ASSEMBLEA COSTITUENTE
CLXVI.
SEDUTA DI LUNEDÌ 30 GIUGNO 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI
INDICE
Congedi:
Presidente
Interrogazioni (Svolgimento):
Presidente
Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno
Rodinò Ugo
Amendola
Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale
Benedettini
Romita
Russo Perez
Gullo Fausto
Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro
Piemonte
Schiratti
Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri
Magnani
Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri
Badini Confaloneri
Costantini
Caprani
Veroni
De Maria
Interrogazioni con richiesta d’urgenza:
Presidente
Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri
Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno
Sui lavori dell’Assemblea:
Presidente
Uberti
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 17.
SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Chiaramello, Froggio, Fuschini, Gortani, La Pira, Moro, Moscatelli, Reale Vito, Cairo e Jacini.
(Sono concessi).
Svolgimento di interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.
Le prime due riguardano lo stesso argomento e possono pertanto essere abbinate:
La prima interrogazione è dell’onorevole Rodinò Ugo, la seconda dell’onorevole Amendola:
«Al Ministro dell’interno, per chiedere d’urgenza quali provvedimenti siano stati adottati e in rapporto alle autorità preposte all’ordine pubblico e per l’identificazione e deferimento all’autorità giudiziaria dei colpevoli delle provocazioni ed aggressioni effettuate in Napoli in danno di democratici cristiani, e tra essi dell’onorevole Riccio Stefano, nel cortile della sede centrale del loro Partito, da elementi che partecipavano al corteo comunista svoltosi la mattina del giorno 22 giugno dopo il discorso dell’onorevole Togliatti al teatro San Carlo, elementi che, oltre al distintivo di quel Partito, recavano al braccio ed al petto un contrassegno con la dicitura «Squadra d’ordine» ed erano armati di nervi di bue; precisando se l’esistenza di dette squadre di parte possa essere consentita o comunque tollerata».
«Al Ministro dell’interno, per avere dettagliate informazioni sugli incidenti che hanno avuto luogo domenica 22 giugno a Napoli in via Roma».
L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il 22 di giugno, in occasione del discorso tenuto dall’onorevole Togliatti. al teatro San Carlo di Napoli, nonostante che da parte di dirigenti del Partito comunista locale si fossero dati ampi affidamenti in proposito, fu da gran parte degli intervenuti organizzato un corteo, che procedendo a bandiere spiegate, giunto all’altezza della sezione della Democrazia cristiana, invadeva il cortile e scontratosi con un gruppo di democratici cristiani, che uscivano da una conferenza tenuta poco prima dall’onorevole Riccio, e con l’onorevole Riccio stesso, venivano a colluttazione.
In questa occasione fu particolarmente notato che i dimostranti erano accompagnati da un notevole numero di persone munite di un bracciale sul quale stava la scritta di «agenti di ordine», nonché di altri distintivi che tendevano a stabilire la loro stessa appartenenza a queste squadre. La pubblica sicurezza aveva disposto presso la sede della Democrazia cristiania un leggero servizio di protezione, non già in funzione di una eventuale invasione, che non era prevista, bensì in relazione soltanto alla conferenza che l’onorevole Riccio vi aveva tenuto, di modo che quando questi dimostranti si presentarono e, armati com’erano di bastoni, tentarono di salire le scale e di invadere i locali della sezione, questi agenti dell’ordine non riuscirono a farvi fronte. Vi fecero fronte i democristiani che, come ho detto prima, scendendo per abbandonare la sede alla fine della conferenza Riccio, si scontrarono con essi, presente lo stesso onorevole Riccio, che proprio in quel momento stava per abbandonare il locale. Dato l’allarme, poco dopo interveniva un reparto della Celere, che riusciva rapidamente a disperdere i dimostranti.
Risulta al Governo che da parte del Partito comunista locale si è sconfessata questa dimostrazione con un comunicato speciale; la si è anzi deplorata e la si è attribuita ad elementi irresponsabili. Da parte della Questura è stata fatta ed è tuttora in corso una inchiesta, la quale ha per scopo di denunciare all’Autorità giudiziaria quanti dei dimostranti sarà possibile riconoscere.
Risulta al Governo che indagini a questo scopo sono state condotte e sono tuttora condotte con molta attività ed è augurabile che gli elementi, che possono essere sentiti come testimoni, si presentino a deporre, cosa che finora hanno fatto soltanto in numero molto esiguo. Naturalmente, se quelle squadre di ordine, di cui è stata notata la presenza in questa occasione, dovessero presentarsi, come viene denunciato da taluni, non già come squadre di ordine, ma come squadre intese effettivamente ad esercitare una violenza organizzata, non potrebbero essere comunque tollerate ed ammesse ed il Governo dovrebbe prendere adeguati provvedimenti in proposito.
PRESIDENTE. L’onorevole Rodinò Ugo ha facoltà di dichiarare se è sodisfatto.
RODINÒ UGO. Prendo atto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario e lo ringrazio per i chiarimenti che ci ha fornito e per le assicurazioni che ci ha dato. Confido però che l’inchiesta prosegua e che vengano accertate le responsabilità anche in rapporto dalla deficiente azione preventiva e repressiva delle autorità locali.
È ben vero che i dirigenti del Partito comunista non avevano in alcun modo dato avviso del corteo che pur avevano, ai loro fini, accuratamente preordinato, ma le autorità avrebbero dovuto aver conoscenza dei preparativi, avrebbero dovuto tener conto della possibilità che il corteo avesse luogo e, comunque, mettersi in grado di contenere se non di impedire la manifestazione. Il corteo invece si è formato, si è snodato lungo via Roma senza che la forza pubblica lo fiancheggiasse, lo seguisse e, per quanto fin dall’inizio si fossero levate grida ostili contro la Democrazia cristiana e contro l’onorevole De Gasperi, nessun efficiente servizio d’ordine fu predisposto e non fu provveduto nemmeno a presidiare la nostra sede, che pure è a pochi metri dalla Questura centrale.
E la deficienza delle autorità locali appare anche più grave, se si tiene presente che nelle prime ore della stessa mattina, mentre da tutti i più lontani centri della provincia affluivano nella nostra città forze comuniste autocarrate ed uniformizzate da grandi fazzoletti rossi, si erano verificati incidenti di minore gravità tra alcuni nostri giovani ed altri elementi comunisti, che muniti di apposite canne, strappavano dai muri i manifesti del nostro partito. E di tali incidenti, e specificatamente di uno occorso proprio in via Roma, la Questura era stata immediatamente informata.
Ma, senza perderci a sofisticare sulle giustificazioni addotte dalle autorità locali, certa cosa è che è stato possibile in una grande città come Napoli, tentare di assaltare la sede di un grande Partito, asportare le insegne, aggredire, malmenare e ferire gli iscritti che si trovavano sul posto, tra i quali un componente di questa Assemblea, e che, ad otto giorni di distanza, la Questura non solo non ha potuto identificare i responsabili e deferirli alla Autorità giudiziaria, ma non ha compiuto nemmeno serie indagini, tralasciando persino di interrogare o chiedere chiarimenti a quanti, e tra essi lo stesso onorevole Riccio, la violenza avevano subito.
Noi non vogliamo, con interrogazioni a serie su questo e quello incidente, isolati o deliberatamente preordinati e coordinati che vogliano considerarsi, esasperare la situazione parlamentare che è venuta a crearsi e dare intralcio all’opera del Governo, ma non possiamo non rilevare che gli incidenti di Napoli rivestono una certa gravità e che l’impressione prodottasi nella parte sana e ben pensante della cittadinanza è assai penosa.
Lo stesso Partito comunista è stato costretto a deplorali pubblicamente, ma permettetemi, amici comunisti, che io ve lo dica: questa storiella di elementi irresponsabili infiltratisi nelle vostre file, questa volta non possiamo berla (Approvazioni al centro), non solo perché è rancida, ma perché anche dai documenti fotografici in nostro possesso risulta che l’irruzione nel cortile della nostra sede si è effettuata in massa, bandiere in testa, e noi non possiamo farvi il torto di supporre che affidiate le vostre bandiere ad alfieri scelti tra elementi estranei, male intenzionati od irresponsabili!
CARBONARI. Squadrismo!
VOLPE. Fascismo!
RODINÒ UGO. Ma io desidero soprattutto richiamare l’attenzione, non solo del Ministro dell’interno e del Governo, ma di tutti i componenti di questa Assemblea, sull’assoluta necessità di evitare qualsiasi forma diretta o indiretta, parziale o totale, di militarizzazione dei partiti e delle organizzazioni collaterali. Per il discorso dell’onorevole Togliatti a Napoli noi abbiamo visto scendere in campo vere e proprie formazioni qualificatesi «squadre d’ordine»: distintivo bracciale, fazzoletto rosso al collo, nervi di bue, sfollagente alla mano. (Commenti). Nessuno assume la paternità ufficiale di queste squadre, ma tutti gli ascoltatori dell’onorevole Togliatti, ancorché invitati con elegante cartoncino all’ingresso del teatro San Carlo, sono stati da esse accuratamente perquisiti, e lungo il percorso del corteo pacifici ed inermi cittadini sono stati insultati, malmenati ed invitati a gridare «evviva» o «abbasso» a seconda le indicazioni di questi novelli squadristi.
Voci al centro. Fascismo!
RODINÒ UGO. Tutta Napoli conosce l’esistenza di queste squadre, le vede entrare in azione, più o meno palesemente, in questa od in quella circostanza. Se ne conoscono i capi, i luoghi di riunione, si conoscono persino le officine, dove a spese dello Stato, si fabbricano questi sfollagente, che costituiscono l’arma, direi così, di ordinanza, ma certo non l’unica arma che queste squadre posseggono.
Organizzazioni del genere non possono, non debbono essere consentite o tollerate; occorre che il Governo intervenga, proceda con la massima energia e trovi largo appoggio per questa opera non solo nel Paese che, sulla via dell’ordine e della legalità già lo segue con appassionato, trepido entusiasmo, ma anche in quest’Assemblea.
Queste squadre ad altro non mirano che ad imporre ed imporsi con la violenza: e la violenza da qualsiasi parte organizzata o esercitata, contro chiunque diretta, deve essere repressa, energicamente repressa, perché costituisce non solo offesa gravissima ai diritti più sacri della personalità umana, ma un pericolo vero e reale per le istituzioni democratiche.
Dopo le recenti e tristi esperienze fassciste, la giovane Repubblica italiana verrebbe meno alle sue finalità essenziali, mancherebbe, direi, alla sua ragion d’essere, se non fosse in grado di difendere e consolidare le istituzioni democratiche del Paese, per il cui ripristino noi tutti abbiamo sofferto, combattuto e vinto. (Applausi al centro). Ho fiducia che il Governo saprà provvedere e provvederà. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. L’onorevole Amendola ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
AMENDOLA. Ho presentato la mia interrogazione al Ministro dell’interno, per due motivi. Innanzi tutto, volevo avere l’occasione di rinnovare, in questa sede, la deplorazione che già a Napoli, immediatamente, io personalmente, e la Federazione comunista, facemmo dell’incidente, di cui l’onorevole Riccio è stato vittima. Io so che di questa deplorazione la stampa democratico-cristiana ha voluto mettere in dubbio la sincerità ed i motivi, e la cosa mi ha offeso anche personalmente (Commenti al centro), perché mi sembra che questo atteggiamento, di mettere in dubbio cioè la sincerità delle affermazioni, viene a rompere una tradizione napoletana di cortesia doverosa anche tra avversari politici. Esso è inoltre l’indice di un malcostume politico: forse perché si usa di non fare affermazioni sincere, si finisce col mettere in dubbio la sincerità delle affermazioni altrui.
Una voce al centro. I colpevoli siamo noi!
AMENDOLA. Inoltre, volevo avere l’occasione di ristabilire la reale portata dell’incidente. L’interrogazione dell’onorevole Rodinò parla di «squadre d’ordine», di elementi che portavano il contrassegno «Squadre d’ordine», e precisa che questi contrassegni erano portati con bracciali e al petto e che un corteo sarebbe stato organizzato dalla Federazione comunista. Ora, chi è stato a Napoli sa che la manifestazione di domenica 22 giugno al teatro San Carlo, è stata una manifestazione alla quale sono stati invitati rappresentanti di tutti i partiti politici, per ascoltare la parola dell’onorevole Togliatti. Erano presenti, fra gli altri, anche molti elementi dirigenti liberali e qualunquisti. Purtroppo, il teatro San Carlo ha un numero limitato di posti, ed una gran folla di cittadini, desiderosa di ascoltare la parola dell’onorevole Togliatti, rimase fuori del teatro, sulla piazza San Ferdinando e nella Galleria. Ed è da parte di questi cittadini napoletani, i quali non avevano avuto la fortuna di entrare nel San Carlo, che ha avuto luogo una manifestazione spontanea. (Commenti al centro).
Una voce al centro. Coi nervi di bue!
AMENDOLA. Quando noi a Napoli abbiamo voluto organizzare una manifestazione, l’abbiamo organizzata e ce ne siamo assunti la responsabilità.
Una voce al centro. Anche per quella di Venezia!
AMENDOLA. Questi cittadini, dopo avere ascoltato la parola dell’onorevole Togliatti attraverso la radiotrasmissione in Galleria, tornando a casa per via Roma, hanno improvvisato un corteo. Arrivati avanti alla sede della Democrazia cristiana, essi si sono incontrati con l’onorevole Riccio che si trovava ad uscire dalla sua conferenza. Un illustre cittadino napoletano, il professore Jannelli, il quale si trovava presente, ha precisato sulla stampa la sua testimonianza. Egli ha visto l’onorevole Riccio tentare di uscire con la sua automobile e pretendere di rompere la manifestazione che passava per via Toledo. È evidente che in questa situazione un incidente non poteva non nascere, e, per quanto sempre deplorevole, esso è stato ridotto ai minimi termini, proprio per l’intervento di alcuni compagni che hanno cercato di evitare confusioni maggiori e di riportare la calma. E non ha avuto luogo nessun tentativo di invadere la sede della Democrazia cristiana. Si è parlato di bracciali con la dicitura «squadre d’ordine». In ogni manifestazione politica, ed anche nelle vostre, immagino, nella sala c’è sempre un certo numero di militanti i quali prestano il loro servizio per fare in modo che la manifestazione proceda nel miglior ordine. Anche domenica, al teatro San Carlo, un piccolo numero di militanti ha prestato volenterosamente la sua opera. Ma queste persone portavano un bracciale, sul quale non era scritto affatto «squadre d’ordine». Esse portavano un semplice bracciale tricolore, senza alcuna dicitura, come questo che ora mostro. Questo dettaglio dimostra che l’interrogazione si riferisce a dati di fatto inesistenti. E, come non c’erano i bracciali con la dicitura «squadre d’ordine», così non c’erano i nerbi di bue. Forse l’onorevole Riccio, sotto l’effetto del colpo ricevuto invece di vedere le tradizionali stelle, avrà creduto di vedere cose che non erano se non nella sua fantasia, o che la volontà partigiana di qualche presente ha deliberatamente inventate. (Commenti).
Bisogna anche dire che l’onorevole Riccio a Napoli è noto per la sua intemperanza ed il suo spirito fazioso. (Proteste al centro).
È noto, per esempio, che l’onorevole Riccio, in occasione di una benefica iniziativa napoletana, che ha permesso a ottomila bambini di recarsi da Napoli in altra regione ospitale per ricevere una amorosa assistenza, ha prestato man forte ad una propaganda calunniosa che ha sostenuto addirittura che questi bambini – che dovevano andare in Emilia – sarebbero stati messi in gabbia, ed altre simili fandonie.
In occasione delle elezioni di Bosco Tre Case l’onorevole Riccio la sera del 14 giugno ha annunciato che chissà quali violenze sarebbero state effettuate all’indomani da parte dei comunisti. Per fortuna gli elettori di Bosco Tre Case hanno pensato democraticamente a fare giustizia di simili calunniose affermazioni. Ed è probabilmente anche in seguito ad atteggiamenti così faziosi che la Democrazia cristiana ha visto a Napoli, nelle ultime elezioni, che si sono succedute dal 2 giugno ad oggi, diminuire i suoi voti del 40-50 per cento. (Commenti – Interruzioni al centro).
Una voce al centro. Perché non chiedete perdono?
AMENDOLA. Chiedetelo voi, perché noi non abbiamo fatto niente.
Non merita quindi di essere ingrandito questo incidente occorso all’onorevole Riccio ed esso non deve formare oggetto di una speculazione politica, come è accaduto invece quando si è fatto uscire il giornale Il Domani d’Italia con un titolo a quattro colonne sullo squadrismo rosso a Napoli.
Tutto questo fa parte evidentemente di un tentativo che si svolge su larga scala e con il quale si cerca di creare la leggenda di uno squadrismo rosso (Commenti – Interruzioni al centro) e di una minaccia da sinistra contro la libertà democratica, minaccia che si contrapporrebbe alla minaccia che viene da destra.
E una vecchia storia questa. Io ero ancora ragazzo allorché si faceva lo stesso, e me lo ricordo bene. Si parla di violenze da sinistra e da destra, di necessità dello Stato di applicare imparzialmente la legge contro gli uni e gli altri. Ma in realtà la minaccia viene sempre da una parte. (Interruzione dell’onorevole Mazza).
Onorevole Mazza, a Napoli la situazione è molto migliorata dal punto di vista dell’ordine pubblico e della pacificazione, tanto che negli ultimi mesi non si sono avuti a deplorare altri incidenti. Ed io non esito a riconoscere che a Napoli anche i dirigenti qualunquisti hanno, in questo periodo, contribuito, accanto a noi, ad ottenere una pacificazione degli animi, ed il mantenimento dell’ordine pubblico. Dicevo, dunque, che si cerca di creare questa leggenda di squadrismo rosso, che si contrapporrebbe allo squadrismo nero.
Io ricordo che nel 1922 si parlava di violenze da una parte e dall’altra, ma il Governo, mentre disarmava gli Arditi del popolo lasciava armare le squadre fasciste, mentre reprimeva lo sciopero legalitario lasciava strada libera alla marcia su Roma. Ogni volta che, in Italia ed in Europa, si è detto di lottare su due fronti e contro un preteso pericolo che venisse alle libertà democratiche da sinistra, si è in realtà sempre finito col favorire i movimenti fascisti. La stessa situazione si cerca di creare oggi in Italia. (Proteste a destra). In realtà, l’unico pericolo contro la libertà democratica che c’è oggi in Italia, viene dalla parte di coloro che sono responsabili degli eccidi di Sicilia e della distruzione delle sedi comuniste. (Applausi a sinistra – Commenti).
PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale, che deve rispondere ad un’interrogazione dell’onorevole Benedettini, ha degli impegni che lo costringono ad assentarsi, ha chiesto che ne sia consentito lo svolgimento anticipato.
Do quindi lettura dell’interrogazione dell’onorevole Benedettini:
«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere quali criteri si sono adottati e a quali interessi si è obbedito al suo Ministero, nel designare gli osservatori presso la Commissione di ricevimento e di avviamento degli operai italiani, istituita a Buenos Aires ai sensi dell’articolo 13 dell’accordo stipulato fra l’Italia e l’Argentina nel febbraio ultimo scorso; dato che i designati si dicono tutti elementi di sinistra, e nessuno di essi sembra offrire, per preparazione ed esperienza, quel minimo di attitudini che si richiedono per una funzione del genere. Per sapere altresì quanto vi sia di vero nella voce, secondo chi, da parte di alcuni nostri impresari assuntori di lavori in Argentina, si eserciterebbero indebite pressioni per ottenere la nomina di altri osservatori di loro fiducia, di guisa che i giudici del loro operato sarebbero per essere, secondo un triste costume in vigore, giudici di parte».
L’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale ha facoltà di rispondere.
FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L’onorevole interpellante, in sostanza, domanda:
primo, quali sono i criteri che sono stati seguiti dal Ministero del lavoro per la nomina degli osservatori previsti dall’articolo 13 degli accordi sull’emigrazione tra l’Italia e l’Argentina;
secondo, se nell’effettuare queste nomine si sia obbedito a particolari interessi e quali;
terzo, se i funzionari designati quali osservatori, appartengano, secondo quanto all’onorevole interrogante è stato detto, tutti a partiti di sinistra;
quarto, se è vero o meno che essi non abbiano preparazione in materia di emigrazione e di lavoro all’estero;
quinto, se si siano esercitati, o se si stiano esercitando, da parte di imprenditori italiani assuntori di lavori in Argentina, delle indebite pressioni sul Ministero del lavoro per ottenere che le ulteriori nomine siano di gradimento degli stessi imprenditori.
Questi sono i cinque quesiti che, se non ho mal compreso, l’onorevole Benedettini ha posto al Ministero del lavoro. Per quanto riguarda il primo punto, se cioè siano stati seguiti dei criteri razionali, da parte del Ministero del lavoro, io debbo riconoscere che sono stati seguiti questi criteri dall’onorevole Romita, il quale provvide alla nomina dei primi tre osservatori in Argentina. Uno di questi osservatori, infatti, fu designato dal Ministero del lavoro, in quanto si trattava di un funzionario della divisione speciale presso il Gabinetto che si occupa delle questioni internazionali e particolarmente dei problemi dell’emigrazione. Il secondo osservatore fu nominato su designazione del Ministero degli esteri ed è supponibile, da tutti i particolari di cui è venuto a conoscenza il Ministero che ha seguito la pratica – ed è quindi anche riconoscibile da parte mia – che il predetto possedesse le qualità adatte per la funzione cui era chiamato. Il terzo è stato nominato su designazione della Confederazione generale del lavoro, e da questa riconosciuto elemento idoneo, dal punto di vista delle particolari funzioni che gli osservatori avrebbero dovuto esplicare presso i nostri lavoratori in Argentina.
Credo che con quanto ho potuto sinora chiarire, io abbia anche risposto al secondo quesito posto dall’interrogante, se cioè, nell’effettuare queste nomine, si sia obbedito a particolari interessi: a nessun interesse si è obbedito, ma si sono voluti soltanto inviare nostri osservatori che fossero in grado di assistere, di dirigere, di orientare i nostri lavoratori e di riferire al Ministero intorno a tutti i problemi che avrebbero dovuto interessare il Ministero del lavoro e quello degli esteri.
Per quanto riguarda la qualifica politica di questi tre osservatori, mi risulta di certo che uno – il dottor D’Elia – appartiene al Partito socialista italiano; un secondo – il dottor Falchi – non risulta appartenente ad alcun partito; il terzo – il dottor Baldelli – rappresenta in seno alla Confederazione generale del lavoro la corrente sindacale cristiana.
Che esistessero delle pressioni in materia da parte di imprenditori, di assuntori, devo escluderlo – almeno per quanto mi riguarda – nella maniera più assoluta. Io non ho ricevuto nessuna pressione da quando sono al Ministero. Mi consta che non abbia ricevuto nessuna pressione di sorta da parte di imprenditori il mio predecessore onorevole Romita. Del resto, la scelta dei tre osservatori dimostrerebbe che egli, anche se ha ricevuto queste pressioni non vi ha acceduto.
Si può concludere questa risposta assicurando l’onorevole interrogante e tutti gli altri che possono avere interesse in materia che evidentemente queste nomine non sono fatte per l’eternità. Del resto, l’accordo stesso italo-argentino non prefigge una particolare durata di questa missione, dipendendo dal modo di esplicare la mansione la conferma o meno di questi osservatori in Argentina.
E a questo proposito il Ministero non ha preconcetti di sorta e obbedisce solo a questo criterio: far sì che gli osservatori siano in grado di tutelare il meglio possibile gli interessi dei nostri lavoratori costretti ad emigrare all’estero.
PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
BENEDETTINI. Secondo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Ministro del lavoro dovrei dichiarare di essere sodisfatto, perché le notizie da lui date sono evidentemente confortevoli.
Però mi limito a notare che effettivamente da parte di taluni esponenti si è dichiarato che le persone inviate – partite in buona parte, mentre qualcuno ancora deve partire – non siano proprio gli elementi più adatti per rappresentare questa categoria di lavoratori. È vero che l’articolo 13 degli accordi con Buenos Aires non stabilisce la categoria dalla quale dovrebbero essere prelevati questi osservatori, ma è opportuno che essi siano scelti fra persone di specifica competenza che possano garantire in modo assolutamente imparziale gli interessi dei nostri lavoratori in Argentina.
Sembrerebbe che, a quanto mi è stato riferito – prendo atto però di quanto ha detto l’onorevole Ministro – non fossero eccessivamente gradite persone che rappresentano partiti che hanno avuto modo di fare delle manifestazioni tutt’altro che favorevoli, specialmente in occasione della presenza a Roma della signora Peron, alla quale non è stata certo fatta una dimostrazione molto simpatica, che ha dato una nota poco opportuna…
Una voce a sinistra. Sono andati a cantare «Giovinezza».
BENEDETTINI. …poco opportuna e poco educata. Mentre tutta l’Italia dimostrava alla signora Peron la sua ammirazione, c’è stato qualche partito che ha creduto opportuno fare manifestazioni contrarie. (Interruzioni a sinistra).
Ora, scegliere in questi partiti i rappresentanti dei nostri lavoratori credo che non sia eccessivamente politico.
Una voce a sinistra. Ci andrà lei.
BENEDETTINI. Comunque, io mi devo attenere alle affermazioni dell’onorevole Ministro e quindi sperare che queste persone facciano il loro dovere.
Mi auguro, però, che se si dovessero eventualmente, come speriamo, mandare laggiù altri osservatori, essi siano scelti fra le persone competenti, fra i rappresentanti del Ministero del lavoro che possano effettivamente dare maggiore garanzia di effettivo lavoro, indipendentemente da pressioni di partito.
Mi dichiaro, pertanto, sodisfatto.
ROMITA. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROMITA. Vorrei assicurare l’onorevole Benedettini che i nomi non sono stati scelti da me, ma dagli organi che l’onorevole Ministro ha indicato; e dirò di più, che forse le persone scelte non avrebbero avuto il mio consenso perché, essendo elementi di primo piano, non volevo privare il mio Ministero di elementi così bravi. Avrei cercato persone estranee, perché non avrei voluto privare il Ministero del lavoro, che non ha grande abbondanza di bravi funzionari, di quelli che credevo i migliori. Ho nominato quelle persone perché mi furono indicate dagli organi competenti e dal Direttore generale del Ministero stesso.
PRESIDENTE. Riprendendo l’ordine delle interrogazioni, passiamo a quella dell’onorevole Russo Perez, al Ministro dell’interno:
«Per sapere quali misure ha preso o intenda prendere il Governo per l’aggressione comunista al Mattino di Sicilia di Palermo, alla sede dell’Uomo qualunque di Pistoia e di altre città».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il 23 giugno ebbe luogo a Palermo, in piazza Bologna, un comizio di protesta per i noti fatti verificatisi la sera precedente in Sicilia. Successivamente un centinaio di dimostranti, dichiaratamente appartenenti a partiti di sinistra, direttisi verso la sede del giornale Il Mattino di Sicilia in via Maqueda, entravano nell’androne che immette ai locali della redazione; per il pronto intervento di agenti di polizia, furono dispersi e allontanati.
Altri dimostranti, contemporaneamente, dirigendosi per vie diverse, fermavano, all’altezza di Via Napoli e dei Quattro Canti, alcuni strilloni dello stesso giornale, ai quali strappavano un migliaio di copie, che distruggevano immediatamente sul posto.
Risulta che molti dei dimostranti erano armati di bastone. Un solo strillone però rimaneva contuso. Sono state date severissime disposizioni per l’accertamento dei responsabili e per i conseguenti provvedimenti.
Anche a Pistoia, in occasione di manifestazioni per i fatti di Sicilia, un gruppo di scalmanati si presentava alla sede del Fronte democratico, ma venne disperso dalla forza di polizia.
Più tardi altri scalmanati si ripresentavano alla detta sede ed a quelle del Movimento sociale e dell’Uomo qualunque; e, poiché a quell’ora erano cessati i servizi di polizia predisposti in relazione alla manifestazione, riuscivano a penetrarvi mettendone a soqquadro le suppellettili, asportando giornali e persino bandiere nazionali che poi bruciavano sulla piazza. La polizia, obbedendo a precise disposizioni ricevute dal Governo, ha subito attivamente ricercato i colpevoli dell’invasione, e, secondo una comunicazione che ho ricevuto poco fa, essi sarebbero stati identificati e già denunciati all’autorità giudiziaria per il danneggiamento loro attribuito.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
RUSSO PEREZ. Che io sia parzialmente sodisfatto o parzialmente insoddisfatto non ha importanza. Io penso che i fatti che accadono oggi in Italia, gravissimi quelli di Sicilia, gravissimi quelli di Cremona, gravissimi quelli di Venezia, meritino un esame sereno, ma approfondito.
PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, non vorrei che ella decampasse fin dall’inizio dal tema della sua interrogazione; ella sa che la sua è un’interrogazione, non un’interpellanza.
L’interrogazione si riferisce ad un fatto specifico. Questo lo dico ora, perché mi sia risparmiato più tardi di doverla, cosa sempre spiacevole, richiamare all’argomento.
RUSSO PEREZ. L’onorevole Scoccimarro, su questo tema, ha parlato esattamente 40 minuti; nessuno lo ha interrotto; io parlo sullo stesso tema; chiedo la stessa tolleranza che c’è stata per l’onorevole Scoccimarro.
Se ella, onorevole Presidente, ritiene di interpretare più severamente il Regolamento, dichiaro di rinunziare alla parola.
PRESIDENTE. Mi sembra che ella abbia impostata la questione procedurale in modo non esatto. Quello dell’onorevole Scoccimarro non può essere un precedente che modifichi le norme del Regolamento.
Ritengo mio dovere di usare la massima tolleranza ugualmente per tutti i deputati, di tutti i settori, una tolleranza, però, che non porti a mettere nel nulla precise norme regolamentari.
Ella, onorevole Russo Perez, esordisce parlando di cose del tutto diverse da quelle che sono oggetto della sua interrogazione; questo mi permetto di farle presente.
RUSSO PEREZ. Rispondo cortesemente che mi è necessario parlare per più di dieci minuti; se Ella non lo permette, rinunzio a parlare e prego si inserisca a verbale la mia protesta.
PRESIDENTE. Non protesta; ma si inserisce a verbale che il Presidente, richiesto di dare preventiva autorizzazione a violare il Regolamento, non ha creduto di poterlo fare.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Gullo Fausto, al Ministro dell’interno, «per sapere se è a conoscenza di una circolare, che sarebbe stata diramata dalla Questura di Roma e, si pensa, anche dalle altre Questure, a mente della quale è fatto divieto alle organizzazioni dei partiti politici di usare in comizi e in altre manifestazioni impianti per la diffusione sonora delle manifestazioni stesse. Per sapere altresì, nel caso l’onorevole Ministro abbia approvato la circolare suddetta, se egli concorda sul parere espresso dalle autorità locali di pubblica sicurezza e cioè che essa trova la sua giustificazione nel decreto-legge 3 febbraio 1936, n. 418, contenente «norme per l’uso degli apparecchi di radiodiffusione all’aperto e nei pubblici esercizi», convertito in legge 4 giugno 1936, n. 1521, che vieta ai possessori degli apparecchi radioriceventi di farne uso in pubblico. E per sapere se l’onorevole Ministro non ritenga opportuno riesaminare attentamente il testo della legge in parola, la quale, avendo fini protettivi di monopolio delle trasmissioni radiofoniche ed essendo stata a suo tempo promossa dal Ministro per la stampa e propaganda, non può avere applicazione in campi diversi e tanto meno diventare un mezzo per limitare le libertà politiche dei cittadini».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Le disposizioni, alle quali si riferisce l’interrogazione, sono state impartite non oggi, ma con lettera del 7 ottobre 1946 della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Recentemente, in seguito a reclami pervenuti, ne è stata semplicemente richiamata l’osservanza.
Il lamentato divieto riguarda la propaganda politica fatta all’aperto a mezzo di altoparlanti installati nelle sedi di partito, nonché quella fatta per le strade, con altoparlanti installati su automobili; non riguarda l’uso di tali apparecchi nelle manifestazioni politiche, anche pubbliche e preventivamente autorizzate, a norma di legge.
Esso divieto ripete la propria giustificazione dal principio, rigorosamente democratico, che la libertà di parola e di propaganda finisce là dove sorge l’altrui diritto a non subire l’imposizione forzata della propaganda avversaria, imposizione alla quale sono particolarmente idonei i mezzi meccanici o elettrici e che trova argomento nelle disposizioni di cui all’articolo 113 del testo unico della legge di pubblica sicurezza, che sottopongono a licenza non soltanto le pubblicazioni di notizie a mezzo di sistemi grafici ed ottici, ma altresì a mezzo di sistemi acustici.
D’altra parte, la diffusione di notizie di carattere politico dalla sede di qualsivoglia partito a scopo propagandistico non può non destare nell’autorità di pubblica sicurezza una particolare preoccupazione ai fini della tutela dell’ordine pubblico, potendo esso facilmente determinare assembramenti e quindi contrasti.
Se fosse consentito di fare della propaganda pubblica con tali mezzi, senza autorizzazione della pubblica sicurezza, sarebbe inoltre facile frodare le leggi che prescrivono l’autorizzazione preventiva, e di volta in volta, per le pubbliche manifestazioni.
Non si tratta, quindi, di disposizioni contrastanti con il nuovo clima democratico, ma di norme oggettivamente necessarie per la pacifica e ordinata convivenza dei cittadini.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
GULLO FAUSTO. Devo dichiarare di non essere per nulla sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato, anche perché la sua risposta non ha niente a che vedere con i dati precisi della mia interrogazione, i quali si riferiscono appunto a dimostrazioni autorizzate per le quali è stato fatto divieto di usare l’amplificazione.
Io non so se l’onorevole Sottosegretario ha la lettera inviata dal Questore (parlo del Questore di Roma; nella mia interrogazione ho detto che non so se da altre Questure siano partiti ordini simili, ma dalla Questura di Roma sì).
La lettera dice: «Poiché è noto, in conformità delle disposizioni impartite dalla Presidenza del Consiglio, che l’uso degli altoparlanti è vietato per ogni attività inerente la politica, ecc.».
C’è anche questo da osservare: che è veramente contrastante con un clima che si possa dire veramente democratico, il fatto che al cittadino riesce non solo difficile, ma assolutamente impossibile, molte volte, conoscere le ragioni per cui la pubblica sicurezza impone un determinato divieto.
Guardi, che noi siamo potuti arrivare a conoscere i motivi di questo divieto impartito dal Questore di Roma, semplicemente dopo avere avanzato molteplici istanze.
Dalla Questura di Roma non si riusciva mai a sapere in base a quali disposizioni di legge, in base anche a quali circolari si potesse vietare l’uso degli altoparlanti.
Ma, ripeto, l’onorevole Sottosegretario non ha risposto alla mia interrogazione, perché, torno a dire, la circolare del questore di Roma, di cui alfine si è potuto avere notizia dopo parecchie richieste, e che è del 12 giugno 1947, si rifà, sì, alla lettera della Presidenza del Consiglio, ma parla di qualsiasi manifestazione politica e dice che per qualsiasi manifestazione politica, anche autorizzata, non può farsi uso dell’altoparlante e quindi della diffusione amplificatrice.
La cosa è più grave di quanto si possa pensare se noi limitiamo la nostra osservazione semplicemente al piccolo episodio; ma anche il piccolo episodio ha il suo valore sintomatico.
Noi torniamo verso un ordinamento che ha delle solenni affermazioni di libertà democratica le quali poi, attraverso questi espedienti polizieschi, non hanno possibilità di essere esercitate. E si ha quindi che in un clima che si dice democratico può accadere che in base alla lettera di un questore si riesce a vietare l’uso dell’altoparlante per determinate manifestazioni politiche. E c’è anche da considerare un altro e più condannevole aspetto e cioè che il divieto avviene solo per determinate manifestazioni politiche.
Avantieri, per esempio, ha parlato l’onorevole Piccioni, il quale si è servito dell’altoparlante…
PICCIONI. No, c’era l’altoparlante interno, ma fuori non c’era.
GULLO FAUSTO. …invece i giovani comunisti avevano una manifestazione al Quarticciolo e proprio in occasione di questa manifestazione, che del resto era autorizzata, è stato loro imposto il divieto dell’amplificazione.
Una voce al centro. Il divieto di usarla fuori della sala è diverso.
GULLO FAUSTO. Ma anche a lasciar da parte questo aspetto della questione, resta sempre il punto centrale, ossia che non è concepibile che si possa limitare la libertà del cittadino attraverso un divieto poliziesco che non si rifà a nessuna legge. C’è sì la circolare della Presidenza del Consiglio, circolare, del resto, che non ha avuto mai applicazione prima del 12 giugno 1947, ossia prima della formazione del nuovo Governo; ma anche la circolare della Presidenza del Consiglio da quale legge è giustificata? Qui c’è una sola norma (e badi il Sottosegretario, che anche per sapere che appunto a questa norma intendeva riferirsi con la sua circolare il Questore di Roma, si è dovuto cercare a destra e a sinistra), cioè il decreto 3 febbraio 1936 contenente disposizioni per l’uso degli apparecchi di radiodiffusione all’aperto e nei pubblici esercizi. E qui si torce in maniera veramente violenta dal punto di vista giuridico e dal punto di vista democratico il significato di questa legge. Questa legge fu proposta dall’allora Ministero per la stampa e la propaganda, ed aveva tutt’altro scopo, quello cioè di vietare che venissero diffuse con alto-parlanti le trasmissioni della radio centrale, ad un fine evidentemente ed esclusivamente fiscale. Ed è a questa norma che ci si richiama per emettere la circolare della Presidenza del Consiglio, la quale quindi è certamente illegale. Non perché l’ha emessa la Presidenza del Consiglio, essa può acquistare una giuridicità che manca, non trovando essa fondamento in nessuna norma di legge. Tanto più illegale è la circolare del Questore la quale, andando molto al di là della stessa circolare della Presidenza de Consiglio, dice che per qualsiasi manifestazione, anche autorizzata, deve essere vietato l’altoparlante. Io chiedo all’onorevole Sottosegretario che voglia esaminare la questione da questo aspetto e non dall’aspetto da cui l’ha esaminata dando a me la risposta, e se risulta al Ministero dell’interno che il Questore di Roma, anche per manifestazioni autorizzate, ha imposto il divieto dell’altoparlante. E poiché oggi l’onorevole Sottosegretario non ha affatto risposto a questa domanda, io non posso non dichiararmi assolutamente insoddisfatto.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Sansone, Cacciatore e Mancini:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere in base a quali disposizioni e da chi emanate i carabinieri di Quarto Marano (Napoli) nella mattina del giorno 28 maggio scorso hanno proceduto, senza esibire alcun mandato di autorità giudiziaria né ordini superiori, a una serie di perquisizioni domiciliari nella casa di numerose famiglie di iscritti al Partito socialista italiano, perquisizioni tutte compiute con esito negativo e dirette, a detta dei procedenti, al rinvenimento di armi.
E per conoscere se non ritenga che tale atto, non conforme alle norme procedurali e avente carattere di prevenzione di parte e che ingenera sfiducia e discredito verso gli organi incaricati dell’ordine pubblico, non meriti la sanzione disciplinare opportuna».
Poiché nessuno degli onorevoli interroganti è presente, si intende che essi hanno rinunziato all’interrogazione.
Seguono le interrogazioni degli onorevoli Piemonte, Pera, Di Gloria, Grilli, Paris, Bianchi Bianca, Bordon, Pertini, Zanardi, Bocconi, Bennani, Momigliano e Lussu:
«Al Ministro del tesoro, per sapere se sia conforme al vero l’informazione data dal Journal de Genève, n. 139 del 17 giugno, secondo la quale un vagone di carta filogranata, stampi di biglietti da mille lire, macchine per imprimerli, siano stati clandestinamente trasferiti in uno Stato estero e avrebbero servito a fabbricare moneta italiana, e per sapere, nel caso che la notizia abbia consistenza, quali provvedimenti intende prendere per discriminare la valuta italiana da quella fraudolenta».
e dell’onorevole Schiratti:
«Al Ministro del tesoro, per sapere quanto vi sia di vero nella allarmante notizia pubblicata dal Journal de Genève del 17 giugno e secondo la quale, nell’aprile del 1945, alla stazione di Aidussina, sarebbero caduti in mani jugoslave i clichés dei biglietti da mille, macchine per la loro stampa ed un’ingente quantità di carta filigranata, talché per lungo periodo vi sarebbe stata in territorio straniero stampa e messa in circolazione di cinquanta milioni mensili. Nell’ipotesi che tale notizia abbia fondamento, quali provvedimenti si intenda prendere».
Poiché le interrogazioni riguardano lo stesso argomento, l’onorevole Sottosegretario per il tesoro ha facoltà di rispondere a entrambe.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. La notizia pubblicata dal Journal de Genève, n. 139, del 17 giugno 1947, sulla cui veridicità sono state presentate le interrogazioni a cui si risponde, e secondo cui un vagone di carta filigranata per la stampa di biglietti da mille, un cliché e macchine per imprimerli sarebbero stati trasferiti in uno Stato estero, è una notizia che riproduce altra già data, nel novembre-dicembre 1946, da altri giornali stranieri ed italiani, e che trovò una netta smentita da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri con un comunicato in data 18 dicembre ultimo scorso e che forse giova qui ricordare.
Diceva quel comunicato: «Per quanto riguarda i biglietti attualmente in circolazione, si precisa che né dall’Istituto poligrafico dello Stato, né dall’Officina della Banca d’Italia, né da qualsiasi altro stabilimento sono mai stati asportati, e tanto meno trasferiti all’estero clichés di qualsiasi natura, in originale od in copia, o macchinari, e ciò né prima, né durante, né dopo l’occupazione tedesca.
Per quanto riguarda la carta per la stampa di alcuni tipi di biglietti attualmente in circolazione, evidentemente non utilizzabili senza i clichés che, come sopra è detto, non sono mai stati asportati, è esatto che, durante l’occupazione tedesca si verificarono dei furti, in seguito ad un bombardamento, ma si tratta di quantità limitatissime che, per la efficace azione svolta dalla polizia italiana, sono state quasi completamente recuperate presso i ricettatori. Si esclude, pertanto, che all’estero vi siano clichés e macchinari, o carta di provenienza italiana, utili per la stampa di biglietti attualmente in circolazione, e le notizie relative, destituite di fondamento, vanno senz’altro smentite a completa tranquillità del pubblico.
Il Governo deve confermare integralmente il suddetto comunicato, in quanto nessun elemento è da allora venuto in evidenza che possa modificare le affermazioni fatte. Tutto quello che è da aggiungere è che, nel frattempo, ad opera della polizia, si sono venuti recuperando anche altri quantitativi di carta filigranata, che nel suaccennato bombardamento di un vagone ferroviario avvenuto alla stazione di Pontelagoscuro, e nell’abbandono di un camion nei pressi di Brescia, avvenimenti verificatesi entrambi nell’aprile 1945, erano andati dispersi.
È da aggiungere pure che, nel bombardamento, una parte della carta andò bruciata, senza potersene accertare l’esatto quantitativo e nelle varie successive operazioni della polizia è risultato che, in qualche caso, i ricettatori, vistisi scoperti, hanno bruciato la carta in loro possesso, ed è risultato altresì che parte della carta è stata adoperata per scopi comuni, non criminosi.
In particolar modo, per quanto riguarda la carta utile per la fabbricazione dei biglietti da mille, su quintali 94 circa di carta dispersa, ne sono stati finora ricuperati quintali 81, ed è così da escludere che, se anche la carta mancante non fosse stata distrutta dal bombardamento, dai ricettatori, o in altro modo adoperata, essa non avrebbe potuto permettere che la stampa di un limitato quantitativo di biglietti; sicché devono essere definite fantasticherie le affermazioni secondo le quali, all’estero, si sarebbero metodicamente riprodotti con carta, clichés e macchinari italiani, quantitativi ingenti di nostri biglietti da mille.
La narrazione fatta dal giornale, al quale le interrogazioni si riferiscono, di vagoni vaganti pieni di carta filigranata per biglietti, di clichés e macchine per la stampa che sarebbero rimasti sulle ferrovie italiane per più di un anno, e che al momento della liberazione si sarebbero trovati alla stazione di Aidussina, è perciò del tutto fantastica e, ripetesi, riproduce negli stessi termini e in parte con le stesse parole, informazioni di stampa straniera del novembre 1946, già riprese dalla stampa italiana nel successivo dicembre e, come pure si è detto, messe a punto e smentite dalla Presidenza del Consiglio col comunicato del 18 dicembre ultimo scorso, riportato più sopra.
PRESIDENTE. L’onorevole Piemonte ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PIEMONTE. Mi dichiarerei totalmente sodisfatto, se non ci fossero alcune ombre che derivano, per esempio, se non ho capito male, dal discorso dell’ex Ministro del tesoro Bertone, il quale invocava il cambio della moneta anche per una ragione che è un po’ simile a quella dì cui si parla nell’interrogazione. D’altra parte, io abito una regione dalla quale si può dire che giornalmente una quantità enorme di merci, frumento, granoturco, bestiame, passa a prezzi proibitivi il confine ed è pagata a prezzi enormi. Per quanto vi sia la vigilanza anche da parte della Prefettura, non si è mai riusciti ad impedire questa emorragia delle cose più necessarie per il popolo italiano, che da più anni si verifica. Da dove vengono questi denari allora? Questa è la domanda.
TONELLO. Vendono il grano a 30.000 lire il quintale.
PRESIDENTE. L’onorevole Schiratti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SCHIRATTI. Sono proprio quelle ombre a cui ha accennato l’onorevole Piemonte, più ancora delle pubblicazioni sul Journal de Genève, che mi hanno indotto a fare questa interrogazione.
Da più anni, nelle nostre zone, assistiamo a dei fatti che non siamo riusciti ancora a spiegare. Tuttavia questi fatti una qualche spiegazione debbono averla. Si tratta di una quantità di grano per valore cospicuo, e soprattutto di bestiame; ma non basta: si tratta di macchine, di automobili, di autocarri, di camion, che vengono incettati in quelle zone evidentemente e notoriamente da emissari, da cittadini jugoslavi che trasportano fuori del territorio queste merci e che le pagano profumatamente, a prezzi cioè che determinano gravissimi squilibri monetari.
Ma c’è di più, ed è un fatto che al Governo non può essere ignoto: c’è una corsa all’accaparramento di immobili da parte di cittadini jugoslavi, a Trieste, per centinaia e centinaia di milioni, e tutto quanto si può comprare e concludere, si paga in biglietti da mille. È legittima allora la domanda: da dove vengono questi biglietti da mille? A noi non consta che in questo momento vi sia una bilancia commerciale tra l’Italia e la Jugoslavia, perché non vi sono scambi, e non è possibile quindi che tutto questo denaro provenga da un attivo di una bilancia commerciale che non esiste.
Ci può essere una risposta: il numerario di cui gli jugoslavi si sono impossessati presso le banche di Trieste e di Gorizia durante i 40 giorni è quello con cui si contratta. E pertanto noi abbiamo il diritto di sapere dal Governo qualcosa di più preciso anche a questo riguardo, affinché quelle popolazioni sappiano spiegarsi questo mistero e non restino sempre in uno stato di grave perplessità.
Io desidero cogliere l’occasione per fare una modesta raccomandazione di carattere personale al Governo, ed è questa: i veli e le reticenze, talvolta, se non quasi sempre, sono controproducenti: hanno specialmente un influsso malefico sulla psicologia del popolo. I veli e le reticenze – mi si perdoni un semplice inciso – sui fatti del Poligrafico, se ne convinca il Governo, non giovano nemmeno essi, perché fanno lavorare la fantasia e portano a ingrandire le cose anziché diminuirle. Se, viceversa, si precisassero i fatti, anche se dolorosi e spiacevoli, nella loro reale entità, non ci sarebbe più luogo a commenti e fantasie. Chiudo la parentesi e ritorno al punto che ha formato oggetto dell’interrogazione e dico che non è possibile che il Governo non abbia gli elementi per sapere a quanto ammonti il numerario che è stato asportato dalle casse delle banche d’Italia di Gorizia e di Trieste da parte degli jugoslavi. Sarebbe almeno possibile stabilire se effettivamente questo strano, incomprensibile uso di valuta italiana da parte della Jugoslavia abbia o meno questa origine.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Desidero dare un chiarimento all’onorevole Piemonte, il quale ha trovato che vi sarebbe una contradizione fra le affermazioni, le assicurazioni, le garanzie date da me poco fa sull’argomento e le affermazioni che aveva fatto invece al riguardo l’ex Ministro del tesoro Bertone in un suo discorso all’Assemblea, in ordine all’impossibilità di realizzare il cambio della moneta per effetto di certi inconvenienti, chiamandoli così, che si sarebbero verificati per i biglietti di banca.
Ma l’onorevole Bertone si riferiva evidentemente a quei biglietti che erano stati preparati per una nuova emissione di carta moneta, e precisamente per quei biglietti da 500 e da 1000 che non sono stati mai messi in circolazione. E ciò che era stato rubato non era se non un cliché a forma di pellicola fotografica. In realtà era avvenuto che l’autore stesso di tale cliché, il quale pure aveva tenuto un contegno fedele, fedelissimo, alle dipendenze dell’Amministrazione per venti o trenta anni, ha finito purtroppo per dimostrare che anche le persone fedelissime possono qualche volta cadere.
Ma l’Amministrazione dello Stato (il Tesoro), come era logico, non ha mai messo in circolazione, per ovvie ragioni, questi biglietti da 500 e da 1000 che erano invece destinati a sostituire i biglietti che sono tutt’ora in corso.
Le mie dichiarazioni si riferivano, invece, ai biglietti correnti, o a quelli che volgarmente vengono chiamati «lenzuoli», in viola o marrone, oppure a quelli specialissimi stampati in vari colori, su carta molto più sottile e che sono pure attualmente in corso. Ora, io posso e debbo confermare che i clichés di questi biglietti, sia dell’uno che dell’altro tipo, non sono stati mai smarriti, né asportati fuori del territorio dello Stato.
SCHIRATTI. Ma il Governo è in grado, sì o no, di dichiarare dove sono finiti i clichés che sono stati asportati dall’Aquila? Questo almeno vorrei sapere.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. I clichés che furono trasferiti dalla Banca d’Italia dell’Aquila, per ordine del Governo repubblichino, vennero portati a Bergamo con l’assistenza dei rappresentanti della Banca d’Italia stessa, della Direzione generale del tesoro e del Poligrafico dello Stato. Essi erano infatti chiusi sempre in cassaforte e non potevano essere utilizzati se non appunto con il concorso di questi tre ispettori. Erano regolarmente registrati e non sono tornati a Roma se non mediante l’intervento di questi tre organismi: Banca d’Italia, Tesoro e Poligrafico. E sono regolarmente tornati tutti a Roma.
È quindi assolutamente impossibile che essi siano andati a finire all’estero; nulla di diverso è possibile affermare su questo argomento, a meno che non si voglia fare del romanzo.
Ora io mi rendo conto anche delle affermazioni fatte dall’onorevole Schiratti in ordine alla quantità di monete che circolano in certe zone, ma poiché l’interrogazione rivolta al Governo era questa: se è vero che è stato asportato un cliché, che sono state asportate macchine per la stampa di biglietti, che è stata asportata una ingente quantità di carta filigranata, io devo dire che – per il cliché e per le macchine – ciò non è esatto perché non si è verificata nessuna asportazione.
Per la carta filigranata, come ho detto, su 94 quintali di carta filigranata per stampa di biglietti da mille, ne sono stati recuperati 81. Degli altri 13 posso dire che essi comprendevano una partita minima per fabbricazione di biglietti comuni, correnti (quelli che prima chiamavo «lenzuoli») monocromi, grossi, del complessivo valore di quattro milioni di lire. Quella carta sarebbe stata utile per potere stampare tanti biglietti il cui importo non superasse i quattro milioni di lire; e una partita maggiore per fabbricazione di biglietti su carta tipo Aquila Ramy, e precisamente biglietti variamente colorati, e la cui carta ha una consistenza più sottile, del complessivo valore di 427 milioni di lire.
Tale tipo di biglietti è ritenuto tecnicamente non falsificabile, sia per la qualità della carta che non è possibile sostituire, sia soprattutto per la stampa.
Dunque, la carta, che non ancora è stata recuperata dallo Stato, ascende, come ho detto, a 13 quintali; quantità capace, in linea teorica, a fare stampare biglietti per un importo complessivo di 431 milioni.
Però di questi 13 quintali – come ho già affermato e come devo confermare – una parte andò distrutta nell’incendio conseguente al bombardamento; l’altra parte fu distrutta dagli stessi ricettatori (come ha osservato spesso la polizia), i quali, vistisi scoperti, hanno voluto fare scomparire il corpo del reato. E finalmente altra parte si è trovata sui banchetti anche nei mercati, perché le donnette se ne servivano per fare i rotoli dove mettere carne, pane, legumi, ecc.
Quindi non è esatto neppure ritenere che tutti i 13 quintali di carta, che ancora non sono stati recuperati, abbiano potuto essere utilizzati. Tutto ciò a prescindere dal fatto che l’utilizzazione della carta filigranata presuppone anche l’esistenza dei clichés e della macchina per stampare.
Ora, poiché è certo che né macchine né clichés sono stati asportati all’estero, è chiaro che la carta non ha potuto essere utilizzata per stampare autentici biglietti da mille. Può servire ai falsari per l’uso che noi tutti conosciamo, ma è chiaro che i biglietti sarebbero falsi per altro verso, perché non deriverebbero dall’applicazione di un vero cliché e dall’uso di una vera macchina.
Quanto alle osservazioni dell’onorevole Schiratti sui fatti del Poligrafico, devo dire che il comunicato l’ho scritto proprio io e ho detto tutta la verità e soltanto quella che era la verità. E non posso cambiare obiettivamente le cose per far piacere ad una parte o ad un’altra. La verità è quella consacrata nei comunicati del Ministero del tesoro che io ho scritto, e spero che l’Assemblea mi vorrà dare atto di questo, con la maggiore coscienziosità e con la maggiore comprensione del dovere che oggi ha, non solo il Governo, ma tutta l’Assemblea Costituente, in ordine alla fede che si deve prestare ai biglietti di Stato.
So benissimo che vi è stata nel pubblico e nella stampa una parte che voleva assolutamente lo scandalo ed ha ragionato così: il comunicato del Governo non sodisfa perché la verità è diversa, deve essere diversa. Ora se si parte da questa premessa pregiudiziale, che la verità è diversa, perché deve essere diversa, è chiaro che qualunque comunicato del Governo, non solo quello che ho avuto l’onore di redigere e di far pubblicare dalla stampa, non sodisferebbe l’opinione pubblica, la quale parte evidentemente da un pregiudizio. La verità è quella contenuta nel comunicato che ho avuto l’onore di far pubblicare, e confermo che nessun falso si è compiuto nel Poligrafico dello Stato: nessun cliché è uscito dal Poligrafico dello Stato, nessun biglietto falso si è stampato nel Poligrafico dello Stato, nessuna serie di biglietti doppi si è stampata nel Poligrafico dello Stato.
Ad ogni modo, tutto questo non fa parte dell’interrogazione odierna. Se qualcuno degli onorevoli colleghi intende sentire dal Governo come le cose si sono svolte, può fare una particolare interrogazione e noi risponderemo.
La stampa estera si è occupata di questa faccenda, cioè della dispersione di carta filigranata, nell’aprile del 1945; ha affermato che vi era stata sottrazione di clichés e noi sappiamo che la Gazette de Lausanne il 20 novembre 1946 ha fatto delle affermazioni che sono riprodotte, anche stilisticamente, nelle espressioni del Journal de Genève. Ed il romanzo che era nella Gazette de Lausanne è ripetuto dal Journal de Genève ed è riprodotto anche dalla stampa italiana.
Vorrei fare appello agli onorevoli colleghi, ed attraverso questa Assemblea Costituente, al Paese, per un senso di particolare comprensione. Noi abbiamo il diritto di pretendere anche dall’estero la fede pubblica per la nostra moneta e abbiamo il dovere di non creare delle storie romanzate anche sui biglietti di Stato, sui biglietti di banca, perché il nostro credito è una necessità per la ricostruzione economica e finanziaria del Paese.
PIEMONTE. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIEMONTE. Le ultime parole pronunciate dal Sottosegretario di Stato per il tesoro potrebbero far supporre che gli interroganti, o almeno uno degli interroganti – io ho questa sensibilità politica – si siano prestati ad un giuoco contro la moneta italiana, fatto dal Journal de Genève prima e dalla Gazette de Lausanne dopo. Io credo, ammesse ed accertate tutte le circostanze ed affermazioni fatte dal Sottosegretario di Stato per il tesoro, che abbiano dato ad esso una magnifica occasione per chiarire le cose, metterle a punto, per cui tutta l’opinione pubblica all’interno e all’estero possa essere informata al riguardo.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Magnani al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, «per sapere se abbiano compiuto passi presso le Autorità alleate competenti allo scopo di ottenere una commutazione della pena inflitta dal Tribunale militare alleato, testé riunitosi a Livorno, a carico di un cittadino italiano il quale, in occasione di uno dei più tragici bombardamenti della città di Grosseto, ha commesso atti che provocarono la morte di uno degli aviatori che avevano proceduto al bombardamento e il cui apparecchio era stato precipitato dalla contraerea; o se, non avendoli compiuti, non ritengano necessario ed urgente provvedere, dando così giusta soddisfazione all’unanime opinione pubblica».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.
BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Ministero degli affari esteri, non appena avuta notizia della condanna a morte del cittadino italiano Ido Turchi da parte della Corte militare di Livorno, si è vivamente e ripetutamente interessato sin dal 6 giugno in favore del condannato presso le competenti Autorità alleate.
Non si è mancato di far presente tutti gli elementi diretti e le circostanze particolari di fatto che potevano influire in favore della sospensione dell’esecuzione della pena capitale e di eventuali misure di clemenza.
Si ha notizia che la sentenza non è stata eseguita e che prossimamente la questione verrà presa in esame dal Comando supremo alleato.
PRESIDENTE. L’onorevole Magnani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MAGNANI. Mi risulta che in questi giorni i difensori del condannato a morte si sono rivolti al Comando alleato dicendo che l’accusa mossa al Turchi, imputato di avere ucciso un aviatore americano con un colpo di baionetta alla schiena, non risponde a verità; e che risulta invece da un certificato dell’Ospedale militare di Lucca che l’aviatore americano non è morto né per colpo di arma od altro, ma semplicemente per lesioni.
Le nostre organizzazioni hanno fatto presente che il Turchi non ha compiuto l’atto, in quanto che non vi sono testimonianze che avvalorino l’ipotesi sostenuta dal Comando alleato. Noi quindi chiediamo che il Ministro degli esteri intervenga anche presso le Autorità alleate, affinché la revisione del processo sia fatta con una certa sollecitudine, perché tutta la massa degli italiani e specialmente la popolazione di Livorno, riconoscono che il Turchi è innocente e che è stato compiuto un errore giudiziario; e chiediamo che anche attraverso l’opera del Governo le Autorità alleate riaprano il processo in maniera che il Turchi, padre di cinque bambini, possa essere restituito alla propria famiglia.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Badini Confalonieri, Giacchero; Bertone, Scotti Alessandro, Baracco, Bovetti, Bellato, Stella, Cremaschi Carlo, Villabruna, Bubbio, Raimondi, Bertola, Bordon, Geuna, Quarello, Grilli, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, «per sapere: 1°) quale fondamento di verità abbiano le notizie relative al fatto che – consenzienti tutte le autorità di dogana, di polizia e comunali – nella notte del 5 giugno ultimo scorso, 23 muli provenienti dalla Francia abbiano valicato il confine e siano stati regalati a cittadini dell’Alta Valle Roja, che avevano dimostrato simpatie filo-francesi, e precisamente 12 a Tenda e 11 a Briga; 2°) per conoscere ancora perché i sussidi ai profughi della zona (170 famiglie), onde consentire loro i mezzi di sostentamento in attesa di sistemazione e di lavoro, non siano regolarmente versati, contrariamente ai disposti di legge vigenti (creando giustificato malcontento); 3°) per conoscere, infine, se, di fronte al ben diverso trattamento che i filo-francesi ricevono dalle autorità della Nazione vicina, ritengano che il preannunciato plebiscito, che avverrà nell’assenza dei profughi e nel timore dei rimasti, non possa che servire ad invalidare l’altro plebiscito, operato in piena obiettività dai sindaci italiani e che – riconosciuto non coatto dalla stessa Commissione alleata – aveva dato una netta maggioranza contraria all’annessione francese. L’urgenza è motivata dalla imminente occupazione della Alta Val Roja da parte della Francia».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’interrogazione consta di tre parti. Alla terza risponderà il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La prima e la seconda sono di un valore molto diverso: la prima riguarda l’ingresso in Italia di un certo numero di muli che dai rapporti ufficiali giunti al Ministero risulta sia effettivamente avvenuto.
Ai primi di giugno sono stati segnalati alla frontiera alcuni transiti di muli, motivati dalla scarsità di foraggio nel nizzardo; da indagini fatte dopo la presentazione di questa interrogazione non è risultata alcuna interferenza di carattere politico, sia interna che estera.
È risultato, invece, che è sorta una certa dotta disputa tra il veterinario locale e l’addetto alla dogana, sui cui termini, in base alla relazione fatta dall’ufficio, credo di non poter riferire, per non venir meno, dato il tono troppo veristico, ad una certa linea di correttezza parlamentare. Metto questa relazione a disposizione dei colleghi che hanno presentato l’interrogazione.
Dalle indagini risulta che, dopo questa discussione tra gli organi competenti, sette muli furono rimandati indietro e gli altri fatti entrare, in base alle considerazioni della relazione.
Il secondo quesito, di maggiore importanza, riguarda i profughi di Briga e di Tenda. Dal Ministero sono state emanate disposizioni per dare a questi profughi lo stesso trattamento concesso ai profughi di Pola, cioè il trattamento più favorevole tra i profughi delle varie zone.
Era stata data al riguardo una precisa disposizione ai prefetti di Cuneo, Imperia, Torino, Genova ed Alessandria, zone dove era segnalata la presenza di questi profughi. Dopo la presentazione dell’interrogazione, nel dubbio che non fosse stato, in effetti, messo in pratica quanto disposto dal Ministero, è stato diramato un telegramma sia a quei prefetti, sia agli altri, richiamando la precisa disposizione del Ministero. A questo non risulta che vi siano richieste inevase nelle Prefetture. Se ai colleghi interroganti risulta, invece, il contrario, essi sono pregati di fornirci dati più concreti, in modo che si possa intervenire efficacemente presso le Prefetture.
PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, ha facoltà di rispondere per la parte che lo riguarda.
BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il plebiscito, per il quale è stata presentata l’interrogazione, è stato deciso dal Governo francese in dipendenza della disposizione dell’articolo 27 della Costituzione della vicina Repubblica, che stabilisce: «Nessun acquisto di territorio è valido senza il consenso delle popolazioni interessate».
Nella relazione a stampa presentata all’Assemblea nazionale francese dal deputato Gorse è scritto: «Abbiamo preso nota con sodisfazione dell’intenzione del Governo di fare votare dall’Assemblea, entro il più breve tempo possibile, un progetto dì legge per organizzare la consultazione delle popolazioni nei comuni di Briga e di Tenda. Tutte le garanzie saranno prese per assicurare la libertà dell’espressione delle popolazioni interessate. Entra nelle intenzioni del Governo francese di domandare al Presidente del tribunale dell’Aja di designare, a titolo di testimoni, tre osservatori stranieri. Prima che le popolazioni interessate si siano definitivamente pronunciate, un’amministrazione provvisoria francese verrà instaurata nelle regioni annesse alla Francia, in virtù del Trattato».
Nel suo discorso all’Assemblea il relatore non ha ripetuto quanto sopra, ma si è limitato a dire che il Governo francese aveva in animo di «dare a tale consultazione tutte le garanzie che assicureranno la libertà di espressione alle popolazioni di quei comuni (Briga e Tenda)».
Salvo le dichiarazioni di principio circa la decisione del Governo francese di indire un plebiscito, nei discorsi del Ministro degli esteri francese e dei relatori all’Assemblea nazionale francese ed al Consiglio della Repubblica francese, non sono state ripetute le più precise indicazioni contenute nella relazione sopra citata.
Si tratta, in ogni modo, di provvedimento interno francese, in esecuzione di un preciso disposto della Costituzione.
Il Governo italiano non può che rilevare che un plebiscito unilaterale, tenuto dopo il trapasso di sovranità ed in assenza di numerosissimi abitanti italiani della zona, che si sono già allontanati da quella località, in previsione della cessione alla Francia, non potrà evidentemente acquistare carattere probatorio nei confronti dello Stato italiano.
PRESIDENTE. L’onorevole Badini Confalonieri ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
BADINI CONFALONIERI. Ringraziare gli onorevoli Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio e agli esteri, per la sollecitudine con la quale hanno voluto rispondere alla interrogazione, che è stata presentata dai deputati piemontesi – senza distinzione di parte, ma tutti uniti per la difesa dei diritti d’Italia e degli interessi d’Europa – ringraziarli – dicevo – è un gradito dovere. Ma è anche dovere preciso di coscienza personale e di rispetto per il preciso mandato ricevuto dai nostri elettori di non poterci dichiarare soddisfatti di quell’opera che i passati Governi non hanno svolto nei confronti delle popolazioni di Briga e Tenda.
La questione dei muli voleva essere semplicemente una esemplificazione. Altre molte ve ne sono. Noi non neghiamo che ci siano stati dei provvedimenti assunti dalla Presidenza del Consiglio. Diciamo però che questi provvedimenti non sono applicati e se l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri vuole, posso esibire le lettere che quotidianamente mi giungono e che dimostrano la verità del mio asserto.
Per quanto poi attiene al preannunciato plebiscito, questo sarebbe il terzo plebiscito che si effettuerebbe a Briga e Tenda, perché un primo plebiscito è stato già fatto dalle autorità francesi subito dopo la liberazione. Un plebiscito che, evidentemente, non ha nessun valore probatorio.
Basta osservare la forma che non è neppure alternativa, che non consente altra dichiarazione all’infuori di quella di «sollecitare il grande onore di diventare francesi»; e necessita sollecitare questo onore per avere un altro foglietto che qui pure esibisco: Monsieur a été recensé. Soltanto dopo aver ottenuto siffatto foglietto di censimento, si potevano ritirare le carte annonarie.
Ogni commento è superfluo.
Ma, in prosieguo di tempo, c’è stato un secondo plebiscito fatto dai sindaci nominati dai C.L.N., un plebiscito che la stessa Commissione interalleata, recatasi sulla località il 1° maggio 1946, costituita anche da due rappresentanti francesi e da nessun rappresentante italiano, ha dovuto dichiarare sereno, obiettivo, regolare: un plebiscito che ha dato la maggioranza all’Italia, sia in Briga, sia in Tenda, anzi il 70 per cento di maggioranza all’Italia.
E allora questo terzo plebiscito, a quale scopo tende? Se esso vuole essere fatto regolarmente, non può che confermare il risultato del secondo plebiscito; se invece esso non è che una finzione democratica, occorre immediatamente dichiarare che se la legge del vinto ci impone di assoggettarci al «diktat», ebbene ci si consenta almeno di piangere le nostre lacrime in silenzio senza aggiungere allo scorno anche le beffe. Quale valore può avere un plebiscito operato dopo l’annessione, senza garanzie internazionali, senza che la Francia si impegni preventivamente a rispettarne i risultati, quando buona parte della popolazione si è allontanata profuga dalla zona?
L’onorevole Sottosegretario di Stato ha ritenuto nella sua risposta di fare riferimento a quanto il Relatore al Parlamento francese, onorevole Gorse, ha detto, ma l’onorevole Gorse parlando del «dettato» ha concluso affermando testualmente «che questo trattato era sprovvisto di anima e di idee direttive, era molto lontano da quell’ideale di cooperazione nazionale, era insomma un trattato del tipo 1915».
Ora tutto questo diciamo, non certo per un sentimento di esasperato nazionalismo, che è veramente lontano da noi; questo diciamo perché desidereremmo che quel valico di Tenda non fosse motivo e fomite di irredentismo, ma divenisse un valico attraverso il quale si sviluppasse e si convalidasse l’amicizia italo-francese, che è necessaria per l’Italia, per la Francia e per l’Europa. Noi abbiamo la convinzione che se la Costituente e se il Governo italiano sapranno fare partire un appello al popolo francese perché questa inutile ingiustizia della cessione di terre e di popolazioni italiane non si compia, il popolo francese, che ha dimostrato di comprendere quale importanza possa avere per il futuro d’Europa una salda unione fra le due Nazioni, non lascerebbe cadere questo appello. E in questa fiducia ci rafferma proprio quella espressiva, incisiva definizione che di coteste rivendicazioni, in un suo articolo del luglio scorso ha dato Léon Blum, rappresentante autorevole del partito socialista francese, quando ha dichiarato che siffatte rivendicazioni sont seulement des stupidités. Noi reputiamo che potrebbero diventare, con la rinunzia fatta dalla Francia, il motivo di un rinsaldamento della nostra amicizia, di quella amicizia che vorremmo salda e duratura e proficua, nell’interesse nostro, nell’interesse della Francia, nell’interesse superiore dell’equilibrio e della pace europea. (Applausi).
BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo si associa alla proposta dell’onorevole Badini Confalonieri, per un appello, nel senso da lui esposto. Fin dall’anno scorso, quando la Delegazione italiana alla Conferenza della pace si occupò di questo problema, rivolse un accorato appello alla Francia ed a tutto il popolo francese, per evitare che la questione di Briga e Tenda, che tutti i buoni francesi riconoscono inadeguata all’importanza datale da alcune correnti francesi, fosse risolta nella maniera più equa ed in modo da non lasciare sussistere tra Italia e Francia un pomo di permanente discordia.
Quello che è stato fatto a Parigi dalla nostra Delegazione nell’agosto scorso, può essere ripetuto dall’Assemblea Costituente italiana, ed il Governo sarà lieto se questa manifestazione avrà un carattere di solidarietà, che richiamerà l’attenzione del popolo francese, col fervido augurio che questa volta l’appello sia accolto. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Costantini, al Ministro dell’interno «per conoscere quali sono le disposizioni di legge le quali consentirono al signor prefetto di Treviso di emettere un decreto di requisizione di una casa di privata abitazione occupata da sei famiglie, ordinando ai legittimi possessori il rilascio dell’immobile centro il 15 giugno. Il decreto regio del 18 agosto 1940, n. 1740, è inapplicabile per ovvie ragioni al caso in esame, e non può giustificatamente invocarsi il decreto legislativo 26 aprite 1947, n. 264».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il prefetto di Treviso ha comunicato di aver disposto la requisizione del Palazzo Revedin, per sede del comando della divisione «Folgore» in quanto il Palazzo Scotti, che sarebbe stato prescelto dalle autorità militari, e che fu sede del comando del XIV Corpo d’armata durante l’ultima guerra, è occupato attualmente dall’Amministrazione provinciale, che ha avuto il suo palazzo in parte distrutto dalla guerra ed in parte occupato dalla Prefettura coi suoi nuovi servizi dell’assistenza post-bellica Commissione U.N.R.R.A., ecc.
Detto Palazzo Revedin, fu già sede del comando supremo durante la guerra del 1915-18 ed è l’edificio di Treviso che meglio si presta alla bisogna, come hanno convenuto le autorità locali.
D’altra parte, qualunque edificio di Treviso venisse prescelto, sempre farebbe d’uopo dare lo sfratto ad altri occupanti, famiglie o uffici pubblici.
Nel caso del Palazzo Revedin, le famiglie occupanti sono 5, fra le quali quella del proprietario. Il prefetto si è interessato presso il Commissariato alloggi per riservare alle famiglie sfrattande decorosi appartamenti in uno stabile di recente costruzione e di prima occupazione di proprietà dell’Ente della liberazione; ed ha rivolto premure al comando della divisione «Folgore» per consentire che nel palazzo stesso il proprietario possa conservare il proprio gabinetto dentistico, e perché l’Amministrazione militare si assuma l’onere del trasferimento delle masserizie delle famiglie.
Intanto, a causa della resistenza degli ospiti del Palazzo Revedin, l’autorità militare, che pur deve sistemare i propri comandi ed uffici dislocati a Treviso, minaccia di occupare altri locali, tra cui quelli scolastici di Via San Liberale, con evidente grave pregiudizio dei servizi.
Il prefetto, pur avendo fondato il decreto di requisizione sulla citazione del regio decreto 18 agosto 1940, n. 1741, che non può essere applicato dopo trascorsi i 6 mesi dalla cessazione dello stato di guerra, e la cui proroga stabilita dal decreto legislativo 26 aprile 1947, n. 264, si riferisce solo alle requisizioni effettuate durante il tempo di guerra, non avrebbe peraltro, data la situazione, potuto rifiutare il proprio intervento per procurare comunque locali alla divisione «Folgore», che si è dovuta trasferire a Treviso per assolvere alle responsabilità militari della vicina frontiera derivanti dalla ratifica del trattato di pace.
E, anche senza far ricorso all’articolo 19 della legge comunale e provinciale, in materia di requisizioni per necessità pubbliche, il prefetto è legittimato a disporre ai sensi dell’articolo 7 della legge costituzionale 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E.
PRESIDENTE. L’onorevole Costantini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
COSTANTINI. Non posso, evidentemente, ritenermi soddisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato. Non posso ritenermi soddisfatto anche perché, in questa sede, per la prima volta, sono stati spostati i termini giuridici della questione. Io sono convinto – e nessun membro di questa Assemblea può essere di diversa opinione – che un cittadino non può venire privato dell’esercizio di un suo legittimo diritto se non in seguito ad una precisa disposizione di legge. Il cittadino non può essere privato della sua casa di abitazione, con atti di prepotenza, come sta per avvenire nel caso in questione, mancando una norma di legge la quale consenta all’autorità di procedere alla requisizione. Le requisizioni erano previste precisamente dal decreto 18 agosto 1940, n. 1741, legge che ha invocato il prefetto per emettere il suo decreto di requisizione, richiamando altresì erroneamente come riconosce l’onorevole Sottosegretario di Stato, il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 25 aprile 1947. Ora si richiama la legge del marzo 1865.
Onorevole Sottosegretario, se vero fosse, abbandonata l’applicabilità del decreto 18 agosto 1940, che può avere applicazione, nella fattispecie, la legge 20 marzo 1865, io chiedo a lei: perché si sarebbe fatto questo decreto 18 agosto 1940? Se la legge del 20 marzo 1865 avesse consentito e consentisse ai prefetti di procedere alla requisizione di case private sic et sempliciter, perché si sarebbe fatto il decreto 18 agosto 1940? Pongo questa questione di ordine giuridico, perché, naturalmente, non ho sottomano le disposizioni, testé richiamate per la prima volta, della legge del 1865. Si fa questione anche della necessità di alloggiamento del comando della «Folgore». Ma, scusate, voi dovete considerare le condizioni attuali della città di Treviso: essa ha avuto il 63 per cento delle case distrutte, o comunque, rese inabitabili. Vi sono intere famiglie che alloggiano in un’unica stanza, in condizioni tali che è sperabile non vengano malattie epidemiche e, non ostante tutto ciò, vi sono oltre 10 mila persone costrette a vivere nei centri di sfollamento, a decine di chilometri dal capoluogo.
Devesi costringere la cittadinanza a fare dei sacrifici impossibili perché l’autorità militare non ha avuto la previdenza, prima di dislocare una unità della forza numerica della divisione «Folgore», di predisporre le sue caserme? Si può violare uno dei più elementari diritti del cittadino, quale è quello del rispetto della sua abitazione? Io dico, onorevole Sottosegretario di Stato, che il contegno dell’autorità militare – come le ho detto già confidenzialmente – la quale ha occupato con la forza delle armi un’altra casa, introducendosi in essa e cacciandone il proprietario, io dico che questi sistemi sono contrari alla legge e non giovano certo alla democrazia, degradano il prestigio dell’autorità di fronte alla popolazione e possono portare a reazioni violente.
Autorità non significa certamente arbitrio, sopruso o, peggio ancora, violenza: per collocare gli ufficiali della «Folgore» e i relativi comandi si debbono apprestare le caserme; nessuna legge esiste a giustificare od autorizzare il provvedimento di requisizione che ha creduto di poter prendere il prefetto di Treviso.
Il diritto del cittadino alla tutela della propria abitazione, alla inviolabilità di essa, è stato di recente sancito anche nella nuova Costituzione della Repubblica.
Voi stesso, quale rappresentante del Ministero dell’interno, avete il dovere di concorrere a tutelare e a far rispettare questo diritto contro chiunque lo violi o tenti di violarlo, ed è a questo senso di consapevolezza nella vostra alta funzione che io faccio appello. Gli inquilini della casa colpita dal decreto prefettizio di requisizione sanno già che non è assolutamente possibile che abbia effetto la richiesta illegittima del prefetto e che essa rappresenta, costituisce anzi un atto di violenza e di arbitrio. Ci sono ormai in città malumori e malcontenti diffusi dei quali può dare atto anche il sindaco onorevole Ferrarese, e l’autorità comunale, non più tardi di ieri, ha indirizzato a noi deputati delle suppliche tendenti a dirimere queste difficoltà per modo che la situazione si normalizzi.
Ora, io voglio rinnovarle una preghiera vivissima affinché la questione possa avere una sollecita soluzione che non sia di espediente o di sotterfugio, ma una soluzione conforme alla legge ed alla effettiva giustizia, espressione di autentica democrazia. Il diritto è dalla parte di coloro che io difendo: ella lo sa, onorevole Sottosegretario di Stato. Si tratta di una popolazione che ha già tanto sofferto ed io sento che difendendo i diritti della cittadinanza di Treviso difendo anche la legalità e l’ordine pubblico che può venire seriamente turbato ove l’autorità costituita creda opportuno non rendersi conto, una buona volta, che solo nel più deciso rispetto del diritto e della legge può aversi ordine e tranquillità.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Platone, Gavina, Pollastrini Elettra, Caprani, Bernamonti, Mariani Enrico, Cairo al Ministro dell’interno: «Presa visione dei comunicati diramati dal Consiglio dei Ministri circa alcune disposizioni fondamentali che farebbero parte del decreto di prossima emissione in materia di alloggi, fra cui l’abolizione del Commissariato relativo anche per comuni capiluogo di provincia; ritenuto che l’eventuale abolizione della disciplina esistente in materia esige una nuova generale disciplina capace di impedire le gravi speculazioni che già si manifestano nel mercato degli alloggi, persistendo le quali risulterebbe impossibile ad ogni famiglia di lavoratori di procurarsi un tetto; considerato inoltre che la applicazione della legislazione in vigore ha costituito delle situazioni di diritto che meritano almeno un regime transitoriale; ritenuto infine che la materia in esame è complessa e molto importante; chiedono urgenti informazioni al riguardo; e soprattutto di sapere se il Governo non ritenga di doversi valere della facoltà di sottoporle il progettato decreto alla competente Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente, adottando, data l’urgenza dei termini, un breve provvedimento di proroga della disciplina esistente».
Sopra questo stesso argomento è pervenuta una interrogazione dell’onorevole Veroni, con richiesta d’urgenza:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere a quali criteri si ispiri l’ulteriore annunciata proroga dei poteri dei Commissariati alloggi, di cui, ovunque, veniva invece reclamata la soppressione».
Chiedo all’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno, se intenda rispondere anche a questa interrogazione.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Risponderò anche a questa interrogazione.
Con oggi viene a cessare l’efficacia delle disposizioni disciplinanti l’istituzione ed il funzionamento dei Commissariati degli alloggi.
Due potevano essere le soluzioni: o far cadere indiscriminatamente tutti i Commissariati o, tenendo conto degli inconvenienti segnalati, prorogare temporaneamente detti organi, laddove reali esigenze lo giustificassero, semplificati nella loro struttura e, soprattutto, restituiti alla loro essenziale finalità di provvedere alle categorie che hanno maggiore bisogno di abitazione.
È questa la soluzione che ha scelto il Governo col provvedimento approvato in via di urgenza nell’ultimo Consiglio dei Ministri.
Il nuovo provvedimento mira, sostanzialmente, a limitare la permanenza dei Commissariati degli alloggi solo in quelle città dove vi sia una effettiva necessità del loro funzionamento, cioè in quelle che hanno una popolazione superiore ai centomila abitanti o che hanno subìto distruzioni di particolare gravità per eventi di guerra. Anche per dette città si è però subordinata la proroga del funzionamento di detti Commissariati non oltre il 30 giugno del prossimo anno alla formale deliberazione del Consiglio comunale, in modo che sia l’organo comunale più rappresentativo a dichiararne la necessità e la opportunità; tanto più che le spese di funzionamento dei Commissariati gravano proprio sui bilanci comunali.
Era stato proposto di includere nella legge tutti i Comuni capoluoghi di Provincia. La specifica menzione è invece apparsa superflua, perché o si tratta di Comuni con limitata popolazione e non danneggiati dalla guerra, ed allora non si ravvisa la necessità di includerli solo per il fatto di essere capoluoghi, dato che le disposizioni mirano a risolvere situazioni ed esigenze concrete, o si tratta di Comuni che hanno subito danni di guerra, ed allora essi sono espressamente contemplati nella legge.
Perché i Commissariati degli alloggi possano raggiungere risultati più concreti, e perché, soprattutto, possano provvedere alle esigenze di coloro che hanno maggiore bisogno di alloggio, si sono determinate le categorie che hanno titolo all’assegnazione, cioè: coloro che sono rimasti privi di abitazione per le distruzioni causate dalla guerra; i profughi dalle zone di confine o dalle colonie; coloro che trasferiscano la residenza nel Comune per riconosciute esigenze di impiego o di lavoro e che, avendo già la residenza nel Comune, contraggano matrimonio.
Si è ravvisata, inoltre, la necessità di sopprimere le Commissioni consultive, che non hanno dato apprezzabili risultati, sopprimendo di conseguenza il rimedio dell’opposizione allo stesso Commissariato, per cui era richiesto il conforme parere delle Commissioni stesse.
Avverso i provvedimenti dei Commissari si ritorna perciò al sistema più razionale, e più sollecito, del ricorso diretto alle Commissioni giurisdizionali che, oltre a conoscere della legittimità dei provvedimenti impugnati, hanno competenza anche in merito alla determinazione dei corrispettivi delle locazioni.
Il provvedimento, con opportune norme, disciplina le assegnazioni già disposte dai Commissariati, che cessano di funzionare, stabilendo che ai rapporti di locazioni che si sono costituiti a seguito delle assegnazioni stesse sono applicabili le disposizioni sulle locazioni degli immobili urbani e sulla proroga di esse; disciplina anche, con disposizioni di carattere transitorio, la sorte delle opposizioni pendenti dando agli interessati che le avevano proposte un nuovo termine per adire direttamente le Commissioni giurisdizionali.
La nuova disciplina si ritiene possa rendere possibile un’azione più concordemente efficace dei Commissari degli alloggi, specie a sollievo delle categorie che hanno maggiore bisogno di abitazione, e varrà anche a limitare una spesa che aveva raggiunto un livello assolutamente sproporzionato ai risultati conseguiti.
PRESIDENTE. L’onorevole Caprani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CAPRANI. Mi dispiace, onorevole Sottosegretario per l’interno, di non potermi dichiarare sodisfatto anche a nome dei numerosi colleghi che hanno firmato, con me, questa urgente interrogazione. Effettivamente i Commissariati degli alloggi diedero luogo, nel loro funzionamento, a inconvenienti che tutti conosciamo. Questi inconvenienti si dovettero soprattutto al fatto che in linea generale, voglio dire in moltissimi casi, erano stati posti a dirigere questi enti degli individui la cui mentalità era perfettamente conforme alle esigenze dei proprietari di case.
Vi furono perciò molte delusioni e in certi casi si ebbe anche la sensazione che i Commissariati degli alloggi venissero meno ai loro compiti precisi. Però, anche con tutti questi inconvenienti, non è detto che si debba addivenire, attraverso una procedura, forse eccessivamente drastica, e che è intesa a preludere a un regime liberistico, in materia di abitazioni, all’ordine di idee di sopprimere i Commissariati degli alloggi, con la conseguenza inevitabile che anche tutto questo finirà col gravare sulle spalle già tanto oberate delle classi meno abbienti, per le quali il trovarsi un alloggio diventerà veramente un sogno utopistico.
Comunque, i Commissariati degli alloggi, anche con i loro difetti, erano giunti almeno ad assolvere a due compiti: quello, innanzitutto, del reperimento dei locali vuoti ed anche di quelli fittiziamente abitati, in secondo luogo, a distribuirli con criteri di controllo e di giustizia a coloro che versano nella necessità.
Ora, venendo a scomparire questa istituzione, così tout court, in un Paese profondamente lacerato dalla guerra, in un Paese che ha pure una popolazione incredibilmente in aumento nonostante tutto, in un Paese che, in certo senso, è in movimento per delle ragioni intuitive, con l’emigrazione interna, io non so se veramente ciò possa reputarsi opportuno.
A me pare invece che il provvedimento dia luogo a molti inconvenienti. Il primo inconveniente che si verificherà sarà, per esempio, questo: che senza i Commissariati alloggio il Governo si troverà – per citare un caso – perfino nell’impossibilità di trasferire i suoi funzionari, perché è naturale che un funzionario che deve subire un trasferimento, e che ha famiglia, sia profondamente preoccupato di doversi trovare in una città dove non può allogarsi, e sa che non può allogarsi nemmeno in un albergo perché anche una misera osteria, con alloggio, fa pagare 400 lire al giorno e tutto lo stipendio se ne andrebbe.
Questo per citare uno dei casi tipici.
Ma è anche certo che col sistema – cui si è fatto cenno in comunicati ufficiosi – non si raggiungerà lo scopo e la speculazione penetrerà più agevolmente nelle ruote di questo ingranaggio legislativo e il povero diavolo (per dirla con linguaggio preciso), non troverà mai un appartamento, si sentirà domandare dalla speculazione delle buonuscite e dei sottomano spaventosi e sui quali il tacere è bello per carità di patria.
Ma c’è anche qualche cosa di più, su cui noi non possiamo essere d’accordo: ed è il modo col quale si prospetta l’elaborazione di questa nuova situazione semi-vincolistica che dovrà scaturire nel periodo transitorio dal giugno al dicembre. Noi non siamo d’accordo che al progetto attendano solamente gli onorevoli Fanfani, Scelba ed Einaudi (la cui competenza è certamente indiscutibile); noi chiediamo democraticamente che il progetto sia trasferito alla Commissione legislativa dell’Assemblea perché nell’elaborazione della legge ci si possa valere di criteri anche più larghi, che tocchino più profondamente le masse popolari.
E mi sia permesso di osservare da ultimo che la disposizione cui si fa cenno – cioè la limitazione del funzionamento del Commissariato alloggi nei soli centri che siano superiori ai 100 mila abitanti – costituisce un vero e proprio assurdo, perché basta avere un po’ di pratica, basta osservare le cose come sono (e non come si vorrebbe che fossero), per vedere che tutti i capoluoghi di Provincia sono alle prese con le stesse difficoltà, specie poi dove ci sono state le devastazioni della guerra, e riconosco che a tal proposito l’onorevole Sottosegretario per l’interno ha voluto fare un’eccezione.
Ma non è neanche logico che la nuova legge abbia ad elencare delle categorie precise e tassative di coloro che hanno veste e diritto di ricorrere al Commissariato alloggi, a quel Commissariato che sarà un po’ sminuito nei suoi poteri e che andrà dal 30 giugno al dicembre. Non è opportuno stabilire tassativamente delle categorie. Tutto al più si potrebbero stabilire delle categorie di prelazione e di preferenza e dire che il meno abbiente ha più diritto degli altri. In questo senso, si potrebbero stabilire categorie, ma stabilire categorie e dire: «ha diritto solo colui che sposa, ha diritto solo il combattente e il partigiano, ha diritto solo il burocrate trasferito», ed escludere tutti gli altri, significa fare cosa fuori della realtà e perfino fuori della legge.
Quindi io raccomando che questa legislazione sia attentamente vagliata. Si tratta di un problema angosciante, si tratta di diecine di migliaia di famiglie che hanno il terrore di perdere l’alloggio e, in certi altri casi, hanno lo sgomento quotidiano di non possedere un alloggio! È una questione che dal punto di vista – diremo così – amministrativo ha dei riflessi di ordine politico di primissima importanza. Ed io credo che il Governo farà bene a valersi anche della competenza della Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente nella elaborazione e nella formazione di questa legge. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Veroni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
VERONI. Mi sono indotto a presentare l’interrogazione con carattere di urgenza dopo aver letto che nell’ordine del giorno era stata posta in discussione l’interrogazione svolta dall’onorevole Caprani. Va ricordato che fin dalla seduta del 5 maggio in questa Aula io avevo esaminata e trattata la questione del Commissariato alloggi con particolare riferimento alla situazione di Roma città. Ora devo convenire che il provvedimento allora annunciato dal Governo e oggi confermato dall’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno non risolve gli inconvenienti che in quella occasione io stesso avevo prospettato all’attenzione dell’Assemblea e che oggi sono stati esattamente confermati dall’onorevole collega. Nel frattempo si è reso ancora più vivace il dissenso fra coloro che sostengono che debba essere abolito il Commissariato alloggi e coloro che invece dichiarano che una condotta liberistica della materia potrebbe non giovare, anzi danneggerebbe senz’altro le classi meno abbienti; sarebbe stato veramente opportuno da parte del Governo di deferire la materia così complessa all’esame della competente Commissione legislativa. Avremmo potuto così esaminare il provvedimento con serenità e con la necessaria ponderazione se si fosse accordata una nuova breve proroga dal 30 giugno, dando così il giusto apprezzamento agli argomenti favorevoli o contrari al mantenimento del Commissariato degli alloggi.
Intanto è da notare che i provvedimenti dal Governo ora confermati non hanno trovato il plauso della pubblica opinione.
Particolarmente qui a Roma, si era preoccupati delle condizioni eccezionali in cui vivono migliaia di famiglie. Dal mese di aprile, epoca in cui la questione fu nuovamente dibattuta in questa Assemblea, fino ad oggi si era invocato da parte del Governo che venissero sgomberate alcune caserme che sono pressoché inutili e fossero date ai senza tetto. Si era invocato da parte del Governo che anche il così detto Ministero dell’ex Africa fosse assegnato ai senza tetto, che ivi avrebbero potuto trovare larga ospitalità. Viceversa si continua a deplorare il triste e angoscioso inconveniente di sapere e di vedere alle porte di Roma – alla periferia della Capitale della Repubblica – migliaia di persone che sono attendate o sono in caverne od in grotte senza che da parte del Governo si sia finora provveduto a convenientemente alloggiarle. Questo gravissimo inconveniente non viene risoluto davvero dalle provvidenze che il Governo ora ha adottato. Ciò significa che queste provvidenze, anziché affrontare e risolvere il problema dei senza tetto, si sono preoccupate di venire incontro a esigenze di altra natura; perloché non ci si può dichiarare soddisfatti, a meno che il Governo non si decida a portare davanti alla Commissione legislativa l’esame della grave e complessa questione. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele al Ministro dell’interno, «per sapere se non creda opportuno intervenire tempestivamente presso il prefetto di Bari, a che provveda che non venga chiusa la mensa degli impiegati di quella città».
Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Adonnino al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se non creda opportuno diminuire la severità delle norme emanate con ordinanza 3 maggio ultimo scorso sugli esami di maturità; laddove specialmente si escludono dagli esami orali coloro che abbiano riportato negli scritti un voto di «evidente insufficienza», mentre prima della guerra si escludevano quelli che avessero riportato una insufficienza «molto grave»; e si estende tale norma, oltre che all’italiano, anche a tutte le materie per le quali siano richieste prove scritte; e là dove prescrive la presenza di quattro membri estranei nelle Commissioni delle scuole non governative; e ciò, tenendo conto che le norme giungono a pochi giorni dagli esami; e che gli esaminandi hanno iniziato il loro corso di studi nei tempi difficilissimi della guerra o dell’immediato dopo-guerra».
Non essendo presente l’onorevole Ministro della pubblica istruzione, l’interrogazione è rimandata alla prossima seduta dedicata alle interrogazioni.
Segue l’interrogazione dell’onorevole De Maria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, «per sapere se non ritengano opportuno e doveroso nei confronti della tutela della sanità pubblica intervenire per gli accertamenti scientifici del caso ed, eventualmente, per contribuire al finanziamento per la fabbricazione del preparato AF2 del dottor Guarnieri. Tale prodotto avrebbe spiccata azione anticancerigna. Il provvedimento ha carattere di estrema urgenza, poiché col 5 giugno prossimo il dottor Guarnieri sospenderà la distribuzione gratuita del medicinale per difficoltà d’ordine economico».
DE MARIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE MARIA. Avendo trasformata l’interrogazione con risposta orale in interrogazione con risposta scritta, ho già ricevuto le risposte scritte sia dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. Pertanto, la mia interrogazione è esaurita.
PRESIDENTE. Sono state così svolte tutte le interrogazioni iscritte all’ordine del giorno.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza alcune interrogazioni con richiesta d’urgenza. La prima è quella dell’onorevole Di Fausto, del seguente tenore:
«Al Governo, per sapere se corrisponde a verità la notizia secondo la quale sul Colle della Farnesina, dominante, in vista di San Pietro, fra Monte Mario e Ponte Milvio, in uno dei luoghi più suggestivi di Roma e del mondo, entro la cinta urbana, colle destinato infatti a parco pubblico nel piano regolatore vigente, sarebbe stata concessa una immensa zona di terreno (circa 35 mila metri quadrati) da destinare a cimitero di guerra francese, nel quale sarebbero naturalmente accolte anche salme di mussulmani di colore.
«E, nel caso affermativo, per sapere che cosa il Governo intenda fare per rimuovere la intollerabile concessione che, rivelando la assoluta insensibilità delle autorità responsabili, suona insulto – sotto troppi aspetti – alla cocente, immeritata sventura della Nazione, e suona comunque soprattutto insulto alle altissime tradizioni civili e cristiane di Roma, alle quali deve pur rendere omaggio la Francia, che, con noi, trae da quelle comune nobiltà di origine».
PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non riconosco l’urgenza dell’interrogazione, anzi mi pare che vi sia da discutere sulla opportunità della presentazione dell’interrogazione stessa.
PRESIDENTE. È stata anche presentata la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:
«Al Ministro dell’interno, sull’azione svolta dagli organi del suo Ministero contro i contadini della Bergamasca, che hanno inteso dividere i prodotti secondo le indicazioni della legge De Gasperi sulla mezzadria.
«In particolare gli interroganti domandano quali misure il Ministro intenda prendere per richiamare al rispetto della legge il prefetto e i comandanti dei carabinieri, che hanno fatto procedere all’arresto del segretario della Confederterra provinciale di Bergamo, diffidandolo poi a non svolgere ulteriore attività sindacale.
«Caprani, Pajetta Gian Carlo, Montagnana Mario».
PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni.
PRESIDENTE. Vi è, infine, la seguente interrogazione:
«Al Ministro dell’agricoltura e foreste, per conoscere le ragioni per le quali in Sicilia, ai contadini della provincia di Ragusa recatisi secondo un’antichissima consuetudine nell’interno dell’isola per esercitarvi, con durissimi sacrifici, la spigolatura, viene fatto obbligo di ammassare il grano raccolto, contrariamente a quanto negli anni passati si è sempre fatto.
«L’interrogante chiede altresì di conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare per impedire il fatto lamentato, che suscita vivo malcontento fra gli spigolatori, altera il loro tradizionale approvvigionamento e li porta ad abbandonare una attività che, mentre costituisce una delle principali loro risorse, è stata sempre oltremodo benefica, conseguendosi per essa il recupero di cospicui quantitativi di grano, che altrimenti andrebbero perduti.
«Guerrieri Emanuele».
PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. A nome del Ministro interessato, riconosco l’urgenza di questa interrogazione, alla quale sarà risposto nella prima seduta dedicata alle interrogazioni.
Sui lavori dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Domattina si terrà seduta alle 10 per l’esame del progetto di legge sull’imposta straordinaria sul patrimonio. Si terrà seduta anche nel pomeriggio alle 17 per il seguito della discussione del progetto di Costituzione.
UBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UBERTI. Sarebbe opportuno dedicare anche le sedute pomeridiane all’esame del progetto sull’imposta patrimoniale per giungere più rapidamente ad una conclusione su questa importante materia.
PRESIDENTE. Di tale questione si potrà più convenientemente discutere nella seduta antimeridiana di domani.
UBERTI. Sta bene.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se e quando vorrà provvedere ad emanare norme tassative e precise intese a consentire che i beni immobili di proprietà dei Comuni o di altri enti locali che, in seguito a pressioni e ad imposizioni ben note, vennero donati o ceduti al cessato partito fascista e ad organizzazioni da questo dipendenti, ritornino agli enti proprietari senza gravami e oneri di sorta.
«Zuccarini».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati in favore delle tante famiglie colpite dalle recenti alluvioni in provincia di Treviso e di Venezia, famiglie che ebbero distrutti i raccolti, animali annegati, mobili danneggiati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ferrarese».
PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi a Ministri competenti l’altra per la quale si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 19.20.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10:
Discussione del disegno di legge:
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
Alle ore 17:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.