – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Vallone – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Canepa – Carmagnola – Cavallari.

Jacini.

Merlin Umberto.

Preziosi.

Ravagnan.

Trulli.

Vanoni – Vernocchi.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi! È con un senso di nuova profonda commozione che ho pronunciato or ora la formula abituale con la quale, da questo seggio, nei mesi passati ho, cento e cento volte, annunciato all’Assemblea il risultato delle sue votazioni. Di tutte queste, delle più combattute e delle più tranquille, di quelle che videro riuniti in un solo consenso tutti i settori e delle altre in cui il margine di maggioranza oscillò sull’unità; di tutti questi atti di volontà che, giorno per giorno, vennero svolgendosi, con un legame non sempre immediatamente conseguente – in riflesso di situazioni mutevoli non solo nell’Aula, ma anche nel Paese – quest’ultimo ha riassunto il significato e gli intenti, affermandoli definitivamente e senza eccezione come legge fondamentale di tutto il popolo italiano.

Ed io credo di potere avvertire attorno a noi, oggi, di questo popolo l’interesse fervido ed il plauso consapevole e sodisfatto. Si può ora dirlo; vi è stato un momento, dopo i primi accesi entusiasmi, nutriti forse di attese non commisurate alle condizioni storicamente maturate ed in loro reazione, vi è stato un momento nel quale come una parete di indifferenza minacciava di levarsi fra questo consesso e le masse popolari. E uomini e gruppi, già ricacciati al margine della nostra società nazionale dalla prorompente libertà – detriti del regime crollato o torbidi avventurieri di ogni congiuntura (Applausi) alacremente, e forse godendo troppa impunità, si erano dati ad approfondire il distacco, ricoprendo di contumelie, di calunnie, di accuse e di sospetti questo istituto, emblema e cuore della restaurata democrazia. (Vivi applausi).

Onorevoli deputati, è col nostro lavoro, intenso e ordinato, è con lo spettacolo ad ogni giorno da noi offertogli della nostra metodica, instancabile applicazione al compito affidatoci, che noi ci siamo in fine conquistati la simpatia e la fiducia del popolo italiano. Il quale, nelle sue distrette come nelle sue gioie, sempre più è venuto volgendosi all’Assemblea Costituente come a naturale delegata ed interprete e realizzatrice del suo pensiero e delle sue aspirazioni. E le centinaia, le migliaia di messaggi di protesta, di approvazione, di denuncia, di richieste giunti alla Presidenza nel corso dei diciotto mesi di vita della Costituente, testimoniano del crescente spontaneo affermarsi della sua autorità, come Assemblea rappresentativa. È questo un prezioso retaggio morale che noi lasciamo alle future Camere legislative della Repubblica.

Ho parlato di lavoro instancabile. Ne fanno fede le 347 sedute a cui ci convocammo, delle quali 170 esclusivamente costituzionali; i 1663 emendamenti che furono presentati sui 140 articoli del progetto di Costituzione, dei quali 292 approvati, 314 respinti, 1057 ritirati od assorbiti; i 1090 interventi in discussione da parte di 275 oratori; i 44 appelli nominali ed i 109 scrutini segreti; i 40 ordini del giorno votati; gli 828 schemi di provvedimenti legislativi trasmessi dal Governo all’esame delle Commissioni permanenti ed i 61 disegni di legge deferiti all’Assemblea; le 23 mozioni presentate, delle quali 7 svolte; le 166 interpellanze di cui 22 discusse; le 1409 interrogazioni, 492 delle quali trattate in seduta, più le 2161 con domanda di risposta scritta, che furono sodisfatte per oltre tre quarti dai rispettivi Dicasteri.

Lavoro instancabile; sta bene. Ma anche lavoro completo? Alla stregua del mandato conferitoci dalla nostra legge istitutiva, sì. Noi consegniamo oggi, a chi ci elesse il 2 giugno, la Costituzione; noi abbiamo assolto il compito amarissimo di dare avallo ai patti di pace che hanno chiuso ufficialmente l’ultimo tragico e rovinoso capitolo del ventennio di umiliazioni e di colpe (Applausi), e, con le leggi elettorali, stiamo apprestando il ponte di passaggio, da questo periodo ancora anormale, ad una normalità di reggimento politico del Paese nel quale competa ad ogni organo costituzionale il compito che gli è proprio ed esclusivo: di fare le leggi, al Parlamento; al Governo di applicarle; ed alla Magistratura di controllarne la retta osservanza.

Ma, con la Costituzione, questa Assemblea ha inserito nella struttura dello Stato repubblicano altri organi, ignoti al passato sistema, suggeriti a noi dall’esperienza dolorosa o dettati dalla evoluzione della vita sociale ed economica del Paese. Tale la Corte delle garanzie costituzionali, sancita a difesa dei diritti e delle libertà fondamentali, ma non a preclusione di progressi ulteriori del popolo italiano verso una sempre maggiore dignità dell’uomo, del cittadino, del lavoratore. Tale il Consiglio nazionale della economia e del lavoro, che – rimuovendo gli ostacoli dovuti a incomprensione o ad ignoranza delle altrui esigenze – eviterà le battaglie non giustificate, disperditrici di preziose energie, dando alle altre, necessarie invece ed irreprimibili in ogni corpo sociale che abbia vita fervida e sana, consapevolezza di intenti e idoneità di mezzi.

Ma forse, sì, non taciamolo, onorevoli colleghi, molta parte del popolo italiano avrebbe voluto dall’Assemblea Costituente qualcos’altro ancora. I più miseri, coloro che conoscono la vana attesa estenuante di un lavoro in cui prodigare le proprie forze creatrici e da cui trarre i mezzi di vita; coloro che, avendo lavorato per un’intera vita, fatti inabili dall’età, dalla fatica, dalle privazioni ancora inutilmente aspettano dalla solidarietà nazionale una modesta garanzia contro il bisogno; coloro che frustano i loro giorni in una fatica senza prospettiva, chiudendo ad ogni sera un bilancio senza residui, utensili pensanti e dotati d’anima di un qualche gelido mostruoso apparato meccanico, o forze brute di lavoro su terre estranee e perciò stesso ostili: essi si attendevano tutti, che l’Assemblea esaudisse le loro ardenti aspirazioni, memori come erano di parole proclamate e riecheggiate. (Approvazioni).

Noi lo sappiamo, oggi, che ciò avrebbe superato le nostre possibilità. Ma noi sappiamo di avere posto, nella Costituzione, altre parole che impegnano inderogabilmente la Repubblica a non ignorare più quelle attese, ad applicarsi risolutamente all’apprestamento degli strumenti giuridici atti a sodisfarle. La Costituzione postula, senza equivoci, le riforme che il popolo italiano, in composta fiducia, rivendica. Mancare all’impegno sarebbe nello stesso tempo violare la Costituzione e compromettere, forse definitivamente, l’avvenire della Nazione italiana. (Vivissimi, generali applausi).

Onorevoli colleghi, ieri sera, quasi a suggello simbolico apposto alla Carta costituzionale, voi avete votato un ordine del giorno col quale raccomandate e sollecitate dal Presidente della Repubblica un atto generoso di clemenza e di perdono.

Già al suo primo sorgere, la Repubblica volle stendere le sue mani indulgenti e volgere il suo sguardo benigno e sereno verso tanti, che pure non avevano esitato a straziare la Patria italiana; ad allearsi con i suoi nemici, a colpirne i figli più eroici. Il rinnovato gesto di amistà, del quale vi siete fatti promotori, vuole oggi esprimere lo spirito che ha informato i nostri lavori, in ognuno di noi, su qualunque banco si sedesse, a qualunque ideologia ci si richiami. L’Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. (Approvazioni). E noi stessi, onorevoli deputati, colleghi cari e fedeli di lunghe e degne fatiche, conclusa la nostra maggiore opera, dopo avere fatta la legge, diveniamone i più fedeli e rigidi servitori. (Approvazioni). Cittadini fra i cittadini, sia pure per breve tempo, traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e le più modeste, quegli ideali che, interpretando il voto delle larghe masse popolari e lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge fondamentale della Repubblica.

Con voi m’inchino reverente alla memoria di quelli che, cadendo nella lotta contro il fascismo e contro i tedeschi, pagarono per tutto il popolo italiano il tragico e generoso prezzo di sangue per la nostra libertà e per la nostra indipendenza (Vivissimi, generali applausi), con voi inneggio ai tempi nuovi cui, col nostro voto, abbiamo aperto la strada per un loro legittimo affermarsi.

Viva la Repubblica democratica italiana, libera, pacifica ed indipendente! (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Si grida: Viva la Repubblica! – Viva il Presidente Terracini! – Nuovi vivissimi, generali applausi).

In quest’ora così solenne della nostra storia non poteva mancare a noi ed al popolo italiano la parola alta, serena, saggia del Presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, il quale ha seguito ed illuminato la nostra fatica, vigile ad ogni passo lungo la strada che condurrà la Repubblica dall’abisso in cui sorse fino alla posizione che le compete di Stato libero, e rispettato nel mondo.

Do lettura del messaggio di Enrico De Nicola:

Roma, 22 dicembre 1947 – ore 18.30.

«La ringrazio vivamente, illustre Presidente, di avermi comunicato con cortese sollecitudine l’approvazione della Costituzione della Repubblica italiana.

«Il mio pensiero, reverente e devoto, si rivolge, in questo momento di sincera commozione, all’Assemblea Costituente, che – sotto la Sua incomparabile e indimenticabile Presidenza – ha compiuto un lavoro di cui gli storici daranno certamente un giudizio sereno, che onorerà il nostro Paese, per la profondità delle indagini compiute, per l’altezza dei dibattiti svoltisi, per lo zelo coscienzioso costantemente osservato nella ricerca delle soluzioni più democratiche e nella formulazione rigorosamente tecnica dei principî fondamentali e delle specifiche norme costituzionali – e all’Italia nostra, amata e martoriata, che dalle sventure sofferte e dai sacrifizii affrontati, saprà trarre ancora una volta, nella concordia degli intenti e delle opere dei suoi figli, le energie necessarie per il suo sicuro avvenire, offrendo al mondo un nuovo esempio di eroiche virtù civili e un nuovo incitamento al progresso sociale».

(Vivissimi, generali, prolungati applausi, cui si associa il pubblico delle tribune).

Giunga il nostro riverente affettuoso pensiero ad Enrico De Nicola, che oggi acclamiamo primo Presidente della Repubblica Italiana. (Nuovi, vivissimi, generali applausi).

Si dia lettura di un telegramma giunto in questo momento dal Sindaco della città di Venezia.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Alla odierna solenne seduta della Assemblea Costituente convocata per l’approvazione della nuova Carta costituzionale che sancisce i diritti del popolo e la Repubblica, sogno di tanti martiri del primo Risorgimento italiano, meta raggiunta a prezzo di tanti sacrifici e di sangue in questo secondo Risorgimento, dopo che la monarchia, con la sua guerra antinazionale e col suo tradimento delle libertà popolari, ha dimostrato anche ai più increduli la legittimità di quel sogno di veggenti, l’amministrazione comunale di Venezia, che si prepara a ricordare con cerimonie che resteranno memorabili la seconda Repubblica di San Marco, vuole far pervenire la sua voce di plauso per la Repubblica italiana e per la nuova Carta costituzionale, augurando che da essa procedano leggi innovatrici del diritto e del costume, affinché il popolo italiano prostrato da tanti lutti, risorga davvero arbitro del proprio destino. – Il Sindaco Gianquinto».

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. (Vivi applausi al centro).

Iniziando questa mia brevissima dichiarazione, sento il dovere di associarmi al ringraziamento espresso dal Presidente dell’Assemblea e alle parole di ammirazione da lui usate per Enrico De Nicola, per l’opera sua di vigile tutela e di collaborazione, che con la sua saggezza giuridica e l’esperienza parlamentare, ha dato non solo all’elaborazione della Costituzione, e, in genere, ai lavori legislativi, ma anche al Governo, con i suoi illuminati consigli.

Il Governo si associa all’augurio che il primo Presidente della Repubblica italiana possa continuare la sua opera per un lungo periodo ancora, e a lui noi tutti del Governo tributiamo sempre quell’ossequio e quell’obbedienza che sono la base fondamentale dell’autorità repubblicana.

Aggiungo il mio ringraziamento all’Assemblea, e in modo particolare alla Presidenza, per la collaborazione, che non era espressamente riservata alla sua attribuzione dalle leggi, ma con la quale pure ha recato un contributo prezioso alle iniziative del Governo, attuandole o modificandole con opportuni emendamenti.

Non fu senza un certo senso di invidia che noi vedemmo i nostri colleghi delle Commissioni legislative occuparsi dei grandi problemi della Costituzione, direi, gettando le grandi arcate della Costituzione, mentre noi, dalle esigenze di tutti i giorni, eravamo costretti ad occuparci dei piccoli particolari.

Io vi rinnovo l’espressione di ringraziamento profondo per questa vostra collaborazione. Questi nostri ringraziamenti vanno soprattutto ai membri della Commissione per la Costituzione e in modo particolare al suo Presidente, onorevole Ruini, che con tanto zelo ha diretto i lavori della Commissione stessa.

Il Governo ora, fatta la Costituzione, ha l’obbligo di attuarla e di farla applicare: ne prendiamo solenne impegno. Noi tutti però sappiamo, egregi colleghi, che le leggi non sono applicabili se, accanto alla forza strumentale che è in mano al Governo, non vi è la coscienza morale praticata nel costume. A distanza di cento anni, mi giunge all’orecchio come l’eco del programma mazziniano, che suonava:

«La Costituente nazionale, raccolta a Roma, metropoli e città sacra della Nazione, dirà all’Italia e all’Europa il pensiero del popolo e Dio benedirà il suo lavoro».

Valga tale auspicio anche per questa Assemblea del nuovo Risorgimento; il soffio dello spirito animatore della nostra storia e della nostra civiltà cristiana passi su questa nostra faticosa opera, debole perché umana, ma grande nelle sue aspirazioni ideali, e consacri nel cuore del popolo questa legge fondamentale di fraternità e di giustizia, sicché l’Europa e il mondo riconoscano nell’Italia nuova, nella nuova Repubblica, assisa sulla libertà e sulla democrazia, la degna erede e continuatrice della sua civiltà millenaria e universale. (Vivissimi, prolungati applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Orlando Vittorio Emanuele. (L’Assemblea in piedi applaude lungamente).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Onorevoli colleghi, non so a che cosa io debba questo onore e questa responsabilità di essere chiamato a parlare, quasi direi di ufficio; d’ufficio, perché non l’ho chiesto, e non l’ho chiesto per una duplice ragione: l’una, contingente, della persistente deficienza dei mezzi miei di comunicazione verbale; l’altra, sostanziale, della immensa gravità, della solennità eccezionale dell’ora. Perdonatemi, quindi, in anticipo, se, per l’una e per l’altra ragione, io sarò (e non è artifizio retorico od oratorio) inferiore a quello che dovrebbe essere il mio compito ed alla vostra aspettazione.

Mi correggo. Ho detto di non sapere a che cosa debba questo onore: indubbiamente lo debbo al titolo della mia maggior vecchiezza. Ma, forse, nel caso presente più che il computo numerico degli anni, può valere a conferirmi questo titolo l’essere io rappresentante estremo delle tre generazioni, che hanno fatto l’Italia. Qui, dunque, vi parlo meno come un collega che come un antenato. E quando, a questo medesimo titolo, inaugurai i lavori dell’Assemblea Costituente, credetti di poter riassumere tutto il mio animo solidale con voi in un augurio, che era anche una benedizione del vecchio. Ora, parlo per concludere, come allora parlai per cominciare. Oggi, noi siamo al vertice dell’opera raggiunta; onde possiamo, guardando sotto di noi, considerare la strada che abbiamo percorsa, e in un certo senso quest’Assemblea può esser fiera del lavoro compiuto, pur attraverso contrasti, pur rasentando precipizi – e l’avvenire dirà se li abbiamo sempre felicemente evitati –, pur trovandoci di fronte a bivii e l’avvenire dirà se sempre abbiamo saputo scegliere la buona strada, ed io auguro che si possa dire che si è scelta la buona.

Per merito di chi? Di tutti: attraverso i dissensi, malgrado i contrasti, ognuno di noi ha contribuito a quest’opera. E vi è solidarietà, unità, anche fra coloro che hanno sostenuto le tesi più diverse e più opposte, perché in ciò sta la bellezza della libertà parlamentare (Approvazioni): nella discussione, che è il mezzo più razionale e più elevato per raggiungere quella verità relativa, che agli uomini può essere consentita. Un po’ di merito l’abbiamo, dunque, tutti. Ma io non posso insistere su questo punto, perché sarebbe come lodarci da noi stessi. È vero che è cosa che gli uomini politici fanno ed è tollerata; ma, in un’occasione così eccezionale, è meglio prescinderne.

Non posso insistere sui meriti nostri come Assemblea; ma forse è bene, parlando in nome dell’Assemblea, ricordare e additare alla gratitudine nostra coloro che sono stati – direi – il simbolo di questo lavoro, e due al di sopra di tutti.

In primo luogo, quell’uomo a cui ben spetta – e non l’ha chiesto – di trasformare il titolo che gli ricordava la provvisorietà (come, in certi ordini monastici, v’è chi ricorda che si deve morire) il titolo – dico – della provvisorietà in quello effettivo e definitivo di Presidente, il primo Presidente della Repubblica italiana (Vivissimi, generali applausi), ed egli è tal uomo da augurare con la più profonda sincerità, con il più sereno ottimismo patriottico che coloro che gli succederanno siano sempre degni di succedergli. (Applausi).

Enrico De Nicola appartiene a quella categoria di uomini politici, che ha per sé la vera grandezza, cioè servire per dovere. Alieno (e dalla mentalità parlamentare leggermente degenerata gliene si faceva rimprovero come di un difetto!), alieno dall’aspirare ai poteri, desideroso di mettersi a disposizione se ricercato, modesto sempre, di giusto giudizio, la cooperazione di lui nella formazione di questo atto costituzionale non è nota, ma credo che tutti noi, più che saperla, la sentiamo essere stata assidua, alacre, feconda.

Ad Enrico De Nicola, dunque, innanzi tutto esprimerò i nostri ringraziamenti; e poi a questo nostro Presidente (L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi, prolungati applausi) a questo nostro Presidente, che mi ha dato la grande consolazione di infliggermi una solenne smentita. Per sopravalutare questa classe parlamentare cui appartengo – è naturale: io sono l’homo parlamentaris per eccellenza! (Si ride)per sopravalutare, dunque, questa classe cui appartengo (e me ne vanto!) io pensavo ed affermavo: badate, se Cicerone dice che poeta nascitur, orator fìt, per il parlamentare occorrono entrambe queste condizioni: bisogna nascerci, avere la vocazione; ma bisogna poi aver vissuto la vita, avere acquistato l’esperienza. Orbene, questo nostro Presidente mi ha mortificato nel dimostrare che una delle due condizioni non è necessaria: in lui v’è una vocazione formidabile, la quale ha sostituito l’esperienza, perché negli ultimi anni della fortunosa e mirabile sua vita egli non ha potuto più frequentare aule universitarie, non ha più potuto studiare precisamente quei regolamenti e quelle fonti di diritto, da cui si formano poi gli atti costituzionali. (Applausi generali).

Egli si è dimostrato veramente straordinario! E quando un momento fa sfilavano le diecine e le centinaia di emendamenti (altro che la «selva selvaggia ed aspra e forte!»), egli ci si muoveva con una padronanza assoluta, aveva presente tutto, sapeva conciliare la fermezza di un’autorità che s’impone con la bonarietà di un collega che trova l’arguzia per comporre un dissenso, un contrasto, che ad altri sarebbe, forse, apparso addirittura insormontabile! Egli è stato veramente un gran Presidente e – direi – un Presidente nato perfetto! (Vivissimi, generali applausi).

E così dunque, sotto questi auspici, si è compiuta quest’opera.

Che cosa vale?

Io, tutte le volte che ho parlato, ho dichiarato così frequentemente e così manifestamente una mia diversità di pensare e di sentire a proposito di una legge costituzionale che sarebbe ipocrisia, se ora ad un tratto volessi usare della spugna di Leibnitz e cancellare quelle che erano e sono le mie idee. La verità è che qui sono venute di fronte due diverse maniere di concepire l’intervento del legislatore nel fissare l’ordinamento giuridico di un popolo. Io potrei, per deferenza a voi, dire che il mio punto di vista era quello antico e che il vostro era quello moderno. No, la verità è che così l’uno come l’altro sono antichi quanto l’uomo, antichi quanto il legislatore. Da un lato, si ha l’imposizione di una regola attraverso una volontà consapevole: io comando – dice il legislatore, soprattutto se è dell’ordine costituzionale, questa mia volontà io la esamino, la concreto diligentemente, me ne rendo conto, metto dalla mia parte tutte le ragioni per cui si possa presumere che si legifera bene; ma, dopo tutto, questa è la mia volontà. Una tale tenenza è antica quanto l’uomo, ed i primi legislatori la loro volontà la fecero passare addirittura per quella di Dio. Dall’altro lato, invece, il diritto viene concepito non come una imposizione dall’esterno, ma come una qualche cosa di organico, che si sviluppa da sé: pianta, che mette nella terra le sue profonde radici, che alimenta il suo tronco, i suoi rami, le sue foglie, anche le più alte, raccogliendo dall’aria, dalla luce, dalla profondità dell’humus le ragioni della sua esistenza.

Ecco i due punti di vista in contrasto: concezioni, che non restano nell’astrattezza della teoria, ma si scontrano, si urtano, si contendono nella viva e ardente realtà. Io ho sempre seguito la seconda di queste concezioni, donde il dissenso abbastanza profondo con l’altra parte. Ma, badate, in questo momento, io ben posso di tutto cuore accompagnare quest’atto, che deve reggere la vita collettiva del popolo italiano, con un augurio fiducioso, con un augurio pieno: e ciò, appunto perché quella scuola giuridica, cui appartengo, riconosce che alle leggi si applica larghissimamente il motto che dice che la soma si accomoda per via. E, difatti, è quella stessa forza spontanea, quella forza organica, direi, in certo senso naturale, da cui dipende lo sviluppo delle istituzioni, che opera, se occorre, anche indipendentemente da un testo scritto e lo viene adattando a quelli che sono i veri bisogni storici. Quindi, non mi metto in contraddizione con me stesso, se esprimo questo augurio, pur restando fermo al mio punto di vista. Dopo di che? Ebbene, dopo di che, se già l’ho lodato, torno a lodare il dissenso il contrasto come il mezzo più idoneo per scoprire la verità o per avvicinarci ad essa il più che sia possibile: verità, come ho detto poc’anzi, naturalmente di un valore del tutto relativo.

Ma da questo momento tutto ciò è finito. Ora, la Costituzione ha avuto la sua consacrazione laica. Essa è al di sopra delle sue discussioni. Noi dobbiamo ad essa obbedienza assoluta, perché io non so concepire nessuna democrazia e nessuna libertà se non sotto forma di obbedienza alle leggi, che un popolo libero si è date. (Applausi).

E un auspicio si può trarre, oggi, dalla coincidenza, per cui la Costituzione entra in vigore il primo dell’anno, che compie il centenario del 1848. Vedete se era retorica la mia quando vi dicevo or ora di sentirmi di tanto inferiore al compito, perché in questo momento occorrerebbe come si dice che avvenga agli asfittici, i quali, nell’attimo che passa fra la preagonia e la morte, vedrebbero sfilare rapidamente tutta la loro vita – occorrerebbe vedere sfilare qui, in una visione complessiva, totale, sintetica, un secolo intero. Il sorgere di questo secolo vide l’Italia divisa ed il tramonto di esso è sembrato che dovesse ancora vederla divisa; ma il popolo italiano ha resistito alla immane bufera, ed abbiamo superato questo punto. Vedete, questo nuovo centenario comincia con un’affermazione superba. L’Italia ha ormai passato la sua prova. L’Italia, a cui si poteva rimproverare, e non per colpa sua, la brevità della sua vita nazionale, ora ha attraversato le più tremende vicende; e se le ha superate, è stato perché da sé sola, con le proprie intime forze, ha rimediato a tutti i guai ed a tutte le ingiustizie sofferte. (Applausi).

Un nuovo centenario comincia. Voi comprendete il fervore dell’augurio di questo vecchio. Che cosa ci riserba l’avvenire? Che cosa ci riserba il mondo? Io sono convinto – nel campo scientifico, non politico – (e non lo dico ora; l’ho già detto in scritti precedenti) che questa rivoluzione non è – mi si permetta la espressione – una rivoluzione di ordinaria amministrazione; non è una semplice rivoluzione, per cui una Repubblica succeda ad una monarchia od una monarchia succeda ad una Repubblica; non è la formazione di uno Stato o la separazione di uno Stato da un altro o il dissolvimento di uno Stato in una pluralità di Stati: insomma, non è una delle tante rivoluzioni, attraverso cui l’umanità è progredita. No, qui è un’era che succede ad un’altra; è un tipo di Stato che si sovrappone ad un altro. Fino ad oggi abbiamo innanzi agli occhi lo Stato nazionale, originato nel secolo XVI, subito dopo il medio evo, sulla base della sovranità esclusiva, dei rapporti interni, dei rapporti internazionali: abbiamo, dunque, una comunità di Stati senza che fra essi esista un vero e proprio coordinamento giuridico. Ora, per effetto di questa tremenda rivoluzione che stiamo attraversando, questo tipo di Stato va a tramontare; e vi si sostituirà una forma di superstato. Quale? Non si fa l’indovino nella storia. Tante incognite pendono: a crearlo sarà la forza o sarà l’accordo o sarà qualche cosa tra l’uno e l’altra? E sarà esso in un senso continentale o sarà in un senso razziale? Chi potrebbe dirlo? Misteri della storia futura!

Di fronte a questo nuovo tipo di Stato che sorge l’Italia è preparata a tutti i sacrifici, anche a quello della orgogliosa affermazione della sovranità assoluta; ma – sia detto ben alto! – ad una sola condizione: alla condizione, cioè, che questi limiti debbano valere pure per gli altri, per tutti gli altri. Ed allora, che sarà di questo nostro attaccamento a questo Paese nostro? A me ha potuto bastare di amare l’Italia; forse a voi occorrerà un’altra forma di attaccamento. V’è già chi dice: «Io mi sento europeo»; un altro: «mi sento africano»; un altro: «mi sento asiatico»; un altro: «mi sento slavo, anglosassone, germanico». Qualcuno arriva perfino a dire: «mi sento cittadino del mondo». Ma tutto ciò è prematuro.

Orbene, anche quando questi destini che oggi si annunciano si compiranno, il nuovo sentimento, che potrà nascere, non sopprimerà l’antico; ed è questo il lato, direi, mistico di questa evoluzione creatrice dell’umanità. Della umanità la prima cellula fu la famiglia; ma lo sviluppo dell’evoluzione, che ha ridotto la famiglia ad una cellula contenuta in una forma associativa, quale lo Stato, tanto più diffusa, tanto più complessa, incomparabilmente più estesa, ha forse soppresso l’attaccamento alla famiglia? Si può dire che il sentimento, l’affetto come padre o come fratello sia oggi minore di quello che sentivano gli antichi romani, che mandavano a morte i loro figli e ne traevano anche vanto? Allorché la famiglia si estese e si complicò in forma di comunione, di villaggio, l’attaccamento ad essa forse venne meno? E quando si arrivò alla città, si attenuò questo sentimento? E quando lo sviluppo dello Stato feudale, riunendo in un tutto campagne e città, creò la terra che ora si chiama regione, forse quell’attaccamento nostro si spense? Ed oggi, il mio attaccamento per la Sicilia si frappone, forse, a quello per l’Italia, o non piuttosto lo ingigantisce? Questo ho voluto dire, perché, quali che siano gli eventi futuri, l’amore e la devozione verso la Madre di ogni vita, questa antica, gloriosa, veneranda Italia, questi sentimenti non verranno mai meno; e dagli stessi contrasti potranno, anzi, esser resi più intensi. Onde, se io, vecchio, posso morire col nome di Italia sulle labbra, voi, giovani, – ce ne siete qui tanti – potrete, un giorno, avvertire altri sentimenti di adesione, di attaccamento, di amore per una qualche assai più ampia forma di vita statale; ma anche allora, voi vi sentirete italiani, come questo vecchio, anche allora amerete questa Madre comune, e sarete appassionatamente, fieramente italiani. Ed è in questo pensiero che io concludo, rivolgendo un appello, che, al di sopra dei dissensi e dei conflitti quotidiani, tutti ci congiunga in un sentimento ed in un nome: Viva l’Italia! Dio salvi l’Italia! (Vivissimi, generali, prolungati applausi).

Approvazione del processo verbale della seduta.

PRESIDENTE. A conclusione di questa seduta, che ha avuto contenuto e significato del tutto particolari, diamo immediatamente lettura, per la sua approvazione, del relativo processo verbale.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta.

ZAGARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZAGARI. Poiché, per ragioni indipendenti dalla mia volontà, non ho potuto partecipare alla votazione finale della Costituzione, dichiaro che, se fossi stato presente, avrei votato a favore.

(Il processo verbale è approvato – Vivissimi, prolungati applausi).

PRESIDENTE. L’Assemblea sarà convocata a domicilio.

La seduta termina alle 19.30.

ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 22 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 22 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Per il rimpatrio dei prigionieri italiani ancora trattenuti all’estero:

Presidente

Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Codacci Pisanelli

La Pira

Togliatti

Marchesi

Calamandrei

Coppa

Nitti

Meda

Annunzio di nomina di Sottosegretari di Stato:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Presidente

Relazione della Commissione d’inchiesta sulle accuse mosse al deputato Chieffi:

Presidente

Dugoni

Gasparotto, Presidente della Commissione

Bertini

Foa

Calamandrei

Cifaldi

Lussu

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 12.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Per il rimpatrio dei prigionieri italiani ancora trattenuti all’estero.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli De Maria, Dominedò ed altri hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, nell’atto di formulazione della Carta costituzionale, che per il popolo italiano è documento e norma di vita democratica, e, quindi di fraterna solidarietà con gli altri popoli, fa voti perché il Governo svolga ogni azione tendente ad ottenere il rimpatrio degli italiani che vivono ancora in terra straniera, scontando le conseguenze di un periodo doloroso, per il popolo italiano definitivamente superato».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo esaminare le questioni che, in sede di riunione della Commissione delegata ieri dai rappresentanti dei Gruppi, non è stato possibile risolvere.

L’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione ha facoltà di riferire in proposito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Farò come dice il nostro Presidente. E sarà, dopo altre centinaia di mie relazioni, quella conclusiva e finale. Mi duole soltanto di essere obbligato a parlare di cose minute e tecniche, in un’ora così solenne per la storia del nostro Paese. Ma è necessario; bisogna essere precisi ed esatti; vi prego di tenere sott’occhio il fascicoletto del testo coordinato che è stato distribuito in questi giorni, e di seguire le variazioni di cui renderò conto, che si sono concordate nella adunanza di stamane del Comitato e dei capigruppo, in seguito ai rilievi ed alle proposte di rinvio al testo originario, presentati all’ultima ora da colleghi dell’Assemblea.

Annuncio subito che si è realizzato un quasi universale consenso, in quanto una parte delle proposte è stata accolta, e per le altre i presentatori vi hanno rinunciato, così che, tranne per pochissimi punti, non si dovrà addivenire a votazione.

Voi ricordate quale era il compito di revisione e di coordinamento che l’Assemblea aveva affidato al Comitato di redazione. Per alcuni articoli, più di una decina, l’Assemblea ha conferito un espresso mandato di rifare interamente il testo. Si è detto: badate, noi votiamo questa norma, perché dobbiamo votare qualcosa; ma voi avete le mani libere per il rifacimento, avendo riguardo alla discussione avvenuta; l’Assemblea giudicherà poi sul testo che avrete riveduto e coordinato. Vi sono state inoltre le raccomandazioni; fin da principio, quando riferiva il vicepresidente Tupini, e poi sempre in seguito con gli altri relatori, non pochi presentatori di emendamenti li trasformarono in raccomandazioni, che l’Assemblea segnalò al Comitato; ed il Comitato si impegnò a prenderle in esame. Vi è infine il mandato generale di rivedere e di coordinare tutto l’insieme del testo, venuto fuori, in notevole parte, da una pioggia di emendamenti votati a distanza di mesi. Appena si è avuto davanti tutto il materiale, si è imposta la necessità di una sua sistemazione, per adeguarlo sempre meglio agli intenti manifestati dall’Assemblea.

Il faticoso e non facile compito che ci avete affidato è compiuto. Gli ultimi articoli li avete votati due o tre giorni fa; ma già di mano in mano io avevo predisposto il lavoro, e comunicato ai colleghi; ci siamo già da tempo dedicati nelle nostre riunioni ad un riesame che è stato da ultimo ripreso e rapidamente, ma meditatamente, ultimato.

Quali sono stati i criteri della revisione e del coordinamento? La revisione stilistica si è ispirata ad intenti di correttezza linguistica, di semplificazione – desiderabilissima in un testo costituzionale – e di chiarificazione dei concetti che hanno determinata l’adozione delle formule della Costituzione. Abbiamo sentito il parere di alcuni eminenti scrittori e letterati; poi abbiamo cercato di avvicinarci, per quanto era possibile, ad una certa omogeneità di espressione e di stile. Vi ho atteso personalmente e ne assumo la responsabilità. I colleghi del Comitato han riesaminato pazientemente, parola per parola, il testo. Un miglioramento senza dubbio vi è; sono lieto che ciò sia generalmente riconosciuto, come mi han detto deputati di ogni parte dell’Assemblea. Ma non è possibile raggiungere – nonché la perfezione – una soddisfazione piena. Vi è una inevitabile incontentabilità; ciascuno ha una forma, un modo di esprimersi proprio, e non può rinunciarvi. Ed è capitato ad un grandissimo, il Manzoni, che avendo svolto un tema per un suo nipote, ebbe dal professore una votazione meschina. Una Costituzione non deve essere un capolavoro letterario; ci basta che il testo che vi presentiamo sia più chiaro, più fluido, e migliore di prima.

Ritoccando ove era indispensabile la forma, abbiamo rispettato la sostanza delle disposizioni votate dall’Assemblea. Soltanto dove vi è contrasto e contradizione fra due disposizioni, si deve – secondo la prassi parlamentare e le norme del nostro regolamento – armonizzare il testo della Costituzione. Così abbiamo fatto in pochissimi casi, di scarso rilievo, sui quali si è richiamata la vostra attenzione nelle «osservazioni» allegate al testo coordinato; e vi è stata al riguardo la unanimità del Comitato; né venne presentata da voi una sola proposta di rinvio al vecchio testo; così che non occorre alcuna ulteriore spiegazione.

Altro è di casi – più importanti – nei quali non si può ravvisare un vero e proprio contrasto di norme; ma qualcosa che è stata chiamata incongruità logico-giuridica; disarmonia piuttosto che contradizione. Se non vi fosse neppure questa incongruità o disarmonia, non si potrebbe affatto tornare sulle deliberazioni dell’Assemblea. Quando vi sia, è sembrato – almeno ad una parte del Comitato, e le posizioni sono mutate a seconda dei vari temi – che si possa proporre la questione all’Assemblea, e chiederle se crede di procedere ad una decisione. Naturalmente, perché una modificazione potesse avvenire, occorrerebbe sempre che vi fosse l’unanimità, o quasi, dell’Assemblea, e l’assenso delle varie correnti, che vi sono rappresentate. I punti su cui alcuni del Comitato, or da un lato or dall’altro, hanno sostenuto esservi questione d’incongruità, sono cinque: il sequestro di polizia dei periodici (che si è sostenuto non in armonia con lo spirito delle altre norme sulla stampa), la diversa durata delle due Camere (mentre in altri articoli si parla di legislatura e sembra presupporsi una durata eguale), l’elezione dei Consigli regionali (che, a differenza di quanto si è stabilito pel Parlamento, non si prescrive che avvenga a suffragio universale e diretto), la composizione del Consiglio superiore della magistratura (il cui vicepresidente deve essere eletto fra le categorie in minoranza al Consiglio), la mancata indicazione di criteri per i ricorsi alla Corte costituzionale (e qui per verità si è fatta questione non solo di incongruità, e di lacuna, ma di inammissibilità del rinvio alla legge, giacché si era prima respinta la proposta di togliere dalla Costituzione la norma).

Fatto sta che, nell’adunanza di questa mattina, non si è raggiunto il consenso dei rappresentanti dei Gruppi; ed è parso impossibile portar le questioni all’Assemblea, perché non si sarebbe realizzata una sua ampia adesione.

Un altro ordine di questioni è stato sottoposto alla riunione di stamane; in relazione ad alcuni articoli o parti di articoli che contengono mere indicazioni di materie a cui deve rivolgersi la cura della Repubblica e delle sue leggi (tali sono i temi del paesaggio, della ricerca scientifica e della sperimentazione tecnica, delle provvidenze per le zone montane e per l’artigianato, di alcuni particolari impieghi del risparmio popolare). L’Assemblea, ad un dato punto dei suoi lavori, è entrata nell’idea che simili indicazioni, non aventi carattere costituzionale, hanno miglior sede in ordini del giorno, coi quali si impegna la Repubblica a provvedere per date materie.

Così si è fatto per i mutilati ed invalidi di guerra, per i danni da calamità pubbliche e per altri casi. L’Assemblea si riservò di applicare eguale criterio, per ragioni di uniformità ed in sede di revisione e di coordinamento, ad altre materie già inserite nel testo costituzionale. Senonché, portata la questione all’adunanza dei capigruppo, non si è neppure qui realizzato un sufficiente consenso; ed è risultato inutile portare siffatto problema davanti all’Assemblea.

Il che può non piacere ad alcuni, tra cui chi vi parla, che ha sempre vagheggiato una «deflazione» del testo costituzionale; ma sgombra il terreno da questioni e riduce il lavoro di questa seduta di Assemblea. Lo stesso risultato si è ottenuto per l’opposta via, e cioè pel consenso anziché pel dissenso, in altri campi ai quali dobbiamo ora accennare.

La Commissione dei settantacinque aveva, con voto di massima, riconosciuto l’opportunità di collocare in un preambolo le disposizioni che non hanno una portata strettamente giuridica e concretamente normativa, ma sono piuttosto affermazioni di principî e direttive generali, che hanno altissimo valore etico-politico più ancora che giuridico, e si svolgono, è stato detto, nella zona dove il diritto si incontra con la morale nella vita politica e sociale. L’Assemblea ha rinviato la decisione, e bisogna definire ora la questione in sede di revisione e di coordinamento. Per rinviare le obiezioni sollevate che il rinviare ad un preambolo criteri fondamentali, che sono sempre norme, sia pure generalissime ed anche metagiuridiche, faccia perdere di efficacia e di forza nell’attuazione, il Comitato ha ritenuto che non si debba fare un preambolo a sé, ma collocare all’inizio della Costituzione, in un gruppo di articoli che appartiene alla Costituzione, ma precede le sue due «parti», alcune altre disposizioni che erano prima compreseo nelle due «parti», e che, nella nuova collocazione, andandosi incontro a proposte avanzate in Assemblea e rinviate al coordinamento, servono a meglio delineare con «principii fondamentali» i caratteri e, come è stato detto, il «volto» della Repubblica. Questa soluzione ha avuto l’unanime consenso, non solo del Comitato, ma dei capigruppo, e non è stata presentata alcuna proposta in senso contrario.

Vengo ora a passare in rassegna, ad una ad una, le proposte che sono state presentate in tempo utile, ossia, come aveva fissato l’Assemblea, prima delle ore 10 di oggi.

Articolo 3: il testo votato dall’Assemblea parlava di «pari dignità sociale» di tutti i cittadini. Il Comitato aveva all’unanimità ritenuto di mettere soltanto «pari dignità»; per due ragioni: perché nell’articolo vi era quattro volte la parola «sociale; e perché sembrava che «dignità» senz’altro avesse maggior ampiezza e solennità. Se oggi da taluno si è insistito per ritornare ad un’espressione che avrebbe un valore specifico, che si intende sottolineare, il Comitato, desideroso di rispettare il testo originario, quando non vi sono ragioni essenziali per staccarsene, aderisce a questa prima proposta. Resta dunque «pari dignità sociale».

Articolo 4: circa l’obbligo di svolgere un’attività che concorra al progresso della società, vi è la proposta di tornare a «progresso materiale o spirituale» invece che «a progresso materiale e spirituale». Non è che un errore, che era già stato corretto, di stampa. Molto diligenti sono stati i colleghi nel riscontro del testo stampato dal coordinamento; ma, per fortuna, i loro rilievi vanno spesso non al Comitato, ma alla stamperia, del resto diligentissima nel suo febbrile lavoro.

Articoli dal 7 all’11: il Comitato ed i capi gruppo riuniti stamane hanno, nel testo già stampato, introdotto spostamenti di ordine e di numerazione, che rispondono ad un criterio logico di coordinamento. Gli articoli 7 e 8 del testo che avete sott’occhio diventano rispettivamente 9 e 10; e gli articoli attuali 9 e 10 diventano 7 ed 8. Non vi è bisogno di maggiori spiegazioni. Vi è poi una lievissima modifica, di mera forma, per tornare nell’articolo 8 (già 10) a «in quanto» invece di «sempre che». Nell’articolo 11 si è creduto opportuno riassumere in una espressione più breve e sintetica le indicazioni per la tutela del paesaggio e per la ricerca tecnica e scientifica, che, come ho detto, non sono state rinviate ad ordini del giorno, e che, insieme con la tutela del patrimonio storico ed artistico e col concetto aggiunto dello sviluppo culturale in genere, si possono prestare a giustificare (io dico fino ad un certo punto) il richiamo, che ha speciale valore per l’Italia, ad uno stato di cultura e di tutela dell’eredità di storia e di bellezza del nostro Paese.

Continuiamo. Perdonatemi; ma desidero essere, più che possibile, completo. Anche a costo di essere noioso. Non occorre che insista, a proposito degli articoli 13 e 15, sulla soppressione di due incisi del testo originario, che contenevano disposizioni che in parte contrastano ed in parte sono duplicazioni di altre. Le «osservazioni» che sono state distribuite ne danno chiara ragione; se ne sono persuasi gli originari proponenti; ed oggi non vi sono affatto proposte di tornare al vecchio testo.

All’articolo 20: il Comitato aveva creduto di apportare alcune migliorie di forma. È stato proposto ora di tornare alla dizione di prima, nel dubbio che «ente» si riferisca anche ad «associazione». Sebbene il dubbio non ci appaia consistente, non facciamo opposizione.

All’articolo 21: pei sequestri della stampa periodica, si è proposto di tornare ad «ufficiali di polizia giudiziaria» e di non mettere «autorità di pubblica sicurezza», come aveva fatto il Comitato per ragioni di euritmia con l’articolo 13. Sta bene; vi possono essere ragioni di diversità; torniamo al testo già approvato. Sempre all’articolo 21, è da avvertire che il Comitato, col consenso di tutti, e senza proposte in contrario, ha riparato ad una lacuna, prescrivendo – come è nella linea generale di questi articoli di tutela delle libertà civili – che, se l’autorità giudiziaria non li convalida entro un dato termine, i provvedimenti provvisori di polizia perdono ogni efficacia e s’intendono revocati.

Nell’articolo 25, pel quale nessuno può essere colpito se non in forza di una legge «in vigore prima» del fatto compiuto, si è proposto di mettere «al tempo» del fatto compiuto, ma non sarebbe un ritorno al testo primitivo. Il giusto e necessario ritorno è invece quello, cui si riferisce un’altra proposta, al testo «legge entrata in vigore prima del fatto compiuto». La parola «entrata» era scomparsa (anche qui si tratta di un errore di stampa) fin dall’articolo approvato dall’Assemblea. Ora la ripeschiamo, e, rimettendola qui, tutti sono accontentati.

Perdonatemi, ripeto, questo lavoro minutissimo di intarsio e di intaglio. Si tratta alle volte di sfumature pressoché insignificanti d’espressione, come all’articolo 30 dove, in caso di incapacità dei genitori, si diceva nel testo coordinato che lo Stato provvede «all’adempimento» dei loro compiti. No, dice ora una controproposta, è meglio tornare: «a che siano assolti» i loro compiti. I futuri ricercatori dei precedenti parlamentari si potranno meravigliare del punto a cui si è giunti di formalismo e di pesatura, parola per parola, sul bilancino dell’orafo. Per conto nostro, pur ritenendo non giustificata la controproposta, non vogliamo provocare votazioni e ritardi!

Nello stesso articolo 30: un’altra proposta, che colpisce… un altro errore di stampa, per l’omissione di «membri» della famiglia. Ed ecco all’articolo 31 un altro scrupolo. Per gli istituti di protezione della maternità ed infanzia il Comitato aveva messo – con un binomio od endiade che si trova in altre parti della Costituzione – «la Repubblica promuove e favorisce…». No, si contropropone, non mettiamo «promuove» per non spingere troppo innanzi la ingerenza statale. È proprio giusto? Ma sia; non faremo per ciò battaglie; torniamo al semplice «favorisce» di prima.

All’articolo 33, per l’esame di Stato, una diligente ed oculatissima proposta vuol rimettere un «o»; era già di fatto rimesso, perché ci eravamo già accorti che si trattava di un’omissione di stampa. Allo stesso articolo accontentiamo i proponenti, che vogliono nel quarto comma rimettere: la legge «deve assicurare», invece che «assicura» parità di trattamento alle scuole private. Il presente indicativo è la forma classica delle norme imperative di legge; «deve assicurare» non occorre; ma sia pure: il Comitato vuole una volta ancora dimostrare che, se ha fatto variazioni lievissime e soltanto formali, a scopo di miglioramento stilistico, ed è lieto se nessuno (come avviene per quasi tutti gli articoli) si oppone, è disposto a tornare al vecchio testo, anche quando non è convinto di tale opportunità.

Una sola proposta si ha per i rapporti economici. Pieno consenso vi è pel rimanente; così per l’articolo 36 dove il Comitato ha riparato ad un’evidente svista del testo originario, che, per la regolazione con legge della giornata lavorativa, parlava di «durata» e non di «durata massima»; e così per altre migliori e di forma, come quella che all’articolo 38 richiama i diritti dei lavoratori alla previdenza ed all’assicurazione. L’unica proposta per rapporti economici si riferisce all’articolo 47, nel quale si era, all’ultima ora di discussione d’Assemblea, immessa un’indicazione di impieghi del risparmio popolare, che a mio avviso è sempre inopportuna, se non altro perché mette in disparte quali secondari tutti gli altri possibili investimenti. Il Comitato ha stralciato tale immissione, e ridato al primo comma una più limpida linearità. Se si vuol, nel secondo comma, tornare alla dizione, in verità poco felice, del testo d’Assemblea, sia pure. La responsabilità non sarà del Comitato; che però, d’altra parte, non vuole impuntarsi e dar luogo a ritardi.

Nessuna controproposta pel titolo dei rapporti politici; dove è dunque approvata, e non poteva essere diversamente, l’aggiunta all’articolo 51 di un secondo comma; col quale – giusta un esplicito mandato ricevuto dall’Assemblea – abbiamo, con la formula che c’è sembrata migliore, parificato ai cittadini, per l’accesso agli impieghi ed alle cariche elettive, gli italiani non appartenenti alla Repubblica. È una giusta integrazione di criteri già in parte vigente, ed un doveroso riconoscimento di solidarietà ai nostri fratelli pur di recente strappati alla madre Italia.

Veniamo alla seconda parte della Costituzione sull’ordinamento della Repubblica. Le proposte di ritornare al testo originario sono ancor meno numerose che per la prima parte.

Hanno avuto pieno consenso, sia per mancanza di controproposte, sia per esplicita disamina coi capigruppo, le variazioni introdotte dal Comitato, ad esempio per non inserire nella Costituzione, ma rinviare alla legge, il riferimento ai censimenti pel numero dei deputati e senatori (era l’articolo 57 del testo originario). All’articolo 77 il Comitato, attenendosi anche qui al mandato dell’Assemblea, ha messo le mani, e riordinato e precisato il tema dei decreti-legge. Credo che vi siamo riusciti; per i decreti-legge, come per i decreti legislativi, ed in generale per le norme – e per la gerarchia delle norme – aventi valore di legge, la nostra Costituzione è tecnicamente superiore alle altre. Vi è però una proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli, la prima che non possiamo accettare (e per ciò faccio il nome del proponente, per pregarlo di ritirarla). Non so perché si dovrebbe tornare a quel testo originario, che l’Assemblea riconobbe assolutamente imperfetto e votò soltanto come base di rifacimento da parte del Comitato.

Nessuna proposta contro il testo coordinato per il Titolo sul Presidente della Repubblica. Sono lieto che si siano riconosciute giuste ed opportune le precisazioni che si sono fatte all’articolo 87 per le funzioni del Capo dello Stato, dando esplicita espressione a ciò che era implicito, in alcuni punti, ed inquadrando così, meglio, la figura di chi non è certamente un presidente-fannullone nel nostro sistema costituzionale.

All’articolo 90, per la messa in accusa del Presidente della Repubblica, l’Assemblea fece ogni riserva sulla formula di deferimento, oltrecché per alto tradimento, «per violazione della Costituzione». Si osservò che era troppo poco; si pensò di mettere violazione «grave» o «dolosa»; ma si trovò che anche questa non era sodisfacente, e si incaricò il Comitato di trovare una migliore formulazione. Esaminati tutti i lati della questione, noi riteniamo di ricorrere all’«attentato alla Costituzione», che era nello statuto italiano, ed in tante altre Carte. Il consenso, nell’adunanza dei capigruppo, e qui dell’Assemblea, è pieno e senza obiezioni.

Nel Titolo sul Governo, all’articolo 92, l’onorevole Codacci Pisanelli vorrebbe tornare al testo originario; ma credo che si accontenterà della modifica che abbiamo adottata nella riunione di Comitato e capigruppo di stamane, mettendo che il Governo è composto di un Presidente del Consiglio e di Ministri, che formano insieme il Consiglio dei Ministri. Va bene così?

Nel Titolo sulla magistratura, si propone all’articolo 107 di tornare al testo originario, per quanto concerne l’inamovibilità dei magistrati. Non è possibile; quel testo rendeva possibile l’equivoco che, col semplice consenso dell’interessato, il Guardasigilli potesse trasferire il magistrato, senza intervento del Consiglio Superiore. Il Comitato precisa, come era nell’intento dell’Assemblea, che sempre, anche quando c’è il consenso, occorre la decisione del Consiglio Superiore. Tenuto fermo questo punto, si sono apportate alcune secondarie modifiche di forma, che hanno accontentato i proponenti del rinvio.

All’articolo 112, per le norme sulla giurisdizione, il Comitato aveva ritenuto opportuno rimettere la proposizione «l’azione penale è pubblica», a cui aveva rinunciato nella discussione già avvenuta all’Assemblea, e l’Assemblea, senza votare espressamente contro la formula, aveva aderito. Sembra ora che convenga, per rinforzare l’articolo iniziale della sezione, rimettere detta proposizione. Così ha ritenuto, unanime, la riunione di questa mattina; ed i suoi compagni di Gruppo si sono impegnati a pregare l’onorevole Leone di non insistere sulla proposta di tornare al testo precedente.

Accontentatissimo, invece, l’onorevole Leone per le due virgole che propone di aggiungere all’articolo 112. Non daremo battaglia, e non voteremo sulle due virgole dell’onorevole Leone.

All’articolo 113 troviamo ancora l’onorevole Codacci Pisanelli, che vuol ritornare al testo originario; e non ricorda che, proprio qui, in base ad un emendamento dell’onorevole Calamandrei, l’Assemblea impegnò il Comitato a studiare appunto la questione della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, agli effetti anche di una eventuale annullabilità di tali atti. Questione non facile; ma è stata esaminata con molta attenzione, da tutti gli aspetti, ed è stata risoluta nella riunione di questa mattina in una forma che, tenendo conto delle preoccupazioni dell’onorevole Codacci Pisanelli, ritocca in alcuni punti il testo che vi è stato distribuito. Si è voluto togliere la interpretazione (del resto non giustificata) che, col testo coordinato, ogni autorità giudiziaria, anche un pretore, potesse annullare gli atti dell’Amministrazione. No: il testo diceva che ciò avviene «nei casi e nei limiti stabiliti dalla legge»; e per casi e limiti si intendeva anche la possibilità di escludere dal potere di annullamento una parte, la maggior parte, delle giurisdizioni ordinarie. Il potere di annullamento potrebbe opportunamente essere riservato agli organi giurisdizionali che, come il Consiglio di Stato ed alcune sezioni specializzate e miste della magistratura ordinaria (ad esempio il Tribunale delle acque) posseggono speciali attitudini e competenza per la delicata valutazione degli atti amministrativi. D’altra parte, sembra giusto considerare che, se è, con le debite cautele, ammesso l’annullamento degli atti amministrativi nei ricorsi per violazione di interessi legittimi, non si può escludere l’annullamento per violazione di diritto: la miglior soluzione è di modificare l’articolo togliendo dal primo comma le ultime parole «che possono annullare gli atti dell’amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge», aggiungendo invece come terzo comma che «la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti dell’amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge». È una variazione minima, che mette in luce quello che era effettivamente, senza alcun dubbio, l’intento del testo coordinato. Poiché poi nel primo comma si mette già la disposizione, in via generale, per la tutela giurisdizionale verso la pubblica amministrazione, è inutile ripetere l’affermazione generica nel comma che diventa ora secondo. Questo è il nuovo testo, or ora formulato, dell’articolo 113. Prego l’onorevole Codacci Pisanelli di non insistere sulla sua controproposta.

Nel Titolo delle Regioni, si è proposto di aggiungere al secondo comma (tornando al testo dell’Assemblea) la disposizione per la promulgazione e l’entrata in vigore delle leggi regionali dichiarate d’urgenza. Il Comitato non aveva creduto necessaria la disposizione ma, pel suo criterio costante di non opporsi a ciò che non è irragionevole, consente di ripristinare la norma.

Mi sembra di non aver così, altro da dire, sulle proposte presentate…

Una voce. C’è l’articolo 117.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Non vi è stata nessuna proposta di rinvio per tale articolo, o – se c’è stata – non venne presentata in tempo utile. Il Comitato non ha potuto esaminare che le proposte trasmessegli dalla Presidenza dell’Assemblea. Del resto, per l’articolo 117, il testo coordinato è il solo ammissibile, in quanto l’ultimo inciso dell’elenco delle materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni: «altre materie indicate da leggi speciali» si riferiva, nelle formulazioni a mano a mano elaborate nelle Sottocommissioni e nella Commissione dei Settantacinque, ai minori gradi di competenza legislativa, di semplice integrazione, conferita alla Regione. Sarebbe un assurdo riferirlo a quella competenza più spinta (ormai diventata unica) per la quale si è tanto discusso sulla categoria di materie che vi debbono essere comprese. Basterebbe una legge speciale per rovesciare tutto il sistema stabilito. Occorre invece, ad aggiungere altre materie, una legge costituzionale. Resta sempre, beninteso, come è nell’ultimo comma, che le leggi dello Stato possono deferire alla Regione di emanare norme per la loro attuazione. Qui si potranno aggiungere altre materie, quante si vorranno, ma nei limiti dell’attuazione, che del resto non è semplice facoltà regolamentare e può implicare in certo senso l’integrazione. Che non vi possa essere dubbio sulla soluzione data a questo argomento dal Comitato, hanno riconosciuto concordemente tutti i membri del Comitato, anche i più accesi regionalisti. La proposta, anche tempestivamente presentata, avrebbe dovuto essere respinta.

Una voce. C’è l’articolo 136.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa dell’articolo 136, e cioè la questione dei ricorsi da presentare alla Corte costituzionale, è questione che intendo riservare per ultima, insieme all’altra dell’articolo 123 sull’approvazione degli statuti regionali, perché son le due questioni a cui potranno limitarsi il contrasto e la votazione dell’Assemblea.

Lasciatemi intanto trattare delle Disposizioni transitorie e finali. Non parlo del numero III, nel quale l’onorevole Cappi ha proposto una variante, che non è rinvio al testo originario, e quindi non so se il Presidente della nostra Assemblea potrà darvi corso. Al numero IV, che concerne il Molise nella prima elezione del Senato, l’onorevole Colitto si era accontentato della formulazione più rapida e sostanzialmente sufficiente adottata dal Comitato. Ora si ricrede, e domanda di tornare alla disposizione originaria. Sia pure. Al numero VI vi è un semplice errore di riferimento; è l’articolo 112 che bisogna richiamare.

Siate buoni testimoni che ho cercato di eliminare tutte le questioni, e vi sono riuscito, tranne per alcune richieste dell’onorevole Codacci Pisanelli e dell’onorevole Leone Giovanni, per le quali, tuttavia, essendovi il consenso di tutti i membri del Comitato, si può ancora sperare che coloro che le hanno avanzate desistano. Ho lasciato sospese due questioni, su cui è più profondo il dissenso, in seno allo stesso Comitato, e difficilmente potremo evitare la votazione.

La prima questione riguarda gli statuti delle Regioni ad autonomia normale, di cui al secondo comma dell’articolo 123. Il testo originario stabiliva che per l’approvazione – e conseguentemente per la modificazione – di tali statuti occorreva, dopo la deliberazione a maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio regionale, una legge della Repubblica. Quando questo punto venne all’esame dell’Assemblea, l’onorevole Perassi rilevò che il procedimento era troppo macchinoso e non necessario, ed avanzò l’idea di sostituire all’approvazione con legge della Repubblica l’approvazione con decreto del Presidente della Repubblica, sentita una Commissione di deputati e senatori che l’Assemblea aveva già deciso di istituire per altri compiti attinenti alle Regioni, e più particolarmente per lo scioglimento dei Consigli regionali. Io dichiarai che il Comitato avrebbe trattato la questione in sede di coordinamento, e l’Assemblea ce ne diede mandato. Dobbiamo dunque decidere.

Vi esporrò obiettivamente le ragioni addotte a favore e contro la tesi del collega Perassi. Egli sostiene che gli statuti delle Regioni ad autonomia normale sono raccolte di norme relative al funzionamento interno dell’amministrazione regionale e non riguardano rapporti con lo Stato e con i suoi poteri. Posto ciò, appare eccessivo che, per un’eventuale lieve modificazione di una disposizione affatto secondaria, si debba mettere in moto la macchinosa formazione di una legge dello Stato. Può bastare, con piena garanzia, il procedimento, già acquisito alla Costituzione, del decreto presidenziale, sorretto dal parere del Comitato interparlamentare per le questioni regionali. A questi argomenti viene dall’altra parte contrapposto non potersi escludere che in uno statuto regionale non si riflettano anche rapporti con lo Stato; occorre pertanto non un semplice decreto del Presidente, che si riduce in sostanza ad un atto di governo, ma una vera legge votata dal Parlamento. Si aggiunge che con la formula Perassi si verrebbe a diminuire d’importanza lo statuto regionale.

Ecco gli argomenti. Il Comitato, dopo qualche incertezza, ha accolto a maggioranza la formula Perassi; e non può aderire alla proposta avanzata da varie parti di tornare al testo originario che, come dissi, fu votato solo provvisoriamente. Dovrà, senza dubbio, decidere una votazione dell’Assemblea.

Il secondo tema di maggior dissenso concerne la Corte costituzionale, agli articoli 136 e 137. Era sembrato necessario, nel testo portato alla discussione dell’Assemblea, che vi fossero fissate le linee fondamentali per l’essenza stessa della Corte, indicando quali sono i ricorsi che si possono presentare per l’illegittimità costituzionale. Senonché un emendamento Arata, votato un po’ improvvisamente, stabilì di rinviare ogni determinazione ad una legge ordinaria. Come ho già accennato al principio di questo mio intervento, siffatta decisione ha sollevato vive obiezioni, sostenendosi che essa non poteva essere presa, giacché poco prima l’Assemblea aveva respinto un emendamento che voleva sopprimere le norme per i ricorsi. Al che si controrisponde che altro è sopprimere, altro rinviare ad una legge ordinaria. L’onorevole Moro ed altri tenacemente risollevano la questione, ribadendo che non è concepibile una lacuna come quella costituita dalla mancanza, nella Costituzione, di un riferimento ad un punto così squisitamente costituzionale. Chiedono dunque l’inclusione di una disposizione, che il Comitato ha già elaborato, e tiene pronta nell’ipotesi che prevalga l’idea di tornare ad una determinazione nel testo delle basi di ricorso. Questo testo risulta dalle osservazioni che vi sono state distribuite. Ve lo rileggo: «La questione di legittimità costituzionale, che nel corso d’un giudizio, sia rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti e non ritenute dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione. Il cittadino o l’ente che ritenga leso in modo diretto ed attuale un suo diritto o interesse legittimo può promuovere direttamente il giudizio di legittimità costituzionale davanti alla Corte. Tale giudizio può essere altresì promosso, nell’interesse generale, dal Governo o da un quinto dei componenti d’una Camera o da tre Consigli regionali». Sono tre comma che contemplano le tre specie basilari di ricorsi: l’incidentale che sorge dal corso d’un giudizio, quello che si promuove direttamente davanti alla Corte dalla persona privata o pubblica che sia lesa in modo diretto ed attuale in un diritto o interesse legittimo (nel qual caso ha ragione di poter proporre la questione, senza attendere che sorga come incidente d’un altro giudizio); ed infine il ricorso, diremo così, del tipo di azione popolare affidato nel pubblico interesse, anche se non vi sia lesione diretta ed immediata d’un diritto o interesse legittimo, ad organi e ad espressioni dell’ordinamento costituzionale.

Il Comitato è pronto a sostenere questa formulazione, se si superano le pregiudiziali. Ad ogni modo l’onorevole Moro ed i suoi colleghi hanno dichiarato che, in via subordinata, sarebbero disposti a ripiegare sopra un’altra proposta, nel senso di modificare l’articolo 137, rinviando le norme sulla proponibilità dei ricorsi (e gli eventuali termini da stabilirsi al riguardo) non ad una legge ordinaria, ma ad una legge costituzionale; così che verrebbe eliminato l’inconveniente del silenzio in un testo costituzionale. Tale legge, aggiungono, potrebbe e dovrebbe essere approvata (come consentono le norme transitorie per la prorogatio della Costituente) entro gennaio; ad evitare che la formazione d’una legge di valore costituzionale, dopo le elezioni, richieda lungo termine, più di un anno, durante il quale la Corte non potrebbe funzionare ancora. Si aggiunge che è desiderabile che la Corte funzioni subito, anche prima delle elezioni, per garanzie contro eventuali violazioni di costituzionalità nelle leggi promosse in questo periodo dal Governo; né è da tacere che sono già in piedi questioni controverse e spinose per leggi già emanate, ad esempio, in materia penale di sanzioni contro il fascismo, sulle quali sarebbe opportuno che si pronunziasse la sola Corte costituzionale.

Avete davanti a voi le considerazioni necessarie per procedere ad una votazione con cognizione di causa.

Avrei finito, se non fosse stata presentata una proposta dell’onorevole Calamandrei, che diverrebbe il numero XVI delle disposizioni transitorie; perché entro un anno si proceda alla revisione ed al coordinamento di precedenti leggi costituzionali, che non siano state finora esplicitamente o implicitamente abrogate. Lo statuto albertino non era di tipo rigido; ma vi sono state, specialmente nel tempo fascista, leggi che avrebbero carattere costituzionale, e che non sono ancora abrogate. Occorre quindi compiere la revisione. Il Comitato non si oppone a che la proposta Calamandrei sia accolta.

Un ultimo accenno; l’onorevole Dossetti desidera che io ricordi una proposta da lui avanzata perché al primo comma del numero VIII delle disposizioni transitorie il termine di un anno per la convocazione delle elezioni dei Consigli regionali sia portato ad almeno diciotto mesi, non essendo materialmente possibile che basti un anno per tali elezioni, data la necessaria preparazione e gli altri compiti, come per l’elezione delle due Camere, cui si deve attendere in questo periodo. L’onorevole Dossetti ha rinunciato alla sua proposta; ma crede opportuno che se ne faccia menzione.

Onorevoli colleghi, ho finalmente finito. Sono stato noiosissimo, minuto, pedante forse, ma mi darete atto che sono riuscito ad evitare molte difficoltà. (Vivissimi applausi).

Ho assunto come mio dovere che la promessa di votare entro oggi la Costituzione fosse mantenuta. Vi sono riuscito. (Vivissimi, reiterati, generali applausi).

Onorevoli colleghi, l’Assemblea è ormai in grado di adempiere il suo compito e di dare all’Italia la sua Carta costituzionale. È necessaria ed urgente. L’approvazione della Costituzione assume oggi un altissimo significato. Noi viviamo ora un momento decisivo per la vita dell’Italia e per la coesistenza internazionale. In questo momento nel quale si agitano all’orizzonte fantasmi di guerra, che certamente saranno deprecati, ma tengono tutta la vita e tutti gli animi sospesi; in questo momento in cui le difficoltà economiche sono sempre gravi, e, per quanto l’Italia abbia fatto passi notevoli, si trova in una preoccupante congiuntura in cui la deflazione creditizia e produttiva coesiste con l’inflazione monetaria, e non si tende risolutamente ad una stabilizzazione generale; in questo momento nel quale vi sono ardenti lotte di parte (badate: sempre minori e così voglia il cielo che siano sempre minori che in altri paesi); in questo momento in cui tutto è in sussulto e tutto anela alla sicurezza, alla pace, alla ricostruzione; in questo momento la Repubblica sente il bisogno di una Costituzione, che rappresenta per lei qualche cosa di più saldo, qualche cosa che esce dal provvisorio, qualche cosa che è auspicio e fiducia che anche tutto l’altro sarà vittoriosamente consolidato. (Vivissimi applausi).

Finora, qui dentro, ci siamo divisi, urtati, lacerati nella stessa discussione del testo costituzionale. Ma vi era uno sforzo per raggiungere l’accordo e l’unità. Ed ora io sono sicuro che nell’approvazione finale il consenso sarà comune ed unanime, e dirò che al di sotto di una superficie di contrasto vi è una sola anima italiana. L’Italia avrà una Carta costituzionale, che sarà sacra per tutti gli italiani, uniti nell’evviva alla Repubblica ed alla sua Costituzione. (Il Presidente e i deputati sorgono in piedi – Vivissimi, prolungati applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo ora esaminare le poche questioni ancora rimaste in sospeso, dopo che stamane, sotto la direzione, come sempre efficace, dell’onorevole Ruini, siamo riusciti a superare il maggior numero dei piccoli ostacoli che erano sorti a proposito della redazione finale del testo della Costituzione.

Vi sono alcune proposte da parte dell’onorevole Codacci Pisanelli, al quale io domando se intenda sottoporle all’Assemblea.

CODACCI PISANELLI. Non ho difficoltà a ritirare le mie proposte, eccetto quella che riguarda l’articolo 113, che corrisponde al 103 approvato dall’Assemblea.

Desidererei sottoporre questa questione alla votazione dell’Assemblea, perché si è introdotta una profonda innovazione nel nostro sistema di giustizia amministrativa, consentendosi – almeno implicitamente – ai giudici ordinari di annullare gli atti amministrativi.

Questa è la ragione per cui proporrei all’Assemblea di tornare al testo originario, che non introduceva un’innovazione così profonda e che il Comitato, secondo me, non avrebbe potuto introdurre.

PRESIDENTE. L’articolo 103 nel testo approvato era del seguente tenore:

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso gli atti della pubblica amministrazione è disposta dalla legge in via generale, e non può essere in nessun caso soppressa o limitata a particolari mezzi di impugnativa, o esclusa per determinate categorie di atti».

Il Comitato di redazione lo ha sostituito col seguente articolo 113:

«Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa, che possono annullare gli atti dell’amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge.

«Tale tutela giurisdizionale è disposta dalla legge in via generale e non può essere in alcun caso esclusa o limitata per particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere del Comitato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In sostanza l’onorevole Codacci Pisanelli propone di mantenere il secondo comma dell’articolo 113 come era nel testo originario, e di sopprimere il primo comma, che è stato recentemente aggiunto nella formulazione ultima che ho precisata, e che non contiene i pericoli che preoccupano l’onorevole collega. Ho anche detto le ragioni per cui il Comitato prega di respingere la proposta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli di tornare al testo primitivo.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Vi è ora una proposta dell’onorevole Cappi, del seguente tenore:

«L’accettazione della nomina a deputato, qualora non si rinunzi entro cinque giorni dalla proclamazione, implica la rinunzia al diritto di nomina a senatore».

Poiché si tratta di una proposta la quale contraddice ad una deliberazione già votata dall’Assemblea, vi ha preclusione a che sia posta in votazione.

L’onorevole Leone Giovanni ha proposto, per quanto riguarda l’articolo 111 del testo coordinato, di tornare al primo comma dell’articolo 101 approvato dall’Assemblea. L’articolo 111 del testo coordinato è il seguente:

«L’azione penale è pubblica.

«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla».

La formula primitiva era invece del seguente tenore:

«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere del Comitato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può, dopo la decisione unanime di questa mattina, cui hanno aderito anche i colleghi di Gruppo dell’onorevole Leone, venire in contrario avviso, né pensa che la questione sia preclusa da una precedente deliberazione dell’Assemblea, che non ha respinto, ha soltanto creduto di prescindere da una formulazione, che ora nel Coordinamento si può riprendere. Ad ogni modo non daremo battaglia, ci rendiamo conto degli scrupoli teorici del collega Leone, e lasciamo all’Assemblea di decidere in un senso o nell’altro.

PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni desidera che si faccia presente che la formulazione del testo di coordinamento, della quale egli chiede la rinuncia per ritornare al testo primitivo, corrisponde a una formulazione che l’Assemblea aveva, respinto con una votazione. E, pertanto, pare all’onorevole Leone che non si tratti semplicemente della scelta fra un testo coordinato ed un testo iniziale, ma che in realtà si tratti della scelta fra un testo già respinto con una votazione dell’Assemblea ed un altro che l’Assemblea aveva approvato. L’onorevole Leone pensa che la Commissione non possa proporre di tornare ad un testo che non era stato accettato dall’Assemblea.

Poiché il Comitato di redazione ha conservato unanime la vecchia formulazione, nonostante le osservazioni dell’onorevole Leone, credo che debba l’Assemblea decidere in merito.

Pongo pertanto in votazione la proposta dell’onorevole Leone Giovanni di ritornare alla formula del primo comma dell’articolo 101, approvato dall’Assemblea.

(È approvata).

Passiamo all’articolo 123 del testo coordinato, del seguente tenore:

«Ogni Regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

«Lo statuto è deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ed è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, sentita una Commissione di deputati e senatori costituita per le questioni regionali nei modi stabiliti con legge della Repubblica».

Pongo in votazione la proposta di tornare al testo originario, articolo 124:

«Ogni Regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione, all’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione ed alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

«Lo statuto è adottato con legge deliberata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri, ed è approvato con legge della Repubblica».

(È approvata).

Onorevoli colleghi, passiamo al quesito relativo alla Corte costituzionale.

L’articolo 128 votato dall’Assemblea è il seguente:

«La legge stabilirà i modi e i termini per i giudizi sulla incostituzionalità della legge.

«Quando la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata alle Camere, perché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali».

A questo testo corrisponde l’articolo 137 del Comitato di redazione:

«La legge stabilisce le condizioni, le forme e i termini dei giudizi di legittimità costituzionale, le norme per il regolamento dei conflitti di attribuzione, e quant’altro riguarda la costituzione e il funzionamento della Corte e le garanzie d’indipendenza dei suoi componenti.

«Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione».

V’è la proposta di sostituzione col seguente:

«Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme e i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, nonché le garanzie d’indipendenza dei componenti la Corte.

«Con legge ordinaria sono stabilite tutte le norme necessarie per il funzionamento della Corte».

Pongo in votazione la nuova formulazione.

(È approvata).

Passiamo alla seguente proposta aggiuntiva dell’onorevole Calamandrei, già illustrata dall’onorevole Ruini:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della presente Costituzione si provvederà alla revisione e al coordinamento con essa delle precedenti leggi costituzionali che non siano state prima esplicitamente abrogate o che non siano compatibili con la presente Costituzione».

La pongo in votazione.

(È approvata).

Abbiamo così esaurito l’esame di tutte le questioni da sottoporre all’Assemblea per la soluzione definitiva.

LA PIRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA PIRA. Come i colleghi sanno, ieri sera ho presentato alla Presidenza una proposta, che il testo costituzionale sia preceduto da una brevissima formula di natura spirituale, una formula che dicesse: «In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione». (Commenti a sinistra).

Devo dire, per sincerità, che, prima di presentare questa formula, io ne ho parlato a quasi tutti voi, perché non fosse la mia proposta una novità assoluta. E fra l’altro ho avuto questa preoccupazione, che si trattasse, cioè, di una formula sulla quale tutti potessero concordare, cioè non di una espressione politica, ma di una frase sulla quale ci fosse il consenso interiore e totale dell’Assemblea. Con questa intesa, la formula fu presentata ieri sera, e spero che con questa stessa intesa si possa pervenire alla sua approvazione, perché mi pare che in Dio tutti possiamo convenire. Non è una professione di fede specifica, quindi possono tutti convenire: i mazziniani, per la loro formula «Dio e Popolo»: infatti si direbbe «in nome di Dio il popolo si dà la costituzione»; i liberali, perché c’è anche un neoliberalismo che accetta questo punto, e c’è anche nel marxismo una corrente notevole, la quale disancora il materialismo dialettico da quello storico. Voglio dire, in sostanza, che c’è un punto di convergenza per ogni creatura, c’è sempre una realtà superiore, e quindi, per questa ragione, se noi potessimo concordemente, al di sopra di ogni questione politica, ancorarci a questa formula, sarebbe veramente uno spettacolo di fede.

Il popolo è il soggetto, non ci sarebbero quindi questioni da sollevare, ed io pregherei pertanto tutta l’Assemblea, se fosse possibile, di votare per acclamazione, o unanimemente, la formula da me proposta. Non è, ripeto, una iniziativa di partito, anzi, siccome la questione era sorta fra vari amici, si è detto: la presenterò io, in modo che non possa dar luogo e non possa rappresentare una discussione di carattere politico. Per queste ragioni, mi son permesso fare questa proposta, sperando che possa essere accettata. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. La proposta dell’onorevole La Pira mi era già stata presentata dall’onorevole La Pira stesso ieri sera, non ancora formalmente, ma per conoscere il mio avviso in proposito.

Ho fatto all’onorevole La Pira una prima osservazione: che la sua proposta poneva una questione di principio, quella del preambolo della Costituzione.

La questione è stata, non dirò conclusa in modo preciso dall’Assemblea, ma è stata dibattuta frequentemente nel corso dei nostri lavori; e non soltanto in sede di discussione generale, ma anche successivamente, man mano che sono venuti presentandosi temi o argomenti che a qualche collega parevano più adatti ad essere inseriti in un preambolo che formulati in un articolo.

Si era poi rimessa la questione, in definitiva, al Comitato di redazione, il quale, dopo lunga ed ampia discussione, ha respinto il concetto della inserzione di un preambolo nella Costituzione. Si poteva riaprire questa discussione già conoscendosi la profonda diversità di pareri?

Ho fatto poi presente all’onorevole La Pira che sarebbe stato opportuno presentare la sua proposta un po’ prima dell’ultimo termine dei lavori, e ciò proprio per la sua importanza e per la delicatezza dei temi che avrebbe proposto ai singoli e all’Assemblea nel suo complesso. Infine, ho detto all’onorevole La Pira, che se vi fosse stato il consenso di una grande maggioranza – se non dell’unanimità dell’Assemblea – ciò avrebbe potuto probabilmente far superare le prime due difficoltà, ma che mi sarebbe occorso saperlo in precedenza.

Questa mattina ho fatto presente all’onorevole La Pira che, da notizie mie, risultava che questa grande maggioranza non vi sarebbe stata: non solo, ma che se il problema si fosse posto, altre formulazioni diverse e non concilianti sarebbero state presentate per il preambolo.

L’onorevole La Pira, obbedendo ad un impulso della sua coscienza, ha ritenuto ugualmente suo dovere di porre il problema. Io tuttavia non posso dimenticare le obiezioni che già gli avevo significate.

Alcuni colleghi hanno chiesto di parlare sull’argomento. La questione ha una delicatezza di contenuto in sé, e più è delicata per le ripercussioni che essa certamente avrà, nell’animo di tutti coloro che la conosceranno (e la conosceranno tutti gli italiani). Le parole siano dunque adeguate. Il che significa in primo luogo, onorevoli colleghi, parlare brevemente. Si evitino le parole inopportune, e si tratti per ora la questione pregiudiziale, senza contrapporre argomenti di merito ad argomenti di procedura.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevole Presidente, è un fatto che stamani, quando ci siamo alzati, faceva freddo, ma non ostante questo, quando abbiamo visto brillare il sole nel cielo di dicembre, abbiamo sperato che almeno per noi, membri dell’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, esso avrebbe brillato su una giornata di unità e di concordia. Siamo venuti qui con la convinzione di compiere un atto di unità, anzi con il deliberato proposito di scartare in questo giorno tutte le questioni, che potessero dividerci, aprire o riaprire solchi, elevare barriere. Anche quelle divisioni, che esistettero nei precedenti nostri dibattiti, volevamo che scomparissero davanti alla Nazione, perché tutti sentissero che l’atto solenne, che oggi compiamo, è un atto nel quale ci sentiamo tutti uniti. Ognuno di noi vede chiaramente nella Costituzione, che stiamo per approvare con voto solenne, l’apporto che egli ha dato e l’apporto che hanno dato gli altri. Ognuno di noi è libero di intendere l’atto che oggi si compie, a seconda della sua particolare ideologia e della sua posizione politica, in confronto e col passato e col futuro, che ognuno condanna o esalta, auspica o depreca a seconda dell’animo suo, delle sue speranze, dei suoi orientamenti. Non ostante questo, però, vi è qualcosa oggi, che ci unisce tutti, ed è il voto comune che stiamo per dare all’atto che sarà obbligatorio per tutti noi.

Io vorrei pregare tutti i colleghi di non staccarsi da questa atmosfera elevata. Vorrei pregare tutti i colleghi di non risollevare discussioni, le quali hanno già avuto luogo in sede di Commissione davanti all’Assemblea e davanti alla pubblica opinione, e che oggi non devono essere più qui riprese.

Se dovessimo aprire il dibattito sulla proposta dell’onorevole La Pira, non ci troveremmo uniti. Questo è un fatto certo. Anzi: scaveremmo tra di noi quel solco ideologico, che a proposito di altre questioni abbiamo voluto e saputo evitare. L’onorevole La Pira, del resto, ne ha convenuto, quando ha parlato con noi. La sua formula si richiama a determinate ideologie, ne respinge altre. Non so nemmeno se in campo cattolico una posizione, la quale faccia della fede qualcosa di collettivo e non soltanto personale, possa essere accolta da tutti. Comprendo come l’onorevole La Pira arrivò a questa posizione, partendo da determinate dottrine, ma non posso dimenticare che anche recentemente e da altissima sede queste dottrine sono state oggetto di attento esame e hanno dato luogo a critiche alquanto preoccupate. Anche nel suo campo, quindi, l’onorevole La Pira potrebbe non trovare tutti i consensi che vorrebbe. Certo è che egli non potrebbe trovare tutti i consensi dell’Assemblea, se si aprisse un dibattito sulla sua proposta e dovessimo schierarci a favore o contro di essa. In questo caso saremmo di fronte alla necessità di discutere e, quindi, di dividerci. Compiremmo una manifestazione, che sarebbe in contrasto con lo spirito unitario, col quale abbiamo voluto venire qui oggi e col quale vorremmo che il lavoro nostro di questa giornata venisse condotto fino alla fine.

Per questi motivi, prego l’onorevole La Pira di volere desistere dalla sua proposta.

MARCHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCHESI. Onorevoli colleghi, come ho detto poc’anzi ai colleghi di quel settore (democristiano), nessuno, dico nessuno che mi conosca, potrà accusarmi di irriverenza verso le fedi religiose o di professione di ateismo.

Ho sempre respinto nella mia coscienza la ipotesi atea, che Dio sia una ideologia di classe. Dio è nel mistero del mondo e delle anime umane. È nella luce della rivelazione per chi crede; nell’inconoscibile e nell’ignoto per chi non è stato toccato da questo lume di grazia. Ho detto testé al collega La Pira che questo mistero, questo supremo mistero dell’universo non può essere risoluto in un articolo della Costituzione, in un articolo di Costituzione, che riguarda tutti i cittadini, quelli che credono, quelli che non credono, quelli che crederanno.

Fate, colleghi, che non ci siano dissensi e divisioni tra noi, in questo ultimo giorno, così solenne per la nostra Carta costituzione.

Fate che oggi su questi banchi non siamo noi soli i fedeli servitori del Signore; fate che non soltanto noi siamo oggi gli osservatori del secondo comandamento. Io mi associo alla proposta ed alla preghiera che l’onorevole Togliatti rivolgeva ai colleghi: qui nessuno può dire di essere contro Dio, perché non sarebbe un bestemmiatore, sarebbe uno stolto. Questa nostra Carta costituzionale ha certamente grande importanza per la storia del nostro Paese, per gli sviluppi che successivamente avrà nella futura legislazione, ma facciamo in modo che non cominci con una parola grande che susciti il dissidio dei piccoli mortali.

Invito perciò il collega La Pira a ritirare la sua proposta.

CALAMANDREI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALAMANDREI. Ho chiesto la parola, onorevoli colleghi, come uno di coloro che avevano intenzione di presentare la proposta di alcune parole introduttive da premettere come epigrafe alla nostra Costituzione; ma, avendone parlato al Presidente della nostra Assemblea, mi sono sentito addurre, per non insistere in questo proposito, ragioni, di fronte alle quali mi sono inchinato. Quindi io sono d’accordo col nostro Presidente nel ritenere che ragioni procedurali impediscano ormai di prendere in considerazione questo punto.

Ma sono d’accordo anche con quanto hanno detto i colleghi Togliatti e Marchesi; sulla necessità, cioè, di non immiserire in una discussione, in cui potrebbe darsi che sui particolari non tutti fossimo d’accordo, questa grande idea di Dio. Non sono però in dissidio neanche col collega ed amico La Pira; perché, se il punto al quale siamo arrivati nei nostri lavori non ce lo avesse vietato, avrei anch’io desiderato che all’inizio della nostra Costituzione si trovasse qualche parola che volesse significare un richiamo allo Spirito. Perché, colleghi, alla fine dei nostri lavori, talvolta difficili e perfino incresciosi, talvolta immiseriti, diciamo, in questioni grettamente politiche, alla fine dei nostri lavori vi è però nella nostra coscienza la sensazione di aver partecipato in questa nostra opera a una ispirazione solenne e sacra. E sarebbe stato opportuno e confortante esprimere anche in una sola frase questa nostra coscienza, che nella nostra Costituzione c’è qualcosa che va al di là delle nostre persone, un’idea che ci ricollega al passato e all’avvenire, un’idea religiosa, perché tutto è religione quello che dimostra la transitorietà dell’uomo ma la perpetuità dei suoi ideali.

Io avevo pensato – e ve lo dico unicamente perché desidero che questo rimanga agli atti della nostra Assemblea – proporvi che questa invocazione allo Spirito e all’eternità fosse consacrato in un richiamo sul quale credo che tutti noi ci saremmo trovati concordi; in un richiamo cioè ai nostri Morti, a coloro che si sono sacrificati, affinché la grande idea per la quale hanno dato la vita, si potesse praticamente trasfondere in questa nostra Costituzione che assicura la libertà e la Repubblica. Forse, questa nostra Costituzione in pratica, per taluni aspetti, è inferiore alla grandezza della loro idea; ma tuttavia ad essa ha voluto ispirarsi. Per questo io avevo in animo di proporre che la nostra Costituzione incominciasse con queste parole: «Il popolo italiano consacra alla memoria dei fratelli caduti per restituire all’Italia libertà e onore la presente Costituzione». Questo non si può più fare, ha detto il Presidente, per ragioni di procedura. Ma tuttavia la nostra intenzione e il nostro proposito, e il fatto che nel chiudere i nostri lavori noi abbiamo pensato a coloro senza il sacrificio dei quali noi non saremmo qui, questo io spero che rimarrà scritto negli atti della nostra Assemblea. (Applausi a sinistra).

COPPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPA. È strano che in un’Assemblea del popolo italiano abbiamo sentito tre voci contrarie alla proposta La Pira. Qui c’è della gente… (Interruzioni a sinistra).

La parola gente è latina e ha il suo significato.

PRESIDENTE. Onorevole Coppa, le sarei grato, ed ella lo farà certamente, se il suo intervento restasse sullo stesso piano di quello dei colleghi che l’hanno preceduto.

COPPA. Scendo dalla stratosfera della filosofia alla pratica, perché intanto rilevo che un atto di unità limitato soltanto alla superficie non giova a nulla. Noi vogliamo dare la vernice che deve nascondere le crepe, che si trovano, che hanno il substrato nella profonda differenza delle idee che si professano. Se è efficace questa vernice, sia data pure.

Rilevo intanto la contradizione che esiste fra le affermazioni fatte dall’onorevole Calamandrei e la dichiarazione di atto sacro quale è la Costituzione.

Una Costituzione è nella vita civile di un popolo quanto di più alto si possa immaginare, e nessuna espressione più degna di quella proposta dall’onorevole La Pira potrebbe precedere come preambolo la Costituzione di un popolo che nella stragrande maggioranza professa una religione, e che avrebbe il diritto di vedere la sua Costituzione con la stessa introduzione che si è data il popolo irlandese; perché, se non erro, il popolo irlandese non ha avuto né la ipocrisia, né la vergogna di mascherare i suoi sentimenti, ed ha invocato la Santissima Trinità.

Ora si parla di maggioranza dell’Assemblea e si dimentica la maggioranza che è nel Paese. (Applausi all’estrema destra). E voialtri (Accenna all’estrema sinistra) il giorno in cui avete sostenuto la necessità di votare l’articolo 7, avete portato argomenti diversi da quelli che avete portato oggi. (Commenti – Interruzioni).

Io vi richiamo alla coerenza di quel voto e faccio mia la proposta dell’onorevole La Pira, qualora egli la dovesse ritirare. (Interruzioni all’estrema sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Era facile prevedere che porre la questione significava creare il contrasto. Si può esprimerne rammarico, ma evidentemente, onorevoli colleghi, di fronte alle affermazioni di libertà di coscienza contenute nella Carta costituzionale, che oggi voteremo, penso che da nessuna parte si possano sollevare recriminazioni nei confronti del pensiero che altri nutre ed altri vuole servire. Ed era questa la ragione per la quale, con argomenti procedurali – perché io non debbo adoperarne altri – avevo cercato di convincere l’onorevole La Pira a non porre la questione.

L’onorevole La Pira ha preferito porla, ma è evidente, onorevoli colleghi, che le ragioni procedurali che l’onorevole La Pira non ha accolte, non perdono per questo di efficacia. (Interruzione del deputato Fuschini).

Onorevole Fuschini, lei che ha seguito così attentamente i nostri lavori, sa che l’Assemblea non ha accettato preamboli. Né vale usare oggi altro termine, come intitolazione, dedica, epigrafe. Quando l’onorevole La Pira, in un suo non dimenticabile discorso in sede di discussione generale, aveva auspicato che la Costituzione avesse un preambolo, si era già valso promiscuamente di questa parola come delle altre, dedica o intitolazione. Ma la sua proposta non era ugualmente stata accolta, e non perché non vi fossero molti in quest’Aula che condividessero la sua opinione, ma proprio per le ragioni che poco fa qualche membro dell’Assemblea ha voluto ricordare.

Se la procedura talvolta serve a qualche cosa, questo è il caso, onorevoli colleghi; essa ci aiuta oggi, infatti, ad evitare una discussione pericolosa, perché nulla di peggio vi sarebbe se su questa proposta in questo momento, l’Assemblea si dividesse. Ed ognuno di noi sa già in precedenza che si dividerebbe.

È questa la ragione per la quale, escludendo assolutamente ogni valutazione di merito e di sostanza, che non mi competono, e dalle quali tuttavia in questa sede rifuggirei, proprio per evitare che quella divergenza, che purtroppo si è ritenuta di dover stimolare, maggiormente si affermi, prego l’onorevole La Pira di accedere al criterio della inammissibilità della sua proposta.

Noi, onorevoli colleghi, abbiamo accettato un Regolamento per i nostri lavori: si potrebbe dire che l’estrema delicatezza della questione ora posta travalica lo stesso Regolamento; ma, superando il Regolamento, si creerebbe una profonda divergenza nella nostra Assemblea. Perciò ora più che mai il Regolamento non può essere ignorato.

Per questo, dico all’onorevole La Pira, e all’onorevole Calamandrei che, pur con vivo rammarico, dal momento che il Comitato di redazione ha già reso conto di tutto il suo lavoro dall’Assemblea e questa ha votato sulla materia che era all’ordine del giorno, non ritengo più proponibile nessuna richiesta o istanza.

GUERRIERI FILIPPO. Senza Dio non si costruisce!

LA PIRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA PIRA. Onorevoli colleghi, vorrei dire che la mia proposta ha voluto essere – per le ragioni che ora spiegherò – una proposta di unione e non di divisione. Siccome prevedevo che la questione sarebbe sorta in Assemblea, allora, per evitare ogni dissenso politico e per trovare un punto di identità, mi sono permesso di parlarne in ultimo. Proprio per questa ragione unitaria e non per uno scopo di scissione: questo, del resto, è anche il mio temperamento, che cerca sempre di fare ponti e suture.

Quindi, le parole nobili dell’onorevole Togliatti e quelle calde, interiori degli amici Marchesi e Calamandrei, non sono in contrasto con quanto ho detto, perché, siccome prevedevo e sapevo che la questione sarebbe sorta in Assemblea, per evitare una scissione e per evitare che la questione avesse assunto un carattere politico – cioè di aderenza a questo o a quel partito – mi sono permesso di assumere la responsabilità di presentare quella proposta. V’era già un’altra proposta, infatti, e proprio per trovare un punto di unione, ho fatto la mia, non per scindere, ma per unire. Ora, come si fa, dico io, ad eliminare la questione, se la questione c’è ed è sorta, ed è sorta già all’epoca delle dichiarazioni dell’onorevole Lucifero, il quale disse: «accantoniamo il problema; lo riprenderemo al termine dei nostri lavori»?

Quindi, pregherei vivamente di riflettere su questo punto, per evitare quella divisione alla quale nessuno di noi vuole andare incontro. Pregherei vivamente gli onorevoli Togliatti, Basso, Nenni, Marchesi e tutti gli altri amici di vedere di trovare questo punto d’incontro.

In fondo, se ben consideriamo, con la formula «Il popolo in nome di Dio si dà la Costituzione» facciamo una constatazione di fatto. (Commenti a sinistra).

Io pregherei vivamente di considerare la questione.

Se potessimo unificare le due formule, quella dell’onorevole Calamandrei e quella presentata da me, non sarebbe cosa veramente opportuna? Le più grandi, le più importanti tappe hanno sempre questa affermazione: tutte le Costituzioni americane, quella svizzera, tutte le Costituzioni che derivano dalla Rivoluzione francese, quella del Venezuela del 4 luglio 1897: tutte recano all’inizio questa affermazione.

L’importante è di non fare una specifica affermazione di fede, come è nella Costituzione irlandese: «In nome della Santissima Trinità»; ma perché rifiutarci di dire: «In nome di Dio»? Prego quindi vivamente i colleghi di tutti i settori di voler riflettere su ciò; perché, se la questione è sorta, come si può eliminarla?

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. In Inghilterra è abitudine, nelle grandi occasioni, alla fine dei lavori legislativi, e il principio di essi, che tutti i deputati vadano nella Cappella di Westminster a pregare. E vi si recano deputati di ogni parte, che sono anglicani, cioè terribilmente antipapisti, cattolici e rappresentanti di religioni non ariane ed anche rappresentanti di religioni semitiche dell’Asia.

Io non trovo dunque strana questa proposta, né che tutti secondo la propria fede vadano a pregare per la patria comune. E sopra tutto dove i Parlamenti esistono per antica tradizione. Anche in monarchie antiche e tradizionali si pregava o non si pregava secondo situazioni particolari.

Manifestazioni comuni avvenivano. Avvenivano sopra tutto in paesi protestanti. Da noi, nei vecchi parlamenti, per quanto io sappia, non vi erano preghiere in comune. Non so se nel Parlamento subalpino per lo Statuto durato dal 1848 a ora si facevano preghiere in comune.

Non credo, comunque, che questa consuetudine profondamente cristiana possa diventare in Parlamento ragione di divergenze politiche: questa è materia su cui vi possono essere ragioni di divergenza spirituale, non politica. Iddio è troppo grande, Iddio è al disopra di tutte le cose, e tutte le anime credenti debbono impiegarsi a servirlo nel comune desiderio del bene dell’umanità.

Dunque non è la proposta che trovo strana, ma trovo strano che essa venga sottoposta in questo momento a voto, quando reca qui dentro – e noi sapevamo che dovesse recare – una divisione profonda. Perché ci dovremmo dividere sul nome di Dio? Il nome di Dio è troppo grande e le nostre contese sono troppo piccole.

Io ho sofferto molto che questa proposta sia stata avanzata: io soffrirò anche di più se questa proposta verrà respinta.

L’idea di Dio è talmente grande e universale che non può essere materia di controversie politiche. Far discendere Dio in controversie di un’aula parlamentare è umiliare la dignità dello spirito. Il nome di Dio non deve essere nominato in contrasti politici, che non hanno niente di grande.

Tutte le anime credenti, sia pure in forma diversa, servono Dio nel desiderio del bene dell’umanità.

Nel Parlamento subalpino, in occasione della Costituzione del 1848, che è vissuta fino ad ora, non avvennero speciali funzioni, benché vi fosse una monarchia molto religiosa e il Parlamento fosse composto di uomini educati e vissuti nella religione: ma non vi furono solennità religiose speciali.

Si farebbe equivoco di cosa che non esiste, la divisione fra credenti e non credenti, e si potrebbe speculare su di essa.

Insediando questa Assemblea Costituente non vi è stata alcuna invocazione religiosa né alcuna preghiera in comune. Perché ora, alla fine dei suoi lavori, l’Assemblea deve mutare? Che cosa è mutato in essa?

Per molti anni dopo il 1870 la Chiesa Cattolica è stata in Italia in dissidio politico con lo Stato, ma anche dopo gli Accordi Lateranensi le funzioni parlamentari non hanno dato luogo a funzioni religiose.

Mancava la tradizione e non ve ne è stata la necessità.

La proposta che ora si fa da persona rispettabilissima e che è anche e sopra tutto un’anima credente, non è discutibile per le intenzioni, ma per la opportunità.

Data la divisione degli spiriti e non essendovi la tradizione, la discussione inevitabile finirebbe con avere carattere politico e sarebbe materia di divisione.

Dividerci e non essere concordi nel nome di Dio, cioè nella espressione più alta dello spirito umano, è umiliazione. Le nostre contese sono troppo piccole e il nome di Dio è troppo grande, perché vadano assieme.

Io ho sofferto quando questa proposta è stata fatta, ma soffrirei ancor più se non fosse accolta da unanime consenso e avesse anzi non pochi dissensi.

Io ho potuto anche questa volta ammirare la saggezza del nostro Presidente. Egli si è studiato di evitare una discussione e forse una contesa deplorevole al momento della chiusura dei nostri lavori. La discussione turberebbe l’Assemblea inutilmente, e creerebbe forse un dissidio che non deve esistere.

Le ragioni dette dal Presidente non entrano nel merito della idea religiosa, che non deve essere discussa. Sono però tali dal punto di vista parlamentare, che provano non solo la opportunità, ma il danno di una inevitabile e irritante discussione. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole La Pira, l’impulso che l’ha mossa, tutti lo sappiamo, e l’onorevole Nitti nelle sue ultime parole lo ha rilevato in modo mirabile, è stato di unità e di concordia.

Ma a volte possiamo sbagliare sulle conseguenze delle nostre azioni e sui fini che si intendono raggiungere. Prendendo la sua iniziativa ella non aveva forse valutato tutte le conseguenze che avrebbe determinato.

Dopo questa breve, composta e degna discussione, io credo che lei si sia reso conto che in realtà non con un atto di unità si concluderebbe la nostra seduta, se insistesse nella sua proposta, indipendentemente dall’inammissibilità. Per non incrinare, sia pure soltanto la superficie (onorevole Coppa, certe volte anche la conservazione di un ultimo velo di unità può costituire una grande garanzia), occorrerebbe che ella, con quello stesso impulso di bontà che l’ha mossa a fare la proposta, ci dicesse (perché dispiacerebbe giungere alla stessa conclusione per altra via) che comprendendo, accetta di ritirarla. (Approvazioni).

MEDA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ho pregato l’onorevole La Pira di ritirare la sua proposta; prego quindi i colleghi di non allargare la discussione.

MEDA. Chiedevo di parlare solo per dire una parola di concordia.

PRESIDENTE. Credo di potere interpretare il silenzio dell’onorevole La Pira come adesione al mio invito deferente e cortese. (Vivi applausi a sinistra).

LA PIRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA PIRA. A me non resta che partire dal presupposto e dal punto di vista dal quale mi ero mosso, e cioè che vi fosse una unità, un consenso in tutta l’Assemblea. Ma evidentemente se questo consenso non vi fosse, e vi dovessero essere motivi di screzio profondo, di disunione fra gli animi, non so veramente cosa dire, perché ciò va contro il punto di vista dal quale ero partito. Ripeto: perché ho presentato quella proposta? Perché sapevo che sarebbe stata presentata in altro modo e avrebbe allora provocato un profondo dissenso in seno all’Assemblea Costituente. E allora mi sono fatto portatore di pace e di unità. Ma se la pace e l’unità non si possono raggiungere, che cosa devo dire?

COPPA. La procedura sbarra il passo a Dio! (Commenti animati a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, prego! Onorevole La Pira, prosegua.

LA PIRA. Francamente, se tutto questo dovesse produrre la scissione nell’Assemblea, io per conto mio non posso dire che questo: che ho compiuto secondo la mia coscienza il gesto che dovevo compiere. (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Molte congratulazioni).

Annunzio di nomine di Sottosegretari di Stato.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ho l’onore di informare l’Assemblea Costituente che il Capo Provvisorio dello Stato, con decreto 22 dicembre 1947, su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dall’onorevole generale Luigi Chatrian dalla carica di Sottosegretario di Stato per la difesa.

Con altro decreto, in pari data, sentito il Consiglio dei Ministri, sono stati nominati Sottosegretari di Stato per:

la grazia e giustizia: l’onorevole avvocato Vittorio Badini Confalonieri, deputato all’Assemblea Costituente;

il tesoro (Danni di guerra): l’onorevole avvocato Antonio Cifaldi, deputato all’Assemblea Costituente;

la difesa: l’onorevole avvocato Ugo Rodinò, deputato all’Assemblea Costituente;

la pubblica istruzione: l’onorevole avvocato Giuseppe Perrone Capano, deputato all’Assemblea Costituente;

i lavori pubblici: l’onorevole Emilio Canevari, deputato all’Assemblea Costituente;

l’agricoltura e foreste: l’onorevole avvocato Giovanni Cartia, deputato all’Assemblea Costituente;

le poste e telecomunicazioni: l’onorevole dottor Francesco De Vita, deputato all’Assemblea Costituente;

il lavoro e previdenza sociale: l’onorevole Luciano Magrini, deputato all’Assemblea Costituente;

la marina mercantile: l’onorevole avvocato Nicola Salerno, deputato all’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Presidente del Consiglio di questa comunicazione.

Relazione della Commissione di indagine sulle accuse mosse al deputato Chieffi.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, come l’Assemblea ricorda, alcuni giorni or sono, su richiesta dell’onorevole Chieffi, a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento ho proceduto alla nomina di una Commissione incaricata di esaminare il fondamento di talune accuse che gli erano state mosse.

La Commissione ha compiuto il proprio lavoro e l’onorevole Gasparotto, Presidente, ha chiesto di potere riferire all’Assemblea.

Rendo noto che contemporaneamente mi è stato consegnato il testo di una relazione di minoranza e il testo di una dichiarazione personale di uno dei membri della Commissione, che ha espresso il desiderio di poter dichiarare le ragioni per le quali non ha aderito né alle conclusioni di maggioranza né a quelle di minoranza.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Io credo che, data la solennità della seduta alla quale stiamo partecipando, dato anche il breve spazio di tempo che ci è concesso, sia opportuno rinviare la lettura delle relazioni alla ripresa dei lavori in gennaio.

Una voce al centro. V’è di mezzo l’onore di un collega.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, fa proposta formale in questo senso?

DUGONI. Sì.

SCOCA. Non possiamo rinviare.

PRESIDENTE. L’onorevole Gasparotto ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

GASPAROTTO, Presidente della Commissione. La Commissione non può che rimettersi all’Assemblea.

DUGONI Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Credevo di trovare concorde l’Assemblea su questo punto; ma se l’Assemblea non è concorde ritiro la mia proposta.

PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di parlare l’onorevole Gasparotto.

GASPAROTTO, Presidente della Commissione. L’Assemblea Costituente, onorandoci della sua fiducia, ci ha conferito il mandato di giudicare, a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento, sul fondamento delle accuse mosse, nella seduta del 13 dicembre 1947, dai deputati Cianca e Lussu al deputato Chieffi.

La Commissione, innanzi tutto, ha sentito gli onorevoli Cianca e Lussu. Il primo ha dichiarato che l’accusa di «collaboratore dei tedeschi», lanciata contro l’onorevole Chieffi, «traeva origine dalle notizie riferite dal settimanale Il Solco (organo del Partito sardo di azione) e, più particolarmente, dal giudizio espresso dal procuratore generale e dal giudice istruttore nel processo contro Del Fante, nonché da voci riferitegli da qualche deputato sardo». L’onorevole Lussu ha dichiarato che l’accusa di «fornitore di donne ai tedeschi», da lui lanciata contro l’onorevole Chieffi, «si rilevava da una istruttoria provocata dallo stesso onorevole Chieffi contro persone che questi riteneva potessero nuocergli», istruttoria della quale aveva data notizia il settimanale Il Solco. Aggiungeva che, al momento in cui aveva lanciato l’accusa, era a conoscenza della querela sporta dall’onorevole Chieffi contro detto giornale.

La Commissione, pur non avendo i due accusatori presentato documenti autentici a fondamento delle accuse, ha creduto di richiamare, a mezzo del Ministro di grazia e giustizia, gli atti di due precedenti processi penali e di poter portare su di essi la sua indagine, nonché di raccogliere, anche direttamente, altri elementi di valutazione a mezzo di testimoni.

Di tali due procedimenti uno è a carico di tal Del Fante per il delitto di collaborazione con il tedesco invasore, e si è concluso con sentenza istruttoria di proscioglimento «perché il fatto non sussiste»; il secondo è a carico dell’onorevole Chieffi e di altri per lo stesso delitto di collaborazione e si è concluso, nei riguardi dell’onorevole Chieffi, su conforme richiesta del procuratore generale, «per non aver commesso il fatto», con sentenza istruttoria di proscioglimento, contenente valutazioni apologetiche per l’attività partigiana da lui svolta.

L’esame di tutti gli atti processuali ha confermato la inesistenza del fatto della collaborazione da parte dell’onorevole Chieffi.

Senza ripetere le considerazioni del giudice penale, svolte sulla base di prove acquisite con ampio esercizio dei poteri di indagine, l’esame obiettivo degli atti del processo e degli elementi accertati direttamente ha portato la Commissione a ritenere per fermi i seguenti punti:

1°) La permanenza dell’onorevole Chieffi, per altro saltuaria, durante il periodo dell’occupazione nazista di Roma, nel suo impiego amministrativo presso la Società Stacchini, requisita e controllata militarmente dai tedeschi, fu consentita – come ha testualmente dichiarato avanti alla Commissione uno dei membri del Comitato esecutivo antifascista e come sorge, con ampio conforto di prove, dagli atti del processo penale – dal Comitato supremo militare della resistenza in Roma. Nell’esercizio della sua attività nell’interno della Società Stacchini, l’onorevole Chieffi agì di concerto con i due eroici generali dell’aeronautica Lordi e Martelli, dirigenti tecnici della medesima società, tratti in arresto nel gennaio 1944 dalle SS. tedesche per la loro opera di sabotaggio e, quindi, trucidati alle Fosse Ardeatine; egli consegnò alle forze partigiane quantitativi di esplosivi e ragguardevoli somme di denaro, derivanti gli uni e le altre dalla ditta Stacchini, e comunicò al Comando alleato piani dello stabilimento stesso. L’onorevole Chieffi fu materialmente estraneo ad ogni rapporto di collaborazione, risultando, tra l’altro, che sinanco alcuni ordini di servizio intimanti agli operai l’osservanza dell’obbligo di lavoro furono firmati dallo Stacchini e non da lui, ed egli si prestò a recarsi a Milano per conto della ditta Stacchini, in unione al maresciallo tedesco addetto al controllo della medesima e alla interprete, per riscuotere una somma spettante alla Società, allo scopo di poter effettuare un viaggio, altrimenti assai difficoltoso, che gli era necessario per poter assolvere a Parma, sede del Tribunale speciale, una missione di salvataggio, che fu coronata da successo, missione affidatagli da autorevoli membri del Fronte della resistenza, in favore dei patrioti onorevole Angelucci e dottor Intersimone.

2°) Nell’attività dell’onorevole Chieffi non può riscontrarsi l’ipotesi maliziosa del cosiddetto «doppio gioco» – secondo l’accusa fatta innanzi alla Commissione dall’onorevole Lussu – poiché questo si è verificato quando l’attività è stata diretta indifferentemente al raggiungimento della vittoria nazista e al trionfo partigiano con simulazioni e dissimulazioni e senza che l’agente si sia decisamente impegnato, con rischio suo e dei suoi, in una delle due cause; laddove l’onorevole Chieffi ha esposto – come sorge da univoche e numerose testimonianze di varia fonte politica e militare – se stesso e i suoi familiari a pericoli concreti di rappresaglia nazista, dalla quale si salvò non senza difficoltà, e che lo costrinsero più volte alla macchia.

3°) All’unanimità è rimasta esclusa l’accusa mossa dall’onorevole Lussu di aver fornito donne ai tedeschi.

Tutto ciò considerato, la Commissione, a maggioranza di sette membri, e nell’assenza giustificata di due: Della Seta e Cacciatore; dissidenti, gli onorevoli Foa e Reale Eugenio, ha concluso che le accuse di collaboratore dei tedeschi e di fornitore di donne agli stessi, lanciate, durante il tumulto della discussione, contro l’onorevole Chieffi rispettivamente dagli onorevoli Cianca e Lussu, sono senza fondamento sotto ogni profilo. Esse sono state mosse dagli onorevoli Cianca e Lussu sulla traccia di una pubblicazione del settimanale Il Solco riportante, non sempre con assoluta fedeltà al testo, apprezzamenti non favorevoli all’onorevole Chieffi contenuti nella requisitoria e nella sentenza istruttoria del procedimento a carico di Del Fante, apprezzamenti smentiti in pieno dalla successiva requisitoria e dalla sentenza nel procedimento a carico dell’onorevole Chieffi, nonché dalle indagini compiute dalla Commissione.

BERTINI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTINI. Onorevoli colleghi, bisogna essere rigidamente osservanti del Regolamento quando in specie si tratta di questioni che implicano la dignità personale dei colleghi. Quindi, ho l’obbligo, anche per quella esperienza parlamentare che ho acquistato nell’assistere a discussioni di questo tipo, di far rilevare, a chi volesse prenderne l’iniziativa, che discussioni di carattere individualistico sono contrarie alla prassi parlamentare.

Anzitutto, poniamo i termini della questione, distinguendo fra quella che fu la discussione fatta all’Assemblea in seguito alla relazione della Commissione degli Undici e quella che, suppongo, si vorrebbe fare oggi sulla relazione dell’onorevole Gasparotto a proposito del caso dell’onorevole Chieffi.

Rilevo – e lo ha già detto l’onorevole Presidente esattamente, allorché ha introdotto la discussione su questo argomento – che la relazione dell’onorevole Gasparotto si basa sull’applicazione dell’articolo 80-bis del Regolamento della Camera. Da quest’articolo, si deduce che l’Assemblea – ed è detto esplicitamente – ha una sola facoltà, quella di prendere atto o non prendere atto delle conclusioni della Commissione. E perché? Non tanto, perché vi sia di mezzo una questione di delicatezza personale, sulla quale delle discussioni potrebbero essere avventate o odiose, ma per un’altra ragione di più alto conto: quella che attiene al contenuto giuridico e alla competenza della Commissione nominata a termini dell’articolo stesso.

Voi osserverete esattamente – e non v’è altra interpretazione che possa farsi – come l’articolo 80-bis equipari il mandato, che si affida a questa Commissione nominata dall’Assemblea nel caso specifico, ad un vero e proprio giurì. Il che vuol dire che il giurì di per sé ha due caratteri: il carattere della collegialità ed il carattere di riservatezza che si impone a tutti, nel senso che non si possa evadere da quelli, che sono gli stretti confini della natura e della portata di un giurì di onore.

Ora, o signori, se v’è una collegialità, vi deve essere anche una decisione, la quale, presa all’unanimità o a maggioranza, porta con sé la qualità di giudici in coloro che deliberano sull’oggetto deferito alla Commissione.

Sarebbe strano che dei giudici, dopo aver preso parte ad un giudizio collegiale, successivamente durante una discussione qualsiasi, magari in un giudizio di appello o davanti allo stesso tribunale, mentre il presidente dà conto della sentenza, venissero su a dire: noi vogliamo far sapere come abbiamo votato o vogliamo far sapere che dissentiamo per queste ragioni dalla decisione collegiale.

Sarebbe una mostruosità giuridica e sarebbe poi, dico di più, una mostruosità morale. (Vivi applausi al centro ed a destra).

Vi è un precedente, che è l’ultimo e notevolmente dibattuto nella legislatura 25a; a quel dibattito ebbi, per i miei anni, opportunità di assistere. Si trattava dell’inchiesta sul caso dell’onorevole Vacirca. Anche in quel caso fu fatto appello all’articolo 80-bis del Regolamento e si ebbe una relazione di un magistrato, di un magistrato altissimo, l’onorevole Marracino. Sorse allora la stessa questione davanti alla Camera, letta la relazione dall’onorevole Marracino, come, mi pare, si vorrebbe fare ora da parte di coloro che hanno chiesto di parlare. E la Camera allora affermò nettamente, per bocca del Presidente della Commissione, onorevole Tedesco, che la Camera stessa aveva una sola facoltà, quella di prendere o non prendere atto delle conclusioni della Commissione. Il resto viene abbandonato al segreto della collegialità.

Perché, in sostanza, o signori, si avrebbe un ripercuotersi di diversivi, i quali non sono da ammettersi in una questione come questa, la quale è stata esaminata con tutta serenità da una Commissione presieduta da un uomo come l’onorevole Gasparotto; e si darebbe a credere che si voglia fare un dibattito su una questione nella quale soltanto ci affidano e il concetto di competenza, riconosciuto alla Commissione, e, in secondo luogo, la natura tutta riservata e collegiale del deliberato preso. Il discutere, o signori, sarebbe un’onta che noi faremmo al galantomismo dei componenti della Commissione e alla solidarietà ed al rispetto che dobbiamo avere verso di loro. (Vivi applausi al centro e a destra). Mi oppongo pertanto a qualsiasi proposta che esca dai termini della mozione d’ordine da me richiamata.

FOA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

FOA. Sulla mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Sta bene. Faccio però presente che per il richiamo al Regolamento (così interpreto le dichiarazioni dell’onorevole Bertini) possono parlare soltanto un oratore contro e uno a favore. Vorrei che l’onorevole Bertini precisasse, per la chiarezza. Egli ha parlato di discussione. Vorrei che egli precisasse se intende come discussione la lettura di una relazione di minoranza. Infatti, onorevole Bertini, nel precedente da lei invocato – e che è perfettamente corrispondente alla realtà – la Camera si trovò di fronte a una relazione di unanimità della Commissione; da parte di deputati che non facevano parte della Commissione si richiese la possibilità di discutere, ed è su questa richiesta che la Camera deliberò in senso negativo.

Il problema, ora, si presenta in modo diverso, perché la Commissione non è stata unanime e sono state presentate due relazioni: una di maggioranza e una di minoranza. Prego pertanto l’onorevole Bertini di voler precisare i termini della sua pregiudiziale.

BERTINI. La mia pregiudiziale è nel senso che, trattandosi di un giudizio – secondo la funzione della Commissione nominata dall’onorevole Presidente – collegiale, per il significato, da interpretarsi restrittivamente, dell’articolo 80-bis, sulla relazione della Commissione non può offrirsi alla Camera altra soluzione che questa: prendere atto o meno delle conclusioni della Commissione.

CALAMANDREI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A favore o contro la tesi dell’onorevole Bertini?

CALAMANDREI. Contro.

PRESIDENTE. Occorre che si metta d’accordo con l’onorevole Foa.

FOA. Rinunzio a parlare, a favore dell’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha facoltà di parlare.

CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, sono d’accordo con l’onorevole Bertini nel ritenere che, di fronte al risultato di una Commissione d’inchiesta comunicato alla Camera, la Camera non possa far altro che prenderne atto o non prenderne atto. Ma qui, se ho ben capito, la questione è un’altra.

Si tratta di vedere se, prima di decidere se prender atto o meno delle conclusioni della Commissione, l’Assemblea abbia non solo il diritto, ma il dovere di essere informata pienamente delle resultanze delle indagini affidate alla Commissione, di conoscere cioè non soltanto la opinione della maggioranza della Commissione, ma anche le opinioni della minoranza, consacrate in un’apposita e separata relazione.

Ritengo che questo diritto e dovere dell’Assemblea, di essere informata appieno, non sia affatto in contrasto con la lettera e con lo spirito dell’articolo 80-bis. Evidentemente, se i deputati hanno il potere di non prender atto dei risultati della relazione della Commissione, hanno anche il diritto e il dovere di conoscere le ragioni che possono spingerli a non prenderne atto. (Commenti al centro).

Ma mi pare che la questione abbia, oltre che un aspetto giuridico, anche un aspetto politico e, direi…

BETTIOL. Non ha un aspetto politico!

CALAMANDREI. …un aspetto morale. Come è possibile che di fronte ad accuse gravi, come quelle che sono state lanciate contro un nostro collega, noi possiamo in coscienza prendere una decisione e dare un voto pro o contro questo collega, pro o contro i colleghi che lo hanno accusato, quando si sappia che esistono notizie e considerazioni tenute segrete, che l’Assemblea non conosce, e che hanno persuaso ad andare in opinione diversa da quella della maggioranza di colleghi egualmente rispettabili, egualmente insospettabili come imparziali inquirenti, quali sono i colleghi della Commissione rimasti in minoranza?

Il collega Bertini ha detto che è inconcepibile che la risposta di un collegio giudiziario possa lasciare apparire in pubblico l’opinione della minoranza. Devo ricordare all’onorevole Bertini che le varie legislazioni processuali svizzere, tanto penali quanto civili, consentono che nei collegi giudiziari, quando vi sono componenti che dissentono dal parere della maggioranza, questi facciano un voto di minoranza che viene pubblicato insieme con la sentenza. Anche nella procedura giudiziaria l’idea che l’opinione dei dissenzienti sia manifestata pubblicamente non è un’assurdità.

BERTINI. La incaricheremo di fare un nuovo Codice di procedura civile, come quello che ha già fatto. Ella ha contribuito a fare quel bel Codice di procedura civile che abbiamo oggi!

CALAMANDREI. Onorevole Bertini, parlo dei codici svizzeri, e non credo che ella possa ritenermi responsabile della legislazione svizzera. Stia bene attento a quel che dico.

BERTINI. Parlo di quello italiano e non di quello svizzero.

CALAMANDREI. Qui noi non ci troviamo… (Interruzione del deputato Bertini).

Onorevole Bertini, vedo che lei continua a parlare di me e mi addita ai suoi compagni. Se ha qualche cosa da dirmi quando si esce me lo dica ed io le risponderò; ma eviti di introdurre qui argomenti che non hanno senso! (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Prosegua, onorevole Calamandrei.

CALAMANDREI. Stavo dicendo che anche se non ci fossero nelle legislazioni esempi di voti di minoranza ai quali si dà pubblicità anche nei giudizi ordinari, qui bisogna ricordarci che non ci troviamo di fronte al responso di un organo giudicante. La relazione della Commissione è soltanto la relazione di un organo istruttorio; sui dati istruttori che la Commissione ci fornisce è l’Assemblea che deve deliberare e decidere. L’efficacia deliberante, giuridica e politica, siamo noi che dobbiamo conferirla a questi materiali istruttori che ci vengono forniti. Ed allora, se ci vengono forniti materiali istruttori, è giusto, è opportuno, è necessario che noi conosciamo, per la nostra coscienza e nell’interesse stesso dell’inquisito, il parere della minoranza, cioè una parte di quei dati istruttori sui quali noi dobbiamo avere un’opinione completa. È lo stesso inquisito che non può desiderare che noi decidiamo conoscendo soltanto una parte della verità. (Commenti al centro).

CIFALDI. Chiedo di parlare, in favore della pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Onorevoli colleghi, credo che non possiamo non tener conto della natura del giudizio sul caso Chieffi, che è il giudizio di una Commissione d’inchiesta adottato con una decisione collegiale. Ed io ritengo che, trattandosi di una decisione collegiale, non è possibile poter guardare in che modo si è giunti alla decisione finale, cioè non è possibile voler chiedere di nuovo la ricostruzione dei vari apprezzamenti e delle varie valutazioni per arrivare a questo unicum che rappresenta la decisione collegiale.

La decisione emessa dalla Commissione di inchiesta non ha potuto non tener conto delle ragioni che i colleghi con opinione diversa da quella della maggioranza espressero appunto in sede di Commissione; e vorrei dire all’onorevole ed illustre maestro Calamandrei che di queste ragioni è stato tenuto conto indubbiamente nella motivazione della decisione. Come egli sa, da maestro, tutte le sentenze, quando vengono espresse nella loro parte motivata, contengono argomenti a favore della tesi prevalente accolta dal collegio nella sua decisione finale, e contengono anche le ragioni in contrario ma che sono contradette, vittoriosamente contradette, dalla decisione terminale. Sicché l’Assemblea conosce non solo le ragioni che hanno indotto la Commissione a giungere alla conclusione favorevole all’onorevole Chieffi ma anche quelle che sono state affacciate in contrario. Così noi abbiamo potuto apprendere, ad esempio, da quanto l’onorevole Gasparotto ci ha detto in merito, il viaggio fatto dall’onorevole Chieffi, mi pare, a Parma, in compagnia di un maresciallo delle «S.S.», ciò che poteva farlo figurare come un collaborazionista (Interruzioni all’estrema sinistra), mentre è poi risultato che l’onorevole Chieffi si valse di quella compagnia per poter giungere a Parma ed espletarvi un incarico per la lotta clandestina.

Essendo pertanto la decisione a carattere collegiale, non è consentito ai componenti del collegio i quali abbiano dissentito dalle conclusioni della maggioranza di voler ripetere il dibattito in quest’Aula. Della decisione collegiale l’Assemblea deve prendere atto, senza che sia possibile per essa riprendere la discussione di merito.

PRESIDENTE. Sul richiamo al Regolamento dell’onorevole Bertini, il quale sostiene che, per l’articolo 80-bis, udita la relazione di maggioranza letta dall’onorevole Gasparotto, l’Assemblea non possa che limitarsi a prenderne atto senza udire ulteriori interventi, sia di altri commissari come di estranei alla Commissione, hanno parlato, a tenore dell’articolo 85 del Regolamento, un deputato a favore e uno contro.

Devo ora porre in votazione il richiamo al Regolamento.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto (Proteste al centro – Commenti prolungati).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio! Ad ogni proposta vi sono sempre almeno cento deputati che ritengono, vociando, di esprimere il loro avviso. Quale libertà ed autorità lasciano in tal modo alla Presidenza?

Onorevole Lussu, in questa sede non sono ammesse dichiarazioni di voto, perché il Regolamento fissa con precisione il numero di coloro che possono parlare e la dichiarazione di voto è un intervento.

LUSSU. È un’altra cosa!

PRESIDENTE. È la stessa, precisa cosa.

Una voce al centro. E poi, l’onorevole Lussu non può votare! (Commenti).

LUSSU. Onorevole Presidente! Abbiamo sempre parlato per dichiarazioni di voto! La prego di leggermi il testo del Regolamento che dice questo. (Commenti al centro). Durante tutte le sedute abbiamo sempre parlato per dichiarazioni di voto.

ALDISIO. È una questione di sensibilità morale, onorevole Lussu. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Aldisio, la prego!

Onorevole Lussu, l’articolo 88 dice:

«Chiusa la discussione generale, ai Ministri è data facoltà di parlare per semplici dichiarazioni a nome del Governo e ai deputati per una pura e succinta spiegazione del proprio voto».

Noi, salvo errore, non ci siamo trovati a fare una discussione generale: ci siamo trovati di fronte a un richiamo al Regolamento, per il quale il Regolamento stesso fissa con precisione all’articolo 85 che possono parlare un deputato a favore e uno contro.

Non si tratta di una discussione generale. E si stabilisce anche, per la maggior precisione, che la votazione avvenga per alzata e seduta.

Tutto è previsto e regolato. E pertanto procediamo a norma dell’articolo 85.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per che cosa? Vuole fare anche lei un richiamo al Regolamento?

LUSSU. Sì.

PRESIDENTE. Parli, onorevole Lussu!

LUSSU. L’articolo 85 del Regolamento parla esclusivamente del diritto a parlare prima della votazione. Per togliere a un deputato il diritto di specificare le ragioni del proprio voto è necessaria una esplicita norma di Regolamento: e una siffatta norma non v’è; il Regolamento dice che possono prendere la parola due deputati per discutere a fondo; ma non vieta le semplici dichiarazioni di voto. Mai si è impedito a un deputato di esprimere succintamente il suo voto. Non c’è nessun Regolamento né qui, né al Senato, né in Inghilterra, né in Francia che stabilisca questo! (Commenti al centro e a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, il Regolamento specifica quando è ammesso il diritto di fare la dichiarazione di voto: dopo di che non è evidentemente più necessario dire quando questo diritto non sussiste, perché è chiaro che, in tutti i casi in cui non è ammessa, la dichiarazione di voto è impedita. E poiché il Regolamento parla di dichiarazione di voto dopo una discussione generale, è evidente che in tutti gli altri casi non è ammessa.

Poiché comunque, onorevole Lussu, lei ha fatto appello al Regolamento, l’appello al Regolamento le dà diritto che la questione sia risolta dall’Assemblea, per alzata e seduta.

Devo porre pertanto in votazione il richiamo al Regolamento fatto dall’onorevole Lussu: se prima della votazione sul precedente richiamo al Regolamento, quello dell’onorevole Bertini, si possono fare dichiarazioni di voto.

LUSSU. Signor Presidente, ella sottopone il mio diritto all’arbitrio di una maggioranza politica! Non può farlo! (Rumori al centro e a destra).

PRESIDENTE. Il diritto di tutti, onorevole Lussu, non soltanto il suo; e in un’Assemblea, in ultima istanza, è sempre la maggioranza che decide.

LUSSU. Signor Presidente, preferisco rimettermi a lei, piuttosto che sottostare alla maggioranza.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Lussu: la prego allora di accettare per buona l’interpretazione che io le ho data ora del Regolamento, non permettendole di fare la sua dichiarazione di voto. Ciò potrà essere spiacevole per lei; un’altra volta – i nostri lavori riprenderanno a gennaio – potrà essere spiacevole per qualcun altro.

Devo pertanto porre in votazione il richiamo al Regolamento dell’onorevole Bertini.

GASPAROTTO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO, Presidente della Commissione. I componenti la Commissione si astengono dal voto.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione il richiamo al Regolamento dell’onorevole Bertini.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Do atto all’onorevole Gasparotto della presentazione all’Assemblea della relazione della Commissione nominata a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento per indagare sulla validità delle accuse mosse contro l’onorevole Chieffi. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se sono stati identificati e denunciati gli autori degli atti di violenza perpetrati a Canicattì (Agrigento), a Gela e a Mazzarino (Caltanissetta).

«A Canicattì una colonna di scioperanti avrebbe assaltato un caffè il cui proprietario non intendeva soggiacere all’imposizione di scioperare, ferendo un tenente dei carabinieri, tre militi ed alcuni cittadini.

«A Gela sarebbero state fatte esplodere alcune bombe a mano.

«A Mazzarino gruppi di attivisti avrebbero ostruito con grossi massi la strada per interrompere le comunicazioni tra il capoluogo e il paese, avrebbero reso inservibile un autocarro sul quale viaggiavano dei carabinieri; avrebbero ferito un maresciallo dei carabinieri, un milite, un agente di pubblica sicurezza e cinque civili; avrebbero assaltato il circolo dei civili occupandolo; avrebbero saccheggiato la sede dell’Uomo Qualunque; avrebbero lanciato alcune bombe a mano.

«Si chiede di conoscere quali provvedimenti intenda adottare il Governo per mettere fine a questo regime di provocazione e di attentato alla libertà e alla incolumità dei cittadini che le forze del disordine tentano di instaurare in Sicilia.

«Castiglia».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro di grazia e giustizia, per considerare se di fronte al dilagare nella stampa di accuse e diffamazioni a danno dei cittadini, che si risolvono in processi che vengono definiti con la condanna degli imputati a pene inadeguate all’entità del reato, non credano opportuno di promuovere la modifica dell’articolo 595 del Codice penale, ritornando alle sane tradizioni del Codice del 1889; e ciò nell’interesse stesso della stampa, che si manterrà tanto più libera quanto consapevole della propria responsabilità.

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se – in relazione agli affidamenti dati in risposta a una recente interrogazione in proposito presentata dall’onorevole Canevari – siano state superate le difficoltà opposte da alcuni Ministeri per la emanazione dei provvedimenti atti a consentire alle cooperative, agli Enti mutualistici, agli Enti locali, alle organizzazioni, ecc., la possibilità di ricuperare i beni di cui furono spogliati dal regime fascista. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Segala, Persico».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intenda promuovere un provvedimento legislativo, in virtù del quale coloro, che – essendo stati dichiarati maturi in un concorso a professore universitario di ruolo entro l’anno 1940 – furono richiamati o trattenuti alle armi e rimasero in qualità di militari in zona di operazioni od in prigionia di guerra o in deportazione per un periodo di tempo, anche non consecutivo, non inferiore nel complesso a quattro anni, possano essere nominati professori ordinari di Università in soprannumero, quando le Commissioni giudicatrici dei concorsi universitari della materia ne facciano formale proposta ad unanimità e la proposta sia approvata dal Consiglio Superiore dell’istruzione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bettiol, Colitto, Firrao, Di Fausto, Condorelli, Crispo, Fusco».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 15.15.