ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCCXLVIII.
SEDUTA DI LUNEDÌ 12 GENNAIO 1948
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Commemorazioni:
Presidente
Veroni
Persico
Spallicci
Tumminelli
Cianca
Minio
Giordani
Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio
Benedettini
Condorelli
Comunicazioni del Presidente:
Presidente
Domande di autorizzazione a procedere in giudizio (Annunzio):
Presidente
Disegno di legge (Discussione):
Disposizioni sulla stampa (15).
Schiavetti
Giannini
Bettiol
Manzini
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
Sansone
Rodinò Mario
Labriola
Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio
La seduta comincia alle 16.15.
PRESIDENTE. Ricordo che il processo verbale della seduta pomeridiana del 22 dicembre scorso, è stato letto ed approvato alla fine della seduta stessa.
Commemorazioni.
PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l’Assemblea). Onorevoli colleghi, con vivo rammarico abbiamo appreso tutti, mentre appena si erano iniziate le giornate che avrebbero dovuto essere dedicate da ciascuno di noi al riposo e alla letizia, la morte, avvenuta a Velletri il 23 dicembre ultimo scorso del collega onorevole Bruno Bernabei, fervente repubblicano, eletto alla nostra Assemblea, in rappresentanza del suo partito, avendo dietro di sé un passato di devozione alla sua fede politica ed ai principî democratici, come pure una giusta ed onorata rinomanza nel campo professionale.
Eletto sindaco di Velletri, si era reso benemerito della ricostruzione del suo comune, così tormentato e danneggiato dalla guerra, promuovendo una ripresa edilizia veramente ammirevole ed un’intensa attività della libera vita municipale. Ciò spiega il vivo dolore ed il generale rimpianto che hanno accolto la sua scomparsa immatura.
Ho creduto di interpretare il sentimento dell’Assemblea, inviando le condoglianze alla famiglia e facendomi rappresentare ai funerali, che si sono solennemente svolti a Velletri,
VERONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VERONI. Onorevoli colleghi, voglia l’Assemblea consentire che io mi associ alle parole di rimpianto che il nostro illustre Presidente ha pronunciato per la morte improvvisa di un nostro caro e valoroso collega: l’onorevole Bruno Bernabei.
La mia città di Velletri lo ebbe sindaco solerte, intelligente, sollecito soltanto del pubblico bene. Subito dopo la liberazione, per consenso unanime dei partiti antifascisti, venne nominato sindaco, e, più tardi, nelle libere elezioni del marzo 1946 venne eletto, con larghissimo suffragio, e restituito alla direzione della nostra città. Io lo ebbi mio compagno di lavoro professionale per oltre un ventennio e ne potei apprezzare l’esemplare correttezza e la larga preparazione. Come il signor Presidente ha ricordato, dette larghissima opera alla ricostruzione della nostra martoriata città, sicché può dirsi che il rimpianto nostro non trova facile conforto.
Era stato, durante il periodo della resistenza, militando nelle file del partito repubblicano, un elemento apprezzatissimo e, subito dopo, circondato dalla stima di tutti e soprattutto preceduto da una fama di avvocato insigne, era riuscito a conquistare nella vita pubblica locale una posizione veramente eminente.
Il nostro signor Presidente bene ha fatto ad inviare alla famiglia desolata, alla consorte e alla madre, le condoglianze dell’Assemblea Costituente. Io vorrei ora pregarlo di inviare l’espressione del nostro profondo rammarico anche alla nostra città di Velletri.
PERSICO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERSICO. Onorevoli colleghi, è con animo profondamente commosso che mi associo alle parole dell’illustre Presidente e dell’amico onorevole Veroni per l’improvvisa dipartita di Bruno Bernabei.
A Bruno Bernabei mi legavano oltre trent’anni di affettuosa e fraterna amicizia. Avevamo insieme, nel Foro di Velletri, esercitato la professione in cause gravissime, ed in quelle occasioni imparai ad apprezzarne l’animo mite, sereno, leale, la sua devozione alla Patria, il suo disinteresse nella nobiltà dell’esercizio professionale che lo rendevano stimato e caro a tutti i cittadini di Velletri. Onde ricordo che, appena nominato Prefetto di Roma, volli che assumesse la carica di sindaco nella sua città, perché ero sicuro che nessuno meglio di lui avrebbe potuto interpretarne l’anima repubblicana e garibaldina.
È una grave perdita per questa Assemblea e per la vita politica del Lazio. Bruno Bernabei era ancora giovane e da lui la Patria poteva attendersi ancora molte realizzazioni positive ed egregie.
Vada alla famiglia, vada alla città di Velletri il mesto saluto dell’Assemblea ed il compianto del Partito socialista dei lavoratori italiani, al quale Egli era tanto vicino.
SPALLICCI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SPALLICCI. Il Gruppo repubblicano ringrazia cordialmente l’onorevole Presidente di questa Assemblea ed i rappresentanti del Gruppo demolaburista e del Partito socialista dei lavoratori italiani per le nobili parole espresse a compianto della dipartita del nostro amico Bruno Bernabei. L’affetto che ci legava a Lui non vorremmo ci fornisse velo per farci fare una inutile apologia retorica dell’amico scomparso. Egli venne qui e rimase nella categoria dei silenziosi. Egli non volle seguire l’esempio di tanti che, con facondia a volte soverchia, si alzavano in cospetto delle tribune, oltreché dei colleghi, delle tribune, cioè di fronte al Paese, giudice sovrano in quest’Aula, a parlare colla presunzione di essere competenti su qualsiasi argomento; ma egli ha lavorato lo stesso come strenuo collaboratore, come facevano i chiosatori degli antichi codici ed a fianco di ogni paragrafo, di ogni emendamento, di ogni articolo, poneva il suo giudizio e il suo commento ed io, che ho avuto l’onore di sedere vicino a lui in questo settore, posso testimoniare di quella che era la sua affezione, il suo accoramento e la sua collaborazione vera al lavoro diuturno della nostra Assemblea. Egli è finito il giorno dopo la nostra solenne seduta storica, il cui ricordo aleggia ancora in quest’Aula con il canto dell’inno di Mameli. La sua giornata politica è finita con la sua giornata fisica. Se non fosse il grande rimpianto per l’amico giovane che abbiamo perduto, potremmo ammirare questo combattente che, dopo l’ultima trincea, cerca di alzare la sua bandiera in quella che ha considerato la sua città del sole, la sua Repubblica, la nostra Repubblica, la nostra Costituzione e muore in quell’attimo e in quel gesto.
TUMMINELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TUMMINELLI. A nome del Gruppo parlamentare dell’Uomo Qualunque, mi associo con profondo dolore alle espressioni pronunciate in quest’Aula per la immatura morte dell’onorevole Bruno Bernabei.
CIANCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CIANCA. Il Gruppo parlamentare socialista si associa con sincero rimpianto alla commemorazione che qui è stata fatta della memoria e dell’opera del collega Bruno Bernabei.
MINIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MINIO. Il Gruppo parlamentare comunista si associa, commosso, alle condoglianze per la perdita del collega Bruno Bernabei ed esprime il suo profondo cordoglio particolarmente ai Suoi familiari e alla città di Velletri.
GIORDANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIORDANI. A nome del Gruppo democristiano esprimo le più profonde condoglianze al Partito repubblicano, alla famiglia dell’Estinto e alla sua città, per la immatura perdita dell’onorevole Bruno Bernabei.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Con tanta maggiore comprensione, in quanto appartenente al suo stesso circondario, mi associo, a nome del Governo, al lutto dell’Assemblea Costituente per la morte dell’onorevole Bruno Bernabei, il quale ha onorato, come professionista, come cittadino, come uomo politico, non soltanto il suo partito e la sua città di Velletri, ma anche l’intera classe politica democratica di una zona assai interessante dell’Italia.
BENEDETTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su quale argomento, onorevole Benedettini?
BENEDETTINI. Ho chiesto di parlare per pregarla di sottoporre all’Assemblea una proposta: l’Assemblea Costituente, preso atto che un’altissima personalità ha espresso il cordoglio suo personale…
PRESIDENTE. La prego, onorevole Benedettini, lei sta già facendo una proposta. Desidero pregarla di dirmi su quale tema essa verta.
BENEDETTINI. In tema di commemorazioni, credevo doveroso da parte mia di ricordare in questa Assemblea la scomparsa di Vittorio Emanuele III… (Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, mi perdoni se le faccio osservare che, giustamente, chiunque ha nel proprio cuore una fede e certi ideali, e nutre certi rimpianti, può e deve elevare a questa fede e a questi ideali nel proprio cuore un altare, e che coloro che hanno rimpianti comuni e possono comprendersi fra di loro, possono riunirsi per dare a tali rimpianti voce concorde. Ma onorevole Benedettini, ella mi comprenderà se dico che in questa Aula, nella quale con grande solennità poche settimane or sono la Repubblica ha affermato i propri principî, forse questa voce suonerebbe ingrata anche a coloro dei quali tuttavia potrebbe esprimere il pensiero, perché troppo grave contrasto vi è fra la nuova realtà che abbiamo costruito e quel mondo antico che lei – e gliene do atto con rispetto – ancora rappresenta. Non credo pertanto opportuno darle la parola.
CONDORELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONDORELLI. Oggi, 12 gennaio 1948, scade il centenario del giorno fatidico per la storia di nostra gente, nel quale il popolo di Palermo, insorgendo nella piazza della Fiera vecchia al grido di «libertà, Sicilia, Italia!» dava inizio al 1848.
Palermo, 12 gennaio 1848; Parigi, 18 febbraio 1848; Vienna 15 marzo 1848, Berlino 17 marzo 1848.
Palermo quel giorno affermava, per la Sicilia e per l’Italia, un primato europeo, che ha insieme significazione di nascimento dell’attuale nostra concretezza di popolo unito in Stato libero e nazionale; perché se l’unificazione di libertà politica e di libertà nazionale era stata già celebrata nel pensiero, è il 12 gennaio 1848 che essa viene affermata nei fatti con un moto che, dopo 14 gloriose giornate, culminò nella creazione del primo Stato libero, intensamente e volutamente nazionale, in Italia: la Sicilia, profondamente italiana esprime inscindibilmente la sua volontà di libertà politica e nazionale.
Signor Presidente, colleghi, io penso e credo che tutti pensiate che il ciclo storico che quel giorno si iniziò, dando ideale nascimento allo Stato libero e nazionale, non è chiuso. Perché, se quei nostri padri ebbero la ventura di affermare che le libertà politiche si conseguono nella Nazione e per la Nazione, noi affermeremo, continuando quello che era implicito nella volontà e nel pensiero dei nostri padri, che la giustizia sociale si consegue nella libertà politica e nella Nazione, per la libertà politica e per la Nazione!
Noi sul 1848 edificheremo il 1948! (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Alle nobili parole dell’onorevole Condorelli desidero rispondere rendendogli noto che molte fra le pagine dei volumi celebrativi del centenario del 1848, che verranno pubblicati per l’iniziativa presa dalla Presidenza dell’Assemblea Costituente, saranno dedicati al glorioso primato che la Sicilia ha conquistato allora e rinnovato tante altre volte in altri campi, a maggior gloria della Nazione.
Comunicazioni del Presidente.
PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Saragat, nominato Vicepresidente del Consiglio, ho chiamato l’onorevole Persico a far parte della Commissione per i Trattati internazionali e lo stesso onorevole Persico e l’onorevole Preti a far parte, rispettivamente, della seconda e della quarta Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, in sostituzione degli onorevoli Cartia e Salerno, nominati Sottosegretari di Stato.
Inoltre, avendo gli onorevoli Bulloni, Lizier e Bovetti rassegnato le dimissioni da componenti della Commissione speciale per il disegno di legge sull’elezione del Senato della Repubblica, ho chiamato a sostituirli gli onorevoli Dossetti, Fuschini e Mortati.
Annunzio di domande di autorizzazioni a procedere in giudizio.
PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso due domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro gli onorevoli deputati Pajetta Giancarlo e Penna Ottavia, per il reato di cui all’articolo 595 del Codice penale.
Saranno inviate alla Commissione competente.
Discussione sul disegno di legge:
Disposizioni sulla stampa (15).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa (15).
Dichiaro aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare l’onorevole Schiavetti. Ne ha facoltà.
SCHIAVETTI. Onorevoli colleghi, avverrà forse quest’anno a molti di noi quello che è avvenuto un momento fa per il caso ricordato dall’onorevole Condorelli, che dovremo cioè porre in rapporto gli avvenimenti di quest’anno relativi alla nostra opera di legislatori, con gli avvenimenti che si svolsero un secolo fa nel nostro Paese e che ebbero un’importanza così fondamentale e decisiva per l’avvenire della Nazione italiana.
Per quello che riguarda la legge sulla stampa, il riferimento è ovvio. Nessuno di noi ignora che nel 1848 re Carlo Alberto emanò l’editto, da lui detto Albertino, che regolava appunto la concessione della libertà di stampa ai sudditi del Regno di Piemonte e di Sardegna. È passato da allora un secolo e dovrebbe a tutti apparire molto chiaro che i problemi della libertà della stampa non si pongono oggi nello stesso modo di allora. Non dico con questo che essi si pongano in modo del tutto diverso; senza dubbio però si pongono in modo che, per molti riguardi, deve essere diverso.
Tuttavia, leggendo il progetto di legge che è stato presentato dal Governo e che è stato elaborato dalla Commissione, appare chiaro che il punto di vista fondamentale da cui si sono posti tanto i membri del Governo che hanno formulato il progetto quanto i membri della Commissione, è prevalentemente quello stesso da cui furono trattati dei problemi che preoccupavano i legislatori un secolo fa.
Il progetto si aggira tutto, fondamentalmente, intorno alla difesa della libertà della stampa e intorno alla punizione degli abusi che sono connessi con l’esercizio di tale libertà. Eppure oggi i problemi fondamentali, per una democrazia moderna che voglia interpretare le esigenze delle nuove democrazie, non sono più quelli della libertà della stampa dal punto di vista giudiziario, penale, amministrativo. Non voglio, naturalmente, dire che questi problemi non siano anch’essi in un certo senso fondamentali: sono pregiudiziali. Ma oltre a questi problemi ce ne sono oggi altri di importanza prevalente.
Siamo tutti d’accordo – o dovremmo essere quasi tutti d’accordo, in un’Assemblea democratica e repubblicana – nel ritenere che la libertà della stampa sia un bene ormai intoccabile. Non c’è quindi bisogno – non dovrebbe esserci bisogno – di profonde discussioni per regolare la libertà della stampa. I problemi che dovrebbero invece preoccuparci in questo momento in modo essenziale sono i problemi nuovi, che si pongono in seguito allo sviluppo del mondo moderno, alle degenerazioni dell’attuale società capitalistica e alle forme che il giornalismo è andato assumendo, soprattutto per quello che riguarda la sua organizzazione finanziaria e amministrativa.
In Italia questo problema appare ancora più attuale – come del resto in Francia e in altri paesi che sono usciti fuori dall’uragano dell’ultima guerra – per il fatto che la collaborazione data da molti organi della stampa fascista ai tedeschi, durante la lotta di liberazione, ha posto dei problemi urgenti e nuovi, determinati dal fatto che le aziende giornalistiche sono state sottoposte ad una gestione commissariale e si è dovuto formulare l’ipotesi – e si è anche giustamente tentato, seguendo ad esempio le suggestioni del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia – di creare, sopra gli avanzi di quel giornalismo che aveva tradito la causa della Nazione, le basi di una nuova regolamentazione della stampa, di un’applicazione più concreta, più precisa, più profonda dei concetti fondamentali della libertà della stampa.
Tutte queste ragioni fanno in modo che oggi questo problema della libertà di stampa deve essere sentito con una sensibilità diversa da quella del 1848, senza per nulla diminuire l’importanza dei problemi che furono trattati un secolo fa; quei problemi sono oggi superati, ma restano in alcune formulazioni, in alcuni postulati che sono ancora il fondamento per tutte le leggi che noi facciamo e che potremo fare in avvenire, riguardanti la libertà e l’ordinamento della stampa.
Ecco, dunque, che chi ha letto con un minimo di attenzione il progetto del Governo, ha provato un senso di delusione, perché si era pensato che questo Governo avrebbe stimato a suo onore di gettare le basi della libertà e dell’indipendenza della stampa in una maniera conforme alle aspettative e alle esigenze della nazione, quale essa è uscita dalla lotta di liberazione. La maggior parte delle disposizioni che sono contenute nel progetto del Governo restano, come ho già detto, nell’ambito tradizionale della difesa della libertà di stampa dall’arbitrio del potere esecutivo e della repressione penale ed amministrativa degli abusi della stampa.
Vi ripeto ancora una volta che questo aspetto non va sottovalutato. Potrebbe darsi, ma Dio non voglia, che noi dovessimo ancora ritornare a questo genere di difesa della libertà di stampa. Basterà ricordare che pochi mesi or sono in Argentina un grande giornale democratico è stato soppresso con una motivazione di questo genere, che non era tollerabile, per l’ingombro della viabilità cittadina, che i carri portanti la carta potessero essere scaricati dinanzi all’ingresso del giornale. E con questa singolare motivazione il dittatore Perón ha abolito uno dei più grandi giornali democratici di Buenos Aires.
Io auguro che nulla di simile avvenga più in Italia, dove è avvenuto recentemente qualche cosa che può ricordare questa facezia del dittatore Perón.
Ma il problema attuale, onorevoli colleghi, è essenzialmente un altro, è quello della proprietà delle aziende giornalistiche, e non tanto il problema dell’esercizio del giornalismo.
Ci sono due categorie diverse di problemi: quelli attinenti, appunto, all’esercizio del giornalismo, problemi che sono stati considerati in modo particolare dalla vecchia legislazione, cioè da quella che ha avuto inizio dal 1848; e ci sono i problemi di un’altra categoria, quelli attinenti a qualcosa di vivo e di attuale nell’organizzazione della società moderna; cioè i problemi inerenti alla proprietà delle aziende giornalistiche.
L’azienda giornalistica, per quel che riguarda gli organi d’informazione, ha acquistato una straordinaria potenza su tutta la vita pubblica, una potenza che deve legittimamente preoccupare non solo l’opinione pubblica, ma anche il legislatore.
Giustamente il Ministro francese della Gioventù, delle Arti e delle Lettere, il signor Bourdan, nel presentare alcuni mesi or sono al Parlamento francese il nuovo progetto sulla stampa, diceva che tutti coloro i quali impiegano i loro capitali nelle grandi aziende giornalistiche non cercano un investimento di capitali, ma un accaparramento di influenze politiche.
In questa espressione del signor Bourdan, che a me sembra legittima, possiamo trovare il nucleo centrale delle preoccupazioni che ci devono animare nel momento in cui studiamo il problema della libertà di stampa.
Problema vecchio, del resto, anche da questo punto di vista. Quando nel 1925, nel mese di dicembre, si tenne, in quello che restava del Parlamento italiano, al Senato, una lunga discussione sulla libertà di stampa in occasione del progetto liberticida presentato dal governo fascista, fu proprio il ministro Federzoni colui che dovette ricordare, a proposito di certe lagnanze del fascismo nei riguardi della stampa cosiddetta plutocratica (la quale non sempre era docile e ubbidiente al fascismo stesso, soprattutto nei primi anni), che anche in tempi lontani, quando le aziende giornalistiche non avevano raggiunto la complessità e la potenza di quelle attuali, il giornale aveva una influenza preponderante nello sviluppo degli avvenimenti politici. Federzoni ricordò in quella occasione una lettera (che nel 1925 pare fosse ancora inedita) in cui il liberale Cobden scriveva che Lord Aberdeen, che era stato Ministro d’Inghilterra prima della guerra anglo-francese contro la Russia, gli aveva dichiarato che la causa fondamentale, la forza fondamentale che aveva determinato l’alleanza fra la Francia e l’Inghilterra e la guerra alla Russia (guerra – diceva Lord Aberdeen – che non aveva a suo parere nessuna giustificazione), era stata appunto la stampa; non il Governo, non il Parlamento, ma semplicemente la stampa, diceva Lord Aberdeen. E la stampa era costituita allora, anche per quel che riguardava i suoi organi di informazione, da giornali di proporzioni modestissime, giornali i cui azionisti pagavano ogni azione poche centinaia di lire, giornali che si tiravano su macchine piane, giornali soprattutto che avevano un pubblico di lettori che non aveva nulla a che vedere col pubblico attuale. Essi si rivolgevano per solito a poche migliaia di borghesi, mentre oggi i nostri giornali, e particolarmente quelli di informazione, si rivolgono a milioni e milioni di cittadini appartenenti a tutte le classi sociali, quei milioni di cittadini che – in seguito alla guerra 1914-18 e agli avvenimenti che ne sono conseguiti – sono entrati oggi nel vivo della lotta politica ed hanno modificato tutte le condizioni fondamentali della lotta politica in Italia e in tutti gli altri Paesi.
È da questo carattere della stampa moderna che sorge dunque il problema della proprietà delle aziende, giornalistiche, problema della proprietà delle aziende giornalistiche, problema che – del nostro punto di vista – è oggi quello centrale, che dovrebbe essere risolto da una intelligente e moderna legislazione.
Questo problema è legato in modo molto chiaro all’antico problema della libertà della stampa. Al principio del secolo passato è stato affermato questo concetto, realizzato poi mercé le rivoluzioni europee, della libertà della stampa: libertà che assicurava a tutti i cittadini il diritto di esporre liberamente a mezzo della stampa le proprie idee e di esercitare soprattutto la propria critica nei riguardi dei Governi del tempo.
Oggi non si tratta più di affermare questo diritto teorico, che è riconosciuto da tutti ed è riconosciuto spesso anche dai governi reazionari, i quali compiono un’opera più sottile e più insidiosa di quella compiuta dai governi reazionari dei secoli precedenti. Oggi si tratta di assicurare la possibilità di esercitare congruamente questo diritto a tutte le forze rappresentative del Paese. Questo è il modo in cui si pone oggi il problema della libertà della stampa.
È stato pubblicamente riconosciuto il diritto di esporre liberamente il proprio pensiero e di esercitare liberamente la propria critica nei riguardi del Governo e in generale di tutta l’amministrazione dello Stato, ma oggi si tratta di fare in modo che tutte le forze politiche del Paese, anche se non dispongono dei potentissimi mezzi finanziari che sono ancora un monopolio di pochi ceti privilegiati, abbiano la possibilità di creare organi di stampa i quali portino l’espressione delle loro esigenze, della loro volontà, della loro critica in seno alla società nazionale. Questo è il problema fondamentale, onorevoli colleghi, ed io credo che noi avremo assicurato molta parte della stabilità della Repubblica e contribuito a salvaguardare lo stesso ordine pubblico del nostro Paese se faremo in modo di concedere a tutte le organizzazioni di. lavoratori, a tutti i ceti sociali, per quanto vivano in condizioni economiche non favorevoli, insomma alla enorme maggioranza dei cittadini del nostro Paese, organizzati in associazioni e in partiti politici diversi, la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero e di non sottostare ad un monopolio della stampa o monopolio della possibilità di esprimere con mezzi e con proporzioni congrui i propri pensieri, senza correre nella tentazione di far valere la propria volontà con metodi diversi.
Come voi vedete, si tratta di un problema di un grande valore politico, e non solo di un valore giuridico ed in un certo senso ideale e filosofico per quello che attiene al concetto fondamentale della libertà della stampa. Il problema politico è quello di dare a tutti i cittadini, a tutti i partiti, a tutte le associazioni, a tutte le forze organizzate del Paese, la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero, di influire liberamente sull’opinione pubblica e di essere quotidianamente a contatto con essa. Questa esigenza non sarà sodisfatta per il semplice fatto che un’associazione possa pubblicare un settimanale o pubblicare un piccolo, modesto, striminzito quotidiano; occorre che gli organi di stampa che circolano nel Paese siano proporzionali per il loro sviluppo, alla forza delle associazioni e dei partiti di cui essi interpretano la volontà e i desideri.
NITTI. La proporzionale nella stampa!
SCHIAVETTI. Si capisce anche questo; la proporzionale nell’uso dei mezzi di stampa è una cosa a cui forse bisognerà arrivare. Del resto molti Paesi sono andati anche al di là di questa proporzionale e vedremo che cosa ha fatto la Cecoslovacchia in proposito. (Interruzione del deputato Nitti).
Si tratta in sostanza, onorevoli colleghi, di spezzare il monopolio che si è venuto di fatto formando da parte delle oligarchie finanziarie, soprattutto per quello che riguarda la stampa di informazione, la cosiddetta stampa indipendente, di cui si potrebbe ripetere: lucus a non lucendo, canis a non canendo… perché la stampa «indipendente», infatti, è quella più dipendente di ogni altra dalle velleità e dagli interessi particolari di ceti e gruppi che cercano di prevalere sopra la volontà e sopra gli interessi generali. Naturalmente anche a proposito di questa impostazione del problema sentiremo dei liberali i quali deprecheranno che si voglia, regolamentando la proprietà dei giornali e soprattutto della grande stampa di informazione, limitare la libertà. In effetto queste limitazioni della libertà sono avvenute da un secolo e mezzo a questa parte dovunque e in un certo senso per tutti i problemi della vita civile. Dopo la rivoluzione francese sono stati affermati, soprattutto dalla borghesia, dei diritti di libertà. Oggi si tratta di dare alla grande massa di cittadini la possibilità di esercitare questi diritti di libertà, di esercitarli per tutti e per l’interesse di tutti. Ma perché questi diritti di libertà siano esercitati, perché soprattutto ci si possa difendere dalle sopraffazioni di coloro che dispongono della potenza del denaro, bisogna formalmente limitare qualche libertà. Questa limitazione di libertà non avviene, onorevoli colleghi, per una libidine di carattere reazionario, ma perché sentiamo che per approfondire il concetto della libertà bisogna limitare certe manifestazioni aberranti della libertà, intimamente contrarie al suo principio informativo. Quello che ne consegue è l’approfondimento del concetto della libertà, e soprattutto un più sano esercizio delle libertà che si vogliono difendere. Così è avvenuto, ad esempio, per quanto riguarda la legislazione del lavoro. Tutte le libertà che sono state strappate, nel mondo dell’economia, all’antico mondo feudale, sono state, dopo alcuni decenni, limitate dalla legislazione del lavoro; ma nessuno può dire che le leggi inerenti alla legislazione del lavoro costituiscano una offesa alla libertà. Esse accrescono la libertà delle masse dei lavoratori le quali devono essere poste in condizioni di lottare a parità di armi, in corrispondenza con la loro accresciuta capacità politica, con le altre forze sociali e politiche del Paese.
In questo progetto noi troviamo ben poco per quanto riguarda questa impostazione moderna del problema della libertà della stampa. Una delle poche disposizioni che vi si trovano, l’indicazione dei proprietari dei giornali resa obbligatoria all’atto della pubblicazione, è stata presa – non si sgomentino, onorevoli colleghi – proprio dalla legislazione fascista. È stato il fascismo per primo, nel 1925, che ha stabilito l’obbligo, per la creazione di un giornale, di indicare il nome del proprietario. Io spero che noi non vorremo reagire, per un malinteso antifascismo, contro questo poco di buono che avevano fatto i fascisti, che non vorremo per odio al passato regime, che è odiabile per tanti e più profondi motivi, rinunciare ad una risoluzione razionale dei problemi alla quale il passato regime ha dovuto, di buona o di cattiva volontà, contribuire.
Questo problema della limitazione delle forze finanziarie che hanno il monopolio di gran parte della stampa, il problema cioè della necessità di tagliare le unghie a chi le ha troppo lunghe e adunche, è stato sentito in alcuni momenti da molte parti dell’Assemblea.
Mi piace di ricordare, ad esempio, che anche uno scrittore democristiano. Armando Sabatini (il cui nome, a dir la verità, non ho ritrovato poi troppo spesso nei giornali), si è posto nel Popolo, edizione romana del 6 ottobre 1946, questo problema della necessità di difendere il diritto per tutti, di arrivare a contatto con l’opinione pubblica e di salvaguardare l’opinione pubblica stessa dal monopolio e dalla sopraffazione di coloro che detengono la maggior parte dei mezzi finanziari necessarî per le moderne imprese giornalistiche.
Il democristiano Armando Sabatini proponeva – a difetto di altre soluzioni – una soluzione estremamente ingenua. Egli si appellava al buon cuore ed alla comprensione dei proprietari di grandi imprese giornalistiche, esortandoli a costituire un fondo di solidarietà sottratto dai loro guadagni, il quale fosse poi posto a disposizione dei piccoli quotidiani perché potessero vivere e continuare la loro opera senza troppa fatica. Voi capite benissimo come non sia su concetti di questo genere, per quanto siano concetti molto ricorrenti nella scuola del solidarismo democristiano, che si possa creare una legislazione efficiente in tema di libertà della stampa. Bisogna ricorrere a provvedimenti di altro genere; ed uno di questi provvedimenti è senza dubbio quello contemplato nel progetto del Governo: un provvedimento il quale dimostra che nessuno si è potuto sottrarre a una esigenza di modernità nello stabilire le basi dello statuto della stampa. Si tratta della obbligatorietà per tutti i giornali della pubblicità della gestione e dei mezzi finanziari. Da qui in avanti, secondo l’articolo 10 del progetto, tutti i giornali saranno tenuti non solo ad indicare il nome del proprietario, ma anche ad indicare i dati fondamentali della provenienza dei fondi di cui dispongono e a depositare il bilancio presso uffici stabiliti e facilmente reperibili. Bisogna dar lode al Governo, naturalmente, di aver acceduto a questo criterio dell’obbligatorietà della pubblicazione del finanziamento dei giornali. Ma va ricordato che in questo Parlamento per la prima volta questa esigenza di fare dei giornali, per quanto sia possibile, delle case di vetro – di un vetro, purtroppo, non ancora perfettamente trasparente ma per lo meno di un vetro appannato attraverso il quale si possa vedere qualche cosa di quel che avviene nella casa – questa esigenza fu affermata fondamentalmente dal nostro compagno Giuseppe Modigliani con un progetto di legge del marzo 1920: un progetto di iniziativa parlamentare che, come la maggior parte dei progetti d’iniziativa parlamentare soprattutto in tempi come quelli, non potette poi farsi strada. Finì in un binario morto; ma resta sempre ad onore del nostro Parlamento questa affermazione di 28 anni fa, la quale testimonia della continuità di questa esigenza, sentita soprattutto da questa parte della Camera, di moralizzare il giornalismo e di porlo al servizio del paese, facendo il possibile per evitare che resti invece un’arma diretta alla soddisfazione degli interessi particolari contro gli interessi generali della Nazione. Il progetto del Governo, pur avendo ripreso il concetto fondamentale del progetto di legge Modigliani, non mostra una soverchia volontà di arrivare al cuore del problema. Tutti capiscono benissimo, infatti, che arrivare al controllo dell’amministrazione dei giornali non significa affatto assicurare l’indipendenza dei giornali; significa soltanto dare un mezzo all’opinione pubblica, perché essa possa fare un po’ di luce intorno alle intenzioni, alle manovre, alle pubblicazioni di gran parte della stampa di informazione o «indipendente».
Ai tempi di Modigliani, nel 1920, il processo di crisi e di degenerazione della morale corrente, che si è sviluppato in seguito alle due guerre ed ai venti anni di dittatura fascista, non era ancora sufficientemente sviluppato e si poteva, senza essere troppo ingenui, ritenere che l’obbligatorietà del finanziamento dei giornali potesse costituire una remora sufficiente al verificarsi di forme troppo sfacciate di immoralità giornalistica e politica.
Oggi, purtroppo, in seguito all’esperienza che abbiamo del guasto morale che due immani guerre e vent’anni di fascismo hanno fatto nel nostro Paese, non possiamo più cadere in illusioni di questo genere.
Nonostante questo, abbiamo il dovere di fare il possibile perché tutti i mezzi siano adottati per il raggiungimento di questa sana opera di moralizzazione della nostra vita pubblica. Purtroppo, però, il progetto governativo non arriva a misure drastiche e severe, del genere di quelle del progetto Modigliani.
Per quel che riguarda poi in generale il controllo della proprietà dei giornali, indipendentemente dalla obbligatorietà di denunziare pubblicamente le fonti di finanziamento, il nostro progetto ne tace completamente, eccezion fatta di quella disposizione già accennata, per cui quando si pubblica un giornale si deve indicare il nome del proprietario.
Vi sono esempi in altri Paesi, vicini a noi, anche in Paesi che non vivono al di là della cosiddetta cortina di ferro, dai quali risulta che questo problema della proprietà dei giornali è stato discusso e vorrei dire aggredito, con sincera volontà di risolverlo in senso schiettamente e genuinamente democratico.
Basterebbe ricordare, ad esempio, il progetto francese Ramadier-Bourdan, cui ho già accennato, secondo il quale il problema di sottrarre alle forze finanziarie la possibilità di influire sull’opinione pubblica mediante il monopolio delle aziende giornalistiche è stato risolto o è stato proposto che si risolva (perché credo che il progetto non sia arrivato al parlamento) mediante il frazionamento della proprietà delle aziende giornalistiche. Non si vuol tollerare che le aziende giornalistiche appartengono ad una o a pochissime persone e che in questo modo un giornale possa passare improvvisamente da sinistra a destra o inversamente, il che è più difficile a verificarsi, da destra a sinistra; né si vuol tollerare che ad un certo momento i redattori di un giornale siano venduti a una parte politica diversa o avversa, come si trattasse del bestiame di una fattoria o di una impresa agricola, per cui si vendono non soltanto i mezzi materiali di produzione ma anche le forze dell’ingegno e della capacità professionale di chi, dopo avere spiegato tutte le sue energie per l’affermazione di un determinato indirizzo politico, è costretto o ad affrontare il pericolo della fame o a passare, invece, al sostenimento di un diverso ideale politico.
Questo si può e si deve evitare. L’hanno detto uomini i quali non appartengono all’estrema sinistra; l’ha detto e proposto, fra gli altri, uno degli attuali Ministri, Luigi Einaudi. Il progetto di legge francese stabilisce che nessuna persona od associazione possa possedere più di un decimo delle azioni di un giornale e che nessun azionista possa appartenere a certe categorie di miliardari e di feudatari della finanza, dell’industria o della proprietà terriera. (Commenti a destra).
BELLAVISTA. Ma questo è contrario alla Costituzione!
SCHIAVETTI. È un sistema estremamente semplice che non dovrebbe suscitare terrore in nessuna coscienza democratica.
In Cecoslovacchia questo problema è stato risolto in un modo diverso, in un modo più preciso, ma che testimonia della stessa sollecitudine e della stessa preoccupazione. Il Governo czeco, nella legge che regola la stampa, già entrata in vigore in quel Paese, ha stabilito che il diritto di possedere aziende giornalistiche non possa più essere delle singole persone fisiche, ma debba invece essere limitato esclusivamente ai partiti politici od alle grandi associazioni sindacali e culturali. (Commenti). Badate bene, non limitata soltanto ai partiti politici, ma anche alle associazioni sindacali e culturali, il che vuol dire che l’individuo deve trovare una limitazione di fronte a interessi più vasti e organizzati… (Interruzioni al centro e a destra – Commenti).
BELLAVISTA. Viva la libertà di stampa! (Interruzione del deputato Labriola).
SCHIAVETTI. Le dirò, onorevole Labriola, che non mi dispiace affatto di non essere d’accordo con lei…
LABRIOLA. Oh, lo capisco!
SCHIAVETTI. …ma viceversa mi fa molto piacere di essere d’accordo con un democratico, il quale ha testimoniato veramente con la propria vita e con una lotta lunga e tenace di essere un democratico: voglio dire con Edoardo Beneš. (Commenti al centro e a destra – Interruzioni del deputato Labriola).
Quando si crea un nuovo regime, si assumono responsabilità di carattere storico. Non si tratta più di essere capo di un governo o capo di un partito, ma si lega il proprio nome e la propria responsabilità alla creazione di tutto un ordine nuovo!
BELLAVISTA. Anche Mussolini diceva lo stesso! (Interruzioni del deputato Labriola).
SCHIAVETTI. Ragionando alla stregua della sua obiezione dovrei farle notare che anche lei è arcivecchio!
LABRIOLA. Questo è Medio Evo, mio signore. Queste sono enormità, signor Presidente.
PRESIDENTE. Scriva un articolo sul suo giornale per protestare.
SCHIAVETTI. Beneš ha assunto dunque la responsabilità di patrocinare, presso l’opinione pubblica czeca, questo modo di tutelare la libertà della stampa, limitando il diritto di proprietà delle aziende giornalistiche. Egli si è posto i problemi che stiamo trattando in questo momento. Egli – non ci vuole un ingegno ed una sensibilità straordinaria per capirlo – ha detto: noi andiamo evidentemente incontro a limitazioni di alcune libertà individuali, ma la nostra è un’epoca nella quale, quando un conflitto si pone fra l’interesse collettivo e la libertà individuale, è la libertà individuale che deve cedere di fronte all’interesse collettivo. (Applausi a sinistra – Commenti al centro e a destra).
LABRIOLA. Questa è la tesi del fascismo.
SCHIAVETTI. Del resto, onorevole Labriola, se lei crede di poter ridurre il valore dell’argomento di Beneš per il fatto che egli è un capo di Governo e che potrebbe perciò parlare pro domo sua, io potrei pensare che anche ella cerca di parlare pro domo sua. (Commenti – Interruzioni del deputato Labriola).
In sostanza, onorevoli colleghi, nel progetto attuale noi non troviamo nulla di organico che si proponga di difendere la libertà, l’indipendenza e la moralità della stampa, se moralità è assoggettamento all’interesse generale in modo organico e preciso. E quasi a confermare che questa critica è esatta e coglie nel giusto, il progetto dimostra una singolare diffidenza verso un’istituzione nuova che è stata anch’essa oggetto delle critiche di tanti difensori dei diritti e della libertà individuali. Questo progetto non fa parola dell’albo e dell’ordine dei giornalisti. Ho sentito mille volte ripetere da parte di giornalisti liberali che il giornalismo deve rimanere un’attività completamente libera, che non si deve imporre la condizione di nessun titolo, l’appartenenza a nessun ordine, il possesso di nessuna tessera per esercitare la professione del giornalismo. Noi siamo invece di opinione perfettamente contraria, soprattutto perché partiamo dalla considerazione dell’interesse generale, anche se questo sacrifica, in qualche parte, un malinteso interesse individuale.
Mi permetto innanzi tutto di ricordare che anche il progetto francese Ramadier-Bourdan stabilisce, per la possibilità di esercitare il giornalismo, l’obbligo di avere la carte de identité des journalistes professionnels, bisogna avere cioè una carta speciale che attesti che si è giornalisti professionisti.
Devo anche ricordare che il Congresso della stampa italiana, che si è tenuto nell’ottobre del 1946 a Palermo, è stato unanime nella sua votazione per affermare il concetto che vi debba essere in Italia un albo dei giornalisti, a cui corrisponda naturalmente un ordine dei giornalisti. In regime fascista c’era l’albo e non c’era l’ordine dei giornalisti, ma il motivo di questa mancanza è chiaro. Il regime fascista si proponeva di creare l’ordine dei giornalisti, ma si trovò ad un certo punto tra i piedi l’esistenza di molteplici sindacati fascisti dei giornalisti, ed allora rinunciò a questa specie di perfezione architettonica del proprio sistema e non creò l’ordine dei giornalisti. Lasciò i sindacati dei giornalisti ma stabilì, in ogni modo, l’albo professionale. Ora, mi dispiace di dover difendere ancora una volta un istituto che è stato creato dal fascismo. (Interruzione del deputato Labriola).
Onorevole Labriola, io non ho avuto nessuna debolezza dinanzi al fascismo e credo che lei non possa dire altrettanto.
LABRIOLA. È falso!
SCHIAVETTI. Lei è tornato in Italia con la tolleranza del Governo fascista. Chi tornava spontaneamente in Italia, dopo lunghi anni di lotta antifascista all’estero, doveva finire logicamente in galera…
LABRIOLA. Io ho scritto tre volumi contro il fascismo!
SCHIAVETTI. È la vita che conta, non sono i libri! (Interruzione del deputato Labriola).
Devo in ogni modo desumere da questa sua soverchia sensibilità che lei non ha i nervi a posto. (Interruzione del deputato Bellavista).
Mi dispiace di dover difendere, dunque, ancora una volta, un istituto creato dal fascismo. Quello che ha detto un onorevole collega, di cui non conosco il nome, che io possa essere imputato di apologia del fascismo, è una facezia della quale non voglio tener conto e credo che non sia necessario di tener conto. Il fascismo istituì l’albo dei giornalisti, evidentemente, non con i medesimi intenti con i quali noi oggi vogliamo mantenerlo. Come per le corporazioni il fascismo voleva fare dell’albo dei giornalisti uno strumento per la sua politica di tirannia e di assoggettamento, la quale diceva che tutti i cittadini italiani dovessero essere controllati nella loro vita quotidiana e nell’attività per il pane quotidiano. I nostri fini sono diversi. In ogni modo non è detto che, per il fatto che io sono stato un avversario per tutta la vita del fascismo, non possa transitare per via dell’Impero e debba invece cercare la distrutta via Alessandrina per andare al Colosseo. Anch’io passo per via dell’Impero e non credo che questo significhi rendere omaggio al fascismo, onorevoli interruttori!
L’albo fu dunque proposto dal fascismo con intenti del tutto diversi da quelli per cui noi ne proponiamo il mantenimento. Noi proponiamo il suo mantenimento per la tutela anzitutto della dignità giornalistica, perché ci sono stati troppi casi di persone indegne che hanno praticato il giornalismo giovandosi della mancanza di qualsiasi organizzazione, diffamando così una classe di cittadini e di lavoratori italiani che non meritavano di essere diffamati. L’albo rappresenta anche una garanzia per il pubblico e per di più contribuisce in modo energico, in un certo senso ne costituisce il solo strumento possibile, all’auto-governo di una categoria così importante per la vita culturale e politica; un auto-governo che non deve servire alla soddisfazione di interessi particolari, ma che deve collaborare con le stesse autorità pubbliche e con lo Stato per il controllo dello esercizio del giornalismo e anche per risolvere taluni di quei casi di abuso della libertà giornalistica (ricatti, diffamazioni, ecc.), che spesso sono difficilmente colpibili dalla legge penale.
L’albo dei giornalisti deve divenire (insieme con la istituzione dell’ordine dei giornalisti) uno strumento devoto e intelligente per una regolamentazione moderna della libertà e dell’indipendenza della stampa.
Anche per quello che riguarda il vecchio, tradizionale terreno della libertà della stampa dagli abusi del potere esecutivo, il progetto del Governo non si dimostra troppo efficace, ed in un certo senso direi non si dimostra troppo convinto delle proprie ragioni. Voi sapete che una delle cose principali da fare era quella di reagire contro il sistema della autorizzazione, che era una caratteristica del regime fascista, per cui la pubblicazione di un giornale poteva essere ammessa o no a seconda della personalità del gerente e a seconda delle indicazioni di carattere politico che si potevano trarre dall’esame di questa personalità. A questa pratica della autorizzazione si vuole sostituire, invece, l’antica pratica tradizionale di tutte le democrazie in tutti i paesi liberi: la pratica della registrazione, del semplice avviso della pubblicazione di un giornale. Chi vuole pubblicare un giornale deve semplicemente depositare in un ufficio dello Stato i documenti dai quali risulti che esso è in accordo con le prescrizioni della legge. Non deve esservi nessun bisogno di autorizzazione per la pubblicazione di questo o di quel giornale, in senso singolo ed individuale. Si vuol fare, insomma, della registrazione qualche cosa di perfettamente automatico; viceversa, nel progetto del Governo – che non è stato, da questo punto di vista, sufficientemente emendato dalla Commissione – vi è un sistema ambiguo, per cui si ammette, sì, che per la creazione di un giornale basta soltanto depositare certi documenti presso la cancelleria del Tribunale, ma si stabilisce poi che l’autorizzazione ad iniziare le pubblicazioni deriva da un’ordinanza del magistrato, il quale ha riconosciuto che i documenti depositati sono conformi alla legge.
Ora, attraverso questo meccanismo del riconoscimento da parte di un magistrato (seppure nel termine di 15 giorni) che il deposito dei documenti è avvenuto conformemente alla legge si fa strada la possibilità per il potere esecutivo di compiere degli abusi. Noi invece non vogliamo indurre in tentazione nessuno, nemmeno il potere esecutivo, e riteniamo quindi più opportuno far sì che la creazione di un giornale avvenga automaticamente, mediante la presentazione di alcuni documenti depositati presso il Cancelliere del Tribunale.
Ed eccoci finalmente giunti ad uno dei problemi che, anche dal punto di vista della libertà di stampa, interessano di più coloro che pure non condividono il nostro concetto nei riguardi della proprietà della stampa e dei problemi della stampa in genere. Voglio dire il problema del sequestro preventivo dei giornali, sequestro preventivo inteso nel senso di sequestro anteriore ad una sentenza irrevocabile della magistratura.
Voi sapete che la nostra Costituzione ha stabilito all’articolo 16 – che è diventato nel testo definitivo l’articolo 21 – che il sequestro preventivo, anteriore cioè alla sentenza irrevocabile di un magistrato, possa avvenire, per alcuni reati, ad opera della polizia giudiziaria imponendo a questa l’obbligo, entro 24 ore, di comunicare il sequestro stesso all’autorità giudiziaria; e se l’autorità giudiziaria non dà il proprio assenso, il sequestro si ritiene come non avvenuto.
Tuttavia noi interpretiamo questa disposizione della Costituzione non come una norma impegnativa per il legislatore, ma soltanto come una possibilità che gli si dà nel caso che ritenga necessario di servirsene. Ma non è obbligatorio, se il legislatore non lo crede opportuno, di usare lo strumento del sequestro preventivo.
Noi possiamo stabilire, senza nessuna preoccupazione di violare la Costituzione (perché per quello che riguarda la tutela dei diritti dei cittadini restiamo al di qua, non andiamo al di là dei limiti fissati dalla Costituzione), che in nessun caso possa avvenire un sequestro di giornali da parte della polizia, cioè dell’autorità amministrativa; ma che per sequestrare un giornale, in casi di estrema urgenza, prima della sentenza irrevocabile della magistratura, sia necessaria l’ordinanza di un magistrato. Naturalmente, sarebbe preferibile che non avvenisse nessuna forma di sequestro preventivo, nemmeno per mezzo dell’ordinanza di un magistrato. Tuttavia vi sono delle eccezioni che possono essere benissimo comprensibili per la complicazione della società moderna, per i nuovi problemi posti da certi suoi caratteri e dall’intervento nella vita politica di vaste masse di cittadini.
Per quello, ad esempio, che riguarda i giornali che compiono dei reati di offesa al pudore, non c’è da meravigliarsi che si possa ammettere la possibilità del sequestro prima della sentenza del magistrato. Noi diciamo però che questo deve avvenire soltanto in seguito ad una ordinanza del magistrato e non per l’arbitrio di un commissario di pubblica sicurezza o di un questore o, sia pure, dello stesso Ministro dell’interno.
Com’è noto, vi sono soltanto alcuni reati, chiari e precisi, per i quali si ammette la possibilità del sequestro preventivo ad opera di un magistrato, e si tratta, come sapete, dell’offesa al pudore, dell’oltraggio alla persona dei sovrani esteri o del Presidente della Repubblica, dell’istigazione a delinquere e di pochi altri casi. La ragione per la quale noi insistiamo in modo particolare su l’esclusione dell’esecutivo dall’esercizio di questo diritto non è soltanto da ricondursi a delle norme generali di diritto, o a quelle norme politiche di carattere generale che si ricollegano a tutte le lotte che nel secolo scorso si sono condotte per ridurre l’invadenza e la potenza dell’esecutivo; essa si riferisce anche, onorevoli colleghi, ad esperienze molto precise che abbiamo fatte proprio in questi ultimi tempi.
Ci sono stati infatti dei casi in cui il Governo attuale – e intendo per attuale un Governo presieduto dallo stesso Presidente del Consiglio di oggi – ha operato il sequestro preventivo di alcuni giornali con il pretesto di un’offesa al pudore. Qualcuno di voi mi dirà: ma come si può affermare che è stato un pretesto?
E invero un giornalista appartenente alla stessa Democrazia cristiana, uno dei più stimati rappresentanti della classe dei giornalisti, ha scritto qualche tempo fa – e, se non erro, fu su Il Quotidiano, su un giornale quindi strettamente ortodosso – che sarebbe molto difficile confondere la difesa del pudore con la difesa del proprio interesse politico. Eppure proprio questo è avvenuto, come è provato dal fatto che in due processi, su cui si era particolarmente appuntata l’attenzione dell’opinione pubblica, il magistrato ha dovuto assolvere i responsabili di fogli che erano stati arbitrariamente sequestrati in nome della difesa del pudore. Ma intanto il sequestro preventivo era avvenuto e il danno al giornale era stato arrecato, anche se poi vi è stata la magra soddisfazione per le vittime di constatare che il magistrato aveva riconosciuto che non era stato commesso alcun reato contro il pudore. Alludo a un giornaletto anticlericale, Il Pollo, che era stato appunto denunziato per offesa al pudore nel suo numero del 23 ottobre 1946 e nei cui confronti era stato avviato procedimento per direttissima. In effetto si trattava di colpire il giornale per preteso vilipendio al clero e alla religione, reato questo sul quale evidentemente si possono professare diverse opinioni, ma che è contemplato dal Codice penale e che perciò deve essere colpito: colpito, però, senza sequestro preventivo. È chiaro che è stato per togliere di mezzo questo giornale che lo si è accusato di essere incorso nel reato di oscenità. La Magistratura ha dovuto invece riconoscere, con sentenza del 23 dicembre 1946, che questo reato non esisteva e che il giornalista da questo punto di vista era strettamente innocente.
Lo stesso fatto, e in un certo senso più grave, è avvenuto per un altro giornale, che non era specificamente anticlericale, ma che dibatteva problemi di morale familiare e sessuale: Il matrimonio. (Commenti al centro).
Nel febbraio del 1947 questo giornale è stato sequestrato per un articolo in cui poneva un vecchio problema, conosciuto e discusso da tutti coloro che si sono occupati venti o trent’anni fa di morale sessuale, il problema delle esperienze sessuali prematrimoniali della donna. Il problema era trattato con tutta onestà e serietà; si arrivava, naturalmente, a delle conclusioni più vicine a quelle di Léon Blum in Francia che non a quelle delle autorità cattoliche. Ma questo non importa; quello che è enorme è che si sia posto entro ventiquattr’ore fuori combattimento questo giornale, assolto poi dal magistrato, sequestrandolo sotto il pretesto che avesse offeso la pubblica decenza.
Questo dimostra che non c’è bisogno di ricorrere al governo fascista per trovare dei casi in cui il potere esecutivo approfitta di disposizioni ambigue della legge, per violare la legge stessa, per sottoporre il cittadino ad un arbitrio intollerabile. Ora, l’unico modo per impedire che questo avvenga – modo che potrà anche contribuire a far sì che la prossima lotta elettorale si svolga con maggiore calma – sarà quello di essere molto chiari e precisi in proposito. Non si deve ammettere più in Italia, in nessun modo, l’intervento del potere esecutivo, dell’amministrazione, delle autorità di polizia per quello che riguarda il sequestro preventivo dei giornali, ossia il sequestro anteriore alla sentenza irrevocabile del magistrato. I giornali, in alcuni casi di estrema gravità, per la salvaguardia di interessi generali, potranno essere sequestrati preventivamente, ma soltanto in seguito ad ordinanza dell’autorità giudiziaria.
MORO. C’è l’articolo 16.
SCHIAVETTI. Ed ecco, onorevoli colleghi, che sono arrivato alla fine di questo mio intervento. (Commenti). Esso vi ha forse stancati a causa della modestia dei mezzi di chi parla, ma io credo in ogni modo – e non faccio con questo che rendere omaggio alla vostra intelligenza e alla vostra sensibilità – che vi abbia interessato per la gravità, per la complessità e per la delicatezza dei problemi che sono connessi a questo progetto di legge. Problemi gravissimi, problemi soprattutto gelosi e delicati, quando si tratta di edificare un regime democratico. Il problema della libertà e dell’indipendenza della stampa è proprio uno di questi problemi. Ricordatevi, onorevoli colleghi, che l’esperienza di tutti i giorni ci dimostra che probabilmente non avverrà della stampa quello che è avvenuto per altre manifestazioni dello spirito, per il teatro, ad esempio, a causa della concorrenza che gli ha fatto il cinematografo: non avverrà, cioè, alla stampa che essa possa essere diminuita nel suo valore dalla radio, perché il valore documentario e il carattere di certezza che sono propri della parola scritta, ci assicurano che la stampa rimarrà un organo di informazione e di discussione preferito da tutti coloro i quali abbiano superato un livello minimo di cultura e di educazione politica. (Applausi all’estrema sinistra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, devo incominciare col ringraziare l’onorevole Cevolotto, presidente, nonché l’onorevole Colitto, segretario della Sottocommissione che ha preparato il progetto per la stampa, e a cui i nostri diligenti colleghi hanno dato il concorso d’un lavoro senza dubbio notevole.
Particolarmente ringrazio il mio buon Colitto, e desidero precisare che gli faccio questo ringraziamento proprio nel momento in cui prendo la parola per proporre che il progetto di legge sulla stampa, alla quale egli ha collaborato, sia rinviato alla nuova Camera, che ne potrà fare una discussione più attenta, un esame più particolareggiato, e non limitato, com’è qui limitato, fatalmente, e dalla costruzione stessa del progetto, a una sola parte del problema.
Non esaminerò il progetto con la diligenza che vi ha messo il collega Schiavetti, che ringrazio peraltro per avermi risparmiato una buona parte del discorso che intendevo fare; mi limiterò a tentar di provare che il progetto di legge è monco.
Esso appare dominato dalla preoccupazione di quello che è l’interesse del Governo nella stampa; di quelli che sono gl’interessi dei partiti nella stampa; di quelli che sono perfino gl’interessi e i diritti dei singoli. C’è, per esempio, una tutela del querelante che è sbalorditiva. Si arriva al punto di concedere al querelante un’infinità di diritti, i quali nascono, è vero, dall’offesa che egli può aver ricevuto dal giornalista; senonché non tutti i giornalisti sono incauti diffamatori, professionisti della diffamazione. Talvolta è nella concitazione del discorso che scappa la frase violenta. Alle volte accade che ci sono più diffamati, o ritenuti diffamati, i quali giudicano diversamente la diffamazione che li colpisce. E mi fa veramente piacere, onorevole Parri, di cogliere questa occasione per parlare un attimo di lei.
C’è il progetto d’amnistia, il quale comprende l’amnistia per tutti i reati di competenza del pretore: quasi certamente c’entrerà la diffamazione per mezzo della stampa. Quindi ritengo di essere, come amnistiando, al riparo delle frecce ch’ella potrà scagliarmi in veste di querelante, onorevole Parri.
PARRI. Non il pretore, è il tribunale che deve giudicare. (Commenti).
GIANNINI. Lasciatemi finire. Voglio dire semplicemente che questo rapporto, questo giudizio, che abbiamo con l’onorevole Parri (e non so come c’entri anch’io e personalmente, dato che personalmente vi sono estraneo, e vi apparisco indicato come imputato unicamente dall’onorevole Parri) questo procedimento, insomma, concerne, o dovrebbe concernere, anche l’onorevole Longo e il generale Cadorna, i quali non hanno sentito il bisogno di querelarsi né contro il gerente e i legali responsabili del giornale che si è occupato di loro, né contro di me, che, secondo l’avvocato d’una sola parte, ne sarei l’ispiratore, mentre al massimo potrei diventarne il responsabile civile.
Certo si è che tre persone rispettabilissime, l’onorevole Parri, il Generale Cadorna e l’onorevole Luigi Longo, hanno dato una differente valutazione d’un fatto che li riguarda. Due di essi non si ritengono diffamati e offesi, mentre l’altro si ritiene diffamato e offeso. Pure il fatto è lo stesso: unico per tutti e tre; e non si capisce come possa avere una diversa interpretazione politica e personale.
È chiaro, dunque, che anche la questione strettamente personale, che si riconnette alla diffamazione di carattere politico, è considerata con un eccessivo scrupolo e minuzia in questo progetto di legge sulla stampa, quasi che noi, come legislatori, non dovessimo avere altra funzione che quella d’intervenire nelle particolari questioni che possono insorgere fra l’onorevole Parri e me, o fra l’onorevole Schiavetti e me, il giorno in cui l’onorevole Schiavetti mi vorrà querelare.
Questo è uno dei difetti del progetto, ma ve ne sono degli altri. S’è parlato addirittura di limitare il diritto di fare un giornale (bel modo di tutelare la libertà di stampa!) solamente a certi grandi organismi. Si è parlato di limitare, e di non limitare, il diritto del Governo di sequestrare un giornale e, praticamente, di togliere dalla circolazione un giornale.
Il collega Schiavetti ci ha brillantemente ricordato l’esempio d’un giornale perseguito per oltraggio al pudore, mentre effettivamente l’oltraggio non era stato fatto che alla mancanza di pudore politico di chi perseguitava non una impudicizia, ma un’idea politica a cui è contrario.
Ci siamo preoccupati di limitare, d’individuare con precisione e a scopo persecutivo i proprietari delle aziende giornalistiche, di ridurre i loro diritti non so in base a quale nuova concezione della libertà, di stabilire una quota limite nella proprietà del giornale, di rivelare senza nessun velo e nessun mistero l’origine delle sue fonti finanziarie, e, in una parola, dell’alimentazione del giornale.
Amico Schiavetti, lei fa un giornale, io lo vedo il suo giornale, lo conosco: è povero. Si sanno le sue fonti, come si sanno le fonti di tutti gli altri giornali. Noi non riusciremo mai – per quante dichiarazioni si facciano – a dimostrare a tutti i «pinchi pallini» d’Italia come veramente si faccia a finanziare un giornale.
Il problema non è questo. Il giorno in cui viene dimostrato che un giornale è finanziato da un partito, credo che – se vogliamo andare veramente in fondo con le indagini sui mezzi di finanziamento – dovremo cominciare a domandarci chi è che finanzia il partito che finanzia il giornale,
Ciò che deploro, e che mi ha spinto a chiedere che il progetto di legge sia rinviato alla nuova Camera e rielaborato con maggiore accuratezza, è la mancanza d’un sia pur minimo accenno ai diritti d’una parte molto importante nella vita del giornale. Sosteneva poco fa il collega Schiavetti (suscitando le ire dell’onorevole Bellavista) che a un certo momento, quando si trovano in conflitto due libertà e due interessi, la libertà e l’interesse del singolo e la libertà e l’interesse della collettività, sono la libertà e l’interesse del singolo che devono cedere di fronte alle maggiori esigenze della collettività.
LABRIOLA. Proprio il contrario!
GIANNINI. Mio caro maestro Labriola, per far piacere al collega Schiavetti posso dichiararmi provvisoriamente d’accordo con lui e in disaccordo con voi! Senonché c’è un fatto: che anche nelle collettività c’è una gerarchia, per cui la libertà e i diritti di una collettività più piccola devono (secondo il ragionamento di Schiavetti) cedere il passo alla libertà e ai diritti della collettività più vasta. Ora, a quale collettività si è riferito l’onorevole Schiavetti? Ai sindacati, ai partiti, a quegli organismi politici, i quali, essendo numericamente superiori all’uomo isolato, hanno (secondo Schiavetti e i colleghi che la pensano come lui) diritto a una libertà preferenziale. E allora io vi dico: voi avete dimenticato la libertà e l’interesse d’una collettività maggiore e più importante, che è il pubblico, la collettività dell’uomo qualunque, la quale ha diritto di sapere! E voi, con questo progetto di legge sulla stampa, le negate il diritto di sapere. (Approvazioni).
LABRIOLA. Per le generazioni successive, che possono considerare non leale quello di oggi, è perfettamente leale il pensiero di domani.
PRESIDENTE. La prego, onorevole Labriola.
LABRIOLA. Mi perdoni, non ho mai interrotto nessuno.
GIANNINI. Io abbraccio l’amico Labriola. Ma lo prego di lasciarmi dire: questa maggiore collettività, che è il pubblico, è praticamente privata di quella elementare libertà che è «la libertà di sapere».
Noi abbiamo avuto un regime di stampa fascista, del quale non solo l’onorevole Schiavetti, ma molti altri uomini di sinistra hanno trovato motivo di lodarsi. C’è una causa fondamentale in questi motivi caro Schiavetti, e l’ha accennata lei stesso senza completarla, quando ha detto che dopo la rivoluzione del 1789 sono nati e sono stati proclamati dei diritti, per esercitare i quali ancora mancano i mezzi. Su questo possiamo essere d’accordo, è vero che mancano troppi mezzi per esercitare molti diritti che furono proclamati dalla Rivoluzione francese, la grande Rivoluzione europea della fine del 1700; ma non è certo ritornando al feudalesimo, e cioè al regime politico che da quella rivoluzione fu abbattuto, che possiamo esercitare quei diritti proclamati e non ancora applicati. Ora uno di questi diritti, che è contenuto nel diritto alla libertà della stampa, è, da parte del pubblico, «la libertà di sapere». Che importa a me, cittadino e deputato italiano, di tutelare il diritto d’un singolo che debba scrivere su un giornale?
Anch’io scrivo su un giornale: ma io sono qui non per me; io rappresento una parte, grande o piccola, della Nazione; grande o piccola del popolo italiano. Ed è di quelli che rappresento che mi devo preoccupare, qui dentro, di quella parte che è priva della libertà di sapere; debbo procurare di garantire ogni libertà a quelli che mi hanno mandato qui a difendere la loro libertà, non la libertà mia di scrivere quello che voglio, e che io posso anche scrivere in una lettera, per poi tirarla fuori a momento opportuno, com’è sempre avvenuto in epoca di calamitosi rivolgimenti politici.
Ora, noi ci troviamo in questa terribile situazione. Nel mondo moderno, e per fortuna non soltanto in Italia, altrimenti mi sentirei disonorato d’essere italiano, noi siamo costretti a dover giudicare ogni azienda giornalistica, quasi senza eccezioni amico Schiavetti, e lei me lo può confermare, perché fa un giornale e io so con quanti stenti, come se fossimo in presenza d’agenzie di menzogne, le quali non hanno altro compito che quello di disorientare il pubblico, d’ingannarlo, di creare in esso condizioni di spirito e di fatto il più delle volte artificiosi, mendaci, spesso producenti guerre, stragi, crisi.
Ricordo un malinconico episodio personale, tanto più malinconico, perché si riferisce alla guerra che ho odiato e che odio profondamente per tutto il male che m’ha fatto.
Mentre lei era in esilio, caro Schiavetti, noi abbiamo letto sui più seri giornali italiani che gli Stati Uniti d’America avrebbero perduto la guerra, perché non avevano più gomma, perché il Giappone aveva conquistato tutte le basi dove si poteva produrre la gomma, tutte le piantagioni di gomma, le distillerie di gomma, tutta la gomma del mondo. Pareva che non si potesse far più un impermeabile in America, se non vi fosse tornata la pace. Venne diffusa una notizia pubblicata da tutti i giornali, informante che negli Stati Uniti d’America era stata fatta una sottoscrizione per la gomma, una sottoscrizione nazionale per raccoglierne tutti i rottami, e che perfino il Presidente Roosevelt aveva versato a questa sottoscrizione nazionale il proprio tappetino da bagno, che era di gomma, per farne nuova gomma allo scopo di poter continuare la guerra. Schiavetti, noi abbiamo creduto a questo.
SCHIAVETTI. Noi no.
GIANNINI. Voi no ma qualcun’altro ci ha creduto. Non potete pretendere che ogni altro abbia la testa vostra. Molti vi hanno creduto, moltissimi sono morti per avervi creduto, e voi dovete rispettarli appunto perché sono morti credendo a qualche cosa. Ora, questa gente che è morta per aver creduto, se fosse vissuta si sarebbe trovata nella condizione di veder arrivare a Roma i carri armati pesanti Sherman coi cingoli di gomma, e di dover finalmente rendersi conto che non era affatto vero che il signor Roosevelt aveva versato il suo tappetino da bagno, né che gli Stati Uniti fossero privi di gomma.
Da che cosa nasce questa organizzazione menzognera, che non si limita soltanto al regime fascista, perché tutti i regimi, tutti i governi, tutti i partiti vi ricorrono, e noi lo sappiamo e ne abbiamo la prova ogni giorno? Questa violenza spirituale, esercitata attraverso i giornali, attraverso le agenzie di notizie, è esercitata all’unico scopo di derubare l’uomo qualunque, la donna qualunque, la folla, la parte più sana di tutti i Paesi e non soltanto dell’Italia, del suo sacro diritto alla «libertà di sapere».
È su questo che io chiedo che la legge si soffermi, ed è precisamente di questo che la legge non parla affatto, per cui io la ritengo monca, difettosa, e chiedo che sia rinviata alla nuova Camera per un esame più approfondito.
Concordo nel concetto che bisogna difendere, che bisogna nobilitare e magnificare la funzione del giornalista, perché troppo si è parlato, troppo spesso si è calunniato questo eroe della penna, che lavora per passione, che il più delle volte ha tanto di quell’ingegno che se si mettesse a fare una professione meno difficile e meno drammatica, certamente vivrebbe meglio e guadagnerebbe di più. È giusto che questo artista della penna sia tutelato, sia protetto; ma non facciamo le cose in fretta e furia. Non abbiamo nessuno che ci insegne. Possiamo benissimo commisurare quella che è la tutela del giornalista, con quella che è la tutela ancor più importante del giornale fatto per il pubblico, dato al pubblico, fatto col danaro del pubblico, al quale dev’esser lasciata intatta la libertà di sapere. Ora, nelle condizioni attuali, questa libertà non è in nessun modo garantibile. Non è garantibile, perché fra le altre, non dico, ridicolaggini, ma fra gli altri squilibri spirituali di quella che è tutta la polemica sulla stampa, c’è questo: si parla della libertà di stampa e non si parla mai della libertà di stampare.
Una volta il giornale costava un soldo: un soldo, all’epoca in cui i politici come Giovanni Giolitti avevano portato la lira al valore dell’oro. Io ricordo che in quel tempo prendevo la mia cinquina di caporal maggiore in Africa, in oro, col marengo tunisino. Ora c’è un rapporto da uno a quattrocento fra quella moneta e questa. Per comprare il giornale che allora costava un soldo, oggi si dovrebbero tirar fuori quattrocento soldi, forse quattrocentocinquanta soldi, ossia 25 lire. Il giornale non costa 25 lire, costa 10 lire, cioè a dire meno di 2 centesimi di prima. A quel prezzo il giornale non si può fare, e non c’è nemmeno chi lo fa.
Si dice: «Voi vi rifate sulla grande vendita». Non è vero! A 10 lire, il giornale non si può vendere; perché non sono le dieci lire che vanno all’amministrazione del giornale. Dalle 10 lire bisogna diffalcare circa il 25 per cento di spese, provvigioni al rivenditore, e tutte le altre spese generali. Delle 10 lire arrivano all’amministrazione 5 lire. Ma a chi racconto queste cose? All’onorevole Nenni, che le sa benissimo? All’amico Lizzadri, che si mette la mano davanti alla bocca per non far vedere che sta ridendo? Tutti sappiamo che i giornali sono passivi, e che il loro passivo è coperto o dal partito o dal contratto di pubblicità, o da coloro che, sotto il nome di finanziatori, diventano i veri e propri direttori dei giornali e quindi dei partiti politici, perché fatalmente finiscono col pretendere di non limitare il loro intervento nella vita pubblica a quella sola funzione, già abbastanza nobile, che è l’erogazione. Sì, onorevoli colleghi, l’erogazione, poiché il saper scegliere chi meriti il nostro aiuto, è indizio certo di possedere una forma altissima d’intelligenza. Invece, questi erogatori s’improvvisano direttori di correnti politiche, e alle volte si servono, contro il giornalista che s’infischia di loro, del sistema più rapido. «Noi ti tagliamo i viveri; tu non fai più il giornale». C’è chi ha paura di fare questa brutta figura, e si piega e continua a fare il giornale. C’è chi non ha paura e non si piega; ma il giornale finisce lo stesso.
Onorevoli colleghi, come si può, in tali condizioni, parlare di libertà di stampa, senza far ridere chiunque sappia che cos’è un giornale? La libertà di stampa nelle attuali condizioni economiche non è possibile, non esiste. La libertà di stampa può essere attuata soltanto da un settimanale a grande diffusione, a grande vendita, ad alto regime di pubblicità.
Si dirà certamente che sto «cicerando per il mio duomo»; ma la verità è questa: se il mio partito oggi è ancora vivo, se è ancora forte e ancora determinante d’una situazione politica, che ci ha valso il piacere e l’onore d’avvicinarci al nostro maestro Francesco Nitti e agli amici del Partito liberale, ciò si deve unicamente al fatto che c’è stato un settimanale, «l’Uomo Qualunque», che non è mantenuto da nessuno, che vive senza bisogno di nessun cordone ombelicale e che ha tenuto in piedi una situazione politica che altrimenti sarebbe precipitata.
Ora, questo non è un fatto che si ripete spesso: è un’eccezione, potrei dire un fenomeno personale. In simili condizioni parlare di libertà di stampa è, se non criminoso, almeno ridicolo. Tutti sappiamo che cos’è la vera libertà di stampa, che consiste nel poter scrivere ciò che sinceramente si pensa, alle volte anche indipendentemente dalle direzioni dei partiti, dai quali non è detto che un uomo libero debba dipendere come uno schiavo.
Non ho rimedi da suggerire per risolvere questo vastissimo problema; e non li ho, perché non li ho studiati e non ho avuto il tempo per studiarli. Come tutti sappiamo, tutti noi siamo in questo momento affaccendati in faccende elettorali certamente meno nobili, ma assolutamente più urgenti.
Rimandiamo questa legge alla nuova Camera, perché sia esaminata con quella accuratezza, con quella coscienza, con quel senso di giustizia con cui dev’esser esaminata; e, principalmente, esaminata dal punto di vista della «libertà di sapere», che dev’esser lasciata all’uomo qualunque, massa nella quale si confondono gli aderenti di tutti i partiti; perché, quando dico «uomo qualunque», non intendo creare il monopolio di nessuna specie umana; parlo della folla, di tutti.
Rinviamo lo studio di questo progetto e cerchiamo, noi che di stampa c’intendiamo, di collaborare con la Commissione nel miglior modo, perché sia assicurato al popolo il diritto e la libertà di sapere. Quando questa libertà di sapere sarà veramente conferita all’uomo qualunque, quando non ci sarà più nessuno che potrà ingannare un popolo intero sulla mancanza di gomma negli Stati Uniti, o sulla morte di Stalin in Russia, o su altre fanfaluche, che servono soltanto a turbare gli animi e a scavare abissi fra uomini e uomini, tempeste fra correnti e correnti, noi avremo dato all’uomo qualunque la base di tutte le libertà, che in sostanza noi tutti, in una forma o nell’altra, cerchiamo di dargli.
È per questo che, ringraziando di nuovo il collega Schiavetti, che m’ha risparmiato di fare l’esame dettagliato dell’articolazione della legge, invito gli onorevoli colleghi della Commissione, che così diligentemente hanno preparato il disegno di legge, trascurando però il punto di vista della «libertà di sapere», di volere accettare la mia proposta di rinviare a momento più comodo e più facile l’esame di questa importantissima legge, che interessa non soltanto giornalisti, editori e uomini politici, ma anche e soprattutto la grande massa del popolo italiano. (Applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bettiol. Ne ha facoltà.
BETTIOL. Onorevoli colleghi, concordo pienamente con l’onorevole Schiavetti nel ritenere che questa legge tocca realmente argomenti ardui, difficili e importantissimi, particolarmente in questo momento politico; ed è per questo che con senso di trepidazione mi accingo a portare un modesto contributo alla chiarificazione di problemi e di questioni, ai quali questa legge fa specifico riferimento.
Indubbiamente, onorevoli colleghi, se è possibile stabilire un paragone fra l’organismo fisiologico e l’organismo politico, la legge sulla stampa è come il polmone del corpo politico, che ha bisogno dell’ossigeno della libertà, onde potere funzionare e garantire all’organismo stesso la vita e le possibilità del suo sviluppo. Perché è indubbio che la legge sulla stampa costituisce la pietra di paragone per stabilire se un determinato organismo politico è a sfondo democratico o è a sfondo antidemocratico o totalitario.
Perché le declamazioni astratte sulla democraticità di un sistema a nulla giovano, se poi in concreto questo sistema si serve di una legge che può. mettere il bavaglio alla stampa di opposizione, quando in nome di presunti interessi di carattere generale si vuol limitare la libertà individuale. Quindi non già declamazioni astratte sulla libertà e sulla democraticità di un sistema servono a determinare il carattere dello stesso, ma l’esame concreto e dettagliato di quella che è la legge sulla stampa. E in vero, attraverso la stampa e la sua regolamentazione, si può procedere ad una pianificazione di carattere ideologico, che è come l’anticamera di quella pianificazione di carattere politico che è la palestra nella quale i regimi antiliberali fanno le loro capriole.
Ora, stampa vuol dire indubbiamente pensiero; pensiero vuol dire critica; critica vuol dire libertà ideologica, che in un regime democratico non può conoscere limitazioni al di fuori di quelle specificatamente determinate e sancite dalle leggi penali, o da quelle leggi che riposano su quella che può essere chiamata la volontà generale la cui concezione risale al padre della democrazia moderna: Gian Giacomo Rousseau.
Quindi libertà di stampa significa libertà di agire, libertà di criticare, libertà di manifestare un proprio pensiero nell’ambito delle fondamentali leggi penali o delle leggi predisposte per l’eventuale indicazione dei responsabili dei reati commessi attraverso la stampa. Quindi non una libertà che rinneghi l’osservanza di queste leggi fondamentali del vivere civile, non una libertà che si trasformi in vera e propria licenza, ma una libertà analoga alla libertà di agire di ogni cittadino, il quale può fare tutto quello che non è vietato espressamente dalle leggi penali.
Quindi, badate bene, all’idea ed al principio della libertà di stampa è correlativa l’idea di un certo qual limite, di una limitazione alla libertà stessa, onde la libertà non si trasformi in licenza, onde l’individuo non sia posto in grado di violare, o di compromettere le possibilità di un ordinato e pacifico convivere sociale, onde sia rispettato il principio della legalità che è il cardine supremo di ogni reggimento democratico. Quindi, quando noi ci troviamo di fronte ad una di queste limitazioni, non possiamo parlare di una eccezione rispetto a quella che può essere una regola, ma possiamo parlare di una limitazione, di un limite normale posto alla estrinsecazione della libertà.
Stabilito questo principio, dobbiamo vedere se il progetto di legge, presentato dal Governo ed elaborato dalla Commissione, è tale da garantire questa fondamentale libertà, è tale cioè da garantire sul piano politico – parliamo in concreto – la libertà alla minoranza, la libertà all’opposizione, la libertà a chi ha una propria ideologia politica da difendere, da manifestare e da propagandare, di essere libero di fronte alle possibili inframettenze o ai possibili divieti posti dal potere esecutivo. Perché, ripeto, nell’ambito di un reggimento autoritario la stampa è manovrata dall’esecutivo a tutto scapito delle libertà dell’opposizione, mentre in un reggimento democratico questa possibilità di manovra della stampa da parte dell’esecutivo dev’essere completamente scartata, a meno che la stampa stessa non violi la legge penale la cui osservanza costituisce la conditio sine qua non per poter garantire la convivenza sociale.
Ora, mi pare che questo cardine fondamentale della libertà di stampa è riconosciuto e sancito dall’articolo 1 di questa legge laddove, dopo aver espressamente stabilito che la stampa è libera, si aggiunge che i reati di stampa o commessi col mezzo della stampa sono puniti a norma della legge penale. Non è già questa, ripeto, un’eccezione posta al principio della libertà, non è già questa una menomazione della libertà stessa, ma è un limite normale ad una libertà che, senza questo limite, si trasformerebbe in licenza, la quale porterebbe direttamente ad una situazione politica ben presto insostenibile.
Ora, noi ci dobbiamo porre la domanda se, di fronte a questo progetto di legge, possiamo affermare e concludere che la libertà di stampa è garantita dalle inframettenze del potere esecutivo. La risposta è positiva, nel senso che la libertà di stampa è garantita, che questa legge non può in concreto considerarsi come legge sovvertitrice di quel canone fondamentale di libertà sul quale riposano tutte le singole, specifiche, particolari, libertà democratiche. Vi sono, naturalmente, dei limiti ed i limiti sono in concreto anche determinati e posti dalla possibilità di un sequestro della stampa, così come in concreto la libertà individuale può essere in certi particolari casi misconosciuta o meglio limitata dalla possibilità della custodia preventiva, dell’esecuzione di un mandato di arresto o di cattura, quando la legge penale o processuale consenta alla limitazione stessa.
Il problema del sequestro noi lo consideriamo molto importante e lo vogliamo esaminare analiticamente, per non arrivare alle frettolose conclusioni di chi, esaminando l’articolo 28, laddove si prevede il sequestro di un giornale, affermi di trovarsi di fronte ad una limitazione della libertà di stampa, quindi ad un intervento del potere esecutivo in un campo dove il potere esecutivo non dovrebbe comunque mai interferire.
Ora, se noi analizziamo in modo particolare il n. 4 del secondo comma dell’articolo 28, vediamo come i fatti, per i quali si può procedere ad un determinato sequestro, costituiscono reati, sono fatti che violano tutti la legge penale ed il Codice penale, sono fatti che violano la legge fondamentale della umana convivenza, nel senso che è esclusa a priori ogni possibilità di eliminare la stampa mediante il sequestro quando non ricorra in concreto un fatto che sia previsto come reato dalla legge penale. Ed in vero, l’articolo 28, nella formulazione governativa, prevede il reato di offesa all’onore o al prestigio del Capo dello Stato o del Capo di uno Stato estero; di istigazione a delinquere, nella ipotesi dell’articolo 414 del Codice penale, o di apologia di reato ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo stesso, ovvero di pubblicazioni oscene o contrarie alla pubblica decenza, o infine reati previsti dall’articolo 553 del Codice penale.
La Commissione ha voluto eliminare dal novero dei reati per i quali è possibile il sequestro, il reato di apologia di reato, mentre, invece, sarebbe opportuno conservare anche questo reato, perché attraverso la stampa molto facilmente si può scivolare proprio nella apologia di reato, che è bene invece prevenire e reprimere quando questo fatto si sia manifestato. Ed è anche a nome dei colleghi della mia parte che io insisto e faccio presente la necessità che debba essere considerato, mediante la possibilità del sequestro, anche il reato di offesa del sentimento religioso, tanto dei cattolici come degli israeliti ecc., perché il sentimento religioso è profondamente ancorato nel profondo del nostro cuore ed è un sentimento che tutti ci unisce.
D’altro canto, possiamo concludere che i fatti per i quali questo sequestro è possibile, sono tutti fatti che rappresentano violazioni della legge penale.
Ora, chi può fare il sequestro? Perché una cosa è stabilire la possibilità del sequestro ed altra cosa è vedere in concreto chi può procedere a questo sequestro. È chiaro che il principio fondamentale, in armonia con quanto già sancito dalla Costituzione nostra per tutte le altre limitazioni della libertà individuale, è che il sequestro può avvenire mediante una sentenza irrevocabile della autorità giudiziaria.
Ma d’altro canto (e lo ha accennato anche il collega Schiavetti) nel nostro mondo moderno non sempre è possibile, di fronte alla potenza, alla possibilità che ha la stampa ecc., di rimandare il sequestro ad una sentenza irrevocabile del giudice che può essere pronunciata dopo lunghi e lunghi mesi, mentre intanto la stampa può offendere sentimenti propri della collettività e perpetrare reati con la massima possibilità di diffusione.
Quindi è giusto, e noi sottoscriviamo alla possibilità che possa il sequestro avvenire anche mediante un decreto motivato del magistrato in limine litis, ma, hic sunt leones, ecco il problema: il problema cioè se, al di fuori di questa possibilità in limine litis, sia possibile consentire anche agli ufficiali di polizia giudiziaria questo intervento e quindi la possibilità del sequestro.
Hic sunt leones, dicevo, nel senso che qui si fa più vivo il contrasto ideologico ed avviene il cozzo tra opinioni diverse. Ora, io credo che quanto la Commissione ha fatto non sia da approvarsi, vale a dire quella eliminazione, quella soppressione del quarto comma dell’articolo 28 del progetto governativo, il quale accordava agli ufficiali di polizia giudiziaria la possibilità del sequestro nei casi espressamente specificati nel secondo comma. Quindi non già in base ad un puro e semplice arbitrio, non già in base a quella che può essere una velleità determinata da necessità politiche contingenti, ma nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un determinato reato o fatto commesso mediante la stampa, che realizzi in concreto una figura di reato espressamente prevista dal Codice penale.
Perché voler eliminare questa possibilità di sequestrare mediante un atto dell’ufficiale giudiziario la stampa che ha violato i doveri fondamentali della convivenza civile, quando accordiamo già agli ufficiali di polizia giudiziaria la facoltà di arrestare in flagrante qualsiasi cittadino, di limitare la libertà di qualsiasi cittadino per gli stessi reati, norma che è sancita espressamente dalla nostra Costituzione, che è garante di tutte le libertà fondamentali?
Ed è veramente strano che, mentre da un lato l’onorevole Schiavetti si aggancia a quella che può essere la considerazione degli interessi generali che prevalgono sul diritto concreto di libertà o di licenza, venga poi concretamente a negare la possibilità di questo sequestro compiuto dall’ufficiale di polizia giudiziaria: è un contrasto indubbiamente forte e, credo, insanabile nell’ambito della sua concezione che tanto acutamente e nobilmente ci ha chiarito nel corso del suo precedente intervento.
Pertanto, noi sosterremo la necessità di conservare in questa legge la possibilità del sequestro preventivo compiuto dall’ufficiale di polizia giudiziaria. E badate bene, non soltanto per le pubblicazioni periodiche, ma per tutte le pubblicazioni, tenendo presente il carattere licenzioso delle pubblicazioni stesse.
E qui è una cosa che ci sta particolarmente a cuore: il problema della pornografia, il problema della stampa pornografica, il problema della stampa oscena, il problema della stampa immorale, il problema della stampa scandalistica, il problema della cronaca nera o di stampe espressamente destinate a divulgare con carattere particolare i fatti della cronaca nera, il problema della stampa morbosa che realmente avvelena la coscienza dei giovani, la coscienza degli immaturi, dei ragazzi, cioè la coscienza dei cittadini di domani i quali, invece di essere sottoposti ad un processo di deformazione spirituale, hanno bisogno di trovare, nell’ambito della comunità politica nella quale vivono, le condizioni per il proprio perfezionamento, per la propria educazione morale, per il proprio sviluppo morale – che è reso impossibile dal diffondersi di una stampa morbosa o pornografica.
Ecco perché noi siamo contrari a quella che è la soppressione prevista dalla Commissione per quanto riguarda l’articolo 26.
L’articolo 26 di questa legge dice che, ai fini dell’applicazione degli articoli 528 e 529 del Codice penale, per le pubblicazioni destinate all’infanzia o all’adolescenza, si abbia riguardo, in modo particolare, alla sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti: cosa molto importante questa, perché la legge dà un criterio interpretativo per determinare in concreto quando sussista o non sussista la fattispecie dei reati previsti dagli articoli stessi. È un criterio interpretativo che dà la possibilità di allargare la sfera di incriminazione delle norme di cui agli articoli 528 e 529 del Codice penale, per colpire manifestazioni che attentano particolarmente alla moralità, alla coscienza morale dei giovani e degli adolescente.
Approviamo, poi, il primo capoverso dell’articolo 27 aggiunto dalla Commissione, là dove si dice che: «Lo pene degli articoli 528 e 529 del Codice penale sono aggravate nel caso di pubblicazioni che non abbiano riguardo alla sensibilità propria dei fanciulli e degli adolescenti».
Non si tratta di una ripetizione dell’articolo 26, ma si tratta di una cosa molto diversa perché, mentre l’articolo 26 del progetto determina un criterio interpretativo per quanto riguarda la sfera dell’incriminazione relativa agli articoli 528 e 529 del Codice penale, questo capoverso viene ad aggravare giustamente la pena per coloro che fanno il commercio immondo delle anime, il commercio immondo degli spiriti, per coloro che sono intesi alla rovina delle generazioni, alla rovina del Paese.
Per quanto riguarda l’articolo 27 del progetto ministeriale, cui corrisponde l’articolo 21 nel testo della Commissione, noi vorremmo trasformare questo reato da reato di danno in reato di mero pericolo, aggiungendo la espressione: «in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o da poter provocare il diffondersi di manifestazioni suicide o delittuose».
Repressione penale dei reati di stampa. V’è qui, a questo riguardo, un articolo, il 16, che assolutamente non va, un articolo che deve essere sostanzialmente modificato. È questo, onorevoli colleghi, il problema della responsabilità penale del direttore della stampa periodica. Voi sapete, onorevoli colleghi, come il Codice penale, con gli articoli 57 e 58, preveda ancora, in contrasto con quelle che sono le linee di sviluppo culturale del diritto penale moderno, delle presunzioni di responsabilità, delle presunzioni juris et de jure che, come tali, non ammettono in concreto la prova del contrario, per cui, di fronte ad una sentenza penale di condanna per un reato commesso attraverso la stampa, ne dovrebbe rispondere sempre il direttore responsabile, anche se in concreto egli non abbia partecipato alla perpetrazione del reato, anche se egli non abbia saputo, non abbia avuto alcun sentore, che attraverso il suo giornale si commetteva quel determinato reato.
È questa, onorevoli colleghi, una arcaica, una vecchia presunzione di responsabilità penale, di responsabilità juris et de jure, una violazione del principio nullum crimen sine culpa. Presunzione che si tramanda da codice a codice, così come Goethe diceva che si tramandano di generazione in generazione dei relitti storici che sono in patente contrasto con la situazione di fatto sociale e politica della società che vuole assumere per sé quella determinata norma o che vuole creare per sé quella determinata istituzione.
Ma noi crediamo che un diritto ancorato, come dice la nostra Costituzione, all’idea della responsabilità personale, della responsabilità individuale, della responsabilità per fatto proprio, non si possa, dopo poche settimane, violare con l’introdurre nell’ambito di questa legge una stonatura, un arcaismo giuridico che contrasta con le nostre più profonde convinzioni morali e giuridiche.
Ecco perché io proporrei di ritornare al testo presentato dal Governo, con l’eliminazione di quelle tremende paroline «per ciò solo». Dice l’articolo 16: «Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione, dei reati commessi col mezzo della stampa periodica risponde, per ciò solo, il direttore responsabile». Tremende paroline che determinano un capovolgimento di quelle che sono le basi psicologiche e morali sulle quali poggia la responsabilità penale tanto nella Costituzione testé approvata come nel Codice penale in vigore. Bisogna al posto di queste tre paroline mettere l’espressione «anche»: «risponde anche il direttore responsabile»; vale a dire, al posto di una responsabilità juris et de jure, al posto di una presunzione di responsabilità, mettere invece una presunzione puramente relativa, che ammette in concreto la prova del contrario. Cosa che in pratica la magistratura già concede al direttore responsabile, perché non v’è nessun magistrato di questo mondo che di fronte alla prova concreta che l’imputato, cioè il direttore del giornale, non era presente in loco e non poteva concretamente prendere visione dello scritto, condanni il direttore responsabile stesso.
Qui bisogna farla finita con questa responsabilità juris et de jure e ammettere soltanto una presunzione di responsabilità juris tantum, la quale facilita indubbiamente l’opera della magistratura in quanto fa invertire l’onere della prova e fa venir meno il principio che nel dubbio si deve giudicare a favore del reo. Sarà quindi interessato il direttore del giornale a portare tutte le prove a suo discarico, ma si ammetta già sul piano normativo la possibilità di questa prova liberatoria; diversamente noi procediamo avanti con gli occhi bendati e le mani legate, ossequienti a quello che è un principio tradizionale, ma che oggi non è più sentito come principio ancorato alla nostra coscienza morale e giuridica.
Ora, accertato il reato di diffamazione commesso per mezzo della stampa, a mio avviso bisogna anche predisporre i mezzi per colpire efficacemente l’autore della diffamazione. Perché oggi è troppo facile per il direttore di un giornale o per un giornalista colpire il prossimo attraverso uno scritto ingiurioso, diffamatorio, quando poi, in concreto, il Codice penale prevede delle pene alternative, e prevede delle pene molto basse tanto detentive quanto pecuniarie.
È perciò che io propongo di aggiungere un articolo al testo che dovrà essere approvato dall’Assemblea Costituente, per stabilire che nel caso di reato di diffamazione commesso attraverso la stampa si applicherà la pena della reclusione sino a quattro anni e la pena della multa non inferiore alle lire 50.000. È un rafforzamento delle sanzioni che potrà costituire una remora efficace a quello che è il dilagare, come constatiamo sempre, di questi reati di diffamazione commessi attraverso la stampa.
Poi bisogna accettare anche l’idea della riparazione pecuniaria, di cui all’articolo 25 del progetto e 20 del testo emendato dalla Commissione, per rafforzare quello che può essere il risarcimento dei danni. Sebbene questa riparazione pecuniaria sia difficilmente giustificabile o spiegabile sul piano teoretico, in concreto essa si presenterà come un’arma efficace per stroncare la mala pianta della diffamazione.
E da ultimo ho visto che la Commissione ha soppresso l’articolo 36 sulla recidiva, là dove si diceva che nei reati di stampa la pena pecuniaria da infliggere è moltiplicata per tante volte quante sono le condanne riportate dal colpevole per la medesima motivazione.
Non vedo la ragione della soppressione di questa disposizione che viene a colpire l’inclinazione al reato, che si produce facilmente in coloro che sono più volte incorsi nel reato di diffamazione commesso attraverso la stampa. È bene che a tale riguardo sia previsto questo aggravamento di pena.
Non approvo invece la soppressione prevista dalla Commissione per quanto riguarda le corti d’onore che dovrebbero giudicare nei casi di diffamazione e di altri reati e fatti commessi attraverso la stampa. Non l’approvo perché, giustamente, già da parecchio tempo nell’ambito della categoria professionale queste corti d’onore sono state invocate e possono ritenersi come idonee a tradurre in concreto quei principî di moralità, di senso dell’onore, di libertà di critica e di apprezzamento che sono propri dei giornalisti, sicché non può non riconoscersi che i giornalisti vanno giudicati non col metodo comune, ma con criteri di giudizio maturati nell’ambito della loro categoria. Quindi le corti d’onore vengono incontro a questa necessità di rispettare i principî che informano la moralità e il codice della categoria.
Queste sono le osservazioni di carattere generale che ho fatto a questo progetto di legge in nome degli amici di Gruppo riservandoci, con altri amici, la libertà di presentare in concreto emendamenti ai singoli articoli. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Manzini. Ne ha facoltà.
MANZINI. Il problema che è posto dinanzi all’Assemblea è certo uno dei più appassionanti per un regime che vuol essere di libertà e di progresso civile ed umano.
La legge pone alla coscienza del legislatore e all’opinione pubblica dei dilemmi e dei problemi estremamente ardui ed impegnativi per noi, come uomini e come cittadini, come spiriti che aderiscono ad una visione liberale della società umana.
Tuttavia trovo che in questa legge vi è una lacuna, un difetto fondamentale. Abbiamo sentito enunciare in termini negativi gli aspetti del problema della stampa moderna. Se si raffronta il giornalismo dei tempi eroici, il giornalismo romantico che nasceva come apporto di pensiero, come espressione di nuclei liberamente associati, appassionati al servizio di un’idea, con quello che è il giornalismo tecnico del mondo moderno, ci troviamo di fronte ad un problema estremamente arduo.
Oggi che cosa fa il giornale? V’è un’idea da sostenere, si risponde. Ma l’idea, come ha detto l’onorevole Giannini, è posta in condizioni d’impotenza, o per lo meno di minore efficacia, di limitazione senza un secondo elemento che spesso è predominante: la finanza, il denaro. Perché il giornalismo quotidiano, che è quello che si inserisce ed incide nell’opinione pubblica, e crea la grande forza del dinamismo sociale, le grandi correnti del consenso, dell’opinione, questo giornalismo quotidiano, purtroppo, per un rapporto fatale che possiamo discutere ma non eliminare, è un organismo oramai di struttura tecnica così complessa e così ardua, a far vivere il quale non basta neppure il romanticismo e la passione dello scrittore e neppure la capacità intellettuale dello scrittore. Purtroppo la grande potenza dinamica del denaro è la potenza che dà oggi la facilità delle informazioni e la istantaneità di queste informazioni, dato che il quotidiano è organo soprattutto di notizie oltre che di concetti, e mette l’organizzazione tecnico-giornalistica in una posizione di difficoltà rispetto allo scrittore e crea l’urgenza e la necessità di grandi strutture economiche. Cosicché i giornali divengono formidabili concentrazioni di interessi e i giornali sono, come vediamo nelle grandi capitali dove il giornalismo assurge a vaste strumentazioni tecniche, a trusts e a confluenze di ricchezza veramente strepitose, i giornali – dicevo – diventano né più né meno che elementi della struttura capitalistica della società moderna.
Quale il rimedio? L’onorevole Giannini dice che il giornale costa poco: 10 lire, o 15 lire nel nord. E se è lecito esprimere per inciso un voto che non ha nulla a che fare con la legge ma che ha la sua importanza, è proprio il voto che cessi questo dualismo fra giornalismo del nord e del sud, poiché la linea gotica è superata da un pezzo e, con tutto il rispetto per gli amici di Milano e per gli amici del sud, sarebbe tempo che si risolvesse anche questo problema dei due emisferi del nord e del sud. Ma questo è un inciso.
Ebbene, l’onorevole Giannini dice: costa troppo poco. Io posso aggiungere invece che costa troppo rispetto al pubblico. È vero che costa troppo all’azienda, ma il pubblico ha fame di leggere e questo pubblico che in Italia ha progredito nella passione di temi culturali e politici, questo pubblico risente degli aumenti. Ogni azienda che non sia una grande azienda, le aziende medie e modeste come le aziende giornalistiche più pure e libere, vedono con terrore l’aumento del prezzo dei giornali perché ogni volta esso riduce la possibilità di assorbimento. Quindi non è aumentando il prezzo dei giornali che si risolve il problema. E allora, il controllo?
Ma io pongo un problema centrale. Il problema si risolve soprattutto facendo centro sulla figura che è protagonista dell’opera giornalistica, cioè sul giornalista. Il problema della libertà si riduce ad un problema di responsabilità, di autocontrollo e di educazione politica. Ora, è il giornalista l’eroe di questa impresa. E dico l’eroe perché pochi del mondo profano sanno e comprendono quale sia l’attenzione, la responsabilità e – direi – la dedizione che l’opera del giornalista richiede. È dunque proprio sulla figura del giornalista che noi dobbiamo puntare le prime esigenze e responsabilità e controlli, e soprattutto sollecitazioni, se vogliamo che il giornalista risponda a questa alta sua missione. E in che modo? Con un investimento sempre più vasto della sua responsabilità!
La legge non pronuncia neppure le parole: albo dei giornalisti. Ora, l’albo è una delle prime garanzie che si pongono quando si discute di libertà di stampa e si chiedono giustamente delle garanzie e dei limiti a questa responsabilità. Perché il primo limite è posto dalla coscienza del bene comune, dalla purezza dell’impegno, dalla coscienza della profonda influenza che l’opera dello scrittore e del propagandista esercita sull’opinione pubblica.
L’albo è uno strumento di questa elevazione. L’albo non è solamente un elemento di tutela economica o giuridica sacrosanta e quindi insuperabile del giornalista; è anche un elemento di elevazione morale del giornalista; perché è strumento di selezione e di elevazione, e come tale la sua rivendicazione e la sua enunciazione nel testo della legge costituiscono una delle prime, principali garanzie a quello che è l’oggetto dell’ansia che ha mosso il legislatore nell’elaborare i titoli ed articoli di questa legge, e cioè che i giornalisti sappiano essere consci dei limiti della loro responsabilità e dell’impegno della loro opera. Circa l’albo sento che vi sono qui delle prevenzioni che derivano da una insufficiente conoscenza del problema; l’albo non costituisce una limitazione della libertà, un ostacolo posto alla libera manifestazione della opinione del giornalista, del pensiero, dello scritto.
Mi domando perché devono esservi categorie sindacali giuridiche con albi l’iscrizione ai quali è condizione per l’esercizio delle professioni libere, per i medici, per i farmacisti, per gli avvocati, e non anche per la professione del giornalista. Perché? Quando si pongono particolari esigenze per fare il medico o per fare il professore si presuppongono titoli culturali ed educativi, di preparazione, di dignità morale e professionale ed anche di praticantato. Tutto questo non dovrebbe valere per il giornalista. Non capisco perché. (Interruzione del deputato Labriola).
Ciò che noi vogliamo, onorevole Labriola, è rendere sempre più eletta la figura del giornalista e porre la parola fine al concetto superficiale e volgare che quella del giornalista sia una professione che si possa improvvisare e soprattutto che la beata riva del giornalismo possa essere il rifugio degli uomini che non abbiano una elevata preparazione, che il giornalismo rappresenti un approdo di tutti i naufraghi. Il giornalismo moderno è un’ardua professione che richiede cultura, selezione tecnica, conoscenza, pratica, esercizio continuativo. Quindi da questo punto di vista l’albo è una istituzione fondamentale.
Credo che l’onorevole Schiavetti abbia fatto benissimo a ricordarlo. Non solo, ma noi non dobbiamo nemmeno porci delle pregiudiziali, cioè non vergognarci perché si tratta di una conquista della legislazione fascista. È una cosa ottima che ha fatto il fascismo e dobbiamo riconoscere che in questo campo abbiamo avuto una tutela che dobbiamo augurarci che abbia a svilupparsi, che si perfezioni e non retroceda.
L’albo rappresenta il primo cardine di una garanzia morale anche in tema di libertà di stampa, perché significa elevazione della funzione giornalistica, selezione della classe giornalistica, impegno morale dei lavoratori del campo giornalistico. Ma «albo» che cosa significa? Forse impediamo a chicchessia di esprimere attivisticamente il proprio pensiero di cultura? Ma neanche per sogno. L’albo richiede che chi fa del giornalismo continuativo, professionale, tecnico, abbia a subire il suo collaudo attraverso l’esperienza professionale ed appartenga a una specifica categoria di professionisti, nei quali si presuppongono una certa preparazione di cultura, una certa onestà morale, una certa illibatezza della propria condotta professionale.
Ognuno può scrivere sui giornali. Vi sono le categorie dei pubblicisti. Solo per acquisire il titolo per dirigere un giornale occorrono diciotto mesi di praticantato. Chiunque, purché non pregiudicato, può fare il giornalista professionista. Quindi non so quale impedimento alla espressione libera di pensiero, all’attivismo universale delle proprie opinioni, possa essere l’esistenza di quell’albo professionale che invece è semplicemente una conquista di carattere culturale, di carattere civile, della classe giornalistica, la quale vuole assolutamente rivendicarsi. E mentre domando che nella legge questo riconoscimento dell’albo sia un fatto indiscutibile aggiungo che – e così rispondo all’onorevole Giannini – è esso una delle prime garanzie della professione giornalistica per quanto possa essere inapparente. Perché attualmente abbiamo un contratto collettivo che perpetua un errore e una condizione insopportabile di inferiorità del giornalista rispetto all’azienda.
Tutti discutono del giornale, di leggi sui giornali, di limiti ai giornali, mentre il povero giornalista non è, spesso, che l’ultima pedina di questo gioco nel quale dovrebbe invece essere la prima.
Taluni vogliono il controllo economico dell’azienda giornalistica. Come concetto, per quanto pericoloso e arduo, può essere anche accolto, in quanto fondato sul principio che la stampa è un’attività pubblica talmente impegnativa che la collettività ha anche il diritto di cautelarsi. Non è una attività individualistica qualsiasi. Anzi io, come cattolico, affermo che non vi è una libertà che vada oltre i limiti del bene comune. Quindi questa libertà deve essere piena, ma se si scontra a un certo punto con i limiti che sono segnati dall’interesse, dal bene pubblico, dalla coscienza anche della sicurezza nazionale, della pubblica moralità di costume, allora non è più libertà.
D’altra parte i vari controlli stabiliti nel disegno di legge in esame mi sembrano puramente ingenui. Quando io leggo che dovranno depositarsi i libri, che è istituito un registro in cui si dovrà dire quali sono le fonti pubblicitarie ecc., io mi domando: che cosa vieta domani a un’azienda di dichiarare di avere versato un milione a un giornale mentre ne ha versati cinque? Nessuno può controllare certe tariffe, certi contratti; e voi capite che si possono sempre trovare le scappatoie molto facili. Quindi, va bene, noi stabiliremo nella legge questa o quella clausola, ma in concreto non avremo quel controllo della stampa che molti si propongono di effettuare.
Parimenti ingenue, o per lo meno insostenibili, sono altre clausole, come per esempio quella secondo la quale il giornale deve dichiarare non solo le copie tirate giornalmente ma anche le copie vendute, ciò che tocca il segreto più delicato di un’azienda giornalistica. E questo deve essere controllabile dal pubblico! Ma voi sapete che sarebbe gravissimo danno economico per un giornale, perché soprattutto ai fini della pubblicità un giornale che tira diecimila copie ha tutto l’interesse di dichiarare che ne tira centomila. La tiratura è il peso morale di un quotidiano. È il suo valore economico di avviamento. Vi sono quotidiani che hanno avuto in passato una tiratura di duecentomila copie. La loro testata vale per questa tradizione, per questo prestigio. Un articolo su tali giornali ha una ripercussione profonda perché tutti dicono: è un giornale di primo ordine, è un giornale di grande portata.
Quello che è il valore di avviamento di questo giornale, e che supponiamo sia un valore cento, verrebbe, se si sapesse che negli ultimi due anni quel giornale ha tirato cinquantamila copie, screditato del cinquanta per cento. Quindi la tiratura è il segreto professionale più delicato. È come la formula di fabbricazione di un prodotto. Come volete che l’azienda giornalistica vada tutti i giorni a denunciare che ieri ha avuto una resa di cinquanta, oggi una resa di trenta? Tutte queste sono cose lesive dell’interesse dell’azienda.
SCHIAVETTI. Una cosa è la resa e una cosa è la tiratura.
MANZINI. Ma il disegno di legge prevede anche l’obbligo di dichiarare le copie vendute. Qual è l’azienda che ammetta di vendere solamente venti copie? Purtroppo oggi si vendono poche copie di giornali perché, più aumentano i giornali di numero e di prezzo, meno copie si vendono. Il segreto più geloso di un’azienda giornalistica, quello che l’amministrazione di un giornale non dice neppure ai propri operai (certe volte si aggiustano perfino i contatori della rotativa perché nessuno sappia quante copie si stampano), è proprio questo della tiratura. Se tutti dovessero dire al fisco quello che hanno di introito…
MOLINELLI. Almeno nella legge stabiliamo che si deve essere galantuomini.
MANZINI. Ma quando stabiliamo una disposizione che non può essere osservata, spingiamo il pubblico a violarla! E ciò è immorale.
SCHIAVETTI. All’estero, in Svizzera e in Francia, è osservata.
MANZINI. Ma perché, onorevole Schiavetti, colà le tirature sono altissime.
CAPORALI. La tiratura è controllata.
MANZINI. Come giornalista io vi dico che nessuna azienda giornalistica ha piacere che si conosca la tiratura. Il pubblico quasi sempre crede che sia maggiore del reale.
Questi controlli sono comprensibili nell’ansia del legislatore, ma non credo che possano essere efficaci. Credo invece in un’altra forma di efficace controllo, ed è l’albo. La professione giornalistica in Italia oggi non è ancora tutelata nelle forme e con l’intensità che sarebbero necessarie. Il direttore è quello che stampa il suo nome sul giornale: troppo spesso – dobbiamo dirlo – non è che il dipendente di un’azienda economica che tutti ì giorni lo può liquidare e porgli delle limitazioni.
Pongo un problema di ordine generale fondamentale: il problema è di conferire maggiore prestigio, maggiore autorità, maggiore autonomia al direttore del giornale; di far sì che possa essere e non solo apparire responsabile moralmente della sua opera. Si dice che vi sono giornali che in ventiquattro ore, specie nell’Italia settentrionale, sono passati da sinistra a destra. Che cosa significa ciò? È cambiato il pacchetto azionario. Questo è un fenomeno immorale, che ci umilia e che condanna, direi, la santa missione del giornalista, il quale non deve essere un mercantile servo; egli è l’apostolo di un’idea. Ma come ne controlleremo l’attività ai fini del pubblico interesse? Con il controllo? Neanche per sogno. L’unico mezzo è quello del riconoscimento dell’albo giornalistico, fondamento primo per un contratto collettivo (non come quello che vige oggi, che del direttore del giornale fa un impiegato qualsiasi dell’amministrazione, il quale non può nemmeno scegliersi i collaboratori), tale per cui al direttore sia conferita una figura giuridica ed economica che lo renda veramente il direttore, cioè l’arbitro della vita del suo giornale di fronte alla prevalenza dell’elemento economico; ponendo con ciò ad arbitro della situazione l’elemento idealistico, di pensiero, di coscienza, di libertà di coloro che esercitano la missione giornalistica.
Quindi siamo per un investimento maggiore di responsabilità del direttore e del corpo redazionale, sia come tutela di fronte al predominio economico dell’azienda, sia di fronte al pubblico. Perciò, sono profondamente contrario alla riapparizione di quello istituto assolutamente anacronistico e immorale che è il gerente responsabile.
Chi è il gerente responsabile? Un disgraziato che per guadagnare dieci o ventimila lire, va in galera per conto del direttore politico. Cioè, il direttore può scrivere e il gerente va in galera. Il direttore di fatto, come è avvenuto in un giornale di altri tempi, poteva scrivere che ogni volta che incontrava il gerente responsabile di un giornale sputava tre volte per terra. Questo significa esautorare la responsabilità personale del giornalista. Quindi affermo che, se vogliamo stabilire una garanzia di fronte alla Nazione perché la missione civile del giornalismo non venga mai meno, dovremo puntare sul protagonista di questa immensa fondamentale missione che nel mondo moderno si affianca a quella dell’opera del Governo, cioè il giornalista, il quale è educatore, formatore di coscienze, selezionatore del pensiero, delle direttive della collettività; è uomo su cui riposano responsabilità immensamente elevate.
E mentre oggi si valuta il professore universitario o il grande clinico o l’uomo che esercita professioni liberali nei settori più elevati, dobbiamo rivendicare la figura del giornalista, che sia profondamente degno del suo compito, attraverso, da un lato, l’esigenza rigorosa di formazione e di preparazione culturale e morale, e dall’altro attraverso garanzie giuridiche, perché le aziende giornalistiche siano veramente, per quello che è direttiva e vita spirituale, tutte ispirate dalla sua opera; ed infine conferire al giornalista una responsabilità per la quale dovrà pagare di persona, qualora la sua opera sia lesiva del bene pubblico e tradisca l’importanza veramente sociale e universale della sua missione.
Quindi propongo che nella legge sia rivendicato l’albo del giornalisti, che ritengo uno dei pilastri della vera libertà di stampa e che, mentre non è per nulla lesivo dell’ampio limite dell’esercizio del pensiero e della sincera espressione della propria opinione e della propria missione di coscienza, crea intorno al giornalismo quelle severe esigenze e garanzie di responsabilità che sono condizionali alla saggezza del giornalismo.
Aggiungo a questa richiesta qualche altra osservazione. Anche sulla diffamazione a mezzo della stampa vi sono nel disegno di legge alcune ingenuità. Un articolo dice che un giornale dovrebbe sempre stampare integralmente e gratuitamente le risposte, le rettifiche, le dichiarazioni delle persone nominate.
Ora, nella rapidità e nella sommarietà necessarie della nostra azione informativa, specialmente per quanto riguarda la cronaca, purtroppo molte volte il giornalista o il direttore del giornale non è in grado di controllare minutamente le sue informazioni. Un giornale è opera febbrile e vive un istante. È giusto chiedere alla coscienza del direttore di rettificare. Ma se dovessero essere pubblicate tutti i giorni le rettifiche più arbitrarie, il giornale sarebbe pieno di lettere del pubblico. Specialmente nella rissa politica e nella discussione polemica che imperversa oggi, i giornali dovrebbero tutti i giorni pubblicare documenti e rettifiche a fascio, invece di lasciare lo spazio per le informazioni.
Riconosco l’urgenza e la fondatezza di questa esigenza, perché vi sono giornali e giornalisti i quali non sentono il dovere della lealtà e la correttezza di riprodurre anche il pensiero dell’avversario. Questo per me è dovere elementare della libertà. Esso deve essere per lo meno delimitato in qualche modo, in maniera che non diventi un presupposto irrealizzabile nel concreto.
Altra osservazione, che concorda con quanto ha detto l’onorevole Bettiol, è che sia mantenuta l’accentuazione circa la stampa immorale, soprattutto per quanto riguarda i giovani, la sensibilità degli adolescenti e le forme morbose di questa stampa; credo che nessuno debba esitare. Sento ancora una specie di rispetto umano su questo punto; quando si tratta di moralità, di razionalità del costume, di limiti posti alla oscenità, si teme da troppi quasi un cedimento a concetti retrivi o ad una visione rigidamente professionale dei problemi di questa natura. Non è vero. Ho letto la legislazione straniera. Persino nell’Unione Sovietica la stampa oscena e immorale è perseguita dalla giustizia. Anche in regimi in cui i principî laici, estremisti, sono così radicali da essere agli antipodi della concezione nostrana si sente questa esigenza elementare di natura razionale, si avverte che, se non si difende il sacro patrimonio della coscienza umana e della sanità della coscienza e del costume di fronte alla veramente oscena speculazione dei mercanti della carta stampata, si viene a mancare a un dovere non soltanto etico ma anche politico e democratico.
Noi non possiamo tacere: dobbiamo riconoscere che dalla liberazione in poi abbiamo assistito a una eruzione sconcertante e bassa di questa turpe speculazione delle editorie mercantili le quali, appena avvertita la sensazione di poter agire, si sono scatenate nelle forme più turpi e più offensive della coscienza umana. Abbiamo visto pullulare, nelle nostre editorie, le pubblicazioni criminali, la cronaca nera con l’esaltazione delle assise, dei processi, dei delitti e delle camere mortuarie, con il pullulare delle stampe pornografiche le quali riproducono l’immagine e la raffinatezza dell’immagine quasi per una eccitazione morbosa e continua del tessuto nervoso dell’individuo in una società già tanto estremamente spinta alla sollecitazione dei sensi e alla decadenza del costume. Diciamo che veramente già c’è un reato capitale di corruzione e di insidia non soltanto dal punto di vista religioso ma anche da quello civico, consistente nel tradimento degli interessi collettivi e della prima esigenza profonda della democrazia, che può vivere soltanto in una società fondata sulla purezza della coscienza e del costume, che risponda alle leggi razionali della natura e del cuore dell’uomo. (Vivi applausi).
Alle volte voi avete paura di mettere dei limiti su questo punto, mentre sentite tutta l’estrema gravità di qualunque limite posto alla libertà del pensiero politico, sociale e culturale. Io affermo che la coscienza dell’uomo, del cittadino e del democratico non deve avere nessuna esitazione, neppure quella di peccare in eccesso, quando si tratta di limiti posti all’azione disgregatrice del costume e della coscienza più impressionabile delle giovani generazioni o comunque della vita privata e familiare, perché qui si va contro l’interesse oggettivo della coscienza dell’individuo e della intima struttura organica della società.
Concludo dicendo: mentre non credo si possa accettare la semplice proposta di rinvio di questo progetto di legge così importante, perché la stampa è abbandonata a norme momentanee e non è ancora posta nel quadro e nella tutela di quel giure democratico che deve essere il pilastro della nostra Costituzione, credo che attraverso la revisione e il perfezionamento di questa legge si possa avviare il problema a soluzione.
Onorevoli colleghi, mentre discutiamo della libertà di stampa e della responsabilità della stampa, come di tutti i problemi che riguardano la libertà, cioè la base stessa della democrazia, non dimentichiamo che la legge è l’elemento condizionale e il pilastro del nostro edificio; ma nemmeno che l’elemento risolutivo è l’elemento soggettivo, l’elemento morale della coscienza, ed è su questo elemento, sull’elemento della coscienza del cittadino e dell’uomo, dello scrittore e del giornalista, che dobbiamo puntare, perché l’opera libera della stampa sia opera non di disgregazione o di tradimento degli interessi pubblici ma di edificazione nel clima della libertà e del progresso (Vivi applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate alcune interrogazioni alle quali si è voluto dare il carattere della urgenza. Ne do lettura:
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se si ritiene democratico ed opportuno che, solo dopo che è venuta a formarsi l’impossibilità per i deputati di chiedere spiegazioni e fornire al Governo, attraverso interrogazioni di urgenza e pubbliche discussioni, dati, elementi e critiche circa provvedimenti in corso, la Presidenza del Consiglio ed il Ministro del tesoro abbiano, dopo aver mantenuta, nonostante premure ed insistenze, la pratica sospesa per mesi ed, anzi, anni, improvvisamente deciso di provvedere alla nomina dei nuovi amministratori e dirigenti del Banco di Napoli.
«Per conoscere, inoltre, se il Governo ritiene democratico ed opportuno che la nomina del Presidente di una Banca di così vasto interesse pubblico e di così vitale importanza per le collettività meridionali, venga eseguita nella persona dell’amministratore delegato di una società locale che ha interessi esclusivamente privati ed industriali e che, proprio nel momento, ha rapporti e riporti per ingentissime cifre con la Banca stessa e se non si ritiene aggravata la posizione dal fatto che il direttore generale di questa società è contemporaneamente e notoriamente dirigente politico della organizzazione napoletana di un partito governativo.
«Per conoscere, infine, se il Governo ritiene democratico ed opportuno che, mentre del Banco di Napoli fa parte tutta una vastissima ed organica schiera di impiegati, funzionari e dirigenti superiori, di cui molti notissimi e stimati per personale valore e competenza, nonché per l’attaccamento dimostrato per decenni ai veri e vitali interessi dell’istituto, venga a complemento della nomina del suddetto presidente, nominato come direttore generale del Banco, non il più autorevole, esperto e meritevole dei direttori in carica, ma un funzionario bancario di grado inferiore, proveniente da altra Banca, dove è tuttora in servizio, il che conferma il sospetto che la scelta dei nomi non si basi sulla tutela degli interessi del Banco di Napoli che sono quelli del popolo e del risparmiatore napoletano e meridionale, ma, bensì, su convenienza ed interessi del tutto particolari e diversi.
«Rodinò Mario, Covelli, Crispo».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se vere le notizie ufficiose riportate da vari giornali, secondo le quali la nominanda Amministrazione del Banco di Napoli potrebbe apparire come un tentativo palese di asservimento del Banco stesso ad altro Istituto bancario, in netto contrasto con gli interessi del Mezzogiorno.
«E per conoscere, nel caso le notizie fossero vere, quali provvedimenti rapidi vuole emettere per evitare che tale tentativo appaia realizzato.
«Sansone».
Queste interrogazioni saranno inviate al Governo per la risposta scritta.
SANSONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SANSONE. Ho presentato la mia interrogazione con il carattere dell’urgenza perché, a parte la gravità dell’argomento in essa trattato che non voglio ora illustrare, ho ritenuto di avere il diritto di presentarla e di ottenere una risposta dal Presidente del Consiglio.
Ho ritenuto e ritengo di avere, come ogni altro deputato, questo diritto, perché, e con me, credo, altri colleghi, interpreto la XVII disposizione finale e transitoria della Costituzione nel senso che per il periodo che va fino al 31 gennaio 1948 noi possiamo, insieme con gli altri lavori elencati nella norma stessa, svolgere le interrogazioni secondo il Regolamento, mentre se la Costituente sarà convocata dopo il 31 gennaio, in virtù del secondo comma, noi, nel periodo dal 31 gennaio fino al giorno delle elezioni, potremo presentare interrogazioni e ricevere la risposta scritta.
Pertanto, io mi permetto di fare osservare alla Presidenza che non basta trasmettere solo le interrogazioni al Governo per la risposta scritta, come si potrebbe interpretare con una lettura non approfondita della citata disposizione; penso che fino al 31 gennaio noi possiamo, anzi dobbiamo avere dal Governo risposta orale, regolare, e con urgenza, nel caso specifico, data la gravità della questione di cui alla mia interrogazione odierna. Onorevole Presidente, a tal uopo voglio osservare che la questione investe gli interessi di tutto il Mezzogiorno. La eligenda amministrazione del Banco di Napoli rischia di sommergere il nostro Istituto, e questo è un fatto che ci induce a chiedere provvedimenti adeguati.
RODINÒ MARIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RODINÒ MARIO. Mi associo alle richieste che ha fatto l’onorevole Sansone, affinché la risposta sia data verbalmente.
In modo particolare, chiedo all’unico rappresentante del Governo ora presente che siccome la decisione sul Banco di Napoli interessa non solo larghe masse di cittadini meridionali ma anche moltissimi deputati, essa venga posposta al ricevimento da parte del Presidente del Consiglio di una commissione di deputati che, come già ho precisato al Sottosegretario di Stato onorevole Andreotti, sarà composta di deputati di tutti i settori, anche democristiani, i quali desiderano far presente al Presidente del Consiglio, prima che il provvedimento sul Banco di Napoli divenga definitivo, le loro argomentazioni e le loro ragioni.
A me questa richiesta sembra eminentemente democratica e parlamentare. Siccome c’è tempo fino a domani per poter essere ricevuti, vorrei dalla Presidenza del Consiglio assicurazioni in proposito.
LABRIOLA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Labriola, lei non ha firmato questa interrogazione e non ne ha presentata alcun’altra.
LABRIOLA. Mi pare che l’onorevole Rodinò abbia fatto una proposta che non rientra nella interrogazione in questione; su di essa vorrei esprimere il mio pensiero.
PRESIDENTE. Lei non ha il motivo per poter parlare, onorevole Labriola. L’onorevole Rodinò ha parlato perché ha presentato un’interrogazione, e questo gli ha dato, quanto meno, un buon pretesto per parlare. Se lo crei anche lei un pretesto, onorevole Labriola.
LABRIOLA. Non possiamo mettere il Banco di Napoli in mano alla Banca Commerciale!
PRESIDENTE. Posso esserne convinto, ma ciò è già largamente esposto nella interrogazione, e non c’è bisogno che lei aggiunga altro.
Per quanto riguarda le cose dette dall’onorevole Sansone, evidentemente non è questo il momento e forse nemmeno la sede opportuna per risolvere il difficile problema di interpretazione e di esegesi che egli ci ha presentato. Per la sua odierna interrogazione atteniamoci intanto alla lettera della XVII norma finale e transitoria della Costituzione.
L’interrogazione sarà dunque trasmessa al Governo con l’invito che esso voglia osservare le disposizioni del Regolamento, che stabiliscono il termine massimo di sei giorni per dare risposta scritta ad una interrogazione; speriamo che nel frattempo i passi che l’onorevole Rodinò ha sollecitato possano essere compiuti. La questione posta dall’onorevole Sansone dovrà essere vista successivamente, se mai, e non in modo così improvvisato.
SANSONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SANSONE. A proposito della questione che mi sono permesso di sollevare nell’interesse dell’Assemblea, prego la Presidenza di voler fissare il giorno per la discussione, con l’intervento del Governo. Il problema non può restare senza una pronta soluzione! Chiedo che l’Assemblea si pronunzi sull’interpretazione da me data alla norma transitoria e che si prenda una decisione. Ripeto ancora: non è possibile che il problema da me posto resti senza soluzione, dato che fino al 31 gennaio abbiamo l’obbligo di sedere qui e di svolgere la nostra attività parlamentare.
PRESIDENTE. Tenga presente che si tratta, se mai, di interpretare un articolo della Costituzione e non una norma di legge ordinaria. Se mi indicasse la procedura che possiamo seguire, glie ne sarei grato.
SANSONE. Non si può, certamente, non guardare alla realtà. Si tratta di una norma transitoria. Ciò a parte, noi sostituiamo in questo momento il Parlamento normale; e d’altra parte abbiamo sempre svolto una duplice funzione: costituzionale e parlamentare.
Ora se dal 31 dicembre fino al 31 gennaio l’Assemblea Costituente continua il suo lavoro in funzione della sua precedente investitura ritengo che possa continuare anche nell’attività legislativa. Dopo il 31 gennaio potremo forse esser d’accordo che non sarà possibile discutere interrogazioni.
Propongo alla Presidenza che l’Assemblea si pronunzi sull’interpretazione da darsi alla XVII norma transitoria della Costituzione.
PRESIDENTE. Per investire l’Assemblea di una questione occorre che colui il quale prende l’iniziativa trovi le forme opportune. La Presidenza non è un automatico dove s’imposti una richiesta e ne esca la soluzione. Ella, onorevole Sansone, pone un problema molto serio: trovi la maniera procedurale per farlo discutere dall’Assemblea.
SANSONE. Mi riservo di presentare la proposta in termini precisi nella seduta di domani.
RODINÒ MARIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RODINÒ MARIO. Ho rivolto una domanda precisa all’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio; credo che egli avrà la cortesia di rispondermi.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Credo che non vi sia dubbio che l’interpretazione da darsi alla XVII disposizione transitoria della Costituzione sia semplicemente quella letterale: cioè che alle interrogazioni il Governo deve dare solo risposta scritta.
L’onorevole Rodinò ha fatto a me, non come membro del Governo, ma come persona, un invito di carattere extra-parlamentare, chiedendomi se posso fare in modo che alcuni deputati siano ricevuti dal Presidente del Consiglio. La risposta potrò dargliela a titolo personale, dopo che il Presidente avrà tolto la seduta.
PRESIDENTE. Sta bene.
Si dia lettura delle altre interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quali provvedimenti intende adottare l’Ufficio centrale della cinematografia circa l’agibilità del cinema-teatro di Ariano Irpino (Avellino), considerato che l’Amministrazione comunale di Ariano vi apportava abusive innovazioni pericolose per la sicurezza degli spettatori chiudendo una delle porte principali di accesso per lo smistamento del pubblico e l’ingresso alla biglietteria e tamponando altra porta col trasloco della biglietteria stessa, mentre eliminava una delle porte principali di sicurezza al fine di destinarne il vano di accesso a sala da giuoco, il tutto senza alcuna autorizzazione ed anzi in violazione della destinazione stessa del locale di cui l’Amministrazione suddetta intenderebbe adibire una parte rilevante a locale di pubblico commercio vietato dalla legge.
«La Commissione permanente di vigilanza per la provincia di Avellino, prevista dall’articolo 156 del regolamento di pubblica sicurezza, ha rimesso, dopo l’accesso sul posto, ogni decisione all’Ufficio centrale della cinematografia, cui resta oggi deputata la sicurezza dei cittadini, tenendo presente che Ariano Irpino, con una popolazione di 30.000 abitanti, ha un solo cinema, sempre affollatissimo, ed in cui recentemente per l’incendio di una pellicola, quando tutte le porte funzionavano, ebbero a verificarsi ferimenti e contusioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Vinciguerra».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali misure intende prendere per impedire lo scandalo della pubblicazione su giornali quotidiani di «memorie» di Rodolfo Graziani, detenuto in attesa di giudizio per reato di tradimento, e fino ad oggi non giudicato per pretese cattive condizioni di salute. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Togliatti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno: 1o) sui luttuosi incidenti di Canicattì, Campobello di Licata e Favara provocati dalla polizia, che continua a sparare sui lavoratori, malgrado ogni assicurazione data in senso contrario alla Costituente; 2°) sulle ragioni che lo hanno indotto a fare revocare il commissario prefettizio dottor Domicoli, che già aveva assunto l’amministrazione straordinaria del comune di Ravanusa, a seguito delle proteste di quella popolazione stanca della inattività e della faziosità della amministrazione ordinaria, e a seguito del grave turbamento che ne era derivato nell’ordine pubblico; nonché sui modi con i quali intenda mantenere in carica a mezzo della forza pubblica, il cui intervento già è stato effettuato, il sindaco democristiano, e sulle ragioni con le quali intenda giustificare il diverso criterio adottato in questo caso rispetto ad altri, ricordando come a Cariati, San Lucido e in altri Comuni e da ultimo più clamorosamente a Pescara si sia proceduto da parte del Ministro allo scioglimento del Consiglio comunale elettivo per pretestati e insussistenti motivi di ordine pubblico, che in quei Comuni non risulta turbato, laddove consta che a Ravanusa si reputa necessario distaccare apposite forze di polizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Fiorentino».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere se non creda che debbasi ormai provvedere alla riattivazione del servizio telegrafico diretto fra Ausonia e Frosinone ed Ausonia e Formia, servizio di notevole importanza al fine del ritorno alla normalità della vita di quelle popolazioni tanto duramente colpite dalla guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bozzi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere nei suoi esatti termini la questione del pagamento dei crediti dei prigionieri italiani già cooperatori, in tempo di guerra, dell’esercito americano.
«Sembra infatti che alcuni prigionieri siano stati pagati in un primo momento dai distretti militari sulla base di 18 lire per ogni dollaro; che in un secondo momento sono stati invitati detti militari a restituire il danaro per avere indietro la lettera di credito per poterla presentare agli uffici dell’esercito americano ed essere pagati sulla base del cambio corrente al momento del pagamento.
«Sembra però che benché gli interessati abbiano presentato la lettera di credito ad uno dei tre uffici di Udine, Livorno e Roma, non abbiano ancora riscosso nulla. Questo fatto ha prodotto dell’agitazione in quanto si sa che i reparti dell’esercito americano stanno lasciando l’Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bellavista».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non ritenga opportuno di riconoscere ai prigionieri di guerra, cosiddetti «cooperatori» per avere lavorato al seguito delle forze armate alleate, la qualifica di combattenti della guerra di liberazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bellavista».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga opportuno:
- a) estendere in materia penale l’aumento apportato alla tariffa giudiziaria in materia civile col decreto legislativo 1° novembre 1946, n. 468;
- b) abrogare l’articolo 5 del decreto legislativo citato relativo all’efficacia delle disposizioni in esso contenute. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bellavista».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, sulle ragioni che ritardano il pagamento dei certificati di credito agli ex prigionieri italiani dell’esercito americano; pagamento già effettuato dagli uffici americani di Livorno, Roma e Caserta, e sospeso dal settembre scorso, con grave disagio degli ex prigionieri stessi, che hanno realizzato quei proventi col loro lavoro in prigionia e che, disoccupati o in gravi condizioni economiche i più, riceverebbero un sollievo dal pagamento fatto subito in questa stagione più cruda. Sembra che tra le autorità italiane e americane siano in corso trattative per far eseguire i pagamenti dai distretti militari o dalle tesorerie provinciali d’Italia; si prega di condurre a termine il più rapidamente possibile tali trattative. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Giordani».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e dell’interno, per conoscere se intendono occuparsi delle gravissime condizioni in cui versano i profughi e i rimpatriati dalla Grecia dopo aver perso tutti i beni; se si pensa risarcirli al più presto dei loro beni come è imposto dallo stesso trattato di pace, articolo 79, paragrafo 3; se sarà accolta la loro domanda di un aiuto di lire diecimila a testa in occasione delle prossime feste natalizie e di fine d’anno; se sono a conoscenza che questi profughi, a differenza di quelli della Venezia Giulia e dell’Africa, percepiscono un soccorso di sole cinque lire al giorno e un irrisorio pasto giornaliero, fatti che li inducono alle più inumane privazioni e li espongono a tutte le malattie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Matteotti Matteo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere, se prima di porre in congedo i numerosi ufficiali dei carabinieri che, non potendo essere promossi durante la guerra, hanno raggiunto il 47° anno di età col grado di capitano, non creda opportuno farli presentare alle prove di esame, per evitare che benemeriti ufficiali, devoti alla Repubblica, siano ingiustamente colpiti da un immeritato provvedimento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Crispo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere le ragioni per le quali, ad un anno di distanza da una precedente interrogazione, quasi tutto il materiale di medicazione e medicinale Endimea, in deposito presso 13 filiali, e del valore attuale di diecine di miliardi, è ancora indistribuito, invenduto, in deperimento e soggetto a furti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«La Gravinese Nicola».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere le ragioni per le quali l’Endimea, da quando ha cominciato a funzionare, cioè dal 1945, ha incamerato nei depositi e distribuito quintali di stupefacenti senza ottemperare alle leggi di carico e di scarico regolanti l’impiego di detti stupefacenti, il che non ha mancato di determinare, all’ombra dell’Endimea, inconvenienti di varia natura, di cui si è dovuta poi occupare la polizia in varie regioni d’Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«La Gravinese Nicola».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere le ragioni per le quali, contrariamente a quanto il Governo ebbe a dichiarare a seguito della precedente interrogazione, per la quale esso prendeva impegno di venire incontro e colmare il fabbisogno ospedaliero, tale fabbisogno non solo non è stato colmato, ma per alcuni ospedali, e particolarmente per quelli di Puglia, cioè della regione dell’interrogante, è stato preteso dagli Ospedali il pagamento anticipato e straordinariamente caro per le forniture Endimea, aggravato per di più dal 15 per cento di spese di distribuzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«La Gravinese Nicola».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere se e quando potranno essere soddisfatti i crediti dei prigionieri cooperatori degli Alleati.
«Vi sono dei reduci tornati dalla prigionia da più di due anni che non sono stati ancora soddisfatti delle retribuzioni loro spettanti, quali compensi per il lavoro prestato durante la permanenza negli Stati Uniti d’America. Prigionieri degli americani, fu loro offerto da questi di cooperare per la comune lotta contro la Germania. Già il maresciallo Badoglio aveva firmato un accordo con gli americani ed inglesi, in base al quale essi potevano servirsi dei prigionieri, qualora questi fossero consenzienti, come cooperatori, ed inviava ai prigionieri stessi un messaggio col quale li spronava a portare il loro aiuto a quella lotta, che già in Italia si era intrapresa con le armi contro il nuovo nemico.
«La maggior parte dei prigionieri accettò la cooperazione, firmando una dichiarazione impegnativa, che fissava la retribuzione giornaliera in 80 cents di dollaro, compenso irrisorio in considerazione del lavoro da essi svolto, a volte umiliante, spesso gravoso, sempre disagiato e pericoloso.
«Al momento del rimpatrio, fu rilasciata ai prigionieri una semplice lettera di credito con l’ammontare dei loro compensi per il lavoro prestato oltre la paga mensile di militari. I distretti di appartenenza ritirarono tali documenti, dando un esiguo acconto agli interessati, in attesa della definitiva chiarificazione sulla modalità da seguire per il pagamento totale.
«Dopo ben due anni si informavano i reduci, con lettera del distretto ed articoli apparsi sui giornali, che essi potevano ritirare la lettera di credito, dietro versamento dell’acconto precedentemente ricevuto e consegnare quindi tale documento ad un apposito ufficio americano costituitosi a Roma.
«Sono ormai trascorsi sei mesi e nulla si è più saputo al riguardo.
«Sembra ora che sia il Governo italiano tenuto a liquidare il pagamento degli ex prigionieri cooperatori, in base all’articolo 2, punto 11, dell’accordo firmato a Washington il 15 agosto dall’onorevole Ivan Matteo Lombardo e dal facente funzione di Segretario di Stato Robert A. Lovet. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Colitto».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e dell’interno, per conoscere il motivo per il quale non vengono aperti i concorsi per primario, aiuto ed assistente ospedaliero, sospesi in Italia dal 1938, conseguendo da questa mancata normalizzazione grave danno per i medici in carriera universitaria ed ospedaliera in attesa da anni di sistemazione, con vantaggio unicamente di medici che occupano i posti come incaricati, loro affidati a volte non soltanto per la loro provata capacità tecnica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Lucifero».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se nel Ministero da lui diretto esistono ancora o dove e come funzionano uffici per liquidazione di pensioni e indennità di buonuscita nei casi di collocamento a riposo o di morte in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Montemartini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i motivi che lo hanno indotto a non rispondere alla interpellanza con carattere di urgenza, presentata nella seduta del 17 settembre 1947 con numerosi altri deputati, con la quale si chiedeva la rielaborazione del bando di concorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 158 del 14 luglio 1947 e l’accoglimento delle richieste degli insegnanti elementari e medi reduci, combattenti, ecc.; e per sapere se intenda proporre al Consiglio dei Ministri l’accoglimento delle proposte avanzate dalla Commissione parlamentare che, almeno in parte, accolgono le aspirazioni degli insegnanti reduci ed ex combattenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Pignatari».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se è a sua conoscenza – e come lo giustifica – il fatto che l’intendente di finanza di Catania dà acconti che variano da lire 450 a lire 1000 o lire 2000, per pratiche di danni di guerra, le spese delle quali si aggirano intorno a 3000 lire; se è a conoscenza di episodi disgustosi di danneggiati che hanno lacerato il buono in presenza dello stesso intendente, in conseguenza della precarietà dell’acconto, che non copre le spese sostenute per i documenti e se e quando vorrà provvedere alla nomina della Commissione che dovrà liquidare detti danni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Sapienza».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga di riesaminare il provvedimento di eccezione col quale la Direzione generale dei monopoli di Stato ha licenziato, in tronco e senza indennità, gli impiegati pensionati riassunti in servizio durante e dopo il periodo bellico, in qualità di avventizi; e se non creda equo e giusto di riammetterli in servizio (in conformità a tutte le Amministrazioni, compresa quella di finanza) anche in considerazione delle recenti direttive, che consentono il prolungamento del limite di età fino a 70 anni per il collocamento a riposo degli impiegati in servizio attivo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Sapienza».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e delle poste e telecomunicazioni, per conoscere se non credano opportuno, ed anzi necessario, disporre che tutti i pagamenti degli acconti sul risarcimento per beni mobili danneggiati dalla guerra vengano effettuati dagli uffici postali dei Comuni nei quali gli interessati risiedono.
«Il sistema oggi vigente importa spese di viaggio sino al capoluogo di provincia e di soggiorno, con falcidia non lieve del già tanto modesto indennizzo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bozzi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non consideri conforme a giustizia il prendere in considerazione l’aspirazione degli aiutanti di cancelleria e segreteria ad essere giuridicamente inquadrati nel gruppo B, di cui disimpegnano le funzioni con continuità e competenza.
«Tale provvedimento, fondato su un meticoloso esame dei precedenti di servizio, decimerebbe la dolorosa sperequazione esistente fra aiutanti e cancellieri, adibiti al medesimo lavoro, ma vincolati a diversa carriera economica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Preziosi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quale sia la attuale posizione giudiziaria dei giovani che non risposero alla chiamata alle armi nel 1944, momento in cui la disorganizzazione statale e il malessere spirituale erano largamente diffusi, e per sapere altresì se il Governo non ravvisi opportuno di seguire anche in questo settore quella politica di pacificazione, che segue in altri settori, ove esistono ben maggiori responsabilità, al fine anche di non precludere ad una quantità rilevante di giovani l’accesso ai concorsi banditi per l’accesso agli uffici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Angelucci».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze, dell’industria e commercio e della marina mercantile, per conoscere quali provvedimenti intendono adottare per venire incontro alla crisi peschereccia dovuta in gran parte all’aumentato costo dei carburanti, oltre che all’aumento dei prezzi dei filati e dei cavi di acciaio ed attrezzature pescherecce in genere, a cui non può corrispondere un proporzionale aumento del prezzo del prodotto, trattandosi di industria alimentare. L’aumento del costo dei carburanti danneggia oltre che l’azienda anche i lavoratori ad essa addetti, i quali quasi ovunque sono retribuiti in compartecipazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Borsellino».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare onde evitare la preannunciata cessazione di attività della ferrovia a scartamento ridotto Ragusa-Siracusa-Vizzini, gestita da una Società privata.
«Si ricorda che tale linea allaccia paesi dell’interno della zona sud-orientale della Sicilia, che altrimenti resterebbero uniti solo da linee automobilistiche, e che detta linea è molto utile oltre che per il trasporto di persone anche per scambi di merci; e che se un inconveniente presenta è proprio nella scarsa intensità del traffico, nella lentezza di esso, e nell’insufficiente attrezzatura del materiale rotabile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bellavista».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se il Governo non ravvisi opportuno ed urgente rimediare con provvedimento legislativo all’iniqua condizione di quegli odontotecnici giuliani e tridentini che, avendo iniziato sotto l’impero delle leggi austriache il periodo di pratica odontotecnica di nove anni prescritto dalle ordinanze 20 marzo 1892 (Boll. n. 55) e 14 febbraio 1904 (Boll. n. 15) dell’ex-Impero austro-ungarico, non lo avessero ancora compiuto alla data del 3 novembre 1922 fissata dal regio decreto 25 settembre 1921, n. 1388, o comunque non avessero prodotto in tempo utile la domanda per il conseguimento della concessione di odontotecnico e per l’autorizzazione all’esercizio dell’odontoiatria, riparando così a una patente ingiustizia legislativa contrastante col principio fondamentale di ogni legislazione del rispetto del diritto quesito e col riguardo dovuto ad odontotecnici provetti aventi capacità professionale adeguata in un campo in cui esercitano la loro attività una quantità di odontoiatri non laureati in medicina e chirurgia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Tessitori, Piemonte».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se siano vere, e fino a che punto, le voci insistenti che circolano in merito alla nomina del direttore generale e del presidente del Banco di Napoli: voci le quali indicano rispettivamente come designati alle cariche predette un modesto dirigente di altro Istituto di credito e il capo di una impresa la quale, oltre ad avere tuttora in corso cospicui legami finanziari col Banco stesso – il che già escluderebbe evidentemente la possibilità per il proprio amministratore di andare a ricoprire la indicata carica – è anche diretta emanazione di gruppi finanziari dell’Italia settentrionale, in netto contrasto con gli interessi del Mezzogiorno d’Italia.
«Nel caso che le predette voci rispondano ad effettive determinazioni, non ancora per fortuna attuate, gli interroganti – pensosi come sono dei legittimi e fin troppo negletti interessi del Mezzogiorno d’Italia, che quasi tutti, direttamente o indirettamente, si ricollegano alle vie di gestione che seguirà la nuova amministrazione del Banco di Napoli – domandano che sia con urgenza esaminata e risolta la questione, chiamando all’amministrazione del Banco stesso uomini non legati ad altri interessi e che siano del Mezzogiorno, e degni e consapevoli. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Notarianni, Firrao, Fresa».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga equo, urgente ed opportuno un provvedimento legislativo, che consenta agli impiegati degli uffici delle ferrovie dello Stato di permanere in servizio fino al raggiungimento del 65° anno di età, in conformità delle disposizioni analoghe vigenti per tutti gli altri impiegati dello Stato.
«Trattasi di una categoria benemerita di funzionari che, per il diverso e non giustificato trattamento, si vedrebbe costretta, secondo le disposizioni in vigore, a lasciare il servizio attivo al compimento del 62° anno di età – ed in un momento particolarmente difficile per le ben note condizioni economiche che rendono, all’atto del collocamento a riposo, assai disagevole l’esistenza – e quando il funzionario, ancora in perfetta efficienza fisica e psichica, può continuare a rendere all’Amministrazione segnalati servizi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mastrojanni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se ed in base a quale articolo di legge, sia proibita la esposizione della bandiera tricolore con lo scudo sabaudo, in comizi indetti da organizzazioni e partiti a tendenza monarchica e patriottica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Cicerone».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere come intende garantire i pescatori di Palermo, i quali vengono fermati con i pescherecci nella costa settentrionale dell’Africa (Tunisia, Algeria), pur essendo oltre il mare territoriale.
«In conseguenza di tali fermi i pescatori sono costretti a sospendere il lavoro, con grave danno alla alimentazione delle città siciliane e rilevante aumento di disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Sapienza».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se intenda migliorare la misura dell’indennità di licenziamento al personale borghese giornaliero dei depositi cavalli stalloni della Repubblica.
«Come risulta dalla lettera del Ministro stesso, n. 11740/33/II del 9 aprile 1936, indirizzata ai direttori dei depositi cavalli stalloni, ai palafrenieri borghesi in questione è dovuta, in caso di licenziamento, una indennità commisurata ad una giornata di paga (escluse le relative indennità) per il primo anno di servizio, a due giornate di paga per ciascuno degli anni di servizio prestati dal secondo al quarto, a tre giornate di paga per ciascuno degli anni di servizio prestati dal quinto al dodicesimo, a quattro giornate di paga per ciascuno degli anni di servizio prestati successivamente al dodicesimo.
«Pertanto l’interrogante chiede di conoscere se si intende applicare, nei riguardi dei palafrenieri giornalieri recentemente licenziati dai depositi stalloni, il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 4 aprile 1947, n. 207, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 90 del 18 aprile 1947. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Sapienza».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se – data la attuale eccezionale situazione economica – non ritenga opportuno promuovere un provvedimento legislativo, che sospenda provvisoriamente il collocamento a riposo dei dipendenti dagli Istituti di diritto pubblico e dagli Enti comunque di pubblico interesse, i cui regolamenti prevedono il passaggio allo stato di quiescenza dei dipendenti stessi alla età di anni 55 per le donne e di 60 per gli uomini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Marinaro».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere:
1°) se, tenuto presente che il Fondo pensioni delle ferrovie trovasi in grado di provvedere, senza alcun aggravio per il bilancio dello Stato, al maggior onere – non ritenga opportuna ed equa l’adozione di un provvedimento di revisione delle pensioni al personale cessato dal servizio in data precedente al 1° giugno 1947. Detti pensionati che percepiscono assegni irrisori, verranno a trovarsi, nei confronti di coloro che sono cessati o cesseranno dal servizio dopo il 1° giugno 1947, in una situazione di assoluta ed indiscriminata inferiorità, in quanto ad essi viene corrisposto un trattamento pari al 20 per cento dello stipendio goduto dai pari grado in servizio, mentre che per coloro che sono andati o andranno in pensione dal 1° giugno 1947 la liquidazione è in base ai nove decimi degli assegni percepiti, comprensivi anche del supplemento del servizio attivo incorporato nello stipendio;
2°) se non ritenga di ritoccare sensibilmente in favore dei suddetti pensionati la misura dell’indennità di carovita che non oltrepassa le lire 3500;
3°) se, infine, non ravvisi l’opportunità di corrispondere il premio della Repubblica e la tredicesima mensilità anche a questa benemerita categoria di cittadini che hanno servito lo Stato e che sono forse gli unici ad essere stati esclusi dai predetti benefici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«De Martino».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Governo, per conoscere le ragioni che lo hanno spinto ad assegnare alla provincia di Caserta mezzi inadeguati alla ricostruzione delle opere distrutte dalla guerra e per quelle da farsi a favore della disoccupazione.
«Di fronte alla cifra irrisoria, in rapporto ai bisogni e alla sperequazione evidente con altre Provincie (nelle quali è notoriamente diffuso un maggiore benessere), si presenta ora l’occasione per riparare alla insufficiente assegnazione, mercé il prelevamento di almeno un miliardo dalla sottoscrizione, proprio con la suddetta cifra, così nobilmente iniziata dal Governo medesimo a favore dei disoccupati. L’esemplare calma delle popolazioni del Casertano non deve costituire un motivo di trascuratezza, dato che essa è espressione consapevole della difficoltà del momento e ripudio del metodo della violenza, ma non certo supina rinunzia a quei benefici che il Governo, molte volte, elargisce con preferenza alle popolazioni che si mostrano turbolente per abitudine ricattatoria e, non sempre, per necessità di guadagno e di lavoro. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Caso, De Michele».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere se l’articolo 8 del decreto legislativo 5 aprile 1945, n. 157, relativo alla proroga dei contratti agrari, vada riferito anche agli Enti ecclesiastici e ai contratti di affitto dei beni prebendali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Braschi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere a qual punto si trovino le trattative del nostro Governo con quello degli Stati Uniti del Brasile, dirette allo scopo di ottenere il dissequestro e la riconsegna dei beni esistenti nel territorio di quella Repubblica di spettanza dei cittadini italiani, a somiglianza di ciò che hanno fatto altre Potenze partecipanti alla guerra; al qual riguardo si fa presente l’opportunità di giungere ad una sollecita favorevole conclusione, in vista pur del beneficio che ne risulterebbe alla nostra bilancia dei pagamenti, nonché del ristabilimento di quei rapporti di reciproca fiducia e di cordiale amicizia che per il passato sono esistiti fra le due Nazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bozzi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno ripristinare una vecchia disposizione che consentiva agli appartenenti all’Arma dei carabinieri di contrarre matrimonio all’età di 28 anni, revocando la nuova che eleva a 32 anni.
«Ciò per evitare che buoni elementi preferiscano arruolarsi nel Corpo di pubblica sicurezza o delle guardie di finanza dove per l’appunto detto limite è di anni 28. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bellavista».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per chiedere se non ritenga necessario un immediato intervento del Governo a favore dei cinque giovani cattolici italiani che – a rischio della vita – fuggiti in condizioni drammatiche dall’isola di Lussino, per raggiungere la costa italiana e ricongiungersi ai parenti esuli superstiti, sono stati arrestati e relegati nella colonia criminale di Ustica.
«A questi giovani – testimoni, nella terra natale, della decimazione e della deportazione di fratelli inermi e della distruzione di focolari sacri e di beni – deve rivolgersi tutta la materna comprensione della Patria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Di Fausto».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non ravvisi l’opportunità e la necessità di revocare, o quanto meno modificare le disposizioni attualmente vigenti, regolatrici delle concessioni dei servizi di linea, rese più gravose dalla interpretazione restrittiva ad esse data dagli organi centrali e periferici: e ciò allo scopo di porre alfine un termine ad un sistema che il più delle volte si traduce in un protezionismo incompatibile con le esigenze di libertà, lesivo della volontà democratica delle popolazioni interessate, suscettibile, a volta, di deformazioni ed àabitri, e contrario al naturale sviluppo dei traffici e delle comunicazioni, quale è determinabile dagli effettivi bisogni delle popolazioni, specie nelle regioni meridionali, ove l’attuale insufficienza della rete ferroviaria postula una maggiore intensità ed estensione dei servizi di linea, che solo può determinare un più ampio respiro concesso alla iniziativa privata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Perlingieri».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste, delle finanze e del bilancio, per conoscere se non ravvisino l’opportunità di adottare provvedimenti atti a impedire che il recente precipitoso ribasso nei prezzi dell’olio d’oliva – non adeguato al generale ribasso degli altri prezzi all’ingrosso, e indubbiamente aggravato da manovre speculative – venga a compromettere una delle principali fonti di reddito di vaste plaghe, e per sapere se non ritengano opportuno facoltizzare, su richiesta delle provincie interessate, l’aumento dei limiti del contingente di olio conferibile agli «oleari del popolo» a sensi del decreto legislativo presidenziale n. 1214 del 15 novembre 1947, in modo da costituire una vera e propria riserva a disposizione dello Stato per sopperire alle esigenze dell’alimentazione nazionale anche nell’anno prossimo, in vista della scarsezza della produzione di olive, inevitabile per l’alternanza dei raccolti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bonomi Paolo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se è vero che non è stato dato corso ad una domanda della ditta Urso da Capo d’Orlando (Messina), tendente ad ottenere il nulla osta per il servizio d’autolinea Galati Mamertino-Messina, per favorirne altre che avevano presentato domanda in epoca posteriore.
«La pratica della ditta Urso è stata trasmessa dall’Ispettorato regionale per la motorizzazione civile all’Assessorato regionale dei trasporti con parere favorevole e da questo sembrerebbe ritrasmesso alla Commissione per le concorrenze del Ministero dei trasporti in data 3 dicembre 1947. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bellavista».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni che a tutt’oggi si oppongono alla conclusione della pratica relativa al riconoscimento giuridico ed alla erezione in ente morale della Confederazione nazionale perseguitati politici antifascisti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Minio».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere con quali criteri sono stati assegnati recentemente alla provincia di Caserta solamente trecento milioni per le opere di ricostruzione e per la disoccupazione. La Provincia di Caserta è stata danneggiatissima dalla guerra. Gran parte dei Comuni sono senza acqua, senza luce, senza strade, senza ponti, senza fognature, senza edifici scolastici. Notevole è il numero delle persone che non ancora hanno riavuto il tetto, del quale furono violentemente private per le incursioni aeree e per i cannoneggiamenti terrestri. Le opere di bonifica sono allo stato iniziale, con gravissimo nocumento dell’agricoltura. Le popolazioni, disilluse per le tante promesse fatte e mai adeguatamente mantenute dagli organi governativi, sono vivamente sconfortate e scontente nel constatare che le loro legittime aspirazioni non sono state mai soddisfatte e che il Governo non ha avuto alcuna necessaria cura e premura della Terra di Lavoro.
«Gli interroganti, poi, rilevano con vivo rammarico che tutti i loro appelli rivolti al Governo dalla tribuna parlamentare, in varie occasioni, perché la provincia di Caserta fosse tenuta in debito conto sia per la ricostruzione che per la disoccupazione, sono rimasti inascoltati. Recentemente circa settanta sindaci della Provincia invocarono dal Ministero dei lavori pubblici proporzionati fondi per la disoccupazione, determinando anche le cifre del fabbisogno; ma anche tale fervida invocazione è rimasta senza eco presso le autorità governative. È il caso perciò di conoscere se non sia il Governo disposto ad erogare con urgenza una maggiore assegnazione di fondi per la ricostruzione e la disoccupazione della provincia di Caserta. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Fusco, Caso, Numeroso, De Michele».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se si ritenga opportuno destinare alla formazione di un fondo a favore dei disoccupati i proventi che ancora si possono ottenere dalla applicazione dell’imposta complementare di registro sui trasferimenti immobiliari, di cui al decreto ministeriale 12 novembre 1943 e al decreto interministeriale 7 febbraio 1944, numero 58.
«Tali decreti potrebbero essere convalidati, revocandosi la sospensione di cui la circolare 9 settembre 1944, n. 103727, divis. III del Ministero delle finanze, disposta quando tutti gli accertamenti erano già stati completati presso gli uffici esecutivi e quando taluni di essi già erano stati seguiti dal pagamento del tributo straordinario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Costa».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se le recenti lodevoli disposizioni impartite, perché «nelle assegnazioni di materiale, nelle concessioni di permessi, licenze, ecc., non sia tenuto conto di pressioni o raccomandazioni» siano state determinate dal fatto che, prima d’ora, furono violate, in materia, le procedure normali, e, in caso affermativo, se non creda opportuno render di pubblico dominio le violazioni accertate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bartalini».
PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.
La seduta termina alle 19.25.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16:
Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni sulla stampa.