Come nasce la Costituzione

SABATO 5 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXIV.

SEDUTA DI SABATO 5 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

La Malfa, Relatore                                                                                           

Bertone                                                                                                            

Scoccimarro                                                                                                    

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Grassi, Ministro di grazia e giustizia                                                                     

Dugoni                                                                                                              

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Franceschini, Raimondi, Lussu e Ravagnan.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Ricordo che nell’ultima seduta è stata chiusa la discussione generale, riservando la parola al Relatore e al Governo.

L’onorevole La Malfa, Relatore, ha facoltà di parlare.

LA MALFA, Relatore. Onorevoli colleghi! Nel discorso che ho pronunciato in sede di comunicazioni del Governo, affermavo che la discussione sulla situazione economica e finanziaria era stata bensì iniziata in seno all’Assemblea, ma non era stata affatto conclusa. Per alcuni anni noi abbiamo, in verità, trascurato questo problema. Lo abbiamo posto all’ordine del giorno del Paese da qualche mese: abbiamo iniziato, come dicevo, a discuterlo in sede di comunicazioni del Governo; non abbiamo concluso, lo riprendiamo in sede di patrimoniale e, mi dispiace dirlo, lo riprendiamo nella quasi assoluta indifferenza dell’Assemblea.

È un peccato; ed è un peccato anche che non sia apparso chiaro e al Paese e all’Assemblea quello che esattamente noi vogliamo raggiungere con l’imposta patrimoniale. Sono dolente di aver constatato, a questo riguardo, un atteggiamento equivoco: nessuno ha avuto infatti il coraggio di dire che è necessaria l’imposta patrimoniale, come nessuno ha avuto il coraggio di dire che essa non è necessaria o non è opportuna.

Un’obiezione meditata è stata quella dell’onorevole Nitti. Mutando un po’ quella che era stata la sostanza del suo discorso in sede di comunicazioni del Governo, egli si è domandato: ma abbiamo veramente scelto il momento più opportuno per applicare l’imposta?

Ora, non tocca a me, Relatore, fare la difesa del provvedimento di imposta patrimoniale in sede di politica generale del Governo; debbo però richiamare i precedenti del grave problema, che da due o tre mesi ci preoccupa.

Da che siamo partiti noi, quando abbiamo cominciato ad occuparci di tali problemi? Abbiamo denunciato, ad un certo punto, una situazione finanziaria e monetaria assai grave per il Paese; abbiamo concluso che sulla via battuta non si andava più avanti. La vostra Commissione di finanza ha richiamato su questi problemi l’attenzione del Governo; l’onorevole Nitti ha presentato una interrogazione con carattere d’urgenza e la stampa e l’opinione pubblica per qualche mese non si sono occupati di altro.

Il punto di partenza della discussione attuale si deve trovare quindi in tali precedenti, nella gravità dei problemi economici e finanziari che stanno dinanzi al Paese.

Messa all’ordine del giorno del Paese la questione economica e finanziaria, qualsiasi Governo, il precedente o il presente, composto con socialisti o con comunisti o non so con chi (non mi occupo in questa sede della composizione politica dei Governi), qualsiasi Governo – dicevo – doveva affrontarla e risolverla.

Se il problema esiste, se – badate bene – l’inflazione è determinata dalla situazione del bilancio dello Stato, dalle necessità alle quali lo Stato deve far fronte (abbiamo avuto oltre cento miliardi e ci avviciniamo forse ai centocinquanta miliardi di aumento della circolazione monetaria nel giro di circa un anno), dobbiamo considerare seriamente la possibilità di risanare le condizioni del bilancio dello Stato e di difendere la moneta.

Ma abbiamo scelto il momento opportuno per difendere la moneta? Se abbiamo fatto una crisi di Governo a questo scopo (non discuto della soluzione), se abbiamo trattato per mesi di questo problema, evidentemente lo abbiamo fatto per difendere seriamente la lira. Da qualche mese i Governi (questo Governo o altri) non hanno altro scopo. Su questo mi pare che nessuno sollevi dubbi. Nessuno ha detto: no, lasciamo andare le cose, lasciamo che i prezzi si gonfino, lasciamo che il bilancio dello Stato aumenti il suo deficit. Non abbiamo mezzi per porre un freno; interverremo in altra occasione.

Al contrario, abbiamo spinto i Governi ad affrontare il problema. Abbiamo impegnato una battaglia e siamo stati concordi nell’impegnarla. Ma, come dicevo, non possiamo difendere la lira senza risanare la situazione finanziaria dello Stato, che in questo momento è l’elemento principale di perturbazione del mercato monetario.

Se siamo d’accordo sulla necessità di difesa della lira, dobbiamo essere d’accordo sui mezzi per risanare il bilancio dello Stato. Non possiamo volere la difesa della lira e negare al Governo i mezzi per attuarla. Non dobbiamo voler la guerra e negare le artiglierie, le salmerie, gli indumenti.

Chi vi parla è, in questo momento, all’opposizione, ma credo che nessuno di noi – appartenga al Governo o all’opposizione – si prenderebbe la responsabilità di negare al Governo i mezzi che esso chiede per compiere il proprio dovere.

Quali sono questi mezzi? Che cosa significa difendere il bilancio, che cosa significa difendere la lira, che cosa significa arrestare l’inflazione? Significa (proprio lo vorrei dire banalmente) trovare quel numero di miliardi o quella possibilità di limitazione delle spese, o, se volete, quell’uso tecnico dei residui che consenta di non fare ricorso alla circolazione monetaria. L’aumento di circolazione, se accompagnata, come è accompagnata, dall’aumento dei prezzi, non è che inflazione.

Quali sono i mezzi? Da mesi alcuni di noi ne discutono in seno a questa Assemblea. Non vi è soltanto un mezzo: ho sentito l’onorevole Nitti – mi dispiace che non sia presente – fare una critica fondata al ricorso al debito fluttuante come mezzo per mantenere in equilibrio la tesoreria dello Stato. Esatto: è una critica che abbiamo fatta all’onorevole Corbino: il semplice ricorso al debito fluttuante è un mezzo inadeguato per tenere in equilibrio la situazione del bilancio dello Stato ed evitare il processo inflazionistico al Paese. Ma non vorrei che si arrivasse alla conseguenza assurda che il debito fluttuante non si debba creare. I Ministri del tesoro fanno benissimo ad alimentare il Tesoro con il debito fluttuante. È un mezzo che va largamente usato, ma è un mezzo che ha i suoi limiti.

In questo momento abbiamo introdotto, ed a tutti ha fatto piacere, un certo controllo sul credito. Che cosa è il controllo sul credito? È uno dei mezzi che abbiamo per limitare gli investimenti del settore privato dell’economia ed aiutare gli investimenti dello Stato. È una politica seria, che molti Paesi hanno fatto prima di noi. Il controllo del credito ha già determinato certi effetti anti-inflazionistici sul mercato.

Questo strumento di controllo viene usato con almeno due anni di ritardo. L’onorevole Conti, l’onorevole Einaudi sono testimoni di quante volte io abbia parlato del controllo del credito. È stato finalmente attuato e sia il benvenuto. Ma non si creda che anche questo sia un mezzo taumaturgico ed esclusivo.

Limitazione delle spese: la Commissione di Finanza ha preso una posizione fermissima: dobbiamo limitare le spese. Ma non è una operazione facile, come il controllo del credito non è un’operazione che si compia in un giorno od in una settimana. Sono tutti mezzi da coordinare allo scopo e devono essere usati tutti simultaneamente; perché, se dovessimo espandere il debito fluttuante e lasciare aumentare le spese dello Stato o fondare la politica anti-inflazionistica sul semplice controllo del credito, noi commetteremmo degli errori enormi. È il coordinato uso di questi mezzi che consente il raggiungimento di quell’obiettivo che abbiamo posto all’ordine del giorno del Paese e che il Paese sente.

In questo quadro di provvedimenti, che cosa è l’imposta patrimoniale? L’imposta patrimoniale è uno dei tanti mezzi che abbiamo a disposizione per difendere la lira. Vogliamo combattere l’inflazione, vogliamo usare tutti i mezzi disponibili per arrestare il movimento ascensionale del mercato. L’imposta patrimoniale è uno di questi mezzi. Ma – si chiede – la usiamo al momento utile? O voi credete che sia il momento di arrestare il processo inflazionistico ed è indiscutibile che a questo scopo serva l’imposta patrimoniale; o voi ritenete che non si possa oggi affrontare il problema del risanamento monetario, e questo è un mezzo inutile, come mutile è il controllo del credito.

Tutti questi provvedimenti, che vanno inquadrati in una visione d’insieme, sono utili se crediamo di dover condurre la battaglia e se crediamo nella vittoria. Sono dannosi nella ipotesi contraria.

In ogni modo, la Commissione di Finanza dice: l’imposta straordinaria è uno dei mezzi per combattere la svalutazione della lira. Vi è qualcuno che voglia assumersi la responsabilità di affermare: «No, l’imposta patrimoniale non deve essere usata oggi, ma doveva essere usata 12 o 24 mesi prima, o dovrà essere usata fra dodici mesi»? Lo dichiari apertamente.

L’onorevole Nitti, senza dichiararlo, ha espresso il dubbio che il momento della patrimoniale possa venire più tardi quando saremo più vicini alla stabilizzazione. Obietto che quando si è vicini alla stabilizzazione, è quasi inutile applicare l’imposta. L’imposta patrimoniale, questo mezzo eccezionale, è uno degli elementi per raggiungere il risultato che ci proponiamo. Se si crede che il risultato possa essere raggiunto per altre vie, non parliamo più di patrimoniale.

Ma – ci si domanda infine – usando la patrimoniale, si riuscirà a vincere la battaglia? È la politica generale del Governo che ci deve rendere garanti di ciò. L’Assemblea deve giudicare se la politica generale del Governo è idonea a raggiungere il risultato, servendosi dell’imposta patrimoniale e del controllo del credito, frenando le spese, arrestando l’ascensione dei salari, ecc. Per parte mia, ritengo che bisogna difendere la lira, adesso, e con tutti i mezzi. Se questo Governo fallisse allo scopo, dopo aver usato e sciupato i mezzi più importanti per raggiungere un risultato, a me pare che fra tre mesi noi non potremmo riproporci il problema; non mi pare. Non discutiamo dell’uso o del non uso dell’imposta con l’aria di dire: «lasciamo andare le cose per altri sei mesi; fra sei mesi vedremo». Fra sei mesi non difenderemo più nulla.

Se l’azione del Governo fallisse sul terreno della difesa monetaria, si porrebbero problemi ben diversi. Non dovremmo più decidere se usare l’imposta o il controllo del credito; dovremmo probabilmente decidere se lasciare svalutare completamente la lira e passare ad altro metro monetario. Ad una certa fase del processo inflazionistico, non si hanno più i mezzi di arresto. L’esperienza ci avverte che, a partire da un certo momento, si deve cancellare una moneta e crearne un’altra.

Non mi pare che alcuno abbia qui la voglia di correre questa avventura. Per l’opposizione e per il Governo il problema è chiarissimo, ed è, per così dire, comune.

Con queste premesse, l’obiettivo fiscale e tributario dell’imposta patrimoniale va un po’ in ombra rispetto all’obiettivo monetario. È giusto che sia così.

Se volete giudicare esattamente l’imposta, la dovete giudicare come mezzo di difesa della lira. Questo è l’elemento fondamentale di giudizio; se no, vi perdete in particolari tributari, che possono nuocere alla visione chiara del problema. Del resto, vi sono indizi che confermano che i Governi precedenti e il presente hanno scelto abbastanza bene il momento per intervenire o, per lo meno, hanno saputo cogliere l’ultimo momento adatto per intervenire.

Quali sono questi elementi? Vediamo cosa è avvenuto in questi ultimi tempi, per esempio nel mercato dei valori di borsa. Voi sapete (ho qui dei dati) che alla fine di aprile l’indice dei valori di borsa era 2770, alla fine di maggio 3120, alla fine di giugno era tornato a 2680, sul livello di aprile. Leggendo le cronache di borsa di fine settimana, apprendiamo che la minaccia di nuove tassazioni, la restrizione del credito, la mancanza di denaro, sono all’origine di questa contrazione di valori.

Ecco un primo fatto anti-inflazionistico, al quale il Governo, l’Assemblea debbono dare il dovuto rilievo. Dal maggio scorso, come ricordavo nel mio precedente discorso, abbiamo avuto una continua ascesa dei valori azionari; adesso abbiamo una piccola flessione. Vuol dire che già il mercato dei valori è colpito da una certa politica. Vuol dire che il momento scelto per condurre una politica di difesa non è il momento più inopportuno. Siamo ancora in tempo. Scendono i valori di borsa. La difesa è ancora possibile.

D’altra parte, possiamo escludere che, esercitando una pressione sul mercato con l’imposizione straordinaria, col controllo del credito, la discesa dei valori non si estenda ad altri campi? Leggevo stamane sul Globo notizie circa il prezzo delle merci. Su due o tre mercati si accenna a qualche riduzione. Non voglio dare un valore sintomatico a questi accenni, ma, in sostanza, quando scendono i valori in borsa, si ha quasi un precorrimento della situazione futura del mercato. Siamo vigili, coordiniamo fermamente la nostra politica, siamo prudenti e attenti, e possiamo raccogliere altri risultati.

Se riuscissimo ad arrestare l’aumento dei prezzi delle merci, avremmo raggiunto un risultato fondamentale per la vita del nostro Paese. E in sostanza il Paese, coloro che lavorano, non ci chiedono altro.

Si dice: ma l’imposta deve essere pagata sul reddito; questa imposta straordinaria è invece una leva sul capitale! Benissimo. È il risultato che in un certo senso dovevamo e volevamo raggiungere.

Si dice perché non avete fatto pagare invece le imposte ordinarie? Ma credete che possiamo raggiungere un maggior gettito di centinaia di miliardi da un mese all’altro ricongegnando il sistema dei tributi ordinari soltanto? Occorrono dei mezzi straordinari e più radicali.

D’altra parte, se per cause dovute alla guerra, e per circostanze indipendenti dalla volontà di ciascuno, non abbiamo fatto pagare nella misura dovuta le imposte ordinarie, abbiamo determinato un’accumulazione della parte di reddito sottratta all’imposta, ed è questa parte che vogliamo colpire con l’imposta straordinaria.

I cittadini che sono, spesso, molto più savi dei loro rappresentanti politici, sapevano di dover far fronte a esigenze straordinarie dello Stato e hanno accantonato in molti casi l’imposta. Da che ci risulta? Non voglio entrare in disquisizioni sulla grande e piccola proprietà, sulle varie categorie di interessi: su questa specie di esercizio corporativistico al quale ci abbandoniamo talvolta. Ricordo soltanto che l’imposta straordinaria proporzionale, già in riscossione, è dal contribuente riscattata largamente.

Se l’imposta straordinaria proporzionale è riscattata largamente, che cosa indica questo al Ministro delle finanze, al Governo, a noi? Che c’è una liquidità accantonata per pagare le imposte, che il contribuente ha previsto la tassazione straordinaria e ha messo puntualmente da parte i mezzi per farvi fronte. Le nostre discussioni sulla sopportabilità dell’imposta, diventano, da questo punto di vista, quasi superflue.

Vogliamo dispiacerci di questa situazione del mercato? Vogliamo non approfittarne? Se si riscatta largamente, ciò significa che ci sono dei settori ad alta liquidità. Volendo combattere il processo inflazionistico, occorre sottrarre questa liquidità, che è un potenziale di inflazione, al mercato. Fin dalla prima applicazione di un’imposizione straordinaria noi abbiamo i segni che i contribuenti possono sostenere lo sforzo loro richiesto. Dobbiamo esserne lieti. E non ripetere, come molti hanno ripetuto, che i contribuenti dovranno svendere i loro beni, buttare sul mercato il patrimonio. Sono previsioni catastrofiche, che non rispondono a realtà.

Del resto, a questo proposito, non è male che facciamo un esame di coscienza. Se un proprietario, se un contadino, han messo da parte un quintale di grano, sperando nell’aumento di prezzo, e se, per pagare l’imposta, sono costretti a vendere il quintale di grano, questo non è un contributo alla diminuzione dei prezzi? Se non accettiamo ciò, non desideriamo ciò, come vogliamo raggiungere un risultato antinflazionistico? Lasciando che il proprietario, il contadino non paghino l’imposta e si conservino il quintale di grano? Che il grande proprietario, che deve pagare centinaia di milioni allo Stato, conservi i molti quintali di grano (se li ha) o il bestiame e non paghi l’imposta? Noi vogliamo questo? Noi possiamo voler questo, ma allora, dire che vogliamo difendere la lira è un discorso molto accademico, che non ha nessuna rispondenza con la realtà delle nostre intenzioni.

E per andare ai casi limite, ammetto pure che per pagare l’imposta si debba incidere sui prezzi dei beni immobiliari. Può darsi che il fatto di dover pagare l’imposta faccia diminuire i prezzi della proprietà. E vi volete dispiacere di questo? È giusto che come cadono i valori di borsa, cadano anche i prezzi della proprietà immobiliare, perché l’aumento dei prezzi della proprietà immobiliare è un sintomo inflazionistico, mentre la diminuzione dei prezzi della proprietà immobiliare è un sintomo deflazionistico, un sintomo di risanamento.

Naturalmente, come in tutte le cose, anche qui occorre avere un senso del limite. Noi non possiamo determinare situazioni rovinose di discesa o di ascesa dei prezzi, ma i Governi esistono per questo ed i Governi sono saggi appunto perché comprendono i limiti della propria azione. Occorre determinare, ma nello stesso tempo controllare, i movimenti del mercato, per impedire che diventino controproducenti.

Il complesso dei primi segni ci dice, quindi, che noi abbiamo scelto un momento in cui possiamo ancora tentare. Forse è l’ultimo tentativo serio che noi possiamo fare di difesa della lira. Facciamolo nelle condizioni più opportune (io avrei detto anche nelle condizioni politiche più opportune) ma facciamolo. E qui mi permetto di dire che, siccome questi segni ci sono, occorre tenerli presenti in tutti i campi e da parte di tutti, anche della Confederazione generale del lavoro. Mi permetto di ricordare che, se noi abbiamo dei segni per cui i prezzi, i valori, invece di tendere continuamente al rialzo, possono tendere al ribasso o alla stabilizzazione, è necessario fare uno sforzo concorde per far beneficiare il Paese di questa tendenza. Badiamo anche alla politica salariale, e siamo accorti e prudenti anche in questo campo. Se le cose andranno male, andranno male per tutti, salariati, proprietari grandi e piccoli, Confederazione del lavoro.

Naturalmente, e lo ripeto fino alla noia, se il processo inflazionistico dovesse continuare, cioè se il Governo non riuscisse ad arrestarlo, l’imposta straordinaria non avrebbe servito a nulla. Avremo sciupato un mezzo potente di difesa della lira, inutilmente.

Ma l’eventualità che il Governo fallisca, non ci autorizza a ritenere che avremo potuto fare l’imposta più tardi, per esempio nel 1949, come diceva l’onorevole Nitti.

Io non so che lira troveremo e che imposta potremo fare nel 1949. Non so prevederlo, e non so dire che sostanza potrebbero avere i provvedimenti di difesa. Spostarli di sei mesi o di un anno, significa porsi in condizioni economiche totalmente diverse. Tanto più quando l’imposta è congegnata in modo da dare i primi risultati entro un anno, nel migliore dei casi. Se dovessimo rinviare di un anno questa imposta, gli effetti andrebbero nel 1949 o nel 1950. Non so prevedere quale sarà il bilancio dello Stato, quali saranno le condizioni monetarie in quel tempo, e per ciò non assumerei la responsabilità di trasferire uno strumento di lotta, come quello che esaminiamo, a quell’epoca.

E, per concludere su questo argomento, non va dimenticato che le imposte straordinarie proporzionale e progressiva apporteranno, al bilancio del 1947-48, 90 miliardi complessivamente. Nel nuovo preventivo abbiamo 300 miliardi di deficit e, senza questa imposta, ne avremmo 400. Anche questo va considerato, perché il fatto di coprire parte del deficit ha la sua grande importanza. Se i deficit non fossero coperti così, andrebbero coperti con l’uso del torchio, il che ci porterebbe a usare i mezzi che, ai fini della difesa monetaria, vogliamo combattere.

Ed ora, poche parole circa la sostanza del provvedimento. Il collega Scoccimarro mi consenta di dire che il progetto è all’incirca quello che le varie Commissioni di studio del Ministero hanno esaminato da due anni a questa parte. Si è ripresa e aggiornata la legislazione del 1920-1922. Quando la Commissione di finanza ha preso in esame il decreto, non vi ha trovato grandi innovazioni. Avevamo fatto un esperimento di imposta straordinaria nel 1920-22: l’abbiamo ripreso, abbiamo aumentato le aliquote e abbiamo adottato alcune norme ed esigenze più moderne. Non ci siamo tuttavia allontanati gran che dal vecchio schema. Questo per dire che qualsiasi discussione sul decreto, che volesse riferirsi a un progetto totalmente diverso, sarebbe fuori della realtà e inutile. Noi siamo sulla linea della tradizione ed abbiamo utilizzato un’esperienza già fatta.

Era possibile una sola differenza fondamentale, ed era costituita dal fatto che il provvedimento attuale, rispetto a quello del 1922, poteva presupporre il cambio della moneta. Era il solo elemento che poteva dare all’imposta del 1947 un carattere totalmente diverso, non per la struttura ma per i presupposti, a quella del 1920-22. Vogliamo riaprire ora la polemica sul cambio della moneta? Non mi pare utile. Ricorderò soltanto che ho sempre affermato che il cambio andava fatto ed ho tenacemente accusato l’onorevole Corbino – del quale ho la massima stima – di non averlo fatto.

Col mancato cambio della moneta, una delle caratteristiche che potevano differenziare l’imposta attuale dall’imposta del 1920-22 è venuta meno. Le conseguenze sono state enormi. Voi conoscete un certo gioco di carte, che fanno i ragazzi: mettono una carta appoggiata all’altra, e costruiscono vicine delle sorta di tende. Se ne cade una, cadono tutte. Ora, il mancato cambio della moneta ha fatto cadere tutte le carte del gioco. Come? Il cambio doveva avere lo scopo, dal punto di vista tributario, di accertare in via preliminare il patrimonio mobiliare, di impedire che l’imposta gravasse sulla proprietà immobiliare. Per il mancato cambio della moneta, tutto ciò non è stato possibile. Non si può tassare la moneta, se non inserendola nel sistema dell’imposta patrimoniale progressiva, non si possono tassare i titoli di Stato, i depositi bancari, se non attraverso la medesima imposta. Rispetto ai beni immobiliari, i beni mobiliari hanno subìto il danno del processo monetario. Se io voglio tassare i titoli di Stato come tali, commetto un’ingiustizia. E qui do ragione a Corbino, quando dice che i titoli di Stato non si devono tassare: i titoli di Stato hanno già pagato un contributo allo Stato. Ma dove Corbino sbaglia è nel fatto che, se io ho nel mio patrimonio titoli di Stato o danaro, devo esser colpito, con l’imposta progressiva, anche per questi titoli di ricchezza, che sono parte costitutiva della mia ricchezza complessiva. Vi siano nel mio patrimonio danari, case o titoli di Stato, quando tasso il patrimonio complessivo, sono in perfetta giustizia tributaria.

Quindi, quando ho fatto cadere il cambio della moneta, posso introdurre, come surrogato, una tassazione proporzionale e reale, posso tassare direttamente i titoli di Stato o i depositi bancari, ma, applicando un’imposta reale, commetto una ingiustizia tributaria, tassando proprio quei beni che sono stati decurtati dalla svalutazione monetaria.

Ecco perché dal mancato cambio della moneta sono derivate gravi conseguenze, prima di tutto la impossibilità di accertamento della proprietà mobiliare. Occorreva il cambio perché il sistema degli accertamenti fosse completo ed efficace nei due rami, mobiliare ed immobiliare, nei quali si divide la ricchezza nazionale.

Nella relazione, e qui parlo a nome di tutti i colleghi che la compongono, ai quali io devo rivolgere il mio ringraziamento per il contributo dato a questa imposta ed a tutto il lavoro di controllo della gestione finanziaria dello Stato, nella relazione è detto che, una volta che il cambio non si è fatto prima dell’imposta, soprattutto prima della data indicata per l’accertamento dei patrimoni, non si può più fare, o altrimenti si fa ad altri scopi. Se si vuole che i beni mobiliari si inseriscano nel sistema di accertamento di patrimoni complessivi, ci deve essere una coincidenza fra la data del cambio e la data in cui si accertano i patrimoni. Ora, se avete uno sfasamento fra le due date, che cosa avviene? Se voi fate il cambio nel mese di aprile, ed accertate i patrimoni nel mese di maggio, avete una certa differenza nei vari cespiti patrimoniali dipendente dalle operazioni che si sono compiute nel periodo di tempo intercorso tra la data del cambio e la data di accertamento delle consistenze patrimoniali.

Ecco, amico Macrelli, perché non vedo la possibilità di continuare a parlare di cambio della moneta a fini tributari, dopo l’imposta patrimoniale: perché, se faccio il cambio dopo, potrei arrivare all’assurdo di colpire due volte colui che ha venduto un bene per pagare l’imposta e ha messo da parte l’ammontare liquido che gli è residuato dalla vendita, e di non colpire né la prima né la seconda volta il borsaro nero che, dopo l’imposta, ha investito in beni reali il suo denaro liquido.

D’altra parte c’è un’altra difficoltà, ed è questa: nella legge sull’imposta, noi abbiamo stabilito, a carico del contribuente, una quota presuntiva per denaro e titoli. Ora, questa quota presuntiva o rimane, e allora noi non possiamo ritassare il denaro attraverso al cambio, o altrimenti deve essere tolta.

Per tali ragioni, mi pare che di cambio della moneta non si debba più parlare. Anche per quanto riguarda gli altri valori mobiliari, come i conti correnti in banca e i titoli al portatore, la Commissione si è trovata in gravi difficoltà. Vi confesso che c’era la propensione a superare la cosiddetta questione del segreto bancario, e ad accertare direttamente i depositi bancari, com’è avvenuto in tutti i Paesi del mondo. Tuttavia, di fronte alle dichiarazioni del Ministro e del Governatore della Banca d’Italia soprattutto, la Commissione s’è dovuta inchinare.

Quando il Governatore della Banca d’Italia afferma l’inopportunità di accertare presso le banche i depositi della clientela, la Commissione non può evidentemente andare oltre. Perché, o si ritiene che il Governatore della Banca d’Italia non sappia fare il suo mestiere, ed in tal caso non c’è che da sostituirlo, o si ritiene di conservarlo al suo posto, e non c’è che da tenere nella dovuta considerazione il suo parere tecnico.

DUGONI. Lo può fare l’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Sì, ma l’Assemblea lo può fare tenendo presente tutte le conseguenze che derivano dall’accertamento. Non può isolare il problema, ma deve affrontarlo in pieno.

L’onorevole Macrelli si è richiamato al cambio della moneta, soprattutto per una ragione specifica, attinente al prestito della ricostruzione. Egli ha osservato che, quando si è fatta la propaganda per il prestito, la si è fatta mettendo in luce l’importanza dell’esenzione del prestito dal cambio della moneta e dall’imposta straordinaria progressiva. Ora, non fare il cambio ha significato venir meno ad un impegno assunto.

È esatto però non si può volere il cambio per mantenere le promesse fatte in occasione dell’emissione del prestito della ricostruzione. Devo ricordare, a questo riguardo – e vorrei, che fosse presente l’onorevole Bertone – una ragione di dissenso che io ebbi a proposito di questo prestito.

L’obiezione che feci all’onorevole Einaudi e al dottor Menichella, direttore generale della Banca d’Italia, quando m’interpellarono a questo riguardo, fu la seguente: «Voi emettete un prestito, inquadrato in due provvedimenti, che non avete concretamente definiti. È un errore, e può dar luogo a inconvenienti. Occorre, prima, definire i provvedimenti del cambio della moneta e dell’imposta progressiva e poi chiamare i cittadini italiani a sottoscrivere, conoscendo la portata dei provvedimenti, dai quali il prestito è esente.

Dico questo, perché, per il mancato coordinamento fra i vari provvedimenti, si è avuta una conseguenza di ordine fiscale, gravissima. Si è emesso il prestito: molti futuri contribuenti dell’imposta progressiva hanno fatto i loro calcoli approssimativi, dato che le aliquote si conoscevano attraverso il progetto Scoccimarro, e hanno trovato ultra conveniente sottoscrivere al prestito, e risparmiare una forte aliquota d’imposta. Spiego con un esempio. Il possessore di un patrimonio di un miliardo è tassato, secondo la legge attuale, col 50 per cento. Supponete che il possessore di un miliardo abbia investito 500 milioni nel prestito della ricostruzione. Voi sapete che il prestito della ricostruzione non è denunciabile ai fini dell’imposta. Chi ha un miliardo avrebbe pagato 500 milioni di imposta; per il fatto che ha sottoscritto 500 milioni di prestito, paga, invece dell’aliquota del 50 per cento, l’aliquota del 35 per cento su 500 milioni. Paga, quindi, 150 milioni invece di 500 milioni.

L’esenzione concessa al prestito ha avuto queste conseguenze: mentre ha sacrificato il piccolo contribuente, che ha avuto una forte perdita sul titolo e scarsissimo vantaggio dall’esenzione, ha favorito i grossi contribuenti, che, nonostante le perdite sul titolo, hanno realizzato forti economie d’imposta.

Vi assicuro che, se la Commissione avesse potuto evitare queste conseguenze inique, l’avrebbe fatto. Ma non ne ha avuto mezzo legale. Abbiamo fatto – mi dispiace dirlo – una concessione che non dovevamo fare, ma oggi non possiamo che mantenere gli impegni assunti, anche se troppo favorevoli ai grossi contribuenti. Naturalmente sarebbe troppo se, rispetto a questi contribuenti, ci sentissimo anche impegnati a fare il cambio della moneta.

BERTONE. Ma come era formato il patrimonio di chi aveva un miliardo? Questo è importantissimo perché, se era formato di valori mobiliari, non era accertabile.

La MALFA, Relatore. Ma se era formato di azioni, era accertabile.

BERTONE. Questo è essenziale a sapersi, perché colui che sottoscriveva al prestito della ricostruzione aveva il diritto di portare in deduzione della sua quota di patrimonio tassato di quel 5 per cento presuntivo, tutto quello che aveva sottoscritto.

LA MALFA, Relatore. Comunque, per togliere ogni dubbio all’onorevole Macrelli, mi pare si debba constatare che, con la riconversione del prestito della ricostruzione 3.50 per cento al 5 per cento, si è tolta di mezzo la iniquità maggiore, e si è ridata possibilità al piccolo risparmiatore di investire al tasso normale.

Il voler quindi riaprire la questione del cambio della moneta a questo scopo non mi pare né utile né opportuno. Del cambio della moneta, come provvedimento fiscale connesso all’imposta progressiva, non si dovrà più parlare.

Più attuale è invece la questione dei cosiddetti enti collettivi, intorno alla quale, se l’Assemblea non è stanca di ascoltarmi…

Voci. No! No!

LA MALFA, Relatore. …vorrei un poco intrattenermi.

Il problema degli enti collettivi è stato sollevato in seno alla Commissione di finanza e, da un punto di vista dottrinario, dall’onorevole Castelli della Democrazia cristiana. Debbo dire, a suo riconoscimento, che l’onorevole Castelli ha sempre sostenuto la tassabilità degli enti collettivi. Si tratta, del resto, di una dottrina che in molti paesi esteri ha pieno riconoscimento.

Io mi sono però associato alla proposta dell’onorevole Castelli non già, vi confesso, per ragioni dottrinarie, ma per ragioni di opportunità e di equità fiscale. Poiché l’imposta progressiva, con il mancato cambio della moneta, tendeva ad appoggiarsi sul patrimonio immobiliare, aveva, secondo me, bisogno di un correttivo.

Coloro che hanno sostenuto la non tassabilità degli enti collettivi si sono fondati sul fatto della doppia imposizione e sul fatto che, essendo gli enti collettivi persone giuridiche, non possono essere colpite con imposte che gravano sulle persone fisiche. Ma l’imposta del 1910-22 tassava sia le persone fisiche che le persone giuridiche, ed escludeva le società per azioni, per la sola ragione della doppia imposizione. Il precedente legislativo, nella tradizione italiana, è la tassabilità degli enti collettivi ai fini dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Tra gli argomenti da me addotti, in sede di Commissione, ai fini della tassabilità, non vi fu quello della non accertabilità dei patrimoni azionari. I titoli azionari sono nominativi e sono quindi accertabili. È vero che lo schedario dei titoli azionari non è aggiornato. Però, alla richiesta se prima dell’applicazione dell’imposta lo schedario sarebbe stato aggiornato, il Governo rispose affermativamente. Quindi, tutti i possessori di azioni sono accertabili e colpibili.

SCOCCIMARRO. Questa risposta era giusta fino al gennaio-febbraio. Oggi neanche il Governo pensa che potrà dir questo, dopo quanto è avvenuto. La risposta in merito allo schedario delle società per azioni che, come disse il Ministro Campilli, sarebbe stato a punto entro sei mesi, era giusta. Era giusta in gennaio-febbraio. Oggi non più. Oggi è molto difficile, per quanto è avvenuto negli ultimi tre-quattro mesi.

Una voce. Cioè? Che cosa è avvenuto?

PELLA, Ministro delle finanze. Mi riservo di rispondere.

PRESIDENTE. Non credo che si possa concertare la risposta adesso. Prosegua, onorevole La Malfa.

LA MALFA, Relatore. In ogni modo, il Governo terrà conto – mi pare – dell’osservazione dell’onorevole Scoccimarro.

Però vorrei dire che, se anche lo schedario non fosse aggiornato a data utile, le azioni non potrebbero sfuggire, se nel frattempo l’Amministrazione si mettesse in ordine. C’è infatti l’obbligo di denunciare i titoli azionari. In qualunque momento lo Stato li accerta, in quel momento colpisce. Sarà nel 1970 o nel 2000, ma, se in quel momento lo schedario darà come non denunciata un’azione, su quest’azione il possessore pagherà non solo l’imposta, ma anche la penale. Quindi i possessori saranno raggiunti, anche se credono di poter evadere l’imposta.

Ma alcuni di noi hanno sostenuto la tassabilità degli enti collettivi e delle società per azioni per altri argomenti che non siano questo dell’accertamento del possesso delle azioni. Quali? La dispersione e il frazionamento del capitale azionario. Se noi prendiamo l’impresa azionaria, noi abbiamo una concentrazione patrimoniale; cioè, l’impresa riunisce dei capitali che usa a fini economici. Un’impresa individuale delle stesse dimensioni non è nelle stesse condizioni. Quando applichiamo l’imposta, l’impresa individuale è colpita con l’aliquota progressiva, nel suo patrimonio, nella funzionalità economica del proprio patrimonio. L’impresa collettiva è tassata nel patrimonio dall’azionista, e quindi la progressività è minore. Cioè, il frazionamento fa sì che il patrimonio dell’impresa individuale sia tassato più fortemente che non il patrimonio delle collettive.

E questo mi pare che sia da tener presente ai fini della perequazione tributaria. Noi non diciamo: tassate fortemente le società azionarie, togliete alla Montecatini gran parte del suo capitale. Noi diciamo invece: tassiamo, ma con aliquote molto ridotte, con un criterio di perequazione tributaria, per colpire con un coefficiente determinato, empiricamente, le collettive, sì da metterle nelle stesse condizioni delle imprese individuali.

La maggioranza della Commissione si è dimostrata contraria a questa tesi e ha preferito preparare il terreno alla rivalutazione patrimoniale, impegnare cioè il Governo a presentare un progetto di legge con cui si obbligano direttamente o indirettamente gli enti collettivi a rivalutare il loro patrimonio e a pagare un’imposta sulle rivalutazioni. È un provvedimento che verrà ben presto all’esame della Commissione.

Ritengo, tuttavia, che i provvedimenti sulle rivalutazioni abbiano una caratteristica inflazionistica e vadano perciò scartati. Quando si consente a una società di rivalutare le sue voci di bilancio, la borsa sconta queste rivalutazioni e tende al rialzo. Poiché lo scopo principale che noi poniamo alla nostra azione è quello di infrenare la corsa al rialzo, io rimango contrario ai provvedimenti sulle rivalutazioni.

Comunque, ho l’impressione che il problema degli enti collettivi, superato in sede di Commissione, si ripresenti in forma nuova e più concreta oggi. Rivolgo quindi preghiera al Governo di riesaminare se convenga battere la via delle rivalutazioni o stabilire il criterio empirico di tassazione degli enti collettivi. (Interruzioni).

Nelle dichiarazioni che si faranno in sede di emendamenti si potrà chiarire questo problema. Per quel che mi riguarda, la Commissione in maggioranza si è pronunciata contro la tassabilità degli enti collettivi, ed io debbo rimanere aderente a questa decisione.

Uno degli argomenti di cui si è parlato molto in questa Assemblea è stato quello della maggiore pressione tributaria esercitata sui piccoli e medi possessori di patrimoni. Ora, io devo chiarire una posizione che già avevo assunto in sede di Commissione di finanza, e che in genere mantengo rispetto a qualsiasi procedimento tributario: la maggiore quantità di gettito tributario, il fondamento delle imposte è dato dai piccoli e medi patrimoni. Nessun Ministro delle finanze potrebbe fare politica finanziaria se non tenesse conto dei piccoli e medi patrimoni, i quali non possono essere esentati dal dare il necessario contributo al risanamento delle finanze dello Stato.

D’altra parte, piccoli e medi possessori di patrimoni hanno un interesse diretto alla lotta contro l’inflazione. Questo flagello colpisce in particolare coloro che continuano a tenere un loro conto corrente in banca, titoli dello Stato, o denaro presso di sé. Chiedere ai piccoli e medi proprietari un sacrificio, non risponde a un’esigenza generale della nostra politica tributaria, ma all’interesse di coloro che si tassano. Ricordatevi bene: salvare un Paese dalla svalutazione monetaria è un valore che dobbiamo saper misurare a tempo. La Commissione di finanza, del resto, ha qui impostato un problema di giustizia. Constatato che il gettito dell’imposta è dato dai piccoli e medi patrimoni, perché l’Italia è un Paese di piccoli proprietari, agricoltori, bottegai, commercianti, di provinciali, se volete, essa ha ritenuto di dover tassare fortemente le grosse fortune, così da dare a ciascuno il suo. Se è necessario che paghino i piccoli e medi, molto di più devono pagare i grossi patrimoni.

Questo – mi pare – è un sano concetto di amministrazione finanziaria. Se avessimo voluto scaricare la piccola e media proprietà dai tributi straordinari per addossarli alla grande proprietà, noi avremmo rispettato un principio di giustizia sociale, ma non avremmo fatto un corretto atto di amministrazione finanziaria. Non potete pensare che le centinaia di miliardi di lire che occorrono per la difesa monetaria del Paese si ottengano dalla sola tassazione dei grossi patrimoni. Di questa idea dobbiamo sbarazzarci. I grossi patrimoni debbono dare il loro contributo, ma il gettito delle imposte è, e sarà sempre, costituito dalle piccole e medie fortune.

Vediamo, del resto, qual è il meccanismo dell’imposta. L’imposta proporzionale colpisce i piccolissimi patrimoni, a partire da imponibili di 100 mila lire. A 3 milioni ci incontriamo con la progressiva; ma, siccome c’è un abbattimento alla base di 2 milioni, chi ha 3 milioni paga in definitiva, tra proporzionale e progressiva, il 6 per cento.

Ora, ho visto un emendamento degli amici liberali che vorrebbe elevare a 5 milioni il minimo imponibile della progressiva. Stiamo attenti. Non vorrei che si determinasse un equivoco in seno a questa Assemblea: ritenere cioè che quelli che hanno 3 o 5 o 10 milioni siano dei poveri disgraziati e quelli che hanno 100 mila lire e pagano l’imposta proporzionale siano dei signori. Non vorrei, cioè, che si delineasse una situazione per cui arrivassimo a scaricare dell’imposta non i piccoli, ma i medi patrimoni.

Dobbiamo essere coerenti nella nostra linea di politica tributaria. Se partiamo da 100 mila lire col 4 per cento, non siamo eccessivamente fiscali se a 3 milioni facciamo pagare il 6 per cento. È stato qui detto che il possessore di 3 milioni ha forse una casa e voi gliela fate vendere; ma quello che ha 100 mila lire non ha nemmeno una casa e paga il 4 per cento. Mi sono opposto, in sede di Commissione, alla tendenza a elevare i minimi imponibili, m’opporrò alla stessa tendenza in seno all’Assemblea. Questo è un punto fermo per me. Chi ha maggiore patrimonio deve pagare di più, ma tutti devono pagare qualcosa.

Ho sentito anche parlare di esenzioni di certe categorie di contribuenti. Dobbiamo stare attenti anche a questo. Le imposte sono dolorose, dolorosissime. Mi pare che l’onorevole Nitti abbia detto che le imposte sono spiacevoli. E si capisce che creano turbamenti, casi di ingiustizia, ma noi dobbiamo badare alle linee fondamentali del sistema.

Quando, nonostante tutte le lagnanze, si riscatta l’imposta proporzionale, vuol dire che l’imposta è sopportabile. Il collega Bonomi diceva: noi paghiamo, però protestiamo. Sta bene. Quello che importa, per giudicare di un’imposta, è che nel complesso essa si dimostri sopportabile e sia pagata. Le ingiustizie singolari si possono sempre correggere. Il Governo c’è per questo. Le leggi si possono rivedere. Non possiamo fare le leggi tributarie sulla misura di coloro che si lagnano o ne soffrono. Non ne faremmo nessuna.

La Commissione di finanza ha ricevuto cinquanta, cento, mille rimostranze, ma non le può esaminare, perché un provvedimento di legge ha delle linee generali, essenziali, concrete. Il Governo accerterà se vi sono squilibri concreti, ingiustizie concrete. Per esempio, si è moltiplicato per 10 o per 5 un imponibile rivalutato dopo il 1939. Questa è una ingiustizia, ma è inutile che ci preoccupiamo di questo. Il Governo potrà provvedere, ha già provveduto. Ci sono dei casi di sinistrati che non hanno chiesto la revisione dell’imponibile e quindi sono tassati per case che non possiedono. Il Governo prenderà, o ha già preso, provvedimenti integrativi al riguardo. Se ci mettessimo a modificare la legge in base a lagnanze generiche, l’esenzione, che è meritata da una categoria di casi concreti, potrebbe diventare esenzione per categorie che possono pagare.

L’Assemblea non si può assumere la responsabilità di indurre coloro che possono pagare l’imposta, a non pagare. Bisogna indurre a pagare. In quanto ai casi particolari, si potrebbe, ad esempio, nominare una Commissione ristretta di deputati che controllino, se volete, l’applicazione dell’imposta, non nel senso che esercitino sindacato sul Governo, ma si tengano a contatto col Governo per sottoporgli eventuali proposte, eventuali correttivi.

Del resto, fu questa l’esperienza dell’imposta 1920-22: fu rettificata molte volte con decreti aggiuntivi. Si perfezionò col tempo, ma sulla base di esperienze concrete. Si discussero i casi, si discusse molto e si presero provvedimenti integrativi. Questo decreto non chiude la serie dei provvedimenti legislativi. Dà le linee generali dell’imposta. Col tempo potrà essere anche modificato.

Vorrei concludere: mi pare che per quello cui deve servire, per lo scopo da raggiungere, l’imposta sia assolutamente necessaria. Non è il solo mezzo per salvare il bilancio dello Stato e la moneta. Se non è usato – ripeto – in coordinazione con altri provvedimenti e, soprattutto, se il Governo non ha un continuo controllo delle condizioni generali del mercato, se non lo segue momento per momento, ora per ora, questa situazione può sfuggire di mano e quindi l’imposta polverizzarsi. Ma nel quadro di una politica coordinata e coerente, esso è assolutamente necessario. E soprattutto per fini di tesoreria. La Commissione, proprio a questo fine, ha stabilito un congegno speciale per i riscatti, e ha cercato di anticipare con ogni mezzo, il gettito dell’imposta.

Se l’imposta viene diluita nel tempo, costituirà un ottimo congegno tributario, ma non servirà allo scopo principale. Un’imposta patrimoniale diluita in vent’anni non ha alcun interesse. Sarà un magnifico provvedimento tributario, ma credete che sia un provvedimento di difesa della lira? No. È da questo punto di vista che la Commissione delle finanze crede di aver fatto il proprio dovere suggerendone l’approvazione immediata. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero in primo luogo, ringraziare gli onorevoli colleghi che hanno preso la parola nella discussione generale su questo disegno di legge, per il contributo di vera collaborazione apportato al suo perfezionamento. Ringrazio in particolar modo l’onorevole Nitti, il quale ha voluto portare l’alta sua parola di finanziere e di parlamentare, con suggerimenti di ordine generale, che certamente devono essere presi in considerazione dal Governo, sovrattutto in ordine alla preminente importanza della finanza ordinaria, su cui brevemente mi intratterrò.

Ringrazio in particolare, il Relatore, onorevole La Malfa, per le esaurienti dichiarazioni di stamane.

Ringrazio gli altri parlamentari, dall’onorevole Macrelli all’onorevole Valiani, all’onorevole Bertini, all’onorevole De Vita, all’onorevole Scoccimarro, all’onorevole Vigorelli, all’onorevole De Mercurio, all’onorevole Paolo Bonomi, all’onorevole Vicentini; e vorrei ricordare anche quanti hanno parlato in materia di imposta straordinaria sul patrimonio, in sede di discussione generale sulle comunicazioni del Governo. Argomentazioni e proposte suggestive hanno fatto gli onorevoli Pallastrelli, Crispo, Scotti e Perrone Capano. Di quanto fu detto allora e di quanto è stato detto più recentemente in questi giorni, il Governo non può non tenere gran conto.

Ho accennato all’opportunità di intrattenermi brevemente anche sulla finanza ordinaria. Accenni eloquenti al riguardo hanno avuto diversi colleghi.

È perfettamente vero che il problema del risanamento del bilancio dello Stato non può che poggiare, in via preminente, sulla finanza ordinaria.

La finanza straordinaria è il ponte, attraverso cui bisogna passare in attesa che il gettito dei tributi ordinari abbia raggiunto la sistemazione definitiva.

Qualche dato in materia può interessare l’Assemblea, anche perché, se non erro, dal 25 giugno dell’anno scorso, da quando, cioè, ci siamo riuniti per la prima volta, l’Assemblea non ha avuto occasione d’interessarsi della materia finanziaria, se non casualmente e di scorcio, in qualche intervento.

Il preventivo per l’esercizio 1946-47 segnava un introito previsto di 148 miliardi per tributi ordinari.

La recente relazione Campilli, di fine marzo, prevede, in sede di quasi consuntivo, un introito totale di 268 miliardi, riferiti al 30 giugno.

Sono lieto di comunicare che, per il favorevole andamento degli introiti in questi ultimi mesi, si può pensare che al 30 giugno saranno superati i 300 miliardi e probabilmente si arriverà ai 320 miliardi. Voi conoscete il ritmo degli incassi di questi ultimi mesi. Mentre l’esercizio finanziario si era aperto nel luglio del 1946 con un introito mensile di 16,5 miliardi, mentre al settembre eravamo a 18 miliardi, al dicembre eravamo a 24,5 miliardi per fare un balzo in aprile con 32,5 miliardi ed a maggio con circa 37 miliardi.

Queste cifre ci dicono che, attraverso il normale incremento dei tributi (le cui cause vorrei identificare soprattutto in due fattori fondamentali: il primo, derivante dallo sviluppo del volume degli scambi; il secondo, dalla più efficace repressione delle evasioni), non è lontano il giorno in cui quelli ordinari dovrebbero superare i 40 miliardi mensili. Se si tien conto dei provvedimenti emanati in queste ultime settimane e di quelli che sono allo studio, (e qui viene molto a proposito il riferimento al concetto di «imposte massicce» che è stato enunciato dall’onorevole Nitti) non è lontano neppure il giorno in cui si dovrebbe andare oltre i 45 miliardi. Per cui non è arrischiato pensare che, nonostante le previsioni assai più prudenti fatte in sede di preventivo 1947-48, i tributi ordinari dovranno certamente superare (nel prossimo esercizio) i cinquecento miliardi per avvicinarsi ai 600.

Mi si permetta qualche rilievo su alcune categorie di tali tributi anche in relazione alle osservazioni che sono state fatte nel corso della discussione.

Il preventivo contempla un introito per imposte dirette di circa 67 miliardi, per imposte sugli affari e sugli scambi di 168 miliardi, per dogane ed imposte indirette di 90 miliardi e per monopoli di 70 miliardi. È vero che nel settore delle imposte dirette non si sono ancora raggiunti quei risultati forse attesi dall’opinione pubblica. È, però, il settore che, per forza di cose, si muove più lentamente e per il sistema che fa riferimento ad anni anteriori (ad esempio, il gettito di categoria B del 1947 è la fotografia del reddito del 1945, come il gettito del 1948 sarà la fotografia del 1946) e per il fatto che ogni accertamento comporta una lunga procedura. Una cosa, comunque, è certa: mentre gli altri tributi possono dare immediate, brillanti sodisfazioni, ma nello stesso tempo creare improvvise delusioni, coll’inversione dell’andamento dei prezzi e del volume degli scambi, è caratteristica del gettito delle imposte dirette di mantener meglio le posizioni faticosamente raggiunte.

Ad ogni modo, voi sapete che è stato presentato, già da tempo, alla Commissione parlamentare di finanza, un provvedimento che contempla la rivalutazione automatica dei redditi di categoria B e C1, in attesa di poter provvedere al riaccertamento individuale.

È desiderio del Governo, in questa materia, di attuare il principio, reclamato da diversi onorevoli colleghi di ridurre gradualmente le aliquote parallelamente all’allargamento della base imponibile. È intenzione dell’Amministrazione finanziaria di adeguare al più presto il gettito delle imposte dirette ai nuovi livelli di reddito, e di migliorare il rapporto fra tributi diretti e tributi indiretti; quanto meno per il giorno in cui avrà un significato concreto il concetto di trasferimento o di non trasferimento dell’imposta sul consumatore. Poiché, se è vero che la superiorità teorica dell’imposta diretta risiede appunto in questo, nell’essere sopportata dal reddituario senza trasferimento sopra il consumo, è altrettanto vero che, nell’attuale periodo di scarsità di merci sul mercato, anche le imposte dirette purtroppo si trasferiscono sul consumatore alla stregua di tutti i costi generali che gravano le imprese agricole, commerciali ed industriali.

Per quanto riguarda le imposte sugli affari, richiamo l’attenzione sull’imposta sull’entrata, la quale è destinata a superare, nel prossimo esercizio, i 150 miliardi annui. La vecchia imposta sugli scambi, la cosiddetta tassa scambi, rendeva, nel 1939, 2 miliardi e mezzo, cosicché ci troviamo davanti ad un parametro di moltiplicazione pari a sessanta. È vero però che allora l’imposta scambi era del 2 per cento, mentre oggi è del 3 per cento cosicché il coefficiente 60 automaticamente si riduce a 40, ed è anche vero che la base di applicazione dell’imposta sull’entrata è discretamente più ampia di quella che era l’imposta sugli scambi, perché comprende anche i servizi; ma, pur tenendo conto di questa maggiore ampiezza, io credo che, riducendo i termini ad omogeneità, il gettito sia superiore a 30 volte almeno quello dell’anteguerra.

Non abbiamo ancora raggiunto il parametro di aumento dei prezzi, ma certamente ci troviamo davanti a un tributo che promette

Per quanto riguarda il settore delle dogane e delle imposte di fabbricazione, certamente si supereranno i 100 miliardi. Credo sia venuto il momento di rivedere questo settore, in cui esistono dazi specifici allineati secondo la legge monetaria del 1927, in cui abbiamo diritti di licenza di importazione ad valorem ragguagliati al corso del dollaro in lire italiane 225, mentre già, per altri scopi, è da tempo ufficialmente accolto un concetto di cambio medio notevolmente superiore.

La revisione di questo settore, che potrebbe portare a risultati veramente massicci, in linea pratica può creare delicati problemi di politica economica, relativi all’opportunità o meno di gravare il mercato di un nuovo onere tributario di grande ampiezza; per quanto, sotto altro profilo, ciò potrebbe portare ad una riduzione della generale capacità di acquisto che, senza sacrificare le classi meno abbienti, dovrebbe accelerare quel processo di assestamento dei prezzi, da tutti auspicato. Delicato problema di politica economica, in cui si innesta pure l’interrogativo circa la possibile coesistenza di un sistema di dazi specifici con un generale tributo ad valorem, quale è il diritto di licenza.

Settanta miliardi sono previsti per i monopoli. Forse, la ragione principale per cui mi sono attardato in alcuni dettagli dei tributi ordinari, è di trovare l’occasione di rispondere all’amico Bertone, il quale nel suo discorso sulle comunicazioni del Governo non è stato molto benevolo nei confronti dell’amministrazione dei monopoli.

Senza porre in dubbio la bontà delle intenzioni dell’amico onorevole Bertone, è necessario illuminare, una buona volta, l’opinione pubblica sulla gestione dei monopoli. Essa non deve essere giudicata alla stregua di quelli che sono alcuni aspetti marginali della borsa nera. A questo riguardo, ripetendo una frase che già ho avuto occasione di dire una decina di giorni fa, io penso che se in tutti i settori, ciascuno, davanti al peccato di borsa nera, dovesse battersi il petto, dalle Alpi alla Sicilia noi sentiremmo un fragore di terremoto. Ed allora, io credo che dobbiamo ridurre il problema nei suoi veri termini.

I monopoli vendono oggi 2 milioni e 800 mila chili al mese di produzione nostra, a prezzi legali. Il consumo ante-guerra, media 1938-39, era di 2 milioni e 333 mila chilogrammi; sicché oggi produciamo nelle nostre manifatture e vendiamo almeno un 20 per cento in più dell’ante-guerra, mentre abbiamo avuto distrutto il 40 per cento degli opifici, il 60 per cento dei depositi e dei magazzini di distribuzione, abbiamo perso quattro opifici e tre depositi che, in conseguenza dell’esito della guerra, sono passati, completi di attrezzatura, in possesso di uno Stato Confinante. Inoltre, abbiamo avuto la distruzione totale di tre anni di scorte di tabacchi, cioè 110 milioni di chili.

Onorevoli amici, quando vi dolete che si fumi male, assai più che della qualità del tabacco, avete ragione di lamentarvi del fatto che anziché lavorare la materia prima al terzo anno, così come vorrebbero le buone regole, si è obbligati a lavorare materia prima – come si dice – al diciottesimo mese; ma forse, in realtà, anche prima del diciottesimo mese.

I danni complessivi sono stati di 120 miliardi. I prezzi di vendita sono oggi appena ventiquattro volte quelli dell’anteguerra. Il costo dei tabacchi (o amici che vi siete fatti portatori degli interessi dei concessionari e dei coltivatori di tabacco!) il costo dei tabacchi oggi è cinquanta volte l’anteguerra. Il costo della mano d’opera, invece, non soltanto in termini di livelli salariali, ma tenuto conto anche del coefficiente di rendimento è trentacinque volte l’anteguerra; ed io colgo l’occasione da questa circostanza per dare atto all’Assemblea che – prescindendo da episodi sporadici e da alcuni aspetti marginali del problema – le maestranze delle manifatture dei tabacchi corrispondono egregiamente a quanto si attende da loro.

È un settore in cui è largamente in uso il sistema dei cottimi, mantenuto durante tutto il periodo bellico e nel periodo del dopoguerra. E sarebbe estremamente ingiusto che l’opera di questi trentamila lavoratori non fosse sufficientemente apprezzata dagli onorevoli amici che mi ascoltano, e dalla stessa Nazione.

Le spese generali sono aumentate dodici volte e mezzo rispetto all’anteguerra, nonostante che gli stipendi, compresi nelle spese generali, siano aumentati di sedici volte.

DUGONI. Sedici volte gli stipendi e cinquanta volte il tabacco?

PELLA, Ministro delle finanze. Precisamente.

Queste sono le cifre. Non intendo, con questo, accusare di eccessive pretese i coltivatori e i concessionari: il Monopolio, nel fissare i prezzi, procede prima ad una accurata analisi dei costi, che, periodicamente, ogni anno e per alcune settimane, mantiene in notevole orgasmo i rappresentanti dei coltivatori. La conclusione alla quale desideravo giungere è questa; che, davanti ad un coefficiente 24 nei ricavi, ad un coefficiente 35 nel costo della mano d’opera, ad un coefficiente 50 nel costo della materia prima e di 12 e mezzo nei costi generali, non possa disconoscersi:

1°) la economicità, quanto meno relativa, di tutti i servizi;

2°) la ineluttabilità che la quota così detta industriale, destinata a coprire il costo, si spostasse verso il 35 per cento – lasciando soltanto il 65 per cento al gettito tributario vero e proprio – in attesa di riportarsi verso quel 25 o 22 per cento, che costituiva il limite normale.

Nella presente situazione il Monopolio, comunque, si impegna di far affluire al bilancio dello Stato, per il prossimo esercizio, da 75 a 80 miliardi netti.

Prima di entrare esplicitamente nell’argomento dell’imposta straordinaria sul patrimonio (e mi perdoni l’Assemblea l’introduzione forse più lunga di quella che avrei creduto) ricordo ancora che l’onorevole Valiani ha accennato a delusioni sul settore delle avocazioni.

È esatto che l’applicazione delle leggi sull’avocazione dei profitti di guerra, dei profitti di regime e dei profitti di speculazione non ha dato finora quanto si poteva desiderare.

È intendimento dell’Amministrazione che, per quanto riguarda i profitti di guerra, si arrivi al più presto a definire i vecchi sospesi, che purtroppo qualche volta risalgono a prima del 1943. Ed è triste che si debbano incassare in lire di potere d’acquisto 1947 dei tributi che incidono su redditi ragguagliati a lire del 1942-43-44.

Per quanto riguarda la avocazione dei profitti di regime – servizio gestito finora da persone la cui fede, oltre che competenza tecnica, è fuori discussione – posso assicurare che, se il lavoro di impostazione ha richiesto un certo tempo per cui le riscossioni sono apparse finora molto modeste, l’accertamento e riscossione saranno portati avanti con la massima celerità. Non mi nascondo l’opportunità di qualche modifica legislativa, allo scopo di dirimere, sempre sul piano della giustizia, difficoltà dì ordine tecnico constatate cammin facendo.

Per quanto riguarda i profitti di speculazione, siccome l’onorevole Valiani ha avuto dei garbati riferimenti di ordine territoriale, che forse volevano riferirsi a determinati settori economici, desidero rivendicare a me stesso l’iniziativa di avere due mesi fa, in veste di Sottosegretario, adottato quel provvedimento sull’avocazione dei profitti di speculazione inteso a colpire con particolare rigore gli utili eccezionali conseguiti sull’esistenza di materie prime, già dell’Amministrazione dello Stato, e passate ai privati, per ragioni prudenziali, nell’ottobre del 1943; sull’esistenza di materie prime esistenti al momento della liberazione e, sopratutto, sugli utili conseguiti sopra determinati affari di importazione, effettuati col sistema dei clearings – cioè col dollaro base 225 – per materie prime realizzate a prezzi notevolmente superiori.

Se si è voluto dire che alcuni determinati settori – ad esempio quello tessile – possono aver realizzato degli utili di natura eccezionale, mi si permetta di rivendicare il merito di aver contribuito a creare lo strumento perché lo Stato possa assorbire tali utili. (Applausi al centro).

Sempre in tema di politica finanziaria generale, vorrei aggiungere che, nella penultima riunione del Consiglio dei Ministri, è stato approvato il decreto da me proposto contro i cosidetti scioperi fiscali, contro, cioè, le forme di resistenza organizzata al pagamento delle imposte.

Se vi è oggi un delitto particolarmente grave contro la Nazione e, quindi, contro il popolo, è quello di organizzare la resistenza contro il pagamento dei tributi, contro il compimento, cioè, di un dovere che è il presupposto della salvezza del Paese. (Applausi al centro).

Un altro provvedimento è stato approvato perché si renda più sicura l’esazione dei tributi, in particolare di quelli straordinari, giacché si va generalizzando il grave fenomeno della insolvenza del contribuente.

Inoltre, per quanto riguarda tutto il sistema dei profitti di speculazione, si è cercato di rendere più efficace, in sede contenziosa, l’intervento degli organi chiamati a dirimere le controversie.

Non voglio tediare l’Assemblea con troppi particolari in materia, anche perché si tratta di provvedimenti che dovranno passare all’esame della Commissione parlamentare di finanza.

Per quanto riguarda l’imposta straordinaria sul patrimonio, riconfermo che il Governo, non allo scopo di sgravarsi di una responsabilità che intende anzi rivendicare, ma per avere il conforto della diretta collaborazione dei rappresentanti della Nazione, ha desiderato investire l’Assemblea della totalità dei provvedimenti relativi, cosicché possa ottenersi la migliore legge possibile, coll’impegno del Governo di attuarla con la massima energia.

Ciò non mi dispensa, naturalmente, dall’esprimere il mio punto di vista su alcuni dei principali argomenti che sono stati toccati; primo, fra gli altri, quello che concerne la finalità dell’imposta.

Certamente questa imposta deve, come ogni tributo, avere uno scopo principale: quello cioè di fornire un nuovo gettito all’erario. Essa, però, intende attuare anche uno scopo di giustizia sociale chiamando a contribuire alla ricostruzione tutti i patrimoni, con criterio fortemente progressivo.

Altro concetto informatore della nuova imposta è la sua portata antinflazionistica. In ordine alle varie opinioni, secondo cui l’imposta dovrebbe essere pagata soltanto col reddito od essere addirittura concepita come una vera e propria leva sul capitale, con prelievo anche in natura, penso che il Governo non abbia avuto torto preoccupandosi soprattutto di attuare un’imposta monetabile, ossia un’imposta che potesse essere pagata in danaro liquido: pagata cioè o mediante i redditi o mediante altre disponibilità liquide esistenti nel patrimonio, oppure attraverso realizzi di attività, non augurabili per i piccoli proprietari, ma bensì nei confronti dei detentori di maggiori patrimoni, in modo da contribuire – come giustamente accennava il Relatore – a quel processo antinflazionistico che dovrebbe trovare una sua prima e significativa espressione in un assestamento al ribasso dei prezzi, quale può essere determinato da una cospicua offerta di beni sul mercato.

Mi sia qui concesso di smentire che possa essere nell’intento del Governo di attuare una politica di finanziamento dell’imposta attraverso le banche. Finanziare l’imposta attraverso il sistema bancario potrebbe significare, in apparenza, aumentare la circolazione per conto del commercio; ma ciò solo in apparenza. Nella sostanza, invece, tratterebbesi di aumento alla circolazione per conto dello Stato.

In ordine al contenuto del progetto sono stati proposti alcuni problemi molto importanti; ad esempio, quello degli enti collettivi. Il Relatore onorevole La Malfa ha richiamato con esattezza gli estremi del problema. In sede comparativa, fra la legge del 1919, il progetto dell’onorevole Scoccimarro e il decreto approvato all’unanimità dall’ultimo Governo del tripartito, le differenze su tale punto si riducono a ben poca cosà perché – tanto nella legge del 1919 quanto nel progetto dell’onorevole Scoccimarro, e nell’attuale progetto – le società azionarie erano e sono escluse dall’imposta, in quanto si riteneva allora e si è ritenuto oggi che la tassazione simultanea delle società e degli azionisti avrebbe portato ad una vera doppia imposizione.

Inoltre, secondo la legge del 1922 erano esenti le Opere pie, che tali restarono anche nel progetto dell’onorevole Scoccimarro. Nel 1922, per quanto non esistesse l’attuale articolo 29 del Concordato, si era adottata una formula per cui si concedeva l’esenzione agli enti di elevato interesse morale e culturale; con che veniva praticamente concessa l’esenzione anche agli enti religiosi. Ora, poiché il progetto dell’onorevole Scoccimarro contempla l’esonero delle Opere pie, pur nulla dicendo circa gli enti religiosi, è evidente che, per l’automatica applicazione dell’articolo 29 del Concordato, anche questo progetto importava esenzione degli enti stessi. Quindi, nessun contrasto su questo punto.

E – a proposito del citato articolo 29 – mi sia concesso di ripetere pubblicamente quanto ho avuto occasione di dichiarare in sede di Commissione parlamentare di finanza: essere, cioè, intenzione del Governo di rispettare pienamente il contenuto di detto articolo, senza nulla aggiungere o nulla togliere.

Una differenza fra il progetto che avete davanti ed il progetto Scoccimarro o la legge del 1920-22, riguarda invece un certo settore di fondazioni, a carattere eminentemente civile che, per le considerazioni enunciate nella relazione, il Governo del tempo non ritenne di colpire.

Il grosso problema è nato quando, indipendentemente da quello che era stato l’ordine di idee nel 1922, in seno alla Commissione si è affacciata la questione della doppia imposizione per le società azionarie. Il problema sorse in parte anche in ragione del pericolo che, attraverso un’estesa diffusione fra molti azionisti dei patrimoni sociali, vi potessero essere patrimoni sociali che, per essere in possesso di molti piccoli azionisti, avrebbero finito per essere esenti.

Se fosse questa la sola preoccupazione, evidentemente saremmo fuori strada; perché, se effettivamente esiste un risparmiatore che possiede ad esempio 100 mila lire in azioni e nient’altro, l’esenzione rientrerebbe in pieno nel complesso delle ragioni che giustificano il minimo imponibile.

Inoltre, le osservazioni dell’onorevole Scoccimarro in fatto di concentrazione dei titoli azionari rappresentano un contributo notevole contro il paventare di tale pericolo. Se tale concentrazione in poche mani corrisponde al vero, io, come grande esattore dello Stato ed esclusivamente come tale, non posso che prenderne atto con piacere, perché vi ravviso finalmente la possibilità di applicare l’aliquota del 61 per cento.

Orbene, quando si è proposto il tema della doppia imposizione, ho fatto una promessa: il problema della separata capacità contributiva della società, indipendentemente dalla capacità contributiva del singolo, sarebbe stato preso in considerazione in sede di riforma generale del sistema tributario italiano.

Per quanto riguarda l’imposta straordinaria sul patrimonio mi sembrava che, se è esatto che l’azionista di una grande società (non ne nomino nessuna) può non sentirsi socio di quella determinata società, per cui l’applicazione contemporanea di un tributo e sulla società e sul titolo della società, di cui egli non si sente socio, non avrebbe rappresentato, dal punto di vista del suo apprezzamento soggettivo, una doppia imposizione, tuttavia nel caso di società di proporzioni più ridotte bisognava riconoscere che la doppia imposizione, qualunque sia la spiegazione che se ne fosse voluta dare, sarebbe stata sentita ed avrebbe, pertanto, posto il problema di una adeguata compensazione.

Il Ministro dell’epoca, pel tramite mio, comunicò alla Commissione parlamentare di finanza che era allo studio e quasi pronto un progetto di tassazione dei saldi di rivalutazione patrimoniale, che meglio avrebbe risolto il problema di una separata tassazione suppletiva della società azionaria.

Tale progetto, assicuro l’onorevole Lombardo, oggi esiste, in due edizioni. Ho pregato il Presidente della Commissione parlamentare di finanza – e rinnovo ora la preghiera – di volere, assieme con qualche elemento tra i più rappresentativi della Commissione, prendere contatto con il Governo per esaminare, in sede preventiva, quale potrebbe essere la soluzione più opportuna. A me sembrava allora, e sembra adesso, che noi dovremmo proporci di distinguere, in quello che è il totale delle rivalutazioni di alcune poste più significative dell’attivo, la parte relativa al patrimonio proprio della società da quella relativa ad investimento in beni reali del ricavo di debiti della società. La conclusione alla quale in tal modo perverremmo è che la rivalutazione monetaria dei beni reali, ottenuti attraverso il capitale proprio, è ombra e non cosa certa, nel senso che non rappresenta reddito realmente conseguito; mentre, con la tassazione di quelle rivalutazioni relative a beni reali conseguiti attraverso l’investimento di denari presi a prestito e rimborsati con moneta svalutata, noi non colpiremo un’ombra, ma un incremento certo, che finora (in omaggio al principio che il tributo colpisce, sia in sede ordinaria che straordinaria) non ha pagato un soldo di imposta.

Nel desiderio di collaborare con la Commissione parlamentare, a titolo naturalmente personale e senza alcun particolare impegno, io non escludo la possibilità di procedere anche ad un riesame del problema della tassazione diretta ed integrale. So che le categorie interessate – tutto sommato – tra i due mali preferirebbero la tassazione diretta, integrale, perché ciò sembra loro un male minore.

Onorevole La Malfa, ella conosce il mio senso di deferenza e la mia cordialità verso di lei; voglia accogliere con animo amichevole quanto vorrei dirle in questo momento. Nel suo discorso sulle comunicazioni generali del Governo, con un tono smorzato che derivava dalla sua innata signorilità e che forse era anche in linea con l’ora crepuscolare in cui ella parlava, ella ha accennato, così, di passaggio, che il Ministro delle finanze non deve essere scelto dal contribuente, ma deve a questo essere imposto.

Mi permetta di sottolineare che in questo momento, in materia di enti collettivi, per la parte riguardante me, sono veramente il Ministro delle finanze che desidera imporre e non negoziare le soluzioni coi contribuenti.

Sono affiorate alcune questioni relative alle valutazioni.

Il concetto informatore delle disposizioni in materia è stato duplice; rendere semplice e sicuro il sistema delle valutazioni. Renderlo semplice, così da eliminare, per quanto è possibile, le discussioni individuali fra fisco e contribuente. Renderlo sicuro, attraverso ad una garanzia di bontà del sistema di valutazione. Ed è per questo che abbiamo demandato in blocco alla Commissione censuaria centrale il sistema di valutazione dei terreni e dei fabbricati. Io desidero in questo momento rendere omaggio alla superiore competenza e, beninteso, alla superiore serietà di detto organo, che dà il massimo affidamento di compiere con grande esattezza tale lavoro, alla stregua di dati già abbondantemente rilevati e che in parte devono essere ancora completati. Le tabelle, che deriveranno dal lavoro della Commissione censuaria centrale, la quale, a sua volta, tiene conto del lavoro periferico delle Commissioni censuarie provinciali e comunali, saranno comunicate agli uffici, perché le applichino nei confronti dei diversi contribuenti.

Era naturale che si dovesse dare, sia al contribuente che alla Amministrazione, la possibilità di ricorrere contro eventuali, errori in sede di applicazione delle tabelle.

Si è detto che, forse, con questo sistema si colpisce di più la ricchezza immobiliare e di meno le altre forme di ricchezza, quelle, ad esempio, che rientrano nel settore dell’economia industriale.

Sia chiaro che è intenzione del Governo, se l’Assemblea non deciderà diversamente, di affidare ad organo da costituire, avente le stesse garanzie di serietà della Commissione censuaria centrale, il compito di determinare i criteri e i coefficienti per la valutazione delle imprese industriali e commerciali dei diversi settori; e dico subito che dovrebbe considerarsi come ultimo dei criteri, come forse il deteriore dei criteri di valutazione, il tradizionale riferimento all’imposta di ricchezza mobile, che, per essere già un dato derivato, è quello che più facilita il ripetersi di errori. Dovrebbesi, infine, far riferimento all’unità tecnica per quanto riguarda le imprese industriali o ad altri elementi, per quanto riguarda le imprese commerciali e quei settori di imprese industriali, che non abbiano unità tecnica espressiva, ai fini della valutazione patrimoniale.

Unico, comunque, nell’intenzione del Governo, vuole essere il sistema di valutazione, in omaggio a quella uniformità di sacrifici, che non deve conoscere divisioni territoriali tra nord e sud, né contrapposizioni di settori economici. (Applausi al centro).

Lo so; vi è la preoccupazione della valutazione dei titoli non quotati in borsa. Su questo punto molte sono state le discussioni e molte le perplessità, anche in seno alle commissioni di studio che presso il Ministero hanno preparato il decreto.

Non per colpa di uomini, ma, forse, per ragioni obiettivamente connesse al sistema, la valutazione delle azioni, ai fini della imposta di negoziazione, finora non ha dato risultati molto cospicui, per le azioni non quotate in borsa: per quanto, ad onor del vero, debba comunicare all’Assemblea che la media delle valutazioni per l’anno 1942 sembra essere cinque volte quella dell’anteguerra.

Resta però sempre da esaminare se la base anteguerra sia o meno una base sodisfacente.

Il problema non interessa soltanto l’imposta straordinaria sul patrimonio, ma anche il tributo ordinario dell’imposta di negoziazione. Ed è per questo che nell’ultimo Consiglio dei Ministri è stato presentato, ed in linea di massima approvato, salvo qualche ritocco, un provvedimento che:

1°) modifica la struttura degli organi incaricati della valutazione, con inserzione di rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria nell’organo di primo grado e in quello di secondo grado chiamati a giudicare delle controversie;

2°) fa obbligo di tener conto nella valutazione di tutti gli elementi relativi al valore effettivo delle diverse poste attive di bilancio e di tutti gli elementi relativi alla redditibilità dell’impresa, nonché di presentare gli estratti catastali dei terreni e dei fabbricati e gli allegati di tutte le impostazioni di bilancio, ma, soprattutto, di riferirsi ad analoghe valutazioni fatte per imprese similari nel settore dei cosidetti contribuenti privati. Infatti non v’è ragione di arrivare a diversa valutazione di due aziende delle stesse dimensioni, per il fatto che l’una è sotto forma azionaria e l’altra non lo è.

Badino, gli onorevoli colleghi, che il problema è di importanza notevolissima per le imprese industriali e commerciali, ma di importanza non meno notevole per quelle piccole anonime immobiliari dietro cui è andata a nascondersi parecchia ricchezza edilizia e terriera.

Una voce. È lì che bisogna toccare.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda la valutazione ai fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio, poiché per ragioni di tecnica legislativa non è stato ritenuto opportuno inserire una regola specifica nella legge sull’imposta di negoziazione, data la natura permanente di questa legge, sarà il Governo a presentare un emendamento all’articolo 19 del disegno che è sottoposto al vostro esame, allo scopo di ottenere quella perequazione che è nell’intenzione di tutti.

Per associazione di idee, vorrei parlare anche dello schedario dei titoli azionari. Si ritiene che tale schedario non funzioni, che sia arretrato, che le comunicazioni siano state inesatte.

Devo fare una premessa: non è nelle intenzioni dell’attuale Ministro delle finanze d’impostare una particolare politica tributaria, preferenziale o punitiva, rispetto ai valori azionari. Non si può negare, però, il diritto al Ministro delle finanze di fare in modo che gli attuali congegni tributari, se per avventura non hanno funzionato nella pienezza con cui avrebbero dovuto funzionare, siano messi in condizione di farlo.

Applicazione pratica: lo schedario dei titoli azionari sarà aggiornato. Così mi è stato assicurato in occasione di un sopraluogo che ho fatto personalmente, scartabellando schede e dichiarazioni. Mi si è assicurato che sarà aggiornato per il mese di novembre. Se ci saranno dubbi od incertezze, essi saranno risolti in sede legislativa, imponendo determinati obblighi alle società, per facilitare il reperimento di tutti i possessori di titoli azionari.

Desidero ancora dichiarare che i portatori di titoli azionari non si debbono illudere di poter sfuggire al censimento dei loro titoli; ho dato disposizioni perché i trapassi di titoli che venivano comunicati ai soli uffici delle imposte nella cui circoscrizione si trova il compratore, siano comunicati anche agli uffici delle imposte nella cui circoscrizione si trova il venditore e ciò anche per il passato. Infatti, al fisco interessa conoscere non soltanto il possessore dei titoli ai fini della complementare o dell’imposta sul patrimonio, ma anche la persona che del titolo si sveste; perché, se a nome di quella persona, in periodo relativamente breve, si trovasse una successione di vendite ed acquisti, evidentemente potrebbe nascere il presupposto per configurare un intento speculativo ed applicare il tributo mobiliare sugli utili conseguiti.

Poiché analoga dichiarazione ho avuto occasione di fare recentemente in altra sede, e non fui chiaramente inteso, ripeto qui che con tali disposizioni non intendo far assumere al Ministero delle finanze alcuna posizione di particolare rigore nei confronti del settore azionario. Questo è problema di politica generale di Governo e come tale esso non può interessare singolarmente il Ministero delle finanze. Ma il Ministero delle finanze deve fare in modo che gli attuali strumenti tributari, anche se per avventura in parte arrugginiti, nei confronti di determinati settori dell’economia, tornino a spiegare tutti i loro effetti.

Per quanto riguarda il cambio della moneta, vorrei fosse qui presente l’onorevole Scoccimarro (al quale mi lega il simpatico ricordo di una collaborazione cordiale e feconda), per chiedergli conferma del mio personale stupore quando mi comunicò che il cambio della moneta dovevasi considerare tramontato.

Confermo ancora oggi che, politicamente, sarebbe stato opportuno. Ma, giunti nell’estate del 1947, la sua attuazione causerebbe i noti inconvenienti, più volte illustrati, sul piano tecnico, senza sufficienti contropartite, dati i due anni inutilmente trascorsi.

BERTONE. L’onorevole Einaudi era perfettamente d’accordo nel farlo in aprile.

PELLA, Ministro delle finanze. In questo momento debbo prendere atto di una situazione che è stata risolta in sede politica alla unanimità dei partiti del Governo di allora.

MACRELLI. Quando?

PELLA, Ministro delle finanze. Nel mese di gennaio o febbraio onorevole Macrelli. Anch’io ho fatto dei discorsi di propaganda sul prestito, puntando sul cambio della moneta!

MACRELLI. Purtroppo!

SCOCA. Onorevole Ministro, parce sepulto!

PELLA, Ministro delle finanze. Così stando le cose, occorre, naturalmente, tirarne tutte le conseguenze agli effetti della ricchezza mobiliare anonima.

Ritengo che, in linea di gettito totale, il sistema delle induzioni possa dare di più di quello che avrebbe dato un censimento nominativo per quel tale fenomeno della diffusione fittizia della ricchezza anonima, che si sarebbe verificato sui nulla tenenti o sui quasi nulla tenenti, nel caso di censimento nominativo. Ed al riguardo, penso che troppo si pensi agli indici anteriori al 28 marzo 1947 e poco si mediti a quelli, ben più importanti, successivi a tale data.

Prima del 28 marzo potranno costituire indice di possesso di ricchezza anonima le operazioni di disinvestimento; ma dal 28 marzo in avanti costituirà indice di possesso il complesso degli investimenti. Per questo non mi preoccupo, anzi prendo atto con piacere del fenomeno del passaggio, dall’ombra alla luce, di capitali che prima erano nascosti. Le procedure di accertamento individuale resteranno aperte per un discreto periodo di tempo (forse diciotto o ventiquattro mesi, almeno) ed in tale periodo quante notizie di acquisti di titoli azionari, di terreni, di fabbricati, quanti altri elementi potranno affluire nel «dossier» di ciascun contribuente! Si tratta di potenziare gli elementi di accertamento. Per questo sono perplesso, dinanzi alla proposta che viene fatta, di spostare la data di riferimento dell’imposta sul patrimonio. A prescindere dal fatto che sarebbe veramente dare un colpo (non voglio dire un altro colpo, né voglio fare l’ipotesi che sia il primo) al prestigio della parola dello Stato, costituirebbe, tutto sommato, un errore tecnico, perché finiremmo forse per abbreviare quel periodo di tempo nel corso del quale nasceranno gli indici di possesso della ricchezza mobiliare.

Onorevoli amici, non per ripetere un’abusata frase, ma effettivamente perché l’ora è tarda, debbo rinunciare a sviluppare qualche altro punto relativo all’imposta straordinaria progressiva, per aggiungere brevi parole sull’imposta proporzionale 4 per cento.

Lo so che tale imposta rappresenta un problema grave per molti contribuenti. Vorrei ricordare, però, che, in primo luogo, non si tratta di un tributo nuovo, ma dell’anticipata riscossione di un tributo esistente, che viene soppresso. Quindi, non impostiamo, amici dei diversi settori, un nuovo balzello. Nessun nuovo tributo, ma riscossione anticipata di un tributo esistente, riscossione approvata all’unanimità dai Ministri di tutti e tre i partiti che erano allora al Governo. Ed è per questo che non comprendo tutto un sistema di manifesti, di giornali e di articoli, che francamente mi rendono perplesso.

Non deve escludersi, in linea di ipotesi, la possibilità, di esaminare determinate facilitazioni. È, soprattutto, un problema di rateazione, e non ho difficoltà ad affermare, fin da questo momento, che, per le Opere Pie, per i proprietari di immobili con fitti bloccati entro determinati limiti di cifra, e per i piccoli proprietari di terreni, una più lunga ratizzazione della riscossione possa essere concessa dietro corrispettivo di un modico interesse.

VERONI. Raccomando lunghe ratizzazioni per i sinistrati di guerra.

PELLA, Ministra delle finanze. Accetto la raccomandazione dell’onorevole Veroni.

Vorrei però dire che fortunatamente la riscossione della rata di giugno ha avuto un andamento che qualificare sodisfacente sarebbe dire poco.

I riscatti già versati sono notevoli. Le domande di riscatto presentate, e per cui si effettuerà il versamento nel giro di un mese, sono molte. Il problema di prorogare i termini per la presentazione delle domande di riscatto può essere anche preso in considerazione, ma per una breve proroga, perché il vantaggio del riscatto è tale che deve presupporre il pagamento all’inizio delle dieci bimestralità.

Una voce al centro. Ma molti non lo sanno.

PELLA, Ministro delle finanze. Esatto anche questo. Sarà data la massima diffusione.

Vorrei ancora su questo punto dirvi, onorevoli colleghi, poiché si parla di un problema di nord e di sud, che ho preso atto con molta sodisfazione che il compartimento più gravato dall’imposta 4 per cento è stato proprio il Piemonte, con 11 miliardi e 651 milioni su 86 miliardi di iscrizioni provvisorie: è una cifra considerevole, superiore (ciò che non avrei mai ritenuto) alla stessa Lombardia, che accusa 9 miliardi e mezzo: superiore alla stessa Emilia, iscritta per 9 miliardi e 286 milioni.

Ammetto, anzi sono il primo a postularlo, il concetto della relatività di queste cifre; però, sia pure su un piano di relatività, esse danno il senso del problema.

Onorevoli colleghi, mi riservo di parlare ancora durante la discussione dei diversi articoli; perdonatemi se mi sono diffuso, forse, troppo a lungo nella chiusura di questa discussione generale. La finanza straordinaria ha un suo preciso compito, anche se dovessimo limitarlo ad un punto di vista strettamente fiscale, senza preoccuparci di quella che può essere la portata antinflazionistica di questo tributo: assicurare un cospicuo gettito. Perciò applicheremo la nuova imposta, inflessibilmente, in un quadro, però, di serena giustizia. Per questo conchiudo ripetendo quanto dettovi giorni addietro: onorevoli colleghi, dateci la migliore delle leggi e noi cercheremo di apportarvi la migliore delle esecuzioni. (Vivissimi applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato ad altra seduta.

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere l’esito dell’inchiesta ed i provvedimenti relativi – se emessi – a seguito dell’azione svolta il 28 maggio scorso dai carabinieri di Quarto di Marano (Napoli) e per la quale numerose case di inscritti al Partito socialista italiano furono perquisite senza ordine o mandato delle autorità competenti con lo specioso pretesto che vi erano depositate armi, determinando così un legittimo risentimento nelle popolazioni.

«Sansone».

«Ai Ministri della marina mercantile e dell’interno, per conoscere quali motivi hanno indotto a consentire la cessione di cinque metri della banchina di Pozzuoli (larga in quel punto solo 10 metri) al parroco della chiesa di Santa Maria delle Grazie per l’ampliamento della detta chiesa, quando non è stato ancora possibile l’ampliamento delle banchine di quel porto, così importante per il traffico del medio e piccolo tonnellaggio.

«Per conoscere, altresì, per quali ragioni il prefetto di Napoli – a seguito dell’ordinanza del comune di Pozzuoli, che ingiungeva al parroco di sospendere i lavori – invitava il sindaco a revocare l’ordinanza stessa, ed al rifiuto di quest’ultimo impediva che gli fosse data esecuzione coattiva, consentendo così la continuazione della costruzione, mentre nella popolazione di Pozzuoli cresce la disoccupazione per la poca attività del porto, dovuta alla sua scarsa ricettività.

«Sansone».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Interesserò i Ministri interrogati affinché facciano conoscere al più prestò quando intendano rispondere.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Chiedo al Governo di voler fissare la risposta ad una mia interrogazione, da tempo presentata, relativa all’impiego del Fondo lire U.N.R.R.A.

Si tratta di problemi gravissimi, che sono stati tante volte sfiorati, ma ai quali il Governò non si è mai deciso a dare una risposta.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi riservo di far presente la cosa ai Ministri competenti.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto, chiede d’interrogare il Governo, per conoscere quali provvedimenti intende prendere per la ricostruzione e la riattrezzatura del porto di Napoli.

«Riccio Stefano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quali provvedimenti intendono adottare a tutela del patrimonio morale e comunale di Cervinara, in provincia di Avellino, dolosamente manomesso, ed a tutela dell’ordine pubblico, gravemente minacciato, per il che essi sin d’ora declinano ogni responsabilità.

«E ciò in considerazione:

che il comune di Cervinara, paese di oltre 10 mila abitanti della Valle Caudina, capoluogo di mandamento, ha un patrimonio boschivo di circa 300 ettari di terreno ceduo castagnale, da cui ricavava i maggiori fondi per la integrazione del suo bilancio;

che, frattanto, la nuova Amministrazione comunale, allo scopo di propiziarsi la clientela elettorale, nonché per altri inconfessabili fini, ha consentito la usurpazione delle sezioni boschive da parte di affiliati al suo partito, compresi stretti parenti del sindaco, i quali tutti, già ricchi proprietari e commercianti, hanno proceduto al taglio e trafugamento degli alberi ed hanno occupato il terreno, con un danno accertato di oltre trecento milioni;

che, per ciò solo, è venuto meno al comune il più cospicuo cespite di entrata, necessaria per fronteggiare i pubblici servizi e il pagamento degli stipendi agli impiegati;

che, d’altronde, non sono floride le condizioni economiche del comune, abbisognevole di inderogabili e urgenti opere pubbliche, malgrado l’esoso e partigiano inasprimento dei tributi;

che l’abusivo procedere del sindaco e della civica Amministrazione di Cervinara fu debitamente e varie volte denunziato al prefetto di Avellino, al comando gruppo foreste di Avellino, nonché ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste con atti persino notificati, a garanzia dell’effettivo recapito, a mezzo di ufficiale giudiziario, ma nessun provvedimento è intervenuto;

che il sindaco, già antemarcia, marcia su Roma, squadrista, componente della squadra d’azione «Gabriele D’Annunzio», sciarpa littorio, segretario e commissario di fasci, complicato in delitto fascista nel 1924, al tempo dell’eccidio di Matteotti, e assolto per la amnistia fascista; di cui al regio decreto 31 luglio 1925, n. 1277, intimo del famigerato Augusto Turati, suo ospite a Cervinara, rimasto inalterato fascista dal 1922 al 1943, sospeso per tre anni dall’elettorato attivo e passivo dalla Commissione provinciale di Avellino, poscia assolto da quella centrale di Roma per interferenze politiche, si abbandona ad illegalità ed arbitri, favorendo accoliti e parenti, pervaso dei vecchi metodi di corruttela politica;

che, giusta deliberazioni adottate dalla Giunta comunale, il pubblico denaro viene sperperato in spese non giustificate da documenti di appoggio o quanto meno le somme pagate sono sproporzionate alle asserite prestazioni;

che sono stati concessi in fitto dei vani di casa del comune alla sezione di un partito per puro favoritismo con un canone di lire 1000 al mese, sebbene vi fossero altre richieste, compresa quella dei reduci, e si fosse chiesto al sindaco e al prefetto di Avellino di indire una pubblica gara, con la prospettiva certa e sicura di raggiungere il canone mensile di circa lire 5000;

che il Consiglio comunale, onde sfuggire all’esame di gravi problemi, compreso quello delle usurpazioni innanzi accennato, ha omesso di riunirsi in sessione ordinaria e per cui è stata chiesta la decadenza di tutti i consiglieri, a norma degli articoli 124 e 289 del testo unico della legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915, n. 148;

che sono stati assunti a pubblici impieghi affiliati del sindaco, sforniti dei requisiti voluti dalla legge, in spregio anche e soprattutto alle tassative norme tutelatrici della benemerita classe dei reduci e combattenti, non esclusi gli invalidi e mutilati di guerra, i quali tutti a Cervinara sono in pieno fermento e agitazione e reclamano giustizia;

che il sindaco è sottoposto a due procedimenti penali, il primo pel delitto di estorsione, il secondo per il reato di indebito rifiuto di atti del proprio ufficio, e non c’è speranza di ravvedimento, dati i di lui precedenti morali e penali.

«Gli interroganti chiedono di conoscere, altresì, se accertati i fatti di cui innanzi, gli onorevoli Ministri non credano, in omaggio ai principî di libertà e di democrazia, che non possa rimanere al suo posto l’attuale sindaco e l’amministratore comunale di Cervinara, nonché gli agenti comunali e quelli forestali di Cervinara. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Vinciguerra, Preziosi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere – considerato che il decreto 29 marzo 1947, n. 177, priva il contadino del legittimo beneficio di consumare il proprio vino in esenzione da imposte di consumo – se non credano conveniente intervenire onde sgravare da ogni tassa tutto il vino consumato dalla famiglia agricola. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, per sapere – considerato l’aggravamento delle frane e degli smottamenti superficiali dei terreni lungo la Valle dell’Adige, da Trento ad Avio; considerato che esisteva nella Venezia Tridentina un Ufficio tecnico-forestale per la sistemazione dei corsi superiori dei torrenti e dei rispettivi bacini montani, dotato di adeguati fondi, la cui opera fu di immenso beneficio per l’agricoltura trentina – se non credano conveniente ripristinare il suddetto Ufficio tecnico-forestale, onde riprendere vigorosamente l’opera provvidenziale dell’ufficio soppresso dal regime fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere – considerato che le acque pubbliche costituiscono una delle principali ricchezze naturali della Venezia Tridentina, che, senza ostacolare l’interesse nazionale, le acque stesse devono essere utilizzate con particolar riguardo agli interessi regionali; che il Trentino e l’Alto Adige devono destinare buona parte delle proprie risorse idriche a scopi d’irrigazione, che non devono essere sacrificati agli interessi industriali – se non creda conveniente e doveroso sospendere le concessioni di utilizzazione di acque pubbliche fino al momento in cui saranno determinati i diritti della Regione Trentino-Alto Adige. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carbonari, De Unterrichter Maria, Paris».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei trasporti e del tesoro, per sapere quali provvedimenti intendano prendere nei confronti dei dipendenti delle aziende delle ferrovie secondarie sinistrate. Questi dipendenti dal 1944 sono rimasti a disposizione delle proprie aziende, senza che queste abbiano loro corrisposto stipendio e salario. Il licenziamento non avvenne in forza del decreto-legge 8 gennaio 1931, n. 148, secondo il quale ogni provvedimento di licenziamento o sospensione per qualsiasi causa debba essere preso dal Ministero dei trasporti.

«Tale provvedimento, infatti, venne emanato con decreto n. 338 del 12 aprile 1946; rimane quindi da chiarire a chi spetti liquidare il periodo non pagato ai dipendenti di queste aziende, periodo che varia secondo località, in rapporto agli eventi bellici, ma che in ogni caso si aggira sui due anni.

«In modo specifico l’interrogante chiede poi se gli onorevoli Ministri autorizzano la Società ferroviaria italiana ad applicare, dalla stessa data di riassunzione del personale, il contratto nazionale del 27 aprile 1946, in modo che la retribuzione individuale di tutto il personale venga commisurata in relazione alla qualifica rivestita da ciascuno prima della distruzione della linea e precisamente secondo l’articolo 8 dello stesso contratto nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gervasi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 12.45.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 7 luglio 1947.

Alle ore 17:

Interrogazioni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 4 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 4 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

 

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Tosato                                                                                                              

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Nitti                                                                                                                  

Micheli                                                                                                             

Perassi                                                                                                              

Zuccarini                                                                                                         

Fornara                                                                                                           

Miccolis                                                                                                           

Colitto                                                                                                             

Marchesi                                                                                                          

Bozzi                                                                                                                 

Bernini                                                                                                             

Persico                                                                                                             

Nobile                                                                                                               

Tonello                                                                                                            

Caronia                                                                                                            

Costa                                                                                                                

Codignola                                                                                                        

Ambrosini                                                                                                         

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste                                                     

Comunicazione del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

COLITTO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole Lopardi.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Avendo l’Assemblea approvato nella seduta di ieri la formulazione definitiva del primo periodo del testo unificato degli articoli 109, 110 e 111, dobbiamo ora passare all’esame della seconda parte, e precisamente alla elencazione delle materie, per le quali è conferita all’ente Regione la potestà legislativa.

Pertanto, dobbiamo esaminare i vari emendamenti presentati. Ritengo che, a questo proposito, possiamo seguire la seguente procedura: invece di esaminare materia per materia e cioè di considerare come emendamento a sé stante ogni singola indicazione di modificazione di ciascuna materia, ai presentatori degli emendamenti sarà data la parola una volta sola, anche se essi propongano modificazioni di più materie indicate o, eventualmente, la loro soppressione. Prego pertanto gli onorevoli colleghi, che hanno presentato emendamenti di questo tipo, di volerli svolgere nel loro complesso.

Desidero aggiungere, in ordine al metodo di votazione, che ritengo sia pacifico che le proposte di soppressione di materie – e gli emendamenti proposti sono nella massima parte soppressivi – non siano messe in votazione come proposte soppressive. Nei confronti degli emendamenti soppressivi praticamente si realizza la decisione votando sopra la proposta positiva. Coloro i quali sostengono la soppressione, votano contro la proposta positiva, sia pure avendo la parola per giustificare, in sede di svolgimento di emendamento, le ragioni per le quali ritengano che quella determinata materia debba essere soppressa nel testo della elencazione.

Se non vi sono obiezioni a questo proposito – e penso che non ve ne possano essere – passiamo allo svolgimento degli emendamenti, i quali propongono modificazioni o aggiunte nell’elencazione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Nella seduta di ieri, l’emendamento da me proposto all’articolo 109 è stato approvato con l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi. Il testo approvato dispone pertanto: «La Regione emana norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti» non già dalle singole leggi dello Stato, ma, semplicemente, «dalle leggi dello Stato». La soppressione dell’aggettivo «singole» ha fatto sorgere qualche dubbio nel senso di una possibile confusione tra i principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato in ciascuna materia, deferita alla competenza della Regione, con i principî generalissimi dell’ordinamento giuridico. Noi abbiamo chiaramente ripetuto e ci sembra che la formula adottata sia chiara, sufficientemente chiara, che per «principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato» intendiamo precisamente i principî fondamentali posti dallo Stato nelle singole materie deferite alla legislazione regionale, e non i principî generalissimi dell’ordinamento giuridico.

Quando ieri, prima della votazione, il signor Presidente mi ha chiesto se intendevo conservare il testo integrale dell’emendamento da me proposto in confronto al nuovo emendamento proposto dall’onorevole Perassi, ho dichiarato che la soppressione della parola «singole», chiesta dall’onorevole Perassi, non modificava affatto la sostanza normativa dell’articolo.

Ora, a precisazione e a conferma della identità del nostro pensiero, io presento un articolo, che indico come 109-bis, ma che propriamente andrebbe collocato nelle disposizioni finali e transitorie della Costituzione, del seguente tenore:

«Nel termine di 5 anni dall’entrata in vigore della presente Costituzione, il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo 109».

Resta così ben chiaro che fino a quando il Parlamento non provvederà alla revisione delle leggi che attualmente regolano in modo completo e totale le materie attribuite alla competenza regionale, per contenerle e limitarle alla posizione dei principî fondamentali, fino a quel momento la legislazione regionale non potrà intervenire. Così il contenuto delle disposizioni dell’articolo 109, integrato da questo 109-bis che propongo, resta chiarito e precisato, escludendo qualsiasi seria possibilità di dubbio.

Questo è il nostro pensiero, senza sottintesi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prendo atto con soddisfazione di quello che ha dichiarato l’onorevole Tosato, perché conferma che l’emendamento da lui accettato, su proposta Perassi, e votato dall’Assemblea, non modifica lo spirito e la portata del testo che egli aveva precedentemente formulato, e che era stato accolto dal Comitato.

Per quanto riguarda l’emendamento nuovo che egli propone, si tratta di disposizione transitoria, e credo sia necessario esaminarlo in quella sede.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Sono dolente di non essermi trovato presente ieri sera alla fine della seduta. Devo ora soltanto chiedere all’onorevole Relatore, Presidente della Commissione, dovendo addentrarci nell’esame di questo sviluppo di argomenti complicatissimi in cui è necessario decidere seriamente, che mi si dica se la Commissione, che si è trovata di fronte a questi complessi problemi, si è messo davanti il problema dell’esecuzione. Ha un programma? Ha idea dei mezzi necessari?

Il Relatore Presidente, ha nella sua relazione parole di melanconia. Comincia con il dire che a spingere verso le Regioni vi è stato non un ragionamento ma una valanga di sentimenti e di passioni. Contrariamente a quello che fu nel Risorgimento, queste passioni hanno agito nel senso opposto.

In realtà il movimento dei nostri grandi uomini del Risorgimento fu uno sforzo di coesione e di unione nazionale. Dopo tanti anni di tirannia e tante guerre perdute, si è manifestato ora uno spirito di dissoluzione. Le autonomie che sono state chieste, senza che nessuno ne avesse prima mai parlato, sono la negazione alla generale tendenza del mondo moderno che va, attraverso le grandi unità, verso il rinsaldamento dei vincoli nazionali. Nessun paese che sia libero della sua volontà ha manifestato dopo la guerra le tendenze di discordia dell’Italia.

L’onorevole Ruini ha detto che il movimento per le autonomie si è prodotto quasi irresistibilmente. Io ho la convinzione che si tratti di un equivoco. Il fascismo aveva tutto statizzato e accentrato: vi è stata reazione per tornare verso la normalità, non mai verso quella forma di disgregazione che è rappresentata ora dal tentativo di Regioni autonome, con poteri legislativi.

Vi sono i sogni e vi è la realtà. Quando diciamo che sarà dato alla Regione di occuparsi anche con poteri legislativi di una materia, dobbiamo ammettere che vi siano i mezzi per poterlo fare. Ora non vi sono mezzi per nulla e in gran parte si può prevedere che non vi saranno. Il Presidente della Commissione fa una malinconica constatazione: dopo aver notato come questo movimento è stato generale ed imposto, si direbbe, da un’opinione generale della Commissione, non si ferma a dire se la Commissione si è posta mai il problema dei mezzi. Egli stesso anche ora non solo non si pone il problema, ma accennandolo, non solo lo rinvia, ma ha quasi un accento di tristezza nel dire che in questa materia è assai difficile provvedere ai mezzi di esecuzione.

Ed invece di precisare quelle che dovrebbero essere le condizioni finanziarie che sono necessarie, non solo sembra volere rinviare di occuparsene, ma poi le trascura. La convinzione che io ho, dall’esame dei disordinati progetti sulla Regione, è che prima di tutto si dovrà costituire una massa enorme di nuovi impiegati e di nuovi uffici. Non è una ipotesi, è una certezza. Il Presidente-Relatore difficilmente potrà negarlo. Nuovi disordinati e incomposti uffici, e come una elefantiasi di nuovi funzionari dello Stato, delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni. Non solo non vi sarà semplificazione, ma vi sarà un aumento enorme di funzionari. Questa non è soltanto un’impressione, ma è anche, purtroppo, la constatazione di una realtà. Come si può provvedere, quando si parla di uno di questi argomenti, ad esempio agricoltura e foreste? Piccolo argomento pare, ma se non è semplice burla, bisognerà creare numerosi uffici speciali e speciali tecnici di ognuna di queste cose, che nelle attuali Provincie non sono rappresentati. Ogni Regione domanderà nuovi uffici di tecnici e di funzionari. Personale tecnico, personale amministrativo, personale di esecuzione specializzato come quello delle foreste. Gran parte del personale come sarà formato? Molti servizi che si vuole regionalizzare non possono funzionare seriamente, se non con mezzi e forme nazionali. Tutti i servizi tecnici, anche nei più grandi paesi, sono nazionali.

L’onorevole Ruini ci mette in imbarazzo quando nella sua relazione constata nell’ultima parte che bisognerà occuparsi anche di questo argomento, cioè dei mezzi e ne dice le difficoltà. Egli scrive testualmente: «Nell’atto di dare il via a così rilevante forma strutturale della vita italiana, la Commissione non si è celata la complessità e le difficoltà di pratica attuazione». Basta pensare all’autonomia finanziaria, non agevole a congegnarsi «ma che pur bisogna prospettarsi», e che non potrà fare a meno di un riparto delle imposte che implichi un contributo di solidarietà delle Regioni provviste di maggiori mezzi a quelle che con le proprie risorse, non sarebbero in grado di adempiere i loro servizi essenziali. Pericolo da evitare è che, mentre si tende ad un alleggerimento della macchina amministrativa, il decentramento non dia origine ad una nuova moltiplicazione di burocrazia nelle Regioni senza toccare quella centrale.

Vi è grande pericolo che con questa riforma delle Regioni non si verrà a diminuire la burocrazia centrale, ma ad aumentarla, e nello stesso tempo si formerà una numerosissima burocrazia locale. Io credo sarà enorme, perché la Regione rimane, la Provincia rimane, i Comuni non solo rimangono ma, essendo autonomi, vorranno avere maggiore larghezza. Si accenna anche a servizi che possono rendere i circondari. E perché non i mandamenti?

Noi avremo presto un ordinamento assurdo che sarà l’elefantiasi della burocrazia, una massa enorme di impiegati. Al milione e 600 mila impiegati che vi sono attualmente, tra Stato ed enti locali, corrisponderà un aumento più grande, tanto per gli impiegati dello Stato, quanto per gli impiegati di enti di nuova creazione. Ora si riesce a pagarli con difficoltà, si riescirà ancor meno o non si riescirà. In definitiva tutto cadrà sullo Stato che è già, con le integrazioni, base della finanza locale. Lo Stato deve pagare ciò che gli enti locali non possono: e lo Stato si avvia a non poter più pagare.

Quale sarà la finanza dell’ordinamento regionale? È un argomento questo che non si tocca e che il Presidente-Relatore, pur così esperto in materia di finanza, non ama toccare. Forse si troverebbe egli stesso, con la sua intelligenza e la sua perspicacia, in un tale groviglio di difficoltà che non potrebbe rispondere. E allora si rinvia. Si rinvia a quando? Io dico che queste difficoltà ce le dobbiamo porre fin da ora. Non si può fare una nuova pesante e costosa istituzione senza denaro. Chi darà i mezzi? Io spero di non annoiarvi obbligandovi a riflettere sulle attuali disastrose condizioni della nostra finanza di Stato. Ora, col pretesto di una lotta all’accentramento burocratico attuale, lotta che non si farà, vogliamo creare nuovi organi e nuove funzioni di Stato e locali? Ma io vorrei veder funzionare le ventidue Regioni come piccoli Stati più o meno seri, più o meno efficienti, più o meno inutili, ma certamente costosi. Non sono eccessivo se desidero sapere almeno in linea generale a quale forma di finanza ricorreranno questi nuovi organi politici e amministrativi. Il Relatore parla di imposte nuove e di imposte addizionali, ma quali? e come concepite e regolate? Poiché tutti vogliono essere autonomi come sarà regolata questa finanza autonoma? Si instaura la Regione costosa e disordinatrice ma rimane la Provincia, rimane il Comune, tutti autonomi. Anche altri enti autonomi sorgeranno. Vi è lavoro per tutti oppure ozio per tutti. Più cresce il numero degli impiegati, più cresce la loro inefficienza e più diminuisce il loro rendimento. Si può anche non pretendere che lavorino, ma si può pretendere di non pagarli? Chi pagherà? Questo disgraziato contribuente italiano, che non sa oramai fra quali difficoltà deve dibattersi, lo mettiamo di fronte a un fatto nuovo, ad una nuova elefantiasi amministrativa, e nuove formazioni, leghe, coalizioni di impiegati.

Io vi prego di riflettere. Nel dare nuove funzioni, delle quali parliamo con tanta facilità, si crea sempre una nuova burocrazia. E non vi è fatuità o sciocchezza cui non si pensi per ingrandire quelle Regioni cui nessuno pensava e che sono destinate, se anche sorgono, a disordinare l’Italia e alla sterilità. Si parla con tanta facilità perfino del controllo del credito e della previdenza. Ora queste sono cose veramente assurde per la vita locale, perché questa è una vera funzione di Stato. E sono anche stupidità. Molte materie che si vuole trasferire alle Regioni non si possono senza danno della Nazione intera (come le acque pubbliche, ad esempio). Ognuna delle funzioni che si vogliono dare alla Regione dovrebbe essere studiata seriamente e ponderata e sono sicuro che non sarà nemmeno materia di riflessione. Tutto diventa materia di partito. Vi sono partiti che sono impegnati nelle Regioni. Le voteranno senza considerare, per il prestigio del partito. E prepareranno una serie di fallimenti nazionali per soddisfare l’equivoco e la vanità regionale.

La mia preoccupazione è che si ottenga l’effetto contrario a quello che si vuole ottenere. Un vero decentramento si poteva fare molto facilmente, dando alle Provincie diversi indirizzi, dando ad esse la possibilità di una maggiore agilità ed arrivando a fare, dove era necessario, unioni di Provincie di carattere generale e permanente o solo consorzi per scopi determinati.

La Provincia, che ha organizzazione e tradizione, sarebbe stata base di azione più economica ed efficace. Non si è potuto abolirla e non si sa perché rimanga se non si fa a meno della Regione. Per avere la Regione dobbiamo creare un Governo alla cui organizzazione non si è ancora pensato. Come si formerà e come sarà organizzato? Da quali funzionari sarà formato? Si utilizzeranno impiegati attuali dello Stato? Si inventerà una burocrazia nuova? Tutto in questa materia è stato pensato con leggerezza e sarà fatto con disordine.

Ora ci sono gli impiegati delle Provincie e dei Comuni. Vi sono poi tutti gli impiegati dello Stato, che non toglierete, prima di tutto perché ci debbono essere al centro; anche per la coordinazione. Nelle Regioni voi creerete Parlamenti per ridere e Ministeri embrionali. Se volete piccoli Parlamenti dovete avere anche piccoli Ministeri e prima o dopo i Capi delle Regioni si considereranno veri Ministri e dovranno anche essi essere pagati. Non vi viene il dubbio che non avrete i mezzi? Riservandomi su qualcuno dei singoli argomenti della Regione di parlare in seguito, se sarà il caso, io mi limito per ora a queste poche e semplici considerazioni.

Il Presidente-Relatore ci dovrà pure dire prima di esaurire questo argomento a quali fonti di entrate intende riferirsi, e dovrà pur dire se ha fatto un calcolo, almeno approssimativo, di ciò che verranno a costare questi meccanismi inutili, che io credo saranno enormi ed ingombranti. Io attendo da lui una risposta rassicurante a questo proposito e non è questa richiesta indiscreta.

PRESIDENTE. Desidero far presente all’onorevole Nitti che la materia alla quale egli ha accennato sarà esaminata quando l’Assemblea sarà chiamata ad intrattenersi sull’articolo 113 che tratta dei problemi finanziari riguardanti la Regione, e sulla VIII disposizione transitoria relativa ai funzionari e ai dipendenti dello Stato.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io debbo ringraziare il Presidente di avere con questa sua osservazione detto per la maggior parte quanto intendevo osservare io all’onorevole Nitti. In questo momento non siamo ancora arrivati al punto di stabilire quale debba essere la finanza della Regione.

La finanza della Regione sarà certamente coordinata a quelle che saranno le sue funzioni, perché allora solo si potrà vedere quali dovranno esserne le spese, e proporzionare ad esse le entrate.

Comunque, non siamo giunti ancora all’articolo relativo e così anche per quanto si riferisce agli impiegati ed alla organizzazione degli uffici e ad altri argomenti similari dovremo discutere a proposito di altri articoli.

Io, come modesto fautore della Regione, desidero avvertire l’onorevole Nitti che, spiacente di trovarmi in contrasto con il suo pensiero, il concetto della Regione che egli ha è un po’ diverso dal nostro, specialmente, per quanto si riferisce alle spese e quindi anche alle entrate. Noi in questa nuova forma di organizzazione cercheremo di avere spese il meno possibile, e provvederemo a dividere le entrate opportunamente. È ovvio che una parte dei redditi andranno alla Provincia, che si è conservata. Ma anche questo è troppo presto stabilirlo ora, perché non sappiamo ancora quali siano le competenze che noi affidiamo alla Regione, quelle che aggiungeremo eventualmente alle Provincie e non sappiamo ancora in quanti rami dovrà la Regione esplicare la sua attività. Siamo evidentemente in anticipo.

Quanto agli impiegati, siccome io penso, ad esempio – e dichiaro di parlare per mio conto personale – che la Regione è soprattutto la forma di sburocratizzazione del centralismo che incombe ancora sopra tutte le attività dello Stato italiano, è evidente che se noi insistiamo a voler concretare una nuova forma di organizzazione statale, lo facciamo per diminuire l’aggravio che il sistema impiegatizio burocratico viene a portare sul bilancio e quindi sul sacrificio dei contribuenti.

Per eliminare ogni equivoco io devo avvertire il mio illustre contraddittore che noi intendiamo espressamente, attraverso la Regione, arrivare alla diminuzione dei carichi, in quanto vogliamo che le grandi impalcature burocratiche dello Stato siano snellite e diminuite, non solamente per ciò che ha riguardo alle competenze, ma anche pel numero di coloro ai quali viene affidata l’esplicazione di esse e l’organizzazione degli uffici.

Ora, non è possibile che noi continuiamo nello stato attuale; l’aggravio che ne deriva è troppo grande e l’onorevole Nitti può essere certo che in questa parte egli avrà noi suoi alleati, perché noi vogliamo la Regione anche per diminuire le spese, il che si potrà fare solamente eliminando tutto il peso formidabile che la burocrazia ci porta oggi. E soprattutto, non possiamo condividere l’accenno alla tristezza con cui egli ha cominciato il suo discorso; noi speriamo invece che il sorgere di questa nuova forma di organizzazione statale sarà accompagnata dalla lieta serenità di questo nostro popolo, illuminato e confortato da essa nella lunga via che per la sua rinascita deve percorrere. (Applausi al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sarò molto breve nel rispondere all’onorevole Nitti.

Ammiro, anzitutto, la grande freschezza e tenacia con cui egli difende le sue idee. In realtà, nell’intervento di oggi, è ritornata l’idea fondamentale che la Regione non si deve istituire. Ma ormai la questione è stata decisa; l’Assemblea Costituente ha deliberato che la Regione esista; e di fronte ad una deliberazione come questa mi pare che sia democratico non discutere più inutilmente su una deliberazione già adottata, ma cercare, invece, di superare le difficoltà che sorgono dalla istituzione della Regione. Vi possono essere delle riforme necessarie, che presentano delle difficoltà. Quando si parla di difficoltà, non significa che una riforma debba essere respinta; bisogna superare le difficoltà che porta con sé.

Bisognerebbe essere ciechi per non vedere le difficoltà inerenti alla creazione dell’ente Regione, ma difficoltà non è impossibilità; né si può ritornare sopra un principio acquisito. La Regione c’è ormai nella Costituzione; e c’è in quella maniera che abbiamo deliberato ieri.

Io, ripeto, sono contento che sia venuto oggi dagli onorevoli Tosato e Perassi un chiarimento e che si sia confermato lo sforzo degli ultimi tempi del Comitato di trovare una formulazione, sui poteri normativi della Regione, nei limiti che lo Stato può, legge per legge, stabilire, così che anche per questo aspetto vi è la maggiore elasticità; e ciò rientra nel criterio generale del Comitato e dell’Assemblea, che sia consentito all’esperienza ed alla realtà pratica di graduare la vita ed il funzionamento della nuova istituzione che abbiamo fondata.

Con questo criterio realistico e sperimentale affronteremo anche le difficoltà che si presentano. L’onorevole Nitti vorrebbe che tutte le difficoltà fossero risolte a priori. Egli ha, tutti lo ricordiamo, impersonato finora la tendenza che voleva rimandare tutto ciò che riguarda il funzionamento della Regione a leggi future. Ora invece sembra che voglia non solo stabilire con precisione quali devono essere tutte le attribuzioni, ma anche dettagliatamente, gli uffici ed i mezzi, coi quali la Regione potrà, passo per passo, funzionare.

L’onorevole Nitti ha espressamente indicato due punti di precisazione; che, come ha già e benissimo risposto il Presidente dell’Assemblea, saranno esaminati al loro luogo. Il primo punto è quello dell’elefantiasi burocratica che, a suo avviso, si determinerà nella Regione. Un pericolo, se anche in proporzioni non così gravi, l’abbiamo visto, e ne abbiamo parlato anche noi, perché non siamo ciechi, onorevole Nitti. Se stabiliamo un nuovo gradino, dobbiamo preoccuparci che non venga a costituire un elemento di ulteriore pesantezza, ed un aggravio burocratico. Abbiamo cercato di prevenire il pericolo in un articolo transitorio, l’VIII, nel quale è detto che «Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quello di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si renda necessario in conseguenza del nuovo ordinamento».  A queste disposizioni potremo dare anche una più estesa espressione. Ne parleremo a suo luogo, in concreto, senza fermarci ad un grido, del resto eccessivo, d’allarme.

Il secondo punto è della finanza. Ho raccolto al riguardo dati, e sono risalito anche ai classici studi dell’onorevole Nitti di mezzo secolo fa, che adombrano il concetto di sperequazioni fra Regioni e di un necessario equilibrio finanziario. Questi dati sono a disposizione dell’Assemblea; ma ne parleremo al posto adatto; a proposito dell’articolo 113.

Basti ora un cenno al sistema, che è stato adottato dal Comitato ed è questo: ad ogni Regione debbono essere attribuite, come del resto avviene anche per le Provincie e i Comuni, entrate adeguate ai compiti affidati; e ciò sia come tributi propri, sia come quote di tributi erariali, in modo che col loro gettito complessivo le Regioni potranno adempiere ai loro compiti essenziali. Ma non basta pensare ai compiti essenziali; vi sono per le Regioni altri compiti e scopi determinati, per uno sviluppo ed una elevazione maggiore – quale potrebbe essere, ad esempio, la lotta contro il latifondo – ed a questi scopi si deve provvedere mediante fondi di solidarietà, col concorso delle altre Regioni, o con speciali contributi dal tesoro dello Stato. Vedremo di determinare, nell’articolo 110, il congegno. Ma un sistema c’è; ed io attendo che l’onorevole Nitti lo critichi, dandoci tutto l’apporto della sua competenza; intanto non si può dire che noi non vi abbiamo pensato.

Abbiamo affrontato, con senso di responsabilità le difficoltà che una riforma di tal natura presenta e che sarebbe errore volersi nascondere. Non dobbiamo indugiare sul ritornello che la Regione non deve farsi; dobbiamo cercare di farla nel modo migliore – o almeno, per chi l’ha avversata – meno peggiore possibile. Anche da parte di coloro che erano contrari all’istituzione della Regione, si serve meglio il Paese, inchinandosi democraticamente al volere della maggioranza e cercando, insieme con chi l’abbiano patrocinato, che l’istituto sorga e si sviluppi come meglio si può. Questo è, onorevole Nitti – piuttosto che un’eterna scomunica, o piuttosto che il proposito di fare all’estero una propaganda avversa alla volontà della maggioranza – questo è il compito che si attende da una personalità così alta come la sua: contribuire, anche per la Regione, al bene del Paese.

ROMITA. Ma non si tratta di idee particolari, onorevole Ruini: si tratta di una preoccupazione patriottica.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Romita, io non ho mai detto che chi combatteva la Regione si ispirava ad idee particolari. Ho detto che, una volta che la maggioranza ha deliberato, noi abbiamo tutti il dovere di inchinarci alla sua volontà. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, non vi sono dubbi su quanto ella ha inteso di significare.

Onorevoli colleghi, mi sembra che si possa continuare nello svolgimento degli emendamenti.

Gli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi e Azzi hanno proposto il seguente emendamento:

«Nel primo comma, dopo: Ordinamento degli uffici, ecc., inserire: Stato giuridico ed economico degli impiegati e salariati della Regione e degli enti locali; e dopo: Agricoltura e foreste, inserire: Artigianato, industria e commercio».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Dirò solo due parole. Come primo oggetto delle competenze legislative attribuite alle Regioni, dall’articolo che stiamo esaminando si indica l’ordinamento degli uffici ed enti amministrativi della Regione.

Mi pare che, se pur già in parte non si entra in questa nozione si dovrebbe, per affinità di materia, attribuire alle Regioni anche di regolare lo stato giuridico ed economico del personale della Regione e degli enti locali.

Su questa materia potranno esistere, come esistono di già per altri enti, delle leggi generali dello Stato che fissano alcuni principî fondamentali; ma entro l’ambito di questi principî è opportuno che la Regione, per quanto concerne i suoi impiegati e salariati, abbia la possibilità di stabilire norme dettagliate relative allo stato giuridico ed economico.

E per la stessa ragione è opportuno che la Regione, nell’ambito del suo territorio, possa stabilire anche norme integrative delle leggi dello Stato che siano dei limiti alle deliberazioni degli enti locali in ordine allo stato giuridico ed economico del personale degli enti locali medesimi. Anche in questo campo un’assoluta uniformità di norme per tutto il territorio dello Stato non è né necessaria né conveniente.

Mi pare dunque che l’aggiunta di questa materia non dovrebbe incontrare opposizione.

Il mio emendamento si propone anche di aggiungere dopo «Agricoltura e foreste» le parole: «Artigianato, industria e commercio».

Io ricordo che questa materia figurava già, in particolare, in forma più generica (Industria e commercio) nell’articolo 111. Ora, che cosa si è fatto fin qui? Si sono unificate ad un livello molto basso le formule dei diversi articoli relativi alla funzione legislativa della Regione. La formula unica adottata è quella che è stata approvata ieri sera. Data questa formula, che limita in maniera così modesta questa funzione legislativa, è evidente che quelle preoccupazioni che in alcuni potevano sussistere nell’allargare l’elenco delle materie da attribuirsi alla competenza delle Regioni, così subordinata, non hanno più ragione d’essere. Ora, come già nell’articolo 111 si comprendeva «industria e commercio», così mi pare che nell’elencazione delle materie del nuovo articolo (che è dominato dalla formula adottata ieri) debba comprendersi anche «artigianato, industria, commercio».

È una materia nella quale è opportuno che le Regioni abbiano un certo potere legislativo, anche per interessarle ai relativi problemi. Un modo di interessarle è appunto di far sì che esse abbiano la possibilità di disciplinarli in una maniera particolare, avuto riguardo alle esigenze locali. Si pensi, in particolare, all’artigianato che è una forma caratteristica regionale. È una materia nella quale può essere opportuno che le singole Regioni interessate possano emanare certe norme che disciplinino questa attività e ne promuovano lo sviluppo. Per questa ragione ho proposto di aggiungere «Artigianato, industria e commercio».

PRESIDENTE. Poiché sono stati presentati proprio ora alcuni emendamenti, fra i quali otto di un solo deputato, portanti una sola firma, vorrei pregare gli onorevoli colleghi di presentare tempestivamente gli emendamenti, ricordando che per quelli presentati nel corso della discussione occorrono dieci firme.

L’onorevole Zuccarini ha presentato i seguenti emendamenti:

«Dopo il comma terzo aggiungere:

«Stato giuridico ed economico degli impiegati della Regione e degli enti locali».

«Dopo il comma sesto aggiungere:

«Igiene e sanità pubblica».

«Modificare il comma undici così:

«Ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche e altri mezzi di trasporto regionali».

«Modificare il comma tredici così:

«Porti e navigazione interna e lacuale».

«Modificare il comma diciannove così:

«Agricoltura e foreste, consorzi, bonifiche e miglioramenti agrari».

«Dopo il comma diciannove aggiungere:

«Industria e commercio, Camere di commercio».

«All’ultimo comma modificare la parola: esecuzione, in: attuazione».

Ha facoltà di svolgerli.

ZUCCARINI. L’autonomia delle Regioni, dalla quale eravamo partiti con grandi prospettive, è venuta via via riducendosi fino a diventare una cosa, lasciatemelo dire, pressoché ridicola.

Si è legittimata così la ostilità verso il progetto e anche si sono giustificate certe critiche che vengono molto spesso rivolte contro il progetto stesso. Invece di aumentare l’autonomia o, per lo meno, di rendere il sistema delle autonomie un sistema veramente operante nello Stato italiano secondo il principio espresso, in un primo momento, abbiamo creato un sistema il quale rende possibile una moltiplicazione di uffici ed anche il pericolo di un nuovo accentramento. Il Comitato di redazione, per andare incontro alla opposizione, ha creduto di limitare via via le competenze della Regione. Anche con questo articolo abbiamo visto come, oltre ad avere ridotto le facoltà legislative, si siano tolte anche alcune competenze che nel progetto primitivo erano state riconosciute alla Regione. Ora io credo che ciò sia dannoso e che in sede di emendamenti, si debba ritornare a dare alla Regione quell’insieme di possibilità e di capacità che la rendano un organismo veramente effettivo, veramente una forma di decentramento dell’Amministrazione dello Stato.

Altrimenti non ci sarà decentramento; anzi, riducendo a tanto poche le facoltà e le funzioni della Regione si renderà giustificatissima la preoccupazione che poco fa è stata sollevata dall’onorevole Nitti, che accanto ad una burocrazia statale, che resterebbe tale e quale, si venga a creare una burocrazia regionale. Noi pensiamo, invece, alla Regione come ad un sistema destinato ad assorbire molte funzioni dello Stato e, che assorbendo queste funzioni, farà diminuire il numero degli uffici e degli impiegati. Il solo fatto che determinate materie, anzi il maggior numero delle materie – direi quasi la totalità – passino alla Regione, significa eliminare, secondo me, tutto quel personale intermediario che serve oggi per fare arrivare, passare e ripassare le pratiche dalla Regione a Roma. Basterebbe solo questa considerazione per rendersi conto di quanto l’autonomia regionale, qualora fosse estesa al maggior numero di materie, anzi, secondo me, a tutte le materie gioverebbe alla semplificazione dell’organismo dello Stato e anche alla diminuzione della burocrazia. Io spero poi che, dopo le battaglie di questi giorni, l’accanimento contro questo istituto abbia a cessare. Gli amici di sinistra tengano conto che, se persistessero nel loro atteggiamento, non gioverebbero alla migliore soluzione del sistema il quale, posto e approvato in linea di massima dall’Assemblea, deve ora essere portato a termine nel miglior modo. Creare un organismo incompleto, diminuirne le funzioni, creare fra le attribuzioni dello Stato e le attribuzioni della Regione un’infinità di interferenze, significa creare, per la vita del nuovo Stato italiano, nuove difficoltà.

Faccio pure presente che, con il continuare la battaglia che credo debba cessare senza portarla sugli emendamenti stessi, anzi sulle materie da attribuire alla Regione, ripetendo cioè, quello che è avvenuto fino a ieri con la richiesta di scrutinio segreto, si finirà coll’approfondire da questa parte dell’Assemblea una divisione che non si doveva creare. Noi repubblicani continuiamo una vecchia tradizione democratica. La Regione entra in una concezione democratica che fino a venti anni fa, almeno, era di tutta la democrazia italiana, in cui si confondevano, insieme ai repubblicani, i socialisti, i radicali e tutti gli altri democratici.

Ora, non so se convenga proprio su questo concetto generale della democrazia, che è concetto di libertà e di autonomia, approfondire il dissenso e creare tra noi una barriera; per cui qualcuno di noi debba domandarsi se affinità esistono davvero fra noi e gli altri deputati di questa parte dell’Assemblea. Il dissidio si determinerebbe anche nel seno di ciascuno degli stessi partiti di democrazia di sinistra. Sappiamo tutti come in quei partiti molti vi siano ancora che credono nella utilità della Regione e nella sua opportunità come mezzo per la democratizzazione dello Stato.

E vengo agli emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Zuccarini, la prego di tener conto del tempo che le è concesso per svolgerli.

ZUCCARINI. Io dovevo giustificare anche il perché delle aggiunte che penso debbano essere introdotte nell’elenco preparato dalla Commissione. Ho notato già in precedenza che il Comitato ha eliminato alcune di quelle competenze che erano state comprese nel progetto primitivo. Non mi fermerò ad alcune esclusioni, che possono essere anche giustificate dal fatto che per certe materie, come per la Scuola e per l’Antichità e le Belle Arti, il progetto di Costituzione ha preso già deliberazioni che naturalmente impediscono in un certo senso che queste materie entrino nell’elenco. A torto, secondo me.

Ve ne sono però altre, che sono state escluse; e male escluse. Incomincio dallo stato giuridico ed economico degli impiegati, su cui si è fermato poco fa l’onorevole Perassi; ragione per cui non insisto sui motivi da lui esposti. Ma c’è una considerazione da fare, a proposito del personale degli enti locali: è utile, sommamente utile, che gli impiegati degli enti locali siano, per quanto possibile, legati alla Regione ed agli enti locali della Regione. Questo passaggio continuo di impiegati da una Regione all’altra, in ambienti che essi non conoscono, è assolutamente deleterio per l’Amministrazione locale. Vi sono amministratori, che non conoscono l’ambiente nel quale essi devono svolgere la loro opera. Lo si è lamentato per i prefetti e per il personale delle prefetture; a maggior ragione, dopo il fascismo, lo si è lamentato per il personale degli enti locali, il quale, poi, nell’amministrazione locale, è parte importantissima nell’Amministrazione, anzi, in certo senso, il padrone dell’Amministrazione. Padrone lo era già diventato col fascismo, ma continua ad esserlo, in qualche modo, anche oggi, in quanto le Amministrazioni elettive non si sono ancora impossessate dell’organismo dell’Amministrazione.

Queste ed altre ragioni rendono consigliabile che il personale degli enti locali della Regione abbia un legame regionale, che gli impiegati restino, per quanto possibile, nell’ambiente nel quale devono operare ed esplicare la loro attività, si rendano conto, cioè, dei problemi che devono affrontare ogni giorno, li conoscano perfettamente e siano in grado anche di portarli innanzi, di fronte agli organi regionali, e altresì di fronte agli organi dello Stato.

Igiene e sanità pubblica. Oggi esiste un’organizzazione provinciale della sanità. Non capisco perché anche questa materia non debba rientrare nei compiti della Regione; tanto più che in materia di sanità pubblica, i problemi da Regione a Regione non sono gli stessi. Per esempio, vi è il problema della malaria; ve ne sono altri, i quali devono essere riguardati con occhio regionale, con un criterio regionale, cioè diverso da zona a zona. Da qui l’utilità che in questa materia esistano personale ed uffici che studino i problemi e li risolvano nell’ambito della Regione.

E passo ad altra materia: ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche ed altri mezzi di trasporto regionali.

Il progetto della Commissione limita alle tranvie ed alle linee automobilistiche la competenza della Regione, linee secondarie, di carattere prettamente regionale, che nascono e finiscono entro la Regione e che quindi devono restare di competenza, se non esclusiva, per lo meno principale della Regione.

Io, riferendomi solo alle Marche che conosco meglio delle altre Regioni, potrei osservare che in quella Regione ve ne sono almeno quattro di queste ferrovie. Non si capisce perché esse, che assolvono a funzioni locali, non debbano restare di competenza degli organi regionali. In nessuna materia, forse, la Regione può assolvere la propria attività meglio che in questa; tanto più che le tramvie e i servizi automobilistici non esauriscono il problema dei trasporti.

Noi abbiamo poi nuovi mezzi di trasporto, e ve ne sono anche di vecchi che possono riuscire utilissimi nell’ambito della Regione. Vi sono le filovie; vi sono le teleferiche; vi sono altri mezzi di trasporto e di comunicazione per cui questa materia, se veramente la Regione vorrà assolvere bene il suo compito, deve essere sufficientemente vasta e comprensiva delle varie forme di trasporto lasciando pure che le linee principali restino legate o subordinate ai criteri dell’Amministrazione centrale.

Navigazione interna. Gli articoli modificati contemplano: porti e navigazione lacuale. Non si capisce perché i piccoli porti, che servono per la pesca, per il piccolo cabotaggio, che hanno una funzione locale e regionale, insomma molto ristretta, debbano essere sottratti alla competenza della Regione. Non si capisce neanche perché la navigazione interna, che per quello che esiste in Italia è ristretta a certe Regioni ed è il risultato di un’opera svolta attraverso il tempo da iniziative locali, non debba essere anch’essa attribuita alla Regione. In questo modo la Regione verrebbe ad avere un complesso di attività in questa materia che può essere largamente utile. La navigazione del Tevere, fino al porto di Roma ed oltre fino ad Orte, è un problema esclusivamente laziale; il sistema di navigazione interna dell’Arno non si capisce perché non debba restare di competenza della Regione toscana. E così via.

La creazione di laghi artificiali, che avviene adesso con una certa frequenza anche per una necessità dello sviluppo idroelettrico, può permettere dei sistemi di navigazione interna, sia pure per brevi tratti, che, secondo me, devono pure restare di competenza della Regione.

Ho poi aggiunto, là dove si parla di agricoltura e foreste, i consorzi, le bonifiche e altri miglioramenti agrari.

I consorzi agrari furono una creazione squisitamente locale e assolsero magnificamente le loro funzioni quando furono organi locali. Il fascismo ne fece degli organi burocratici dello Stato, ma effettivamente se i consorzi devono restare degli organi locali bisogna che ritornino alle loro forme primitive e si adeguino a quei criteri di autonomia e di iniziativa spontanea degli agricoltori, attraverso cui hanno ottenuto il maggiore risultato. Invece degli ispettori di agricoltura, i quali esercitano un compito investigativo e quanto mai limitativo, occorrerà ritornare al sistema delle cattedre ambulanti di agricoltura, le quali assolsero molto efficacemente una funzione veramente utile, contribuendo molto allo sviluppo agricolo italiano.

Sembra a me che questa parte, cioè tutto ciò che si riferisce all’attività agricola, allo sviluppo dell’agricoltura, alla organizzazione economica in tutte le questioni agricole, debba restare alla Regione. I consorzi agrari, cessando di essere organi burocratici che si muovono in funzione di criteri e di direttive centrali che sono spesso contro gli interessi e contro i desideri degli stessi agricoltori, ritornino intanto ad essere organi autonomi, e si sviluppino nell’ambito della Regione e tornino a basarsi su un sistema di spontanee iniziative locali come quello sul quale si crearono.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ZUCCARINI. lo mi attengo all’argomento. Sono sette i miei emendamenti. Mi permetta di svolgerli uno per uno tutti.

PRESIDENTE. Lei li può svolgere uno per uno, tenendo però conto che c’è un limite di tempo. Io non desidero fare osservazioni sul modo con cui i colleghi svolgono gli emendamenti, ma vorrei che si comprendesse che vi sono una quantità di argomenti che sono impliciti e lo svolgerli ampiamente significa occupare il tempo che dovrebbe essere destinato a giustificare l’emendamento e non a dirci cose interessanti ma non pertinenti all’argomento. La pregherei quindi, onorevole Zuccarini, di voler tener presente che il nostro tempo ha un certo valore.

ZUCCARINI. Mi permetta, signor Presidente, ma io le faccio osservare che il mio emendamento, essendo comprensivo di almeno 6 o 7 emendamenti, deve consentire per lo svolgimento una tolleranza di tempo maggiore di quella che può essere consentita ad un solo emendamento.

PRESIDENTE. Le sue proposte riguardano un solo articolo e si possono considerare pertanto come un solo emendamento. La prego quindi di voler concludere.

ZUCCARINI. Le modifiche e i miglioramenti agrari sono poi così strettamente legati all’attività delle Regioni per cui non si capisce perché queste materie non debbano restare di competenza della Regione.

V’è un’altra materia sottratta alla Regione la cui soppressione non si giustifica in nessun senso: industria e commercio, a cui io ho aggiunto anche le Camere. Se la Regione ha competenza per occuparsi dell’agricoltura, non si capisce perché non debba occuparsi dell’industria e del commercio, almeno di quello che l’industria e il commercio hanno di regionale. Non vi è una industria a carattere unitario, come non v’è un tipo unico di agricoltura. Ogni Regione ha le sue particolari industrie e le sue particolari attività, anche artigiane che possono svilupparsi in industrie. Non vi è quindi motivo perché venga esclusa alla competenza del nuovo organismo una materia che fin qui venne riconosciuta come di competenza della Provincia attraverso le Camere di commercio e di industria, Camere di commercio e industria che io vorrei restassero legate all’ordinamento regionale.

È tutta una materia che non potrebbe essere esclusa, se non con il criterio che l’industria debba essere materia esclusiva dell’attività dello Stato; il che non può essere, a meno che non si pensi di creare in Italia un nuovo protezionismo industriale, un sistema di autarchia, al quale credo invece che si debba rinunciare in ogni modo.

E sono alla fine, cioè all’ultimo emendamento, laddove propongo che la parola. «eseguire» sia sostituita con la parola «attuare». Si eseguiscono gli ordini. «Attuare» invece dà il senso della autonomia della Regione. Siccome noi vogliamo che l’autonomia sia assicurata alla Regione, così proponiamo, come ultimo emendamento, che alla parola «eseguire» sia sostituita la parola «attuare». (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Merighi e Fornara hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere al comma 6°): Assistenza sanitaria ed ospedaliera».

«Sopprimere al comma 15°): Acque minerali e termali».

In assenza, dell’onorevole Merighi, ha facoltà di svolgerli l’onorevole Fornara.

FORNARA. Gli emendamenti che noi proponiamo sono emendamenti soppressivi per quanto riguarda il problema di una legislazione regionale dell’assistenza ospedaliera, dell’assistenza sanitaria, e per il problema delle acque termali.

Svolgerò rapidamente questi tre emendamenti, e chiedo scusa se parlo io in sostituzione dell’onorevole Merighi: sarò meno eloquente, ma molto breve.

Vi parlo come ex-prefetto socialista della provincia di Novara e come tale vi dirò che abbiamo inteso il bisogno di un ente Regione, ma che abbiamo però in esso visto prevalentemente lo scopo di ridurre quella che è l’attuale elefantiasi amministrativa, più che lo scopo legislativo.

In tal senso noi socialisti siamo stati regionalisti, e siamo ancora favorevoli alla Regione, se Regione vuol dire abolizione della Prefettura. Noi abbiamo visto nella carica di Sua Eccellenza il Prefetto, una piccola gloria, ma molte miserie. In tal senso siamo regionalisti, se questo vuol dire anche diminuzione dell’ente Provincia, limitato a puro organo amministrativo della futura Regione. E, accanto all’ente Regione, noi domani vedremo volentieri una reale, completa autonomia comunale. Noi siamo favorevoli all’ente Regione, inteso essenzialmente come ente di decentramento amministrativo. Ma vediamo il pericolo, quando si vuol dare all’ente Regione un’ampiezza legislativa che ci preoccupa, e ci preoccupa prevalentemente nei tre punti che svolgerò.

Primo punto è quello della capacità legislativa in problemi di assistenza ospedaliera.

Poco fa ha parlato l’onorevole Zuccarini, che, pur non essendo medico, ha trattato di argomenti medici. Ha parlato oggi di nuovo di malattie regionali, ed io dico all’onorevole Zuccarini (Interruzione dell’onorevole Zuccarini) che sul problema della malaria al Congresso dell’ottobre 1946, il professore Izar, Relatore al Congresso nazionale di medicina, ha messo in evidenza questo doloroso fatto; che la malaria si è diffusa in Regioni italiane in cui prima non esisteva. Oggi è un problema nazionale, direi di più, un problema mondiale, quando sul British Medical Journal del 21 giugno di quest’anno si vede citato il moltiplicarsi di casi autoctoni di malaria a Londra, dove malaria non c’era mai stata.

Quando vediamo moltiplicarsi casi di malaria in Regioni in cui la malaria non c’è mai stata, e vediamo nelle nostre zone montane, e a Siena finanche, come ha constatato il professore Izar, moltiplicarsi casi autoctoni di malaria, dobbiamo concludere che il problema della malaria – che credevamo limitato ad alcune Regioni – è oggi un problema nazionale, che va risolto con legislazione nazionale e con pieni poteri nazionali. L’affidare questa lotta antimalarica ad una legislazione regionale, per me rappresenta un pericolo e vi dirò il perché: noi che fummo prefetti, che ci occupiamo di problemi amministrativi, ci ricordiamo cosa era il problema della malaria dieci o venti anni fa.

In quei tempi ogni medico provinciale si faceva gloria di aver dichiarato che la propria Provincia non era più zona malarica. Era motivo di vanto.

Ed allora, quando ancora non c’era il D.D.T., per la lotta contro la malaria, si ammazzavano acchiappandole colle mani poche centinaia di zanzare, quando ve ne erano miliardi in tutte le nostre Regioni. Ma il problema era questo: accanto al medico provinciale che, per avere una promozione, cercava di dimostrare che la propria Provincia era meno malarica delle altre, vi era il sindaco, che non voleva questo, perché dichiarare una Provincia zona non malarica significava far togliere la distribuzione di chinino, alla quale erano interessate le tabaccherie. Ora, qualcuno vuole parlare di nuovo di patologia regionale e di patologia razziale. In questi ultimi giorni, all’Accademia medica di Roma, qualcuno ha parlato di anemia di Cooley e di ittero emolitico di Rietti-Greppi-Micheli come di malattie razziali; io ho protestato. Ed io protestai anche nel 1940, quando era difficile protestare. Feci un ordine del giorno allora al Congresso italiano di pediatria del maggio 1940, protestando contro ogni affermazione che riguardava queste malattie come malattie razziali; così protesto oggi contro chi afferma che esistono malattie regionali e contro chi vuol affidare alla legislazione regionale la lotta contro le malattie sociali, lotta che non può essere che nazionale.

UBERTI. Ma chi è che parla di malattie regionali?

FORNARA. Io dico che c’è un altro serio pericolo ed il pericolo è che nel problema della distribuzione delle medicine si segua un criterio regionale. Nella Provincia che io ho amministrato, la distribuzione dell’insulina e della penicillina è stata fatta con tale serietà che la Provincia non ha mai sofferto della mancanza né dell’una né dell’altra medicina. In alcune Provincie vicine, invece, l’insulina mancava al 10 del mese e non si sapeva come fare per arrivare al 30. Tale pericolo si ripresenta ora per la streptomicina, medicina molto rara, la cui distribuzione è fatta dall’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica. Noi vogliamo appunto che tutte le medicine vengano distribuite da quest’organo, unico sistema per potere veramente disporre di queste medicine rare, che saranno rare ancora per molti mesi, e che rappresentano un rimedio efficace contro alcune malattie che infestano l’umanità, ma vogliamo che la distribuzione sia fatta attraverso tutti gli Ospedali.

Vi è ancora un altro pericolo: quello della nomina dei medici ospedalieri e dei medici condotti affidata a Commissioni ospedaliere regionali. Voi sapete a che cosa porta un regionalismo mal compreso. C’è già il doloroso fenomeno di professori universitari nominati dal Governo militare alleato per le cattedre siciliane e che non sono stati confermati dal Governo italiano. Noi speriamo che il Ministero della pubblica istruzione risolva chiaramente questo doloroso problema. Ma non vogliamo che domani vi siano dei primari o dei medici condotti, nominati da una Commissione regionale, che non possano espletare le loro delicate mansioni in tutti gli Ospedali, in tutte le condotte d’Italia.

E c’è infine il problema delle acque termali, che rappresenta l’unica ricchezza che ha l’Italia, tanto povera di materie prime e di prodotti minerari. Ma è una ricchezza che deve servire a tutti gli italiani e specialmente a tutti i lavoratori.

Ricordiamoci che se domani, ad esempio, nella mia provincia di Novara – che ha la sorgente termale di Bognanco molto conosciuta – dovessero affermarsi dei diritti particolari dei suoi abitanti, anche relativamente ai proventi delle acque termali, succederebbe quello sconcio che è capitato quando un Ministero ha permesso che sorgesse un Casino da giuoco, e ogni paese voleva sorgesse a proprio vantaggio. Le acque termali italiane siano dunque per tutti gli italiani, siano soprattutto per tutti i lavoratori italiani. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Miccolis, Penna Ottavia, Rodi, Patrissi, Abozzi, Venditti, Castiglia, Colitto, Quintieri Quinto, Trulli hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alla dizione: Istruzione artigiana e tecnico professionale, l’altra: Istruzione artigiana».

L’onorevole Miccolis ha facoltà di svolgerlo.

MICCOLIS. Nel progetto originario della onorevole Commissione dei Settantacinque, fra le materie attribuite alle competenze regionali, all’articolo 108 vi è la scuola artigiana, al successivo articolo 110 l’istruzione tecnico-professionale ed all’articolo 111 la scuola elementare.

Nel testo dei tre articoli unificati dal medesimo onorevole consesso, già approvato nella parte generale, sono stati messi sullo stesso piano di competenza locale la scuola artigiana e l’istruzione tecnico-professionale.

Non a caso – ed io mi azzarderei chiedere il perché – è stata lasciata in pace ed allo Stato la scuola elementare, la quale, proveniente appunto dagli enti locali, ha già fatto l’esperienza della incuria, abbandono e deleterie intromettenze locali. In generale va osservato che la scuola, sotto certi punti di vista, come la magistratura, ha bisogno di libertà ed indipendenza per potere assolvere alla sua missione di educazione e sereno giudizio. Ricordo e non ritengo giusti gli amari apprezzamenti dell’onorevole Einaudi per quei pochi insegnanti elementari che si dibattono tra stipendi di fame e mancanze di alloggi nelle sedi dove dovrebbero esplicare il loro lavoro. Se vi sono state buone ragioni per lasciare allo Stato la scuola elementare, di più ve ne sono per la scuola tecnico-professionale.

L’onorevole Ministro della pubblica istruzione, onorevole Gonella, ha un giorno riconosciuto in quest’Aula la necessità di un dibattito sulla nostra scuola, che ha bisogno, di essere rivista, riordinata su moderni concetti e restituita alla fiducia dei docenti e delle famiglie degli allievi.

Non è questo il momento per aprire questo dibattito; ma non è neppure il caso di ignorare e non considerare il pericolo che corre la scuola professionale col passaggio alle competenze legislative della Ragione. E il modesto avviso di un uomo che ha sempre vissuto in quel tipo di scuola, che oggi il dibattito non dovrebbe essere che sull’educazione professionale, nel quadro generale del progresso tecnico ed operativo mondiale.

Due organismi ben diversi e distinti sono la scuola artigiana e quella cosiddetta professionale. Nella prima sono le cosiddette scuole di avviamento professionale, da qualche allegro spirito dette di «sviamento al lavoro». Nella seconda scuola sono – me ne può dare atto l’onorevole Bosco Lucarelli e, sempre da parte democristiana, che tanto si batte per la questione delle autonomie regionali, l’onorevole Firrao – vi sono le scuole professionali e gli istituti tecnici. Questi ultimi furono creati e potenziati con larghezza di mezzi e competenza dai Ministeri dell’industria e commercio, della marina e dell’agricoltura e quindi convogliati tutti dal fascismo nel Ministero dell’educazione nazionale, credo verso il 1931-32. Da essi uscirono ed escono dei valorosi tecnici minori, che sono, provenienti tutti dal popolo e dalla piccola borghesia, gli oscuri artefici delle nostre industrie nazionali, che non hanno niente a che fare con quelle di ordine regionale e locale.

Noi dobbiamo puntare, onorevoli colleghi, su queste scuole, se vogliamo veramente potenziare le nostre risorse, le nostre buone braccia ed intelligenze. Affidare alle Regioni queste scuole significa, mi sia permessa la frase, mandarle a morire, arrecando un incalcolabile danno alla Nazione.

Privilegiata apparirà la scuola statale classica o universitaria e continuerà, anzi si aggraverà l’inflazione degli spostati, avvocati senza cause e senza impiego e medici senza ammalati.

L’istruzione tecnica, in quest’ora di rapidi progressi ed organizzazioni scientifiche del lavoro, è materia che non appartiene ad una Regione, ma appartiene oggi al mondo intero e non può essere affidata né ad una Regione, né ai cosiddetti consorzi dell’istruzione tecnica, che sono privi di mezzi e non hanno reale competenza e capacità per governarla.

Se mi si concede di entrare un po’ in qualche sommario dettaglio, devo osservare che legiferare in materia d’istruzione tecnica significa, disporre di rilevanti mezzi per attrezzature e consumo di materiali, cui solo lo Stato potrebbe essere in condizioni di far fronte; disporre di uffici e dirigenti idonei, preparati e in continuo contatto con l’estero; disporre di programmi e curare il loro normale e proficuo svolgimento; reclutare scelto personale, capace di non fossilizzarsi in criteri e ristretti orizzonti locali, ma bensì di poter spaziare secondo il progresso della Nazione e il progresso del mondo.

Io non so che cosa sarebbe, per esempio, di un allievo il quale, seguita una parte di corso in un istituto, per differenze anche minime di programma non possa passare in un altro istituto, quando il padre, o ferroviere – perché sono tutti figli di operai o di impiegati – o ferroviere dunque, o postelegrafonico, o impiegato di qualsiasi altro ente, viene ad essere, per ragioni di servizio, trasferito da una parte all’altra della penisola.

Legiferare in questa materia significa, onorevoli colleghi, rilasciare anche diplomi; ma diplomi di valore regionale o nazionale? noi vorremmo domandare. C’è poi anche la questione del personale. Il personale infatti che è entrato in questo tipo di scuole è entrato al servizio dello Stato. Potete effettivamente voi dire a questo personale che deve passare dallo Stato alla Regione? A me pare di no; voi dovete anzi rendere libero questo personale, voi dovete anzi cercare che esso non vada ad imbrigliarsi nelle beghe locali.

È evidente dunque che non può essere consentito questo passaggio per le scuole di istruzione professionale. Io presento pertanto un emendamento che fa escludere dalla competenza regionale la scuola professionale per lasciare, pure, quella artigiana, perché io credo che effettivamente gli enti locali in materia di istruzione artigiana potrebbero rendere qualche servizio.

Io mi dovrei poi riferire alle parole pronunciate poco fa dall’onorevole Nitti a proposito dell’amministrazione. Esiste infatti al Ministero della pubblica istruzione una direzione generale che ritengo composta, oltre che del suo direttore generale, di una trentina di altri dipendenti. Ebbene, noi dovremo invece aver bisogno di qualche cosa come una trentina di queste direzioni generali, una per Regione, e non so di quanto altro personale: voi potete immaginare; egregi colleghi, quanto in ciò si verrebbe a guadagnare o perdere sul bilancio della pubblica istruzione.

Onorevoli colleghi, io vi ricordo che la scuola professionale è la scuola del popolo e va salvata dagli enti locali. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato i seguenti emendamenti:

«Nell’elenco delle materie, dopo: Beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera, aggiungere: sanità ed igiene».

«Sopprimere: Istruzione artigiana e tecnico-professionale».

«Alle parole: Tranvie e linee automobilistiche regionali, sostituire le altre: Tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale».

«Dopo: Acque pubbliche ed energia elettrica, sopprimere le parole: in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni».

«Dopo: Agricoltura e foreste, aggiungere: Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

Ha facoltà di svolgerli.

COLITTO. Renderò molto brevemente conto dei miei emendamenti.

Ho proposto innanzi tutto che, al primo comma, dopo le parole «beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera», siano aggiunte le seguenti altre: «sanità ed igiene». Ed in proposito desidero soltanto aggiungere, a quanto ha detto poc’anzi l’onorevole Zuccarini, che attualmente in materia la Provincia interviene, sostenendo tutta una serie di oneri finanziari, per la provvista e la conservazione del vaccino anti-vaiolico, per l’acquisto e la distribuzione gratuita del chinino nelle zone malariche, per l’abbattimento di animali ammalati, per il servizio antirabbico. Per tutto ciò io penso che sarebbe opportuno che le relative norme emanassero dalla Regione.

Altro mio emendamento è inteso alla soppressione delle parole «istruzione artigiana e tecnico-professionale». A me pare, infatti, che la scuola debba avere una disciplina unitaria nazionale. Io vedo in una legislazione frammentaria per Regioni una causa di regresso della scuola. L’argomento è stato già svolto dall’onorevole Miccolis e sarà svolto ancora dall’onorevole Marchesi. Non desidero, pertanto, aggiungere altro per non far perdere tempo all’Assemblea.

Ho chiesto, poi, che siano sostituite alla parola «regionali» – che nel secondo comma accompagna le parole «tranvie e linee automobilistiche» – le seguenti altre: «di interesse regionale».

La modifica è richiesta dal bisogno che in un testo di legge siano usate le stesse parole per esprimere lo stesso concetto. Ora, le parole «di interesse regionale» sono appunto usate nello stesso secondo comma a proposito della viabilità degli acquedotti e dei lavori pubblici.

Ho chiesto ancora che siano soppresse – sempre nel secondo comma – le parole: «in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre regioni» che si leggono dopo le parole «acque pubbliche ed energia elettrica». La ragione di questo emendamento soppressivo è stata già da me indicata in altra occasione ed è stata trovata giusta, se ho ben compreso, dal Presidente della Commissione, onorevole Ruini.

Ho chiesto, infine, che siano aggiunte – nel ripetuto secondo comma – alle parole «Agricoltura e foreste» le seguenti altre: «Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

È noto che le Provincie sono attualmente autorizzate all’assunzione ed alla gestione diretta dei pubblici servizi, in massima parte con le stesse regole, che riguardano le assunzioni dei servizi da parte dei Comuni. I servizi provinciali più importanti sono i seguenti: costruzione ed esercizio di linee tranviarie, di reti telefoniche, produzione e distribuzione di forza idroelettrica, tenuta di essiccatoi di granturco, di semenzai, di vivai di viti e di piante fruttifere.

Io penso che sia opportuno che tutta questa materia rientri nei limiti dell’attività normativa della Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Marchesi ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere nell’elenco delle materie: Istruzione artigiana e tecnico professionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

MARCHESI. Onorevoli colleghi, ritengo che a fare inserire le scuole artigiane e tecnico-professionali nella materia soggetta al potere normativo della Regione abbia contribuito una imperfetta valutazione di quelle scuole, e nello stesso tempo l’erronea persuasione che nel quadro del territorio economico soltanto la Regione sappia indicare le attività le quali devono essere particolarmente stimolate e addestrate di fronte ad uno Stato che si presume ignorantissimo delle esigenze della produzione locale.

A me pare sia questo argomento di grande riflessione, perché le scuole professionali tecniche ed artigiane non sono da meno delle altre scuole. Anzi io penso che alla istituzione e all’incremento di queste scuole è legata la sorte del popolo italiano.

Mentre le scuole medie e superiori accolgono la folla enorme e crescente degli spostati destinati alla disoccupazione, all’accattonaggio e all’intrigo, soltanto queste scuole artigiane e tecnico-professionali potranno venire in soccorso immediato del popolo nostro a cui resta massima, anzi unica ricchezza la propria capacità di lavoro.

L’Italia non ha bisogno di dottori, i quali in minima parte oggi sono degni di questo nome, sceso in tanta degradazione. L’Italia ha bisogno di artigiani, di operai qualificati, i quali hanno sempre reso onore al buon nome del nostro Paese. Le Regioni potranno istituire nuove scuole che lo Stato potrà rendere proprie; potranno le scuole esistenti arricchirsi di nuovi locali, di nuovi corredi, magari di nuove funzioni, ma non essere gli unici enti autorizzati a istituirli.

Certamente, vi sono Regioni nell’Italia del nord e centrale fiorenti di industrie, con larga disponibilità finanziaria, capaci di promuovere e di mantenere in floridezza le scuole professionali ed artigiane; ma altre Regioni sono in ben diverse condizioni, né solo per penuria di denaro, ma per penuria di buona volontà.

Non voglio recare onta a nessuna contrada d’Italia. Cosa vecchia e risaputa è la piaga dell’analfabetismo del Mezzogiorno; e un deputato – che fu onore della Sicilia e decoro del Parlamento italiano, Vincenzo Giuffrida, assai noto all’onorevole Nitti – in un discorso memorabile, ricordava ai suoi elettori di Catania, che non il popolo del Mezzogiorno era nemico dell’istruzione e della scuola, ma nemici dell’istruzione e della scuola erano gli enti locali, municipi, provincie, favoriti in questo malvolere ed in questa inerzia dalla inerzia dello Stato: perché la Sicilia è stata oppressa e danneggiata, si dice, dal Governo centrale, ma essa è stata, prima di tutto e più di tutto, oppressa dai siciliani. E quando l’analfabetismo sembrò attenuarsi nelle contrade del Mezzogiorno, questo non si dovette a provvidenze locali o statali, ma si dovette a quei contadini siciliani che nelle calate del porto di Napoli, sotto enormi sacchi, laceri e stanchi, si avviavano emigranti verso l’America, dove trovavano lavoro e quel poco di cultura che la terra nativa loro negava.

Ritengo dunque che queste scuole, destinate per qualche decennio ad assicurare al popolo italiano il lavoro e il decoro, devono essere mantenute sotto gli ordinamenti e la amministrazione dello Stato.

Onorevoli colleghi, ho finito. Se in Italia fossimo sicuri dell’applicazione rigorosa delle leggi, comprese le leggi costituzionali, io avrei paura di questo progetto di autonomia regionale. Molti di voi ritornerete nella prossima Assemblea legislativa. Ma quando da costituenti vi sarete trasformati in legislatori, vi accorgerete che cosa sia questo progetto che si sta ora votando con due, con quattro, con dieci e magari con quaranta voti di maggioranza.

MICHELI. Perché non ce ne dà di più lei, di voti di maggioranza?

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Bozzi:

«Nel secondo comma sopprimere le parole: ed enti amministrativi».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, io ho proposto, nella prima voce delle materie indicate in questo articolo, la soppressione delle parole «ed enti amministrativi». La prima voce dice: «Ordinamento degli uffici ed enti amministrativi della Regione». La ragione di questo mio emendamento soppressivo probabilmente sta nel fatto che non sono riuscito a cogliere esattamente il significato di questo inciso «ed enti amministrativi». Mi domando: si vuol dire ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione? Ciò che regge il concetto fondamentale è «l’ordinamento», ovvero si tratta di due cose distinte? Ossia la competenza della Regione si estende tanto all’ordinamento degli uffici della Regione quanto agli enti amministrativi? Quindi penserei che la prima cosa che sia da fare è quella di chiarire, perché non possiamo discutere là dove vi è ragione di dubbio e di incertezza sulla interpretazione. Cosa sono poi gli enti amministrativi della Regione? L’espressione «enti amministrativi» non è la più consueta nel linguaggio della legge e della dottrina. Si usa parlare di regola di «enti pubblici»; anche come proprietà di linguaggio, inserire una parola che non è familiare, può creare una ulteriore ragione di incertezza, che si deve eliminare. Ma se l’interpretazione è nel senso che la Regione può emanare anche norme circa l’ordinamento degli enti amministrativi, mi domando: quali sono questi enti? Le Provincie e i Comuni? Direi di no, perché di Provincie e di Comuni si parla nella seconda voce della elencazione. E se fossero Provincie e Comuni, non capisco perché si debba attribuire alla Regione la potestà di dettare norme di ordinamento di questi enti autarchici. Noi abbiamo mantenuto la Provincia come ente autarchico, alla pari dei Comuni; sottrarre alla autonomia della Provincia e del Comune, che oggi hanno la possibilità di dettare appunto quelle norme che reggono i loro uffici, la loro struttura, le loro funzioni, è una stortura giuridica. Quelle norme rientrano nei poteri di autonomia di ogni ente pubblico. Desidererei, soprattutto, adunque, un chiarimento. Si tratta, invece, che la Regione può stabilire norme sugli enti pubblici? La cosa non è meno grave. Vi rendete conto che l’ente pubblico ha una somma di poteri; il concederli e il disciplinarli deve competere solo allo Stato. L’ente pubblico non è soltanto l’ente pubblico della Regione. Che cosa vuol dire «della Regione»? Questa particella «della» che cosa significa? Quale legame di pertinenza denota con la Regione? È un ente pubblico che sta nella Regione o un ente pubblico della Regione, considerato cioè come ufficio, come organo della Regione?

Tutto ciò non è chiaro. È meglio toglier via la frase.

PRESIDENTE. L’onorevole Bernini ha presentato il seguente emendamento:

«Nell’elenco delle materie, sopprimere la voce: Scuola artigiana».

«Sopprimere la voce: Urbanistica».

«Sopprimere la voce: Istruzione tecnico-professionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

BERNINI. Onorevoli colleghi, già parecchi colleghi hanno proposto prima di me che l’istruzione artigiana e l’istruzione tecnico-professionale siano tolte dall’elenco delle materie di competenza della Regione.

Io vi prego di una qualche benevola attenzione ai pochi argomenti, che intendo aggiungere a quelli già svolti dai colleghi.

Se non sbaglio, anche l’onorevole Zuccarini ha riconosciuto che l’istruzione elementare e la media devono essere tolte dall’elenco delle materie di pertinenza della Regione. In questo credo almeno che debba essere lodato il nuovo testo proposto dalla Commissione. In realtà, se si fosse insistito a proporre che le istruzioni elementare e media dovessero essere, in una forma o nell’altra, di pertinenza della Regione, il nostro dissenso sarebbe stato totale, assoluto. Ora, io non ho nessuna specifica competenza per giudicare sulla maggior parte delle voci proposte come di potestà della Regione. Bisogna che se ne occupino i tecnici. Io spero che, prima di passare alla votazione, i tecnici, che ci sono qua dentro, si esprimano su ciascuna delle materie.

Tuttavia, credo di poter affermare che qualcosa di netto, di preciso separa tutte queste materie dalle altre.

Ritengo che la cultura e la scuola siano materie nelle quali non sia possibile stabilire compartimenti stagni. La scuola e la cultura non possono seguire che una legge di circolarità; sono come il sangue nelle vene, il quale deve circolare: se il sangue si arresta, il corpo muore.

Io ammetto senz’altro che la scuola artigiana, più delle altre, deve adattarsi alle condizioni locali. Ma dal dire questo al credere che il toccasana sia nel fare dirigere queste scuole semplicemente da gente del luogo, al credere che queste scuole si potenzino se si recide ogni collegamento o coordinamento, ci corre. Del resto, ciò è contraddetto dall’esperienza di molti anni.

Voi sapete, onorevoli colleghi, che le scuole artigiane, le quali sono sorte spontaneamente nei vari paesi, dopo l’unificazione del regno d’Italia, dal 1861, attraverso un processo continuo hanno cercato di essere assunte dallo Stato; è un processo naturale. Quello che noi vorremmo adesso è un processo inverso.

Così avviene anche – permettetemi che divaghi un momento – per altra voce, che è stata introdotta in modo molto curioso.

Nel progetto si attribuiscono alla Regione i musei e le biblioteche di enti locali. Io penso che se le Regioni vogliono i musei e le biblioteche degli enti locali, lo Stato non ha niente in contrario. Se li tengano pure. Nessuno vorrà toglierli. Ogni giorno c’è questo tentativo dei musei e delle biblioteche degli enti locali, di passare alle dipendenze dello Stato. Quindi, attribuire la competenza sui musei, e sulle biblioteche agli enti locali è una vera ingenuità. Nessuno vuole minacciare questa autonomia. Naturalmente, lo Stato, il quale sulle biblioteche degli enti locali non ha mai avuto nessun potere, potrà interessarsi, perché una biblioteca non possa vendere all’estero qualche manoscritto prezioso perché una quadreria locale non possa barattare o vendere un quadro celebre.

Ma il centro della questione mi pare questo: la scuola artigiana non è, come forse credono quelli che hanno fatto queste proposte, la scuola della bottega. La scuola della bottega è un’immagine letteraria che va scomparendo ogni giorno. Neppure nel Medioevo, il tempo aureo della scuola artigiana, ci fu questa tecnica chiusa. Chi conosce la storia della tecnica, sa benissimo che anche al tempo del Medioevo ebbe uno sviluppo non solo nazionale, ma perfino internazionale. Basta pensare ai maestri Comacini, agli Antelami, ai Cosmateschi, ai maestri francesi, che hanno lavorato validamente alla costruzione delle nostre cattedrali romaniche. Se la scuola artigiana dovesse coincidere con la bottega, tanto vale che non si facessero scuole e si continuasse ancora col metodo tradizionale dell’imparare il mestiere nella bottega stessa. Ma in verità lo sviluppo della grande industria, la fabbricazione in serie, l’uso delle materie prime dei paesi lontani, la pianificazione alla quale dovremo arrivare anche in questo campo, imporranno nella vita di domani in modo tale che questa tecnica diventerà sempre meno locale.

I grandi complessi industriali sparsi in tutta Italia spostano già i loro operai specializzati da Regione a Regione. Delle fabbriche che risiedono a Milano hanno succursali che si trovano a Napoli e a Firenze, e già fin d’ora vi sono molti operai specializzati che passano da una Regione all’altra. Come potrà avvenire questo, se ogni Regione potrà regolare a suo modo con programmi, con metodi di insegnamento, con tecnica questa materia così importante? Di tali inconvenienti mi pare che si sia accorto il nostro collega onorevole Zotta, quando ha proposto quella aggiunta «in armonia con gli interessi delle altre Regioni». Ma in realtà all’onorevole Zotta vorrei domandare: ma chi promuoverà ciò, se non lo Stato?

Allora voi mi direte: vogliamo lasciare la scuola artigiana nelle condizioni presenti? Oh no!

La scuola odierna di avviamento al lavoro, che sarebbe la più vicina alla scuola artigiana, è in condizioni terribili in Italia. Forse parecchi di voi lo sanno. Le scuole di avviamento agrario, quelle di cui l’Italia ha più bisogno, sono oggi interamente disertate nel nostro Paese.

Io, provveditore agli studi, ne ho chiuse delle decine, perché non c’erano frequentatori. C’erano scuole che avevano due o tre alunni ed allora, per forza, bisognava chiuderle. E perché avviene questo? Avviene per queste ragioni:

1°) per una ragione che è stata detta con molta eloquenza dall’onorevole Marchesi, perché gli italiani hanno tutti la mania di mandare i loro figli agli studi che creano degli spostati;

2°) perché queste scuole non corrispondono praticamente allo scopo; perché il contadino si accorge che in realtà suo figlio non impara affatto a innestare la vite, meglio di quanto non sappia fare lui, con la sua tecnica millenaria.

Ma credete voi che un ordinamento regionale rimedierebbe a tutto ciò? No, certamente, perché non si toglie nessuno degli elementi di fatto, non si toglie la mania di andare verso le professioni, e non si toglie nemmeno l’incapacità all’insegnante di insegnare la materia che dovrebbe insegnare.

Ed allora, qual è il rimedio, secondo me? Il rimedio non è l’autonomia, non è il regionalismo. Il moto deve, sì, partire dalla base, non dal centro, ma il centro deve controllare, deve coordinare, deve dare le direttive, con la cooperazione delle parti.

In pratica si dovrebbero costituire degli enti misti, di dirigenti centrali e di rappresentanti delle parti, come, del resto, in qualche campo è stato fatto. E, badate, che questo in Italia c’è già. In Italia, gli istituti industriali hanno già una certa autonomia amministrativa, hanno una personalità, hanno consigli di amministrazione presieduti da esponenti di attività economiche locali. Non c’è altro, a mio parere, che procedere per questa strada.

E passo ad un argomento più importante ancora, che è quello dell’istruzione tecnico-professionale.

Naturalmente, se sono del parere che l’autonomia non debba essere data nel campo dell’istruzione artigiana, tanto più lo sono per l’istruzione tecnico-professionale. In questo campo bisognerebbe porsi il problema nella sua concretezza. Ora, la Regione dovrebbe avere la potestà di «emanare norme legislative nei limiti delle direttive generali stabilite dalla legge», ma nel concreto, riferendosi a queste scuole, quali facoltà si dovrebbero dare precisamente? Vorrei esaminare la cosa con voi, brevissimamente.

Programmi? Si può dare la facoltà alla Regione di stabilire i programmi degli istituti tecnici? La risposta è chiara. Esami, ordinamenti interni, numero di anni di scuola, materie? È impossibile. È impossibile, finché i diplomati di una Regione avranno il diritto di poter andare nelle altre Regioni e accedere negli uffici, ed allora che cosa resta? Resta lo stato giuridico degli insegnanti, resta l’ordinamento del personale, ma anche per questo non si può dare la competenza alla Regione.

Voi non potete pretendere domani di costringere l’insegnante a restare nell’interno della stessa Regione. Finché l’Italia sarà una Repubblica unitaria, sarà sempre lecito ad un professore di una scuola tecnica, per ragioni di famiglia, di essere trasferito fuori dalla sua Regione.

Resta infine, e questa è l’unica cosa che si possa realizzare, che la Regione possa indicare il luogo e il carattere dell’attività della scuola industriale, ma entro certi limiti. A mio parere, la Regione deve proporre allo Stato sia l’ubicazione della scuola, sia la qualità della scuola. Lo Stato, poi, con enti formati in parte da suoi rappresentanti ed in parte da rappresentanti elettivi o della Regione o della Provincia, dovrebbe decidere. Non c’è altro modo per uscire da una situazione di questo genere. Noi siamo d’accordo che l’istruzione pubblica, com’è oggi, così accentrata, è senza respiro e aderenza al reale, ma io credo sinceramente che il sistema regionale renderebbe il male di gran lunga maggiore.

In realtà, che cosa è oggi la scuola tecnico-professionale?

PRESIDENTE. Onorevole Bernini, tenga conto del tempo, la prego.

BERNINI. Domando scusa. La mia voce, risuona assai di rado qui dentro.

Penso, onorevole Presidente, che non l’autorità mia, ma l’importanza della materia da svolgere, mi consenta di parlare per qualche altro minuto.

PRESIDENTE. Tutte le materie che si svolgono sono importanti, onorevole Bernini.

BERNINI. L’Istituto tecnico – lascio le esemplificazioni – ha molti corsi che portano all’Università. Ora veramente noi vogliamo dare alla Regione l’Istituto tecnico, che è una scuola di passaggio? In altri termini, lo Stato rinuncerebbe ad ogni e qualsiasi controllo su quelli che sono gli studi universitari.

TOSATO. Ma i principî fondamentali sono stabiliti dallo Stato, con norma costituzionale.

BERNINI. Ma cosa vuol dire questo? Appunto per questo l’Istituto tecnico, se è autonomo, potrà mandare tutti gli alunni che vuole all’Università. Mi spiace non poter continuare per mancanza di tempo.

Dunque, se oggi lo Stato centrale non riesce – ed io ne ho esperienza diretta – a resistere alle pressioni degli enti locali, per formare scuole inutili di ogni genere, quando questi enti locali abbiano i poteri per fare queste scuole, quale sarà la sorte della scuola italiana? Ora, il problema scolastico è di una gravità immensa. Se dovessi giudicare da quello che ho visto finora per le autonomie regionali già concesse, avrei di che essere spaventato. Permettete una esemplificazione. La Val d’Aosta ha competenza amministrativa sulle scuole elementari e medie. Il Provveditore agli studi di Aosta è scomparso. Lo statuto della Regione siciliana concede legislazione esclusiva in materia di scuole elementari, musei e biblioteche, accademie e legislazione concorrente in materia di istruzione media e universitaria. La Sardegna, attraverso la Consulta regionale, propone niente meno potestà legislativa per l’istruzione tecnico-professionale e anche in materia di urbanistica, legislazione concorrente per l’istruzione elementare, media e superiore, per l’ordinamento universitario e per le belle arti.

Una voce al centro. Anche in materia di scuole elementari?

BERNINI. Purtroppo anche per le elementari, per quanto mi consta. Ora mi domando quale sarà la potestà che si vorrà dare alla Regione del Friuli e della Venezia Giulia, che ci è sorta di colpo davanti. Non vorrei offendere alcuno, ma mi auguro che in una materia così grave non si scherzi. (Commenti al centro). Quello che ho detto sulle autonomie sono fatti, ed io ho letto solo i testi delle autonomie, come non sono pervenuti. Io dico che queste autonomie, così contraddittorie le une con le altre, che non hanno un fondamento ben preciso, non dànno garanzia di serietà, né dimostrano molta meditazione in coloro che le hanno fatte. (Rumori al centro).

In conclusione, io propongo che la scuola tecnico-professionale e la scuola artigiana siano tolte dalle materie di pertinenza della Regione.

Naturalmente, domando anche che si voti per divisione.

PRESIDENTE. Questo lo chiederà al momento della votazione, onorevole Bernini.

BERNINI. Ancora due parole in materia urbanistica. Vi sono due colleghi democratici cristiani, gli onorevoli Di Fausto e Camposarcuno, i quali hanno presentato lo stesso emendamento. Questo dimostra che in molte cose è possibile andare d’accordo. Sull’urbanistica mi limiterò a leggere alcune righe di una relazione ufficiale fatta dal Ministro della pubblica istruzione e dal Direttore generale della pubblica istruzione. Ecco cosa dice la relazione: «L’urbanistica ha un’importanza che trascende gli interessi specifici della località dove essa può applicare, più o meno bene, i suoi principî. Ricorderemo come, sotto tutte le latitudini, sempre più si vada affermando la tendenza di valutare con maggiore comprensione e interesse i complessi problemi sociali connessi con l’urbanistica. Dovunque si cerca di inquadrare tutto il territorio nazionale in una visione organica e ad attribuire conseguentemente all’Amministrazione centrale un controllo generale sulle decisioni e sui progetti di importanza urbanistica».

Questo vi prego di tener presente, nei giorni in cui l’Italia deve ricostruire se stessa. (Applausi),

PRESIDENTE. L’onorevole Persico, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato e rispettino gli obblighi internazionali, gli interessi della Nazione e delle altre Regioni, nonché i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato, in materia di:

1°) ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

2°) modificazioni delle circoscrizioni comunali;

3°) polizia locale urbana e rurale;

4°) fiere e mercati;

5°) beneficenza pubblica;

6°) scuola artigiana e istruzione tecnico-professionale;

7°) urbanistica;

8°) strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

9°) porti lacuali;

10°) caccia e pesca nelle acque interne di carattere regionale;

11°) cave, torbiere, acque minerali e termali;

12°) tranvie e linee automobilistiche regionali;

13°) acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida nell’interesse regionale e su quello di altre Regioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Cercherò di essere brevissimo e di stare nei termini stabiliti dal Presidente.

Io avevo presentato un articolo che riassumeva in sé gli articoli 109 e 110. Per la prima parte c’è stato un voto, e non ci si può tornare sopra; per la seconda parte, avevo raggruppato in tredici punti le materie demandate alla potestà legislativa della Regione.

L’articolo proposto dalla Commissione in gran parte coincide quanto alle materie con quelle da me prescelte. Brevemente farò notare adesso le differenze. Però, vorrei far osservare ai colleghi, che hanno parlato finora, che essi sono caduti in un errore, perché ogni qualvolta hanno accennato ad una materia devoluta alla legislazione e all’ordinamento regionale, sono partiti dal presupposto erroneo che questa materia non competesse più allo Stato, cioè che lo Stato l’abbandonasse unicamente alla competenza regionale. Errore duplice: in primo luogo perché l’ordinamento regionale si svolge nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica; in secondo luogo, perché la Regione interviene là dove vi sono manchevolezze dello Stato, e dove vi sono speciali condizioni ambientali che esigono speciale legislazione tecnica per una determinata Regione. Quindi, non è vero, per esempio, quanto osservava l’onorevole Bernini, che d’ora in poi la materia scolastica passerebbe alla Regione. La materia scolastica rimane allo Stato. Le Regioni faranno delle scuole di istruzione artigiana e tecnico-professionale, adempiendo a quella specifica funzione di sviluppare certe capacità tradizionali che in alcune Regioni si manifestano con forme squisitamente artistiche. Basti pensare ai vetri di Murano, ai pizzi di Burano, alle ceramiche umbre, ai ferri battuti di Perugia, ai coralli di Torre del Greco e a tante produzioni specializzate di altre Regioni dove esistono scuole artigiane, che non dànno vita a semplici botteghe artigiane, ma che. sviluppano industrie che hanno larga esportazione anche all’estero e che occorrerà che la Regione potenzii e renda sempre più perfette. Questo non vuol dire che lo Stato non debba mantenere le scuole tecniche e tutti i relativi ordinamenti, perché ciò non ha nulla a che vedere con le scuole artigiane o tecnico-professionali.

Così pure, per quanto riguarda l’osservazione che faceva l’onorevole Bozzi sugli enti amministrativi, forse c’è un piccolo equivoco perché l’ordinamento non riguarda soltanto gli uffici ma gli enti amministrativi regionali. Quali possono essere gli enti amministrativi regionali? Possono essere una quantità; tutti quelli che potranno essere creati dalla Regione, con specifiche funzioni artistiche, sanitarie, ospitaliere, ecc.; di tali enti regionali l’ordinamento è naturalmente di competenza della Regione. L’onorevole Fornara si preoccupava dell’assistenza sanitaria. Se la Regione coesiste con la Provincia ed è un nuovo gradino per arrivare allo Stato, se la Provincia si occupava prima di assistenza, ospitaliera, ecc. continuerà, ad occuparsene oggi. È un gradino intermedio che rimarrà alla Provincia, come si dice nell’articolo 112. D’altra parte, se la Provincia ha funzioni sanitarie ed ospitaliere, a maggior ragione deve averle anche la Regione. Non vedo perché l’onorevole Fornara si preoccupi di questo.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, poiché ella non ha proposto che la Regione debba essere investita della funzione sanitaria, la pregherei di attenersi alla sostanza del suo emendamento.

PERSICO. Su questo punto sono d’accordo con l’emendamento proposto dalla Commissione.

PRESIDENTE. Ma lei deve svolgere il suo emendamento.

PERSICO. Vi sono dei punti sui quali non sono d’accordo; per esempio per quanto si riferisce alla viabilità, agli acquedotti, ai lavori pubblici di interesse regionale, ecc. il mio testo diceva: «di esclusivo interesse regionale». Io mantengo questa dizione.

Per quanto riguarda l’agricoltura e foreste, credo che non sia opportuno di mettere anche questa tra le competenze della Regione, per una ragione semplicissima: perché il Ministero dell’agricoltura e delle foreste regola per tutta Italia tale materia. Naturalmente esso potrà demandare, con leggi speciali, alla Regione, quelle particolari funzioni che esso crederà opportuno. Non credo, comunque, che la Regione debba costituire anche un ufficio di agricoltura e foreste e che ogni Regione debba avere un suo ufficio speciale. Si capisce che molte funzioni il Ministero dell’agricoltura dovrà e potrà demandarle alla Regione, ma sarà il Ministero stesso a fare questa divisione di competenza.

Non possiamo noi oggi, nella elencazione delle materie da attribuirsi alla potestà legislativa regionale, aggiungere anche l’agricoltura e le foreste. Con queste modificazioni, io accetto il testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato i seguenti emendamenti, di cui gli ultimi tre insieme con l’onorevole Preti:

«Sopprimere il comma 3°).

«Sopprimere il comma 9°).

«Nel comma 10°) sopprimere le parole: turismo ed.

«Sopprimere il comma 11°).

«Sopprimere il comma 12°).

«Sopprimere, nel comma 13°), le parole: porti e.

«Sopprimere il comma 15°).

«Sopprimere il comma 16°).

«Sopprimere il comma 19°).

«Sopprimere nel comma 7°), le parole: e tecnico-professionale.

«Sopprimere il comma 8°).

«Sopprimere il comma 14°)».

Ha facoltà di svolgerli.

NOBILE. Onorevoli colleghi, ecco che avviene ora quello avevo preveduto: si procede frettolosamente, con un’Assemblea stanca, ad un esame che avrebbe richiesto mesi di ponderazione ed anche vere e proprie inchieste. Con una discussione affrettata, di pochi minuti per ogni singola materia, si decide del campo legislativo delle Regioni, laddove qualcuna di quelle materie avrebbe richiesto, per una decisione ponderata, discussioni di intere settimane. (Commenti al centro).

La dimostrazione, la conferma della necessità di un dibattito profondo, esauriente, su ciascuna delle materie per le quali si vorrebbe riservare alla Regione la facoltà di legiferare, è data da questo fatto: basta che uno i dei nostri colleghi abbia competenza specifica su una data materia, perché egli si pronunzi senz’altro contro l’assegnazione di essa alla Regione, senza preoccuparsi affatto della posizione presa al riguardo dal Gruppo politico cui appartiene.

Questo fatto caratteristico prova che, quando si conosce profondamente una data materia, si vedono tutti gli svantaggi di abbandonare una legislazione nazionale per sostituirvi legislazioni regionali.

Avete sentito quello che ha detto poco fa l’onorevole Marchesi. Egli, con la sua indiscussa competenza, ci ha dimostrato che anche le scuole artigiane non si possono abbandonare alla potestà normativa delle Assemblee regionali. A me, che non ho una particolare competenza al riguardo, era parso che si potesse farlo, ed infatti questa voce è una delle poche delle quali non avevo proposto la soppressione; ma ecco che una persona competente trova gli inconvenienti che io non trovavo.

La stessa cosa può dirsi di altre materie, ad esempio dei musei e delle biblioteche degli enti locali. Anche qui, giudicando da persona che non conosce bene l’argomento, non avevo fatto obiezioni; ma un collega che si intende della questione, l’onorevole Bellusci, mi diceva testualmente l’altro ieri: «Dare alla Regione la facoltà di legiferare in questa materia sarebbe un’enorme bestialità: non si deve farlo». L’onorevole Bellusci appartiene, badate bene, a quel Gruppo repubblicano che è il più intransigente assertore dell’ordinamento regionale.

Questo vi prova che basta conoscere a fondo una data materia dal punto di vista tecnico, perché si veda l’assurdo di frazionare l’attuale legislazione unitaria in ventitré o più legislazioni regionali.

Prendete un altro esempio: l’urbanistica. Io, e con me, credo, tutti gli altri colleghi di questa Assemblea che non hanno una specifica competenza in proposito, ritenevamo si potesse senza danno riservarne la facoltà legislativa alla Regione. Ma ecco che un collega che ha in proposito un’alta competenza, l’onorevole Di Fausto, ci dice: «No». Eppure egli appartiene a quel Gruppo democristiano, che insieme col repubblicano, sostiene tenacemente in questa Assemblea l’ordinamento regionale.

Altri esempi ancora potrei addurre, come quello dell’assistenza sanitaria, che io lasciavo alla Regione, ma che colleghi, aventi una specifica competenza, intendono riservare allo Stato.

Queste cose ho voluto farvi notare, onorevoli colleghi, per dimostrarvi come sia necessario riflettere bene prima di decidere.

Ora, fra le altre materie che, stando al testo del Comitato, si dovrebbero riservare alla Regione vi sono anche le linee automobilistiche, le tranvie extraurbane, la viabilità, i lavori pubblici, ecc.

Permettetemi di dirvi che in questi argomenti ho qualche competenza, essendomene occupato per molti anni. Conosco i problemi dell’Amministrazione che ad essi si collegano, e perciò sono convinto che è assurdo voler stabilire che su di essi le singole Regioni possano differentemente legiferare.

Vi siete domandato che specie di legge potrebbe una Regione fare in tali materie? Se si tratta di una legge con cui si stanziano i fondi per l’esecuzione di una data opera pubblica, o si determinano i contributi che per quell’esecuzione dovrebbero dare i varî Comuni interessati, questa sì che si potrebbe lasciare alla Regione. Ma questo, più che legiferare, sarebbe amministrare, e sulla necessità di un largo decentramento amministrativo siamo tutti d’accordo.

Se invece con una legge si vogliono stabilire norme tecniche per la concessione o esecuzione di un’opera pubblica in genere, queste norme devono necessariamente avere carattere unitario per tutta la Nazione, e sono perciò di competenza dello Stato. Sarebbe veramente incomprensibile che, mentre oggi in tutto il mondo si va verso la standardizzazione di molte norme tecniche, e quindi verso una specie di legislazione internazionale, noi dovessimo procedere a ritroso sostituendo ad una legislazione unitaria ventitré diverse legislazioni regionali. Questo vale non solo per le leggi vere e proprie, ma, in certe materie, ad esempio il traffico stradale, perfino per la regolamentazione!

Vedete da voi stessi, onorevoli colleghi, come gli argomenti che adduco siano, nella loro semplicità, inoppugnabili. Si parla di viabilità, ma che cosa vorrebbe dire fare una legge sulla viabilità? Se si trattasse di decidere la costruzione di una strada, bene: si lasci pure alla Regione la facoltà di farla o non farla, sebbene anche a questa facoltà negativa avrei da fare serie obiezioni. Ma quando si tratta di stabilire le modalità con cui devono essere compilati i progetti per ottenere la concessione, o quando si tratta di stabilire la larghezza minima di una strada, o la sua pendenza trasversale nelle curve, o altre questioni tecniche di tal genere, è evidente che queste norme debbono essere oggetto di un’unica legislazione nazionale. Sarebbe assurdo ritenere che per esse vi possano essere differenti legislazioni regionali. (Proteste al centro).

Non vi sembrino eresie, egregi colleghi, le cose che vado dicendo. È un argomento che conosco. Se voi lo conosceste come me, sareste con me d’accordo. Nelle materie che ho citato la legislazione deve essere unica, come fin oggi è avvenuto. Molto spesso anzi occorrerebbe addirittura una legislazione internazionale!

Una voce al centro. Una cosa non esclude l’altra.

NOBILE. L’ordinamento regionale come voi l’intendete l’esclude, ed è per questo che ho proposto di sopprimere quelle voci dall’elenco delle materie sulle quali la Regione avrebbe facoltà di legiferare. Non ho bisogno di aggiungere altro: sono profondamente convinto – e con me tutti i tecnici che si occupano di queste materie – che è un assurdo voler dare alla Regione la potestà legislativa su di esse.

Vi è un punto di minore importanza, per cui ho presentato anche una proposta di soppressione: si tratta della facoltà che secondo il testo del Comitato avrebbe la Regione di modificare, a suo piacimento, le circoscrizioni provinciali. Francamente non comprendo come si potrebbe lasciare alla Regione questa facoltà, una volta che l’Assemblea ha deciso che la Provincia deve non solo essere mantenuta, ma anzi potenziata. Concedendo quella facoltà, la Regione potrebbe, ad esempio, deliberare la fusione di due Provincie in una sola. Se ponete mente che in media ogni Regione risulterà costituita di tre Provincie o poco più, verrete alla conclusione che la Regione potrebbe, di fatto, finire col sopprimere l’ente Provincia.

Altro non voglio aggiungere. Vorrei però esortare ancora una volta i colleghi a riflettere bene prima di votare. Concedendo alla Regione la facoltà di legiferare abbiamo, a mio avviso, commesso già un errore grave, del quale sicuramente ci pentiremo un giorno. Non aggraviamolo dando ora alla Regione facoltà di legiferare su materie per le quali è necessaria un’unica legislazione nazionale. Fra un anno ricorre il centenario dei moti che diedero inizio al Risorgimento e all’unificazione d’Italia. Dio non voglia che questo centenario debba celebrarsi in un’Italia che l’ordinamento regionale avrebbe sconvolto al punto da obbligare a ricominciare da capo l’opera dei nostri padri.

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni, insieme con gli onorevoli Tonello, Malagugini, Merlin Lina, Bernini, Tomba, Grazia, Barbareschi, Fornara e Pistoia hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere la voce: acque pubbliche».

Essendo presente, dei firmatari, l’onorevole Tonello, ha facoltà di svolgerlo.

TONELLO. Onorevoli colleghi, io non posso dire quali argomenti avrebbe svolto il primo firmatario di questo emendamento: l’ho firmato anch’io, perché l’ho riconosciuto giusto nella sostanza. Se c’è una regolamentazione infatti che deve essere nazionale, è proprio quella delle acque: perché andare a turbare una regolamentazione che è certamente fra le migliori d’Italia?

Io non sono un laudatore dell’onorevole Bonomi (Commenti); ma debbo riconoscere che la riforma Bonomi è importantissima.

Sento dire: si tratta delle acque regionali; ma le acque, onorevoli colleghi, non vanno per confine, come l’aria non va per confine! Far legiferare sulla distribuzione delle forze idriche fra Regione e Regione vuol dire andare incontro anche ad una quantità di liti fra le singole Regioni, specialmente adesso che per il trasporto dell’energia elettrica risultano irrilevanti i fini della Regione in confronto all’estensione dello sfruttamento dell’industria.

Quindi, se si vuole sviluppare l’industria idroelettrica, se si vuole utilizzare la forza idrica, perché creare l’ostacolo delle Regioni? È meglio lasciar libera questa materia com’è oggi, come si è fatto finora, perché queste grandi forze della natura non hanno imbrigliamenti di confine!

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato i seguenti emendamenti, corredati dalle firme anche degli onorevoli Dominedò, Avanzini, Adonnino, Aldisio, Cappi, Geuna, Di Fausto, Romano Antonio, De Maria, Borsellino e Codacci Pisanelli:

«All’articolo 109, sostituire il comma 6°) con il seguente:

«Igiene e sanità pubblica, beneficenza pubblica ed assistenza ospedaliera».

«Sostituire ai commi 7°) ed 8°) il seguente:

«Istruzione pubblica di tutti gli ordini e gradi, accademie e biblioteche, belle arti, antichità e musei».

«Sostituire il comma 11°) con il seguente:

«Comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali e fluviali ed aeree nell’interno della Regione e comunicazioni marittime fra porto e porto nella Regione stessa».

«Sostituire il comma 12°) con il seguente:

«Lavori pubblici d’interesse regionale».

«Sostituire il comma 13°) con il seguente:

«Porti, bacini di alaggio e di carenaggio».

«Al comma 18°) dopo la parola: interne, far seguire le parole: e territoriali».

«Sostituire al comma 21°) il seguente:

«Agricoltura e foreste, industria e commercio».

L’onorevole Caronia ha facoltà di svolgerli.

CARONIA. Sarò brevissimo, perché in gran parte quello che io avrei dovuto dire è stato già brillantemente detto dall’onorevole Zuccarini per alcuni emendamenti che sono uguali a quelli da me presentati.

Non vengo quindi a parlare dell’opportunità che sia estesa alla Regione la facoltà di legiferare, oltre che sull’agricoltura e foreste, sull’industria e il commercio.

Non mi fermo a parlare sulla questione riguardante le comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali, fluviali ed aeree, nei limiti della Regione; aggiungo soltanto che sarebbe opportuno riservare alla potestà legislativa della Regione le comunicazioni fra porto e porto della stessa Regione, specialmente per il piccolo cabotaggio.

E passo ai punti cui l’onorevole Zuccarini non ha accennato; in primo luogo all’istruzione pubblica.

Ho sentito che parecchi sono ostili a che alla Regione venga affidata l’istruzione pubblica, fino al punto da negare alla Regione anche la potestà di regolare l’istruzione artigiana e professionale, che ha carattere esclusivamente locale.

Io ritengo invece che sarebbe opportuno estendere a tutte le Regioni la competenza sull’istruzione pubblica di ogni ordine e grado. (Commenti). Sento delle esclamazioni di meraviglia, che non credo siano giustificate. Perché deve essere vietato alla Regione di legiferare sulle proprie accademie, sulle biblioteche, sui propri musei, sulle belle arti, sulle antichità; perché non deve regolare le proprie scuole? Quando abbiamo approvato il 1° comma dell’articolo 109, il quale stabilisce che la Regione può emanare norme legislative entro i principî generali stabiliti dalie leggi dello Stato, è più oltre giustificata la preoccupazione che l’indirizzo seguito sui problemi della scuola dalla Regione possa essere in contrasto con quello seguito dallo Stato?

La Regione può meglio tener conto dei bisogni e delle tradizioni locali, può più facilmente avvicinare la scuola al popolo, può meglio regolamentare la funzione della scuola con vantaggio proprio e della Nazione.

Insisto pertanto che anche questa materia sia compresa nella competenza della Regione.

Dirò brevemente sui lavori pubblici. Non trovo alcun motivo per cui i lavori pubblici di interesse locale non debbano essere di competenza della Regione. In che cosa questo potere della Regione può menomare le funzioni dello Stato?

Altro punto riguarda i porti. Perché la Regione non deve curare i propri porti, i propri bacini di alaggio e di carenaggio? La Regione non può che avere l’interesse di sempre meglio valorizzare i propri porti e da questo non può che venirne vantaggio allo Stato.

Il comma sulla pesca nelle acque interne è incompleto. Non avrebbe alcun valore per Regioni senza acque interne pescose, se non vi si aggiungesse le acque territoriali marittime.

Conchiudo ricordando le due principali finalità della riforma regionale. Una è quella di sempre più educare il nostro popolo all’autogoverno, di avvicinare il cittadino al Governo, abituandolo a trattare i problemi locali ed attraverso di essi comprendere anche quello dello Stato. L’altra è quella di spezzare la pesante corazza burocratica che paralizza la Nazione. Estendendo i poteri della Regione si alleggerisce la macchina burocratica centrale e si rende più agile la vita del Paese.

Il decentramento amministrativo, che parecchi onorevoli colleghi propugnano, porterebbe sì ad un più dannoso incremento della burocrazia. Insisto perciò perché il massimo di attribuzioni sia dato alla Regione, nella convinzione che da questo trarrà sicuramente vantaggio la nostra vita democratica e la nostra Nazione. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: modificazioni delle circoscrizioni comunali, aggiungere: e delle denominazioni dei Comuni».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Ho un’osservazione di poco conto da fare. Premetto che non corrisponde alle mie simpatie che si attribuisca alla Regione la potestà di cambiare le circoscrizioni dei Comuni.

Nell’eventualità – però – che si voglia dare alla Regione un’attribuzione di questo genere, penso che bisognerebbe completare la disposizione dicendo che la Regione può disporre degli eventuali mutamenti di denominazione dei Comuni, perché se ciò non si facesse si avrebbe questa conseguenza, che la Regione ha potestà di modificare la circoscrizione dei Comuni; viceversa, quando si tratta di cambiare il nome di un Comune (e badate che ci sono Comuni che meritano il cambiamento del nome, perché per esempio Borgo Lodigiano si chiama Borgo del Littorio; San Felice del Molise si chiama San Felice del Littorio), occorrerebbe un decreto reale, secondo la legge comunale e provinciale (adesso del Capo dello Stato), sentito il parere della Deputazione provinciale. Sarebbe assurdo, quindi, che nei riguardi del cambiamento della denominazione del Comune permanesse la competenza speciale del Capo dello Stato; mentre la Regione avrebbe la possibilità di cambiare la circoscrizione dei Comuni. Dico, se l’articolo relativo a questo genere di attribuzione passa nella Costituzione, si tenga presente che vale la pena di completare la disposizione attribuendo alla Regione la potestà di modificare, oltre le circoscrizioni dei Comuni, anche le denominazioni degli stessi.

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 109 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme giuridiche, nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione generale dello Stato, che ne assicurino unicità d’indirizzo, nelle seguenti materie:

ordinamento degli enti e degli uffici dipendenti, e stato giuridico ed economico del personale;

circoscrizioni comunali nell’ambito del territorio regionale;

agricoltura e foreste, contratti agrari;

usi civici;

caccia e pesca;

miniere, cave, torbiere, saline, acque minerali e termali;

strade, porti, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici, a esclusivo carico della Regione e d’interesse regionale; e relative espropriazioni per pubblica utilità;

navigazione interna, lacuale e di cabotaggio;

urbanistica e tutela del paesaggio;

turismo e industria alberghiera;

manifestazioni ricreative e sportive;

polizia locale, urbana e rurale;

assistenza e beneficenza pubblica;

istruzione professionale ed artigiana;

biblioteche e musei di enti locali;

istituti di credito e di risparmio regionali, purché esercitati nelle forme della cooperazione e del risparmio;

linee e mezzi di trasporto a carattere locale;

fiere e mercati;

edilizia;

licenze di esercizio;

ogni altra materia indicata dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODIGNOLA. Gli onorevoli Marchesi e Bernini hanno fatto presenti, con la competenza e l’autorevolezza che tutti riconoscono loro, le preoccupazioni che da qualche parte si nutrono circa il problema della scuola. Devo dire che le medesime preoccupazioni nutrivo anch’io quando nel primitivo progetto della Commissione si parlava di istruzione elementare e media. Ma non posso continuare a nutrirle ora, dopo la nuova formulazione accettata dalla Commissione, per due ordini di motivi: anzitutto perché mi pare si sia dimenticato che la formula approvata ieri stabilisce esplicitamente che in tutte le materie di competenza regionale lo Stato si riserva di determinare i principî fondamentali della legislazione. In queste condizioni, francamente, non riesco a vedere quali pericoli ancora sussistano. Voi sapete che io ho combattuto una medesima battaglia per la scuola con gli onorevoli Marchesi e Bernini, ma in questo caso – ripeto – non riesco a capire quali pericoli vi possano essere se lo Stato si riserva i principî direttivi fondamentali in materia scolastica, secondo la formulazione già approvata del primo comma dell’articolo 109.

In secondo luogo, la materia scolastica di competenza della Regione è stata ora così ridotta, che ogni seria preoccupazione deve sparire. L’onorevole Marchesi mi deve dare atto che, in materia di scuola artigiana, è un’antica esigenza quella di avvicinare questa scuola il più possibile alle condizioni e ai bisogni locali. L’onorevole Bernini ha accennato poc’anzi alla connessione stretta fra scuola professionale e sviluppo industriale: lo sviluppo industriale, egli ha giustamente affermato, non ha e non può avere carattere regionalistico. Ma mi sembra che la sua osservazione non fosse del tutto pertinente, perché sta di fatto che ogni singola industria presenta caratteristiche sue proprie: ed è naturale, che quelle scuole che più sono connesse con quel particolare tipo di industria, non possano non avere, praticamente, una regolamentazione conforme alle condizioni in cui operano. E, poiché, ripeto, resta fermo l’indirizzo generale ed unico dello Stato, non riesco a vedere dove sia il pericolo. D’accordo nel respingere la competenza regionale in tema di istruzione tecnica, accetto, dunque, la proposta della Commissione per quanto riguarda l’istruzione artigiana e professionale.

Dovrei aggiungere qualche parola sull’urbanistica. Ho anch’io il testo della relazione del professor Bianchi Bandinelle Egli partì dal presupposto che l’urbanistica rientrasse fra la materia di competenza regionale esclusiva a norma del vecchio articolo 109, e in questo senso egli aveva pienamente ragione, perché l’urbanistica presenta oggi degli aspetti così generali che non sarebbe possibile affidarne alle singole Regioni la regolamentazione giuridica. Ma nella medesima relazione, il professor Bianchi Bandinelli proponeva che l’urbanistica venisse spostata dall’articolo 109 all’articolo 111: dando così chiaramente a vedere che, anche nel giudizio di un competente di primo piano, non esistevano fondate preoccupazioni nel caso che l’unità dell’indirizzo legislativo generale fosse garantita allo Stato.

Vorrei invece sottolineare, in altro ordine di questioni, il pericolo che l’autonomia regionale possa essere comunque accolta in materia economica. Bene ha affermato l’onorevole Einaudi: se l’autonomia politica è, indubbiamente, un passo verso la democrazia, l’autonomia economica significa nient’altro che autarchia, un passo indietro, dunque, non un progresso. Ecco perché sono decisamente contrario a conservare tra le materie di competenza regionale, come qualcuno ha ancora richiesto, l’industria e il commercio. Se l’industria e il commercio passassero alla competenza regionale, sia pure nella forma limitata che già si è stabilita, ciò importerebbe un serio arretramento ed un ostacolo allo sviluppo economico del Paese.

Ho poi indicato, nel mio emendamento, l’aggiunta di alcune materie, che non figurano nel progetto dell’articolo 109, particolarmente le licenze di esercizio; licenze che sono richieste per molteplici attività commerciali e industriali, sia per ragioni di pubblica sicurezza, sia per impedire i pericoli di una eccessiva concorrenza. Se c’è una materia in cui l’autonomia regionale possa servire a ridurre la burocrazia centralizzata è proprio questa materia, la quale non interessa minimamente l’organizzazione centrale dello Stato e può essere utilmente regolata nell’ambito della competenza della Regione.

Infine, io sarei molto cauto per quanto riguarda la materia delle acque pubbliche. L’onorevole Tonello ha testé espresso in proposito le sue preoccupazioni; preoccupazioni più documentate furono, a suo tempo, manifestate anche dall’onorevole Einaudi. In questa materia, a detta di tutti i competenti, la legislazione esistente è così complessa ed organica che l’Assemblea dovrebbe procedere con molta cautela nell’accettare la proposta inserzione delle acque pubbliche fra gli oggetti di competenza legislativa della Regione.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ambrosini ad esprimere, a nome della Commissione il proprio parere sugli emendamenti.

AMBROSINI. Tutte le obiezioni che anche ora sono state fatte all’elenco delle materie indicate nel testo accettato dalla Commissione, a cominciare da quelle dell’onorevole Nitti, si riferiscono in sostanza, più che al dettaglio, alla questione di principio: se si debba o no creare la Regione. La risposta è semplice: quando l’Assemblea ha deciso che la Regione deve crearsi, non solo come ente amministrativo, ma anche come ente dotato della facoltà di emanare norme giuridiche legislative, la questione di principio non può riproporsi.

L’ora tarda consente solo brevi osservazioni riguardo a talune materie in discussione.

Circa la scuola, da parte di alcuni tecnici illustri ed appassionati, come il collega, onorevole professor Marchesi, è stata posta la domanda perché la Commissione ha fatto distinzione fra istruzione elementare, istruzione artigiana ed altre forme di istruzione. Non era possibile, credo, seguire un criterio rigido in questa come in altre materie. Se la Commissione ha ritenuto che alcuni determinati rami d’istruzione debbono attribuirsi alla Regione, ad altri no, ciò ha fatto in considerazione della natura specifica di quei determinati rami, quale principalmente quello dell’istruzione artigiana, dell’istruzione professionale, per cui l’insegnamento è opportuno che venga adeguato alle condizioni particolari delle varie Regioni. Non sarà superfluo ricordare che la Regione è chiamata ad emanare soltanto norme supplementari, complementari, che si inquadrano nei principî fondamentali stabiliti con legge dello Stato.

Per quanto riguarda la sanità, il collega onorevole Fornara ha accennato a pretese incongruenze ed ha richiamato il parere dei tecnici. Ma a tale parere si può contrapporre senz’altro il parere dell’onorevole Caronia, che sicuramente è uno dei tecnici più illustri. Né è, in ogni caso, a temersi che la situazione generale sanitaria ed igienica possa essere compromessa da emanazione di norme giuridiche regionali. Ciò è escluso dalla considerazione fatta poc’anzi che si tratta di norme subordinate, complementari.

Se poi si tiene presente la tendenza affermata da vari colleghi e, se non sbaglio, dallo stesso onorevole Fornara, che alla Regione si affidi soltanto la funzione amministrativa e non anche la legislativa, allora si potrebbe ripetere l’osservazione che già feci altra volta, che i pretesi eventuali inconvenienti derivanti dalla emanazione di norme giuridiche da parte della Regione potrebbero ugualmente derivare dall’esercizio della semplice funzione esecutiva. In sostanza l’opposizione al progetto si fonda su una prevenzione.

Basta richiamare la considerazione polemica fatta dall’onorevole Miccolis. Parlando della scuola anche artigiana e professionale, egli ha detto: la scuola ha importanza fondamentale, è del popolo, quindi non deve darsi agli enti locali. Ma che forse gli enti locali sono, rispondiamo, contro il popolo? Che forse può ammettersi che si crei una rappresentanza della popolazione regionale che non senta, come ognuno di noi e come tutta l’Assemblea nel complesso sente, la responsabilità gravissima anche per questa materia? È quindi evidente che si parte da un punto di vista pregiudiziale, da una prestabilita diffidenza verso gli enti locali e la Regione; diffidenza che non è giustificata e non è perciò accettabile. Un’ultima considerazione e finisco. L’Assemblea ha deciso di creare l’ente Regione. Ora, per essere logici, è necessario che lo faccia nascere vivo e vitale. Se procedesse invece a limitare le attribuzioni normative, legislative di questo ente nascituro nella misura proposta da alcuni colleghi e specie dall’onorevole Nobile, allora andrebbe quasi a sabotare la precedente risoluzione, annullandola effettivamente in modo notevole, tale – dobbiamo confessarlo con tutta franchezza – che molti di noi resteremmo perplessi di fronte ad un istituto siffattamente trasformato.

Sono queste le considerazioni per le quali la Commissione insiste sul suo progetto. Adottato il principio, stabilito con coscienza – e tutti abbiamo votato sicuramente con ponderazione e con coscienza acuita dal maggiore senso di responsabilità derivante dalla gravità e complessità della riforma – stabilito il principio che deve nascere l’ente Regione, è giocoforza che questo ente Regione sia dotato di un minimo di potere normativo necessario perché possa funzionare, secondo si è voluto che nascesse. Altrimenti si creerebbe in effetti una nuova entità inutile o inadeguata al raggiungimento degli scopi prefissati.

Egregi colleghi, nessuno di noi sicuramente vuole che nasca un homunculus; noi vogliamo che nasca una creatura viva e vitale. Perciò, concludendo, la Commissione vi prega, onorevoli colleghi, di seguirla approvando l’elencazione delle materie indicate nel testo che ha proposto. (Vivi applausi al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei sottoporre al Presidente e all’Assemblea un quesito, cioè se sia il caso di iniziare una votazione che è su 13 o 14 numeri ed una volta cominciata non si sa quanto tempo durerà, o se non sia invece più opportuno, dopo aver fatto la più ampia discussione della materia, rimandare alla prossima seduta in cui l’Assemblea si occuperà della Costituzione, le deliberazioni e non cessare se non quando sia esaurita questa materia.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini propone che la votazione sia rinviata alla prossima seduta dedicata all’esame della Costituzione, in maniera che possa essere portata alla fine.

Pongo in votazione la proposta.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato alla seduta pomeridiana di martedì prossimo, avvertendo che domani mattina si terrà seduta alle 10, per la prosecuzione della discussione del decreto legislativo che istituisce un’imposta straordinaria sul patrimonio.

Prego gli onorevoli colleghi di essere presenti data l’importanza dell’argomento all’ordine del giorno.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere in base a quali disposizioni, per quali ragioni e per quale scopo si siano recentemente fatte indagini di indole politica sul conto dell’interrogante al proprio domicilio, in via Catalani n. 63, Milano, da un carabiniere e da un agente di polizia.

«Merlin Lina».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se – anche in relazione con gli incidenti di Venezia – rispondano a verità e ad esattezza le parole che la stampa ha riferito come da lui pronunziate al Collegio Romano la sera del 28 giugno.

«Malagugini».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste, per conoscere se sono informati che il giorno 23 giugno una grandinata di eccezionale violenza si è abbattuta sulle campagne di San Paolo Civitate distruggendo prodotti valutabili per un paio di miliardi; quali provvedimenti urgenti intendano adottare per sollevare dalla miseria e dalla disoccupazione provocate dal sinistro, per prevenire ed evitare possibili agitazioni.

«Miccolis».

«Ai Ministri dei lavori pubblici, delle finanze e del tesoro e dell’agricoltura e foreste, per sapere quali provvedimenti hanno preso o intendano prendere per venire incontro agli impellenti e improrogabili bisogni della industre popolazione di San Paolo Civitate, in provincia di Foggia, composta di piccoli viticoltori, olivicoltori e braccianti, dopo lo spaventoso nubifragio, con forte grandinata, del 23 giugno ultimo, mai visto simile, che ha provocato danni per oltre due miliardi alla campagna e la miseria più nera a quei piccoli coltivatori diretti, che non potranno più raccogliere per altri diversi anni, ed ha aggravato la disoccupazione esistente.

«Recca».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere perché non si è ancora provveduto ad indire, a norma dell’articolo 280 del testo unico 4 febbraio 1915, n. 148, della legge comunale, le elezioni suppletive nel comune di Cariati (provincia di Cosenza), dove il Consiglio comunale ha perduto da circa un anno più di un terzo dei suoi membri.

«Priolo».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non potrò rispondere alle interrogazioni che mi riguardano nella seduta di lunedì prossimo, dovendo recarmi a Parigi. Interesserò tuttavia la Presidenza del Consiglio dei Ministri, affinché un altro membro del Governo, al quale fornirò i necessari elementi, possa rispondere lunedì stesso.

Interesserò del pari gli altri Ministri interrogati affinché precisino quando intendano rispondere alle interrogazioni ad essi dirette.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha fatto conoscere che risponderà nella seduta di mercoledì, 9 corrente, all’interpellanza presentata dall’onorevole Li Causi e da altri deputati sulla situazione in Sicilia.

Porrò, pertanto, questa interpellanza all’ordine del giorno della seduta mattutina di mercoledì prossimo.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere:

1°) il valore dei finanziamenti e delle materie prime concessi ad industriali dalla Repubblica di Salò;

2°) quale azione il Ministero ha intrapreso dopo la liberazione ai fini di accertare l’entità dei crediti dello Stato e l’entità dei profitti realizzati dagli industriali attraverso l’utilizzazione di tali materie per prodotti di pace a prezzi non controllati;

3°) quali risultati sono stati ottenuti dall’azione della finanza.

«Lami Starnuti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dei trasporti e della marina mercantile, per sapere se non ritengano doveroso riparare a una grave ingiustizia che si è creata ai danni del porto di La Spezia, col decreto del Capo provvisorio dello Stato 3 aprile 1947, n. 372 – Gazzetta Ufficiale n. 120 – riesumando il decreto-legge n. 1266, del 24 luglio 1938, in base al quale si concedeva la riduzione del 50 per cento sulle tariffe ferroviarie delle merci da e per la zona industriale apuana per distanze superiori ai 50 chilometri (con esclusione perciò del porto di La Spezia, distante da Apuania 35 chilometri).

«Tale esclusione, che parve anche allora ingiusta e fu attribuita a protezionismo di gerarchi per il porto di Livorno, era però in quei tempi tollerabile, poiché la vita economica di La Spezia aveva altri alimenti che la guerra ha poi spaventosamente colpito.

«Quindi gli interroganti, ben lontani dal desiderare che siano soppresse le facilitazioni ripristinate a favore della zona industriale apuana, chiedono solo che tali facilitazioni non costituiscano un ingiusto danno per il porto di La Spezia, e che quindi anche per le merci da e per il porto di La Spezia dirette o provenienti dalla zona industriale apuana venga applicata la stessa riduzione del 50 per cento, anche se tale porto dista da Apuania meno di 50 chilometri.

«Gotelli Angela, Guerrieri Filippo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno estendere agli operai agricoli, specialmente se addetti alle operazioni di mietitura e trebbiatura, il beneficio dell’assegnazione del grano necessario al consumo famigliare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, perché sia data assicurazione circa la minacciata chiusura del passaggio a livello di via Vesuvio da parte della ferrovia Circumvesuviana, che è l’unica arteria di comunicazione fra Trecase e Torre Annunziata.

«Giova tener presente il grave scontento di quelle popolazioni per questo provvedimento inutile e dannoso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere per quali motivi non si sia ancora provveduto alla aggregazione della frazione Trecase, ora facente parte del comune di Boscotrecase, a Torre Annunziata, esaudendo il voto unanime di quella popolazione, la quale, in segno di aperta protesta per tale trattamento, nocivo delle sue aspirazioni e dei suoi interessi, nelle elezioni amministrative del 15 giugno ultimo scorso nel comune di Boscotrecase si è quasi totalmente astenuta dalla votazione, essendosi recati alle urne solamente 49 votanti su 3360 iscritti.

«L’invocato provvedimento è in relazione all’assoluta necessità di vita della frazione Trecase, che ha riflesso nel grande centro industriale di naturale sbocco dei prodotti agricoli della frazione Trecase e della mano d’opera locale, che trova lavoro negli stabilimenti e negli uffici pubblici e privati della predetta città. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, premesso:

che con circolare n. 139900/121.4.1, in data 25 giugno 1943, del Ministero della guerra, gli uffici amministrativi, istituiti presso i comandi di Corpo d’armata (ora comandi militari territoriali) con regio decreto-legge 28 settembre 1934, n. 1635, per l’esplicazione delle attività giuridico-amministrative decentrate, furono soppressi e le loro attribuzioni furono devolute agli uffici di contabilità e di revisione, che assunsero la denominazione di direzioni di amministrazione;

considerato che la soppressione degli uffici amministrativi fu illegale, non potendosi abrogare con semplice circolare ministeriale un provvedimento avente carattere di legge;

che con la devoluzione delle funzioni, già attribuite agli uffici amministrativi ed esercitate da funzionari forniti di specifica capacità, alle direzioni di amministrazione si creò uno stato di fatto contrario ai più elementari principî di una buona amministrazione, in quanto che si cumularono in uno stesso organo le funzioni di esecuzione degli atti amministrativi e di controllo sui medesimi;

si chiede:

  1. a) se sia esatto che lo Stato Maggiore dell’Esercito e le direzioni generali del personale civile, dei servizi di commissariato ed amministrativi, di artiglieria e della motorizzazione, rilevando l’illegalità e l’inopportunità del provvedimento, abbiano chiesto il ripristino degli uffici amministrativi;
  2. b) se sia vero che la Corte dei conti, la quale sembra ignorare la circolare soppressiva, con rilievo n. 246 del 14 maggio ultimo scorso abbia restituito tutti i contratti stipulati in materie decentrate dagli enti militari periferici perché siano sottoposti all’esame degli uffici amministrativi;
  3. c) se e quali provvedimenti il Ministro intende adottare affinché, in attesa dell’ordinamento definitivo delle Forze armate, abbia a cessare prontamente la situazione manifestamente illegale e che non garantisce una utile ed opportuna gestione del patrimonio dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carboni Angelo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sull’opportunità di fissare entro il corrente mese di luglio i prezzi e le condizioni per la consegna del grano agli ammassi nel raccolto del 1948. Ciò per stimolare gli agricoltori a preparare il terreno ed a predisporre le maggiori superfici possibili per le prossime semine autunnali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della difesa e dell’agricoltura e foreste, perché si provveda a rendere sgombri e liberi per le coltivazioni agrarie i terreni che sono ancora occupati inutilmente, a due anni dalla fine della guerra, per depositi di residui. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere le ragioni per le quali la Commissione unica preposta all’esame delle pratiche degli esonerati politici non funziona più, nonostante che migliaia di pratiche istruite dalle Sottocommissioni giacciono al Ministero in attesa di esame definitivo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non creda opportuno, e in tal caso con quali provvedimenti, di correggere la grave ingiustizia derivata dalla applicazione letterale dell’articolo 7 del regio decreto-legge 20 marzo 1941, n. 123, riguardante il trattamento economico degli impiegati privati richiamati alle armi e caduti in prigionia.

«A detti impiegati, secondo l’applicazione letterale del suddetto articolo, l’Istituto della previdenza sociale ha corrisposto il trattamento economico che essi percepivano all’atto della cattura, per cui mentre il contributo percentuale incassato dall’Istituto per tale servizio è andato sempre aumentando in relazione agli aumenti verificatisi nelle retribuzioni, la erogazione alle famiglie degli impiegati in oggetto è rimasta ferma all’importo che aveva all’atto della cattura, con evidente e stridente ingiustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e di grazia e giustizia, per sapere (nella imminenza del terzo anniversario del crudele eccidio di Fossoli, che ha gettato nel lutto tante famiglie e ha coperto di infamia il nome tedesco) quale sia l’attuale situazione processuale dei responsabili materiali del crudele trattamento dei perseguitati politici detenuti in quel campo e dei successivi eccidi, responsabili già consegnati dalle autorità alleate a quelle italiane. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gasparotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, perché comunichi le ragioni per le quali un ricorso straordinario al Capo dello Stato, depositato fin dal settembre 1946 dall’avvocato Comite Ermanno avverso il suo licenziamento dalla Sepral di Napoli, non sia stato ancora trasmesso al Consiglio di Stato pel prescritto parere, malgrado i reiterati reclami dell’interessato, né su di esso sia stato direttamente provveduto dalla Amministrazione che ne avrebbe riconosciuta in via definitiva la fondatezza.

«Conseguentemente, perché voglia compiacersi precisare se ritenga compatibile tale linea di condotta con la tutela dei legittimi interessi dei cittadini garantita dall’ordine giuridico e, qualora l’omissione sia dovuta a personale trascuratezza di dipendenti, se è quali provvedimenti intenda adottare a carico dei responsabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zotta».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario dell’alimentazione, per sapere;

perché il prezzo del latte alla produzione, che nell’aprile 1946 era di lire 28 al litro, è attualmente di sole lire 34, quando i costi dei fattori che concorrono a tale produzione hanno subito aumenti che vanno dal 92 per cento per la mano d’opera, al 140 per cento per il fieno, al 200 per cento per la crusca di assegnazione;

perché il latte che il produttore deve consegnare integro e genuino, cioè con un titolo non inferiore al 3 per cento di grasso, viene pagato a lire 34, mentre dopo le varie manipolazioni da parte della Centrale viene posto in vendita, con titolo di grasso dal 2 al 2,5 per cento, al prezzo di lire 60;

perché ai produttori dell’Agro Romano il latte integro e genuino viene pagato a lire 34 il litro, mentre la Centrale che per far fronte alle richieste dei consumatori deve acquistare altrove i due quinti del proprio fabbisogno, paga ai fornitori della provincia di Milano e di Cremona il latte titolato al 2 per cento al prezzo di lire 54,50 al litro ed a quelli di Frosinone a lire 49;

perché, mentre nelle altre provincie di Italia il prezzo del latte ha subito congrui aumenti, nella provincia di Roma si insiste a mantenere un prezzo di imperio che comporta per il produttore una perdita così grave da indurlo a liquidare o trasferire in altre provincie il proprio bestiame da latte con danno evidente al rifornimento normale di Roma. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, per sapere se intendono avviare nel prossimo esercizio la costruzione della ferrovia Napoli-Somma-Nola-Avellino, considerando che la Commissione istituita con decreto 4 luglio 1929, per lo studio del piano regolatore delle ferrovie da costruirsi in conto diretto dallo Stato, già nel 1931 l’aveva inclusa fra le linee da costruire con carattere di urgenza, e che l’opera si ravvisa oggi più che mai opportuna, necessaria ed indilazionabile, sia nel quadro delle provvidenze promosse per la valorizzazione del Mezzogiorno, sia per lenire la disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scoca».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.5.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 4 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 4 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

 

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Seguito della discussione):

De Mercurio                                                                                                    

Bonomi Paolo                                                                                                  

Vicentini                                                                                                          

Presidente                                                                                                        

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Pera.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

È iscritto a parlare l’onorevole De Mercurio. Ne ha facoltà.

DE MERCURIO. Onorevoli colleghi, ho presentato un ordine del giorno del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, interpretando le particolari necessità delle popolazioni dell’Italia meridionale, le quali risentiranno il maggior onere fiscale, che loro deriverà dal decreto istitutivo dell’imposta progressiva e proporzionale sul patrimonio, in rapporto specialmente ai criteri di valutazione in esso contenuti, che incide notevolmente sulla piccola e media proprietà, di cui è caratterizzata l’economia del Mezzogiorno, ritiene opportuno apportarvi quegli emendamenti che valgano a mitigarne gli effetti deleteri».

Ho proposto inoltre degli emendamenti ad alcuni articoli.

La Gazzetta Ufficiale del 29 marzo ha pubblicato il decreto legislativo n. 143 sotto il titolo: «Istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio».

Lo stesso decreto contempla anche l’istituzione di una «imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio».

Sarebbe stato perciò opportuno richiamare l’attenzione dei contribuenti anche su questo tributo straordinario, che dovrà essere assolto interamente entro il 1948, mentre sarà in riscossione anche l’imposta straordinaria progressiva.

Tutti noi ricordiamo che per la discussione in sede plenaria di tale decreto si volevano trascorrere in quest’Aula perfino le ferie pasquali.

Poi sono trascorsi tre mesi e solo da pochi giorni questo disgraziato decreto viene «per convalida» all’esame dell’Assemblea Costituente.

Altri oratori certamente con argomentazioni migliori e con forma più brillante hanno finora rilevato i suoi non lievi difetti, ed anche io, deputato meridionale, di quel Mezzogiorno che sarà il più duramente colpito da questa imposta, non intendo sottrarmi al dovere di porre in evidenza sia pure in modo sommario e sintetico quelle pecche che a mio giudizio sono particolarmente degne di rilievo e di emendamenti.

Non esito anzitutto a rilevare che una imposta patrimoniale progressiva o proporzionale che sia, nelle attuali condizioni del Paese, non uncinata al cambio della moneta, rappresenta una imposta immorale, che servirà solamente a buttare sul lastrico i piccoli e medi proprietari detentori di minima ricchezza, mentre darà il brevetto e le palme accademiche col riconoscimento tangibile di negative benemerenze a tutti coloro che nell’immediato periodo pre-bellico, durante la guerra e dopo, hanno accumulato sul sangue e sulle disgrazie del popolo italiano decine se non centinaia di milioni, e che oggi si godono in barba al fisco e alla legge in esame i loro non sudati risparmi, e in un prossimo domani, gavazzeranno in quelle modeste casette e in quei piccoli poderi che impiegati, artigiani, agricoltori, pensionati, ecc., dovranno alienare per far fronte alle richieste dell’agente delle imposte e dell’esattore.

Vedremo allora, a meno che lo Stato non voglia diventare l’amministratore quasi totalitario di questi beni, tutti i più esosi borsari neri lanciarsi all’acquisto di quegli immobili che onesti cittadini saranno costretti a vendere per pagare l’imposta.

Non ripeterò quanto già è stato detto da altri, specialmente in materia di cambio della moneta.

Ancora oggi, nonostante critiche più o meno interessate all’attuazione di questo provvedimento di giustizia sociale e perequazione tributaria, esso è ritenuto ancora attuabile, perfino da un ex Ministro delle finanze e del tesoro, l’onorevole Bertone che tutti conosciamo quale un tecnico di valore e soprattutto un galantuomo.

Per mio conto, rifacendomi a quanto in proposito venne da me già sostenuto fin dal 1943, confermo che il cambio della moneta è necessario e pienamente attuabile, sempre che il Governo abbia la buona volontà e la ferma decisione di attuarlo.

Passo quindi ad esaminare con la massima obiettività il decreto legislativo in parola.

Le cause che giustificano il provvedimento suenunciato nella sua integrità sono ovvie, e possono così riassumersi:

  1. a) mancata revisione e moderazione delle spese e tempestivo, rigido controllo delle medesime;
  2. b) omesso cambio della moneta, più volte preannunciato con conseguenze speculative, economiche, gravissime;
  3. c) indugio nell’adozione del provvedimento riflettente l’imposta progressiva sul patrimonio, per la cui attuazione integrale, equa e perequata, gli Uffici finanziari esecutivi, né hanno mezzi adeguati, né i funzionari addetti si trovano nella condizione di tranquillità economica che possa spronarli ad intenso lavoro;
  4. d) conseguenti indilazionabili necessità di Tesoreria.

Nell’impossibilità di intrattenerci in modo particolare sull’argomento, ci limitiamo a richiamare l’attenzione su quanto riteniamo meritevole di particolare esame.

Come è noto, l’imposta ordinaria sul patrimonio è applicata per «cespiti» e quindi prescinde dalle persone fisiche individualmente considerate, che abbiano la comproprietà del «cespite».

Ne consegue che lo straordinario tributo sarà dovuto anche da chi si trovi nella più ristretta condizione economica, cosicché, mentre per l’imposta straordinaria progressiva di cui al titolo primo del decreto è previsto il minimo di tre milioni di lire, per ogni persona fisica, che abbia anche poche migliaia di lire di patrimonio, non sfuggirà all’imposta straordinaria nella misura del 4 per cento oltre gli aggi, e ciò nella stessa misura proporzionalmente di chi abbia larghe possibilità.

Per le piccole proprietà, vediamo nel provvedimento l’applicazione di un cinico salasso tributario di cui il Governo avrebbe dovuto rendersi debito conto.

Per citare un caso, quello dei modesti impiegati e lavoratori a reddito fisso, in genere, che attraverso anni di sacrificio si procurarono una modesta abitazione.

Questi contribuenti, privi di risorse, nel volgere di pochi mesi dovranno soddisfare il debito d’imposta se non vogliono consentire all’esattore di far tesoro delle poche e sole masserizie di casa, essendo utopistici, irreali, ed iniqui i presupposti depositi in banca, nonché la proprietà di titoli e di gioielli.

Ove si pensi, poi, al modo con cui praticamente si è proceduto all’applicazione dell’imposta ordinaria sul patrimonio ed a quello col quale si stanno ora effettuando dagli uffici la rivalutazione dei fabbricati, tutto induce ad affermare che se lo straordinario tributo potrà giovare alla Tesoreria, esso sarà assolutamente sperequativo nei rapporti fra contribuenti ed anche vessatorio per i piccoli proprietari.

Sarebbe veramente illogico e contrario ai principî che debbono regolare l’applicazione dei tributi, la pretesa di applicare lo straordinario tributo di cui al titolo secondo su di una base che risaputamente non è perequata fra tutti i cittadini che vi sono tenuti.

Non è poi il caso di attenuare ai contribuenti, intendiamo piccoli e medi, che costituiscono il bersaglio del fisco di tutte le occasioni, la cognizione di quelli che saranno i loro effettivi oneri tributari, dovendosi considerare la coordinata applicazione degli articoli 29 e 68 del decreto-legge.

Infatti, per i patrimoni che non raggiungono i tre milioni di lire, si verificherà, non importa sotto quale titolo, l’applicazione dell’aliquota del 4 per cento stabilita dall’articolo 68 sui valori assoggettati all’imposta ordinaria, e poi per quelli da lire 3 milioni, oltre all’aliquota di cui all’articolo 29, si dovrà quella corrispondente all’imposta straordinaria di cui all’articolo 68. Per impedire le evasioni, per correggere le sperequazioni e gli indebiti gravami della ordinaria patrimoniale, il tributo del 4 per cento dovrebbe essere considerato in acconto della patrimoniale personale progressiva, diminuendo l’imponibile esente, onde pervenire ad una maggiore estensione nell’applicazione del tributo con corrispondente moderazione di aliquota se fosse possibile.

Un eventuale maggiore lavoro degli uffici non sussisterebbe, dato che le dichiarazioni sono obbligatorie da lire un milione e mezzo, e poi d’altra parte si moralizzerebbe la legge che, così com’è, costituisce una offesa al diritto del cittadino, nello stesso tempo che agevola i profittatori e gli evasori.

Cade qui a proposito rilevare che nutriamo fondati dubbi sulla attrezzatura da parte degli Uffici a esperire questo lavoro di mole ponderosa, il quale data la sua natura dovrà essere svolto con scrupolosità e meticolosa pazienza.

Tali dubbi sono, a nostro avviso, legittimamente fondati, se si consideri la dizione dell’articolo 75 del decreto. Ricordiamo che nel settembre 1944 si faceva presente al Ministro delle finanze la necessità di provvedere alla immediata riorganizzazione del personale degli Uffici esecutivi dell’Amministrazione finanziaria (non soltanto delle imposte dirette) ed alle provvidenze tutte relative a cominciare da quella per il suo stato economico. Ora, soltanto all’atto di promulgare il decreto 29 marzo 1947, viene richiamata dai Ministeri economici l’autorizzazione a tale fine, così che è dato di domandarsi:

Quale preparazione ha potuto fare l’Amministrazione finanziaria per essere in grado di assolvere il suo grave compito nell’applicazione del decreto sull’imposta patrimoniale? Come è mai possibile che un organo da formare, elementi da istruire ed addestrare in questo breve lasso di tempo possano corrispondere alle esigenze di una sana amministrazione, che vuole la massima sagacia ed avvedutezza, mentre ha anche il dovere di amministrare la giustizia dei tributi con consapevole equità ed equanimità?

In tali condizioni non sembra opportuno, considerato che il progetto di legge mentre disciplina l’azione delle Commissioni giudicanti, non prevede in alcun modo due altri generi di Commissioni, di istituire appunto quella dei tecnici, e quella di liberi cittadini che spronino e coadiuvino il fisco?

Se la legge agli articoli 75 e 76 prevede provvedimenti per l’organizzazione del personale, ciò significa che il personale fiscale non è preparato. Studiare, dunque, come gli uffici stessi e le Commissioni provinciali possano essere affiancate da elementi tecnici, consulenti legali (ragionieri e commercialisti) nominati da collegi di cittadini, commissioni che dovrebbero affiancare l’opera degli uffici.

Approfondendo lo studio del decreto 29 marzo 1947, relativo alla imposta progressiva sul patrimonio, il capo quarto – valutazione dei cespiti patrimoniali – ha richiamato particolarmente la nostra attenzione.

La legge deve contenere disposizioni tali che consentano di giungere alla determinazione di valori omogenei dei cespiti patrimoniali più diversi, onde perequare, quanto più possibile, l’onere tributario:

  1. a) valutando in base ai valori nudi dell’anno 1946, i terreni, le scorte relative, i fabbricati, le aziende industriali e commerciali ed i cespiti non specificati nel suddetto Capo IV;
  2. b) in base alla media dei prezzi di compenso del semestre 1° ottobre 1946 al 31 marzo 1947 le azioni, obbligazioni, cartelle del prestito ecc. quotate in borsa;
  3. c) in base alla valutazione, giusta la quale è stata effettuata la liquidazione dell’imposta di negoziazione per i titoli sopra indicati non quotati in borsa, nonché per le partecipazioni delle società assoggettate alla suddetta imposta.

Il temuto cambio della moneta, troppo frequentemente preannunciato, il diminuito valore di acquisto della lira, il timore di un eventuale inflazione e – d’altro canto – la necessità di trovare l’impiego alle ingenti somme accumulate nell’esercizio di attività industriali e commerciali, e nei traffici di ogni specie, determinarono, nell’anno 1946, una corsa agli investimenti in beni immobili, che è da ritenere non possano costituire elemento valido nella valutazione dei valori da prendere a base nella applicazione della imposta.

Per i terreni, specialmente in alcune zone particolarmente fertili e coltivate, i prezzi hanno potuto assumere proporzioni iperboliche, per le rendite addirittura fantastiche, conseguite da frutteti, vigneti, ecc., e per la mancanza di offerte di vendita sul mercato.

Se – quindi – non si vuole, o non si deve colpire la proprietà fondiaria oltre il suo valore effettivo, ragguagliato al momento in cui il mercato dei prodotti agricoli sarà normalizzato, i criteri di valutazione da adottare, non potranno non tenere conto di tali circostanze.

Per i fabbricati e porzioni di essi – particolarmente nei grandi centri urbani – i prezzi di mercato subirono nel 1946 influenze varie delle quali si dovrebbe tenere debito conto.

E proprio per tale motivo sarà più equo riferirsi alla media dei valori di un determinato periodo prebellico, rivalutati alla data corrente.

Inoltre, sia per i terreni che per i fabbricati, ma specialmente per questi ultimi, nella determinazione dei valori non dovrebbe essere estraneo il riferimento alle rendite rispettivamente realizzate nella presente situazione vincolistica.

Per la valutazione delle scorte, dei terreni agrari, se – come è dato ritenere – sotto questa voce si considerano le vive, le morte, i macchinari agricoli, ecc., non si comprende come vi si potrà giungere in modo razionale, dato che essa si effettuerà sulla base dei redditi imponibili agrari, quindi forfetariamente e presuntivamente, ponendosi su uno stesso piano le grandi, le medie, e le piccole proprietà terriere che non hanno, né possono avere dotazioni di macchinari, di attrezzi e di scorte in genere, le quali invece sussistono per ingenti valori, in molte delle medie, ma soprattutto nelle grandi proprietà. Non solo, ma deve rilevarsi che non poche delle piccole proprietà terriere ed anche delle medie si trovano in condizione di non disporre di scorta alcuna per la loro stessa natura e destinazione.

Sarebbe quindi opportuno che la dichiarazione di cui all’articolo 33 della legge contenesse la indicazione della composizione e dei valori delle scorte (bestiami, macchinari, attrezzi di qualunque natura, ecc.).

Lasciando la legge come è, si avrà un aggravio, per i valori che non esistono, per i piccoli e medi proprietari ed una ingiustificabile agevolazione a beneficio dei grandi proprietari, ma, nel complesso, a tutto danno dello Stato, che non colpirà chi più possiede.

È poi da notare che, a causa degli eventi bellici, procedendo forfetariamente, si incorrerebbe in errori anche gravi.

Ad evitare tutto ciò basterebbe inserire nella legge l’obbligo di descrivere nella dichiarazione i suddetti cespiti, mentre un eventuale ragguaglio ai redditi agrari potrebbe servire alla finanza come elemento di apprezzamento delle dichiarazioni. Per quanto poi concerne i fabbricati non si dovrebbe dimenticare un criterio di moderazione imposto della gravissima condizione in cui si trova la proprietà edilizia, a causa delle mancate manutenzioni e del regime vincolistico, e dalla considerazione che si è andato progressivamente compromettendo per tal fatto anche l’interesse della collettività, con una politica che ha anche allontanato i capitali privati dalla costruzione di nuovi fabbricati per abitazioni.

La valutazione delle azioni in base alle quotazioni di borsa del semestre 1° ottobre 1946 al 31 marzo 1947, non sembra affatto omogenea alla valutazione dei terreni e dei fabbricati, fino a che non siano state operate le rivalutazioni e siano in corso aumenti di capitali, che importano distribuzione di azioni gratuite, o semigratuite.

Finalmente, la valutazione delle azioni non quotate in borsa sulla stessa base accertata agli effetti della imposta di negoziazione per l’anno 1947, costituisce un’altra grave deficienza della legge, ai compilatori della quale è sfuggito il carattere personale e talvolta familiare di società costituite a soli fini fiscali, e la superficialità e sommarietà, con le quali si procede nella liquidazione della imposta di negoziazione.

Sempre soffermandoci sul Capo IV, il capitolo «valutazioni» offre ed impone largo campo di esame, perché è dalla valutazione idonea e perequata dei cespiti nella loro diversa specie, natura ed ubicazione (questa per quanto attiene i fabbricati), che dipende la equa distribuzione dell’onere patrimoniale tributario a cui i cittadini saranno sottoposti, e dei quali taluni (i proprietari terrieri, i commercianti, gli industriali) potranno riaversi con incremento di fecondo lavoro, mentre altri (i proprietari dei fabbricati) non avranno mezzo alcuno di ripresa economica, e dovranno affannosamente cercare i mezzi per fronteggiare l’imposta.

Secondo l’articolo 9 e seguenti, la valutazione è affidata alla Commissione Censuaria Centrale, la quale dovrà determinare i coefficienti relativi, tenendo presenti le zone economico-agricole per i terreni e scorte, e i Comuni, per i fabbricati. Tali coefficienti predisposti dall’Amministrazione, del catasto e dei servizi tecnici, saranno comunicati alle Commissioni Censuarie comunali e da queste a quelle provinciali con facoltà di far note rispettivamente le proprie osservazioni entro 30 e 90 giorni, così che è da prevedere che per sapere quali saranno i coefficienti definitivamente adottati dalla Amministrazione, non basteranno parecchi mesi.

La Commissione Censuaria Centrale stabilirà i coefficienti definitivi, ma non sarebbe inopportuno che tutte le Commissioni Censuarie Comunali e Provinciali conoscessero i coefficienti di tutte le zone, affinché esse fossero messe in grado di poter fare gli opportuni confronti.

Il concetto di riferire il valore dei terreni e fabbricati all’anno 1946 potrà anche essere accettato, ma a condizione che i coefficienti siano determinati sulla base di razionali considerazioni di estimazioni e non su arbitrari elementi, basati sulle poche contrattazioni verificatisi nell’anno a scopo speculativo, o di investimento, per evitare le conseguenze del cambio della moneta, o non subire l’alea del diminuire del suo potere di acquisto.

La valutazione dei terreni fatta sulla base di coefficienti, trova la sua giustificazione nella necessità di adottare un criterio di massima, ma poiché i coefficienti stessi si applicheranno ad elementi catastali base non aggiornati né determinati contemporaneamente, le più impensate sorprese si verificheranno per l’esistenza di diverse zone economico-agrarie anche nella stessa Provincia.

Secondo l’articolo 12, gli Uffici delle imposte procederanno alla valutazione dei terreni con i coefficienti indicati dagli articoli 9 e 11 applicati alle risultanze catastali, rimanendo così al contribuente come alla finanza il diritto di ricorrere tutte le volte che non sussista la corrispondenza fra risultanze catastali e situazioni di fatto.

Il contribuente potrà rapidamente esercitare il diritto di rettifica, ma dubbi e questioni possono sorgere nei confronti della finanza, non essendo ammesso che gli Uffici distrettuali possano rivedere gli accertamenti una volta modificati, essendo tale facoltà riservata soltanto alle Commissioni amministrative. Occorrerebbe, quindi, che gli Uffici procedessero alla valutazione secondo le risultanze catastali, ma con facoltà di revisione per non conformità allo stato di fatto ed anche per eventuali errori materiali di calcolo.

L’articolo 12, per quanto riflette la valutazione dei terreni, dovrebbe perciò essere modificato come appresso: «Contro la valutazione dei terreni eseguita dagli Uffici in base alle risultanze catastali ed ai coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per la non corrispondenza alle qualità di coltura risultanti dal catasto. D’altra parte gli Uffici potranno rettificare la valutazione dei terreni da essi effettuata, nel termine di un anno dall’eseguita notifica dell’accertamento, tutte le volte che le risultanze catastali non corrispondano allo stato di fatto e che si siano verificati errori di calcolo».

Un’altra osservazione: procedendosi nelle valutazioni – per quanto riguarda i terreni – per zone economico-agrarie, si cadrà facilmente in errore, se non si terranno presenti anche le particolari situazioni di fatto che, nelle singole zone, possono verificarsi e perciò è da prevedere una tale possibilità per le opportune provvidenze.

Inoltre, dalla valutazione dei terreni dovrebbero essere escluse tutte le costruzioni non destinate ai lavoratori o al ricovero di bestiame, per essere comprese specificamente nella dichiarazione di cui all’articolo 33.

Per quanto riflette i fabbricati il problema è non meno grave. Secondo gli articoli 9 e 10, si dovrebbero determinare i valori 1946 applicando alla «consistenza» dei fabbricati, coefficienti determinati dalla Commissione Censuaria Centrale in relazione alle categorie ed alle classi istituite per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano ai sensi del decreto 14 aprile 1939, n. 652, convertito in legge l’11 agosto 1939, n. 1249. Più considerazioni si impongono a questo riguardo.

Le categorie e classi di fabbricati determinati nel 1939 quali variazioni possono presentare od avranno potuto subire nel frattempo? Come potranno fare gli Uffici delle imposte, se non incorrendo in errori fantastici, ad applicare a tavolino coefficienti sulla base dei particolari del catasto urbano non aggiornati, né precisi, né provvisti dagli elementi tutti occorrenti per addivenire ad una ponderata determinazione di diversi valori attribuibili alle diverse parti di uno stesso fabbricato? In questi anni si sono fatte revisioni parziali dei redditi dei fabbricati, ma la incompletezza dei dati catastali, la non uniformità negli apprezzamenti, determinarono difficoltà assai gravi, dovendosi anche tener presente che la situazione di fatto può notevolmente essere modificata per cause le più diverse.

Occorre poi riflettere che la divisione dei fabbricati in categorie e classi, senza distinzioni nelle singole parti che li costituiscono e, cioè ad abitazioni di lusso e anche economiche, anche nello stesso fabbricato, ad uso industriale, o commerciale, senza poter fare poi i rispettivi apprezzamenti in base alle situazioni di fatto, sarebbe cosa del tutto errata e causa di sperequazione pregiudizievole.

Sarebbe quindi necessario che il penultimo capoverso dell’articolo 9 fosse così modificato:

«I fabbricati si valutano in base ai valori medi dell’anno 1946, mediante applicazione della loro consistenza di coefficienti determinati dalla Commissione censuaria, per le diverse destinazioni, o diverso adattamento delle singole sue parti».

Stabilisce l’articolo 10 come sopra detto che i coefficienti per la valutazione di fabbricati sono stabiliti con riguardo alle categorie ed alle classi istituite per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano.

Specialmente nei grandi centri – ad esempio Roma – si possono commettere gli errori più impensati. Possono esserci casupole nell’interno di Roma aventi valore assai maggiore di un ricco appartamento in località anche centrale, potendo essere il maggior valore rappresentato dall’area. In uno stesso palazzo – specialmente con la generalizzazione del condominio – possono esistere appartamenti che, per esposizione e rifiniture interne differiscono sensibilmente con altri dello stesso palazzo.

Occorre pertanto che non manchino tutte le possibilità di discriminazione e gli Uffici, allo stesso modo che i contributi possano, in sede di accertamento, correggere le applicazioni di coefficienti standardizzati.

Le aree fabbricabili saranno valutate caso per caso, ma non sarebbe inutile che, fossero adeguatamente valutate anche tutte le aree destinate ad uso di giardini, cortili esterni, ecc.

Infine, non va taciuto che per quanto riguarda i fabbricati le leggi vincolistiche hanno messo la proprietà nelle più dure e tristi condizioni, e mentre da tutte le parti si predica di ricostruire non vi è chi rifletta che fra qualche anno la proprietà urbana, oggi esistente, diventerà un mito, e non rimarranno che case inabitabili, poiché senza le manutenzioni, i fabbricati non possono resistere all’azione demolitrice del tempo.

Da tutto quanto abbiamo esposto e data la impreparazione degli uffici e la assoluta insufficienza dei mezzi di cui essi dispongono oggi e potranno disporre domani – così gli Uffici esecutivi delle imposte e più specialmente quelli degli Uffici tecnici erariali ai quali debbono essere affidati compiti vastissimi e di grande difficoltà in uno spazio di tempo ristretto – non è da sperare che la legge potrà trovare un’applicazione che soddisfi le esigenze dell’Erario e purtroppo quelle di una sana perequazione tributaria.

Si avranno vittime numerose fra i proprietari immobiliari, mentre si avvantaggeranno quelli che avranno proprietà prevalentemente mobiliari. E saranno proprio questi che vedranno la possibilità di entrare in possesso in breve tempo, delle proprietà piccole, medie e grandi, impreparate ed impossibilitate a sostenere il gravissimo onere tributario reso più grave dalla ristrettezza del tempo durante il quale l’imposta dovrà essere sodisfatta, e dalla mancanza di provvidenze, che mettano in grado di tentare, occorrendo, non demolitrici operazioni finanziarie.

Passiamo ora da esaminare alcuni altri articoli che meritano a nostro giudizio particolare attenzione e precisamente gli articoli 17, 18, 19 e 31, 44, 45, 75 e 76.

Articolo 17: «Le aziende industriali e commerciali, comprese in esse quelle esercenti industrie agrarie di qualsiasi genere, si valutano nel loro complesso, tenendo conto dei vari elementi che le compongono, sulla base dei valori medi dell’anno 1946».

Articolo 18, secondo comma: «Le azioni, obbligazioni, cartelle di prestito ed ogni altro titolo di credito quotato in borsa sono valutati in base alla media dei prezzi di compenso del semestre 1° ottobre 1946 – 31 marzo 1947».

Articolo 19, primo comma: «Per i titoli indicati nell’articolo precedente, non quotati in borsa, nonché per le quote delle società assoggettate all’imposta di negoziazione, si adotta la valutazione in base alla quale è stata liquidata l’imposta di negoziazione per l’anno 1947».

All’articolo 31, primo comma, si stabilisce poi che le società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, a garanzia limitata, di fatto, le associazioni ed enti, in quanto non siano soggetti ad imposta di negoziazione, debbono dichiarare il loro patrimonio, con l’indicazione delle quote spettanti ai singoli soci.

Questi articoli dimostrano come differentemente si proceda per i cespiti patrimoniali in diversi casi, per cui è da ritenere certo:

1°) che tutti coloro che non hanno partecipazioni in società, o pacchetti azionari si troveranno esposti in modo molto più gravoso di quelli che non siano i possessori di titoli azionari, in quanto essi si vedranno valutato il loro patrimonio e le doro aziende analiticamente, mentre ciò non avverrà per coloro che non siano possessori di titoli o partecipi a società;

2°) che, non essendo consentito ai funzionari delle imposte di svolgere indagini presso le banche e gli istituti di credito in genere, per le società azionarie aventi carattere familiare, per quelle a responsabilità limitata, ecc., sarà facile presentare situazioni patrimoniali in cui figurino partite di credito suffragate dal relativo estratto-conto di banca, mentre contemporaneamente possono sussistere, ed in molti casi effettivamente sussisteranno altrettante partite di credito dei soci, per somme anche superiori.

Per le società anonime, siamo del parere che l’indagine fiscale assolutamente non possa limitarsi a quello che risulta dalle valutazioni di borsa, che vengono fatte annualmente agli effetti dell’applicazione della tassa di circolazione delle azioni.

Ci sono società che hanno un piccolo capitale sociale, dietro il quale si nascondono aziende importantissime. Ci sono società che hanno un’apparenza modesta per le cifre che rappresentano le attività (macchine, attrezzi, materie prime, mobili), che invece costituiscono complessi industriali importantissimi e di reddito imponente.

Senza presentare specifici emendamenti, raccomandiamo il riesame oculato degli articoli relativi. Vi sono due articoli il 44 e il 45 che non possono essere da noi accettati.

Il decreto dichiara espressamente che non vi è obbligo da parte delle banche di dare le denunce di tutti i depositi, crediti vari, ecc. Vi è anzi in proposito una dichiarazione in senso contrario: «La presente disposizione non si applica nei confronti delle Banche e delle Aziende di credito».

E per quale motivo?

Ma quanti valori e capitali verranno così sottratti all’imposta? Si vuol tentare anche in questo modo il salvataggio dei grossi capitali?

L’articolo 45 fa obbligo ai notai che abbiano valori in deposito di denunziarli; perché no le Banche? Non esitiamo a proporre i relativi emendamenti. E con poche altre considerazioni d’ordine essenzialmente pratico mi avvicino rapidamente alla fine.

Il grande contribuente italiano che generalmente conosce le manchevolezze e le deficienze dell’Amministrazione sorriderà di fronte alla possibilità di eludere la legge, o di limitarne l’applicazione, ma il piccolo contribuente, quello di tutti i giorni e di tutte le ore e, diciamolo pure, di tutte le occasioni, ingoierà in gran parte l’amaro calice che, per tradizione, è oramai per ogni contributo, ed anche in questo riservato ai piccoli. Si ricordi il motto: «Gli stracci vanno sempre per aria» e si stia certi fino da ora che saranno proprio i piccoli a sopportare il peso tributario nella misura che incide sul vivo e sul necessario è non sul superfluo. Di fronte alla urgente necessità di far cassa ed alla brevità del tempo per l’applicazione della legge, questa situazione non può lasciarci indifferenti, ma inquieti, anzi assolutamente turbati, perché attraverso sistemi e mezzi empirici, si turberanno, si dissesteranno tante piccole e medie economie, con tutte le ripercussioni inevitabili, materiali e morali.

Indubbiamente, l’applicazione della legge riverserà a preferenza e con precedenza, sui proprietari di terreni e di fabbricati: ora noi ci domandiamo come essi procederanno alla liquidazione della quota parte di patrimonio devoluto allo Stato. I proprietari di terreni tenteranno ogni mezzo per conseguire il conseguibile (dei prodotti della terra o del bestiame), con la certa ripercussione sui consumatori e i proprietari di fabbricati già abbandonati nelle manutenzioni, e perciò in stato di progressivo deperimento, con danno indiretto di tutta l’economia nazionale, non potranno far altro che tentare la vendita per coprire il fabbisogno.

È ben vero che la legge presume che ad ogni patrimonio corrisponda un quid in deposito presso le Banche, ma poiché di utopistiche previsioni non si vive, è d’uopo porsi il problema finanziario del contribuente, e vedere come risolverlo, laddove non si tratti di qualche incauto borsaro nero che abbia investito parte del suo non sudato tesoro in beni stabili.

Quindi, la legge è ormai già organizzata e perciò è quasi sempre impossibile emendarla, ma tuttavia quando non saranno presentati ed approvati emendamenti, chiediamo che tutte le osservazioni fatte siano tenute presenti nella emanazione precisa e completa delle istruzioni che tempestivamente precederanno l’applicazione della legge.

Bisogna anche pensare che il decreto ha considerato solamente il modo di battere cassa frettolosamente, ma non abbiamo rilevato nessun accenno, nemmeno il più lontano che si riferisca ai mezzi finanziari che saranno offerti ai contribuenti per sostenere il peso dell’imposta. Provvedere a questo significa avere la tranquillità di poter applicare l’imposta largamente senza il timore di distruggere il patrimonio, il che deve essere presente nella mente e nella preoccupazione del legislatore. Quando ad un patrimonio noi avremo fatto una falcidia della metà, noi avremo portato a questo patrimonio un colpo così forte che esso sarà messo in condizioni di infunzionalità o improduttività, e questo sarebbe un danno gravissimo, perché legiferando in materia fiscale, noi dobbiamo tener sempre presente la necessità di non inaridire le fonti del reddito.

Noi esortiamo il Governo a interpretare la necessità del popolo italiano, e particolarmente delle popolazioni meridionali perché gli effetti dell’imposta proporzionale straordinaria sul patrimonio che incide notevolmente sulla piccola e media proprietà, di cui è caratterizzata la economia del laborioso popolo del Mezzogiorno non raggiunga gli effetti deleteri, che vengono giustamente paventati, e auspichiamo invece che al risanamento dell’erario contribuiscano quasi totalmente quei pingui patrimoni, che il decreto in esame sembra quasi voler preservare dai tentacoli del fisco. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bonomi Paolo. Ne ha facoltà.

BONOMI PAOLO. Più che a considerazioni di carattere generale porterò le mie osservazioni sulle disposizioni che interessano il campo agricolo, ed in modo particolare gli agricoltori-coltivatori diretti, contro i quali, per essere – in molti casi – possessori di beni il cui valore si avvicina al minimo imponibile esente dall’applicazione dell’imposta, saranno puntate le migliori armi fiscali.

Che un’imposta sul patrimonio si dovesse applicare è fuori d’ogni discussione, poiché ragioni di carattere morale e imprescindibili necessità finanziarie impongono allo Stato di ricorrere a questo mezzo straordinario per realizzare entrate a sollievo dello stremato bilancio.

Non si deve dimenticare che a causa della guerra vaste categorie di cittadini (detentori dei titoli di Stato, risparmiatori, possessori di rendite fisse, salariati, impiegati) hanno praticamente, attraverso la svalutazione, pagato la più feroce delle imposte, e che, pertanto, anche i possessori di beni reali dovevano essere chiamati alla leva del sacrificio.

Vi sono, però, alcuni canoni dell’economia e della finanza che non si possono impunemente violare. Non si può, innanzi tutto, tagliare l’albero per raccogliere il frutto. Quando gli oneri fiscali non vengono mantenuti entro i limiti della sopportabilità viene appunto sradicata la pianta. Non vorremmo che questo si verificasse proprio per quelle piccole aziende che tutti dicono di voler tutelare e delle quali in realtà ben pochi si curano. La situazione delle piccole aziende agricole è assai diversa da quella delle aziende più consistenti. Mentre queste ultime possono facilmente ricorrere al credito e fare ampio assegnamento sui proventi monetari della vendita dei prodotti, i piccoli coltivatori, che non hanno generalmente facilità di ottenere credito, destinano gran parte della produzione al consumo diretto, ciò che impedisce loro di realizzare notevoli disponibilità monetarie. La loro posizione va, quindi, guardata con occhio vigile sotto l’aspetto fiscale.

La possibilità contributiva dei coltivatori diretti è già resa anemica dalla grandinata di aumenti delle imposte ordinarie che si è scatenata negli ultimi tempi (imposte fondiarie e sui redditi agrari aumentate di oltre venti volte, imposta di famiglia talvolta centuplicata, imposta sul bestiame portata alle stelle), cui si aggiungono imposte straordinarie, come la imposta sui profitti di guerra per i fittavoli, e la avocazione dei cosidetti profitti di speculazione.

Che cosa avverrà con la patrimoniale?

Il legislatore ha ritenuto di ovviare al pericolo di un collasso della piccola proprietà e della piccola affittanza disponendo l’esonero di due milioni per i patrimoni che superano detto limite. Ma la efficacia della disposizione dipende dal sistema e dal metro che verranno usati per la valutazione dei terreni e delle scorte vive e morte. La legge è alquanto elastica su questo punto e potrà essere bene o male usata secondo le direttive degli organi preposti all’applicazione, cioè dell’Amministrazione finanziaria e della Commissione censuaria centrale.

Anzitutto non si può non compiacersi col legislatore per il sistema che chiameremo automatico della valutazione; ma ove si consideri che i coefficienti (moltiplicatori dei redditi dominicale e agrario) verranno determinati in base ai valori correnti fra il 1° ottobre 1946 e il 31 marzo 1947 la questione diventa di una gravità impressionante, e tale da destare serie preoccupazioni non tanto nei confronti dei singoli contribuenti quanto invece per l’economia agricola, l’unica che sarebbe chiamata a sostenere un peso addirittura vessatorio.

Si tenga presente infatti che nel periodo considerato un mercato vero e proprio dei terreni e delle scorte da cui possono scaturire degli elementi indice-base di una certa attendibilità manca nel modo più assoluto e che i pochi casi che si sono verificati nei trapassi della proprietà fondiaria riguardano più che altro investimenti di moneta da parte di individui che vivono al di fuori della sfera dell’attività agricola. Sono costoro i grandi speculatori e borsari neri che avendo troppo facilmente accumulato delle vistosissime cifre, non si sono peritati d’investirle in terreni a prezzi iperbolici, operazione che per costoro non costituisce che scarsa importanza in quanto il miraggio altro non è stato che quello di accaparrare dei beni reali.

Orbene, se, al riguardo, non interverranno disposizioni chiarificative, moderative e prudenziali, sulla scorta di siffatti elementi del tutto capricciosi, verranno desunti i coefficienti per la valutazione dei terreni e delle scorte.

Poco importa se in una contrada, in un Comune od in una Provincia si sono verificati o meno trapassi di proprietà: basteranno pochi, se non pochissimi casi, per determinare in tutta la Nazione dei coefficienti per comparazione.

Anche per quanto riguarda la valutazione delle scorte (bestiame, attrezzi, capitali di anticipazione), la legge prevede un sistema di coefficienti moltiplicatori del reddito agrario. Ma anche qui la posizione delle piccole aziende coltivatrici presenta aspetti particolari da tre parti e cioè: a) il frutto del capitale investito in scorte vive e morte; b) il frutto del capitale investito in anticipazioni colturali; c) il compenso al lavoro direttivo. Le disposizioni sulla imposta patrimoniale stabiliscono che nel capitalizzare il reddito agrario si deve detrarre la parte rappresentata dal compenso al lavoro direttivo. Questa norma può essere giusta per i proprietari che conducono il fondo in economia: non può essere giusta, invece, per quelli che conducono a mezzadria (in quanto una parte delle scorte può appartenere al mezzadro) e meno ancora per coltivatori diretti, dato che essi, non pagando i salari, non anticipano che in piccola parte i capitali di esercizio, ma anticipano il proprio lavoro, il quale non deve essere certo capitalizzato per venire assoggettato all’imposta patrimoniale.

Purtroppo la nostra legislazione fiscale non ha riguardo alcuno per la piccola proprietà e la piccola azienda coltivatrice tende generalmente a creare – almeno di fatto – una progressività a rovescio a danno dei piccoli. Il frutto del lavoro viene generalmente confuso col frutto dei capitali e tassato come se fosse utile di impresa.

Speriamo che almeno non si giunga all’estremo di considerare come patrimonio imponibile la figurativa capitalizzazione del frutto del lavoro.

È da considerare, poi, che sia la quantità che la qualità di scorte inventariate e valutate colla revisione generale degli estimi dei terreni erano sostanzialmente diverse da quelle d’oggi, e non si è lontani dal vero se si afferma che attualmente dette scorte sono notevolmente ridotte rispetto al triennio 1937-39.

Sempre in tema di valutazione si potrà obiettare che l’articolo 11 stabilisce che i coefficienti predisposti dall’Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali vengono comunicati alle Commissioni censuarie comunali e a quelle provinciali, le quali hanno facoltà di formulare le proprie osservazioni sui coefficienti stessi rispettivamente entro 30 giorni ed entro 90 giorni dalla data di ricezione.

Tale procedura, se può ritenersi normale per quanto riflette le questioni catastali (valori assoluti, valori comparativi, qualità di colture e classe di produttività, esame dei reclami, ecc., ecc.), non altrettanto si può dire per un problema complesso, delicato ed urgentissimo quale è quello dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Si potrà altresì obiettare che, a mente dell’articolo 12, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative contro le valutazioni dei terreni eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte con i coefficienti indicati dagli articoli 10 e 11.

Siffatto ragionamento però è privo di significato, ove si consideri che proprio all’ultimo capoverso dell’articolo 11 è detto che i predetti coefficienti vengono stabiliti in «via definitiva» per ciascuna zona economico-agraria, e per ciascun Comune, dalla Commissione censuaria centrale.

Una particolare osservazione merita la dizione contenuta nel secondo comma dell’articolo 26: «tenore di vita del contribuente», che si presta per tutti i casi (vita lussuosa, sperperatore, risparmiatore, egoista, ecc.).

Con tale dizione indubbiamente il legislatore ha inteso dare un’arma agli Uffici fiscali per colpire coloro che in breve volgere di tempo hanno accumulato delle vistosissime ricchezze e che per il tenore di vita che conducono, indipendentemente dai redditi conosciuti o dal patrimonio accertato o non accertato, vi siano fondati motivi per ritenere debbano essere o tassati nel caso che la valutazione analitica dei beni non raggiunga il minimo imponibile o tassati per x+y = z dato appunto il loro tenore di vita.

In proposito, ai galantuomini non rimane che manifestare un vivo plauso all’intenzione del legislatore, ma quando si presenterà il caso di un agricoltore coltivatore diretto il cui patrimonio non raggiunge il minimo imponibile, l’Ufficio fiscale, opponendo argomentazioni più o meno valide, quali ad esempio, risparmiatore, egoista, possessore di polli e maiali ed altro ben di Dio, avrà buon gioco per indurre l’agricoltore stesso, a scanso dell’applicazione di una soprattassa pari all’ammontare dell’imposta, oltre l’ammenda pari ad una metà della stessa imposta, ad accettare il concordato proposto.

Ho detto prima che non è improbabile che a fare le maggiori spese della nuova imposta patrimoniale saranno, ancora una volta, gli agricoltori, e la prova della nostra affermazione è fornita anche dal fatto che abbiamo ora brevemente illustrato.

Speciale osservazione ci sia consentito di fare, sia sul primo Capoverso dell’articolo 30 che su quanto è detto alla lettera a) dell’articolo 33.

Per quanto riguarda l’obbligatorietà di presentazione della dichiarazione per i patrimoni netti la cui consistenza alla data del 28 marzo raggiunge l’importo di lire 1.500.000, osservo che nel campo agricolo, non conoscendosi a priori i coefficienti che andrà a stabilire la Commissione censuaria comunale è assai problematico fissare pure a priori chi è soggetto o non è soggetto alla dichiarazione stessa. Poi, quando anche la consistenza di beni sia di entità tale da presumere superi in ogni caso il predetto importo, a parte il fastidio e la perdita di prezioso tempo, ben pochi sono gli agricoltori – specie gli agricoltori diretti – che si trovano nelle condizioni di adempiere ad una formalità burocratica di scarsa importanza.

Si è detto di scarsa importanza perché i cespiti patrimoniali nel campo agricolo sono – a tutti gli effetti – già inventariati anche ai fini del cumulo (vedi imposta complementare progressiva sul reddito).

In proposito si prega di prendere nota che in ogni contrada d’Italia stanno sorgendo degli uffici i cui titolari, più o meno specializzati in materia fiscale, prevedono di poter fare una lauta vendemmia a spese degli agricoltori (si parla di lire 3000 e oltre per ogni piccola dichiarazione).

Circa le indicazioni da fornire nella denuncia, nel caso non venga concesso l’esonero, è quanto mai opportuno semplificare il più possibile in guisa che gli agricoltori, ed in particolar modo i coltivatori diretti, possano fornire agevolmente i pochi elementi richiesti o direttamente o tramite le loro associazioni. Nella dichiarazione basterà indicare: il Comune e la località in cui sono situati i terreni; l’intestazione della partita catastale; i redditi dominicale e agrario; le generalità dell’affittuario nel caso di terreni dati in affitto.

Abbiamo detto semplificare e non complicare, anche perché i contribuenti agricoli hanno da essere incoraggiati a produrre di più con minore spesa e non avviliti da formalità burocratiche che male si adattano colla loro mentalità, sana e semplice, nonché intimoriti da sanzioni più o meno gravose e giustificate.

Con i poteri conferiti ai membri delle Commissioni di merito secondo il disposto dell’articolo 46, di eseguire cioè accertamenti non proposti dagli Uffici e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate fra contribuente e Ufficio, anche se già iscritti a ruolo, a parte il fatto morale e la palese disistima nei confronti dei funzionari preposti alle operazioni di accertamento e perfezionamento dei concordati, si cade nell’arbitrio vero e proprio.

Non saranno infatti infrequenti i casi nei quali uno o più membri di dette Commissioni agiranno per vendetta.

Secondo il disposto dell’articolo 3, ai fini dell’imposta, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, durante il matrimonio: ai medesimi fini si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 10 giugno 1940.

Sia nell’uno che nell’altro caso sono previste delle eccezioni, ed è proprio su queste che concentreremo tutta la nostra attenzione.

Le eccezioni che si fanno per la moglie, ai fini cioè di non far luogo al cumulo, concernono beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazioni di cespiti posseduti anteriormente al matrimonio o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri, conseguiti durante il matrimonio, o di fondi provenienti da accensione di debiti.

Per i discendenti le eccezioni riguardano: la costituzione di dote in occasione di matrimonio o costituzione di patrimonio ecclesiastico; la trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data 10 giugno 1940 o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri o di fondi provenienti da accensione di debiti.

L’intenzione del legislatore non poteva essere che quella di considerare come patrimonio unico quello di coloro che, prevedendo l’istituzione di imposte straordinarie progressive, hanno perfezionato trasferimenti, divisioni, assegnazioni, ecc. al fine o di sottrarsi al pagamento dei tributi (valori imponibili al disotto del minimo) o quanto meno per beneficiare di aliquote inferiori a quella afferente i beni patrimoniali considerati nel loro complesso.

In proposito ci sia consentito di affermare che di siffatte eccezioni andranno a beneficiare proprio coloro che intuitivamente hanno precorso le intenzioni del legislatore, mentre gli agricoltori – in particolar modo i coltivatori diretti – anche quando abbiano le carte in regola, o per ignoranza o per pressioni d’ordine vario a cui saranno sottoposti, ben difficilmente potranno evitare il cumulo di beni che, stando alla lettera e allo spirito delle disposizioni, dovrebbero considerarsi separati.

L’articolo 4 fa espresso richiamo a quanto disposto dall’articolo 1101 del Codice civile, che cioè i pesi della comunione sono in proporzione delle rispettive quote, ma – purtroppo – chi ha anticipato l’importo iscritto a ruolo, in caso di liti (e non saranno infrequenti) per esercitare la rivalsa nei confronti degli aventi causa dovrà promuovere azione legale.

Un ultimo punto del provvedimento merita considerazioni perché particolarmente pericoloso per le sorti della piccola proprietà ed è quello relativo all’applicazione per una volta tanto dell’imposta ordinaria proporzionale con aliquota decuplicata.

In aggiunta all’imposta straordinaria della quale abbiamo fin qui parlato, la legge prevede infatti l’applicazione del 4 per cento sull’imponibile già iscritto a ruolo per l’anno 1947 ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio. Tale imponibile deriva, com’è noto, da quello ordinariamente accertato sulla base dei valori del periodo prebellico moltiplicato per 10. Praticamente, quindi, un ettaro di terreno che con riferimento al periodo prebellico fosse stato valutato in lire 15.000, risulterà inscritto nei ruoli 1947 per lire 150.000 e pagherà quindi al 4 per cento lire 6000.

Da molte parti d’Italia in queste ultime settimane si è alzata la protesta dei piccoli proprietari di terre e di case contro questa imposta.

Protesta pacifica senza manifestazioni inconsulte e ricattatorie di piazza.

I piccoli proprietari hanno protestato, ma hanno incominciato a pagare la prima rata, perché in loro è profondo il senso del dovere verso la patria, ma anche perché credono ancora nella giustizia e sono sicuri che il Governo e la Costituente accoglieranno la loro giusta richiesta di attenuare il sacrificio imposto dalla patrimoniale proporzionale.

Senza arrivare alla sospensione delle riscossioni, come vorrebbero alcuni, poiché ben conosciamo quali potrebbero essere le conseguenze per il bilancio dello Stato, e poiché si riconosce la difficoltà di far luogo a una vera e propria esenzione soggettiva, che implica l’accertamento preventivo dell’entità del patrimonio di ciascun soggetto, ritengo che si possa suggerire la concessione di uno sgravio parziale del 50 per cento collegato con l’imposta progressiva.

Si potrebbe cioè stabilire che i contribuenti che non risultassero assoggettabili all’imposta progressiva, perché il patrimonio non raggiunge il minimo di cui all’articolo 1, avranno diritto allo sgravio del 50 per cento dell’imposta patrimoniale gravante sul cespite immobiliare.

Dato poi che i contribuenti non potranno godere dello sgravio nelle prime rate, è necessario una maggior diluizione dei pagamenti.

Occorrerebbe stabilire che le partite di imposta inferiori a lire 30.000 verranno riscosse entro il 1950 e quelle comprese tra le 30.000 e le 60.000 entro il 1949.

Ciò ha particolare importanza per i piccoli proprietari e affittuari coltivatori diretti che non sono assolutamente in grado di pagare l’imposta entro il 1948 e sarebbero costretti ad alienare i fondi o quanto meno a privarsi dei mezzi finanziari occorrenti per la coltivazione, con gravissima iattura per la produzione agricola e per la stessa tranquillità sociale del Paese.

Lo Stato non verrebbe a perdere nulla con la dilazione richiesta trattandosi solo di questioni di cassa. D’altro canto, la rapida riscossione delle partite maggiori (che spesso vengono anche riscattate) renderebbe meno sensibile e facilmente tollerabile il ritardo nell’affluenza alle casse erariali delle partite minori.

E qui presento due emendamenti:

«All’articolo 68 aggiungere: I contribuenti che non risulteranno assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1 avranno diritto allo sgravio del 50 per cento dell’imposta proporzionale gravante sui cespiti immobiliari. Lo sgravio è accordato su domanda della parte».

«All’articolo 72 aggiungere: «Le partite di imposta inferiore a lire 30.000 verranno riscosse entro il 1950 e quelle comprese fra le lire 30.000 e lire 60.000 entro il 1949».

Le osservazioni e le richieste da me fatte hanno un solo scopo: tutelare quella piccola proprietà che tutti i partiti, dico tutti i partiti, nei loro programmi hanno detto di voler difendere e potenziare. Non dimentichiamo che questa piccola proprietà è quasi sempre frutto di lavoro, di sacrifici, di sudore. Non dimentichiamo che questa piccola proprietà è garanzia di ordine sociale. Non dimentichiamo ancora che questa piccola proprietà sarà per l’Italia baluardo per la difesa della libertà di tutti i cittadini. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Vicentini. Ne ha facoltà.

VICENTINI. Onorevoli colleghi! Il progetto che stiamo esaminando deve essere considerato nel clima delle preoccupazioni di ordine finanziario che l’Assemblea Costituente, la Commissione di finanza ed il Paese hanno vissuto nei mesi scorsi. Prescindere da esso, come talvolta è accaduto nell’esposizione di qualche oratore, significa dimenticare lo stato di assoluta necessità che ha determinato il provvedimento ed il fine che con lo stesso si intende raggiungere.

Qualche mese fa tutti eravamo pensosi davanti al ritmo incalzante verso l’alto delle quotazioni dei titoli azionari e dei cambi, alla ascesa continua dei prezzi, in una parola di fronte a quelle manifestazioni palesi che potevano portare, con l’inflazione, il nostro Paese sulla via del disastro economico e del caos sociale. Allora si reclamava a gran voce, e da ogni settore dell’Assemblea, che si ponesse mano finalmente a quegli strumenti fiscali, ordinari e straordinari, ed a quella politica del credito, che, insieme, valessero ad infrenare la pericolosa discesa del residuo valore della nostra moneta.

Il progetto di legge che ci sta dinnanzi è uno dei provvedimenti reclamati e nell’esaminarlo non possiamo straniarci dalla considerazione delle condizioni della nostra finanza che lo hanno determinato ed imposto.

L’imposta straordinaria sul patrimonio rientra – e lo dice lo stesso aggettivo «straordinaria» – in quel complesso di provvedimenti che vanno sotto il nome di «Finanza straordinaria» volti a perseguire, in generale scopi di politica finanziaria antinflazionistica, ed in particolare ad offrire un importante contributo per rimarginare, almeno in parte, le falle paurose determinate dallo sforzo bellico nel bilancio dello Stato; a fornire all’Amministrazione pubblica i mezzi indispensabili per quella politica sociale che, se entra ormai in sempre maggior misura nell’azione di ogni Stato moderno, le vicende dell’immane conflitto hanno reso più urgente e più vasta.

Inoltre la «patrimoniale» rappresenta un necessario correttivo di giustizia distributiva del carico tributario. Durante il periodo nel quale si compie lo sforzo finanziario dovuto alle necessità belliche è molto difficile, per non dire impossibile, allo Stato di mantenere alle imposte dirette quella importanza nelle entrate che esse hanno nei tempi normali. E da ciò deriva quello squilibrio tra imposte dirette ed indirette che abbiamo constatato nel bilancio dell’Amministrazione pubblica. L’azione fiscale nel campo dell’imposizione diretta non può seguire il ritmo dello sviluppo della spesa e questa deficienza viene surrogata col ricorso all’imposizione indiretta che, come tutti sappiamo, è la più ingiusta. Il ricorso all’imposizione straordinaria sul patrimonio vuol essere considerato quindi anche come correttivo di questo squilibrio ed è per questa considerazione che mi pare di trovare nei varî aspetti delle motivazioni che giustificano il tributo al nostro esame, la dimostrazione della veridicità e dell’attualità della definizione che l’Hobbes dava dei tributi: partecipazione dei cittadini ai benefici della pace pubblica. Soltanto se lo Stato avrà i mezzi necessari per fronteggiare gli immani problemi della ricostruzione ed i gravi doveri sociali, il nostro Paese potrà infatti guardare con fiducia al proprio avvenire e vedere attuata quella pace pubblica che è e deve essere bene agognato da tutti.

Ciò premesso, in questo mio intervento mi limiterò a mettere in evidenza come il canone della giustizia distributiva del carico tributario anche in quest’imposta sia stato rispettato.

Consideriamo innanzi tutto l’imposta nei confronti dei soggetti chiamati a contributo. L’articolo 2 del disegno di legge dice: «Sono soggette all’imposta straordinaria le persone fisiche». Si tratta quindi di un’imposta personale che per il carattere progressivo delle aliquote non può confondersi con le imposte reali. Da alcuni si è voluto vedere in questo una limitazione del campo di applicazione e si è reclamata l’estensione del tributo sia pure con aliquote differenti e più attenuate, agli enti collettivi. Io sono uno di quelli che sin dall’inizio in seno alla Commissione finanze e tesoro ha messo la pregiudiziale della ingiustizia della doppia tassazione. Allo stato attuale della concezione dell’imposizione tributaria non è sostenibile la tesi che l’assoggettamento a tributo, per lo stesso titolo, del patrimonio posseduto dai partecipanti e di quello dell’ente dagli stessi costituito, non rappresenti una doppia imposizione. Giustizia vuole che il patrimonio venga colpito una volta sola e l’imposta straordinaria progressiva, pur limitata alle persone fisiche, mi sembra la più idonea e la più giusta.

Passiamo ora all’oggetto dell’imposta. Anche qui si è detto che il tributo grava di più la proprietà immobiliare di quella mobiliare. Mi permetto di far osservare che anche questa affermazione non risponde alla realtà delle cose. La proprietà immobiliare, lo sappiamo, è stata l’eroina della nostra finanza. Il pareggio del bilancio in tempi lontani ed i maggiori gravami sono sempre stati sopportati da essa. Però, dobbiamo anche dire che a quell’epoca era quasi sconosciuta nel nostro Paese la proprietà mobiliare.

Non è assolutamente vero che la proprietà immobiliare, agli effetti del disegno di legge sull’imposta straordinaria sul patrimonio, sia trattata in modo più drastico della proprietà mobiliare. E questo lo dico perché mentre il progetto prevede per la proprietà immobiliare una valutazione basata sulla media dei valori dell’anno 1946, per la valutazione della proprietà mobiliare, e primi tra essa la grande massa dei titoli azionari, la valutazione è ristretta ai valori correnti tra l’ultimo trimestre dell’anno 1946 ed il primo trimestre del 1947. Basta osservare le curve dell’andamento dei valori dei titoli quotati in Borsa, per rendersi conto come precisamente quel semestre corrisponda alle massime valutazioni dei titoli influenzate, non dimentichiamolo, anche dalla trista vicenda della sfiducia nella stabilità del potere di acquisto della nostra moneta.

Nella valutazione delle due categorie di beni patrimoniali vengono quindi considerati due periodi sostanzialmente diversi: nella valutazione dei beni mobiliari abbiamo una base che si avvicina alle punte massime, mentre per quanto riguarda la valutazione della proprietà immobiliare, stabilita sulla media dell’intero anno 1946, abbiamo indubbiamente una base molto più bassa. Non solo, ma mentre le quotazioni di Borsa rappresentano i valori quotidiani di mercato, la valutazione dei beni immobiliari è affidata alla Commissione centrale censuaria la quale, nei suoi criteri costitutivi ha quella prudenza che fa sì che la proprietà immobiliare non sia chiamata a rispondere per quelle valutazioni che possono essere state determinate da transitori periodi di emergenza. E quando dico proprietà immobiliare intendo naturalmente di riferirmi anche ai fabbricati, per i quali le valutazioni della predetta Commissione non possono prescindere dalla considerazione dei vincoli che su essi tuttora gravano.

Una dimostrazione del mio assunto la prendo da due indici i quali, se non si riferiscono direttamente e totalmente alla proprietà immobiliare, tuttavia, trattandosi di aziende agricole e aziende immobiliari che hanno i titoli quotati in Borsa, possono dare con sufficiente approssimazione la conferma della mia affermazione.

Fatti uguale a cento i valori del 1938 delle azioni quotate in Borsa delle aziende agricole, il numero indice degli stessi per il 1946 è di 927, mentre lo stesso indice per il mese di marzo 1947 si è elevato a 2493. Se, anziché prendere a base la media dei valori del 1946, la valutazione si fosse ristretta allo stesso limitato periodo stabilito per i titoli azionari, l’imposizione sarebbe stata indubbiamente più gravosa. E lo stesso sarebbe accaduto per le imprese immobiliari l’indice medio dei valori delle quali, per l’anno 1946, è di 936 in confronto di quello del marzo 1947 che è di lire 2605.

Sempre per quanto riguarda la proprietà mobiliare, vi è la grande incognita della tassazione dei titoli azionari non quotati in Borsa. Ma anche qui non bisogna dimenticare che il progetto prevede che la valutazione di tali titoli venga fatta sulla base dei valori che saranno stabiliti per l’imposta di negoziazione per l’anno 1947, dopo che si sarà proceduto alla riforma dei Comitati di borsa. A questo riguardo devo ricordare che, siccome ho accennato alla riforma di questi Comitati anche nell’intervento che ho fatto in sede di discussione generale relativa alla esposizione finanziaria fatta dal Presidente del Consiglio, e per questo fatto mi sono visto attaccare da un giornale finanziario che è sorto a difesa degli attuali Comitati di borsa, i quali, diceva il giornale, hanno sempre agito secondo obiettività, debbo dichiarare che non ho mai inteso mettere comunque in dubbio l’obiettività degli attuali Comitati di borsa, ma che ho inteso soltanto affermare la necessità che dato il preminente interesse della finanza statale in rapporto all’imposta straordinaria sul patrimonio, era opportuno che i membri rappresentanti l’Amministrazione fossero in numero preminente. Si è detto ancora che l’imposta straordinaria sul patrimonio incide specialmente sui patrimoni minori. Anche questo non risponde a verità. La Commissione di finanza, preoccupata di mantenere il rendimento dell’imposta sulla quale è principalmente fondato il risanamento della nostra pubblica finanza, ha inasprito le aliquote aumentandone la progressività tenendo ferma la base dei tre milioni, concedendo un abbattimento alla base di due milioni ed una detrazione per i carichi di famiglia che indubbiamente vanno a beneficio della grande massa dei piccoli e medi proprietari.

E Stato detto, e mi consenta l’onorevole Scoccimarro una cortese polemica, che con questo progetto è la piccola proprietà che ne va di mezzo. Non ricorda l’onorevole Scoccimarro che il progetto da lui predisposto e del quale dava notizia in una intervista concessa al giornale L’Unità il 17 dello scorso mese di gennaio, prevedeva la tassazione dei patrimoni a partire dai due milioni in luogo dei tre, con un’aliquota del 10 per cento in luogo del 6 per cento, senza alcun abbattimento alla base e senza alcuna detrazione per i carichi di famiglia?

SCOCCIMARRO. Perdoni, onorevole Vicentini, un chiarimento: il mio accenno si riferisce alla proporzionale.

VICENTINI. Della proporzionale parlerò dopo.

Se c’è stata una preoccupazione per i medi e piccoli patrimoni, questa preoccupazione è sintetizzata dal disegno di legge e dall’opera che ha svolto la Commissione finanze e tesoro, la quale ha dovuto però anche tener ferma la considerazione delle necessità del tributo straordinario.

Ancora per quanto riguarda la tassazione della ricchezza mobiliare si è accennato ai depositi bancari e qui ritorna alla ribalta il problema ormai famoso del cambio della moneta. Che non sia stato fatto è indubbiamente un male. Dobbiamo dire però che mentre nel 1946 eravamo tutti concordi sulla necessità del provvedimento, ad eccezione forse del solo Ministro del tesoro, per avere una base più sicura di perequazione dei carichi tributari che il Paese doveva imporre ai cittadini, nel 1947 le posizioni sono mutate. L’onorevole Scoccimarro nella intervista del 17 gennaio 1947 così si esprimeva: «Ormai il cambio della moneta non è più essenziale, esso sarebbe andato bene se fatto a suo tempo; mentre oggi non è forse più un argomento assolutamente necessario nei confronti di quello che è e deve essere il piano finanziario della nostra ricostruzione». Non è colpa nostra quindi se si è determinata la rottura di quel fronte politico sul quale poggiavano coloro che ritenevano assolutamente indispensabile il cambio della moneta ai fini di una maggiore giustizia distributiva del carico tributario.

SCOCCIMARRO. Io sono stato sempre favorevole, anche quando scrivevo ciò che lei ha ricordato. Si tratta di un problema di onestà. Vuol dire che alla fine del 1946 ritenevo giusto così. Lo farei anche oggi.

VICENTINI. Prendo atto della sua dichiarazione.

Con lo stesso senso realistico col quale si è voluto considerare nel tempo il problema del cambio della moneta, io prego oggi di voler guardare quello della tassazione dei depositi bancari. Colpire i depositi presso le banche, senza aver proceduto al cambio della moneta, sarebbe una grave ingiustizia verso coloro che, anziché tesaurizzare la valuta, l’hanno depositata alle banche ed hanno consentito alle stesse, attraverso il credito, di finanziare le iniziative volte alla ricostituzione della nostra attività economica. La tassazione dei depositi fiduciari potrebbe essere fatta in persona del proprietario, ma questo porterebbe necessariamente ad infrangere il principio del segreto bancario, oppure dovrebbe essere fatta indiscriminatamente su tutti i depositi con aliquota proporzionale.

In questo secondo caso si realizzerebbe una grave ingiustizia, perché è bene sapere che non siamo nel vero quando, considerando i depositi bancari, noi vediamo sempre dietro ai libretti di deposito bancario la figura del capitalista. Basta prendere il numero dei libretti in circolazione nei singoli Istituti e mettere in rapporto l’ammontare totale dei depositi per conoscere come la media delle somme inscritte in ciascun libretto non superi le 50.000 lire.

Permettetemi, onorevoli colleghi, di dare un altro elemento che giustifica e direi quasi qualifica la composizione dei depositi bancari. Essi si distinguono in due categorie: liberi e vincolati. Dalla nomenclatura noi potremmo ritenere che quelli vincolati sono stabili e sono quelli sui quali la banca può contare, mentre per gli altri essa può essere chiamata giornalmente a rifondere le somme inscritte. L’esame statistico della vita media di un libretto di risparmio libero e di risparmio vincolato dà questi risultati: la vita media di un libretto di risparmio libero si avvicina ai tre anni, mentre quella di risparmio vincolato non raggiunge l’anno. Quindi quel risparmio che noi in gran parte consideriamo come appartenente a classi capitalistiche è invece quello che rappresenta la modesta previdenza delle classi minori.

Procedendo alla tassazione in persona del proprietario si introdurrebbe invece la violazione di un principio che ha sin qui protetto tutta l’attività delle banche.

Violare oggi il segreto bancario equivarrebbe a togliere la fiducia dei depositanti nelle banche e determinerebbe indubbiamente una fuga di capitali depositati che potrebbe compromettere con la stabilità monetaria l’opera ricostruttiva in atto della nostra economia.

Per quelle stesse considerazioni per le quali ad un certo momento il cambio delle moneta non è stato più ritenuto essenziale, ritengo che oggi non si possa assolutamente parlare di tassazione dei depositi fiduciari. Le conseguenze di una tale determinazione non potrebbero non essere disastrose.

Passiamo all’imposta proporzionale.

L’imposta proporzionale non è altro che il riscatto dell’imposta ordinaria sul patrimonio prevista a suo tempo, e ne fa fede l’intervista citata dello stesso onorevole Scoccimarro, il quale allora affermava che con l’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio si poneva anche il problema del riscatto dell’imposta ordinaria sul patrimonio.

Questo è il secondo provvedimento che è appunto al nostro esame. Anche qui le considerazioni che sono state fatte non rispecchiano le reali incidenze del tributo. Sappiamo tutti che i valori presi a base per l’imposta sono quelli corrispondenti alla media delle valutazioni del triennio 1937-39 ai quali è stato applicato il coefficiente dieci per i terreni e cinque per i fabbricati.

Mi pare di aver così dimostrato come il disegno di legge proposto dal Governo non abbia violato i criteri di giustizia distributiva che ogni imposta deve avere come base.

Siamo tutti d’accordo che il contribuente italiano è chiamato a duri sacrifici. Però è bene che questa necessità assoluta ed inderogabile sia vista nel clima delle gravi difficoltà che il Paese attraversa e che anche da qui si levi una voce per dire a tutti coloro che sono chiamati al contributo che se è grande il sacrificio, d’altra parte lo scopo per cui il sacrificio è richiesto non è meno importante. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunciato.

È iscritto a parlare l’onorevole Mazzei. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

La discussione generale è così chiusa. Spetta ora di parlare all’onorevole Relatore e al Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Penso che l’importanza dell’argomento e la figura personale del Relatore potrebbero forse suggerire di rinviare a domani la chiusura della discussione, in modo che il Relatore possa parlare con maggiore comodità che non in questo scorcio di seduta; e ciò anche per dar modo al Governo di parlare dopo il Relatore. Infatti, se oggi parlasse il Relatore, probabilmente il Governo non sarebbe in grado di prendere la parola.

PRESIDENTE. Come l’Assemblea ha udito, il Ministro delle finanze propone di rinviare il seguito della discussione ad altra seduta, in modo che il Relatore e il Governo possano esprimere il loro parere.

Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Ministro delle finanze.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 11.45.

GIOVEDÌ 3 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXI.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 3 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

 

 

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Sostituzione di un Deputato:

Presidente                                                                                                        

Elezione contestata per la circoscrizione di Catania:

Presidente                                                                                                        

Grilli                                                                                                                

Giua                                                                                                                  

Bertini, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore                                     

Colitto                                                                                                             

Nobili Tito Oro                                                                                                

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Piccioni                                                                                                             

Micheli                                                                                                             

Cevolotto                                                                                                        

Giannini                                                                                                            

Persico                                                                                                             

Codignola                                                                                                        

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Caronia                                                                                                            

Mortati                                                                                                            

Colitto                                                                                                             

Caroleo                                                                                                           

Dominedò                                                                                                         

Gronchi                                                                                                            

Tosato                                                                                                              

Bozzi                                                                                                                 

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni e interpellanza con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Li Causi                                                                                                             

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo gli onorevoli Caldera, Fedeli Aldo, Pat, Pignatari, Gullo Fausto, Garbato.

(Sono concessi).

Sostituzione di un deputato.

PRESIDENTE. La Giunta delle elezioni, nella sua seduta odierna, ha preso atto delle dimissioni dell’onorevole Natoli Lamantea da deputato per il Collegio unico nazionale, accettate ieri dall’Assemblea Costituente, e ha deliberato di proporne la sostituzione col candidato Magrassi Eliseo Giovanni, primo nella graduatoria dei non eletti della stessa lista del Partito repubblicano italiano (IV), alla quale apparteneva il dimissionario.

Pongo ai voti questa proposta della Giunta.

(È approvata).

Si intende che da oggi decorre il termine di 20 giorni per la presentazione dei reclami eventuali.

Elezione contestata per la circoscrizione di Catania. (Doc. III, n. 5 e 5-bis).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Elezione contestata della circoscrizione di Catania (Giuseppe Lupis).

Sono state distribuite a tempo debito ai membri dell’Assemblea le due relazioni di maggioranza e di minoranza della Giunta delle elezioni.

La Giunta delle elezioni nella sua maggioranza propone «la proclamazione del candidato Sapienza Giuseppe a deputato della circoscrizione di Catania, col contemporaneo annullamento della proclamazione del contestato Lupis Giuseppe».

Dichiara aperta la discussione.

GRILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI. Vorrei sapere se parlerà soltanto il Presidente che ha redatto la relazione di maggioranza o se parlerà anche qualche rappresentante della relazione di minoranza.

PRESIDENTE. I relatori parlano attraverso la relazione. Gli altri componenti della Giunta non hanno nulla da aggiungere, suppongo. Lei, onorevole Grilli, ha qualche cosa da dire?

GRILLI. Io sono favorevole alla relazione di maggioranza.

PRESIDENTE. Vuol dire che, al momento della votazione, lo dirà con il suo voto.

GIUA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUA. Onorevoli colleghi, la questione di stabilire quale sia il candidato da proporre per la convalida delle elezioni della circoscrizione di Catania ha travagliato molto la Giunta delle elezioni, poiché mentre ordinariamente, nel giudizio della Giunta delle elezioni, si tratta di una questione di merito e quindi facilmente giudicabile, nel caso in esame la questione di merito si è trasformata – e si doveva trasformare – in caso politico. Si comprende quindi come l’onorevole Grilli, già in una precedente seduta, si fosse informato di quelli che erano i desiderata della Giunta delle elezioni e fosse andato ancora al di là nel chiedere informazioni su quelli che erano i lavori della Giunta delle elezioni nelle riunioni segrete.

Ora voi, onorevoli colleghi, qui trovate due relazioni, una del Presidente della Giunta delle elezioni che, in base al concetto numerico, vale a dire al concetto aritmetico, esaminando gli atti non di tutte le sezioni proposte per la verifica, ma di una parte di queste sezioni, giunge al risultato di attribuire un maggior numero di voti al candidato Sapienza, il primo dei non eletti dopo la proclamazione del candidato Lupis, appartenente al Partito socialista italiano.

Si tratta di risultati che non si possono mettere in dubbio, perché i dati dell’ufficio delle elezioni sono dati così esatti che nessuno di noi può metterli in dubbio.

Ed allora, per quale ragione io risulto firmatario di una relazione di minoranza? Per mettermi contro l’aritmetica? Evidentemente no. Evidentemente c’è un’altra ragione che mi ha spinto a presentare una relazione di minoranza, ma non per sostenere le ragioni di un candidato contro un altro. Lupis su Sapienza o Sapienza su Lupis: questo è un problema che non mi interessa. Qui l’Assemblea si trova non più dinanzi ad un problema di aritmetica e quindi di convalida in generale, ma dinanzi ad un problema politico. Qui l’Assemblea, e soprattutto coloro che non appartengono né al Partito socialista italiano né al nuovo Partito socialista che si è creato in seguito alla scissione, per la prima volta, sono chiamati a parteggiare per l’uno o per l’altro dei candidati perché la questione aritmetica è stata portata naturalmente, quasi inevitabilmente, sul piano politico. Se non fosse avvenuta la scissione del nostro Partito nel gennaio scorso, probabilmente non sarebbe apparsa questa questione. Ma, coloro che appartengono al Partito del candidato Sapienza, pongono il problema su di un piano politico, come l’ha posto su di un piano politico l’onorevole Saragat, optando per Roma, in maniera che risultasse eletto Lupis. Questo problema Saragat non l’avrebbe risolto, come l’ha risolto, se si fosse presentato a lui il problema non subito dopo le elezioni, ma a scissione avvenuta.

Quindi il problema è importante, e noi lo dobbiamo risolvere ponendoci su questo piano politico.

Io, onorevoli colleghi, voglio ricordarvi un fatto importante.

Nella vita politica italiana i partiti ormai hanno fatto il loro ingresso, e se anche non sono riconosciuti giuridicamente, lo sono praticamente. Anche il nostro illustre Presidente, che viene da un grande Partito, riconosce, nel funzionamento del Parlamento italiano, l’esistenza di questi partiti, ciò che non si può negare. Ora, se è vero questo fatto, e se giuridicamente i partiti non sono riconosciuti, di fatto esistono: quale sarebbe il diritto del nuovo partito, rispetto alla vacanza del posto, qualora non si volesse convalidare l’elezione dell’onorevole Lupis? Di avere un rappresentante di più; ma, evidentemente, i colleghi, per dare questo voto con coscienza, dovrebbero giudicare se il nuovo partito che aspira a questo posto ha avuto i voti sufficienti per avere effettivamente diritto a questa terza nomina. Questo è il problema, non facile da risolvere; perché, onorevoli colleghi, se vi ponete dal punto di vista del vecchio concetto politico, voi accettate il criterio del Presidente della Giunta delle elezioni, senza entrare in merito alla questione politica. Così giudicando, voi riuscite a riportare la situazione politica, e ciò vale non solo per l’Italia, ma per qualsiasi altra Nazione che si trovasse nelle stesse nostre condizioni, su di un piano artificioso, perché molti dei problemi politici, posti sul tappeto negli ultimi mesi, nella vita politica italiana, sono derivati dal fatto che, a causa della scissione del Partito socialista, si è creato un gruppo parlamentare che non risponde alle reali esigenze del Paese, perché non ha il seguito degli elettori che hanno dato vita al Partito socialista italiano di unità proletaria. (Approvazioni all’estrema sinistra).

Questa è la questione, che produce quella disfunzione organica e politica che si è già verificata nelle due ultime crisi di Governo, per la valorizzazione di questo nuovo Gruppo parlamentare. Ecco perché io mi fermo su due fatti. Il primo è che un concetto strettamente numerico non ha alcun valore per giudicare questa elezione contestata ed in base a questo fatto, esaminando i dati numerici, noi troviamo che al Partito socialista italiano compete di ricoprire il posto che sarebbe vacante, qualora non si convalidasse l’elezione di Lupis. Ma, poiché Lupis è per noi il candidato che ha avuto il maggior numero di voti, a lui compete la convalida di questo posto. A questa conclusione siamo giunti tenendo presente che nelle stesse elezioni regionali siciliane, nelle circoscrizioni che formano la circoscrizione elettorale di Catania, il candidato Sapienza ha avuto poche migliaia di voti di preferenza e così doveva essere, perché questa è la reale base elettorale del nuovo partito.

Ed allora giungo a questa conclusione, che è una conclusione che deriva dal fatto che i rappresentanti dei partiti nel Parlamento, sono in funzione della esistenza dei partiti stessi. Io non so se voi vi offenderete di una mia considerazione. Io, come socialista, non mi offendo e la faccio perché credo che molti altri colleghi non si offenderanno. Io non so che concetto abbiate della vostra importanza politica. Io arrivo a questa conclusione: l’importanza del rappresentante del Partito socialista qui nel Parlamento non dipende dal valore della persona, ma dal fatto della sua appartenenza al Partito socialista. Il giorno che questa persona, qualunque sia il suo valore, esca dal Partito socialista, essa si trova, dal punto di vista politico, in questa situazione: che i voti di preferenza svaniscono, che la sua posizione politica è nulla, perché essa conta unicamente come rappresentante di un partito.

Per le considerazioni generali che ho fatto, io credo perciò che, se si vuole rendere giustizia, se si vuole riportare la collaborazione politica, nell’interno del Parlamento, su un piano di vita normale, è necessario convalidare la elezione di Giuseppe Lupis, perché Lupis è il candidato del Partito socialista, al quale compete il posto.

Ma vi è un’altra questione, in via subordinata, che noi dobbiamo trattare. Nella seduta della Giunta delle elezioni del 26 marzo 1947, su mia proposta, si era pervenuti a questa decisione: esame di tutte le schede della circoscrizione di Catania. Per quale ragione era stata accettata da molti componenti della Giunta, anche della Democrazia cristiana, questa mia proposta? Era stata accettata perché il risultato dell’esame di alcune sezioni della circoscrizione di Catania non dava dati esatti. Procedendo a questo esame, la Giunta si è trovata di fronte al fatto caratteristico che nessun risultato delle varie sezioni esaminate era esatto: si avevano delle variazioni dei voti preferenziali tanto per Lupis quanto per Sapienza. In nessuna sezione si è avuto un risultato esatto. Ed allora, io mossi ai colleghi un dubbio della mia coscienza: se dall’esame di pochissime sezioni (una trentina) di Catania si verificano questi spostamenti numerici, non è pensabile che da un esame totale dei risultati delle sezioni della circoscrizione elettorale si possano avere dati che ci conducano veramente ad una decisione che non corrisponda anche al criterio vigente? La Giunta delle elezioni deliberò in tal senso, ed appunto in seguito alla decisione del 26 marzo 1947 si sarebbe dovuto procedere all’esame di tutte le schede della circoscrizione di Catania. Il Presidente della Giunta delle elezioni ha spiegato per quali ragioni, allora, egli ha creduto di non dare corso a questa deliberazione della Giunta. Si trattava di un lavoro che comportava almeno un mese di tempo. Si era allora alla vigilia della scadenza della Costituente. Si pensava, quindi, che la Giunta delle elezioni, iniziando questo lavoro, lo avrebbe terminato alla vigilia o addirittura dopo la chiusura della Costituente. Il Presidente della Giunta delle elezioni, non avendo condotto a termine il lavoro nel tempo indicato, ci riporta dinanzi allo stesso problema. Vale a dire che oggi, dopo che la Costituente è prorogata, la Giunta delle elezioni non si trova più di fronte ad un problema di giudizio sommario, come sarebbe quello a cui è stata condotta in precedenza, perché la Giunta ha ora tutto il tempo di procedere all’esame di tutte le schede della circoscrizione di Catania, mentre, se voi oggi accettate la relazione del Presidente della Giunta delle elezioni, date un giudizio sommario o parziale, e questo non deve essere, perché noi abbiamo tutto il tempo per accertare se un candidato ha avuto più voti dell’altro.

Io propongo pertanto che sia rinviato alla Giunta delle elezioni il riesame della elezione contestata al Lupis, per procedere, in base alla delibera della Giunta stessa nella seduta del 26 marzo 1946, al riesame di tutte le schede della circoscrizione di Catania.

Così facendo, onorevoli colleghi, credo che ci si ponga anche al di sopra di quel problema politico a cui ho accennato e si possa dare un giudizio con maggiore fondatezza. Con il riesame di tutte le schede della circoscrizione di Catania, voi potrete dare un giudizio esatto, ed è questo che noi chiediamo alla maggioranza della Costituente. (Applausi).

GRILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI. Onorevoli colleghi, se un appunto si può muovere alla Giunta delle elezioni, appunto naturalmente amichevole, senza rancore, è questo: che la Giunta delle elezioni ha impiegato un po’ troppo tempo per arrivare alla conclusione di questa controversia, la qual cosa ha determinato questo inconveniente, che il candidato legalmente eletto dagli elettori di Catania è rimasto per più di un anno fuori di questa Assemblea, mentre il candidato proclamato per errore ha tenuto in questa Assemblea un seggio che non gli spettava. Che, se per caso l’Assemblea Costituente non si fosse prorogata fino al 31 dicembre, oggi questo libro sarebbe chiuso e Catania non riuscirebbe mai a sapere quale è stato il suo legittimo rappresentante.

La questione, onorevoli colleghi, non è politica, la questione politica l’ha fabbricata all’ultimo momento la fantasia dell’onorevole Giua. La questione è giuridica ed è nei termini strettamente giuridici che intendo impostare questo mio intervento. E, d’altra parte, la stessa relazione di minoranza non fa che delle eccezioni di carattere prettamente giuridico, direi quasi procedurale, sicché guarderò brevissimamente queste eccezioni, che, a parer mio, non hanno alcun fondamento.

Si dice, prima di tutto – e questa eccezione, sebbene contenuta in una postilla, nell’ultima parte della relazione, è pregiudiziale – che il ricorso del candidato Sapienza sarebbe intempestivo per questi due motivi: perché Sapienza avrebbe fatto un primo ricorso, prima della proclamazione Lupis e un secondo ricorso alla Giunta delle elezioni, dopo il ventesimo giorno dalla proclamazione Lupis; sicché il primo ricorso sarebbe stato fatto troppo presto e il secondo sarebbe stato fatto, troppo tardi; tutti e due intempestivi.

Ora, io osservo che l’articolo 65 della legge per la elezione della Costituente stabilisce due forme di ricorso: il primo è il reclamo che si può fare alle Sezioni o all’Ufficio centrale, finché dura la loro attività e anche posteriormente; il secondo è quello che si può presentare, se non si è fatto il primo alle Sezioni o all’Ufficio centrale, alla Segreteria della Presidenza dell’Assemblea Costituente.

Ora, se è vero che il candidato Sapienza ha presentato il secondo ricorso alla Giunta delle elezioni dopo il ventesimo giorno dalla proclamazione Lupis, è vero però anche che ha presentato regolarmente il primo ricorso all’ufficio centrale il 21 giugno, ossia nei termini di legge. Per modo che il libello introduttivo di questa controversia è il reclamo del 21 giugno, presentato all’Ufficio centrale. Il reclamo posteriore, che è uguale a quello del 21 giugno, presentato alla Giunta delle elezioni, non è più il libello introduttivo del giudizio, è un di più, tanto vero che il Presidente della Giunta delle elezioni l’ha chiamato «suppletivo». È una specie di avviso che la parte interessata ha dato alla Giunta delle elezioni dell’esistenza di questa controversia. Perciò la controversia è legalmente aperta e l’Assemblea Costituente è investita del giudizio.

Seconda eccezione; può l’Assemblea Costituente, esauritosi il suo normale ciclo vitale, procedere alla sostituzione dei suoi membri?

Certo, se l’Assemblea Costituente fosse terminata il 24 giugno, non c’è dubbio che della cosa non si parlerebbe più e si sarebbe verificato quell’inconveniente cui dianzi accennavo; ma siccome l’Assemblea si è prorogata, il suo ciclo vitale esiste ancora e può decidere. Però la relazione di minoranza sostiene che, trascorso un anno dalle elezioni, non è più possibile nessuna sostituzione di candidati; e, per sostenere questa assurdissima tesi, invoca la legge elettorale del 1919.

Noi potremmo dare a tale obiezione una risposta che, come suol dirsi, taglia la testa al toro: che noi cioè siamo regolati dalla legge del 10 marzo 1946 e non già da quella del 1919. Ed infatti, proprio pochi momenti fa, si è proceduto alla sostituzione del Magrassi al dimissionario Natoli Lamantea. Ma anche se, comunque, un riferimento a questa legge del 1919 si potesse fare, magari per un criterio di analogia, io osservo subito che questo riferimento è errato. È errato, perché la legge del 1919 – e lo ricordo ai giovani, perché gli anziani e specialmente quelli che furono deputati nel 1919 la conoscono meglio di me – aveva un articolo, il 103, il quale stabiliva che se un deputato optava per uno dei due Collegi in cui era stato eventualmente eletto, o se era sorteggiato per la mancata opzione, o se l’elezione veniva annullata perché il deputato aveva accettato più di due candidature, oppure se un deputato veniva a morire prima delle elezioni, ossia durante il periodo della lotta elettorale, il posto vacante veniva allora colmato con il primo dei non eletti.

Venne poi successivamente una legge, quella del 26 settembre 1920, la quale modificava questo articolo 103, aggiungendo ai casi che ho indicati anche quello del deputato che fosse morto entro un anno dall’elezione. Si creò così la figura degli aspiranti deputati, i quali potevano diventare deputati per successione, se uno dei deputati eletti avesse fatto loro la cortesia di morire entro l’anno.

Dunque, questo termine di un anno, non è che fosse posto come il limite di tempo per la sostituzione dei candidati; era posto come condizione della morte del deputato, perché si potesse procedere alla sostituzione col primo dei non eletti, anziché procedere alla riconvocazione del Collegio. Dunque, nemmeno la legge del 1919 aveva quel limite invocato dalla relazione di minoranza.

Se un termine ai lavori della Giunta c’è, è, se mai, quello dell’articolo 18 del Regolamento della Giunta, ma questo termine è di un anno e mezzo e l’anno e mezzo non è ancora spirato. D’altra parte, se la tesi della relazione di minoranza fosse giusta, si arriverebbe a questo assurdo, che, ove la Giunta delle elezioni, per qualsiasi motivo, magari per le arti defatigatorie dei litiganti, non riuscisse a condurre a termine il suo lavoro entro l’anno, ricandidato proclamato per errore acquisterebbe di diritto la carica per una specie di prescrizione acquisitiva, di usucapione applicata al diritto elettorale.

Questa tesi è tanto assurda che non c’è davvero bisogno di dimostrarne l’infondatezza. Ma v’è una terza eccezione: la violazione cioè dell’articolo 23 del Regolamento della Camera, perché la seduta del 7 giugno della Giunta delle elezioni sarebbe stata indetta, senza che tra l’affissione dell’avviso di convocazione e il giorno della seduta fossero trascorsi i tre giorni stabiliti dall’articolo 23. Ma io vi faccio osservare, egregi colleghi, che questo termine di tre giorni – e sappiano i relatori di minoranza, per un’eventuale loro prossima futura relazione, che il termine non è di tre giorni, ma di dieci – questo termine di 3 giorni dell’articolo 23 del Regolamento della Camera, che poi è diventato di dieci giorni per il successivo regolamento della Giunta delle elezioni che è posteriore, è richiesto soltanto ed esclusivamente per la seduta pubblica, per quella seduta pubblica di contestazione di cui parla l’articolo 23 del Regolamento della Camera e alla quale si riferisce l’articolo 11 del regolamento della Giunta delle elezioni; per quella seduta pubblica nella quale le parti sono ammesse a discutere, per quella seduta pubblica nella quale si contesta l’elezione e le parti possono produrre documenti, presentare deduzioni e sostenere le loro ragioni.

Ma questo è avvenuto, signori, perché la seduta pubblica fu quella del 22 maggio e fu fatta regolarissimamente, col rispetto dei dieci giorni e di tutte le altre formalità di rito.

L’articolo 14 del regolamento della Giunta stabilisce che, terminata la seduta pubblica, cioè dopo la discussione delle parti (la seduta pubblica, e quindi la fase contestativa, è terminata) la Giunta, in seduta privata, decida, prenda le sue conclusioni.

In questo caso la Giunta delle elezioni che cosa avrebbe potuto fare? Avrebbe potuto prendere i dati che risultavano e che non erano più discutibili, e cioè che il Lupis aveva 141 voti in meno del Sapienza, e senz’altro annullare la proclamazione del Lupis e proclamare eletto il Sapienza.

La Giunta delle elezioni aveva fatto un lavoro di Sisifo, aveva fatto quattro indagini, egregi colleghi. Con la prima indagine aveva trovato che i 13 voti, che secondo l’ufficio centrale della circoscrizione erano a favore del Lupis contro il Sapienza, erano divenuti invece 4 voti a favore del Sapienza; dopo una seconda indagine, la differenza a favore del Sapienza salì a 182 voti; dopo una terza indagine scese a 151; dopo una quarta indagine rimase a 139.

Nonostante tutto questo, e nonostante che nessuno potesse discutere la regolarità di questo conteggio, la Giunta delle elezioni, per uno scrupolo che le fa onore e nell’intento di accedere alle richieste del candidato Lupis, nominò una Commissione inquirente alla quale dette un incarico preciso. E l’incarico era questo: indagare tutte le schede nulle e contestate di Catania.

I limiti di questa indagine furono proposti dall’onorevole Rubilli, che ebbe il voto favorevole degli onorevoli Musotto e Nobili Tito Oro, che sono fra i firmatari della relazione di minoranza.

Questo Comitato ha fatto le sue indagini, e niente di meno ha esaminato 88.000 e più schede, ed è venuto a questo risultato: che il Lupis aveva diritto ad altri 12 voti, il Sapienza aveva diritto ad altri 14 voti, sicché i voti a favore del Sapienza aumentavano di due.

Il Comitato presentò la sua relazione alla Giunta delle elezioni nella sua prima riunione, che fu quella del 7 giugno. E che cosa doveva fare la Giunta delle elezioni? Non doveva fare altro che una semplice operazione aritmetica e vedere se 139 più 2 fa 141.

Si sostiene, dai relatori di minoranza, che si sarebbe dovuta riconvocare la seduta pubblica. E questo è un errore. Si invoca la procedura civile; ma, dal momento che abbiamo una procedura speciale, è questa che conta.

La seduta pubblica si era esaurita il 22 di maggio. Le parti avevano avuto il loro tempo per presentare tutte le deduzioni e muovere tutte le eccezioni, il che fu fatto. Dopo di allora non era più ammessa nessuna difesa. La Giunta delle elezioni, il 7 giugno, si trovava a continuare quella seduta privata che è prevista dall’ultima parte dell’articolo 14, ed in questa seduta privata pervenne alle conclusioni che voi sapete.

Che, se per caso fosse giusta la tesi dei relatori di minoranza, che cioè, tutte le volta che un Comitato inquirente o qualsiasi altro Comitato, per scrupolo dalla Giunta delle elezioni, porti dei dati nuovi, si dovesse riconvocare la seduta pubblica e riammettere le parti alla discussione e a nuove deduzioni, voi capite che non si finirebbe più e sarebbe stato facile, in questo modo, arrivare fino a Natale ed allora, il candidato eletto Sapienza, sarebbe potuto venire a Montecitorio nel 1948 a portare un fiore sulla tomba dell’Assemblea Costituente.

Se dunque questa tesi che pretendono di sostenere gli avversari, cioè di riprendere la seduta pubblica tutte le volte che vi è una novità, fosse giusta, questo non sarebbe più un giudizio, sarebbe quello che i ragazzi della mia Toscana chiamano la «novella dello stento», che non finisce più.

Come vedete, le eccezioni di carattere giuridico che sono state mosse, non hanno nessuna importanza. Io non mi soffermo a discutere la nuova tesi di sapore politico che è stata presentata oggi dall’onorevole Giua. Egli pretende che ormai gli elettori di Catania siano più favorevoli al Partito socialista italiano che non al Partito socialista dei lavoratori italiani e pretende che ad occupare il seggio rimasto vacante per l’opzione di Saragat, invece di Sapienza, si debba chiamare uno dei candidati che appartengono al Partito socialista italiano. (Interruzioni a sinistra). Nelle ultime elezioni il Partito socialista italiano ha avuto forse più voti del Partito socialista dei lavoratori italiani? Mistero questo! È mistero per colpa vostra (Accenna a sinistra) perché voi avete fatto il blocco con i comunisti. Ora noi non sappiamo quanti dei voti che vi hanno favorito siano i voti vostri o dei vostri alleati comunisti. Comunque, voi parlate di preferenze. Ebbene, io dico: siccome qui si discute fra Sapienza e Lupis, Lupis fu candidato del Partito socialista italiano? Non mi risulta. Credo di no. Ed allora è mancata la competizione che potesse far misurare quale di questi due contendenti abbia maggiore credito e fiducia negli elettori di Catania. La lista del 2 giugno era del Partito socialista di unità proletaria. Oggi l’Assemblea Costituente deve vedere chi è della lista socialista di Unità proletaria il quarto candidato in graduatoria ossia il primo dei non eletti per sostituirlo all’onorevole Saragat. Il candidato Sapienza ricorse contro l’Ufficio centrale sostenendo che il quarto posto spettava a lui. L’Ufficio centrale lo assegnò erroneamente a Lupis, e la Giunta delle elezioni proclamò Lupis per questo errore. Oggi si è scoperto che il quarto posto spetta a Sapienza e perciò Sapienza soltanto ha diritto di essere deputato.

Io ho finito, egregi colleghi. Mentre auguro che nelle prossime Assemblee legislative e la Giunta delle elezioni lavori con una maggiore rapidità, a nome mio e dei miei compagni di Gruppo, saluto in Giuseppe Sapienza, il nuovo deputato di Catania. (Applausi).

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Io, come Relatore e come Presidente della Giunta, credo di avere il diritto di rispondere a tutti gli oratori.

DUGONI. Il difensore di ufficio.

PRESIDENTE. Senza dubbio: lei risponderà quando avranno parlato tutti.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Ho domandato di parlare, perché, dovendo anch’io dare il mio voto, desidero darlo con tranquilla coscienza. All’uopo occorre che i Relatori diano chiarimenti, che giovino a questo scopo. A me non sembrano fondate le eccezioni di rito, che sono state hinc inde sollevate. Non mi sembrano, altresì, fondate le eccezioni che, con parole suggestive, sono state formulate dall’onorevole Giua, perché la questione non può essere risolta, a mio sommesso avviso, da un punto di vista politico, sì bene da un punto di vista strettamente giuridico, alla parola della legge dovendo noi rimanere aderenti. Io, però, sono rimasto perplesso di fronte alle asserzioni, che ho letto nella relazione di maggioranza. Se ho ben inteso, nella seduta del 26 marzo 1947, la Giunta prese una precisa deliberazione. Deliberò, cioè, di richiamare presso di sé tutte le schede valide da tutte le numerose sezioni costituenti la circoscrizione elettorale allo scopo di eseguire opportune verifiche. Ora io dico a me stesso: «Bene o male, la Giunta convalidò l’elezione del candidato Lupis» Sarà caduta in errore, non sarà caduta in errore: la Giunta convalidò…

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Lei è fuori strada!

NASI. Proclamò!

COLITTO. Ho sentito poco fa dire dall’onorevole Grilli che, per errore, al posto del Sapienza, era entrato nell’Assemblea il Lupis. Ora, si qualifichi questa decisione, questa deliberazione della Giunta, col termine tecnico che si vuole, ma insomma il Lupis è entrato nell’Assemblea e non vi è entrato il Sapienza. Che cosa deve fare oggi l’Assemblea Costituente? Deve prendere una deliberazione, con la quale dica che si annulla l’elezione del candidato Lupis ed al suo posto si proclama il Sapienza. Ora, ritornando a quello che ho detto poco fa, la Giunta delle elezioni il 26 marzo 1947 deliberò di richiamare dalle varie sezioni della circoscrizione elettorale tutte le schede valide. Ma ha poi essa adempiuto a tale deliberazione?

A questo interrogativo la relazione di maggioranza risponde di no. Vi saranno state difficoltà di ordine pratico ed anche di ordine finanziario (leggo nella relazione che sarebbero stati necessari mezzi finanziari, che avrebbero dovuto essere forniti dal Ministero dell’interno); ma una cosa è certa: che la deliberazione della Giunta del 26 marzo 1947 non è stata poi eseguita.

Vi sono stati richiami di schede; ma la deliberazione non è stata certo, in toto, eseguita.

Ed allora, se l’Assemblea è chiamata a rispondere a questo interrogativo: «Si deve annullare la elezione di Lupis e porre, al posto di Lupis, Sapienza? Deve essere messo fuori da quest’Aula l’uno, perché sia introdotto l’altro?», la mia coscienza mi dice di non rispondere, mancando gli elementi per la risposta. Signori della Giunta, voi siete stati chiamati ad adempiere un mandato, ed avete stabilito di adempierlo in certo modo. Poi non l’avete adempiuto. Ed allora, io vi dico: «Completate quello che avete da completare; fate quello che avevate stabilito di fare e che non avete fatto ancora». L’Assemblea potrà così con più serena coscienza dare il proprio voto in un senso o nell’altro.

Ecco perché io propongo di soprassedere dalla decisione definitiva e che siano di nuovo restituiti gli atti alla Giunta delle elezioni. (Applausi a sinistra).

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Onorevoli colleghi, anzitutto abbiano i colleghi, i quali hanno parlato su questo argomento, a persuadersi che la Giunta delle elezioni, ed io, in particolare, non siamo abituati a scostarci dallo scrupolo della verità. Credo di aver dato prove continue della mia indipendenza; e, se anche i colleghi dissenzienti, al di fuori di questo episodio, volessero ricordarsi delle manifestazioni di concorde consenso, tributate alla mia opera ed a quella dei miei colleghi, sarebbero posti nella condizione di evitare frasi, le quali non possono che suonare poco rispettose per questa integrità di condotta della Giunta delle elezioni. (Approvazioni). Ora, il sentirmi dire che io devo parlare ultimo, perché sono il difensore, sembrerebbe che io dovessi essere il difensore d’ufficio.

DUGONI. C’è un malinteso.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Accetto la dichiarazione e passo oltre, perché ritengo rette e quindi obiettive anche le manifestazioni incidentali del pensiero. Avanti al dilemma posto dall’onorevole Giua, non posso consentire che la questione possa essere trasportata sul terreno politico. Si allude dall’onorevole Giua all’importanza preminente che oggi i partiti assumono nella impostazione della rappresentanza nazionale. Ed io riconosco questa necessità nuova, sulla quale, del resto, si basa anche l’opera di collaborazione o di dissenso che agita le nostre discussioni e determina i nostri voti.

Ma, signori, non posso arrivare fino al punto di tramutare la funzione della Giunta in una funzione politica, nel senso che debba giungere con i miei colleghi ad ammettere la proclamazione di un candidato, il quale, secondo gli accertamenti da noi fatti, non ha raggiunto la maggioranza numerica. Solo una ragione politica, che si desume dalle sorti nelle quali si è trovato il Gruppo del Partito socialista di unità proletaria al momento delle elezioni del giugno e dagli spostamenti che ne sono derivati, per gli effetti del dissidio intervenuto nel febbraio scorso, a scomporne la compagine, mi dovrebbe permettere di dire: io guardo all’una o all’altra parte di queste due frazioni dell’antico partito, perché si debba, secondo le opinioni del candidato dell’una parte o dell’altra in lotta, attribuire, per una ragione politica, la preminenza all’uno invece che all’altro. La nostra è una ricerca di verità, secondo i mezzi che abbiamo ed io dimostrerò anche all’onorevole Colitto che egli è caduto in un grosso equivoco, quando è andato al di là del senso vero e della portata di quella deliberazione, sulla quale ci tratterremo brevemente a discutere fra poco.

E non mi aspettavo, lo dico francamente, dall’onorevole Grilli il rimprovero di eccessiva lentezza nel compimento dei nostri lavori.

Se l’onorevole Grilli avesse posto un’attenzione maggiore a tutti i punti della mia relazione, avrebbe visto che do ampie spiegazioni sulla ragione che ha condotto a questa lentezza. Era già il Collegio di Catania logorato per il contrasto di molte liste e non si può neanche dimenticare che, all’infuori della lotta fra il candidato Sapienza e il candidato Lupis, la difficoltà maggiore nelle ricerche è stata creata dall’ufficio circoscrizionale di Catania, il quale ha fatto il riassunto dei voti in maniera manchevole, al punto da non tener conto, come si doveva, dei voti che risultavano in base ai moduli 5-bis.

Diciamo una parola della funzione a cui è destinato il modulo 5-bis. Si riassumono in esso i numeri dei voti di preferenza. Quindi ecco che, una volta stabilito, in base al modulo 5, quale sia il numero dei voti di lista accolto da ognuna delle liste, se vogliamo poi andare a fare il computo per stabilire la graduatoria dei singoli candidati, bisogna che aggiungiamo al voto di lista i voti preferenziali che sono da assegnare a ciascuno dei candidati.

Quando, giunti gli atti dell’elezione alla Segreteria dell’Assemblea, si notarono queste omissioni e soprattutto intervenne il candidato Sapienza con due ricorsi ad impugnare il conteggio compiuto dall’ufficio centrale, entrò in giuoco il compito affidato dal regolamento della Giunta e dalla legge elettorale all’ufficio di Segreteria di procedere alle verifiche, riesaminando il modulo 5, il modulo 5-bis e quegli altri elementi che potevano essere utilizzati, e fra questi anche quelli indicati dai ricorsi Sapienza. L’Ufficio di Segreteria ha compiuto questo lavoro di riesame fermandosi a un certo punto, e diremo ora quale.

Si è detto, nella relazione di minoranza che la Giunta ha avuto il torto di fermarsi troppo ai reclami e ai ricorsi del Sapienza, quasi che noi avessimo ridotto la nostra indagine soltanto alle indicazioni che il Sapienza ci forniva. Ciò è profondamente inesatto e non risponde a verità. Accanto ai ricorsi del Sapienza sono arrivati alla Giunta i ricorsi del Lupis. È vero che lo stesso Lupis, in lettere fatte pervenire alla Giunta, assume che egli, di questa questione di rettifica in ordine alle proclamazioni, non si è mai curato per molte ragioni, fra le quali quella politica, in quanto parrebbe – lo dico perché è stato scritto in questi documenti, non perché a me consti per altra via – che sarebbe stato imposto, quando il Partito era ancora nella sua unità, al Sapienza di non fare reclami in ordine alla contestata sua posizione per la graduatoria; ma è vero tutto ciò, oppure il Lupis si è reso conto per tempo della necessità di intervenire nel dibattito? Si comprende, da un altro lato, che, siccome le omissioni dell’ufficio centrale venivano a colpire soprattutto il posto di graduatoria del Sapienza, era naturale che il Sapienza fosse quello che si muovesse a far rettificare il posto nei confronti del Lupis, tanto più che la differenza a quell’epoca, trascritta dai risultati dell’Ufficio centrale, era di tredici voti fra la posizione dell’uno e la posizione dell’altro.

E, del resto, il Lupis aveva ogni ragione di fare l’indiano, perché se mai toccava agli altri di andare più o meno ad arrampicarsi nella revisione dei voti per portare in essere la vera maggioranza.

NOBILI TITO ORO. Macché indiano! Lei deve essere obiettivo!

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Lei è stato giudice nella Giunta ed ha il dovere di essere obiettivo come lo sono io, e non fare relazioni di minoranza le quali colpiscono non tanto me, che, francamente, sono abituato alle lotte, ma colpiscono l’intera Giunta e i lavori che la Giunta ha compiuto. Ecco qual è l’obiettività. (Rumori a sinistra). Siate almeno così obiettivi da lasciarmi parlare.

Dunque, quando è che si è mosso il Lupis ad interessarsi della questione? Il 7 settembre 1946 egli delegò a rappresentarlo dinanzi alla Giunta delle elezioni l’avvocato Sinibaldo Tino. Se questa data è inoppugnabile, vediamo un’altra lettera che il Lupis mandò alla Giunta quando ormai si era nel fervore delle indagini, 26 marzo 1947, nella quale spiega, in parte, il retroscena politico del dissidio.

«Il sottoscritto Lupis – egli scrive – aveva, a suo tempo dalla Direzione del proprio Partito e quando già era stato assunto al Governo, notato che contro la sua proclamazione era stato elevato ricorso dal compagno di lista Sapienza, il quale per questa iniziativa non allineata sulla disciplina del Partito era stato censurato. Sempre in conformità di tale disciplina, egli fu invitato a disinteressarsi del reclamo, lasciando arbitra la Giunta degli accertamenti e della decisione. Poscia fu informato degli accertamenti, ma non ancora svincolato dal disinteressamento imposto. Quando più tardi fu, invece, per l’avvenuta scissione del Partito socialista italiano, invitato a provvedere alla difesa della propria posizione, che interessava ormai anche il Partito, lo fece nominando a proprio difensore l’avvocato Tino».

Signori miei, ditemi un po’ voi che siete più competenti di me: quando è avvenuta la scissione nel Partito socialista? Certo è che, dato che la scissione è avvenuta nel febbraio scorso, il signor Lupis aveva già fatto i suoi passi in precedenza, nominando proprio difensore l’avvocato Tino con una delega del 7 settembre 1946, onde reclamare sulla propria posizione.

Ma lasciamo andare tutto questo, che è contorno e veniamo alla sostanza.

Che cosa ha compiuto la Giunta delle elezioni e, con essa, la diligentissima Segreteria? Ha dovuto ristabilire il complesso dei voti e della graduatoria, che l’Ufficio centrale aveva avuta la negligenza di non compiere. Ed allora il criterio è stato questo: dove si avevano i moduli 5-bis, si è cominciato a rifare le indagini su questi moduli, per stabilire il vero ammontare delle preferenze. Inoltre, siccome alcuni moduli 5-bis mancavano – si andava sulle 50-60 sezioni – abbiamo dovuto sollecitare l’Ufficio centrale e la Presidenza della Corte di Catania, affinché mandassero questi documenti. Sono arrivati finalmente, dopo due mesi: l’onorevole Grilli ne tenga conto.

Ed allora ecco come è proceduto il nostro lavoro, e lo esporrò in pochissime parole, affinché tutti vedano l’obiettività della organizzazione in cui ci siamo inquadrati, per giungere ai necessari accertamenti. Dove c’erano i moduli 5-bis e si erano denunciate erroneità di incolonnatura, queste erroneità sono state scoperte e corrette. Dove, viceversa, si è trovato che mancavano i moduli, allora si è ricorso al giusto espediente di farsi inviare tutte le schede valide. Guardino, dunque, che l’esame delle schede valide è stato cominciato fin da allora, ma nel punto che interessava, e non nel punto che era superfluo. È stato in base a questa ricerca, ed in base alla presenza di questi documenti, che tra l’altro, si sono rinvenuti, nel pacco delle schede valide, parecchi moduli 5-bis. Per cui il bivio posto alla Presidenza della Giunta ed alla Segreteria è stato questo: dove abbiamo i moduli 5-bis, si rettifica stando all’indicazione numerica che ci era offerta; dove non abbiamo il modulo 5-bis, si ripara alla mancanza di indicazione attraverso il conteggio delle schede in tutte le sezioni a cui si riferisce questa manchevolezza.

Ed allora, signori, si è detto che siamo stati molto diligenti, ma non molto pazienti. Ma guardate, ecco la pazienza: questo riesame di tutte le schede valide ed anche dei moduli 5-bis ha occupato un gran numero di sedute. E sapete chi è intervenuto all’esame di queste sedute? In mia assenza, i Vicepresidenti, onorevoli Nasi ed Uberti, e di tutto è stato fatto minuto e circostanziato verbale.

Sicché, o signori, quando voi trovate che la graduatoria dei voti si sposta, sia nei riguardi di Sapienza, sia nei riguardi di Lupis, ciò avviene per queste rettifiche fatte sulla base delle schede valide, sulla base dei moduli 5-bis, sulla base del riordinamento delle incolonnature, dove queste si erano prestate alle omissioni compiute dall’Ufficio centrale.

Compiuto tutto questo lavoro, io lo portai, nel marzo scorso, in seno alla Giunta delle elezioni. In quella sede ho riferito, ho dato le spiegazioni di tutto, e queste spiegazioni voi le trovate nella mia relazione, in quei quattro quadri dove gradualmente giustifico tutti gli apporti dei nuovi voti. In essi voi vedete tutto il lavoro singolo, minuto e paziente, di cui vi ho dato ora un accenno, ed arrivate a questo risultato: 139 voti di maggioranza per il candidato Sapienza.

Nessuno fece obiezioni a questo lavoro. Le risultanze furono riconosciute esatte e la Giunta fu unanime in questo riconoscimento. Soltanto è avvenuto che, ad un certo momento – ecco, se mai, dove affiora un certo motivo di interesse politico – quando si è visto che la posizione dei candidati si invertiva, si è creduto di trovare mezzi adatti per cercare di migliorare la situazione di Lupis nei confronti ni Sapienza, e, dopo lunghe discussioni, si è detto, che cosa si fa? Alla fine della seduta – come spesso succede – c’erano due proposte: una proposta fatta – e lo dico in omaggio al rispetto che porto per lui – dall’onorevole Nobili, e un’altra avanzata quasi improvvisamente dall’onorevole Giua.

Dico la verità e le mie impressioni. La Giunta di fronte alla proposta Giua, che chiedeva il richiamo di tutte le schede, che erano più di un milione, non ebbe modo di valutare le difficoltà di un’opera simile ed anzi, la impossibilità di portarla a termine. Bisogna avere un po’ passato il nostro tempo, come si è passato, con molto senso di pazienza e di diligenza nell’avvalorare, col nostro lavoro, la funzione affidata alla Giunta delle elezioni per rendersi esatto conto di ciò. Ora, io ricordo che in quella seduta stessa uno dei colleghi – posso anche dirne il nome, a suo onore: l’onorevole Grieco – domandò alla Presidenza: «Questi risultati differenziali, queste omissioni, queste irregolarità, di cui la difesa Lupis parla genericamente, sono conseguenza di brogli, di un’azione dolosa? Sono stati determinati dalla intenzione malvagia di togliere voti ad un candidato e di alterare il risultato reale della elezione?». Ricordo che tutti coloro che avevano, come me, seguito il lavoro dei colleghi Nasi e Uberti, risposero: «No, signori: tutto quello che è avvenuto si deve a pura omissione, a pura negligenza». Ora comprenderete, onorevoli colleghi, l’effetto che avrebbe avuto il richiamo di tutte le schede. Noi avremmo desiderato che si dicesse: in quelle determinate sezioni sono avvenute irregolarità, perché dai verbali induciamo che vi sono elementi di variazione indebitamente introdotti. Ma si parlava genericamente di richiamare tutte le schede partendo da questo presupposto: siccome, esaminando i moduli 5 e 5-bis, si è trovato un aumento di voti per Sapienza ed un aumento di voti, sia pure minore, per Lupis, chissà che, andando a riguardare tutte le schede delle 1700 sezioni del Collegio, non si possa trovare qualche cosa che migliori la posizione del Lupis. (Interruzioni – Commenti a sinistra). Coloro che parlano di inesattezze hanno la piena libertà di venire a consultare gli atti: così risparmieremo fiato loro ed io.

Dunque, tutti sentirono, fatta questa deliberazione, che la cosa era veramente inattuabile, che era un surmenage di cui ci saremmo caricati. E la ragione è evidente; perché si potrebbe, ad esempio, per tutti i Collegi, semplicemente per un richiamo generico, relativo al risultato dei moduli 5 e 5-bis, dire che il candidato dell’ultimo o del penultimo posto, potrebbe guadagnare un posto migliore se si facesse il riesame di tutte le schede valide del Collegio. (Commenti – Interruzioni). Io, onestamente fedele alla volontà della Giunta, mi misi immediatamente in comunicazione col Presidente della Corte d’appello domandandogli che provvedesse a mandare subito – ed esponesse quali mezzi fossero più adatti al riguardo – tutte le schede valide del Collegio. Egli rispose spaventato, dicendo che si sarebbe dovuto fare una ricerca dappertutto per avere le schede valide e che non c’era il tempo disponibile. Ed allora tornai alla Giunta qualche giorno dopo, e misi a parte i colleghi di queste difficoltà, e debbo dire che tutti, onestamente, ne furono convinti e revocarono la deliberazione precedente.

CAROLEO. Male, male!

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Per via media fu stabilito – guardate anche la tolleranza eccessiva della Giunta fino a questo momento, poiché non si era ancora parlato di contestazione della elezione, e ciò io permisi rendendomi conto di una situazione la quale, per i suoi aspetti politici, voleva essere trattata con molto tatto – fu stabilito: chiamiamo i due contestandi, davanti ad una Commissione composta di tre membri della Giunta, la quale cerchi di far ridurre, se possibile, le loro richieste relative alle schede valide.

Purtroppo ciò non ebbe esito; non si trovarono d’accordo i due contestandi e allora venne la questione alla Giunta, la quale, giustamente seccata dal prolungarsi di un dibattito senza conclusione, su proposta di uno dei suoi membri, disse che non si poteva più oltre protrarre la contestazione, una volta che il conflitto veniva ad approfondirsi.

Fu, pertanto, approvata la contestazione, e si venne alla seduta pubblica del 22 maggio scorso.

Ora, signori, non mi soffermerò su tutte le eccezioni prospettate dai colleghi di minoranza. Dirò che si venne alla discussione della elezione davanti alla Giunta. Sapendo che il terreno era arroventato, non volli presentarmi alla Giunta con una relazione orale; volli che, trattandosi soprattutto di particolarità numeriche sostanziali, la Giunta avesse davanti alla mia relazione scritta tutto il quadro dei risultati di accertamento raggiunti fino allora.

Il difensore del Lupis chiese, sul merito, il completamento delle indagini, a continuazione di quelle già compiute dalla Giunta e che avevano portato alla constatazione dei 139 voti a favore del Sapienza. Riunitasi la Giunta in camera di consiglio, respinse una pregiudiziale di decadenza proposta dal Sapienza e nominò un Comitato nelle persone dei colleghi Nasi, Musotto e Tambroni, incaricato di procedere alla revisione delle schede nulle e contestate della circoscrizione di Catania. I tre colleghi, in nove riunioni, esaminarono ben 88.148 schede. Vi sono qui i documenti, compreso il verbale, composto di numerose pagine. Fra i tre membri che componevano il Comitato, c’era anche uno dei firmatari della relazione di minoranza, il nostro egregio collega onorevole Musotto, il quale, con gli altri, può darvi atto che le deliberazioni, di cui è cenno nel verbale, sono state tutte prese all’unanimità.

E i risultati quali sono stati? I risultati sono stati trascurabili: sopra 88.148 schede sono stati attribuiti 12 voti al Lupis e 14 al Sapienza, di guisa che la prevalenza del Sapienza salì da 139 a 141 voti.

Ora, signori, giunti a questo punto, io domando: che cosa ancora si poteva fare? Io dovevo condurre a conclusione questa elezione; non potevo più ammettere tergiversazioni.

Si dice nella relazione di minoranza: perché il Presidente parla di impulso a sollecitare i risultati? Ma diamine: dopo dieci mesi volevate che dovessi ancora attendere del tempo? Tutto era pronto per presentare all’Assemblea il responso e questo responso io diedi, preparando la mia relazione.

Se, pertanto, una relazione di minoranza si voleva fare, sarebbe stato opportuno che, come di rito, cioè passasse per il tramite della Giunta e venisse all’Assemblea.

Io concludo dicendo che l’Assemblea può chiedermi tutti i chiarimenti che eventualmente desideri, dopo di che ritengo di aver esposto la parte sostanziale della questione. Posso assicurare che la Giunta ha assolto al suo compito con maggior premura, con maggior avvedutezza, con maggior pazienza, di quanto non abbia fatto a proposito di altre elezioni giunte al suo esame.

In ordine ai risultati delle elezioni regionali in Sicilia, e ai voti ottenuti dal Sapienza, osservo che si entra in un campo politico estraneo al problema in esame.

Si è alluso, in proposito, ad una sentenza interlocutoria, ma davanti alla Giunta delle elezioni, non abbiamo una sentenza interlocutoria in cui il giudice emana un provvedimento, salvo a riprendere la causa in un momento successivo: qui invece, una volta che la fase della contestualità, consistente soprattutto nella seduta pubblica e nella discussione delle parti, è chiusa, si entra in Camera di Consiglio; e in Camera di Consiglio la Grinta può benissimo deliberare gli accertamenti che ritenga opportuni. Questi accertamenti sono stati compiuti, hanno dato i risultati che ho comunicato, e la cosa finisce qui.

Penso che la mia relazione, approvata dalla Giunta nella sua maggioranza, risponda a tutti i quesiti posti dagli avversari. Del resto, senza perdermi in altri spunti polemici, desidero soltanto ricordare che dal verbale della seduta del 7 giugno risulta la seguente dichiarazione di un componente di minoranza: «Mentre si ritiene che il risultato a cui hanno portato le indagini non è più modificabile, è da ritenersi infondata la richiesta dell’avvocato Tino di nuove indagini e nuove deduzioni».

Signori, se questo è il pensiero espresso da un componente della minoranza non ho niente da aggiungere. Noi abbiamo fatto opera di giustizia. Faccia altrettanto L’Assemblea, seguendo le tradizioni cui sempre si è informata la Giunta delle elezioni. (Applausi).

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, era proposito della minoranza della Giunta delle elezioni – sodisfatto che ebbe, con propria relazione scritta, il dovere di illustrare il caso all’Assemblea in aderenza alle realtà processuali e alle necessità giuridiche – di disinteressarsi di questa discussione. Ma, come gli interventi preannunziati hanno reso necessario quello del collega Giua, così quelli successivi rendono doveroso questo mio, che peraltro sarà molto breve.

L’intervento è doveroso, perché è stata, fra l’altro, sollevata una questione ingiustificata: si è preteso che noi abbiamo presentata la relazione di minoranza senza averla fatta ammettere dalla Giunta e la verità è invece che questa, avutane formale richiesta dal collega Musotto nell’ultima seduta, recisamente e sintomaticamente la respinse. Era logico, era legittimo che la minoranza provvedesse, in conseguenza, indipendentemente dal negato beneplacito della maggioranza.

E vengo al merito, rispondendo subito al collega Grilli che il collega Giua, prospettando la questione politica, non l’ha prospettata come una tesi difensiva sulla quale la minoranza abbia fatto leva per le decisioni da adottare: egli ha voluto dire che, disgraziatamente, questa questione elettorale, ad un determinato momento, è stata aggravata dal sopraggiungere di una complicazione politica senza di che non avrebbe assunto la portata che ha arroventato gli animi. Si deve riconoscere che, nel sistema elettorale col quale questa Assemblea si è costituita, soggetti dell’elettorato passivo sono anche i partiti che partecipano alla procedura elettorale col deposito dei contrassegni di lista e con la proclamazione dei candidati e beneficiano dei voti di lista. Essi non hanno invece, di regola interesse alla graduatoria determinata dai voti di preferenza, perché presupposto della candidatura è che ciascun candidato appartenga al partito che lo ha proclamato. Che dire, però, allorché, nell’intervallo fra l’elezione e il giudizio di convalida da parte della Giunta, il candidato che alla proclamazione aspira, abbia lasciato il partito e sia passato ad altra formazione politica che lo combatte?

Io penso che basti proporsi il quesito per dover riconoscere che, se il Partito è un soggetto dell’elettorato passivo, ha anch’esso il diritto di intervenire nella contesa, di opporsi alla sostituzione di un candidato che non risponde più al presupposto pel quale lo comprese nella lista; in quanto cioè non appartiene più al Partito che candidato lo proclamò. Questa è una conseguenza implicita e necessaria del sistema della legge; e non è argomento producente il fatto che essa non lo abbia esplicitamente dichiarato; la legge non dichiara nemmeno che la Giunta non possa sostituire, per modifica di graduatoria ad un altro candidato, un candidato che risulti bensì votato con maggior numero di preferenze, ma che abbia perduto pel frattempo il diritto all’elettorato passivo, per esempio, per avere accettata una cittadinanza straniera. I due casi sono perfettamente analoghi, perché riguardano entrambi la sopraggiunta perdita di un presupposto dell’elettorato passivo; né vale a differenziarli il fatto che nell’uno dei casi il presupposto risponda ad esigenze di ordine pubblico e riguardi il diritto dello Stato e nell’altro caso risponda invece ad esigenze politiche e riguardi il diritto del partito interessato. Ecco perché il collega Giua aveva ragione di dire che, senza la complicazione portata dal passaggio del candidato Sapienza ad altro partito, la questione che si dibatte non avrebbe avuto rilievo; oggi invece, se la sostituzione dovesse avvenire, il Partito socialista italiano, che al posto di Lupis avrebbe avuto un altro compagno, saldo sostenitore del suo programma, si troverebbe invece a vedere eletto un avversario.

E dunque, se anche la questione politica non si pone, quella morale resta e non per colpa nostra.

E ora rispondo al collega Colitto, che ha chiesto, con senso di sorpresa, come mai una deliberazione, quella del 26 marzo, che aveva disposta la revisione di tutte le schede valide della circoscrizione sia rimasta ineseguita. Essa era stata assunta al termine di una lunga discussione nella prima seduta in cui il caso veniva all’esame della Giunta: ed era stato il risultato di una scrupolosa ponderazione di tutte le ragioni pro e contra; si era osservato che, se tutte le richieste del Sapienza erano state sodisfatte, sarebbe stato ingiusto non accordare lo stesso trattamento a quelle del Lupis, contenute nella sua formale richiesta motivata alla Giunta; si era considerato che tutte le indagini eseguite dalla Giunta avevano portato modificazioni ai risultati dichiarati dall’Ufficio di circoscrizione: si era constatata la gravità degli errori, delle deficienze (Commenti – Interruzioni) delle operazioni di scrutinio; era emerso l’omesso uso dei moduli di scrutinio delle preferenze; la non corrispondenza di quelli usati, la non corrispondenza dei risultati dei prospetti al numero delle schede rivedute. In una parola la necessità della revisione richiesta era apparsa come atto di doverosa giustizia. Ma la notizia della deliberazione pervenne fuori della Giunta, fu portata nell’Aula, dove il collega Grilli pretese, contro ogni regola, di elevare per essa fin da allora fiera protesta, e da quel momento si verificarono le cose più inaudite. Riconvocata la Giunta per la seduta dell’11 aprile, il Presidente dette lettura di una lettera del Presidente della Corte di appello di Catania, che avvertiva la necessità di raccogliere le schede nelle varie località, per modo che non prima della fine di aprile esse avrebbero potuto essere spedite a Roma. Invano fu obiettato che la difficoltà nella esecuzione di un incombente non fu mai considerata come motivo della sua inammissibilità, tanto meno come motivo per non dargli esecuzione, quando ammesso; e del resto era facilmente intuibile che il tempo richiesto alla bisogna sarebbe stato sicuramente oltrepassato dagli espedienti che già si andavano escogitando per tentare di porre nel nulla la deliberazione ormai adottata.

Difatti era stata di già prospettata, e fu con ogni cura coltivata, la proposta di un Comitato che, prendendo contatto con gli interessati, si fosse preoccupato di ridurre al minimo gli accertamenti già disposti a richiesta del Lupis. Il Comitato convocò le parti: il Lupis, per quanto impegnato nella campagna elettorale siciliana, venne di persona, il Sapienza si fece rappresentare da un procuratore speciale e da un avvocato. Il Lupis, per quanto sorpreso della richiesta, ridusse subito notevolmente il campo delle indagini e, alle insistenze del Comitato, aggiunse che più le avrebbe potute ridurre, dopo aver consultati, nella propria casa di Ragusa, i rapporti pervenutigli subito dopo le elezioni da Sezioni e da compagni. L’avvocato del Sapienza oppose che con ciò il Lupis tentava d’introdurre un reclamo non presentato ai termini, e che l’articolo 65 della legge elettorale per la Costituente vi si opponeva. Nel termine prefissogli, il Sapienza comunicò le promesse ulteriori limitazioni delle indagini, riducendo le schede valide da verificare a quelle, mi par bene, di quarantotto Sezioni su circa millecinquecento.

Il Comitato riferì alla Giunta, che fu convocata per il 30 aprile, in piena atmosfera di crisi parlamentare: pareva al Comitato di avere risolte, minimizzando l’indagine, le pretestate difficoltà.

Ma ci trovammo di fronte a una situazione ancora una volta completamente cambiata. Si chiedeva senz’altro l’annullamento dell’elezione Lupis e la sostituzione con il Sapienza. Fu l’intervento dell’onorevole Grassi che fece accettare la contestazione del Sapienza colla prospettiva – si disse – di poter disporre formalmente, dopo la seduta pubblica, le indagini che si fossero ritenute necessarie.

Io ricordo l’esclamazione addolorata del collega Rubilli, del quale la sincerità è nota a tutti, quando comprese che l’opera del Comitato era per essere completamente inutilizzata: «Ma allora» egli esclamò «perché avete richiesta l’opera di questo Comitato?».

Non vogliamo indagare sulle circostanze sopraggiunte a determinare il brusco mutamento della Giunta, che frattanto molti colleghi avevano disertato: né il tentativo di protesta nell’Aula, né la ingiustificata protesta della stampa del Partito interessato avrebbero potuto turbare coscienze tranquille; tanto più che nessun espediente si sarebbe potuto dimostrare più inusitato, più antigiuridico di quello di porre nel nulla una deliberazione validamente presa. Fu convocata la seduta pubblica; fu discusso per lungo e per largo, da una parte l’impossibilità per Lupis di avere soddisfazione nella sua richiesta, e dall’altra il diritto del Lupis di veder portata a compimento l’indagine richiesta e già concessa. Il risultato fu che, invece di far la revisione delle schede valide, fu consentita la revisione delle schede nulle e contestate.

È vero che io, in un primo momento, tanto per avviare la ricerca della verità che è indispensabile e che era possibile nella specie, avevo fatta la richiesta della verifica delle schede che erano in possesso della Giunta; ma è altrettanto vero che essa fu respinta come non producente e fu comunque assorbita e superata dalla proposta Giua di addivenire alla revisione di tutte le schede valide: tanto più che il Lupis aveva affermato che da moltissime parti gli era pervenuta la notizia della mancata attribuzione al Partito e a lui di moltissimi voti, contrariamente alle istruzioni ministeriali consacrate in circolari, colle quali era stato insegnato che quando la scheda include delle preferenze al nome del candidato non occorre contrassegnare il simbolo della lista cui egli appartiene. Eppure il Lupis lamentava che moltissime schede sue non fossero state attribuite, malgrado portassero il suo nome, solo perché non portavano il contrassegno della lista socialista!

Io prego il relatore della maggioranza di rileggere l’esposto del 26 marzo e troverà che quello che io dico riguarda solo una parte delle motivate richieste del Lupis. Perché il Lupis precisava anche altre ragioni per le quali egli faceva la richiesta di questa revisione. E dunque, non si dica che erano vaghe e generiche le affermazioni del Lupis quando invocava una revisione delle schede valide. Noi abbiamo trovato che in tutte le indagini eseguite – ed eseguite non a richiesta del Lupis ma per impulso del Sapienza – la Giunta, o chi per essa, si era trovata sempre a constatare risultati dissimili da quelli emergenti dai prospetti. Questo significa che ci trovavamo di fronte ad una elezione, della quale era opportuno e necessario rivedere i risultati. Ed è ormai ora di dire quello che da nessuna relazione scritta od orale è fino ad oggi emerso e che ci è risultato tuttavia dall’esame delle numerose attestazioni prodotte dal Lupis in appoggio alle proprie richieste: cioè che esse erano e sono sorrette, e furono in poche ore raccolte, da più di duemila elettori. Onde il comportamento della Giunta, che, rinnegando il proprio precedente deliberato, sorvolando sulle richieste del Lupis, sorvolò anche sulla fede che ad esse quegli atti attestavano, non può non suonare offesa anche a questa cospicua parte del corpo elettorale della circoscrizione di Catania.

E così, mentre alle indagini chieste dal Sapienza si dedicarono ben dieci mesi, la preoccupazione di pochi giorni da impiegare nell’indagine richiesta dal Lupis la vinse sul sentimento della più doverosa giustizia.

Dice la relazione che la ricerca di quei 141 voti di prevalenza per il Sapienza non fu facile, ma dovette essere in cambio molto paziente. Ma, se tanta pazienza è stata dedicata alla ricerca delle 141 preferenze per Sapienza, perché non degnarsi di rivedere almeno le 48 Sezioni alle quali il Lupis aveva consentito di ridurre la richiesta sulle 1500 della circoscrizione? Deliberata comunque la revisione delle schede nulle e contestate, e rinvenute altre 12 preferenze per il Lupis e le ultime 14 per il Sapienza, fu riconvocata la Giunta, nella tarda sera del 6 giugno, per il primo mattino del 7 e qui sorse la grave questione procedurale, determinata da un’istanza scritta della difesa Lupis che, sostenendo la necessità dell’ulteriore contradittorio in seduta pubblica, chiedeva conseguenzialmente l’autorizzazione alla presentazione di nuove memorie e di nuovi documenti. La richiesta fu respinta, l’elezione Lupis fu annullata e gli fu sostituito il Sapienza.

La minoranza della Giunta sottopone alla legittima revisione dell’Assemblea questa decisione, non soltanto dal punto di vista delle forme seguite, in quanto, dettate a garanzia del contradittorio e della difesa delle parti, hanno carattere assoluto e inderogabile, ma anche dal punto di vista della decisione di merito.

E, procedendo per ordine, enuncio la prima questione formale.

È da premettere che il procedimento avanti alla Giunta delle elezioni è purtroppo frammentariamente regolato dal Regolamento della Giunta, che consta di soli 20 articoli, e da quello della Camera, sotto gli articoli da 20 a 30. Tanto l’articolo 14 del Regolamento della Giunta, quanto l’articolo 27 del Regolamento della Camera mettono in rapporto d’immediatezza e di continuità la seduta pubblica colla decisione che va pronunciata in seduta segreta subito e non oltre 48 ore dalla chiusura della seduta pubblica (articolo 14 Regolamento della Giunta) e colla relazione scritta che ne va fatta entro venti giorni all’Assemblea. Ciò importa, necessariamente, che, quando siasi, a seguito di una prima seduta pubblica, adottato un provvedimento istruttorio, il procedimento, che formalmente era giunto alla fase deliberativa, regredisce e riprende la fase istruttoria, al termine della quale la fase deliberativa deve nuovamente culminare nella seduta pubblica e, senza interruzione, nella decisione e nella susseguente comunicazione. D’altra parte gli articoli 27 del Regolamento della Camera e 13 e 14 del Regolamento della Giunta, vogliono che, tranne i casi pei quali sia eccezionalmente consentita la seduta segreta, tutte le decisioni di elezioni contestate debbano essere decise all’esito della seduta pubblica: e la disposizione del capoverso all’articolo 13 richiamato è giustificata dal fatto che pei casi d’ineleggibilità o d’incompatibilità riconosciuti all’unanimità non è prescritto l’obbligo della contestazione.

La pretesa contraria, non suffragata dai testi, non può essere giustificata dai precedenti invocati (1898-giugno 1922), adottati sotto il precedente Regolamento della Camera che ebbe fine proprio il 23 giugno 1922. Comunque, essi contemplano casi nei quali le parti furono invitate a concludere e conclusero, oltre che sui provvedimenti istruttori, anche sul merito; il che non avvenne, come risulta dal verbale per parte della difesa Lupis, che si limitò a sostenere l’ammissibilità della revisione invocata. V’ha di più: è uso generale che, ove i regolamenti speciali non dispongano con norme precise, si debbano applicare le norme generali e in materia procedurale sia il rito civile che quello penale dànno ragione alla nostra tesi; la quale avrebbe dovuto in ogni caso esser seguita anche perché favores sunt ampliandi.

Questo criterio va specialmente a favore del convalidando (articolo 10 capoverso secondo Regolamento della Giunta) e in ogni caso a favore della interpretazione che allarghi i diritti del contradittorio e presidi quelli della difesa.

E vengo all’altra questione. Approvato l’annullamento dell’elezione dell’onorevole Lupis e deliberata la nomina in sostituzione, dell’onorevole Sapienza, fu convocata la Giunta per il 20 giugno per l’approvazione della relazione. All’apertura della seduta il collega Musotto, facendosi eco delle lamentele di parecchi colleghi membri della Giunta, che non avevano potuto partecipare alla riunione del 7 giugno, perché non avevano ricevuto l’invito o lo avevano ricevuto quando già altrimenti impegnati, eccepì la irritualità di quella seduta in quanto indetta in violazione del termine stabilito nell’articolo 23 Regolamento della Camera. Detto articolo stabilisce che la Giunta è convocata per procedere all’esame delle contestazioni con invito diramato e affisso almeno tre giorni liberi prima di quello dell’adunanza.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Per le contestazioni, la seduta pubblica. Legga il Regolamento e non inventi.

NOBILI TITO ORO. Non posso accettare che si sospetti che io inventi. Confronti l’onorevole Bertini questa parte dell’articolo 23 del Regolamento della Camera coll’articolo 11 ultima parte del Regolamento della Giunta e vedrà che, se il termine per la convocazione della seduta pubblica è di giorni 10, quello di cui si occupa l’articolo 23 del Regolamento della Camera non può riguardare se non la seduta segreta. E concludo che le forme hanno sempre costituito la garanzia di qualunque giudizio; che i termini ne costituiscono l’essenza più delicata e più inderogabile; che quando verba clara sunt, verbis serviendum; che col sistema attuato sarebbe facile a un Presidente di buona volontà di costituirsi il numero legale che gli occorre e la maggioranza più aderente al suo pensiero; che basta questa possibilità astratta a condannare il sistema seguito nella convocazione ad horas della seduta del 7 giugno, sia pure sotto quell’impulso di «sollecitudine» risvegliatosi nella Giunta specialmente dopo l’ultima crisi parlamentare a esclusivo ed ingiusto danno dei nostro compagno Giuseppe Lupis che il nostro affetto e la nostra considerazione non hanno valso a circondare della protezione che i principî e i regolamenti gli accordavano. Noi non avremmo portato tale questione avanti l’Assemblea, se la Giunta, alla quale, come risulta dal verbale 20 giugno venne sottoposta, non l’avesse respinta, in una forma irrispettosa, mentre la richiesta del collega Musotto mirava soltanto a rimettere bonariamente la procedura sul terreno della legalità.

Non mi resta, giunto a questo punto, che dire due parole conclusive sul merito. La Giunta dovette riconoscere, nella seduta del 7 giugno, dopo le mie proteste per la negata convocazione della seduta pubblica, e pel conseguente mancato raccoglimento delle ulteriori conclusioni della difesa Lupis, che i risultati ottenuti colle indagini espletate a richiesta Sapienza non offrivano materia a rilievi e che l’indagine invocata dal Lupis, per quanto ridotta ai minimi termini, non poteva essere ripresa in esame dopo la decisione interlocutoria del 22 maggio; e, a grande maggioranza, procedette all’annullamento e alla sostituzione. Ma quello che la Giunta non poté fare è possibile all’Assemblea, la quale non è vincolata, né dal giudizio definitivo, né da quello interlocutorio col quale furono revocate, dopo gli espedienti che ho illustrati, le decisioni di ammissione della revisione di tutte le schede valide e della successiva nomina di un Comitato per tentare di ridurne l’estensione.

Per tutte le ragioni logiche, morali e giuridiche che la minoranza ha illustrate, io confido che l’Assemblea non esiterà e scegliere fra il rispetto che merita la decisione del 26 marzo, e quanto meno, quella del 10 aprile, e le nubi onde si oscura quella del 22 maggio, preparatoria di quella del 7 giugno. Noi abbiamo invocata la luce e confidiamo che l’Assemblea non si associ al desiderio che permangano le tenebre. (Applausi a sinistra). Non si deve evitare la verità, quando si sa che essa può essere raggiunta con certezza e non si devono considerare come espedienti curialeschi le forme che sono state sempre ricercate come garanzia di ordine processuale, e come presidio di giustizia. Senza l’osservanza delle forme non può esservi che l’arbitrio e pertanto io concludo, chiedendo che l’Assemblea voglia rinviare gli atti alla Giunta delle elezioni per l’osservanza delle forme non osservate e per la esecuzione degli accertamenti più indispensabili, prima ammessi e poi non eseguiti.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Chiedo di parlare per una rettifica in linea di fatto.

Voci. Chiusura!

PRESIDENTE: È stata chiesta la chiusura. Domando se sia appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente della Giunta dalle elezioni.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Dianzi non ho fatto il nome del membro della Giunta, rispettabilissimo, il quale aveva parlato nel senso che riteneva chiusa ogni discussione sopra i risultati delle indagini avvenute fino a quel momento.

Nella seduta del 7 giugno questo nostro collega, l’onorevole Nobili, concluse che riteneva che per questa parte, cioè per le nuove indagini, il risultato non fosse più modificabile e quindi era da ritenersi infondata la richiesta dell’avvocato Tino di nuove indagini e controdeduzioni.

Un’ultima osservazione ed ho finito. Si dimentica, dai membri di minoranza, una duplice situazione di fatto. Nella maggior parte delle sezioni sulle quali genericamente dal Lupis si era richiesto l’esame delle schede valide, queste erano state già esaminate nel primo momento, in mancanza dei moduli 5-bis.

In secondo luogo, noi abbiamo esaminato tutte le sezioni del Collegio per quella parte che attiene all’apporto delle schede nulle o contestate. E siccome questo è il campo in cui poteva avere effetto una indagine utile ai fini di modificare il risultato, ecco che anche per questa parte soddisfazione piena è stata data al Lupis, perché egli si è potuto avvantaggiare, come il Sapienza, delle schede attribuitegli in base a questo esame, nelle sezioni indicate da lui. Il resto è una logomachia che non interessa la Giunta delle elezioni. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ci troviamo dunque di fronte alla proposta della maggioranza della Giunta delle elezioni di proclamare il candidato Sapienza Giuseppe a deputato della circoscrizione di Catania e di annullare la proclamazione del contestato Lupis Giuseppe. Vi è poi la richiesta della minoranza della Giunta delle elezioni che si rinviino gli atti alla Giunta perché compia altri accertamenti, e l’onorevole Colitto ha aderito in sostanza a questa richiesta.

A questo proposito gli onorevoli Fogagnolo, Carpano, Vernocchi, Ghislandi, Mariani Enrico, Fiorentino, Tomba e Nobili Tito Oro, hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente rinvia gli atti alla Giunta delle elezioni, perché dia esecuzione alla propria delibera 26 marzo 1947, intesa al richiamo di tutte le schede valide per eseguire le relative verifiche».

Pongo in votazione questo ordine del giorno.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

Poiché l’esito della votazione appare incerto, si proceda alla votazione per divisione.

(L’ordine del giorno non è approvato).

Pongo in votazione la proposta della maggioranza della Giunta per la proclamazione del candidato Sapienza Giuseppe a deputato della circoscrizione di Catania e il contemporaneo annullamento della proclamazione del contestato Lupis Giuseppe.

(È approvata).

Pertanto proclamo il candidato Sapienza Giuseppe deputato per la circoscrizione di Catania.

Si intende che decorre da oggi il termine di 20 giorni per la presentazione di eventuali reclami.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ricordo che dobbiamo procedere alla votazione dell’emendamento proposto dall’onorevole Nobile, che ha modificato la sua prima formulazione sostituendo la parola «regionale» con la parola «locale». L’emendamento, pertanto, è del seguente tenore:

«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:

«La Regione avrà potestà di emanare norme legislative per le materie di interesse strettamente locale che saranno stabilite da una legge del Parlamento avente valore costituzionale. La legge stessa fisserà i limiti e le condizioni entro cui la suddetta facoltà legislativa potrà essere esercitata».

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».

Su questo emendamento è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Moranino, Rossi Maria Maddalena, Bibolotti, Negro, Landi, Li Causi, Bucci, De Filpo, Assennato, Barontini Ilio, Dozza, Fedeli Armando, Farini, Ricci, Pratolongo, Giannini, Abozzi, Castiglia, Venditti, Colitto, Coppa, Condorelli, Trulli, Mastrojanni, Perugi, Silipo, Miccolis, Patricolo.

Procedo alla chiama dei firmatari della richiesta.

(Segue la chiama).

Poiché risultano presenti, la richiesta è valida essendo sottoscritta da più di venti deputati.

PICCIONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Votiamo a scrutinio segreto, onorevole Piccioni.

MORO. La dichiarazione di voto si è fatta altre volte.

PRESIDENTE. Si è fatta una volta o due, e poi si è riconosciuto che è contradittoria con la segretezza del voto. (Interruzione dell’onorevole Uberti).

Le dichiarazioni di voto segreto, come i colleghi ricorderanno, si fecero in casi nei quali non era stata ancora avanzata richiesta di votazione segreta e si riteneva che si votasse per appello nominale. Sopravvenuta la richiesta di votazione segreta, si ritenne di consentire che le dichiarazioni di voto si continuassero a fare. Ora però, ritengo che sia opportuno adottare il criterio, più logico e cioè che nelle votazioni a scrutinio segreto non si facciano dichiarazioni di voto.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. La consuetudine parlamentare è inesistente a questo riguardo. Perché? Perché, come è già stato affermato in quest’Aula in un altro momento, gli scrutini segreti sono stati rarissimi. In tanti anni due o tre volte sole sono affiorati, nell’antico nostro libero Parlamento. Ora se vi è qualcuno che dice esservi contrasto fra la dichiarazione di voto e lo scrutinio segreto, io faccio osservare che in pratica ormai la consuetudine dell’Assemblea si viene completamente capovolgendo. E qui, attraverso ragioni politiche, che io non discuto, ma che disprezzo, si è troppe volte esagerato (Rumori a sinistra – Interruzioni dell’onorevole Uberti) nel chiedere lo scrutinio segreto, anche quando questa richiesta non ha nessuna ragione di essere. Ora, di fronte a questa consuetudine nuova, che si è radicata nell’Assemblea Costituente, io sono d’avviso che si debba ammettere la dichiarazione di voto come correttivo ad un nuovo costume politico, al quale non è possibile aderire senza qualche cosa che corregga e riporti l’equilibrio. Qui, dove non si può più parlare in parecchi casi che per dichiarazione di voto, si verrebbe a togliere anche questa possibilità.

Io ricordo che Vittorio Emanuele Orlando fece presente qui come il diritto del deputato di spiegare il suo voto, anche in sede di scrutinio segreto, sia indispensabile. E l’Assemblea aderì ed egli parlò. Limitiamo piuttosto, egregi colleghi, il numero degli scrutini segreti. (Rumori – Interruzioni a sinistra).

Onorevoli colleghi, io ho il diritto di sostenere la mia tesi, e la mia tesi è questa: dal momento che si abusa dello scrutinio segreto, i deputati hanno sempre egualmente il diritto di dire il loro pensiero attraverso le dichiarazioni di voto. (Applausi al centro).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Prendo la parola perché sebbene le ragioni esposte dall’onorevole Micheli non mi persuadano, tuttavia per un’altra ragione credo che si possa ammettere la dichiarazione di voto in sede di scrutinio segreto: ossia, perché il Regolamento non lo vieta. Il diritto del deputato, di esprimere il proprio pensiero prima della votazione anche segreta, è quindi un diritto che non gli può essere contestato. D’altra parte il deputato, in caso di votazione a scrutinio segreto ha il diritto, ma non il dovere, di non rendere palese il proprio voto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Micheli e Cevolotto hanno esposto e sostenuto una tesi rispettabile, ma mi pare che l’analogia dei precedenti ci debba consigliare di attenerci essenzialmente alla logica interna di questo sistema di voto che non per nulla è chiamato voto segreto. Sarà bene o sarà male che in certe occasioni il membro dell’Assemblea rappresentativa dia un voto segreto e non assuma in ogni caso pubblicamente la responsabilità della sua decisione, ma ciò è ammesso dalla procedura regolamentare.

So che l’onorevole Orlando, in altra occasione, ha sostenuto una diversa tesi. Rispettoso della profonda conoscenza di questioni costituzionali dell’onorevole Orlando, in questo momento mi permetto tuttavia di non aderire alla sua tesi, e pertanto, riattaccandomi alla tradizione – e credo che nessuno la possa impugnare – credo che dobbiamo d’ora innanzi – ed ha ragione l’onorevole Micheli – astenerci dal ricorrere troppo di frequente al voto segreto; ma quando ad esso si addivenga, è necessario rinunziare alle dichiarazioni di voto.

MICHELI. Ella propone che si stabilisca, in questo momento, una massima a questo riguardo?

PRESIDENTE. Non proporrei che sia formalmente stabilita: questo potrebbe farlo soltanto la Giunta del regolamento, lasciando all’Assemblea ogni decisione.

MICHELI. Io volevo affermare appunto che, fino a quando non vi sia una norma regolamentare che stabilisca questo, ciascuno di noi ha il diritto di chiedere la parola per fare le sue dichiarazioni, anche se la votazione è a scrutinio segreto; per questo, non posso accedere alla sua proposta. Io chiedo questo per oggi, e per domani. Dal momento che non vi è un articolo di Regolamento che questo vieti, io ritengo che, fino a quando questo non sarà proposto dalla Giunta e approvato dall’Assemblea, ciascuno di noi ha il diritto di chiedere e di ottenere la parola per fare la sua dichiarazione di voto, anche se si vota a scrutinio segreto. (Applausi al centro – Rumori a sinistra).

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Mi sembra che alla proposta dell’onorevole Micheli si opponga la logica, in quanto, se la votazione è segreta, è segreta appunto perché non ci siano dichiarazioni di voto, che rendono, invece, la votazione pubblica. Si tratta di chiarire la posizione politica del singolo deputato o di un partito, i quali tengano a far sapere di aver votato in un certo senso. Ma vi sono tanti altri mezzi che possono consentire questa pubblicità: i giornali di partito, il verbale dell’Assemblea, ecc. La manifestazione del proprio voto si può sempre fare; ma la dichiarazione di voto fatta in sede di scrutinio segreto mi sembra che urti contro la logica della parola «segreto». Mi pare che sia assolutamente assurdo pensare che si possano fare dichiarazioni di voto in una votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, dal momento che il Regolamento stabilisce che sono sufficienti i nomi di venti deputati per ottenere lo scrutinio segreto, ciò significa che questa volontà, che appare numericamente modesta, nei confronti del numero dei membri dell’Assemblea, viene tuttavia considerata come rappresentativa della volontà di tutta l’Assemblea. (Commenti al centro). Se c’è una giustificazione del numero di firme richiesto, può essere questa soltanto, e non certamente l’asserzione che venti valgono più di cinquecento. In onesta procedura si suppone che la volontà di venti significa la volontà dell’Assemblea stessa, altrimenti non si imporrebbe la volontà di una minoranza ad una stragrande maggioranza.

Per questa ragione, chi sostiene che non si può imporre la segretezza a coloro che non l’accettano, mi pare che proponga una tesi insostenibile, perché, a termini del Regolamento, bastano venti deputati per procedere alla votazione a scrutinio segreto.

Chiedo ai colleghi che ritengono che d’ora innanzi si debba applicare una diversa procedura, di adire la via che è loro aperta: facciano la proposta alla Giunta del Regolamento.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Non sta a noi di proporre davanti alla Giunta del Regolamento la modifica del Regolamento stesso: sta a coloro i quali sono d’avviso diverso dal nostro, in quanto per ora il Regolamento in vigore non vieta le dichiarazioni di voto, e quindi le permette. (Rumori).

Coloro i quali ritengano il contrario facciano la loro proposta alla Giunta del Regolamento e allora verremo qui a discutere se i 20 comandano ai 500 o viceversa; faremo cioè tutta quella discussione di massima che il signor Presidente ci ha prospettato in questo momento. Ma, oggi come oggi, la disposizione è questa e nulla vieta a noi deputati di fare la nostra dichiarazione di voto anche in sede di scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Sta bene; la proposta la farà chi vorrà farla. Ma in questo momento, riprendendo una tradizione che non è di pochi mesi, ma di decenni, è da ritenersi che la dichiarazione di voto in sede di scrutinio segreto non sia possibile. E pertanto con rammarico, onorevole Piccioni, non posso darle la parola a questo scopo.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione segreta sull’emendamento, testé letto, dell’onorevole Nobile.

(Segue la votazione).

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     373

Maggioranza           187

Voti favorevoli        168

Voti contrari             205

(L’Assemblea non approva l’emendamento dell’onorevole Nobile).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Barbareschi – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Bennani – Bergamini – Bernabei – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Canepa – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa.

Galati – Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni– Mattarella – Mattei Teresa – Mazzei – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Montini – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Patrissi – Pella – Pellegrini – Perassi – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preti – Priolo – Proia – Puoti.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Sapienza – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segala – Segni – Sereni – Sforza – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spano – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Varvaro – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vilardi – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Alberti – Arata – Arcangeli.

Baldassari – Bellavista.

Caldera – Chiaramello.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino – Froggio – Fuschini.

Galioto – Garlato – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Jacini.

Lombardo Ivan Matteo.

Martino Gaetano – Matteotti Matteo – Molè – Moscatelli.

Pat – Pignatari.

Rapelli – Reale Vito.

Saragat.

Tumminelli.

Villani.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, restano ora da esaminare alcuni emendamenti i quali non limitano la potestà legislativa della Regione così come è configurata, nella sua linea generale, nel testo della Commissione.

Vi è l’emendamento dell’onorevole Persico così concepito:

«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato e rispettino gli obblighi internazionali, gli interessi della Nazione e delle altre Regioni, nonché i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato, in materia di:

1°) ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

2°) modificazioni delle circoscrizioni comunali;

3°) polizia locale urbana e rurale;

4°) fiere e mercati;

5°) beneficenza pubblica;

6°) scuola artigiana e istruzione tecnico-professionale;

7°) urbanistica;

8°) strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

9°) porti lacuali;

10°) caccia e pesca nelle acque interne di carattere regionale;

11°) cave, torbiere, acque minerali e termali;

12°) tranvie e linee automobilistiche regionali;

13°) acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida nell’interesse regionale e su quello di altre Regioni».

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Dichiaro di aderire alla formulazione proposta dall’onorevole Tosato e pertanto ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Codignola, del quale do lettura nella sua forma definitiva, perché l’onorevole Codignola lo ha leggermente modificato:

«La Regione ha potestà di emanare norme giuridiche, nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione dello Stato, nelle seguenti materie:

ordinamento degli enti e degli uffici dipendenti, e stato giuridico ed economico del personale;

circoscrizioni comunali nell’ambito del territorio regionale;

agricoltura e foreste;

contratti agrari;

usi civici;

caccia e pesca;

miniere, cave, torbiere, saline, acque minerali e termali;

strade, porti, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici, a esclusivo carico della Regione e d’interesse regionale; e relative espropriazioni per pubblica utilità;

navigazione interna, lacuale e di cabotaggio;

urbanistica, e tutela del paesaggio;

turismo e industria alberghiera;

manifestazioni ricreative e sportive;

polizia locale, urbana e rurale;

assistenza e beneficenza pubblica;

istruzione professionale ed artigiana;

biblioteche e musei di enti locali;

istituti di credito e di risparmio regionali, purché esercitati nelle forme della cooperazione e del risparmio;

linee e mezzi di trasporto a carattere locale;

fiere e mercati;

edilizia;

licenze di esercizio;

ogni altra materia indicata dalla legge».

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Ritiro il mio emendamento per aderire a quello dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Ricordo che l’emendamento dell’onorevole Tosato è così formulato:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle singole leggi dello Stato, nelle seguenti materie:».

A questa formulazione, accettata dalla Commissione, sono stati proposti alcuni emendamenti, di cui il primo è dell’onorevole Caronia:

«Sostituire le parole: dalle singole leggi, con le altre: dalla Costituzione».

Quello dell’onorevole Colitto è così concepito:

«Aggiungere, dopo le parole: per le seguenti materie, le altre: in quanto la relativa regolamentazione non incida l’interesse nazionale o quello di altre Regioni».

Vi è poi anche un emendamento dell’onorevole Mortati, il quale propone di sostituire alle parole: «La Regione ha potestà di emanare norme legislative» queste altre: «Compete alla Regione di emanare norme legislative».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se ho ben capito, gli emendamenti che sono stati proposti all’ultima ora sono questi: il collega Caronia propone di sostituire alle «leggi» la «Costituzione». Ma allora viene meno tutto il sistema. La Costituzione stabilisce le materie. Sono le leggi dello Stato che pongono i limiti entro i quali le Regioni possono emanare norme aventi valore di legge. Anche dal punto di vista tecnico-giuridico, l’emendamento Caronia non è ammissibile.

L’onorevole Mortati propone di sostituire alle parole: «la Regione ha potestà di emanare norme legislative», le parole: «compete alla Regione di emanare norme legislative». La differenza non è sostanziale, ma essendo la formulazione del Comitato avvenuta sul testo «potestà», ed avendo questa un significato preciso, è meglio che non sia modificata. Sia ben chiaro che il significato della formula del Comitato (che neppure l’emendamento Mortati potrebbe modificare e che pertanto rimane fermo) è che la Regione ha una potestà legislativa, in dati limiti, che non può esserle sottratta; ma che può anche non esercitare; ed allora varranno soltanto i principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato per quelle determinate materie. Questo è il senso, sul quale non può esservi dubbio, anche con la modificazione dell’onorevole Mortati.

Il terzo emendamento è quello dell’onorevole Colitto. Ma egli non ha assistito ad una seduta, nella quale qualche cosa di simile era stato proposto dall’onorevole Zotta. L’onorevole Zotta voleva che in questo articolo fondamentale si dichiarasse che nelle norme legislative della Regione non si può stabilire nulla di contrario all’interesse delle altre Regioni. L’emendamento fu ritirato dopo le dichiarazioni del Comitato che si sarebbe parlato di questo giusto limite a proposito dell’articolo 118, quando si stabilisce il diritto che ha il Governo nazionale di non dare corso a quelle leggi regionali che offendono appunto gli interessi nazionali o di altre Regioni. L’intendimento dell’onorevole Zotta ed anche il suo, onorevole Colitto, potrà essere perfettamente sodisfatto, senza caricare ed alterare le linee più semplici ed il carattere omogeneo e semplice di questo articolo iniziale.

Spero che dopo questa dichiarazione l’onorevole Colitto non abbia difficoltà al riguardo.

PRESIDENTE. Onorevole Caronia, mantiene il suo emendamento?

CARONIA. Lo mantengo; e vorrei dare qualche spiegazione.

PRESIDENTE. Lei può giustificare il ritiro, ma non ha più diritto di svolgerlo.

CARONIA. Potrò fare una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. La potrà fare quando sarà messo in votazione il suo emendamento.

Onorevole Mortati, mantiene l’emendamento proposto?

MORTATI. Desidero mantenerlo; e, anzi se il signor Presidente consente, vorrei proporlo in una nuova formulazione, che chiarisca meglio il concetto con esso espresso.

Il nuovo testo suona così:

«La Regione emana norme legislative nelle materie seguenti:».

Come ho già chiarito nel precedente intervento, il mio emendamento ha un significato non puramente formale, ma sostanziale, in quanto tende ad attribuire questa competenza normativa alla Regione, in modo esclusivo.

Quindi, nel caso che la Regione non la eserciti, non ci può essere organo che la sostituisca.

L’onorevole Ruini ha espresso un’opinione contraria, e su questo dissenso è opportuno che l’Assemblea si pronunci in modo esplicito. L’importanza della questione appare tanto più notevole quando si rifletta che la competenza amministrativa segue quella normativa.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, lei ha già esposto queste argomentazioni per sostenere il suo primo emendamento. Con queste sue nuove proposte, lei chiarisce ancora di più.

Poiché non ho dato facoltà di parlare ai presentatori degli altri emendamenti, mi rincresce, non posso darla neppure a lei.

Onorevole Colitto mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Desidererei dall’onorevole Presidente della Commissione un chiarimento.

A proposito delle acque pubbliche e dell’energia elettrica, nel nuovo articolo proposto dalla Commissione è detto: «in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni».

Ora, io ho proposto di aggiungere dette parole alla fine del primo comma, perché mi sembra che il concetto delle parole espresse debba essere tenuto presente per tutte le materie, che nell’articolo 110 sono indicate.

Se il signor Presidente della Commissione si compiace darmi, a questo proposito, qualche sodisfacente chiarimento, non trovo difficoltà a rinunziare al mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La ragione particolare che induce a questa chiarificazione, a proposito di alcune voci dell’elenco, sta nella posizione giuridica diversa; nell’elenco si tratta di limiti alle materie; nel primo comma generale di limiti all’esercizio della potestà legislativa. La questione non è la stessa.

COLITTO. Ma a proposito delle acque pubbliche e dell’energia elettrica è stata sollevata e risolta. E per le altre materie?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne parleremo in concreto, in tema d’elenco. Ella potrà dire se si deve o no, in tale particolare materia, parlare di limite regionale.

COLITTO. Non insisto nell’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi propone di sopprimere nell’emendamento Tosato la parola «singole» in maniera che il testo sarebbe il seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo mantenere il testo dell’onorevole Tosato, quale fu accolto dal Comitato, anche perché corrisponde meglio all’intento (è un’idea fissa, la mia), di ottenere il consenso maggiore. Non do all’emendamento Perassi un valore di sostanza; perché rimane sempre fermo, anche con la sua formula, che il limite alle norme legislative della Regione non è dato dai principî dell’ordinamento giuridico e dalla legislazione generale dello Stato, ma dai principî stabiliti nelle leggi dello Stato che concernono determinate materie. Sono cioè limiti specifici; ed il concetto non vien meno coll’emendamento Perassi; ma lasciando «singole leggi» mi pare più chiaro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Mortati, nel suo ultimo testo:

«La Regione emana norme legislative».

CAROLEO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Voterò contro l’emendamento dell’onorevole Mortati, perché tende ad alterare profondamente la sostanza del testo formulato dal Comitato. In sostanza si eliminerebbe quella subordinazione della potestà legislativa accordata alle Regioni di fronte al potere del Parlamento, cioè dell’organo che costituzionalmente ha la potestà di emanare quei principî generali e quelle direttive, di cui è fatta menzione nel testo della Commissione.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Ritengo che si possa accettare la formula proposta dall’onorevole Mortati, senza per questo legittimare i dubbi sollevati dall’onorevole Caroleo. E ciò per la ragione che la formula Mortati tende esclusivamente a porre in evidenza come la competenza affidata dalla Costituzione alla Regione debba porsi su un piano di effettiva e operante attuazione. La formula, che tende a concretizzare una facoltà meramente astratta, è adottata anche in altri testi per cui si dice: «la Regione esercita», «la Regione emana» e così via. Discende da ciò la conseguenza che il potere di amministrazione affidato dall’articolo 112 della Costituzione alla Regione, nelle materie in cui questa ha potestà normativa, possa venire da essa effettivamente esercitato. Ciò che non si verificherebbe là dove la Regione non emanasse in concreto le norme previste: essa infatti non potrebbe allora esercitare nemmeno quel potere di amministrazione che la Costituzione le conferisce.

Per queste ragioni noi voteremo a favore dell’emendamento dell’onorevole Mortati.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

PRESIDENTE. Poiché l’esito è incerto, procediamo alla votazione per divisione.

(L’emendamento è approvato).

Resta quindi approvato il primo comma nel seguente tenore:

«La Regione emana norme legislative».

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Caronia all’emendamento dell’onorevole Tosato:

«nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalla Costituzione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Con l’emendamento Caronia la Regione avrebbe, non solo la facoltà di legislazione esclusiva in date materie, che si è concordemente esclusa; avrebbe una competenza ultra-esclusiva: ed il Parlamento si spoglierebbe della facoltà di emanare qualsiasi legge. La Regione non potrebbe modificare la Costituzione, ma fare tutte le leggi che crede, senza che possano intervenire leggi dello Stato. Tutto questo va contro ciò che avevamo prima stabilito. (Rumori). Si rovescia tutto, ed è un assurdo giuridico e costituzionale. Mi permetto di richiamare l’Assemblea alla sua responsabilità e mi oppongo recisamente alla proposta Caronia.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Dichiaro che il mio Gruppo non può accettare l’emendamento dell’onorevole Caronia, e voterà contro.

(L’emendamento Caronia non è approvato).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora porre in votazione l’emendamento dell’onorevole Tosato, accettato dalla Commissione.

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle singole leggi dello Stato, nelle seguenti materie:»

L’onorevole Perassi, ha proposto di sopprimere la parola: «singole».

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Personalmente non ho nessuna difficoltà ad accettare la proposta dell’onorevole Perassi, perché credo che, sopprimendo la voce «singole» non si modifichi la sostanza dell’emendamento da me proposto.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Voterò contro l’emendamento dell’onorevole Perassi, perché ritengo che l’emendamento che era stato suggerito dall’onorevole Tosato avesse un valore sostanziale; togliendo ora la parola «singole» si allarga la competenza normativa delle Regioni, e per converso, si restringe la potestà legislativa dello Stato. Quei tali principî, infatti, che erano definiti prima come generali, ed ora come fondamentali, potrebbero essere desunti non dalle singole leggi relative a ciascuna delle materie indicate, ma da un complesso di leggi. Vengono in certo senso ad identificarsi con i principî generali dell’ordinamento giuridico, il che è proprio quello che noi non vogliamo, come disse anche l’onorevole Tosato. Quindi io sostengo l’aggettivo proposto dall’onorevole Tosato che elimina, secondo me, un dubbio fondamentale.

PRESIDENTE. Pongo prima in votazione il testo dell’onorevole Tosato senza l’aggettivo «singole».

(Dopo prova e controprova è approvato).

Il testo del primo periodo dell’articolo 109 risulta così approvato:

«La Regione emana norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, nelle seguenti materie:».

Il seguito della discussione è rinvialo alle ore 17 di domani, avvertendo che vi sarà seduta anche alle ore 10, per proseguire l’esame del decreto legislativo che istituisce l’imposta straordinaria sul patrimonio.

Interrogazioni e interpellanza con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate alcune interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

La prima, a firma degli onorevoli D’Onofrio, Minio e Gallico Spano Nadia, è del seguente tenore:

«Al Ministro dell’interno, per sapere come sia possibile e tollerabile che in Italia nel mese di giugno 1947, a due anni dalla liberazione, possa avvenire che si tragga in arresto un cittadino, professore di università e commissario di un grande ente previdenziale, in base a un ordine emanato nel febbraio 1944 dal famigerato Caruso, ordine motivato dall’attività antifascista dell’arrestato; e se non ritenga assolutamente necessario che tanta audacia o tanta inettitudine di funzionari di polizia riceva immediata e severa sanzione, ad ammonimento di ogni altro che avesse vaghezza di seguirne l’esempio».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò nella seduta di lunedì prossimo. (Vivaci commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Vi è poi l’interrogazione degli onorevoli Mentasti, Ponti, Lizier e Bastianetto:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere – in relazione ai deplorevoli episodi di intolleranza accaduti a Venezia il 29 corrente – quali provvidenze il Governo intenda adottare perché la libertà di parola nelle pubbliche manifestazioni sia a tutti garantita e così pure tutelata la sicurezza dei partecipanti contro ogni atto di faziosità e di violenza».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò anche a questa interrogazione lunedì prossimo. (Vivaci commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Comunico il testo delle altre interrogazioni urgenti:

«Al Ministro dei lavori pubblici, della marina mercantile e dei trasporti, per sapere quali pronti energici e concreti provvedimenti intendano adottare per diminuire il gravissimo disagio in cui versa il porto di Napoli, a causa:

  1. a) degli enormi danni riportati nelle attrezzature, nelle banchine e nelle calate, e dei quali è assai lontana la riparazione;
  2. b) della conseguente deviazione delle normali correnti di traffico importanti una insostenibile condizione per l’Ente autonomo del porto di Napoli;
  3. c) della mancanza di ogni servizio igienico-sanitario per le numerose maestranze, costrette a lavori pesanti e pericolosi;
  4. d) della differenza di costo della nafta per bunkeraggio in confronto con gli altri porti esteri del Mediterraneo;
  5. e) e, in genere, a causa della dimenticanza, da parte del Governo, degli interessi che riguardano il lavoro, e la ricchezza connessi con il porto di Napoli.

«Salerno, Leone Giovanni».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i motivi che lo hanno indotto ad ordinare l’immediata revoca del decreto n. 13911 del 30 aprile 1947 del prefetto di Aquila, con il quale, d’accordo con la Camera confederale del lavoro, venivano disciplinati, per il territorio della provincia, l’assunzione del personale e l’impiego della mano d’opera disoccupata mediante turni di lavoro.

«Corbi»

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò anche a queste interrogazioni nella seduta di lunedì prossimo.

PRESIDENTE. È stata presentata anche la seguente interpellanza con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere se siano edotti della eccezionale gravità della situazione in Sicilia, e in particolare:

1°) che il banditismo politico appare riorganizzato, rivolgendo la sua particolare attività criminosa contro i partiti democratici e le organizzazioni dei lavoratori;

2°) che l’ispettore generale di pubblica sicurezza per la Sicilia dottor Messana è stato denunziato all’autorità giudiziaria, quale responsabile del reato di rivelazione di segreti d’ufficio è di correità nei delitti commessi dal bandito Ferreri, dal giorno in cui questi ne divenne il confidente;

3°) che contro il dottor Messana grava l’accusa di aver rilasciato il porto d’armi al padre del Ferreri, anche lui affiliato alla banda Giuliano, e di aver fatto scomparire – dopo il conflitto d’Alcamo – lo stesso porto d’armi, che il padre del Ferreri teneva in tasca;

4°) che contro il dottor Messana grava l’accusa di essersi recato qualche ora prima del conflitto in casa del Ferreri.

«Conseguentemente gli interpellanti chiedono di conoscere quali provvedimenti si intenda adottare per far piena luce sul conflitto d’Alcamo e colpire definitivamente il banditismo politico non solo nelle persone dei banditi, ma anche eventualmente di tutti coloro che ne risultino comunque responsabili.

«Li Causi, Montalbano, Lombardi Riccardo, Nasi, Sansone, Fiore».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Dovendo assumere informazioni sui fatti di cui all’interpellanza, mi riservo di precisare possibilmente domani quando il Governo sarà pronto per la discussione dell’interpellanza stessa. Tuttavia, se i suoi presentatori accettano di trasformare l’interpellanza in interrogazione, potrò probabilmente rispondere lunedì prossimo.

PRESIDENTE. Onorevole Li Causi, intendo mantenere l’interpellanza?

LI CAUSI. A nome anche degli altri firmatari, dichiaro di mantenere l’interpellanza.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se sia vero che cittadini italiani della provincia di Bolzano vengano tuttora trattenuti in campi di internamento civili a Farfa e Alberobello e militari a Verona e Rimini; e se non ritenga che sarebbe più opportuno seguire una linea diversa e più conforme ai diritti di eguaglianza e di libertà nei riguardi di cittadini che, per essere di lingua tedesca, tanto più occorre sentano concretamente la lealtà della Repubblica italiana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacometti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, sull’opportunità che il raddoppio delle aliquote nella sovrimposta comunale sui redditi dei terreni (giusta il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 12 maggio 1947, n. 356) sia da riservare esclusivamente ai comuni pei quali l’aumento sia indispensabile per eliminare o attenuare il deficit già verificatosi nel bilancio 1947 e per il quale sia stato chiesto o si ritenga ancora inderogabile l’intervento dello Stato.

«Con questo dovrebbe essere definitivamente sospesa per tutti gli altri comuni della provincia di Pavia, la inutile riscossione dell’aumento della sovrimposta comunale che venne già rinviata alla rata d’agosto; e ciò per evitare un inopportuno sperpero di capacità contributiva, in contrasto con le esigenze economiche e finanziarie generali. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Montemartini, Ferreri».

«La sottoscritta chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per sapere se non ritengano opportuno ed urgente, ai fini della salute pubblica e dell’ordine, impartire sollecite disposizioni agli uffici dell’A.C.E.A. perché rispetti l’impegno assunto a suo tempo di erogare l’acqua necessaria ai comuni di Poggio Mirteto, Montopoli e Salisano, i quali, dopo aver speso 15 milioni concessi dallo Stato per la costruzione di nuovi acquedotti, vengono ora a trovarsi, a lavori ultimati, nella gravissima situazione di non aver acqua proprio nel momento di maggior bisogno, con grave pericolo per le proprie popolazioni, il cui approvvigionamento idrico è assolutamente insufficiente nell’attuale momento. Si osserva al riguardo che sarebbe quanto mai ingiusto che gli interessi di una società debbano prevalere su quelli di intere popolazioni. Si fa notare, altresì, che il prefetto di Rieti, al quale si sono rivolti i sindaci dei tre comuni suddetti, affinché intervenga con tutta l’energia del caso presso la direzione dell’A.C.E.A., avvalendosi dell’articolo 19 della legge provinciale e comunale, non è stato in grado di indurre la suddetta azienda a concedere, nemmeno in via temporanea, l’uso dell’acqua.

«La interrogante chiede l’immediato e deciso intervento degli organi governativi, onde evitare l’ulteriore aggravarsi di una situazione pericolosa nei comuni sopracitati. (La interrogante chiede la risposta scritta).

«Pollastrini Elettra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se ritenga ritoccare le norme per il conferimento degli incarichi e delle supplenze per l’anno scolastico 1947-48 nel senso di attribuire valore di servizio scolastico (con punteggio pieno o eventualmente ridotto) anche al servizio militare compiuto da coloro che all’atto della chiamata alle armi non erano laureati, limitatamente però al periodo intercorrente dal momento in cui presumibilmente l’aspirante si sarebbe laureato (a quattro anni dalla immatricolazione universitaria) al momento del congedo.

«Questo provvedimento – che sarebbe tempestivo, in quanto il termine della presentazione delle domande è stato prorogato – colmerebbe una grave lacuna attuale, eliminando la sperequazione tra chi dalla guerra riceve qualche indiretto giovamento con una classifica di favore e chi invece ha visto dalla catastrofe troncati gli studi ed ora, pur avendo fatta maggiore fatica a riassestarsi, è quasi completamente abbandonato alla deriva. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sullo Fiorentino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per sapere se non credano urgente provvedere all’emanazione del decreto-legge riflettente il risarcimento dei danni di guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, per sapere se è a loro conoscenza che una grande quantità di concimi chimici è oggetto di mercato nero, nei quale sono parte attiva soltanto le grandi firme commerciali e i ricchi agricoltori, mentre i piccoli proprietari, perché poveri, sono dallo stesso quasi banditi, con la conseguenza di visibile peggioramento dei loro piccoli poderi e del loro magro bilancio; e come intendano provvedere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno, dell’industria e commercio e dell’agricoltura e foreste, per sapere – considerato che i prezzi di imperio sono applicati solo alla produzione agricola, provocando le proteste dei contadini contro un apparente sistema dei due pesi e due misure – se non credano urgente provvedere affinché anche la produzione industriale, e specialmente i prodotti tessili e le calzature, siano sottoposti a prezzi vincolati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se intenda accelerare l’emanazione del decreto che prevede la trasformazione dei Consorzi agrari e delle aziende agrarie di Trento in vere e proprie cooperative di agricoltori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.30.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

«Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXX.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

E DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

 

 

INDICE

 

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Dimissioni di un Deputato:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Risposte scritte ad interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Sul disastro di Porto Santo Stefano:

Cingolani, Ministro della difesa                                                                         

Votazione per la nomina di un Vicepresidente:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Tosato                                                                                                              

Mortati                                                                                                            

Ambrosini, Relatore                                                                                          

Colitto                                                                                                             

Preti                                                                                                                 

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Piemonte                                                                                                          

Mannironi                                                                                                        

Negarville                                                                                                       

Piccioni                                                                                                             

Togliatti                                                                                                          

Risultato della votazione per la nomina di un Vicepresidente:

Presidente                                                                                                        

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Baldassari.

(È concesso).

Dimissioni di un Deputato.

PRESIDENTE. Comunico che ho ricevuto una lettera dell’onorevole Natoli Lamantea, il quale, avendo ricevuto dal Ministero degli esteri un incarico che, allontanandolo da Roma, non gli permetterà di seguire i lavori della Costituente, pur non essendo tale incarico incompatibile col mandato parlamentare, rassegna le sue dimissioni da deputato.

Pongo ai voti l’accettazione di queste dimissioni.

(Sono accettate).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato i seguenti deputati a far parte delle Commissioni rispettivamente indicate:

l’onorevole Bertone, della Giunta per il Regolamento, in sostituzione dell’onorevole Cingolani, nominato Ministro;

gli onorevoli Froggio e Storchi, della Commissione per la Costituzione (Sottocommissioni prima e seconda), in sostituzione degli onorevoli Tupini e Fanfani, nominati Ministri;

l’onorevole Cremaschi Carlo, della prima Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, in sostituzione dell’onorevole Andreotti, nominato Sottosegretario di Stato.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato risposte scritte a interrogazioni presentate da onorevoli deputati.

Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi.

Sul disastro di Porto Santo Stefano.

PRESIDENTE. Il Ministro della difesa ha chiesto di parlare per fornire notizie suppletive sull’esplosione del Panigaglia. Ne ha facoltà.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Credo mio dovere, onorevoli colleghi, di comunicare notizie suppletive a quelle date già ieri dal Presidente del Consiglio sull’esplosione del Panigaglia.

Mi sono recato sul posto ieri sera e tutta la notte ho assistito ai tentativi di innalzamento della poppa del relitto della nave saltata in aria. Posso dire che, tanto da parte degli elementi della Marina e dell’Esercito, come da parte di marinai civili, è stato fatto tutto quello che si poteva per tentare di penetrare nella poppa della nave affondata.

La voce che si era sparsa, e che sembrava seria, che fossero rinchiusi nella poppa e protetti da una bolla d’aria cinque superstiti, è purtroppo priva di fondamento.

Il lavoro per poter trarre a salvamento l’unico scampato, cioè tale Salvatore Somma, militarizzato, è stato intensissimo. La perforazione della lamiera è stata fatta con molta difficoltà, anche perché le scintille e il fumo arrivavano nell’interno del piccolissimo locale ripieno di rottami di macchine, nel quale si sosteneva, con l’acqua fino alla gola, questo operaio che era indubbiamente dotato di energia fisica e di energia morale veramente notevoli. Ed infatti dall’interno ha potuto, attraverso due fori che erano stati praticati al principio per potergli fare arrivare un poco di luce e d’aria, dirigere l’operazione, avvertendo di sospenderla al momento in cui il fumo e le scintille minacciavano di togliergli quel poco di aria che poteva respirare.

Da uno dei due fori che erano stati praticati, gli è stata passata una bottiglia di cognac che egli ha appena assaggiato, dicendo che sentiva che gli avrebbe fatto male. Il militarizzato Somma aveva vicino a sé un compagno di cui conosceva appena il nome; questi però non gli era tanto vicino da concertare con lui il numero dei colpi da dare alla parete per far conoscere quanti erano i salvati, secondo quanto, dal primo foro praticato nella carcassa, gli era stato domandato.

Il rifugiato che era vicino a lui, che egli ricorda come un essere molto gracile, non ha potuto mai battere la parete; il Somma ha pertanto battuto i colpi ripetutamente, senza pensare di proposito al numero di essi. Ne viene di conseguenza che quando, con ripetuti sforzi, dall’unica perforazione resa possibile dal mare che era frattanto divenuto cattivo, egli fu potuto trarre fuori, non vi fu più alcuna speranza di poter salvare con lui altri superstiti. Così che la speranza cui ci si era attaccati, dopo l’interrogatorio del Somma, di poter salvare i presunti cinque uomini, era destituita di fondamento.

Posso aggiungere che il lavoro notturno fu effettuato da un solo palombaro della marina militare, perché gli altri civili accorsi non hanno creduto di poter lavorare di notte con l’ausilio di un grande faro che illuminava solo, sott’acqua, a minima profondità. I marinai civili hanno fatto una bellissima opera con dei sacchi di rena, per cercare di delimitare la zona per tutta la durata del mare mosso, intorno al portello aperto con la fiamma ossidrica. Ma purtroppo il mare lungo succeduto al mare mosso ha impedito che si potesse proseguire nell’opera intrapresa.

Sono stati immediatamente convogliati al punto del disastro i pontoni più potenti che possieda la nostra marina e in particolare quello di La Spezia che può sollevare fino a 400 tonnellate. Per poter far presto, essi sono stati anzi fatti partire immediatamente a rimorchio, senza neppure accendere i fuochi. Ma tutti sanno che i pontoni hanno una velocità limitatissima; essi sarebbero pertanto potuti arrivare nelle acque di Santo Stefano soltanto nel pomeriggio di oggi. Il palombaro militare, che ha lavorato con estrema abnegazione, è riuscito ad imbragare la poppa; dico la poppa, perché la esplosione è stata tanto violenta da sollevare completamente in aria il Panigaglia, da rovesciarlo su se stesso e da lanciarlo ad oltre 100 metri dalle boe.

Intorno, relitti umani sono stati raccolti in piccola quantità. Forse molti morti sono ancora nello scafo. Quattro cadaveri sono stati raccolti nell’ospedale di Orbetello, dove ci sono due feriti: il Somma, che va riprendendosi rapidamente, in preda a choc nervoso e ferito alle parti posteriori in seguito alle lacerazioni prodotte dai rottami di macchina, e un ferito civile che passava in camion sulla strada e che è stato proiettato fuori del veicolo dalla violenza dello spostamento d’aria. Non vi sono altri feriti.

Due case sono state colpite, delle quali una è veramente danneggiata; un enorme pezzo di lamiera, ha perforato il tetto e si è fermato al piano superiore della casa. La violenza del colpo è stata tale da far distaccare completamente tutto l’intonaco e rovinare tutto il mobilio. Per fortuna è una casa restaurata per la villeggiatura; e proprio la sera del giorno in cui il disastro è avvenuto doveva essere occupata dalla famiglia di un ingegnere della «Montecatini». Questa assenza della famiglia dei pigionanti ha evitato altre vittime.

Posso dare altri dettagli sui soccorsi inviati. Da Anzio sono state dirottate due corvette e un rimorchiatore; da Talamone sono partiti il pontone Maciste e il pontone Plutone.

Sono stati inviati autocarri con compressori d’aria ed alcuni sommozzatori della marina militare, i quali sono palombari per lavori a poca profondità. Essendo a poca profondità il relitto (pare che sia affondato per sette metri), bastavano i sommozzatori.

Comunque, il problema è unico: siccome la poppa con le eliche e parte del timone sono fuori dell’acqua, basta una forte imbragatura ed un sollevamento, soprattutto da parte del Maciste, per poter conoscere il mistero di tante morti avvenute a bordo.

Ho nominato immediatamente una Commissione di inchiesta, la quale è così costituita: presidente l’ammiraglio di squadra Luigi Sansonetti; membri: il tenente, generale Mainardi Giuseppe, dei servizi tecnici di artiglieria, maggiore generale dell’arma navale Pellegrini Sergio, capitano di vascello Pelosi Gaetano, tenente colonnello Mendoza Crispino, dei servizi tecnici di artiglieria.

Questa Commissione deve ricercare le cause che hanno potuto determinare l’esplosione della nave, esaminare la situazione del residuo del munizionamento, accertare le eventuali responsabilità o manchevolezze circa lo scoppio e le operazioni di salvataggio per i provvedimenti da prendere al riguardo.

Il lavoro di sbarco delle munizioni procedeva sempre lentamente, con grande accuratezza. Non più di 80 tonnellate per volta erano trasportate attraverso grandi telai giapponesi per poter calare senza scossoni le munizioni in due pontoni. Un pontone della «Montecatini» è stato travolto dall’esplosione ed il marinaio che era a bordo è scomparso. L’altro pontone non ha avuto a bordo nessun morto o ferito, perché si trovava ad una certa distanza dal punto della sciagura.

L’inchiesta dovrà indagare a fondo sull’accuratezza del carico del materiale su queste navi che sono fatte apposta per il trasporto di munizioni.

Posso dire che, da accertamenti fatti, disgrazie di questo genere mai sono accadute nella Marina. Durante la guerra mondiale, scoppi sono avvenuti sulla Benedetto Brin e sulla Leonardo da Vinci, ma per altre cause, in seguito ad attentato.

C’è ancora un trasporto carico di materiale esplosivo che si trovava a Messina e che doveva essere trasportato a Trapani; ho fatto fare indagini sul carico prima di addivenire allo sbarco di queste munizioni.

Quello che a me preme è assicurare l’Assemblea circa lo zelo immediato nel prestare soccorsi.

Quanto dicono i giornali, riportando le frasi addolorate e sincere del medico, cioè che si potevano mandare più palombari e meno autoambulanze, non ha base per questo motivo, perché le prime notizie a noi giunte e che ha riferito ieri il Presidente del Consiglio, parlavano di proiezione di proiettili nell’abitato; e difatti molti proiettili sono disseminati per un raggio di un chilometro. Essendo Porto Santo Stefano molto popolato nella stagione estiva ed essendo molte case sparse nella rada intorno alla baia, c’era da presumere che ci fossero anche vittime umane fra la popolazione. Fortunatamente a terra non ci sono vittime umane. D’altra parte, la prima notizia dell’esplosione non dava particolari intorno alla positura della nave e alla possibilità di poter salvare qualche vivo a bordo. Questo si è saputo dal telegramma che è arrivato quando il Presidente stava parlando dinanzi agli onorevoli colleghi. Le sedici autoambulanze sono tornate fortunatamente vuote; ma preferisco aver avuto un eccesso di zelo piuttosto che essere accusato di manchevolezza nell’inviare i soccorsi necessari. Non appena avrò particolari e quando i lavori saranno compiuti – spero nella nottata – metterò l’Assemblea al corrente di quanto è sciaguratamente avvenuto, di quanto si è nobilmente compiuto e delle risultanze della inchiesta.

Votazione per la nomina di un Vicepresidente.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la votazione per la nomina di un Vicepresidente.

Prima che si proceda alla votazione, estraggo a sorte i nomi di 12 deputati, che comporranno la Commissione di scrutinio.

(Segue il sorteggio).

La Commissione risulta così composta: Bennani, Borsellino, La Gravinese Nicola, Turco, Mattarella, Scotti Alessandro, Cannizzo, D’Onofrio, De Filpo, Sardiello, Carratelli, Ayroldi.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli scrutatori a recarsi nella sala all’uopo destinata per procedere immediatamente alle operazioni di scrutinio.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Riprendiamo l’esame degli emendamenti al nuovo testo unificato degli articoli 109, 110 e 111 proposto dal Comitato di redazione.

L’onorevole Tosato ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo periodo col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle singole leggi dello Stato, nelle seguenti materie».

Ha facoltà di svolgerlo.

TOSATO. Il mio emendamento mira soltanto a chiarire, precisare e semplificare la formula proposta dal Comitato di redazione.

Ieri l’onorevole Bozzi manifestava, appunto, la preoccupazione che il testo proposto dal Comitato di redazione non fosse sufficientemente chiaro e preciso e potesse dar luogo a diverse interpretazioni; diversità di interpretazione, che, in materia così delicata e importante, sarebbe da evitare. Ed io sono perfettamente d’accordo con lui.

Il testo proposto dal Comitato di redazione dice:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative…».

Fino a questo punto credo che tutti ormai siano perfettamente d’accordo.

Non è assolutamente conveniente parlare genericamente d’una potestà normativa della Regione; perché, se si parlasse semplicemente di potestà normativa, si lascerebbe precisamente in sospeso la questione se questa potestà normativa si esprime col vigore della legge oppure con la forza del regolamento.

D’altra parte non sembra nemmeno possibile qualificare senz’altro la potestà legislativa della Regione come potestà di «integrazione», perché, se andiamo alla sostanza delle cose, quando si parla di potestà legislativa di integrazione, nel senso specifico e restrittivo attribuito a questo termine, si adopera la parola «legislativa» in un modo del tutto improprio. In realtà si tratta né più né meno che di una semplice potestà regolamentare. E se noi attribuissimo alla Regione soltanto una potestà regolamentare, saremmo nei limiti di un semplice decentramento autarchico, amministrativo, e non si avrebbe quella vera e propria autonomia, quell’autonomia che noi desideriamo consacrata nella Costituzione, e che implica, sia pure con tutte le garanzie, un decentramento legislativo.

Ancora: non è nemmeno possibile accettare l’altra formula proposta, secondo la quale la Regione potrebbe essere soggetto di una potestà legislativa soltanto delegata, perché quando si tratta di potestà legislativa delegata si esclude una competenza propria della Regione, competenza legislativa propria della Regione che invece noi riteniamo necessaria, e indispensabile per l’affermazione di una vera e propria autonomia regionale. Autonomia che dev’essere costituzionalmente garantita, e non rimessa alla discrezionalità del Parlamento.

Quindi io ritengo che fino a questo punto il testo presentato dal Comitato sia preciso ed esatto. Basta parlare semplicemente di potestà legislativa. S’intende però che, quando si parla di potestà legislativa, bisogna anche stabilire entro quali limiti si deve svolgere, si deve mantenere questa potestà legislativa delle Regioni. Orbene, l’articolo presentato dal Comitato prevede due ordini di limiti, dei limiti sostanziali e dei limiti formali. I limiti sostanziali sono dati dall’elenco delle materie nelle quali potrà affermarsi la potestà legislativa della Regione. Discuteremo di questo elenco. Vedremo se esso sarà integralmente accolto dall’Assemblea, se da esso escluderemo qualche materia e ve ne includeremo qualche altra.

Ad ogni modo il principio di un limite sostanziale di materia della potestà legislativa della Regione è chiaramente affermato, ed è un limite molto importante, in quanto significa che costituzionalmente le Regioni non potranno emanare norme giuridiche, se non nelle materie esplicitamente previste dal testo costituzionale, non in altre materie, a meno che leggi successive, come prevede l’attuale capoverso del Progetto, non ammettano la possibilità di un pacifico intervento legislativo delle Regioni.

Il testo presentato dal Comitato prevede poi dei limiti d’ordine formale, in quanto afferma che la Regione può bensì emanare norme legislative, ma nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica.

È a questo proposito che l’onorevole Bozzi specialmente ha manifestato le sue perplessità. Principî generali. Che cosa sono questi principî generali? Direttive. Che cosa sono queste direttive? Vi è una differenza fra principî e direttive? E a quali principî si riferisce? Queste direttive in quale direzione possono manifestare, il loro vigore? Sono problemi questi, sollevati dall’onorevole Bozzi, che meritano di essere esaminati, e che suggeriscono l’opportunità di un chiarimento, di una precisazione al testo proposto dal Comitato.

Il pensiero del Comitato di redazione che ha formulato il testo in esame, è, a mio avviso, indubbio.

Il Comitato di redazione è animato da una preoccupazione, dalla preoccupazione di salvaguardare l’esigenza già solennemente affermata dall’articolo 106, in cui si stabilisce il principio che la Repubblica italiana è una Repubblica unitaria ed indivisibile. Ora l’unità della Repubblica è data dall’unità dell’ordinamento giuridico. Con la formula «nei limiti dei principî generali o direttive…», secondo me, il Comitato di redazione pur riconoscendo e ammettendo, in determinate materie, la potestà di un intervento di carattere legislativo della Regione, si è preoccupato al tempo stesso, ed ha voluto salvaguardarla dell’unità fondamentale dell’ordinamento giuridico dello Stato. In questo senso si pongono, come limiti della legislazione regionale, i principî generali e le direttive stabiliti dalle leggi della Repubblica. Pertanto, quando l’onorevole Bozzi chiede che cosa sono questi principî e domanda se essi si riducono ai principî generali dell’ordinamento giuridico, a quei principî, per intendersi, ai quali si riferiscono le disposizioni preliminari del Codice civile, evidentemente bisogna rispondere di no. Che la legislazione regionale sia subordinata alla Costituzione dello Stato, non solo, ma anche ai principî generalissimi dell’ordinamento giuridico che di per sé hanno carattere costituzionale, risulta per implicito da tutto il sistema, senza che vi sia bisogno di una disposizione espressa. I principî e le direttive richiamate dal testo del Comitato, non sono i principî generalissimi di tutto l’ordinamento giuridico, ma i principî relativi alle singole materie deferite alla legislazione regionale. Il Comitato intende precisamente che in tutte le materie attribuite alla competenza legislativa della Regione devono essere rispettati quei principî che nelle materie stesse siano stabiliti dalle leggi dello Stato. I rapporti fra legislazione statale e regionale vengono a delinearsi pertanto nel modo seguente: in determinate materie possono intervenire con attività normativa di carattere legislativo le Regioni; però l’attività legislativa delle Regioni è limitata nelle stesse materie attribuite alla loro competenza dai principî di carattere fondamentale posti in ciascuna materia dalle leggi dello Stato. Questo il sistema dei rapporti che il Comitato intende instaurare. Ed è evidente per tal modo l’unità della legislazione, e quindi l’unità dello Stato, l’unità del sistema, è perfettamente salvaguardata.

Ora, appunto al fine di togliere qualsiasi dubbio, qualsiasi incertezza, e qualsiasi preoccupazione che potrebbe sorgere da una diversa interpretazione di questi principî generali, io ritengo che sia più opportuno, intanto, di parlare semplicemente di principî fondamentali e non generali. L’onorevole Bozzi suggeriva di togliere senz’altro la qualifica di «generali» e di parlare semplicemente di principî. Io ritengo più opportuno, anche in riferimento ad una terminologia invalsa in altre costituzioni, in cui si parla di grundsätzliche Gesetzgebung, più proprio ed esatto usare il termine «principî fondamentali», per significare appunto che nelle materie attribuite alla legislazione regionale tale legislazione è purtuttavia sempre subordinata ai principî generali posti alla base, a fondamento di essa, direttamente dello Stato. Resta così esclusa qualsiasi potestà legislativa esclusiva della Regione. Lo Stato ha sempre il diritto di intervenire in qualsiasi materia, con questo solo limite, che in determinate materie, attribuite alla competenza legislativa della Regione, l’intervento legislativo dello Stato deve essere limitato all’imposizione di principî fondamentali.

Questo è, a mio avviso, il pensiero ed il proposito della Commissione. Ora, appunto al fine di specificare questo pensiero e questo proposito della Commissione, al fine di eliminare qualsiasi incertezza, qualsiasi equivoco, qualsiasi dubbio, per escludere che i principî che fungono da limite della legislazione regionale siano soltanto i principî generalissimi di tutto l’ordinamento giuridico, per affermare invece esplicitamente che si tratta dei principî particolari relativi alle singole materie, per questo io mi permetto di suggerire l’emendamento proposto, secondo il quale la Regione ha la potestà di emanare norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti «dalle singole leggi dello Stato». Con questa formula qualsiasi preoccupazione dovrebbe cadere. È chiarito e precisato che la legislazione regionale potrà intervenire in tutte le materie elencate, ma intervenendo in queste materie, essa dovrà comunque rispettare i principî stabiliti, relativamente ad esse, dalla legislazione dello Stato. S’intende che il richiamo a tali principî è mobile, non statico. Lo Stato potrà sempre modificare, rinnovare i principî. In ogni caso la legislazione regionale dovrà sempre adeguarli ai principî modificati o nuovi posti dalla legislazione statale. Il testo della Sottocommissione parla di principî o direttive. L’onorevole Bozzi ha sollevato il problema: che cosa sono queste direttive? Egli ha cercato di dare un’interpretazione del testo della Sottocommissione e ha detto: per direttive si possono intendere quelle norme fondamentali emanate dallo Stato che non sono immediatamente vincolanti per i cittadini, ma che hanno per destinatario il legislatore regionale, rispetto al quale soltanto hanno efficacia direttamente vincolante. È un’interpretazione possibile, però è anche possibile un’altra interpretazione, soprattutto se teniamo presente una dottrina secondo la quale sarebbero direttive le norme vincolanti bensì, ma non assolutamente vincolanti. Ed altre interpretazioni sono ancora possibili. A mio avviso, di certe distinzioni, che hanno soprattutto un’importanza teorica, scientifica, è meglio fare a meno.

Bisogna evitare qualsiasi possibilità di dubbi, di incertezze, di interpretazioni diverse. Io parlerei soltanto di principî fondamentali, genericamente, senza alcun riferimento alle direttive. In fondo, i principî costituiscono pur sempre delle direttive; ed essi possono agire e funzionare in vario senso, con un contenuto che può essere immediatamente vincolante per i cittadini, oppure vincolante soltanto per il legislatore. Queste varie possibilità vanno lasciate, a mio modo di vedere, alla discrezionalità del legislatore.

Queste sono, brevemente, le ragioni dell’emendamento da me proposto. Ritengo che l’esigenza dell’unità fondamentale dell’ordinamento giuridico, e tutte le preoccupazioni che sorgono attorno a questa esigenza, siano da esso sodisfatte, in modo che la legislazione regionale non abbia a turbare mai l’armonia e l’unità dell’ordinamento giuridico, ma possa servire soltanto a rendere le norme che lo costituiscono più aderenti alla varietà dei differenti interessi locali.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha proposto di sostituire alle parole: «La Regione ha potestà di emanare norme legislative», le altre: «Compete alla Regione di emanare norme legislative».

Ha facoltà di svolgere questo emendamento.

MORTATI. Il mio emendamento tende a questo: sostituire la parola «compete» alla parola «ha potestà», e ciò per evitare che l’esercizio di questa competenza della Regione sia intesa come puramente facoltativa.

Faccio osservare che questa interpretazione potrebbe praticamente dar luogo a gravi inconvenienti, poiché, nel caso che la Regione non usufruisse di questa facoltà, nascerebbe uno stato di incertezza e non si saprebbe, una volta emanate le direttive, come queste direttive possano essere svolte e come sia possibile dar vita a quella serie di attività amministrative che presuppongono l’esercizio dell’attività normativa della Regione. La mia proposta tende, quindi, a tornare al testo originario del Comitato e a dare alla Regione esclusivamente il compito di legiferare in quella materia in cui si sono avute direttive da parte dello Stato.

PRESIDENTE. È così terminato lo svolgimento degli emendamenti relativi al primo periodo del nuovo testo unificato degli articoli 109, 110 e 111.

Invito la Commissione ad esprimere il proprio avviso su di essi.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

AMBROSINI, Relatore. Onorevoli colleghi, dopo la lunga discussione svoltasi su questo punto, che è fondamentale per tutta la riforma che andiamo ad affrontare, viene il momento di esaminare gli emendamenti presentati da varie parti al testo degli articoli 109-111 adottato dalla Commissione dei Settantacinque, e la nuova proposta di un unico articolo riassuntivo che il Comitato di redazione ha raccolto per cercare di andare incontro a molti di tali emendamenti. Naturalmente l’accettazione da parte nostra di quest’ultimo testo, che tende a raggiungere il maggior numero di consensi sulla votazione dell’istituto in questione, presuppone l’accordo ed è condizionato al mantenimento di esso.

E siccome alcuni colleghi mi hanno sollecitato a chiarire quale è stata l’origine della disposizione, io lo farò, sia pur brevemente.

Quando la seconda Sottocommissione, votando l’ordine del giorno Piccioni, previde che dovesse attribuirsi alla Regione una potestà legislativa, io mi trovai, dovendo elaborare il progetto, di fronte a questo problema fondamentale, che è stato discusso poi in Assemblea, e ritenni di risolvere la questione adottando due tipi di legislazione: quella che ora è prevista nell’articolo 109 del progetto della Commissione dei Settantacinque e l’altra prevista nell’articolo 111. Debbo anche ora chiarire che quella dell’articolo 109, che è stata da molti chiamata facoltà di legislazione «esclusiva», sicuramente non è tale. Ed a dimostrarlo basta ripetere che si tratta sempre di una potestà legislativa subordinata: subordinata alle norme della Costituzione e ai principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, e condizionata, inoltre, all’osservanza degli impegni internazionali dello Stato e degli interessi delle altre Regioni. È evidente che, quando c’è la subordinazione, non può esserci l’esclusività.

É questa la ragione per la quale il primo Comitato per le autonomie, poi la Sottocommissione, e poi la Commissione dei 75, sia pure a lievissima maggioranza, credettero di accedere alla mia proposta superando le critiche relative al preteso pericolo che essa avrebbe costituito per l’unità legislativa e per la compagine politica dello Stato.

D’altra parte, si prevedeva, nel mio progetto primitivo, soltanto un secondo tipo di legislazione, di integrazione ed attuazione delle leggi dello Stato, il tipo segnato nell’articolo 111 del progetto attuale.

Come l’Assemblea sa, la seconda Sottocommissione ritenne di integrare, per una maggiore precisazione, i due tipi suindicati di legislazione regionale con un terzo tipo, quello previsto dall’articolo 110.

Di fronte alle maggiori critiche insortene e alle opposizioni correlative, il Comitato di redazione – come ha detto il Presidente Ruini – ha accettato un testo concordato, col quale, allo scopo di ottenere un maggior numero di consensi, si rinuncia al tipo di potestà legislativa prevista dall’articolo 109, ed a fondere, in un solo articolo, le norme stabilite degli articoli 110 e 111. Non è ormai più il caso di accennare alle ragioni per cui a diversi colleghi e a me stesso sembrava preferibile il sistema prospettato nel mio progetto originario. Passiamo, quindi, senz’altro ad esaminare gli emendamenti apportati al testo «concordato», che rappresenta una conciliazione tra le diverse tendenze.

Potremo raggrupparli in poche categorie. C’è una prima categoria che, secondo noi, può chiamarsi di «emendamenti di rinvio». La proposta fatta dall’onorevole Targetti ed altri e quella dell’onorevole Nobile rientrano in questa categoria. L’emendamento dell’onorevole Targetti rimanderebbe in sostanza la disciplina di tutta la materia alla legislazione ordinaria, a singole leggi; è quindi il più lontano dal testo proposto dalla Commissione dei Settantacinque prima e ora dal Comitato di redazione, che lo ritenne per ciò assolutamente inaccettabile.

Non è nemmeno accettabile l’emendamento dell’onorevole Nobile, il quale, sia pure demandando la determinazione delle materie da attribuire alla competenza legislativa della Regione ad una legge di natura costituzionale, comporta sempre un rinvio, e quindi contrasta anch’esso con quello che ha già deliberato l’Assemblea. Con un voto esplicito infatti l’Assemblea ha voluto affermare non solo l’istituzione dell’ente Regione, ma anche il principio che la Regione deve avere un proprio potere normativo, legislativo, sia pur limitato.

Andando ad un altro gruppo di emendamenti, che potremmo chiamare «restrittivi», viene primo in considerazione quello presentato dall’onorevole Lami Starnuti e da altri colleghi. In sostanza l’onorevole Lami Starnuti, insistendo sulla posizione che egli aveva assunto fin dal primo momento in sede di seconda Sottocommissione, con questo emendamento tende a ridurre la potestà normativa della Regione ad una potestà semplicemente di integrazione e di attuazione. Ma, appunto per ciò, il Comitato di redazione non può accettare l’emendamento, il quale mortificherebbe il più ampio potere normativo che deve caratterizzare la istituzione dell’ente Regione.

Il collega Lami Starnuti ha fatto però delle osservazioni degne di essere prese in considerazione. Egli ha prospettato dei dubbi per i quali forse voleva una risposta, ed anzitutto questo dubbio: che cosa se ne fa di tutta la legislazione statale esistente? Potrebbe la Regione cominciare a dettare norme sue quando esiste questa legislazione, oppure deve aspettare che lo Stato emani nuove leggi prima che essa Regione possa cominciare a mettere in funzione la sua potestà legislativa?

A noi sembra che la risposta sia semplice: resta in vita tutta la legislazione esistente. Non occorre dettare in proposito una applicativa norma esplicita, giacché si tratta di una conseguenza implicita, necessaria. Ipotizzare una conseguenza diversa significherebbe ammettere la possibilità che si stabilisca il vuoto nell’ordinamento legislativo, per lo meno relativamente ad un determinato gruppo di materie.

Ora, questo non è possibile. È assolutamente chiaro che tutta la legislazione esistente deve restare in vita fino a quando lo Stato, attraverso i modi ordinari di produzione di norme giuridiche, vada ad elaborare nuove leggi, infra i cui principî fondamentali le Regioni possono esercitare la loro potestà legislativa subordinata, complementare, perché tale è in ogni caso, ripeto, la caratteristica della legislazione regionale.

Un’altra osservazione faceva l’onorevole Lami Starnuti: se, per avventura, ci fossero delle materie per le quali non esistesse una legge dello Stato, sarebbe possibile alla Regione emanare norme proprie? Teoricamente, anzi, astrattamente, la domanda potrebbe porsi, perché, richiedendo una norma subordinata il presupposto di una norma principale, fondamentale, sarebbe imbarazzante ed incerta la posizione della Regione nell’ipotesi configurata dall’onorevole Lami Starnuti.

Ma in concreto il caso ipotizzato non esiste, come osservò l’onorevole Ruini ieri, in una sua interruzione. In concreto, tenendo presenti le materie elencate nell’articolo «concordato», o negli stessi tre articoli del progetto approvato dal Comitato dei Settantacinque – 109, 110, 111 – sicuramente possiamo dire che esse sono già impegnate, e completamente, dalla legislazione dello Stato.

Quindi, il pericolo derivante dall’ipotesi che concettualmente prospettava l’onorevole Lami Starnuti non esiste.

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Codignola, il quale, in sostanza, si preoccupa della dizione «legislazione generale». Nella sua dimostrazione, egli ha finito per porre un quesito e una domanda che, da un certo punto di vista – per quanto con una formulazione diversa – coincidono con i dubbi e con le domande che ci pose ieri l’onorevole Bozzi.

L’onorevole Codignola dice: Che cosa significa «principî generali», «legislazione generale?». E ha aggiunto: Si tratta forse di quei principî generali dei quali si parla nelle preleggi?

Io credo che non occorra spendere molte parole per rispondere subito nettamente, tassativamente, che non si tratta affatto dei principî generali delle preleggi, né dei principî generali dell’ordinamento giuridico a cui io avevo fatto richiamo nel testo originario dell’attuale articolo 109. Allora sì che il richiamo ai principî generali dell’ordinamento giuridico aveva una ragione di essere, ma non più ora e riguardo al testo dell’articolo cosiddetto «concordato» accettato dal Comitato, nel quale il richiamo ai principî generali, fondamentali, deve intendersi riferito ai principî affermati nelle singole leggi nazionali che si occuperanno delle materie particolari attribuite alla Regione per l’emanazione di norme giuridiche complementari. Se questo è vero – e a me pare che sia vero – è evidente che la giusta preoccupazione (tutte le preoccupazioni, ripeto, è bene che siano qui avanzate per essere chiarite) la giusta preoccupazione dell’onorevole Codignola, dell’onorevole Bozzi e di altri egregi colleghi può considerarsi completamente superata.

E così ugualmente la preoccupazione, che or ora esponeva al Presidente Ruini ed a me l’onorevole Dugoni, a proposito dell’emendamento Tosato al testo concordato. Temo di non avere completamente raccolto le sue obiezioni perché, mentre egli ci parlava, dovevo seguire il discorso dell’onorevole Mortati. Ma, se non mi sbaglio – ed egli può correggermi e precisare – in sostanza egli avanzava il dubbio che il richiamo ai principî generali, ai soli principî generali, rappresentasse un limite molto ristretto alla potestà legislativa della Regione, un limite tanto ristretto da importare in sostanza l’attribuzione ad essa di una potestà legislativa pienissima.

Senonché tale opinione e preoccupazione è infondata, giacché i principî generali, fondamentali, dei quali discutiamo, sono quelli che il legislatore andrà segnando nelle singole leggi particolari, e che ora sono contenuti nelle leggi esistenti che regolano le materie che saranno attribuite alla competenza legislativa della Regione. Ogni equivoco dovrebbe risultarne così chiarito, e conseguentemente sorpassata e superata l’obiezione che si muove al testo da ultimo proposto.

Se è così, i nostri oppositori potrebbero accedere al testo suddetto, potrebbero accedervi se effettivamente la loro opposizione si basa sul motivo suaccennato.

Se poi, invece, si basasse su un motivo più ampio, riferentesi ad una questione più vasta di principio, e se tendesse in effetti a sminuire il tipo di legislazione da attribuire, alla Regione riducendola ad una legislazione di integrazione o regolamentare, come espressamente dice l’onorevole Lami Starnuti, allora il problema sarebbe diverso; e noi risponderemmo all’obiezione con le stesse argomentazioni che abbiamo esposte a proposito dell’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti.

Nel discorso, ugualmente organico, che ieri pronunciò, l’onorevole Preti avanzò le sue preoccupazioni e ritornò, in sostanza, sullo stesso argomento, pure prospettandolo in modo diverso. Egli disse che, se la portata delle norme contenute sia nel progetto primitivo che nel testo concordato fosse quella da noi indicata, sarebbe evidente che non può parlarsi di facoltà legislativa e che, quindi, dovrebbe cambiarsi la dizione del progetto primitivo o del testo concordato.

In proposito io rispondo che noi dobbiamo preoccuparci della sostanza, del contenuto cioè effettivo del potere normativo che si crede opportuno di attribuire alle Regioni. Naturalmente anche alle espressioni bisogna badare.

Ora, venendo a queste, non vediamo la ragione perché non potrebbero qualificarsi come legislative le norme previste nel testo concordato accettato dal Comitato di redazione.

Rilevo che diversi onorevoli colleghi, che pur sono contrari o che non completamente accettano il testo suddetto, non hanno esitato, come l’onorevole Bozzi, a ritenere che tali norme hanno carattere legislativo. Ed anzi, è stato proprio per questa ragione che alcuni di essi hanno ritenuto di non potere adottarle.

L’onorevole Preti e, se non sbaglio, anche l’onorevole Zotta, hanno fatto in proposito accenni al diritto comparato, specie alla Costituzione austriaca del 1920 e a quella tedesca di Weimar.

Orbene, in base alla dizione formale che su questo punto si ha in tali Costituzioni, mi pare che ne risulti legittimato, o meglio suffragato da un esempio notevole ed autorevole il modo di qualificare le norme di cui trattiamo nel progetto, cioè l’espressione di norme «legislative».

Gli onorevoli colleghi sanno che, dal punto di vista della tecnica giuridica, le due Costituzioni suddette possono considerarsi esemplari.

Ebbene, la Costituzione della Repubblica austriaca del 1920, all’articolo 12, laddove si occupa in riguardo ai Länder di un tipo di legislazione simile a quella di cui discutiamo, parla di Ausführungsgesetzen, cioè di leggi complementari. Malgrado sia accentuato il carattere «esecutivo» delle norme, queste vengono pur chiamate Gesetzen, cioè leggi.

E questa qualificazione acquista tanto più rilievo, in quanto nell’articolo precedente, comma secondo, parlandosi di un altro tipo di norme, queste vengono qualificate come Durchführungsverordnungen, cioè «regolamenti complementari». Le norme di cui all’articolo 12 suindicato sono le più interessanti per noi. Esse debbono emanarsi nei limiti dei principî generali, fondamentali, fissati dalle leggi dello Stato, di quelle leggi, che stabiliscono, secondo dice l’articolo 12 citato, le Grundsätze. La stessa parola era stata adoperata dalla Costituzione di Weimar all’articolo 10.

L’onorevole Ruini, in un suo intervento di un mese fa, parlò di Ramengesetze. Si tratta di quelle leggi che stabiliscono i principî fondamentali, che disegnano la cornice nella quale deve inquadrarsi lo svolgimento dell’attività legislativa della Regione.

Prospettando il principio fondamentale della riforma relativamente alla legislazione regionale, rileviamo che il nuovo ente incontra due limiti. Uno deriva dalla delimitazione delle materie che l’Assemblea Costituente attribuirà in concreto alla competenza legislativa della Regione, l’altro si riferisce al merito e al contenuto delle norme giuridiche, che possono essere emanate soltanto nei limiti dei principî generali, fondamentali, stabiliti dalle leggi dello Stato per ognuna delle materie in questione.

C’è inoltre un limite ulteriore relativo al perfezionamento della legge regionale. Ce ne occuperemo quando verrà in discussione l’articolo 118 che ne tratta espressamente.

Quindi, stabiliti questi principî, a noi pare che le opposizioni e titubanze da varie parti avanzate possano essere superate, salvo naturalmente che si ritorni ad una questione ancora più fondamentale e cioè che si avversi lo spirito generale di tutta la riforma.

Peraltro, mi permetterei, a titolo personale, di osservare, a proposito dei denunciati presunti pericoli che deriverebbero dal tipo di legislazione proposta, che tali pericoli si presenterebbero anche per la legislazione cosiddetta di integrazione. Non riesco, quindi, a rendermi conto dell’atteggiamento di coloro che sono favorevoli a quest’ultimo tipo di legislazione, ma che combattono il tipo proposto dal Comitato, in base alla denuncia di presunti pericoli, i quali, siccome ho detto, si prospetterebbero ugualmente efficienti per il potere legislativo di integrazione.

Ma la verità è che, così come è congegnato, il progetto elimina tali pericoli. Ed allora, se noi siamo convinti, come credo molti di noi sono convinti (naturalmente non tutti), se la maggioranza di quest’Assemblea è convinta che l’attribuire alle Regioni una certa potestà legislativa, con i limiti di materie e i limiti sostanziali ai quali abbiamo fatto cenno, non costituisce pericolo per l’unità legislativa e per le direttive politiche generali dello Stato, allora io credo che si possa, senza ulteriori titubanze, accedere al testo proposto dal Comitato di redazione.

I chiarimenti fin qui dati valgono anche per le considerazioni esposte dall’onorevole Bozzi nel suo lucido e serrato discorso di ieri. Ma egli fece due domande specifiche, chiedendo alla Commissione di rispondere partitamente. Era il suo diritto; era ed è il dovere nostro, ma anche il nostro diritto chiarire la situazione, perché non intendiamo assolutamente che passi nessuna norma sotto un qualsiasi voto equivoco.

Risponderò a tali domande in fine, perché credo che investano quasi tutto il congegno della riforma su questo punto.

Mi occupo, prima, degli altri emendamenti, che l’onorevole Ruini questa mattina chiamò esplicativi o ampliativi. Vi è l’emendamento perspicuo dell’onorevole Persico che, in sostanza, non si differenzia molto da quello accettato dal Comitato di redazione col testo concordato. Quindi, può darsi che non sia il caso di ricorrere in proposito ad una votazione specifica. Naturalmente, questo, nella sua saggezza, lo deciderà l’onorevole Persico. Egli vedrà se insistere nel suo emendamento o aderire a quello accettato dal Comitato.

C’è un altro emendamento, proposto dal collega onorevole Zotta, il quale suggerisce di aggiungere «ai limiti stabiliti» le parole «e nel rispetto degli interessi delle altre Regioni».

Devo subito dire che io, personalmente, ed alcuni membri del Comitato ci siamo pronunziati senz’altro in senso favorevole. Rammento che tale fu la proposta che io feci all’inizio e che venne accettata anche dalla Commissione dei Settantacinque. Senonché la maggioranza del Comitato ha osservato che questo limite è previsto nell’articolo 118, in base al quale spetta al Governo nazionale la facoltà di arrestare la legislazione regionale, quando essa trascenda dai limiti di competenza per materia della Regione o quando interferisca negli interessi della Nazione o di altre singole Regioni.

Per non trattare due volte della stessa materia e due volte affermare lo stesso principio, il Comitato nella sua maggioranza ha ritenuto di far presente all’onorevole Zotta la opportunità di rimandare l’esame specifico di questo argomento al momento nel quale si discuterà l’articolo 118.

L’emendamento proposto dall’onorevole Tosato risponde all’esigenza di maggiori precisazioni di fronte alle obiezioni venute da vari onorevoli colleghi di quest’Assemblea. Il Comitato non ha nulla da obiettare, perché i principî affermati in questo emendamento corrispondono a quello che finora si è chiamato «testo concordato». Quindi, vedrà l’Assemblea quello che ritiene più saggio di fare.

Riguardo all’emendamento proposto dal collega onorevole Mortati, io personalmente le accetterei senz’altro. Egli rammenta che quella espressione fu da me proposta fin dal primo momento. Nell’articolo 3 del primo progetto che presentai al Comitato di redazione si diceva infatti: «Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie».

Ma da una rapida consultazione avvenuta fra i componenti del Comitato qui presenti non è risultata una decisione concorde. È stato osservato che la sostanza del testo concordato non verrebbe modificata da questo emendamento; ma che esso potrebbe causare una certa incertezza nella votazione. Mi limito a riferire queste osservazioni.

Vengo ai due punti su cui si era soffermato l’onorevole Bozzi. Egli nel secondo emendamento ha proposto che si inserisca prima dell’ultimo comma dell’articolo concordato il seguente comma: «Le leggi della Repubblica stabiliscono il termine entro il quale la Regione deve esercitare la potestà legislativa prevista dal primo comma».

Su questo punto il Comitato osserva che la preoccupazione che ha spinto l’onorevole Bozzi e presentare l’emendamento non solo sembra eccessiva ma forse infondata. Questa preoccupazione si riconnette, se non mi sbaglio, a quell’altra che con insistenza avanzò l’onorevole Lami Starnuti, quando disse: «Se la Regione resta inattiva, che cosa succede?». La risposta l’abbiamo data: succede questo, che restano in vigore non solo tutte le leggi, ma anche, aggiungo, tutti i regolamenti dello Stato, che regolano la determinata materia. L’onorevole Bozzi ha fatto bene a porre tassativamente la questione, perché così si arriva al chiarimento opportuno. Fino a quando la Regione non esercita il suo diritto di emanare le norme legislative secondarie delle quali abbiamo parlato, resteranno in vigore le norme similari che già erano state emanate dallo Stato, e quindi anche i regolamenti. L’Assemblea regionale non legifererà senza una debita ponderazione, e non apporterà, io credo e spero, innovazioni alle norme giuridiche esistenti per semplice desiderio di innovare, specie quando tali norme si addimostrino giuste e rispondenti anche ai bisogni locali. Onorevoli colleghi, noi non dobbiamo pensare che le Regioni siano prese da una furia innovatrice semplicemente per il piacere di affermare la propria potestà legislativa. L’Assemblea regionale, che sarà composta da persone con la testa sulle spalle, dotate di senso patriottico e di responsabilità, eserciterà questo diritto cum grano salis.

Non è il caso di avere paura! Comunque, sembra al Comitato che non sia necessario prescrivere per la Regione un termine perché essa eserciti la potestà legislativa attribuitale, giacché nessun danno può venire alla Regione dal mancato o tardivo esercizio di tale potestà; e ciò per il fatto che, fino a quando non è esercitata, resta in vigore l’insieme delle norme giuridiche stabilite dallo Stato. Non si crea, lo ripeto, nessun vuoto giuridico.

Vengo in ultimo ad un’osservazione delicata fatta dall’onorevole Bozzi.

Qui è per assoluto dovere di chiarezza che io devo dire l’opinione del Comitato e mia.

Se non la dicessi, forse il silenzio passerebbe inosservato; ma, nella mia coscienza, sentirei di non aver fatto completamente il mio dovere.

L’onorevole Bozzi, ed altri con lui, hanno prospettato la necessità o l’opportunità che la potestà dello Stato di emanare le direttive, i principî generali e fondamentali, entro i limiti dei quali la Regione esercita il suo potere legislativo subordinato, possa talvolta arrivare ad avere un carattere, che l’onorevole Bozzi mi pare abbia qualificato «proibitivo»; cioè: una legge dello Stato potrebbe inibire alla Regione la possibilità di emanare norme, sia pure complementari o subordinate, in taluna delle materie rientranti normalmente nella sua competenza legislativa.

Egregi colleghi, su questo punto è bene essere chiarissimi ed eliminare qualsiasi dubbio. Il tentativo dell’onorevole Bozzi va senz’altro respinto. Noi non possiamo nemmeno accettare alcuna interpretazione equivoca, perché se ciò facessimo – anche col solo silenzio – saboteremmo il Progetto, o indurremmo in equivoco – non importa se solo pochi – al momento del voto.

Mentre alla Regione attribuiamo una certa potestà legislativa subordinata per talune materie tassativamente indicate, non possiamo poi, senza mandare in aria tutto il sistema, accettare l’altro principio, che in casi, sia pure eccezionali, lo Stato abbia facoltà di inibire alla Regione l’esercizio della potestà legislativa attribuitale dalla Costituzione.

Con questo chiarimento e gli altri dati in riferimento ai punti più controversi, crediamo che l’Assemblea possa affrontare il problema e venire alla votazione.

Gli onorevoli colleghi hanno constatato lo sforzo di rinunzia, che molti di noi hanno fatto, per arrivare a stabilire una maggiore quantità di consensi.

Noi presentiamo un Progetto, che, mentre salvaguarda completamente l’unità dello Stato, è tale da indirizzare la vita pubblica per una via nuova, creando istituti adeguati per arrivare all’eliminazione dei mali dell’accentramento statale, anche nel campo legislativo. (Applausi).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta per la nomina di un Vicepresidente.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta per l’elezione di un Vicepresidente:

Votanti                                             331

Ha ottenuto voti: Bosco Lucarelli       224

Voti dispersi                                       37

Schede bianche                                   70

Proclamo eletto Vicepresidente dell’Assemblea l’onorevole Bosco Lucarelli. (Vivissimi, prolungati applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Assennato – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bergamini – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Calosso – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Filpo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lombardi Riccardo – Longo – Lussu.

Macrelli – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Marinaro – Martinelli – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montalbano – Monterisi – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patrissi – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Puoti.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Sampietro – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segala – Selvaggi – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigorelli – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Alberti – Arata – Arcangeli.

Baldassari – Bellavista.

Cairo – Chiaramello.

D’Amico Michele.

Ferrario Celestino – Froggio – Fuschini.

Galioto – Ghidini – Gortani – Gullo Rocco.

Jacini.

La Pira – Lombardo Ivan Matteo.

Malli – Martino Gaetano – Matteotti Matteo – Molè – Moscatelli.

Rapelli – Reale Vito.

Saragat.

Tumminelli.

Varvaro – Villani.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alle votazioni relative al primo periodo del testo unificato. La Commissione ha dichiarato, per mezzo dell’onorevole Ambrosini, di accettare la formulazione presentata dall’onorevole Tosato, che è del seguente tenore:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle singole leggi dello Stato, nelle seguenti materie».

Ritengo che l’emendamento presentato dall’onorevole Targetti sia quello che maggiormente si allontana da questa formulazione.

L’onorevole Colitto ha però presentato il seguente emendamento all’emendamento dell’onorevole Targetti:

«La Regione ha potestà di emanare norme in armonia e nei limiti delle direttive, dei principî generali stabiliti dalle leggi dello Stato sulle materie dalle stesse indicate».

Si tratta, in sostanza, della soppressione dell’aggettivo: «legislative». Aumenta, pertanto, il distacco dalla formulazione dell’onorevole Tosato. Deve avere quindi la precedenza l’emendamento dell’onorevole Colitto.

COLITTO. Chiedo di parlate.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Se il Presidente consente, vorrei far presente che non ho difficoltà ad aggiungere l’aggettivo. Il mio emendamento mira a sottolineare che la Regione ha la potestà di emanare norme legislative, ma in armonia e «nei limiti delle direttive» e dei principî generali, per modo che si distacca da quello dell’onorevole Targetti per queste due aggiunte «dei limiti» e «delle direttive».

PRESIDENTE. Ella insiste sull’emendamento?

COLITTO. Per l’ultima parte dichiaro di non insistere.

PRESIDENTE. Allora il suo emendamento risulta così formulato:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, in armonia e nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica, su materie particolari indicate dalle leggi stesse».

Quale è il parere dell’onorevole Relatore?

AMBROSINI, Relatore. Il Comitato di redazione ritiene che l’emendamento Colitto non sia accettabile per le stesse ragioni per cui non ha accettato l’emendamento Targetti e quello proposto dall’onorevole Lami Starnuti.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Onorevole Presidente, se fosse accolto, ad esempio, l’emendamento Targetti, oppure l’emendamento Colitto, i quali, parlano già di «potestà di emanare norme legislative», l’onorevole Lami Starnuti ed io, che escludiamo le norme legislative e parliamo soltanto di «potestà normativa», avremo maniera di far valere il nostro emendamento?

PRESIDENTE. Onorevole Preti, la sua domanda ha un fondamento, ma ciò che caratterizza in questo momento la nostra discussione è l’elemento seguente: se bisogna includere nel testo della Costituzione un elenco di materie determinate, o se questo elenco non deve essere incluso. Nella proposta dell’onorevole Targetti ed in quella dell’onorevole Nobile, infatti si propone di non includere un’elencazione di materie, e questa è la ragione che mi ha suggerito di dare la precedenza all’emendamento dell’onorevole Targetti. Vi è poi un altro elemento di distinzione tra la potestà legislativa, direi, completa, e quella che, nella proposta dell’onorevole Lami Starnuti, è indicata come potestà di integrazione e potestà normativa per l’attuazione delle leggi.

Ma, a mio giudizio, ritengo che il primo elemento abbia valore preminente; ed infatti all’inizio della discussione, in base alla precisa proposta formulata dall’onorevole Ruini, abbiamo deciso di discutere e di votare innanzi tutto sul primo periodo, rimandando ad un successivo momento l’elencazione delle materie.

PRETI. Onorevole Presidente, potremmo anche accettare le sue considerazioni, ma resta il fatto che una eventuale approvazione degli emendamenti Colitto e Targetti precluderebbe la votazione del mio emendamento e di quello dell’onorevole Lami Starnuti.

PRESIDENTE. Sentito anche il parere della Commissione, ritengo che siano da accettare i rilievi dell’onorevole Preti, nel senso che debba precedere la decisione sul carattere della potestà legislativa, da attribuire alla Regione. Pertanto, incominceremo la votazione dall’emendamento dell’onorevole Preti, o da quello dell’onorevole Lami Starnuti, in quanto i due emendamenti quasi si identificano.

PRETI. Li unifichiamo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resta inteso che il Comitato mantiene l’espressione «potestà legislativa» e respinge l’altra «potestà normativa», per le ragioni che sono state già esposte.

PRESIDENTE. Onorevoli Preti e Lami Starnuti, quali delle due formule conservano?

PRETI. La formulazione ultima.

PRESIDENTE. Allora, la formula sulla quale dobbiamo votare è la seguente:

«La Regione ha potestà normativa per la integrazione e l’attuazione delle leggi dello Stato, secondo le esigenze locali».

PIEMONTE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. L’onorevole Presidente ha ben chiarito che vi sono emendamenti che tendono a restringere e a diminuire le facoltà della Regione nei confronti delle proposte della Commissione. Altri emendamenti tendono invece ad allargarle. Gli emendamenti degli onorevoli Preti e Colitto tendono a restringere i poteri della Regione.

Dichiaro che voterò contro tutti gli emendamenti che diminuiscono l’essenza sostanziale dell’autonomia regionale, tendente a rinnovare il Paese. (Approvazioni).

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Desidererei fare una questione pregiudiziale, nel senso che l’Assemblea non dovrebbe passare alla votazione dell’emendamento proposto dagli onorevoli Lami Starnuti e Preti, perché su questo punto l’Assemblea stessa ha già preso posizioni, respingendo gli ordini del giorno proposti dagli onorevoli Grieco e Laconi, nei quali si affermava che alla Regione si dovesse dare soltanto la facoltà legislativa di integrazione e di attuazione.

Ora, se il concetto affermato dall’Assemblea è questo, mi pare che non si debba più tornare sull’argomento, votando nuovamente su una identica proposta degli onorevoli Lami Starnuti e Preti.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, sulla pregiudiziale che lei ha sollevato, si può rispondere in questo modo: ciò che ha valore in una proposta che l’Assemblea vota è la parte deliberativa e non i considerando.

Ora, l’ordine del giorno firmato dagli onorevoli Bonomi Ivanoe, Grieco e Laconi si limita ad affermare che nella Carta costituzionale debba trovare sede l’affermazione della esistenza della Regione accanto ai Comuni e alle Provincie.

Obiettivamente dobbiamo riconoscere che respingendo tale ordine del giorno l’Assemblea non ha pregiudicato il carattere del potere da affidare alla Regione, anche se nei «considerando» si trova l’affermazione cui ha fatto cenno l’onorevole Mannironi.

Ritengo, pertanto, che la sua pregiudiziale non possa essere accolta.

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Mi permetto di dissentire, perché ritengo che l’Assemblea ha voluto respingere in blocco l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Bonomi ed altri. Ricordo che l’onorevole Corbino aveva proposto che questo ordine del giorno fosse votato per divisione, ma i proponenti vi si opposero e pretesero che l’Assemblea votasse in blocco. Le premesse non erano dei considerando o motivazioni a una decisione finale come in una sentenza. Costituivano invece affermazioni staccate sulle quali l’Assemblea si è pronunciata, respingendole. Perciò, non si dovrebbe ripetere oggi la votazione.

PRESIDENTE. Prendiamo atto di questa sua osservazione. Tuttavia, pongo in votazione l’emendamento degli onorevoli Preti e Lami Starnuti:

«La Regione ha potestà normativa per l’attuazione e l’integrazione delle leggi dello Stato, secondo le esigenze locali».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento Colitto.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Per evitare all’Assemblea molteplici votazioni su questioni che non sono di sostanza ma di forma, dichiaro di non insistere sul mio emendamento e di aderire a quello dell’onorevole Targetti.

PRESIDENTE. Allora passiamo alla votazione sull’emendamento Targetti, Malagugini, Vernocchi, Cacciatore:

«Sostituire all’articolo proposto dal Comitato di coordinamento, in luogo degli articoli 109, 110, 111, il seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative in armonia coi principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica su materie particolari indicate dalle leggi stesse».

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Su questo emendamento è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto, tra gli altri, dagli onorevoli Nobile, Costantini, Ruggeri, Ferrari, Sicignano, Ricci, Pastore Giulio, Rubilli, Musolino, Fedeli Armando, Tonello, Landi, Barontini Ilio, Barontini Anelito, Maffioli, De Filpo, Colombi Arturo, Corbino, Alberganti, Gavina, Morelli Renato, Bolognesi, Bei Adele, Binni, Roveda, Nobili Tito Oro, Fornara.

Dichiaro aperta la votazione a scrutinio segreto.

(Segue la votazione).

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti  336

Maggioranza        169

Voti favorevoli     152

Voti contrari         184

(L’emendamento non è approvato – Applausi al centro).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Angelucci – Assennato – Avanzini – Azzi.

Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Bergamini – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bozzi – Braschi – Bucci – Burato.

Cacciatore – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carbonari – Carboni Angelo – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolato Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lombardi Riccardo – Longo – Lussu.

Macrelli – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Minio – Molinelli – Montagnana Mario – Montalbano – Monterisi – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Pastore Raffaele – Pat – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preti – Preziosi – Proia – Puoti.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segala – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigorelli – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Alberti – Arata – Arcangeli.

Baldassari – Bellavista.

Cairo – Chiaramello.

D’Amico Michele.

Ferrario Celestino – Froggio – Fuschini.

Galioto – Ghidini – Gortani – Gullo Rocco.

Jacini.

Lombardo Ivan Matteo.

Maffi – Martino Gaetano – Matteotti Matteo – Molè – Moscatelli.

Repelli – Reale Vito.

Saragat.

Tumminelli.

Varvaro – Villani.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, respinto l’emendamento dell’onorevole Targetti, dobbiamo passare alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Nobile, che è del seguente tenore:

«La Regione avrà potestà di emanare norme legislative per le materie di interesse strettamente regionale che saranno stabilite da una legge del Parlamento avente valore costituzionale. La legge stessa fisserà i limiti e le condizioni entro cui la suddetta facoltà legislativa potrà essere esercitata.

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».

NEGARVILLE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NEGARVILLE. Credo di interpretare il pensiero di parecchi colleghi chiedendo che, di fronte ad una serie di emendamenti, le cui operazioni di voto impegneranno un tempo non breve, e data l’ora tarda, si rinvii la seduta a domani.

PRESIDENTE. Faceto presente che già da molte sedute l’Assemblea discute attorno a questo articolo che è essenziale. Sarebbe pertanto utile e opportuno procedere con una certa sollecitudine.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Devo dichiararmi contrario alla proposta dell’onorevole Negarville, per mantenere ferma una prassi costante dell’Assemblea, per la quale, quando si è iniziata la votazione di un articolo, abbiamo sempre ritenuto di arrivare fino in fondo, anche andando oltre i termini normali delle sedute dell’Assemblea. D’altra parte, a me sembra che da troppo lungo tempo ci si aggiri intorno alla formulazione di questo articolo; e poiché, malgrado gli affidamenti ricevuti dal Presidente della Commissione e del Comitato di redazione di un certo accordo su una determinata formula, questo accordo si è rivelato – mi pare – inesistente, si rende necessario procedere oltre perché, attraverso le votazioni necessarie che possono essere accelerate senza abusare degli appelli nominali e delle votazioni segrete – così come è stato rilevato l’altro giorno, mi pare, dall’onorevole Lussu – si possa arrivare con una certa rapidità alla conclusione di questa parte fondamentale dell’ordinamento regionale. Per questa ragione mi dichiaro contrario alla proposta dell’onorevole Negarville.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Vorrei spiegare perché abbiamo chiesto questo rinvio. Non è per un motivo legato agli emendamenti, perché domani saranno votati come oggi. Ci appelliamo alla cortesia dei colleghi democristiani: abbiamo in corso, come partito, una riunione nazionale. Noi diamo tutte le nostre energie all’Assemblea, ma non bisogna trascurare la vita dei partiti. Parecchie volte, quando era in corso il Congresso del Partito democristiano, l’Assemblea non ha tenuto sedute per permettere queste riunioni. Questo è il solo motivo per cui chiediamo il rinvio.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Di fronte alla motivazione dell’onorevole Togliatti non ho nessuna difficoltà da muovere e non insisto nella mia opposizione. Se la motivazione fosse stata fatta precedentemente, mi sarei risparmiato di assumere posizione contraria.

PRESIDENTE. Ritengo che, se non vi sono osservazioni, la richiesta dell’onorevole Negarville possa ritenersi accolta.

(Così rimane stabilito).

Poiché domattina vi è Consiglio dei Ministri, è stato richiesto che non si tenga seduta antimeridiana che doveva essere dedicata alla prosecuzione dell’esame del progetto di legge sulla «patrimoniale». Terremo quindi soltanto seduta nel pomeriggio. Il seguito della discussione è pertanto rinviato a domani alle 17.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se non ritengano urgente provvedere di concerto a che siano banditi senz’altro ritardo i concorsi a posti di assistente universitario di ruolo.

«Bettiol, Lazzati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga necessario, per una insopprimibile esigenza di giustizia, portare i pensionati degli Istituti di previdenza amministrati dalla Cassa depositi e prestiti ad una parità di trattamento economico con quelli statali.

«La recente concessione a questi ultimi di un aumento mensile di lire 1000 e di lire 500, rispettivamente alle pensioni dirette ed indirette, ha accresciuta la notevole sperequazione già esistente.

«Tale sperequazione si verifica, inoltre, nella misura della indennità di caro-vita, la quale, mentre per i pensionati statali aventi più di 60 anni di età è da tempo fissata in lire 30.000 annue, si limita invece a sole lire 18.000 per quelli di pari età dipendenti dai summenzionati. Istituti di previdenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga equo e necessario, al fine di una identità di trattamento per tutti i combattenti della guerra di liberazione, che il premio di solidarietà nazionale, di cui al decreto legislativo luogotenenziale 20 giugno 1945, n. 421, venga esteso ai militari che nelle unità da combattimento combatterono effettivamente come i partigiani contro i tedeschi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga giusto e necessario provvedere ad un adeguamento dei modestissimi indennizzi che vengono attualmente corrisposti ai lavoratori agricoli per gli infortuni sul lavoro. Quanto meno l’interrogante chiede se l’onorevole Ministro non ritenga necessario introdurre un giusto criterio di discriminazione in favore della categoria dei salariati agricoli, i quali, in caso d’infortunio, vengono a trovarsi attualmente in condizioni estremamente pietose, data l’esiguità degli indennizzi corrisposti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere quali risultati abbia dato l’ispezione disposta sopra il Centro emigrazione di Milano, e particolarmente sul dipendente servizio della stazione centrale, del quale sono state denunciate alla direzione regionale le gravissime deficienze, causa di danni deprecabili fisici e morali ai nostri connazionali colà transitanti sulla via dell’estero; e quali provvedimenti siano stati presi o si intenda di prendere a sanzione dei responsabili e a riparo della situazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Francesco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere perché il Ministero dell’interno ha ritenuto di considerare cittadini italiani i signori Hermann, Walter, August e Friedrich Krüll fu Hermann, favorendo la restituzione del loro ingente patrimonio (H. Krüll S.A. trevigiana di Treviso) di grande valore, già sequestrato per la legge di guerra. (Decreto ministeriale 18 marzo 1947, in Gazzetta Ufficiale del 31 marzo 1947).

«Il provvedimento riesce inspiegabile quando si consideri che, notoriamente, trattasi di cittadini germanici, quantunque nati in Italia, dei quali è altrettanto notorio e di dominio pubblico che:

1°) tutti hanno portato le armi contro l’Italia, come tedeschi;

2°) tutti, quali sudditi germanici, nel 1914 si rifugiarono in Germania per rientrare in Italia dopo la pace;

3°) come tedesco, il padre Hermann Krüll nel 1915 ebbe le proprietà in Treviso confiscate;

4°) Hermann e Walter Krüll compirono il 21° anno di età quando erano sotto le armi nell’esercito tedesco durante la guerra 1914-18:

5°) August Krüll venne incorporato e prestò servizio nell’esercito tedesco durante la guerra 1914-18;

6°) tutti hanno sempre ostentata la loro cittadinanza germanica e come tali erano inscritti fra la popolazione di Treviso fino al 31 luglio 1946, quando trasportarono il loro domicilio legale a Campo Tures (Bolzano) (Hermann da Venezia) per ottenervi, forse, quei certificati di cittadinanza italiana che non avrebbero certamente potuto avere a Treviso dove erano noti i loro precedenti;

7°) tutti hanno sempre figurato fra gli stranieri censiti dalla Questura di Treviso (per Hermann quella di Venezia);

8°) non hanno mai prestato servizio nell’esercito italiano perché sudditi germanici;

9°) August e Friedrich Krüll, quali sudditi germanici, vennero chiamati alle armi ed incorporati nella Wehrmacht nel 1941;

10°) August e Friedrich Krüll, dopo 1’8 settembre 1943, hanno fatto parte del corpo tedesco di occupazione in Italia;

11°) Walter Krüll fondò e resse la cellula nazista di Treviso dal 1938 alla liberazione, quando ritenne opportuno di fuggire da Treviso con tutti i suoi. Da tutti, inoltre, è stato visto fino all’ultimo portare i segni dell’invasore al servizio di una oppressione morale e materiale;

12°) August e Friedrich Krüll, come militari germanici, sono stati fatti prigionieri dagli Alleati ed internati in campi di concentramento, da dove sono stati rilasciati in epoca imprecisata non si sa come;

13°) il fratello Hans Krüll che era stato incorporato nella Wehrmacht è caduto nel settembre 1943 in Corsica, combattendo sotto bandiera tedesca.

«Per sapere, inoltre, se quanto sopra era a conoscenza del Ministero dell’interno e se, comunque, si è provveduto e con quale esito ai dovuti relativi accertamenti prima della decisione che tende a riconoscere ai fratelli Krüll la cittadinanza italiana con le enunciate conseguenze che ledono l’interesse dello Stato, offendono i sentimenti della popolazione e turbano l’opinione pubblica per il palese abuso.

«Al prefetto e alla Prefettura di Treviso era stata fatta opportuna segnalazione in proposito.

«Altre gravi circostanze di fatto circa la cittadinanza dei fratelli Krüll e la documentazione relativa per arrivare al citato decreto ministeriale 18 marzo 1947 in Gazzetta Ufficiale n. 74 del 31 marzo 1947 sono riportate dalla stampa locale di Treviso in una serie di articoli sui quali si richiama l’attenzione di codesto Ministero.

«L’interrogante domanda infine quali determinazioni saranno adottate in relazione a quanto sopra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, sul decreto ministeriale del tesoro 18 marzo 1947 in Gazzetta Ufficiale, n. 74 del 31 marzo 1947, che ha revocato il sequestro della H. Krüll S. A. trevigiana di Treviso per un preteso riconoscimento della cittadinanza italiana a favore dei proprietari: Hermann, Walter, August, Friedrich Krüll fu Hermann che ha consentito loro la restituzione di ingente patrimonio, già sequestrato loro per la legge di guerra trattandosi di proprietà germanica.

«L’interrogante chiede di conoscere come questo provvedimento, che lede interessi dello Stato, ha potuto essere adottato a favore di notori sudditi germanici, quantunque nati in Italia, dei quali è altrettanto notorio e di dominio pubblico che:

1°) tutti hanno portato le armi contro l’Italia, come tedeschi;

2°) tutti, quali sudditi-germanici, nel 1914 si rifugiarono in Germania per rientrare in Italia dopo la pace;

3°) come tedesco, il padre Hermann Krüll nel 1915 ebbe le proprietà in Treviso confiscate;

4°) Hermann e Walter Krüll compirono il 21° anno di età quando erano sotto le armi nell’esercito tedesco durante la guerra 1914-18;

5°) August Krüll venne incorporato e prestò servizio nell’esercito tedesco durante la guerra 1914-18;

6°) tutti hanno sempre ostentata la loro cittadinanza germanica e come tali erano inscritti fra la popolazione di Treviso fino al 31 luglio 1946, quando trasportarono il loro domicilio legale a Campo Tures (Bolzano) (Hermann da Venezia) per ottenervi, forse, quei certificati di cittadinanza italiana che non avrebbero certamente potuto avere a Treviso dove erano noti i loro precedenti;

7°) tutti hanno sempre figurato fra gli stranieri censiti dalla Questura di Treviso (per Hermann quella di Venezia);

8°) non hanno mai prestato servizio nell’esercito italiano perché sudditi germanici;

9°) August e Friedrich Krüll dopo l’8 settembre 1943 hanno fatto parte del corpo tedesco di spedizione in Italia;

10°) August e Friedrich Krüll, quali sudditi germanici, vennero chiamati alle armi dalla Germania ed incorporati nella Wehrmacht nel 1941;

11°) Walter Krüll fondò e resse la cellula nazista di Treviso dal 1938 alla liberazione, quando ritenne opportuno fuggire da Treviso con tutti i suoi. Da tutti, inoltre, è stato visto fino all’ultimo portare i segni dell’invasore al servizio di una oppressione morale e materiale;

12°) August e Friedrich Krüll, come militari tedeschi, sono stati fatti prigionieri dagli alleati nel 1945 ed internati in campi di concentramento, da dove sono stati rilasciati in epoca imprecisata non si sa come;

13°) il fratello Hans Krüll è caduto nel 1916 combattendo con l’esercito tedesco;

14°) ugualmente il fratello Gunter Krüll che era stato incorporato nella Wehrmacht nel 1941 è caduto combattendo in Corsica nel 1943 sotto bandiera tedesca;

15°) è pubblicamente discussa dalla stampa l’esattezza delle affermazioni assunte in atti notori della pretura di Treviso nel maggio, luglio e ottobre 1946, che si ritengono prodotti a codesto Ministero.

«L’interrogante domanda, inoltre se quanto sopra era a conoscenza del Ministero del tesoro e se, comunque, si è provveduto e con quale esito ai relativi accertamenti da parte dei competenti organi prima di adottare il citato provvedimento che offende i sentimenti della popolazione di Treviso e turba l’opinione pubblica per il palese abuso.

«In proposito al prefetto e alla Prefettura di Treviso era stata fatta per tempo opportuna segnalazione.

«Altre gravi circostanze di fatto circa la cittadinanza dei fratelli Krüll e la documentazione relativa sono pubblicate dalla stampa locale di Treviso in una serie di articoli sui quali si richiama l’attenzione di codesto Ministero.

«Domanda infine, quali determinazioni vengono prese su quanto sopra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non creda opportuno sollecitare l’emanazione del regolamento per l’applicazione del decreto legislativo 21 maggio 1946, n. 451, e affrettare la liquidazione – attualmente sospesa con grave danno dei proprietari danneggiati – delle indennità di requisizione e dei danni subiti dai proprietari medesimi della zona di Barcellona Pozzo di Gotto, dove fu costruito nel 1943 un campo di aviazione degli Alleati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé letta sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.5

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 17:

  1. Elezione contestata per la circoscrizione di Catania (Giuseppe Lupis). (Doc. III, n. 5 e 5-bis).
  2. 2. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

De Vita                                                                                                             

Nitti                                                                                                                  

Micheli                                                                                                             

Vigorelli                                                                                                          

Scoccimarro                                                                                                    

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Ho sentito, dal processo verbale, che io avrei affermato di aver dato disposizioni perché gli uffici competenti sospendessero la riscossione dell’imposta straordinaria sul patrimonio.

Desidero rilevare che l’affermazione non è esatta. Come ho detto ieri mattina, il Ministero ha comunicato agli uffici competenti di considerare tempestiva la presentazione della dichiarazione, se fatta entro il 31 luglio 1947. Quindi la concessione è stata accordata soltanto agli effetti della presentazione della dichiarazione. Nessun provvedimento è stato adottato in ordine alla riscossione dell’imposta, che ha avuto il suo corso normale.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni sul processo verbale, esso si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli Baldassari e Costantini.

(Sono concessi).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Sono iscritti a parlare gli onorevoli Costa e De Mercurio. Poiché non sono presenti, si intende che abbiano rinunciato a parlare.

È iscritto a parlare l’onorevole De Vita. Ne ha facoltà.

DE VITA. Onorevoli colleghi, il Governo ha considerato atto di doveroso riguardo verso l’Assemblea il sottoporre ad essa, per la convalida, il decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’imposta straordinaria sul patrimonio.

In realtà il Governo, come esplicitamente è detto nella relazione del Ministro proponente, desidera avere il conforto dell’autorità dell’Assemblea nell’attuazione di un provvedimento finanziario che potrà non essere scevro di notevoli riflessi di ordine economico ed anche politico.

L’Assemblea è chiamata a convalidare un provvedimento già emanato nella forma di decreto legislativo a norma dell’articolo 4 del decreto legge 25 giugno 1944, n. 151. Si tratta di un istituto giuridico nuovo, creato dal Governo nella sua onnipotenza, e non previsto da alcuna delle leggi di carattere costituzionale che disciplinano i rapporti tra l’Assemblea e il Governo, oppure si tratta di una terminologia impropria con la quale si intende fare riferimento alla ratifica prevista dall’articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 14 marzo 1946, n. 98? A mio giudizio, questa seconda ipotesi è da escludersi in quanto, a norma dell’articolo 6 del citato decreto, i provvedimenti legislativi adottati dal Governo debbono essere presentati, per la ratifica, al nuovo Parlamento entro un anno dalla sua costituzione.

Vero è, d’altra parte, che ai sensi del secondo comma dell’articolo 3 dello stesso decreto, il Governo può sottoporre all’esame dell’Assemblea qualsiasi provvedimento quando ne riconosca l’opportunità; ma, in questo caso, non può parlarsi né di ratifica, né di convalida. In questo caso, il Governo sarebbe tenuto a presentare lo schema di disegno di legge che intende promuovere.

Il Governo ha emanato il provvedimento in esame prescindendo, per motivi di massima urgenza, dalla preventiva deliberazione della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge. Volendo poi compiere un atto di… doveroso riguardo verso l’Assemblea ha inventato l’istituto della convalida.

Ma la parola «convalidare», presa alla lettera, ha il significato di rendere valido ciò che non è valido.

È valido o non è valido il provvedimento adottato dal Governo?

Onorevoli colleghi, io vi risparmio i commenti piuttosto salaci del pubblico posto di fronte ad una procedura assolutamente nuova e che ha perfino ingenerato il dubbio che non si trattasse di un provvedimento perfetto. Purtroppo, in questo periodo di inizio della nuova vita costituzionale italiana, i confini delle sfere di competenza del Governo e dell’Assemblea sono stati delimitati a favore del primo il quale esercita, senza delega, il potere legislativo ordinario. L’Assemblea è chiamata oggi ad esprimere un giudizio su questo provvedimento, ma l’Assemblea è chiamata ad esprimere il suo giudizio soltanto quando si tratta di istituire nuove imposte o di inasprire le aliquote delle imposte esistenti. In altri termini, l’Assemblea è chiamata di preferenza in causa quando si tratta di affrontare l’opinione pubblica ormai sensibilissima al fenomeno dell’imposizione; il quale, se un tempo poteva considerarsi soltanto come un fatto puramente spiacevole, ha oggi raggiunto ed oltrepassato i limiti della comune sensibilità umana.

Non sembra però che il Governo abbia usato lo stesso riguardo verso l’Assemblea, quando si è trattato di approvare nuove spese. È assai graziosa la tendenza a ridurre il contenuto dei rapporti tra l’Assemblea e il Governo a pure e semplici regole di opportunità e di convenienza: si trattasse almeno di quelle regole di correttezza costituzionale in uso presso gli inglesi! Ma non si tratta nemmeno di questo. (Interruzione).

Onorevole collega, lei ha accennato alla Commissione: vi sono però precedenti che danno forza al mio ragionamento; ad esempio l’indennità di toga ai magistrati. La Commissione ha esaminato il provvedimento, ha fatto dei rilievi, ma il Governo non ha tenuto conto dei rilievi fatti dalla Commissione.

Diciamolo francamente: a questa Assemblea si riconosce il diritto di dire di sì alle proposte del Governo, ma non quello di rispondere di no.

Ed allora, perché sottoporci a quell’allenamento parlamentare, così caldamente raccomandato dallo Stein, e che consiste principalmente in un allenamento alla rassegnazione?

Comunque, prima di entrare nel merito del provvedimento sottoposto al nostro esame, stimo opportuno fare ancora qualche osservazione di carattere generale: si è il Governo finora preoccupato di stabilire una proporzione fra le spese pubbliche e le risorse economiche della collettività? Non basta muovere dall’ipotesi che una progettata attività dello Stato, considerata di per sé, debba essere riconosciuta come generalmente utile; si dovrà misurare anche l’utilità prevista contro il sacrificio richiesto. Ed il giudizio a questo riguardo, da parte delle varie classi dei cittadini, dipenderà soprattutto dalla progettata ripartizione del carico tributario. A me pare che la ripartizione del carico tributario sia stata finora determinata a priori e che l’attenzione del Governo non si sia fermata sul fatto che, sia in pratica che in teoria, non esiste necessariamente una ripartizione delle imposte indipendente dalla approvazione delle spese.

Questa breve premessa ha lo scopo di mostrare in qual senso può ritenersi opera vana l’esame frammentario di uno dei problemi della finanza di questo nostro dopoguerra, avulso dal quadro generale di tutti gli altri problemi.

In altri termini, ha lo scopo di dimostrare la necessaria connessione degli effetti dei singoli istituti tributari e finanziari con l’uso delle pubbliche entrate da parte dello Stato.

Non credo si possa seriamente sostenere che questa Assemblea sia in grado di dare un giudizio completo e coscienzioso sull’imposta sottoposta al suo esame, prescindendo dall’impiego delle somme con essa imposta prelevate e dall’influenza esercitata da tale impiego sugli effetti finali dell’imposta stessa.

Quando si studia un’imposta o un complesso di imposte, non si può astrarre dalle corrispondenti spese pubbliche e dall’influsso che per questa via lo Stato può esercitare sull’incidenza stessa dell’imposta. La connessione fra gli effetti diretti dell’imposta e l’impiego del ricavato della medesima sta a base di una giusta tassazione. Ciò è stato riconosciuto da insigni teorici della scienza delle finanze. Per necessità logiche si può prescindere dall’impiego della somma prelevata nello studio degli effetti di un’imposta astratta; ma quando si tratta – come nel caso in esame – di studiare una imposta concreta, allora diventa necessità logica l’opposto.

Qualsiasi imposta interviene a turbare un determinato equilibrio economico e può spesso avvenire che l’impiego di essa tocchi direttamente i prezzi e i rapporti economici alterati dal suo prelievo. Dopo J. Stuart Mill, lo stesso professor Einaudi, oggi Ministro del bilancio nel nuovo Governo, ha posto formalmente il problema in un suo scritto del 1912: «Intorno al concetto di reddito imponibile e di un sistema di imposta del reddito consumato» e successivamente lo ha posto sotto un aspetto più generale in un altro scritto intitolato: «Contributo alla ricerca dell’ottima imposta», dove afferma che «imposta» e «uso dell’imposta» sono due termini inseparabili l’uno dall’altro e che lo Stato non fa, quando istituisce tributi, «dell’arte per l’arte», ma crea tributi per spenderne il valsente. La nozione stessa di pressione fiscale non avrebbe alcun significato, se la contribuzione fosse il corrispettivo economico dei servizi economicamente utili resi dallo Stato ai privati, il compenso per il concorso che gli enti pubblici forniscono alla produzione del reddito nazionale. Ma la somma delle imposte non è funzione diretta e costante dei vantaggi economici che i servizi pubblici, di cui copre il costo, forniscono alla collettività. È necessaria la conoscenza della spesa, anche perché quando la spesa pubblica ed il rapporto fra tributi e reddito nazionale aumentano per servizi che corrispondono a fini pubblici in tutto o in parte fuori dell’economia, può verificarsi un inasprimento della pressione tributaria nel senso comune della parola; ed all’ora i concetti di prelievo, di sacrificio e di onere acquistano un significato preciso. Non sembra che il nesso logico fra l’approvazione delle spese da una parte e provvista di mezzi atti a coprirle dall’altra sia risultato palese al Governo. Non sembra che il Governo abbia conseguito la realizzazione pratica del principio il quale richiede che una spesa non venga mai votata, prima di avere contemporaneamente deciso intorno ai mezzi atti a coprirla. Ora, la seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge ritiene che sarebbe illusorio, nella situazione indubbiamente grave nella quale ci troviamo, considerare il provvedimento sottoposto all’esame dell’Assemblea come un provvedimento a sé stante, capace di risolvere da solo i moltissimi problemi che ci angustiano e ci preoccupano.

Continua la Commissione: «Si tratta di inaugurare una politica di reale freno delle spese e di serio ed approfondito controllo della necessità ed indispensabilità delle spese stesse».

Ma come si può inaugurare questa politica, senza un vero e proprio controllo costituzionale? La raccomandazione fatta dalla Commissione al Governo potrebbe essere tanto efficace quanto il raccomandare ad un uomo che sta per annegare di mantenersi asciutto.

Io ho fondati motivi per ritenere che, nonostante questa raccomandazione, il Governo continuerà a ripetere la preghiera di Sant’Agostino: «Rendimi puro, ma non per ora».

Prima di ogni altra cosa è oggi necessario rientrare subito negli ordini di un Governo regolare, cioè nella discussione e votazione dei bilanci.

Forse qualche esempio potrebbe convincervi, onorevoli colleghi, dell’urgente necessità di porre fine a questo assolutismo governativo.

Esaminate il conto del tesoro al 31 gennaio 1947: se si escludono le somministrazioni fatte agli alleati di circa 24 miliardi in base all’accordo monetario, non risulta che vi siano state anticipazioni della Banca d’Italia per conto del tesoro, non risulta cioè che si sia fatto ricorso all’emissione di nuova carta moneta.

Anche l’onorevole Presidente del Consiglio ha dato conferma di ciò, ma dal luglio 1946 ad oggi la circolazione monetaria è aumentata di circa 130 miliardi.

Come mai? Questa è la domanda che io vi pongo.

CAMPILLI. È per conto del commercio.

DE VITA. No, credo di poter dare un’altra spiegazione. Io credo che all’aumento della circolazione abbiano contribuito le anticipazioni agli enti finanziatori degli ammassi ed il finanziamento degli acquisti di valuta per conto dell’ufficio italiano dei cambi.

CAMPILLI. Questo è accennato nella relazione.

DE VITA. Se esaminiamo il conto del tesoro ed il bilancio, vediamo che queste due voci non figurano al debito fluttuante. Ciò non rispecchia la situazione reale, perché non si tratta soltanto di movimento di capitali, si tratta di operazioni che hanno determinato una forte emorragia di biglietti. Sembra incredibile, ma anche il Prestito della Ricostruzione ha dato luogo ad emissione di nuova carta moneta. In altri termini, un prestito che doveva avere funzione antinflazionistica, è stato inflazionistico.

E che dire dei sospesi di tesoreria, ossia di quei titoli pagati e non scaricati?

Dal luglio 1946 ad oggi detti sospesi sono aumentati di circa 50 miliardi. Che cosa vuol dire ciò? Vuol dire che lo Stato paga senza che vi sia lo stanziamento. È vero, onorevole Campilli?

CAMPILLI. Non è competenza mia. Non riguarda me.

DE VITA. Vuol dire che siamo arrivati al punto di pagare prima di averne l’autorizzazione!

CAMPILLI. Si rivolga a qualche altro gerente, non a me.

DE VITA. Siccome lei mi ha fatto l’osservazione, mi son fatto il dovere di rispondere.

LA MALFA, Relatore. I sospesi di tesoreria sono il contrario: sono spese non pagate.

DE VITA. No, si considerano sospesi di tesoreria i titoli pagati e non scaricati.

LA MALFA, Relatore. No. Figurano fra i debiti di tesoreria; si leggono al contrario.

PRESIDENTE. Chiarirà dopo, onorevole La Malfa. Onorevole De Vita, continui.

DE VITA. Comunque, non mi sembra che ciò possa ritenersi regolare. L’argomento è indubbiamente assai importante e mi duole di non potervi insistere, perché un esame approfondito di esso mi porterebbe assai lontano dal tema della discussione odierna.

E passiamo all’imposta straordinaria sul patrimonio. Il provvedimento in esame deve quindi considerarsi il primo di una serie di altri provvedimenti i quali dovrebbero energicamente risanare il bilancio dello Stato ed arrestare qualsiasi moto di slittamento della lira. Ora, questo fatto crea indubbiamente una preoccupazione, una preoccupazione grave per l’eventuale ripetersi dell’imposizione straordinaria e scoraggia, specie in un primo tempo, la formazione di risparmi aumentando i rischi di perdita e diminuendo l’ofelimità dei beni destinati a bisogni futuri.

Sebbene la relazione che accompagna il decreto non dica quali siano le finalità assegnate all’imposta, quale la destinazione del provento, credo che essa non possa essere destinata ad altro che alle spese effettive di bilancio.

Non intendo, onorevoli colleghi, muovere facili obiezioni al provvedimento, partendo da preconcetti critici. In una materia così complessa peccherei di presunzione se non tenessi costantemente presente l’aforisma: «Chiunque spera di vedere una imposta senza guai, spera quello che non fu, non è e non sarà mai». Ciò non vuol dire però che si deve rinunciare alla critica.

Si può anche essere d’accordo con la Commissione, la quale conclude la sua relazione affermando che in questa particolare materia tutte le argomentazioni sono possibili e che chiunque è in grado di farle. Ma qui non si tratta di esercitarsi nell’arte sottile di «spennacchiare l’oca facendola strillare il meno possibile» come ha fatto la seconda Commissione; si tratta soltanto di fare una critica serena ed obiettiva. È facile rilevare che l’imposta; così come è stata congegnata, ha un’area di applicazione assai ristretta, che i benefici che al bilancio ne possono derivare sono così tenui da farne apparire incerti gli effetti anti-inflazionistici. Ma la facilità dell’affermazione nulla toglie alla verità affermata. Vi è anche fondato motivo di ritenere che l’imposta in esame, nella sua pratica attuazione, da imposta personale progressiva si trasformi in una imposta reale progressiva sui terreni e sui fabbricati. È uno strumento idoneo a colpire i valori mobiliari? Certamente no. Sarà facile giuoco, per coloro che abbiano accresciuto a dismisura la propria ricchezza mobiliare mediante l’esercizio di attività speculative, sfuggire attraverso le maglie di questo provvedimento tributario e mettere al sicuro le fortune accumulate a spese della collettività. Nessuna imposta personale può essere applicata con sicurezza, facilità e giustizia, se non è estesa a tutta la collettività economica nazionale. Credo che sia difficile dissipare il dubbio che con questa imposta si sacrifichino i puri principî di imposizione, quali risultano da universale esperienza, ad altri non chiari motivi.

Essa conduce a lampanti assurdità ed ingiustizie che si sarebbero potute evitare facilmente e viene meno a gran parte degli scopi che una imposta straordinaria sul patrimonio deve prefiggersi. Da questo punto di vista assume un particolare rilievo il problema dei valori mobiliari (denaro, titoli, depositi bancari). Assume un particolare rilievo non soltanto di carattere tributario, ma anche di carattere politico e sociale. Il Governo mette da parte il cambio della moneta, si trincera dietro il segreto bancario per mettere da parte anche gli altri mezzi tecnici idonei a colpire la ricchezza mobiliare, idonei ad accertare la reale consistenza dei depositi bancari e dei titoli al portatore. Motivi di opportunità politica e psicologica avrebbero consigliato il Governo di non procedere ad accertamenti diretti presso gli istituti di credito.

Una voce a destra. Male!

DE VITA. Ma non ritiene il Governo che motivi più importanti, di equità, di giustizia e di perequazione del carico tributario impongano di colpire la ricchezza mobiliare, in gran parte frutto di speculazione?

Non si chiede al Governo di colpire col piombo o con il laccio, come è avvenuto in altri Paesi, coloro che hanno edificato e continuano ad edificare le loro fortune sulle sofferenze e privazioni altrui; si chiede al Governo soltanto di colpire questa gente con l’imposta. Non si deve permettere che questi speculatori sfuggano ancora attraverso le maglie del sistema tributario.

Ciò non contribuisce certamente a sedare il malcontento sociale, malcontento che può anzi essere aggravato dalla decisione del Governo di non derogare dal segreto bancario in quanto, come rileva anche la seconda Commissione, questa decisione mette fuori causa un valore che ammonta ad oltre 1600 miliardi, compreso quanto depositato o posseduto dagli enti collettivi esenti dall’imposta.

Assai importante è anche il problema dei soggetti passivi dell’imposta. A norma dell’articolo 2 del provvedimento, sono soggetti all’imposta le persone fisiche ed anche le società e gli enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato. Sono quindi esenti gli enti collettivi costituiti in Italia. Questa esenzione non mi convince. I motivi che hanno indotto il Governo a non applicare la nuova imposta agli enti collettivi mi sembrano veramente speciosi. Si legge nella relazione illustrativa che l’applicazione dell’imposta a carico delle fondazioni finirebbe con lo snaturare profondamente la natura personale dell’imposta stessa con conseguenze che non sono soltanto di pura e semplice armonia teorica ma anche di portata pratica in quanto – avuto riguardo ad un caso specifico di un genere più ampio, come quello degli istituti di credito – si sarebbe verificato che, in conseguenza di un semplice elemento formale della loro costituzione, sarebbero state colpite dal tributo le banche-fondazioni, rimanendone escluse le banche-società. Ancora più specioso appare il ricorso a ragioni di carattere strettamente giuridico, fatto anche dal Ministro nella sua relazione, dove si legge: «Da un punto di vista strettamente giuridico, va, poi, osservato che, nel nuovo Codice civile, le persone giuridiche private sono denominate, oltre che associazioni e fondazioni – secondo la classica distinzione – anche istituzioni in genere.

«L’introduzione nel Codice civile di questo terzo tipo di persone giuridiche, dovuta all’affievolirsi della distinzione tra associazioni e fondazioni ed alla insufficienza della distinzione stessa, a rappresentare la grande varietà dei tipi germogliata in relazione alle esigenze della vita e dell’economia moderna, poneva il problema della classificazione di dette istituzioni».

In altri termini il Governo dice che, stando al Codice civile, è difficile trovare un criterio di distinzione tra associazioni e fondazioni ed istituzioni. L’osservazione che nel nuovo Codice civile le persone giuridiche sono denominate, oltre che associazioni, fondazioni, non può ritenersi seria o quanto meno insuperabile. Invero il Governo, parte dal presupposto che l’esenzione delle società per azioni sia, sotto ogni aspetto, giustificata. Certamente, se si applicasse l’imposta soltanto alle fondazioni e non anche alle società per azioni, si stabilirebbe una disparità di trattamento tra enti collettivi, che presuppongono soci o partecipanti, ed enti che non li presuppongono. Il Governo si è giustamente preoccupato di questa sperequazione, ma non mi pare che si sia preoccupato dell’altra grave sperequazione tra imprese individuali e società per azioni. Il Governo avrebbe dovuto tener conto di questa sperequazione. Non starò qui a ripetere gli argomenti, per molti aspetti assai interessanti, svolti dalla Commissione; mi limiterò ad aggiungere soltanto qualche breve considerazione.

L’esenzione delle società anonime appare, in verità, ancora più ingiustificata, se si pone mente al fatto che, anche colpendo le imprese societarie, rimane sempre una sperequazione tra queste imprese e le imprese individuali.

I perturbamenti causati dalla imposta sarebbero più gravi per le imprese individuali che per le societarie e le grandi industrie gestite in questa forma, essendo l’imprenditore individuale personalmente soggetto al tributo; tanto più gravi quanto più alta è la percentuale che l’attivo netto dell’impresa rappresenta nel patrimonio personale dell’imprenditore e quanto minori sono le disponibilità per altre fonti.

Peraltro, col sistema di tassazione del capitale azionario presso i singoli soci, previsto dal provvedimento, non si colpiscono quei titoli che sono posseduti da persone che hanno un patrimonio il cui valore non raggiunge il minimo imponibile.

Ed ho terminato. Desidero soltanto fare alcune considerazioni sulla imposta straordinaria proporzionale.

In ordine a questa imposta si può dire che anch’essa è quasi interamente a carico della proprietà immobiliare, e quindi della ricchezza che alcuni hanno chiamato «ricchezza vecchia». Questa imposta non colpisce la ricchezza nuova. Ora, la nuova ricchezza che si è accumulata in Italia durante la guerra e in questi primi anni del dopoguerra è proprio la ricchezza mobiliare, dovuta a fenomeni speculativi. Trattandosi poi di una imposta proporzionale, essa attua, in relazione alla capacità contributiva dei singoli, la progressività al rovescio. Potrebbe anche essere vessatoria per i patrimoni minori. È vero bensì che delle partite iscritte per l’imposta sui terreni, che raggiungono i 10 milioni di articoli di ruolo, soltanto due milioni di partite sono assoggettate all’imposta patrimoniale, e che gli articoli di ruolo per tutte le categorie di possessori assoggettati ad imposta sul patrimonio si aggirano sui 4 milioni. Ciò potrebbe significare che numerosi piccoli proprietari sono esenti dall’imposta.

Ma questa constatazione nulla toglie alla fondatezza dell’osservazione precedentemente fatta, anche perché le numerose esenzioni sono dovute alla polverizzazione della proprietà esistente in molte località.

Concludendo: io stimo opportuno che il provvedimento sottoposto al nostro esame sia modificato nel senso che siano colpiti innanzi tutto i depositi bancari, i titoli al portatore, gli enti collettivi, e che sia alleggerita la proporzionale per i patrimoni minori. Questo, onorevoli colleghi, a mio giudizio, si impone per ragioni di equità e di giustizia. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. (Segni di attenzione). Dopo tanti errori e tante illusioni, siamo infine nel campo della realtà. La realtà è dolore.

Dal punto di vista politico e dal punto di vista economico il primo di luglio è giorno di realtà.

Si può difficilmente mentire dinanzi alla evidenza dei fatti, ma non è più possibile avere troppe illusioni, né sopra tutto darne agli altri. Il pubblico è divenuto giustamente incredulo.

I trattati di pace, che ci sono imposti, sono veramente ingiusti e non potevano essere concepiti in spirito meno sereno e sì poco amichevole. Oltre all’aver gridato per tanto tempo al pubblico lungamente illuso e ingannato che la Repubblica democratica ci avrebbe dato pane e lavoro, si è anche più gridato che l’Italia, a causa del suo nuovo ordinamento politico, avrebbe avuto dalle democrazie repubblicane condizioni di pace favorevoli. I trattati che ci sono imposti sono di grande durezza e di vera ingiustizia e qualcuna delle democrazie vittoriose ha riserbato a se stessa vantaggi a nostro danno non giusti e non giustificabili.

Nel campo economico, dopo tante rovine accumulate, abbiamo trovato l’assistenza amichevole degli Stati Uniti di America, sopra tutto a traverso l’U.N.R.R.A.

II    concorso dell’America ci ha consentito di vivere finora con minore difficoltà che non si potesse prevedere.

L’U.N.R.R.A. ha lasciato il nostro Paese il 1° luglio, dopo aver esaurito il suo compito.

Le convenzioni dell’U.N.R.R.A., dopo il marzo 1945 e gennaio 1946, han fatto sì che i principali aiuti americani sono stati dati all’Italia. Sopra 22 milioni e mezzo di tonnellate spedite all’estero, l’Italia ne ha avuto oltre 10 milioni: grano, carbone, petrolio, cotone, ecc.

È stato un aiuto largo che, evitando o limitando la vendita di lire per comperare le derrate più indispensabili, ha contribuito a mantenere il corso della lira e rendere meno difficile la finanza dello Stato.

Ora tutto ciò è finito.

Ho spiegato a lungo nel mio discorso ultimo l’immane sforzo dell’America in Europa e in Asia, non solo con la larga assistenza ma con aiuti per riprendere e assicurare la produzione industriale.

Ma è stato errore ed è illusione considerare, sia pure limitatamente, il concorso americano come duraturo.

Per quanto enorme la produzione americana, essa non può continuare a sopportare il peso di una economia mondiale che, rotte le leggi dello scambio, graviti in direzione unica, e di cui solo un grande paese debba portare le responsabilità sia pure in vista di vantaggi futuri.

L’America non è disposta oramai a dare dollari, se non nella misura che gli altri paesi esporteranno. Necessità suprema di tutti i paesi è dunque aumentare la loro esportazione. Per ottenere dollari lo sforzo deve essere diretto a questo fine. Malauguratamente, le difficoltà di aumentare la produzione sono grandi e per noi soprattutto la mancanza di materie prime e la deficienza dei generi alimentari. Sappiamo ciò di cui abbiamo bisogno, non ciò che possiamo avere. Crediamo che la utilizzazione di tutti i resti ci consenta di arrivare a ottobre prossimo; ma il problema diventa dopo di allora assillante e di difficile soluzione.

Possiamo pure supporre che fra qualche mese il prezzo del carbone potrà essere anche di tre o quattro volte superiore a quello attuale. Come potrebbero funzionare le fabbriche più importanti in queste condizioni? Come potremo avere le risorse necessarie? Questi sono ancora i mesi meno duri, ma il mese più duro è, come ho detto, non lontano, ed è ottobre, in cui la situazione dell’Italia si delineerà in tutta la sua gravità. Allora il grano del raccolto sarà in gran parte, se non interamente, esaurito e noi avremo bisogno di una somma ingente per comprare anche soltanto ciò che è indispensabile per la nutrizione.

Di fronte all’Italia, l’America seguirà la stessa politica che verso tutti gli altri paesi e se pure può avere particolare considerazione, ciò non può mutare l’indirizzo generale che l’America nel suo interesse e per necessità si è imposto.

Nessuno nel mondo attuale è sicuro: noi non possiamo prevedere se altre cause di disordine non turberanno la vita del mondo.

Noi dobbiamo raccoglierci in uno sforzo di volontà; dobbiamo aver fiducia in noi e inspirare e conquistare la fiducia. Dobbiamo aumentare pure a traverso gli ostacoli, la produzione e renderla meno costosa che sia possibile.

La nostra politica estera, la nostra politica economica e soprattutto la nostra politica finanziaria devono essere indirizzate in uno stesso senso.

In politica estera, accettando i trattati non senza tutte le riserva per l’avvenire, dobbiamo contribuire a tutto ciò che possa aiutare a rinnovare i rapporti internazionali di scambio. Lasciamo i progetti avveniristici. L’Italia ha interesse a tutto ciò che ci fa uscire dall’isolamento attuale. Come in passato, l’Italia deve non solo volere la pace, ma concentrare il suo sforzo in un’unica direzione: libero movimento degli uomini e delle merci. Non vi sarà vera ripresa se non in questa direzione.

Ciò dipende solo in parte da noi e la stessa politica economica solo in parte dipende da noi.

Bisogna naturalmente evitare tutto ciò che ci indebolisca di fronte al mondo e apparire come una massa compatta di 46 milioni di uomini fidenti nell’avvenire. Vi sono però cose che dipendono da noi.

La politica finanziaria dipende infatti soprattutto da noi.

Siamo noi che dobbiamo regolare le nostre spese e in conseguenza le nostre entrate, sempre più limitate, che ci imporranno ben presto quella linea di condotta che risponde allo stato di necessità.

Di fronte a una spesa che è tre volte e più quella consentita dalle entrate, di fronte a un debito enorme, e a forme di debito minacciose e che ci obbligano a nuove e continue emissioni di carta moneta, noi non possiamo avere sogni utopistici.

Ma l’utopia invece risorge sempre in tutte le forme.

Programmi ieri appena ancora annunziati dal Governo attuale alla sua presentazione sono abbandonati, altri programmi vengono fuori. E vengono fuori anche nuove illusioni.

Che cosa ci è imposto dalla necessità finanziaria?

Prima di tutto, con provvedimenti di urgenza, impedire che si produca la caduta della moneta.

Su questa prima esigenza nessuna divergenza di idee è possibile. Prima di tutto è necessario dare sicurezza che le spese non saranno oltre aumentate senza corrispettivo aumento di entrate.

E poi sono necessarie imposte nuove e riordinamento delle imposte esistenti, in modo che siano seriamente applicate e diano un maggior rendimento.

Sono soprattutto le imposte dirette, i monopoli, le imposte di fabbricazione che han bisogno di una vera revisione.

Si parla ora di una grande imposta sul patrimonio, ma io temo soprattutto per il momento in cui dovrebbe essere applicata, che possa dar luogo a grandi delusioni e turbamenti della opinione pubblica.

Il male maggiore è che negli ultimi anni si è perduto il senso della realtà finanziaria.

Nell’imposta non si cerca solo una entrata per lo Stato, ma assai più un mezzo, nelle forme che si crede più semplici, di grandi riforme sociali. Si vuole che le classi lavoratrici e in generale i ceti popolari siano il più che possibile sottratti alle imposte. Ora basta avere un minimo di conoscenza economica e finanziaria per comprendere come queste non siano che illusioni.

L’idea di creare un nuovo ordine economico attraverso le imposte è puerile. Si può rovinare un regime economico con imposte che disordinano la produzione della ricchezza, ma non si può rinnovare o cambiare un regime economico con l’imposta.

Le imposte che sono fondamento di qualsiasi sistema finanziario, devono per necessità basarsi sulla grande massa della popolazione. Le fortune rilevanti contribuiscono per la minor parte, in quanto appunto rappresentano la minor parte del reddito e del consumo nazionale.

È puerile credere che imposte che assorbono tanta parte del reddito siano possibili senza sofferenza per tutte le classi sociali e che così in alto come in basso sia possibile di sottrarsi alla resistenza se non all’avversione dei contribuenti.

Non vi sono contribuzioni che si pagano volentieri né tanto meno contribuzioni volontarie, come non vi sono donatori spontanei. Ciò poteva accadere nelle città antiche, in periodi di calamità pubbliche e di estremo pericolo. E gli ordinamenti finanziari sono soggetti alle stesse leggi economiche.

Tutto ciò che in materia finanziaria è avveniristico non è serio. La finanza è la forma di attività che meno si presta alla fantasia.

Ora è venuta fuori la illusione di una imposta generale sul patrimonio, che non solo dovrebbe miracolosamente contribuire a risanare il bilancio ma contribuire a compiere opera di ricostruzione sociale.

Io devo dire lealmente che non solo non credo che un’imposta sul patrimonio, applicata in questa fase della vita nazionale, possa dare grandi e utili risultati, ma credo che possa, dando risultati cattivi, complicare e rendere più difficile ogni opera di risanamento finanziario.

Il decreto legislativo che, con procedimento non ammirevole, è stato messo in esecuzione prima ancora di essere approvato, è fatto nuovo nella forma se non nuovo nel contenuto. Si comprende un decreto catenaccio quando si tratti di ricchezze che possono sfuggire al fisco come dazi di dogana o anche il prezzo di alcuni generi di consumo. Ma come nell’imposta sul patrimonio, quali ricchezze potevano o possono sfuggire?

Procedimento tumultuario e inesplicabile.

Il decreto legislativo si riferisce nel Titolo alla istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. In realtà ciò riguarda due distinti provvedimenti tributari, l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva e l’istituzione di un’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio, con la soppressione, a partire dal primo gennaio dell’anno prossimo, delle relative imposte ordinarie.

Considerati nel loro insieme, questi provvedimenti, se anche potessero in ipotesi dare risultati apprezzabili, non possono darli a breve termine.

Per quanto riguarda la difesa della lira, che è la cosa ben più urgente, l’adozione di questa imposta non può che produrre danno rendendo più inquieto il mercato. Per la situazione del bilancio almeno fino al 1949 non hanno questi provvedimenti alcuna importanza.

La patrimoniale crea negli ignari la illusione che costituisca una specie di panacea sociale (colpisce i ricchi e determina una grande entrata).

Tutte le esperienze del passato dimostrano che mai l’imposta sul patrimonio ha determinato entrate imponenti e mai è servita a sanare la finanza pubblica; che mai ha prodotto grandi entrate a breve termine; e in breve periodo di tempo; che mai è stata applicata seriamente e non ha potuto per la sua forma e per la sua durata essere pagata dal reddito e non già dal patrimonio.

È poi norma essenziale che nessuna grande imposta patrimoniale debba essere applicata in tempo di grande incertezza monetaria.

Siamo noi sicuri che il corso attuale della moneta avrà una stabilità almeno relativa?

E se prima non provvediamo alla moneta come imporre provvedimenti che daranno i loro risultati solo fra qualche tempo?

Io ho l’aria di parlare contro ciò che io stesso ho fatto. Io stesso infatti sono il Capo del Governo che nel 1919 ha voluto la patrimoniale. L’ho voluta e l’ho applicata, ma per le stesse ragioni ora non la vorrei, perché si presenta in circostanze diverse e che ne rendono pericolosa l’applicazione. Ed ora mi tocca a protestare soprattutto contro le illusioni, perché io sono favorevole all’imposta sul patrimonio, ma desidero che venga pagata in realtà come un’imposta sul reddito, e come che sia, applicata in circostanze determinate.

Applicai la patrimoniale nel 1919, ma l’avevo già preparata nel 1917, quando ero Ministro del tesoro. Io ebbi l’idea, vedendo i conti che venivano al Tesoro da tutti gli arricchiti di guerra. Allora si chiamavano pescicani: non so come sono stati chiamati dopo e come si chiamano ora. Io fui colpito da questi immensi guadagni e fu una delle ragioni per cui pensai ad una imposta sul patrimonio che avesse carattere progressivo efficiente. E fu da allora che feci il primo piano di questa imposizione.

Io volevo allora alcuni grandi monopoli che avevo preparato e volevo rinforzare alcune imposte che erano ancora lente nel loro sviluppo e volevo introdurre insieme l’imposta sul patrimonio. Così venne nel 1919 l’imposta sul patrimonio.

Devo dire che quell’imposta – che si poteva pagare in dieci o venti anni – fu pagata secondo le previsioni e il gettito fu anche maggiore di quello che alcuni miei uffici prevedevano. Devo anche dire che l’imposta non dette luogo ad alcun inconveniente e non offese le classi possidenti, al punto che io potetti fare nello stesso tempo il più grande prestito pubblico che l’Italia abbia mai fatto: il prestito per pagare le spese della guerra del 1915.

È pessima politica volere una buona finanza ed insultare in permanenza chi possiede ed abbia possibilità di pagare. E così è cattiva finanza tenere sotto l’incubo d’una continua minaccia chi possiede! Bisogna avere il coraggio di prendere ai cittadini ciò che si deve e si può, arditamente, ma lasciare la gente respirare! Niente di più dannoso della continua, assillante minaccia, come si ha ora l’abitudine di fare.

È perciò che l’imposta sul patrimonio va considerata non solo nella sua funzione, ma nel tempo. Una stessa imposta è buona o cattiva, secondo il tempo e secondo le circostanze. Vi sono casi in cui, a seconda delle circostanze determinate, le imposte si possono applicare, altri in cui non si possono.

E se io ho in me grande dubbiezza adesso, è perché il tempo e la circostanza non mi sembrano favorevoli. Apprezzo le buone intenzioni dell’onorevole La Malfa. Dirò di più: ho fiducia in lui che, come Ministro dei trasporti, seguii con interesse perché mi diede l’impressione di un uomo di intelligenza e di senso pratico, e che rese dei servizi. Se ho tanta dubbiezza, non è per la sua persona e per le sue attitudini, ma è per la difficoltà del momento. Né egli riescirà, né in questo momento altri riescirebbe.

É un momento difficile. Vi sono molti sintomi che ci fanno credere che la patrimoniale non possa dare risultati. E non è prova contraria il fatto dei 12 miliardi pagati finora per riscatti.

Io vedo già ordini del giorno, proposte di modificazioni, articoli aggiuntivi. Forse nuove cose vorranno essere aggiunte! Óra già si trova, per esempio, che il limite è basso e che non è possibile applicare l’imposta nella forma attuale, dato il discredito della moneta. Altri notano che altre categorie vanno colpite, che altre forme di ricchezza vanno tenute presenti. Tutto questo indeterminatamente ed in forma che ci preoccupa.

Senza dubbio l’imposta, com’è presentata, lascia incerti e dubbiosi se non contrari. È sopratutto questione di tempo e di opportunità. Io mi rivolgo lealmente al Ministro e al Relatore e domando loro se credono essi che nel momento attuale, quando si devono applicare tante imposte e duramente applicarle, si possa mettere il pubblico in agitazione. E se non è dall’imposta sul patrimonio che noi potremo trarre ciò che ci è più necessario in questo periodo, perché farne causa di perturbamento e di disordine? L’imposta sul patrimonio è veramente complementare e solo fra qualche anno potrà svilupparsi. Ma noi dobbiamo nel momento attuale preoccuparci non di quello che avverrà negli anni prossimi, ma nei mesi prossimi. Perché mettere il pubblico in agitazione?

Io so che cosa è nelle democrazie la gelosia, che cosa è l’invidia. So che in ogni paese, in ogni villaggio, l’imposta sul patrimonio diverrà motivo di dissidi e di lotta. Il tale ha pagato, il tal altro non ha pagato o non pagherà. Non ci sono misteri, tutto viene fuori. E così l’imposta diventerà una causa di divisione e di lotte civili, proprio in un momento in cui siamo costretti a fare il massimo assegnamento sul credito e a portare il rendimento delle imposte essenziali al limite massimo di tolleranza.

Io, dunque, mi preoccupo non di un problema di ordine giuridico; mi preoccupo, invece, della temporaneità di questa imposta, per domandare se proprio in questo momento in cui dobbiamo chiamare a raccolta tutte le risorse del risparmio sia il caso di adottare provvedimenti finanziari che aprirebbero una lotta all’interno. Sarebbe una lotta dissimulata, ma non per questo meno effettiva. Tanto più valgono queste mie considerazioni, in quanto è ora al Governo un solo partito, e non bisogna dimenticare che le gelosie e i rancori sono inevitabili e più vivaci.

Credete che tutto questo avverrà senza una nuova lotta, senza aspri contrasti, senza diffidenze, senza accuse giuste ma soprattutto ingiuste? E non diminuisce la nostra resistenza finanziaria?

Io credo dunque che sia necessario considerare il problema nella sua essenza.

Non voglio fare proposte precise. Ma dal momento che vi proponete introdurre questa imposta, vi prego di fare in guisa che essa non sia ancora peggiorata con altre aggiunte e con altre modificazioni che la deformino ancora di più. Ma vi prego sopra tutto di considerare se non sia il caso di procedere a nuovo esame di questa materia. È possibile sospendere l’applicazione di un così inopportuno decreto legislativo e considerare a fondo la questione e rendersi conto di ciò che si può fare e di ciò che è meglio rinviare. Ora entriamo nel periodo delle grandi difficoltà. Dopo il mese di ottobre diventerà sempre più aspro il nostro cammino. Il 1948, dal punto di vista economico e finanziario, si presenta minaccioso. Non complicate le difficoltà. Non aggravate senza necessità la situazione attuale già incerta, che sotto alcuni aspetti ci minaccia. Pur non facendo alcuna proposta concreta, io confido che il relatore e il Governo si renderanno conto del pericolo di questo inopportuno, intempestivo e illusorio decreto sull’imposta patrimoniale. Spero ancora che si trovi il modo di rendere meno aspro questo momento e, se si può, di rinviare questo disegno di legge diventato legge ancora prima di essere stato esaminato e discusso, senza necessità, nella generale diffidenza. Dal momento che tutto è stato incerto nelle origini, solo un rinvio può essere utile.

In ogni caso io sono sicuro che i fini cui si è mirato non saranno raggiunti e che ciò sarà solo causa di nuovo turbamento economico e finanziario. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Angelini. Non è presente; si intende che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare l’onorevole Pesenti. Non è presente; si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’onorevole Selvaggi. Non è presente; si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’onorevole Micheli, il quale ha presentato anche il seguente emendamento all’articolo 51:

«Aggiungere, in fine:

«Qualora il riscatto sia stato esercitato prima che l’accertamento dell’imposta sia divenuto definitivo, gli interessi imputati in conto imposta, ai sensi del presente articolo, sono rimborsati in relazione all’ammontare dell’imposta che risulti non dovuta e del tempo trascorso dal versamento al rimborso»:

L’onorevole Micheli ha facoltà di parlare.

MICHELI. Mi riservo di parlare per lo svolgimento dell’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’onorevole Vigorelli. Ha facoltà di parlare.

VIGORELLI. Prego di dare la precedenza all’onorevole Scoccimarro.

PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di parlare l’onorevole Scoccimarro.

SCOCCIMARRO. Questa discussione sull’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio ha un vizio d’origine che, a mio giudizio, le toglie gran parte del suo valore: esso consiste nel fatto che questo importante provvedimento finanziario ci viene presentato come «a sé stante» non inquadrato in un piano organico di politica economica e finanziaria, cioè in un complesso ben congegnato di provvedimenti capaci di dare un colpo di arresto al processo inflazionistico e speculativo; di determinare condizioni favorevoli alla ripresa economica; di creare quel senso di fiducia tanto essenziale agli operatori economici ed infine di giustificare con gli obiettivi che si propone ed i risultati che se ne attendono i gravi sacrifici che essa impone. Fin dal primo momento in cui, nel 1945, fu decisa l’istituzione del tributo straordinario, questo fu concepito nel quadro di un insieme di provvedimenti che dovevano precederlo e seguirlo, e in relazione alla situazione economica e finanziaria del momento: quel piano non si attuò per il non avvenuto cambio della moneta. Ed anche quando, verso la fine del 1946, si provvide alla elaborazione di un nuovo progetto indipendente dal cambio della moneta si seguì lo stesso criterio: l’imposta straordinaria faceva parte di un piano finanziario che insieme al pareggio del bilancio ordinario prevedeva un finanziamento triennale delle spese straordinarie per la ricostruzione. La crisi di gennaio ha impedito l’attuazione anche di questo piano finanziario. Si è invece lanciato all’improvviso questo nuovo progetto di imposta straordinaria come un provvedimento isolato, senza le misure preventive che esso richiedeva, in un momento che non è apparso del tutto tempestivo e congegnato in modo tale da sollevare non poche critiche e obiezioni. La nostra perplessità ancor si accresce dopo la risposta sostanzialmente negativa data dal Ministro del bilancio alle nostre proposte, per cui si ha l’impressione che questa imposta straordinaria in definitiva sarà un nuovo tributo che si pone a fianco degli altri tributi esistenti; ma non elemento di un piano organico di finanza straordinaria. E tanto più ci conferma in questa impressione il rifiuto del Ministro del bilancio di accogliere la proposta di istituire quel Bilancio della Ricostruzione nel quale avrebbe dovuto inquadrarsi l’imposta straordinaria. I motivi di quel rifiuto si sono andati a ricercare in dibattiti di un lontano passato che non hanno nulla che vedere con le esigenze della situazione attuale alle quali soltanto io mi sono richiamato nel proporre l’istituzione del Bilancio della Ricostruzione come si è fatto in altri paesi, ad esempio in Francia. L’aver considerato l’imposta straordinaria come un provvedimento a sé stante ha fatto sì che esso è stato emanato nel momento meno opportuno e pertanto è stato intempestivo. Infatti, condizione preliminare e necessaria di una imposta straordinaria, e pertanto temporanea e non permanente, non destinata a far parte integrante del nostro sistema tributario, è di farla precedere da tutte le misure necessarie capaci di creare, se non una immediata stabilizzazione monetaria, per lo meno le condizioni di una prossima stabilizzazione. Si deve tener presente che era maturato il problema della rivalutazione degli impianti delle società industriali, alla quale si potevano collegare particolari provvedimenti dei quali ho già parlato in sede di discussione sulle dichiarazioni del Governo: quei provvedimenti, a mio giudizio, dovevano tutti precedere l’imposta straordinaria perché diretti contro la speculazione che si è disfrenata nel primo semestre con relativa svalutazione monetaria che costituisce una evasione all’imposta straordinaria.

E la cosa è tanto più importante che ai fini dei bisogni immediati di tesoreria della riduzione del disavanzo dell’esercizio in corso, non era tanto l’imposta straordinaria che aveva importanza, perché di rendimento più lontano, quanto gli altri provvedimenti che avevano possibilità di un risultato immediato.

LA MALFA, Relatore. Onorevole Scoccimarro, quali?

SCOCCIMARRO. Per esempio i provvedimenti fiscali sul problema della rivalutazione degli impianti industriali. Non dimenticate che fra il febbraio e il maggio, si sono distribuiti in Italia, fra azioni gratuite e opzioni, 1.200 miliardi, dai quali il tesoro ha tratto scarso beneficio.

CAMPILLI. Questo non esclude che si faccia.

SCOCCÌMARRO. Ma bisognava farlo prima.

CAMPILLI. L’uovo e la gallina. Se l’avessimo fatto prima, avreste detto che bisognava prima fare l’imposta straordinaria.

SCOCCÌMARRO. Ma non è indifferente l’ordine in cui vengono presi i provvedimenti. Ne vedremo ora le conseguenze.

Che cosa avviene? Noi abbiamo fissato il 28 marzo come data di accertamento dei patrimoni. Ora quella parte dei 1.200 miliardi che è venuta alla luce dopo il 28 marzo è legalmente esclusa dalla imposta straordinaria.

Ma vi dirò di più. Al dicembre 1946 per le 170 società che in Italia hanno i loro titoli quotati in borsa, questi titoli si calcolavano attorno a 500 miliardi, mentre gli stessi titoli a fine maggio valevano 1.500 miliardi. Nel nostro progetto di imposta straordinaria noi prendiamo il semestre ottobre-marzo come termine di valutazione delle azioni: gran parte di quell’aumento di valore sfuggirà all’imposta.

CAMPILLI. Si è abbreviato a sei mesi quello che prima si era previsto in tre anni. Il primo progetto era molto vantaggioso.

SCOCCIMARRO. Le ricordo, onorevole Campilli, che i provvedimenti finanziari vanno esaminati al momento in cui vengono lanciati. Nel 1945 noi avevamo una flessione, una depressione di tutti i titoli: la situazione poi si è rovesciata.

CAMPILLI. Qui si è preso il periodo più alto.

SCOCCIMARRO. Nel 1945 la produzione in Italia era ridotta a un terzo.

VANONI. La media del triennio 1942-1945 era inferiore ai prezzi del 1945. Questo è un dato di fatto.

SCOCCIMARRO. Non lo contesto. Comunque, quello era un progetto non ancora definitivo, e non è detto che in esso non vi fosse ancora qualche errore da correggere. Quello che è certo è che nei primi mesi del 1947 si è avuto un enorme aumento nella valutazione dei titoli in Borsa, e non c’è dubbio che quando noi fissiamo la data del 28 marzo per l’accertamento dei patrimoni, tutto l’aumento successivo sfugge all’imposta.

Questo dimostra la intempestività del provvedimento, che è stato lanciato nelle acque torbide ed agitate dalla speculazione, senza difesa contro i danni che avrebbe subito, senza avere prima nulla fatto per calmare e rasserenare l’ambiente.

Ecco perché, secondo me, sarebbe stato opportuno attendere qualche mese, affinché quel processo di rivalutazione si esaurisse, e non c’era nulla di preoccupante se l’imposta straordinaria fosse stata istituita uno o due mesi dopo. E dicoquesto perché? Perché oggi a molti si pone il problema che poneva l’onorevole Cappi discutendo le dichiarazioni del Governo, cioè se non sia opportuno, conveniente, riesaminare se quella data del 28 marzo non si possa spostarla per ridurre la zona di evasione; badate, di evasione legale, direi quasi autorizzata. Si potrebbe calcolare di quanto l’imposta viene a perdere come imponibile mantenendo quella data del 28 marzo piuttosto che spostarla, non dico molto, ma di qualche mese. Questa è la proposta che farò in sede di emendamenti.

Un’altra osservazione riguarda il criterio generale che ispira il provvedimento. Non dobbiamo dimenticare che la guerra e l’invasione hanno notevolmente impoverito il nostro Paese e che per provvedere alla restaurazione delle rovine ed alla riparazione delle spogliazioni si dovrà sostenere uno sforzo finanziario considerevole e di lunga durata. I sacrifici che si richiedono sono gravi e potranno essere tollerati solo se equamente ripartiti. Per tale ripartizione non bisogna dimenticare che l’impoverimento generale non si è ripartito proporzionalmente fra tutti i patrimoni: alcuni sono diminuiti, altri si sono conservati, altri si sono accresciuti costituendo un vero e proprio arricchimento. Ora, l’imposta straordinaria deve tener presente tali disuguaglianze causate dalla guerra. Perciò l’imposta straordinaria non ha soltanto uno scopo finanziario ma anche uno scopo politico sociale, cioè di attenuare le maggiori disuguaglianze create dalla guerra.

È per questa ragione che nel 1945 si era pensato di integrare l’imposta straordinaria con un tributo speciale su l’incremento patrimoniale: quella che in Francia si è chiamata l’imposta sugli arricchimenti. A questa soluzione si era arrivati anche per un’altra considerazione: quando si è riformata la legge fascista sui sovraprofitti di guerra, sostituendo all’imposizione del 60 per cento della legge fascista, l’avocazione integrale dei sovraprofitti, si è constatato che sotto il Governo fascista vi era stata una larghissima evasione. Inoltre, tenendo presente che i sovraprofitti di guerra si erano cominciati ad accumulare dal 1935 e non dal 1940, perché, il periodo delle guerre fasciste comincia nel 1935, si era cercato di vedere se era possibile riportare la data di applicazione dell’imposta sui sovraprofitti di guerra dal 1940 al 1935. Ma qui ci si è trovati di fronte ad una impossibilità tecnica. Allora, si è pensato che l’imposta straordinaria dovesse essere affiancata da un provvedimento che doveva cogliere gli arricchimenti straordinari realizzati nel decennio 1935-1945.

Ora, questa parte dell’imposta straordinaria è scomparsa e si è sostituita con l’imposta proporzionale sul patrimonio, il che costituisce una grave ingiustizia a danno dei piccoli proprietari, vulnera lo spirito dell’imposta straordinaria e rappresenta un vero e proprio capovolgimento dei suoi principî inspiratori. L’asse del provvedimento si spostava dalla ricchezza mobiliare alla ricchezza immobiliare. Già in sede di commissione ho richiamato l’attenzione del Ministro sull’opportunità di rivedere questo punto, ricordando che il riscatto dell’imposta ordinaria sul patrimonio era stato concepito non come parte della straordinaria, ma come elemento sussidiario di un complesso di provvedimenti, e con una aliquota più bassa per un periodo di tempo più lungo, con l’esenzione dei piccoli patrimoni ed un sistema di aliquote differenziate allo scopo di non gravare troppo sulle piccole proprietà.

Viceversa, in questo progetto, così come è attualmente formulato, l’aliquota è aumentata, il tempo della riscossione ridotto, il pagamento richiesto subito, mentre l’imposta progressiva straordinaria è resa inefficiente per i cespiti mobiliari e se ne rinvia il pagamento al 1948, senza nemmeno chiedere un anticipo, consentendo così ad eventuale evasione per svalutazione monetaria.

In queste condizioni l’imposta proporzionale diviene essa la leva del patrimonio. Le funzioni delle due imposte sono così invertite con gravi conseguenze d’ordine economico e sociale. A ragione l’onorevole De Vita osservava che in tal modo si realizza una progressività a rovescio, perché questa imposta è più onerosa per i piccoli patrimoni che per i grandi, e si rileva particolarmente gravosa per i piccoli patrimoni di case con fitti bloccati. Inoltre va tenuto conto che i grandi patrimoni sono per lo più costituiti da unità divisibili per cui si può vendere una parte, senza essere costretti a vendere tutto, mentre i piccoli patrimoni sono di solito indivisibili; per cui chi vende, deve vender tutto. Inoltre i grandi patrimoni hanno maggior margine di risparmio e di reddito non necessario per il consumo e quindi hanno la possibilità di sostenere l’imposta senza gravi conseguenze, mentre i piccoli patrimoni mancano di tale possibilità e per pagare l’imposta devono vendere.

Si crea così una grave sperequazione sopratutto politica e sociale, poiché mentre i grandi patrimoni potranno sostenersi, i piccoli patrimoni vanno soggetti ad una falcidia. Ci sarà molta gente che sarà costretta a vendere e non mancherà la speculazione che ne trarrà profitto. In tal modo lo scopo politico-sociale dell’imposta straordinaria, che era di favorire una redistribuzione dei grandi patrimoni personali, si realizza a rovescio: cioè saranno spazzati via i piccoli patrimoni, che sono frutto di lavoro e di risparmio e in molti casi strumento indispensabile di lavoro, oppure costituiscono mezzo di sostentamento e di vita o di garanzia e sicurezza per l’avvenire. Perciò, applicando l’imposta così come è ora progettata, noi applichiamo a rovescio il principio a cui deve ispirarsi questo tributo dal punto di vista politico e sociale.

La lotta contro l’inflazione si può condurre in due modi: mediante il sacrificio e la rovina dell’economia dei ceti medi e piccoli, oppure chiamando a contributo tutti i patrimoni, secondo la loro reale capacità contributiva. Io temo che con questo progetto noi ci incamminiamo per la prima via; e propongo che si cambi strada.

Le proposte che io vorrei fare sono queste: stralciare l’imposta proporzionale dal progetto di imposta straordinaria, esentare i patrimoni minori, ridurre l’aliquota, adottare un sistema di aliquote differenziate, concedere un più lungo periodo di tempo per il pagamento, estenderla agli enti collettivi. In compenso chiedere un «anticipo» sulla imposta straordinaria con l’iscrizione provvisoria a ruolo.

Ed ora passiamo ad un terzo problema: gli enti collettivi. Qui è necessario dire qualcosa sui precedenti. Nel 1945 si era pensato di colpire le fondazioni e le persone fisiche. La società per azioni sarebbe stata raggiunta dall’imposta sugli incrementi patrimoniali, perché lì si erano accumulati i maggiori sopraprofitti e si erano accumulate le maggiori ricchezze. Nel 1946, in conseguenza del mancato cambio della moneta, si pensò di mantenere l’imposizione sulle fondazioni, e di risolvere in sede di imposta straordinaria anche il problema della rivalutazione degli impianti industriali, separando e considerando a parte, il problema dell’imposizione sugli incrementi patrimoniali.

Ora siamo arrivati all’attuale progetto, nel quale scompare l’imposizione per le fondazioni e per le società azionarie, scompare l’imposizione sugli incrementi patrimoniali e non si parla più della rivalutazione degli impianti industriali. In sede di Commissione si è discusso se è giusto tassare gli enti collettivi: si sa che qui c’è anche un problema di dottrina. V’è chi sostiene che la tassazione degli enti collettivi significhi una doppia imposizione, e chi sostiene invece la tesi contraria osservando che società e patrimonio dei soci sono entità economiche distinte, ciascuna con propria capacità contributiva. Io prescindo qui dal problema teorico, non è questa la sede per tale discussione, e considero la questione solo dal punto di vista pratico e politico. L’esenzione degli enti collettivi può avere come conseguenza che una società con un patrimonio considerevole può rimanere completamente esente dall’imposta perché i possessori singoli dei titoli hanno essi patrimoni che non superano il minimo imponibile.

Altro inconveniente: le aziende individuali in quanto fanno parte del patrimonio del contribuente sono soggette all’imposta con l’aliquota corrispondente al complesso patrimoniale, mentre le società azionarie come tali non pagano nulla: questo può divenire un elemento di sperequazione con conseguenze abbastanza serie.

Poi, il modo come è congegnato il provvedimento consente una larghezza di evasione ai possessori di titoli azionari, che sarebbe in parte attenuato dal fatto che la società paga essa un contributo sia pure con aliquota ridotta.

Per tutte queste ragioni pratiche, indipendentemente da ogni considerazione teorica, penso che sia opportuno colpire le società per azioni. L’importanza finanziaria di questo problema risulta da qualche cifra: su 20 mila società esistenti in Italia solo per 170 società si calcola che il valore delle azioni arrivi a 1500 miliardi. Inoltre le fondazioni rappresentano solo esse un quinto della ricchezza nazionale: con l’esenzione degli enti collettivi il gettito della imposta subisce una notevole riduzione.

La relazione che accompagna il provvedimento, per giustificare la esenzione delle fondazioni, fa delle osservazioni abbastanza strane. Si dice ad esempio: se si colpiscono le fondazioni, queste pagano una aliquota corrispondente al patrimonio individuale e quindi vengono colpite con aliquota elevata, mentre le Banche-società, il cui patrimonio è frazionato fra le molteplicità dei compartecipanti, pagherebbero con aliquote più basse. E si aggiunga che, anche se si riduce l’aliquota, non si eliminano le sperequazioni. Ora, mi pare che qui non vi sia nesso logico, perché si potrebbe ridurre l’aliquota per le fondazioni fino ad eliminare le sperequazioni o a ridurle al minimo. Si sa che gli enti collettivi sarebbero in ogni caso tassati con aliquote inferiori a quelle applicate per le persone fisiche.

Ma non basta. La cosa più interessante è la disquisizione giuridica con la quale si pretende giustificare l’esenzione delle società e delle fondazioni. In sostanza si fa questo ragionamento: non è giusto colpire le fondazioni perché si esentano le società; d’altra parte non è giusto colpire le società se si esentano le fondazioni. Quindi si conclude: esentiamo tanto le fondazioni quanto le società. Ma si può concludere anche in un altro modo, cioè: colpiamo tanto le società quanto le fondazioni. In questo provvedimento non vi è equità di imposizione tra ricchezza mobiliare e ricchezza immobiliare. Ora bisogna trovare il modo di far entrare nella sfera di imposizione una più larga parte di ricchezza mobiliare.

Ma c’è ancora un’altra questione: quella degli Enti religiosi. L’articolo 29 del Concordato dice che gli Enti religiosi e affini di culto sono assimilati agli enti di assistenza e beneficenza, per quanto riguarda l’imposizione fiscale. E siccome questi Enti sono esenti, automaticamente sono esenti tutti gli Enti religiosi.

Nella misura in cui questi Enti assolvono ad una funzione religiosa, la cosa è comprensibile. Ma, signori, nessuno ignora che taluni Enti religiosi svolgono anche una vera e propria attività economica e, nella misura in cui svolgono tale attività, non vedo la ragione per cui essi non devono essere soggetti ai contributi a cui sono soggetti altri Enti che svolgono la stessa attività: in fondo è la corresponsione per i servizi pubblici dello Stato di cui anche essi usufruiscono.

Di attività economiche di Enti religiosi potremo citarne parecchie. Dirò soltanto di un caso: è noto che non molto tempo fa, la C.I.C.A., volendo importare 25 mila tonnellate di materie zuccherine dal Perù, si è rivolta per la valuta necessaria alla Pontificia facoltà teologica, la quale ha concesso 4 milioni e mezzo di dollari di proprietà degli «Ordini dei frati minori conventuali». Io non ho nulla da eccepire al fatto in sé, ma dico che, quando si svolgono attività di questo genere, questi Enti devono dare il loro contributo, come lo danno tutti gli altri Enti economici. E penso che da questo punto di vista non si viola il Concordato, il quale si riferisce ad Enti religiosi in quanto svolgono una attività a fine di culto.

Ma c’è di più: c’è il problema dei benefici ecclesiastici. È giusta e giuridicamente giustificata la loro esenzione dall’imposta straordinaria? Vi sono, è vero, numerosi benefici ecclesiastici così esigui, per cui i loro titolari hanno bisogno della congrua: è giusto che questi siano esentati. Ma vi sono anche benefici ecclesiastici costituiti da patrimoni considerevoli; ora, questi non dovrebbero essere esentati da ogni contributo. A questo proposito, c’è un precedente. Già nel 1932, in regime fascista, fu sollevata la questione per una serie di tributi, e vi fu una circolare del Ministro delle finanze Mosconi, la quale ad un certo punto dice: «È appena necessario avvertire, poiché è stato proposto un quesito al riguardo, che l’esenzione in parola – qui si parla di esenzione fiscale dopo il concordato – non è applicabile ai benefici ecclesiastici per la rendita che essi traggono dal beneficio ed in confronto di essi l’imposta va applicata nei modi ordinari come per gli altri contribuenti».

Ora, non c’è dubbio che si tratta di questione diversa da quella che noi consideriamo ed io condivido al riguardo le osservazioni fatte da molti colleghi democristiani in sede di Commissione. Io pongo tuttavia il problema da un punto di vista analogico e dico: non pare a voi che almeno certi patrimoni di benefici ecclesiastici debbano dare il loro tributo all’imposta straordinaria? Non pare a voi che ciò sia utile allo stesso prestigio delle istituzioni religiose e che l’onere cui esse andrebbero incontro sarebbe più che ripagato dal maggior prestigio spirituale che a loro deriverebbe dal fatto di aver dato il loro contributo alla ricostruzione del Paese nel quale esse operano e vivono?

In sede di Commissione, io avevo proposto che gli enti di assistenza o beneficenza non venissero esentati dalla corresponsione dell’imposta straordinaria, con l’impegno di un contributo dello Stato a tutti quegli enti che assolvono ad una funzione di assistenza e di beneficenza, siano essi ecclesiastici o no; contributo che all’occorrenza per taluni potrebbe anche essere superiore a quanto si è pagato per la imposta straordinaria.

CAPPI. Come è furbo!

SCOCCIMARRO. Ciò verrebbe a togliere un privilegio che è reputato ingiusto dall’opinione pubblica; io non credo che sul piano politico e morale si possa non accedere a quanto io dico. Pertanto ritengo che gli enti collettivi, compresi gli enti religiosi, debbano essere soggetti all’imposta straordinaria con una tariffa adeguata e inferiore a quella adottata per le persone fisiche.

Ed ora passo alle persone fisiche.

Vi sono alcune cifre di straordinario interesse, le quali fanno pensare che qui le possibilità di evasione sono veramente superiori a quello che si poteva pensare al tempo in cui la Commissione ha elaborato il progetto, non potendo sapere quello che è avvenuto dopo d’allora.

In Italia vi sono 3300 società per azioni con capitale superiore a un milione, e queste società comprendono in complesso 950 mila azionisti: di questi, solo 1500 possiedono il 70 per cento del capitale azionario, altri 8500 azionisti possiedono il 15 per cento, e gli altri 940 mila azionisti possiedono il restante 15 per cento del capitale azionario.

Questo ci rivela una concentrazione di proprietà mobiliare superiore a quanto si poteva credere.

Ora, se consideriamo sulla base di questa cifra il modo come è disposto l’accertamento, che cosa constatiamo? Si chiede al contribuente che denunci i titoli, fidando che lo schedario dei titoli delle società per azioni sia uno strumento sufficiente per controllo. Ma, dopo quanto è avvenuto negli ultimi quattro o cinque mesi nel movimento dei titoli azionari lo schedario delle società per azioni non è strumento di controllo sufficiente per l’Amministrazione finanziaria.

V’è quindi la possibilità di una larga evasione, tanto maggiore quanto più forte è la loro concentrazione in poche mani. Negli ambienti interessati è così profonda questa convinzione che molti non si interesseranno nemmeno di fare la denuncia dei titoli che possiedono, sapendo che l’Amministrazione finanziaria non è oggi in grado di fare un serio controllo, dopo quanto è avvenuto negli ultimi quattro o cinque mesi.

Per combattere questa evasione bisogna fare obbligo alle società di denunciare i possessori dei loro titoli azionari; è vero che esse possono saperlo solo di coloro che hanno partecipato al voto in assemblea; ma, data la forte concentrazione della proprietà dei titoli, ed essendo i loro proprietari fra quelli che sicuramente partecipano alle assemblee, la loro denuncia comprende il maggior numero sicuramente soggetto ad imposta, mentre di quelli che sfuggono probabilmente gran parte è al disotto del minimo imponibile. In ogni caso, sarà sempre meglio che affidarsi esclusivamente alla buona volontà del contribuente.

Ma c’è un secondo problema – non meno grave – che riguarda la valutazione dei titoli. Noi abbiamo stabilito il periodo 1° ottobre-31 marzo, come il semestre per la media dei prezzi di compenso per la valutazione dei titoli. Ma, quando io oggi constato che il valore delle azioni quotate in Borsa a fine dicembre era di 516 miliardi ed alla fine di maggio 1947 è di 1.500 miliardi, mi domando se non convenga e non sia giusto spostare i termini per la valutazione: e precisamente, invece del semestre 1° ottobre-31 marzo, stabilire il semestre gennaio-giugno.

Con questo semplice spostamento noi impediamo una larga evasione.

Altro problema è quello dei depositi bancari e dei titoli. Anche qui ci si affida al contribuente. Ma se il contribuente non denuncia o se fa una denuncia inesatta l’Amministrazione non ha nessun mezzo di controllo. Perché? Perché bisogna osservare il segreto bancario. Mi domando perché in Paesi dove il sistema bancario è ben più sviluppato che in Italia, come per esempio in Inghilterra ed in Francia, quando è stato necessario non si è fatto ostacolo e si è sospeso il segreto bancario. Perché in Italia, una volta tanto, questo non è possibile? Anche qui si tratta di una cifra importante: si può andare intorno ai 1000 miliardi.

Ora si è pensato di rimediare ponendo per legge un minimo alla denuncia della moneta, depositi e titoli supponendoli nella misura del 5 per cento del patrimonio. Questo sistema porta alla, maggiore sperequazione, perché si attribuisce il possesso di ricchezza mobiliare anche a coloro che non ne hanno, per cui questi pagano l’imposta anche per quello che non possiedono, mentre gli altri pagano per meno di quanto possiedono. Al solito, coloro che meno hanno, pagano per quelli che hanno di più.

Ora, secondo taluni se si fosse fatto il cambio della moneta sarebbe stato possibile sospendere il segreto bancario. E perché non si può farlo anche se non si fa il cambio della moneta?

Si dice: sarebbe una ingiustizia verso coloro che non depositano la loro moneta alla banca. Ma l’ingiustizia è ancora maggiore col sistema che si è seguito.

Fra due ingiustizie bisogna scegliere la minore.

Di fatto poi non è necessario scomodare le banche. Basterebbe stabilire che la disponibilità dei depositi è subordinata alla presentazione di una dichiarazione dell’ufficio delle imposte dell’avvenuta denuncia e allora ogni singolo contribuente provvederebbe a farla. Si ridurrebbero così le sperequazioni. V’è anche un altro sistema: stabilire una imposizione del 10 o 20 per cento sui depositi, dalla quale sarebbero esenti coloro che abbiano fatto la denuncia. Però anche questo sistema crea un beneficio per i grandi patrimoni a danno dei piccoli.

Il sistema della legge è poi quello che crea le maggiori sperequazioni.

La Commissione ha proposto ed il Ministro ha accettato l’adozione di una aliquota discriminata. Ma questo accorgimento attenua soltanto l’inconveniente, ma non lo elimina. Si pensi che oggi vi è molta gente, specialmente nel campo dei piccoli proprietari di case a fitto bloccato, che non ricavano nemmeno quanto è loro necessario per vivere, e non possiedono né moneta, né depositi, né titoli. Far loro pagare su un presunto possesso di ricchezza mobiliare sarebbe veramente una ingiustizia che diviene quasi un sopruso e una beffa. Sono queste le ingiustizie che pungono di più e sollevano le critiche più aspre. Perciò in questo campo bisognerebbe avere un sistema di accertamento più serio, qual è quello che io propongo: l’accertamento nominativo dei depositi bancari. Per i titoli si può provvedere mediante versamento «a dossier»: i titoli vengono depositati in banca; oppure il pagamento delle cedole è subordinato alla dichiarazione di avvenuta denuncia. Ma per combattere l’evasione bisogna anche adottare sanzioni severe: perciò propongo che i titoli non denunciati, siano essi pubblici o privati, siano dichiarati intrasferibili o soggetti a confisca. Con questi mezzi non si elimina completamente l’evasione, ma si può ridurla di molto. E così si corregge l’impressione che l’imposta straordinaria colpisca in modo sproporzionato la ricchezza immobiliare e lasci invece molte agevolazioni alla ricchezza mobiliare.

Le questioni delle quali vi ho parlato rivelano tutte la stessa tendenza. Il momento in cui è uscita l’imposta, l’imposta proporzionale sul patrimonio, l’esenzione degli enti collettivi, il mantenimento del segreto bancario, il periodo di valutazione dei titoli azionari ed il loro accertamento: in tutti questi punti la soluzione adottata costituisce una posizione di favore e di privilegio per i possessori di ricchezza mobiliare. Su questo provvedimento si scorge una impronta molto precisa: l’impronta dei ceti plutocratici, di coloro che possiedono la ricchezza mobiliare nel nostro Paese. Questo è il difetto che noi dobbiamo correggere.

Se ci si vuol fare una idea approssimativa di quanta parte della ricchezza nazionale con questo progetto sfuggirebbe alla imposta straordinaria, da quanto ho detto risulta che vi sfuggono: tutti i nuovi titoli azionari emessi dopo il 28 marzo, cioè una gran parte di 1200 miliardi; gran parte del maggior valore delle azioni per gli aumenti avvenuti negli ultimi mesi, cioè intorno ai 1000 miliardi; il patrimonio degli enti collettivi per quella parte che non viene colpita presso le persone fisiche; il patrimonio delle fondazioni, cioè un quinto della ricchezza nazionale; tutte le proprietà degli Enti religiosi e benefici ecclesiastici. A ciò bisogna aggiungere la possibilità di larga evasione consentita ai titoli azionari, ai depositi e titoli al portatore, ecc. Voi vedete quanta parte della ricchezza nazionale sfugge all’imposta straordinaria. Ed allora non meraviglia che un esperto tecnico attuariale abbia calcolato che questo tributo darà meno di 300 miliardi: importo veramente esiguo rispetto al valore attuale della moneta. Ed in questo calcolo non si tien conto delle evasioni e delle frodi da tempo predisposte, per cui il risultato sarà ancora inferiore. E tutto questo a vantaggio di chi? Prevalentemente ed essenzialmente della ricchezza mobiliare. La ricchezza immobiliare non ha molte possibilità di movimento. Ancora una volta le regioni settentrionali dove si concentra la maggior parte della ricchezza mobiliare si troveranno ad essere favorite rispetto alle regioni meridionali, come è nella tradizione delle vecchie classi dominanti.

Ora, a me pare necessario modificare la legge nel senso indicato. Ed è pure necessario che lo Stato si premunisca con tutti i mezzi dalla frode.

In sede di Commissione io ho fatto una proposta che ora ripresento all’Assemblea, cioè che la dichiarazione del patrimonio per l’imposta straordinaria sia accompagnata da dichiarazione giurata; chi froda lo Stato vada in galera.

Queste sono le osservazioni che volevo fare sulla imposta straordinaria. È necessario che questa imposta sia applicata, ma prima dobbiamo correggerne i difetti e possiamo farlo noi qui. Non bisogna dimenticare che l’imposta straordinaria è un provvedimento finanziario che deve rispondere anche ad una esigenza di giustizia. Questo provvedimento non soddisfa tale esigenza. Correggetelo: fatene uno strumento di fiscalità severa, ma giusta. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Vigorelli. Ne ha facoltà.

VIGORELLI. Onorevoli colleghi, mi limito a una osservazione particolare, a una contradizione che esiste nel testo del decreto in esame fra il titolo primo e il titolo secondo, contradizione che concerne gli enti di assistenza e di beneficenza, i quali sono, sì, esentati dall’imposta progressiva sul patrimonio, ma non sono esentati invece dalla proporzionale.

Ora, questa contradizione deve essere eliminata, perché costituisce una evidente iniquità e perché dà luogo a inconvenienti di cui ognuno si può rendere facilmente conto. Non si possono particolarmente colpire enti pubblici cui lo Stato dà i suoi contributi per l’opera di solidarietà umana e sociale che svolgono, nello stesso momento in cui non si è in grado di evitare le evasioni di cui vi ha così ampiamente e chiaramente detto l’onorevole Scoccimarro, e nello stesso momento in cui non si riesce a colpire coloro che hanno accumulato delle fortune con la borsa nera, con le speculazioni se non addirittura col collaborazionismo coi tedeschi.

Il tributo di cui al secondo titolo del decreto è fondato sull’imposta ordinaria sul patrimonio istituita col decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito in legge 8 febbraio 1940, n. 100. Si può anzi dire che questo tributo è una forma di riscatto di tale imposta che era stata istituita con carattere di continuità e che ora è abolita col disposto dell’articolo 74 della legge in esame.

Giova qui ricordare molto rapidamente la natura e la finalità dell’imposta straordinaria sul patrimonio.

Questa imposta aveva carattere di complementarietà e di progressività, tanto che è una vera e propria imposta sul reddito: basata sul patrimonio, colpisce però in sostanza il reddito.

Durante la discussione di quella legge, alcuni deputati chiesero al Ministro delle finanze che fossero esentate dal nuovo tributo le Opere pie e gli Enti di assistenza. Ma alla esenzione non si credette di giungere. Invece il Ministro delle finanze del tempo dichiarò che, rendendosi conto della difficile condizione in cui versavano gli Enti d’assistenza, si sarebbero emanate tassative istruzioni perché in sede di applicazione della imposta e nella determinazione dei criteri di valutazione dei patrimoni fossero prevalentemente considerati per le Opere pie i redditi in confronto ai valori venali. Le promesse del legislatore furono allora mantenute, ma ora l’imposta straordinaria sul patrimonio del 4 per cento, che equivale a dieci annualità anticipate dell’imposta ordinaria, praticamente viene a frustrare quel correttivo che allora si era consentito per quanto riguarda gli Enti di assistenza; e la nuova imposizione cade, per gli Enti di assistenza, nel momento peggiore, perché ognuno sa come il blocco degli affitti abbia notevolmente diminuito i loro redditi e come l’inflazione abbia notevolmente aumentato le loro spese, costringendoli ancora oggi ad erogazioni che sono presso a poco quelle di un tempo e che quindi sono irrisorie in confronto ai bisogni cui devono provvedere.

Comunque, di fronte a questa situazione non vi è se non un rimedio che possa essere efficace, quello dell’esonero di questi enti dall’obbligo dell’imposizione.

Ora è vero – lo abbiamo sentito ripetere qui e giustamente – che bisogna andare molto cauti nelle esenzioni, ma bisogna tener presente che nella specie la questione viene proposta per enti che non svolgono alcuna attività economica, che non hanno beni se non provenienti prevalentemente da donazioni e che devolvono il reddito al fine di alleviare le miserie e le tribolazioni così gravi nel nostro Paese.

Questi enti sono nell’impossibilità di pagare il tributo. Io ho ricevuto da più parti segnalazioni di questo genere, gravi e preoccupanti. Vi accenno all’Ente di Cremona, per esempio, il quale si trova di colpo a dover pagare 7 milioni, mentre non ha in cassa neppure un centesimo disponibile. Quindi, vende i suoi immobili, o deve procurarsi il denaro con un onere che alla fine va a ricadere sullo Stato che sovvenziona questi Enti.

Giustamente, dunque, questi Enti sono tutti in allarme, e hanno votato nella loro Associazione un ordine del giorno che è veramente un grido di preoccupazione e che l’Assemblea non può non tener presente nella determinazione, su questo punto, delle sue decisioni.

In quell’ordine del giorno si afferma come anche dal punto di vista morale sarebbe iniquo chiamare le classi povere a compiere intollerabili sacrifici, mentre gli abbienti non sono stati ancora colpiti con adeguati pesi tributari; si dichiara che ove lo Stato mantenesse questo tributo, le istituzioni di beneficenza ed assistenza sarebbero costrette non solo a sospendere la loro attività assistenziale, ma altresì ad alienare parte dei propri beni patrimoniali; e si chiede che in siffatta situazione, per evitare gravi e dolorose ripercussioni nei confronti delle classi povere di tutte le Regioni italiane, il Governo voglia accordare la riduzione dei tributi a favore degli enti comunali di assistenza e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.

Resta qui la sola preoccupazione del danno che le finanze dello Stato ne potrebbero subire. Ma a questa obiezione è facilissimo rispondere che non solo non vi sarà danno per le finanze dello Stato se lo Stato accorderà l’esenzione, ma se lo Stato non dovesse concederla dovrà in ogni caso rimborsare agli enti denari che essi pagheranno a questo scopo, perché evidentemente non da altre parti essi potrebbero attingere i mezzi; e lo Stato pagherà allora una somma maggiore, perché dovrà rimborsare il maggior onere degli interessi e dei premi pagati per sodisfare l’imposta, e – di più – il rimborso si verificherebbe con disturbo per tutto il sistema, già tanto disgraziato ed imperfetto, dell’assistenza sociale, quale vige nel nostro Paese.

È chiaro, dunque, che per le finanze dello Stato non esistono motivi di preoccupazione ed è certo altresì che – nell’interesse delle classi disagiate del nostro Paese – il Ministero non deve avere nessuna difficoltà a stabilire che, anche per quanto concerne l’imposta proporzionale, venga riconfermato quanto fu stabilito già per l’imposta progressiva.

A questo scopo presenterò il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Corsi, D’Aragona, Tremelloni, Preti:

Art. 68-bis.

«Sono esenti dall’imposta i patrimoni mobiliari ed immobiliari delle Istituzioni pubbliche di assistenza, compresi gli Enti comunali di assistenza (e Opere pie dipendenti) che fruiscono di contributi permanenti dello Stato».

La definizione degli enti è, in questa formulazione, così precisa che non si teme di creare un precedente che possa giustificare pretese od esigenze da parte di altri enti similari.

Sono certo che questo emendamento sarà accettato dal Ministro e dal Relatore e che sarà votato dall’Assemblea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Foa. Poiché non è presente, si intende che vi abbia rinunciato.

È iscritto a parlare l’onorevole Bonomi Paolo. Poiché non è presente, si intende che vi abbia rinunciato.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 12.25.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Riccio                                                                                                               

Russo Perez                                                                                                      

Presidente                                                                                                        

Sull’elezione del Capo dello Stato:

Presidente                                                                                                        

Sul disastro di Porto Santo Stefano:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Codignola                                                                                                        

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Lussu                                                                                                                

Tosato                                                                                                              

Selvaggi                                                                                                           

Targetti                                                                                                           

Lami Starnuti                                                                                                  

Nobile                                                                                                               

Fabbri                                                                                                               

Persico                                                                                                             

Bernini                                                                                                              

Preti                                                                                                                 

Bozzi                                                                                                                 

Zotta                                                                                                                

Mortati

Caroleo                                                                                                            

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Sui lavori dell’Assemblea:

Lussu                                                                                                                

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

MAZZA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

RICCIO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RICCIO. Ieri, durante la discussione sugli incidenti di Napoli del 22 giugno, volutamente rimasi fuori dell’Aula, perché mi ero imposto un silenzio che in nessun caso avrei voluto rompere. Senonché, la lettura del processo verbale mi ha indotto a dire una parola di precisazione, che vuole essere anche una parola di fede e di indignazione insieme.

E dovrò, prima di tutto, da questo banco, ringraziare l’onorevole Amendola, per la solidarietà mostratami subito per mezzo di una telefonata. E voglio assicurarlo che, nel momento in cui ricevevo la sua telefonata, non dubitai menomamente della sua lealtà, perché davanti agli occhi miei comparve la figura sanguinante di Giovanni Amendola, e non potevo pensare che il figlio di una eroica vittima della violenza non fosse sincero nel deplorare qualunque violenza, da qualunque parte venisse. Ma oggi posso avere un sospetto: c’è stata di mezzo una testimonianza, la testimonianza del professor Jannelli e, forse, questa testimonianza, oltre che la passione di partito, ha indotto l’onorevole Amendola ad una affermazione inesatta. La macchina c’era; nel cortile, anzi, ce n’erano due di macchine. Tutte e due erano ferme, perché in una macchina ero io con mia moglie e in un’altra i cinque bambini; e tutti dovevamo andare a Grumo Nevano per una cresima. Quelle macchine si potevano incontrare con il corteo soltanto se questo avesse avuto l’itinerario prestabilito di non sfilare soltanto per via Roma, ma, arrivato all’altezza di via Roma 148, di girare nel portone, traversare il cortile e salire le scale. Ed è per questo che le due macchine si incontrarono con parte del corteo nel cortile. Le macchine erano e rimasero ferme; io scesi dalla macchina soltanto quando la signora Notarianni gridò «Viva De Gasperi!». Quando scesi fui circondato e fui invitato a gridare: «Abbasso De Gasperi!».

Compii il mio dovere e gridai «Viva De Gasperi!».

Avvenne la colluttazione. La tabella del nostro partito fu portata via. Riuscimmo a fermare gli aggressori avanti le scale. Venne la pubblica sicurezza e l’incidente finì. Gli aggressori erano con fazzoletto rosso, avevano dei bracciali con la scritta «servizio d’ordine» e portavano nervi di bue. Ha sbagliato ieri l’onorevole Rodinò a parlare di squadre? Ha ragione l’onorevole Amendola, perché sul bracciale vi era scritto: «Servizio d’ordine» e non «Squadra d’ordine». Il servizio era, però, esplicato dalle squadre. E le squadre c’erano e ci sono, onde ha ragione Rodinò per la sostanza. Ma gli amici comunisti giuocano sempre… sulla forma.

Dunque, le macchine vi erano ed erano ferme; nessun tentativo di attraversare il corteo fu fatto. Oltre che le macchine, vi erano dei bambini; e neppure i bambini fermarono l’ira di quelli che ci colpivano.

Ecco la prima precisazione.

E voglio, per l’affetto che ho verso l’onorevole Amendola – col quale abbiamo molto lavorato insieme – voglio dirgli che è stato veramente incauto a citare Jannelli, perché il professor Jannelli è noto a Napoli non soltanto perché fu un fascista, parente di un Sottosegretario di Stato fascista, ma soprattutto perché ebbe un processo, un gravissimo processo a proposito del trapianto di un organo umano.

Ed è conosciuto soltanto per questo, non essendo ancora noto che egli non è solo il cittadino, proveniente dalla provincia di Salerno, ma forse anche il compagno.

Credo che per queste ragioni egli ha affermato cosa che non doveva affermare, perché non l’ha potuta vedere, salvo che con quella fantasia, alla quale si è richiamato l’onorevole Amendola.

E passo alla seconda precisazione.

L’onorevole Amendola, forse perché discepolo di Jannelli, a sua volta discepolo di Voronoff, in un momento di giovanile rinvigorimento dell’ingegno, ha scoperto una cosa che non aveva scoperto in tanti anni: cioè che io sono uno spirito fazioso.

Io voglio ricordare – e mi si perdoni – più cose. Nel gennaio 1944 abbiamo lungamente discusso per il patto di unità sindacale ed io ho trattato con comunisti e socialisti e il patto di Napoli nacque, con la mia collaborazione; non ero allora fazioso, dunque. Ho lavorato nei sindacati con socialisti e comunisti. L’anno scorso fui eletto all’unanimità, quindi anche coi voti dei comunisti e dei socialisti, segretario della Federazione della scuola; non ero, dunque fazioso. (Interruzioni a sinistra). Ho lavorato per i lavoratori ed abbiamo stipulato contratti collettivi di lavoro con i comunisti: è da ricordare, soprattutto, il contratto integrativo per i dipendenti delle aziende elettriche; non ero fazioso, neppure quando si verificarono, dopo il 2 giugno 1946, i fatti di via Medina; fu proprio l’onorevole Amendola ad invitare me e Rodinò a recarci sul posto, come osservatori obiettivi. Egli evidentemente non mi riteneva un fazioso.

Sono noto a Napoli – ha detto l’onorevole Amendola – per la mia faziosità; eppure, in quattro anni di vita attiva politica, non un attacco mai mi è venuto da parte dei comunisti e dei socialisti, né in privato, né sulla stampa, né in contradittorio.

Oggi le lesioni che ho riportato mi hanno reso anche fazioso! Volevano i comunisti forse che noi avessimo taciuto? O vuole l’onorevole Amendola che io smetta la mia democratica lotta politica?

Fazioso perché – ha detto l’onorevole Amendola – avrei dato nientemeno mano ad una campagna calunniosa contro il partito comunista per i bambini che andavano nella Emilia. Io non so che cosa significhi dar mano ad una campagna calunniosa. Io ho detto, e ripeto in quest’Aula – e finché vi sarà libertà di parola si ha il dovere di critica – che il modo migliore per assistere i bambini non è quello di strapparli alle loro madri portandoli lontani, ma di aiutarli sul posto. Questo sì ho detto e lo ripeto… (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

RICCIO. …perché penso che il diritto ed il sentimento di una mamma misera vadano rispettati e non infranti.

E poi vi sarebbe un’altra ragione, che cioè a Bosco Trecase avrei detto in un comizio che i comunisti avevano usato violenza.

È avvenuto soltanto questo. Una sera avevo tenuto un comizio a Bosco Trecase. Il Ministro Merlin che aveva parlato a Torre Annunziata, venne a prendermi con la macchina. Ed io, a comizio chiuso, andai via con lui. Avvenne allora che, più tardi, si presentarono dei comunisti per chiedere il contradittorio con me che non c’ero più e fu detto da loro che io ero fuggito. Fui informato dell’accaduto e mi premurai di tornare il sabato successivo, invitando i comunisti a ripresentarsi. Ma essi invece non vennero. Io non sono fazioso per questo! È evidente che la colpa non fu mia; al più dei compagni dell’onorevole Amendola, che volevano creare un equivoco in un paese e farmi passare per fuggitivo. Strano destino il mio; per Jannelli sarei stato così temerario da voler traversare il corteo comunista, per quelli di Bosco Trecase sarei fuggito. Ma mi conforto al pensiero che l’onorevole Amendola ha fatto e disfatto a suo modo, come meglio gli sembrava.

E se l’onorevole Amendola ha fatto queste affermazioni, posso concludere che di fazioso in me non vi è niente e che, se c’è faziosità, non è certamente da questa parte, non è certamente da questi banchi, non è certamente da parte mia.

Ma voglio terminare come ho incominciato; voglio cioè ringraziare ancora l’onorevole Amendola che mi ha costretto a parlare, perché soltanto così ho avuto l’occasione di compiere il gradito dovere di inviare da questi banchi un saluto agli altri quattro amici, di cui tre lavoratori del braccio ed uno del pensiero, che rimasero feriti con me.

Vada a loro il mio ed il vostro saluto.

Anche a nome loro, voglio dire in questa Aula che le nostre lesioni noi saremo lieti di dimenticarle, purché in Italia non siano ulteriormente offese la libertà e la democrazia. Se ogni faziosità sarà superata e ritorneranno la concordia e il rispetto reciproco, elementi fondamentali in una convivenza di uomini, noi benediremo, lieti, anche il piccolo sacrificio che siamo stati costretti a fare, come certamente Giovanni Amendola fu lieto di offrire la vita per la causa della libertà. (Applausi al centro e a destra).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Ieri mi è stato impossibile svolgere la mia interrogazione per un intervento che io ritengo intempestivo da parte dell’onorevole Vicepresidente Targetti. Quando ho citato il precedente – uno dei tanti – dell’onorevole Scoccimarro, il quale, svolgendo una sua interrogazione in materia similare, parlò per quaranta minuti, io non ebbi l’intenzione di criticare l’operato del Presidente Terracini, che quel lungo discorso aveva autorizzato; ma volli invece indicarlo all’onorevole Targetti quale esempio intelligente e garbato da seguire, nel momento in cui ebbi la sensazione che il funzionante Presidente fosse per servirsi del Regolamento come di un bavaglio, anziché di una guida.

Mi ribellavo quindi a quello che era, secondo me, un intempestivo e poco opportuno intervento presidenziale, giacché avevo appena pronunciato poche parole, ricordando la gravità dei fatti accaduti a Palermo ed in altre città d’Italia, quando mi sentii richiamare al tema e alla brevità. Credo che nessuno qui riconosca al Vicepresidente Targetti tali doti speciali d’intelligenza divinatoria per cui, dalle poche parole dette e perfettamente aderenti al tema, egli fosse in grado di prevedere che più tardi ne sarei uscito.

Quanto alla mia dichiarazione che in pochi minuti non avrei potuto assolvere il mio compito, l’onorevole Targetti, invece di ricordarmi che egli non era il Presidente Terracini, ma era il Vicepresidente Targetti (cosa di cui ci eravamo di già accorti e di cui ci saremmo accorti anche con gli occhi chiusi), egli avrebbe potuto fare quel che voi sempre avete fatto. Avrebbe dovuto, cioè, ricordarsi che questo è un Parlamento e non un collegio e che, quindi, occorre interpretare il Regolamento con tatto, con garbo, con misura; avrebbe potuto farmi, se mai, una cortese raccomandazione, e aspettare poi che io avessi veramente violato il Regolamento per richiamarmi all’ordine; e ciò sarebbe stato anche più doveroso, date le tendenze opposte dei partiti cui apparteniamo.

Ecco perché ho protestato ieri e protesto oggi; non per me, ma per la dignità dell’Assemblea, che a tali metodi non era stata abituata da voi, onorevole Terracini, che pure non siete un tiepido custode del Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, non per intervenire in una questione che l’onorevole Targetti ha certamente risolto nella pienezza dei poteri di cui disponeva e col suo buon senso e coll’equilibrio che tutti noi gli conosciamo, ma penso che forse, con l’avere rinunciato a parlare ieri, quanto meno per il breve tempo che il Regolamento le avrebbe concesso, con ciò stesso lei ha spuntato tutte le armi della critica e della protesta, che invece in questo momento lei vuole ancora impugnare. Parlando avrebbe potuto dimostrare all’onorevole Targetti che ella stava nella materia o per lo meno avrebbe esaurito il tema che tanto a cuore stava a lei e che l’onorevole Targetti non voleva già che non fosse sviluppato, ma soltanto voleva che fosse contenuto nei limiti del Regolamento che egli doveva far osservare.

Tanto ho voluto dire perché non potesse apparire che l’onorevole Targetti, esercitando anche a nome mio la funzione di Presidenza in questa Assemblea, possa avere veramente mancato a quello che è dovere del Presidente, cioè far osservare il Regolamento e poi, in via discrezionale, ammettere che qualche volta a questo Regolamento indulgentemente si possa mancare.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi permetto di farle osservare che io avevo parlato solo pochi secondi. Avevo appena fatto cenno ai gravissimi fatti accaduti in Sicilia, a Cremona ed a Venezia, quando è venuta l’interruzione del Presidente. Quindi io ero nel tema. Avevo parlato solo da trenta secondi e ritengo che l’onorevole Targetti avrebbe potuto e dovuto aspettare.

Mantengo, pertanto, la mia protesta.

PRESIDENTE. Se lei avesse parlato nei cinque minuti che nessuno le avrebbe contestato, ognuno si sarebbe accorto che lei era nell’ambito dei suoi diritti ed implicitamente l’onorevole Targetti avrebbe avuto la dimostrazione che il suo intervento non era andato al dì là della norma regolamentare.

Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Sull’elezione del Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea il seguente telegramma inviato da Milano dagli onorevoli De Unterrichter, Jervolino Maria e Angelo Raffaele Jervolino:

«Ritornati Italia dal Congresso internazionale ferrovie, preghiamola annoverare anche nostro voto plebiscitaria rielezione Capo Stato».

Sul disastro di Porto Santo Stefano.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Onorevoli colleghi, ritengo doveroso dare all’Assemblea comunicazione ufficiale del luttuoso avvenimento di stamane a Porto Santo Stefano, di cui hanno dato notizia sommaria i giornali. Per lo sgombero di Pantelleria imposto dalle clausole del Trattato di pace, è in funzione fin dalla metà del 1946 una Commissione di esperti per decidere circa il ricupero dei materiali bellici. Tale Commissione aveva avuto disposizioni di ricuperare solo quel munizionamento che desse assoluta garanzia di conservazione e che risultasse veramente utile alle Forze armate.

La nave Panigaglia era partita da Pantelleria il mattino del 21 giugno ultimo scorso con un carico di 330 tonnellate di munizionamento dell’Esercito, destinato ai depositi munizioni di Pozzarello. Essa era giunta a Porto Santo Stefano alle ore 13 del 26, dopo aver toccato Trapani.

La prima notizia dell’incidente si è avuta alle ore 11,10 di stamane dal semaforo di Monte Argentario, che dava notizia di una forte esplosione verificatasi nella rada di Santa Liberata, dove era alla fonda il Panigaglia.

Detta rada, distante circa 4 chilometri da Porto Santo Stefano, era stata appositamente scelta per le operazioni di scarico per tutelare la sicurezza della popolazione di Porto Santo Stefano.

Successive notizie confermavano purtroppo che durante le operazioni di scarico, per cause non ancora precisate, si era manifestata una violenta esplosione, che provocava la perdita della nave e la morte di 55 membri dell’equipaggio, di 12 operai civili e del maresciallo della sezione staccata di artiglieria di Grosseto, adibiti allo scarico.

Il Panigaglia era una nave trasporto munizioni della Marina militare, varata nel 1923, di 643 tonnellate di dislocamento, con 3 ufficiali e 61 marinai. Il Panigaglia aveva completato recentemente i grandi lavori ed aveva in perfetto ordine tutte le attrezzature necessarie al trasporto di munizioni.

Si sono immediatamente recati sul posto, per dirigere le operazioni di assistenza, il comandante in capo del dipartimento militare marittimo di La Spezia, ammiraglio Vietina, ed il sottocapo di Stato Maggiore della Marina militare ammiraglio Pecori con due capitani di vascello dipendenti. Sono subito stati inviati da Livorno e da Roma mezzi di soccorso. In particolare da Roma sono partite complessivamente sedici autoambulanze con medici e alcuni camion con materiale sanitario delle tre Forze armate. Un aereo di soccorso si è recato sul posto da Vigna di Valle.

È stata disposta una inchiesta intesa ad accertare le cause determinanti del gravissimo incidente e le eventuali responsabilità.

Il prefetto di Grosseto è sul luogo per recare i primi soccorsi alle famiglie.

Un quarto d’ora fa ho ricevuto un telegramma, che lascia un raggio di speranza per qualcuno che in un primo tempo era considerato vittima.

Il telegramma dice: «Stamane ore 11 nave Panigaglia saltato in aria rada Santa Liberata per esplosione oltre tonnellate 300 munizioni. Inviati soccorsi terra et mare sotto direzione questo Circomare ricuperati fino at questo momento quattro cadaveri. Su spezzone estrema poppa affiorante in basso fondale avvertito presenzi personale vivo; corso operazione perforazione lamiera fiamma ossidrica per estrazione con probabilità successo. Mezzi idonei per assistenza sono sul posto; altri speciali mezzi di soccorso non ritengonsi necessari. Comunicasi nome personale salvo perché a terra per servizio: tenente vascello comandante Agostino Armato; sergente radiotelegrafista Tavazzano Bruno; sottocapo furiere Coletta Mario; marinaio Costantino Giovanni; infermiere Burro Aldo. Con Panigaglia saltato barcone società Montecatini addetto discarico; capo barca Loffredo Armando unico a bordo scomparso. Circomare Porto Santo Stefano 141001».

Onorevoli colleghi, comunicando all’Assemblea questa luttuosa notizia, mentre assicuro che il Governo farà tutto il possibile per soccorrere le famiglie e assodare le responsabilità, sono certo di interpretare il pensiero del Governo e il sentimento unanime dell’Assemblea, interprete a sua volta del Paese, inviando un pensiero commosso ai marinai, al personale dell’Esercito e agli operai vittime del loro dovere ed esprimendo le nostre sincere condoglianze alle famiglie, alla Marina, all’Esercito per tanta iattura.

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l’Assemblea e il pubblico delle tribune). L’Assemblea esprime, attraverso la mia voce, il suo profondo cordoglio per l’immane disastro, che, gettando nel lutto tante famiglie italiane, ferisce profondamente anche il nostro cuore.

Vi sono, dunque, ancora dei morti sulla via dolorosa, che il nostro popolo deve percorrere per riuscire alla sua salvezza.

Esprimo l’auspicio, anche in nome vostro, onorevoli colleghi, che il loro martirio valga almeno a cementare sempre più saldamente le nostre forze, di noi che siamo vivi, per lavorare e per costruire. (Segni di generale assenso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Ricordo che, approvato l’articolo 108, dobbiamo passare all’esame di alcuni articoli aggiuntivi.

Il primo è quello dell’onorevole Codignola:

Art. 108-bis.

«La Repubblica garantisce il pieno e libero sviluppo, nell’ambito della Costituzione, delle minoranze etniche e linguistiche esistenti sul territorio dello Stato.

«Gli enti autonomi regionali non possono, sotto nessuna forma, limitare o modificare i diritti fondamentali del cittadino sanciti dalla presente Costituzione, né emanare norme con essa in contrasto».

L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgerlo.

CODIGNOLA. Questo mio emendamento era collegato ad altri due emendamenti da me proposti agli articoli 108 e 123. Io avevo proposto che l’articolo 108, il quale prevedeva alcuni statuti speciali – precisamente per la Sicilia, la Sardegna, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta – fosse soppresso, e che fosse modificato l’articolo 123 nel senso che gli Statuti già emanati per la Sicilia, la Sardegna e la Valle d’Aosta dovessero essere coordinati con le disposizioni della presente Costituzione.

Ritenevo e ritengo tuttora che il sistema di adottare degli statuti speciali per alcune Regioni italiane sia un sistema sotto molti aspetti criticabile e discutibile.

Comunque, senza entrare nel merito della questione, ricordo che, allo stato attuale, tre soli statuti di carattere particolare erano già stati emessi: quelli per la Sicilia, per la Sardegna, per la Valle d’Aosta, mentre era in discussione lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

Ora, ragioni del tutto particolari militavano per una conferma degli statuti speciali per la Sicilia e la Sardegna, pur entro certi limiti, e purché coordinati con le disposizioni generali della Costituzione.

Per quanto riguarda l’autonomia della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, le esigenze effettive potevano in realtà riassumersi nella necessità che, in sede costituzionale, venissero garantite certe minoranze etniche e linguistiche, esistenti ai confini dello Stato.

Non vi erano e non vi sono sufficienti giustificazioni per consentire speciali forme autonomistiche a codeste Regioni, quando si esca da quest’ambito limitato, cioè protezione delle minoranze etniche e linguistiche. Ciò è poi particolarmente vero per un’altra Regione, per il Friuli, in quanto, come forse non è noto alla maggioranza di voi, la grande maggioranza della popolazione interessata si è sempre espressa in modo esplicito, attraverso ordini del giorno dei maggiori enti ed associazioni della Regione, contro la concessione di una autonomia speciale. Ho davanti, fra gli altri, un ordine del giorno dell’Associazione combattenti e reduci, un ordine del giorno dello stesso Comitato per l’autonomia friulana, un terzo ordine del giorno dell’Amministrazione provinciale di Udine. Essi dicono tutti la stessa cosa: si respinge nettamente la possibilità che al Friuli si dia una autonomia speciale. E le ragioni sono evidenti.

A giudizio di questi nostri concittadini, la concessione di una autonomia speciale per il Friuli non soltanto non è affatto giustificata dalle condizioni di vita della Regione, ma potrebbe anzi creare artificiosamente una situazione internazionalmente pericolosa, potrebbe creare dei fermenti di irredentismo, che in quella zona tanto delicata dei nostri confini è opportuno evitare.

La medesima cosa si potrebbe ripetere per il Trentino-Alto Adige, dove l’unificazione di queste due Regioni sotto un’unica denominazione è, a mio giudizio, un errore che potrebbe avere conseguenze molto serie, poiché, come mi riservo poi di dimostrare in altra sede, il problema dell’Alto Adige è evidentemente legato a un problema di minoranza etnica ed a un problema di rapporti internazionali; ma il problema del Trentino è tutt’altra cosa. Il Trentino, è vero, ha un’antica aspirazione autonomistica, è cioè una di quelle Regioni italiane che sente più vivamente e tradizionalmente l’esigenza dell’autonomia, ma si tratta di un problema completamente diverso da quello dell’Alto Adige, su un piano prettamente distinto, tanto vero che molti cittadini trentini, e ricordo fra di essi anche il nome di un nostro collega recentemente scomparso, Battisti, si mostrarono sempre seriamente preoccupati che si potesse confondere il problema dell’autonomia col problema dell’Alto Adige, rinnegando, in certo senso, quella tradizione, d’italianità che ai trentini sta tanto a cuore; e che si portasse il problema sullo stesso piano dell’Alto Adige, dove la questione si presenta interamente diversa, dove dolorosamente esiste un problema di convivenza fra i molti cittadini italiani immigrati nell’Alto Adige in seguito agli accordi del 1938-39 e gli allogeni rimasti sul luogo.

Ora, in vista di tutto questo, io ritenevo che l’Assemblea avrebbe dovuto, nell’esaminare l’articolo 108, non prendere impegni nuovi a proposito di autonomie speciali. Esistevano già tre impegni molto gravosi: erano quelli della Sicilia, della Sardegna e della Valle d’Aosta. Questi tre Statuti in alcune parti erano incompatibili, indubbiamente incompatibili (è un regionalista che vi parla), con il principio di unità dello Stato: e ricordo che l’onorevole Einaudi indicò alcuni aspetti particolarmente caratteristici di questa incompatibilità. Bisognava quindi limitarsi per il momento a fare un rinvio a questi Statuti, discutendo poi codesti casi di incompatibilità in sede di coordinamento. Ma ci si sarebbe dovuti astenere rigorosamente dall’introdurre nuovi casi di autonomie speciali, aggiungendo all’errore del passato nuovi errori irreparabili, o almeno difficilmente riparabili, perché concernenti materia costituzionale.

Io quindi proponevo che lasciando immutata la situazione esistente, la Costituzione si limitasse ad una affermazione di garanzia delle minoranze etniche e linguistiche, minoranze quasi esclusivamente di confine, residenti cioè su territori mistilingue, sia italo-francesi, sia italo-slavi, sia italo-austriaci, ed in misura minore anche all’interno del Paese, come nel caso delle piccole comunità albanesi, greche e catalane esistenti nel Mezzogiorno d’Italia e in Sardegna.

Invece, con mia meraviglia, e devo dire con. risultati che io temo molto gravi, con risultati che sono stati già denunciati dall’onorevole Nitti, ed io mi associo a quanto egli ha detto, noi ci siamo visti piovere sul capo, da un momento all’altro una autonomia speciale per il Friuli. Come sapete, era ancora in discussione se il Friuli dovesse essere una Regione. Voi sapete che nello stesso Friuli vi sono alcune zone favorevoli all’autonomia friulana, ed altre contrarie. Comunque, era un problema vasto e complesso, che andava attentamente e seriamente studiato. Nessuno, poi, aveva posto un problema di autonomia speciale. Ripeto ancora una volta: le popolazioni interessate si erano manifestate contro questa eventualità, e a distanza di un solo giorno dalle nostre deliberazioni è già arrivato un telegramma di protesta del Comitato di liberazione nazionale di Gorizia, che dice testualmente: «Gorizia allarmata eleva alta protesta contro imposizione statuto regionale Friuli-Venezia Giulia contrastante aspirazioni et tradizioni nazionali popolazione esige riesame problema spirito democratico previa consultazione popolare et ampia pubblica non affrettata discussione».

FANTONI. Ma se abbiamo ormai approvato l’articolo 108, lo discutiamo adesso di nuovo?

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola non ha ancora proposto di annullare ciò che abbiamo deciso. Se l’onorevole Codignola facesse una tale proposta, lo avrei richiamato all’argomento.

FANTONI. Ma perdiamo tempo inutilmente.

PRESIDENTE. Continui, onorevole Codignola.

CODIGNOLA. Quando c’è una esplicita protesta delle popolazioni interessate, credo che sia dovere della Costituente di prendere in considerazione questo problema.

Ho fatto queste premesse non già per rimettere questo problema in discussione. Io ho parlato per precisare le ragioni, direi, organiche, dell’emendamento 108-bis, coordinato con altri miei precedenti emendamenti.

Il medesimo emendamento contiene poi un capoverso che si preoccupa di limitare le possibili conseguenze dell’estensione delle autonomie e soprattutto delle autonomie speciali, con una esplicita dichiarazione di salvaguardia delle libertà del cittadino. Ora, nonostante che l’articolo 108 sia stato approvato come è stato approvato, io mi permetto insistere sull’articolo 108-bis, in vista di una situazione particolare che a molti è sfuggita in questa Assemblea, la situazione cioè dell’Alto Pinerolese, di quella zona comunemente denominata delle Valli Valdesi, ma che è in realtà assai più vasta delle Valli Valdesi. Questo problema è stato discusso in sede di lavori preparatori, e si riconobbe allora che fra le Regioni mistilingue vi erano, oltre la Valle d’Aosta, oltre il settore Trentino-Alto Adige, oltre il settore del confine Giulio, anche le Valli Valdesi. Indubbiamente la posizione di queste valli è sotto molti aspetti diversa da quella della Val d’Aosta, ma da parte degli abitanti di queste valli non si è mai chiesto uno statuto autonomistico di tipo speciale, si era chiesto soltanto, a suo tempo, il riconoscimento della condizione particolare di «zona mistilingue». Voi sapete che questo territorio, che comprende 17 Comuni e che è costituito dalle vallate della Luserna, del Pellice, della Germanasca e del Chisone, ha una tradizione storica e culturale sua propria. Codeste valli hanno delle esigenze particolari, sia per quanto riguarda la difesa linguistica, sia per quanto riguarda la stampa e la scuola. Esse hanno inoltre esigenze particolari, per quanto riguarda i rapporti di emigrazione con la Francia e particolarmente col vicino Delfinato, e problemi d’istituzione e d’incoraggiamento di enti locali, educativi e assistenziali. Si tratta di una serie di problemi che vanno seriamente presi in considerazione.

Indubbiamente, per le stesse ragioni per cui ho criticato poco fa le autonomie speciali concesse, per così dire, con una certa frettolosità ad alcune Regioni, io non posso ora chiedere coerentemente che si conceda una autonomia speciale anche alle Valli Valdesi, sebbene, dato che si è ormai seguita questa strada, che io ritengo dannosa e pericolosa per l’ordinamento dello Stato, si potrebbe richiedere il medesimo trattamento anche per queste Valli. Io penso tuttavia che queste difficoltà, di carattere per così dire procedurale, si possano superare votando ora questo articolo 108-bis, che mira a garantire le minoranze etniche e linguistiche. Questo articolo costituirebbe di fatti una garanzia di protezione per tutte queste popolazioni delle Valli Valdesi, e inoltre potrebbe costituire una garanzia anche per altre popolazioni, di minore importanza, disperse sul territorio dello Stato, ma che potrebbero reclamare domani delle garanzie soprattutto di carattere linguistico.

Vi ricordo che gli abitanti delle Valli Valdesi hanno fatto il loro dovere di cittadini italiani resistendo fino alla fine all’oppressione. Vi ricordo che ancora in periodo clandestino, il 19 dicembre 1943, ebbe luogo un incontro a Chivasso tra i rappresentanti delle popolazioni alpine, e precisamente tra i rappresentanti della Val d’Aosta e quelli delle Valli Valdesi. In tale incontro, queste popolazioni riconobbero insieme di avere le medesime esigenze di carattere autonomistico, ed insieme esse furono protagoniste, tra le prime, della resistenza.

Ora io so che, in seguito alla votazione sull’articolo 108, è sorto in queste popolazioni di confine un senso di viva delusione verso i lavori della nostra Assemblea, si è creato un forte disagio nel constatare che, mentre il problema delle Valli Valdesi, che da tempo era stato posto sotto i nostri occhi, non era stato preso in considerazione e si era invece esaminato un problema che non era stato posto neppure dalle popolazioni interessate. (Commenti al centro). Vi pregherei quindi di voler considerare seriamente questo problema. Le popolazioni di confine possiedono una sensibilità nazionale ed internazionale tutta particolare, e credo che noi dobbiamo dar atto a queste popolazioni, così profondamente italiane e così utili, come anello di congiunzione culturale, spirituale ed economica con la Svizzera e soprattutto con la Francia, del sentimento di fraternità che ci anima verso di loro, e dare ad esse una garanzia che è elemento fondamentale di ogni Costituzione moderna.

Insisto anche sul secondo comma dell’emendamento, in quanto penso che tutte le precauzioni – come dirò trattando di un altro emendamento – debbano essere prese, perché l’esperimento dell’autonomia regionale non si trasformi in pericolo. Chi è persuaso della opportunità di questa riforma è pieno anche di preoccupazioni per la possibilità che essa, nella sua attuazione, possa dar luogo a gravi inconvenienti. Per questa ragione ritengo opportuno formulare una dichiarazione che garantisca, nei rispetti dell’ordinamento regionale, il mantenimento delle libertà fondamentali garantite ai cittadini dalla Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini, ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Codignola comprenderà perché io, a nome del Comitato, non posso rispondere a quanto egli ha detto relativamente all’emendamento dell’articolo 108; emendamento che si deve ritenere superato, essendo stato l’articolo 108 approvato in una determinata forma dall’Assemblea. Posso soltanto parlare del nuovo articolo 108-bis che l’onorevole Codignola ha proposto. Il Comitato ne apprezza lo spirito, ma non può accettarlo, ritenendo che il suo contenuto sia già affermato in altri punti della Costituzione. Nel primo comma dell’articolo proposto si garantisce lo sviluppo delle minoranze etniche e linguistiche. Ora, vi è già nell’articolo 2 delle dichiarazioni generali della Costituzione, il principio di eguaglianza di tutti i cittadini, indipendentemente dalla razza e dalla lingua. Altre garanzie in questo senso di una perfetta parità fra gli italiani vi sono in tutta la Costituzione. Una speciale disposizione per le minoranze etnico-linguistiche – né ben si comprende il concetto di minoranza – non sembra indispensabile, potendo rientrare nel concetto generale.

Nel secondo comma dell’articolo 108-bis dell’onorevole Codignola si afferma il principio che gli enti autonomi regionali non possono limitare o modificare i diritti fondamentali del cittadino sanciti dalla Costituzione. Ma neppure lo Stato può con legge sua modificare i principî che sono stabiliti nella Costituzione. Se noi andassimo ad affermare questo principio solo in un determinato caso, per l’azione e le leggi della Regione, verremmo a gettare nel turbamento e nell’incertezza la salda struttura del nostro edificio costituzionale. Esiste in esso una gerarchia di norme. Vi sono dei diritti perfino superiori alla Costituzione che non si possono violare. Vi sono poi principî e diritti sanciti nella Costituzione, che le leggi dello Stato non possono violare. Stiamo ora dando vita o norme alla Regione, aventi valore legislativo, che non possono violare i principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Il Comitato non può ammettere un articolo che sposti ed alteri questa gerarchia e crede che il contenuto e lo spirito della proposta Codignola sia pienamente garantito dal complesso della Costituzione.

L’onorevole Codignola ha accennato ad un motivo particolare, che noi avevamo già preso in considerazione: quello delle Valli Valdesi. Per queste Valli non c’è un problema di autonomia speciale come per altre zone alle quali si è data una struttura particolare con funzioni e poteri maggiori che in altre Regioni. Le Valli Valdesi non chieggono tale trattamento. Ciò che chieggono risulta da un memorandum e da altri elementi, trasmessi all’Assemblea da un gruppo di deputati, fra i quali c’è anche l’onorevole Codignola. Le Valli Valdesi aspirano ad avere soltanto una garanzia linguistica, nel senso di aver scuole speciali, il che si traduce in criterio comune per tutti i cittadini che parlano una lingua diversa dall’italiano.

Noi dubitiamo che ciò possa dar luogo ad una norma costituzionale. Alle esigenze indicate dall’onorevole Codignola si è in passato provveduto e si può provvedere più largamente con leggi ordinarie dello Stato. Si potrebbe, se si vuol accentuare questo punto, votare uno degli ordini del giorno, già fatti in altre occasioni, per affermare la necessità di emanare misure appropriate di trattamento ed insegnamento linguistico per le popolazioni che parlano altre lingue e che sono sparpagliate in tutto il territorio dello Stato. Una norma costituzionale propria non sembra necessaria; e ad ogni modo, dovrebbe essere formulata diversamente da quella formulata dall’onorevole Codignola.

Concludo: l’intento della proposta Codignola è perfettamente accolto e la sua disposizione è considerata già acquisita da altre norme dall’insieme della Costituzione. Per quanto riguarda il particolare problema, che non è di autonomia regionale, ma soltanto di scuole che possono essere senz’altro istituite, non occorre norma costituzionale, e si può, se del caso, votare un ordine del giorno.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Vorrei proporre il seguente emendamento all’articolo aggiuntivo dell’onorevole Codignola:

«Gli enti autonomi regionali non possono, sotto nessuna forma, limitare il pieno e libero sviluppo delle minoranze etniche e linguistiche esistenti nel territorio dello Stato».

Che cosa significa questa formula? Significa piena comprensione delle esigenze che hanno spinto il collega Codignola a presentare l’articolo aggiuntivo. Egli però ha generalizzato ed ha espresso un concetto che, se fosse accolto, sarebbe pleonastico, quando, nella prima parte, ha detto che: «La Repubblica garantisce il pieno sviluppo delle minoranze etniche e linguistiche», mentre il nostro concetto si richiama alla determinazione della Regione. Ed in questo senso l’emendamento ha un altro significato.

Noi comprendiamo le esigenze di quelle Regioni di confine alle quali il collega Codignola si è riferito; noi sentiamo perfettamente che entriamo in un problema estremamente delicato ed al quale dobbiamo essere particolarmente sensibili.

Dobbiamo far comprendere a quelle Regioni, che non hanno svolto nessuna attività particolare per ottenere statuti speciali, che il pensiero dell’Assemblea comprende perfettamente queste esigenze e cerca di risolverle. Mi pare che, a questo riguardo, il mio emendamento risolve tali esigenze.

Debbo inoltre aggiungere che, pur dissentendo dal modo formale con cui il collega Codignola ha espresso la sua sorpresa per quanto è stato fatto a proposito del Friuli con l’articolo 108, debbo dire che anch’io intendo manifestare la mia sorpresa.

Ne parlerò quando all’articolo 123 la questione potrà essere posta, e non voglio entrare in merito ora. Il mio concetto regionalistico, che si spinge dal punto di vista teorico ad una concezione federalistica dello Stato repubblicano, è ormai noto, e nessuno può mettere in dubbio questa fede che costantemente ha animato la mia azione politica.

Tuttavia mi sia consentito di affermare che un problema di questo genere non poteva essere risolto in sede di emendamento e con molta semplicità di discussione. Né la Sottocommissione per le autonomie ha toccato il problema, mentre dal punto di vista costituzionale avrebbe dovuto esaminarlo. Non lo ha affrontato, ed io ricordo ai colleghi della Commissione per la Costituzione che noi il problema, sotto questo aspetto, non l’abbiamo mai esaminato e non l’ha esaminato neppure la seconda Sottocommissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ci fu una proposta Fabbri.

LUSSU. Io non voglio entrare in merito, ma voglio dire che il problema doveva essere illustrato e discusso ampiamente. Ho studiato tutti i problemi del Friuli, ho seguito i lavori del Congresso veneto, anche nei dettagli; sono stato a Udine recentemente, ho parlato coi rappresentanti di tutti i partiti e non mi sono accorto che il problema fosse posto in questa forma.

E allora faccio appello perché i criteri fondamentali dell’organizzazione dello Stato siano discussi con serietà e con profondità; poiché questi problemi devono porre molto più in alto l’attività dell’Assemblea Costituente.

Credo che all’articolo 123 noi esamineremo questa questione: può darsi che l’Assemblea si esprima in senso sfavorevole. Io esprimo l’esigenza che questi problemi siano affrontati in una profonda discussione, prima di risolverli così affrettatamente.

PRESIDENTE. Onorevole Codignola, accetta la proposta dell’onorevole Lussu?

CODIGNOLA. Io preferirei mantenere il primo comma del mio emendamento, mentre potrei rinunciare al secondo, per le considerazioni, che mi paiono giuste, dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mantiene il suo emendamento all’emendamento?

LUSSU. Non lo mantengo, ma voterò contro l’emendamento Codignola.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto che neppure lo Stato può offendere o minorare i diritti sanciti dalla Costituzione. Ripeto che si provvederà con leggi alle scuole speciali. Nel memorandum valdese è ricordata una legge del 1911, che aveva provveduto alle scuole per quelle valli; che cosa vieta di ripristinare e migliorare ciò che venne poi soppresso?

L’emendamento Lussu non avremmo potuto accettarlo per le ragioni che ha detto l’onorevole Codignola.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. L’emendamento Codignola solleva e investe due distinti problemi: quello della tutela delle minoranze etniche e linguistiche, e quello della subordinazione delle leggi regionali alla Costituzione dello Stato. Per quanto riguarda il problema della subordinazione della legislazione regionale alla Costituzione, mi pare che l’emendamento sia stato ritirato dallo stesso onorevole Codignola: è un problema, effettivamente, già risolto nel testo del Progetto, perché l’articolo 118 stabilisce esattamente il principio che le leggi regionali devono essere subordinate alla Costituzione e, quindi, devono sempre rispettare i diritti tutelati dalla Costituzione.

Per quanto riguarda la prima parte dell’emendamento Codignola, quello relativo alla tutela delle minoranze, esso rivela una lacuna della prima parte della Costituzione, perché si tratta di un problema generale della tutela delle minoranze etniche e linguistiche, che noi non abbiamo considerato.

L’emendamento Lussu voleva limitare l’emendamento Codignola alla tutela delle minoranze etniche e linguistiche nell’ambito di determinate Regioni. Ma è evidente che non si tratta di un problema regionale, ma di un problema di ordine generale.

Dati pertanto questi rilievi, io ritengo che sarebbe forse più opportuno che l’onorevole Codignola presentasse questo suo emendamento in un momento successivo, giacché ora stiamo discutendo intorno alle autonomie regionali, tema che evidentemente costituisce un argomento del tutto diverso. Per queste ragioni noi non possiamo adesso discutere l’emendamento proposto.

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, anch’io avverto quello che lei segnala, che cioè non è questa la sede. Tutti abbiamo, infatti, presente qual è lo schema successivo del Progetto costituzionale. Indipendentemente dalla sede in cui debba essere inserito questo articolo aggiuntivo, potremmo passare senz’altro alla votazione di esso, deferendo al Comitato di redazione il compito di stabilire a qual punto esso debba venire incluso, a meno che l’onorevole Codignola non accetti la proposta dell’onorevole Tosato di sospendere per intanto l’esame della questione, riservandoci di discuterne in un momento successivo.

CODIGNOLA. Io non vedo la ragione di sospenderlo; propendo invece perché si faccia come lei ha detto, lasciando in sospeso soltanto la questione del punto d’inserimento.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Insisterei nel pregare l’onorevole Codignola di rinviare ad un momento successivo questa discussione, perché, se noi entriamo direttamente nel merito della formulazione del suo emendamento, possiamo forse fare delle riserve. Per esempio, l’onorevole Codignola dice: «pieno sviluppo nell’ambito della Costituzione». Ma sviluppo di che cosa? Sono problemi molto delicati questi, che vanno definiti molto esattamente; e credo che nessuno nell’Assemblea abbia avuto agio di esaminare con la dovuta attenzione questo emendamento.

Trattandosi quindi di un problema tanto delicato, prego l’onorevole Codignola di voler accedere alla proposta di un rinvio.

PRESIDENTE. Onorevole Codignola, ella accede?

CODIGNOLA. Onorevole Presidente, se si tratta semplicemente di un rinvio determinato, di un giorno o due, per dar luogo all’Assemblea di esaminare meglio il mio emendamento, non ho nulla in contrario; ma se si tratta di un rinvio sine die, non posso accettare.

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. A me pare vi sia un punto da chiarire, che cioè qui il problema non è soltanto interno, ma investe anche una questione di carattere internazionale, perché le minoranze linguistiche costituiscono nuclei di cittadini non italiani che risiedono nel nostro territorio. Interviene quindi, sotto questo riguardo, il Trattato di pace; è quindi proprio per impegni di natura internazionale che noi dovremo attuare delle provvidenze a beneficio di queste minoranze.

Non vedo, quindi, come ciò possa costituire materia costituzionale; a me pare che queste provvidenze siano di stretta competenza della legislazione ordinaria.

CODIGNOLA. Scusi, onorevole Selvaggi, ma la protezione delle minoranze linguistiche, secondo lei, in uno Stato moderno, deve essere soltanto attuata perché viene imposta da uno Stato estero? O non anche perché è essa un elemento fondamentale di ogni moderna Costituzione?

SELVAGGI. Sono necessarie appropriate leggi; è una questione di legislazione ordinaria.

MAZZONI. Ma per il Friuli, onorevole Codignola, lei non ammette queste esigenze.

PRESIDENTE. Ritengo che si possa accogliere la richiesta dell’onorevole Tosato, accettata dall’onorevole Codignola, di rinviare temporaneamente la decisione sull’articolo aggiuntivo in esame.

(Così rimane stabilito).

Gli onorevoli Targetti, Dugoni, Malagugini e Jacometti, hanno presentato il seguente articolo 108-bis:

«I Comuni sono autonomi nel proprio ambito».

Vorrei far presente all’onorevole Targetti che il nuovo testo presentato dal Comitato in base ai vari emendamenti proposti, tocca in modo particolare il Comune e stabilisce che i Comuni devono essere autonomi in questa forma.

Chiedo all’onorevole Targetti se non ritiene che l’articolo aggiuntivo sia esaminato nel momento in cui esamineremo il testo della Commissione. Il suo articolo apparirebbe allora un emendamento al testo proposto dalla Commissione.

TARGETTI. L’osservazione del signor Presidente è esattissima, ma noi avevamo mantenuto l’emendamento sotto forma di articolo aggiuntivo più che altro perché ci sembrava che fosse questo il punto più indicato per il collocamento di un articolo relativo al Comune, seguito poi da un articolo relativo alla Provincia. Ci sembrava logico che la Costituzione dopo, aver definito la Regione, dicesse subito che esistono i Comuni e le Provincie, prima di passare a dettare norme relative alla Regione.

Ma se questo deve avere come conseguenza di appesantire la trattazione dell’argomento, credo che i miei colleghi non possano non accedere all’invito del Presidente.

PRESIDENTE. Siccome l’articolo 107 nel testo approvato dice: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni», si spiega perché nel testo della Commissione sono esaminate successivamente le Regioni, le Provincie, i Comuni.

Ad ogni modo, dato che l’onorevole Targetti accede alla mia proposta, a suo tempo esamineremo l’articolo che riguarda i Comuni.

La stessa osservazione ritengo si debba fare a proposito dell’articolo aggiuntivo 108-ter, presentato dagli stessi onorevoli Targetti, Dugoni, Malagugini, Jacometti:

«Le Provincie sono Enti di decentramento amministrativo, dotate di autogoverno».

Siccome la Commissione dedica una parte di un suo articolo alle Provincie, sarà opportuno esaminare questo articolo aggiuntivo come emendamento alla proposta della Commissione.

(Così rimane stabilito).

Possiamo quindi passare senz’altro all’esame degli articoli 109, 110 e 111, i quali nel Progetto primitivo erano del seguente tenore:

Art. 109.

«La Regione ha potestà di emanare, per le seguenti materie, norme legislative che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento dello Stato, e rispettino gli obblighi internazionali e gli interessi della Nazione e delle altre Regioni:

ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

modificazioni delle circoscrizioni comunali;

polizia locale e rurale;

fiere e mercati;

beneficenza pubblica;

scuola artigiana;

urbanistica;

strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

porti lacuali;

pesca nelle acque interne di carattere regionale;

torbiere».

Art. 110.

«La Regione ha potestà di emanare, per le seguenti materie, norme legislative nei limiti del precedente articolo, e con l’osservanza dei principî e delle direttive che la Repubblica ritenga stabilire con legge allo scopo di una loro disciplina uniforme:

assistenza ospedaliera;

istruzione tecnico-professionale;

biblioteche di enti locali;

turismo e industria alberghiera;

agricoltura e foreste;

cave;

caccia;

acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni;

acque minerali e termali;

tramvie;

linee automobilistiche regionali».

Art. 111.

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative di integrazione ed attuazione delle disposizioni di legge della Repubblica, per adattarle alle condizioni regionali, in materia di:

igiene e sanità pubblica;

istruzione elementare e media;

antichità e belle arti;

disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio;

industria e commercio;

miniere;

navigazione interna;

e in tutte le materie indicate da leggi speciali.

«Le leggi della Repubblica possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme regolamentari per la loro esecuzione».

Il Comitato di coordinamento, ha proposto il seguente nuovo testo:

Articoli 109, 110, 111.

«Riunire i tre articoli nel seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica per le seguenti materie:

Ordinamento degli uffici, ed enti amministrativi della Regione.

Modificazione delle circoscrizioni comunali e provinciali.

Polizia locale urbana e rurale.

Fiere e mercati.

Beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera.

Istruzione artigiana e tecnico-professionale.

Musei e biblioteche di enti locali.

Urbanistica.

Turismo ed industria alberghiera.

Tranvie e linee automobilistiche regionali.

Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale.

Porti e navigazione lacuale.

Acque pubbliche ed energia elettrica in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni.

Acque minerali e termali.

Cave e torbiere.

Caccia.

Pesca nelle acque interne.

Agricoltura e foreste.

Altre materie indicate da leggi speciali.

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo dar conto di questo nuovo testo del Comitato. Mantenendo la promessa fatta all’onorevole Carboni, è stato da sabato distribuito un foglietto che contiene il testo nuovo in un articolo che raggruppa insieme gli articoli 109, 110 e 111.

Lo sforzo del Comitato per raggiungere una formula sintetica e comune sembra coronato dal successo. Il testo che noi presentiamo esprime il pensiero della maggioranza del Comitato. Dico di più: nelle ultime ore della seduta di sabato si è ottenuto anche dai rappresentanti delle due tendenze sulle questioni dell’autonomia un assenso fondamentale sul testo proposto dal Comitato. Spero che si potrà ormai realizzare quella concordia dell’Assemblea che ho sempre invocato. Spero (ma non sono sicuro) che non capiti come altre volte quando, dopo che si era concordata una cosa in Comitato fra le tendenze ed i partiti, invece in Assemblea tutto è tornato in questione.

Darò brevemente ragione dell’articolo nuovo.

Come posizione di forma e di procedura – forse anticipo la risposta ad un’osservazione che potrebbe ripetere l’onorevole Persico, che l’ha fatta altra volta – si tratta di un emendamento che il Comitato propone al suo testo e come sempre avviene in tali casi, anche per l’accettazione di emendamenti proposti da altri, l’emendamento accettato sostituisce il testo del Comitato. Naturalmente sono padronissimi i deputati di riprendere il testo del Comitato o di discutere sull’emendamento presentato.

In questo articolo, che raccoglie in uno solo il contenuto dei tre articoli 109, 110 e 111, convergono due ordini di questioni. Il primo è costituito dalla potestà legislativa che spetta alle Regioni. Il secondo riguarda i rapporti reciproci di competenza e le funzioni amministrative della Regione e della Provincia.

La Provincia in sede di Commissione dei Settantacinque non aveva avuto quel funerale di terza classe, di cui parla l’onorevole Targetti. Era rimasta come ente di decentramento degli organi governativi, ed anche dell’attività regionale che, dice il progetto, doveva normalmente esercitarsi mediante uffici provinciali. Si aggiunga che nelle Provincie si istituivano Giunte a base elettiva, sia pure di secondo grado. La Provincia dunque non moriva, anche se non aveva il risalto che ha ora. Oramai la Provincia è stata, con votazione già avvenuta, messa fra gli enti in cui si riparte il territorio della Repubblica. Rimane dunque nella sua attuale fisionomia di ente autonomo, e sorge la questione dei rapporti fra Regione e Provincia.

Tali sono i due ordini di problemi da tener presente.

Farò rapidamente la storia dei tre articoli. Nel seno della Commissione dei Settantacinque si delinearono due tendenze. Tendenza prima che chiamerò quella che vinse; tendenza seconda, quella che rimase per pochi voti in minoranza.

La tendenza prima stabiliva tre diversi tipi di potestà legislativa spettanti alla Regione. Potestà legislativa esclusiva; potestà legislativa concorrente; potestà legislativa complementare di integrazione e di attuazione delle leggi dello Stato.

Ciascuno dei tipi ha un profilo che può essere discusso, e non è in ogni modo così rigido come appare dal nome. Il carattere della legislazione esclusiva sta in ciò che per certe materie è la Regione non lo Stato che detta norme aventi valore legislativo. Non è però una potestà illimitata. Il limite è doppio, in quanto non solo la potestà legislativa della Regione si esercita nelle sole materie indicate dalla Costituzione, ma in quanto è altresì limitata nel suo esercizio dalle norme della Costituzione, dai principî nell’ordinamento giuridico dello Stato, dal rispetto dei trattati internazionali, dagli interessi nazionali, dagli interessi delle altre Regioni. Non si può quindi, a rigore, parlare di esclusività vera e propria.

Vediamo il secondo tipo di legislazione, la concorrente. In ordinamenti costituzionali di altri paesi, per certe materie, legifera tanto lo Stato federale, quanto lo Stato singolo, o (se non è ordinamento federativo) lo Stato e la Regione, ma nel contrasto prevale la disposizione dello Stato. Nel nostro progetto, non era così, poiché la Regione poteva legiferare in determinate materie, ma lo Stato aveva il diritto, per rendere uniforme le legislazioni regionali, di stabilire principî generali ai quali le Regioni si dovevano uniformare. Non è dunque, neppur qui, rigorosamente esatta la designazione di legislazione concorrente che del resto lo schema di Costituzione non usava.

Quanto infine al tipo di legislazione integrativa e di attuazione, si trattava (e lo schema lo diceva) di adattare alle condizioni locali le leggi generali dello Stato. È qualche cosa che si chiama legislazione perché le norme han valore legislativo; ma ciò può avvenire anche nel campo del regolamento, o meglio, secondo il concetto tedesco, del Verordnung. Siamo per così dire al confine fra due forme, la legge ed il regolamento, che non si possono più separare con un taglio netto.

Questi i tre tipi di legislazione che erano stati forgiati e che prevalsero nel testo della Commissione. Contro questo si fece strada, ma fu vinta nella Commissione, la proposta della corrente meno autonomista la quale voleva stabilire che la Regione avesse soltanto facoltà legislativa di integrazione ed attuazione per adattare alle norme locali le norme generali direttive stabilite con la legge della Repubblica. Si accentuava l’«adattare», per far risaltare sempre più questa forma di relazione agli interessi locali. Era il tipo della legislazione integrativa e di applicazione che veniva generalizzato ed ammesso, esso solo, secondo questa corrente. Prevalse, come ho detto, la formula più vasta delle tre potestà legislative.

Ora, quale è il nuovo testo sopra il quale si delineerebbe un accordo? La corrente numero uno, vincitrice, rinuncia al tipo di legislazione esclusiva, concentra in una sola figura la legislazione concorrente e la legislazione integrativa. Da questo scaturisce il nuovo testo che voi avete sott’occhio. La corrente meno autonomista ha accettato: così mi hanno dichiarato autorevoli rappresentanti di questa tendenza. Vi è stato (mi auguro che non vi sia più) fra essi qualche dubbio. Vedete come sono scrupoloso: faccio proprio il notaio. Il dubbio era che con la formula che è stata proposta lo Stato sia costretto a imporre limiti a se stesso e che sull’esistenza di questi limiti possa essere chiamata a giudicare la Corte costituzionale. È stato risposto: «Ma i limiti, in fondo, si pongono alla Regione non allo Stato». Prescindendo da ciò, si è risposto che lo Stato deve bensì imporsi dei limiti, ma è lo Stato stesso che li determina. Se vi sarà una grande elasticità in tali disposizioni, sui limiti che le leggi pongono a se stesse, questa non è una cosa inopportuna perché si potrà gradualmente, sperimentalmente, vedere fino a che punto, in sostanza, potrà spingersi la potestà di legislazione della Regione. Ecco le considerazioni, per cui il nuovo testo potrebbe essere accolto da tutte le tendenze.

Vi è poi un’altra questione, e cioè l’elenco delle materie in cui la Regione ha la potestà legislativa nella forma unica e ridotta, contemplata nel nuovo testo. Decideremo, una ad una, le materie di tale elenco. Ma, sotto un certo riflesso, la questione si collega con quella dei rapporti fra la Regione e la Provincia. Infatti, nell’articolo seguente si dice che per le materie sulle quali è data potestà legislativa alla Regione, spettano alla Regione le corrispondenti funzioni amministrative. Ma allora che cosa avviene delle attuali funzioni amministrative della Provincia?

Si presentavano tre soluzioni. La prima poteva essere di distinguere nella stessa Costituzione date funzioni A. B. C. attribuite alla Regione, ed altre A. B. C. attribuite alla Provincia. Si sarebbero però incontrate grandi difficoltà non risolvibili praticamente in sede di redazione della Costituzione. Seconda via: lasciare alla Regione tutte le funzioni amministrative corrispondenti alle funzioni legislative ad essa attribuite, salvo che la Regione stessa credesse di deferirne alcune alla Provincia. Soluzione, questa, non accettabile, perché di fatto, con l’articolo della Costituzione, passano alla Regione tutte le funzioni che attualmente ha la Provincia; e la vita di questa verrebbe subordinata al beneplacito della Regione.

Terza soluzione: attribuire in via di massima alla Regione le funzioni correlative alla sua potestà legislativa, salvo poi lasciare a leggi dello Stato di stabilire che alcune di queste funzioni di esclusivo interesse locale, siano esercitate dalla Provincia o dal Comune, secondo un riordinamento da stabilire.

Aggiungo – ed a tale scopo vi è stato comunicato il testo di altri articoli – che, secondo una disposizione transitoria, alla Provincia debbono rimanere tutte le attribuzioni di cui essa è fornita, in attesa del riordinamento e della redistribuzione delle funzioni degli enti locali.

NITTI. Caos in aumento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituitone. Non è caos, onorevole Nitti. Posto che la Regione deve sorgere – l’Assemblea ha deciso e non si può tornarvi su – bisogna organizzarla nel modo migliore – ella dirà nel meno peggiore – possibile. Bisogna coordinarla con le Provincie ed i Comuni.

Io mi sono sempre sforzato di adottare soluzioni e forme ispirate a criteri di gradualità e sperimentalità. Così, per le potestà legislative della Regione, cerchiamo di rimetterci ai principî stabiliti dallo Stato per date materie che lascino alla Regione una sfera libera, ma determinata, di legislazione secondaria, e tutto ciò richiederà una revisione ed un adattamento graduale della legislazione dello Stato, che non potrà improvvisarsi in un momento in modo che la nostra Costituzione preveda una revisione ed una redistribuzione delle vecchie funzioni della Provincia e del Comune, e insieme delle nuove funzioni della Regione, che richiederà anch’essa tempo, ma sarà utilissima. Merito di questo bistrattato testo costituzionale sarà che l’attuale ordinamento degli enti locali, difettoso anche per l’attribuzione delle materie, venga modificato e coordinato in modo sistematico e più rispondente alle esigenze reali.

Non sarà il caos, onorevole Nitti, ma un progresso al quale darà occasione l’istituto della Regione, che ormai, debbo pur ripeterlo, è nella Costituzione ed anche chi l’ha combattuto meglio farebbe a cercare di farne produrre ogni possibile vantaggio.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni a che il nuovo testo presentato dal Comitato sia assunto come base della discussione, gli emendamenti si presenteranno in relazione al nuovo testo.

(Così rimane stabilito).

 

Molti colleghi hanno già presentato emendamenti a questo testo, perché, come d’intesa, esso è stato pubblicato da alcuni giorni e ciascuno ha avuto il tempo di valutarlo e di proporre gli emendamenti opportuni.

Darò quindi la parola ai presentatori di emendamenti, in relazione al nuovo testo.

Gli onorevoli colleghi che hanno presentato emendamenti in relazione al vecchio testo e che intendono mantenerli adeguandoli al nuovo testo, lo dichiarino e sarà data loro la parola per svolgerti.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Avevo presentato un emendamento al testo del progetto; lo considero come emendamento al nuovo testo.

PRESIDENTE. Il suo emendamento era stato elaborato in modo tale da riassumere gli articoli, che la Commissione ha riassunto nel suo nuovo testo.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Avevo presentato emendamenti, agli articoli 109, 110 e 111; ma essi tenevano conto della nuova formulazione fatta dal Comitato.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Mi permetterei di osservare, se l’Assemblea fosse d’accordo, che sarebbe forse utile arrivare ad una conclusione precisa, concreta, in ordine al primo comma del nuovo testo in cui si parla in genere di questa potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive, dei principî generali, ecc. Se noi non sappiamo in modo esatto se si debba parlare o no di potere legislativo o di potere semplicemente normativo, se noi non sappiamo insomma quale sia l’ampiezza rispettiva dei poteri concorrenti dello Stato e della Regione, mi pare risulterà meno utile la discussione sugli eventuali mutamenti in ordine all’elenco delle singole materie. Bisognerebbe avere un concetto chiaro in ordine al contenuto del primo comma, cioè se approvarlo in questo testo o in un testo diverso. Tutto il resto, mi pare, viene dopo, perché è inutile discutere varianti circa l’elenco delle materie senza sapere quale sia la sorte definitiva del loro regolamento giuridico. E una opinione di cui ella, onorevole Presidente, può tener conto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà:

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Riconosco che quello che ha detto l’onorevole Fabbri è esattissimo. L’elenco che è stato presentato è una specie di schema sopra il quale dovremo discutere ampiamente e sorgeranno molte questioni. L’articolo nuovo si divide in due parti. Come ho detto poco fa, ve ne è una che riguarda la potestà normativa e legislativa, un’altra che riguarda l’elenco. Secondo me, bisognerà prima decidere la prima parte e poi la seconda. In quanto agli emendamenti, comprendo che vi è un po’ di complicazione, perché avendo presentato il nuovo testo sono stati proposti emendamenti a questo, oltre quelli già presentati prima al testo anteriore. Non credo che vi sia difficoltà a discutere gli uni e gli altri. Come base vi è ormai il testo nuovo, perché è prassi, ripeto, che quando il Comitato accoglie un emendamento di altri e lo fa suo, questo diventa testo. Ciò vale, evidentemente, anche per gli emendamenti che il Comitato propone a se stesso. Niente vieta che gli onorevoli deputati svolgano e discutano anche gli emendamenti fatti prima, cercando di ridurli al testo nuovo.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Avevo presentato un emendamento agli articoli 109 e 110 del vecchio testo. Ora, a me sembra che il primo comma di questo emendamento possa restare anche col nuovo testo, perché si congiunge appunto alle osservazioni fatte ora dall’onorevole Fabbri, cioè ai limiti della potestà legislativa della Regione. Poi verrà l’elencazione delle speciali materie alle quali dovrà essere applicata la legislazione regionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo conferma che potrà svolgere i suoi emendamenti tenendo conto del nuovo testo.

PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha prospettato l’opportunità di esaminare se debba la Regione avere una potestà normativa o complementare.

Io penso che la questione sia stata già ampiamente trattata in sede di discussione generale e pertanto ritengo che non sia opportuno rifare adesso una discussione specifica a questo scopo.

D’altra parte, al momento della votazione si vedrà praticamente quale carattere dovrà assumere il potere della Regione e quei colleghi che ritengono che la Regione debba avere potere normativo, voteranno in questo senso, salvo a distinguere quando si tratterà di elencare le materie.

Del resto i presentatori di emendamenti che si riferiscono alla potestà della Regione porranno essi stessi la questione sollevata dall’onorevole Fabbri.

BERNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. Io avevo presentato i seguenti emendamenti al vecchio testo:

«All’articolo 109 sopprimere la voce: urbanistica»;

«All’articolo 110 sopprimere la voce: istruzione tecnico-professionale»;

«All’articolo 111, al primo comma, nell’elenco delle materie, sopprimere la voce: antichità e belle arti».

Dichiaro ora di mantenerli.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Preti e Binni hanno presentato il seguente emendamento:

Art. 109, 110, 111.

«Al primo comma, sostituire alle parole: potestà di emanare norme legislative, le parole: potestà normativa.

L’onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. L’onorevole Ruini ha testé dichiarato che in sede di Commissione si è fatto un grande sforzo per trovare un accordo circa il nuovo testo che ora viene presentato all’Assemblea. Io mi rendo conto del notevole sforzo fatto dai membri della Commissione; ma mi sembra che, per trovare l’accordo ad ogni costo, ci si sia fermati su una formula assolutamente non sostenibile. E mi spiace di dovere fare questa osservazione proprio a insigni cultori del diritto, quali l’onorevole Ruini, l’onorevole Perassi, l’onorevole Ambrosini. Direi addirittura che la formulazione adottata per il primo comma dell’articolo unificato 109, 110 e 111, si trova in nettissimo contrasto con le acquisizioni della più moderna dottrina giuridica.

Non intendo ripetere qui le considerazioni di carattere politico, già fatte in sede di discussione generale, né ritornare su ciò che la maggioranza ha ormai deciso; ma mi limiterò a osservazioni di carattere tecnico-giuridico all’attuale testo. Comincerò pertanto con l’osservare che non è sostenibile la dizione «La Regione ha potestà di emanare norme legislative». Noi dobbiamo più genericamente dire: La Regione ha potestà normativa. Con il che riconosciamo al nuovo ente la potestà di emanare sia leggi che regolamenti, con il vantaggio anche di non sollevare la questione se possano veramente meritare il nome di leggi le norme emanate da un ente regionale in un Paese a struttura non federale (e dico questo, perché l’Olanda, ad esempio, che mi sembra attui un decentramento del genere di quello che noi stiamo per adottare, non riconosce alle proprie provincie, corrispondenti alle nostre Regioni, la potestà di emanare leggi).

Mi sembra che ci siamo troppo intestarditi sulla parola «leggi», quasi che si abbia l’incubo di cadere nel regolamento! Ma anche i regolamenti, come è noto, sono in buona parte norme giuridiche, cioè disposizioni generali che creano diritti e doveri dei cittadini; onde appunto i tedeschi distinguono in dottrina le Rechtverordnungen, vale a dire i regolamenti che dal punto di vista dell’efficacia materiale, si pongono sul piano della legge, dalle Verwaltungverordnungen, che hanno carattere puramente amministrativo e che, in luogo di creare diritti e doveri dei cittadini, valgono più che altro come ordini di servizio per la burocrazia statale.

Orbene, mi sembra chiaro che in molte delle materie elencate negli articoli 109, 110 e 111 ora unificati (ammesso che il regolamento si distingua dalia legge in quanto stabilisce norme giuridiche più particolari in armonia con le disposizioni generali della legge stessa), la Regione non può emanare che regolamenti. Ripeto che basta prendere nota del testo dell’articolo, per convincersi che in più di una materia è assurdo pensare che la Regione possa emanare delle leggi.

UBERTI. Non direi assurdo! (Commenti a sinistra).

PRETI. Permetta, onorevole Uberti. Le specifico che siamo di fronte, per certe materie contemplate negli articoli 109, 110 e 111, a una potestà normativa molto limitata: in fondo non si tratta altro che di emanare norme di esecuzione delle leggi dello Stato. Ed allora in queste materie, dove quasi tutto è regolato dalla legislazione dello Stato, io non intendo come si possa parlare di potestà legislativa: si tratta semplicemente di potestà regolamentare.

Se pertanto si vuole ad ogni costo parlare, negli articoli 109, 110 e 111, di sola potestà legislativa, si fa una affermazione magniloquente a cui poi non corrisponderà la prassi (a meno che non ci si proponga un secondo fine, per il caso che gli ultraregionalisti conquistino la maggioranza nel Parlamento di domani). Infatti, secondo il testo del progetto, la Regione dovrebbe disciplinare per legge anche materie che hanno valore assai più particolare di quelle che lo Stato disciplina attraverso i regolamenti. La Regione ci regalerebbe una inflazione di norme legislative (Commenti al centro) ammannendoci soltanto leggi e sempre leggi. E dottrina e giurisprudenza non potrebbero naturalmente fare a meno di smentire la nostra Costituzione

Nella stessa Costituzione di Weimar, dove ci troviamo di fronte ai «Länder», che non sono semplici regioni, ma veri e propri stati, si parla anche di potere regolamentare. Nella nostra Costituzione invece si parla soltanto di potestà legislativa!

Si può anche dubitare – per quanto l’ipotesi sia meno probabile – che si tenda, attraverso questo articolo, a un altro scopo: nel senso cioè che i regionalisti siano, sì, d’accordo nel convenire che il più delle volte nelle materie previste dall’unico articolo del nuovo testo la Regione non emanerà leggi in senso materiale; ma, tenendo essi assai alla garanzia della legge formale, vogliano soprattutto che queste materie siano disciplinate sempre e soltanto dai cosiddetti Consigli regionali (che appunto rappresenterebbero il potere legislativo, in piccolo, della Regione) e mai attraverso quelle Deputazioni che verranno a corrispondere, in certo qual modo, al potere esecutivo.

Se questa dovesse essere l’intenzione dei regionalisti, mi sembra che si porrebbero fuori della realtà. Non si può infatti seriamente dubitare che molte volte le materie contemplate nel nuovo testo, saranno disciplinate direttamente dalla Deputazione, senza bisogno di delegazione legislativa. Onde non sarebbe serio voler precludere agli statuti regionali di domani la possibilità di determinare quando la potestà normativa, di cui all’articolo unificato del nuovo testo, possa essere esercitata direttamente dalla Deputazione.

Per concludere, dirò che io comprenderei che, mantenendosi la distinzione dei tre articoli, attribuenti tre diverse specie di potestà normativa alla Regione, così come aveva proposto l’onorevole Ambrosini, i regionalisti si battessero ora per conservare alla Regione la maestà del potere legislativo per le materie indicate nell’articolo 109. (Interruzione dell’onorevole Uberti). Ma, una volta che i tre articoli sono stati unificati, ed una volta che non si può seriamente sostenere che la materia dell’ex articolo 110, e tanto meno quella dell’ex articolo 111, possa essere disciplinata per legge, si dovrebbe logicamente accogliere la più generale dizione di «potestà normativa». Quando parliamo di potestà normativa, del resto, non disconosciamo la potestà della Regione di emanare leggi, dato che la potestà normativa comprende sia quella legislativa, sia quella regolamentare. Così potremmo, accontentare tutti, senza pregiudicare lo sviluppo della Regione e non faremmo – permettetemi che lo dica – uno sfregio al diritto costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole. Bozzi ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma sopprimere la parola: generali».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, con le precedenti votazioni noi abbiamo stabilito il principio che la Regione esiste. Si tratta ora di dare volto a questo nuovo ente; io credo che l’argomento che adesso è in discussione, quello cioè della potestà legislativa, potestà normativa, come preferirebbe dire l’onorevole Preti, è l’argomento centrale del tema della Regione. L’unità dello Stato si manifesta soprattutto attraverso l’unità dell’indirizzo politico e del sistema legislativo, che lo traduce in atto. Noi dobbiamo evitare di creare una pluralità di fonti di produzione giuridica, che possano essere in contrasto fra di loro e, quel che sarebbe più grave, in conflitto con la legge dello Stato, espressione della sovranità. Noi dobbiamo evitare ogni incertezza nell’ordinamento giuridico; le società vivono e prosperano quando sia chiara e giusta ha regolamentazione dei rapporti giuridici. Tutti concordemente vogliamo mantenere salda ed integra l’unità nazionale, secondo la solenne affermazione fatta nel primo comma dell’articolo 106, già votato.

Bisogna dare attuazione a questo comune intendimento.

Io debbo obiettivamente riconoscere che il testo proposto dal Comitato, e illustrato or ora dall’onorevole Ruini, rappresenta un notevole progresso rispetto alla formulazione precedente del progetto, che attribuiva alla Regione tre forme di potere legiferante (la così detta competenza esclusiva, la concorrente e la integrativa), forme non ben definite nei lineamenti caratteristici e differenziali, e talvolta anche tra loro contrastanti. Oggi noi abbiamo raggiunto questo risultato: che alla Regione è assegnata una sola fonte di produzione giuridica. Non vi nascondo, tuttavia, che ho non lievi perplessità in ordine alla interpretazione dell’articolo proposto. E siccome in esso ricorrono, come vedremo, termini di tecnica giuridica, io vorrei che, per un dovere di lealtà verso noi stessi e verso gli altri, noi addivenissimo ad una interpretazione comune, concorde, perché non si potesse ripetere quello che è già avvenuto altra volta. Ad esempio, nel corso dei lavori della seconda Sottocommissione – e l’illustre Presidente di questa Assemblea lo ricorda – in occasione dell’articolo 109, oggi abbandonato, che contemplava la competenza esclusiva della Regione, i commissari non furono mai chiaramente d’accordo se questa competenza fosse veramente esclusiva; tant’è che l’onorevole Ambrosini, relatore e padre di quell’articolo, escluse che si trattasse di competenza esclusiva e lo esclude anche in questo momento con chiari cenni.

Io vorrei che fossimo d’accordo sul valore, sul significato tecnico-giuridico, che fossimo d’accordo, in sostanza, sul significato delle parole. Temo cavalli di Troia attraverso i chiaroscuri delle formule giuridiche!

Non credo che si possa negare all’ente Regione una potestà normativa: altrimenti questo ente verrebbe privato di ogni sua autonomia e considerato al di sotto dei Comuni, delle Provincie e di ogni altro ente pubblico, che possono dettar norme giuridiche. Autonomia significa appunto potestà di darsi un proprio ordinamento giuridico, potestà di stabilire regole di condotta. La questione è piuttosto di misura: direi di quantità e di qualità. Tutto dipende dalla natura e dalla efficacia di questa potestà normativa.

Io vorrei dirvi, rapidissimamente, il modo con cui io interpreto il primo comma dell’articolo proposto; dell’elencazione sulle materie ci occuperemo più tardi.

Secondo il mio punto di vista, questo articolo concede alla Regione una potestà che non avrei difficoltà di chiamare anche legislativa: dirla legislativa o normativa non ha importanza, perché anche i regolamenti sono leggi in senso sostanziale e contribuiscono a costituire l’ordinamento giuridico. Bisogna vedere, come dicevo, la natura, il contenuto delle norme regionali; quindi la questione terminologica, sulla quale si è soffermato l’onorevole Preti, mi pare che non abbia decisivo rilievo. Dicevo, dunque, che questo primo comma concede alla Regione una potestà legislativa, o normativa, che è strettamente subordinata alle leggi dello Stato. Subordinata, innanzi tutto, nel senso che la Regione non può legiferare se non esista una legge dello Stato che abbia stabilito direttive o principî generali in quella data materia.

Il testo oggi proposto – come l’onorevole Ruini potrà far fede – diversifica dall’articolo 110 del progetto originario, nel quale si diceva (si era parlato di «legislazione concorrente») che la Regione poteva emanare norme legislative con l’osservanza dei principî e delle direttive che lo Stato ritenesse di stabilire. Quindi, per l’articolo 110, se, per ipotesi, lo Stato non emanava delle sue leggi direttive o generali, la Regione aveva egualmente potestà legislativa. In altri termini, per l’articolo 110, la Regione aveva potestà di creare un diritto obiettivo, anche nel caso – dirò così – di inergia legislativa dello Stato.

Mi pare che questa interpretazione non sia più ammissibile per l’articolo oggi proposto, nel quale si dice che la Regione può emanare norme legislative «nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica».

Credo, in conclusione, che si debba affermare questo principio: che se non esistono leggi della Repubblica, sempre per quelle determinate materie, alla Regione sia preclusa ogni potestà legislativa. Questa, secondo me, è una caratteristica essenziale, perché qualifica la potestà normativa della Regione come una potestà subordinata e condizionata alla esistenza di leggi della Repubblica.

Ma la potestà normativa della Regione non solo è condizionata all’esistenza delle leggi della Repubblica, ma è limitata, anche, per altro verso, nel suo contenuto. Essa, infatti, si deve svolgere nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti dalle leggi statali. Ecco allora che insorge in me, nella mia coscienza di modesto giurista, un dubbio; e mi appello ai giuristi di questa Assemblea perché lo chiariscano, giacché queste interpretazioni autentiche, sia pure contestuali, avranno valore anche per dirimere future incertezze e, quel che è più grave, futuri conflitti. Qual è il significato del termine norme direttive, quale il significato del termine principî generali? Sono i principî generali dell’ordinamento di cui parlano le preleggi? Io penso si debba senz’altro escluderlo.

Evidentemente – ed in ciò sono confortato anche dall’interpretazione letterale – sono i principî generali stabiliti per ciascuna delle materie, che seguono nel secondo comma, cioè i principî stabiliti nelle singole leggi che regolano quelle materie. Ma norme direttive e principî generali sono la stessa cosa o sono due concetti diversi?

Secondo la mia interpretazione – ed anche su ciò chiederei chiarimenti – sono, due categorie giuridiche diverse. Le norme direttive sono, sì, norme giuridiche, ma norme che non sono obbligatorie e vincolanti di per se stesse, non sono cioè norme di cui siano destinatari direttamente i cittadini, non sono regole di condotta erga omnes; ma sono invece mere norme di orientamento che si rivolgono al futuro legislatore, nella specie alla Regione, perché conformi la sua attività legislativa a quei precetti, a quelle direttive.

Una voce a sinistra. E chi le emana queste norme?

BOZZI. La Repubblica, lo dice l’articolo. Ora, vorrei, a questo punto, dichiarare che, secondo me – ed è questo un aspetto importante che probabilmente non farà piacere ai regionalisti ad oltranza – queste direttive potrebbero anche avere un carattere negativo, proibitivo, nel senso cioè che potrebbero dire: su queste date materie, la Regione non potrà emanare norme di sorta.

Fu questo punto accennato in sede di Sottocommissione e fu proprio un giurista di parte democristiana che diede e sostenne codesta interpretazione. Su ciò richiamo pertanto la vostra attenzione.

I principî così detti generali sono norme giuridiche nel senso più stretto, quindi obbligatorie immediatamente; ma leggi, tuttavia, le quali ammettono una possibilità di sviluppo legislativo; sono norme che, più o meno largamente, lasciano, dirò così, delle zone in bianco, dei margini in bianco che debbono essere integrati.

Ora, se veramente le norme direttive sono una categoria giuridica di contenuto diverso dai principî generali, è chiaro che lo Stato, per quelle materie, potrà emanare o norme direttive o principî generali.

Questo è molto importante; e rappresenta una maggiore tutela della sovranità e della potestà legislativa dello Stato. Lo Stato può emanare adunque – secondo una sua valutazione discrezionale di politica legislativa – delle semplici norme direttive, degli orientamenti ovvero leggi vere e proprie, lasciando margini più o meno vasti alla potestà di attuazione o di integrazione della Regione. La latitudine di queste zone in bianco è rimessa allo Stato. In altri termini, questo articolo compie una divisione del lavoro legislativo: per talune materie lo Stato, nella sua sovranità legislativa espressa dal Parlamento, emana leggi che sono o direttive o leggi di principio; la Regione emana norme di attuazione, di concretizzazione di quelle direttive, ovvero norme di svolgimento e di sviluppo di quei principî.

Qui insorge un altro dubbio: questa potestà normativa della Regione (per amore di tesi i regionalisti ad oltranza possono anche chiamarla esclusiva) è garantita dalla Costituzione? Senza dubbio, sì. Ma come si potrà far valere questa garanzia? Dinanzi a quale giudice? Dinanzi alla Corte costituzionale? (Vedo che l’onorevole Nitti fa cenni di dissenso per poca fiducia in quest’organo). Dinanzi al giudice ordinario?

Io veramente credo che questa possibilità di garanzia esista, ma penso che non potrà darla un organo giurisdizionale. Quale sarà il giudice di legittimità il quale potrà dire che lo Stato ha emanato leggi che non sono semplicemente direttive o che sono andate al di là dei principî generali? Una indagine di tal natura implica necessariamente una valutazione di merito, non è più indagine di legittimità; e tanto più è inammissibile in quanto è una valutazione di merito squisitamente politico.

E allora si dirà: non c’è garanzia? No, la garanzia esiste. Essa, più che dal testo della Costituzione, sarà data dalla coscienza regionale, se veramente si formerà; verrà dalla prova che le Regioni daranno, dal loro grado di utilità. Se la prova sarà favorevole, lo Stato stesso limiterà l’estensione del suo potere legislativo, affidando alla Regione un più ampio potere di intervento normativo. Deriverà questa garanzia dal Senato (se sarà mantenuto, come auspico), che sarà in gran parte costituito dei rappresentanti della Regione, e di questa, in sede politica, tutelerà gli interessi.

In sostanza, l’interpretazione che io do all’articolo proposto è questa: la Regione può dettar norme di diritto per certe materie, ma sempre che esistano per esse leggi dello Stato e nei limiti lasciati in bianco dallo Stato medesimo. Il sindacato sull’osservanza di questi limiti, da parte dello Stato, può essere esercitato dalla Regione in sede politica, soprattutto preventivamente a mezzo del Senato.

Io faccio invito formale all’onorevole relatore e al Comitato di redazione perché diano un’interpretazione autentica, contestuale, a questo testo. Io desidererei sapere se la mia interpretazione è esatta o no.

Inquadrato così l’articolo proposto, si spiega la ragione del mio emendamento. Io voglio togliere la parola «generali»; è già assai difficile definire cosa siano i principî; se dovremo definire anche cosa siano i principî generali, aumentiamo le difficoltà e creiamo incertezze e possibilità di confitti funesti. Non solo: ma diamo la sensazione di volere troppo restringere la potestà legislativa unitaria dello Stato che, secondo me, deve essere tenuta in primo piano.

Prima di finire, vorrei chiedere un chiarimento ancora: abbiamo qui sott’occhio un elenco di materie. Saranno mantenute, ridotte o ampliate; lo vedremo. Io faccio fin da adesso ampie riserve. Ma sono materie sulle quali esiste tutta una legislazione, che non è solo di principio, ma anche minuta. Io mi domando, e domando a voi: il giorno in cui entrerà in vigore la Costituzione che ne avverrà di questa legislazione? Varranno soltanto i principî generali, sicché la Regione avrà facoltà di legiferare nei limiti dell’attuazione e dell’integrazione, oppure questa legislazione continuerà ad aver vigore finché lo Stato non la abroghi? Io penso che dovrebbe esser fermo il principio che la Regione non possa mai abrogare la legge dello Stato.

Concludo questo mio intervento, che è stato di carattere un po’ ampio; è nell’interesse di tutti di non trincerarsi dietro formule di incerta interpretazione ed io penso che nessuno voglia inserire di straforo, le proprie particolari teorie. Se v’è un accordo sul testo, che sia chiaro e preciso! (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi ella ha presentato anche un secondo emendamento, così concepito:

«Le leggi della Repubblica stabiliscono il termine entro il quale la Regione deve esercitare la potestà legislativa prevista dal primo comma».

Sarà bene che svolga anche questo emendamento.

BOZZI. Abbiamo visto che lo Stato ha una potestà legislativa che dovrebbe essere limitata alle norme direttive e ai principî generali. Si domanda: se la Regione non svolge quella sua potestà normativa, di sviluppo, di attuazione su quelle determinate materie, cioè se la Regione è inerte legislativamente, cosa si deve fare?

Col mio emendamento si stabilisce un termine entro il quale la Regione deve svolgere la sua funzione legislativa, col sottinteso che, ove non adempia tale funzione entro il termine stabilito, le norme ulteriori saranno poste in essere dallo Stato. (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Zotta ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica, aggiungere l’inciso: e in armonia con gli interessi delle altre Regioni».

L’onorevole Zotta ha facoltà di svolgerlo.

ZOTTA. Onorevoli colleghi, ho presentato questo emendamento alla prima parte del testo della Commissione, dove si dice che la potestà legislativa deve essere esercitata «nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica». Aggiungerei un’altra condizione, che questa potestà legislativa sia esercitata anche «in armonia con gli interessi delle altre Regioni».

L’emendamento proposto dal Comitato di redazione, unificando gli articoli 109, 110 e 111 del Progetto che trattano di tutta la materia legislativa della Regione, ha, a mio avviso, un indiscutibile pregio, quello di aver semplificato nella forma e nella sostanza il tema della capacità normativa; tema il quale, in verità, appariva piuttosto tormentato nel Progetto, diffuso com’era in una triplice distinzione che era ardua a comprendersi, nella teoria prima che nella pratica. Ora, nel nuovo testo abbiamo un’unica categoria, un unico grado il quale si inserisce nell’ordinamento giuridico del paese ed occupa nel campo dell’attività legislativa l’ultimo posto. Partendo da quella che il Kelsen, chiama Grundnorm, a cui si richiamava testé anche il Presidente onorevole Ruini, quando diceva della esistenza di norme o di principî che sono al di sopra della norma costituzionale, noi dunque abbiamo questa tripartizione: oltre la norma fondamentale o Grundnorm, abbiamo la norma costituzionale o, – per essere più precisi, in questa tecnica formale – la legislazione costituzionale, e la legislazione nazionale. Il merito, dunque, del testo sta nell’avere stabilito una subordinazione chiara, precisa, in quanto la legge regionale è subordinata alla nazionale e questa alla legge costituzionale. In codesta subordinazione che si presenta in guisa di gerarchia sta appunto l’unità dell’ordinamento giuridico; sta, cioè, l’unità della Nazione, la quale proprio nell’unità dell’ordinamento giuridico trova la garanzia della sua saldezza.

Ora, se è vero che noi abbiamo rispettato – direi quasi solo teoricamente – l’unità dell’ordinamento giuridico, mi sembra che codesta unità non sia operante se non ci preoccupiamo dell’unità di interessi, dell’armonia cioè degli interessi del tutto e delle singole parti; armonia degli interessi della Nazione considerata nel suo insieme e armonia delle singole Regioni rispetto alla Nazione e nei rapporti fra loro. Non basta, in altri termini, assicurare la subordinazione della legge regionale alla legge nazionale, perché così facendo, noi garantiamo la conformità della disciplina giuridica degli interessi della Regione con quelli della Nazione, ma non ancora l’armonia degli interessi delle varie Regioni fra loro. Ecco perché a me sembra che, proprio mentre si delimita la capacità normativa della Regione, occorra stabilire con precisione che cotesto potere legislativo deve essere circoscritto nei limiti delle leggi nazionali e in armonia con gli interessi delle altre Regioni, appunto perché risalti chiara quella unità di indirizzo legislativo, e quella unità di interessi, senza la quale non vi può essere unità nazionale. Perché allora, sì, noi siamo tranquilli che la Regione agisce davvero come centro fecondo di vita, come elemento di attività, di energia, di iniziativa, di propulsione e anche di emulazione; e non come elemento di antagonismo, di concorrenza, di lotta, di scissione o di divisione.

Ed io penso che, essendosi presentati dei dubbi, essendosi manifestate delle preoccupazioni in quest’Aula testé da voce autorevolissima, con accento sinceramente, profondamente accorato, in quanto si teme che questo fenomeno regionalistico potesse avere delle ripercussioni dannose sulla compattezza nazionale, questo sia il punto, in cui si può con una affermazione costituzionale togliere credito ad ogni dubbio e dare la tranquillità e la serenità: quando, cioè, si afferma che, sì, questa vita della Regione, questa volontà di azione, in cui sostanzialmente poi è la legge, questa individualità, questa personalità, ha il suo raggio d’azione, ma non va al di là di ciò che la legge nazionale stabilisce, di ciò che esigono gli interessi unitari della Nazione.

Ed allora noi potremo, davvero, dire con tranquillità che la nostra aspirazione di regionalisti non è già quella di dividere, come ci si accusa, ma è quella di potenziare il Paese al massimo grado ed in ogni suo lembo, suscitando, appunto, nella penisola tanti focolai di vita, che ardano all’unisono col fuoco sacro dell’amor della Patria, una e indivisibile.

È questa, dunque, la ragione del mio emendamento, del quale chiedo l’approvazione. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Fondere i capoversi secondo, terzo e quarto dell’articolo unificato risultante dagli articoli 109, 110 e 111 del Progetto, l’articolo 119 e l’articolo 124, nel seguente articolo, che dovrebbe precedere, nella collocazione finale, l’articolo 109:

«Lo Statuto di ogni Regione è stabilito, in armonia con la Costituzione e le norme legislative della Repubblica, mediante legge deliberata dal Consiglio regionale alla presenza della maggioranza dei consiglieri e con il voto favorevole dei due terzi dei presenti.

«Esso conterrà le norme per l’organizzazione interna della Regione, per la modificazione delle circoscrizioni provinciali e comunali, per l’ordinamento della polizia locale urbana e rurale, per l’esercizio dei diritti di iniziativa popolare e di referendum legislativo, per l’impiego del referendum su provvedimenti amministrativi, e per quanto altro occorra all’adempimento dei compiti affidati alla Regione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Siccome l’emendamento proposto dall’onorevole Mortati si riferisce ad un articolo successivo, sarebbe opportuno, intanto, discutere gli emendamenti agli articoli 109, 110 e 111.

PRESIDENTE. Comunque, l’onorevole Mortati ha presentato anche i seguenti emendamenti:

«Nel nuovo testo degli articoli 109, 110 e 111, sopprimere al penultimo comma, le parole: altre materie indicate da leggi speciali».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: mandate alla Regione le emanazioni delle norme regolamentari».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Era stabilito, in massima, che si sarebbe trattata la prima parte coi relativi emendamenti. Siccome alla prima parte non si riferiscono gli emendamenti ora citati, penso che si potrebbero discutere in seguito.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Ricordo che esiste un mio emendamento tendente a non fare prendere in considerazione la proposta del Comitato;

Non so se devo svolgere ora o in un secondo momento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho visto questo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, non conosce l’emendamento perché l’onorevole Mortati l’ha presentato con una certa riserva, che in questo momento sta sciogliendo.

L’onorevole Mortati può immediatamente svolgere la sua proposta. Vorrei fare presente all’onorevole Mortati che prima di dare la parola ai presentatori di emendamenti io ho posto la questione e poiché nessuno ha chiesto di parlare, ho ritenuto che fosse risolta. L’onorevole Mortati ha proposto ora di tornare al testo originario della Commissione. In tal modo egli riapre una questione che ritenevamo fosse superata quando ho posto in discussione il nuovo testo del Comitato di redazione.

Ad ogni modo, onorevole Mortati, ella ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MORTATI. L’emendamento di cui parlo ha un valore condizionato. Noi (parlo al plurale perché parlo a nome anche dei colleghi del mio Gruppo) avevamo dato la nostra adesione al testo concordato di cui l’onorevole Ruini ha dato notizia, perché pensavamo che esso fosse accettato da tutti i Partiti e quindi costituisse una base per una rapida decisione.

Ma sembra che questo accordo non ci sia, in quanto sono state formulate da più parti delle riserve per quanto riguarda l’accettazione di alcuni punti del nuovo testo. In presenza di questa situazione, appare fondata la mia proposta di ritornare al testo originario approvato dalla Commissione dei Settantacinque.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non ho nessun elemento per dire che l’accettazione è mancata. Poco fa, in un rapido scambio di idee con l’onorevole Piccioni e l’onorevole Grieco, s’era ancora nell’idea dell’accordo sopra questa formula.

Poiché nelle discussioni, come si sa, possono sempre sorgere delle divergenze, io mi ero augurato che ciò non avvenisse; ma al momento, non ho elementi per ritenere che l’accordo sia mancato.

MORTATI. Comunque, una vera accettazione della proposta della Commissione non c’è stata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione ha deliberato a maggioranza – e anche lei era presente – di proporre questo nuovo testo. Io ho sentito i rappresentanti dei Partiti che mi hanno dato il loro assenso, quindi ho ragione di ritenere che finora e, se non sorgono difficoltà, anche in seguito, questo assenso sarà mantenuto.

MORTATI. Allora è il caso di rinviare lo svolgimento dell’emendamento a quando il dissenso, al quale ho accennato, dovesse meglio concretarsi.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora all’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti così formulato:

«Sostituire gli articoli 109, 110, 111 e 112 con i seguenti:

Art. …

«Salvo il rispetto dell’ordinamento giuridico dello Stato, compete alla Regione potestà di integrazione e potestà normativa per l’attuazione delle leggi dello Stato secondo le speciali esigenze locali, nelle materie seguenti:

ordinamento degli uffici regionali;

modificazione delle circoscrizioni comunali;

stato giuridico ed economico degli impiegati e dei salariati della Regione;

strade, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici di carattere regionale;

agricoltura;

acque minerali e termali, miniere, cave e torbiere;

agricoltura e foreste;

industria e commercio;

tranvie e linee automobilistiche regionali;

navigazione interna;

caccia e pesca;

assistenza e beneficenza pubblica;

servizi a tutela del lavoro;

istruzione professionale e artigiana;

antichità e belle arti;

biblioteche, musei regionali, istituti di cultura e di educazione popolare;

concessioni amministrative e licenze di esercizio;

urbanistica e tutela del paesaggio;

turismo;

polizia locale;

ogni altra materia indicata dalla legge».

Art. …

«La Regione provvede all’amministrazione nelle materie di cui all’articolo precedente».

L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Le nuove proposte fatte dal Comitato di coordinamento mi lasciano dubbioso quanto, e forse più, del testo primitivo del Progetto.

Per questo io mantengo l’emendamento con il quale proponevo che la potestà concessa alle Regioni si limitasse ad una potestà di integrazione e di attuazione delle leggi dello Stato secondo le esigenze e i bisogni locali.

Questo richiamo-limite alle esigenze e ai bisogni locali costituisce, nel mio intento, la giustificazione per cui al nuovo ente veniva concessa la potestà di emanare norme giuridiche. Il Comitato di coordinamento fra i tre tipi di legislazione preparati originariamente dalla seconda Sottocommissione della Costituzione, ha mantenuto quello che era contenuto nell’articolo 110. La nuova formula dell’onorevole Ruini non diversifica a mio giudizio – o almeno non diversifica di molto – dalla formula preparata dall’onorevole Ambrosini. Mi pare che la formula nuova conservi del vecchio testo tutti gli inconvenienti e sotto un certo aspetto ne aggiunga dei nuovi. Dicendo che la potestà legislativa delle Regioni deve essere adempiuta secondo le direttive ed i principî generali delle leggi della Repubblica, si crea la conseguenza che tutta la tecnica legislativa dello Stato deve mutare. D’ora in poi le leggi dovrebbero contenere soltanto direttive o principî generali. Il collega onorevole Bozzi, diceva testé, che le norme direttive sono norme date alle Regioni e che i principî generali sono norme giuridiche vere e proprie con larghi spazi in bianco, i quali dovrebbero essere riempiti da questa nuova legislazione a carattere regionale.

Che cosa conseguirebbe dall’approvazione del nuovo testo, così stando le cose? Che lo Stato dovrebbe rifare tutta la sua legislazione su tutte le materie indicate nell’articolo…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’abbiamo detto nell’articolo 106 che lei ha votato.

LAMI STARNUTI. Ma l’articolo 106 non si spinge a tanto. La necessità di rifare tanta parte della nostra legislazione importerebbe non solo un grande lavoro, ma importerebbe la paralisi, per lo meno iniziale, della Regione. Sostituire alle leggi vigenti nuove leggi che si uniformino ai nuovi criteri stabiliti dal nuovo testo della Commissione, è una impresa che richiederà studi e fatiche di molti anni.

Poi sorge un altro dubbio: lo Stato, per le materie indicate, dovrebbe limitarsi a dettare soltanto le direttive ed i principî generali.

Chi stabilisce il limite dei principî generali? E se lo Stato supera questi limiti? L’onorevole Ruini ha detto testé che i limiti sono posti alla Regione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no.

LAMI STARNUTI. Mi era parso che nella sua relazione orale l’onorevole Ruini avesse dichiarato oggi che i limiti sono posti alla Regione e non allo Stato. Tanto meglio, se siamo d’accordo su questo punto. Ma se i limiti contenuti nel nuovo testo sono, come necessariamente deve essere, dei limiti posti alla attività legislativa dello Stato, il conflitto fra Regione e Stato, sorgerà tutte le volte che la Regione ritenga che lo Stato, nella sua legislazione, abbia oltrepassato quei limiti; non si sia limitato ad indicare le direttive; non si sia limitato ad indicare i principî generali, ma abbia invaso il campo legislativo assegnato dalla Costituzione alla Regione.

Possiamo fare un’altra ipotesi e sollevare un altro dubbio. Vi può essere una materia od un gruppo di materie per la quale o per il quale manchi la legislazione dello Stato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non c’è, guardi l’elenco! Mi dica una delle materie per cui non c’è la legge!

LAMI STARNUTI. L’onorevole Ruini non può non tener presente che una legge riguardante una o tutte quelle materie indicate nel testo, riguardi poi una parte soltanto delle materie medesime. Sono materie così ampie, che difficilmente la legislazione italiana può comprendere tutte le ipotesi e le possibilità. Ed allora, quando per un determinato aspetto della materia mancassero le direttive o mancassero i principî generali dello Stato, che cosa farebbe la Regione? Dovrebbe rimanere inerte, come suggeriva il collega onorevole Bozzi, o avrebbe la potestà di fare essa norme legislative contenenti anche principî generali?

Credo che questi dubbi siano sufficienti a spiegare il mio voto contrario alla nuova formula, indicata dal Comitato di coordinamento ed a farmi mantenere l’emendamento che io avevo proposto al vecchio testo del progetto di Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione pei la Costituzione. Mi riservo di rispondere in seguito. Voglio ricordare soltanto all’onorevole Lami Starnuti una cosa. Leggo un testo: «La Regione ha facoltà di emanare norme legislative di integrazione ed attuazione delle disposizioni di legge della Repubblica, per adattarle con le norme generali e con le direttive stabilite con le leggi della Repubblica». Questa dizione fa sorgere, sebbene in forma ed in misura diversa, tutti i problemi che egli ha sollevato finora. Questa dizione era stata – a firma dell’onorevole Lami Starnuti – proposta in sede di Commissione e respinta per due voti. Anche in essa si parla di direttive e di norme generali. Per chi stabilisce le direttive ed i principî entro i quali un altro può dettar norme v’è un limite imposto a sé ed un limite imposto all’altro.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. All’osservazione dell’onorevole Ruini desidero rispondere che nella formula proposta da me e da altri colleghi alla Commissione plenaria si parlava non genericamente di potestà legislativa o normativa, ma di potestà di integrazione nei limiti delle esigenze locali. Queste specificazioni davano alla nostra formula una portata assai diversa di quella della formula proposta ora dall’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato e rispettino gli obblighi internazionali, gli interessi della Nazione e delle altre Regioni, nonché i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato, in materia di:

1°) ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

2°) modificazioni delle circoscrizioni comunali;

3°) polizia locale urbana e rurale;

4°) fiere e mercati;

5°) beneficenza pubblica;

6°) scuola artigiana e istruzione tecnico-professionale;

7°) urbanistica;

8°) strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

9°) porti lacuali;

10°) caccia e pesca nelle acque interne di carattere regionale;

11°) cave, torbiere, acque minerali e termali;

12°) tranvie e linee automobilistiche regionali;

13°) acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida nell’interesse nazionale e su quello di altre Regioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Onorevoli colleghi! Non bisogna nasconderci che questo argomento è forse il più importante di quanti dobbiamo discutere riguardo alla Regione, perché, ammesso il principio dell’esistenza dell’ente Regione, si tratta di dare a questo ente i suoi contorni precisi. E poiché l’Assemblea Costituente ha approvato che debba restare anche l’ente Provincia, diventa di grande importanza fissare i limiti dell’attività regionale, perché, fissati questi limiti, sarà poi possibile stabilire in che modo possa sopravvivere, e fino a quando, la Provincia.

Ed allora, il progetto presentato dalla Commissione di coordinamento e che oggi ha illustrato il Presidente Ruini, rappresenta già un gran passo avanti, perché riunisce i tre articoli, 109, 110, 111 (che stridevano fra di loro, in quanto creavano tre forme di attività legislativa, una primaria, una secondaria, una regolamentare) in una sola norma che fissa alla Regione quali sono le norme giuridiche che potrà emanare attraverso i suoi statuti regionali, o le sue leggi regionali. Qui io devo dire che preferirei la dizione «statuti regionali» per distinguerli dalle leggi dello Stato: se poi si vuole adoperare la dizione «leggi», si faccia pure; la cosa non ha importanza. Comunque, la formula proposta oggi dalla Commissione di coordinamento, come ho già detto, rappresenta un passo avanti. Né io mi preoccupo della obiezione che faceva il collega Lami Starnuti di fissare soltanto norme regolamentari e di integrazione, perché, se diamo alla Regione soltanto questa potestà, evidentemente riduciamo la Regione a niente, perché norme regolamentari e integrative le fanno anche i Comuni, le fanno anche le Opere pie. Qualunque ente ha una facoltà regolamentare sua propria; quindi, sarebbe assurdo che la Regione non l’avesse. La Regione diventa il nuovo ente dello Stato democratico. Io la concepivo come ente unico fra il Comune e lo Stato; oggi, con molta fatica, riesco a concepire che rimanga ancora la Provincia. Ritengo che essa sarà un ponte di passaggio che dovrà vivere finché la Regione non avrà esteso e fissato le sue funzioni e finché non sia entrata nella coscienza giuridica nazionale, in modo che la Provincia possa cadere come una foglia morta.

Ed allora, bisogna essere molto precisi: potestà di emanare norme legislative, non norme integrative, né potestà semplicemente normativa come voleva l’onorevole Preti, ma potestà legislativa. Che questo sia ben chiaro. Chiamiamoli statuti, se vogliamo, ma statuti legislativi. Ed allora, quale è la preoccupazione che dobbiamo avere? È quella di fissare i limiti entro i quali si dovrà svolgere l’attività legislativa della Regione. Mi dice ora l’onorevole Nitti che tutto questo è un lavoro inutile. Può darsi che sia inutile; comunque facciamolo con tutta coscienza.

Ed allora credo – forse è una mia illusione, come tutti i padri si illudono che i loro figli siano belli – credo che il primo comma da me premesso alla elencazione delle materie, che avevo già presentato, prevedendo quello che poi ha fatto la Commissione di coordinamento, possa restare anche con la formula proposta dalla Commissione stessa.

Sarebbe una fissazione precisi dei binari entro i quali la legislazione regionale. potrà percorrere la sua via. In fondo, la mia proposta risponde ai dubbi che ha mossi l’onorevole Bozzi. Cioè, che cosa potrà fare la Regione? Che cosa dovrà fare la Regione?

Prima di tutto, si rassicuri l’onorevole Lami Starnuti, non si deve abolire tutta la legislazione esistente. Abbiamo dei punti fissi nella nostra legislazione statale, che non si possono più neanche mettere in discussione. Ad esempio, la legislazione sulle acque pubbliche rappresenta quanto di meglio si poteva fare e l’onorevole Ruini vi ha, a suo tempo, largamente collaborato insieme al Ministro onorevole Sacchi: è un punto veramente perfetto della nostra legislazione, che tutti gli altri Stati ammirano. Così la legge sulle opere pubbliche del 1865 è ancora una legge assai buona, che può rendere ottimi servigi.

Quindi, i binari sono quelli fissati dalle leggi dello Stato. Cosa fa la Regione? Sviluppa le leggi dello Stato in statuti o leggi regionali, secondo i bisogni e le condizioni ambientali.

Allora, io avrei precisato parecchi punti. Primo:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative che siano in armonia con la Costituzione». Questo per evitare i conflitti davanti alla Corte costituzionale o alle Sezioni unite della Cassazione, a norma della legge sui conflitti del 1877. Potrete osservare che è superfluo il dirlo, ma certo non nuoce.

Secondo, che «siano in armonia con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato», cioè con quelle preleggi di cui faceva cenno l’onorevole Bozzi; perché sarebbe strano che la Regione facesse leggi che uscissero dai confini e dai principî generali dell’ordinamento dello Stato.

Terzo, «rispettino gli obblighi internazionali»: questo per alcune Regioni, in materia di acque pubbliche, di navigazione, ecc.

Quarto, «rispettino gli interessi della Nazione e delle altre Regioni», sopra tutto per non creare conflitti tra Regione e Regione.

Il punto poi più importante sarebbe il quinto: «nonché rispettino i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato». Ecco il punto innovativo di questa mia introduzione negli articoli 109 e 110, di questa prima parte che, come diceva l’onorevole Fabbri, è la più importante, anzi la fondamentale.

Cioè, sarebbe assurdo che la Regione, attribuendosi potestà legislativa in una certa materia – per esempio per quello che riguarda trasporti di cose mediante veicoli o autoveicoli – si mettesse in dissenso con le norme generali che regolano la circolazione dei veicoli in tutto il territorio dello Stato. Quindi, i principî generali rimangono identici in tutto lo Stato; potrà la Regione dettare norme specifiche, purché queste non siano in contrasto coi principî generali che sulle stesse materie siano stati già fissati da leggi dello Stato, o con quei principî generali che derivano da una legge dello Stato che regola tutta la materia.

Ed allora mi sembra – non so se la Commissione potrà accettare la mia formula – che essa potrebbe essere utilmente sostituita a quella del nuovo articolo 109, 110, 111, in modo che, premessa questa base fondamentale, si possa poi scendere alla specificazione delle materie speciali di cui si debba occupare la legislazione regionale.

Ecco i motivi per cui credo che questo mio emendamento, limitato solo alla sua prima parte, possa essere votato dall’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha proposto il seguente emendamento:

Articoli 109 e 110.

«Sostituirli col seguente:

«La Regione avrà potestà di emanare norme legislative per le materie di interesse strettamente regionale che saranno stabilite da una legge. La legge stessa fisserà i limiti e le condizioni entro cui la suddetta facoltà legislativa potrà essere esercitata».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgere l’emendamento.

NOBILE. Non ho bisogno di parlare a lungo su questo argomento. Appartengo a quella schiera di persone, le quali sono convinte che l’ordinamento regionale sia un grave errore.

Ora, la mia preoccupazione è che questo errore non sia aggravato dalla precipitazione con la quale potremmo decidere su questo articolo unificato del Comitato, in cui c’è elencazione delle materie per le quali si riserva una facoltà legislativa alla Regione. Ho altre volte detto che la possibilità di concedere all’ente Regione la facoltà di legiferare su ciascuna di queste materie, è cosa che richiederebbe da parte nostra la più grande attenzione ed un esame approfondito della materia, soprattutto di carattere tecnico, esame che non abbiamo né il tempo né, tanto meno, la calma di poter fare.

Comprendo molto bene come vi siano materie per le quali si possa, senza eccessiva preoccupazione, lasciare alla Regione la facoltà di emanare norme, così come oggi se ne dà la facoltà ai Comuni e alle Provincie. Lo comprendo quando si tratti di dare, scendendo ora ad una specifica esemplificazione, la facoltà alla Regione di emanare norme a proposito della istituzione di enti amministrativi della Regione stessa, o a proposito della modificazione delle circoscrizioni comunali e provinciali o anche – sebbene con qualche riserva – quando si tratti di norme che riguardino la polizia urbana e rurale e, entro certi limiti, anche le fiere e i mercati, la beneficenza pubblica, l’assistenza ospedaliera: però, quando si elencano materie, come, per esempio, l’istruzione artigiana e tecnico-professionale, allora io incomincio ad avere dei dubbi circa l’opportunità di concedere o meno questa facoltà alla Regione. Una cosa cui non si riflette abbastanza è questa: che quando si dice nel testo del Comitato, che «la Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica», non v’è dubbio che con ciò implicitamente si viene a postulare che lo Stato non può far altro se non emanare delle leggi generali.

Ora, onorevoli colleghi, questa cosa è di una gravità particolare. Potrebbe, infatti, accadere che una Regione non facesse nulla, ad esempio, in materia di istruzione artigiana e di istruzione tecnica professionale, ritenendo erroneamente che non costituissero materie di proprio interesse.

La stessa cosa si potrebbe dire per il turismo: ma per il turismo c’è uno schema legislativo che crea un Commissariato, perché si riconosce al turismo un’importanza così preminente, che si sente il bisogno di creare appunto questo Commissariato. Ora, come potete voi mettere in accordo questo decreto legislativo che è in esame con il fatto che il turismo qui è riservato alla Regione?

La stessa cosa riguarda, ad esempio, le tranvie. Ora, mi meraviglio che il Presidente della Commissione, il quale pure ha tanta esperienza in proposito, possa ammettere, per esempio, che in questa materia ci possa essere una diversa legislazione per le 22 Regioni italiane: è una cosa semplicemente assurda.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma questa è questione di elenco; ne riparleremo.

NOBILE. Io non faccio che accennare per sommi capi alla difficoltà di fare oggi un’elencazione. Facendola oggi, si commettono errori gravi ed il constatare che, per esempio, la Commissione ha commesso errori di omissione, non basta per farci rimanere per lo meno perplessi?

Poi c’è la viabilità: ora, può esistere una viabilità di interesse comunale, senza dubbio; ma che esista una viabilità di interesse regionale io lo nego; perché – come ho detto altra volta – se da Napoli si può andare più rapidamente a Benevento e a Campobasso, la cosa non interessa solo la Regione campana, ma anche la Lombardia e il Piemonte.

Inoltre non si è riflettuto abbastanza a questo: che la Regione potrebbe anche non fare nulla e questa semplice omissione sarebbe un grave danno.

La stessa osservazione si può fare per la navigazione lacuale ed i porti.

Ritengo poi un assurdo elencare l’energia elettrica e le acque pubbliche e mi riferisco anche a quanto ha fatto rilevare l’onorevole Einaudi.

Anche le cave e torbiere sono di interesse regionale, ma se la Regione non fa nulla, non è questo un danno nazionale?

Tutto ciò dimostra che questa elencazione richiederebbe un esame approfondito, e non abbiamo tempo di farlo.

Ammettiamo pure che sia data facoltà legislativa alla Regione, ma rimandiamo al futuro Parlamento di decidere entro quali limiti e in che condizioni questa attività legislativa deve essere esercitata.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Malagugini, Vernocchi e Cacciatore, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire all’articolo proposto dal Comitato di coordinamento, in luogo degli articoli 109, 110, 111, il seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative in armonia coi principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica su materie particolari indicate dalle leggi stesse».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere l’emendamento.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, contrariamente all’apparenza, io non parlo come un isolato ma parlo a nome del mio Gruppo. Dico contrariamente all’apparenza, perché non mi vedete circondato da una folla di colleghi. (Si ride).

Ho presentato l’emendamento con altri colleghi a nome del Gruppo cui appartengo.

La differenza effettiva fra il nostro emendamento, fra la nostra proposta e la proposta del Comitato di coordinamento, in realtà è questa: noi intendiamo attribuire chiaramente ed esplicitamente all’ente Regione potestà legislativa. Abbiamo rinunciato anche a proporci la questione tanto cara a qualche collega della differenza fra facoltà normative e legislative. Attribuiamo senz’altro alla Regione facoltà legislative, in armonia coi principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica. E questo è lo stesso concetto limitativo che figura anche nella nuova proposta della Commissione. Anzi, vi è forse nella nostra formula una limitazione minore perché, mentre nella proposta del Comitato di coordinamento si dice: «Potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica», noi limitiamo il riferimento ai principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica.

La ragione dell’emendamento quale è? Che noi intendiamo limitare, o meglio stabilire, che la facoltà legislativa, attribuita alla Regione, sia determinata dalla legge. Invece d’una limitazione potrebbe trattarsi in definitiva di un’estensione. Infatti, nel nostro emendamento si dice: «Materie particolari indicate dalle leggi stesse». (Interruzioni).

Dicevo che questa non è una limitazione…

UBERTI. È una limitazione, è evidente. Basta leggere l’ultimo capoverso.

TARGETTI. Non mi lamento, onorevole Uberti, delle sue interruzioni. Siccome lei interrompe tutti, se non interrompesse anche me, potrebbe sembrare una mancanza di considerazione. (Si ride).

Dico che non è una limitazione. La proposta del Comitato di coordinamento stabilisce in modo specifico le materie nelle quali, questa potestà legislativa si può esercitare: ebbene, noi diciamo che la Regione potrà esplicare queste sue facoltà in tutte le materie indicate dalle leggi. Chi farà le leggi? Sarà l’Assemblea. Ora io non voglio uscire dall’argomento della discussione, ma se gli egregi colleghi della Democrazia cristiana sono convinti di aver assicurato maggiori fortune al loro Partito col loro nuovo orientamento, devono ritenere che quando l’Assemblea legislativa di domani si troverà ad indicare le materie sulle quali potrà esercitarsi la potestà legislativa della Regione, quei limiti potranno essere allargati come a loro sembrerà più opportuno di fissare, se, come noi certo non ci auguriamo, sarà accresciuta la loro influenza politica.

Se da parte degli autonomisti più decisi vi è stata la tendenza a dare al nostro emendamento un significato contrario a quello che realmente merita, ciò dipende, in parte, da un giudizio errato sull’atteggiamento del nostro Partito in materia di Regione. Dico del nostro Partito, senza dare eccessiva importanza a quelle divergenze che in seno al Partito stesso si possono come in tutti i partiti riscontrare. L’onorevole Tonello, per esempio, non è un innamorato della Regione. Ma questo non significa che l’atteggiamento del Partito nostro corrisponda alle sue opinioni. A questo proposito io ricordo all’Assemblea, ed anche ad alcuni colleghi del mio Gruppo, che il nostro Partito è stato sempre decisamente favorevole al più deciso decentramento. (Interruzioni). Vedo che mi si interrompe da più parti. Mi scuso, quindi, se non posso raccogliere e sentire tutte le interruzioni. (Si ride).

È noto a tutti che il nostro Partito, ha fatto sempre caposaldo della sua politica amministrativa il massimo decentramento amministrativo. Ma, come si può ottenere il massimo decentramento amministrativo, essendo contrari all’istituzione della Regione? L’istituzione della Regione è una delle conseguenze, ed al tempo stesso è una delle premesse, uno dei mezzi per raggiungere un più ampio ed effettivo decentramento. E quando io dico che questo è stato l’orientamento del mio Partito, non mi riferisco a tempi lontani, ma anche a tempi recentissimi. Prima delle elezioni politiche del 2 giugno vi fu la grande lotta amministrativa del marzo-aprile 1946. Ebbene, il programma amministrativo del nostro Partito aveva, se non come base fondamentale, certo come uno dei suoi postulati, l’istituzione dell’ente Regione. Non dirò che ciò faccia parte della storia, ma è un fatto incontestabile e di facile accertamento. Basta consultare la stampa del tempo. Né abbiamo alcuna ragione di cambiare, di correggere il nostro pensiero. Voi dovete tener presenti le dichiarazioni che a nome del nostro Gruppo furono fatte in una recente seduta nei riguardi dell’ordine del giorno Rubilli. Per quale ragione, se noi fossimo realmente contrari all’istituzione della Regione, avremmo esitato a votare a favore di quell’ordine del giorno che seppelliva la Regione? Parliamoci francamente: non si è tenuto presente nessun interesse, nessuna preoccupazione elettorale, nessuna di quelle considerazioni che esercitano talvolta anche influenza maggiore di quella che dovrebbero esercitare. Che cosa ci sarebbe stato di male per noi se avessimo dichiarato in quella sede il nostro favore per l’ordine del giorno Rubilli, assumendo un atteggiamento decisamente contrario all’istituzione della Regione? Piuttosto c’è da fare qualche osservazione sopra il nostro regionalismo. C’è da chiedersi se vi è una distinzione da fare fra il regionalismo nostro e quello di altre parti dell’Assemblea. Evidentemente, sì. Noi abbiamo la preoccupazione che un sentimento più che giustificato e naturale di avversione al centralismo, sentimento che si è ingigantito e persino giustamente invelenito, come conseguenza del regime fascista, possa portare a qualche eccesso dannoso agli interessi della nazione. Noi abbiamo poi – ed i colleghi, anche quelli che più dissentono dalle nostre opinioni, dal nostro orientamento politico, devono convenirne – delle ragioni specifiche per temere un eccessivo particolarismo che possa derivare da un eccessivo regionalismo. La nostra idealità politica, la nostra azione nel campo politico come in quello economico sono ispirate ad una concezione prettamente, tipicamente e sostanzialmente unitaria. Noi ci proponiamo di agire sul piano nazionale, statale.

È inutile far perdere tempo all’Assemblea ricordando cose che ciascuno dei suoi componenti può ricordare a chi parla, cioè che il nostro concetto dello Stato e della sua funzione, della sua ingerenza, della sua influenza sopra tutta la vita sociale ed economica della Nazione ci porta necessariamente a temere uno spezzettamento della vita amministrativa e politica della nazione, ci porta a preoccuparci del pericolo di un indebolimento di questo indirizzo unitario e quindi della compagine organica dello Stato. Cito le parole di chi fu una delle più grandi figure del nostro Partito, una delle più nobili figure del Parlamento italiano, non ancora abbastanza ricordata; cito le parole che nel 1916 Claudio Treves ebbe a dire a proposito del decentramento. Egli ebbe ad ammonire: «Tiriamo sodo sull’accentramento statale, ma badiamo che qualche colpo non vada a finire sull’organizzazione dello Stato».

È questo il pericolo di cui noi socialisti ci preoccupiamo. Non pretendiamo che la stessa preoccupazione abbia chi segue una ideologia diversa dalla nostra. Pretendiamo soltanto che, in conseguenza di questo nostro particolare modo di vedere, non si venga a mettere in dubbio la sincerità del nostro atteggiamento. Quando noi, dopo aver votato per la Regione, dopo aver consentito che le si attribuiscano poteri legislativi, vi proponiamo di domandare alla legge ordinaria l’indicazione delle materie nelle quali questo potere legislativo o normativo si può esplicare, noi facilitiamo la nascita e la vita della Regione. Nel partecipare ai lavori della Commissione dei Settantacinque – lo dico sinceramente – ho dovuto ammirare il tesoro di cognizioni scientifiche specialmente nel campo del diritto amministrativo e costituzionale che è stato portato in questa elaborazione da tanti nostri colleghi di vari settori dell’Assemblea. Riconosco ben volentieri di avere imparato molte cose, seguendo quei lavori. Però, quando si tratta di scendere nel campo della pratica e di stabilire quali particolari materie, meglio che altre, si adattino ad essere regolate dalla Regione, più che la scienza giuridica, può servire la pratica amministrativa; può servire di più l’esperienza di chi ha vissuto la vita dei Comuni, delle Provincie e dello Stato.

Determinata così, in base unicamente a teorie ed a principî giuridici e costituzionali, approfondita finché volete, la legislazione regionale può riuscire affrettata, può risultare, nella sua attuazione, in contrasto con esigenze pratiche, con quella che deve, che può essere l’attività della Regione.

Se voterete contro il nostro ordine del giorno, quando passeremo ad occuparci delle singole voci e delle singole materie nelle quali la potestà legislativa della Regione dovrebbe esplicarsi, vedrete da quante parti verranno avanzate osservazioni, forse non tutte di carattere giuridico o costituzionale, ma di portata pratica. Un voto di maggioranza deciderà oggi quello che praticamente si presenterà di non utile applicazione.

Concludendo, domando agli autonomisti più convinti: che pericolo ci sarebbe votando la nostra proposta, con la quale si riconosce alla Regione la potestà legislativa, lasciando alla futura Assemblea legislativa, ammaestrata anche dall’esperienza, di determinare le materie nelle quali questa facoltà debba esercitarsi? (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo aveva presentato un emendamento all’articolo 109, in relazione al primo testo:

«Sostituirlo col seguente:

«La Regione ha potestà legislativa delegata per le seguenti materie, con l’osservanza dei principî e delle direttive, che la Repubblica ritenga stabilire con legge:

ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

modificazioni delle circoscrizioni comunali;

polizia locale urbana e rurale;

beneficenza pubblica e assistenza ospedaliera;

istruzione tecnico-professionale e scuola artigiana;

biblioteche di enti locali;

fiere e mercati;

urbanistica;

strade, acquedotti o lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

porti lacuali;

pesca nelle acque interne di carattere regionale;

cave e torbiere;

turismo e industria alberghiera;

caccia;

acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni;

acque minerali e termali;

tranvie;

linee automobilistiche regionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. I miei voti sono stati accolti nel nuovo testo proposto dalla Commissione, dovrei quindi rinunziare al mio emendamento ed aderire alla nuova formulazione della Commissione.

Le mie preoccupazioni non si riferivano alla qualità e quantità dei poteri da conferire alla Regione. Io sono stato un fervente autonomista e regionalista; ma mi sono sempre preoccupato dell’unità e dell’integrità dello Stato; e mi sono preoccupato principalmente della integrità di quel potere legislativo centrale, che deve essere per intero devoluto al Parlamento. Ora, attraverso il nuovo testo della Commissione si unificano le potestà e le materie e si stabilisce il principio, per me fondamentale, che il potere legislativo conferito alle Regioni è un potere subordinato. Ciò ha particolare importanza e si vedrà specialmente quando discuteremo sui sistemi di controllo da esercitarsi, sulla potestà legislativa regionale e quando stabiliremo a quali organi potrà spettare il diritto di elevare eventuali conflitti dinanzi alla Corte costituzionale o dinanzi all’altro organo che costituzionalmente avrà il compito di risolvere le varie divergenze a proposito di sconfinamento di poteri legislativi.

Ripeto che vedo detta mia preoccupazione superata dal nuovo testo della Commissione; quindi non ho ragione di insistere nei miei emendamenti e dichiaro, senz’altro, che intendo approvare, così come è, il testo concordato.

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

Sostituirlo col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme giuridiche, nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione generale dello Stato, che ne assicuri unicità d’indirizzo, nelle seguenti materie:

ordinamento degli enti e degli uffici dipendenti, e stato giuridico ed economico del personale;

circoscrizioni comunali nell’ambito del territorio regionale;

agricoltura e foreste;

contratti agrari;

usi civici;

caccia e pesca;

miniere, cave, torbiere, saline, acque minerali e termali;

strade, porti, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici, a esclusivo carico della Regione e d’interesse regionale; e relative espropriazioni per pubblica utilità;

navigazione interna, lacuale e di cabotaggio;

urbanistica, e tutela del paesaggio;

turismo e industria alberghiera;

manifestazioni ricreative e sportive;

polizia locale, urbana e rurale;

assistenza e beneficenza pubblica;

istruzione professionale ed artigiana;

biblioteche e musei di enti locali;

istituti di credito e di risparmio regionali, purché esercitati nelle forme della cooperazione e del risparmio;

linee e mezzi di trasporto a carattere locale;

fiere e mercati;

edilizia;

licenze di esercizio;

ogni altra materia indicata dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODIGNOLA. Avrei rinunciato senz’altro a parlare, se il nuovo testo della Commissione avesse offerto una formulazione più chiara, più accettabile dei limiti di competenza regionale. Mi pare che le due correnti fondamentali rimaste ora in lizza indichino queste due soluzioni: o che la legislazione si limiti a funzioni d’integrazione e d’attuazione, vale a dire che la Regione si limiti ad adottare, nel campo di determinate materie, la legislazione dello Stato alle necessità locali; o che invece – ed è la proposta della Commissione – la Regione possa, sempre nell’ambito di quella materia, legiferare liberamente, entro le direttive o i principî generali stabiliti con leggi della Repubblica.

Ora mi pare che già altri abbiano avanzato delle obiezioni circa il significato, dal punto di vista giuridico dell’espressione «direttive o principî generali stabiliti per legge». O noi intendiamo con essa riferirci alla nozione di principî generali di diritto, che è nozione vastissima, la quale in sostanza escluderebbe la possibilità effettiva di una legislazione diretta dello Stato su queste materie, e questo mi pare non si possa accettare, perché non possiamo ammettere che esistano materie sulle quali lo Stato non abbia facoltà alcuna di legiferare; oppure vogliamo dire che lo Stato conserva sempre la facoltà di intervenire legislativamente, ma dove esso non interviene può, su queste materie, intervenire la Regione. In quest’ultimo caso, tanto varrebbe affermare che la Regione ha facoltà di emanare norme giuridiche nei limiti della legislazione dello Stato.

Mi pare, dunque, che stiamo cercando una formula complicata e difficile per spiegare un concetto che è semplice ed evidente. Se siamo d’accordo su questo principio, che non esiste nessuna materia su cui la Regione sia sola a legiferare, per la quale, cioè, abbia competenza esclusiva, allora la soluzione non può essere che questa: lo Stato può continuare a legiferare sulle materie dell’articolo 109, ma la Regione può e deve, su quelle medesime materie, legiferare largamente nei limiti in cui non legiferi lo Stato.

Poc’anzi è stato detto: su tutte queste materie esiste già una legislazione. Benissimo. E noi non possiamo volere che tutta la legislazione dello Stato già in vigore sia abbandonata. La legislazione dello Stato resta quella che è. Le norme che stiamo ora predisponendo varranno piuttosto per determinare i limiti entro i quali lo Stato dovrà legiferare per l’avvenire, senza per questo distruggere l’ordinamento giuridico esistente. Mi pare, dunque, che l’unica soluzione, direi elementare, semplice di questo problema, sia quella di riconoscere alle Regioni la facoltà di emanare norme giuridiche nell’ambito di determinate materie, fermo restando il principio che su quelle medesime materie lo Stato mantiene la sua potestà legislativa ordinaria. Manterrei, quindi, la proposta di emendamento da me fatta, che cioè «la Regione ha potestà di emanare norme giuridiche nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione dello Stato, che ne assicuri unicità di indirizzo, nelle seguenti materie».

PRESIDENTE. Abbiamo così esaurito l’esame di tutti gli emendamenti relativi alla natura della potestà normativa concessa alla Regione. Restano ancora da svolgere tutti quegli emendamenti che erano stati presentati agli articoli 109, 110 e 111 relativi all’elencazione delle materie; ma essi formeranno argomento di discussione successiva.

Il seguito della discussione è, pertanto, rinviato ad altra seduta.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno: a) per conoscere quali sono le disposizioni di legge che consentirono di mettere a disposizione del Partito democratico cristiano le forze di polizia, per presidiare, nella giornata di domenica, 29 giugno, la Piazza San Marco di Venezia; b) sugli incidenti che si svolsero, sempre a Venezia, nella mattinata di domenica, 29 giugno.

«Pellegrini».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se è a conoscenza della vile aggressione perpetrata domenica 29 giugno ai danni di 60 democristiani, comprese donne e bambini, mentre pacificamente attraversavano il paese di Marmore, o per conoscere, altresì, quali provvedimenti ha preso od intende prendere per l’incolumità dei cittadini fatti segno a violenze derivate da volontà preordinata ad impedire la libera manifestazione delle opinioni politiche.

«Coccia».

«All’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere i motivi per i quali i competenti uffici assegnano alla provincia di Napoli miscele di farine non idonee ad una razionale panificazione, ottenendo in conseguenza il risultato di lasciare oggi, 1° luglio, come riferiscono i giornali del mattino, la città di Napoli senza pane.

«Mazza».

«Al Ministro delle finanze, per conoscere se non creda di proporre che sia sollecitamente stabilita la facoltà dei comuni minerari di applicare una equa imposta sulla produzione mineraria che si estrae dal loro territorio; e ciò in considerazione dei gravi oneri che dallo svolgersi dell’attività industriale derivano a tali comuni, dell’esiguo apporto tributario dato alla vita locale dalla stessa industria e dei rilevanti utili che questa realizza.

«Corsi».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. A quest’ultima interrogazione risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni. Delle altre darò comunicazione ai Ministri competenti perché facciano sapere quando intendono rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi permetto di suggerire che si faccia una discussione organica su di un solo problema: per esempio sulle autonomie, o sulle questioni finanziarie, o sull’imposta patrimoniale, e non si spezzi la discussione trattando la mattina un argomento ed il pomeriggio un altro.

Così tutti sappiamo, per esempio, che il giovedì, il venerdì ed il sabato si discute, poniamo il problema dell’imposta patrimoniale, oppure quello delle autonomie in modo che tutti possiamo, nella seduta della mattina ed in quella pomeridiana, dedicare il nostro tempo ed il nostro studio a questo problema unitariamente, senza spezzare il lavoro della mattina con un altro totalmente opposto che si svolge nel pomeriggio. Io credo che, seguendo questo mio suggerimento, si guadagnerebbe in economia ed in utilità per la discussione.

PRESIDENTE. Vorrei osservare che tradizionalmente, quando la normale Assemblea legislativa tiene due sedute, vi è un argomento nella seduta della mattina, ed un argomento diverso in quella del pomeriggio. Sappiamo anche che gli esperti dicono che ciò serve a tener fresca la mente. Se si tratta di stabilire qual è la materia alla quale sono destinate le due sedute della giornata – nei casi in cui teniamo due sedute nella stessa giornata – è facile mettersi d’accordo. Oggi, ad esempio, l’ordine del giorno recava nella seduta del mattino il progetto sulla imposta patrimoniale, ed in quella del pomeriggio il seguito della discussione sul progetto di Costituzione. È quindi agevole prepararsi per queste discussioni sapendo che – salvo diversa disposizione che vorrà stabilire l’Assemblea – la seduta del mattino è normalmente dedicata alla patrimoniale e quella del pomeriggio al progetto di Costituzione.

Secondo il mio avviso personale, è opportuno che in tutti quei giorni in cui terremo due sedute giornaliere, almeno una seduta sia dedicata al progetto di Costituzione, dato che questa è la nostra funzione principale. Propongo quindi di seguire, anche per i giorni futuri, lo stesso metodo.

Onorevole Lussu, se lei intende fare una proposta diversa saranno i colleghi a decidere. Diversamente resta inteso che domani vi saranno due sedute: alle 10 per continuare la discussione sull’imposta straordinaria sul patrimonio e alle 17 per l’elezione di un Vicepresidente, in sostituzione dell’onorevole Tupini, nominato Ministro, e per il seguito della discussione del progetto di Costituzione.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali relazioni esistano tra l’inchiesta condotta sulla amministrazione degli Ospedali riuniti di Perugia e la disastrosa alienazione di un vasto tenimento agricolo, di antichissima proprietà dell’Istituto, intorno alla quale pende una grave causa avanti al Consiglio di Stato.

«Vernocchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti intende adottare per reintegrare nei diritti che ad essi competono in quanto militari i giovani delle classi 1924 e 1925 residenti nella provincia di Cuneo, i quali nell’agosto 1943 vennero chiamati con cartolina precetto del Distretto militare di Cuneo, arruolati nella IV Armata, assegnati alla costruzione di opere militari sulla costa francese alle dipendenze del Genio militare, fatti prigionieri dai tedeschi, e una volta tornati in Italia dopo la liberazione furono considerati internati civili in forza di un ingiusto provvedimento che, allo scopo di sanare l’iniqua irregolarità di quella precettazione avente un preciso carattere di obbligo militare, viene ora a defraudare, migliaia di giovani dei diritti loro spettanti per il servizio prestato e per la prigionia subita in quanto rivestivano, in fatto e in diritto, la incontestabile qualifica di militari.

«Giolitti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali siano i provvedimenti presi a favore della categoria dei pensionati statali, che, dopo aver servito lo Stato, languono ora nella miseria.

«In particolare l’interrogante chiede di conoscere se e quali provvedimenti sono stati adottati o sono in corso di attuazione relativamente:

1°) all’entità dello stipendio;

2°) all’indennità di contingenza;

3°) alla 13ᵃ mensilità;

4°) al premio della Repubblica;

5°) all’indennità carovita;

6°) al libretto ferroviario;

tenendo presente che il diverso trattamento fatto agli impiegati, operai, reduci e partigiani, pensionati militari e delle ferrovie, ecc., genera disagi ed agitazioni in tutti coloro che vedono calpestato e per essi dimenticato il tanto conclamato uguale trattamento sociale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni della recente nomina di un Comitato di Ministri per l’esame delle opposizioni presentate ai sensi del decreto-legge presidenziale 25 giugno 1946 da funzionari civili e militari dal I al IV grado incluso, collocati a riposo nel gennaio 1945 d’autorità del Presidente del Consiglio dei Ministri in forza del decreto legislativo luogotenenziale 11 ottobre 1944, n. 257.

«Le opposizioni, di che trattasi, furono presentate da circa un anno, dai funzionari predetti, avverso il provvedimento che nei loro confronti fu deliberato prima delle sentenze delle competenti Commissioni di epurazione, con evidente sperequazione di trattamento in confronto a coloro che furono colpiti dalla legge Sforza e dalla legge Nenni.

«Poiché i vari Ministri, cui i ricorsi anzi cennati furono inoltrati, già da molto tempo li hanno trasmessi alla Presidenza del Consiglio, corredati dei loro pareri, dopo averli rigorosamente vagliati e fatti vagliare da apposite Commissioni, e poiché la Presidenza del Consiglio, a sua volta, tutte le opposizioni ha sottoposto all’esame di una Commissione nominata dal Presidente del Consiglio, e composta da un magistrato di Corte di appello, da un consigliere di Stato e dall’avvocato generale dello Stato, non si comprende la ragione della successiva recente nomina di un Comitato di Ministri per altro esame delle opposizioni stesse.

«La grave condizione di disagio morale e materiale, nella quale da tre anni versano ottimi funzionari civili e militari colpiti da una ingiusta disposizione, conseguente alla faziosa politica del Paese; il fatto che la più gran parte di essi è stata unanimemente prosciolta da ogni addebito in sede epurativa, e che per molti è stato anzi riconosciuto il merito partigiano, consentono all’interrogante di rilevare che la recente nomina del Comitato dei Ministri, per ulteriore esame dei giudizi già espressi dalle varie Commissioni, nominate dai singoli Ministri e dalla Presidenza del Consiglio, rappresenta un inutile quanto dannoso sistema defatigatorio, che esaspera la paziente attesa di tanti benemeriti funzionari già prosciolti dalla Commissione di epurazione da qualsiasi addebito.

«L’interrogante chiede di sapere se, in considerazione delle ragioni anzicennate e delle dichiarazioni fatte recentemente davanti all’Assemblea Costituente, nel senso che tutti i ricorsi di coloro che sono stati ingiustamente colpiti da provvedimenti epurativi saranno rapidamente esaminati e conclusi, l’onorevole Presidente del Consiglio non ritenga giusto deliberare senz’altro sulle opposizioni di cui è caso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione delle attuali favorevoli condizioni, non ritiene opportuno provvedere sollecitamente alla nomina di unico commissario nazionale per regolare il consumo della energia elettrica in tutto il paese, in modo da evitare che nel prossimo inverno si ripetano le dolorose condizioni degli anni scorsi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barbareschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere a qual punto sono le trattative per l’aumento delle misere pensioni attualmente corrisposte ai pensionati dell’Istituto della previdenza sociale; e per chiedergli se, nell’attesa della riforma generale della previdenza, non ritiene opportuno provvedere intanto alla unificazione degli attuali contributi previdenziali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barbareschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non intenda stabilire che la concessione del sovraprezzo di lire 300 per ogni quintale di grano consegnato all’ammasso sia prorogata fino al 15 agosto come fu fatto lo scorso anno, specie avuto riguardo agli agricoltori delle zone collinose dell’Italia centrale e tenendoconto che ragioni climatiche e topografiche e la stessa scarsezza di macchine trebbiatrici, unita alle peggiori condizioni di viabilità non permettono loro di mietere e di consegnare in tempo. Tale provvedimento eliminerebbe una grave ingiustizia a danno degli agricoltori meno fortunati e più disagiati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zuccarini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno ed onesto sgravare dalle imposte erariali di reddito agrario i comuni di Leinì, Volpiano, Borgaro, Caselle, San Benigno, Brandizzo, Lombardore, Foglizzo, Settimo, Conengo, Vallo, Rodallo, Mazzè, comuni che nei primi di giugno ebbero i raccolti totalmente distrutti dalla grandine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Stella».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le cause che ritardano la ripresa e la condotta a termine dei lavori per la costruzione della strada di serie n. 161 (Valico Lagastrello-Aulla) da parecchi anni interrotti con inutile aggravio di danni e spese, tenendo conto:

  1. a) che un tale inspiegabile stato di inerzia, che i competenti uffici del Genio civile non solo non si adoperano sufficientemente ad eliminare, ma che con la loro indecisione minacciano di cristallizzare, ha provocato e continua a provocare nelle popolazioni interessate un vivo senso di disagio e malcontento che occorre superare, ridando ad esse, con un opportuno e decisivo intervento, fiducia nella capacità e volontà dello Stato a comprendere e a risolvere i problemi che le riguardano;
  2. b) che la costruzione della strada in oggetto riveste particolare interesse di utilità generale, essendo destinata a collegare tra di loro le provincie di Massa Carrara, La Spezia, Parma, Reggio Emilia e a valorizzare vaste zone montane capaci di considerevoli attività produttive, sia nel campo agricolo che industriale, che le mancanti comunicazioni stradali hanno, sino ad oggi, impedito di sorgere o di svilupparsi in modo adeguato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non ritenga opportuno prorogare l’efficacia della legge 8 aprile 1937, n. 631, almeno per quanto ha riguardo alle cooperative, almeno fino al 31 giugno 1948, in considerazione che col 30 giugno 1947 è scaduta l’efficacia delle sue disposizioni, nonché dei successivi decreti riguardanti la tassa proporzionale di registro in relazione ad anticipazioni o finanziamenti concessi ad aziende o enti dipendenti, derivanti da fornitura di qualsiasi genere e considerato anche che di detta legge traggono oggi vantaggio le nascenti cooperative edili ed affini nel procurare gli indispensabili finanziamenti senza oneri troppo gravosi e che la garanzia data alle banche colla cessione dei crediti è l’unica forma che consenta possibilità di finanziamento, e quindi possibilità di vita alle cooperative. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bianchi Costantino, Roselli».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

  1. – Votazione per la nomina di un Vicepresidente.
  2. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Romano                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Discussione):

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Tonello                                                                                                            

Canepa                                                                                                              

Macrelli                                                                                                          

Valiani                                                                                                             

Bertone                                                                                                            

Uberti                                                                                                               

La seduta comincia alle 10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

ROMANO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROMANO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, vorrei osservare che una notevole parte della stampa si è dichiarata poco sodisfatta di quanto l’Assemblea ha deliberato nella seduta di sabato scorso. Infatti, leggendo la relazione degli Undici si ha l’impressione di vedere il medico, il quale si avvicina all’ammalato, constata che gli organi sono sani, ma ritiene, in via di principio, di dettare dei farmaci per lui. Il farmaco che ha consigliato la Commissione degli Undici… (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Romano, mi pare che quello che lei sta dicendo non entri nel processo verbale. Lei intende fare un discorso politico.

ROMANO. Onorevole Presidente, mi ascolti prima! Io non intendo fare un discorso politico, ma un rilievo: sono stati approvati ordini del giorno con i quali si è girato intorno alla questione e non si è colpito nel segno; onde la ragione della non soddisfazione da parte di certa stampa, onde la necessità di mettere in evidenza… (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Questo non è possibile: non è compito dell’Assemblea. Noi non facciamo polemiche con la stampa. Chi vuol farne si serva di un giornale.

ROMANO. Questa non è una polemica con la stampa. Sono stati approvati tre ordini del giorno, ed io intendo soltanto dire che non si è colpito nel segno perché, all’atto della liberazione, vennero distribuiti dai C.L.N. tutte quelle presidenze, tutti quei Commissariati che costano milioni allo Stato. È giusto che, dopo la deliberazione degli Undici, tutti i deputati investiti di cariche le depongano per salvare l’onore dell’Assemblea, perché noi, per l’interesse di pochi, non vogliamo subire il disprezzo sull’Assemblea (Rumori a sinistra), e non si deve far tacere un deputato che vuol mettere a nudo le ragioni che hanno gettato nel discredito questa Assemblea.

Si è parlato del divieto di promozione degli impiegati. Qui si guarda il pelo e non si colpisce il trave.

Una voce al centro. È giusto!

ROMANO. Questo entra nel processo verbale. Bisogna mettere da parte tutti i commissariati e tutte le presidenze e bisogna ripetere quello che disse Vincenzo Cuoco in un salotto napoletano: «Il deputato che veramente merita la stima del popolo è quello che entra nel Parlamento povero e ne esce poverissimo». Ed oggi questo purtroppo non si verifica più. Solo questo volevo dire. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Arcangeli e Molè.

(Sono concessi).

Discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente la istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, desideravo far precedere la discussione da alcune brevi dichiarazioni, a nome del Governo, riservandomi di parlare più diffusamente a chiusura della discussione generale, che sta per aprirsi questa mattina.

Il decreto del 29 marzo 1947 rappresenta l’epilogo di più di due anni di studi che presso il Ministero delle finanze si sono susseguiti, durante le diverse gestioni del Ministero stesso. Il provvedimento è stato approvato dal Consiglio dei Ministri all’unanimità e, con la unanimità dei consensi del Governo di allora, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 marzo; con la sua pubblicazione e col decorso dei 15 giorni stabiliti, è diventato efficiente, salva la portata dell’articolo 77, relativa alla convalida da parte dell’Assemblea. Il nuovo Governo aveva non soltanto il diritto ma il dovere di curare l’esecuzione del decreto, salvo, naturalmente, gli emendamenti che possono essere deliberati dall’Assemblea; ne aveva il dovere, anche per non fare forse il gioco di non sopite correnti e di non sopite forze che avrebbero voluto, con argomentazioni di ordine giuridico, ritardare ancora l’applicazione di questo tributo straordinario. Il Governo, però, fin dai primi contatti avuti con la Commissione parlamentare di finanza per l’esame del disegno di legge sottoposto all’Assemblea, aveva dichiarato e dichiara ancora oggi che desidera tener conto di tutto il contributo di collaborazione che può essere dato affinché questo decreto sia il meno imperfetto possibile. Il Governo ha ringraziato la Commissione parlamentare di finanza per la collaborazione data. Il complesso degli emendamenti proposti dalla Commissione, in linea di massima, incontra il gradimento del Governo. Ed è per questo che io vorrei pregare l’onorevole Presidente di voler mettere in discussione, senz’altro, il testo di legge già emendato, secondo le proposte della Commissione di finanza. Penso che a questo modo molte discussioni potranno essere evitate e quindi potrà essere reso più sollecito il compito dell’Assemblea. Il Governo si riserva, naturalmente, di esprimere il proprio pensiero su qualche particolare emendamento. Il Governo desidera, in questo momento, rinnovare l’assicurazione che esso ha un solo desiderio: che su questo disegno di legge la discussione sia la più ampia possibile, sia la più proficua possibile. Il Governo terrà conto di tutte le modifiche che saranno deliberate dall’Assemblea. Non dico con questo che una cosa lapalissiana, perché è evidente che il Governo non può che accogliere quello che l’Assemblea avrà deliberato, ma desidero soprattutto riferirmi allo spirito che l’Assemblea rivelerà in sede di discussione. Ed è di questo spirito che il Governo desidera tener conto in sede di applicazione pratica del decreto. Si tratta del principale tributo della finanza straordinaria: di quel tributo che, come giustamente ha accennato nel suo intervento di pochi giorni fa il Presidente della Commissione parlamentare della finanza, deve raggiungere un triplice scopo: avere una funzione di ponte in sede strettamente fiscale, in questo periodo in cui la finanza straordinaria sta cercando il suo definitivo assestamento; essere strumento di giustizia sociale chiamando la classe più abbiente al compito della ricostruzione; e nello stesso tempo esercitare una funzione anti-inflazionistica.

Il Governo ringrazia la Commissione, ed in particolar modo il Relatore, per il contributo dato, e ringrazia fin da questo momento gli onorevoli colleghi per l’opera preziosa che vorranno dare al perfezionamento di questo disegno di legge. (Applausi al centro).

TONELLO. Chiedo di parlare sulle dichiarazioni del Governo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Se non ho mal capito, il Governo si propone di passare direttamente alla discussione dei singoli articoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze non ha detto questo, ma ha dichiarato di accettare, in sostanza, il testo proposto dalla Commissione.

CANEPA. Chiedo di parlare sulle dichiarazioni del Governo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEPA. Io non entro nel merito: soltanto mi faccio portavoce del desiderio di molti contribuenti di vedere prorogato il termine per la denuncia dal 13 al 31 del corrente mese.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Effettivamente il Ministero delle finanze ha riconosciuto di non avere il potere di iniziativa di prorogare questo termine in modo formale: sarebbe necessario un provvedimento legislativo, e d’altra parte non sarebbe stato molto corretto nei confronti dell’Assemblea di inserire un decreto legislativo a modifica del decreto 29 marzo, mentre questo si trova davanti all’Assemblea per la convalida.

Si è risolto il problema in sede amministrativa comunicando a tutti gli uffici delle imposte che, in attesa del termine che sarà definitivamente stabilito dall’Assemblea, vengano considerate tempestive le dichiarazioni che saranno presentate entro il 31 luglio. È una formula che non è inconsueta nell’attività finanziaria italiana. Io mi auguro che, prima del 31 luglio, l’Assemblea stabilisca il termine definitivo.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale. Il primo degli iscritti a parlare presente nell’Aula è l’onorevole Macrelli. Ha facoltà di parlare.

MACRELLI. Onorevoli colleghi, assistiamo anche questa mattina ad un fatto al quale ormai siamo abituati: alla ecatombe degli oratori iscritti a discutere su questo progetto importante, che viene finalmente al nostro esame ed alla nostra approvazione. Il fatto trova però una giustificazione ed ha anche un suo particolare significato. Voi ricorderete: eravamo alla vigilia delle ferie pasquali; ci fu allora una interrogazione presentata dall’onorevole Nitti. Egli chiedeva che il Governo facesse una esposizione generale sulla situazione dal punto di vista economico-finanziario: e Governo ed Assemblea furono unanimi nel decidere che, superate le vacanze pasquali, si procedesse subito alla discussione sulla politica generale del Governo in materia finanziaria ed anche sull’imposta straordinaria patrimoniale.

Vi furono allora molti iscritti a parlare, appunto perché pensavano che ad un certo momento la discussione avrebbe investito tutta l’opera, tutta l’attività del Governo.

Sopravvenne invece la crisi. Voi tutti conoscete gli avvenimenti di questi ultimi giorni e quindi la ragione per cui oggi gli iscritti sono diminuiti di numero. Ecco perché io sono diventato l’oratore destinato ad aprire per primo il fuoco di questa battaglia verbale.

C’è una ragione personale che mi indusse allora ad iscrivermi nella discussione generale, ragione personale che permane anche oggi. L’Assemblea probabilmente ricorda che io, in qualità di Ministro, ad un certo momento fui nominato Presidente del Comitato per la propaganda del Prestito per la ricostruzione.

Voi ricorderete naturalmente, onorevoli colleghi, il decreto del 26 ottobre 1946 del Capo dello Stato, concernente l’emissione di tale Prestito. L’articolo 2 di quel decreto parlava delle condizioni in favore di coloro che avrebbero sottoscritto al Prestito e al primo capoverso diceva: «Ai fini tutti di cui al primo comma del presente articolo, i titoli sono esenti da obbligo di denuncia». E non basta, perché c’era stato un impegno preciso, formale, da parte del Governo, assunto – vi dico anche la data – l’11 ottobre 1946 dal Consiglio dei Ministri.

Ognuno può far fede sull’autenticità, sulla verità di quanto dico: vedo sui banchi vicini l’onorevole Bertone che credo potrà confermare quanto io dichiaro in questo momento: un impegno preciso dunque che il cambio della moneta doveva essere abbinato all’imposta straordinaria; e tutto questo, badate, messo in relazione al Prestito che stava per lanciarsi.

Fu questo, anzi, uno dei tanti elementi, starei per dire il principale degli elementi su cui venne impostata la propaganda per il Prestito nel Paese.

In quell’occasione il Comitato nazionale di propaganda, che era presieduto da me, emise perfino una serie di pubblicazioni: fra l’altro, un libretto che fu distribuito a tutti i deputati dell’Assemblea. Era un libretto di istruzioni sul Prestito, era un’indicazione per la propaganda che si doveva fare nel Paese. C’erano cifre dolorose, gravi, che indicavano cioè quello che aveva fatto la guerra, quello che aveva distrutto questo turbine di ferro e di fuoco; erano segnate le rovine non soltanto morali, ma soprattutto materiali, in ogni campo dell’attività. Ma c’erano anche altre cifre più confortevoli, quelle che indicavano la ripresa, sia pur lenta, ma continua, del nostro Paese.

Ad un certo momento noi avevamo segnato sul libretto d’istruzioni queste parole che io richiamo alla vostra attenzione: «Va inoltre rammentato che nell’annunciare remissione del Prestito per la ricostruzione il Governo ha voluto assumere l’impegno solenne di effettuare, appena in grado, il cambio della moneta. Ha voluto cioè dichiarare, al fine che non sorgano più dubbi, che le speciali ampie agevolazioni fiscali consentite ai titoli del Prestito saranno riservate esclusivamente ai titoli stessi e che i biglietti di banca, come ogni altra forma di ricchezza, comprese le merci, che non sarà così semplice come si suppone sottrarre all’indagine del fisco, saranno colpiti dall’istituenda imposta patrimoniale. Non appena le condizioni tecniche lo consentiranno, i possessori di biglietti saranno perciò chiamati a denunciarli per il cambio con nuovi biglietti approntati. Il biglietto di banca perde, di conseguenza, la sua caratteristica di consentire l’occultamento delle proprie fortune al fisco e ai terzi, e questa caratteristica viene assunta esclusivamente dai titoli del Prestito della ricostruzione, con questa differenza: che mentre l’occultamento dei biglietti, quando era possibile, era eseguito nei confronti del fisco contro le disposizioni di legge e, quindi, manteneva sempre il detentore dei biglietti stessi esposto al pericolo di nuovi accertamenti e multe, la non denuncia dei titoli del Prestito è ammessa dalla legge stessa».

E il Paese, nonostante quello che si è detto in contrario, nonostante le critiche che si son volute fare a questo proposito, rispose; e rispose largamente, date le condizioni del momento, all’appello che veniva dal Governo.

Il Prestito ha dato 231 miliardi, dei quali 112 in contanti, 16 con buoni ordinari del tesoro, 79 con buoni poliennali, 24 con la conversione di debiti statali ratizzati per forniture militari.

Il risultato è stato quale ragionevolmente si poteva prevedere: ha dato circa il 12 per cento sul complesso dei depositi fiduciari di 650 miliardi, e della circolazione di 450.

È la media dei prestiti passati: il prestito Soleri lo superò alquanto, perché emesso in un momento di stasi dell’economia, quando i depositi privati erano fermi in banca e le banche li versavano alla Banca d’Italia, unica forma d’impiego utile in quel periodo.

Adesso l’economia privata è in ripresa e le banche tengono a disposizione di essa una quota assai maggiore dei depositi.

Il prestito Nitti del 1919 (sono dati che ho voluto assumere direttamente presso la Banca d’Italia) dette circa 7 miliardi in contanti – cifra cospicua – ma fu emesso a 87,50 e stette aperto sei mesi.

Il prestito attuale, invece, fu emesso al 3,50, fu aperto 44 giorni. A parte la sottoscrizione in contanti, la conversione di quasi 100 miliardi di buoni ordinari e poliennali al 5 per cento, mentre sgravò il bilancio di quasi due miliardi di interessi, lo liberò dal pericolo di rimborsi per cifre ingenti a brevissime scadenze, che probabilmente non si sarebbero potuti fare se, non con un aumento della circolazione.

La cassa della Tesoreria era all’estremo, quando fu emesso il Prestito. Il Ministro Bertone me ne può dare atto; egli trovò in cassa al 20 settembre 5 miliardi; dopo avere nei cinque mei di sua gestione pagato cifre fortissime di spese straordinarie, lasciò al successore circa 30 miliardi di cassa.

Rispondono a verità queste cifre, onorevole Bertone?

BERTONE. 32 miliardi.

MACRELLI. Durante il Prestito la sottoscrizione a buoni ordinari fu quasi nulla, il che prova che i risparmiatori preferirono il redimibile, accompagnato da vantaggi fiscali, ai buoni di più alto interesse. Non solo, ma poiché qualcuno ha voluto scrivere e proclamare che il Prestito ha favorito gli speculatori, i borsaneristi, ecco la smentita più chiara e patente. Ancora una volta io ho chiesto i dati alla Banca d’Italia. Me li ha forniti, gentilmente, di persona, l’onorevole Einaudi, prima di salire ai fastigi e ai fastidi (Ilarità) del potere.

Ecco i risultati provvisori, che non sono gli ultimi dati, perché si riferiscono a poco prima della crisi; sono i risultati provvisori della sottoscrizione in contanti al Prestito distinti per importo. I dati si riferiscono a 42 istituti consorziati su un totale di 60; per 109,4 miliardi di contante sottoscritto su un totale di 112 miliardi.

Vi prego di seguire, onorevoli colleghi, queste cifre che hanno un grande significato ed un valore profondamente morale.

Fino a 10.000 lire il numero di sottoscrittori è stato di 1 milione e 3600; ecco dunque i piccoli risparmiatori, e cioè operai, lavoratori, impiegati, modesti funzionari, quelli che sentono veramente la necessità dell’ora che volge, quelli che in ogni momento sono pronti anche e sacrificarsi materialmente quando è in giuoco l’avvenire della Patria. (Applausi).

Di fronte a questa cifra imponente per il suo valore e per il suo significato – la ripeto ancora una volta 1.003.600 – voi trovate: da lire 11.000 a 25.000, sottoscrittori 205.100; da lire 26.000 a 50.000, sottoscrittori 191.500; da lire 51.000 a 100.000, sottoscrittori 118.300; da lire 101.000 a 250.000, sottoscrittori 62.400; da lire 251.000 a 1.000.000, sottoscrittori 43.100; da lire 1.000.000 a 10.000.000, sottoscrittori 7400; oltre 10.000.000, sottoscrittori 413.

E allora che cosa vi dicono queste cifre, onorevoli colleghi? Che coloro che hanno contribuito, che coloro che hanno dato allo Stato in un momento di grave bisogno, in un momento di pericolo, come al solito, sono stati – ripeto – i piccoli risparmiatori. Con quale ricompensa? Abbiamo il coraggio di dire la verità: non abbiamo mantenuto fede all’impegno assunto. Non voglio indagare e discutere le ragioni ed i motivi che sono già stati esposti, ma che non mi hanno convinto e credo non abbiano convinto la maggioranza della nostra Assemblea. È vero che è venuto successivamente il decreto Campilli: lo abbiamo letto, lo abbiamo commentato per conto nostro. Non sappiamo però se abbia trovato ancora la sua applicazione; non sappiamo se dovrà venire davanti all’Assemblea Costituente e quale sorte avrà; anzi aspettiamo dal Governo una spiegazione in proposito. Comunque, consentitemi di dirlo, il fatto è grave: è grave per il passato, perché abbiamo mancato ad un impegno assunto; ed è grave per l’avvenire, perché io penso che ad un certo momento questo od altri Governi dovranno lanciare nuovi prestiti per sanare la situazione finanziaria; ed allora chi crederà più loro, se abbiamo già mancato una volta alla parola, se non abbiamo voluto mantenere gli impegni assunti formalmente davanti al Paese? Ecco perché io vorrei una parola rassicurante da parte del Governo anche a questo proposito, seppure l’argomento che io tratto ora non si attenga in pieno al progetto di legge che stiamo discutendo. Che cosa del resto dovrei dirvi di questo progetto, onorevoli colleghi? Io non sono un tecnico, non sono uno specialista in materia finanziaria. Ci sono i tecnici che parlano; ci sono gli uomini che si nascondono dietro le astrazioni scientifiche: noi ci inchiniamo. Però io ricordo quello che diceva un giorno Clemenceau a proposito della guerra: «La guerra è una cosa troppo seria per affidarla solo ai generali». Starei per dire la stessa cosa anche per quel che riguarda la politica finanziaria. Guardiamoci dal seguire troppo quelli che sono gli assiomi, gli aforismi, starei per dire i «diktat» della scienza. Certe volte la scienza è in contrasto con la realtà della vita pratica quotidiana, che ci afferra con tutte le sue esigenze e le sue necessità. E quando io sento dal banco del Governo e dai banchi dell’Assemblea ripetere questo concetto: «Una volta che stiamo discutendo la legge sull’imposta patrimoniale straordinaria non possiamo e non dobbiamo più parlare di cambio della moneta», io dico, cari signori, che questa mi sembra una eresia, se non scientifica, pratica.

Negli altri Paesi che sono stati colpiti dalla guerra come l’Italia, che hanno avuto vicissitudini dolorose e tristi come l’Italia, che pure si trovano in condizioni economiche, se non finanziarie, migliori dell’Italia, è stato possibile applicare il cambio della moneta senza l’abbinamento con l’imposta patrimoniale. Perché allora non si può adottare lo stesso provvedimento anche in Italia? E avrebbe un grande significato, il provvedimento, onorevoli colleghi! E così mi riallaccio un po’ finalmente, al progetto di legge attuale. Ci sono ragioni d’ordine materiale ossia finanziarie: lo Stato ha il diritto ed il dovere di incassare più che sia possibile. Sta bene! Il progetto di legge che viene presentato si potrebbe prestare a critiche, dal punto di vista tecnico e dal punto di vista politico. Io non le farò.

Io mi attengo alla relazione perspicua dell’amico onorevole La Malfa, il quale, al momento opportuno, spiegherà, dirà il significato di quella sua relazione, che, se non erro, è diventata una relazione di minoranza o quasi.

LA MALFA, Relatore. No, no.

MACRELLI. Io ho avuto questa impressione. Ad ogni modo, meglio così. Ma, ad un certo momento, c’è stato per aria qualche cosa che non abbiamo ben capito. Lo stesso Governo, per bocca del Ministro, onorevole Pella, oggi dice di accettare le proposte della Commissione di finanza e tesoro. Una volta che il Governo è così acquiescente, significa che l’imposta, così come è varata, dovrà essere da noi approvata; nessun dubbio in proposito.

Ricordate che, quando, alla vigilia di Pasqua, discutemmo di quello che avrebbe dovuto essere poi il dibattito ampio in seno all’Assemblea, dicemmo: discutiamo pure la politica del Governo in linea generale, ma non intendiamo fermare neanche di un attimo i provvedimenti straordinari e, fra tutti, questo decreto, perché lo Stato abbia i mezzi necessari per affrontare i gravi problemi che incombono.

Dunque, dicevo, approviamo. È necessaria questa legge. La modificherete; ma l’importante è che essa venga applicata. Lo Stato ha bisogno di denaro.

Tutti devono pagare. Ecco dove io fermo la mia e la vostra attenzione: tutti devono pagare. Ma con questo decreto non pagheranno tutti. Io non ho potuto fare dei calcoli; avrei voluto e dovuto; ma il mio turno è venuto improvvisamente: ero il ventiduesimo iscritto, sono diventato il primo. Ecco quello che succede di tanto in tanto; allora bisogna parlare impreparati o con appunti raccolti rapidamente. Avrei voluto approntare dati statistici a questo proposito.

Quanti sono quelli che pagheranno l’imposta straordinaria sul patrimonio? Ci sono delle esenzioni? Sono giuste queste esenzioni?

Se è vero che tutti devono contribuire, esenzioni se ne devono ammettere solo in casi veramente eccezionali; soltanto dal punto di vista morale possono esserci enti che, per necessità contingenti, per gli scopi che perseguono, possono anche essere esentati.

Ma la norma generale deve essere questa: tutti devono pagare. Quando dico «tutti», ritorno al mio pensiero di prima: e quelli che hanno accumulato il denaro e lo hanno nascosto? E quelli che hanno vissuto ai margini della vita e del Codice penale?

Una voce. Quelli non pagano.

MACRELLI. Perché non pagano? Questa è la domanda che si fanno tutti; e si ritorna così al mio pensiero, a quello che è stato l’assillo della mia attività, e come ministro e come deputato. Se è vero che devono pagare tutti, devono a maggior ragione pagare quelli che hanno accumulato la ricchezza speculando sul dolore e sui sacrifici degli altri. Questa è l’affermazione che deve fare oggi l’Assemblea Costituente, discutendo questo progetto di legge. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, io non ho da aggiungere altro. Voglio ricordare soltanto a voi ed a me stesso che proprio in questi ultimi giorni noi abbiamo approvato l’articolo 51-bis della Carta costituzionale, affermando un principio altamente morale: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva».

Ora, se è vero che nella Carta costituzionale, che deve essere la Magna Carta delle libertà italiane, unanimi abbiamo approvato questo principio, diamo la dimostrazione al Paese che la nostra Carta costituzionale non è una raccolta di affermazioni teoriche, di principî astratti. Bisogna applicarli i principî. Cominciamo da questo. È l’occasione che si presenta, onorevoli colleghi; diamo questa dimostrazione al Paese che attende con fiducia la nostra opera. Ma la fiducia per l’opera della Costituente sarà ancora maggiore quando noi avremo dato questa prova tangibile della nostra volontà.

Se è vero che il principio è stato consacrato, noi dobbiamo tradurlo nella realtà pratica ed allora avremo veramente bene meritato del Paese e della Repubblica. (Vivi applausi Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Valiani. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi, a chi gli parlava di questioni ideologiche rispetto alla scienza economica, Maffeo Pantaleoni soleva rispondere che di scienza economica non ve ne era che una sola, quella vera. Un giorno qualcuno gli chiese se intendesse estendere questo giudizio anche all’esistenza di una politica economica, se cioè di politiche economiche reali potessero esservene parecchie o una sola, ed egli rispose che se gli uomini fossero in genere ragionevoli (e fra gli uomini comprendeva i membri del Governo e del Parlamento) anche di politica economica in un determinato periodo storico, in una determinata realtà storica, ve ne sarebbe una sola.

Così non era, perché, evidentemente uomini, Governo, Parlamento, ragionevoli non erano.

Mi è venuto in mente questo aneddoto, perché col presupposto che gli uomini siano ragionevoli (uomini, Governo, Costituente) nessuno potrebbe dar torto all’onorevole Nitti quando dice che le imposte si pagano sul reddito e non sul patrimonio.

Questo è, direi, l’A, B, C, della vita economica, quando si tratta di uomini che agiscono secondo il calcolo economico normale.

Io rappresento un Gruppo che è di sinistra; tuttavia quando il Governo De Gasperi, formato dopo le elezioni, un anno fa, presentò il suo programma nel quale figurava l’imposta straordinaria sul patrimonio, io parlando qui, misi subito in rilievo che siccome le imposte si pagano sul reddito e non sul patrimonio, da questa imposta straordinaria sul patrimonio sarebbero venuti fuori soltanto complicazioni, mentre, invece, urgeva in quel momento rendere effettivo il pagamento dei tributi ordinari, sia elevando le aliquote, sia accertando effettivamente i nuovi redditi. Inoltre era urgente in quel momento, ed era ancora possibile, operare delle confische, perché se le imposte non si possono pagare sul patrimonio per ovvie ragioni economiche e pratiche che non starò a ripetere, perché tutti le conoscono (e ad ogni modo le ripeterà l’onorevole Nitti), confische patrimoniali sono invece necessarie quando si tratta di incrementi patrimoniali dovuti a fattori speculativi, monopolistici, congiunture politiche o di guerra, ecc.

Ora direi che c’era ancora, un anno fa, una cambiale d’onore della Repubblica, o se si vuole, delle forze politico-sociali che hanno portato alla vittoria della Repubblica in Italia. Questa cambiale d’onore era la confisca dei profitti di regime e di guerra.

Questa confisca, che poteva forse rendere superflua l’imposta straordinaria sul patrimonio, non è stata, però, operata, ed oggi effettivamente sarebbe quasi utopistico farsi ancora illusioni sulla confisca degli incrementi patrimoniali illeciti o comunque dovuti a situazioni politiche e belliche transitorie che hanno costituito posizioni di privilegio per certuni.

È evidente che, intanto, l’inflazione stessa – che non può essere misurata soltanto con l’aumento della circolazione monetaria (160 miliardi da un anno a questa parte) ma si misura con l’aumento dei prezzi delle merci, ecc. – rende molto meno consistente il valore effettivo che si potrebbe ancora riscuotere con le confische. Ma poi c’è anche una situazione politica combinata. Saremmo degli ingenui se credessimo che il Governo (che si è costituito con l’appoggio di forze politiche che hanno difeso coloro che hanno approfittato di quelle congiunture favorevoli) intende realmente procedere alle suddette confische. Quindi, mentre di fronte ad un Governo il quale avesse proceduto a quelle confische (e non vi ha proceduto neppure il Governo nel quale era rappresentata la sinistra dell’Assemblea, il Governo del 2 giugno) noi potevamo benissimo aderire alla tesi della scienza e, direi, di una politica economica logica, per cui bisogna pagare l’imposta sul reddito, e non sul patrimonio, rispetto a questo Governo di colore noi ci troviamo nella situazione di dover esigere che esso applichi il progetto in discussione, pur con tutti gli inconvenienti che esso presenta.

Noi voteremo in linea di principio per il rafforzamento di esso progetto perché la situazione delle finanze dello Stato è ormai pessima e perché non speriamo più nel risveglio del Governo, risveglio che ci si potrebbe attendere soltanto da un Governo che non poggi sulle classi che principalmente devono pagare e che poggi invece sulle masse lavoratrici realmente interessate alla stabilizzazione della moneta. Quindi, di fronte ad un Governo, qual è l’attuale, di fronte alla situazione pessima sotto ogni aspetto che è venuta a determinarsi, io non posso esigere altro se non che non si attenui molto e piuttosto si rafforzi il progetto. Si è fatto qualche cosa nel campo del pagamento delle imposte ordinarie sul reddito. L’onorevole Scoccimarro, l’onorevole Campilli e l’onorevole Pella si sono succeduti e qualche cosa hanno fatto, però siamo ancora molto lontani dalle necessità. Siamo molto indietro rispetto a tutti i Paesi europei, non uno escluso, ed allora, in questa situazione, con questa mancanza di volontà politica ferma di colpire le classi che hanno più approfittato delle congiunture belliche e fasciste, e di fronte alla situazione del bilancio dello Stato, non c’è che da correre ai ripari con le misure complicate che qui si presentano.

Io stesso cercherò, e altri lo faranno con maggior competenza dopo di me, di far vedere che molte di queste misure sono illogiche. Tuttavia potremo ammettere attenuazioni soltanto là dove si possa documentare che l’imposta, così come è concepita qui, non può essere effettivamente riscossa. Ci sono, a questo proposito, segnalazioni che vengono da parte di uffici tributari i quali ci dicono: badate, determinati lavori sono eccessivi per noi e si disorganizza tutto se dobbiamo fare determinati accertamenti che superano le nostre possibilità. Ma anche tali attenuazioni, a mio giudizio, possono essere concesse solo se, in compenso, ci sono degli inasprimenti.

Evidentemente le imposte si pagano sul reddito, ma la carenza di una politica economica dì risanamento ha fatto sì che oggi ci troviamo di fronte, nel Paese e nella vita economica, a due specie di redditi diversi l’uno dall’altro e di cui l’uno sfugge completamente al fisco. Sono redditi, questi ultimi, a cui accennava poco fa l’onorevole Macrelli. Però, francamente, non voglio pormi davanti a questi redditi solo in atteggiamento di protesta e di condanna morale. Bisogna anche darsi una spiegazione economica del perché gran parte del reddito che si produce in Italia è costituito oggi da redditi speculativi, oggi che non c’è più la congiuntura dell’autarchia, del fascismo e della guerra. La ragione è una sola: che si è fatta una politica di aumento dei costi di produzione, per cui oggi l’imprenditore piccolo e medio, industriale e commerciale e via dicendo, si trova di fronte a questa situazione che, se cerca di produrre redditi normali, non ci riesce e perde. Guadagna in denaro, è vero, ma non riesce a ricostituire le scorte e subisce una perdita.

E non si può pretendere che si produca a perdita, perché ciò vuol dire andare verso il fallimento. Invece, se puntano su redditi speculativi, gli imprenditori guadagnano e si arricchiscono. E voi non potete cambiare il cervello degli uomini e non potete pretendere che, quando si può guadagnare, si perda.

E se fate una politica economica per cui col lavoro normale si perde (anche se si guadagna in danaro si perde in sostanza), mentre col lavoro speculativo si guadagna, anche la gente animata dalle migliori intenzioni morali e da spirito patriottico, disposta di nuovo a difendere con le armi la patria, se ha una azienda esplica spesso oggi la sua attività in modo che parte del profittò sfugga al fisco, perché prodotto in violazione dei vincoli al commercio interno ed estero.

Prendete soltanto questo caso che è fondamentale: il corso della nostra moneta rispetto alle monete estere. Il cambio a 225 col dollaro fu uno degli errori fondamentali della nostra politica economica. Fissare a 225 il cambio col dollaro, in una situazione in cui il rapporto fra costi di produzione in America e in Italia determinava un cambio di 400 circa, fu un errore di cui – se non sono male informato – sono responsabili Corbino ed Einaudi. Possiamo prescindere dalle loro persone, perché si tratta pur sempre di illustri economisti e, se hanno commesso questi errori, era perché la situazione generale confondeva le idee e, nel complesso, il Governo mancava di chiaroveggenza. L’errore fu commesso e questo errore si aggravò, ed il divario tra la quotazione ufficiale del dollaro, anche corretta come accade oggi nella maggior parte dei casi, per via del 50 per cento agli esportatori, si accrebbe via via.

In questa situazione chiunque lavora con l’estero, o anche senza lavorare con l’estero si serve di materie prime che provengono dall’estero a cominciare dal carbone, si trova in una falsa posizione di partenza per cui, se vuole comprare materie prime conteggiate a 225, non vi riesce, a meno che non sia molto in alto nella lista delle assegnazioni governative. E questo non è il caso dei piccoli e dei medi industriali; i quali se vogliono vendere i loro prodotti conteggiando le materie prime e il carbone a 225 o anche a 400, finiscono col vendere sotto costo e perciò conteggiano il dollaro a 700 o 800 inducendo i grossi a fare altrettanto. Su questa situazione falsa, i grossi, e qualche volta non solo i grossi imprenditori ma quelli che hanno potuto avere assegnazioni a costo ufficiale, hanno fatto profitti enormi, perché, evidentemente, il prezzo delle merci è determinato dalla legge della domanda e dell’offerta e nessuno vende al di sotto di come il mercato è disposto a pagare; ma vende piuttosto come se il dollaro per le materie prime l’avesse pagato a 800. Da parte loro i piccoli e i medi si trovano in una situazione per cui debbono arrangiarsi, perché se non si arrangiassero – e arrangiarsi significa non camminare sul sentiero della legalità fiscale – si troverebbero in una situazione di inferiorità.

Prendete il cambio della moneta. Io non condivido lo scetticismo di Einaudi a questo proposito. Del resto il professor Bresciani Turroni, in un articolo sul Corriere della Sera di due giorni fa, ricorda il Belgio, dove il Governatore della Banca Nazionale ha resistito a tutti gli assalti, ed anche agli assalti di chi consiglia di non spendere 16 miliardi per un’operazione di dubbia riuscita. Conviene resistere a tutti i dubbi quando si tratta di operazioni essenziali per il risanamento della situazione finanziaria. Del resto le interrogazioni di ieri sera sulla moneta falsa o rubata in circolazione, o contrabbandata dall’estero, dimostrano che questo provvedimento era necessario anche dal punto di vista statistico. Naturalmente, quello che interessa è il punto di vista economico e quello tributario.

L’onorevole Einaudi dice – e su questo non ha torto – che il cambio della moneta colpirebbe i medi anziché i grossi. Tenete presente che se il cambio della moneta colpisce i piccoli, colpisce essenzialmente quei piccoli e quei medi imprenditori e contadini che hanno fatto profitti in questi ultimi anni. Invece la presente imposta patrimoniale colpirà solo i piccoli e i medi, specialmente proprietari di immobili, che profitti non ne hanno quasi fatto; colpirà specialmente il Sud e le Isole.

Si trattava col cambio di un provvedimento che poteva avere effetti risanatori antinflazionistici in quanto togliesse veramente della moneta circolante, e quindi agisse sui prezzi. Qui, invece, si tassano maggiormente dei piccoli e dei medi che non hanno fatto profitti di congiuntura, senza che ciò agisca in senso deflazionistico sui prezzi. Perché si dice che si venderanno dei fondi, delle case, dei terreni e che quindi i prezzi diminuiranno, ma per vendere bisogna trovare dei compratori e non si venderà tanto quanto, piuttosto, si contrarranno debiti. Per contrarre debiti, ci vorranno emissioni di crediti, operazioni di moneta bancaria, ecc. Perciò il provvedimento odierno non ha altre giustificazioni antinflazionistiche se non quella di alleviare la situazione del Tesoro. Dobbiamo dunque concludere che, siccome non si è fatta la politica che si doveva fare, ormai non resta che applicare questo provvedimento.

Ci sono poi le evasioni di capitali all’estero, di cui spesso si parla qui in Assemblea, e che noi abbiamo denunciato fino dal primo semestre del 1946. Oggi si confessano cifre cospicue, fino a sessanta milioni di dollari. Ora questo provvedimento, non colpisce i capitali che sono evasi, e non induce neppure coloro che hanno esportato dei capitali a reintrodurli e a reinvestirli. Non è un provvedimento che si possa considerare come di normalizzazione della vita economica. Si dice che i capitali sono fuggiti per ragioni politiche, e questo è solo parzialmente vero. Io non credo eccessivamente ai mezzi puramente politici di operare sulla economia, e non credo che basti avere la fiducia politica dei possidenti perché paghino le imposte.

Le evasioni di capitali sono dovute ad una falsa situazione economica. È stato più redditizio ad un certo momento lasciare dei capitali a New York, anziché farli restare qui. È vero, mancava una polizia degli scambi con l’estero e delle valute, però non è mai una polizia che tiene in mano una situazione economica. Sono le tendenze effettive di un mercato di capitali, di valute e di merci, che regolano la situazione economica. Se non vengono altri provvedimenti, quei capitali non rientreranno, o rientreranno solo quando la normalizzazione sarà prodotta dalle fasi ulteriori dell’inflazione; si sa che l’inflazione produce una determinata congiuntura che finisce con i fallimenti, ed i fallimenti finiscono per normalizzare. Perché la paralisi della vita economica – che non si vuole affrontare con il cambio della moneta, col controllo dei depositi bancari, ecc., con la tassazione degli enti collettivi – questa politica di normalizzazione che non si vuole affrontare con provvedimenti economici adeguati, porterà ad un fallimento, un giorno o l’altro. E a questi fatti dovete aggiungere la crisi economica degli Stati Uniti, che ha colpito per esempio tutta l’industria tessile, e che ha preoccupato e preoccupa, perché i giornali hanno colà la consegna – dite preghiera, perché non ci sono disposizioni sulla stampa – di non parlarne. Tale crisi, se non prendete provvedimenti per normalizzare la vita economica, la normalizzerà con i fallimenti. E disgraziatamente, in quel caso, ci saranno anche fallimenti per effetto di questa legge.

Per queste ragioni è urgente che questa legge sia varata subito, al più presto, e che le riscossioni avvengano subito; e credo che la Commissione di finanza abbia fatto bene a dare tutte le facilitazioni per il riscatto anticipato, e credo che bisognerebbe insistere ancora in questo senso.

Riconosco senz’altro giusta l’osservazione fatta sulla stampa, soprattutto da parte dei meridionali, che questa legge colpisce particolarmente la proprietà immobiliare, il cui peso specifico è superiore nel sud del nostro Paese. È verissimo; però non siamo più in grado di fare altro, perché i bisogni della Tesoreria sono quelli che sono, i bisogni dello Stato sono quelli che sono: si comprimeranno le spese, ma chissà quando. Per il momento, come membro della Commissione finanza e tesoro, vedo che anche dopo la creazione del Ministero del bilancio le spese aumentano: i provvedimenti, anche posteriori alla crisi di Governo, sono tutti provvedimenti che in una forma o nell’altra significano aumento di spese, spese militari ed altre. Le amministrazioni tutte vogliono spendere i soldi non potuti spendere nel periodo precedente o nel periodo di bilancio che viene a scadere adesso: quanto non hanno speso nel 1946-47 vogliono spendere nel 1947-48, e questo è un aumento di spesa per il nuovo bilancio. La compressione delle spese è un lodevole intento dell’onorevole Einaudi, e noi non dubitiamo che egli farà del suo meglio. Però, per il momento, non si verifica.

La situazione dello Stato è tale per cui i colleghi del Sud devono rassegnarsi; però credo che essi dovrebbero associarsi a noi per chiedere che, dal momento che si tassano severamente le proprietà immobiliari, che sono prevalenti nel Mezzogiorno rispetto all’insieme della vita economica, si tassino severamente anche le attività delle società industriali e commerciali di peso specifico maggiore nel Nord.

Vengo alla questione della tassazione degli enti collettivi. Quando essa fu portata davanti alla Commissione di finanza, vi fu una discussione tra due colleghi, credo gli onorevoli Scoca e Pesenti, per stabilire se, in linea teorica, gli enti collettivi costituiscano – ai fini fiscali – qualche cosa di diverso dalle singole persone che ne sono proprietarie. Evidentemente, dal punto di vista teorico, inclinerei piuttosto verso la tesi dell’onorevole Scoca, cioè non inclinerei verso la tesi che in Italia il professor Griziotti ha reso popolare, essere cioè il patrimonio degli enti collettivi diverso dal patrimonio degli azionisti. Però questa è una considerazione teorica, che vale, come tutte le leggi economiche, nella misura in cui gli uomini agiscono per calcolo economico normale, cioè non si costituiscono posizioni speciali di privilegio o di monopolio.

So bene che le attività economiche messesi sui binari del privilegio, del monopolio o della speculazione, vi si sono messe appunto per la mancanza di una sana politica economica e non per solo la cattiva volontà o per l’animo corrotto dei singoli. Ma di queste attività particolari che falsano la vita economica, hanno profittato maggiormente società industriali e commerciali, e specialmente le più grandi; e, avendone profittato in modo particolare, devono rassegnarsi a subire l’ingiustizia teorica di essere tassate, dopo che si sono già tassati i singoli azionisti. Del resto, la cosa è ovvia: prendete il corso delle azioni, che si riferisce in questa legge, ad un semestre e precisamente ad un semestre anteriore a molte rivalutazioni avvenute dopo e a molti aumenti nei corsi che si sono prodotti posteriormente. Questo è inevitabile che sia accaduto, perché è chiaro che bisogna pur prendere un semestre e fissare i corsi sulla base dei quali debbono esser poi condotti gli accertamenti.

Ma questo lo sapeva anche la borsa; e le rivalutazioni e gli aumenti dei titoli hanno avuto luogo in gran parte dopo. Adesso siamo di nuovo in un periodo di ribasso in borsa; ma c’è stato un periodo di grandi rialzi, c’è stato un periodo di grandi utili, in cui hanno avuto luogo poderosi consolidamenti col rialzo dei titoli delle società che hanno fatto guadagni reali nella loro attività degli ultimi mesi e anni.

L’onorevole De Gasperi ha mostrato di essere eccessivamente allarmato di ciò; è perfettamente normale ciò che è successo nei mesi di aprile e di maggio. Se si deve condannare qualche cosa, è la politica economica che rende necessari questi metodi per il consolidamento, da parte delle grandi società, dei guadagni fatti con la congiuntura industriale e commerciale.

Comunque, vi sono state grosse rivalutazioni che hanno avuto luogo posteriormente allo spirare del semestre preso come base nella odierna imposta.

Ebbene: come saranno colpite queste rivalutazioni? Quando si discusse di ciò in Commissione, l’onorevole Campilli, allora Ministro delle finanze e del tesoro, in presenza dell’onorevole Pella, disse: «Io mi impegno a presentare un progetto sulle rivalutazioni».

PELLA, Ministro delle finanze. Impegno che è stato mantenuto.

VALIANI. Però è stato rinviato per via della crisi che aveva anche essa interferenze con la vita economica, tanto vero che l’onorevole De Gasperi ne ha preso il pretesto dai fattorini, dalle dattilografe e dalle signore che giuocano in borsa. Ora, se la crisi di Governo si fosse prodotta per ragioni esclusivamente politiche, noi potremmo dire che si giustifica il rinvio del provvedimento, ma poiché le ragioni delle crisi sono anche, indiscutibilmente di natura economica, bisognerebbe che quel provvedimento che colpisce le rivalutazioni fosse già approvato dal Governo. Se fosse già approvato dal Governo, io non presenterei l’emendamento che invece presenterò. Ma quel provvedimento invece non c’è, o per lo meno può darsi che venga troppo tardi. Ecco perché io penso che sia necessario stabilire il principio della tassazione degli enti collettivi.

Per necessità di Stato noi ci siamo messi sulla via delle ingiustizie: facciamo almeno in modo che esse servano a qualche cosa e diano il massimo possibile allo Stato.

Ci sono poi gli enti ecclesiastici; se si tratta di enti che compiono esclusivamente un’opera di beneficenza, religiosa, di culto, evidentemente si tratta di attività non tassabili; se però vi sono invece degli enti religiosi i quali hanno svolto un’attività economica, allora questa deve essere tassata. E non importa l’indagare perché l’abbiano svolta: io posso anche ammettere che l’abbiano svolta per tutelare un patrimonio che giovi agli orfani, ai poveri, che, data l’inflazione e data la contingenza, ogni ente religioso si sia dovuto preoccupare di quello che stava accadendo, abbia dovuto tutelare patrimoni tramandati da secoli o da decenni.

Una volta che si entra nell’ordine di idee di tassare il patrimonio, gli istituti e gli enti religiosi devono anch’essi sottostarvi. Ci sono le necessità dello Stato!

Non si può procedere unilateralmente; ma ci sono enti ecclesiastici che hanno avuto e continuano ad avere funzioni di banchieri, che comprano e vendono divise estere. Non gliene faccio torto perché capisco che, come ogni singolo vuol difendere il patrimonio da tramandare ai suoi figli, anch’essi si preoccupano di tutelare il loro patrimonio.

Dove ci sono incrementi dovuti al fatto di saper amministrare accortamente il proprio patrimonio, questi incrementi devono essere tassati, anche se di enti religiosi.

Le modalità della tassazione degli enti ecclesiastici si negozieranno con gli interessati, si stabiliranno limitatamente a quegli enti che abbiano profittato della contingenza. Se ne può discutere con l’altra parte contraente del Concordato. Ripeto, se gli enti religiosi hanno svolto un’attività puramente religiosa, spirituale, di beneficenza, non si possono tassare. Però è inutile che ci bendiamo gli occhi sugli altri. Piuttosto negoziamo la cosa con la Santa Sede per ciò che riguarda il Concordato.

Altra questione: azioni non quotate in borsa. Anche qui l’onorevole Campilli aveva fatto delle promesse che – non per colpa sua – finora non si sono realizzate, per cui il testo che noi abbiamo accettato in Commissione, e che alla Commissione sembrava adeguato date quelle promesse, oggi non mi sembra più tale. Ci sono industrie, ad esempio di Prato e di Biella, che hanno fatto grandi profitti, ma le cui azioni non sono quotate in borsa.

PELLA, Ministro delle finanze. Il provvedimento è pronto, ma credo che interesserà poco Prato e poco Biella.

VALIANI. Va bene, non ritenevo che si dovesse fare un provvedimento solo per Prato e per Biella, che sono delle simpatiche città, ma per rutta l’Italia.

Ho richiamato Prato e Biella, perché tutti hanno nella mente ciò che voglio dire: società importanti, ma con azioni non quotate in borsa.

Ora, se il provvedimento c’è, vorrei che il provvedimento fosse comunicato all’Assemblea prima del voto. Se poi il provvedimento non fosse approvato e – per qualche nuova crisi di Governo – al posto del Ministro Pella venisse un altro, forse che noi non avremmo sempre una responsabilità davanti allo Stato? È vero che il concetto di Staro è decaduto, disgraziatamente, come se si potesse fare a meno del prestigio dello Stato; ma vi sono dei limiti che devono essere difesi da noi! Noi siamo qui per questo! Noi non siamo qui per difendere interessi particolari; ma siamo qui fondamentalmente per impedire che lo Stato si disgreghi e per ricostruirlo, altrimenti non ha senso tutto quello che abbiamo fatto, e tutte le giustificazioni che possiamo addurre come uomini politici cadono.

Dobbiamo quindi fare in modo che i provvedimenti che sono nell’interesse dello Stato vengano sottratti alle vicende delle crisi governative che sono il risultato di un rapporto di forze fra classi e partiti. Perciò io insisto che questo provvedimento, piccolo ma importante, riguardante le azioni non quotate in borsa, sia pubblicato prima del voto su questa legge.

Passiamo ora ad altro argomento: denaro, gioielli, depositi bancari. La Commissione ha portato alcuni cambiamenti rispetto al progetto governativo. Credo che questi cambiamenti siano in meglio, ma la situazione non è ancora sodisfacente, perché, senza il cambio della moneta, si conteggia per esempio, per un patrimonio fino a 50 milioni il 6 per cento in denaro e depositi; oltre 50 milioni il 10 per cento. Mi pare che questa sia una situazione di favore per i patrimoni dai 10 ai 50 milioni.

Bisogna d’altra parte considerare che oltre i 50 milioni difficilmente si ha molto denaro contante, ma si hanno degli assegni, dei depositi bancari. Oggi ci sono singoli assegni per miliardi: cosa che un tempo non si sarebbe creduto. Anche qui bisogna dire che la Banca d’Italia non ha fatto che pochissimo per intervenire, e noi non siamo ancora rassicurati: non abbiamo ancora visto che l’onorevole Einaudi abbia cambiato i suoi criteri. L’onorevole Einaudi ha scritto cose bellissime sulla condotta stoica della guerra, ma non ha seguito una condotta politica molto stoica come Governatore della Banca d’Italia. Egli dice che non bisogna turbare la vita economica. Ma non bisogna nemmeno rischiare il fallimento per non turbare la vita economica.

Dunque, tornando alla questione, noi possiamo anche lasciare il 10 per cento per i patrimoni oltre 50 milioni, ma occorre la possibilità di accertare i depositi bancari. È vero, c’è la questione del segreto bancario la cui violazione porterebbe certamente un turbamento.

Ma in questa legge si prescrive che i funzionari dell’amministrazione delle imposte devono fare accertamenti da per tutto e di qualsiasi genere, anche sui documenti ed atti di enti pubblici e di privati. Essi hanno il diritto di farsi rilasciare copie, di indagare nel modo più ampio. Immaginate che turbamento porta tutto questo. Tenete conto come i registri siano tenuti da parte di moltissime ditte piccole e medie e grandi, appunto perché la loro attività non è sempre perfettamente in linea con la legge. Ora se tutto questo noi facciamo con un criterio tanto severo, non si comprende poi perché ci si debba arrestare di fronte al segreto bancario: il turbamento economico non sarebbe molto maggiore. Non sarebbe dunque giusto, ed io dichiaro che voterò contro il mantenimento del segreto bancario. Forse portiamo un turbamento ulteriore, ma almeno otteniamo un gettito adeguato e controlliamo i depositi bancari e i conti correnti bancari. Troviamo il modo: è possibile farlo senza paralizzare eccessivamente la vita economica. È stato fatto in altre nazioni; non c’è ragione perché non si possa fare qui. Credo che nessuno di noi possa avere dei dubbi sul fatto che il regime che ci ha preceduto e che abbiamo combattuto con le armi, se si fosse trovato in questa situazione, avrebbe violato il segreto bancario. Non lasciamo che su di noi ci sia la taccia di essere stati meno energici, meno solleciti e inflessibili nella difesa degli interessi dello Stato.

Torno alla categoria dai 10 ai 50 milioni: 6 per cento. Sono considerati il denaro, i depositi, i titoli di credito al portatore. Questa categoria, in generale, ha parecchi meriti: sono i contadini che hanno risparmiato e tesaurizzato denaro. È una delle poche cose di cui si è giovata l’economia italiana: una delle poche cose salutari. Un giorno o l’altro questo denaro rientrerà però in circolazione e determinerà l’inflazione più completa, se non si provvede in tempo. Il conteggio del 6 per cento è insufficiente.

C’è naturalmente una categoria di proprietari di immobili per cui è eccessivo anche il 6 per cento; bisogna trovare il modo che ci sia la differenziazione a favore di questa categoria.

Società non anonime: certamente queste società hanno guadagnato anch’esse del denaro. Tuttavia non è molto logico che siano trattate tanto peggio delle società anonime. Queste società non anonime e non soggette all’imposta di negoziazione devono dichiarare il loro patrimonio con l’indicazione delle quote spettanti ai singoli soci fermo l’obbligo ai soci di comprendere le rispettive quote nella dichiarazione individuale del loro patrimonio. Le sanzioni più severe sono applicabili in confronto delle società anzidette.

Ora questi accertamenti sono al di sopra delle possibilità della nostra Amministrazione; e sono queste le cose che spaventano.

Gli uffici tributari già sanno come le cose potrebbero andare. Ognuno farà le dichiarazioni che vorrà fare. Se si vuole che queste società paghino, bisogna provare loro che pagano anche le altre.

Se le società anonime sono risparmiate, salvo per il corso medio delle azioni nel semestre preso come base, queste società non anonime cercheranno di resistere al fisco; e questo non sarà in grado di colpirle, perché sono troppe, e gli uffici tributari si troveranno in una situazione impossibile.

Perciò, se volete che tutte queste cose siano efficaci, dovete accettare la proposta, già fatta in seno alla Commissione, di colpire anche gli enti collettivi. Se no, tutte queste cose finiranno con lo spappolarsi; rimarrà allora colpita la pura e nuda proprietà immobiliare. Se non colpite gli enti collettivi, se non andate ad accertare i depositi bancari, finiranno con lo sfuggire anche gli enti non collettivi, anche le imprese personali industriali e commerciali; finiranno con lo sfuggire tutti, fuorché i proprietari di case e terreni.

O colpite dove c’è effettivamente un incremento patrimoniale, o non colpirete in nessun’altra parte, se non la proprietà immobiliare.

Si capisce che tutto questo urta contro i principî. L’onorevole Nitti ha dimostrato che tutto il provvedimento urta contro i principî; ma siccome ormai bisogna votare, voteremo in modo che il provvedimento serva allo Stato nella massima misura possibile.

Altre considerazioni.

Sono preoccupato dell’articolo 48, sia nella dizione originaria che in quella della Commissione, per il possibile rinvio del pagamento dell’imposta.

Temo che questo possa suscitare una zona di interessi, che finirà col desiderare l’inflazione.

Ammettendo il pagamento dilazionato, se l’inflazione ha il suo corso, i contribuenti finiranno col non pagare niente o pochissimo.

Io credo che la dilazione sia giusta per la categoria dei piccoli proprietari di immobili, che avrebbe diritto anche ad altre facilitazioni: per esempio ad un maggiore abbattimento alla base.

Si può elevare di qualcosa l’abbattimento alla base, ma non per arrivare ai 20 milioni, come diceva l’onorevole Corbino. Altre facilitazioni si possono dare. Questa della dilazione è però una facilitazione pericolosa, perché interessa all’inflazione proprio i contadini, proprietari di terre, cioè la gente che costituisce il nerbo della vita economica italiana, gente diversa dal fattorino e dalla dattilografa speculatrice, che invece non determina – credo l’onorevole De Gasperi lo sappia anche se finge di non saperlo – l’andamento delle cose; questa gente, invece, lo determina.

Se le categorie rurali finiscono con l’essere interessate all’inflazione, perché questa farà in modo che esse non debbano pagare il tributo, che si considera gravoso, esse agiranno in senso inflazionistico. Queste sono categorie che, a differenza del fattorino e della dattilografa, sono in grado di agire in senso inflazionistico, perché sono produttori di beni o di servizi; e perché possono ai loro prezzi, che preparano in base ai costi di produzione, aggiungere il peso dell’imposta.

Ricordate: quando si fa un preventivo anche il peso delle imposte rientra nel costo di produzione.

Perciò questo articolo 48 mi pare che vada riveduto.

E alcune considerazioni finali sugli articoli 56 e 75. L’articolo 56 prevede delle penalità. Queste penalità sono troppo lievi. Sono multe da lire 10 mila a lire 5 milioni, per chi occulta una parte del proprio patrimonio. Ma si possono guadagnare molto di più di 5 milioni, e siccome gli uomini non sono frati (cosa che una volta si è constatata rispetto agli operatori di borsa)…

PELLA, Ministro delle finanze. L’articolo 55 prevede le frodi vere e proprie.

VALI ANI. Soltanto, onorevole Pella, vi è modo di occultare una parte del patrimonio, senza che ciò poi appaia come frode. Questi sono accorgimenti elementari per ogni società commerciale ed industriale, forse più difficili per una azienda agricola, ma anche in questa si può occultare una parte del patrimonio in base a una determinata stima, che nessun avvocato potrà dimostrare che sia una vera e propria frode.

Credo che le penalità per qualsiasi dichiarazione che poi non corrisponda alla stima che ne darà il fisco debbano essere superiori alle previste. Tanto il giudizio lo daranno il fisco, la magistratura; non è che voi oggi condanniate nessuno, ma per lo meno stabilite dei termini di pena per cui domani il fisco e la magistratura abbiano un’arma in mano; così non ne hanno nessuna, perché i casi veramente fraudolenti sono quei casi che non si possono provare quasi mai.

E poi ancora l’articolo 75: «Il Ministro per le finanze e tesoro è autorizzato a presentare un provvedimento per la riorganizzazione dei ruoli del personale dell’Amministrazione provinciale delle imposte dirette in relazione alle esigenze di servizio conseguenti all’applicazione del presente decreto».

Evidentemente se non presenta presto questo provvedimento, tutta l’imposta è stata inutile e dannosa, perché si finisce soltanto con il complicare il lavoro già esistente.

Io penso che, per quanto questo provvedimento richieda meditazione e maturazione, esso debba venire davanti all’Assemblea, o meglio davanti alla Commissione finanze e tesoro, il più presto possibile. Bisognerebbe stabilire un limite di tempo, perché nell’Amministrazione di questo Stato è prevalsa l’abitudine di dire: sì, faremo questo, faremo quest’altro, e poi passa un anno, ne passano tre e non se ne fa niente.

Io credo che la ragione della crisi morale dello Stato che si ripercuote sui contribuenti vada ricercata essenzialmente in questa abitudine di decidere tante cose e poi non applicarle. Non è che gli italiani siano diventati più malvagi per effetto delle sofferenze e delle privazioni. In fondo il Paese è quello che è sempre stato, ma, quando si governa annunciando continuamente dei provvedimenti che non vengono mai applicati o vengono revocati, si finisce con il dare la sensazione del disordine morale e amministrativo. Io ho paura che questa imposta vada in applicazione disordinatamente.

Una voce dal centro. Ma chi l’ha fatta l’imposta?

VALIANI. L’hanno fatta Scoccimarro, Campilli, Pella, Scoca, tutti quelli che ci hanno lavorato…

SCOCA. Io non c’entro!

VALIANI. Scoca non c’entra, è giusto; c’entra la Commissione di cui io stesso faccio parte. La forza politica della Commissione non è sufficiente però a far prevalere questa imposta nella realtà. Ci vuole la maggioranza o, diciamo più esattamente, la Democrazia cristiana. Bisogna che la Democrazia cristiana sappia resistere agli assalti che le verranno da parte della destra economica, assalti che saranno tanto più pericolosi in quanto si basano su argomenti teoricamente logici. La cattiva politica economica finora fatta ha dato per risultato di dar armi ed argomenti in mano alla destra economica.

Riepilogo: rivalutazioni, imposta di negoziazione, riorganizzazione degli uffici tributari sono provvedimenti per cui bisogna fissare un limite di tempo che garantisca la loro sollecita approvazione. Bisogna decidere che li debba approvare ancora questa Assemblea Costituente dato che ormai, malauguratamente, essa ha prorogato i suoi poteri al 31 dicembre. Altrimenti questa imposta andrebbe in applicazione e gli uffici tributari non sarebbero in grado di farla rispettare. Questa non è un’esagerazione; disgraziatamente così è avvenuto per troppe cose, nel nostro Paese, da tre, quattro anni, e forse anche da dieci a questa parte! (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bertone. Ne ha facoltà.

BERTONE. Onorevoli colleghi, io manifesto sommessamente l’opinione che l’Assemblea farebbe buona cosa a rinunciare alla discussione generale ed a passare senz’altro alla discussione degli articoli del decreto. Una discussione generale si ravviserebbe Utile ed indispensabile forse su un punto solo, se si discutesse dell’opportunità di varare o di rimandare l’imposta patrimoniale; ma poiché mi pare che l’Assemblea sia concorde in tutti i settori che l’imposta patrimoniale va deliberata, le differenze possono venire nei dettagli, negli articoli, e su questi discuteremo uno per uno. Gli stessi discorsi che abbiamo sentito stamane, uno dell’onorevole Macrelli e l’altro dall’onorevole Valiani, mi danno la conferma della bontà di questa mia opinione, perché gli argomenti addotti dall’onorevole Macrelli per rimettere in discussione il non avvenuto cambio della moneta e le conseguenze che ne sono derivate daranno luogo ad ampia discussione quando esamineremo gli articoli 22, 25, 27 e 33 e anche l’articolo che riguarda le sanzioni; e gli argomenti addotti dall’onorevole Valiani sulla mancata ricerca dei depositi bancari e rivalorizzazione degli impianti industriali sono contemplati negli articoli che discuteremo più adeguatamente, quando gli stessi articoli verranno in discussione. Mi pare che qui ripetiamo l’errore fatto nella discussione generale sul progetto di Costituzione per cui abbiamo perso quaranta giorni a discutere in linea generale i principî che poi sono stati ridiscussi uno per uno da tutti gli oratori quando si è passati all’esame degli articoli.

Quello che è detto oggi in sede di discussione generale sarà ripetuto invariabilmente quando riesamineremo gli articoli, ed allora tanto vale non perdere tempo prezioso, perché non ne abbiamo troppo a nostra disposizione, e concretamente esaminare i problemi, uno per uno a mano a mano che si presentano con gli articoli. Faremo così opera utile, concreta e preziosa. A questo fine do io stesso il buon esempio, rinunciando a parlare nella discussione generale, mentre mi riservo di parlare sugli articoli del progetto quando verranno in esame. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone non fa comunque una proposta di chiusura. Rimandiamo il seguito della discussione ad altra seduta.

UBERTI. Ma sono appena le 12!

PRESIDENTE. Vi sono iscritti a parlare che non sono presenti, e forse alcuni vorranno prendere la parola, come, per esempio, l’onorevole Nitti, che in questo momento è tornato da una riunione della Commissione dei Trattati e che non credo sia in condizioni di poter parlare adesso, dopo aver discusso anche in quella Commissione. Se qualche collega vorrà proporre la chiusura, potrà farlo liberamente.

UBERTI. Come risulta dal resoconto sommario di ieri, l’onorevole Presidente che presiedeva la seduta aveva preso l’impegno che si sarebbe deciso ora se si debba discutere l’imposta patrimoniale anche nelle sedute pomeridiane.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, si tratta di essere ossequienti ad un metodo della nostra Assemblea. L’ordine del giorno si fissa nella seduta pomeridiana e quello che lei ha detto ora lo potrà dire nel pomeriggio, alla fine della seduta. In quella sede, l’ordine del giorno per i giorni successivi potrà essere concordato come ella desidera. In questo momento, non posso ascoltare la sua richiesta.

La seduta termina alle 12.

LUNEDÌ 30 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXVI.

SEDUTA DI LUNEDÌ 30 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                  

Rodinò Ugo                                                                                                      

Amendola                                                                                                        

Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale                                       

Benedettini                                                                                                      

Romita                                                                                                              

Russo Perez                                                                                                      

Gullo Fausto                                                                                                   

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro                                                     

Piemonte                                                                                                          

Schiratti                                                                                                          

Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri                                        

Magnani                                                                                                           

Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza

 del Consiglio dei Ministri                                                                                   

Badini Confaloneri                                                                                         

Costantini                                                                                                        

Caprani                                                                                                            

Veroni                                                                                                              

De Maria                                                                                                          

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza

del Consiglio dei Ministri                                                                                    

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                  

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Uberti                                                                                                               

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Chiaramello, Froggio, Fuschini, Gortani, La Pira, Moro, Moscatelli, Reale Vito, Cairo e Jacini.

(Sono concessi).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.

Le prime due riguardano lo stesso argomento e possono pertanto essere abbinate:

La prima interrogazione è dell’onorevole Rodinò Ugo, la seconda dell’onorevole Amendola:

«Al Ministro dell’interno, per chiedere d’urgenza quali provvedimenti siano stati adottati e in rapporto alle autorità preposte all’ordine pubblico e per l’identificazione e deferimento all’autorità giudiziaria dei colpevoli delle provocazioni ed aggressioni effettuate in Napoli in danno di democratici cristiani, e tra essi dell’onorevole Riccio Stefano, nel cortile della sede centrale del loro Partito, da elementi che partecipavano al corteo comunista svoltosi la mattina del giorno 22 giugno dopo il discorso dell’onorevole Togliatti al teatro San Carlo, elementi che, oltre al distintivo di quel Partito, recavano al braccio ed al petto un contrassegno con la dicitura «Squadra d’ordine» ed erano armati di nervi di bue; precisando se l’esistenza di dette squadre di parte possa essere consentita o comunque tollerata».

«Al Ministro dell’interno, per avere dettagliate informazioni sugli incidenti che hanno avuto luogo domenica 22 giugno a Napoli in via Roma».

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il 22 di giugno, in occasione del discorso tenuto dall’onorevole Togliatti. al teatro San Carlo di Napoli, nonostante che da parte di dirigenti del Partito comunista locale si fossero dati ampi affidamenti in proposito, fu da gran parte degli intervenuti organizzato un corteo, che procedendo a bandiere spiegate, giunto all’altezza della sezione della Democrazia cristiana, invadeva il cortile e scontratosi con un gruppo di democratici cristiani, che uscivano da una conferenza tenuta poco prima dall’onorevole Riccio, e con l’onorevole Riccio stesso, venivano a colluttazione.

In questa occasione fu particolarmente notato che i dimostranti erano accompagnati da un notevole numero di persone munite di un bracciale sul quale stava la scritta di «agenti di ordine», nonché di altri distintivi che tendevano a stabilire la loro stessa appartenenza a queste squadre. La pubblica sicurezza aveva disposto presso la sede della Democrazia cristiania un leggero servizio di protezione, non già in funzione di una eventuale invasione, che non era prevista, bensì in relazione soltanto alla conferenza che l’onorevole Riccio vi aveva tenuto, di modo che quando questi dimostranti si presentarono e, armati com’erano di bastoni, tentarono di salire le scale e di invadere i locali della sezione, questi agenti dell’ordine non riuscirono a farvi fronte. Vi fecero fronte i democristiani che, come ho detto prima, scendendo per abbandonare la sede alla fine della conferenza Riccio, si scontrarono con essi, presente lo stesso onorevole Riccio, che proprio in quel momento stava per abbandonare il locale. Dato l’allarme, poco dopo interveniva un reparto della Celere, che riusciva rapidamente a disperdere i dimostranti.

Risulta al Governo che da parte del Partito comunista locale si è sconfessata questa dimostrazione con un comunicato speciale; la si è anzi deplorata e la si è attribuita ad elementi irresponsabili. Da parte della Questura è stata fatta ed è tuttora in corso una inchiesta, la quale ha per scopo di denunciare all’Autorità giudiziaria quanti dei dimostranti sarà possibile riconoscere.

Risulta al Governo che indagini a questo scopo sono state condotte e sono tuttora condotte con molta attività ed è augurabile che gli elementi, che possono essere sentiti come testimoni, si presentino a deporre, cosa che finora hanno fatto soltanto in numero molto esiguo. Naturalmente, se quelle squadre di ordine, di cui è stata notata la presenza in questa occasione, dovessero presentarsi, come viene denunciato da taluni, non già come squadre di ordine, ma come squadre intese effettivamente ad esercitare una violenza organizzata, non potrebbero essere comunque tollerate ed ammesse ed il Governo dovrebbe prendere adeguati provvedimenti in proposito.

PRESIDENTE. L’onorevole Rodinò Ugo ha facoltà di dichiarare se è sodisfatto.

RODINÒ UGO. Prendo atto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario e lo ringrazio per i chiarimenti che ci ha fornito e per le assicurazioni che ci ha dato. Confido però che l’inchiesta prosegua e che vengano accertate le responsabilità anche in rapporto dalla deficiente azione preventiva e repressiva delle autorità locali.

È ben vero che i dirigenti del Partito comunista non avevano in alcun modo dato avviso del corteo che pur avevano, ai loro fini, accuratamente preordinato, ma le autorità avrebbero dovuto aver conoscenza dei preparativi, avrebbero dovuto tener conto della possibilità che il corteo avesse luogo e, comunque, mettersi in grado di contenere se non di impedire la manifestazione. Il corteo invece si è formato, si è snodato lungo via Roma senza che la forza pubblica lo fiancheggiasse, lo seguisse e, per quanto fin dall’inizio si fossero levate grida ostili contro la Democrazia cristiana e contro l’onorevole De Gasperi, nessun efficiente servizio d’ordine fu predisposto e non fu provveduto nemmeno a presidiare la nostra sede, che pure è a pochi metri dalla Questura centrale.

E la deficienza delle autorità locali appare anche più grave, se si tiene presente che nelle prime ore della stessa mattina, mentre da tutti i più lontani centri della provincia affluivano nella nostra città forze comuniste autocarrate ed uniformizzate da grandi fazzoletti rossi, si erano verificati incidenti di minore gravità tra alcuni nostri giovani ed altri elementi comunisti, che muniti di apposite canne, strappavano dai muri i manifesti del nostro partito. E di tali incidenti, e specificatamente di uno occorso proprio in via Roma, la Questura era stata immediatamente informata.

Ma, senza perderci a sofisticare sulle giustificazioni addotte dalle autorità locali, certa cosa è che è stato possibile in una grande città come Napoli, tentare di assaltare la sede di un grande Partito, asportare le insegne, aggredire, malmenare e ferire gli iscritti che si trovavano sul posto, tra i quali un componente di questa Assemblea, e che, ad otto giorni di distanza, la Questura non solo non ha potuto identificare i responsabili e deferirli alla Autorità giudiziaria, ma non ha compiuto nemmeno serie indagini, tralasciando persino di interrogare o chiedere chiarimenti a quanti, e tra essi lo stesso onorevole Riccio, la violenza avevano subito.

Noi non vogliamo, con interrogazioni a serie su questo e quello incidente, isolati o deliberatamente preordinati e coordinati che vogliano considerarsi, esasperare la situazione parlamentare che è venuta a crearsi e dare intralcio all’opera del Governo, ma non possiamo non rilevare che gli incidenti di Napoli rivestono una certa gravità e che l’impressione prodottasi nella parte sana e ben pensante della cittadinanza è assai penosa.

Lo stesso Partito comunista è stato costretto a deplorali pubblicamente, ma permettetemi, amici comunisti, che io ve lo dica: questa storiella di elementi irresponsabili infiltratisi nelle vostre file, questa volta non possiamo berla (Approvazioni al centro), non solo perché è rancida, ma perché anche dai documenti fotografici in nostro possesso risulta che l’irruzione nel cortile della nostra sede si è effettuata in massa, bandiere in testa, e noi non possiamo farvi il torto di supporre che affidiate le vostre bandiere ad alfieri scelti tra elementi estranei, male intenzionati od irresponsabili!

CARBONARI. Squadrismo!

VOLPE. Fascismo!

RODINÒ UGO. Ma io desidero soprattutto richiamare l’attenzione, non solo del Ministro dell’interno e del Governo, ma di tutti i componenti di questa Assemblea, sull’assoluta necessità di evitare qualsiasi forma diretta o indiretta, parziale o totale, di militarizzazione dei partiti e delle organizzazioni collaterali. Per il discorso dell’onorevole Togliatti a Napoli noi abbiamo visto scendere in campo vere e proprie formazioni qualificatesi «squadre d’ordine»: distintivo bracciale, fazzoletto rosso al collo, nervi di bue, sfollagente alla mano. (Commenti). Nessuno assume la paternità ufficiale di queste squadre, ma tutti gli ascoltatori dell’onorevole Togliatti, ancorché invitati con elegante cartoncino all’ingresso del teatro San Carlo, sono stati da esse accuratamente perquisiti, e lungo il percorso del corteo pacifici ed inermi cittadini sono stati insultati, malmenati ed invitati a gridare «evviva» o «abbasso» a seconda le indicazioni di questi novelli squadristi.

Voci al centro. Fascismo!

RODINÒ UGO. Tutta Napoli conosce l’esistenza di queste squadre, le vede entrare in azione, più o meno palesemente, in questa od in quella circostanza. Se ne conoscono i capi, i luoghi di riunione, si conoscono persino le officine, dove a spese dello Stato, si fabbricano questi sfollagente, che costituiscono l’arma, direi così, di ordinanza, ma certo non l’unica arma che queste squadre posseggono.

Organizzazioni del genere non possono, non debbono essere consentite o tollerate; occorre che il Governo intervenga, proceda con la massima energia e trovi largo appoggio per questa opera non solo nel Paese che, sulla via dell’ordine e della legalità già lo segue con appassionato, trepido entusiasmo, ma anche in quest’Assemblea.

Queste squadre ad altro non mirano che ad imporre ed imporsi con la violenza: e la violenza da qualsiasi parte organizzata o esercitata, contro chiunque diretta, deve essere repressa, energicamente repressa, perché costituisce non solo offesa gravissima ai diritti più sacri della personalità umana, ma un pericolo vero e reale per le istituzioni democratiche.

Dopo le recenti e tristi esperienze fassciste, la giovane Repubblica italiana verrebbe meno alle sue finalità essenziali, mancherebbe, direi, alla sua ragion d’essere, se non fosse in grado di difendere e consolidare le istituzioni democratiche del Paese, per il cui ripristino noi tutti abbiamo sofferto, combattuto e vinto. (Applausi al centro). Ho fiducia che il Governo saprà provvedere e provvederà. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Amendola ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

AMENDOLA. Ho presentato la mia interrogazione al Ministro dell’interno, per due motivi. Innanzi tutto, volevo avere l’occasione di rinnovare, in questa sede, la deplorazione che già a Napoli, immediatamente, io personalmente, e la Federazione comunista, facemmo dell’incidente, di cui l’onorevole Riccio è stato vittima. Io so che di questa deplorazione la stampa democratico-cristiana ha voluto mettere in dubbio la sincerità ed i motivi, e la cosa mi ha offeso anche personalmente (Commenti al centro), perché mi sembra che questo atteggiamento, di mettere in dubbio cioè la sincerità delle affermazioni, viene a rompere una tradizione napoletana di cortesia doverosa anche tra avversari politici. Esso è inoltre l’indice di un malcostume politico: forse perché si usa di non fare affermazioni sincere, si finisce col mettere in dubbio la sincerità delle affermazioni altrui.

Una voce al centro. I colpevoli siamo noi!

AMENDOLA. Inoltre, volevo avere l’occasione di ristabilire la reale portata dell’incidente. L’interrogazione dell’onorevole Rodinò parla di «squadre d’ordine», di elementi che portavano il contrassegno «Squadre d’ordine», e precisa che questi contrassegni erano portati con bracciali e al petto e che un corteo sarebbe stato organizzato dalla Federazione comunista. Ora, chi è stato a Napoli sa che la manifestazione di domenica 22 giugno al teatro San Carlo, è stata una manifestazione alla quale sono stati invitati rappresentanti di tutti i partiti politici, per ascoltare la parola dell’onorevole Togliatti. Erano presenti, fra gli altri, anche molti elementi dirigenti liberali e qualunquisti. Purtroppo, il teatro San Carlo ha un numero limitato di posti, ed una gran folla di cittadini, desiderosa di ascoltare la parola dell’onorevole Togliatti, rimase fuori del teatro, sulla piazza San Ferdinando e nella Galleria. Ed è da parte di questi cittadini napoletani, i quali non avevano avuto la fortuna di entrare nel San Carlo, che ha avuto luogo una manifestazione spontanea. (Commenti al centro).

Una voce al centro. Coi nervi di bue!

AMENDOLA. Quando noi a Napoli abbiamo voluto organizzare una manifestazione, l’abbiamo organizzata e ce ne siamo assunti la responsabilità.

Una voce al centro. Anche per quella di Venezia!

AMENDOLA. Questi cittadini, dopo avere ascoltato la parola dell’onorevole Togliatti attraverso la radiotrasmissione in Galleria, tornando a casa per via Roma, hanno improvvisato un corteo. Arrivati avanti alla sede della Democrazia cristiana, essi si sono incontrati con l’onorevole Riccio che si trovava ad uscire dalla sua conferenza. Un illustre cittadino napoletano, il professore Jannelli, il quale si trovava presente, ha precisato sulla stampa la sua testimonianza. Egli ha visto l’onorevole Riccio tentare di uscire con la sua automobile e pretendere di rompere la manifestazione che passava per via Toledo. È evidente che in questa situazione un incidente non poteva non nascere, e, per quanto sempre deplorevole, esso è stato ridotto ai minimi termini, proprio per l’intervento di alcuni compagni che hanno cercato di evitare confusioni maggiori e di riportare la calma. E non ha avuto luogo nessun tentativo di invadere la sede della Democrazia cristiana. Si è parlato di bracciali con la dicitura «squadre d’ordine». In ogni manifestazione politica, ed anche nelle vostre, immagino, nella sala c’è sempre un certo numero di militanti i quali prestano il loro servizio per fare in modo che la manifestazione proceda nel miglior ordine. Anche domenica, al teatro San Carlo, un piccolo numero di militanti ha prestato volenterosamente la sua opera. Ma queste persone portavano un bracciale, sul quale non era scritto affatto «squadre d’ordine». Esse portavano un semplice bracciale tricolore, senza alcuna dicitura, come questo che ora mostro. Questo dettaglio dimostra che l’interrogazione si riferisce a dati di fatto inesistenti. E, come non c’erano i bracciali con la dicitura «squadre d’ordine», così non c’erano i nerbi di bue. Forse l’onorevole Riccio, sotto l’effetto del colpo ricevuto invece di vedere le tradizionali stelle, avrà creduto di vedere cose che non erano se non nella sua fantasia, o che la volontà partigiana di qualche presente ha deliberatamente inventate. (Commenti).

Bisogna anche dire che l’onorevole Riccio a Napoli è noto per la sua intemperanza ed il suo spirito fazioso. (Proteste al centro).

È noto, per esempio, che l’onorevole Riccio, in occasione di una benefica iniziativa napoletana, che ha permesso a ottomila bambini di recarsi da Napoli in altra regione ospitale per ricevere una amorosa assistenza, ha prestato man forte ad una propaganda calunniosa che ha sostenuto addirittura che questi bambini – che dovevano andare in Emilia – sarebbero stati messi in gabbia, ed altre simili fandonie.

In occasione delle elezioni di Bosco Tre Case l’onorevole Riccio la sera del 14 giugno ha annunciato che chissà quali violenze sarebbero state effettuate all’indomani da parte dei comunisti. Per fortuna gli elettori di Bosco Tre Case hanno pensato democraticamente a fare giustizia di simili calunniose affermazioni. Ed è probabilmente anche in seguito ad atteggiamenti così faziosi che la Democrazia cristiana ha visto a Napoli, nelle ultime elezioni, che si sono succedute dal 2 giugno ad oggi, diminuire i suoi voti del 40-50 per cento. (Commenti – Interruzioni al centro).

Una voce al centro. Perché non chiedete perdono?

AMENDOLA. Chiedetelo voi, perché noi non abbiamo fatto niente.

Non merita quindi di essere ingrandito questo incidente occorso all’onorevole Riccio ed esso non deve formare oggetto di una speculazione politica, come è accaduto invece quando si è fatto uscire il giornale Il Domani d’Italia con un titolo a quattro colonne sullo squadrismo rosso a Napoli.

Tutto questo fa parte evidentemente di un tentativo che si svolge su larga scala e con il quale si cerca di creare la leggenda di uno squadrismo rosso (Commenti – Interruzioni al centro) e di una minaccia da sinistra contro la libertà democratica, minaccia che si contrapporrebbe alla minaccia che viene da destra.

E una vecchia storia questa. Io ero ancora ragazzo allorché si faceva lo stesso, e me lo ricordo bene. Si parla di violenze da sinistra e da destra, di necessità dello Stato di applicare imparzialmente la legge contro gli uni e gli altri. Ma in realtà la minaccia viene sempre da una parte. (Interruzione dell’onorevole Mazza).

Onorevole Mazza, a Napoli la situazione è molto migliorata dal punto di vista dell’ordine pubblico e della pacificazione, tanto che negli ultimi mesi non si sono avuti a deplorare altri incidenti. Ed io non esito a riconoscere che a Napoli anche i dirigenti qualunquisti hanno, in questo periodo, contribuito, accanto a noi, ad ottenere una pacificazione degli animi, ed il mantenimento dell’ordine pubblico. Dicevo, dunque, che si cerca di creare questa leggenda di squadrismo rosso, che si contrapporrebbe allo squadrismo nero.

Io ricordo che nel 1922 si parlava di violenze da una parte e dall’altra, ma il Governo, mentre disarmava gli Arditi del popolo lasciava armare le squadre fasciste, mentre reprimeva lo sciopero legalitario lasciava strada libera alla marcia su Roma. Ogni volta che, in Italia ed in Europa, si è detto di lottare su due fronti e contro un preteso pericolo che venisse alle libertà democratiche da sinistra, si è in realtà sempre finito col favorire i movimenti fascisti. La stessa situazione si cerca di creare oggi in Italia. (Proteste a destra). In realtà, l’unico pericolo contro la libertà democratica che c’è oggi in Italia, viene dalla parte di coloro che sono responsabili degli eccidi di Sicilia e della distruzione delle sedi comuniste. (Applausi a sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale, che deve rispondere ad un’interrogazione dell’onorevole Benedettini, ha degli impegni che lo costringono ad assentarsi, ha chiesto che ne sia consentito lo svolgimento anticipato.

Do quindi lettura dell’interrogazione dell’onorevole Benedettini:

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere quali criteri si sono adottati e a quali interessi si è obbedito al suo Ministero, nel designare gli osservatori presso la Commissione di ricevimento e di avviamento degli operai italiani, istituita a Buenos Aires ai sensi dell’articolo 13 dell’accordo stipulato fra l’Italia e l’Argentina nel febbraio ultimo scorso; dato che i designati si dicono tutti elementi di sinistra, e nessuno di essi sembra offrire, per preparazione ed esperienza, quel minimo di attitudini che si richiedono per una funzione del genere. Per sapere altresì quanto vi sia di vero nella voce, secondo chi, da parte di alcuni nostri impresari assuntori di lavori in Argentina, si eserciterebbero indebite pressioni per ottenere la nomina di altri osservatori di loro fiducia, di guisa che i giudici del loro operato sarebbero per essere, secondo un triste costume in vigore, giudici di parte».

L’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale ha facoltà di rispondere.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L’onorevole interpellante, in sostanza, domanda:

primo, quali sono i criteri che sono stati seguiti dal Ministero del lavoro per la nomina degli osservatori previsti dall’articolo 13 degli accordi sull’emigrazione tra l’Italia e l’Argentina;

secondo, se nell’effettuare queste nomine si sia obbedito a particolari interessi e quali;

terzo, se i funzionari designati quali osservatori, appartengano, secondo quanto all’onorevole interrogante è stato detto, tutti a partiti di sinistra;

quarto, se è vero o meno che essi non abbiano preparazione in materia di emigrazione e di lavoro all’estero;

quinto, se si siano esercitati, o se si stiano esercitando, da parte di imprenditori italiani assuntori di lavori in Argentina, delle indebite pressioni sul Ministero del lavoro per ottenere che le ulteriori nomine siano di gradimento degli stessi imprenditori.

Questi sono i cinque quesiti che, se non ho mal compreso, l’onorevole Benedettini ha posto al Ministero del lavoro. Per quanto riguarda il primo punto, se cioè siano stati seguiti dei criteri razionali, da parte del Ministero del lavoro, io debbo riconoscere che sono stati seguiti questi criteri dall’onorevole Romita, il quale provvide alla nomina dei primi tre osservatori in Argentina. Uno di questi osservatori, infatti, fu designato dal Ministero del lavoro, in quanto si trattava di un funzionario della divisione speciale presso il Gabinetto che si occupa delle questioni internazionali e particolarmente dei problemi dell’emigrazione. Il secondo osservatore fu nominato su designazione del Ministero degli esteri ed è supponibile, da tutti i particolari di cui è venuto a conoscenza il Ministero che ha seguito la pratica – ed è quindi anche riconoscibile da parte mia – che il predetto possedesse le qualità adatte per la funzione cui era chiamato. Il terzo è stato nominato su designazione della Confederazione generale del lavoro, e da questa riconosciuto elemento idoneo, dal punto di vista delle particolari funzioni che gli osservatori avrebbero dovuto esplicare presso i nostri lavoratori in Argentina.

Credo che con quanto ho potuto sinora chiarire, io abbia anche risposto al secondo quesito posto dall’interrogante, se cioè, nell’effettuare queste nomine, si sia obbedito a particolari interessi: a nessun interesse si è obbedito, ma si sono voluti soltanto inviare nostri osservatori che fossero in grado di assistere, di dirigere, di orientare i nostri lavoratori e di riferire al Ministero intorno a tutti i problemi che avrebbero dovuto interessare il Ministero del lavoro e quello degli esteri.

Per quanto riguarda la qualifica politica di questi tre osservatori, mi risulta di certo che uno – il dottor D’Elia – appartiene al Partito socialista italiano; un secondo – il dottor Falchi – non risulta appartenente ad alcun partito; il terzo – il dottor Baldelli – rappresenta in seno alla Confederazione generale del lavoro la corrente sindacale cristiana.

Che esistessero delle pressioni in materia da parte di imprenditori, di assuntori, devo escluderlo – almeno per quanto mi riguarda – nella maniera più assoluta. Io non ho ricevuto nessuna pressione da quando sono al Ministero. Mi consta che non abbia ricevuto nessuna pressione di sorta da parte di imprenditori il mio predecessore onorevole Romita. Del resto, la scelta dei tre osservatori dimostrerebbe che egli, anche se ha ricevuto queste pressioni non vi ha acceduto.

Si può concludere questa risposta assicurando l’onorevole interrogante e tutti gli altri che possono avere interesse in materia che evidentemente queste nomine non sono fatte per l’eternità. Del resto, l’accordo stesso italo-argentino non prefigge una particolare durata di questa missione, dipendendo dal modo di esplicare la mansione la conferma o meno di questi osservatori in Argentina.

E a questo proposito il Ministero non ha preconcetti di sorta e obbedisce solo a questo criterio: far sì che gli osservatori siano in grado di tutelare il meglio possibile gli interessi dei nostri lavoratori costretti ad emigrare all’estero.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BENEDETTINI. Secondo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Ministro del lavoro dovrei dichiarare di essere sodisfatto, perché le notizie da lui date sono evidentemente confortevoli.

Però mi limito a notare che effettivamente da parte di taluni esponenti si è dichiarato che le persone inviate – partite in buona parte, mentre qualcuno ancora deve partire – non siano proprio gli elementi più adatti per rappresentare questa categoria di lavoratori. È vero che l’articolo 13 degli accordi con Buenos Aires non stabilisce la categoria dalla quale dovrebbero essere prelevati questi osservatori, ma è opportuno che essi siano scelti fra persone di specifica competenza che possano garantire in modo assolutamente imparziale gli interessi dei nostri lavoratori in Argentina.

Sembrerebbe che, a quanto mi è stato riferito – prendo atto però di quanto ha detto l’onorevole Ministro – non fossero eccessivamente gradite persone che rappresentano partiti che hanno avuto modo di fare delle manifestazioni tutt’altro che favorevoli, specialmente in occasione della presenza a Roma della signora Peron, alla quale non è stata certo fatta una dimostrazione molto simpatica, che ha dato una nota poco opportuna…

Una voce a sinistra. Sono andati a cantare «Giovinezza».

BENEDETTINI. …poco opportuna e poco educata. Mentre tutta l’Italia dimostrava alla signora Peron la sua ammirazione, c’è stato qualche partito che ha creduto opportuno fare manifestazioni contrarie. (Interruzioni a sinistra).

Ora, scegliere in questi partiti i rappresentanti dei nostri lavoratori credo che non sia eccessivamente politico.

Una voce a sinistra. Ci andrà lei.

BENEDETTINI. Comunque, io mi devo attenere alle affermazioni dell’onorevole Ministro e quindi sperare che queste persone facciano il loro dovere.

Mi auguro, però, che se si dovessero eventualmente, come speriamo, mandare laggiù altri osservatori, essi siano scelti fra le persone competenti, fra i rappresentanti del Ministero del lavoro che possano effettivamente dare maggiore garanzia di effettivo lavoro, indipendentemente da pressioni di partito.

Mi dichiaro, pertanto, sodisfatto.

ROMITA. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROMITA. Vorrei assicurare l’onorevole Benedettini che i nomi non sono stati scelti da me, ma dagli organi che l’onorevole Ministro ha indicato; e dirò di più, che forse le persone scelte non avrebbero avuto il mio consenso perché, essendo elementi di primo piano, non volevo privare il mio Ministero di elementi così bravi. Avrei cercato persone estranee, perché non avrei voluto privare il Ministero del lavoro, che non ha grande abbondanza di bravi funzionari, di quelli che credevo i migliori. Ho nominato quelle persone perché mi furono indicate dagli organi competenti e dal Direttore generale del Ministero stesso.

PRESIDENTE. Riprendendo l’ordine delle interrogazioni, passiamo a quella dell’onorevole Russo Perez, al Ministro dell’interno:

«Per sapere quali misure ha preso o intenda prendere il Governo per l’aggressione comunista al Mattino di Sicilia di Palermo, alla sede dell’Uomo qualunque di Pistoia e di altre città».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il 23 giugno ebbe luogo a Palermo, in piazza Bologna, un comizio di protesta per i noti fatti verificatisi la sera precedente in Sicilia. Successivamente un centinaio di dimostranti, dichiaratamente appartenenti a partiti di sinistra, direttisi verso la sede del giornale Il Mattino di Sicilia in via Maqueda, entravano nell’androne che immette ai locali della redazione; per il pronto intervento di agenti di polizia, furono dispersi e allontanati.

Altri dimostranti, contemporaneamente, dirigendosi per vie diverse, fermavano, all’altezza di Via Napoli e dei Quattro Canti, alcuni strilloni dello stesso giornale, ai quali strappavano un migliaio di copie, che distruggevano immediatamente sul posto.

Risulta che molti dei dimostranti erano armati di bastone. Un solo strillone però rimaneva contuso. Sono state date severissime disposizioni per l’accertamento dei responsabili e per i conseguenti provvedimenti.

Anche a Pistoia, in occasione di manifestazioni per i fatti di Sicilia, un gruppo di scalmanati si presentava alla sede del Fronte democratico, ma venne disperso dalla forza di polizia.

Più tardi altri scalmanati si ripresentavano alla detta sede ed a quelle del Movimento sociale e dell’Uomo qualunque; e, poiché a quell’ora erano cessati i servizi di polizia predisposti in relazione alla manifestazione, riuscivano a penetrarvi mettendone a soqquadro le suppellettili, asportando giornali e persino bandiere nazionali che poi bruciavano sulla piazza. La polizia, obbedendo a precise disposizioni ricevute dal Governo, ha subito attivamente ricercato i colpevoli dell’invasione, e, secondo una comunicazione che ho ricevuto poco fa, essi sarebbero stati identificati e già denunciati all’autorità giudiziaria per il danneggiamento loro attribuito.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RUSSO PEREZ. Che io sia parzialmente sodisfatto o parzialmente insoddisfatto non ha importanza. Io penso che i fatti che accadono oggi in Italia, gravissimi quelli di Sicilia, gravissimi quelli di Cremona, gravissimi quelli di Venezia, meritino un esame sereno, ma approfondito.

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, non vorrei che ella decampasse fin dall’inizio dal tema della sua interrogazione; ella sa che la sua è un’interrogazione, non un’interpellanza.

L’interrogazione si riferisce ad un fatto specifico. Questo lo dico ora, perché mi sia risparmiato più tardi di doverla, cosa sempre spiacevole, richiamare all’argomento.

RUSSO PEREZ. L’onorevole Scoccimarro, su questo tema, ha parlato esattamente 40 minuti; nessuno lo ha interrotto; io parlo sullo stesso tema; chiedo la stessa tolleranza che c’è stata per l’onorevole Scoccimarro.

Se ella, onorevole Presidente, ritiene di interpretare più severamente il Regolamento, dichiaro di rinunziare alla parola.

PRESIDENTE. Mi sembra che ella abbia impostata la questione procedurale in modo non esatto. Quello dell’onorevole Scoccimarro non può essere un precedente che modifichi le norme del Regolamento.

Ritengo mio dovere di usare la massima tolleranza ugualmente per tutti i deputati, di tutti i settori, una tolleranza, però, che non porti a mettere nel nulla precise norme regolamentari.

Ella, onorevole Russo Perez, esordisce parlando di cose del tutto diverse da quelle che sono oggetto della sua interrogazione; questo mi permetto di farle presente.

RUSSO PEREZ. Rispondo cortesemente che mi è necessario parlare per più di dieci minuti; se Ella non lo permette, rinunzio a parlare e prego si inserisca a verbale la mia protesta.

PRESIDENTE. Non protesta; ma si inserisce a verbale che il Presidente, richiesto di dare preventiva autorizzazione a violare il Regolamento, non ha creduto di poterlo fare.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Gullo Fausto, al Ministro dell’interno, «per sapere se è a conoscenza di una circolare, che sarebbe stata diramata dalla Questura di Roma e, si pensa, anche dalle altre Questure, a mente della quale è fatto divieto alle organizzazioni dei partiti politici di usare in comizi e in altre manifestazioni impianti per la diffusione sonora delle manifestazioni stesse. Per sapere altresì, nel caso l’onorevole Ministro abbia approvato la circolare suddetta, se egli concorda sul parere espresso dalle autorità locali di pubblica sicurezza e cioè che essa trova la sua giustificazione nel decreto-legge 3 febbraio 1936, n. 418, contenente «norme per l’uso degli apparecchi di radiodiffusione all’aperto e nei pubblici esercizi», convertito in legge 4 giugno 1936, n. 1521, che vieta ai possessori degli apparecchi radioriceventi di farne uso in pubblico. E per sapere se l’onorevole Ministro non ritenga opportuno riesaminare attentamente il testo della legge in parola, la quale, avendo fini protettivi di monopolio delle trasmissioni radiofoniche ed essendo stata a suo tempo promossa dal Ministro per la stampa e propaganda, non può avere applicazione in campi diversi e tanto meno diventare un mezzo per limitare le libertà politiche dei cittadini».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Le disposizioni, alle quali si riferisce l’interrogazione, sono state impartite non oggi, ma con lettera del 7 ottobre 1946 della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Recentemente, in seguito a reclami pervenuti, ne è stata semplicemente richiamata l’osservanza.

Il lamentato divieto riguarda la propaganda politica fatta all’aperto a mezzo di altoparlanti installati nelle sedi di partito, nonché quella fatta per le strade, con altoparlanti installati su automobili; non riguarda l’uso di tali apparecchi nelle manifestazioni politiche, anche pubbliche e preventivamente autorizzate, a norma di legge.

Esso divieto ripete la propria giustificazione dal principio, rigorosamente democratico, che la libertà di parola e di propaganda finisce là dove sorge l’altrui diritto a non subire l’imposizione forzata della propaganda avversaria, imposizione alla quale sono particolarmente idonei i mezzi meccanici o elettrici e che trova argomento nelle disposizioni di cui all’articolo 113 del testo unico della legge di pubblica sicurezza, che sottopongono a licenza non soltanto le pubblicazioni di notizie a mezzo di sistemi grafici ed ottici, ma altresì a mezzo di sistemi acustici.

D’altra parte, la diffusione di notizie di carattere politico dalla sede di qualsivoglia partito a scopo propagandistico non può non destare nell’autorità di pubblica sicurezza una particolare preoccupazione ai fini della tutela dell’ordine pubblico, potendo esso facilmente determinare assembramenti e quindi contrasti.

Se fosse consentito di fare della propaganda pubblica con tali mezzi, senza autorizzazione della pubblica sicurezza, sarebbe inoltre facile frodare le leggi che prescrivono l’autorizzazione preventiva, e di volta in volta, per le pubbliche manifestazioni.

Non si tratta, quindi, di disposizioni contrastanti con il nuovo clima democratico, ma di norme oggettivamente necessarie per la pacifica e ordinata convivenza dei cittadini.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GULLO FAUSTO. Devo dichiarare di non essere per nulla sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato, anche perché la sua risposta non ha niente a che vedere con i dati precisi della mia interrogazione, i quali si riferiscono appunto a dimostrazioni autorizzate per le quali è stato fatto divieto di usare l’amplificazione.

Io non so se l’onorevole Sottosegretario ha la lettera inviata dal Questore (parlo del Questore di Roma; nella mia interrogazione ho detto che non so se da altre Questure siano partiti ordini simili, ma dalla Questura di Roma sì).

La lettera dice: «Poiché è noto, in conformità delle disposizioni impartite dalla Presidenza del Consiglio, che l’uso degli altoparlanti è vietato per ogni attività inerente la politica, ecc.».

C’è anche questo da osservare: che è veramente contrastante con un clima che si possa dire veramente democratico, il fatto che al cittadino riesce non solo difficile, ma assolutamente impossibile, molte volte, conoscere le ragioni per cui la pubblica sicurezza impone un determinato divieto.

Guardi, che noi siamo potuti arrivare a conoscere i motivi di questo divieto impartito dal Questore di Roma, semplicemente dopo avere avanzato molteplici istanze.

Dalla Questura di Roma non si riusciva mai a sapere in base a quali disposizioni di legge, in base anche a quali circolari si potesse vietare l’uso degli altoparlanti.

Ma, ripeto, l’onorevole Sottosegretario non ha risposto alla mia interrogazione, perché, torno a dire, la circolare del questore di Roma, di cui alfine si è potuto avere notizia dopo parecchie richieste, e che è del 12 giugno 1947, si rifà, sì, alla lettera della Presidenza del Consiglio, ma parla di qualsiasi manifestazione politica e dice che per qualsiasi manifestazione politica, anche autorizzata, non può farsi uso dell’altoparlante e quindi della diffusione amplificatrice.

La cosa è più grave di quanto si possa pensare se noi limitiamo la nostra osservazione semplicemente al piccolo episodio; ma anche il piccolo episodio ha il suo valore sintomatico.

Noi torniamo verso un ordinamento che ha delle solenni affermazioni di libertà democratica le quali poi, attraverso questi espedienti polizieschi, non hanno possibilità di essere esercitate. E si ha quindi che in un clima che si dice democratico può accadere che in base alla lettera di un questore si riesce a vietare l’uso dell’altoparlante per determinate manifestazioni politiche. E c’è anche da considerare un altro e più condannevole aspetto e cioè che il divieto avviene solo per determinate manifestazioni politiche.

Avantieri, per esempio, ha parlato l’onorevole Piccioni, il quale si è servito dell’altoparlante…

PICCIONI. No, c’era l’altoparlante interno, ma fuori non c’era.

GULLO FAUSTO. …invece i giovani comunisti avevano una manifestazione al Quarticciolo e proprio in occasione di questa manifestazione, che del resto era autorizzata, è stato loro imposto il divieto dell’amplificazione.

Una voce al centro. Il divieto di usarla fuori della sala è diverso.

GULLO FAUSTO. Ma anche a lasciar da parte questo aspetto della questione, resta sempre il punto centrale, ossia che non è concepibile che si possa limitare la libertà del cittadino attraverso un divieto poliziesco che non si rifà a nessuna legge. C’è sì la circolare della Presidenza del Consiglio, circolare, del resto, che non ha avuto mai applicazione prima del 12 giugno 1947, ossia prima della formazione del nuovo Governo; ma anche la circolare della Presidenza del Consiglio da quale legge è giustificata? Qui c’è una sola norma (e badi il Sottosegretario, che anche per sapere che appunto a questa norma intendeva riferirsi con la sua circolare il Questore di Roma, si è dovuto cercare a destra e a sinistra), cioè il decreto 3 febbraio 1936 contenente disposizioni per l’uso degli apparecchi di radiodiffusione all’aperto e nei pubblici esercizi. E qui si torce in maniera veramente violenta dal punto di vista giuridico e dal punto di vista democratico il significato di questa legge. Questa legge fu proposta dall’allora Ministero per la stampa e la propaganda, ed aveva tutt’altro scopo, quello cioè di vietare che venissero diffuse con alto-parlanti le trasmissioni della radio centrale, ad un fine evidentemente ed esclusivamente fiscale. Ed è a questa norma che ci si richiama per emettere la circolare della Presidenza del Consiglio, la quale quindi è certamente illegale. Non perché l’ha emessa la Presidenza del Consiglio, essa può acquistare una giuridicità che manca, non trovando essa fondamento in nessuna norma di legge. Tanto più illegale è la circolare del Questore la quale, andando molto al di là della stessa circolare della Presidenza de Consiglio, dice che per qualsiasi manifestazione, anche autorizzata, deve essere vietato l’altoparlante. Io chiedo all’onorevole Sottosegretario che voglia esaminare la questione da questo aspetto e non dall’aspetto da cui l’ha esaminata dando a me la risposta, e se risulta al Ministero dell’interno che il Questore di Roma, anche per manifestazioni autorizzate, ha imposto il divieto dell’altoparlante. E poiché oggi l’onorevole Sottosegretario non ha affatto risposto a questa domanda, io non posso non dichiararmi assolutamente insoddisfatto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Sansone, Cacciatore e Mancini:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere in base a quali disposizioni e da chi emanate i carabinieri di Quarto Marano (Napoli) nella mattina del giorno 28 maggio scorso hanno proceduto, senza esibire alcun mandato di autorità giudiziaria né ordini superiori, a una serie di perquisizioni domiciliari nella casa di numerose famiglie di iscritti al Partito socialista italiano, perquisizioni tutte compiute con esito negativo e dirette, a detta dei procedenti, al rinvenimento di armi.

E per conoscere se non ritenga che tale atto, non conforme alle norme procedurali e avente carattere di prevenzione di parte e che ingenera sfiducia e discredito verso gli organi incaricati dell’ordine pubblico, non meriti la sanzione disciplinare opportuna».

Poiché nessuno degli onorevoli interroganti è presente, si intende che essi hanno rinunziato all’interrogazione.

Seguono le interrogazioni degli onorevoli Piemonte, Pera, Di Gloria, Grilli, Paris, Bianchi Bianca, Bordon, Pertini, Zanardi, Bocconi, Bennani, Momigliano e Lussu:

«Al Ministro del tesoro, per sapere se sia conforme al vero l’informazione data dal Journal de Genève, n. 139 del 17 giugno, secondo la quale un vagone di carta filogranata, stampi di biglietti da mille lire, macchine per imprimerli, siano stati clandestinamente trasferiti in uno Stato estero e avrebbero servito a fabbricare moneta italiana, e per sapere, nel caso che la notizia abbia consistenza, quali provvedimenti intende prendere per discriminare la valuta italiana da quella fraudolenta».

e dell’onorevole Schiratti:

«Al Ministro del tesoro, per sapere quanto vi sia di vero nella allarmante notizia pubblicata dal Journal de Genève del 17 giugno e secondo la quale, nell’aprile del 1945, alla stazione di Aidussina, sarebbero caduti in mani jugoslave i clichés dei biglietti da mille, macchine per la loro stampa ed un’ingente quantità di carta filigranata, talché per lungo periodo vi sarebbe stata in territorio straniero stampa e messa in circolazione di cinquanta milioni mensili. Nell’ipotesi che tale notizia abbia fondamento, quali provvedimenti si intenda prendere».

Poiché le interrogazioni riguardano lo stesso argomento, l’onorevole Sottosegretario per il tesoro ha facoltà di rispondere a entrambe.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. La notizia pubblicata dal Journal de Genève, n. 139, del 17 giugno 1947, sulla cui veridicità sono state presentate le interrogazioni a cui si risponde, e secondo cui un vagone di carta filigranata per la stampa di biglietti da mille, un cliché e macchine per imprimerli sarebbero stati trasferiti in uno Stato estero, è una notizia che riproduce altra già data, nel novembre-dicembre 1946, da altri giornali stranieri ed italiani, e che trovò una netta smentita da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri con un comunicato in data 18 dicembre ultimo scorso e che forse giova qui ricordare.

Diceva quel comunicato: «Per quanto riguarda i biglietti attualmente in circolazione, si precisa che né dall’Istituto poligrafico dello Stato, né dall’Officina della Banca d’Italia, né da qualsiasi altro stabilimento sono mai stati asportati, e tanto meno trasferiti all’estero clichés di qualsiasi natura, in originale od in copia, o macchinari, e ciò né prima, né durante, né dopo l’occupazione tedesca.

Per quanto riguarda la carta per la stampa di alcuni tipi di biglietti attualmente in circolazione, evidentemente non utilizzabili senza i clichés che, come sopra è detto, non sono mai stati asportati, è esatto che, durante l’occupazione tedesca si verificarono dei furti, in seguito ad un bombardamento, ma si tratta di quantità limitatissime che, per la efficace azione svolta dalla polizia italiana, sono state quasi completamente recuperate presso i ricettatori. Si esclude, pertanto, che all’estero vi siano clichés e macchinari, o carta di provenienza italiana, utili per la stampa di biglietti attualmente in circolazione, e le notizie relative, destituite di fondamento, vanno senz’altro smentite a completa tranquillità del pubblico.

Il Governo deve confermare integralmente il suddetto comunicato, in quanto nessun elemento è da allora venuto in evidenza che possa modificare le affermazioni fatte. Tutto quello che è da aggiungere è che, nel frattempo, ad opera della polizia, si sono venuti recuperando anche altri quantitativi di carta filigranata, che nel suaccennato bombardamento di un vagone ferroviario avvenuto alla stazione di Pontelagoscuro, e nell’abbandono di un camion nei pressi di Brescia, avvenimenti verificatesi entrambi nell’aprile 1945, erano andati dispersi.

È da aggiungere pure che, nel bombardamento, una parte della carta andò bruciata, senza potersene accertare l’esatto quantitativo e nelle varie successive operazioni della polizia è risultato che, in qualche caso, i ricettatori, vistisi scoperti, hanno bruciato la carta in loro possesso, ed è risultato altresì che parte della carta è stata adoperata per scopi comuni, non criminosi.

In particolar modo, per quanto riguarda la carta utile per la fabbricazione dei biglietti da mille, su quintali 94 circa di carta dispersa, ne sono stati finora ricuperati quintali 81, ed è così da escludere che, se anche la carta mancante non fosse stata distrutta dal bombardamento, dai ricettatori, o in altro modo adoperata, essa non avrebbe potuto permettere che la stampa di un limitato quantitativo di biglietti; sicché devono essere definite fantasticherie le affermazioni secondo le quali, all’estero, si sarebbero metodicamente riprodotti con carta, clichés e macchinari italiani, quantitativi ingenti di nostri biglietti da mille.

La narrazione fatta dal giornale, al quale le interrogazioni si riferiscono, di vagoni vaganti pieni di carta filigranata per biglietti, di clichés e macchine per la stampa che sarebbero rimasti sulle ferrovie italiane per più di un anno, e che al momento della liberazione si sarebbero trovati alla stazione di Aidussina, è perciò del tutto fantastica e, ripetesi, riproduce negli stessi termini e in parte con le stesse parole, informazioni di stampa straniera del novembre 1946, già riprese dalla stampa italiana nel successivo dicembre e, come pure si è detto, messe a punto e smentite dalla Presidenza del Consiglio col comunicato del 18 dicembre ultimo scorso, riportato più sopra.

PRESIDENTE. L’onorevole Piemonte ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PIEMONTE. Mi dichiarerei totalmente sodisfatto, se non ci fossero alcune ombre che derivano, per esempio, se non ho capito male, dal discorso dell’ex Ministro del tesoro Bertone, il quale invocava il cambio della moneta anche per una ragione che è un po’ simile a quella dì cui si parla nell’interrogazione. D’altra parte, io abito una regione dalla quale si può dire che giornalmente una quantità enorme di merci, frumento, granoturco, bestiame, passa a prezzi proibitivi il confine ed è pagata a prezzi enormi. Per quanto vi sia la vigilanza anche da parte della Prefettura, non si è mai riusciti ad impedire questa emorragia delle cose più necessarie per il popolo italiano, che da più anni si verifica. Da dove vengono questi denari allora? Questa è la domanda.

TONELLO. Vendono il grano a 30.000 lire il quintale.

PRESIDENTE. L’onorevole Schiratti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SCHIRATTI. Sono proprio quelle ombre a cui ha accennato l’onorevole Piemonte, più ancora delle pubblicazioni sul Journal de Genève, che mi hanno indotto a fare questa interrogazione.

Da più anni, nelle nostre zone, assistiamo a dei fatti che non siamo riusciti ancora a spiegare. Tuttavia questi fatti una qualche spiegazione debbono averla. Si tratta di una quantità di grano per valore cospicuo, e soprattutto di bestiame; ma non basta: si tratta di macchine, di automobili, di autocarri, di camion, che vengono incettati in quelle zone evidentemente e notoriamente da emissari, da cittadini jugoslavi che trasportano fuori del territorio queste merci e che le pagano profumatamente, a prezzi cioè che determinano gravissimi squilibri monetari.

Ma c’è di più, ed è un fatto che al Governo non può essere ignoto: c’è una corsa all’accaparramento di immobili da parte di cittadini jugoslavi, a Trieste, per centinaia e centinaia di milioni, e tutto quanto si può comprare e concludere, si paga in biglietti da mille. È legittima allora la domanda: da dove vengono questi biglietti da mille? A noi non consta che in questo momento vi sia una bilancia commerciale tra l’Italia e la Jugoslavia, perché non vi sono scambi, e non è possibile quindi che tutto questo denaro provenga da un attivo di una bilancia commerciale che non esiste.

Ci può essere una risposta: il numerario di cui gli jugoslavi si sono impossessati presso le banche di Trieste e di Gorizia durante i 40 giorni è quello con cui si contratta. E pertanto noi abbiamo il diritto di sapere dal Governo qualcosa di più preciso anche a questo riguardo, affinché quelle popolazioni sappiano spiegarsi questo mistero e non restino sempre in uno stato di grave perplessità.

Io desidero cogliere l’occasione per fare una modesta raccomandazione di carattere personale al Governo, ed è questa: i veli e le reticenze, talvolta, se non quasi sempre, sono controproducenti: hanno specialmente un influsso malefico sulla psicologia del popolo. I veli e le reticenze – mi si perdoni un semplice inciso – sui fatti del Poligrafico, se ne convinca il Governo, non giovano nemmeno essi, perché fanno lavorare la fantasia e portano a ingrandire le cose anziché diminuirle. Se, viceversa, si precisassero i fatti, anche se dolorosi e spiacevoli, nella loro reale entità, non ci sarebbe più luogo a commenti e fantasie. Chiudo la parentesi e ritorno al punto che ha formato oggetto dell’interrogazione e dico che non è possibile che il Governo non abbia gli elementi per sapere a quanto ammonti il numerario che è stato asportato dalle casse delle banche d’Italia di Gorizia e di Trieste da parte degli jugoslavi. Sarebbe almeno possibile stabilire se effettivamente questo strano, incomprensibile uso di valuta italiana da parte della Jugoslavia abbia o meno questa origine.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Desidero dare un chiarimento all’onorevole Piemonte, il quale ha trovato che vi sarebbe una contradizione fra le affermazioni, le assicurazioni, le garanzie date da me poco fa sull’argomento e le affermazioni che aveva fatto invece al riguardo l’ex Ministro del tesoro Bertone in un suo discorso all’Assemblea, in ordine all’impossibilità di realizzare il cambio della moneta per effetto di certi inconvenienti, chiamandoli così, che si sarebbero verificati per i biglietti di banca.

Ma l’onorevole Bertone si riferiva evidentemente a quei biglietti che erano stati preparati per una nuova emissione di carta moneta, e precisamente per quei biglietti da 500 e da 1000 che non sono stati mai messi in circolazione. E ciò che era stato rubato non era se non un cliché a forma di pellicola fotografica. In realtà era avvenuto che l’autore stesso di tale cliché, il quale pure aveva tenuto un contegno fedele, fedelissimo, alle dipendenze dell’Amministrazione per venti o trenta anni, ha finito purtroppo per dimostrare che anche le persone fedelissime possono qualche volta cadere.

Ma l’Amministrazione dello Stato (il Tesoro), come era logico, non ha mai messo in circolazione, per ovvie ragioni, questi biglietti da 500 e da 1000 che erano invece destinati a sostituire i biglietti che sono tutt’ora in corso.

Le mie dichiarazioni si riferivano, invece, ai biglietti correnti, o a quelli che volgarmente vengono chiamati «lenzuoli», in viola o marrone, oppure a quelli specialissimi stampati in vari colori, su carta molto più sottile e che sono pure attualmente in corso. Ora, io posso e debbo confermare che i clichés di questi biglietti, sia dell’uno che dell’altro tipo, non sono stati mai smarriti, né asportati fuori del territorio dello Stato.

SCHIRATTI. Ma il Governo è in grado, sì o no, di dichiarare dove sono finiti i clichés che sono stati asportati dall’Aquila? Questo almeno vorrei sapere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. I clichés che furono trasferiti dalla Banca d’Italia dell’Aquila, per ordine del Governo repubblichino, vennero portati a Bergamo con l’assistenza dei rappresentanti della Banca d’Italia stessa, della Direzione generale del tesoro e del Poligrafico dello Stato. Essi erano infatti chiusi sempre in cassaforte e non potevano essere utilizzati se non appunto con il concorso di questi tre ispettori. Erano regolarmente registrati e non sono tornati a Roma se non mediante l’intervento di questi tre organismi: Banca d’Italia, Tesoro e Poligrafico. E sono regolarmente tornati tutti a Roma.

È quindi assolutamente impossibile che essi siano andati a finire all’estero; nulla di diverso è possibile affermare su questo argomento, a meno che non si voglia fare del romanzo.

Ora io mi rendo conto anche delle affermazioni fatte dall’onorevole Schiratti in ordine alla quantità di monete che circolano in certe zone, ma poiché l’interrogazione rivolta al Governo era questa: se è vero che è stato asportato un cliché, che sono state asportate macchine per la stampa di biglietti, che è stata asportata una ingente quantità di carta filigranata, io devo dire che – per il cliché e per le macchine – ciò non è esatto perché non si è verificata nessuna asportazione.

Per la carta filigranata, come ho detto, su 94 quintali di carta filigranata per stampa di biglietti da mille, ne sono stati recuperati 81. Degli altri 13 posso dire che essi comprendevano una partita minima per fabbricazione di biglietti comuni, correnti (quelli che prima chiamavo «lenzuoli») monocromi, grossi, del complessivo valore di quattro milioni di lire. Quella carta sarebbe stata utile per potere stampare tanti biglietti il cui importo non superasse i quattro milioni di lire; e una partita maggiore per fabbricazione di biglietti su carta tipo Aquila Ramy, e precisamente biglietti variamente colorati, e la cui carta ha una consistenza più sottile, del complessivo valore di 427 milioni di lire.

Tale tipo di biglietti è ritenuto tecnicamente non falsificabile, sia per la qualità della carta che non è possibile sostituire, sia soprattutto per la stampa.

Dunque, la carta, che non ancora è stata recuperata dallo Stato, ascende, come ho detto, a 13 quintali; quantità capace, in linea teorica, a fare stampare biglietti per un importo complessivo di 431 milioni.

Però di questi 13 quintali – come ho già affermato e come devo confermare – una parte andò distrutta nell’incendio conseguente al bombardamento; l’altra parte fu distrutta dagli stessi ricettatori (come ha osservato spesso la polizia), i quali, vistisi scoperti, hanno voluto fare scomparire il corpo del reato. E finalmente altra parte si è trovata sui banchetti anche nei mercati, perché le donnette se ne servivano per fare i rotoli dove mettere carne, pane, legumi, ecc.

Quindi non è esatto neppure ritenere che tutti i 13 quintali di carta, che ancora non sono stati recuperati, abbiano potuto essere utilizzati. Tutto ciò a prescindere dal fatto che l’utilizzazione della carta filigranata presuppone anche l’esistenza dei clichés e della macchina per stampare.

Ora, poiché è certo che né macchine né clichés sono stati asportati all’estero, è chiaro che la carta non ha potuto essere utilizzata per stampare autentici biglietti da mille. Può servire ai falsari per l’uso che noi tutti conosciamo, ma è chiaro che i biglietti sarebbero falsi per altro verso, perché non deriverebbero dall’applicazione di un vero cliché e dall’uso di una vera macchina.

Quanto alle osservazioni dell’onorevole Schiratti sui fatti del Poligrafico, devo dire che il comunicato l’ho scritto proprio io e ho detto tutta la verità e soltanto quella che era la verità. E non posso cambiare obiettivamente le cose per far piacere ad una parte o ad un’altra. La verità è quella consacrata nei comunicati del Ministero del tesoro che io ho scritto, e spero che l’Assemblea mi vorrà dare atto di questo, con la maggiore coscienziosità e con la maggiore comprensione del dovere che oggi ha, non solo il Governo, ma tutta l’Assemblea Costituente, in ordine alla fede che si deve prestare ai biglietti di Stato.

So benissimo che vi è stata nel pubblico e nella stampa una parte che voleva assolutamente lo scandalo ed ha ragionato così: il comunicato del Governo non sodisfa perché la verità è diversa, deve essere diversa. Ora se si parte da questa premessa pregiudiziale, che la verità è diversa, perché deve essere diversa, è chiaro che qualunque comunicato del Governo, non solo quello che ho avuto l’onore di redigere e di far pubblicare dalla stampa, non sodisferebbe l’opinione pubblica, la quale parte evidentemente da un pregiudizio. La verità è quella contenuta nel comunicato che ho avuto l’onore di far pubblicare, e confermo che nessun falso si è compiuto nel Poligrafico dello Stato: nessun cliché è uscito dal Poligrafico dello Stato, nessun biglietto falso si è stampato nel Poligrafico dello Stato, nessuna serie di biglietti doppi si è stampata nel Poligrafico dello Stato.

Ad ogni modo, tutto questo non fa parte dell’interrogazione odierna. Se qualcuno degli onorevoli colleghi intende sentire dal Governo come le cose si sono svolte, può fare una particolare interrogazione e noi risponderemo.

La stampa estera si è occupata di questa faccenda, cioè della dispersione di carta filigranata, nell’aprile del 1945; ha affermato che vi era stata sottrazione di clichés e noi sappiamo che la Gazette de Lausanne il 20 novembre 1946 ha fatto delle affermazioni che sono riprodotte, anche stilisticamente, nelle espressioni del Journal de Genève. Ed il romanzo che era nella Gazette de Lausanne è ripetuto dal Journal de Genève ed è riprodotto anche dalla stampa italiana.

Vorrei fare appello agli onorevoli colleghi, ed attraverso questa Assemblea Costituente, al Paese, per un senso di particolare comprensione. Noi abbiamo il diritto di pretendere anche dall’estero la fede pubblica per la nostra moneta e abbiamo il dovere di non creare delle storie romanzate anche sui biglietti di Stato, sui biglietti di banca, perché il nostro credito è una necessità per la ricostruzione economica e finanziaria del Paese.

PIEMONTE. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Le ultime parole pronunciate dal Sottosegretario di Stato per il tesoro potrebbero far supporre che gli interroganti, o almeno uno degli interroganti – io ho questa sensibilità politica – si siano prestati ad un giuoco contro la moneta italiana, fatto dal Journal de Genève prima e dalla Gazette de Lausanne dopo. Io credo, ammesse ed accertate tutte le circostanze ed affermazioni fatte dal Sottosegretario di Stato per il tesoro, che abbiano dato ad esso una magnifica occasione per chiarire le cose, metterle a punto, per cui tutta l’opinione pubblica all’interno e all’estero possa essere informata al riguardo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Magnani al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, «per sapere se abbiano compiuto passi presso le Autorità alleate competenti allo scopo di ottenere una commutazione della pena inflitta dal Tribunale militare alleato, testé riunitosi a Livorno, a carico di un cittadino italiano il quale, in occasione di uno dei più tragici bombardamenti della città di Grosseto, ha commesso atti che provocarono la morte di uno degli aviatori che avevano proceduto al bombardamento e il cui apparecchio era stato precipitato dalla contraerea; o se, non avendoli compiuti, non ritengano necessario ed urgente provvedere, dando così giusta soddisfazione all’unanime opinione pubblica».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Ministero degli affari esteri, non appena avuta notizia della condanna a morte del cittadino italiano Ido Turchi da parte della Corte militare di Livorno, si è vivamente e ripetutamente interessato sin dal 6 giugno in favore del condannato presso le competenti Autorità alleate.

Non si è mancato di far presente tutti gli elementi diretti e le circostanze particolari di fatto che potevano influire in favore della sospensione dell’esecuzione della pena capitale e di eventuali misure di clemenza.

Si ha notizia che la sentenza non è stata eseguita e che prossimamente la questione verrà presa in esame dal Comando supremo alleato.

PRESIDENTE. L’onorevole Magnani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MAGNANI. Mi risulta che in questi giorni i difensori del condannato a morte si sono rivolti al Comando alleato dicendo che l’accusa mossa al Turchi, imputato di avere ucciso un aviatore americano con un colpo di baionetta alla schiena, non risponde a verità; e che risulta invece da un certificato dell’Ospedale militare di Lucca che l’aviatore americano non è morto né per colpo di arma od altro, ma semplicemente per lesioni.

Le nostre organizzazioni hanno fatto presente che il Turchi non ha compiuto l’atto, in quanto che non vi sono testimonianze che avvalorino l’ipotesi sostenuta dal Comando alleato. Noi quindi chiediamo che il Ministro degli esteri intervenga anche presso le Autorità alleate, affinché la revisione del processo sia fatta con una certa sollecitudine, perché tutta la massa degli italiani e specialmente la popolazione di Livorno, riconoscono che il Turchi è innocente e che è stato compiuto un errore giudiziario; e chiediamo che anche attraverso l’opera del Governo le Autorità alleate riaprano il processo in maniera che il Turchi, padre di cinque bambini, possa essere restituito alla propria famiglia.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Badini Confalonieri, Giacchero; Bertone, Scotti Alessandro, Baracco, Bovetti, Bellato, Stella, Cremaschi Carlo, Villabruna, Bubbio, Raimondi, Bertola, Bordon, Geuna, Quarello, Grilli, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, «per sapere: 1°) quale fondamento di verità abbiano le notizie relative al fatto che – consenzienti tutte le autorità di dogana, di polizia e comunali – nella notte del 5 giugno ultimo scorso, 23 muli provenienti dalla Francia abbiano valicato il confine e siano stati regalati a cittadini dell’Alta Valle Roja, che avevano dimostrato simpatie filo-francesi, e precisamente 12 a Tenda e 11 a Briga; 2°) per conoscere ancora perché i sussidi ai profughi della zona (170 famiglie), onde consentire loro i mezzi di sostentamento in attesa di sistemazione e di lavoro, non siano regolarmente versati, contrariamente ai disposti di legge vigenti (creando giustificato malcontento); 3°) per conoscere, infine, se, di fronte al ben diverso trattamento che i filo-francesi ricevono dalle autorità della Nazione vicina, ritengano che il preannunciato plebiscito, che avverrà nell’assenza dei profughi e nel timore dei rimasti, non possa che servire ad invalidare l’altro plebiscito, operato in piena obiettività dai sindaci italiani e che – riconosciuto non coatto dalla stessa Commissione alleata – aveva dato una netta maggioranza contraria all’annessione francese. L’urgenza è motivata dalla imminente occupazione della Alta Val Roja da parte della Francia».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’interrogazione consta di tre parti. Alla terza risponderà il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La prima e la seconda sono di un valore molto diverso: la prima riguarda l’ingresso in Italia di un certo numero di muli che dai rapporti ufficiali giunti al Ministero risulta sia effettivamente avvenuto.

Ai primi di giugno sono stati segnalati alla frontiera alcuni transiti di muli, motivati dalla scarsità di foraggio nel nizzardo; da indagini fatte dopo la presentazione di questa interrogazione non è risultata alcuna interferenza di carattere politico, sia interna che estera.

È risultato, invece, che è sorta una certa dotta disputa tra il veterinario locale e l’addetto alla dogana, sui cui termini, in base alla relazione fatta dall’ufficio, credo di non poter riferire, per non venir meno, dato il tono troppo veristico, ad una certa linea di correttezza parlamentare. Metto questa relazione a disposizione dei colleghi che hanno presentato l’interrogazione.

Dalle indagini risulta che, dopo questa discussione tra gli organi competenti, sette muli furono rimandati indietro e gli altri fatti entrare, in base alle considerazioni della relazione.

Il secondo quesito, di maggiore importanza, riguarda i profughi di Briga e di Tenda. Dal Ministero sono state emanate disposizioni per dare a questi profughi lo stesso trattamento concesso ai profughi di Pola, cioè il trattamento più favorevole tra i profughi delle varie zone.

Era stata data al riguardo una precisa disposizione ai prefetti di Cuneo, Imperia, Torino, Genova ed Alessandria, zone dove era segnalata la presenza di questi profughi. Dopo la presentazione dell’interrogazione, nel dubbio che non fosse stato, in effetti, messo in pratica quanto disposto dal Ministero, è stato diramato un telegramma sia a quei prefetti, sia agli altri, richiamando la precisa disposizione del Ministero. A questo non risulta che vi siano richieste inevase nelle Prefetture. Se ai colleghi interroganti risulta, invece, il contrario, essi sono pregati di fornirci dati più concreti, in modo che si possa intervenire efficacemente presso le Prefetture.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, ha facoltà di rispondere per la parte che lo riguarda.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il plebiscito, per il quale è stata presentata l’interrogazione, è stato deciso dal Governo francese in dipendenza della disposizione dell’articolo 27 della Costituzione della vicina Repubblica, che stabilisce: «Nessun acquisto di territorio è valido senza il consenso delle popolazioni interessate».

Nella relazione a stampa presentata all’Assemblea nazionale francese dal deputato Gorse è scritto: «Abbiamo preso nota con sodisfazione dell’intenzione del Governo di fare votare dall’Assemblea, entro il più breve tempo possibile, un progetto dì legge per organizzare la consultazione delle popolazioni nei comuni di Briga e di Tenda. Tutte le garanzie saranno prese per assicurare la libertà dell’espressione delle popolazioni interessate. Entra nelle intenzioni del Governo francese di domandare al Presidente del tribunale dell’Aja di designare, a titolo di testimoni, tre osservatori stranieri. Prima che le popolazioni interessate si siano definitivamente pronunciate, un’amministrazione provvisoria francese verrà instaurata nelle regioni annesse alla Francia, in virtù del Trattato».

Nel suo discorso all’Assemblea il relatore non ha ripetuto quanto sopra, ma si è limitato a dire che il Governo francese aveva in animo di «dare a tale consultazione tutte le garanzie che assicureranno la libertà di espressione alle popolazioni di quei comuni (Briga e Tenda)».

Salvo le dichiarazioni di principio circa la decisione del Governo francese di indire un plebiscito, nei discorsi del Ministro degli esteri francese e dei relatori all’Assemblea nazionale francese ed al Consiglio della Repubblica francese, non sono state ripetute le più precise indicazioni contenute nella relazione sopra citata.

Si tratta, in ogni modo, di provvedimento interno francese, in esecuzione di un preciso disposto della Costituzione.

Il Governo italiano non può che rilevare che un plebiscito unilaterale, tenuto dopo il trapasso di sovranità ed in assenza di numerosissimi abitanti italiani della zona, che si sono già allontanati da quella località, in previsione della cessione alla Francia, non potrà evidentemente acquistare carattere probatorio nei confronti dello Stato italiano.

PRESIDENTE. L’onorevole Badini Confalonieri ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BADINI CONFALONIERI. Ringraziare gli onorevoli Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio e agli esteri, per la sollecitudine con la quale hanno voluto rispondere alla interrogazione, che è stata presentata dai deputati piemontesi – senza distinzione di parte, ma tutti uniti per la difesa dei diritti d’Italia e degli interessi d’Europa – ringraziarli – dicevo – è un gradito dovere. Ma è anche dovere preciso di coscienza personale e di rispetto per il preciso mandato ricevuto dai nostri elettori di non poterci dichiarare soddisfatti di quell’opera che i passati Governi non hanno svolto nei confronti delle popolazioni di Briga e Tenda.

La questione dei muli voleva essere semplicemente una esemplificazione. Altre molte ve ne sono. Noi non neghiamo che ci siano stati dei provvedimenti assunti dalla Presidenza del Consiglio. Diciamo però che questi provvedimenti non sono applicati e se l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri vuole, posso esibire le lettere che quotidianamente mi giungono e che dimostrano la verità del mio asserto.

Per quanto poi attiene al preannunciato plebiscito, questo sarebbe il terzo plebiscito che si effettuerebbe a Briga e Tenda, perché un primo plebiscito è stato già fatto dalle autorità francesi subito dopo la liberazione. Un plebiscito che, evidentemente, non ha nessun valore probatorio.

Basta osservare la forma che non è neppure alternativa, che non consente altra dichiarazione all’infuori di quella di «sollecitare il grande onore di diventare francesi»; e necessita sollecitare questo onore per avere un altro foglietto che qui pure esibisco: Monsieur a été recensé. Soltanto dopo aver ottenuto siffatto foglietto di censimento, si potevano ritirare le carte annonarie.

Ogni commento è superfluo.

Ma, in prosieguo di tempo, c’è stato un secondo plebiscito fatto dai sindaci nominati dai C.L.N., un plebiscito che la stessa Commissione interalleata, recatasi sulla località il 1° maggio 1946, costituita anche da due rappresentanti francesi e da nessun rappresentante italiano, ha dovuto dichiarare sereno, obiettivo, regolare: un plebiscito che ha dato la maggioranza all’Italia, sia in Briga, sia in Tenda, anzi il 70 per cento di maggioranza all’Italia.

E allora questo terzo plebiscito, a quale scopo tende? Se esso vuole essere fatto regolarmente, non può che confermare il risultato del secondo plebiscito; se invece esso non è che una finzione democratica, occorre immediatamente dichiarare che se la legge del vinto ci impone di assoggettarci al «diktat», ebbene ci si consenta almeno di piangere le nostre lacrime in silenzio senza aggiungere allo scorno anche le beffe. Quale valore può avere un plebiscito operato dopo l’annessione, senza garanzie internazionali, senza che la Francia si impegni preventivamente a rispettarne i risultati, quando buona parte della popolazione si è allontanata profuga dalla zona?

L’onorevole Sottosegretario di Stato ha ritenuto nella sua risposta di fare riferimento a quanto il Relatore al Parlamento francese, onorevole Gorse, ha detto, ma l’onorevole Gorse parlando del «dettato» ha concluso affermando testualmente «che questo trattato era sprovvisto di anima e di idee direttive, era molto lontano da quell’ideale di cooperazione nazionale, era insomma un trattato del tipo 1915».

Ora tutto questo diciamo, non certo per un sentimento di esasperato nazionalismo, che è veramente lontano da noi; questo diciamo perché desidereremmo che quel valico di Tenda non fosse motivo e fomite di irredentismo, ma divenisse un valico attraverso il quale si sviluppasse e si convalidasse l’amicizia italo-francese, che è necessaria per l’Italia, per la Francia e per l’Europa. Noi abbiamo la convinzione che se la Costituente e se il Governo italiano sapranno fare partire un appello al popolo francese perché questa inutile ingiustizia della cessione di terre e di popolazioni italiane non si compia, il popolo francese, che ha dimostrato di comprendere quale importanza possa avere per il futuro d’Europa una salda unione fra le due Nazioni, non lascerebbe cadere questo appello. E in questa fiducia ci rafferma proprio quella espressiva, incisiva definizione che di coteste rivendicazioni, in un suo articolo del luglio scorso ha dato Léon Blum, rappresentante autorevole del partito socialista francese, quando ha dichiarato che siffatte rivendicazioni sont seulement des stupidités. Noi reputiamo che potrebbero diventare, con la rinunzia fatta dalla Francia, il motivo di un rinsaldamento della nostra amicizia, di quella amicizia che vorremmo salda e duratura e proficua, nell’interesse nostro, nell’interesse della Francia, nell’interesse superiore dell’equilibrio e della pace europea. (Applausi).

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo si associa alla proposta dell’onorevole Badini Confalonieri, per un appello, nel senso da lui esposto. Fin dall’anno scorso, quando la Delegazione italiana alla Conferenza della pace si occupò di questo problema, rivolse un accorato appello alla Francia ed a tutto il popolo francese, per evitare che la questione di Briga e Tenda, che tutti i buoni francesi riconoscono inadeguata all’importanza datale da alcune correnti francesi, fosse risolta nella maniera più equa ed in modo da non lasciare sussistere tra Italia e Francia un pomo di permanente discordia.

Quello che è stato fatto a Parigi dalla nostra Delegazione nell’agosto scorso, può essere ripetuto dall’Assemblea Costituente italiana, ed il Governo sarà lieto se questa manifestazione avrà un carattere di solidarietà, che richiamerà l’attenzione del popolo francese, col fervido augurio che questa volta l’appello sia accolto. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Costantini, al Ministro dell’interno «per conoscere quali sono le disposizioni di legge le quali consentirono al signor prefetto di Treviso di emettere un decreto di requisizione di una casa di privata abitazione occupata da sei famiglie, ordinando ai legittimi possessori il rilascio dell’immobile centro il 15 giugno. Il decreto regio del 18 agosto 1940, n. 1740, è inapplicabile per ovvie ragioni al caso in esame, e non può giustificatamente invocarsi il decreto legislativo 26 aprite 1947, n. 264».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il prefetto di Treviso ha comunicato di aver disposto la requisizione del Palazzo Revedin, per sede del comando della divisione «Folgore» in quanto il Palazzo Scotti, che sarebbe stato prescelto dalle autorità militari, e che fu sede del comando del XIV Corpo d’armata durante l’ultima guerra, è occupato attualmente dall’Amministrazione provinciale, che ha avuto il suo palazzo in parte distrutto dalla guerra ed in parte occupato dalla Prefettura coi suoi nuovi servizi dell’assistenza post-bellica Commissione U.N.R.R.A., ecc.

Detto Palazzo Revedin, fu già sede del comando supremo durante la guerra del 1915-18 ed è l’edificio di Treviso che meglio si presta alla bisogna, come hanno convenuto le autorità locali.

D’altra parte, qualunque edificio di Treviso venisse prescelto, sempre farebbe d’uopo dare lo sfratto ad altri occupanti, famiglie o uffici pubblici.

Nel caso del Palazzo Revedin, le famiglie occupanti sono 5, fra le quali quella del proprietario. Il prefetto si è interessato presso il Commissariato alloggi per riservare alle famiglie sfrattande decorosi appartamenti in uno stabile di recente costruzione e di prima occupazione di proprietà dell’Ente della liberazione; ed ha rivolto premure al comando della divisione «Folgore» per consentire che nel palazzo stesso il proprietario possa conservare il proprio gabinetto dentistico, e perché l’Amministrazione militare si assuma l’onere del trasferimento delle masserizie delle famiglie.

Intanto, a causa della resistenza degli ospiti del Palazzo Revedin, l’autorità militare, che pur deve sistemare i propri comandi ed uffici dislocati a Treviso, minaccia di occupare altri locali, tra cui quelli scolastici di Via San Liberale, con evidente grave pregiudizio dei servizi.

Il prefetto, pur avendo fondato il decreto di requisizione sulla citazione del regio decreto 18 agosto 1940, n. 1741, che non può essere applicato dopo trascorsi i 6 mesi dalla cessazione dello stato di guerra, e la cui proroga stabilita dal decreto legislativo 26 aprile 1947, n. 264, si riferisce solo alle requisizioni effettuate durante il tempo di guerra, non avrebbe peraltro, data la situazione, potuto rifiutare il proprio intervento per procurare comunque locali alla divisione «Folgore», che si è dovuta trasferire a Treviso per assolvere alle responsabilità militari della vicina frontiera derivanti dalla ratifica del trattato di pace.

E, anche senza far ricorso all’articolo 19 della legge comunale e provinciale, in materia di requisizioni per necessità pubbliche, il prefetto è legittimato a disporre ai sensi dell’articolo 7 della legge costituzionale 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E.

PRESIDENTE. L’onorevole Costantini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

COSTANTINI. Non posso, evidentemente, ritenermi soddisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato. Non posso ritenermi soddisfatto anche perché, in questa sede, per la prima volta, sono stati spostati i termini giuridici della questione. Io sono convinto – e nessun membro di questa Assemblea può essere di diversa opinione – che un cittadino non può venire privato dell’esercizio di un suo legittimo diritto se non in seguito ad una precisa disposizione di legge. Il cittadino non può essere privato della sua casa di abitazione, con atti di prepotenza, come sta per avvenire nel caso in questione, mancando una norma di legge la quale consenta all’autorità di procedere alla requisizione. Le requisizioni erano previste precisamente dal decreto 18 agosto 1940, n. 1741, legge che ha invocato il prefetto per emettere il suo decreto di requisizione, richiamando altresì erroneamente come riconosce l’onorevole Sottosegretario di Stato, il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 25 aprile 1947. Ora si richiama la legge del marzo 1865.

Onorevole Sottosegretario, se vero fosse, abbandonata l’applicabilità del decreto 18 agosto 1940, che può avere applicazione, nella fattispecie, la legge 20 marzo 1865, io chiedo a lei: perché si sarebbe fatto questo decreto 18 agosto 1940? Se la legge del 20 marzo 1865 avesse consentito e consentisse ai prefetti di procedere alla requisizione di case private sic et sempliciter, perché si sarebbe fatto il decreto 18 agosto 1940? Pongo questa questione di ordine giuridico, perché, naturalmente, non ho sottomano le disposizioni, testé richiamate per la prima volta, della legge del 1865. Si fa questione anche della necessità di alloggiamento del comando della «Folgore». Ma, scusate, voi dovete considerare le condizioni attuali della città di Treviso: essa ha avuto il 63 per cento delle case distrutte, o comunque, rese inabitabili. Vi sono intere famiglie che alloggiano in un’unica stanza, in condizioni tali che è sperabile non vengano malattie epidemiche e, non ostante tutto ciò, vi sono oltre 10 mila persone costrette a vivere nei centri di sfollamento, a decine di chilometri dal capoluogo.

Devesi costringere la cittadinanza a fare dei sacrifici impossibili perché l’autorità militare non ha avuto la previdenza, prima di dislocare una unità della forza numerica della divisione «Folgore», di predisporre le sue caserme? Si può violare uno dei più elementari diritti del cittadino, quale è quello del rispetto della sua abitazione? Io dico, onorevole Sottosegretario di Stato, che il contegno dell’autorità militare – come le ho detto già confidenzialmente – la quale ha occupato con la forza delle armi un’altra casa, introducendosi in essa e cacciandone il proprietario, io dico che questi sistemi sono contrari alla legge e non giovano certo alla democrazia, degradano il prestigio dell’autorità di fronte alla popolazione e possono portare a reazioni violente.

Autorità non significa certamente arbitrio, sopruso o, peggio ancora, violenza: per collocare gli ufficiali della «Folgore» e i relativi comandi si debbono apprestare le caserme; nessuna legge esiste a giustificare od autorizzare il provvedimento di requisizione che ha creduto di poter prendere il prefetto di Treviso.

Il diritto del cittadino alla tutela della propria abitazione, alla inviolabilità di essa, è stato di recente sancito anche nella nuova Costituzione della Repubblica.

Voi stesso, quale rappresentante del Ministero dell’interno, avete il dovere di concorrere a tutelare  e a far rispettare questo diritto contro chiunque lo violi o tenti di violarlo, ed è a questo senso di consapevolezza nella vostra alta funzione che io faccio appello. Gli inquilini della casa colpita dal decreto prefettizio di requisizione sanno già che non è assolutamente possibile che abbia effetto la richiesta illegittima del prefetto e che essa rappresenta, costituisce anzi un atto di violenza e di arbitrio. Ci sono ormai in città malumori e malcontenti diffusi dei quali può dare atto anche il sindaco onorevole Ferrarese, e l’autorità comunale, non più tardi di ieri, ha indirizzato a noi deputati delle suppliche tendenti a dirimere queste difficoltà per modo che la situazione si normalizzi.

Ora, io voglio rinnovarle una preghiera vivissima affinché la questione possa avere una sollecita soluzione che non sia di espediente o di sotterfugio, ma una soluzione conforme alla legge ed alla effettiva giustizia, espressione di autentica democrazia. Il diritto è dalla parte di coloro che io difendo: ella lo sa, onorevole Sottosegretario di Stato. Si tratta di una popolazione che ha già tanto sofferto ed io sento che difendendo i diritti della cittadinanza di Treviso difendo anche la legalità e l’ordine pubblico che può venire seriamente turbato ove l’autorità costituita creda opportuno non rendersi conto, una buona volta, che solo nel più deciso rispetto del diritto e della legge può aversi ordine e tranquillità.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Platone, Gavina, Pollastrini Elettra, Caprani, Bernamonti, Mariani Enrico, Cairo al Ministro dell’interno: «Presa visione dei comunicati diramati dal Consiglio dei Ministri circa alcune disposizioni fondamentali che farebbero parte del decreto di prossima emissione in materia di alloggi, fra cui l’abolizione del Commissariato relativo anche per comuni capiluogo di provincia; ritenuto che l’eventuale abolizione della disciplina esistente in materia esige una nuova generale disciplina capace di impedire le gravi speculazioni che già si manifestano nel mercato degli alloggi, persistendo le quali risulterebbe impossibile ad ogni famiglia di lavoratori di procurarsi un tetto; considerato inoltre che la applicazione della legislazione in vigore ha costituito delle situazioni di diritto che meritano almeno un regime transitoriale; ritenuto infine che la materia in esame è complessa e molto importante; chiedono urgenti informazioni al riguardo; e soprattutto di sapere se il Governo non ritenga di doversi valere della facoltà di sottoporle il progettato decreto alla competente Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente, adottando, data l’urgenza dei termini, un breve provvedimento di proroga della disciplina esistente».

Sopra questo stesso argomento è pervenuta una interrogazione dell’onorevole Veroni, con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere a quali criteri si ispiri l’ulteriore annunciata proroga dei poteri dei Commissariati alloggi, di cui, ovunque, veniva invece reclamata la soppressione».

Chiedo all’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno, se intenda rispondere anche a questa interrogazione.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Risponderò anche a questa interrogazione.

Con oggi viene a cessare l’efficacia delle disposizioni disciplinanti l’istituzione ed il funzionamento dei Commissariati degli alloggi.

Due potevano essere le soluzioni: o far cadere indiscriminatamente tutti i Commissariati o, tenendo conto degli inconvenienti segnalati, prorogare temporaneamente detti organi, laddove reali esigenze lo giustificassero, semplificati nella loro struttura e, soprattutto, restituiti alla loro essenziale finalità di provvedere alle categorie che hanno maggiore bisogno di abitazione.

È questa la soluzione che ha scelto il Governo col provvedimento approvato in via di urgenza nell’ultimo Consiglio dei Ministri.

Il nuovo provvedimento mira, sostanzialmente, a limitare la permanenza dei Commissariati degli alloggi solo in quelle città dove vi sia una effettiva necessità del loro funzionamento, cioè in quelle che hanno una popolazione superiore ai centomila abitanti o che hanno subìto distruzioni di particolare gravità per eventi di guerra. Anche per dette città si è però subordinata la proroga del funzionamento di detti Commissariati non oltre il 30 giugno del prossimo anno alla formale deliberazione del Consiglio comunale, in modo che sia l’organo comunale più rappresentativo a dichiararne la necessità e la opportunità; tanto più che le spese di funzionamento dei Commissariati gravano proprio sui bilanci comunali.

Era stato proposto di includere nella legge tutti i Comuni capoluoghi di Provincia. La specifica menzione è invece apparsa superflua, perché o si tratta di Comuni con limitata popolazione e non danneggiati dalla guerra, ed allora non si ravvisa la necessità di includerli solo per il fatto di essere capoluoghi, dato che le disposizioni mirano a risolvere situazioni ed esigenze concrete, o si tratta di Comuni che hanno subito danni di guerra, ed allora essi sono espressamente contemplati nella legge.

Perché i Commissariati degli alloggi possano raggiungere risultati più concreti, e perché, soprattutto, possano provvedere alle esigenze di coloro che hanno maggiore bisogno di alloggio, si sono determinate le categorie che hanno titolo all’assegnazione, cioè: coloro che sono rimasti privi di abitazione per le distruzioni causate dalla guerra; i profughi dalle zone di confine o dalle colonie; coloro che trasferiscano la residenza nel Comune per riconosciute esigenze di impiego o di lavoro e che, avendo già la residenza nel Comune, contraggano matrimonio.

Si è ravvisata, inoltre, la necessità di sopprimere le Commissioni consultive, che non hanno dato apprezzabili risultati, sopprimendo di conseguenza il rimedio dell’opposizione allo stesso Commissariato, per cui era richiesto il conforme parere delle Commissioni stesse.

Avverso i provvedimenti dei Commissari si ritorna perciò al sistema più razionale, e più sollecito, del ricorso diretto alle Commissioni giurisdizionali che, oltre a conoscere della legittimità dei provvedimenti impugnati, hanno competenza anche in merito alla determinazione dei corrispettivi delle locazioni.

Il provvedimento, con opportune norme, disciplina le assegnazioni già disposte dai Commissariati, che cessano di funzionare, stabilendo che ai rapporti di locazioni che si sono costituiti a seguito delle assegnazioni stesse sono applicabili le disposizioni sulle locazioni degli immobili urbani e sulla proroga di esse; disciplina anche, con disposizioni di carattere transitorio, la sorte delle opposizioni pendenti dando agli interessati che le avevano proposte un nuovo termine per adire direttamente le Commissioni giurisdizionali.

La nuova disciplina si ritiene possa rendere possibile un’azione più concordemente efficace dei Commissari degli alloggi, specie a sollievo delle categorie che hanno maggiore bisogno di abitazione, e varrà anche a limitare una spesa che aveva raggiunto un livello assolutamente sproporzionato ai risultati conseguiti.

PRESIDENTE. L’onorevole Caprani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CAPRANI. Mi dispiace, onorevole Sottosegretario per l’interno, di non potermi dichiarare sodisfatto anche a nome dei numerosi colleghi che hanno firmato, con me, questa urgente interrogazione. Effettivamente i Commissariati degli alloggi diedero luogo, nel loro funzionamento, a inconvenienti che tutti conosciamo. Questi inconvenienti si dovettero soprattutto al fatto che in linea generale, voglio dire in moltissimi casi, erano stati posti a dirigere questi enti degli individui la cui mentalità era perfettamente conforme alle esigenze dei proprietari di case.

Vi furono perciò molte delusioni e in certi casi si ebbe anche la sensazione che i Commissariati degli alloggi venissero meno ai loro compiti precisi. Però, anche con tutti questi inconvenienti, non è detto che si debba addivenire, attraverso una procedura, forse eccessivamente drastica, e che è intesa a preludere a un regime liberistico, in materia di abitazioni, all’ordine di idee di sopprimere i Commissariati degli alloggi, con la conseguenza inevitabile che anche tutto questo finirà col gravare sulle spalle già tanto oberate delle classi meno abbienti, per le quali il trovarsi un alloggio diventerà veramente un sogno utopistico.

Comunque, i Commissariati degli alloggi, anche con i loro difetti, erano giunti almeno ad assolvere a due compiti: quello, innanzitutto, del reperimento dei locali vuoti ed anche di quelli fittiziamente abitati, in secondo luogo, a distribuirli con criteri di controllo e di giustizia a coloro che versano nella necessità.

Ora, venendo a scomparire questa istituzione, così tout court, in un Paese profondamente lacerato dalla guerra, in un Paese che ha pure una popolazione incredibilmente in aumento nonostante tutto, in un Paese che, in certo senso, è in movimento per delle ragioni intuitive, con l’emigrazione interna, io non so se veramente ciò possa reputarsi opportuno.

A me pare invece che il provvedimento dia luogo a molti inconvenienti. Il primo inconveniente che si verificherà sarà, per esempio, questo: che senza i Commissariati alloggio il Governo si troverà – per citare un caso – perfino nell’impossibilità di trasferire i suoi funzionari, perché è naturale che un funzionario che deve subire un trasferimento, e che ha famiglia, sia profondamente preoccupato di doversi trovare in una città dove non può allogarsi, e sa che non può allogarsi nemmeno in un albergo perché anche una misera osteria, con alloggio, fa pagare 400 lire al giorno e tutto lo stipendio se ne andrebbe.

Questo per citare uno dei casi tipici.

Ma è anche certo che col sistema – cui si è fatto cenno in comunicati ufficiosi – non si raggiungerà lo scopo e la speculazione penetrerà più agevolmente nelle ruote di questo ingranaggio legislativo e il povero diavolo (per dirla con linguaggio preciso), non troverà mai un appartamento, si sentirà domandare dalla speculazione delle buonuscite e dei sottomano spaventosi e sui quali il tacere è bello per carità di patria.

Ma c’è anche qualche cosa di più, su cui noi non possiamo essere d’accordo: ed è il modo col quale si prospetta l’elaborazione di questa nuova situazione semi-vincolistica che dovrà scaturire nel periodo transitorio dal giugno al dicembre. Noi non siamo d’accordo che al progetto attendano solamente gli onorevoli Fanfani, Scelba ed Einaudi (la cui competenza è certamente indiscutibile); noi chiediamo democraticamente che il progetto sia trasferito alla Commissione legislativa dell’Assemblea perché nell’elaborazione della legge ci si possa valere di criteri anche più larghi, che tocchino più profondamente le masse popolari.

E mi sia permesso di osservare da ultimo che la disposizione cui si fa cenno – cioè la limitazione del funzionamento del Commissariato alloggi nei soli centri che siano superiori ai 100 mila abitanti – costituisce un vero e proprio assurdo, perché basta avere un po’ di pratica, basta osservare le cose come sono (e non come si vorrebbe che fossero), per vedere che tutti i capoluoghi di Provincia sono alle prese con le stesse difficoltà, specie poi dove ci sono state le devastazioni della guerra, e riconosco che a tal proposito l’onorevole Sottosegretario per l’interno ha voluto fare un’eccezione.

Ma non è neanche logico che la nuova legge abbia ad elencare delle categorie precise e tassative di coloro che hanno veste e diritto di ricorrere al Commissariato alloggi, a quel Commissariato che sarà un po’ sminuito nei suoi poteri e che andrà dal 30 giugno al dicembre. Non è opportuno stabilire tassativamente delle categorie. Tutto al più si potrebbero stabilire delle categorie di prelazione e di preferenza e dire che il meno abbiente ha più diritto degli altri. In questo senso, si potrebbero stabilire categorie, ma stabilire categorie e dire: «ha diritto solo colui che sposa, ha diritto solo il combattente e il partigiano, ha diritto solo il burocrate trasferito», ed escludere tutti gli altri, significa fare cosa fuori della realtà e perfino fuori della legge.

Quindi io raccomando che questa legislazione sia attentamente vagliata. Si tratta di un problema angosciante, si tratta di diecine di migliaia di famiglie che hanno il terrore di perdere l’alloggio e, in certi altri casi, hanno lo sgomento quotidiano di non possedere un alloggio! È una questione che dal punto di vista – diremo così – amministrativo ha dei riflessi di ordine politico di primissima importanza. Ed io credo che il Governo farà bene a valersi anche della competenza della Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente nella elaborazione e nella formazione di questa legge. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Veroni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VERONI. Mi sono indotto a presentare l’interrogazione con carattere di urgenza dopo aver letto che nell’ordine del giorno era stata posta in discussione l’interrogazione svolta dall’onorevole Caprani. Va ricordato che fin dalla seduta del 5 maggio in questa Aula io avevo esaminata e trattata la questione del Commissariato alloggi con particolare riferimento alla situazione di Roma città. Ora devo convenire che il provvedimento allora annunciato dal Governo e oggi confermato dall’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno non risolve gli inconvenienti che in quella occasione io stesso avevo prospettato all’attenzione dell’Assemblea e che oggi sono stati esattamente confermati dall’onorevole collega. Nel frattempo si è reso ancora più vivace il dissenso fra coloro che sostengono che debba essere abolito il Commissariato alloggi e coloro che invece dichiarano che una condotta liberistica della materia potrebbe non giovare, anzi danneggerebbe senz’altro le classi meno abbienti; sarebbe stato veramente opportuno da parte del Governo di deferire la materia così complessa all’esame della competente Commissione legislativa. Avremmo potuto così esaminare il provvedimento con serenità e con la necessaria ponderazione se si fosse accordata una nuova breve proroga dal 30 giugno, dando così il giusto apprezzamento agli argomenti favorevoli o contrari al mantenimento del Commissariato degli alloggi.

Intanto è da notare che i provvedimenti dal Governo ora confermati non hanno trovato il plauso della pubblica opinione.

Particolarmente qui a Roma, si era preoccupati delle condizioni eccezionali in cui vivono migliaia di famiglie. Dal mese di aprile, epoca in cui la questione fu nuovamente dibattuta in questa Assemblea, fino ad oggi si era invocato da parte del Governo che venissero sgomberate alcune caserme che sono pressoché inutili e fossero date ai senza tetto. Si era invocato da parte del Governo che anche il così detto Ministero dell’ex Africa fosse assegnato ai senza tetto, che ivi avrebbero potuto trovare larga ospitalità. Viceversa si continua a deplorare il triste e angoscioso inconveniente di sapere e di vedere alle porte di Roma – alla periferia della Capitale della Repubblica – migliaia di persone che sono attendate o sono in caverne od in grotte senza che da parte del Governo si sia finora provveduto a convenientemente alloggiarle. Questo gravissimo inconveniente non viene risoluto davvero dalle provvidenze che il Governo ora ha adottato. Ciò significa che queste provvidenze, anziché affrontare e risolvere il problema dei senza tetto, si sono preoccupate di venire incontro a esigenze di altra natura; perloché non ci si può dichiarare soddisfatti, a meno che il Governo non si decida a portare davanti alla Commissione legislativa l’esame della grave e complessa questione. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele al Ministro dell’interno, «per sapere se non creda opportuno intervenire tempestivamente presso il prefetto di Bari, a che provveda che non venga chiusa la mensa degli impiegati di quella città».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Adonnino al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se non creda opportuno diminuire la severità delle norme emanate con ordinanza 3 maggio ultimo scorso sugli esami di maturità; laddove specialmente si escludono dagli esami orali coloro che abbiano riportato negli scritti un voto di «evidente insufficienza», mentre prima della guerra si escludevano quelli che avessero riportato una insufficienza «molto grave»; e si estende tale norma, oltre che all’italiano, anche a tutte le materie per le quali siano richieste prove scritte; e là dove prescrive la presenza di quattro membri estranei nelle Commissioni delle scuole non governative; e ciò, tenendo conto che le norme giungono a pochi giorni dagli esami; e che gli esaminandi hanno iniziato il loro corso di studi nei tempi difficilissimi della guerra o dell’immediato dopo-guerra».

Non essendo presente l’onorevole Ministro della pubblica istruzione, l’interrogazione è rimandata alla prossima seduta dedicata alle interrogazioni.

Segue l’interrogazione dell’onorevole De Maria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, «per sapere se non ritengano opportuno e doveroso nei confronti della tutela della sanità pubblica intervenire per gli accertamenti scientifici del caso ed, eventualmente, per contribuire al finanziamento per la fabbricazione del preparato AF2 del dottor Guarnieri. Tale prodotto avrebbe spiccata azione anticancerigna. Il provvedimento ha carattere di estrema urgenza, poiché col 5 giugno prossimo il dottor Guarnieri sospenderà la distribuzione gratuita del medicinale per difficoltà d’ordine economico».

DE MARIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE MARIA. Avendo trasformata l’interrogazione con risposta orale in interrogazione con risposta scritta, ho già ricevuto le risposte scritte sia dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. Pertanto, la mia interrogazione è esaurita.

PRESIDENTE. Sono state così svolte tutte le interrogazioni iscritte all’ordine del giorno.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza alcune interrogazioni con richiesta d’urgenza. La prima è quella dell’onorevole Di Fausto, del seguente tenore:

«Al Governo, per sapere se corrisponde a verità la notizia secondo la quale sul Colle della Farnesina, dominante, in vista di San Pietro, fra Monte Mario e Ponte Milvio, in uno dei luoghi più suggestivi di Roma e del mondo, entro la cinta urbana, colle destinato infatti a parco pubblico nel piano regolatore vigente, sarebbe stata concessa una immensa zona di terreno (circa 35 mila metri quadrati) da destinare a cimitero di guerra francese, nel quale sarebbero naturalmente accolte anche salme di mussulmani di colore.

«E, nel caso affermativo, per sapere che cosa il Governo intenda fare per rimuovere la intollerabile concessione che, rivelando la assoluta insensibilità delle autorità responsabili, suona insulto – sotto troppi aspetti – alla cocente, immeritata sventura della Nazione, e suona comunque soprattutto insulto alle altissime tradizioni civili e cristiane di Roma, alle quali deve pur rendere omaggio la Francia, che, con noi, trae da quelle comune nobiltà di origine».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non riconosco l’urgenza dell’interrogazione, anzi mi pare che vi sia da discutere sulla opportunità della presentazione dell’interrogazione stessa.

PRESIDENTE. È stata anche presentata la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, sull’azione svolta dagli organi del suo Ministero contro i contadini della Bergamasca, che hanno inteso dividere i prodotti secondo le indicazioni della legge De Gasperi sulla mezzadria.

«In particolare gli interroganti domandano quali misure il Ministro intenda prendere per richiamare al rispetto della legge il prefetto e i comandanti dei carabinieri, che hanno fatto procedere all’arresto del segretario della Confederterra provinciale di Bergamo, diffidandolo poi a non svolgere ulteriore attività sindacale.

«Caprani, Pajetta Gian Carlo, Montagnana Mario».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni.

PRESIDENTE. Vi è, infine, la seguente interrogazione:

«Al Ministro dell’agricoltura e foreste, per conoscere le ragioni per le quali in Sicilia, ai contadini della provincia di Ragusa recatisi secondo un’antichissima consuetudine nell’interno dell’isola per esercitarvi, con durissimi sacrifici, la spigolatura, viene fatto obbligo di ammassare il grano raccolto, contrariamente a quanto negli anni passati si è sempre fatto.

«L’interrogante chiede altresì di conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare per impedire il fatto lamentato, che suscita vivo malcontento fra gli spigolatori, altera il loro tradizionale approvvigionamento e li porta ad abbandonare una attività che, mentre costituisce una delle principali loro risorse, è stata sempre oltremodo benefica, conseguendosi per essa il recupero di cospicui quantitativi di grano, che altrimenti andrebbero perduti.

«Guerrieri Emanuele».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. A nome del Ministro interessato, riconosco l’urgenza di questa interrogazione, alla quale sarà risposto nella prima seduta dedicata alle interrogazioni.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Domattina si terrà seduta alle 10 per l’esame del progetto di legge sull’imposta straordinaria sul patrimonio. Si terrà seduta anche nel pomeriggio alle 17 per il seguito della discussione del progetto di Costituzione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Sarebbe opportuno dedicare anche le sedute pomeridiane all’esame del progetto sull’imposta patrimoniale per giungere più rapidamente ad una conclusione su questa importante materia.

PRESIDENTE. Di tale questione si potrà più convenientemente discutere nella seduta antimeridiana di domani.

UBERTI. Sta bene.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se e quando vorrà provvedere ad emanare norme tassative e precise intese a consentire che i beni immobili di proprietà dei Comuni o di altri enti locali che, in seguito a pressioni e ad imposizioni ben note, vennero donati o ceduti al cessato partito fascista e ad organizzazioni da questo dipendenti, ritornino agli enti proprietari senza gravami e oneri di sorta.

«Zuccarini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati in favore delle tante famiglie colpite dalle recenti alluvioni in provincia di Treviso e di Venezia, famiglie che ebbero distrutti i raccolti, animali annegati, mobili danneggiati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi a Ministri competenti l’altra per la quale si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Discussione del disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 28 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXV.

SEDUTA DI SABATO 28 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Sul processo verbale:

Nitti                                                                                                                  

Sardiello                                                                                                         

Cappa, Ministro della marina mercantile                                                             

Carbonari                                                                                                        

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Sostituzione di un Deputato:

Presidente                                                                                                        

Relazione della Commissione degli Undici:

Presidente                                                                                                        

Rubilli, Presidente della Commissione degli Undici                                            

Costantini                                                                                                        

Russo Perez                                                                                                      

Patrissi                                                                                                             

Coppi                                                                                                                 

Nobile                                                                                                               

Cappi                                                                                                                 

Cianca                                                                                                              

Scoca                                                                                                                

Togliatti                                                                                                          

Lussu                                                                                                                

Targetti                                                                                                           

Camposarcuno                                                                                                 

Corbino                                                                                                            

Selvaggi                                                           Orlando Vittorio Emanuele      

Di Gloria                                                                                                          

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Musolino                                                                                                          

Sardiello                                                                                                         

Priolo                                                                                                               

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Su alcune interrogazioni urgenti:

Rodinò Ugo                                                                                                      

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Costantini                                                                                                        

Gullo Fausto                                                                                                   

Tonello                                                                                                            

Pignatari                                                                                                         

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

MAZZA, il Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta.

Sul processo verbale.

NITTI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Sono dolente di non essermi trovato all’ultima parte della seduta, quando si votarono alcuni provvedimenti riguardanti ancora le Regioni. Io ho sempre considerato il metodo proporzionale adottato nello Stato, in tutte le amministrazioni dello Stato e nelle amministrazioni locali come una forza dissolvitrice dello Stato. Ma questo metodo è completato ora e reso mortale dalla disastrosa idea e pratica delle Regioni che noi stiamo adottando. Fin qui ho taciuto; ora non tacerò.

Mi riservo di fare la campagna più attiva che potrò contro questo fatale errore delle Regioni, che, prima o dopo, dovrà essere revocato. Ma debbo fare una dichiarazione semplice e precisa. Ieri si è votato un articolo con cui si costituisce un impegno non soltanto verso la Val d’Aosta – errore gravissimo dovuto ad un certo Brosio – ma poi contro la sicurezza dell’Italia: si accetta di costruire in Regioni autonome la Venezia Giulia e la Venezia Tridentina.

Tutto ciò può essere disposto soltanto per legge e saremo in tempo per impedirlo. Non siamo noi che dobbiamo decidere. Perché dunque prendere ora questo impegno? Non basta aver aperta da una parte l’Italia al confine occidentale; bisogna ancora aprirla al confine settentrionale e a quello orientale?

Perché ci impegniamo in cosa che noi non possiamo ora definire? Noi agiamo in questo modo non nell’interesse della Patria, ma per non so quali strane visioni che non hanno nulla a che fare con la realtà del nostro Paese. Noi siamo ora isolati. Non bisogna aprire le porte agli stranieri da ogni parte. Noi facciamo questo senza alcuna necessità.

Io dichiaro dunque non solo che se fossi stato presente avrei votato contro, ma mi impegno a fare qualunque campagna e, non potendo nell’Assemblea, mi impegno a farla nel Paese e, come potrò, anche all’estero, per dimostrare i cattivi nostri procedimenti con cui dimentichiamo che l’Italia esiste e che deve esistere e vogliamo senza ragione umiliarla, per demolirla forse domani. Convinto dell’unità della Patria, in cui credo, sono stato sempre contro ogni guerra e contro ogni nazionalismo. Voglio però oggi presentare un atto di diffida che ci impegni, nell’avvenire, a rivedere tutta questa materia che non è fatta a beneficio del nostro Paese. (Applausi).

SARDIELLO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SARDIELLO. Onorevole Presidente. Nell’ultima parte della seduta di ieri, in assenza del Governo, a proposito di alcune interrogazioni con carattere di urgenza, ella ha annunciato che il Governo probabilmente avrebbe risposto lunedì. Ora il Governo è presente…

PRESIDENTE. Onorevole Sardiello, se non le spiace, parli di questo quando tratteremo dell’ordine del giorno delle sedute prossime, non in sede di processo verbale.

SARDIELLO. Il processo verbale va completato con la determinazione di quella data. C’è un motivo serio che mi spinge a fare questa sollecitazione. L’interrogazione riguarda gli incidenti accaduti a Reggio Calabria. Ora vengo avvertito che domani, nella stessa città, avranno luogo manifestazioni di protesta. Io credo che una parola rasserenatrice del Governo, che giunga prima di quelle manifestazioni, potrebbe giovare a calmare gli animi. Per questo la prego, onorevole Presidente, di interpellare il Governo se è disposto in giornata a rispondere alle interrogazioni.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Ne parleremo in prosieguo di seduta, perché ora il Ministro dell’interno non è presente.

CARBONARI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. Ieri mi sono associato all’emendamento proposto dall’onorevole Tessitori, per il quale anche il Friuli e la Venezia Giulia venivano considerate come Regioni autonome che dovevano usufruire di una autonomia particolare. Io nutro un’opinione profondamente diversa da quella manifestata qui dall’onorevole Nitti.

PRESIDENTE. Onorevole Carbonari, la prego; o lei fa una dichiarazione sul verbale, o non posso concederle di parlare, perché non abbiamo riaperta la discussione. L’onorevole Nitti ha fatto una dichiarazione sul verbale. Se lei vuole modificare il suo voto di ieri può pure parlare, altrimenti la pregherei di non riaprire una discussione sull’argomento.

CARBONARI. Terrò conto dell’osservazione del signor Presidente.

Io mi sono associato all’emendamento dell’onorevole Tessitori con tanto maggiore entusiasmo, in quanto credo che tanto maggiore sarà la libertà che avranno le popolazioni di confine, tanto più esse si sentiranno legate all’Italia. (Approvazioni). Non per nulla noi abbiamo imparato dalla storia che la Russia dava la maggiore libertà ai cosacchi del Don perché la difendessero di fronte ai turchi.

PRESIDENTE. Onorevole Carbonari, la prego vivamente, non siamo in tema di discussione. O lei ha da far rettificare quanto risulta dal processo verbale, oppure, con mio grande dispiacere, non posso darle la parola per rientrare in una discussione ormai esaurita. È un problema di procedura elementare.

CARBONARI. Ugualmente osservo che la storia si riserva… (Commenti – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Carbonari, la prego di non insistere.

CARBONARI. Io protesto.

PRESIDENTE. Per che cosa?

CARBONARI. Contro le idee manifestate qui dall’onorevole Nitti.

PRESIDENTE. Ma non ne ha il diritto in questo momento.

Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Bertola, Dossetti, Guidi Angela, Maffi, Lazzati, Scalfaro, Tumminelli e Galioto.

(Sono concessi).

Sostituzione di un Deputato.

PRESIDENTE. La Giunta delle elezioni ha preso atto delle dimissioni dell’onorevole Battista Falchi da deputato per la circoscrizione di Cagliari (XXXI), approvate ieri dall’Assemblea Costituente, ed ha deliberato di proporne la sostituzione col candidato Carboni Enrico, primo nella graduatoria dei non eletti della stessa lista della Democrazia cristiana (VIII) alla quale apparteneva il dimissionario.

Pongo ai voti questa proposta della Giunta.

(È approvata).

Si intende che da oggi decorre il termine di venti giorni per la presentazione di eventuali reclami.

Relazione della Commissione degli Undici.

PRESIDENTE. L’onorevole Rubilli, Presidente della Commissione degli Undici, ha chiesto di poter fare la sua relazione all’Assemblea.

Ha facoltà di parlare.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Avverto i colleghi che questa relazione è stata approvata all’unanimità.

La presente relazione fa seguito a quella letta all’Assemblea Costituente nella seduta pubblica del 14 aprile scorso, e la completa.

Le accuse lanciate dall’onorevole Finocchiaro Aprile contro l’onorevole Gronchi vennero soltanto accennate dinanzi alla Assemblea Costituente, e poi più esplicitamente e più ampiamente esposte alla Commissione nelle sedute del 12 e 13 marzo 1947.

Egli in sostanza disse che l’onorevole Gronchi è proprietario di una fabbrica di resina sintetica, denominata R.E.S.I.A, la quale sarebbe stata favorita nell’assegnazione di materie prime fatta dal Ministero ed avrebbe perciò incrementato la sua produzione. Inoltre si sarebbe riservato il 25 per cento della gomma di produzione nazionale, senza che si sappia a chi lo abbia destinato; mentre il suo successore onorevole Morandi abolì immediatamente tale riserva. L’onorevole Finocchiaro Aprile fece anche un vago accenno ad eventuali rapporti dell’onorevole Gronchi con la ditta Pirelli e ad irregolarità nell’assegnazione della lana.

A sua volta l’onorevole Gronchi, debitamente sentito, con dichiarazioni orali e con dettagliati esposti scritti, ha spiegato che egli personalmente non ha mai avuto alcun rapporto né d’interessi né d’amicizia coi componenti della famiglia Pirelli; ha visto qualche volta al Ministero i fratelli Pirelli o qualcuno dei loro dirigenti, come ha visto moltissimi industriali, semplicemente ed esclusivamente per problemi della ricostruzione e della ripresa produttiva.

Con una serie di elementi numerici e statistici ha dimostrato che la R.E.S.I.A. non ha mai avuto assegnazioni di privilegio o di preferenza. Anzi non è stata forse neppure trattata equamente in confronto di altre Ditte dello stesso genere nelle cennate assegnazioni, alle quali del resto provvedevano i Comitati dell’Alta Italia, e non il Ministero. Tanto meno vi è stato incremento nella produzione, che invece è diminuita.

A proposito dell’assegnazione di pneumatici, l’onorevole Gronchi ha chiarito che la relativa produzione era divisa in due grandi blocchi, l’uno per l’Italia settentrionale, a nord della linea gotica, e l’altro per l’Italia centro-meridionale. Alla ripartizione della prima quota provvedeva il Comitato dell’Alta Italia, poi Sottocommissione industriale; a ripartire la seconda provvedeva il Ministero con assegnazioni proporzionali fatte agli Uffici provinciali industria e commercio, e non direttamente ai singoli richiedenti. Per rispondere poi alle richieste dei Ministeri, dei servizi militari, delle Ambasciate e dei Consolati, di taluni uffici della Commissione Alleata, della Città del Vaticano, di Enti statali e parastatali, fu riservata una quota a disposizione diretta del Ministero, e non già personale del Ministro, che procedeva alla assegnazione, cercando di fare la più razionale ed equa selezione fra le domande assai numerose. La Divisione competente del Ministero raccoglieva le domande e le esaminava, provvedendo poi all’assegnazione dopo la decisione, con elenchi predisposti dagli uffici.

In ordine alle assegnazioni di lana nulla vi può essere stato di irregolare, ha affermato continuando l’onorevole Gronchi, perché le domande erano istruite dalla Direzione dell’industria, sentita la Confìndustria e qualche esperto del sopravvissuto ufficio di Roma dell’Ente tessile. Si chiedeva poi il consenso del Ministero agricoltura e foreste e si procedeva all’assegnazione sempre con la clausola dell’obbligo per l’assegnatario, che era un industriale del ramo, di tenere a disposizione del Ministero dell’industria i manufatti. Una Commissione, nella quale erano rappresentate le categorie interessate e le stesse autorità militari, lavorò a formare un piano ed a curarne l’attuazione. L’onorevole Gronchi ha escluso che assegnazioni siano state fatte da lui personalmente, senza la regolare istruzione degli uffici ministeriali.

La Commissione ha sentito anche il Ministro Morandi, secondo l’indicazione fatta dall’onorevole Finocchiaro Aprile, ed il Ministro riferì che a proposito del 25 per cento sulle gomme riservate al Ministero, effettivamente questo prelievo di solito era fatto per eventuali assegnazioni a Corpi diplomatici, enti, e talora, in casi eccezionali, anche a privati. Egli stimò opportuno di ridurre di molto il detto prelievo, perché il Ministero se ne potesse servire soltanto in pochi casi nei quali lo ritenesse opportuno.

La Commissione pregò il Ministro Morandi, perché, tenute presenti le dichiarazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, facesse pervenire quegli elementi che potessero rintracciarsi al Ministero per desumere i criteri che durante il Ministero Gronchi, ed anche dopo, furono seguiti nell’assegnazione di pneumatici e di altri generi.

L’onorevole Morandi rimise cinque fascicoli con la copia degli atti relativi alle assegnazioni di lana nazionale ed estera, di anidride ftalica e glicerina, di pneumatici. L’esame di tali fascicoli non ha fattoe rilevare nulla d’irregolare.

Intanto, l’onorevole Finocchiaro Aprile, in data 11 maggio 1947, fece pervenire una sua lettera al Presidente della Commissione con la quale chiedeva che fosse sentito l’avvocato Francesco Spezzano, ex Commissario governativo della Federazione italiana dei Consorzi agrari.

La Commissione ritenne opportuno di esaminarlo.

L’avvocato Spezzano riferì alcune irregolarità che a suo avviso si sarebbero verificate da parte del Ministero industria e commercio nella distribuzione ed assegnazione della lana e di qualche altro genere.

Però, checché abbia detto ad altri, è certo che alla Commissione dichiarò esplicitamente e ripetutamente che egli intendeva parlare sempre del Ministero, e non del Ministro Gronchi, con il quale non aveva mai avuti diretti rapporti ed a carico del quale nulla gli constava.

Dal complesso delle indagini adunque e dalle considerazioni sopra esposte si può giungere alla conclusione che le accuse lanciate contro l’onorevole Gronchi non sono state avvalorate da qualsiasi sostrato di prova, e la Commissione, anche per gli elementi difensivi offerti e per i documenti raccolti, non esita a dichiararle infondate. (Applausi al centro).

Per quanto riguarda l’onorevole Scoca, nella seduta del 12 marzo 1947 l’onorevole Finocchiaro Aprile disse che lo Scoca era stato nominato avvocato generale dello Stato, scavalcando 41 colleghi, ed anzi ne aveva scavalcati circa 150, perché poco prima della promozione ad avvocato generale ne aveva avuta un’altra.

Disse ancora che l’onorevole Scoca è Presidente di una importante società anonima di olii minerali, precisamente della ditta R.O.M.S.A. con sede in Roma, e che tale carica forse egli ancora conservava, come poteva essere meglio accertato dalla Commissione. Aggiunse poi che la nomina ad avvocato generale, verificatasi quando lo Scoca era Sottosegretario di Stato, fu portata per tre volte in Consiglio dei Ministri, ed approvata attraverso non lievi difficoltà.

L’onorevole Scoca ha dichiarato che egli pervenne al grado di sostituto avvocato generale dopo una normale e piuttosto lenta carriera, in confronto d’altri che ebbero circostanze più favorevoli; ha spiegato i criteri che si sogliono seguire nelle promozioni nell’Avvocatura dello Stato, e per la sua nomina ad avvocato generale ha esibito la proposta fatta sul suo conto dal vice avvocato generale Caligaris, reggente in quell’epoca l’Avvocatura, dopo il volontario ritorno in Magistratura dell’avvocato generale professor Adolfo Giaquinto, nonché l’altra inoltrata dallo stesso Giaquinto, ed un fascicolo di lettere, telegrammi ed ordini del giorno giunti dalle locali avvocature dello Stato, ed intesi a dimostrare che la nomina fu accolta con grande favore. Esagerato poi doveva ritenersi il numero di colleghi che secondo l’onorevole Finocchiaro Aprile egli avrebbe scavalcato. In ordine alla R.O.M.S.A. (Raffineria di olii minerali ed affini) lo Scoca ha dichiarato che questa è una Società che aveva sede legale ed impianti a Fiume. Occupata Fiume dalle truppe jugoslave, la Società venne privata non solo degli impianti ma anche della sua Amministrazione normale. Dopo due anni di gestion, straordinaria e dopo varie vicende, fu ricostituito il Consiglio di amministrazione, che comprese l’onorevole Scoca, eletto poi Presidente, carica dalla quale si dimise con lettera del 15 gennaio 1947.

Ora, non si mette in dubbio che l’onorevole Scoca abbia avuto una prima promozione in epoca piuttosto recente, e poi quella più importante, ripetutamente discussa nel Consiglio dei Ministri.

Non si può però neppure disconoscere che la nomina ad alti gradi della pubblica Amministrazione è per lo più effettuata a scelta, prescindendosi dall’anzianità di ruolo; anzi questo criterio per l’Avvocatura dello Stato è previsto anche dall’articolo 28 del testo unico, 30 ottobre 1933, n. 1611.

Rileva al riguardo la Commissione che esula dalla sua competenza ed anche dalle sue possibilità un giudizio sui meriti comparativi dell’onorevole Scoca per le ottenute promozioni. Inoltre, per quanto più specialmente si riferisce alla nomina ad avvocato generale dello Stato, trattasi di provvedimento discusso e deliberato dal Consiglio dei Ministri per il quale non può ritenersi consentito alla Commissione un qualsiasi intervento. Ogni eventuale critica in proposito potrà essere fatta da ciascun Deputato con le forme regolamentari dell’interrogazione o dell’interpellanza. Comunque, provvida e di indiscutibile valore morale e politico giunge ora nella legge costituzionale la norma per la quale il deputato, durante la sua carica, non può avere altra promozione, se non quella derivante dall’anzianità. (Approvazioni).

Occorre ancora esaminare specialmente che cosa vi sia di vero in ciò che disse l’onorevole Finocchiaro Aprile sugli incarichi retribuiti, di cui usufruiscono alcuni deputati e quale importanza morale o politica tali fatti possano avere. All’uopo sarà opportuna, anzi indispensabile, una osservazione d’indole generale. Allorché l’Italia, nel 1943 e 1944, fu occupata dagli Alleati, si dovette per necessità di cose provvedere a gran parte delle pubbliche cariche con la sostituzione di quegli elementi che, derivando dal passato, si erano resi incompatibili nelle mutate condizioni politiche.

Questo compito si assunsero i Comitati di liberazione, che, formati da diversi partiti, tra gli stessi, come era da prevedersi, divisero le cariche.

È un fatto puramente transitorio adunque quello che ebbe a verificarsi; e se permane in parecchi casi, e può essere tollerato in tempi ancora eccezionali, deve andar man mano eliminandosi completamente appena che si giunga alla normalità, che dovrà essere meglio e con maggiore circospezione disciplinata.

Uno dei deputati dei quali fece cenno l’onorevole Finocchiaro Aprile è l’onorevole Micheli, nei cui rapporti dinanzi alla Commissione, nella seduta del 13 marzo scorso, meglio precisando ciò che aveva detto all’Assemblea, egli dichiarò che l’onorevole Micheli è non soltanto il Presidente dell’Istituto nazionale delle assicurazioni, ma anche Presidente delle Assicurazioni d’Italia, Presidente della Fiume Terra, dell’Unione Italiana Riassicurazioni, Vice Presidente della Compagnia Assicurazioni Roma ed anche Commissario dell’Ente Notai. Aggiunse che quando egli, in epoca recente, si dimise da Presidente dell’Istituto nazionale delle assicurazioni non è stato sostituito, e quindi le dimissioni dovevano ritenersi semplicemente fittizie.

Nella seduta della Commissione in data 29 aprile scorso fu sentito l’onorevole Micheli, il quale espose che alla liberazione di Roma, nella ripartizione degli incarichi fatta dal Comitato di liberazione nazionale, il posto di presidente all’Istituto nazionale delle assicurazioni spettò al Partito democratico cristiano che lo assegnò al professore Gilardoni. Questi, poco dopo, si dimise per divergenze col personale, e così l’onorevole Micheli fu chiamato a sostituirlo. L’organizzazione dell’Istituto comprende per i rami elementari dell’assicurazione «L’Assicurazione Italia», di cui possiede l’intero capitale. L’Istituto si trovò poi nella necessità di salvare il portafoglio della Società «Fiume», della quale aveva tutto il capitale, sospinto dalle eccezionali condizioni del momento, e costituì la «Fiume Terra» che l’onorevole Micheli, per la sua qualità di capo dell’Istituto, dovette presiedere.

Egli ammise anche che dell’Unione italiana riassicurazioni e della Compagnia assicurazioni Roma è vicepresidente, mentre della prima è presidente il professore De Gregorio, della seconda l’onorevole Bonomi Ivanoe.

Chiarì inoltre che, quando fu nominato Ministro per la marina, non si dimise immediatamente per alcune pratiche in corso di particolare importanza; ma dette le dimissioni in data 16 ottobre 1946 e non è stato sostituito, pare, per contrasti tra i partiti e relative divergenze alle quali egli è completamente estraneo.

Per la carica di commissario dell’Ente Notai vi è una imprecisata indennità, alla quale l’onorevole Micheli ha rinunziato.

Sono meritevoli ancora di rilievo due circostanze: l’onorevole Micheli ebbe gli incarichi di cui sopra si è fatto cenno prima della sua elezione a deputato. Inoltre, come egli spiegò, gli incarichi di presidente delle Riassicurazioni Italia e della Fiume Terra, come quelli di vicepresidente della Unione Riassicurazioni e della Compagnia di assicurazioni, gli vennero in dipendenza della qualità di presidente dell’Istituto nazionale delle assicurazioni, trattandosi di società collegate.

E questo concetto del resto ebbe esplicitamente a riconoscere lo stesso onorevole Finocchiaro Aprile, nella seduta del 12 marzo dinanzi alla Commissione.

Le retribuzioni, poi, di cui usufruisce l’onorevole Micheli per le suddette mansioni non sono affatto rilevanti, anzi limitate e modeste.

Nei rapporti dell’onorevole Colonnetti dinanzi alla Commissione, nella seduta del 13 marzo 1947, l’onorevole Finocchiaro Aprile riferì varie accuse che possono così riassumersi:

Egli è presidente del Consiglio delle ricerche e al tempo stesso direttore del Politecnico di Torino; è stato promosso dal 4° al 2° grado dopo la sua elezione a deputato; si è servito di automobili del Consiglio delle ricerche per la campagna elettorale; si è fatto arredare lussuosamente un appartamento a spese dello Stato nel palazzo del Consiglio delle ricerche; stipulò un contratto in cui egli figura proprietario di una villa in Piemonte, data in fitto a se stesso nella qualità di presidente del Consiglio delle ricerche.

Su tali addebiti fu sentito l’onorevole Colonnetti nella seduta del 23 aprile 1947, ed egli spiegò che non è stato mai direttore del Politecnico di Torino, se non nel 1922-23. Fu poi nominato commissario dagli Alleati dopo la liberazione di Torino e rimase in tale carica fino al1’8 novembre 1945, quando fu nominato regolarmente il direttore nella persona del professore Brunelli. Né come direttore, né come commissario ebbe mai compensi. Anche durante la sua gestione di commissario, in vista della difficoltà di trovarsi a Torino con la dovuta frequenza, aveva chiesto ed ottenuto che al professore Brunelli fossero affidate dagli Alleati le funzioni di vicecommissario, riservandosi soltanto la trattazione del problema del finanziamento e della ricostruzione, con pratiche le quali si svolgevano a Roma presso il Comando alleato.

L’abitazione nel palazzo del Consiglio delle ricerche fu da lui richiesta al primo Governo Bonomi e regolarmente autorizzata per ragioni di stretta necessità. Identica autorizzazione si ebbe anche per l’arredamento che non è stato affatto eccessivo; i mobili del resto sono inventariati e restano di proprietà del Consiglio.

È stato sentito al riguardo anche l’onorevole Ivanoe Bonomi, il quale con una dichiarazione, resa il 6 maggio, ha confermato quanto ha detto l’onorevole Colonnetti, spiegando che questi, quando rimpatriò dalla Svizzera per via aerea, ebbe l’incarico della presidenza del Consiglio delle ricerche, e poiché era privo di qualsiasi abitazione, anche per un giusto criterio che in genere si ritenne di seguire, per dare alloggio ai capi servizio, ebbe la concessione di una casa nello stesso palazzo in cui ha sede il Consiglio delle ricerche, con facoltà di arredarla convenientemente.

In ordine alla promozione, l’onorevole Colonnetti ebbe il grado che avevano avuto i suoi predecessori, ed in dipendenza di legge.

Nel periodo elettorale non venne fatto alcun acquisto di macchine automobilistiche da parte del Consiglio nazionale delle ricerche, ed egli si servì della benzina fornitagli dal Partito della democrazia cristiana.

Ha ricordato l’onorevole Colonnetti una inchiesta dell’ispettore Strino, la quale così conclude:

«Sono lieto di potere affermare, dopo quanto constatato de visu, che quanto si è mormorato circa ingenti spese che si sarebbero sostenute con fondi concessi dal Coniglio nazionale delle ricerche per l’impianto e funzionamento del Centro Studi di Pollone, in lavori di straordinaria manutenzione della villa di proprietà del professore Colonnetti, ed in lussuose e costose opere di abbellimento, non è che maldicenza e menzogna.

«I lavori fatti per l’adattamento dei locali (posti gratuitamente a disposizione del Centro Studi) alle particolari esigenze del Centro stesso si riducono a ben poca cosa: poche migliaia di lire spese con parsimonia francescana».

Ed in ordine alla villa di Pollone lo stesso onorevole Colonnetti ha dichiarato e dimostrato di averla posta gratuitamente, e per il piano terreno, a disposizione del Centro Studi sugli stati di coazione elastica presso il Politecnico di Torino, rendendo così un servizio all’Amministrazione.

Con gli ampi elementi offerti dall’onorevole Colonnetti e con i documenti presentati, la Commissione conclude che gli addebiti a lui mossi non hanno fondamento di sorta, e che non si possa mettere in alcun modo in dubbio la sua correttezza ed onorabilità. (Applausi).

Qualche rilievo, che appare pure di una certa importanza, l’onorevole Finocchiaro Aprile fece nei rapporti dell’onorevole Spataro. Disse che questi è a capo della. R.A.I., posto che ebbe immediatamente dopo essere uscito dal Ministero, ed in tale qualità ottenne dall’onorevole Scelba, Ministro delle poste e telegrafi, un enorme aumento del canone di abbonamento alle radio-audizioni, che sollevò generali proteste. Lo stesso onorevole Spataro, sempre secondo quanto l’onorevole Finocchiaro espose alla Commissione nella seduta del 13 marzo 1947, avrebbe contrastato la nazionalizzazione della R.A.I. Inoltre egli è anche Presidente della S.I.P.R.A., Società italiana pubblicità radiofonica anonima.

Nei chiarimenti che ha presentati per iscritto ed in quelli che ha rassegnati oralmente alla Commissione, l’onorevole Spataro ha negato recisamente che vi sia stata alcuna occasione nella quale egli abbia avuto la possibilità di contrastare la nazionalizzazione della R.A.I.

In ordine poi all’aumento dei canoni di abbonamento alle radio-audizioni, l’onorevole Spataro ha spiegato che trattasi di provvedimenti stabiliti dal Comitato interministeriale dei prezzi, esaminati dal Consiglio dei Ministri e stabiliti per legge.

Ha ammesso che nell’agosto del 1946 fu nominato Presidente della R.A.I. nell’Assemblea generale degli azionisti. Come i Presidenti che nella R.A.I. lo precedettero, assunse anche la Presidenza della S.I.P.R.A., attraverso la quale la R.A.I. gestisce la pubblicità radiofonica. Vi sono ragioni ed esigenze di pratica utilità che consigliano l’unicità della Presidenza per le due Società, pur rimanendo distinti i relativi esercizi. Dichiarò pure l’onorevole Spataro che il lavoro occorrente per l’una e l’altra presidenza assorbe la sua attività completamente, costringendolo a frequenti viaggi in Alta Italia; perciò non ha riaperto il suo studio legale, anche quando, sin dal luglio dello scorso anno 1946, è cessato ogni suo incarico nel Ministero, e non esercita la professione neppure nel campo extra-giudiziale. Il compenso annuo è di lire 360.000 per la R.A.I. e di lire 240.000 per la S.I.P.R.A.; comprende le medaglie di presenza per le riunioni delle varie Commissioni consultive artistiche e musicali, del Comitato direttivo e dei Consigli di amministrazione per le due Società, nonché gli utili di esercizio riservati per lo Statuto agli amministratori. Insomma oltre le lire 50.000 al mese complessive per le due Presidenze, niente altro l’onorevole Spataro percepisce. (Interruzione dell’onorevole Pajetta Giuliano – Commenti a sinistra).

Una voce al centro. Nessuna meraviglia! Le prende un operaio 50 mila lire!

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Altri nomi di deputati furono fatti dall’onorevole Finocchiaro Aprile nelle sedute dell’Assemblea Costituente, ma trattasi di indicazioni, o non confermate dinanzi alla Commissione, oppure così vaghe ed insignificanti che non si è stimato utile o opportuno di rilevarle, né di farne oggetto di una qualsiasi indagine.

Non ha tralasciato però la Commissione di esaminare i moduli che, ad iniziativa del Presidente dell’Assemblea, furono inviati a ciascun Deputato.

Se ne sono ricevuti da 441 Deputati. È probabile che gli altri abbiano anche ritenuto di non dover restituire i moduli, quando la risposta fosse completamente negativa.

Per 320 Deputati questi moduli sono negativi e non registrano alcun incarico.

Per 30 Deputati si indicano degli incarichi gratuiti.

Per 91 Deputati i moduli registrano uno o più incarichi; talora, sebbene in pochissimi casi, questi incarichi raggiungono anche il numero di 7 o 8. (Commenti). Ma nel complesso trattasi sempre di incarichi da cui non derivano incompatibilità; per lo più sono anche di poco conto. E sono mansioni presso Enti privati, Società, Banche, Cooperative ed altri consimili Enti.

Di notevole, d’importante, non vi è gran che da rilevare.

Ma non può trascurarsi un’osservazione in proposito, e cioè che, se un deputato può accettare incarichi in certo modo conformi al suo lavoro professionale, non dovrebbe sottrarsi al dovere di rifiutare quelli a cui è agevole intuire che sia chiamato, più che per le sue attitudini, per il prestigio che gli viene dalla elevata carica politica. (Applausi).

La Presidenza del Consiglio dei Ministri spedì pure un elenco di incarichi statali e parastatali concessi a non pochi deputati, alcuni gratuiti, altri, ed in maggior numero, retribuiti.

La Commissione a questo punto ha portato la sua attenzione anche sull’atteggiamento preso dall’onorevole Finocchiaro Aprile, ed ha rilevato che nei rapporti dell’onorevole Gronchi e dell’onorevole Colonnetti egli ha raccolto e riferite accuse senza un debito e serio controllo, sebbene in gran parte non si tratti di addebiti specificati in pubblica Assemblea, ma piuttosto di elementi forniti ad una Commissione d’indagini. Non è un sistema codesto che meriti di essere incoraggiato. Sarà opportuno per l’avvenire che ognuno si guardi bene dal formulare accuse, le quali, anche se soltanto pronunziate e non dimostrate, offendono sempre e danneggiano moralmente un deputato, impressionando altresì la pubblica opinione (Applausi al centro), quando non si è in possesso di precisi e validi elementi di prova che le sostengano. Per gli altri casi poi (Micheli, Spataro, Scoca) si tratta più che altro di critiche a provvedimenti del Governo, le quali, fondate o no, giustificate o meno, rientrano nell’ambito dei diritti e talora anche dei doveri di ogni deputato.

Si sono esaminati alcuni singoli casi, perché erano stati specificatamente indicati nelle sedute pubbliche dell’Assemblea Costituente, e sorgevano attraverso le dichiarazioni di vari deputati, dalle quali ebbe origine la Commissione di indagini nominata dal Presidente dell’Assemblea Costituente. Ma non si tratta solo di una questione di mero carattere individuale. Dopo una lunga tirannia, durante la quale era sparito ogni sentimento di delicatezza e sensibilità morale e politica, in tempi ben diversi e rinnovati ora dal soffio della libertà e della democrazia, occorre stabilire delle norme che ogni uomo politico deve seguire e deve sapere imporre a se stesso. E non si tratta neppure di concretare vere e proprie incompatibilità nel senso giuridico, di cui senza dubbio e più opportunamente dovrà occuparsi la prossima legge elettorale attraverso i lavori della competente Commissione, che sono di già in corso.

Certo non è agevole elencare tutta la serie dei vari e molteplici casi che possono presentarsi. Però le frasi troppo vaghe e generiche, i termini elastici e di equivoca interpretazione, che si prestano a sottigliezze e cavilli, per cui talora si sfugge e forse, non di rado, ai rigori ed ai concetti che informano le leggi, debbono mutarsi, o per lo meno sensibilmente modificarsi. Ed occorrerà in genere stabilire chiaro e preciso il concetto che chiunque abbia un qualsiasi rapporto di carattere economico con lo Stato, pel quale sia in atto o possa anche eventualmente verificarsi un conflitto tra gli interessi del deputato e quelli dello Stato medesimo, è incompatibile alla carica politica. Piuttosto si potrà meglio, e sempre con disposizioni di legge, distinguere tra ineleggibilità ed incompatibilità, in guisa che il deputato possa anche rimanere in carica, liberandosi con effettiva e seria rinunzia da qualsiasi vincolo verso lo Stato. La serietà e la sincerità della rinunzia non può che essere affidata alla coscienza ed alla delicatezza del deputato.

Si è rilevato altresì che vi sono Società private la cui entità assurge talora a quasi monopolio, con poteri eccessivi e forze capaci persino di rovesciare o creare un Governo, per giunta con una attività che si spiega su terreno extraparlamentare. Non è possibile all’uopo formulare norme concrete di carattere giuridico; sarà solo indispensabile una assidua oculata vigilanza che potrà meglio esercitarsi per mezzo della stampa, dell’opinione pubblica e della progressiva educazione politica del corpo elettorale.

Sarà del pari utile ed opportuno stabilire che, come avviene per i magistrati e per altri elevati funzionari, si sanzioni una incompatibilità nella circoscrizione in cui si esercita il proprio ufficio per coloro che hanno il potere di concedere vantaggi ed utilità, come per esempio i provveditori per le opere pubbliche.

Ad ogni modo, il complesso argomento delle ineleggibilità e incompatibilità dal punto di vista giuridico sarà oggetto di prossimo esame da parte della Commissione per la legge elettorale e poi anche dell’Assemblea; all’uopo si terrà conto senza dubbio di voti e proposte segnalati dalla Giunta delle elezioni nei suoi lavori, con l’esperienza acquisita nell’esame dei risultati elettorali.

Più delicata però, più importante, ed anche meno agevole a risolversi è la questione degli incarichi che possano, oppur no, essere affidati ai rappresentanti politici.

La carica di deputato non è permanente, ma essenzialmente aleatoria e temporanea; sarebbe eccessivo, esagerato ed anche pericoloso pretendere l’abbandono oppure la sospensione d’ogni attività professionale; eccessivo, perché nessuna incompatibilità e di nessun genere vi è tra il mandato politico e il proprio consueto lavoro, a cui il deputato può ben dedicarsi e si dedica nei limiti di tempo consentiti dai suoi impegni politici, che debbono però ritenersi sempre preminenti. Sarebbe pericoloso altresì, perché potrebbe indurre i migliori e più competenti cittadini a rinunziare ad ogni attività politica, e riempire le Assemblee di coloro che vivono di rendita, o comunque non hanno mai esercitato alcun mestiere o professione. (Approvazioni).

Al di fuori però della propria attività professionale, occorre essere molto cauti nel chiedere o accettare incarichi, a cui per giunta non si può neppure attendere con assiduità e con coscienza, data la molteplicità degli impegni che specialmente oggi sono imposti dalla vita politica.

Gli incarichi possono venire da enti privati oppure da enti statali o parastatali. Per i primi nulla si può stabilire con precisione; sarà solo il deputato, nella sua scrupolosità, a giudicare se possa o meno accettarli, se vi sia una ragione qualsiasi di carattere politico o morale che gli imponga di rifiutarli. Per i secondi deve ritenersi che è meglio non siano in nessun caso affidati a rappresentanti politici, a meno che non si tratti di posti di grande responsabilità, in cui, specialmente nel pubblico interesse, si richiedano speciali competenze ed attitudini.

Ma su di un argomento che offre non lievi difficoltà non si possono neppure formulare tassative norme legislative o regolamentari; è tutta una questione di sensibilità e di educazione politica, per cui il deputato deve egli per il primo essere sospinto dal bisogno di non chiedere o di non accettare incarichi presso enti statali o parastatali, e il Governo deve astenersi dal prescegliere per tali incarichi uomini politici, rivestiti della carica di deputati o senatori. Che se poi gli incarichi medesimi preesistessero, dovrebbero, dopo i comizi elettorali, seguire immediate e reali le dimissioni da parte degli eletti.

Possono al riguardo farsi delle eccezioni solo per gli Istituti di beneficenza e per gli incarichi presso i medesimi assolutamente gratuiti, senza stipendi e senza indennità di sorta o gettoni di presenza.

Insomma, criteri imprescindibili di correttezza politica, esigenze dei nostri tempi, sentimenti del popolo, a cui non è dato resistere, impongono che sia eliminato il più lontano sospetto che la carica di deputato possa essere anche un mezzo per accaparrare più o meno cospicui emolumenti, e che con incarichi, prebende e concessioni, talora anche a persone non del tutto capaci e meritevoli, si voglia concorrere a rafforzare un partito più che un altro o a mantenere e rinsaldare un prestigio individuale o di carattere elettorale e politico, il che sarebbe più grave ancora per la libertà e l’indipendenza che ogni deputato deve avere nell’esercizio del proprio mandato. (Vivi applausi).

È già assai grande l’onore che è concesso a chi è chiamato a rappresentare il popolo nel più alto consesso della Nazione; più grande ancora è l’onere e la responsabilità che ne derivano; meglio, più corretto e più giusto riserbare ad altri lavori ed incarichi più o meno retribuiti.

Deve poi ritenersi indispensabile che si ritorni al costume, rigorosamente rispettato prima del fascismo, secondo il quale per uomini politici, durante il loro ufficio di Ministri, Sottosegretari o anche deputati, non si riteneva corretto avere incarichi retribuiti dal Governo, oppure conseguire promozioni o trasferimenti negli impieghi di già tenuti prima della nomina a deputati o Ministri. E non deve perpetuarsi quel sistema sorto pure durante il fascismo, per il quale i Ministri o Sottosegretari, uscendo di carica, avevano quasi come premio un incarico più o meno redditizio, o una promozione nella carriera. (Vivi applausi).

La Commissione, chiamata a pronunziarsi sopra eventuali casi di incompatibilità morale o politica, ha posto soltanto dei problemi sui quali ha stimato anche suo dovere esprimere le proprie opinioni; le relative soluzioni sono poi affidate all’Assemblea Costituente. Al termine però dei suoi coscienziosi lavori, sente in pari tempo spontaneo ed anche imperioso il bisogno di affermare recisamente che non possono in alcun modo impressionare piccoli ed insignificanti episodi che vanno rapidamente eliminandosi, come procede e s’impone il nuovo libero orientamento politico, in modo da dimostrare che un triste passato non continua né si rinnova con forme e partiti diversi.

L’Assemblea Costituente, come ha di già dimostrato con l’importanza e l’elevatezza delle sue discussioni a proposito della legge costituzionale e di altri non meno interessanti argomenti, anche per la notevole coesione dei vari gruppi politici, indistintamente dai maggiori ai minori, come per la qualità e per le doti dei suoi componenti, nessuno escluso, ben risponde alle esigenze ed alle legittime aspirazioni del popolo.

Nel suo progressivo sviluppo politico offre sicuro auspicio che la prossima Camera legislativa, ben degna della giovane Repubblica Italiana, saprà affrontare e risolvere i più grandi problemi dai quali può derivare una era di pace, dedicata ad un lavoro concorde e fecondo, unico mezzo per affrettare la ricostruzione della Patria. (Vivi applausi).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Chiederei che la relazione fosse, come la precedente, stampata e distribuita; e, affinché ognuno di noi sia bene informato della situazione controllata dalla Commissione nell’indagine compiuta a carico di ogni deputato, desidererei che fosse anche distribuito l’elenco dei deputati che hanno denunciato di ricoprire degli incarichi, elenco al quale ha fatto riferimento chiaro ed esplicito l’onorevole Rubilli. (Commenti al centro). Chiarisco la mia idea: l’onorevole Rubilli ha detto esservi una trentina di deputati i quali rivestono determinate cariche extra parlamentari, come in aziende pubbliche o private, ecc. Io chiedo, non per quelli che non hanno incarichi, ma per quelli che ne hanno, che sia fatta una indicazione per ogni singolo deputato.

In sostanza, io chiedo che l’elenco dei deputati che rivestono determinati incarichi sia distribuito; non mi interessa quello dei deputati che non hanno incarichi.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io credo che la proposta del collega di sinistra sia accettabile, con una modifica: che anche coloro i quali non hanno ancora presentato la loro dichiarazione, la presentino. (Approvazioni a destra).

PATRISSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRISSI. Sono favorevole alla pubblicazione integrale delle statistiche risultanti dalle indagini compiute dalla Commissione. Vi è chi ha molti incarichi, chi ne ha uno solo, e comunque è bene che siano invitati gli altri a denunciare i loro incarichi. Nella relazione che ha letto l’onorevole Rubilli vi sono poi delle enunciazioni di criteri e di principî che sarebbe desiderabile regolassero l’atteggiamento e la condotta dei deputati all’Assemblea Costituente. Io chiederei che, in qualche modo, in un ordine del giorno che potrà essere votato dall’Assemblea, si sanzionassero questi principî; perché, come ebbi a dire in febbraio, quando fu fatta la proposta dell’onorevole Natoli, noi dobbiamo, per venire incontro a questa situazione, risolvere una volta per tutte il problema delle incompatibilità; nel senso cioè che non esistono vie di mezzo: dobbiamo tornare alla vecchia tradizione parlamentare, secondo cui l’onore di rappresentare il popolo era così alto che colui che ne era investito doveva esserne pago e non doveva conservare o sollecitare incarichi statali o parastatali.

Faccio formale richiesta alla Commissione degli Undici, di riassumere, in un ordine del giorno da sottoporre al voto dell’Assemblea, le conclusioni riguardanti le incompatibilità.

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Io appartengo alla categoria di quei deputati che non hanno inviato alla Presidenza della nostra Assemblea alcuna dichiarazione. Se non ho inteso male, il collega onorevole Russo Perez vorrebbe che tutti questi deputati inviassero anche la loro dichiarazione.

Fo presente che non ho inviato alcuna dichiarazione perché non avevo nulla da dichiarare. D’altra parte il modulo che è stato distribuito non stabiliva l’obbligo, per i deputati che non avevano alcun incarico, di inviare alla Presidenza qualche dichiarazione.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. L’onorevole Coppi mi pare che abbia perfettamente ragione. Infatti, il modulo che è stato distribuito era formulato in modo che non si era obbligati a fare delle dichiarazioni. Io sono tra quelli che l’hanno fatta negativamente, ma in realtà non vi era quest’obbligo.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Credo, onorevoli colleghi, che non solo un partito, ma tutta l’Assemblea e tutto il Paese, debbano essere lieti delle conclusioni a cui è pervenuta la Commissione d’inchiesta, che si ispirano a così alti principî di probità e moralità politica.

Le conclusioni della Commissione pongono fine, nel modo più degno, ad una campagna scandalistica che non solo aveva profondamente ed ingiustamente ferito l’animo di alcuni nostri colleghi ma, consapevolmente o inconsapevolmente, mirava a gettare il discredito sulle istituzioni democratiche.

Io non voglio, con una sola parola, invelenire la situazione. Esprimo soltanto un desiderio: avrei cioè desiderato che l’onorevole Finocchiaro Aprile fosse presente e, con lealtà, avesse riconosciuto di essersi lasciato troppo trasportare dalla passione nelle sue accuse. La Commissione di inchiesta ha detto che il sistema non è da incoraggiare; io penso che in questo giudizio siamo tutti concordi, precisando che il sistema non è da incoraggiare perché lede quei principî di probità e di dignità politica che debbono essere patrimonio geloso di una libera Assemblea. (Applausi al centro).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Abbiamo ascoltato con molta attenzione la relazione dell’onorevole Rubilli e dobbiamo rendere testimonianza dello zelo, dello spirito di serenità con cui la Commissione ha proceduto nei suoi lavori. Per quanto riguarda le conclusioni a cui la Commissione è giunta, non v’è dubbio che la Commissione stessa si è preoccupata di dosare i suoi giudizi in merito ai vari casi; si è preoccupata di dosarli in tal modo, che nella coscienza di ciascuno di noi è chiara l’esistenza di una gradazione di valutazioni, della quale non possiamo non prendere atto.

Per quello che si riferisce all’affermazione dei criteri generali, giustamente l’onorevole Rubilli ha detto che esistono due forme di incompatibilità: le incompatibilità giuridiche e le incompatibilità morali. Per ciò che riguarda le incompatibilità giuridiche, provvederà la nuova legge elettorale; ma è chiaro che la relazione della Commissione contiene implicitamente, se non un monito, un appello a coloro i quali, rientrando comunque in uno dei casi cui l’onorevole Rubilli ha fatto cenno, debbono porsi in coscienza la domanda se nei loro confronti esista o meno un caso di incompatibilità morale.

Per quello che riguarda le conclusioni di carattere generale, io sono d’accordo con la proposta che è stata fatta, nel senso che alle conclusioni della Commissione debba essere conferito un carattere, non dico di solennità, ma di speciale gravità, da un voto esplicito dell’Assemblea.

L’oratore che ha formulato la proposta ha detto che è necessario tornare ai tempi in cui nessun dubbio poteva essere sollevato sulla moralità di coloro che erano investiti della funzione e della responsabilità di deputati al Parlamento.

PICCIONI. Quali furono questi tempi?

CIANCA. Io aggiungo che tanto più si ravvisa necessario affermare questo principio dopo la profonda immoralità inserita nella vita politica dalla propaganda e dalla prassi del regime fascista.

Noi dunque siamo d’accordo nel prendere atto delle risultanze della Commissione degli Undici, secondo i diversi criteri di valutazione nella relazione stabiliti. Criteri i quali d’altronde sono stati anche messi in rilievo dalla differente accoglienza che l’Assemblea ha fatto, applaudendo o non applaudendo a determinate conclusioni specifiche del relatore.

PICCIONI. Non c’entra nulla, mi pare.

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, la prego di non interrompere.

CIANCA. Io non comprendo, soprattutto in questo campo, le interruzioni. L’onorevole Piccioni è troppo abile giurista e troppo fine ragionatore perché non veda il diritto che io ho di pervenire alle conclusioni cui sono pervenuto. Se dovessi d’altronde accettare quello che egli ha detto dovrei concludere che è stato perfettamente inutile che l’onorevole Rubilli abbia parlato un diverso linguaggio nei confronti dei vari capi sottoposti all’esame della Commissione.

Con questo – intendiamoci – non voglio fare nessuna accusa specifica. Quando noi siamo intervenuti in questo dibattito, siamo stati i primi a levarci contro le tendenze scandalistiche di cui valutiamo la gravità ed in certo senso anche l’immoralità. Ma dobbiamo dire che in questo momento, come corpo politico, non possiamo non tener conto della differenza di linguaggio e, come dicevo, d’una determinata gradazione che è esplicita anziché implicita, nella relazione dell’onorevole Rubilli.

MASTINO GESUMINO. Sono cose diverse. Non c’è gradazione.

CIANCA. Mi pare che i colleghi vogliano spingermi ad accentuare il tono là dove io mi sono proposto, per ragioni di correttezza, di fare rapida allusione. Non credo che convenga agli interruttori di insistere su certi motivi. Ho fatto un accenno unicamente sul terreno politico. Ripeto, in questo è implicito un riconoscimento obiettivo dei criteri di serenità e di giustizia ai quali la Commissione degli Undici si è ispirata.

Concludo dicendo che sarebbe opportuno che questa Assemblea facesse proprie, con un voto esplicito, le conclusioni a cui è arrivata nella sua parte finale la relazione della Commissione degli Undici. (Applausi).

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Mi ero proposto di tacere, ma, dal momento che non pare che sia unanime il giudizio dell’Assemblea, chiedo – per quanto mi riguarda – l’applicazione dell’articolo 80-bis del Regolamento; comunque chiedo la nomina di una Commissione d’inchiesta la quale accerti, per quanto mi riguarda, i fatti, anche perché da essi, così come sono stati narrati dal Relatore, non mi pare che sia emersa nella sua sostanza la realtà delle cose, forse perché la Commissione ha pronunciato, in sostanza, un giudizio d’incompetenza.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà,

TOGLIATTI. Desidero fare un’osservazione e una proposta, dopo aver udito le conclusioni alle quali è arrivato l’onorevole Cianca, di cui condivido molte delle considerazioni.

L’onorevole Cianca propone di approvare le conclusioni e le proposte con le quali si conclude la relazione della Commissione degli Undici, che sono proposte relative al criterio dell’incompatibilità e all’applicazione di questo criterio in differenti casi.

Ora mi pare che, se si facesse questo, si farebbe cosa un po’ affrettata. Dateci il tempo di riflettere.

La mia proposta sarebbe questa: che noi, del rapporto della Commissione degli Undici, come ci è stato letto (e finora ci è stato soltanto letto, non lo abbiamo letto ancora noi stessi e, quindi, molte cose le conosciamo in modo ancora superficiale), che noi – dicevo – dessimo atto di questo rapporto alla Commissione degli Undici e, per quanto si riferisce alle proposte sulla incompatibilità, ci fosse dato il tempo di riflettere, e che il problema venisse esaminato in sede separata, o in un’altra seduta, oppure quando discuteremo della legge elettorale. (Approvazioni).

PATRISSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRISSI. La proposta dell’onorevole Cianca distingue fra incompatibilità giuridica e incompatibilità morale. L’incompatibilità giuridica potrà formare oggetto di studio e di esame in sede di discussione della legge elettorale, ma le incompatibilità morali devono – viceversa – formare oggetto di formulazioni di principio adottate dall’Assemblea, perché la materia morale è molto elastica.

Sarebbe opportuno che in un ordine del giorno, che contenesse appunto queste formulazioni di principio, l’Assemblea si pronunciasse su questa materia tanto delicata.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Anche a nome della Commissione, sento il dovere di dire una parola sulle proposte che sono state fatte.

Una volta presentata la relazione, il nostro compito è espletato, e spetta all’Assemblea di esaminare e giudicare.

Soltanto una preghiera io desidero fare ai colleghi: cerchiamo di non ampliare, di non prolungare un episodio che certo non è uno dei più allegri.

Sta bene la discussione, stanno bene le proposte, stanno bene gli ordini del giorno, ma io non credo che sia opportuna la pubblicazione di tutti gli incarichi che hanno i deputati.

Voci. Perché no?

RUBIGLI, Presidente della Commissione degli Undici. Non credo sia indispensabile. Lasciate ch’io vi faccia un’osservazione e voi deciderete. Noi che abbiamo visto quei moduli e li conosciamo possiamo anche dire che non portano ora ad alcuna conseguenza pratica. Dobbiamo essere tutti d’accordo che c’è stato un periodo il quale deve ritenersi come eccezionale e puramente transitorio: nuove norme dovranno essere stabilite, una nuova disciplina si dovrà imporre anche ai deputati dal punto di vista morale e politico. Ora, se il periodo transitorio sta per chiudersi, a che serve andare cercando gli incarichi che sono stati dati in un momento in cui non si era deputati, o non si era stabilita ancora alcuna norma che ne vietasse l’accettazione?

È indispensabile invece esaminare oggi quali nuovi criteri si vogliano seguire, e quali vincoli imporre ai deputati.

Per maggiore conoscenza poi di ogni elemento di fatto, potranno i colleghi recarsi alla Segreteria della Commissione, dove ormai gli atti ed i documenti sono a loro disposizione, e così avranno anche modo di esaminare i moduli e formarsi il concetto che credono. Ma, ripeto, farne una pubblicazione non mi pare né necessario, né utile, né opportuno; dico ciò al solo scopo di evitare perdita di tempo e di giungere alla discussione ed alla conclusione al più presto possibile.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Credo che sia interesse di tutti arrivare ad una conclusione. Sono state fatte proposte, sia dal collega Cianca, sia dal collega Togliatti e in ultimo dal Presidente della Commissione onorevole Rubilli. Ma a me pare che bisognerebbe precisare. Intanto a noi sono indispensabili tutti quei dati che abbiamo sentito leggere dal collega Rubilli e su cui la nostra attenzione si è portata affrettatamente. Abbiamo perciò bisogno di controllare, cioè di fare un esame della relazione. Pertanto appare a me indispensabile che, nell’interesse di tutti, per meglio arrivare alla conclusione come ciascuno di noi desidera, la relazione sia pubblicata e distribuita.

Secondo: una volta che abbiamo esaminato la relazione a fondo ed esaminato i fatti per vedere cosa significa incompatibilità giuridica, morale, ecc., sarà indispensabile concludere con un ordine del giorno che esprima in sintesi la volontà dell’Assemblea, con l’obbligo di ciascuno di rispettare tale volontà. Quindi si dimetteranno da deputati quelli che lo crederanno opportuno; quelli invece che riterranno di doversi dimettere dalle cariche, si dimetteranno dalle cariche.

Se questo non si fa, i risultati della relazione saranno vani è non si concluderà nulla: l’accertamento delle incompatibilità rimarrà allora un pio desiderio e lettera, morta. (Applausi).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. A me sembra che si debba tener conto di varie circostanze. La relazione di una Commissione d’inchiesta può essere così semplice e piana e definitiva che basta venga esposta all’Assemblea perché l’Assemblea ne prenda atto e così finisca l’episodio a cui si riferisce. Vi sono poi relazioni un po’ complesse che non possono essere approvate in tutte le loro parti, ad una semplice lettura. Nel caso nostro si tratta di una relazione che ha anche una caratteristica in più, perché conclude anche con delle proposte di massima o da prendersi in esame oggi o da tenere in conto domani, e che si riferiscono a casi d’incompatibilità legali e morali. Si tratta quindi di una relazione che può portare a conseguenze d’importanza molto più notevole di quelle inerenti ad una pura e semplice presa d’atto delle conclusioni stesse. Si è parlato, con ragione, dell’importanza della relazione e dell’opportunità di stamparla. L’onorevole Rubilli ha invitato noi, suoi colleghi, ad esaminare alcuni documenti di cui la Commissione si è servita. Mi sembra che tutte queste circostanze non possano portare che ad una conclusione: stampare, distribuire la relazione e poi discutere, non dico ridiscutere, ma discutere per la prima volta la relazione stessa e prendere le conclusioni che saranno del caso.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Il mio intervento è limitato, onorevoli colleghi, a confutare quello che ha detto il Presidente della Commissione degli Undici, onorevole Rubilli, cioè essere inopportuno che venga pubblicato l’elenco degli onorevoli colleghi i quali hanno degli incarichi retribuiti. L’onorevole Rubilli s’è preoccupato di porre una domanda: «A che cosa servirebbe la pubblicazione di questo elenco?». Serve molto, onorevole Rubilli, perché purtroppo, si è portata qua dentro e si è quindi diffusa nel Paese, una questione che possiamo definire morale; ed è necessario che ognuno di noi sia a conoscenza di quello che può incidere sulla personalità morale di un altro collega per gli incarichi che ha ricevuto, anche se erano incarichi di natura transitoria. Non vi sono mezzi termini. Io sono convintissimo, e mi auguro, che l’assoluta maggioranza di questi incarichi sia a titolo gratuito e non dipenda dalle funzioni politiche; ma appunto per questo ritengo che sia opportuno che l’Assemblea prenda conoscenza precisa degli incarichi, della natura e qualità di essi, e possa formarsi un giudizio e discuterne se sarà il caso. Infine, mi associo alle conclusioni a cui vorrebbe giungere subito l’onorevole Patrissi; ma mi sembra molto più esatta l’opinione dell’onorevole Togliatti, là dove, non contrastando assolutamente con esse in linea di principio, ha chiesto che noi si abbia modo e tempo, e non soltanto per averla sentita leggere da altri, di esaminare la relazione direttamente e studiarne le conclusioni. Noi dobbiamo tendere alla tutela della nostra dignità affinché nel Paese questa democrazia sia finalmente una democrazia rispettata, il che otterremo soprattutto se i membri di quest’Assemblea risulteranno inattaccabili, senza pericolo cioè di accuse sulla loro correttezza e onorabilità.

PRESIDENTE. Sono stati presentati due ordini del giorno. Il primo a firma degli onorevoli Costantini e Nobile:

«L’Assemblea, sentita la relazione della Commissione degli Undici, delibera:

1°) che essa sia distribuita ai deputati;

2°) che sia anche comunicato l’elenco di coloro che hanno avuto ed hanno incarichi con la specificazione della qualità degli stessi e l’ammontare delle relative retribuzioni;

3°) che successivamente l’Assemblea stabilisca la data in cui potrà discutere le conclusioni della relazione stessa».

Vi è poi un altro ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria:

«L’Assemblea, udita la relazione dell’onorevole Rubilli, ne prende atto e approva le conclusioni della medesima relative alla necessità di dare alle alte funzioni di rappresentante del popolo tutta quella indipendenza da incarichi extra-parlamentari richiesta dalla dignità e dalla moralità della vita pubblica».

Sono state avanzate varie richieste. La prima è quella della stampa della relazione. La richiesta è contenuta nell’ordine del giorno dell’onorevole Costantini. Poi è stata fatta la richiesta della stampa e distribuzione di certi elenchi dei deputati. Gli onorevoli Costantini e Nobile chiedono l’elenco di coloro che hanno o hanno avuto incarichi: altri colleghi chiedono che si proceda, invece, alla stampa dell’elenco di tutti i deputati che hanno consegnato il modulo riempito. Si aggiunge la richiesta suppletiva che i colleghi che non hanno restituito il modulo, e ne erano autorizzati dalla dizione stessa con cui questo è stato redatto, siano invitati a riempirlo e restituirlo, in modo che la pubblicazione comprenda i nomi di tutti i deputati dell’Assemblea, abbiano o non abbiano incarichi.

A questo proposito l’onorevole Rubilli ha fatto presente che quanto meno per quest’ultima richiesta, cioè per la conoscenza delle posizioni dei singoli deputati in relazione agli incarichi, ci si potrebbe rimettere all’esame del materiale conservato in Segreteria, cioè praticamente alla visione diretta dei moduli riempiti e restituiti dai singoli deputati.

Vi è poi l’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria che, riprendendo in parte la proposta dell’onorevole Patrissi, chiede che l’Assemblea esprima un giudizio sulle conclusioni di carattere generale, in modo che esso divenga termine di misura e confronto per i singoli membri dell’Assemblea nella loro posizione attuale.

PATRISSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRISSI. Ho motivo di credere che si sia equivocato sulla natura della mia proposta, in quanto l’onorevole Presidente l’ha abbinata all’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria.

Il mio punto di vista è questo: che debba ritenersi chiuso con un voto il lavoro della Commissione; c’è una questione di ordine generale, una questione di principio, e mi associo in ciò alla proposta dell’onorevole Togliatti, che va giustamente meditata e ponderata.

Quindi la parte della conclusione della Commissione che riguarda l’impostazione di carattere generale deve essere distribuita. Bisogna che ci sia consentito di esaminarla, di riflettere sulle proposte e di riproporle nell’ordine del giorno. Insomma il mio desiderio è che il lavoro di questi quattro mesi della Commissione non sia del tutto sterile e che ci impegni moralmente a uniformare la nostra linea di azione a determinati criteri.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Patrissi di redigere la sua proposta per iscritto, perché sia sottoposta all’approvazione dell’Assemblea.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Vorrei chiedere all’onorevole Costantini se lo spirito e quindi la conclusione ultima della sua proposta sia o non sia che la relazione ritorni alla discussione dell’Assemblea. (Commenti).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi sembrava di essermi espresso chiaramente. Mi sorprende che l’onorevole Targetti non mi abbia capito.

Io ho detto che concordo nelle conclusioni cui è giunto l’onorevole Patrissi, ma concordo anche con il concetto dell’onorevole Togliatti, il quale ha detto: «Dateci tempo di esaminare; poi discuteremo e arriveremo a qualche conclusione».

PRESIDENTE. L’onorevole Togliatti se non erro, non ha ancora detto questo. Ha detto: «Vedremo poi se dovremo farne argomento di una discussione particolare o se questa discussione dovrà esser fatta al momento in cui si esamineranno le leggi elettorali, le quali toccano anche il problema delle incompatibilità».

COSTANTINI. Comunque l’onorevole Togliatti era sempre per un esame della situazione, per giungere poi, dopo questo esame, a delle conclusioni. Quindi, secondo me, Togliatti concordava per la distribuzione della relazione a fine di studio e, successivamente, anche di particolare discussione.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Il significato della mia proposta era prima di tutto di permetterci di prendere visione, con un po’ più di ponderatezza, delle conclusioni della Commissione. Quindi avere questa relazione, leggerla, studiarla ed esaminarne le conclusioni. Per questa parte mi associo alla proposta dell’onorevole Costantini.

Inoltre io proponevo che in una sede o in un’altra discutessimo di quelle conclusioni che si riferiscono all’incompatibilità; e se l’onorevole Costantini fa sua la proposta, di discuterle in seduta apposita, e non in legame alla legge elettorale, mi associo alla sua proposta.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Composarcuno, Coccia e Cappugi hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, sentita la relazione degli Undici, ne prende atto e ne chiede la distribuzione ai deputati, riservandosi ogni altra decisione in merito».

L’onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgerlo.

CAMPOSARCUNO. Io desidererei un po’ illustrare questo ordine del giorno. La relazione degli Undici esamina, prima di ogni altra questione, i casi che furono denunciati dall’onorevole Finocchiaro Aprile. Li esamina secondo il criterio che ha creduto di adottare. Mi pare che tutta l’Assemblea sia concorde nel dare atto di ciò alla Commissione degli Undici. I singoli interessati – come è avvenuto per l’onorevole Scoca che non si è ritenuto sodisfatto, almeno pare, delle conclusioni degli Undici – potranno fare quelle proposte che riterranno di proprio interesse. Questo esula un pochino dalla nostra competenza.

Per quanto riguarda le conclusioni che noi vogliamo trarre dalla relazione della Commissione, le proposte sono diverse. Alcuni vorrebbero che si pubblicasse l’elenco di tutti i deputati i quali hanno ricoperto o ricoprono cariche od incarichi che si ritengono incompatibili con la carica di deputato.

La pubblicazione, a giudizio del Presidente della Commissione degli Undici, farebbe ancora un po’ mettere in discussione un problema che invece noi vogliamo eliminare al più presto. Penso però che ai singoli deputati possa effettivamente interessare l’elenco di quei colleghi i quali si trovano in tali condizioni, non per renderlo di pubblica ragione, ma per renderne edotti tutti i deputati.

Per quanto riguarda l’incompatibilità e la ineleggibilità, penso che questo argomento debba essere deciso in occasione della discussione delle leggi elettorali; e siccome tale discussione è imminente, in quella sede troveranno il posto più adatto le incompatibilità e le ineleggibilità.

In merito alla parte finale della relazione, cioè la parte morale, io penso che qualsiasi decisione prendessimo noi oggi, sarebbe veramente affrettata. Ed allora io, in conclusione, mi associo a quello che ha detto l’onorevole Togliatti e propongo che la relazione sia pubblicata e distribuita ai singoli deputati, i quali dovranno esaminarla ponderatamente, perché una semplice lettura non basta a formare una convinzione precisa sulla reale sostanza della relazione degli Undici. Dopo che ciascuno di noi avrà avuto la relazione scritta, ed avrà potuto così formarsi le proprie convinzioni, potrà fare le proposte che riterrà di interesse e di competenza dell’Assemblea Costituente. Sotto questo aspetto ed in questo senso, va inteso l’ordine del giorno da me presentato.

PRESIDENTE. L’onorevole Selvaggi ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, udita la relazione della Commissione degli Undici, prende atto del suo operato e delle sue conclusioni.

«Per quanto concerne l’affermazione di principî generali cui ispirare il comportamento dei singoli deputati e che forma oggetto dell’ultima parte della relazione degli Undici,

l’Assemblea delibera la pubblicazione e la distribuzione della relazione stessa, nonché dell’elenco delle cariche ricoperte da ogni deputato (invitando, pertanto, tutti i deputati ad adempiere a tale obbligo);

invita la Presidenza a fissare un giorno in cui si possa discutere della relazione e stabilire quale parte possa essere oggetto dì un ordine del giorno e quale possa essere raccomandata per la futura Camera elettorale».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei far rilevare ai colleghi che mi pare che stiamo uscendo un po’ fuori dal seminato. (Commenti). Noi siamo partiti da alcune accuse specifiche, lanciate da un nostro collega contro altri colleghi; abbiamo nominata una Commissione di inchiesta, che ha riferito in un primo tempo su due casi; ora riferisce su altri casi. Noi, con una generosità di cui probabilmente il Paese non ci è stato per nulla grato, ci siamo messi tutti sotto inchiesta ed abbiamo dato lo spettacolo di un’Assemblea Costituente in cui tutti e 556 i deputati hanno dubitato gli uni degli altri. (Applausi). Ma la Commissione degli Undici rappresenta noi stessi; noi abbiamo dato ad essa i poteri più ampi per indagare sui casi singoli e su tutto il complesso dei casi. Essa è arrivata a questa conclusione: che non c’è nulla che possa autorizzare chicchessia a credere che fra i deputati alla Costituente ve ne siano taluni che possano presentare la più piccola delle incrinature morali. Dopo questa conclusione della Commissione degli Undici, cioè a dire di noi stessi, noi decidiamo, o meglio, vogliamo decidere di pubblicare la relazione e di pubblicare altresì gli elenchi, mettendo così di nuovo tutta l’Assemblea sotto inchiesta, e non più dinanzi ad una Commissione ristretta di colleghi! (Interruzione dell’onorevole Pajetta Giuliano Rumori a sinistra).

Io non ho per niente da preoccuparmi personalmente, ma mi preoccupo solo perché può ricominciare, nel Paese, una serie di attacchi di carattere personale contro chiunque di noi.

Si potrebbero infatti presentare dei casi nei quali la gente non sapendo quale sia il tipo di un incarico, potrebbe credere a chi sa che cosa, e noi dovremmo discutere volta per volta, o col tale o col tal’altro giornale, per dimostrare che siamo dei galantuomini, come la nostra Commissione d’inchiesta – da noi nominata – ha pubblicamente attestato oggi.

Quindi pubblichiamo pure gli atti della Commissione e, per quanto concerne la relazione, mandiamone la conclusione sulle incompatibilità alla Commissione che esamina la legge elettorale politica (Approvazioni al centro – Commenti a sinistra), che è la sola in grado di poterne prendere atto e trarne le conseguenze. Ma non pubblichiamo l’elenco dei deputali; ciascuno di noi, se vuole, se lo vada a vedere presso gli atti della Commissione. Ciò non perché si abbia paura, ma perché non possiamo, dopo il giudizio della Commissione di inchiesta, riaprire l’inchiesta su tutti i deputati. Se questo dovesse accadere, io faccio formale richiesta che la Commissione degli Undici resti perennemente in funzione per poter difendere di fronte agli attacchi, da qualunque parte vengano, tutti i deputati che potessero essere discussi per la pubblicazione dell’elenco.        

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Io ho l’impressione che invece di chiarire si continui a confondere. Io non vedo quello che vede l’onorevole Corbino…

CORBINO. Abbiamo occhi diversi.

SELVAGGI. …cioè la necessità di fare una nuova inchiesta. Mi sembra che non ci possa essere una dichiarazione più chiara di quella che è stata fatta. Rendiamola, dunque, di pubblica ragione. Essendo stati tutti, più o meno, messi in causa, abbiamo il dovere di rendere pubblica la nostra situazione. Non mi sembra che così si possa attaccare nessuno. Se poi c’è qualcuno che su una pubblicazione voglia speculare, ed allora c’è il dovere di tutti gli altri 555 membri dell’Assemblea di difendere il 556°. Questo mi sembra logico. (Interruzioni – Commenti).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Occorre, innanzi tutto, stabilire su che cosa noi discutiamo, quale è il nostro ordine del giorno. Esso è: «Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana». L’argomento di cui abbiamo discusso e discutiamo è, come ognuno vede, affatto diverso; tuttavia, la discussione stessa si giustifica, ma si giustifica se si contiene nei suoi termini. Perché? Perché, in sostanza, la Camera – io non sono buono a dire Assemblea – ha voluto procedere ad un giudizio che riguarda uno dei suoi interna corporis. Ciò può ammettersi che sia sempre possibile; ma, fatta questa concessione, bisogna sempre che ci conteniamo in limiti rigorosi. Ci sono state accuse a deputati alle quali l’Assemblea stessa può provvedere in virtù del suo Regolamento interno; ecco perché dico che si può considerare come interna corporis. Su questa accusa l’Assemblea ha deciso di deferire il giudizio ad una Commissione, la quale, se mi permettete l’espressione di carattere cavalleresco, mentre non ho appartenuto mai a nessuna cavalleria, costituisce una specie di giurì d’onore, dove tutti i partiti sono rappresentati. In questa Commissione io ho piena fiducia. Per me, quello che essa ha fatto è egregiamente fatto. Quindi, io approvo la decisione della Commissione. E con questo la questione si esaurisce come ordine del giorno. Ma qualcuno può dire: «No, io non approvo la relazione o, quanto meno, desidero che sia discussa». Ed allora, si può aprire questa discussione, ma a condizione che sia materia all’ordine del giorno. Io sento parlare di limiti giuridici, di limiti morali; poco ci manca che non si arrivi ad una specie di breviario ad uso dei deputati, poiché tutto quanto tocca la morale non può esser compreso e definito con formole astratte senza il concorso di quella sensibilità individuale, che è l’unica misura di quello che è o non è consentito ad una persona onesta di fare o di non fare.

Comunque, in questo momento l’Assemblea è chiamata soltanto a prendere atto, è con ciò approvarla, della relazione della Commissione: oppure, un’altra soluzione si presenta per coloro che non credono che la discussione si possa chiudere ora così: stampare la relazione, che sarebbe l’attuazione di un principio generale di diritto parlamentare, cioè quello che tutti i documenti debbono essere scritti, stampati e distribuiti. Dopo di che, qualsiasi deputato il quale creda di dover riprendere la questione, in una fine di seduta, in una qualunque delle future nostre riunioni potrà chiedere che sia messa all’ordine del giorno la discussione su questa relazione. Questo mi pare che sia nei termini del Regolamento. Pertanto, o la Camera approva in questo momento, puramente e semplicemente, le conclusioni della Commissione, – nel qual caso l’argomento è esaurito – e questo del resto dovrebbe essere quando l’Assemblea si affida ad una specie di giurì d’onore, quale è stata questa Commissione, perché altrimenti ogni altro atteggiamento sarebbe un atteggiamento anarchico, come avviene quando manca una guida, e ogni membro di un collegio segue esclusivamente il suo impulso personale; o, invece, si crede che l’argomento vada discusso e se ne traggono argomenti per varie deliberazioni da consacrare in appositi ordini del giorno, e allora, non c’è che da stampare la relazione, allegandovi quei documenti che la Commissione deciderà di allegare; perché questo non lo dobbiamo dire noi. Si capisce che una relazione stampata deve avere i suoi allegati, e questo deve decidere la Commissione stessa; dopo di che, distribuita la relazione, la questione potrà riproporsi in discussione all’Assemblea, ma sempre dopo che sarà posta all’ordine del giorno di una prossima seduta.

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Mi duole di non essere d’accordo col nostro Maestro Orlando, perché mi sembra che si confonda ancora: la Commissione degli Undici ha fatto anzitutto un’opera d’inchiesta ed è arrivata ad una conclusione, in seguito alle accuse fatte in questa Assemblea da parte di un deputato ad altri suoi colleghi. E su questo, essendosi l’Assemblea affidata ad una Commissione, che è nostra emanazione, sia pure sotto la forma del giurì d’onore, come ha voluto chiamarlo l’onorevole Orlando, la cosa è finita.

Ma c’è una seconda parte sulla quale verte ora la discussione: quella riguardante proposte su principî generali, ai quali i deputati dovrebbero attenersi per evitare che in futuro vi potessero essere scambi di accuse fra un deputato ed un altro e per una questione di carattere morale da parte di un rappresentante del popolo verso il Paese stesso. E a questa seconda parte che si riferisce la pubblicazione delle cariche ricoperte da ogni deputato, ed è su questa seconda parte che noi dovremmo discutere, per vedere se è il caso di includere questi principî generali in un ordine del giorno, o se dovranno essere demandati alla futura legge elettorale. Perciò mi sembra che non vi sia nessuna difficoltà a dire: questa Commissione ha finito i suoi lavori, ne prendiamo atto, ma discutiamo la seconda parte che riguarda proposte concrete.

PRESIDENTE. Mi pare che il problema si ponga in questi termini: approvare la relazione della Commissione, secondo l’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria, e ritenere con questo chiusa la questione; oppure, accettato o no l’ordine del giorno Di Gloria, considerare la questione come ancor sempre aperta.

Si tratterebbe allora di decidere da un punto di vista tecnico come preparare la discussione a venire. Per ora intanto dobbiamo stabilire che cosa deve essere pubblicato. L’onorevole Orlando ha detto che, in definitiva, la Commissione stessa deve essere arbitra o giudice di quali documenti allegare alla propria relazione Ma forse alla Commissione non dispiacerà di avere al riguardo un consiglio dall’Assemblea; si spoglierà in tal modo di una responsabilità.

Abbiamo dunque l’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria, il quale chiude la questione. Se esso sarà approvato, tutti gli altri non avranno più ragion d’essere. Se invece non sarà approvato, si dovrà far ricorso agli altri ordini del giorno.

LUSSU. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Per la rapidità della discussione, visto che da tutti i settori si chiede la pubblicazione, l’onorevole Di Gloria dovrebbe ritirare il suo ordine del giorno, altrimenti si sarebbe obbligati a chiedere l’appello nominale.

PRESIDENTE. Per me, onorevole Lussu, la questione non si pone, perché non so se l’onorevole Di Gloria accede all’invito di ritirare il suo ordine del giorno.

DI GLORIA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Mi pare non vi sia dubbio che l’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria debba avere la precedenza nella votazione.

Onorevoli colleghi, vediamo di concludere. È stato chiesto l’appello nominale sull’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria.

DI GLORIA. In seguito ad uno scambio di idee avuto con il Presidente del mio Gruppo, ritiro, sia pure a malincuore, il mio ordine del giorno.

PRESIDENTE. Sta bene. Restano allora tre ordini del giorno, ciascuno dei quali propone alcuni provvedimenti concreti in ordine alla più diretta conoscenza che l’Assemblea desidera avere della relazione presentata. Tutti e tre gli ordini del giorno propongono, per intanto, la pubblicazione della relazione.

L’ordine del giorno degli onorevoli Costantini e Nobile propone anche che sia comunicato l’elenco di coloro che hanno avuto o hanno incarichi, con specificazione della qualità degli stessi e dell’ammontare delle relative retribuzioni; e, in secondo luogo, che successivamente l’Assemblea stabilisca la data in cui potrà discutere le conclusioni della relazione.

L’onorevole Selvaggi, a sua volta, chiede la pubblicazione della relazione; in più chiede la pubblicazione dell’elenco delle cariche ricoperte da ogni deputato, aggiungendo l’invito ai deputati che non hanno ancora presentato il questionario riempito, a restituirlo.

Onorevole Selvaggi, ciò significa che lei ritiene che la pubblicazione debba riferirsi ad un elenco completo, cioè di deputati che abbiano o non abbiano cariche?

SELVAGGI. Completo, abbiano o non abbiano cariche.

PRESIDENTE. In questo punto l’ordine del giorno Selvaggi differisce quindi da quello dell’onorevole Costantini. Infine, mentre l’onorevole Costantini lascia facoltà all’Assemblea di deliberare o meno sulla discussione della relazione, l’onorevole Selvaggi invita la Presidenza a fissare un giorno nel quale si possa discutere la relazione.

C’è poi un ordine del giorno dell’onorevole Camposarcuno che si limita a richiedere la distribuzione della relazione, salvo poi a deliberare quel che si debba fare.

Penso che si debba cominciare a votare la proposta che la relazione della Commissione degli Undici sia pubblicata e distribuita, proposta comune a tutti gli ordini del giorno.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Voterò per la pubblicazione della relazione, ma non voterò per la pubblicazione dell’elenco dei deputati, perché questa è roba da giornali e romanzi gialli. Penso che sarebbe cosa poco seria.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. La Commissione si astiene.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima richiesta, comune a tutti e tre gli ordini del giorno, che la relazione della Commissione degli Undici sia pubblicata e distribuita.

(È approvata).

Pongo ora in votazione la richiesta degli onorevoli Costantini e Nobile che sia pubblicato l’elenco di coloro che hanno avuto od hanno incarichi, con specificazione della qualità degli stessi e dell’ammontare delle relative retribuzioni.

(È approvata).

Vi è poi la richiesta dell’onorevole Selvaggi di invitare i deputati, i quali si siano astenuti dal restituire il questionario, non ricoprendo cariche – in ciò autorizzati dalla stessa dizione del questionario – a restituirlo debitamente riempito.

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Nell’ordine del giorno dell’onorevole Selvaggi non è fatto cenno della circostanza che i deputati i quali non avevano avuti incarichi, erano autorizzati a non restituire il questionario.

PRESIDENTE. Onorevole Coppi, l’elemento al quale lei giustamente tiene, risulta dalle dichiarazioni che sto facendo, proprio nel momento in cui pongo in votazione questa proposta. È pacifico che lei ed altri colleghi, che non ricoprivano cariche, erano pienamente autorizzati a non restituire il questionario. Ora l’onorevole Selvaggi chiede che si rivolga invito a questi colleghi di volerlo restituire anche essi.

Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Infine vi è la proposta dell’onorevole Selvaggi che venga pubblicato l’elenco anche dei colleghi i quali hanno restituito il questionario con l’indicazione che non hanno ricoperto o non ricoprono cariche.

(È approvata).

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. È stata approvata la pubblicazione dell’elenco dei deputati che hanno avuto od hanno incarichi. Noi non possiamo fare altro che la pubblicazione dei moduli così come ci sono stati dati.

PRESIDENTE. Certo, la pubblicazione riguarda i moduli della Presidenza in quanto essi assorbono anche le comunicazioni della Presidenza del Consiglio. La lista della Presidenza del Consiglio indica infatti le cariche ricoperte che hanno rapporto con enti pubblici o semi-pubblici. È evidente che i colleghi, indicando le cariche che hanno ricoperto o ricoprono, hanno incluso anche queste. Pubblicando i moduli, si intende di ottenere la conoscenza totale di tutte le notizie relative al problema.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Quindi non possiamo pubblicare che quello che risulta dai moduli.

PRESIDENTE. Ancora una piccola questione: bisogna fissare un termine di presentazione ai colleghi, che sono stati invitati a restituire i moduli, anche se essi non hanno ricoperto né ricoprono cariche; così la pubblicazione potrà seguire con una certa sollecitudine. I moduli saranno fatti nuovamente pervenire a quei colleghi che dallo specchio dei moduli già in possesso della Commissione risulta che non hanno ancora risposto.

Possiamo stabilire il termine di una settimana da oggi.

(Così rimane stabilito).

I colleghi che sono stati invitati a restituire questi moduli anche con l’indicazione che non hanno ricoperto cariche sono pregati di farli pervenire entro una settimana da oggi. Ed allora consideriamo chiusa la questione per oggi, salvo ad esaminare se dovrà essere ripresa in un secondo momento.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Scelba, Ministro dell’interno, è pronto a rispondere alle seguenti interrogazioni con carattere d’urgenza che sono state presentate ieri sera in relazione all’episodio avvenuto a Reggio Calabria:

«Al Ministro dell’interno, perché dia precise notizie sulle violenze commesse da elementi reazionari nella notte del 25 corrente a Reggio Calabria a danno di una Sezione comunista locale, e per sapere quali misure egli ha preso per assicurare che simili violenze non abbiano a ripetersi ancora.

«Musolino, Silipo».

«Al Ministro dell’interno, per sapere ciò che risulta intorno all’aggressione contro la Sezione comunista «Nino Battaglia» di Reggio Calabria e quali disposizioni ha dato perché, con inflessibile fermezza, siano garantite la vita e la legale attività dei partiti politici e la tranquillità di tutti i cittadini.

«Sardiello».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quanto gli consti in merito alla vile aggressione perpetrata la notte dal 24 al 25 giugno in Reggio Calabria contro la Sezione comunista «Nino Battaglia» e per sapere le misure adottate onde perseguire i responsabili ed evitare il ripetersi di simili atti di banditismo politico.

«Priolo, Mancini Pietro».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, dai rapporti ufficiali pervenuti al Ministero dell’interno, i fatti accaduti a Reggio Calabria sono i seguenti:

«Nella scorsa notte ignoti penetrati mediante chiave falsa o grimaldello nella sede della sezione rionale comunista «Nino Battaglia», sita nel quartiere esterno della città denominato Tre Mulini, asportavano un apparecchio radio, una macchina da scrivere, marca Invicta, alcune lampadine elettriche, la bandiera della sezione e il busto di Stalin, imbrattando, con disegni e scritti a firma Giuliano, figure di personalità del partito».

Da successive informazioni, e con riferimento a quanto pubblicato sulla stampa, il prefetto scrive:

«Nessun assalto al locale della detta sezione, nessuna iscrizione inneggiante al duce, nessuno scritto contro il Governo De Gasperi. Non vero incendio, bandiera rossa ritrovata alla mattina successiva insieme busto Stalin pure intatto».

Come risulta dalla comunicazione ufficiale, i fatti non lasciano fortunatamente presumere che si tratti di una manifestazione politica. (Interruzioni all’estrema sinistra).

Se l’onorevole interruttore ha qualche informazione più dettagliata, sono molto lieto se me la comunicherà. Io faccio le mie valutazioni in base alle informazioni a me pervenute. Si tratterebbe, dicevo, presumibilmente, in base ai rapporti pervenuti al Ministero, di un furto perpetrato a danno della sezione comunista. (Ilarità a sinistra). Onorevoli colleghi, niente di straordinario: due fatti perfettamente identici, con furto di apparecchio radio e di altri mobili sono stati perpetrati nella notte dal 10 all’11 giugno e dall’11 al 12 giugno a Roma nella sottosezione della Democrazia cristiana di Borgo Aurelio e nella sottosezione della Democrazia cristiana del Quarticciolo. Nessun democristiano e nessuno di noi ha pensato di vedere in questofatto una manifestazione politica. (Applausi al centro – Interruzione dell’onorevole Pajetta Giuliano).

Vi è stato un manifesto anonimo; e quando si mettono dei manifesti anonimi e non si ha il coraggio di assumerne la responsabilità (Applausi al centro e a destra), non si può invocare la protezione della legge.

Debbo aggiungere, comunque, che non c’è stata nessuna aggressione, e non c’è nessuna prova sulla causale del fatto, perché le indagini in corso non hanno accertato la identità personale dei responsabili di questi fatti.

La polizia compirà il suo dovere, cercando di accertare chi sono i responsabili di questo fatto; ma io ritengo che sia supremamente ingiusto di non volere lasciare il Paese tranquillo, turbando la stessa Assemblea col portare su un piano nazionale manifestazioni che sono di una portata assolutamente limitata; e soprattutto manifestazioni sul cui carattere ancora nessuno di questa Assemblea e del Governo è in grado di dire una parola definitiva.

Una voce. Giuliano.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ciò si potrà dire il giorno in cui avremo trovato il responsabile. Ma, onorevoli colleghi, quando vedo la bandiera del partito socialista o comunista e il busto di Stalin (che è stato portato via insieme ad una macchina da scrivere) lasciati intatti e in posto ove potessero essere facilmente reperibili, a me pare che dovrebbe escludersi, secondo un raziocinio comune, la manifestazione politica, perché se questa si fosse voluta, l’azione si sarebbe esercitata contro gli emblemi e segni del partito, mentre si è esercitata unicamente sulle cose che avevano un valore pecuniario: la macchina da scrivere e l’apparecchio radio. (Applausi al centro).

Comunque, ripeto, onorevoli colleghi, noi non abbiamo nessun elemento per poter dichiarare ed accertare che effettivamente si tratti di manifestazione della reazione agraria, così come si afferma in una interrogazione; come pure non si può dire che si tratti di aggressione, perché il fatto si è svolto di notte e la porta è stata aperta con una chiave falsa. Quindi non c’è né aggressione, né reazione agraria, almeno secondo i dati posseduti fino a questo momento. Se la polizia accerterà i responsabili, li perseguirà, ma pregherei la stampa, che ha dato eccessivo risalto a questo episodio, gli onorevoli colleghi e soprattutto il segretario della Camera del Lavoro di Reggio Calabria (non c’è, come si è detto, nessuna dichiarazione di sciopero generale a Reggio Calabria fino a questo momento, e non c’è ragione che possa giustificare uno sciopero), di non drammatizzare simili episodi, perché il Paese non potrebbe alla lunga sopportare questo stillicidio; non potrebbe sopportare manifestazioni scioperaiole per episodi la cui portata è assolutamente limitata. Le maggiori probabilità sono che l’episodio vada riportato a un fatto di delinquenza comune, quale è il furto di un apparecchio radio e di una macchina da scrivere. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Musolino ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MUSOLINO. Non posso dichiararmi sodisfatto.

A Reggio era stata inaugurata la bandiera della sezione «Nino Battaglia», con una riuscita manifestazione di lavoratori e di popolo. Successivamente ebbe luogo il congresso della Sezione comunista, congresso che diede la prova dell’entusiasmo con cui è seguito il movimento comunista a Reggio. Due giorni avanti, però, un compagno fu investito da un appartenente alle file del qualunquismo, il quale gli disse: «Vi daremo una lezione. Appena sarà finito il congresso comunista noi vi dimostreremo di che cosa siamo capaci». Al che il nostro compagno rispose con un ceffone.

Dopo due giorni si sono verificate le violenze. Questo fatto, questi precedenti, possono dimostrare il carattere politico dell’attacco operato contro la Sezione comunista. Non si tratta di un’azione di ladri. È vero che hanno portato via la radio ed anche la macchina da scrivere, ma questo non esclude il movente politico.

Devo inoltre rilevare un altro precedente. L’anno scorso, il 13 giugno, quegli stessi che oggi sono stati gli autori dell’aggressione attaccarono la Federazione comunista in occasione della proclamazione della Repubblica, e coloro che eccitarono la folla a venire ad attaccare la Federazione sono quegli stessi che appartengono al Partito qualunquista e che ieri militavano nella Democrazia del lavoro. Il fatto, quindi, è assolutamente politico. Ma perché questa violenza venne commessa? Perché c’è la reazione…

Voci a destra. …In agguato!

MUSOLINO. La reazione sente di avere con sé il Governo e quindi di farla franca: perciò ha attaccato le nostre istituzioni.

Le masse lavoratrici, però, della nostra Calabria, sono in continua ascesa (Rumori ed interruzioni a destra), le masse lavoratrici sono in continua ascesa e ciò preoccupa le classi che hanno interesse a mantenere i lavoratori in condizioni di servaggio e di oppressione. (Rumori a destra). Le masse lavoratrici del Mezzogiorno si trovano in una situazione di miseria, di fame e di disoccupazione. Le masse lavoratrici e tutti i lavoratori hanno già individuato i loro avversari di classe ed i responsabili di questa loro situazione. Perciò i lavoratori si serrano attorno alla nostra organizzazione, con la speranza di poter risorgere e di poter essere, una volta per sempre, uomini e cittadini in pieno possesso di tutti i diritti, con la dignità che ogni uomo ha sulla terra. Voi sapete che oggi c’è in Calabria un profondo distacco tra classe e classe per cui la dignità del povero contadino è continuamente offesa. Infatti la situazione dei lavoratori nel Mezzogiorno non è come quella dei lavoratori del Settentrione d’Italia. (Rumori a destra). Questa è la loro miseria, e questa la loro condizione. Il 2 giugno, col trionfo della Repubblica, si dette a tutti i lavoratori la speranza di poter uscire dallo stato di oppressione e di miseria in cui si dibattono. Oggi tutti questi lavoratori sono attorno a noi, intorno a quella bandiera. Essa quel giorno venne inaugurata con tanta solennità e tanto entusiasmo da esprimere la viva speranza della loro redenzione, e di mettere fine a quei privilegi di classe che umiliano la dignità umana. (Rumori a destra – Applausi a sinistra).

La reazione…

Voci a destra. …In agguato!

MUSOLINO. …sa che la nuova Costituzione che stiamo discutendo e che stiamo completando porta un colpo fatale al latifondo ed ai privilegi di classe. La reazione (Rumori a destra) spera che non venga il giorno in cui essa vedrà cessare tutti i suoi privilegi, ed ecco perché spera di riprendere posizione dopo la sconfitta del 2 giugno. Per questo cominciano ad attaccare le nostre organizzazioni, come faceva il fascismo nel 1921. (Rumori a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Musolino, concluda per non dar luogo a rimostranze.

MUSOLINO. La bandiera fu portata via in quella manifestazione, e dopo essere stata strappata fu intrisa di inchiostro e ne furono distrutti tutti i simboli. (Interruzioni e rumori a destra).

Ora noi diciamo a quei colleghi della destra che noi in quella occasione siamo riusciti a trattenere l’ondata di coloro che sono disoccupati e vivono nella miseria e i nostri compagni hanno fatto di tutto, affinché si mantenesse la calma. Ma fino a che punto potremo trattenere queste forze che sono indignate da questa tattica? (Rumori a destra). Noi vi diciamo che è bene che voi invitiate i vostri seguaci a non permettersi ancora una volta di attaccare le nostre organizzazioni, perché noi non possiamo più rispondere di quello che potrebbe succedere dopo. (Applausi a sinistra).

Una voce a destra: Anche noi! (Commenti – Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Sardiello ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SARDIELLO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io parlerò brevemente. Non posso formulare accuse specifiche né indicare responsabilità, perché il fatto è ancora oggetto delle indagini della polizia e dovrà poi pronunziarsi l’autorità giudiziaria. L’offesa che è derivata dal fatto non tocca il mio partito: d’altra parte affermo che la preoccupazione che l’episodio mi suscita sarebbe uguale se, come oggi contro il Partito comunista, venisse contro qualsiasi altro partito, di qualsiasi colore. (Approvazioni).

MAZZA. Ricordate le nostre sezioni che avete devastato!

SARDIELLO. …perché la democrazia non si mortifica quando la violenza si abbatte su un certo partito; la democrazia si mortifica e si rinnega tutte le volte che la violenza prende il posto del libero dibattito dell’idea. (Applausi). Con pari lealtà debbo dire che non mi sento sodisfatto della risposta dell’onorevole Ministro dell’interno. Perché non mi sento sodisfatto? Non solo per le notizie autorevolissime direttamente avute da Reggio Calabria, che suonano diversamente, ma perché l’impostazione che si dà oggi del fatto pecca – me lo consenta l’onorevole Ministro – non da parte sua, ma da parte di chi lo ha informato, di una ingenuità assolutamente inverosimile. Onorevole Ministro dell’interno, quando l’intelligente popolo della mia città udirà questa spiegazione che lei ha data, non ne usciranno rafforzate né la serietà degli organi ufficiali di Governo, né la dignità di quest’Assemblea, alla quale quella versione viene offerta.

Si tratta di una violenza. Degli estranei sono entrati, con chiavi false o con grimaldelli, nella sede di un partito ed hanno asportato la radio, la macchina da scrivere (e questo è furto), ma anche un busto di Marx o di Lenin, una bandiera inaugurata, come diceva ora il collega Musolino, qualche giorno avanti. Il primo rapporto pervenutole dice: «La bandiera è stata imbrattata, il busto è stato imbrattato». Il secondo rapporto dice: «L’indomani, bandiera e busto intatti, sono stati trovati sul Ponte della Libertà». Basterebbe questo a far pensare all’offesa. Ma alle mura sono stati trovati anche dei disegni offensivi, e dei nomi ed emblemi di altri partiti, nonché il nome famoso di Giuliano. Ed allora, come si fa a pensare che se lo scopo fosse stato quello del furto, i ladri, naturalmente incalzati dalla preoccupazione di non indugiare per non essere scoperti, avrebbero perduto tempo a fare quelle scritture e poi ad asportare la bandiera e… un busto in gesso per andarlo a deporre in un punto lontano, sul Ponte della Libertà? Ingenuità è la parola più indulgente che può offrirsi a questa versione dei fatti!

Dica onorevole Scelba, che il fatto, di fronte al sangue che è corso a Pian della Ginestra, è di una portata non allarmante. Saremo d’accordo. Ma quella versione non può essere accettata.

E così non accetto (per quello che mi riguarda come firmatario della mia interrogazione) il rilievo dell’onorevole Scelba, che non sia opportuno di portare all’Assemblea questi episodi.

No, onorevole Scelba, l’episodio fortunatamente non è quello del Piano delle Ginestre o dei successivi fatti di Sicilia, ma ha la sua gravità. E non per quanto si riferisce al… biglietto da visita di Giuliano. Deve averne stampati troppi! Ormai è comodo il nome di Giuliano. Un paio di mesi fa (consentite la digressione), il timbro di Giuliano ha servito a Reggio Calabria per alimentare una sottoscrizione per la restaurazione monarchica. (Commenti – Proteste a destra).

BENEDETTINI. Ma non diciamo sciocchezze; non abbiamo bisogno di briganti per fare la politica, noi!

SARDIELLO. È sciocchezza negare senza sentire i fatti.

COVELLI. Non tanto, perché questo sono menzogne, che però non ci confondono.

SARDIELLO. Sono verità. Quella sottoscrizione monarchica, fatta col timbro di Giuliano, è servita a carpire alla stupidità od alla paura di certi sognatori nostalgici, un paio di centinaia di migliaia di lire.

BENEDETTINI. Non abbiamo bisogno di rivolgerci a Giuliano per fare delle sottoscrizioni. Fate meno speculazione politica su queste cose!

SARDIELLO. Speculazione? Di qualcuno certamente. Non nostra. Infatti, l’episodio è finito in Tribunale ed il truffatorello in galera.

Ripeto: non è in questo la gravità del fatto. La gravità del fatto è in ciò: che ogni episodio di violenza di questo genere, anche modesto, ha in questo momento una gravità particolare in se stesso, ed è di due ordini, su due piani diversi: è nello stato dello spirito pubblico, che ad episodi del genere non sempre reagisce proporzionatamente, il che ci preoccupa e dobbiamo evitare; ed è inoltre nel fatto che il Governo mostra di mancare al suo compito che oggi è anche quello di essere, oltre a tutto, garante di quelle affermazioni di libertà per tutti che l’Assemblea ha già consacrato nella Carta costituzionale e le quali bisogna credere che l’autorità deve sapere difendere.

Ecco perché io ho portato qui la questione e mi sono permesso di sollecitare personalmente l’onorevole Scelba perché desse oggi la sua risposta alla interrogazione. Questa preoccupazione è ben degna dell’Assemblea e del mio dovere di deputato e di cittadino. Il popolo di Reggio può aver bisogno di sentire una parola rasserenatrice, e la mia richiesta aveva appunto lo scopo che al popolo che sento dire convocato per domani in piazza a Reggio potesse giungere la parola del Governo, con l’affidamento che episodi del genere non si ripeteranno. Questa era la mia speranza: non è stata coronata dal successo e non posso pertanto dichiararmi sodisfatto. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Priolo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PRIOLO. Onorevoli colleghi, il Ministro dell’interno ha semplicizzato troppo: vorrei che le cose fossero effettivamente andate come l’onorevole Scelba le ha esposte, e lo vorrei perché, nemico della violenza per temperamento, mi dolgo assai quando vedo questa prendere il posto della libera, sana, democratica battaglia politica. Ho avuto la grande fortuna, cosa della quale vado immensamente orgoglioso, di sedere su questi banchi dell’estrema sinistra nel 1924 accanto a Filippo Turati, a Giacomo Matteotti, a Claudio Treves, ad Eugenio Chiesa, a Giovanni Amendola ed a tanti altri uomini politici di alta statura, che la bufera travolse, su questi banchi, che costituivano l’ultima disperata trincea contro la valanga liberticida irrompente, ed ho visto come la violenza, scatenatasi dapprima contro di noi, paludata di anticomunismo e di antisocialismo, abbia a mano a mano invaso tutti gli altri settori.

E cominciò appunto con la distruzione delle sedi dei partiti di sinistra, delle Camere del lavoro, delle Case del popolo, delle Cooperative, con le bastonature singole e collettive, per culminare infine nell’assassinio, nella deportazione, negli esilî, negli ergastoli. (Applausi a sinistra).

Parlo soprattutto per i giovani, che sono in quest’Aula e fuori, perché sappiano a che duro prezzo è stata riconquistata la libertà, della quale oggi godono, e come sia sommamente necessario difenderla, ed invoco la testimonianza autorevole dei superstiti, pochi, pochissimi invero, che ancora siedono in questa prima Assemblea democratica e repubblicana. (Applausi).

Gli onorevoli colleghi Musolino e Sardiello lo hanno già detto: «Ingenua la vostra versione dei fatti, Ministro dell’interno, ingenua» e, qualificandola così, sono stati generosi. Io mi associo alla loro definizione, volendo essere generoso anch’io. (Ilarità).

Ma pensate, onorevoli colleghi: la bandiera, guarda caso, era stata inaugurata appena qualche giorno prima.

Orbene: la bandiera viene asportata, assieme al busto di Stalin (il ladruncolo, che si preoccupa dei simboli di partito!): l’una e l’altro vengono la mattina dopo rinvenuti imbrattati sul Ponte della Libertà.

Onorevoli colleghi, voi non sapete che cosa rappresenti per i lavoratori di Reggio Calabria il Ponte della Libertà! Aveva un altro nome, questo Ponte, e fui proprio io a ribattezzarlo così in un giorno lontano del marzo 1924, lontano nel tempo non nella memoria, di fronte ad una imponente adunata di popolo, convenuto coraggiosamente in quel luogo ed in quel giorno malgrado l’imperversare della tirannide ed i divieti della polizia.

Un punto di luce nella notte fosca!

Dissi in quel giorno ed in quel luogo: «Da oggi noi intitoleremo questo ponte: «Ponte della Libertà»; da qui moveremo, quando il sole nuovo tornerà finalmente a risplendere su questa martoriata Italia».

Nella notte un valoroso giovane, un bravo intelligente pittore (voglio a suo onore ricordarne il nome: Carmelo Lanucara) scrisse sulle due spallette la nuova denominazione: «Ponte della Libertà».

Il giorno dopo i fascisti deturparono la scritta, il segretario politico del tempo ordinò rappresaglie, la polizia indagò rigorosamente: quando nel 1944 fui prefetto politico di Reggio Calabria ebbi modo di vedere l’incarto voluminoso raccolto allora, che consacrava le indagini ed enumerava le persecuzioni.

Ebbene, onorevoli colleghi, proprio io ho avuto la grande gioia, quale primo sindaco di Reggio Calabria nel settembre 1943, a distanza di venti anni, di chiamare quell’eroico cittadino, non più giovane d’età, ma sempre fervido di sentimento, invitandolo a iscrivere su quel ponte il nome fatidico: «Ponte della Libertà», che nessuno più, mai più, riuscirà a cancellare. (Vivissimi applausi).

Su quel ponte ci siamo ritrovati, lavoratori del braccio e lavoratori del pensiero, fraternamente affasciati nei giorni epici, in cui abbiamo combattuto la grande battaglia per la Repubblica contro una monarchia fradicia, che, alleandosi al fascismo, pronuba prima, succube poi, aveva disonorato l’Italia. (Rumori – Proteste a destra – Vivissimi applausi a sinistra).

BENEDETTINI. Questa è demagogia. (Rumori a sinistra).

COSTANTINI. L’ha rovinata, oltre che disonorata. (Applausi a sinistra).

PRIOLO. Perché demagogia? E non stiamo forse piangendo, ed amaramente, le conseguenze di quel tristo connubio?

Voce a sinistra. Benissimo, proprio così!

PRIOLO. Lasci invece, mio caro Benedettini, che io a titolo di gloria imperitura ricordi come non solo la città di Reggio, ma tutta la Provincia abbia risposto nel referendum con una percentuale di voti repubblicani, superiore alle previsioni più rosee. (Vivissimi applausi a sinistra).

Orbene, onorevoli colleghi, la bandiera della sezione ed il mezzo busto, imbrattati, vengono portati proprio su quel ponte! Ma non sentite, non avvertite come la beffa si mescola all’oltraggio?

Ingenuità, ingenuità, onorevole Ministro, la vostra: accontentatevi di questa generosa definizione, data al raccontino, che ci avete poco prima ammannito con aria compunta e dimessa. (Applausi).

E poi le iscrizioni sui muri: un fascio littorio, mi dicono, artisticamente dipinto con accanto il nome dell’ex duce e del bandito Giuliano! Il ladro od i ladri, che asportano i simboli di partito non solo, ma si premurano anche di munirsi di vernice per dipingere un fascio e scrivere il nome del celebre bandito! Povero Giuliano! È diventato il condimento di tutte le minestre reazionarie! E si badi, onorevoli colleghi: ciò che dianzi diceva Gaetano Sardiello è perfettamente vero, ed in maniera particolare mi rivolgo a lei, collega Benedettini, che è venuto a Reggio, ha fatto una riunione monarchica ed ha nominato, nuovo rappresentante della Federazione regionale, quel buon uomo, e tanto mio buon amico, del barone Carlo De Blasio Monsolini, in sostituzione dell’onorevole Siles, che ha sentito finalmente il bisogno di lasciare la presidenza dell’U.M.I.

SILES. Non sono più presidente.

PRIOLO. Sì, non ha più la carica, ma purtroppo, e ciò mi addolora moltissimo, è rimasto decisamente monarchico. Ora è giunto il momento di confessare con lealtà la propria fede, a viso aperto, assumendone tutte le responsabilità. (Approvazioni).

BENEDETTINI. Ecco, ha detto benissimo, a viso aperto.

PRIOLO. Se infatti la Democrazia cristiana, ed a grandissima, maggioranza, nel suo Congresso dell’aprile 1946, tenutosi in Roma alla Città Universitaria (sono i congressi, che dànno le direttive ai partiti) si è proclamata repubblicana, chi è monarchico e si sente ancora tale, mi pare non possa più onestamente e legittimamente sedere su quei banchi e militare in quel partito.

Passi nelle file monarchiche, ma prima restituisca il mandato parlamentare: ne avete tanti e tanti di monarchici – e che razza di monarchici! – nelle vostre file, cari amici della Democrazia cristiana; potrei indicarveli tutti con nome, cognome e paternità. (Commenti al centro – Applausi a sinistra).

Ebbene, costoro compiano lealmente un gesto chiarificatore, si irreggimentino nel partito di Covelli e di Benedettini, ma prima, ripeto, restituiscano il mandato parlamentare, così come si faceva al buon tempo antico, quando si cambiava partito.

Io ricordo che gli onorevoli Barzilai e Bissolati, rispettivamente deputati del quinto e secondo collegio di Roma, si dimisero solo perché nelle elezioni amministrative della città, svoltesi nel 1914, il blocco democratico-popolare era stato battuto dalle forze conservatrici: quanta sensibilità ed onestà politica allora! Ma quegli uomini si chiamavano Bissolati e Barzilai!… (Applausi – Commenti prolungati).

Orbene, quando io, di rincalzo a Gaetano Sardiello, parlo della sottoscrizione fatta a Reggio Calabria per finanziare la insurrezione savoina, ciò dico per far conoscere all’onorevole Ministro dell’interno, che fa l’ingenuo, che cosa bolle in pentola e per incitarlo a stare all’erta ed a vigilare attentamente.

Perché è ridicolo, sommamente ridicolo quanto è accaduto, lo riconosco, ma è un sintomo, è un indice, ed è per questo che bisogna soffermarsi e meditare.

È bastato che un truffatorello volgare (si sta in questi giorni celebrando a Reggio il processo contro di lui) si presentasse a dei nostalgici, denarosi, della mia città, affetti ancora da cardiopalma monarchico-savoiardo, dicendo ad alcuni che veniva a nome di Giuliano, ad altri a nome di un immaginario conte Guido di Santafiora e presentasse commendatizie, munite di sigillo a ceralacca e timbro a secco, comunicanti che vi era in preparazione un vasto complotto per rimettere sul ricostituito trono d’Italia Umberto II, anzi addirittura Vittorio Emanuele III, perche subito le speranze sopite si rinverdissero. Mano ai portafogli (non so se in confronto ad un operaio disoccupato o ad un povero morto di fame sarebbero stati così solleciti, premurosi e generosi!) e circa trecento mila lire vennero consegnate all’eroicomico ambasciatore di Giuliano e del conte di Santafiora. (Si ride).

Voce a sinistra. Ed i sottoscrittori perché non vennero processati? (Commenti prolungati).

PRIOLO. Purtroppo non fu fatto, lo so, e fu male, perché indubbiamente costoro pensavano di avere ben impiegati i loro soldi; e sognavano già il ritorno trionfale del re, non disgiunto, si badi bene, ed è questo che maggiormente loro interessava, non disgiunto dal risorgere della reazione torbida, scatenata contro le classi lavoratrici in marcia. (Applausi).

Questi benedetti monarchici! Ma chi ve lo fa fare, dico io spesso in cordiale colloquio a due dei nostri più accesi colleghi, e mi riferisco appunto a Benedettini e Covelli: chi ve lo fa fare? (Si ride).

BENEDETTINI. Lo facciamo perché lo sentiamo: i soldi non ce li dà nessuno, creda, onorevole Priolo.

PRIOLO. Io non dubito della vostra onestà, miei cari amici; voi sapete che vi voglio bene, e, se vi parlo così, è perché a me duole che voi sprechiate la vostra giovinezza in un rinnovato supplizio di Messenzio: uomini vivi vi legate a cose morte, ad istituzioni tramontate, ad una monarchia sprofondata nel fango, nel sangue e nella rovina (Vivissimi applausi a sinistra).

Ho deviato ancora, onorevole Ministro; forse è vero, ma io che conosco i vostri sentimenti repubblicani ed antifascisti (mi auguro che non si siano ora di un subito annullati o intiepiditi), vorrei che voi porgeste orecchio alla mia voce, che segnala i pericoli, precisa le responsabilità, addita gli agguati, davanti ai quali non bisogna fare come lo struzzo, che nasconde la testa sotto l’ala, sperando così di allontanare ogni minaccia. Sorvegliare, sorvegliare, sorvegliare!

Orbene, onorevole Scelba, la sottoscrizione monarchica è un sintomo, l’attacco alla sezione comunista di Reggio è un altro sintomo: ambedue egualmente ammonitori (Approvazioni).

E rifacendomi al concetto espresso dal collega Sardiello, vi dico: domani a Reggio vi sarà una manifestazione popolare di protesta; noi avremmo voluto (ed anche per questo abbiamo presentate le interrogazioni e sollecitata la risposta) che fosse venuta dal banco del Governo una parola ammonitrice, che tranquillizzasse quelle popolazioni e facesse loro comprendere come le autorità non chiudono gli occhi davanti al pericolo. Io intendo che l’episodio di Reggio non è da paragonarsi a quello del Piano della Ginestra od a quelli avvenuti successivamente in Sicilia.

SCELBA, Ministro dell’interno. Sono state compiute almeno duecento aggressioni a carico di tutti i partiti in Italia.

PRIOLO (continuando). Male, male! Il mio vivo desiderio è quello che aggressioni non si compiano a danno di nessun partito, ma quando avvengono non bisogna minimizzare, bisogna invece intervenire e colpire i responsabili.

Onorevole Ministro, impartisca ordini precisi ai prefetti e ai questori: non si dia tregua agli elementi fascisti e monarchici, che cercano di intorbidare le acque e di creare fastidi alla Repubblica, non si accolgano negli uffici con sorrisi e moine: si parli loro invece in maniera severa, categorica, recisa. Dica questo, onorevole Ministro, e chiaramente al prefetto e al questore di Reggio Calabria! (Applausi a sinistra).

L’onorevole Musolino ha affermato che i principî di libertà e di giustizia sociale si fanno sempre più strada in Calabria: ha detto cosa profondamente vera! Alcuni di voi, onorevoli colleghi, hanno sorriso, me ne duole; qualcuno anche ha urlato, peggio ancora; ma nessuno invece ha pensato che l’onorevole Musolino è qui, dopo avere però scontato, innocente, ben tredici anni di galera nelle celle di Portolongone, per aver creduto nella libertà e desideroso soltanto che la libertà finalmente trionfasse nella nostra Italia e anche nella sua, nella nostra Calabria. (Applausi).

Io ricordo, e lo ricorda certamente anche il mio fraterno amico, onorevole Sardiello, che in passato non riusciva a noi allora giovani penetrare in molti paesi della Calabria e più particolarmente nelle vallate dell’Aspromonte, se non a rischio della vita; oggi invece si può andare tranquillamente; e, dove prima il feudalismo più gretto imperava, vi sono ora amministrazioni comunali, rette in maniera impareggiabile da giovani, professionisti, operai, contadini, i quali credono nella santità del lavoro e nella giustizia sociale e si prodigano incessantemente perché questi principî si sviluppino sempre più. (Approvazioni).

I feudatari, i signorotti si mortificano: peggio per loro, che sono rimasti immobili come piloni in mezzo al fiume, che procede impetuoso. Abituati a comandare, non comprendono come ai posti, che loro tenevano in rappresentanza del fascismo con le qualifiche allora in voga di podestà, segretari politici, comandanti di milizia, ecc., ecc., siano subentrati invece, attraverso libere consultazioni popolari, come sindaci, segretari di Camere di lavoro, ecc., nuove forze giovanili dei partiti di sinistra e che coloro, contadini, professionisti ed operai, contro i quali essi appuntavano i loro strali durante il ventennio, ricoprano oggi, ed egregiamente, posti di comando. (Applausi).

È da ciò che origina la reazione padronale, è perciò che fascisti e monarchici, spodestati e definitivamente, muovono alla riscossa: in una parola è il proletariato che si vuole mortificare! (Applausi vivissimi a sinistra).

Io non so a che cosa approderà l’inchiesta. Essa però, ove condotta con onestà di intenti, potrà dire chi siano i responsabili, e, se fra coloro che hanno partecipato all’episodio mortificante, del quale ci occupiamo, vi siano per disavventura alcuni di coloro verso i quali da capo del movimento antifascista prima, e da prefetto politico, più tardi, ho usato indulgenza…

Una voce. Ha fatto male!

PRIOLO. Non me ne pento! Se tornassi indietro mi regolerei allo stesso modo. Ai fascisti della città e della Provincia, i quali, nei giorni del 1943-1944 affollavano, sbiancati in viso, timorosi e preoccupati, i saloni del Municipio e della prefettura di Reggio Calabria, parlai un linguaggio umano, affettuoso, dirò di più, fraterno. Dissi loro che il fascismo era ormai finito, morto, sepolto per sempre; li consigliai a rifarsi un avvenire, a credere nella libertà; soggiunsi che, a poco a poco, sarebbe stato loro facile rientrare nel vasto movimento delle forze politiche, che si profilava all’orizzonte.

Ora mi dorrebbe assai che taluno o taluni di quelli, ai quali parlai in maniera così cordiale, fossero implicati nel doloroso episodio: ciò purtroppo dimostrerebbe (ed avrebbero ragione coloro che sollecitavano in quel tempo la mia severità) che le mie parole non hanno avuto per tutti l’esito da me sperato e che sono cadute invece come una goccia d’acqua su una lastra arroventata.

Non conta: se tornassi indietro, ripeto, mi regolerei nello stesso modo: ma, indulgente allora, e fiero oggi di poterli guardare negli occhi, senza essere io costretto ad abbassare lo sguardo, soggiungo subito che non bisogna ormai avere più debolezze contro i recidivi, sordi a tutti i richiami ed a tutti gli appelli, che, partendo da cuori fraterni, volevano giungere per le vie più diritte a cuori, che si consideravano egualmente fraterni. (Applausi).

Si indaghi perciò, onorevole Ministro, si indaghi e si dia al popolo di Reggio la sensazione che non si possono impunemente compiere gesti che offendono la libertà e la dignità umana.

Si indaghi: non soltanto per ricercare immaginari ladruncoli di radio e di macchine da scrivere, ma per colpire inflessibilmente coloro, i quali vogliono ancora, purtroppo, opporsi alla marcia trionfale della democrazia e della Repubblica. (Vivissimi, applausi – Congratulazioni).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Pochissime parole ancora ai colleghi, che hanno presentato interrogazioni. Credo che il Ministro dell’interno si debba augurare che gli attentati alla libertà politica siano nel minor numero possibile, e che la tendenza a stabilire che si tratti in questo caso di un fatto, di un delitto comune, dovrebbe corrispondere alla aspirazione, al desiderio di tutti; perché io spero che in Italia siano pochi coloro che pensino di macchiarsi di delitti contro la libertà politica e contro la libertà dei cittadini.

Ho riferito i fatti così come sono stati a me riferiti; ma non ho detto che l’inchiesta dell’autorità giudiziaria sia finita. Le istruzioni, che mi s’invita a dare, io le ripeto continuamente da un pezzo e spero che l’azione del Governo in questo senso sia sussidiata dal consenso di tutto il popolo italiano.

Se manifestazione politica c’è in questo episodio, sarà repressa con la massima energia e in virtù delle leggi che la Repubblica possiede.

Disposizioni in questo senso sono già state impartite e saranno rinnovate anche al prefetto ed al questore di Reggio Calabria, perché luce sia fatta su questo caso, e, se responsabilità ci sono, voi potete essere sicuri, e me ne rendo garante di fronte al Paese, che i responsabili saranno colpiti nel modo più rigoroso.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, presa visione dei comunicati diramati dal Consiglio dei Ministri circa alcune disposizioni fondamentali che farebbero parte del decreto di prossima emissione in materia di alloggi, fra cui l’abolizione del Commissariato relativo anche per comuni capiluogo di Provincia;

ritenuto che l’eventuale abolizione della disciplina esistente in materia esige una nuova generale disciplina capace di impedire le gravi speculazioni che già si manifestano nel mercato degli alloggi, persistendo le quali risulterebbe impossibile ad ogni famiglia di lavoratori di procurarsi un tetto;

considerato inoltre che l’applicazione della legislazione in vigore ha costituito delle situazioni di diritto che meritano almeno un regime transitoriale;

ritenuto infine che la materia in esame è complessa e molto importante;

chiedono urgenti informazioni al riguardo; e soprattutto di sapere se il Governo non ritenga di doversi valere della facoltà di sottoporre il progettato decreto alla competente Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente, adottando, data l’urgenza dei termini, un breve provvedimento di proroga della disciplina esistente.

«Platone, Gavina; Pollastrini Elettra, Caprani, Bebnamonti, Mariani Enrico, Cairo».

Chiedo al Ministro dell’interno quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò lunedì.

Su alcune interrogazioni urgenti.

RODINÒ UGO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODINÒ UGO. Chiedo al Governo di comunicare quando intenda rispondere alla mia interrogazione relativa ai fatti di Napoli.

PRESIDENTE. Il Governo quando intende rispondere?

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò nella seduta di lunedì.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Ho presentato ieri una interpellanza, con richiesta di svolgimento urgente, concernente una requisizione di immobile a Treviso.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Potrei rispondere lunedì, se si trattasse di una interrogazione.

COSTANTINI. Ritiro l’interpellanza e la ripresento sotto forma di interrogazione con richiesta di risposta urgente, e prego il Ministro di rispondere nella seduta di lunedì.

SCELBA, Ministro dell’interno. Aderisco.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Chiedo all’onorevole Scelba se sia disposto a rispondere ad una mia interrogazione riguardante il divieto di trasmissioni radiofoniche in occasione di comizi.

PRESIDENTE. Il Governo quando intende rispondere?

SCELBA, Ministro dell’interno. Anche a questa interrogazione risponderò lunedì.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Ho presentato da tempo una interrogazione al Ministro della pubblica istruzione circa il trasferimento dei provveditori agli studi.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Interesserò il Ministro competente.

PIGNATARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNATARI. Da diversi mesi ho presentato una interrogazione, alla quale il Governo non ha ancora risposto, in merito alle comunicazioni ferroviarie in Lucania.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Pignatari a ripresentare la sua interrogazione.

Lunedì si terrà seduta alle 17, e la seduta sarà dedicata interamente alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, sulla pessima qualità del pane che viene distribuito alla popolazione della città e della provincia di Siracusa, con evidente grave nocumento della salute dei cittadini, specialmente delle classi lavoratrici, costrette a comprare il pane della tessera ed impossibilitate a sostituirlo con quello proveniente dal mercato nero.

«La confezione del pane tesserato è quanto di più deplorevole ed antigienico possa immaginarsi: le miscele di farina di grano turco e di altre non commestibili lo rendono esiziale per la salute pubblica, specie nel periodo del caldo estivo. Sono quindi a deplorare non pochi casi di enterite principalmente fra i bambini, e taluni di infezione tifica serpeggiante fra le classi povere.

«L’interrogante invoca immediate disposizioni dai competenti uffici, onde ovviare al gravissimo inconveniente.

«Di Giovanni».

Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per avere dettagliate informazioni sugli incidenti che hanno avuto luogo domenica 22 giugno a Napoli in via Roma.

«Amendola».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno, dell’industria e commercio e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se non si ravvisi necessario inibire ai prefetti la emanazione di decreti limitanti la esportazione da provincia a provincia di merci non destinate all’alimentazione; ed in ispecie per sapere per quali motivi il prefetto di Cuneo abbia recentemente prescritto che possa esportarsi da quella provincia solamente il quantitativo di bozzoli eccedente il fabbisogno degli stabilimenti locali per il periodo normale di lavoro, imponendo agli acquirenti di valersi dei forni e delle filande locali per l’essiccazione, trattura e filatura della merce acquistata; quali provvedimenti, oltreché gravemente lesivi degli interessi dei produttori dei bozzoli e pregiudicanti una produzione di grande importanza per l’economia nazionale, ledono il principio della libertà di commercio e di esportazione di una merce esclusa da ogni vincolo, il cui prezzo ed il cui acquisto debbono essere lasciati al libero giuoco della domanda e dell’offerta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quella per la quale si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 13.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 30 giugno 1947.

Alle ore 17:

Interrogazioni.