ASSEMBLEA COSTITUENTE
CLXXIV.
SEDUTA DI SABATO 5 LUGLIO 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Congedi:
Presidente
Disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Seguito della discussione):
Presidente
La Malfa, Relatore
Bertone
Scoccimarro
Pella, Ministro delle finanze
Interrogazioni con richiesta di risposta urgente (Annunzio):
Presidente
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Dugoni
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 10.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Franceschini, Raimondi, Lussu e Ravagnan.
(Sono concessi).
Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.
Ricordo che nell’ultima seduta è stata chiusa la discussione generale, riservando la parola al Relatore e al Governo.
L’onorevole La Malfa, Relatore, ha facoltà di parlare.
LA MALFA, Relatore. Onorevoli colleghi! Nel discorso che ho pronunciato in sede di comunicazioni del Governo, affermavo che la discussione sulla situazione economica e finanziaria era stata bensì iniziata in seno all’Assemblea, ma non era stata affatto conclusa. Per alcuni anni noi abbiamo, in verità, trascurato questo problema. Lo abbiamo posto all’ordine del giorno del Paese da qualche mese: abbiamo iniziato, come dicevo, a discuterlo in sede di comunicazioni del Governo; non abbiamo concluso, lo riprendiamo in sede di patrimoniale e, mi dispiace dirlo, lo riprendiamo nella quasi assoluta indifferenza dell’Assemblea.
È un peccato; ed è un peccato anche che non sia apparso chiaro e al Paese e all’Assemblea quello che esattamente noi vogliamo raggiungere con l’imposta patrimoniale. Sono dolente di aver constatato, a questo riguardo, un atteggiamento equivoco: nessuno ha avuto infatti il coraggio di dire che è necessaria l’imposta patrimoniale, come nessuno ha avuto il coraggio di dire che essa non è necessaria o non è opportuna.
Un’obiezione meditata è stata quella dell’onorevole Nitti. Mutando un po’ quella che era stata la sostanza del suo discorso in sede di comunicazioni del Governo, egli si è domandato: ma abbiamo veramente scelto il momento più opportuno per applicare l’imposta?
Ora, non tocca a me, Relatore, fare la difesa del provvedimento di imposta patrimoniale in sede di politica generale del Governo; debbo però richiamare i precedenti del grave problema, che da due o tre mesi ci preoccupa.
Da che siamo partiti noi, quando abbiamo cominciato ad occuparci di tali problemi? Abbiamo denunciato, ad un certo punto, una situazione finanziaria e monetaria assai grave per il Paese; abbiamo concluso che sulla via battuta non si andava più avanti. La vostra Commissione di finanza ha richiamato su questi problemi l’attenzione del Governo; l’onorevole Nitti ha presentato una interrogazione con carattere d’urgenza e la stampa e l’opinione pubblica per qualche mese non si sono occupati di altro.
Il punto di partenza della discussione attuale si deve trovare quindi in tali precedenti, nella gravità dei problemi economici e finanziari che stanno dinanzi al Paese.
Messa all’ordine del giorno del Paese la questione economica e finanziaria, qualsiasi Governo, il precedente o il presente, composto con socialisti o con comunisti o non so con chi (non mi occupo in questa sede della composizione politica dei Governi), qualsiasi Governo – dicevo – doveva affrontarla e risolverla.
Se il problema esiste, se – badate bene – l’inflazione è determinata dalla situazione del bilancio dello Stato, dalle necessità alle quali lo Stato deve far fronte (abbiamo avuto oltre cento miliardi e ci avviciniamo forse ai centocinquanta miliardi di aumento della circolazione monetaria nel giro di circa un anno), dobbiamo considerare seriamente la possibilità di risanare le condizioni del bilancio dello Stato e di difendere la moneta.
Ma abbiamo scelto il momento opportuno per difendere la moneta? Se abbiamo fatto una crisi di Governo a questo scopo (non discuto della soluzione), se abbiamo trattato per mesi di questo problema, evidentemente lo abbiamo fatto per difendere seriamente la lira. Da qualche mese i Governi (questo Governo o altri) non hanno altro scopo. Su questo mi pare che nessuno sollevi dubbi. Nessuno ha detto: no, lasciamo andare le cose, lasciamo che i prezzi si gonfino, lasciamo che il bilancio dello Stato aumenti il suo deficit. Non abbiamo mezzi per porre un freno; interverremo in altra occasione.
Al contrario, abbiamo spinto i Governi ad affrontare il problema. Abbiamo impegnato una battaglia e siamo stati concordi nell’impegnarla. Ma, come dicevo, non possiamo difendere la lira senza risanare la situazione finanziaria dello Stato, che in questo momento è l’elemento principale di perturbazione del mercato monetario.
Se siamo d’accordo sulla necessità di difesa della lira, dobbiamo essere d’accordo sui mezzi per risanare il bilancio dello Stato. Non possiamo volere la difesa della lira e negare al Governo i mezzi per attuarla. Non dobbiamo voler la guerra e negare le artiglierie, le salmerie, gli indumenti.
Chi vi parla è, in questo momento, all’opposizione, ma credo che nessuno di noi – appartenga al Governo o all’opposizione – si prenderebbe la responsabilità di negare al Governo i mezzi che esso chiede per compiere il proprio dovere.
Quali sono questi mezzi? Che cosa significa difendere il bilancio, che cosa significa difendere la lira, che cosa significa arrestare l’inflazione? Significa (proprio lo vorrei dire banalmente) trovare quel numero di miliardi o quella possibilità di limitazione delle spese, o, se volete, quell’uso tecnico dei residui che consenta di non fare ricorso alla circolazione monetaria. L’aumento di circolazione, se accompagnata, come è accompagnata, dall’aumento dei prezzi, non è che inflazione.
Quali sono i mezzi? Da mesi alcuni di noi ne discutono in seno a questa Assemblea. Non vi è soltanto un mezzo: ho sentito l’onorevole Nitti – mi dispiace che non sia presente – fare una critica fondata al ricorso al debito fluttuante come mezzo per mantenere in equilibrio la tesoreria dello Stato. Esatto: è una critica che abbiamo fatta all’onorevole Corbino: il semplice ricorso al debito fluttuante è un mezzo inadeguato per tenere in equilibrio la situazione del bilancio dello Stato ed evitare il processo inflazionistico al Paese. Ma non vorrei che si arrivasse alla conseguenza assurda che il debito fluttuante non si debba creare. I Ministri del tesoro fanno benissimo ad alimentare il Tesoro con il debito fluttuante. È un mezzo che va largamente usato, ma è un mezzo che ha i suoi limiti.
In questo momento abbiamo introdotto, ed a tutti ha fatto piacere, un certo controllo sul credito. Che cosa è il controllo sul credito? È uno dei mezzi che abbiamo per limitare gli investimenti del settore privato dell’economia ed aiutare gli investimenti dello Stato. È una politica seria, che molti Paesi hanno fatto prima di noi. Il controllo del credito ha già determinato certi effetti anti-inflazionistici sul mercato.
Questo strumento di controllo viene usato con almeno due anni di ritardo. L’onorevole Conti, l’onorevole Einaudi sono testimoni di quante volte io abbia parlato del controllo del credito. È stato finalmente attuato e sia il benvenuto. Ma non si creda che anche questo sia un mezzo taumaturgico ed esclusivo.
Limitazione delle spese: la Commissione di Finanza ha preso una posizione fermissima: dobbiamo limitare le spese. Ma non è una operazione facile, come il controllo del credito non è un’operazione che si compia in un giorno od in una settimana. Sono tutti mezzi da coordinare allo scopo e devono essere usati tutti simultaneamente; perché, se dovessimo espandere il debito fluttuante e lasciare aumentare le spese dello Stato o fondare la politica anti-inflazionistica sul semplice controllo del credito, noi commetteremmo degli errori enormi. È il coordinato uso di questi mezzi che consente il raggiungimento di quell’obiettivo che abbiamo posto all’ordine del giorno del Paese e che il Paese sente.
In questo quadro di provvedimenti, che cosa è l’imposta patrimoniale? L’imposta patrimoniale è uno dei tanti mezzi che abbiamo a disposizione per difendere la lira. Vogliamo combattere l’inflazione, vogliamo usare tutti i mezzi disponibili per arrestare il movimento ascensionale del mercato. L’imposta patrimoniale è uno di questi mezzi. Ma – si chiede – la usiamo al momento utile? O voi credete che sia il momento di arrestare il processo inflazionistico ed è indiscutibile che a questo scopo serva l’imposta patrimoniale; o voi ritenete che non si possa oggi affrontare il problema del risanamento monetario, e questo è un mezzo inutile, come mutile è il controllo del credito.
Tutti questi provvedimenti, che vanno inquadrati in una visione d’insieme, sono utili se crediamo di dover condurre la battaglia e se crediamo nella vittoria. Sono dannosi nella ipotesi contraria.
In ogni modo, la Commissione di Finanza dice: l’imposta straordinaria è uno dei mezzi per combattere la svalutazione della lira. Vi è qualcuno che voglia assumersi la responsabilità di affermare: «No, l’imposta patrimoniale non deve essere usata oggi, ma doveva essere usata 12 o 24 mesi prima, o dovrà essere usata fra dodici mesi»? Lo dichiari apertamente.
L’onorevole Nitti, senza dichiararlo, ha espresso il dubbio che il momento della patrimoniale possa venire più tardi quando saremo più vicini alla stabilizzazione. Obietto che quando si è vicini alla stabilizzazione, è quasi inutile applicare l’imposta. L’imposta patrimoniale, questo mezzo eccezionale, è uno degli elementi per raggiungere il risultato che ci proponiamo. Se si crede che il risultato possa essere raggiunto per altre vie, non parliamo più di patrimoniale.
Ma – ci si domanda infine – usando la patrimoniale, si riuscirà a vincere la battaglia? È la politica generale del Governo che ci deve rendere garanti di ciò. L’Assemblea deve giudicare se la politica generale del Governo è idonea a raggiungere il risultato, servendosi dell’imposta patrimoniale e del controllo del credito, frenando le spese, arrestando l’ascensione dei salari, ecc. Per parte mia, ritengo che bisogna difendere la lira, adesso, e con tutti i mezzi. Se questo Governo fallisse allo scopo, dopo aver usato e sciupato i mezzi più importanti per raggiungere un risultato, a me pare che fra tre mesi noi non potremmo riproporci il problema; non mi pare. Non discutiamo dell’uso o del non uso dell’imposta con l’aria di dire: «lasciamo andare le cose per altri sei mesi; fra sei mesi vedremo». Fra sei mesi non difenderemo più nulla.
Se l’azione del Governo fallisse sul terreno della difesa monetaria, si porrebbero problemi ben diversi. Non dovremmo più decidere se usare l’imposta o il controllo del credito; dovremmo probabilmente decidere se lasciare svalutare completamente la lira e passare ad altro metro monetario. Ad una certa fase del processo inflazionistico, non si hanno più i mezzi di arresto. L’esperienza ci avverte che, a partire da un certo momento, si deve cancellare una moneta e crearne un’altra.
Non mi pare che alcuno abbia qui la voglia di correre questa avventura. Per l’opposizione e per il Governo il problema è chiarissimo, ed è, per così dire, comune.
Con queste premesse, l’obiettivo fiscale e tributario dell’imposta patrimoniale va un po’ in ombra rispetto all’obiettivo monetario. È giusto che sia così.
Se volete giudicare esattamente l’imposta, la dovete giudicare come mezzo di difesa della lira. Questo è l’elemento fondamentale di giudizio; se no, vi perdete in particolari tributari, che possono nuocere alla visione chiara del problema. Del resto, vi sono indizi che confermano che i Governi precedenti e il presente hanno scelto abbastanza bene il momento per intervenire o, per lo meno, hanno saputo cogliere l’ultimo momento adatto per intervenire.
Quali sono questi elementi? Vediamo cosa è avvenuto in questi ultimi tempi, per esempio nel mercato dei valori di borsa. Voi sapete (ho qui dei dati) che alla fine di aprile l’indice dei valori di borsa era 2770, alla fine di maggio 3120, alla fine di giugno era tornato a 2680, sul livello di aprile. Leggendo le cronache di borsa di fine settimana, apprendiamo che la minaccia di nuove tassazioni, la restrizione del credito, la mancanza di denaro, sono all’origine di questa contrazione di valori.
Ecco un primo fatto anti-inflazionistico, al quale il Governo, l’Assemblea debbono dare il dovuto rilievo. Dal maggio scorso, come ricordavo nel mio precedente discorso, abbiamo avuto una continua ascesa dei valori azionari; adesso abbiamo una piccola flessione. Vuol dire che già il mercato dei valori è colpito da una certa politica. Vuol dire che il momento scelto per condurre una politica di difesa non è il momento più inopportuno. Siamo ancora in tempo. Scendono i valori di borsa. La difesa è ancora possibile.
D’altra parte, possiamo escludere che, esercitando una pressione sul mercato con l’imposizione straordinaria, col controllo del credito, la discesa dei valori non si estenda ad altri campi? Leggevo stamane sul Globo notizie circa il prezzo delle merci. Su due o tre mercati si accenna a qualche riduzione. Non voglio dare un valore sintomatico a questi accenni, ma, in sostanza, quando scendono i valori in borsa, si ha quasi un precorrimento della situazione futura del mercato. Siamo vigili, coordiniamo fermamente la nostra politica, siamo prudenti e attenti, e possiamo raccogliere altri risultati.
Se riuscissimo ad arrestare l’aumento dei prezzi delle merci, avremmo raggiunto un risultato fondamentale per la vita del nostro Paese. E in sostanza il Paese, coloro che lavorano, non ci chiedono altro.
Si dice: ma l’imposta deve essere pagata sul reddito; questa imposta straordinaria è invece una leva sul capitale! Benissimo. È il risultato che in un certo senso dovevamo e volevamo raggiungere.
Si dice perché non avete fatto pagare invece le imposte ordinarie? Ma credete che possiamo raggiungere un maggior gettito di centinaia di miliardi da un mese all’altro ricongegnando il sistema dei tributi ordinari soltanto? Occorrono dei mezzi straordinari e più radicali.
D’altra parte, se per cause dovute alla guerra, e per circostanze indipendenti dalla volontà di ciascuno, non abbiamo fatto pagare nella misura dovuta le imposte ordinarie, abbiamo determinato un’accumulazione della parte di reddito sottratta all’imposta, ed è questa parte che vogliamo colpire con l’imposta straordinaria.
I cittadini che sono, spesso, molto più savi dei loro rappresentanti politici, sapevano di dover far fronte a esigenze straordinarie dello Stato e hanno accantonato in molti casi l’imposta. Da che ci risulta? Non voglio entrare in disquisizioni sulla grande e piccola proprietà, sulle varie categorie di interessi: su questa specie di esercizio corporativistico al quale ci abbandoniamo talvolta. Ricordo soltanto che l’imposta straordinaria proporzionale, già in riscossione, è dal contribuente riscattata largamente.
Se l’imposta straordinaria proporzionale è riscattata largamente, che cosa indica questo al Ministro delle finanze, al Governo, a noi? Che c’è una liquidità accantonata per pagare le imposte, che il contribuente ha previsto la tassazione straordinaria e ha messo puntualmente da parte i mezzi per farvi fronte. Le nostre discussioni sulla sopportabilità dell’imposta, diventano, da questo punto di vista, quasi superflue.
Vogliamo dispiacerci di questa situazione del mercato? Vogliamo non approfittarne? Se si riscatta largamente, ciò significa che ci sono dei settori ad alta liquidità. Volendo combattere il processo inflazionistico, occorre sottrarre questa liquidità, che è un potenziale di inflazione, al mercato. Fin dalla prima applicazione di un’imposizione straordinaria noi abbiamo i segni che i contribuenti possono sostenere lo sforzo loro richiesto. Dobbiamo esserne lieti. E non ripetere, come molti hanno ripetuto, che i contribuenti dovranno svendere i loro beni, buttare sul mercato il patrimonio. Sono previsioni catastrofiche, che non rispondono a realtà.
Del resto, a questo proposito, non è male che facciamo un esame di coscienza. Se un proprietario, se un contadino, han messo da parte un quintale di grano, sperando nell’aumento di prezzo, e se, per pagare l’imposta, sono costretti a vendere il quintale di grano, questo non è un contributo alla diminuzione dei prezzi? Se non accettiamo ciò, non desideriamo ciò, come vogliamo raggiungere un risultato antinflazionistico? Lasciando che il proprietario, il contadino non paghino l’imposta e si conservino il quintale di grano? Che il grande proprietario, che deve pagare centinaia di milioni allo Stato, conservi i molti quintali di grano (se li ha) o il bestiame e non paghi l’imposta? Noi vogliamo questo? Noi possiamo voler questo, ma allora, dire che vogliamo difendere la lira è un discorso molto accademico, che non ha nessuna rispondenza con la realtà delle nostre intenzioni.
E per andare ai casi limite, ammetto pure che per pagare l’imposta si debba incidere sui prezzi dei beni immobiliari. Può darsi che il fatto di dover pagare l’imposta faccia diminuire i prezzi della proprietà. E vi volete dispiacere di questo? È giusto che come cadono i valori di borsa, cadano anche i prezzi della proprietà immobiliare, perché l’aumento dei prezzi della proprietà immobiliare è un sintomo inflazionistico, mentre la diminuzione dei prezzi della proprietà immobiliare è un sintomo deflazionistico, un sintomo di risanamento.
Naturalmente, come in tutte le cose, anche qui occorre avere un senso del limite. Noi non possiamo determinare situazioni rovinose di discesa o di ascesa dei prezzi, ma i Governi esistono per questo ed i Governi sono saggi appunto perché comprendono i limiti della propria azione. Occorre determinare, ma nello stesso tempo controllare, i movimenti del mercato, per impedire che diventino controproducenti.
Il complesso dei primi segni ci dice, quindi, che noi abbiamo scelto un momento in cui possiamo ancora tentare. Forse è l’ultimo tentativo serio che noi possiamo fare di difesa della lira. Facciamolo nelle condizioni più opportune (io avrei detto anche nelle condizioni politiche più opportune) ma facciamolo. E qui mi permetto di dire che, siccome questi segni ci sono, occorre tenerli presenti in tutti i campi e da parte di tutti, anche della Confederazione generale del lavoro. Mi permetto di ricordare che, se noi abbiamo dei segni per cui i prezzi, i valori, invece di tendere continuamente al rialzo, possono tendere al ribasso o alla stabilizzazione, è necessario fare uno sforzo concorde per far beneficiare il Paese di questa tendenza. Badiamo anche alla politica salariale, e siamo accorti e prudenti anche in questo campo. Se le cose andranno male, andranno male per tutti, salariati, proprietari grandi e piccoli, Confederazione del lavoro.
Naturalmente, e lo ripeto fino alla noia, se il processo inflazionistico dovesse continuare, cioè se il Governo non riuscisse ad arrestarlo, l’imposta straordinaria non avrebbe servito a nulla. Avremo sciupato un mezzo potente di difesa della lira, inutilmente.
Ma l’eventualità che il Governo fallisca, non ci autorizza a ritenere che avremo potuto fare l’imposta più tardi, per esempio nel 1949, come diceva l’onorevole Nitti.
Io non so che lira troveremo e che imposta potremo fare nel 1949. Non so prevederlo, e non so dire che sostanza potrebbero avere i provvedimenti di difesa. Spostarli di sei mesi o di un anno, significa porsi in condizioni economiche totalmente diverse. Tanto più quando l’imposta è congegnata in modo da dare i primi risultati entro un anno, nel migliore dei casi. Se dovessimo rinviare di un anno questa imposta, gli effetti andrebbero nel 1949 o nel 1950. Non so prevedere quale sarà il bilancio dello Stato, quali saranno le condizioni monetarie in quel tempo, e per ciò non assumerei la responsabilità di trasferire uno strumento di lotta, come quello che esaminiamo, a quell’epoca.
E, per concludere su questo argomento, non va dimenticato che le imposte straordinarie proporzionale e progressiva apporteranno, al bilancio del 1947-48, 90 miliardi complessivamente. Nel nuovo preventivo abbiamo 300 miliardi di deficit e, senza questa imposta, ne avremmo 400. Anche questo va considerato, perché il fatto di coprire parte del deficit ha la sua grande importanza. Se i deficit non fossero coperti così, andrebbero coperti con l’uso del torchio, il che ci porterebbe a usare i mezzi che, ai fini della difesa monetaria, vogliamo combattere.
Ed ora, poche parole circa la sostanza del provvedimento. Il collega Scoccimarro mi consenta di dire che il progetto è all’incirca quello che le varie Commissioni di studio del Ministero hanno esaminato da due anni a questa parte. Si è ripresa e aggiornata la legislazione del 1920-1922. Quando la Commissione di finanza ha preso in esame il decreto, non vi ha trovato grandi innovazioni. Avevamo fatto un esperimento di imposta straordinaria nel 1920-22: l’abbiamo ripreso, abbiamo aumentato le aliquote e abbiamo adottato alcune norme ed esigenze più moderne. Non ci siamo tuttavia allontanati gran che dal vecchio schema. Questo per dire che qualsiasi discussione sul decreto, che volesse riferirsi a un progetto totalmente diverso, sarebbe fuori della realtà e inutile. Noi siamo sulla linea della tradizione ed abbiamo utilizzato un’esperienza già fatta.
Era possibile una sola differenza fondamentale, ed era costituita dal fatto che il provvedimento attuale, rispetto a quello del 1922, poteva presupporre il cambio della moneta. Era il solo elemento che poteva dare all’imposta del 1947 un carattere totalmente diverso, non per la struttura ma per i presupposti, a quella del 1920-22. Vogliamo riaprire ora la polemica sul cambio della moneta? Non mi pare utile. Ricorderò soltanto che ho sempre affermato che il cambio andava fatto ed ho tenacemente accusato l’onorevole Corbino – del quale ho la massima stima – di non averlo fatto.
Col mancato cambio della moneta, una delle caratteristiche che potevano differenziare l’imposta attuale dall’imposta del 1920-22 è venuta meno. Le conseguenze sono state enormi. Voi conoscete un certo gioco di carte, che fanno i ragazzi: mettono una carta appoggiata all’altra, e costruiscono vicine delle sorta di tende. Se ne cade una, cadono tutte. Ora, il mancato cambio della moneta ha fatto cadere tutte le carte del gioco. Come? Il cambio doveva avere lo scopo, dal punto di vista tributario, di accertare in via preliminare il patrimonio mobiliare, di impedire che l’imposta gravasse sulla proprietà immobiliare. Per il mancato cambio della moneta, tutto ciò non è stato possibile. Non si può tassare la moneta, se non inserendola nel sistema dell’imposta patrimoniale progressiva, non si possono tassare i titoli di Stato, i depositi bancari, se non attraverso la medesima imposta. Rispetto ai beni immobiliari, i beni mobiliari hanno subìto il danno del processo monetario. Se io voglio tassare i titoli di Stato come tali, commetto un’ingiustizia. E qui do ragione a Corbino, quando dice che i titoli di Stato non si devono tassare: i titoli di Stato hanno già pagato un contributo allo Stato. Ma dove Corbino sbaglia è nel fatto che, se io ho nel mio patrimonio titoli di Stato o danaro, devo esser colpito, con l’imposta progressiva, anche per questi titoli di ricchezza, che sono parte costitutiva della mia ricchezza complessiva. Vi siano nel mio patrimonio danari, case o titoli di Stato, quando tasso il patrimonio complessivo, sono in perfetta giustizia tributaria.
Quindi, quando ho fatto cadere il cambio della moneta, posso introdurre, come surrogato, una tassazione proporzionale e reale, posso tassare direttamente i titoli di Stato o i depositi bancari, ma, applicando un’imposta reale, commetto una ingiustizia tributaria, tassando proprio quei beni che sono stati decurtati dalla svalutazione monetaria.
Ecco perché dal mancato cambio della moneta sono derivate gravi conseguenze, prima di tutto la impossibilità di accertamento della proprietà mobiliare. Occorreva il cambio perché il sistema degli accertamenti fosse completo ed efficace nei due rami, mobiliare ed immobiliare, nei quali si divide la ricchezza nazionale.
Nella relazione, e qui parlo a nome di tutti i colleghi che la compongono, ai quali io devo rivolgere il mio ringraziamento per il contributo dato a questa imposta ed a tutto il lavoro di controllo della gestione finanziaria dello Stato, nella relazione è detto che, una volta che il cambio non si è fatto prima dell’imposta, soprattutto prima della data indicata per l’accertamento dei patrimoni, non si può più fare, o altrimenti si fa ad altri scopi. Se si vuole che i beni mobiliari si inseriscano nel sistema di accertamento di patrimoni complessivi, ci deve essere una coincidenza fra la data del cambio e la data in cui si accertano i patrimoni. Ora, se avete uno sfasamento fra le due date, che cosa avviene? Se voi fate il cambio nel mese di aprile, ed accertate i patrimoni nel mese di maggio, avete una certa differenza nei vari cespiti patrimoniali dipendente dalle operazioni che si sono compiute nel periodo di tempo intercorso tra la data del cambio e la data di accertamento delle consistenze patrimoniali.
Ecco, amico Macrelli, perché non vedo la possibilità di continuare a parlare di cambio della moneta a fini tributari, dopo l’imposta patrimoniale: perché, se faccio il cambio dopo, potrei arrivare all’assurdo di colpire due volte colui che ha venduto un bene per pagare l’imposta e ha messo da parte l’ammontare liquido che gli è residuato dalla vendita, e di non colpire né la prima né la seconda volta il borsaro nero che, dopo l’imposta, ha investito in beni reali il suo denaro liquido.
D’altra parte c’è un’altra difficoltà, ed è questa: nella legge sull’imposta, noi abbiamo stabilito, a carico del contribuente, una quota presuntiva per denaro e titoli. Ora, questa quota presuntiva o rimane, e allora noi non possiamo ritassare il denaro attraverso al cambio, o altrimenti deve essere tolta.
Per tali ragioni, mi pare che di cambio della moneta non si debba più parlare. Anche per quanto riguarda gli altri valori mobiliari, come i conti correnti in banca e i titoli al portatore, la Commissione si è trovata in gravi difficoltà. Vi confesso che c’era la propensione a superare la cosiddetta questione del segreto bancario, e ad accertare direttamente i depositi bancari, com’è avvenuto in tutti i Paesi del mondo. Tuttavia, di fronte alle dichiarazioni del Ministro e del Governatore della Banca d’Italia soprattutto, la Commissione s’è dovuta inchinare.
Quando il Governatore della Banca d’Italia afferma l’inopportunità di accertare presso le banche i depositi della clientela, la Commissione non può evidentemente andare oltre. Perché, o si ritiene che il Governatore della Banca d’Italia non sappia fare il suo mestiere, ed in tal caso non c’è che da sostituirlo, o si ritiene di conservarlo al suo posto, e non c’è che da tenere nella dovuta considerazione il suo parere tecnico.
DUGONI. Lo può fare l’Assemblea.
LA MALFA, Relatore. Sì, ma l’Assemblea lo può fare tenendo presente tutte le conseguenze che derivano dall’accertamento. Non può isolare il problema, ma deve affrontarlo in pieno.
L’onorevole Macrelli si è richiamato al cambio della moneta, soprattutto per una ragione specifica, attinente al prestito della ricostruzione. Egli ha osservato che, quando si è fatta la propaganda per il prestito, la si è fatta mettendo in luce l’importanza dell’esenzione del prestito dal cambio della moneta e dall’imposta straordinaria progressiva. Ora, non fare il cambio ha significato venir meno ad un impegno assunto.
È esatto però non si può volere il cambio per mantenere le promesse fatte in occasione dell’emissione del prestito della ricostruzione. Devo ricordare, a questo riguardo – e vorrei, che fosse presente l’onorevole Bertone – una ragione di dissenso che io ebbi a proposito di questo prestito.
L’obiezione che feci all’onorevole Einaudi e al dottor Menichella, direttore generale della Banca d’Italia, quando m’interpellarono a questo riguardo, fu la seguente: «Voi emettete un prestito, inquadrato in due provvedimenti, che non avete concretamente definiti. È un errore, e può dar luogo a inconvenienti. Occorre, prima, definire i provvedimenti del cambio della moneta e dell’imposta progressiva e poi chiamare i cittadini italiani a sottoscrivere, conoscendo la portata dei provvedimenti, dai quali il prestito è esente.
Dico questo, perché, per il mancato coordinamento fra i vari provvedimenti, si è avuta una conseguenza di ordine fiscale, gravissima. Si è emesso il prestito: molti futuri contribuenti dell’imposta progressiva hanno fatto i loro calcoli approssimativi, dato che le aliquote si conoscevano attraverso il progetto Scoccimarro, e hanno trovato ultra conveniente sottoscrivere al prestito, e risparmiare una forte aliquota d’imposta. Spiego con un esempio. Il possessore di un patrimonio di un miliardo è tassato, secondo la legge attuale, col 50 per cento. Supponete che il possessore di un miliardo abbia investito 500 milioni nel prestito della ricostruzione. Voi sapete che il prestito della ricostruzione non è denunciabile ai fini dell’imposta. Chi ha un miliardo avrebbe pagato 500 milioni di imposta; per il fatto che ha sottoscritto 500 milioni di prestito, paga, invece dell’aliquota del 50 per cento, l’aliquota del 35 per cento su 500 milioni. Paga, quindi, 150 milioni invece di 500 milioni.
L’esenzione concessa al prestito ha avuto queste conseguenze: mentre ha sacrificato il piccolo contribuente, che ha avuto una forte perdita sul titolo e scarsissimo vantaggio dall’esenzione, ha favorito i grossi contribuenti, che, nonostante le perdite sul titolo, hanno realizzato forti economie d’imposta.
Vi assicuro che, se la Commissione avesse potuto evitare queste conseguenze inique, l’avrebbe fatto. Ma non ne ha avuto mezzo legale. Abbiamo fatto – mi dispiace dirlo – una concessione che non dovevamo fare, ma oggi non possiamo che mantenere gli impegni assunti, anche se troppo favorevoli ai grossi contribuenti. Naturalmente sarebbe troppo se, rispetto a questi contribuenti, ci sentissimo anche impegnati a fare il cambio della moneta.
BERTONE. Ma come era formato il patrimonio di chi aveva un miliardo? Questo è importantissimo perché, se era formato di valori mobiliari, non era accertabile.
La MALFA, Relatore. Ma se era formato di azioni, era accertabile.
BERTONE. Questo è essenziale a sapersi, perché colui che sottoscriveva al prestito della ricostruzione aveva il diritto di portare in deduzione della sua quota di patrimonio tassato di quel 5 per cento presuntivo, tutto quello che aveva sottoscritto.
LA MALFA, Relatore. Comunque, per togliere ogni dubbio all’onorevole Macrelli, mi pare si debba constatare che, con la riconversione del prestito della ricostruzione 3.50 per cento al 5 per cento, si è tolta di mezzo la iniquità maggiore, e si è ridata possibilità al piccolo risparmiatore di investire al tasso normale.
Il voler quindi riaprire la questione del cambio della moneta a questo scopo non mi pare né utile né opportuno. Del cambio della moneta, come provvedimento fiscale connesso all’imposta progressiva, non si dovrà più parlare.
Più attuale è invece la questione dei cosiddetti enti collettivi, intorno alla quale, se l’Assemblea non è stanca di ascoltarmi…
Voci. No! No!
LA MALFA, Relatore. …vorrei un poco intrattenermi.
Il problema degli enti collettivi è stato sollevato in seno alla Commissione di finanza e, da un punto di vista dottrinario, dall’onorevole Castelli della Democrazia cristiana. Debbo dire, a suo riconoscimento, che l’onorevole Castelli ha sempre sostenuto la tassabilità degli enti collettivi. Si tratta, del resto, di una dottrina che in molti paesi esteri ha pieno riconoscimento.
Io mi sono però associato alla proposta dell’onorevole Castelli non già, vi confesso, per ragioni dottrinarie, ma per ragioni di opportunità e di equità fiscale. Poiché l’imposta progressiva, con il mancato cambio della moneta, tendeva ad appoggiarsi sul patrimonio immobiliare, aveva, secondo me, bisogno di un correttivo.
Coloro che hanno sostenuto la non tassabilità degli enti collettivi si sono fondati sul fatto della doppia imposizione e sul fatto che, essendo gli enti collettivi persone giuridiche, non possono essere colpite con imposte che gravano sulle persone fisiche. Ma l’imposta del 1910-22 tassava sia le persone fisiche che le persone giuridiche, ed escludeva le società per azioni, per la sola ragione della doppia imposizione. Il precedente legislativo, nella tradizione italiana, è la tassabilità degli enti collettivi ai fini dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.
Tra gli argomenti da me addotti, in sede di Commissione, ai fini della tassabilità, non vi fu quello della non accertabilità dei patrimoni azionari. I titoli azionari sono nominativi e sono quindi accertabili. È vero che lo schedario dei titoli azionari non è aggiornato. Però, alla richiesta se prima dell’applicazione dell’imposta lo schedario sarebbe stato aggiornato, il Governo rispose affermativamente. Quindi, tutti i possessori di azioni sono accertabili e colpibili.
SCOCCIMARRO. Questa risposta era giusta fino al gennaio-febbraio. Oggi neanche il Governo pensa che potrà dir questo, dopo quanto è avvenuto. La risposta in merito allo schedario delle società per azioni che, come disse il Ministro Campilli, sarebbe stato a punto entro sei mesi, era giusta. Era giusta in gennaio-febbraio. Oggi non più. Oggi è molto difficile, per quanto è avvenuto negli ultimi tre-quattro mesi.
Una voce. Cioè? Che cosa è avvenuto?
PELLA, Ministro delle finanze. Mi riservo di rispondere.
PRESIDENTE. Non credo che si possa concertare la risposta adesso. Prosegua, onorevole La Malfa.
LA MALFA, Relatore. In ogni modo, il Governo terrà conto – mi pare – dell’osservazione dell’onorevole Scoccimarro.
Però vorrei dire che, se anche lo schedario non fosse aggiornato a data utile, le azioni non potrebbero sfuggire, se nel frattempo l’Amministrazione si mettesse in ordine. C’è infatti l’obbligo di denunciare i titoli azionari. In qualunque momento lo Stato li accerta, in quel momento colpisce. Sarà nel 1970 o nel 2000, ma, se in quel momento lo schedario darà come non denunciata un’azione, su quest’azione il possessore pagherà non solo l’imposta, ma anche la penale. Quindi i possessori saranno raggiunti, anche se credono di poter evadere l’imposta.
Ma alcuni di noi hanno sostenuto la tassabilità degli enti collettivi e delle società per azioni per altri argomenti che non siano questo dell’accertamento del possesso delle azioni. Quali? La dispersione e il frazionamento del capitale azionario. Se noi prendiamo l’impresa azionaria, noi abbiamo una concentrazione patrimoniale; cioè, l’impresa riunisce dei capitali che usa a fini economici. Un’impresa individuale delle stesse dimensioni non è nelle stesse condizioni. Quando applichiamo l’imposta, l’impresa individuale è colpita con l’aliquota progressiva, nel suo patrimonio, nella funzionalità economica del proprio patrimonio. L’impresa collettiva è tassata nel patrimonio dall’azionista, e quindi la progressività è minore. Cioè, il frazionamento fa sì che il patrimonio dell’impresa individuale sia tassato più fortemente che non il patrimonio delle collettive.
E questo mi pare che sia da tener presente ai fini della perequazione tributaria. Noi non diciamo: tassate fortemente le società azionarie, togliete alla Montecatini gran parte del suo capitale. Noi diciamo invece: tassiamo, ma con aliquote molto ridotte, con un criterio di perequazione tributaria, per colpire con un coefficiente determinato, empiricamente, le collettive, sì da metterle nelle stesse condizioni delle imprese individuali.
La maggioranza della Commissione si è dimostrata contraria a questa tesi e ha preferito preparare il terreno alla rivalutazione patrimoniale, impegnare cioè il Governo a presentare un progetto di legge con cui si obbligano direttamente o indirettamente gli enti collettivi a rivalutare il loro patrimonio e a pagare un’imposta sulle rivalutazioni. È un provvedimento che verrà ben presto all’esame della Commissione.
Ritengo, tuttavia, che i provvedimenti sulle rivalutazioni abbiano una caratteristica inflazionistica e vadano perciò scartati. Quando si consente a una società di rivalutare le sue voci di bilancio, la borsa sconta queste rivalutazioni e tende al rialzo. Poiché lo scopo principale che noi poniamo alla nostra azione è quello di infrenare la corsa al rialzo, io rimango contrario ai provvedimenti sulle rivalutazioni.
Comunque, ho l’impressione che il problema degli enti collettivi, superato in sede di Commissione, si ripresenti in forma nuova e più concreta oggi. Rivolgo quindi preghiera al Governo di riesaminare se convenga battere la via delle rivalutazioni o stabilire il criterio empirico di tassazione degli enti collettivi. (Interruzioni).
Nelle dichiarazioni che si faranno in sede di emendamenti si potrà chiarire questo problema. Per quel che mi riguarda, la Commissione in maggioranza si è pronunciata contro la tassabilità degli enti collettivi, ed io debbo rimanere aderente a questa decisione.
Uno degli argomenti di cui si è parlato molto in questa Assemblea è stato quello della maggiore pressione tributaria esercitata sui piccoli e medi possessori di patrimoni. Ora, io devo chiarire una posizione che già avevo assunto in sede di Commissione di finanza, e che in genere mantengo rispetto a qualsiasi procedimento tributario: la maggiore quantità di gettito tributario, il fondamento delle imposte è dato dai piccoli e medi patrimoni. Nessun Ministro delle finanze potrebbe fare politica finanziaria se non tenesse conto dei piccoli e medi patrimoni, i quali non possono essere esentati dal dare il necessario contributo al risanamento delle finanze dello Stato.
D’altra parte, piccoli e medi possessori di patrimoni hanno un interesse diretto alla lotta contro l’inflazione. Questo flagello colpisce in particolare coloro che continuano a tenere un loro conto corrente in banca, titoli dello Stato, o denaro presso di sé. Chiedere ai piccoli e medi proprietari un sacrificio, non risponde a un’esigenza generale della nostra politica tributaria, ma all’interesse di coloro che si tassano. Ricordatevi bene: salvare un Paese dalla svalutazione monetaria è un valore che dobbiamo saper misurare a tempo. La Commissione di finanza, del resto, ha qui impostato un problema di giustizia. Constatato che il gettito dell’imposta è dato dai piccoli e medi patrimoni, perché l’Italia è un Paese di piccoli proprietari, agricoltori, bottegai, commercianti, di provinciali, se volete, essa ha ritenuto di dover tassare fortemente le grosse fortune, così da dare a ciascuno il suo. Se è necessario che paghino i piccoli e medi, molto di più devono pagare i grossi patrimoni.
Questo – mi pare – è un sano concetto di amministrazione finanziaria. Se avessimo voluto scaricare la piccola e media proprietà dai tributi straordinari per addossarli alla grande proprietà, noi avremmo rispettato un principio di giustizia sociale, ma non avremmo fatto un corretto atto di amministrazione finanziaria. Non potete pensare che le centinaia di miliardi di lire che occorrono per la difesa monetaria del Paese si ottengano dalla sola tassazione dei grossi patrimoni. Di questa idea dobbiamo sbarazzarci. I grossi patrimoni debbono dare il loro contributo, ma il gettito delle imposte è, e sarà sempre, costituito dalle piccole e medie fortune.
Vediamo, del resto, qual è il meccanismo dell’imposta. L’imposta proporzionale colpisce i piccolissimi patrimoni, a partire da imponibili di 100 mila lire. A 3 milioni ci incontriamo con la progressiva; ma, siccome c’è un abbattimento alla base di 2 milioni, chi ha 3 milioni paga in definitiva, tra proporzionale e progressiva, il 6 per cento.
Ora, ho visto un emendamento degli amici liberali che vorrebbe elevare a 5 milioni il minimo imponibile della progressiva. Stiamo attenti. Non vorrei che si determinasse un equivoco in seno a questa Assemblea: ritenere cioè che quelli che hanno 3 o 5 o 10 milioni siano dei poveri disgraziati e quelli che hanno 100 mila lire e pagano l’imposta proporzionale siano dei signori. Non vorrei, cioè, che si delineasse una situazione per cui arrivassimo a scaricare dell’imposta non i piccoli, ma i medi patrimoni.
Dobbiamo essere coerenti nella nostra linea di politica tributaria. Se partiamo da 100 mila lire col 4 per cento, non siamo eccessivamente fiscali se a 3 milioni facciamo pagare il 6 per cento. È stato qui detto che il possessore di 3 milioni ha forse una casa e voi gliela fate vendere; ma quello che ha 100 mila lire non ha nemmeno una casa e paga il 4 per cento. Mi sono opposto, in sede di Commissione, alla tendenza a elevare i minimi imponibili, m’opporrò alla stessa tendenza in seno all’Assemblea. Questo è un punto fermo per me. Chi ha maggiore patrimonio deve pagare di più, ma tutti devono pagare qualcosa.
Ho sentito anche parlare di esenzioni di certe categorie di contribuenti. Dobbiamo stare attenti anche a questo. Le imposte sono dolorose, dolorosissime. Mi pare che l’onorevole Nitti abbia detto che le imposte sono spiacevoli. E si capisce che creano turbamenti, casi di ingiustizia, ma noi dobbiamo badare alle linee fondamentali del sistema.
Quando, nonostante tutte le lagnanze, si riscatta l’imposta proporzionale, vuol dire che l’imposta è sopportabile. Il collega Bonomi diceva: noi paghiamo, però protestiamo. Sta bene. Quello che importa, per giudicare di un’imposta, è che nel complesso essa si dimostri sopportabile e sia pagata. Le ingiustizie singolari si possono sempre correggere. Il Governo c’è per questo. Le leggi si possono rivedere. Non possiamo fare le leggi tributarie sulla misura di coloro che si lagnano o ne soffrono. Non ne faremmo nessuna.
La Commissione di finanza ha ricevuto cinquanta, cento, mille rimostranze, ma non le può esaminare, perché un provvedimento di legge ha delle linee generali, essenziali, concrete. Il Governo accerterà se vi sono squilibri concreti, ingiustizie concrete. Per esempio, si è moltiplicato per 10 o per 5 un imponibile rivalutato dopo il 1939. Questa è una ingiustizia, ma è inutile che ci preoccupiamo di questo. Il Governo potrà provvedere, ha già provveduto. Ci sono dei casi di sinistrati che non hanno chiesto la revisione dell’imponibile e quindi sono tassati per case che non possiedono. Il Governo prenderà, o ha già preso, provvedimenti integrativi al riguardo. Se ci mettessimo a modificare la legge in base a lagnanze generiche, l’esenzione, che è meritata da una categoria di casi concreti, potrebbe diventare esenzione per categorie che possono pagare.
L’Assemblea non si può assumere la responsabilità di indurre coloro che possono pagare l’imposta, a non pagare. Bisogna indurre a pagare. In quanto ai casi particolari, si potrebbe, ad esempio, nominare una Commissione ristretta di deputati che controllino, se volete, l’applicazione dell’imposta, non nel senso che esercitino sindacato sul Governo, ma si tengano a contatto col Governo per sottoporgli eventuali proposte, eventuali correttivi.
Del resto, fu questa l’esperienza dell’imposta 1920-22: fu rettificata molte volte con decreti aggiuntivi. Si perfezionò col tempo, ma sulla base di esperienze concrete. Si discussero i casi, si discusse molto e si presero provvedimenti integrativi. Questo decreto non chiude la serie dei provvedimenti legislativi. Dà le linee generali dell’imposta. Col tempo potrà essere anche modificato.
Vorrei concludere: mi pare che per quello cui deve servire, per lo scopo da raggiungere, l’imposta sia assolutamente necessaria. Non è il solo mezzo per salvare il bilancio dello Stato e la moneta. Se non è usato – ripeto – in coordinazione con altri provvedimenti e, soprattutto, se il Governo non ha un continuo controllo delle condizioni generali del mercato, se non lo segue momento per momento, ora per ora, questa situazione può sfuggire di mano e quindi l’imposta polverizzarsi. Ma nel quadro di una politica coordinata e coerente, esso è assolutamente necessario. E soprattutto per fini di tesoreria. La Commissione, proprio a questo fine, ha stabilito un congegno speciale per i riscatti, e ha cercato di anticipare con ogni mezzo, il gettito dell’imposta.
Se l’imposta viene diluita nel tempo, costituirà un ottimo congegno tributario, ma non servirà allo scopo principale. Un’imposta patrimoniale diluita in vent’anni non ha alcun interesse. Sarà un magnifico provvedimento tributario, ma credete che sia un provvedimento di difesa della lira? No. È da questo punto di vista che la Commissione delle finanze crede di aver fatto il proprio dovere suggerendone l’approvazione immediata. (Vivi applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.
PELLA, Ministro delle finanze. Desidero in primo luogo, ringraziare gli onorevoli colleghi che hanno preso la parola nella discussione generale su questo disegno di legge, per il contributo di vera collaborazione apportato al suo perfezionamento. Ringrazio in particolar modo l’onorevole Nitti, il quale ha voluto portare l’alta sua parola di finanziere e di parlamentare, con suggerimenti di ordine generale, che certamente devono essere presi in considerazione dal Governo, sovrattutto in ordine alla preminente importanza della finanza ordinaria, su cui brevemente mi intratterrò.
Ringrazio in particolare, il Relatore, onorevole La Malfa, per le esaurienti dichiarazioni di stamane.
Ringrazio gli altri parlamentari, dall’onorevole Macrelli all’onorevole Valiani, all’onorevole Bertini, all’onorevole De Vita, all’onorevole Scoccimarro, all’onorevole Vigorelli, all’onorevole De Mercurio, all’onorevole Paolo Bonomi, all’onorevole Vicentini; e vorrei ricordare anche quanti hanno parlato in materia di imposta straordinaria sul patrimonio, in sede di discussione generale sulle comunicazioni del Governo. Argomentazioni e proposte suggestive hanno fatto gli onorevoli Pallastrelli, Crispo, Scotti e Perrone Capano. Di quanto fu detto allora e di quanto è stato detto più recentemente in questi giorni, il Governo non può non tenere gran conto.
Ho accennato all’opportunità di intrattenermi brevemente anche sulla finanza ordinaria. Accenni eloquenti al riguardo hanno avuto diversi colleghi.
È perfettamente vero che il problema del risanamento del bilancio dello Stato non può che poggiare, in via preminente, sulla finanza ordinaria.
La finanza straordinaria è il ponte, attraverso cui bisogna passare in attesa che il gettito dei tributi ordinari abbia raggiunto la sistemazione definitiva.
Qualche dato in materia può interessare l’Assemblea, anche perché, se non erro, dal 25 giugno dell’anno scorso, da quando, cioè, ci siamo riuniti per la prima volta, l’Assemblea non ha avuto occasione d’interessarsi della materia finanziaria, se non casualmente e di scorcio, in qualche intervento.
Il preventivo per l’esercizio 1946-47 segnava un introito previsto di 148 miliardi per tributi ordinari.
La recente relazione Campilli, di fine marzo, prevede, in sede di quasi consuntivo, un introito totale di 268 miliardi, riferiti al 30 giugno.
Sono lieto di comunicare che, per il favorevole andamento degli introiti in questi ultimi mesi, si può pensare che al 30 giugno saranno superati i 300 miliardi e probabilmente si arriverà ai 320 miliardi. Voi conoscete il ritmo degli incassi di questi ultimi mesi. Mentre l’esercizio finanziario si era aperto nel luglio del 1946 con un introito mensile di 16,5 miliardi, mentre al settembre eravamo a 18 miliardi, al dicembre eravamo a 24,5 miliardi per fare un balzo in aprile con 32,5 miliardi ed a maggio con circa 37 miliardi.
Queste cifre ci dicono che, attraverso il normale incremento dei tributi (le cui cause vorrei identificare soprattutto in due fattori fondamentali: il primo, derivante dallo sviluppo del volume degli scambi; il secondo, dalla più efficace repressione delle evasioni), non è lontano il giorno in cui quelli ordinari dovrebbero superare i 40 miliardi mensili. Se si tien conto dei provvedimenti emanati in queste ultime settimane e di quelli che sono allo studio, (e qui viene molto a proposito il riferimento al concetto di «imposte massicce» che è stato enunciato dall’onorevole Nitti) non è lontano neppure il giorno in cui si dovrebbe andare oltre i 45 miliardi. Per cui non è arrischiato pensare che, nonostante le previsioni assai più prudenti fatte in sede di preventivo 1947-48, i tributi ordinari dovranno certamente superare (nel prossimo esercizio) i cinquecento miliardi per avvicinarsi ai 600.
Mi si permetta qualche rilievo su alcune categorie di tali tributi anche in relazione alle osservazioni che sono state fatte nel corso della discussione.
Il preventivo contempla un introito per imposte dirette di circa 67 miliardi, per imposte sugli affari e sugli scambi di 168 miliardi, per dogane ed imposte indirette di 90 miliardi e per monopoli di 70 miliardi. È vero che nel settore delle imposte dirette non si sono ancora raggiunti quei risultati forse attesi dall’opinione pubblica. È, però, il settore che, per forza di cose, si muove più lentamente e per il sistema che fa riferimento ad anni anteriori (ad esempio, il gettito di categoria B del 1947 è la fotografia del reddito del 1945, come il gettito del 1948 sarà la fotografia del 1946) e per il fatto che ogni accertamento comporta una lunga procedura. Una cosa, comunque, è certa: mentre gli altri tributi possono dare immediate, brillanti sodisfazioni, ma nello stesso tempo creare improvvise delusioni, coll’inversione dell’andamento dei prezzi e del volume degli scambi, è caratteristica del gettito delle imposte dirette di mantener meglio le posizioni faticosamente raggiunte.
Ad ogni modo, voi sapete che è stato presentato, già da tempo, alla Commissione parlamentare di finanza, un provvedimento che contempla la rivalutazione automatica dei redditi di categoria B e C1, in attesa di poter provvedere al riaccertamento individuale.
È desiderio del Governo, in questa materia, di attuare il principio, reclamato da diversi onorevoli colleghi di ridurre gradualmente le aliquote parallelamente all’allargamento della base imponibile. È intenzione dell’Amministrazione finanziaria di adeguare al più presto il gettito delle imposte dirette ai nuovi livelli di reddito, e di migliorare il rapporto fra tributi diretti e tributi indiretti; quanto meno per il giorno in cui avrà un significato concreto il concetto di trasferimento o di non trasferimento dell’imposta sul consumatore. Poiché, se è vero che la superiorità teorica dell’imposta diretta risiede appunto in questo, nell’essere sopportata dal reddituario senza trasferimento sopra il consumo, è altrettanto vero che, nell’attuale periodo di scarsità di merci sul mercato, anche le imposte dirette purtroppo si trasferiscono sul consumatore alla stregua di tutti i costi generali che gravano le imprese agricole, commerciali ed industriali.
Per quanto riguarda le imposte sugli affari, richiamo l’attenzione sull’imposta sull’entrata, la quale è destinata a superare, nel prossimo esercizio, i 150 miliardi annui. La vecchia imposta sugli scambi, la cosiddetta tassa scambi, rendeva, nel 1939, 2 miliardi e mezzo, cosicché ci troviamo davanti ad un parametro di moltiplicazione pari a sessanta. È vero però che allora l’imposta scambi era del 2 per cento, mentre oggi è del 3 per cento cosicché il coefficiente 60 automaticamente si riduce a 40, ed è anche vero che la base di applicazione dell’imposta sull’entrata è discretamente più ampia di quella che era l’imposta sugli scambi, perché comprende anche i servizi; ma, pur tenendo conto di questa maggiore ampiezza, io credo che, riducendo i termini ad omogeneità, il gettito sia superiore a 30 volte almeno quello dell’anteguerra.
Non abbiamo ancora raggiunto il parametro di aumento dei prezzi, ma certamente ci troviamo davanti a un tributo che promette
Per quanto riguarda il settore delle dogane e delle imposte di fabbricazione, certamente si supereranno i 100 miliardi. Credo sia venuto il momento di rivedere questo settore, in cui esistono dazi specifici allineati secondo la legge monetaria del 1927, in cui abbiamo diritti di licenza di importazione ad valorem ragguagliati al corso del dollaro in lire italiane 225, mentre già, per altri scopi, è da tempo ufficialmente accolto un concetto di cambio medio notevolmente superiore.
La revisione di questo settore, che potrebbe portare a risultati veramente massicci, in linea pratica può creare delicati problemi di politica economica, relativi all’opportunità o meno di gravare il mercato di un nuovo onere tributario di grande ampiezza; per quanto, sotto altro profilo, ciò potrebbe portare ad una riduzione della generale capacità di acquisto che, senza sacrificare le classi meno abbienti, dovrebbe accelerare quel processo di assestamento dei prezzi, da tutti auspicato. Delicato problema di politica economica, in cui si innesta pure l’interrogativo circa la possibile coesistenza di un sistema di dazi specifici con un generale tributo ad valorem, quale è il diritto di licenza.
Settanta miliardi sono previsti per i monopoli. Forse, la ragione principale per cui mi sono attardato in alcuni dettagli dei tributi ordinari, è di trovare l’occasione di rispondere all’amico Bertone, il quale nel suo discorso sulle comunicazioni del Governo non è stato molto benevolo nei confronti dell’amministrazione dei monopoli.
Senza porre in dubbio la bontà delle intenzioni dell’amico onorevole Bertone, è necessario illuminare, una buona volta, l’opinione pubblica sulla gestione dei monopoli. Essa non deve essere giudicata alla stregua di quelli che sono alcuni aspetti marginali della borsa nera. A questo riguardo, ripetendo una frase che già ho avuto occasione di dire una decina di giorni fa, io penso che se in tutti i settori, ciascuno, davanti al peccato di borsa nera, dovesse battersi il petto, dalle Alpi alla Sicilia noi sentiremmo un fragore di terremoto. Ed allora, io credo che dobbiamo ridurre il problema nei suoi veri termini.
I monopoli vendono oggi 2 milioni e 800 mila chili al mese di produzione nostra, a prezzi legali. Il consumo ante-guerra, media 1938-39, era di 2 milioni e 333 mila chilogrammi; sicché oggi produciamo nelle nostre manifatture e vendiamo almeno un 20 per cento in più dell’ante-guerra, mentre abbiamo avuto distrutto il 40 per cento degli opifici, il 60 per cento dei depositi e dei magazzini di distribuzione, abbiamo perso quattro opifici e tre depositi che, in conseguenza dell’esito della guerra, sono passati, completi di attrezzatura, in possesso di uno Stato Confinante. Inoltre, abbiamo avuto la distruzione totale di tre anni di scorte di tabacchi, cioè 110 milioni di chili.
Onorevoli amici, quando vi dolete che si fumi male, assai più che della qualità del tabacco, avete ragione di lamentarvi del fatto che anziché lavorare la materia prima al terzo anno, così come vorrebbero le buone regole, si è obbligati a lavorare materia prima – come si dice – al diciottesimo mese; ma forse, in realtà, anche prima del diciottesimo mese.
I danni complessivi sono stati di 120 miliardi. I prezzi di vendita sono oggi appena ventiquattro volte quelli dell’anteguerra. Il costo dei tabacchi (o amici che vi siete fatti portatori degli interessi dei concessionari e dei coltivatori di tabacco!) il costo dei tabacchi oggi è cinquanta volte l’anteguerra. Il costo della mano d’opera, invece, non soltanto in termini di livelli salariali, ma tenuto conto anche del coefficiente di rendimento è trentacinque volte l’anteguerra; ed io colgo l’occasione da questa circostanza per dare atto all’Assemblea che – prescindendo da episodi sporadici e da alcuni aspetti marginali del problema – le maestranze delle manifatture dei tabacchi corrispondono egregiamente a quanto si attende da loro.
È un settore in cui è largamente in uso il sistema dei cottimi, mantenuto durante tutto il periodo bellico e nel periodo del dopoguerra. E sarebbe estremamente ingiusto che l’opera di questi trentamila lavoratori non fosse sufficientemente apprezzata dagli onorevoli amici che mi ascoltano, e dalla stessa Nazione.
Le spese generali sono aumentate dodici volte e mezzo rispetto all’anteguerra, nonostante che gli stipendi, compresi nelle spese generali, siano aumentati di sedici volte.
DUGONI. Sedici volte gli stipendi e cinquanta volte il tabacco?
PELLA, Ministro delle finanze. Precisamente.
Queste sono le cifre. Non intendo, con questo, accusare di eccessive pretese i coltivatori e i concessionari: il Monopolio, nel fissare i prezzi, procede prima ad una accurata analisi dei costi, che, periodicamente, ogni anno e per alcune settimane, mantiene in notevole orgasmo i rappresentanti dei coltivatori. La conclusione alla quale desideravo giungere è questa; che, davanti ad un coefficiente 24 nei ricavi, ad un coefficiente 35 nel costo della mano d’opera, ad un coefficiente 50 nel costo della materia prima e di 12 e mezzo nei costi generali, non possa disconoscersi:
1°) la economicità, quanto meno relativa, di tutti i servizi;
2°) la ineluttabilità che la quota così detta industriale, destinata a coprire il costo, si spostasse verso il 35 per cento – lasciando soltanto il 65 per cento al gettito tributario vero e proprio – in attesa di riportarsi verso quel 25 o 22 per cento, che costituiva il limite normale.
Nella presente situazione il Monopolio, comunque, si impegna di far affluire al bilancio dello Stato, per il prossimo esercizio, da 75 a 80 miliardi netti.
Prima di entrare esplicitamente nell’argomento dell’imposta straordinaria sul patrimonio (e mi perdoni l’Assemblea l’introduzione forse più lunga di quella che avrei creduto) ricordo ancora che l’onorevole Valiani ha accennato a delusioni sul settore delle avocazioni.
È esatto che l’applicazione delle leggi sull’avocazione dei profitti di guerra, dei profitti di regime e dei profitti di speculazione non ha dato finora quanto si poteva desiderare.
È intendimento dell’Amministrazione che, per quanto riguarda i profitti di guerra, si arrivi al più presto a definire i vecchi sospesi, che purtroppo qualche volta risalgono a prima del 1943. Ed è triste che si debbano incassare in lire di potere d’acquisto 1947 dei tributi che incidono su redditi ragguagliati a lire del 1942-43-44.
Per quanto riguarda la avocazione dei profitti di regime – servizio gestito finora da persone la cui fede, oltre che competenza tecnica, è fuori discussione – posso assicurare che, se il lavoro di impostazione ha richiesto un certo tempo per cui le riscossioni sono apparse finora molto modeste, l’accertamento e riscossione saranno portati avanti con la massima celerità. Non mi nascondo l’opportunità di qualche modifica legislativa, allo scopo di dirimere, sempre sul piano della giustizia, difficoltà dì ordine tecnico constatate cammin facendo.
Per quanto riguarda i profitti di speculazione, siccome l’onorevole Valiani ha avuto dei garbati riferimenti di ordine territoriale, che forse volevano riferirsi a determinati settori economici, desidero rivendicare a me stesso l’iniziativa di avere due mesi fa, in veste di Sottosegretario, adottato quel provvedimento sull’avocazione dei profitti di speculazione inteso a colpire con particolare rigore gli utili eccezionali conseguiti sull’esistenza di materie prime, già dell’Amministrazione dello Stato, e passate ai privati, per ragioni prudenziali, nell’ottobre del 1943; sull’esistenza di materie prime esistenti al momento della liberazione e, sopratutto, sugli utili conseguiti sopra determinati affari di importazione, effettuati col sistema dei clearings – cioè col dollaro base 225 – per materie prime realizzate a prezzi notevolmente superiori.
Se si è voluto dire che alcuni determinati settori – ad esempio quello tessile – possono aver realizzato degli utili di natura eccezionale, mi si permetta di rivendicare il merito di aver contribuito a creare lo strumento perché lo Stato possa assorbire tali utili. (Applausi al centro).
Sempre in tema di politica finanziaria generale, vorrei aggiungere che, nella penultima riunione del Consiglio dei Ministri, è stato approvato il decreto da me proposto contro i cosidetti scioperi fiscali, contro, cioè, le forme di resistenza organizzata al pagamento delle imposte.
Se vi è oggi un delitto particolarmente grave contro la Nazione e, quindi, contro il popolo, è quello di organizzare la resistenza contro il pagamento dei tributi, contro il compimento, cioè, di un dovere che è il presupposto della salvezza del Paese. (Applausi al centro).
Un altro provvedimento è stato approvato perché si renda più sicura l’esazione dei tributi, in particolare di quelli straordinari, giacché si va generalizzando il grave fenomeno della insolvenza del contribuente.
Inoltre, per quanto riguarda tutto il sistema dei profitti di speculazione, si è cercato di rendere più efficace, in sede contenziosa, l’intervento degli organi chiamati a dirimere le controversie.
Non voglio tediare l’Assemblea con troppi particolari in materia, anche perché si tratta di provvedimenti che dovranno passare all’esame della Commissione parlamentare di finanza.
Per quanto riguarda l’imposta straordinaria sul patrimonio, riconfermo che il Governo, non allo scopo di sgravarsi di una responsabilità che intende anzi rivendicare, ma per avere il conforto della diretta collaborazione dei rappresentanti della Nazione, ha desiderato investire l’Assemblea della totalità dei provvedimenti relativi, cosicché possa ottenersi la migliore legge possibile, coll’impegno del Governo di attuarla con la massima energia.
Ciò non mi dispensa, naturalmente, dall’esprimere il mio punto di vista su alcuni dei principali argomenti che sono stati toccati; primo, fra gli altri, quello che concerne la finalità dell’imposta.
Certamente questa imposta deve, come ogni tributo, avere uno scopo principale: quello cioè di fornire un nuovo gettito all’erario. Essa, però, intende attuare anche uno scopo di giustizia sociale chiamando a contribuire alla ricostruzione tutti i patrimoni, con criterio fortemente progressivo.
Altro concetto informatore della nuova imposta è la sua portata antinflazionistica. In ordine alle varie opinioni, secondo cui l’imposta dovrebbe essere pagata soltanto col reddito od essere addirittura concepita come una vera e propria leva sul capitale, con prelievo anche in natura, penso che il Governo non abbia avuto torto preoccupandosi soprattutto di attuare un’imposta monetabile, ossia un’imposta che potesse essere pagata in danaro liquido: pagata cioè o mediante i redditi o mediante altre disponibilità liquide esistenti nel patrimonio, oppure attraverso realizzi di attività, non augurabili per i piccoli proprietari, ma bensì nei confronti dei detentori di maggiori patrimoni, in modo da contribuire – come giustamente accennava il Relatore – a quel processo antinflazionistico che dovrebbe trovare una sua prima e significativa espressione in un assestamento al ribasso dei prezzi, quale può essere determinato da una cospicua offerta di beni sul mercato.
Mi sia qui concesso di smentire che possa essere nell’intento del Governo di attuare una politica di finanziamento dell’imposta attraverso le banche. Finanziare l’imposta attraverso il sistema bancario potrebbe significare, in apparenza, aumentare la circolazione per conto del commercio; ma ciò solo in apparenza. Nella sostanza, invece, tratterebbesi di aumento alla circolazione per conto dello Stato.
In ordine al contenuto del progetto sono stati proposti alcuni problemi molto importanti; ad esempio, quello degli enti collettivi. Il Relatore onorevole La Malfa ha richiamato con esattezza gli estremi del problema. In sede comparativa, fra la legge del 1919, il progetto dell’onorevole Scoccimarro e il decreto approvato all’unanimità dall’ultimo Governo del tripartito, le differenze su tale punto si riducono a ben poca cosà perché – tanto nella legge del 1919 quanto nel progetto dell’onorevole Scoccimarro, e nell’attuale progetto – le società azionarie erano e sono escluse dall’imposta, in quanto si riteneva allora e si è ritenuto oggi che la tassazione simultanea delle società e degli azionisti avrebbe portato ad una vera doppia imposizione.
Inoltre, secondo la legge del 1922 erano esenti le Opere pie, che tali restarono anche nel progetto dell’onorevole Scoccimarro. Nel 1922, per quanto non esistesse l’attuale articolo 29 del Concordato, si era adottata una formula per cui si concedeva l’esenzione agli enti di elevato interesse morale e culturale; con che veniva praticamente concessa l’esenzione anche agli enti religiosi. Ora, poiché il progetto dell’onorevole Scoccimarro contempla l’esonero delle Opere pie, pur nulla dicendo circa gli enti religiosi, è evidente che, per l’automatica applicazione dell’articolo 29 del Concordato, anche questo progetto importava esenzione degli enti stessi. Quindi, nessun contrasto su questo punto.
E – a proposito del citato articolo 29 – mi sia concesso di ripetere pubblicamente quanto ho avuto occasione di dichiarare in sede di Commissione parlamentare di finanza: essere, cioè, intenzione del Governo di rispettare pienamente il contenuto di detto articolo, senza nulla aggiungere o nulla togliere.
Una differenza fra il progetto che avete davanti ed il progetto Scoccimarro o la legge del 1920-22, riguarda invece un certo settore di fondazioni, a carattere eminentemente civile che, per le considerazioni enunciate nella relazione, il Governo del tempo non ritenne di colpire.
Il grosso problema è nato quando, indipendentemente da quello che era stato l’ordine di idee nel 1922, in seno alla Commissione si è affacciata la questione della doppia imposizione per le società azionarie. Il problema sorse in parte anche in ragione del pericolo che, attraverso un’estesa diffusione fra molti azionisti dei patrimoni sociali, vi potessero essere patrimoni sociali che, per essere in possesso di molti piccoli azionisti, avrebbero finito per essere esenti.
Se fosse questa la sola preoccupazione, evidentemente saremmo fuori strada; perché, se effettivamente esiste un risparmiatore che possiede ad esempio 100 mila lire in azioni e nient’altro, l’esenzione rientrerebbe in pieno nel complesso delle ragioni che giustificano il minimo imponibile.
Inoltre, le osservazioni dell’onorevole Scoccimarro in fatto di concentrazione dei titoli azionari rappresentano un contributo notevole contro il paventare di tale pericolo. Se tale concentrazione in poche mani corrisponde al vero, io, come grande esattore dello Stato ed esclusivamente come tale, non posso che prenderne atto con piacere, perché vi ravviso finalmente la possibilità di applicare l’aliquota del 61 per cento.
Orbene, quando si è proposto il tema della doppia imposizione, ho fatto una promessa: il problema della separata capacità contributiva della società, indipendentemente dalla capacità contributiva del singolo, sarebbe stato preso in considerazione in sede di riforma generale del sistema tributario italiano.
Per quanto riguarda l’imposta straordinaria sul patrimonio mi sembrava che, se è esatto che l’azionista di una grande società (non ne nomino nessuna) può non sentirsi socio di quella determinata società, per cui l’applicazione contemporanea di un tributo e sulla società e sul titolo della società, di cui egli non si sente socio, non avrebbe rappresentato, dal punto di vista del suo apprezzamento soggettivo, una doppia imposizione, tuttavia nel caso di società di proporzioni più ridotte bisognava riconoscere che la doppia imposizione, qualunque sia la spiegazione che se ne fosse voluta dare, sarebbe stata sentita ed avrebbe, pertanto, posto il problema di una adeguata compensazione.
Il Ministro dell’epoca, pel tramite mio, comunicò alla Commissione parlamentare di finanza che era allo studio e quasi pronto un progetto di tassazione dei saldi di rivalutazione patrimoniale, che meglio avrebbe risolto il problema di una separata tassazione suppletiva della società azionaria.
Tale progetto, assicuro l’onorevole Lombardo, oggi esiste, in due edizioni. Ho pregato il Presidente della Commissione parlamentare di finanza – e rinnovo ora la preghiera – di volere, assieme con qualche elemento tra i più rappresentativi della Commissione, prendere contatto con il Governo per esaminare, in sede preventiva, quale potrebbe essere la soluzione più opportuna. A me sembrava allora, e sembra adesso, che noi dovremmo proporci di distinguere, in quello che è il totale delle rivalutazioni di alcune poste più significative dell’attivo, la parte relativa al patrimonio proprio della società da quella relativa ad investimento in beni reali del ricavo di debiti della società. La conclusione alla quale in tal modo perverremmo è che la rivalutazione monetaria dei beni reali, ottenuti attraverso il capitale proprio, è ombra e non cosa certa, nel senso che non rappresenta reddito realmente conseguito; mentre, con la tassazione di quelle rivalutazioni relative a beni reali conseguiti attraverso l’investimento di denari presi a prestito e rimborsati con moneta svalutata, noi non colpiremo un’ombra, ma un incremento certo, che finora (in omaggio al principio che il tributo colpisce, sia in sede ordinaria che straordinaria) non ha pagato un soldo di imposta.
Nel desiderio di collaborare con la Commissione parlamentare, a titolo naturalmente personale e senza alcun particolare impegno, io non escludo la possibilità di procedere anche ad un riesame del problema della tassazione diretta ed integrale. So che le categorie interessate – tutto sommato – tra i due mali preferirebbero la tassazione diretta, integrale, perché ciò sembra loro un male minore.
Onorevole La Malfa, ella conosce il mio senso di deferenza e la mia cordialità verso di lei; voglia accogliere con animo amichevole quanto vorrei dirle in questo momento. Nel suo discorso sulle comunicazioni generali del Governo, con un tono smorzato che derivava dalla sua innata signorilità e che forse era anche in linea con l’ora crepuscolare in cui ella parlava, ella ha accennato, così, di passaggio, che il Ministro delle finanze non deve essere scelto dal contribuente, ma deve a questo essere imposto.
Mi permetta di sottolineare che in questo momento, in materia di enti collettivi, per la parte riguardante me, sono veramente il Ministro delle finanze che desidera imporre e non negoziare le soluzioni coi contribuenti.
Sono affiorate alcune questioni relative alle valutazioni.
Il concetto informatore delle disposizioni in materia è stato duplice; rendere semplice e sicuro il sistema delle valutazioni. Renderlo semplice, così da eliminare, per quanto è possibile, le discussioni individuali fra fisco e contribuente. Renderlo sicuro, attraverso ad una garanzia di bontà del sistema di valutazione. Ed è per questo che abbiamo demandato in blocco alla Commissione censuaria centrale il sistema di valutazione dei terreni e dei fabbricati. Io desidero in questo momento rendere omaggio alla superiore competenza e, beninteso, alla superiore serietà di detto organo, che dà il massimo affidamento di compiere con grande esattezza tale lavoro, alla stregua di dati già abbondantemente rilevati e che in parte devono essere ancora completati. Le tabelle, che deriveranno dal lavoro della Commissione censuaria centrale, la quale, a sua volta, tiene conto del lavoro periferico delle Commissioni censuarie provinciali e comunali, saranno comunicate agli uffici, perché le applichino nei confronti dei diversi contribuenti.
Era naturale che si dovesse dare, sia al contribuente che alla Amministrazione, la possibilità di ricorrere contro eventuali, errori in sede di applicazione delle tabelle.
Si è detto che, forse, con questo sistema si colpisce di più la ricchezza immobiliare e di meno le altre forme di ricchezza, quelle, ad esempio, che rientrano nel settore dell’economia industriale.
Sia chiaro che è intenzione del Governo, se l’Assemblea non deciderà diversamente, di affidare ad organo da costituire, avente le stesse garanzie di serietà della Commissione censuaria centrale, il compito di determinare i criteri e i coefficienti per la valutazione delle imprese industriali e commerciali dei diversi settori; e dico subito che dovrebbe considerarsi come ultimo dei criteri, come forse il deteriore dei criteri di valutazione, il tradizionale riferimento all’imposta di ricchezza mobile, che, per essere già un dato derivato, è quello che più facilita il ripetersi di errori. Dovrebbesi, infine, far riferimento all’unità tecnica per quanto riguarda le imprese industriali o ad altri elementi, per quanto riguarda le imprese commerciali e quei settori di imprese industriali, che non abbiano unità tecnica espressiva, ai fini della valutazione patrimoniale.
Unico, comunque, nell’intenzione del Governo, vuole essere il sistema di valutazione, in omaggio a quella uniformità di sacrifici, che non deve conoscere divisioni territoriali tra nord e sud, né contrapposizioni di settori economici. (Applausi al centro).
Lo so; vi è la preoccupazione della valutazione dei titoli non quotati in borsa. Su questo punto molte sono state le discussioni e molte le perplessità, anche in seno alle commissioni di studio che presso il Ministero hanno preparato il decreto.
Non per colpa di uomini, ma, forse, per ragioni obiettivamente connesse al sistema, la valutazione delle azioni, ai fini della imposta di negoziazione, finora non ha dato risultati molto cospicui, per le azioni non quotate in borsa: per quanto, ad onor del vero, debba comunicare all’Assemblea che la media delle valutazioni per l’anno 1942 sembra essere cinque volte quella dell’anteguerra.
Resta però sempre da esaminare se la base anteguerra sia o meno una base sodisfacente.
Il problema non interessa soltanto l’imposta straordinaria sul patrimonio, ma anche il tributo ordinario dell’imposta di negoziazione. Ed è per questo che nell’ultimo Consiglio dei Ministri è stato presentato, ed in linea di massima approvato, salvo qualche ritocco, un provvedimento che:
1°) modifica la struttura degli organi incaricati della valutazione, con inserzione di rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria nell’organo di primo grado e in quello di secondo grado chiamati a giudicare delle controversie;
2°) fa obbligo di tener conto nella valutazione di tutti gli elementi relativi al valore effettivo delle diverse poste attive di bilancio e di tutti gli elementi relativi alla redditibilità dell’impresa, nonché di presentare gli estratti catastali dei terreni e dei fabbricati e gli allegati di tutte le impostazioni di bilancio, ma, soprattutto, di riferirsi ad analoghe valutazioni fatte per imprese similari nel settore dei cosidetti contribuenti privati. Infatti non v’è ragione di arrivare a diversa valutazione di due aziende delle stesse dimensioni, per il fatto che l’una è sotto forma azionaria e l’altra non lo è.
Badino, gli onorevoli colleghi, che il problema è di importanza notevolissima per le imprese industriali e commerciali, ma di importanza non meno notevole per quelle piccole anonime immobiliari dietro cui è andata a nascondersi parecchia ricchezza edilizia e terriera.
Una voce. È lì che bisogna toccare.
PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda la valutazione ai fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio, poiché per ragioni di tecnica legislativa non è stato ritenuto opportuno inserire una regola specifica nella legge sull’imposta di negoziazione, data la natura permanente di questa legge, sarà il Governo a presentare un emendamento all’articolo 19 del disegno che è sottoposto al vostro esame, allo scopo di ottenere quella perequazione che è nell’intenzione di tutti.
Per associazione di idee, vorrei parlare anche dello schedario dei titoli azionari. Si ritiene che tale schedario non funzioni, che sia arretrato, che le comunicazioni siano state inesatte.
Devo fare una premessa: non è nelle intenzioni dell’attuale Ministro delle finanze d’impostare una particolare politica tributaria, preferenziale o punitiva, rispetto ai valori azionari. Non si può negare, però, il diritto al Ministro delle finanze di fare in modo che gli attuali congegni tributari, se per avventura non hanno funzionato nella pienezza con cui avrebbero dovuto funzionare, siano messi in condizione di farlo.
Applicazione pratica: lo schedario dei titoli azionari sarà aggiornato. Così mi è stato assicurato in occasione di un sopraluogo che ho fatto personalmente, scartabellando schede e dichiarazioni. Mi si è assicurato che sarà aggiornato per il mese di novembre. Se ci saranno dubbi od incertezze, essi saranno risolti in sede legislativa, imponendo determinati obblighi alle società, per facilitare il reperimento di tutti i possessori di titoli azionari.
Desidero ancora dichiarare che i portatori di titoli azionari non si debbono illudere di poter sfuggire al censimento dei loro titoli; ho dato disposizioni perché i trapassi di titoli che venivano comunicati ai soli uffici delle imposte nella cui circoscrizione si trova il compratore, siano comunicati anche agli uffici delle imposte nella cui circoscrizione si trova il venditore e ciò anche per il passato. Infatti, al fisco interessa conoscere non soltanto il possessore dei titoli ai fini della complementare o dell’imposta sul patrimonio, ma anche la persona che del titolo si sveste; perché, se a nome di quella persona, in periodo relativamente breve, si trovasse una successione di vendite ed acquisti, evidentemente potrebbe nascere il presupposto per configurare un intento speculativo ed applicare il tributo mobiliare sugli utili conseguiti.
Poiché analoga dichiarazione ho avuto occasione di fare recentemente in altra sede, e non fui chiaramente inteso, ripeto qui che con tali disposizioni non intendo far assumere al Ministero delle finanze alcuna posizione di particolare rigore nei confronti del settore azionario. Questo è problema di politica generale di Governo e come tale esso non può interessare singolarmente il Ministero delle finanze. Ma il Ministero delle finanze deve fare in modo che gli attuali strumenti tributari, anche se per avventura in parte arrugginiti, nei confronti di determinati settori dell’economia, tornino a spiegare tutti i loro effetti.
Per quanto riguarda il cambio della moneta, vorrei fosse qui presente l’onorevole Scoccimarro (al quale mi lega il simpatico ricordo di una collaborazione cordiale e feconda), per chiedergli conferma del mio personale stupore quando mi comunicò che il cambio della moneta dovevasi considerare tramontato.
Confermo ancora oggi che, politicamente, sarebbe stato opportuno. Ma, giunti nell’estate del 1947, la sua attuazione causerebbe i noti inconvenienti, più volte illustrati, sul piano tecnico, senza sufficienti contropartite, dati i due anni inutilmente trascorsi.
BERTONE. L’onorevole Einaudi era perfettamente d’accordo nel farlo in aprile.
PELLA, Ministro delle finanze. In questo momento debbo prendere atto di una situazione che è stata risolta in sede politica alla unanimità dei partiti del Governo di allora.
MACRELLI. Quando?
PELLA, Ministro delle finanze. Nel mese di gennaio o febbraio onorevole Macrelli. Anch’io ho fatto dei discorsi di propaganda sul prestito, puntando sul cambio della moneta!
MACRELLI. Purtroppo!
SCOCA. Onorevole Ministro, parce sepulto!
PELLA, Ministro delle finanze. Così stando le cose, occorre, naturalmente, tirarne tutte le conseguenze agli effetti della ricchezza mobiliare anonima.
Ritengo che, in linea di gettito totale, il sistema delle induzioni possa dare di più di quello che avrebbe dato un censimento nominativo per quel tale fenomeno della diffusione fittizia della ricchezza anonima, che si sarebbe verificato sui nulla tenenti o sui quasi nulla tenenti, nel caso di censimento nominativo. Ed al riguardo, penso che troppo si pensi agli indici anteriori al 28 marzo 1947 e poco si mediti a quelli, ben più importanti, successivi a tale data.
Prima del 28 marzo potranno costituire indice di possesso di ricchezza anonima le operazioni di disinvestimento; ma dal 28 marzo in avanti costituirà indice di possesso il complesso degli investimenti. Per questo non mi preoccupo, anzi prendo atto con piacere del fenomeno del passaggio, dall’ombra alla luce, di capitali che prima erano nascosti. Le procedure di accertamento individuale resteranno aperte per un discreto periodo di tempo (forse diciotto o ventiquattro mesi, almeno) ed in tale periodo quante notizie di acquisti di titoli azionari, di terreni, di fabbricati, quanti altri elementi potranno affluire nel «dossier» di ciascun contribuente! Si tratta di potenziare gli elementi di accertamento. Per questo sono perplesso, dinanzi alla proposta che viene fatta, di spostare la data di riferimento dell’imposta sul patrimonio. A prescindere dal fatto che sarebbe veramente dare un colpo (non voglio dire un altro colpo, né voglio fare l’ipotesi che sia il primo) al prestigio della parola dello Stato, costituirebbe, tutto sommato, un errore tecnico, perché finiremmo forse per abbreviare quel periodo di tempo nel corso del quale nasceranno gli indici di possesso della ricchezza mobiliare.
Onorevoli amici, non per ripetere un’abusata frase, ma effettivamente perché l’ora è tarda, debbo rinunciare a sviluppare qualche altro punto relativo all’imposta straordinaria progressiva, per aggiungere brevi parole sull’imposta proporzionale 4 per cento.
Lo so che tale imposta rappresenta un problema grave per molti contribuenti. Vorrei ricordare, però, che, in primo luogo, non si tratta di un tributo nuovo, ma dell’anticipata riscossione di un tributo esistente, che viene soppresso. Quindi, non impostiamo, amici dei diversi settori, un nuovo balzello. Nessun nuovo tributo, ma riscossione anticipata di un tributo esistente, riscossione approvata all’unanimità dai Ministri di tutti e tre i partiti che erano allora al Governo. Ed è per questo che non comprendo tutto un sistema di manifesti, di giornali e di articoli, che francamente mi rendono perplesso.
Non deve escludersi, in linea di ipotesi, la possibilità, di esaminare determinate facilitazioni. È, soprattutto, un problema di rateazione, e non ho difficoltà ad affermare, fin da questo momento, che, per le Opere Pie, per i proprietari di immobili con fitti bloccati entro determinati limiti di cifra, e per i piccoli proprietari di terreni, una più lunga ratizzazione della riscossione possa essere concessa dietro corrispettivo di un modico interesse.
VERONI. Raccomando lunghe ratizzazioni per i sinistrati di guerra.
PELLA, Ministra delle finanze. Accetto la raccomandazione dell’onorevole Veroni.
Vorrei però dire che fortunatamente la riscossione della rata di giugno ha avuto un andamento che qualificare sodisfacente sarebbe dire poco.
I riscatti già versati sono notevoli. Le domande di riscatto presentate, e per cui si effettuerà il versamento nel giro di un mese, sono molte. Il problema di prorogare i termini per la presentazione delle domande di riscatto può essere anche preso in considerazione, ma per una breve proroga, perché il vantaggio del riscatto è tale che deve presupporre il pagamento all’inizio delle dieci bimestralità.
Una voce al centro. Ma molti non lo sanno.
PELLA, Ministro delle finanze. Esatto anche questo. Sarà data la massima diffusione.
Vorrei ancora su questo punto dirvi, onorevoli colleghi, poiché si parla di un problema di nord e di sud, che ho preso atto con molta sodisfazione che il compartimento più gravato dall’imposta 4 per cento è stato proprio il Piemonte, con 11 miliardi e 651 milioni su 86 miliardi di iscrizioni provvisorie: è una cifra considerevole, superiore (ciò che non avrei mai ritenuto) alla stessa Lombardia, che accusa 9 miliardi e mezzo: superiore alla stessa Emilia, iscritta per 9 miliardi e 286 milioni.
Ammetto, anzi sono il primo a postularlo, il concetto della relatività di queste cifre; però, sia pure su un piano di relatività, esse danno il senso del problema.
Onorevoli colleghi, mi riservo di parlare ancora durante la discussione dei diversi articoli; perdonatemi se mi sono diffuso, forse, troppo a lungo nella chiusura di questa discussione generale. La finanza straordinaria ha un suo preciso compito, anche se dovessimo limitarlo ad un punto di vista strettamente fiscale, senza preoccuparci di quella che può essere la portata antinflazionistica di questo tributo: assicurare un cospicuo gettito. Perciò applicheremo la nuova imposta, inflessibilmente, in un quadro, però, di serena giustizia. Per questo conchiudo ripetendo quanto dettovi giorni addietro: onorevoli colleghi, dateci la migliore delle leggi e noi cercheremo di apportarvi la migliore delle esecuzioni. (Vivissimi applausi – Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato ad altra seduta.
Interrogazioni con richiesta di risposta urgente.
PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere l’esito dell’inchiesta ed i provvedimenti relativi – se emessi – a seguito dell’azione svolta il 28 maggio scorso dai carabinieri di Quarto di Marano (Napoli) e per la quale numerose case di inscritti al Partito socialista italiano furono perquisite senza ordine o mandato delle autorità competenti con lo specioso pretesto che vi erano depositate armi, determinando così un legittimo risentimento nelle popolazioni.
«Sansone».
«Ai Ministri della marina mercantile e dell’interno, per conoscere quali motivi hanno indotto a consentire la cessione di cinque metri della banchina di Pozzuoli (larga in quel punto solo 10 metri) al parroco della chiesa di Santa Maria delle Grazie per l’ampliamento della detta chiesa, quando non è stato ancora possibile l’ampliamento delle banchine di quel porto, così importante per il traffico del medio e piccolo tonnellaggio.
«Per conoscere, altresì, per quali ragioni il prefetto di Napoli – a seguito dell’ordinanza del comune di Pozzuoli, che ingiungeva al parroco di sospendere i lavori – invitava il sindaco a revocare l’ordinanza stessa, ed al rifiuto di quest’ultimo impediva che gli fosse data esecuzione coattiva, consentendo così la continuazione della costruzione, mentre nella popolazione di Pozzuoli cresce la disoccupazione per la poca attività del porto, dovuta alla sua scarsa ricettività.
«Sansone».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Interesserò i Ministri interrogati affinché facciano conoscere al più prestò quando intendano rispondere.
DUGONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Chiedo al Governo di voler fissare la risposta ad una mia interrogazione, da tempo presentata, relativa all’impiego del Fondo lire U.N.R.R.A.
Si tratta di problemi gravissimi, che sono stati tante volte sfiorati, ma ai quali il Governò non si è mai deciso a dare una risposta.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi riservo di far presente la cosa ai Ministri competenti.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto, chiede d’interrogare il Governo, per conoscere quali provvedimenti intende prendere per la ricostruzione e la riattrezzatura del porto di Napoli.
«Riccio Stefano».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quali provvedimenti intendono adottare a tutela del patrimonio morale e comunale di Cervinara, in provincia di Avellino, dolosamente manomesso, ed a tutela dell’ordine pubblico, gravemente minacciato, per il che essi sin d’ora declinano ogni responsabilità.
«E ciò in considerazione:
che il comune di Cervinara, paese di oltre 10 mila abitanti della Valle Caudina, capoluogo di mandamento, ha un patrimonio boschivo di circa 300 ettari di terreno ceduo castagnale, da cui ricavava i maggiori fondi per la integrazione del suo bilancio;
che, frattanto, la nuova Amministrazione comunale, allo scopo di propiziarsi la clientela elettorale, nonché per altri inconfessabili fini, ha consentito la usurpazione delle sezioni boschive da parte di affiliati al suo partito, compresi stretti parenti del sindaco, i quali tutti, già ricchi proprietari e commercianti, hanno proceduto al taglio e trafugamento degli alberi ed hanno occupato il terreno, con un danno accertato di oltre trecento milioni;
che, per ciò solo, è venuto meno al comune il più cospicuo cespite di entrata, necessaria per fronteggiare i pubblici servizi e il pagamento degli stipendi agli impiegati;
che, d’altronde, non sono floride le condizioni economiche del comune, abbisognevole di inderogabili e urgenti opere pubbliche, malgrado l’esoso e partigiano inasprimento dei tributi;
che l’abusivo procedere del sindaco e della civica Amministrazione di Cervinara fu debitamente e varie volte denunziato al prefetto di Avellino, al comando gruppo foreste di Avellino, nonché ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste con atti persino notificati, a garanzia dell’effettivo recapito, a mezzo di ufficiale giudiziario, ma nessun provvedimento è intervenuto;
che il sindaco, già antemarcia, marcia su Roma, squadrista, componente della squadra d’azione «Gabriele D’Annunzio», sciarpa littorio, segretario e commissario di fasci, complicato in delitto fascista nel 1924, al tempo dell’eccidio di Matteotti, e assolto per la amnistia fascista; di cui al regio decreto 31 luglio 1925, n. 1277, intimo del famigerato Augusto Turati, suo ospite a Cervinara, rimasto inalterato fascista dal 1922 al 1943, sospeso per tre anni dall’elettorato attivo e passivo dalla Commissione provinciale di Avellino, poscia assolto da quella centrale di Roma per interferenze politiche, si abbandona ad illegalità ed arbitri, favorendo accoliti e parenti, pervaso dei vecchi metodi di corruttela politica;
che, giusta deliberazioni adottate dalla Giunta comunale, il pubblico denaro viene sperperato in spese non giustificate da documenti di appoggio o quanto meno le somme pagate sono sproporzionate alle asserite prestazioni;
che sono stati concessi in fitto dei vani di casa del comune alla sezione di un partito per puro favoritismo con un canone di lire 1000 al mese, sebbene vi fossero altre richieste, compresa quella dei reduci, e si fosse chiesto al sindaco e al prefetto di Avellino di indire una pubblica gara, con la prospettiva certa e sicura di raggiungere il canone mensile di circa lire 5000;
che il Consiglio comunale, onde sfuggire all’esame di gravi problemi, compreso quello delle usurpazioni innanzi accennato, ha omesso di riunirsi in sessione ordinaria e per cui è stata chiesta la decadenza di tutti i consiglieri, a norma degli articoli 124 e 289 del testo unico della legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915, n. 148;
che sono stati assunti a pubblici impieghi affiliati del sindaco, sforniti dei requisiti voluti dalla legge, in spregio anche e soprattutto alle tassative norme tutelatrici della benemerita classe dei reduci e combattenti, non esclusi gli invalidi e mutilati di guerra, i quali tutti a Cervinara sono in pieno fermento e agitazione e reclamano giustizia;
che il sindaco è sottoposto a due procedimenti penali, il primo pel delitto di estorsione, il secondo per il reato di indebito rifiuto di atti del proprio ufficio, e non c’è speranza di ravvedimento, dati i di lui precedenti morali e penali.
«Gli interroganti chiedono di conoscere, altresì, se accertati i fatti di cui innanzi, gli onorevoli Ministri non credano, in omaggio ai principî di libertà e di democrazia, che non possa rimanere al suo posto l’attuale sindaco e l’amministratore comunale di Cervinara, nonché gli agenti comunali e quelli forestali di Cervinara. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Vinciguerra, Preziosi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere – considerato che il decreto 29 marzo 1947, n. 177, priva il contadino del legittimo beneficio di consumare il proprio vino in esenzione da imposte di consumo – se non credano conveniente intervenire onde sgravare da ogni tassa tutto il vino consumato dalla famiglia agricola. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Carbonari».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, per sapere – considerato l’aggravamento delle frane e degli smottamenti superficiali dei terreni lungo la Valle dell’Adige, da Trento ad Avio; considerato che esisteva nella Venezia Tridentina un Ufficio tecnico-forestale per la sistemazione dei corsi superiori dei torrenti e dei rispettivi bacini montani, dotato di adeguati fondi, la cui opera fu di immenso beneficio per l’agricoltura trentina – se non credano conveniente ripristinare il suddetto Ufficio tecnico-forestale, onde riprendere vigorosamente l’opera provvidenziale dell’ufficio soppresso dal regime fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Carbonari».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere – considerato che le acque pubbliche costituiscono una delle principali ricchezze naturali della Venezia Tridentina, che, senza ostacolare l’interesse nazionale, le acque stesse devono essere utilizzate con particolar riguardo agli interessi regionali; che il Trentino e l’Alto Adige devono destinare buona parte delle proprie risorse idriche a scopi d’irrigazione, che non devono essere sacrificati agli interessi industriali – se non creda conveniente e doveroso sospendere le concessioni di utilizzazione di acque pubbliche fino al momento in cui saranno determinati i diritti della Regione Trentino-Alto Adige. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Carbonari, De Unterrichter Maria, Paris».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei trasporti e del tesoro, per sapere quali provvedimenti intendano prendere nei confronti dei dipendenti delle aziende delle ferrovie secondarie sinistrate. Questi dipendenti dal 1944 sono rimasti a disposizione delle proprie aziende, senza che queste abbiano loro corrisposto stipendio e salario. Il licenziamento non avvenne in forza del decreto-legge 8 gennaio 1931, n. 148, secondo il quale ogni provvedimento di licenziamento o sospensione per qualsiasi causa debba essere preso dal Ministero dei trasporti.
«Tale provvedimento, infatti, venne emanato con decreto n. 338 del 12 aprile 1946; rimane quindi da chiarire a chi spetti liquidare il periodo non pagato ai dipendenti di queste aziende, periodo che varia secondo località, in rapporto agli eventi bellici, ma che in ogni caso si aggira sui due anni.
«In modo specifico l’interrogante chiede poi se gli onorevoli Ministri autorizzano la Società ferroviaria italiana ad applicare, dalla stessa data di riassunzione del personale, il contratto nazionale del 27 aprile 1946, in modo che la retribuzione individuale di tutto il personale venga commisurata in relazione alla qualifica rivestita da ciascuno prima della distruzione della linea e precisamente secondo l’articolo 8 dello stesso contratto nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Gervasi».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 12.45.
Ordine del giorno per la seduta di lunedì 7 luglio 1947.
Alle ore 17:
Interrogazioni.