Come nasce la Costituzione

LUNEDÌ 30 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXVI.

SEDUTA DI LUNEDÌ 30 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                  

Rodinò Ugo                                                                                                      

Amendola                                                                                                        

Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale                                       

Benedettini                                                                                                      

Romita                                                                                                              

Russo Perez                                                                                                      

Gullo Fausto                                                                                                   

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro                                                     

Piemonte                                                                                                          

Schiratti                                                                                                          

Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri                                        

Magnani                                                                                                           

Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza

 del Consiglio dei Ministri                                                                                   

Badini Confaloneri                                                                                         

Costantini                                                                                                        

Caprani                                                                                                            

Veroni                                                                                                              

De Maria                                                                                                          

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza

del Consiglio dei Ministri                                                                                    

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                  

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Uberti                                                                                                               

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Chiaramello, Froggio, Fuschini, Gortani, La Pira, Moro, Moscatelli, Reale Vito, Cairo e Jacini.

(Sono concessi).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.

Le prime due riguardano lo stesso argomento e possono pertanto essere abbinate:

La prima interrogazione è dell’onorevole Rodinò Ugo, la seconda dell’onorevole Amendola:

«Al Ministro dell’interno, per chiedere d’urgenza quali provvedimenti siano stati adottati e in rapporto alle autorità preposte all’ordine pubblico e per l’identificazione e deferimento all’autorità giudiziaria dei colpevoli delle provocazioni ed aggressioni effettuate in Napoli in danno di democratici cristiani, e tra essi dell’onorevole Riccio Stefano, nel cortile della sede centrale del loro Partito, da elementi che partecipavano al corteo comunista svoltosi la mattina del giorno 22 giugno dopo il discorso dell’onorevole Togliatti al teatro San Carlo, elementi che, oltre al distintivo di quel Partito, recavano al braccio ed al petto un contrassegno con la dicitura «Squadra d’ordine» ed erano armati di nervi di bue; precisando se l’esistenza di dette squadre di parte possa essere consentita o comunque tollerata».

«Al Ministro dell’interno, per avere dettagliate informazioni sugli incidenti che hanno avuto luogo domenica 22 giugno a Napoli in via Roma».

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il 22 di giugno, in occasione del discorso tenuto dall’onorevole Togliatti. al teatro San Carlo di Napoli, nonostante che da parte di dirigenti del Partito comunista locale si fossero dati ampi affidamenti in proposito, fu da gran parte degli intervenuti organizzato un corteo, che procedendo a bandiere spiegate, giunto all’altezza della sezione della Democrazia cristiana, invadeva il cortile e scontratosi con un gruppo di democratici cristiani, che uscivano da una conferenza tenuta poco prima dall’onorevole Riccio, e con l’onorevole Riccio stesso, venivano a colluttazione.

In questa occasione fu particolarmente notato che i dimostranti erano accompagnati da un notevole numero di persone munite di un bracciale sul quale stava la scritta di «agenti di ordine», nonché di altri distintivi che tendevano a stabilire la loro stessa appartenenza a queste squadre. La pubblica sicurezza aveva disposto presso la sede della Democrazia cristiania un leggero servizio di protezione, non già in funzione di una eventuale invasione, che non era prevista, bensì in relazione soltanto alla conferenza che l’onorevole Riccio vi aveva tenuto, di modo che quando questi dimostranti si presentarono e, armati com’erano di bastoni, tentarono di salire le scale e di invadere i locali della sezione, questi agenti dell’ordine non riuscirono a farvi fronte. Vi fecero fronte i democristiani che, come ho detto prima, scendendo per abbandonare la sede alla fine della conferenza Riccio, si scontrarono con essi, presente lo stesso onorevole Riccio, che proprio in quel momento stava per abbandonare il locale. Dato l’allarme, poco dopo interveniva un reparto della Celere, che riusciva rapidamente a disperdere i dimostranti.

Risulta al Governo che da parte del Partito comunista locale si è sconfessata questa dimostrazione con un comunicato speciale; la si è anzi deplorata e la si è attribuita ad elementi irresponsabili. Da parte della Questura è stata fatta ed è tuttora in corso una inchiesta, la quale ha per scopo di denunciare all’Autorità giudiziaria quanti dei dimostranti sarà possibile riconoscere.

Risulta al Governo che indagini a questo scopo sono state condotte e sono tuttora condotte con molta attività ed è augurabile che gli elementi, che possono essere sentiti come testimoni, si presentino a deporre, cosa che finora hanno fatto soltanto in numero molto esiguo. Naturalmente, se quelle squadre di ordine, di cui è stata notata la presenza in questa occasione, dovessero presentarsi, come viene denunciato da taluni, non già come squadre di ordine, ma come squadre intese effettivamente ad esercitare una violenza organizzata, non potrebbero essere comunque tollerate ed ammesse ed il Governo dovrebbe prendere adeguati provvedimenti in proposito.

PRESIDENTE. L’onorevole Rodinò Ugo ha facoltà di dichiarare se è sodisfatto.

RODINÒ UGO. Prendo atto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario e lo ringrazio per i chiarimenti che ci ha fornito e per le assicurazioni che ci ha dato. Confido però che l’inchiesta prosegua e che vengano accertate le responsabilità anche in rapporto dalla deficiente azione preventiva e repressiva delle autorità locali.

È ben vero che i dirigenti del Partito comunista non avevano in alcun modo dato avviso del corteo che pur avevano, ai loro fini, accuratamente preordinato, ma le autorità avrebbero dovuto aver conoscenza dei preparativi, avrebbero dovuto tener conto della possibilità che il corteo avesse luogo e, comunque, mettersi in grado di contenere se non di impedire la manifestazione. Il corteo invece si è formato, si è snodato lungo via Roma senza che la forza pubblica lo fiancheggiasse, lo seguisse e, per quanto fin dall’inizio si fossero levate grida ostili contro la Democrazia cristiana e contro l’onorevole De Gasperi, nessun efficiente servizio d’ordine fu predisposto e non fu provveduto nemmeno a presidiare la nostra sede, che pure è a pochi metri dalla Questura centrale.

E la deficienza delle autorità locali appare anche più grave, se si tiene presente che nelle prime ore della stessa mattina, mentre da tutti i più lontani centri della provincia affluivano nella nostra città forze comuniste autocarrate ed uniformizzate da grandi fazzoletti rossi, si erano verificati incidenti di minore gravità tra alcuni nostri giovani ed altri elementi comunisti, che muniti di apposite canne, strappavano dai muri i manifesti del nostro partito. E di tali incidenti, e specificatamente di uno occorso proprio in via Roma, la Questura era stata immediatamente informata.

Ma, senza perderci a sofisticare sulle giustificazioni addotte dalle autorità locali, certa cosa è che è stato possibile in una grande città come Napoli, tentare di assaltare la sede di un grande Partito, asportare le insegne, aggredire, malmenare e ferire gli iscritti che si trovavano sul posto, tra i quali un componente di questa Assemblea, e che, ad otto giorni di distanza, la Questura non solo non ha potuto identificare i responsabili e deferirli alla Autorità giudiziaria, ma non ha compiuto nemmeno serie indagini, tralasciando persino di interrogare o chiedere chiarimenti a quanti, e tra essi lo stesso onorevole Riccio, la violenza avevano subito.

Noi non vogliamo, con interrogazioni a serie su questo e quello incidente, isolati o deliberatamente preordinati e coordinati che vogliano considerarsi, esasperare la situazione parlamentare che è venuta a crearsi e dare intralcio all’opera del Governo, ma non possiamo non rilevare che gli incidenti di Napoli rivestono una certa gravità e che l’impressione prodottasi nella parte sana e ben pensante della cittadinanza è assai penosa.

Lo stesso Partito comunista è stato costretto a deplorali pubblicamente, ma permettetemi, amici comunisti, che io ve lo dica: questa storiella di elementi irresponsabili infiltratisi nelle vostre file, questa volta non possiamo berla (Approvazioni al centro), non solo perché è rancida, ma perché anche dai documenti fotografici in nostro possesso risulta che l’irruzione nel cortile della nostra sede si è effettuata in massa, bandiere in testa, e noi non possiamo farvi il torto di supporre che affidiate le vostre bandiere ad alfieri scelti tra elementi estranei, male intenzionati od irresponsabili!

CARBONARI. Squadrismo!

VOLPE. Fascismo!

RODINÒ UGO. Ma io desidero soprattutto richiamare l’attenzione, non solo del Ministro dell’interno e del Governo, ma di tutti i componenti di questa Assemblea, sull’assoluta necessità di evitare qualsiasi forma diretta o indiretta, parziale o totale, di militarizzazione dei partiti e delle organizzazioni collaterali. Per il discorso dell’onorevole Togliatti a Napoli noi abbiamo visto scendere in campo vere e proprie formazioni qualificatesi «squadre d’ordine»: distintivo bracciale, fazzoletto rosso al collo, nervi di bue, sfollagente alla mano. (Commenti). Nessuno assume la paternità ufficiale di queste squadre, ma tutti gli ascoltatori dell’onorevole Togliatti, ancorché invitati con elegante cartoncino all’ingresso del teatro San Carlo, sono stati da esse accuratamente perquisiti, e lungo il percorso del corteo pacifici ed inermi cittadini sono stati insultati, malmenati ed invitati a gridare «evviva» o «abbasso» a seconda le indicazioni di questi novelli squadristi.

Voci al centro. Fascismo!

RODINÒ UGO. Tutta Napoli conosce l’esistenza di queste squadre, le vede entrare in azione, più o meno palesemente, in questa od in quella circostanza. Se ne conoscono i capi, i luoghi di riunione, si conoscono persino le officine, dove a spese dello Stato, si fabbricano questi sfollagente, che costituiscono l’arma, direi così, di ordinanza, ma certo non l’unica arma che queste squadre posseggono.

Organizzazioni del genere non possono, non debbono essere consentite o tollerate; occorre che il Governo intervenga, proceda con la massima energia e trovi largo appoggio per questa opera non solo nel Paese che, sulla via dell’ordine e della legalità già lo segue con appassionato, trepido entusiasmo, ma anche in quest’Assemblea.

Queste squadre ad altro non mirano che ad imporre ed imporsi con la violenza: e la violenza da qualsiasi parte organizzata o esercitata, contro chiunque diretta, deve essere repressa, energicamente repressa, perché costituisce non solo offesa gravissima ai diritti più sacri della personalità umana, ma un pericolo vero e reale per le istituzioni democratiche.

Dopo le recenti e tristi esperienze fassciste, la giovane Repubblica italiana verrebbe meno alle sue finalità essenziali, mancherebbe, direi, alla sua ragion d’essere, se non fosse in grado di difendere e consolidare le istituzioni democratiche del Paese, per il cui ripristino noi tutti abbiamo sofferto, combattuto e vinto. (Applausi al centro). Ho fiducia che il Governo saprà provvedere e provvederà. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Amendola ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

AMENDOLA. Ho presentato la mia interrogazione al Ministro dell’interno, per due motivi. Innanzi tutto, volevo avere l’occasione di rinnovare, in questa sede, la deplorazione che già a Napoli, immediatamente, io personalmente, e la Federazione comunista, facemmo dell’incidente, di cui l’onorevole Riccio è stato vittima. Io so che di questa deplorazione la stampa democratico-cristiana ha voluto mettere in dubbio la sincerità ed i motivi, e la cosa mi ha offeso anche personalmente (Commenti al centro), perché mi sembra che questo atteggiamento, di mettere in dubbio cioè la sincerità delle affermazioni, viene a rompere una tradizione napoletana di cortesia doverosa anche tra avversari politici. Esso è inoltre l’indice di un malcostume politico: forse perché si usa di non fare affermazioni sincere, si finisce col mettere in dubbio la sincerità delle affermazioni altrui.

Una voce al centro. I colpevoli siamo noi!

AMENDOLA. Inoltre, volevo avere l’occasione di ristabilire la reale portata dell’incidente. L’interrogazione dell’onorevole Rodinò parla di «squadre d’ordine», di elementi che portavano il contrassegno «Squadre d’ordine», e precisa che questi contrassegni erano portati con bracciali e al petto e che un corteo sarebbe stato organizzato dalla Federazione comunista. Ora, chi è stato a Napoli sa che la manifestazione di domenica 22 giugno al teatro San Carlo, è stata una manifestazione alla quale sono stati invitati rappresentanti di tutti i partiti politici, per ascoltare la parola dell’onorevole Togliatti. Erano presenti, fra gli altri, anche molti elementi dirigenti liberali e qualunquisti. Purtroppo, il teatro San Carlo ha un numero limitato di posti, ed una gran folla di cittadini, desiderosa di ascoltare la parola dell’onorevole Togliatti, rimase fuori del teatro, sulla piazza San Ferdinando e nella Galleria. Ed è da parte di questi cittadini napoletani, i quali non avevano avuto la fortuna di entrare nel San Carlo, che ha avuto luogo una manifestazione spontanea. (Commenti al centro).

Una voce al centro. Coi nervi di bue!

AMENDOLA. Quando noi a Napoli abbiamo voluto organizzare una manifestazione, l’abbiamo organizzata e ce ne siamo assunti la responsabilità.

Una voce al centro. Anche per quella di Venezia!

AMENDOLA. Questi cittadini, dopo avere ascoltato la parola dell’onorevole Togliatti attraverso la radiotrasmissione in Galleria, tornando a casa per via Roma, hanno improvvisato un corteo. Arrivati avanti alla sede della Democrazia cristiana, essi si sono incontrati con l’onorevole Riccio che si trovava ad uscire dalla sua conferenza. Un illustre cittadino napoletano, il professore Jannelli, il quale si trovava presente, ha precisato sulla stampa la sua testimonianza. Egli ha visto l’onorevole Riccio tentare di uscire con la sua automobile e pretendere di rompere la manifestazione che passava per via Toledo. È evidente che in questa situazione un incidente non poteva non nascere, e, per quanto sempre deplorevole, esso è stato ridotto ai minimi termini, proprio per l’intervento di alcuni compagni che hanno cercato di evitare confusioni maggiori e di riportare la calma. E non ha avuto luogo nessun tentativo di invadere la sede della Democrazia cristiana. Si è parlato di bracciali con la dicitura «squadre d’ordine». In ogni manifestazione politica, ed anche nelle vostre, immagino, nella sala c’è sempre un certo numero di militanti i quali prestano il loro servizio per fare in modo che la manifestazione proceda nel miglior ordine. Anche domenica, al teatro San Carlo, un piccolo numero di militanti ha prestato volenterosamente la sua opera. Ma queste persone portavano un bracciale, sul quale non era scritto affatto «squadre d’ordine». Esse portavano un semplice bracciale tricolore, senza alcuna dicitura, come questo che ora mostro. Questo dettaglio dimostra che l’interrogazione si riferisce a dati di fatto inesistenti. E, come non c’erano i bracciali con la dicitura «squadre d’ordine», così non c’erano i nerbi di bue. Forse l’onorevole Riccio, sotto l’effetto del colpo ricevuto invece di vedere le tradizionali stelle, avrà creduto di vedere cose che non erano se non nella sua fantasia, o che la volontà partigiana di qualche presente ha deliberatamente inventate. (Commenti).

Bisogna anche dire che l’onorevole Riccio a Napoli è noto per la sua intemperanza ed il suo spirito fazioso. (Proteste al centro).

È noto, per esempio, che l’onorevole Riccio, in occasione di una benefica iniziativa napoletana, che ha permesso a ottomila bambini di recarsi da Napoli in altra regione ospitale per ricevere una amorosa assistenza, ha prestato man forte ad una propaganda calunniosa che ha sostenuto addirittura che questi bambini – che dovevano andare in Emilia – sarebbero stati messi in gabbia, ed altre simili fandonie.

In occasione delle elezioni di Bosco Tre Case l’onorevole Riccio la sera del 14 giugno ha annunciato che chissà quali violenze sarebbero state effettuate all’indomani da parte dei comunisti. Per fortuna gli elettori di Bosco Tre Case hanno pensato democraticamente a fare giustizia di simili calunniose affermazioni. Ed è probabilmente anche in seguito ad atteggiamenti così faziosi che la Democrazia cristiana ha visto a Napoli, nelle ultime elezioni, che si sono succedute dal 2 giugno ad oggi, diminuire i suoi voti del 40-50 per cento. (Commenti – Interruzioni al centro).

Una voce al centro. Perché non chiedete perdono?

AMENDOLA. Chiedetelo voi, perché noi non abbiamo fatto niente.

Non merita quindi di essere ingrandito questo incidente occorso all’onorevole Riccio ed esso non deve formare oggetto di una speculazione politica, come è accaduto invece quando si è fatto uscire il giornale Il Domani d’Italia con un titolo a quattro colonne sullo squadrismo rosso a Napoli.

Tutto questo fa parte evidentemente di un tentativo che si svolge su larga scala e con il quale si cerca di creare la leggenda di uno squadrismo rosso (Commenti – Interruzioni al centro) e di una minaccia da sinistra contro la libertà democratica, minaccia che si contrapporrebbe alla minaccia che viene da destra.

E una vecchia storia questa. Io ero ancora ragazzo allorché si faceva lo stesso, e me lo ricordo bene. Si parla di violenze da sinistra e da destra, di necessità dello Stato di applicare imparzialmente la legge contro gli uni e gli altri. Ma in realtà la minaccia viene sempre da una parte. (Interruzione dell’onorevole Mazza).

Onorevole Mazza, a Napoli la situazione è molto migliorata dal punto di vista dell’ordine pubblico e della pacificazione, tanto che negli ultimi mesi non si sono avuti a deplorare altri incidenti. Ed io non esito a riconoscere che a Napoli anche i dirigenti qualunquisti hanno, in questo periodo, contribuito, accanto a noi, ad ottenere una pacificazione degli animi, ed il mantenimento dell’ordine pubblico. Dicevo, dunque, che si cerca di creare questa leggenda di squadrismo rosso, che si contrapporrebbe allo squadrismo nero.

Io ricordo che nel 1922 si parlava di violenze da una parte e dall’altra, ma il Governo, mentre disarmava gli Arditi del popolo lasciava armare le squadre fasciste, mentre reprimeva lo sciopero legalitario lasciava strada libera alla marcia su Roma. Ogni volta che, in Italia ed in Europa, si è detto di lottare su due fronti e contro un preteso pericolo che venisse alle libertà democratiche da sinistra, si è in realtà sempre finito col favorire i movimenti fascisti. La stessa situazione si cerca di creare oggi in Italia. (Proteste a destra). In realtà, l’unico pericolo contro la libertà democratica che c’è oggi in Italia, viene dalla parte di coloro che sono responsabili degli eccidi di Sicilia e della distruzione delle sedi comuniste. (Applausi a sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale, che deve rispondere ad un’interrogazione dell’onorevole Benedettini, ha degli impegni che lo costringono ad assentarsi, ha chiesto che ne sia consentito lo svolgimento anticipato.

Do quindi lettura dell’interrogazione dell’onorevole Benedettini:

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere quali criteri si sono adottati e a quali interessi si è obbedito al suo Ministero, nel designare gli osservatori presso la Commissione di ricevimento e di avviamento degli operai italiani, istituita a Buenos Aires ai sensi dell’articolo 13 dell’accordo stipulato fra l’Italia e l’Argentina nel febbraio ultimo scorso; dato che i designati si dicono tutti elementi di sinistra, e nessuno di essi sembra offrire, per preparazione ed esperienza, quel minimo di attitudini che si richiedono per una funzione del genere. Per sapere altresì quanto vi sia di vero nella voce, secondo chi, da parte di alcuni nostri impresari assuntori di lavori in Argentina, si eserciterebbero indebite pressioni per ottenere la nomina di altri osservatori di loro fiducia, di guisa che i giudici del loro operato sarebbero per essere, secondo un triste costume in vigore, giudici di parte».

L’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale ha facoltà di rispondere.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L’onorevole interpellante, in sostanza, domanda:

primo, quali sono i criteri che sono stati seguiti dal Ministero del lavoro per la nomina degli osservatori previsti dall’articolo 13 degli accordi sull’emigrazione tra l’Italia e l’Argentina;

secondo, se nell’effettuare queste nomine si sia obbedito a particolari interessi e quali;

terzo, se i funzionari designati quali osservatori, appartengano, secondo quanto all’onorevole interrogante è stato detto, tutti a partiti di sinistra;

quarto, se è vero o meno che essi non abbiano preparazione in materia di emigrazione e di lavoro all’estero;

quinto, se si siano esercitati, o se si stiano esercitando, da parte di imprenditori italiani assuntori di lavori in Argentina, delle indebite pressioni sul Ministero del lavoro per ottenere che le ulteriori nomine siano di gradimento degli stessi imprenditori.

Questi sono i cinque quesiti che, se non ho mal compreso, l’onorevole Benedettini ha posto al Ministero del lavoro. Per quanto riguarda il primo punto, se cioè siano stati seguiti dei criteri razionali, da parte del Ministero del lavoro, io debbo riconoscere che sono stati seguiti questi criteri dall’onorevole Romita, il quale provvide alla nomina dei primi tre osservatori in Argentina. Uno di questi osservatori, infatti, fu designato dal Ministero del lavoro, in quanto si trattava di un funzionario della divisione speciale presso il Gabinetto che si occupa delle questioni internazionali e particolarmente dei problemi dell’emigrazione. Il secondo osservatore fu nominato su designazione del Ministero degli esteri ed è supponibile, da tutti i particolari di cui è venuto a conoscenza il Ministero che ha seguito la pratica – ed è quindi anche riconoscibile da parte mia – che il predetto possedesse le qualità adatte per la funzione cui era chiamato. Il terzo è stato nominato su designazione della Confederazione generale del lavoro, e da questa riconosciuto elemento idoneo, dal punto di vista delle particolari funzioni che gli osservatori avrebbero dovuto esplicare presso i nostri lavoratori in Argentina.

Credo che con quanto ho potuto sinora chiarire, io abbia anche risposto al secondo quesito posto dall’interrogante, se cioè, nell’effettuare queste nomine, si sia obbedito a particolari interessi: a nessun interesse si è obbedito, ma si sono voluti soltanto inviare nostri osservatori che fossero in grado di assistere, di dirigere, di orientare i nostri lavoratori e di riferire al Ministero intorno a tutti i problemi che avrebbero dovuto interessare il Ministero del lavoro e quello degli esteri.

Per quanto riguarda la qualifica politica di questi tre osservatori, mi risulta di certo che uno – il dottor D’Elia – appartiene al Partito socialista italiano; un secondo – il dottor Falchi – non risulta appartenente ad alcun partito; il terzo – il dottor Baldelli – rappresenta in seno alla Confederazione generale del lavoro la corrente sindacale cristiana.

Che esistessero delle pressioni in materia da parte di imprenditori, di assuntori, devo escluderlo – almeno per quanto mi riguarda – nella maniera più assoluta. Io non ho ricevuto nessuna pressione da quando sono al Ministero. Mi consta che non abbia ricevuto nessuna pressione di sorta da parte di imprenditori il mio predecessore onorevole Romita. Del resto, la scelta dei tre osservatori dimostrerebbe che egli, anche se ha ricevuto queste pressioni non vi ha acceduto.

Si può concludere questa risposta assicurando l’onorevole interrogante e tutti gli altri che possono avere interesse in materia che evidentemente queste nomine non sono fatte per l’eternità. Del resto, l’accordo stesso italo-argentino non prefigge una particolare durata di questa missione, dipendendo dal modo di esplicare la mansione la conferma o meno di questi osservatori in Argentina.

E a questo proposito il Ministero non ha preconcetti di sorta e obbedisce solo a questo criterio: far sì che gli osservatori siano in grado di tutelare il meglio possibile gli interessi dei nostri lavoratori costretti ad emigrare all’estero.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BENEDETTINI. Secondo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Ministro del lavoro dovrei dichiarare di essere sodisfatto, perché le notizie da lui date sono evidentemente confortevoli.

Però mi limito a notare che effettivamente da parte di taluni esponenti si è dichiarato che le persone inviate – partite in buona parte, mentre qualcuno ancora deve partire – non siano proprio gli elementi più adatti per rappresentare questa categoria di lavoratori. È vero che l’articolo 13 degli accordi con Buenos Aires non stabilisce la categoria dalla quale dovrebbero essere prelevati questi osservatori, ma è opportuno che essi siano scelti fra persone di specifica competenza che possano garantire in modo assolutamente imparziale gli interessi dei nostri lavoratori in Argentina.

Sembrerebbe che, a quanto mi è stato riferito – prendo atto però di quanto ha detto l’onorevole Ministro – non fossero eccessivamente gradite persone che rappresentano partiti che hanno avuto modo di fare delle manifestazioni tutt’altro che favorevoli, specialmente in occasione della presenza a Roma della signora Peron, alla quale non è stata certo fatta una dimostrazione molto simpatica, che ha dato una nota poco opportuna…

Una voce a sinistra. Sono andati a cantare «Giovinezza».

BENEDETTINI. …poco opportuna e poco educata. Mentre tutta l’Italia dimostrava alla signora Peron la sua ammirazione, c’è stato qualche partito che ha creduto opportuno fare manifestazioni contrarie. (Interruzioni a sinistra).

Ora, scegliere in questi partiti i rappresentanti dei nostri lavoratori credo che non sia eccessivamente politico.

Una voce a sinistra. Ci andrà lei.

BENEDETTINI. Comunque, io mi devo attenere alle affermazioni dell’onorevole Ministro e quindi sperare che queste persone facciano il loro dovere.

Mi auguro, però, che se si dovessero eventualmente, come speriamo, mandare laggiù altri osservatori, essi siano scelti fra le persone competenti, fra i rappresentanti del Ministero del lavoro che possano effettivamente dare maggiore garanzia di effettivo lavoro, indipendentemente da pressioni di partito.

Mi dichiaro, pertanto, sodisfatto.

ROMITA. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROMITA. Vorrei assicurare l’onorevole Benedettini che i nomi non sono stati scelti da me, ma dagli organi che l’onorevole Ministro ha indicato; e dirò di più, che forse le persone scelte non avrebbero avuto il mio consenso perché, essendo elementi di primo piano, non volevo privare il mio Ministero di elementi così bravi. Avrei cercato persone estranee, perché non avrei voluto privare il Ministero del lavoro, che non ha grande abbondanza di bravi funzionari, di quelli che credevo i migliori. Ho nominato quelle persone perché mi furono indicate dagli organi competenti e dal Direttore generale del Ministero stesso.

PRESIDENTE. Riprendendo l’ordine delle interrogazioni, passiamo a quella dell’onorevole Russo Perez, al Ministro dell’interno:

«Per sapere quali misure ha preso o intenda prendere il Governo per l’aggressione comunista al Mattino di Sicilia di Palermo, alla sede dell’Uomo qualunque di Pistoia e di altre città».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il 23 giugno ebbe luogo a Palermo, in piazza Bologna, un comizio di protesta per i noti fatti verificatisi la sera precedente in Sicilia. Successivamente un centinaio di dimostranti, dichiaratamente appartenenti a partiti di sinistra, direttisi verso la sede del giornale Il Mattino di Sicilia in via Maqueda, entravano nell’androne che immette ai locali della redazione; per il pronto intervento di agenti di polizia, furono dispersi e allontanati.

Altri dimostranti, contemporaneamente, dirigendosi per vie diverse, fermavano, all’altezza di Via Napoli e dei Quattro Canti, alcuni strilloni dello stesso giornale, ai quali strappavano un migliaio di copie, che distruggevano immediatamente sul posto.

Risulta che molti dei dimostranti erano armati di bastone. Un solo strillone però rimaneva contuso. Sono state date severissime disposizioni per l’accertamento dei responsabili e per i conseguenti provvedimenti.

Anche a Pistoia, in occasione di manifestazioni per i fatti di Sicilia, un gruppo di scalmanati si presentava alla sede del Fronte democratico, ma venne disperso dalla forza di polizia.

Più tardi altri scalmanati si ripresentavano alla detta sede ed a quelle del Movimento sociale e dell’Uomo qualunque; e, poiché a quell’ora erano cessati i servizi di polizia predisposti in relazione alla manifestazione, riuscivano a penetrarvi mettendone a soqquadro le suppellettili, asportando giornali e persino bandiere nazionali che poi bruciavano sulla piazza. La polizia, obbedendo a precise disposizioni ricevute dal Governo, ha subito attivamente ricercato i colpevoli dell’invasione, e, secondo una comunicazione che ho ricevuto poco fa, essi sarebbero stati identificati e già denunciati all’autorità giudiziaria per il danneggiamento loro attribuito.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RUSSO PEREZ. Che io sia parzialmente sodisfatto o parzialmente insoddisfatto non ha importanza. Io penso che i fatti che accadono oggi in Italia, gravissimi quelli di Sicilia, gravissimi quelli di Cremona, gravissimi quelli di Venezia, meritino un esame sereno, ma approfondito.

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, non vorrei che ella decampasse fin dall’inizio dal tema della sua interrogazione; ella sa che la sua è un’interrogazione, non un’interpellanza.

L’interrogazione si riferisce ad un fatto specifico. Questo lo dico ora, perché mi sia risparmiato più tardi di doverla, cosa sempre spiacevole, richiamare all’argomento.

RUSSO PEREZ. L’onorevole Scoccimarro, su questo tema, ha parlato esattamente 40 minuti; nessuno lo ha interrotto; io parlo sullo stesso tema; chiedo la stessa tolleranza che c’è stata per l’onorevole Scoccimarro.

Se ella, onorevole Presidente, ritiene di interpretare più severamente il Regolamento, dichiaro di rinunziare alla parola.

PRESIDENTE. Mi sembra che ella abbia impostata la questione procedurale in modo non esatto. Quello dell’onorevole Scoccimarro non può essere un precedente che modifichi le norme del Regolamento.

Ritengo mio dovere di usare la massima tolleranza ugualmente per tutti i deputati, di tutti i settori, una tolleranza, però, che non porti a mettere nel nulla precise norme regolamentari.

Ella, onorevole Russo Perez, esordisce parlando di cose del tutto diverse da quelle che sono oggetto della sua interrogazione; questo mi permetto di farle presente.

RUSSO PEREZ. Rispondo cortesemente che mi è necessario parlare per più di dieci minuti; se Ella non lo permette, rinunzio a parlare e prego si inserisca a verbale la mia protesta.

PRESIDENTE. Non protesta; ma si inserisce a verbale che il Presidente, richiesto di dare preventiva autorizzazione a violare il Regolamento, non ha creduto di poterlo fare.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Gullo Fausto, al Ministro dell’interno, «per sapere se è a conoscenza di una circolare, che sarebbe stata diramata dalla Questura di Roma e, si pensa, anche dalle altre Questure, a mente della quale è fatto divieto alle organizzazioni dei partiti politici di usare in comizi e in altre manifestazioni impianti per la diffusione sonora delle manifestazioni stesse. Per sapere altresì, nel caso l’onorevole Ministro abbia approvato la circolare suddetta, se egli concorda sul parere espresso dalle autorità locali di pubblica sicurezza e cioè che essa trova la sua giustificazione nel decreto-legge 3 febbraio 1936, n. 418, contenente «norme per l’uso degli apparecchi di radiodiffusione all’aperto e nei pubblici esercizi», convertito in legge 4 giugno 1936, n. 1521, che vieta ai possessori degli apparecchi radioriceventi di farne uso in pubblico. E per sapere se l’onorevole Ministro non ritenga opportuno riesaminare attentamente il testo della legge in parola, la quale, avendo fini protettivi di monopolio delle trasmissioni radiofoniche ed essendo stata a suo tempo promossa dal Ministro per la stampa e propaganda, non può avere applicazione in campi diversi e tanto meno diventare un mezzo per limitare le libertà politiche dei cittadini».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Le disposizioni, alle quali si riferisce l’interrogazione, sono state impartite non oggi, ma con lettera del 7 ottobre 1946 della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Recentemente, in seguito a reclami pervenuti, ne è stata semplicemente richiamata l’osservanza.

Il lamentato divieto riguarda la propaganda politica fatta all’aperto a mezzo di altoparlanti installati nelle sedi di partito, nonché quella fatta per le strade, con altoparlanti installati su automobili; non riguarda l’uso di tali apparecchi nelle manifestazioni politiche, anche pubbliche e preventivamente autorizzate, a norma di legge.

Esso divieto ripete la propria giustificazione dal principio, rigorosamente democratico, che la libertà di parola e di propaganda finisce là dove sorge l’altrui diritto a non subire l’imposizione forzata della propaganda avversaria, imposizione alla quale sono particolarmente idonei i mezzi meccanici o elettrici e che trova argomento nelle disposizioni di cui all’articolo 113 del testo unico della legge di pubblica sicurezza, che sottopongono a licenza non soltanto le pubblicazioni di notizie a mezzo di sistemi grafici ed ottici, ma altresì a mezzo di sistemi acustici.

D’altra parte, la diffusione di notizie di carattere politico dalla sede di qualsivoglia partito a scopo propagandistico non può non destare nell’autorità di pubblica sicurezza una particolare preoccupazione ai fini della tutela dell’ordine pubblico, potendo esso facilmente determinare assembramenti e quindi contrasti.

Se fosse consentito di fare della propaganda pubblica con tali mezzi, senza autorizzazione della pubblica sicurezza, sarebbe inoltre facile frodare le leggi che prescrivono l’autorizzazione preventiva, e di volta in volta, per le pubbliche manifestazioni.

Non si tratta, quindi, di disposizioni contrastanti con il nuovo clima democratico, ma di norme oggettivamente necessarie per la pacifica e ordinata convivenza dei cittadini.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GULLO FAUSTO. Devo dichiarare di non essere per nulla sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato, anche perché la sua risposta non ha niente a che vedere con i dati precisi della mia interrogazione, i quali si riferiscono appunto a dimostrazioni autorizzate per le quali è stato fatto divieto di usare l’amplificazione.

Io non so se l’onorevole Sottosegretario ha la lettera inviata dal Questore (parlo del Questore di Roma; nella mia interrogazione ho detto che non so se da altre Questure siano partiti ordini simili, ma dalla Questura di Roma sì).

La lettera dice: «Poiché è noto, in conformità delle disposizioni impartite dalla Presidenza del Consiglio, che l’uso degli altoparlanti è vietato per ogni attività inerente la politica, ecc.».

C’è anche questo da osservare: che è veramente contrastante con un clima che si possa dire veramente democratico, il fatto che al cittadino riesce non solo difficile, ma assolutamente impossibile, molte volte, conoscere le ragioni per cui la pubblica sicurezza impone un determinato divieto.

Guardi, che noi siamo potuti arrivare a conoscere i motivi di questo divieto impartito dal Questore di Roma, semplicemente dopo avere avanzato molteplici istanze.

Dalla Questura di Roma non si riusciva mai a sapere in base a quali disposizioni di legge, in base anche a quali circolari si potesse vietare l’uso degli altoparlanti.

Ma, ripeto, l’onorevole Sottosegretario non ha risposto alla mia interrogazione, perché, torno a dire, la circolare del questore di Roma, di cui alfine si è potuto avere notizia dopo parecchie richieste, e che è del 12 giugno 1947, si rifà, sì, alla lettera della Presidenza del Consiglio, ma parla di qualsiasi manifestazione politica e dice che per qualsiasi manifestazione politica, anche autorizzata, non può farsi uso dell’altoparlante e quindi della diffusione amplificatrice.

La cosa è più grave di quanto si possa pensare se noi limitiamo la nostra osservazione semplicemente al piccolo episodio; ma anche il piccolo episodio ha il suo valore sintomatico.

Noi torniamo verso un ordinamento che ha delle solenni affermazioni di libertà democratica le quali poi, attraverso questi espedienti polizieschi, non hanno possibilità di essere esercitate. E si ha quindi che in un clima che si dice democratico può accadere che in base alla lettera di un questore si riesce a vietare l’uso dell’altoparlante per determinate manifestazioni politiche. E c’è anche da considerare un altro e più condannevole aspetto e cioè che il divieto avviene solo per determinate manifestazioni politiche.

Avantieri, per esempio, ha parlato l’onorevole Piccioni, il quale si è servito dell’altoparlante…

PICCIONI. No, c’era l’altoparlante interno, ma fuori non c’era.

GULLO FAUSTO. …invece i giovani comunisti avevano una manifestazione al Quarticciolo e proprio in occasione di questa manifestazione, che del resto era autorizzata, è stato loro imposto il divieto dell’amplificazione.

Una voce al centro. Il divieto di usarla fuori della sala è diverso.

GULLO FAUSTO. Ma anche a lasciar da parte questo aspetto della questione, resta sempre il punto centrale, ossia che non è concepibile che si possa limitare la libertà del cittadino attraverso un divieto poliziesco che non si rifà a nessuna legge. C’è sì la circolare della Presidenza del Consiglio, circolare, del resto, che non ha avuto mai applicazione prima del 12 giugno 1947, ossia prima della formazione del nuovo Governo; ma anche la circolare della Presidenza del Consiglio da quale legge è giustificata? Qui c’è una sola norma (e badi il Sottosegretario, che anche per sapere che appunto a questa norma intendeva riferirsi con la sua circolare il Questore di Roma, si è dovuto cercare a destra e a sinistra), cioè il decreto 3 febbraio 1936 contenente disposizioni per l’uso degli apparecchi di radiodiffusione all’aperto e nei pubblici esercizi. E qui si torce in maniera veramente violenta dal punto di vista giuridico e dal punto di vista democratico il significato di questa legge. Questa legge fu proposta dall’allora Ministero per la stampa e la propaganda, ed aveva tutt’altro scopo, quello cioè di vietare che venissero diffuse con alto-parlanti le trasmissioni della radio centrale, ad un fine evidentemente ed esclusivamente fiscale. Ed è a questa norma che ci si richiama per emettere la circolare della Presidenza del Consiglio, la quale quindi è certamente illegale. Non perché l’ha emessa la Presidenza del Consiglio, essa può acquistare una giuridicità che manca, non trovando essa fondamento in nessuna norma di legge. Tanto più illegale è la circolare del Questore la quale, andando molto al di là della stessa circolare della Presidenza de Consiglio, dice che per qualsiasi manifestazione, anche autorizzata, deve essere vietato l’altoparlante. Io chiedo all’onorevole Sottosegretario che voglia esaminare la questione da questo aspetto e non dall’aspetto da cui l’ha esaminata dando a me la risposta, e se risulta al Ministero dell’interno che il Questore di Roma, anche per manifestazioni autorizzate, ha imposto il divieto dell’altoparlante. E poiché oggi l’onorevole Sottosegretario non ha affatto risposto a questa domanda, io non posso non dichiararmi assolutamente insoddisfatto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Sansone, Cacciatore e Mancini:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere in base a quali disposizioni e da chi emanate i carabinieri di Quarto Marano (Napoli) nella mattina del giorno 28 maggio scorso hanno proceduto, senza esibire alcun mandato di autorità giudiziaria né ordini superiori, a una serie di perquisizioni domiciliari nella casa di numerose famiglie di iscritti al Partito socialista italiano, perquisizioni tutte compiute con esito negativo e dirette, a detta dei procedenti, al rinvenimento di armi.

E per conoscere se non ritenga che tale atto, non conforme alle norme procedurali e avente carattere di prevenzione di parte e che ingenera sfiducia e discredito verso gli organi incaricati dell’ordine pubblico, non meriti la sanzione disciplinare opportuna».

Poiché nessuno degli onorevoli interroganti è presente, si intende che essi hanno rinunziato all’interrogazione.

Seguono le interrogazioni degli onorevoli Piemonte, Pera, Di Gloria, Grilli, Paris, Bianchi Bianca, Bordon, Pertini, Zanardi, Bocconi, Bennani, Momigliano e Lussu:

«Al Ministro del tesoro, per sapere se sia conforme al vero l’informazione data dal Journal de Genève, n. 139 del 17 giugno, secondo la quale un vagone di carta filogranata, stampi di biglietti da mille lire, macchine per imprimerli, siano stati clandestinamente trasferiti in uno Stato estero e avrebbero servito a fabbricare moneta italiana, e per sapere, nel caso che la notizia abbia consistenza, quali provvedimenti intende prendere per discriminare la valuta italiana da quella fraudolenta».

e dell’onorevole Schiratti:

«Al Ministro del tesoro, per sapere quanto vi sia di vero nella allarmante notizia pubblicata dal Journal de Genève del 17 giugno e secondo la quale, nell’aprile del 1945, alla stazione di Aidussina, sarebbero caduti in mani jugoslave i clichés dei biglietti da mille, macchine per la loro stampa ed un’ingente quantità di carta filigranata, talché per lungo periodo vi sarebbe stata in territorio straniero stampa e messa in circolazione di cinquanta milioni mensili. Nell’ipotesi che tale notizia abbia fondamento, quali provvedimenti si intenda prendere».

Poiché le interrogazioni riguardano lo stesso argomento, l’onorevole Sottosegretario per il tesoro ha facoltà di rispondere a entrambe.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. La notizia pubblicata dal Journal de Genève, n. 139, del 17 giugno 1947, sulla cui veridicità sono state presentate le interrogazioni a cui si risponde, e secondo cui un vagone di carta filigranata per la stampa di biglietti da mille, un cliché e macchine per imprimerli sarebbero stati trasferiti in uno Stato estero, è una notizia che riproduce altra già data, nel novembre-dicembre 1946, da altri giornali stranieri ed italiani, e che trovò una netta smentita da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri con un comunicato in data 18 dicembre ultimo scorso e che forse giova qui ricordare.

Diceva quel comunicato: «Per quanto riguarda i biglietti attualmente in circolazione, si precisa che né dall’Istituto poligrafico dello Stato, né dall’Officina della Banca d’Italia, né da qualsiasi altro stabilimento sono mai stati asportati, e tanto meno trasferiti all’estero clichés di qualsiasi natura, in originale od in copia, o macchinari, e ciò né prima, né durante, né dopo l’occupazione tedesca.

Per quanto riguarda la carta per la stampa di alcuni tipi di biglietti attualmente in circolazione, evidentemente non utilizzabili senza i clichés che, come sopra è detto, non sono mai stati asportati, è esatto che, durante l’occupazione tedesca si verificarono dei furti, in seguito ad un bombardamento, ma si tratta di quantità limitatissime che, per la efficace azione svolta dalla polizia italiana, sono state quasi completamente recuperate presso i ricettatori. Si esclude, pertanto, che all’estero vi siano clichés e macchinari, o carta di provenienza italiana, utili per la stampa di biglietti attualmente in circolazione, e le notizie relative, destituite di fondamento, vanno senz’altro smentite a completa tranquillità del pubblico.

Il Governo deve confermare integralmente il suddetto comunicato, in quanto nessun elemento è da allora venuto in evidenza che possa modificare le affermazioni fatte. Tutto quello che è da aggiungere è che, nel frattempo, ad opera della polizia, si sono venuti recuperando anche altri quantitativi di carta filigranata, che nel suaccennato bombardamento di un vagone ferroviario avvenuto alla stazione di Pontelagoscuro, e nell’abbandono di un camion nei pressi di Brescia, avvenimenti verificatesi entrambi nell’aprile 1945, erano andati dispersi.

È da aggiungere pure che, nel bombardamento, una parte della carta andò bruciata, senza potersene accertare l’esatto quantitativo e nelle varie successive operazioni della polizia è risultato che, in qualche caso, i ricettatori, vistisi scoperti, hanno bruciato la carta in loro possesso, ed è risultato altresì che parte della carta è stata adoperata per scopi comuni, non criminosi.

In particolar modo, per quanto riguarda la carta utile per la fabbricazione dei biglietti da mille, su quintali 94 circa di carta dispersa, ne sono stati finora ricuperati quintali 81, ed è così da escludere che, se anche la carta mancante non fosse stata distrutta dal bombardamento, dai ricettatori, o in altro modo adoperata, essa non avrebbe potuto permettere che la stampa di un limitato quantitativo di biglietti; sicché devono essere definite fantasticherie le affermazioni secondo le quali, all’estero, si sarebbero metodicamente riprodotti con carta, clichés e macchinari italiani, quantitativi ingenti di nostri biglietti da mille.

La narrazione fatta dal giornale, al quale le interrogazioni si riferiscono, di vagoni vaganti pieni di carta filigranata per biglietti, di clichés e macchine per la stampa che sarebbero rimasti sulle ferrovie italiane per più di un anno, e che al momento della liberazione si sarebbero trovati alla stazione di Aidussina, è perciò del tutto fantastica e, ripetesi, riproduce negli stessi termini e in parte con le stesse parole, informazioni di stampa straniera del novembre 1946, già riprese dalla stampa italiana nel successivo dicembre e, come pure si è detto, messe a punto e smentite dalla Presidenza del Consiglio col comunicato del 18 dicembre ultimo scorso, riportato più sopra.

PRESIDENTE. L’onorevole Piemonte ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PIEMONTE. Mi dichiarerei totalmente sodisfatto, se non ci fossero alcune ombre che derivano, per esempio, se non ho capito male, dal discorso dell’ex Ministro del tesoro Bertone, il quale invocava il cambio della moneta anche per una ragione che è un po’ simile a quella dì cui si parla nell’interrogazione. D’altra parte, io abito una regione dalla quale si può dire che giornalmente una quantità enorme di merci, frumento, granoturco, bestiame, passa a prezzi proibitivi il confine ed è pagata a prezzi enormi. Per quanto vi sia la vigilanza anche da parte della Prefettura, non si è mai riusciti ad impedire questa emorragia delle cose più necessarie per il popolo italiano, che da più anni si verifica. Da dove vengono questi denari allora? Questa è la domanda.

TONELLO. Vendono il grano a 30.000 lire il quintale.

PRESIDENTE. L’onorevole Schiratti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SCHIRATTI. Sono proprio quelle ombre a cui ha accennato l’onorevole Piemonte, più ancora delle pubblicazioni sul Journal de Genève, che mi hanno indotto a fare questa interrogazione.

Da più anni, nelle nostre zone, assistiamo a dei fatti che non siamo riusciti ancora a spiegare. Tuttavia questi fatti una qualche spiegazione debbono averla. Si tratta di una quantità di grano per valore cospicuo, e soprattutto di bestiame; ma non basta: si tratta di macchine, di automobili, di autocarri, di camion, che vengono incettati in quelle zone evidentemente e notoriamente da emissari, da cittadini jugoslavi che trasportano fuori del territorio queste merci e che le pagano profumatamente, a prezzi cioè che determinano gravissimi squilibri monetari.

Ma c’è di più, ed è un fatto che al Governo non può essere ignoto: c’è una corsa all’accaparramento di immobili da parte di cittadini jugoslavi, a Trieste, per centinaia e centinaia di milioni, e tutto quanto si può comprare e concludere, si paga in biglietti da mille. È legittima allora la domanda: da dove vengono questi biglietti da mille? A noi non consta che in questo momento vi sia una bilancia commerciale tra l’Italia e la Jugoslavia, perché non vi sono scambi, e non è possibile quindi che tutto questo denaro provenga da un attivo di una bilancia commerciale che non esiste.

Ci può essere una risposta: il numerario di cui gli jugoslavi si sono impossessati presso le banche di Trieste e di Gorizia durante i 40 giorni è quello con cui si contratta. E pertanto noi abbiamo il diritto di sapere dal Governo qualcosa di più preciso anche a questo riguardo, affinché quelle popolazioni sappiano spiegarsi questo mistero e non restino sempre in uno stato di grave perplessità.

Io desidero cogliere l’occasione per fare una modesta raccomandazione di carattere personale al Governo, ed è questa: i veli e le reticenze, talvolta, se non quasi sempre, sono controproducenti: hanno specialmente un influsso malefico sulla psicologia del popolo. I veli e le reticenze – mi si perdoni un semplice inciso – sui fatti del Poligrafico, se ne convinca il Governo, non giovano nemmeno essi, perché fanno lavorare la fantasia e portano a ingrandire le cose anziché diminuirle. Se, viceversa, si precisassero i fatti, anche se dolorosi e spiacevoli, nella loro reale entità, non ci sarebbe più luogo a commenti e fantasie. Chiudo la parentesi e ritorno al punto che ha formato oggetto dell’interrogazione e dico che non è possibile che il Governo non abbia gli elementi per sapere a quanto ammonti il numerario che è stato asportato dalle casse delle banche d’Italia di Gorizia e di Trieste da parte degli jugoslavi. Sarebbe almeno possibile stabilire se effettivamente questo strano, incomprensibile uso di valuta italiana da parte della Jugoslavia abbia o meno questa origine.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Desidero dare un chiarimento all’onorevole Piemonte, il quale ha trovato che vi sarebbe una contradizione fra le affermazioni, le assicurazioni, le garanzie date da me poco fa sull’argomento e le affermazioni che aveva fatto invece al riguardo l’ex Ministro del tesoro Bertone in un suo discorso all’Assemblea, in ordine all’impossibilità di realizzare il cambio della moneta per effetto di certi inconvenienti, chiamandoli così, che si sarebbero verificati per i biglietti di banca.

Ma l’onorevole Bertone si riferiva evidentemente a quei biglietti che erano stati preparati per una nuova emissione di carta moneta, e precisamente per quei biglietti da 500 e da 1000 che non sono stati mai messi in circolazione. E ciò che era stato rubato non era se non un cliché a forma di pellicola fotografica. In realtà era avvenuto che l’autore stesso di tale cliché, il quale pure aveva tenuto un contegno fedele, fedelissimo, alle dipendenze dell’Amministrazione per venti o trenta anni, ha finito purtroppo per dimostrare che anche le persone fedelissime possono qualche volta cadere.

Ma l’Amministrazione dello Stato (il Tesoro), come era logico, non ha mai messo in circolazione, per ovvie ragioni, questi biglietti da 500 e da 1000 che erano invece destinati a sostituire i biglietti che sono tutt’ora in corso.

Le mie dichiarazioni si riferivano, invece, ai biglietti correnti, o a quelli che volgarmente vengono chiamati «lenzuoli», in viola o marrone, oppure a quelli specialissimi stampati in vari colori, su carta molto più sottile e che sono pure attualmente in corso. Ora, io posso e debbo confermare che i clichés di questi biglietti, sia dell’uno che dell’altro tipo, non sono stati mai smarriti, né asportati fuori del territorio dello Stato.

SCHIRATTI. Ma il Governo è in grado, sì o no, di dichiarare dove sono finiti i clichés che sono stati asportati dall’Aquila? Questo almeno vorrei sapere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. I clichés che furono trasferiti dalla Banca d’Italia dell’Aquila, per ordine del Governo repubblichino, vennero portati a Bergamo con l’assistenza dei rappresentanti della Banca d’Italia stessa, della Direzione generale del tesoro e del Poligrafico dello Stato. Essi erano infatti chiusi sempre in cassaforte e non potevano essere utilizzati se non appunto con il concorso di questi tre ispettori. Erano regolarmente registrati e non sono tornati a Roma se non mediante l’intervento di questi tre organismi: Banca d’Italia, Tesoro e Poligrafico. E sono regolarmente tornati tutti a Roma.

È quindi assolutamente impossibile che essi siano andati a finire all’estero; nulla di diverso è possibile affermare su questo argomento, a meno che non si voglia fare del romanzo.

Ora io mi rendo conto anche delle affermazioni fatte dall’onorevole Schiratti in ordine alla quantità di monete che circolano in certe zone, ma poiché l’interrogazione rivolta al Governo era questa: se è vero che è stato asportato un cliché, che sono state asportate macchine per la stampa di biglietti, che è stata asportata una ingente quantità di carta filigranata, io devo dire che – per il cliché e per le macchine – ciò non è esatto perché non si è verificata nessuna asportazione.

Per la carta filigranata, come ho detto, su 94 quintali di carta filigranata per stampa di biglietti da mille, ne sono stati recuperati 81. Degli altri 13 posso dire che essi comprendevano una partita minima per fabbricazione di biglietti comuni, correnti (quelli che prima chiamavo «lenzuoli») monocromi, grossi, del complessivo valore di quattro milioni di lire. Quella carta sarebbe stata utile per potere stampare tanti biglietti il cui importo non superasse i quattro milioni di lire; e una partita maggiore per fabbricazione di biglietti su carta tipo Aquila Ramy, e precisamente biglietti variamente colorati, e la cui carta ha una consistenza più sottile, del complessivo valore di 427 milioni di lire.

Tale tipo di biglietti è ritenuto tecnicamente non falsificabile, sia per la qualità della carta che non è possibile sostituire, sia soprattutto per la stampa.

Dunque, la carta, che non ancora è stata recuperata dallo Stato, ascende, come ho detto, a 13 quintali; quantità capace, in linea teorica, a fare stampare biglietti per un importo complessivo di 431 milioni.

Però di questi 13 quintali – come ho già affermato e come devo confermare – una parte andò distrutta nell’incendio conseguente al bombardamento; l’altra parte fu distrutta dagli stessi ricettatori (come ha osservato spesso la polizia), i quali, vistisi scoperti, hanno voluto fare scomparire il corpo del reato. E finalmente altra parte si è trovata sui banchetti anche nei mercati, perché le donnette se ne servivano per fare i rotoli dove mettere carne, pane, legumi, ecc.

Quindi non è esatto neppure ritenere che tutti i 13 quintali di carta, che ancora non sono stati recuperati, abbiano potuto essere utilizzati. Tutto ciò a prescindere dal fatto che l’utilizzazione della carta filigranata presuppone anche l’esistenza dei clichés e della macchina per stampare.

Ora, poiché è certo che né macchine né clichés sono stati asportati all’estero, è chiaro che la carta non ha potuto essere utilizzata per stampare autentici biglietti da mille. Può servire ai falsari per l’uso che noi tutti conosciamo, ma è chiaro che i biglietti sarebbero falsi per altro verso, perché non deriverebbero dall’applicazione di un vero cliché e dall’uso di una vera macchina.

Quanto alle osservazioni dell’onorevole Schiratti sui fatti del Poligrafico, devo dire che il comunicato l’ho scritto proprio io e ho detto tutta la verità e soltanto quella che era la verità. E non posso cambiare obiettivamente le cose per far piacere ad una parte o ad un’altra. La verità è quella consacrata nei comunicati del Ministero del tesoro che io ho scritto, e spero che l’Assemblea mi vorrà dare atto di questo, con la maggiore coscienziosità e con la maggiore comprensione del dovere che oggi ha, non solo il Governo, ma tutta l’Assemblea Costituente, in ordine alla fede che si deve prestare ai biglietti di Stato.

So benissimo che vi è stata nel pubblico e nella stampa una parte che voleva assolutamente lo scandalo ed ha ragionato così: il comunicato del Governo non sodisfa perché la verità è diversa, deve essere diversa. Ora se si parte da questa premessa pregiudiziale, che la verità è diversa, perché deve essere diversa, è chiaro che qualunque comunicato del Governo, non solo quello che ho avuto l’onore di redigere e di far pubblicare dalla stampa, non sodisferebbe l’opinione pubblica, la quale parte evidentemente da un pregiudizio. La verità è quella contenuta nel comunicato che ho avuto l’onore di far pubblicare, e confermo che nessun falso si è compiuto nel Poligrafico dello Stato: nessun cliché è uscito dal Poligrafico dello Stato, nessun biglietto falso si è stampato nel Poligrafico dello Stato, nessuna serie di biglietti doppi si è stampata nel Poligrafico dello Stato.

Ad ogni modo, tutto questo non fa parte dell’interrogazione odierna. Se qualcuno degli onorevoli colleghi intende sentire dal Governo come le cose si sono svolte, può fare una particolare interrogazione e noi risponderemo.

La stampa estera si è occupata di questa faccenda, cioè della dispersione di carta filigranata, nell’aprile del 1945; ha affermato che vi era stata sottrazione di clichés e noi sappiamo che la Gazette de Lausanne il 20 novembre 1946 ha fatto delle affermazioni che sono riprodotte, anche stilisticamente, nelle espressioni del Journal de Genève. Ed il romanzo che era nella Gazette de Lausanne è ripetuto dal Journal de Genève ed è riprodotto anche dalla stampa italiana.

Vorrei fare appello agli onorevoli colleghi, ed attraverso questa Assemblea Costituente, al Paese, per un senso di particolare comprensione. Noi abbiamo il diritto di pretendere anche dall’estero la fede pubblica per la nostra moneta e abbiamo il dovere di non creare delle storie romanzate anche sui biglietti di Stato, sui biglietti di banca, perché il nostro credito è una necessità per la ricostruzione economica e finanziaria del Paese.

PIEMONTE. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Le ultime parole pronunciate dal Sottosegretario di Stato per il tesoro potrebbero far supporre che gli interroganti, o almeno uno degli interroganti – io ho questa sensibilità politica – si siano prestati ad un giuoco contro la moneta italiana, fatto dal Journal de Genève prima e dalla Gazette de Lausanne dopo. Io credo, ammesse ed accertate tutte le circostanze ed affermazioni fatte dal Sottosegretario di Stato per il tesoro, che abbiano dato ad esso una magnifica occasione per chiarire le cose, metterle a punto, per cui tutta l’opinione pubblica all’interno e all’estero possa essere informata al riguardo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Magnani al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, «per sapere se abbiano compiuto passi presso le Autorità alleate competenti allo scopo di ottenere una commutazione della pena inflitta dal Tribunale militare alleato, testé riunitosi a Livorno, a carico di un cittadino italiano il quale, in occasione di uno dei più tragici bombardamenti della città di Grosseto, ha commesso atti che provocarono la morte di uno degli aviatori che avevano proceduto al bombardamento e il cui apparecchio era stato precipitato dalla contraerea; o se, non avendoli compiuti, non ritengano necessario ed urgente provvedere, dando così giusta soddisfazione all’unanime opinione pubblica».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Ministero degli affari esteri, non appena avuta notizia della condanna a morte del cittadino italiano Ido Turchi da parte della Corte militare di Livorno, si è vivamente e ripetutamente interessato sin dal 6 giugno in favore del condannato presso le competenti Autorità alleate.

Non si è mancato di far presente tutti gli elementi diretti e le circostanze particolari di fatto che potevano influire in favore della sospensione dell’esecuzione della pena capitale e di eventuali misure di clemenza.

Si ha notizia che la sentenza non è stata eseguita e che prossimamente la questione verrà presa in esame dal Comando supremo alleato.

PRESIDENTE. L’onorevole Magnani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MAGNANI. Mi risulta che in questi giorni i difensori del condannato a morte si sono rivolti al Comando alleato dicendo che l’accusa mossa al Turchi, imputato di avere ucciso un aviatore americano con un colpo di baionetta alla schiena, non risponde a verità; e che risulta invece da un certificato dell’Ospedale militare di Lucca che l’aviatore americano non è morto né per colpo di arma od altro, ma semplicemente per lesioni.

Le nostre organizzazioni hanno fatto presente che il Turchi non ha compiuto l’atto, in quanto che non vi sono testimonianze che avvalorino l’ipotesi sostenuta dal Comando alleato. Noi quindi chiediamo che il Ministro degli esteri intervenga anche presso le Autorità alleate, affinché la revisione del processo sia fatta con una certa sollecitudine, perché tutta la massa degli italiani e specialmente la popolazione di Livorno, riconoscono che il Turchi è innocente e che è stato compiuto un errore giudiziario; e chiediamo che anche attraverso l’opera del Governo le Autorità alleate riaprano il processo in maniera che il Turchi, padre di cinque bambini, possa essere restituito alla propria famiglia.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Badini Confalonieri, Giacchero; Bertone, Scotti Alessandro, Baracco, Bovetti, Bellato, Stella, Cremaschi Carlo, Villabruna, Bubbio, Raimondi, Bertola, Bordon, Geuna, Quarello, Grilli, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, «per sapere: 1°) quale fondamento di verità abbiano le notizie relative al fatto che – consenzienti tutte le autorità di dogana, di polizia e comunali – nella notte del 5 giugno ultimo scorso, 23 muli provenienti dalla Francia abbiano valicato il confine e siano stati regalati a cittadini dell’Alta Valle Roja, che avevano dimostrato simpatie filo-francesi, e precisamente 12 a Tenda e 11 a Briga; 2°) per conoscere ancora perché i sussidi ai profughi della zona (170 famiglie), onde consentire loro i mezzi di sostentamento in attesa di sistemazione e di lavoro, non siano regolarmente versati, contrariamente ai disposti di legge vigenti (creando giustificato malcontento); 3°) per conoscere, infine, se, di fronte al ben diverso trattamento che i filo-francesi ricevono dalle autorità della Nazione vicina, ritengano che il preannunciato plebiscito, che avverrà nell’assenza dei profughi e nel timore dei rimasti, non possa che servire ad invalidare l’altro plebiscito, operato in piena obiettività dai sindaci italiani e che – riconosciuto non coatto dalla stessa Commissione alleata – aveva dato una netta maggioranza contraria all’annessione francese. L’urgenza è motivata dalla imminente occupazione della Alta Val Roja da parte della Francia».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’interrogazione consta di tre parti. Alla terza risponderà il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La prima e la seconda sono di un valore molto diverso: la prima riguarda l’ingresso in Italia di un certo numero di muli che dai rapporti ufficiali giunti al Ministero risulta sia effettivamente avvenuto.

Ai primi di giugno sono stati segnalati alla frontiera alcuni transiti di muli, motivati dalla scarsità di foraggio nel nizzardo; da indagini fatte dopo la presentazione di questa interrogazione non è risultata alcuna interferenza di carattere politico, sia interna che estera.

È risultato, invece, che è sorta una certa dotta disputa tra il veterinario locale e l’addetto alla dogana, sui cui termini, in base alla relazione fatta dall’ufficio, credo di non poter riferire, per non venir meno, dato il tono troppo veristico, ad una certa linea di correttezza parlamentare. Metto questa relazione a disposizione dei colleghi che hanno presentato l’interrogazione.

Dalle indagini risulta che, dopo questa discussione tra gli organi competenti, sette muli furono rimandati indietro e gli altri fatti entrare, in base alle considerazioni della relazione.

Il secondo quesito, di maggiore importanza, riguarda i profughi di Briga e di Tenda. Dal Ministero sono state emanate disposizioni per dare a questi profughi lo stesso trattamento concesso ai profughi di Pola, cioè il trattamento più favorevole tra i profughi delle varie zone.

Era stata data al riguardo una precisa disposizione ai prefetti di Cuneo, Imperia, Torino, Genova ed Alessandria, zone dove era segnalata la presenza di questi profughi. Dopo la presentazione dell’interrogazione, nel dubbio che non fosse stato, in effetti, messo in pratica quanto disposto dal Ministero, è stato diramato un telegramma sia a quei prefetti, sia agli altri, richiamando la precisa disposizione del Ministero. A questo non risulta che vi siano richieste inevase nelle Prefetture. Se ai colleghi interroganti risulta, invece, il contrario, essi sono pregati di fornirci dati più concreti, in modo che si possa intervenire efficacemente presso le Prefetture.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, ha facoltà di rispondere per la parte che lo riguarda.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il plebiscito, per il quale è stata presentata l’interrogazione, è stato deciso dal Governo francese in dipendenza della disposizione dell’articolo 27 della Costituzione della vicina Repubblica, che stabilisce: «Nessun acquisto di territorio è valido senza il consenso delle popolazioni interessate».

Nella relazione a stampa presentata all’Assemblea nazionale francese dal deputato Gorse è scritto: «Abbiamo preso nota con sodisfazione dell’intenzione del Governo di fare votare dall’Assemblea, entro il più breve tempo possibile, un progetto dì legge per organizzare la consultazione delle popolazioni nei comuni di Briga e di Tenda. Tutte le garanzie saranno prese per assicurare la libertà dell’espressione delle popolazioni interessate. Entra nelle intenzioni del Governo francese di domandare al Presidente del tribunale dell’Aja di designare, a titolo di testimoni, tre osservatori stranieri. Prima che le popolazioni interessate si siano definitivamente pronunciate, un’amministrazione provvisoria francese verrà instaurata nelle regioni annesse alla Francia, in virtù del Trattato».

Nel suo discorso all’Assemblea il relatore non ha ripetuto quanto sopra, ma si è limitato a dire che il Governo francese aveva in animo di «dare a tale consultazione tutte le garanzie che assicureranno la libertà di espressione alle popolazioni di quei comuni (Briga e Tenda)».

Salvo le dichiarazioni di principio circa la decisione del Governo francese di indire un plebiscito, nei discorsi del Ministro degli esteri francese e dei relatori all’Assemblea nazionale francese ed al Consiglio della Repubblica francese, non sono state ripetute le più precise indicazioni contenute nella relazione sopra citata.

Si tratta, in ogni modo, di provvedimento interno francese, in esecuzione di un preciso disposto della Costituzione.

Il Governo italiano non può che rilevare che un plebiscito unilaterale, tenuto dopo il trapasso di sovranità ed in assenza di numerosissimi abitanti italiani della zona, che si sono già allontanati da quella località, in previsione della cessione alla Francia, non potrà evidentemente acquistare carattere probatorio nei confronti dello Stato italiano.

PRESIDENTE. L’onorevole Badini Confalonieri ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BADINI CONFALONIERI. Ringraziare gli onorevoli Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio e agli esteri, per la sollecitudine con la quale hanno voluto rispondere alla interrogazione, che è stata presentata dai deputati piemontesi – senza distinzione di parte, ma tutti uniti per la difesa dei diritti d’Italia e degli interessi d’Europa – ringraziarli – dicevo – è un gradito dovere. Ma è anche dovere preciso di coscienza personale e di rispetto per il preciso mandato ricevuto dai nostri elettori di non poterci dichiarare soddisfatti di quell’opera che i passati Governi non hanno svolto nei confronti delle popolazioni di Briga e Tenda.

La questione dei muli voleva essere semplicemente una esemplificazione. Altre molte ve ne sono. Noi non neghiamo che ci siano stati dei provvedimenti assunti dalla Presidenza del Consiglio. Diciamo però che questi provvedimenti non sono applicati e se l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri vuole, posso esibire le lettere che quotidianamente mi giungono e che dimostrano la verità del mio asserto.

Per quanto poi attiene al preannunciato plebiscito, questo sarebbe il terzo plebiscito che si effettuerebbe a Briga e Tenda, perché un primo plebiscito è stato già fatto dalle autorità francesi subito dopo la liberazione. Un plebiscito che, evidentemente, non ha nessun valore probatorio.

Basta osservare la forma che non è neppure alternativa, che non consente altra dichiarazione all’infuori di quella di «sollecitare il grande onore di diventare francesi»; e necessita sollecitare questo onore per avere un altro foglietto che qui pure esibisco: Monsieur a été recensé. Soltanto dopo aver ottenuto siffatto foglietto di censimento, si potevano ritirare le carte annonarie.

Ogni commento è superfluo.

Ma, in prosieguo di tempo, c’è stato un secondo plebiscito fatto dai sindaci nominati dai C.L.N., un plebiscito che la stessa Commissione interalleata, recatasi sulla località il 1° maggio 1946, costituita anche da due rappresentanti francesi e da nessun rappresentante italiano, ha dovuto dichiarare sereno, obiettivo, regolare: un plebiscito che ha dato la maggioranza all’Italia, sia in Briga, sia in Tenda, anzi il 70 per cento di maggioranza all’Italia.

E allora questo terzo plebiscito, a quale scopo tende? Se esso vuole essere fatto regolarmente, non può che confermare il risultato del secondo plebiscito; se invece esso non è che una finzione democratica, occorre immediatamente dichiarare che se la legge del vinto ci impone di assoggettarci al «diktat», ebbene ci si consenta almeno di piangere le nostre lacrime in silenzio senza aggiungere allo scorno anche le beffe. Quale valore può avere un plebiscito operato dopo l’annessione, senza garanzie internazionali, senza che la Francia si impegni preventivamente a rispettarne i risultati, quando buona parte della popolazione si è allontanata profuga dalla zona?

L’onorevole Sottosegretario di Stato ha ritenuto nella sua risposta di fare riferimento a quanto il Relatore al Parlamento francese, onorevole Gorse, ha detto, ma l’onorevole Gorse parlando del «dettato» ha concluso affermando testualmente «che questo trattato era sprovvisto di anima e di idee direttive, era molto lontano da quell’ideale di cooperazione nazionale, era insomma un trattato del tipo 1915».

Ora tutto questo diciamo, non certo per un sentimento di esasperato nazionalismo, che è veramente lontano da noi; questo diciamo perché desidereremmo che quel valico di Tenda non fosse motivo e fomite di irredentismo, ma divenisse un valico attraverso il quale si sviluppasse e si convalidasse l’amicizia italo-francese, che è necessaria per l’Italia, per la Francia e per l’Europa. Noi abbiamo la convinzione che se la Costituente e se il Governo italiano sapranno fare partire un appello al popolo francese perché questa inutile ingiustizia della cessione di terre e di popolazioni italiane non si compia, il popolo francese, che ha dimostrato di comprendere quale importanza possa avere per il futuro d’Europa una salda unione fra le due Nazioni, non lascerebbe cadere questo appello. E in questa fiducia ci rafferma proprio quella espressiva, incisiva definizione che di coteste rivendicazioni, in un suo articolo del luglio scorso ha dato Léon Blum, rappresentante autorevole del partito socialista francese, quando ha dichiarato che siffatte rivendicazioni sont seulement des stupidités. Noi reputiamo che potrebbero diventare, con la rinunzia fatta dalla Francia, il motivo di un rinsaldamento della nostra amicizia, di quella amicizia che vorremmo salda e duratura e proficua, nell’interesse nostro, nell’interesse della Francia, nell’interesse superiore dell’equilibrio e della pace europea. (Applausi).

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo si associa alla proposta dell’onorevole Badini Confalonieri, per un appello, nel senso da lui esposto. Fin dall’anno scorso, quando la Delegazione italiana alla Conferenza della pace si occupò di questo problema, rivolse un accorato appello alla Francia ed a tutto il popolo francese, per evitare che la questione di Briga e Tenda, che tutti i buoni francesi riconoscono inadeguata all’importanza datale da alcune correnti francesi, fosse risolta nella maniera più equa ed in modo da non lasciare sussistere tra Italia e Francia un pomo di permanente discordia.

Quello che è stato fatto a Parigi dalla nostra Delegazione nell’agosto scorso, può essere ripetuto dall’Assemblea Costituente italiana, ed il Governo sarà lieto se questa manifestazione avrà un carattere di solidarietà, che richiamerà l’attenzione del popolo francese, col fervido augurio che questa volta l’appello sia accolto. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Costantini, al Ministro dell’interno «per conoscere quali sono le disposizioni di legge le quali consentirono al signor prefetto di Treviso di emettere un decreto di requisizione di una casa di privata abitazione occupata da sei famiglie, ordinando ai legittimi possessori il rilascio dell’immobile centro il 15 giugno. Il decreto regio del 18 agosto 1940, n. 1740, è inapplicabile per ovvie ragioni al caso in esame, e non può giustificatamente invocarsi il decreto legislativo 26 aprite 1947, n. 264».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il prefetto di Treviso ha comunicato di aver disposto la requisizione del Palazzo Revedin, per sede del comando della divisione «Folgore» in quanto il Palazzo Scotti, che sarebbe stato prescelto dalle autorità militari, e che fu sede del comando del XIV Corpo d’armata durante l’ultima guerra, è occupato attualmente dall’Amministrazione provinciale, che ha avuto il suo palazzo in parte distrutto dalla guerra ed in parte occupato dalla Prefettura coi suoi nuovi servizi dell’assistenza post-bellica Commissione U.N.R.R.A., ecc.

Detto Palazzo Revedin, fu già sede del comando supremo durante la guerra del 1915-18 ed è l’edificio di Treviso che meglio si presta alla bisogna, come hanno convenuto le autorità locali.

D’altra parte, qualunque edificio di Treviso venisse prescelto, sempre farebbe d’uopo dare lo sfratto ad altri occupanti, famiglie o uffici pubblici.

Nel caso del Palazzo Revedin, le famiglie occupanti sono 5, fra le quali quella del proprietario. Il prefetto si è interessato presso il Commissariato alloggi per riservare alle famiglie sfrattande decorosi appartamenti in uno stabile di recente costruzione e di prima occupazione di proprietà dell’Ente della liberazione; ed ha rivolto premure al comando della divisione «Folgore» per consentire che nel palazzo stesso il proprietario possa conservare il proprio gabinetto dentistico, e perché l’Amministrazione militare si assuma l’onere del trasferimento delle masserizie delle famiglie.

Intanto, a causa della resistenza degli ospiti del Palazzo Revedin, l’autorità militare, che pur deve sistemare i propri comandi ed uffici dislocati a Treviso, minaccia di occupare altri locali, tra cui quelli scolastici di Via San Liberale, con evidente grave pregiudizio dei servizi.

Il prefetto, pur avendo fondato il decreto di requisizione sulla citazione del regio decreto 18 agosto 1940, n. 1741, che non può essere applicato dopo trascorsi i 6 mesi dalla cessazione dello stato di guerra, e la cui proroga stabilita dal decreto legislativo 26 aprile 1947, n. 264, si riferisce solo alle requisizioni effettuate durante il tempo di guerra, non avrebbe peraltro, data la situazione, potuto rifiutare il proprio intervento per procurare comunque locali alla divisione «Folgore», che si è dovuta trasferire a Treviso per assolvere alle responsabilità militari della vicina frontiera derivanti dalla ratifica del trattato di pace.

E, anche senza far ricorso all’articolo 19 della legge comunale e provinciale, in materia di requisizioni per necessità pubbliche, il prefetto è legittimato a disporre ai sensi dell’articolo 7 della legge costituzionale 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E.

PRESIDENTE. L’onorevole Costantini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

COSTANTINI. Non posso, evidentemente, ritenermi soddisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato. Non posso ritenermi soddisfatto anche perché, in questa sede, per la prima volta, sono stati spostati i termini giuridici della questione. Io sono convinto – e nessun membro di questa Assemblea può essere di diversa opinione – che un cittadino non può venire privato dell’esercizio di un suo legittimo diritto se non in seguito ad una precisa disposizione di legge. Il cittadino non può essere privato della sua casa di abitazione, con atti di prepotenza, come sta per avvenire nel caso in questione, mancando una norma di legge la quale consenta all’autorità di procedere alla requisizione. Le requisizioni erano previste precisamente dal decreto 18 agosto 1940, n. 1741, legge che ha invocato il prefetto per emettere il suo decreto di requisizione, richiamando altresì erroneamente come riconosce l’onorevole Sottosegretario di Stato, il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 25 aprile 1947. Ora si richiama la legge del marzo 1865.

Onorevole Sottosegretario, se vero fosse, abbandonata l’applicabilità del decreto 18 agosto 1940, che può avere applicazione, nella fattispecie, la legge 20 marzo 1865, io chiedo a lei: perché si sarebbe fatto questo decreto 18 agosto 1940? Se la legge del 20 marzo 1865 avesse consentito e consentisse ai prefetti di procedere alla requisizione di case private sic et sempliciter, perché si sarebbe fatto il decreto 18 agosto 1940? Pongo questa questione di ordine giuridico, perché, naturalmente, non ho sottomano le disposizioni, testé richiamate per la prima volta, della legge del 1865. Si fa questione anche della necessità di alloggiamento del comando della «Folgore». Ma, scusate, voi dovete considerare le condizioni attuali della città di Treviso: essa ha avuto il 63 per cento delle case distrutte, o comunque, rese inabitabili. Vi sono intere famiglie che alloggiano in un’unica stanza, in condizioni tali che è sperabile non vengano malattie epidemiche e, non ostante tutto ciò, vi sono oltre 10 mila persone costrette a vivere nei centri di sfollamento, a decine di chilometri dal capoluogo.

Devesi costringere la cittadinanza a fare dei sacrifici impossibili perché l’autorità militare non ha avuto la previdenza, prima di dislocare una unità della forza numerica della divisione «Folgore», di predisporre le sue caserme? Si può violare uno dei più elementari diritti del cittadino, quale è quello del rispetto della sua abitazione? Io dico, onorevole Sottosegretario di Stato, che il contegno dell’autorità militare – come le ho detto già confidenzialmente – la quale ha occupato con la forza delle armi un’altra casa, introducendosi in essa e cacciandone il proprietario, io dico che questi sistemi sono contrari alla legge e non giovano certo alla democrazia, degradano il prestigio dell’autorità di fronte alla popolazione e possono portare a reazioni violente.

Autorità non significa certamente arbitrio, sopruso o, peggio ancora, violenza: per collocare gli ufficiali della «Folgore» e i relativi comandi si debbono apprestare le caserme; nessuna legge esiste a giustificare od autorizzare il provvedimento di requisizione che ha creduto di poter prendere il prefetto di Treviso.

Il diritto del cittadino alla tutela della propria abitazione, alla inviolabilità di essa, è stato di recente sancito anche nella nuova Costituzione della Repubblica.

Voi stesso, quale rappresentante del Ministero dell’interno, avete il dovere di concorrere a tutelare  e a far rispettare questo diritto contro chiunque lo violi o tenti di violarlo, ed è a questo senso di consapevolezza nella vostra alta funzione che io faccio appello. Gli inquilini della casa colpita dal decreto prefettizio di requisizione sanno già che non è assolutamente possibile che abbia effetto la richiesta illegittima del prefetto e che essa rappresenta, costituisce anzi un atto di violenza e di arbitrio. Ci sono ormai in città malumori e malcontenti diffusi dei quali può dare atto anche il sindaco onorevole Ferrarese, e l’autorità comunale, non più tardi di ieri, ha indirizzato a noi deputati delle suppliche tendenti a dirimere queste difficoltà per modo che la situazione si normalizzi.

Ora, io voglio rinnovarle una preghiera vivissima affinché la questione possa avere una sollecita soluzione che non sia di espediente o di sotterfugio, ma una soluzione conforme alla legge ed alla effettiva giustizia, espressione di autentica democrazia. Il diritto è dalla parte di coloro che io difendo: ella lo sa, onorevole Sottosegretario di Stato. Si tratta di una popolazione che ha già tanto sofferto ed io sento che difendendo i diritti della cittadinanza di Treviso difendo anche la legalità e l’ordine pubblico che può venire seriamente turbato ove l’autorità costituita creda opportuno non rendersi conto, una buona volta, che solo nel più deciso rispetto del diritto e della legge può aversi ordine e tranquillità.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Platone, Gavina, Pollastrini Elettra, Caprani, Bernamonti, Mariani Enrico, Cairo al Ministro dell’interno: «Presa visione dei comunicati diramati dal Consiglio dei Ministri circa alcune disposizioni fondamentali che farebbero parte del decreto di prossima emissione in materia di alloggi, fra cui l’abolizione del Commissariato relativo anche per comuni capiluogo di provincia; ritenuto che l’eventuale abolizione della disciplina esistente in materia esige una nuova generale disciplina capace di impedire le gravi speculazioni che già si manifestano nel mercato degli alloggi, persistendo le quali risulterebbe impossibile ad ogni famiglia di lavoratori di procurarsi un tetto; considerato inoltre che la applicazione della legislazione in vigore ha costituito delle situazioni di diritto che meritano almeno un regime transitoriale; ritenuto infine che la materia in esame è complessa e molto importante; chiedono urgenti informazioni al riguardo; e soprattutto di sapere se il Governo non ritenga di doversi valere della facoltà di sottoporle il progettato decreto alla competente Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente, adottando, data l’urgenza dei termini, un breve provvedimento di proroga della disciplina esistente».

Sopra questo stesso argomento è pervenuta una interrogazione dell’onorevole Veroni, con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere a quali criteri si ispiri l’ulteriore annunciata proroga dei poteri dei Commissariati alloggi, di cui, ovunque, veniva invece reclamata la soppressione».

Chiedo all’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno, se intenda rispondere anche a questa interrogazione.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Risponderò anche a questa interrogazione.

Con oggi viene a cessare l’efficacia delle disposizioni disciplinanti l’istituzione ed il funzionamento dei Commissariati degli alloggi.

Due potevano essere le soluzioni: o far cadere indiscriminatamente tutti i Commissariati o, tenendo conto degli inconvenienti segnalati, prorogare temporaneamente detti organi, laddove reali esigenze lo giustificassero, semplificati nella loro struttura e, soprattutto, restituiti alla loro essenziale finalità di provvedere alle categorie che hanno maggiore bisogno di abitazione.

È questa la soluzione che ha scelto il Governo col provvedimento approvato in via di urgenza nell’ultimo Consiglio dei Ministri.

Il nuovo provvedimento mira, sostanzialmente, a limitare la permanenza dei Commissariati degli alloggi solo in quelle città dove vi sia una effettiva necessità del loro funzionamento, cioè in quelle che hanno una popolazione superiore ai centomila abitanti o che hanno subìto distruzioni di particolare gravità per eventi di guerra. Anche per dette città si è però subordinata la proroga del funzionamento di detti Commissariati non oltre il 30 giugno del prossimo anno alla formale deliberazione del Consiglio comunale, in modo che sia l’organo comunale più rappresentativo a dichiararne la necessità e la opportunità; tanto più che le spese di funzionamento dei Commissariati gravano proprio sui bilanci comunali.

Era stato proposto di includere nella legge tutti i Comuni capoluoghi di Provincia. La specifica menzione è invece apparsa superflua, perché o si tratta di Comuni con limitata popolazione e non danneggiati dalla guerra, ed allora non si ravvisa la necessità di includerli solo per il fatto di essere capoluoghi, dato che le disposizioni mirano a risolvere situazioni ed esigenze concrete, o si tratta di Comuni che hanno subito danni di guerra, ed allora essi sono espressamente contemplati nella legge.

Perché i Commissariati degli alloggi possano raggiungere risultati più concreti, e perché, soprattutto, possano provvedere alle esigenze di coloro che hanno maggiore bisogno di alloggio, si sono determinate le categorie che hanno titolo all’assegnazione, cioè: coloro che sono rimasti privi di abitazione per le distruzioni causate dalla guerra; i profughi dalle zone di confine o dalle colonie; coloro che trasferiscano la residenza nel Comune per riconosciute esigenze di impiego o di lavoro e che, avendo già la residenza nel Comune, contraggano matrimonio.

Si è ravvisata, inoltre, la necessità di sopprimere le Commissioni consultive, che non hanno dato apprezzabili risultati, sopprimendo di conseguenza il rimedio dell’opposizione allo stesso Commissariato, per cui era richiesto il conforme parere delle Commissioni stesse.

Avverso i provvedimenti dei Commissari si ritorna perciò al sistema più razionale, e più sollecito, del ricorso diretto alle Commissioni giurisdizionali che, oltre a conoscere della legittimità dei provvedimenti impugnati, hanno competenza anche in merito alla determinazione dei corrispettivi delle locazioni.

Il provvedimento, con opportune norme, disciplina le assegnazioni già disposte dai Commissariati, che cessano di funzionare, stabilendo che ai rapporti di locazioni che si sono costituiti a seguito delle assegnazioni stesse sono applicabili le disposizioni sulle locazioni degli immobili urbani e sulla proroga di esse; disciplina anche, con disposizioni di carattere transitorio, la sorte delle opposizioni pendenti dando agli interessati che le avevano proposte un nuovo termine per adire direttamente le Commissioni giurisdizionali.

La nuova disciplina si ritiene possa rendere possibile un’azione più concordemente efficace dei Commissari degli alloggi, specie a sollievo delle categorie che hanno maggiore bisogno di abitazione, e varrà anche a limitare una spesa che aveva raggiunto un livello assolutamente sproporzionato ai risultati conseguiti.

PRESIDENTE. L’onorevole Caprani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CAPRANI. Mi dispiace, onorevole Sottosegretario per l’interno, di non potermi dichiarare sodisfatto anche a nome dei numerosi colleghi che hanno firmato, con me, questa urgente interrogazione. Effettivamente i Commissariati degli alloggi diedero luogo, nel loro funzionamento, a inconvenienti che tutti conosciamo. Questi inconvenienti si dovettero soprattutto al fatto che in linea generale, voglio dire in moltissimi casi, erano stati posti a dirigere questi enti degli individui la cui mentalità era perfettamente conforme alle esigenze dei proprietari di case.

Vi furono perciò molte delusioni e in certi casi si ebbe anche la sensazione che i Commissariati degli alloggi venissero meno ai loro compiti precisi. Però, anche con tutti questi inconvenienti, non è detto che si debba addivenire, attraverso una procedura, forse eccessivamente drastica, e che è intesa a preludere a un regime liberistico, in materia di abitazioni, all’ordine di idee di sopprimere i Commissariati degli alloggi, con la conseguenza inevitabile che anche tutto questo finirà col gravare sulle spalle già tanto oberate delle classi meno abbienti, per le quali il trovarsi un alloggio diventerà veramente un sogno utopistico.

Comunque, i Commissariati degli alloggi, anche con i loro difetti, erano giunti almeno ad assolvere a due compiti: quello, innanzitutto, del reperimento dei locali vuoti ed anche di quelli fittiziamente abitati, in secondo luogo, a distribuirli con criteri di controllo e di giustizia a coloro che versano nella necessità.

Ora, venendo a scomparire questa istituzione, così tout court, in un Paese profondamente lacerato dalla guerra, in un Paese che ha pure una popolazione incredibilmente in aumento nonostante tutto, in un Paese che, in certo senso, è in movimento per delle ragioni intuitive, con l’emigrazione interna, io non so se veramente ciò possa reputarsi opportuno.

A me pare invece che il provvedimento dia luogo a molti inconvenienti. Il primo inconveniente che si verificherà sarà, per esempio, questo: che senza i Commissariati alloggio il Governo si troverà – per citare un caso – perfino nell’impossibilità di trasferire i suoi funzionari, perché è naturale che un funzionario che deve subire un trasferimento, e che ha famiglia, sia profondamente preoccupato di doversi trovare in una città dove non può allogarsi, e sa che non può allogarsi nemmeno in un albergo perché anche una misera osteria, con alloggio, fa pagare 400 lire al giorno e tutto lo stipendio se ne andrebbe.

Questo per citare uno dei casi tipici.

Ma è anche certo che col sistema – cui si è fatto cenno in comunicati ufficiosi – non si raggiungerà lo scopo e la speculazione penetrerà più agevolmente nelle ruote di questo ingranaggio legislativo e il povero diavolo (per dirla con linguaggio preciso), non troverà mai un appartamento, si sentirà domandare dalla speculazione delle buonuscite e dei sottomano spaventosi e sui quali il tacere è bello per carità di patria.

Ma c’è anche qualche cosa di più, su cui noi non possiamo essere d’accordo: ed è il modo col quale si prospetta l’elaborazione di questa nuova situazione semi-vincolistica che dovrà scaturire nel periodo transitorio dal giugno al dicembre. Noi non siamo d’accordo che al progetto attendano solamente gli onorevoli Fanfani, Scelba ed Einaudi (la cui competenza è certamente indiscutibile); noi chiediamo democraticamente che il progetto sia trasferito alla Commissione legislativa dell’Assemblea perché nell’elaborazione della legge ci si possa valere di criteri anche più larghi, che tocchino più profondamente le masse popolari.

E mi sia permesso di osservare da ultimo che la disposizione cui si fa cenno – cioè la limitazione del funzionamento del Commissariato alloggi nei soli centri che siano superiori ai 100 mila abitanti – costituisce un vero e proprio assurdo, perché basta avere un po’ di pratica, basta osservare le cose come sono (e non come si vorrebbe che fossero), per vedere che tutti i capoluoghi di Provincia sono alle prese con le stesse difficoltà, specie poi dove ci sono state le devastazioni della guerra, e riconosco che a tal proposito l’onorevole Sottosegretario per l’interno ha voluto fare un’eccezione.

Ma non è neanche logico che la nuova legge abbia ad elencare delle categorie precise e tassative di coloro che hanno veste e diritto di ricorrere al Commissariato alloggi, a quel Commissariato che sarà un po’ sminuito nei suoi poteri e che andrà dal 30 giugno al dicembre. Non è opportuno stabilire tassativamente delle categorie. Tutto al più si potrebbero stabilire delle categorie di prelazione e di preferenza e dire che il meno abbiente ha più diritto degli altri. In questo senso, si potrebbero stabilire categorie, ma stabilire categorie e dire: «ha diritto solo colui che sposa, ha diritto solo il combattente e il partigiano, ha diritto solo il burocrate trasferito», ed escludere tutti gli altri, significa fare cosa fuori della realtà e perfino fuori della legge.

Quindi io raccomando che questa legislazione sia attentamente vagliata. Si tratta di un problema angosciante, si tratta di diecine di migliaia di famiglie che hanno il terrore di perdere l’alloggio e, in certi altri casi, hanno lo sgomento quotidiano di non possedere un alloggio! È una questione che dal punto di vista – diremo così – amministrativo ha dei riflessi di ordine politico di primissima importanza. Ed io credo che il Governo farà bene a valersi anche della competenza della Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente nella elaborazione e nella formazione di questa legge. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Veroni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VERONI. Mi sono indotto a presentare l’interrogazione con carattere di urgenza dopo aver letto che nell’ordine del giorno era stata posta in discussione l’interrogazione svolta dall’onorevole Caprani. Va ricordato che fin dalla seduta del 5 maggio in questa Aula io avevo esaminata e trattata la questione del Commissariato alloggi con particolare riferimento alla situazione di Roma città. Ora devo convenire che il provvedimento allora annunciato dal Governo e oggi confermato dall’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno non risolve gli inconvenienti che in quella occasione io stesso avevo prospettato all’attenzione dell’Assemblea e che oggi sono stati esattamente confermati dall’onorevole collega. Nel frattempo si è reso ancora più vivace il dissenso fra coloro che sostengono che debba essere abolito il Commissariato alloggi e coloro che invece dichiarano che una condotta liberistica della materia potrebbe non giovare, anzi danneggerebbe senz’altro le classi meno abbienti; sarebbe stato veramente opportuno da parte del Governo di deferire la materia così complessa all’esame della competente Commissione legislativa. Avremmo potuto così esaminare il provvedimento con serenità e con la necessaria ponderazione se si fosse accordata una nuova breve proroga dal 30 giugno, dando così il giusto apprezzamento agli argomenti favorevoli o contrari al mantenimento del Commissariato degli alloggi.

Intanto è da notare che i provvedimenti dal Governo ora confermati non hanno trovato il plauso della pubblica opinione.

Particolarmente qui a Roma, si era preoccupati delle condizioni eccezionali in cui vivono migliaia di famiglie. Dal mese di aprile, epoca in cui la questione fu nuovamente dibattuta in questa Assemblea, fino ad oggi si era invocato da parte del Governo che venissero sgomberate alcune caserme che sono pressoché inutili e fossero date ai senza tetto. Si era invocato da parte del Governo che anche il così detto Ministero dell’ex Africa fosse assegnato ai senza tetto, che ivi avrebbero potuto trovare larga ospitalità. Viceversa si continua a deplorare il triste e angoscioso inconveniente di sapere e di vedere alle porte di Roma – alla periferia della Capitale della Repubblica – migliaia di persone che sono attendate o sono in caverne od in grotte senza che da parte del Governo si sia finora provveduto a convenientemente alloggiarle. Questo gravissimo inconveniente non viene risoluto davvero dalle provvidenze che il Governo ora ha adottato. Ciò significa che queste provvidenze, anziché affrontare e risolvere il problema dei senza tetto, si sono preoccupate di venire incontro a esigenze di altra natura; perloché non ci si può dichiarare soddisfatti, a meno che il Governo non si decida a portare davanti alla Commissione legislativa l’esame della grave e complessa questione. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele al Ministro dell’interno, «per sapere se non creda opportuno intervenire tempestivamente presso il prefetto di Bari, a che provveda che non venga chiusa la mensa degli impiegati di quella città».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Adonnino al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se non creda opportuno diminuire la severità delle norme emanate con ordinanza 3 maggio ultimo scorso sugli esami di maturità; laddove specialmente si escludono dagli esami orali coloro che abbiano riportato negli scritti un voto di «evidente insufficienza», mentre prima della guerra si escludevano quelli che avessero riportato una insufficienza «molto grave»; e si estende tale norma, oltre che all’italiano, anche a tutte le materie per le quali siano richieste prove scritte; e là dove prescrive la presenza di quattro membri estranei nelle Commissioni delle scuole non governative; e ciò, tenendo conto che le norme giungono a pochi giorni dagli esami; e che gli esaminandi hanno iniziato il loro corso di studi nei tempi difficilissimi della guerra o dell’immediato dopo-guerra».

Non essendo presente l’onorevole Ministro della pubblica istruzione, l’interrogazione è rimandata alla prossima seduta dedicata alle interrogazioni.

Segue l’interrogazione dell’onorevole De Maria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, «per sapere se non ritengano opportuno e doveroso nei confronti della tutela della sanità pubblica intervenire per gli accertamenti scientifici del caso ed, eventualmente, per contribuire al finanziamento per la fabbricazione del preparato AF2 del dottor Guarnieri. Tale prodotto avrebbe spiccata azione anticancerigna. Il provvedimento ha carattere di estrema urgenza, poiché col 5 giugno prossimo il dottor Guarnieri sospenderà la distribuzione gratuita del medicinale per difficoltà d’ordine economico».

DE MARIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE MARIA. Avendo trasformata l’interrogazione con risposta orale in interrogazione con risposta scritta, ho già ricevuto le risposte scritte sia dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. Pertanto, la mia interrogazione è esaurita.

PRESIDENTE. Sono state così svolte tutte le interrogazioni iscritte all’ordine del giorno.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza alcune interrogazioni con richiesta d’urgenza. La prima è quella dell’onorevole Di Fausto, del seguente tenore:

«Al Governo, per sapere se corrisponde a verità la notizia secondo la quale sul Colle della Farnesina, dominante, in vista di San Pietro, fra Monte Mario e Ponte Milvio, in uno dei luoghi più suggestivi di Roma e del mondo, entro la cinta urbana, colle destinato infatti a parco pubblico nel piano regolatore vigente, sarebbe stata concessa una immensa zona di terreno (circa 35 mila metri quadrati) da destinare a cimitero di guerra francese, nel quale sarebbero naturalmente accolte anche salme di mussulmani di colore.

«E, nel caso affermativo, per sapere che cosa il Governo intenda fare per rimuovere la intollerabile concessione che, rivelando la assoluta insensibilità delle autorità responsabili, suona insulto – sotto troppi aspetti – alla cocente, immeritata sventura della Nazione, e suona comunque soprattutto insulto alle altissime tradizioni civili e cristiane di Roma, alle quali deve pur rendere omaggio la Francia, che, con noi, trae da quelle comune nobiltà di origine».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non riconosco l’urgenza dell’interrogazione, anzi mi pare che vi sia da discutere sulla opportunità della presentazione dell’interrogazione stessa.

PRESIDENTE. È stata anche presentata la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, sull’azione svolta dagli organi del suo Ministero contro i contadini della Bergamasca, che hanno inteso dividere i prodotti secondo le indicazioni della legge De Gasperi sulla mezzadria.

«In particolare gli interroganti domandano quali misure il Ministro intenda prendere per richiamare al rispetto della legge il prefetto e i comandanti dei carabinieri, che hanno fatto procedere all’arresto del segretario della Confederterra provinciale di Bergamo, diffidandolo poi a non svolgere ulteriore attività sindacale.

«Caprani, Pajetta Gian Carlo, Montagnana Mario».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni.

PRESIDENTE. Vi è, infine, la seguente interrogazione:

«Al Ministro dell’agricoltura e foreste, per conoscere le ragioni per le quali in Sicilia, ai contadini della provincia di Ragusa recatisi secondo un’antichissima consuetudine nell’interno dell’isola per esercitarvi, con durissimi sacrifici, la spigolatura, viene fatto obbligo di ammassare il grano raccolto, contrariamente a quanto negli anni passati si è sempre fatto.

«L’interrogante chiede altresì di conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare per impedire il fatto lamentato, che suscita vivo malcontento fra gli spigolatori, altera il loro tradizionale approvvigionamento e li porta ad abbandonare una attività che, mentre costituisce una delle principali loro risorse, è stata sempre oltremodo benefica, conseguendosi per essa il recupero di cospicui quantitativi di grano, che altrimenti andrebbero perduti.

«Guerrieri Emanuele».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. A nome del Ministro interessato, riconosco l’urgenza di questa interrogazione, alla quale sarà risposto nella prima seduta dedicata alle interrogazioni.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Domattina si terrà seduta alle 10 per l’esame del progetto di legge sull’imposta straordinaria sul patrimonio. Si terrà seduta anche nel pomeriggio alle 17 per il seguito della discussione del progetto di Costituzione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Sarebbe opportuno dedicare anche le sedute pomeridiane all’esame del progetto sull’imposta patrimoniale per giungere più rapidamente ad una conclusione su questa importante materia.

PRESIDENTE. Di tale questione si potrà più convenientemente discutere nella seduta antimeridiana di domani.

UBERTI. Sta bene.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se e quando vorrà provvedere ad emanare norme tassative e precise intese a consentire che i beni immobili di proprietà dei Comuni o di altri enti locali che, in seguito a pressioni e ad imposizioni ben note, vennero donati o ceduti al cessato partito fascista e ad organizzazioni da questo dipendenti, ritornino agli enti proprietari senza gravami e oneri di sorta.

«Zuccarini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati in favore delle tante famiglie colpite dalle recenti alluvioni in provincia di Treviso e di Venezia, famiglie che ebbero distrutti i raccolti, animali annegati, mobili danneggiati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi a Ministri competenti l’altra per la quale si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Discussione del disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 28 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXV.

SEDUTA DI SABATO 28 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Sul processo verbale:

Nitti                                                                                                                  

Sardiello                                                                                                         

Cappa, Ministro della marina mercantile                                                             

Carbonari                                                                                                        

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Sostituzione di un Deputato:

Presidente                                                                                                        

Relazione della Commissione degli Undici:

Presidente                                                                                                        

Rubilli, Presidente della Commissione degli Undici                                            

Costantini                                                                                                        

Russo Perez                                                                                                      

Patrissi                                                                                                             

Coppi                                                                                                                 

Nobile                                                                                                               

Cappi                                                                                                                 

Cianca                                                                                                              

Scoca                                                                                                                

Togliatti                                                                                                          

Lussu                                                                                                                

Targetti                                                                                                           

Camposarcuno                                                                                                 

Corbino                                                                                                            

Selvaggi                                                           Orlando Vittorio Emanuele      

Di Gloria                                                                                                          

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Musolino                                                                                                          

Sardiello                                                                                                         

Priolo                                                                                                               

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Su alcune interrogazioni urgenti:

Rodinò Ugo                                                                                                      

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Costantini                                                                                                        

Gullo Fausto                                                                                                   

Tonello                                                                                                            

Pignatari                                                                                                         

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

MAZZA, il Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta.

Sul processo verbale.

NITTI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Sono dolente di non essermi trovato all’ultima parte della seduta, quando si votarono alcuni provvedimenti riguardanti ancora le Regioni. Io ho sempre considerato il metodo proporzionale adottato nello Stato, in tutte le amministrazioni dello Stato e nelle amministrazioni locali come una forza dissolvitrice dello Stato. Ma questo metodo è completato ora e reso mortale dalla disastrosa idea e pratica delle Regioni che noi stiamo adottando. Fin qui ho taciuto; ora non tacerò.

Mi riservo di fare la campagna più attiva che potrò contro questo fatale errore delle Regioni, che, prima o dopo, dovrà essere revocato. Ma debbo fare una dichiarazione semplice e precisa. Ieri si è votato un articolo con cui si costituisce un impegno non soltanto verso la Val d’Aosta – errore gravissimo dovuto ad un certo Brosio – ma poi contro la sicurezza dell’Italia: si accetta di costruire in Regioni autonome la Venezia Giulia e la Venezia Tridentina.

Tutto ciò può essere disposto soltanto per legge e saremo in tempo per impedirlo. Non siamo noi che dobbiamo decidere. Perché dunque prendere ora questo impegno? Non basta aver aperta da una parte l’Italia al confine occidentale; bisogna ancora aprirla al confine settentrionale e a quello orientale?

Perché ci impegniamo in cosa che noi non possiamo ora definire? Noi agiamo in questo modo non nell’interesse della Patria, ma per non so quali strane visioni che non hanno nulla a che fare con la realtà del nostro Paese. Noi siamo ora isolati. Non bisogna aprire le porte agli stranieri da ogni parte. Noi facciamo questo senza alcuna necessità.

Io dichiaro dunque non solo che se fossi stato presente avrei votato contro, ma mi impegno a fare qualunque campagna e, non potendo nell’Assemblea, mi impegno a farla nel Paese e, come potrò, anche all’estero, per dimostrare i cattivi nostri procedimenti con cui dimentichiamo che l’Italia esiste e che deve esistere e vogliamo senza ragione umiliarla, per demolirla forse domani. Convinto dell’unità della Patria, in cui credo, sono stato sempre contro ogni guerra e contro ogni nazionalismo. Voglio però oggi presentare un atto di diffida che ci impegni, nell’avvenire, a rivedere tutta questa materia che non è fatta a beneficio del nostro Paese. (Applausi).

SARDIELLO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SARDIELLO. Onorevole Presidente. Nell’ultima parte della seduta di ieri, in assenza del Governo, a proposito di alcune interrogazioni con carattere di urgenza, ella ha annunciato che il Governo probabilmente avrebbe risposto lunedì. Ora il Governo è presente…

PRESIDENTE. Onorevole Sardiello, se non le spiace, parli di questo quando tratteremo dell’ordine del giorno delle sedute prossime, non in sede di processo verbale.

SARDIELLO. Il processo verbale va completato con la determinazione di quella data. C’è un motivo serio che mi spinge a fare questa sollecitazione. L’interrogazione riguarda gli incidenti accaduti a Reggio Calabria. Ora vengo avvertito che domani, nella stessa città, avranno luogo manifestazioni di protesta. Io credo che una parola rasserenatrice del Governo, che giunga prima di quelle manifestazioni, potrebbe giovare a calmare gli animi. Per questo la prego, onorevole Presidente, di interpellare il Governo se è disposto in giornata a rispondere alle interrogazioni.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Ne parleremo in prosieguo di seduta, perché ora il Ministro dell’interno non è presente.

CARBONARI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. Ieri mi sono associato all’emendamento proposto dall’onorevole Tessitori, per il quale anche il Friuli e la Venezia Giulia venivano considerate come Regioni autonome che dovevano usufruire di una autonomia particolare. Io nutro un’opinione profondamente diversa da quella manifestata qui dall’onorevole Nitti.

PRESIDENTE. Onorevole Carbonari, la prego; o lei fa una dichiarazione sul verbale, o non posso concederle di parlare, perché non abbiamo riaperta la discussione. L’onorevole Nitti ha fatto una dichiarazione sul verbale. Se lei vuole modificare il suo voto di ieri può pure parlare, altrimenti la pregherei di non riaprire una discussione sull’argomento.

CARBONARI. Terrò conto dell’osservazione del signor Presidente.

Io mi sono associato all’emendamento dell’onorevole Tessitori con tanto maggiore entusiasmo, in quanto credo che tanto maggiore sarà la libertà che avranno le popolazioni di confine, tanto più esse si sentiranno legate all’Italia. (Approvazioni). Non per nulla noi abbiamo imparato dalla storia che la Russia dava la maggiore libertà ai cosacchi del Don perché la difendessero di fronte ai turchi.

PRESIDENTE. Onorevole Carbonari, la prego vivamente, non siamo in tema di discussione. O lei ha da far rettificare quanto risulta dal processo verbale, oppure, con mio grande dispiacere, non posso darle la parola per rientrare in una discussione ormai esaurita. È un problema di procedura elementare.

CARBONARI. Ugualmente osservo che la storia si riserva… (Commenti – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Carbonari, la prego di non insistere.

CARBONARI. Io protesto.

PRESIDENTE. Per che cosa?

CARBONARI. Contro le idee manifestate qui dall’onorevole Nitti.

PRESIDENTE. Ma non ne ha il diritto in questo momento.

Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Bertola, Dossetti, Guidi Angela, Maffi, Lazzati, Scalfaro, Tumminelli e Galioto.

(Sono concessi).

Sostituzione di un Deputato.

PRESIDENTE. La Giunta delle elezioni ha preso atto delle dimissioni dell’onorevole Battista Falchi da deputato per la circoscrizione di Cagliari (XXXI), approvate ieri dall’Assemblea Costituente, ed ha deliberato di proporne la sostituzione col candidato Carboni Enrico, primo nella graduatoria dei non eletti della stessa lista della Democrazia cristiana (VIII) alla quale apparteneva il dimissionario.

Pongo ai voti questa proposta della Giunta.

(È approvata).

Si intende che da oggi decorre il termine di venti giorni per la presentazione di eventuali reclami.

Relazione della Commissione degli Undici.

PRESIDENTE. L’onorevole Rubilli, Presidente della Commissione degli Undici, ha chiesto di poter fare la sua relazione all’Assemblea.

Ha facoltà di parlare.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Avverto i colleghi che questa relazione è stata approvata all’unanimità.

La presente relazione fa seguito a quella letta all’Assemblea Costituente nella seduta pubblica del 14 aprile scorso, e la completa.

Le accuse lanciate dall’onorevole Finocchiaro Aprile contro l’onorevole Gronchi vennero soltanto accennate dinanzi alla Assemblea Costituente, e poi più esplicitamente e più ampiamente esposte alla Commissione nelle sedute del 12 e 13 marzo 1947.

Egli in sostanza disse che l’onorevole Gronchi è proprietario di una fabbrica di resina sintetica, denominata R.E.S.I.A, la quale sarebbe stata favorita nell’assegnazione di materie prime fatta dal Ministero ed avrebbe perciò incrementato la sua produzione. Inoltre si sarebbe riservato il 25 per cento della gomma di produzione nazionale, senza che si sappia a chi lo abbia destinato; mentre il suo successore onorevole Morandi abolì immediatamente tale riserva. L’onorevole Finocchiaro Aprile fece anche un vago accenno ad eventuali rapporti dell’onorevole Gronchi con la ditta Pirelli e ad irregolarità nell’assegnazione della lana.

A sua volta l’onorevole Gronchi, debitamente sentito, con dichiarazioni orali e con dettagliati esposti scritti, ha spiegato che egli personalmente non ha mai avuto alcun rapporto né d’interessi né d’amicizia coi componenti della famiglia Pirelli; ha visto qualche volta al Ministero i fratelli Pirelli o qualcuno dei loro dirigenti, come ha visto moltissimi industriali, semplicemente ed esclusivamente per problemi della ricostruzione e della ripresa produttiva.

Con una serie di elementi numerici e statistici ha dimostrato che la R.E.S.I.A. non ha mai avuto assegnazioni di privilegio o di preferenza. Anzi non è stata forse neppure trattata equamente in confronto di altre Ditte dello stesso genere nelle cennate assegnazioni, alle quali del resto provvedevano i Comitati dell’Alta Italia, e non il Ministero. Tanto meno vi è stato incremento nella produzione, che invece è diminuita.

A proposito dell’assegnazione di pneumatici, l’onorevole Gronchi ha chiarito che la relativa produzione era divisa in due grandi blocchi, l’uno per l’Italia settentrionale, a nord della linea gotica, e l’altro per l’Italia centro-meridionale. Alla ripartizione della prima quota provvedeva il Comitato dell’Alta Italia, poi Sottocommissione industriale; a ripartire la seconda provvedeva il Ministero con assegnazioni proporzionali fatte agli Uffici provinciali industria e commercio, e non direttamente ai singoli richiedenti. Per rispondere poi alle richieste dei Ministeri, dei servizi militari, delle Ambasciate e dei Consolati, di taluni uffici della Commissione Alleata, della Città del Vaticano, di Enti statali e parastatali, fu riservata una quota a disposizione diretta del Ministero, e non già personale del Ministro, che procedeva alla assegnazione, cercando di fare la più razionale ed equa selezione fra le domande assai numerose. La Divisione competente del Ministero raccoglieva le domande e le esaminava, provvedendo poi all’assegnazione dopo la decisione, con elenchi predisposti dagli uffici.

In ordine alle assegnazioni di lana nulla vi può essere stato di irregolare, ha affermato continuando l’onorevole Gronchi, perché le domande erano istruite dalla Direzione dell’industria, sentita la Confìndustria e qualche esperto del sopravvissuto ufficio di Roma dell’Ente tessile. Si chiedeva poi il consenso del Ministero agricoltura e foreste e si procedeva all’assegnazione sempre con la clausola dell’obbligo per l’assegnatario, che era un industriale del ramo, di tenere a disposizione del Ministero dell’industria i manufatti. Una Commissione, nella quale erano rappresentate le categorie interessate e le stesse autorità militari, lavorò a formare un piano ed a curarne l’attuazione. L’onorevole Gronchi ha escluso che assegnazioni siano state fatte da lui personalmente, senza la regolare istruzione degli uffici ministeriali.

La Commissione ha sentito anche il Ministro Morandi, secondo l’indicazione fatta dall’onorevole Finocchiaro Aprile, ed il Ministro riferì che a proposito del 25 per cento sulle gomme riservate al Ministero, effettivamente questo prelievo di solito era fatto per eventuali assegnazioni a Corpi diplomatici, enti, e talora, in casi eccezionali, anche a privati. Egli stimò opportuno di ridurre di molto il detto prelievo, perché il Ministero se ne potesse servire soltanto in pochi casi nei quali lo ritenesse opportuno.

La Commissione pregò il Ministro Morandi, perché, tenute presenti le dichiarazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, facesse pervenire quegli elementi che potessero rintracciarsi al Ministero per desumere i criteri che durante il Ministero Gronchi, ed anche dopo, furono seguiti nell’assegnazione di pneumatici e di altri generi.

L’onorevole Morandi rimise cinque fascicoli con la copia degli atti relativi alle assegnazioni di lana nazionale ed estera, di anidride ftalica e glicerina, di pneumatici. L’esame di tali fascicoli non ha fattoe rilevare nulla d’irregolare.

Intanto, l’onorevole Finocchiaro Aprile, in data 11 maggio 1947, fece pervenire una sua lettera al Presidente della Commissione con la quale chiedeva che fosse sentito l’avvocato Francesco Spezzano, ex Commissario governativo della Federazione italiana dei Consorzi agrari.

La Commissione ritenne opportuno di esaminarlo.

L’avvocato Spezzano riferì alcune irregolarità che a suo avviso si sarebbero verificate da parte del Ministero industria e commercio nella distribuzione ed assegnazione della lana e di qualche altro genere.

Però, checché abbia detto ad altri, è certo che alla Commissione dichiarò esplicitamente e ripetutamente che egli intendeva parlare sempre del Ministero, e non del Ministro Gronchi, con il quale non aveva mai avuti diretti rapporti ed a carico del quale nulla gli constava.

Dal complesso delle indagini adunque e dalle considerazioni sopra esposte si può giungere alla conclusione che le accuse lanciate contro l’onorevole Gronchi non sono state avvalorate da qualsiasi sostrato di prova, e la Commissione, anche per gli elementi difensivi offerti e per i documenti raccolti, non esita a dichiararle infondate. (Applausi al centro).

Per quanto riguarda l’onorevole Scoca, nella seduta del 12 marzo 1947 l’onorevole Finocchiaro Aprile disse che lo Scoca era stato nominato avvocato generale dello Stato, scavalcando 41 colleghi, ed anzi ne aveva scavalcati circa 150, perché poco prima della promozione ad avvocato generale ne aveva avuta un’altra.

Disse ancora che l’onorevole Scoca è Presidente di una importante società anonima di olii minerali, precisamente della ditta R.O.M.S.A. con sede in Roma, e che tale carica forse egli ancora conservava, come poteva essere meglio accertato dalla Commissione. Aggiunse poi che la nomina ad avvocato generale, verificatasi quando lo Scoca era Sottosegretario di Stato, fu portata per tre volte in Consiglio dei Ministri, ed approvata attraverso non lievi difficoltà.

L’onorevole Scoca ha dichiarato che egli pervenne al grado di sostituto avvocato generale dopo una normale e piuttosto lenta carriera, in confronto d’altri che ebbero circostanze più favorevoli; ha spiegato i criteri che si sogliono seguire nelle promozioni nell’Avvocatura dello Stato, e per la sua nomina ad avvocato generale ha esibito la proposta fatta sul suo conto dal vice avvocato generale Caligaris, reggente in quell’epoca l’Avvocatura, dopo il volontario ritorno in Magistratura dell’avvocato generale professor Adolfo Giaquinto, nonché l’altra inoltrata dallo stesso Giaquinto, ed un fascicolo di lettere, telegrammi ed ordini del giorno giunti dalle locali avvocature dello Stato, ed intesi a dimostrare che la nomina fu accolta con grande favore. Esagerato poi doveva ritenersi il numero di colleghi che secondo l’onorevole Finocchiaro Aprile egli avrebbe scavalcato. In ordine alla R.O.M.S.A. (Raffineria di olii minerali ed affini) lo Scoca ha dichiarato che questa è una Società che aveva sede legale ed impianti a Fiume. Occupata Fiume dalle truppe jugoslave, la Società venne privata non solo degli impianti ma anche della sua Amministrazione normale. Dopo due anni di gestion, straordinaria e dopo varie vicende, fu ricostituito il Consiglio di amministrazione, che comprese l’onorevole Scoca, eletto poi Presidente, carica dalla quale si dimise con lettera del 15 gennaio 1947.

Ora, non si mette in dubbio che l’onorevole Scoca abbia avuto una prima promozione in epoca piuttosto recente, e poi quella più importante, ripetutamente discussa nel Consiglio dei Ministri.

Non si può però neppure disconoscere che la nomina ad alti gradi della pubblica Amministrazione è per lo più effettuata a scelta, prescindendosi dall’anzianità di ruolo; anzi questo criterio per l’Avvocatura dello Stato è previsto anche dall’articolo 28 del testo unico, 30 ottobre 1933, n. 1611.

Rileva al riguardo la Commissione che esula dalla sua competenza ed anche dalle sue possibilità un giudizio sui meriti comparativi dell’onorevole Scoca per le ottenute promozioni. Inoltre, per quanto più specialmente si riferisce alla nomina ad avvocato generale dello Stato, trattasi di provvedimento discusso e deliberato dal Consiglio dei Ministri per il quale non può ritenersi consentito alla Commissione un qualsiasi intervento. Ogni eventuale critica in proposito potrà essere fatta da ciascun Deputato con le forme regolamentari dell’interrogazione o dell’interpellanza. Comunque, provvida e di indiscutibile valore morale e politico giunge ora nella legge costituzionale la norma per la quale il deputato, durante la sua carica, non può avere altra promozione, se non quella derivante dall’anzianità. (Approvazioni).

Occorre ancora esaminare specialmente che cosa vi sia di vero in ciò che disse l’onorevole Finocchiaro Aprile sugli incarichi retribuiti, di cui usufruiscono alcuni deputati e quale importanza morale o politica tali fatti possano avere. All’uopo sarà opportuna, anzi indispensabile, una osservazione d’indole generale. Allorché l’Italia, nel 1943 e 1944, fu occupata dagli Alleati, si dovette per necessità di cose provvedere a gran parte delle pubbliche cariche con la sostituzione di quegli elementi che, derivando dal passato, si erano resi incompatibili nelle mutate condizioni politiche.

Questo compito si assunsero i Comitati di liberazione, che, formati da diversi partiti, tra gli stessi, come era da prevedersi, divisero le cariche.

È un fatto puramente transitorio adunque quello che ebbe a verificarsi; e se permane in parecchi casi, e può essere tollerato in tempi ancora eccezionali, deve andar man mano eliminandosi completamente appena che si giunga alla normalità, che dovrà essere meglio e con maggiore circospezione disciplinata.

Uno dei deputati dei quali fece cenno l’onorevole Finocchiaro Aprile è l’onorevole Micheli, nei cui rapporti dinanzi alla Commissione, nella seduta del 13 marzo scorso, meglio precisando ciò che aveva detto all’Assemblea, egli dichiarò che l’onorevole Micheli è non soltanto il Presidente dell’Istituto nazionale delle assicurazioni, ma anche Presidente delle Assicurazioni d’Italia, Presidente della Fiume Terra, dell’Unione Italiana Riassicurazioni, Vice Presidente della Compagnia Assicurazioni Roma ed anche Commissario dell’Ente Notai. Aggiunse che quando egli, in epoca recente, si dimise da Presidente dell’Istituto nazionale delle assicurazioni non è stato sostituito, e quindi le dimissioni dovevano ritenersi semplicemente fittizie.

Nella seduta della Commissione in data 29 aprile scorso fu sentito l’onorevole Micheli, il quale espose che alla liberazione di Roma, nella ripartizione degli incarichi fatta dal Comitato di liberazione nazionale, il posto di presidente all’Istituto nazionale delle assicurazioni spettò al Partito democratico cristiano che lo assegnò al professore Gilardoni. Questi, poco dopo, si dimise per divergenze col personale, e così l’onorevole Micheli fu chiamato a sostituirlo. L’organizzazione dell’Istituto comprende per i rami elementari dell’assicurazione «L’Assicurazione Italia», di cui possiede l’intero capitale. L’Istituto si trovò poi nella necessità di salvare il portafoglio della Società «Fiume», della quale aveva tutto il capitale, sospinto dalle eccezionali condizioni del momento, e costituì la «Fiume Terra» che l’onorevole Micheli, per la sua qualità di capo dell’Istituto, dovette presiedere.

Egli ammise anche che dell’Unione italiana riassicurazioni e della Compagnia assicurazioni Roma è vicepresidente, mentre della prima è presidente il professore De Gregorio, della seconda l’onorevole Bonomi Ivanoe.

Chiarì inoltre che, quando fu nominato Ministro per la marina, non si dimise immediatamente per alcune pratiche in corso di particolare importanza; ma dette le dimissioni in data 16 ottobre 1946 e non è stato sostituito, pare, per contrasti tra i partiti e relative divergenze alle quali egli è completamente estraneo.

Per la carica di commissario dell’Ente Notai vi è una imprecisata indennità, alla quale l’onorevole Micheli ha rinunziato.

Sono meritevoli ancora di rilievo due circostanze: l’onorevole Micheli ebbe gli incarichi di cui sopra si è fatto cenno prima della sua elezione a deputato. Inoltre, come egli spiegò, gli incarichi di presidente delle Riassicurazioni Italia e della Fiume Terra, come quelli di vicepresidente della Unione Riassicurazioni e della Compagnia di assicurazioni, gli vennero in dipendenza della qualità di presidente dell’Istituto nazionale delle assicurazioni, trattandosi di società collegate.

E questo concetto del resto ebbe esplicitamente a riconoscere lo stesso onorevole Finocchiaro Aprile, nella seduta del 12 marzo dinanzi alla Commissione.

Le retribuzioni, poi, di cui usufruisce l’onorevole Micheli per le suddette mansioni non sono affatto rilevanti, anzi limitate e modeste.

Nei rapporti dell’onorevole Colonnetti dinanzi alla Commissione, nella seduta del 13 marzo 1947, l’onorevole Finocchiaro Aprile riferì varie accuse che possono così riassumersi:

Egli è presidente del Consiglio delle ricerche e al tempo stesso direttore del Politecnico di Torino; è stato promosso dal 4° al 2° grado dopo la sua elezione a deputato; si è servito di automobili del Consiglio delle ricerche per la campagna elettorale; si è fatto arredare lussuosamente un appartamento a spese dello Stato nel palazzo del Consiglio delle ricerche; stipulò un contratto in cui egli figura proprietario di una villa in Piemonte, data in fitto a se stesso nella qualità di presidente del Consiglio delle ricerche.

Su tali addebiti fu sentito l’onorevole Colonnetti nella seduta del 23 aprile 1947, ed egli spiegò che non è stato mai direttore del Politecnico di Torino, se non nel 1922-23. Fu poi nominato commissario dagli Alleati dopo la liberazione di Torino e rimase in tale carica fino al1’8 novembre 1945, quando fu nominato regolarmente il direttore nella persona del professore Brunelli. Né come direttore, né come commissario ebbe mai compensi. Anche durante la sua gestione di commissario, in vista della difficoltà di trovarsi a Torino con la dovuta frequenza, aveva chiesto ed ottenuto che al professore Brunelli fossero affidate dagli Alleati le funzioni di vicecommissario, riservandosi soltanto la trattazione del problema del finanziamento e della ricostruzione, con pratiche le quali si svolgevano a Roma presso il Comando alleato.

L’abitazione nel palazzo del Consiglio delle ricerche fu da lui richiesta al primo Governo Bonomi e regolarmente autorizzata per ragioni di stretta necessità. Identica autorizzazione si ebbe anche per l’arredamento che non è stato affatto eccessivo; i mobili del resto sono inventariati e restano di proprietà del Consiglio.

È stato sentito al riguardo anche l’onorevole Ivanoe Bonomi, il quale con una dichiarazione, resa il 6 maggio, ha confermato quanto ha detto l’onorevole Colonnetti, spiegando che questi, quando rimpatriò dalla Svizzera per via aerea, ebbe l’incarico della presidenza del Consiglio delle ricerche, e poiché era privo di qualsiasi abitazione, anche per un giusto criterio che in genere si ritenne di seguire, per dare alloggio ai capi servizio, ebbe la concessione di una casa nello stesso palazzo in cui ha sede il Consiglio delle ricerche, con facoltà di arredarla convenientemente.

In ordine alla promozione, l’onorevole Colonnetti ebbe il grado che avevano avuto i suoi predecessori, ed in dipendenza di legge.

Nel periodo elettorale non venne fatto alcun acquisto di macchine automobilistiche da parte del Consiglio nazionale delle ricerche, ed egli si servì della benzina fornitagli dal Partito della democrazia cristiana.

Ha ricordato l’onorevole Colonnetti una inchiesta dell’ispettore Strino, la quale così conclude:

«Sono lieto di potere affermare, dopo quanto constatato de visu, che quanto si è mormorato circa ingenti spese che si sarebbero sostenute con fondi concessi dal Coniglio nazionale delle ricerche per l’impianto e funzionamento del Centro Studi di Pollone, in lavori di straordinaria manutenzione della villa di proprietà del professore Colonnetti, ed in lussuose e costose opere di abbellimento, non è che maldicenza e menzogna.

«I lavori fatti per l’adattamento dei locali (posti gratuitamente a disposizione del Centro Studi) alle particolari esigenze del Centro stesso si riducono a ben poca cosa: poche migliaia di lire spese con parsimonia francescana».

Ed in ordine alla villa di Pollone lo stesso onorevole Colonnetti ha dichiarato e dimostrato di averla posta gratuitamente, e per il piano terreno, a disposizione del Centro Studi sugli stati di coazione elastica presso il Politecnico di Torino, rendendo così un servizio all’Amministrazione.

Con gli ampi elementi offerti dall’onorevole Colonnetti e con i documenti presentati, la Commissione conclude che gli addebiti a lui mossi non hanno fondamento di sorta, e che non si possa mettere in alcun modo in dubbio la sua correttezza ed onorabilità. (Applausi).

Qualche rilievo, che appare pure di una certa importanza, l’onorevole Finocchiaro Aprile fece nei rapporti dell’onorevole Spataro. Disse che questi è a capo della. R.A.I., posto che ebbe immediatamente dopo essere uscito dal Ministero, ed in tale qualità ottenne dall’onorevole Scelba, Ministro delle poste e telegrafi, un enorme aumento del canone di abbonamento alle radio-audizioni, che sollevò generali proteste. Lo stesso onorevole Spataro, sempre secondo quanto l’onorevole Finocchiaro espose alla Commissione nella seduta del 13 marzo 1947, avrebbe contrastato la nazionalizzazione della R.A.I. Inoltre egli è anche Presidente della S.I.P.R.A., Società italiana pubblicità radiofonica anonima.

Nei chiarimenti che ha presentati per iscritto ed in quelli che ha rassegnati oralmente alla Commissione, l’onorevole Spataro ha negato recisamente che vi sia stata alcuna occasione nella quale egli abbia avuto la possibilità di contrastare la nazionalizzazione della R.A.I.

In ordine poi all’aumento dei canoni di abbonamento alle radio-audizioni, l’onorevole Spataro ha spiegato che trattasi di provvedimenti stabiliti dal Comitato interministeriale dei prezzi, esaminati dal Consiglio dei Ministri e stabiliti per legge.

Ha ammesso che nell’agosto del 1946 fu nominato Presidente della R.A.I. nell’Assemblea generale degli azionisti. Come i Presidenti che nella R.A.I. lo precedettero, assunse anche la Presidenza della S.I.P.R.A., attraverso la quale la R.A.I. gestisce la pubblicità radiofonica. Vi sono ragioni ed esigenze di pratica utilità che consigliano l’unicità della Presidenza per le due Società, pur rimanendo distinti i relativi esercizi. Dichiarò pure l’onorevole Spataro che il lavoro occorrente per l’una e l’altra presidenza assorbe la sua attività completamente, costringendolo a frequenti viaggi in Alta Italia; perciò non ha riaperto il suo studio legale, anche quando, sin dal luglio dello scorso anno 1946, è cessato ogni suo incarico nel Ministero, e non esercita la professione neppure nel campo extra-giudiziale. Il compenso annuo è di lire 360.000 per la R.A.I. e di lire 240.000 per la S.I.P.R.A.; comprende le medaglie di presenza per le riunioni delle varie Commissioni consultive artistiche e musicali, del Comitato direttivo e dei Consigli di amministrazione per le due Società, nonché gli utili di esercizio riservati per lo Statuto agli amministratori. Insomma oltre le lire 50.000 al mese complessive per le due Presidenze, niente altro l’onorevole Spataro percepisce. (Interruzione dell’onorevole Pajetta Giuliano – Commenti a sinistra).

Una voce al centro. Nessuna meraviglia! Le prende un operaio 50 mila lire!

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Altri nomi di deputati furono fatti dall’onorevole Finocchiaro Aprile nelle sedute dell’Assemblea Costituente, ma trattasi di indicazioni, o non confermate dinanzi alla Commissione, oppure così vaghe ed insignificanti che non si è stimato utile o opportuno di rilevarle, né di farne oggetto di una qualsiasi indagine.

Non ha tralasciato però la Commissione di esaminare i moduli che, ad iniziativa del Presidente dell’Assemblea, furono inviati a ciascun Deputato.

Se ne sono ricevuti da 441 Deputati. È probabile che gli altri abbiano anche ritenuto di non dover restituire i moduli, quando la risposta fosse completamente negativa.

Per 320 Deputati questi moduli sono negativi e non registrano alcun incarico.

Per 30 Deputati si indicano degli incarichi gratuiti.

Per 91 Deputati i moduli registrano uno o più incarichi; talora, sebbene in pochissimi casi, questi incarichi raggiungono anche il numero di 7 o 8. (Commenti). Ma nel complesso trattasi sempre di incarichi da cui non derivano incompatibilità; per lo più sono anche di poco conto. E sono mansioni presso Enti privati, Società, Banche, Cooperative ed altri consimili Enti.

Di notevole, d’importante, non vi è gran che da rilevare.

Ma non può trascurarsi un’osservazione in proposito, e cioè che, se un deputato può accettare incarichi in certo modo conformi al suo lavoro professionale, non dovrebbe sottrarsi al dovere di rifiutare quelli a cui è agevole intuire che sia chiamato, più che per le sue attitudini, per il prestigio che gli viene dalla elevata carica politica. (Applausi).

La Presidenza del Consiglio dei Ministri spedì pure un elenco di incarichi statali e parastatali concessi a non pochi deputati, alcuni gratuiti, altri, ed in maggior numero, retribuiti.

La Commissione a questo punto ha portato la sua attenzione anche sull’atteggiamento preso dall’onorevole Finocchiaro Aprile, ed ha rilevato che nei rapporti dell’onorevole Gronchi e dell’onorevole Colonnetti egli ha raccolto e riferite accuse senza un debito e serio controllo, sebbene in gran parte non si tratti di addebiti specificati in pubblica Assemblea, ma piuttosto di elementi forniti ad una Commissione d’indagini. Non è un sistema codesto che meriti di essere incoraggiato. Sarà opportuno per l’avvenire che ognuno si guardi bene dal formulare accuse, le quali, anche se soltanto pronunziate e non dimostrate, offendono sempre e danneggiano moralmente un deputato, impressionando altresì la pubblica opinione (Applausi al centro), quando non si è in possesso di precisi e validi elementi di prova che le sostengano. Per gli altri casi poi (Micheli, Spataro, Scoca) si tratta più che altro di critiche a provvedimenti del Governo, le quali, fondate o no, giustificate o meno, rientrano nell’ambito dei diritti e talora anche dei doveri di ogni deputato.

Si sono esaminati alcuni singoli casi, perché erano stati specificatamente indicati nelle sedute pubbliche dell’Assemblea Costituente, e sorgevano attraverso le dichiarazioni di vari deputati, dalle quali ebbe origine la Commissione di indagini nominata dal Presidente dell’Assemblea Costituente. Ma non si tratta solo di una questione di mero carattere individuale. Dopo una lunga tirannia, durante la quale era sparito ogni sentimento di delicatezza e sensibilità morale e politica, in tempi ben diversi e rinnovati ora dal soffio della libertà e della democrazia, occorre stabilire delle norme che ogni uomo politico deve seguire e deve sapere imporre a se stesso. E non si tratta neppure di concretare vere e proprie incompatibilità nel senso giuridico, di cui senza dubbio e più opportunamente dovrà occuparsi la prossima legge elettorale attraverso i lavori della competente Commissione, che sono di già in corso.

Certo non è agevole elencare tutta la serie dei vari e molteplici casi che possono presentarsi. Però le frasi troppo vaghe e generiche, i termini elastici e di equivoca interpretazione, che si prestano a sottigliezze e cavilli, per cui talora si sfugge e forse, non di rado, ai rigori ed ai concetti che informano le leggi, debbono mutarsi, o per lo meno sensibilmente modificarsi. Ed occorrerà in genere stabilire chiaro e preciso il concetto che chiunque abbia un qualsiasi rapporto di carattere economico con lo Stato, pel quale sia in atto o possa anche eventualmente verificarsi un conflitto tra gli interessi del deputato e quelli dello Stato medesimo, è incompatibile alla carica politica. Piuttosto si potrà meglio, e sempre con disposizioni di legge, distinguere tra ineleggibilità ed incompatibilità, in guisa che il deputato possa anche rimanere in carica, liberandosi con effettiva e seria rinunzia da qualsiasi vincolo verso lo Stato. La serietà e la sincerità della rinunzia non può che essere affidata alla coscienza ed alla delicatezza del deputato.

Si è rilevato altresì che vi sono Società private la cui entità assurge talora a quasi monopolio, con poteri eccessivi e forze capaci persino di rovesciare o creare un Governo, per giunta con una attività che si spiega su terreno extraparlamentare. Non è possibile all’uopo formulare norme concrete di carattere giuridico; sarà solo indispensabile una assidua oculata vigilanza che potrà meglio esercitarsi per mezzo della stampa, dell’opinione pubblica e della progressiva educazione politica del corpo elettorale.

Sarà del pari utile ed opportuno stabilire che, come avviene per i magistrati e per altri elevati funzionari, si sanzioni una incompatibilità nella circoscrizione in cui si esercita il proprio ufficio per coloro che hanno il potere di concedere vantaggi ed utilità, come per esempio i provveditori per le opere pubbliche.

Ad ogni modo, il complesso argomento delle ineleggibilità e incompatibilità dal punto di vista giuridico sarà oggetto di prossimo esame da parte della Commissione per la legge elettorale e poi anche dell’Assemblea; all’uopo si terrà conto senza dubbio di voti e proposte segnalati dalla Giunta delle elezioni nei suoi lavori, con l’esperienza acquisita nell’esame dei risultati elettorali.

Più delicata però, più importante, ed anche meno agevole a risolversi è la questione degli incarichi che possano, oppur no, essere affidati ai rappresentanti politici.

La carica di deputato non è permanente, ma essenzialmente aleatoria e temporanea; sarebbe eccessivo, esagerato ed anche pericoloso pretendere l’abbandono oppure la sospensione d’ogni attività professionale; eccessivo, perché nessuna incompatibilità e di nessun genere vi è tra il mandato politico e il proprio consueto lavoro, a cui il deputato può ben dedicarsi e si dedica nei limiti di tempo consentiti dai suoi impegni politici, che debbono però ritenersi sempre preminenti. Sarebbe pericoloso altresì, perché potrebbe indurre i migliori e più competenti cittadini a rinunziare ad ogni attività politica, e riempire le Assemblee di coloro che vivono di rendita, o comunque non hanno mai esercitato alcun mestiere o professione. (Approvazioni).

Al di fuori però della propria attività professionale, occorre essere molto cauti nel chiedere o accettare incarichi, a cui per giunta non si può neppure attendere con assiduità e con coscienza, data la molteplicità degli impegni che specialmente oggi sono imposti dalla vita politica.

Gli incarichi possono venire da enti privati oppure da enti statali o parastatali. Per i primi nulla si può stabilire con precisione; sarà solo il deputato, nella sua scrupolosità, a giudicare se possa o meno accettarli, se vi sia una ragione qualsiasi di carattere politico o morale che gli imponga di rifiutarli. Per i secondi deve ritenersi che è meglio non siano in nessun caso affidati a rappresentanti politici, a meno che non si tratti di posti di grande responsabilità, in cui, specialmente nel pubblico interesse, si richiedano speciali competenze ed attitudini.

Ma su di un argomento che offre non lievi difficoltà non si possono neppure formulare tassative norme legislative o regolamentari; è tutta una questione di sensibilità e di educazione politica, per cui il deputato deve egli per il primo essere sospinto dal bisogno di non chiedere o di non accettare incarichi presso enti statali o parastatali, e il Governo deve astenersi dal prescegliere per tali incarichi uomini politici, rivestiti della carica di deputati o senatori. Che se poi gli incarichi medesimi preesistessero, dovrebbero, dopo i comizi elettorali, seguire immediate e reali le dimissioni da parte degli eletti.

Possono al riguardo farsi delle eccezioni solo per gli Istituti di beneficenza e per gli incarichi presso i medesimi assolutamente gratuiti, senza stipendi e senza indennità di sorta o gettoni di presenza.

Insomma, criteri imprescindibili di correttezza politica, esigenze dei nostri tempi, sentimenti del popolo, a cui non è dato resistere, impongono che sia eliminato il più lontano sospetto che la carica di deputato possa essere anche un mezzo per accaparrare più o meno cospicui emolumenti, e che con incarichi, prebende e concessioni, talora anche a persone non del tutto capaci e meritevoli, si voglia concorrere a rafforzare un partito più che un altro o a mantenere e rinsaldare un prestigio individuale o di carattere elettorale e politico, il che sarebbe più grave ancora per la libertà e l’indipendenza che ogni deputato deve avere nell’esercizio del proprio mandato. (Vivi applausi).

È già assai grande l’onore che è concesso a chi è chiamato a rappresentare il popolo nel più alto consesso della Nazione; più grande ancora è l’onere e la responsabilità che ne derivano; meglio, più corretto e più giusto riserbare ad altri lavori ed incarichi più o meno retribuiti.

Deve poi ritenersi indispensabile che si ritorni al costume, rigorosamente rispettato prima del fascismo, secondo il quale per uomini politici, durante il loro ufficio di Ministri, Sottosegretari o anche deputati, non si riteneva corretto avere incarichi retribuiti dal Governo, oppure conseguire promozioni o trasferimenti negli impieghi di già tenuti prima della nomina a deputati o Ministri. E non deve perpetuarsi quel sistema sorto pure durante il fascismo, per il quale i Ministri o Sottosegretari, uscendo di carica, avevano quasi come premio un incarico più o meno redditizio, o una promozione nella carriera. (Vivi applausi).

La Commissione, chiamata a pronunziarsi sopra eventuali casi di incompatibilità morale o politica, ha posto soltanto dei problemi sui quali ha stimato anche suo dovere esprimere le proprie opinioni; le relative soluzioni sono poi affidate all’Assemblea Costituente. Al termine però dei suoi coscienziosi lavori, sente in pari tempo spontaneo ed anche imperioso il bisogno di affermare recisamente che non possono in alcun modo impressionare piccoli ed insignificanti episodi che vanno rapidamente eliminandosi, come procede e s’impone il nuovo libero orientamento politico, in modo da dimostrare che un triste passato non continua né si rinnova con forme e partiti diversi.

L’Assemblea Costituente, come ha di già dimostrato con l’importanza e l’elevatezza delle sue discussioni a proposito della legge costituzionale e di altri non meno interessanti argomenti, anche per la notevole coesione dei vari gruppi politici, indistintamente dai maggiori ai minori, come per la qualità e per le doti dei suoi componenti, nessuno escluso, ben risponde alle esigenze ed alle legittime aspirazioni del popolo.

Nel suo progressivo sviluppo politico offre sicuro auspicio che la prossima Camera legislativa, ben degna della giovane Repubblica Italiana, saprà affrontare e risolvere i più grandi problemi dai quali può derivare una era di pace, dedicata ad un lavoro concorde e fecondo, unico mezzo per affrettare la ricostruzione della Patria. (Vivi applausi).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Chiederei che la relazione fosse, come la precedente, stampata e distribuita; e, affinché ognuno di noi sia bene informato della situazione controllata dalla Commissione nell’indagine compiuta a carico di ogni deputato, desidererei che fosse anche distribuito l’elenco dei deputati che hanno denunciato di ricoprire degli incarichi, elenco al quale ha fatto riferimento chiaro ed esplicito l’onorevole Rubilli. (Commenti al centro). Chiarisco la mia idea: l’onorevole Rubilli ha detto esservi una trentina di deputati i quali rivestono determinate cariche extra parlamentari, come in aziende pubbliche o private, ecc. Io chiedo, non per quelli che non hanno incarichi, ma per quelli che ne hanno, che sia fatta una indicazione per ogni singolo deputato.

In sostanza, io chiedo che l’elenco dei deputati che rivestono determinati incarichi sia distribuito; non mi interessa quello dei deputati che non hanno incarichi.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io credo che la proposta del collega di sinistra sia accettabile, con una modifica: che anche coloro i quali non hanno ancora presentato la loro dichiarazione, la presentino. (Approvazioni a destra).

PATRISSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRISSI. Sono favorevole alla pubblicazione integrale delle statistiche risultanti dalle indagini compiute dalla Commissione. Vi è chi ha molti incarichi, chi ne ha uno solo, e comunque è bene che siano invitati gli altri a denunciare i loro incarichi. Nella relazione che ha letto l’onorevole Rubilli vi sono poi delle enunciazioni di criteri e di principî che sarebbe desiderabile regolassero l’atteggiamento e la condotta dei deputati all’Assemblea Costituente. Io chiederei che, in qualche modo, in un ordine del giorno che potrà essere votato dall’Assemblea, si sanzionassero questi principî; perché, come ebbi a dire in febbraio, quando fu fatta la proposta dell’onorevole Natoli, noi dobbiamo, per venire incontro a questa situazione, risolvere una volta per tutte il problema delle incompatibilità; nel senso cioè che non esistono vie di mezzo: dobbiamo tornare alla vecchia tradizione parlamentare, secondo cui l’onore di rappresentare il popolo era così alto che colui che ne era investito doveva esserne pago e non doveva conservare o sollecitare incarichi statali o parastatali.

Faccio formale richiesta alla Commissione degli Undici, di riassumere, in un ordine del giorno da sottoporre al voto dell’Assemblea, le conclusioni riguardanti le incompatibilità.

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Io appartengo alla categoria di quei deputati che non hanno inviato alla Presidenza della nostra Assemblea alcuna dichiarazione. Se non ho inteso male, il collega onorevole Russo Perez vorrebbe che tutti questi deputati inviassero anche la loro dichiarazione.

Fo presente che non ho inviato alcuna dichiarazione perché non avevo nulla da dichiarare. D’altra parte il modulo che è stato distribuito non stabiliva l’obbligo, per i deputati che non avevano alcun incarico, di inviare alla Presidenza qualche dichiarazione.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. L’onorevole Coppi mi pare che abbia perfettamente ragione. Infatti, il modulo che è stato distribuito era formulato in modo che non si era obbligati a fare delle dichiarazioni. Io sono tra quelli che l’hanno fatta negativamente, ma in realtà non vi era quest’obbligo.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Credo, onorevoli colleghi, che non solo un partito, ma tutta l’Assemblea e tutto il Paese, debbano essere lieti delle conclusioni a cui è pervenuta la Commissione d’inchiesta, che si ispirano a così alti principî di probità e moralità politica.

Le conclusioni della Commissione pongono fine, nel modo più degno, ad una campagna scandalistica che non solo aveva profondamente ed ingiustamente ferito l’animo di alcuni nostri colleghi ma, consapevolmente o inconsapevolmente, mirava a gettare il discredito sulle istituzioni democratiche.

Io non voglio, con una sola parola, invelenire la situazione. Esprimo soltanto un desiderio: avrei cioè desiderato che l’onorevole Finocchiaro Aprile fosse presente e, con lealtà, avesse riconosciuto di essersi lasciato troppo trasportare dalla passione nelle sue accuse. La Commissione di inchiesta ha detto che il sistema non è da incoraggiare; io penso che in questo giudizio siamo tutti concordi, precisando che il sistema non è da incoraggiare perché lede quei principî di probità e di dignità politica che debbono essere patrimonio geloso di una libera Assemblea. (Applausi al centro).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Abbiamo ascoltato con molta attenzione la relazione dell’onorevole Rubilli e dobbiamo rendere testimonianza dello zelo, dello spirito di serenità con cui la Commissione ha proceduto nei suoi lavori. Per quanto riguarda le conclusioni a cui la Commissione è giunta, non v’è dubbio che la Commissione stessa si è preoccupata di dosare i suoi giudizi in merito ai vari casi; si è preoccupata di dosarli in tal modo, che nella coscienza di ciascuno di noi è chiara l’esistenza di una gradazione di valutazioni, della quale non possiamo non prendere atto.

Per quello che si riferisce all’affermazione dei criteri generali, giustamente l’onorevole Rubilli ha detto che esistono due forme di incompatibilità: le incompatibilità giuridiche e le incompatibilità morali. Per ciò che riguarda le incompatibilità giuridiche, provvederà la nuova legge elettorale; ma è chiaro che la relazione della Commissione contiene implicitamente, se non un monito, un appello a coloro i quali, rientrando comunque in uno dei casi cui l’onorevole Rubilli ha fatto cenno, debbono porsi in coscienza la domanda se nei loro confronti esista o meno un caso di incompatibilità morale.

Per quello che riguarda le conclusioni di carattere generale, io sono d’accordo con la proposta che è stata fatta, nel senso che alle conclusioni della Commissione debba essere conferito un carattere, non dico di solennità, ma di speciale gravità, da un voto esplicito dell’Assemblea.

L’oratore che ha formulato la proposta ha detto che è necessario tornare ai tempi in cui nessun dubbio poteva essere sollevato sulla moralità di coloro che erano investiti della funzione e della responsabilità di deputati al Parlamento.

PICCIONI. Quali furono questi tempi?

CIANCA. Io aggiungo che tanto più si ravvisa necessario affermare questo principio dopo la profonda immoralità inserita nella vita politica dalla propaganda e dalla prassi del regime fascista.

Noi dunque siamo d’accordo nel prendere atto delle risultanze della Commissione degli Undici, secondo i diversi criteri di valutazione nella relazione stabiliti. Criteri i quali d’altronde sono stati anche messi in rilievo dalla differente accoglienza che l’Assemblea ha fatto, applaudendo o non applaudendo a determinate conclusioni specifiche del relatore.

PICCIONI. Non c’entra nulla, mi pare.

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, la prego di non interrompere.

CIANCA. Io non comprendo, soprattutto in questo campo, le interruzioni. L’onorevole Piccioni è troppo abile giurista e troppo fine ragionatore perché non veda il diritto che io ho di pervenire alle conclusioni cui sono pervenuto. Se dovessi d’altronde accettare quello che egli ha detto dovrei concludere che è stato perfettamente inutile che l’onorevole Rubilli abbia parlato un diverso linguaggio nei confronti dei vari capi sottoposti all’esame della Commissione.

Con questo – intendiamoci – non voglio fare nessuna accusa specifica. Quando noi siamo intervenuti in questo dibattito, siamo stati i primi a levarci contro le tendenze scandalistiche di cui valutiamo la gravità ed in certo senso anche l’immoralità. Ma dobbiamo dire che in questo momento, come corpo politico, non possiamo non tener conto della differenza di linguaggio e, come dicevo, d’una determinata gradazione che è esplicita anziché implicita, nella relazione dell’onorevole Rubilli.

MASTINO GESUMINO. Sono cose diverse. Non c’è gradazione.

CIANCA. Mi pare che i colleghi vogliano spingermi ad accentuare il tono là dove io mi sono proposto, per ragioni di correttezza, di fare rapida allusione. Non credo che convenga agli interruttori di insistere su certi motivi. Ho fatto un accenno unicamente sul terreno politico. Ripeto, in questo è implicito un riconoscimento obiettivo dei criteri di serenità e di giustizia ai quali la Commissione degli Undici si è ispirata.

Concludo dicendo che sarebbe opportuno che questa Assemblea facesse proprie, con un voto esplicito, le conclusioni a cui è arrivata nella sua parte finale la relazione della Commissione degli Undici. (Applausi).

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Mi ero proposto di tacere, ma, dal momento che non pare che sia unanime il giudizio dell’Assemblea, chiedo – per quanto mi riguarda – l’applicazione dell’articolo 80-bis del Regolamento; comunque chiedo la nomina di una Commissione d’inchiesta la quale accerti, per quanto mi riguarda, i fatti, anche perché da essi, così come sono stati narrati dal Relatore, non mi pare che sia emersa nella sua sostanza la realtà delle cose, forse perché la Commissione ha pronunciato, in sostanza, un giudizio d’incompetenza.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà,

TOGLIATTI. Desidero fare un’osservazione e una proposta, dopo aver udito le conclusioni alle quali è arrivato l’onorevole Cianca, di cui condivido molte delle considerazioni.

L’onorevole Cianca propone di approvare le conclusioni e le proposte con le quali si conclude la relazione della Commissione degli Undici, che sono proposte relative al criterio dell’incompatibilità e all’applicazione di questo criterio in differenti casi.

Ora mi pare che, se si facesse questo, si farebbe cosa un po’ affrettata. Dateci il tempo di riflettere.

La mia proposta sarebbe questa: che noi, del rapporto della Commissione degli Undici, come ci è stato letto (e finora ci è stato soltanto letto, non lo abbiamo letto ancora noi stessi e, quindi, molte cose le conosciamo in modo ancora superficiale), che noi – dicevo – dessimo atto di questo rapporto alla Commissione degli Undici e, per quanto si riferisce alle proposte sulla incompatibilità, ci fosse dato il tempo di riflettere, e che il problema venisse esaminato in sede separata, o in un’altra seduta, oppure quando discuteremo della legge elettorale. (Approvazioni).

PATRISSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRISSI. La proposta dell’onorevole Cianca distingue fra incompatibilità giuridica e incompatibilità morale. L’incompatibilità giuridica potrà formare oggetto di studio e di esame in sede di discussione della legge elettorale, ma le incompatibilità morali devono – viceversa – formare oggetto di formulazioni di principio adottate dall’Assemblea, perché la materia morale è molto elastica.

Sarebbe opportuno che in un ordine del giorno, che contenesse appunto queste formulazioni di principio, l’Assemblea si pronunciasse su questa materia tanto delicata.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Anche a nome della Commissione, sento il dovere di dire una parola sulle proposte che sono state fatte.

Una volta presentata la relazione, il nostro compito è espletato, e spetta all’Assemblea di esaminare e giudicare.

Soltanto una preghiera io desidero fare ai colleghi: cerchiamo di non ampliare, di non prolungare un episodio che certo non è uno dei più allegri.

Sta bene la discussione, stanno bene le proposte, stanno bene gli ordini del giorno, ma io non credo che sia opportuna la pubblicazione di tutti gli incarichi che hanno i deputati.

Voci. Perché no?

RUBIGLI, Presidente della Commissione degli Undici. Non credo sia indispensabile. Lasciate ch’io vi faccia un’osservazione e voi deciderete. Noi che abbiamo visto quei moduli e li conosciamo possiamo anche dire che non portano ora ad alcuna conseguenza pratica. Dobbiamo essere tutti d’accordo che c’è stato un periodo il quale deve ritenersi come eccezionale e puramente transitorio: nuove norme dovranno essere stabilite, una nuova disciplina si dovrà imporre anche ai deputati dal punto di vista morale e politico. Ora, se il periodo transitorio sta per chiudersi, a che serve andare cercando gli incarichi che sono stati dati in un momento in cui non si era deputati, o non si era stabilita ancora alcuna norma che ne vietasse l’accettazione?

È indispensabile invece esaminare oggi quali nuovi criteri si vogliano seguire, e quali vincoli imporre ai deputati.

Per maggiore conoscenza poi di ogni elemento di fatto, potranno i colleghi recarsi alla Segreteria della Commissione, dove ormai gli atti ed i documenti sono a loro disposizione, e così avranno anche modo di esaminare i moduli e formarsi il concetto che credono. Ma, ripeto, farne una pubblicazione non mi pare né necessario, né utile, né opportuno; dico ciò al solo scopo di evitare perdita di tempo e di giungere alla discussione ed alla conclusione al più presto possibile.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Credo che sia interesse di tutti arrivare ad una conclusione. Sono state fatte proposte, sia dal collega Cianca, sia dal collega Togliatti e in ultimo dal Presidente della Commissione onorevole Rubilli. Ma a me pare che bisognerebbe precisare. Intanto a noi sono indispensabili tutti quei dati che abbiamo sentito leggere dal collega Rubilli e su cui la nostra attenzione si è portata affrettatamente. Abbiamo perciò bisogno di controllare, cioè di fare un esame della relazione. Pertanto appare a me indispensabile che, nell’interesse di tutti, per meglio arrivare alla conclusione come ciascuno di noi desidera, la relazione sia pubblicata e distribuita.

Secondo: una volta che abbiamo esaminato la relazione a fondo ed esaminato i fatti per vedere cosa significa incompatibilità giuridica, morale, ecc., sarà indispensabile concludere con un ordine del giorno che esprima in sintesi la volontà dell’Assemblea, con l’obbligo di ciascuno di rispettare tale volontà. Quindi si dimetteranno da deputati quelli che lo crederanno opportuno; quelli invece che riterranno di doversi dimettere dalle cariche, si dimetteranno dalle cariche.

Se questo non si fa, i risultati della relazione saranno vani è non si concluderà nulla: l’accertamento delle incompatibilità rimarrà allora un pio desiderio e lettera, morta. (Applausi).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. A me sembra che si debba tener conto di varie circostanze. La relazione di una Commissione d’inchiesta può essere così semplice e piana e definitiva che basta venga esposta all’Assemblea perché l’Assemblea ne prenda atto e così finisca l’episodio a cui si riferisce. Vi sono poi relazioni un po’ complesse che non possono essere approvate in tutte le loro parti, ad una semplice lettura. Nel caso nostro si tratta di una relazione che ha anche una caratteristica in più, perché conclude anche con delle proposte di massima o da prendersi in esame oggi o da tenere in conto domani, e che si riferiscono a casi d’incompatibilità legali e morali. Si tratta quindi di una relazione che può portare a conseguenze d’importanza molto più notevole di quelle inerenti ad una pura e semplice presa d’atto delle conclusioni stesse. Si è parlato, con ragione, dell’importanza della relazione e dell’opportunità di stamparla. L’onorevole Rubilli ha invitato noi, suoi colleghi, ad esaminare alcuni documenti di cui la Commissione si è servita. Mi sembra che tutte queste circostanze non possano portare che ad una conclusione: stampare, distribuire la relazione e poi discutere, non dico ridiscutere, ma discutere per la prima volta la relazione stessa e prendere le conclusioni che saranno del caso.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Il mio intervento è limitato, onorevoli colleghi, a confutare quello che ha detto il Presidente della Commissione degli Undici, onorevole Rubilli, cioè essere inopportuno che venga pubblicato l’elenco degli onorevoli colleghi i quali hanno degli incarichi retribuiti. L’onorevole Rubilli s’è preoccupato di porre una domanda: «A che cosa servirebbe la pubblicazione di questo elenco?». Serve molto, onorevole Rubilli, perché purtroppo, si è portata qua dentro e si è quindi diffusa nel Paese, una questione che possiamo definire morale; ed è necessario che ognuno di noi sia a conoscenza di quello che può incidere sulla personalità morale di un altro collega per gli incarichi che ha ricevuto, anche se erano incarichi di natura transitoria. Non vi sono mezzi termini. Io sono convintissimo, e mi auguro, che l’assoluta maggioranza di questi incarichi sia a titolo gratuito e non dipenda dalle funzioni politiche; ma appunto per questo ritengo che sia opportuno che l’Assemblea prenda conoscenza precisa degli incarichi, della natura e qualità di essi, e possa formarsi un giudizio e discuterne se sarà il caso. Infine, mi associo alle conclusioni a cui vorrebbe giungere subito l’onorevole Patrissi; ma mi sembra molto più esatta l’opinione dell’onorevole Togliatti, là dove, non contrastando assolutamente con esse in linea di principio, ha chiesto che noi si abbia modo e tempo, e non soltanto per averla sentita leggere da altri, di esaminare la relazione direttamente e studiarne le conclusioni. Noi dobbiamo tendere alla tutela della nostra dignità affinché nel Paese questa democrazia sia finalmente una democrazia rispettata, il che otterremo soprattutto se i membri di quest’Assemblea risulteranno inattaccabili, senza pericolo cioè di accuse sulla loro correttezza e onorabilità.

PRESIDENTE. Sono stati presentati due ordini del giorno. Il primo a firma degli onorevoli Costantini e Nobile:

«L’Assemblea, sentita la relazione della Commissione degli Undici, delibera:

1°) che essa sia distribuita ai deputati;

2°) che sia anche comunicato l’elenco di coloro che hanno avuto ed hanno incarichi con la specificazione della qualità degli stessi e l’ammontare delle relative retribuzioni;

3°) che successivamente l’Assemblea stabilisca la data in cui potrà discutere le conclusioni della relazione stessa».

Vi è poi un altro ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria:

«L’Assemblea, udita la relazione dell’onorevole Rubilli, ne prende atto e approva le conclusioni della medesima relative alla necessità di dare alle alte funzioni di rappresentante del popolo tutta quella indipendenza da incarichi extra-parlamentari richiesta dalla dignità e dalla moralità della vita pubblica».

Sono state avanzate varie richieste. La prima è quella della stampa della relazione. La richiesta è contenuta nell’ordine del giorno dell’onorevole Costantini. Poi è stata fatta la richiesta della stampa e distribuzione di certi elenchi dei deputati. Gli onorevoli Costantini e Nobile chiedono l’elenco di coloro che hanno o hanno avuto incarichi: altri colleghi chiedono che si proceda, invece, alla stampa dell’elenco di tutti i deputati che hanno consegnato il modulo riempito. Si aggiunge la richiesta suppletiva che i colleghi che non hanno restituito il modulo, e ne erano autorizzati dalla dizione stessa con cui questo è stato redatto, siano invitati a riempirlo e restituirlo, in modo che la pubblicazione comprenda i nomi di tutti i deputati dell’Assemblea, abbiano o non abbiano incarichi.

A questo proposito l’onorevole Rubilli ha fatto presente che quanto meno per quest’ultima richiesta, cioè per la conoscenza delle posizioni dei singoli deputati in relazione agli incarichi, ci si potrebbe rimettere all’esame del materiale conservato in Segreteria, cioè praticamente alla visione diretta dei moduli riempiti e restituiti dai singoli deputati.

Vi è poi l’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria che, riprendendo in parte la proposta dell’onorevole Patrissi, chiede che l’Assemblea esprima un giudizio sulle conclusioni di carattere generale, in modo che esso divenga termine di misura e confronto per i singoli membri dell’Assemblea nella loro posizione attuale.

PATRISSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRISSI. Ho motivo di credere che si sia equivocato sulla natura della mia proposta, in quanto l’onorevole Presidente l’ha abbinata all’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria.

Il mio punto di vista è questo: che debba ritenersi chiuso con un voto il lavoro della Commissione; c’è una questione di ordine generale, una questione di principio, e mi associo in ciò alla proposta dell’onorevole Togliatti, che va giustamente meditata e ponderata.

Quindi la parte della conclusione della Commissione che riguarda l’impostazione di carattere generale deve essere distribuita. Bisogna che ci sia consentito di esaminarla, di riflettere sulle proposte e di riproporle nell’ordine del giorno. Insomma il mio desiderio è che il lavoro di questi quattro mesi della Commissione non sia del tutto sterile e che ci impegni moralmente a uniformare la nostra linea di azione a determinati criteri.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Patrissi di redigere la sua proposta per iscritto, perché sia sottoposta all’approvazione dell’Assemblea.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Vorrei chiedere all’onorevole Costantini se lo spirito e quindi la conclusione ultima della sua proposta sia o non sia che la relazione ritorni alla discussione dell’Assemblea. (Commenti).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi sembrava di essermi espresso chiaramente. Mi sorprende che l’onorevole Targetti non mi abbia capito.

Io ho detto che concordo nelle conclusioni cui è giunto l’onorevole Patrissi, ma concordo anche con il concetto dell’onorevole Togliatti, il quale ha detto: «Dateci tempo di esaminare; poi discuteremo e arriveremo a qualche conclusione».

PRESIDENTE. L’onorevole Togliatti se non erro, non ha ancora detto questo. Ha detto: «Vedremo poi se dovremo farne argomento di una discussione particolare o se questa discussione dovrà esser fatta al momento in cui si esamineranno le leggi elettorali, le quali toccano anche il problema delle incompatibilità».

COSTANTINI. Comunque l’onorevole Togliatti era sempre per un esame della situazione, per giungere poi, dopo questo esame, a delle conclusioni. Quindi, secondo me, Togliatti concordava per la distribuzione della relazione a fine di studio e, successivamente, anche di particolare discussione.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Il significato della mia proposta era prima di tutto di permetterci di prendere visione, con un po’ più di ponderatezza, delle conclusioni della Commissione. Quindi avere questa relazione, leggerla, studiarla ed esaminarne le conclusioni. Per questa parte mi associo alla proposta dell’onorevole Costantini.

Inoltre io proponevo che in una sede o in un’altra discutessimo di quelle conclusioni che si riferiscono all’incompatibilità; e se l’onorevole Costantini fa sua la proposta, di discuterle in seduta apposita, e non in legame alla legge elettorale, mi associo alla sua proposta.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Composarcuno, Coccia e Cappugi hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, sentita la relazione degli Undici, ne prende atto e ne chiede la distribuzione ai deputati, riservandosi ogni altra decisione in merito».

L’onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgerlo.

CAMPOSARCUNO. Io desidererei un po’ illustrare questo ordine del giorno. La relazione degli Undici esamina, prima di ogni altra questione, i casi che furono denunciati dall’onorevole Finocchiaro Aprile. Li esamina secondo il criterio che ha creduto di adottare. Mi pare che tutta l’Assemblea sia concorde nel dare atto di ciò alla Commissione degli Undici. I singoli interessati – come è avvenuto per l’onorevole Scoca che non si è ritenuto sodisfatto, almeno pare, delle conclusioni degli Undici – potranno fare quelle proposte che riterranno di proprio interesse. Questo esula un pochino dalla nostra competenza.

Per quanto riguarda le conclusioni che noi vogliamo trarre dalla relazione della Commissione, le proposte sono diverse. Alcuni vorrebbero che si pubblicasse l’elenco di tutti i deputati i quali hanno ricoperto o ricoprono cariche od incarichi che si ritengono incompatibili con la carica di deputato.

La pubblicazione, a giudizio del Presidente della Commissione degli Undici, farebbe ancora un po’ mettere in discussione un problema che invece noi vogliamo eliminare al più presto. Penso però che ai singoli deputati possa effettivamente interessare l’elenco di quei colleghi i quali si trovano in tali condizioni, non per renderlo di pubblica ragione, ma per renderne edotti tutti i deputati.

Per quanto riguarda l’incompatibilità e la ineleggibilità, penso che questo argomento debba essere deciso in occasione della discussione delle leggi elettorali; e siccome tale discussione è imminente, in quella sede troveranno il posto più adatto le incompatibilità e le ineleggibilità.

In merito alla parte finale della relazione, cioè la parte morale, io penso che qualsiasi decisione prendessimo noi oggi, sarebbe veramente affrettata. Ed allora io, in conclusione, mi associo a quello che ha detto l’onorevole Togliatti e propongo che la relazione sia pubblicata e distribuita ai singoli deputati, i quali dovranno esaminarla ponderatamente, perché una semplice lettura non basta a formare una convinzione precisa sulla reale sostanza della relazione degli Undici. Dopo che ciascuno di noi avrà avuto la relazione scritta, ed avrà potuto così formarsi le proprie convinzioni, potrà fare le proposte che riterrà di interesse e di competenza dell’Assemblea Costituente. Sotto questo aspetto ed in questo senso, va inteso l’ordine del giorno da me presentato.

PRESIDENTE. L’onorevole Selvaggi ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, udita la relazione della Commissione degli Undici, prende atto del suo operato e delle sue conclusioni.

«Per quanto concerne l’affermazione di principî generali cui ispirare il comportamento dei singoli deputati e che forma oggetto dell’ultima parte della relazione degli Undici,

l’Assemblea delibera la pubblicazione e la distribuzione della relazione stessa, nonché dell’elenco delle cariche ricoperte da ogni deputato (invitando, pertanto, tutti i deputati ad adempiere a tale obbligo);

invita la Presidenza a fissare un giorno in cui si possa discutere della relazione e stabilire quale parte possa essere oggetto dì un ordine del giorno e quale possa essere raccomandata per la futura Camera elettorale».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei far rilevare ai colleghi che mi pare che stiamo uscendo un po’ fuori dal seminato. (Commenti). Noi siamo partiti da alcune accuse specifiche, lanciate da un nostro collega contro altri colleghi; abbiamo nominata una Commissione di inchiesta, che ha riferito in un primo tempo su due casi; ora riferisce su altri casi. Noi, con una generosità di cui probabilmente il Paese non ci è stato per nulla grato, ci siamo messi tutti sotto inchiesta ed abbiamo dato lo spettacolo di un’Assemblea Costituente in cui tutti e 556 i deputati hanno dubitato gli uni degli altri. (Applausi). Ma la Commissione degli Undici rappresenta noi stessi; noi abbiamo dato ad essa i poteri più ampi per indagare sui casi singoli e su tutto il complesso dei casi. Essa è arrivata a questa conclusione: che non c’è nulla che possa autorizzare chicchessia a credere che fra i deputati alla Costituente ve ne siano taluni che possano presentare la più piccola delle incrinature morali. Dopo questa conclusione della Commissione degli Undici, cioè a dire di noi stessi, noi decidiamo, o meglio, vogliamo decidere di pubblicare la relazione e di pubblicare altresì gli elenchi, mettendo così di nuovo tutta l’Assemblea sotto inchiesta, e non più dinanzi ad una Commissione ristretta di colleghi! (Interruzione dell’onorevole Pajetta Giuliano Rumori a sinistra).

Io non ho per niente da preoccuparmi personalmente, ma mi preoccupo solo perché può ricominciare, nel Paese, una serie di attacchi di carattere personale contro chiunque di noi.

Si potrebbero infatti presentare dei casi nei quali la gente non sapendo quale sia il tipo di un incarico, potrebbe credere a chi sa che cosa, e noi dovremmo discutere volta per volta, o col tale o col tal’altro giornale, per dimostrare che siamo dei galantuomini, come la nostra Commissione d’inchiesta – da noi nominata – ha pubblicamente attestato oggi.

Quindi pubblichiamo pure gli atti della Commissione e, per quanto concerne la relazione, mandiamone la conclusione sulle incompatibilità alla Commissione che esamina la legge elettorale politica (Approvazioni al centro – Commenti a sinistra), che è la sola in grado di poterne prendere atto e trarne le conseguenze. Ma non pubblichiamo l’elenco dei deputali; ciascuno di noi, se vuole, se lo vada a vedere presso gli atti della Commissione. Ciò non perché si abbia paura, ma perché non possiamo, dopo il giudizio della Commissione di inchiesta, riaprire l’inchiesta su tutti i deputati. Se questo dovesse accadere, io faccio formale richiesta che la Commissione degli Undici resti perennemente in funzione per poter difendere di fronte agli attacchi, da qualunque parte vengano, tutti i deputati che potessero essere discussi per la pubblicazione dell’elenco.        

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Io ho l’impressione che invece di chiarire si continui a confondere. Io non vedo quello che vede l’onorevole Corbino…

CORBINO. Abbiamo occhi diversi.

SELVAGGI. …cioè la necessità di fare una nuova inchiesta. Mi sembra che non ci possa essere una dichiarazione più chiara di quella che è stata fatta. Rendiamola, dunque, di pubblica ragione. Essendo stati tutti, più o meno, messi in causa, abbiamo il dovere di rendere pubblica la nostra situazione. Non mi sembra che così si possa attaccare nessuno. Se poi c’è qualcuno che su una pubblicazione voglia speculare, ed allora c’è il dovere di tutti gli altri 555 membri dell’Assemblea di difendere il 556°. Questo mi sembra logico. (Interruzioni – Commenti).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Occorre, innanzi tutto, stabilire su che cosa noi discutiamo, quale è il nostro ordine del giorno. Esso è: «Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana». L’argomento di cui abbiamo discusso e discutiamo è, come ognuno vede, affatto diverso; tuttavia, la discussione stessa si giustifica, ma si giustifica se si contiene nei suoi termini. Perché? Perché, in sostanza, la Camera – io non sono buono a dire Assemblea – ha voluto procedere ad un giudizio che riguarda uno dei suoi interna corporis. Ciò può ammettersi che sia sempre possibile; ma, fatta questa concessione, bisogna sempre che ci conteniamo in limiti rigorosi. Ci sono state accuse a deputati alle quali l’Assemblea stessa può provvedere in virtù del suo Regolamento interno; ecco perché dico che si può considerare come interna corporis. Su questa accusa l’Assemblea ha deciso di deferire il giudizio ad una Commissione, la quale, se mi permettete l’espressione di carattere cavalleresco, mentre non ho appartenuto mai a nessuna cavalleria, costituisce una specie di giurì d’onore, dove tutti i partiti sono rappresentati. In questa Commissione io ho piena fiducia. Per me, quello che essa ha fatto è egregiamente fatto. Quindi, io approvo la decisione della Commissione. E con questo la questione si esaurisce come ordine del giorno. Ma qualcuno può dire: «No, io non approvo la relazione o, quanto meno, desidero che sia discussa». Ed allora, si può aprire questa discussione, ma a condizione che sia materia all’ordine del giorno. Io sento parlare di limiti giuridici, di limiti morali; poco ci manca che non si arrivi ad una specie di breviario ad uso dei deputati, poiché tutto quanto tocca la morale non può esser compreso e definito con formole astratte senza il concorso di quella sensibilità individuale, che è l’unica misura di quello che è o non è consentito ad una persona onesta di fare o di non fare.

Comunque, in questo momento l’Assemblea è chiamata soltanto a prendere atto, è con ciò approvarla, della relazione della Commissione: oppure, un’altra soluzione si presenta per coloro che non credono che la discussione si possa chiudere ora così: stampare la relazione, che sarebbe l’attuazione di un principio generale di diritto parlamentare, cioè quello che tutti i documenti debbono essere scritti, stampati e distribuiti. Dopo di che, qualsiasi deputato il quale creda di dover riprendere la questione, in una fine di seduta, in una qualunque delle future nostre riunioni potrà chiedere che sia messa all’ordine del giorno la discussione su questa relazione. Questo mi pare che sia nei termini del Regolamento. Pertanto, o la Camera approva in questo momento, puramente e semplicemente, le conclusioni della Commissione, – nel qual caso l’argomento è esaurito – e questo del resto dovrebbe essere quando l’Assemblea si affida ad una specie di giurì d’onore, quale è stata questa Commissione, perché altrimenti ogni altro atteggiamento sarebbe un atteggiamento anarchico, come avviene quando manca una guida, e ogni membro di un collegio segue esclusivamente il suo impulso personale; o, invece, si crede che l’argomento vada discusso e se ne traggono argomenti per varie deliberazioni da consacrare in appositi ordini del giorno, e allora, non c’è che da stampare la relazione, allegandovi quei documenti che la Commissione deciderà di allegare; perché questo non lo dobbiamo dire noi. Si capisce che una relazione stampata deve avere i suoi allegati, e questo deve decidere la Commissione stessa; dopo di che, distribuita la relazione, la questione potrà riproporsi in discussione all’Assemblea, ma sempre dopo che sarà posta all’ordine del giorno di una prossima seduta.

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Mi duole di non essere d’accordo col nostro Maestro Orlando, perché mi sembra che si confonda ancora: la Commissione degli Undici ha fatto anzitutto un’opera d’inchiesta ed è arrivata ad una conclusione, in seguito alle accuse fatte in questa Assemblea da parte di un deputato ad altri suoi colleghi. E su questo, essendosi l’Assemblea affidata ad una Commissione, che è nostra emanazione, sia pure sotto la forma del giurì d’onore, come ha voluto chiamarlo l’onorevole Orlando, la cosa è finita.

Ma c’è una seconda parte sulla quale verte ora la discussione: quella riguardante proposte su principî generali, ai quali i deputati dovrebbero attenersi per evitare che in futuro vi potessero essere scambi di accuse fra un deputato ed un altro e per una questione di carattere morale da parte di un rappresentante del popolo verso il Paese stesso. E a questa seconda parte che si riferisce la pubblicazione delle cariche ricoperte da ogni deputato, ed è su questa seconda parte che noi dovremmo discutere, per vedere se è il caso di includere questi principî generali in un ordine del giorno, o se dovranno essere demandati alla futura legge elettorale. Perciò mi sembra che non vi sia nessuna difficoltà a dire: questa Commissione ha finito i suoi lavori, ne prendiamo atto, ma discutiamo la seconda parte che riguarda proposte concrete.

PRESIDENTE. Mi pare che il problema si ponga in questi termini: approvare la relazione della Commissione, secondo l’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria, e ritenere con questo chiusa la questione; oppure, accettato o no l’ordine del giorno Di Gloria, considerare la questione come ancor sempre aperta.

Si tratterebbe allora di decidere da un punto di vista tecnico come preparare la discussione a venire. Per ora intanto dobbiamo stabilire che cosa deve essere pubblicato. L’onorevole Orlando ha detto che, in definitiva, la Commissione stessa deve essere arbitra o giudice di quali documenti allegare alla propria relazione Ma forse alla Commissione non dispiacerà di avere al riguardo un consiglio dall’Assemblea; si spoglierà in tal modo di una responsabilità.

Abbiamo dunque l’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria, il quale chiude la questione. Se esso sarà approvato, tutti gli altri non avranno più ragion d’essere. Se invece non sarà approvato, si dovrà far ricorso agli altri ordini del giorno.

LUSSU. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Per la rapidità della discussione, visto che da tutti i settori si chiede la pubblicazione, l’onorevole Di Gloria dovrebbe ritirare il suo ordine del giorno, altrimenti si sarebbe obbligati a chiedere l’appello nominale.

PRESIDENTE. Per me, onorevole Lussu, la questione non si pone, perché non so se l’onorevole Di Gloria accede all’invito di ritirare il suo ordine del giorno.

DI GLORIA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Mi pare non vi sia dubbio che l’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria debba avere la precedenza nella votazione.

Onorevoli colleghi, vediamo di concludere. È stato chiesto l’appello nominale sull’ordine del giorno dell’onorevole Di Gloria.

DI GLORIA. In seguito ad uno scambio di idee avuto con il Presidente del mio Gruppo, ritiro, sia pure a malincuore, il mio ordine del giorno.

PRESIDENTE. Sta bene. Restano allora tre ordini del giorno, ciascuno dei quali propone alcuni provvedimenti concreti in ordine alla più diretta conoscenza che l’Assemblea desidera avere della relazione presentata. Tutti e tre gli ordini del giorno propongono, per intanto, la pubblicazione della relazione.

L’ordine del giorno degli onorevoli Costantini e Nobile propone anche che sia comunicato l’elenco di coloro che hanno avuto o hanno incarichi, con specificazione della qualità degli stessi e dell’ammontare delle relative retribuzioni; e, in secondo luogo, che successivamente l’Assemblea stabilisca la data in cui potrà discutere le conclusioni della relazione.

L’onorevole Selvaggi, a sua volta, chiede la pubblicazione della relazione; in più chiede la pubblicazione dell’elenco delle cariche ricoperte da ogni deputato, aggiungendo l’invito ai deputati che non hanno ancora presentato il questionario riempito, a restituirlo.

Onorevole Selvaggi, ciò significa che lei ritiene che la pubblicazione debba riferirsi ad un elenco completo, cioè di deputati che abbiano o non abbiano cariche?

SELVAGGI. Completo, abbiano o non abbiano cariche.

PRESIDENTE. In questo punto l’ordine del giorno Selvaggi differisce quindi da quello dell’onorevole Costantini. Infine, mentre l’onorevole Costantini lascia facoltà all’Assemblea di deliberare o meno sulla discussione della relazione, l’onorevole Selvaggi invita la Presidenza a fissare un giorno nel quale si possa discutere la relazione.

C’è poi un ordine del giorno dell’onorevole Camposarcuno che si limita a richiedere la distribuzione della relazione, salvo poi a deliberare quel che si debba fare.

Penso che si debba cominciare a votare la proposta che la relazione della Commissione degli Undici sia pubblicata e distribuita, proposta comune a tutti gli ordini del giorno.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Voterò per la pubblicazione della relazione, ma non voterò per la pubblicazione dell’elenco dei deputati, perché questa è roba da giornali e romanzi gialli. Penso che sarebbe cosa poco seria.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. La Commissione si astiene.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima richiesta, comune a tutti e tre gli ordini del giorno, che la relazione della Commissione degli Undici sia pubblicata e distribuita.

(È approvata).

Pongo ora in votazione la richiesta degli onorevoli Costantini e Nobile che sia pubblicato l’elenco di coloro che hanno avuto od hanno incarichi, con specificazione della qualità degli stessi e dell’ammontare delle relative retribuzioni.

(È approvata).

Vi è poi la richiesta dell’onorevole Selvaggi di invitare i deputati, i quali si siano astenuti dal restituire il questionario, non ricoprendo cariche – in ciò autorizzati dalla stessa dizione del questionario – a restituirlo debitamente riempito.

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Nell’ordine del giorno dell’onorevole Selvaggi non è fatto cenno della circostanza che i deputati i quali non avevano avuti incarichi, erano autorizzati a non restituire il questionario.

PRESIDENTE. Onorevole Coppi, l’elemento al quale lei giustamente tiene, risulta dalle dichiarazioni che sto facendo, proprio nel momento in cui pongo in votazione questa proposta. È pacifico che lei ed altri colleghi, che non ricoprivano cariche, erano pienamente autorizzati a non restituire il questionario. Ora l’onorevole Selvaggi chiede che si rivolga invito a questi colleghi di volerlo restituire anche essi.

Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Infine vi è la proposta dell’onorevole Selvaggi che venga pubblicato l’elenco anche dei colleghi i quali hanno restituito il questionario con l’indicazione che non hanno ricoperto o non ricoprono cariche.

(È approvata).

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. È stata approvata la pubblicazione dell’elenco dei deputati che hanno avuto od hanno incarichi. Noi non possiamo fare altro che la pubblicazione dei moduli così come ci sono stati dati.

PRESIDENTE. Certo, la pubblicazione riguarda i moduli della Presidenza in quanto essi assorbono anche le comunicazioni della Presidenza del Consiglio. La lista della Presidenza del Consiglio indica infatti le cariche ricoperte che hanno rapporto con enti pubblici o semi-pubblici. È evidente che i colleghi, indicando le cariche che hanno ricoperto o ricoprono, hanno incluso anche queste. Pubblicando i moduli, si intende di ottenere la conoscenza totale di tutte le notizie relative al problema.

RUBILLI, Presidente della Commissione degli Undici. Quindi non possiamo pubblicare che quello che risulta dai moduli.

PRESIDENTE. Ancora una piccola questione: bisogna fissare un termine di presentazione ai colleghi, che sono stati invitati a restituire i moduli, anche se essi non hanno ricoperto né ricoprono cariche; così la pubblicazione potrà seguire con una certa sollecitudine. I moduli saranno fatti nuovamente pervenire a quei colleghi che dallo specchio dei moduli già in possesso della Commissione risulta che non hanno ancora risposto.

Possiamo stabilire il termine di una settimana da oggi.

(Così rimane stabilito).

I colleghi che sono stati invitati a restituire questi moduli anche con l’indicazione che non hanno ricoperto cariche sono pregati di farli pervenire entro una settimana da oggi. Ed allora consideriamo chiusa la questione per oggi, salvo ad esaminare se dovrà essere ripresa in un secondo momento.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Scelba, Ministro dell’interno, è pronto a rispondere alle seguenti interrogazioni con carattere d’urgenza che sono state presentate ieri sera in relazione all’episodio avvenuto a Reggio Calabria:

«Al Ministro dell’interno, perché dia precise notizie sulle violenze commesse da elementi reazionari nella notte del 25 corrente a Reggio Calabria a danno di una Sezione comunista locale, e per sapere quali misure egli ha preso per assicurare che simili violenze non abbiano a ripetersi ancora.

«Musolino, Silipo».

«Al Ministro dell’interno, per sapere ciò che risulta intorno all’aggressione contro la Sezione comunista «Nino Battaglia» di Reggio Calabria e quali disposizioni ha dato perché, con inflessibile fermezza, siano garantite la vita e la legale attività dei partiti politici e la tranquillità di tutti i cittadini.

«Sardiello».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quanto gli consti in merito alla vile aggressione perpetrata la notte dal 24 al 25 giugno in Reggio Calabria contro la Sezione comunista «Nino Battaglia» e per sapere le misure adottate onde perseguire i responsabili ed evitare il ripetersi di simili atti di banditismo politico.

«Priolo, Mancini Pietro».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, dai rapporti ufficiali pervenuti al Ministero dell’interno, i fatti accaduti a Reggio Calabria sono i seguenti:

«Nella scorsa notte ignoti penetrati mediante chiave falsa o grimaldello nella sede della sezione rionale comunista «Nino Battaglia», sita nel quartiere esterno della città denominato Tre Mulini, asportavano un apparecchio radio, una macchina da scrivere, marca Invicta, alcune lampadine elettriche, la bandiera della sezione e il busto di Stalin, imbrattando, con disegni e scritti a firma Giuliano, figure di personalità del partito».

Da successive informazioni, e con riferimento a quanto pubblicato sulla stampa, il prefetto scrive:

«Nessun assalto al locale della detta sezione, nessuna iscrizione inneggiante al duce, nessuno scritto contro il Governo De Gasperi. Non vero incendio, bandiera rossa ritrovata alla mattina successiva insieme busto Stalin pure intatto».

Come risulta dalla comunicazione ufficiale, i fatti non lasciano fortunatamente presumere che si tratti di una manifestazione politica. (Interruzioni all’estrema sinistra).

Se l’onorevole interruttore ha qualche informazione più dettagliata, sono molto lieto se me la comunicherà. Io faccio le mie valutazioni in base alle informazioni a me pervenute. Si tratterebbe, dicevo, presumibilmente, in base ai rapporti pervenuti al Ministero, di un furto perpetrato a danno della sezione comunista. (Ilarità a sinistra). Onorevoli colleghi, niente di straordinario: due fatti perfettamente identici, con furto di apparecchio radio e di altri mobili sono stati perpetrati nella notte dal 10 all’11 giugno e dall’11 al 12 giugno a Roma nella sottosezione della Democrazia cristiana di Borgo Aurelio e nella sottosezione della Democrazia cristiana del Quarticciolo. Nessun democristiano e nessuno di noi ha pensato di vedere in questofatto una manifestazione politica. (Applausi al centro – Interruzione dell’onorevole Pajetta Giuliano).

Vi è stato un manifesto anonimo; e quando si mettono dei manifesti anonimi e non si ha il coraggio di assumerne la responsabilità (Applausi al centro e a destra), non si può invocare la protezione della legge.

Debbo aggiungere, comunque, che non c’è stata nessuna aggressione, e non c’è nessuna prova sulla causale del fatto, perché le indagini in corso non hanno accertato la identità personale dei responsabili di questi fatti.

La polizia compirà il suo dovere, cercando di accertare chi sono i responsabili di questo fatto; ma io ritengo che sia supremamente ingiusto di non volere lasciare il Paese tranquillo, turbando la stessa Assemblea col portare su un piano nazionale manifestazioni che sono di una portata assolutamente limitata; e soprattutto manifestazioni sul cui carattere ancora nessuno di questa Assemblea e del Governo è in grado di dire una parola definitiva.

Una voce. Giuliano.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ciò si potrà dire il giorno in cui avremo trovato il responsabile. Ma, onorevoli colleghi, quando vedo la bandiera del partito socialista o comunista e il busto di Stalin (che è stato portato via insieme ad una macchina da scrivere) lasciati intatti e in posto ove potessero essere facilmente reperibili, a me pare che dovrebbe escludersi, secondo un raziocinio comune, la manifestazione politica, perché se questa si fosse voluta, l’azione si sarebbe esercitata contro gli emblemi e segni del partito, mentre si è esercitata unicamente sulle cose che avevano un valore pecuniario: la macchina da scrivere e l’apparecchio radio. (Applausi al centro).

Comunque, ripeto, onorevoli colleghi, noi non abbiamo nessun elemento per poter dichiarare ed accertare che effettivamente si tratti di manifestazione della reazione agraria, così come si afferma in una interrogazione; come pure non si può dire che si tratti di aggressione, perché il fatto si è svolto di notte e la porta è stata aperta con una chiave falsa. Quindi non c’è né aggressione, né reazione agraria, almeno secondo i dati posseduti fino a questo momento. Se la polizia accerterà i responsabili, li perseguirà, ma pregherei la stampa, che ha dato eccessivo risalto a questo episodio, gli onorevoli colleghi e soprattutto il segretario della Camera del Lavoro di Reggio Calabria (non c’è, come si è detto, nessuna dichiarazione di sciopero generale a Reggio Calabria fino a questo momento, e non c’è ragione che possa giustificare uno sciopero), di non drammatizzare simili episodi, perché il Paese non potrebbe alla lunga sopportare questo stillicidio; non potrebbe sopportare manifestazioni scioperaiole per episodi la cui portata è assolutamente limitata. Le maggiori probabilità sono che l’episodio vada riportato a un fatto di delinquenza comune, quale è il furto di un apparecchio radio e di una macchina da scrivere. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Musolino ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MUSOLINO. Non posso dichiararmi sodisfatto.

A Reggio era stata inaugurata la bandiera della sezione «Nino Battaglia», con una riuscita manifestazione di lavoratori e di popolo. Successivamente ebbe luogo il congresso della Sezione comunista, congresso che diede la prova dell’entusiasmo con cui è seguito il movimento comunista a Reggio. Due giorni avanti, però, un compagno fu investito da un appartenente alle file del qualunquismo, il quale gli disse: «Vi daremo una lezione. Appena sarà finito il congresso comunista noi vi dimostreremo di che cosa siamo capaci». Al che il nostro compagno rispose con un ceffone.

Dopo due giorni si sono verificate le violenze. Questo fatto, questi precedenti, possono dimostrare il carattere politico dell’attacco operato contro la Sezione comunista. Non si tratta di un’azione di ladri. È vero che hanno portato via la radio ed anche la macchina da scrivere, ma questo non esclude il movente politico.

Devo inoltre rilevare un altro precedente. L’anno scorso, il 13 giugno, quegli stessi che oggi sono stati gli autori dell’aggressione attaccarono la Federazione comunista in occasione della proclamazione della Repubblica, e coloro che eccitarono la folla a venire ad attaccare la Federazione sono quegli stessi che appartengono al Partito qualunquista e che ieri militavano nella Democrazia del lavoro. Il fatto, quindi, è assolutamente politico. Ma perché questa violenza venne commessa? Perché c’è la reazione…

Voci a destra. …In agguato!

MUSOLINO. La reazione sente di avere con sé il Governo e quindi di farla franca: perciò ha attaccato le nostre istituzioni.

Le masse lavoratrici, però, della nostra Calabria, sono in continua ascesa (Rumori ed interruzioni a destra), le masse lavoratrici sono in continua ascesa e ciò preoccupa le classi che hanno interesse a mantenere i lavoratori in condizioni di servaggio e di oppressione. (Rumori a destra). Le masse lavoratrici del Mezzogiorno si trovano in una situazione di miseria, di fame e di disoccupazione. Le masse lavoratrici e tutti i lavoratori hanno già individuato i loro avversari di classe ed i responsabili di questa loro situazione. Perciò i lavoratori si serrano attorno alla nostra organizzazione, con la speranza di poter risorgere e di poter essere, una volta per sempre, uomini e cittadini in pieno possesso di tutti i diritti, con la dignità che ogni uomo ha sulla terra. Voi sapete che oggi c’è in Calabria un profondo distacco tra classe e classe per cui la dignità del povero contadino è continuamente offesa. Infatti la situazione dei lavoratori nel Mezzogiorno non è come quella dei lavoratori del Settentrione d’Italia. (Rumori a destra). Questa è la loro miseria, e questa la loro condizione. Il 2 giugno, col trionfo della Repubblica, si dette a tutti i lavoratori la speranza di poter uscire dallo stato di oppressione e di miseria in cui si dibattono. Oggi tutti questi lavoratori sono attorno a noi, intorno a quella bandiera. Essa quel giorno venne inaugurata con tanta solennità e tanto entusiasmo da esprimere la viva speranza della loro redenzione, e di mettere fine a quei privilegi di classe che umiliano la dignità umana. (Rumori a destra – Applausi a sinistra).

La reazione…

Voci a destra. …In agguato!

MUSOLINO. …sa che la nuova Costituzione che stiamo discutendo e che stiamo completando porta un colpo fatale al latifondo ed ai privilegi di classe. La reazione (Rumori a destra) spera che non venga il giorno in cui essa vedrà cessare tutti i suoi privilegi, ed ecco perché spera di riprendere posizione dopo la sconfitta del 2 giugno. Per questo cominciano ad attaccare le nostre organizzazioni, come faceva il fascismo nel 1921. (Rumori a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Musolino, concluda per non dar luogo a rimostranze.

MUSOLINO. La bandiera fu portata via in quella manifestazione, e dopo essere stata strappata fu intrisa di inchiostro e ne furono distrutti tutti i simboli. (Interruzioni e rumori a destra).

Ora noi diciamo a quei colleghi della destra che noi in quella occasione siamo riusciti a trattenere l’ondata di coloro che sono disoccupati e vivono nella miseria e i nostri compagni hanno fatto di tutto, affinché si mantenesse la calma. Ma fino a che punto potremo trattenere queste forze che sono indignate da questa tattica? (Rumori a destra). Noi vi diciamo che è bene che voi invitiate i vostri seguaci a non permettersi ancora una volta di attaccare le nostre organizzazioni, perché noi non possiamo più rispondere di quello che potrebbe succedere dopo. (Applausi a sinistra).

Una voce a destra: Anche noi! (Commenti – Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Sardiello ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SARDIELLO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io parlerò brevemente. Non posso formulare accuse specifiche né indicare responsabilità, perché il fatto è ancora oggetto delle indagini della polizia e dovrà poi pronunziarsi l’autorità giudiziaria. L’offesa che è derivata dal fatto non tocca il mio partito: d’altra parte affermo che la preoccupazione che l’episodio mi suscita sarebbe uguale se, come oggi contro il Partito comunista, venisse contro qualsiasi altro partito, di qualsiasi colore. (Approvazioni).

MAZZA. Ricordate le nostre sezioni che avete devastato!

SARDIELLO. …perché la democrazia non si mortifica quando la violenza si abbatte su un certo partito; la democrazia si mortifica e si rinnega tutte le volte che la violenza prende il posto del libero dibattito dell’idea. (Applausi). Con pari lealtà debbo dire che non mi sento sodisfatto della risposta dell’onorevole Ministro dell’interno. Perché non mi sento sodisfatto? Non solo per le notizie autorevolissime direttamente avute da Reggio Calabria, che suonano diversamente, ma perché l’impostazione che si dà oggi del fatto pecca – me lo consenta l’onorevole Ministro – non da parte sua, ma da parte di chi lo ha informato, di una ingenuità assolutamente inverosimile. Onorevole Ministro dell’interno, quando l’intelligente popolo della mia città udirà questa spiegazione che lei ha data, non ne usciranno rafforzate né la serietà degli organi ufficiali di Governo, né la dignità di quest’Assemblea, alla quale quella versione viene offerta.

Si tratta di una violenza. Degli estranei sono entrati, con chiavi false o con grimaldelli, nella sede di un partito ed hanno asportato la radio, la macchina da scrivere (e questo è furto), ma anche un busto di Marx o di Lenin, una bandiera inaugurata, come diceva ora il collega Musolino, qualche giorno avanti. Il primo rapporto pervenutole dice: «La bandiera è stata imbrattata, il busto è stato imbrattato». Il secondo rapporto dice: «L’indomani, bandiera e busto intatti, sono stati trovati sul Ponte della Libertà». Basterebbe questo a far pensare all’offesa. Ma alle mura sono stati trovati anche dei disegni offensivi, e dei nomi ed emblemi di altri partiti, nonché il nome famoso di Giuliano. Ed allora, come si fa a pensare che se lo scopo fosse stato quello del furto, i ladri, naturalmente incalzati dalla preoccupazione di non indugiare per non essere scoperti, avrebbero perduto tempo a fare quelle scritture e poi ad asportare la bandiera e… un busto in gesso per andarlo a deporre in un punto lontano, sul Ponte della Libertà? Ingenuità è la parola più indulgente che può offrirsi a questa versione dei fatti!

Dica onorevole Scelba, che il fatto, di fronte al sangue che è corso a Pian della Ginestra, è di una portata non allarmante. Saremo d’accordo. Ma quella versione non può essere accettata.

E così non accetto (per quello che mi riguarda come firmatario della mia interrogazione) il rilievo dell’onorevole Scelba, che non sia opportuno di portare all’Assemblea questi episodi.

No, onorevole Scelba, l’episodio fortunatamente non è quello del Piano delle Ginestre o dei successivi fatti di Sicilia, ma ha la sua gravità. E non per quanto si riferisce al… biglietto da visita di Giuliano. Deve averne stampati troppi! Ormai è comodo il nome di Giuliano. Un paio di mesi fa (consentite la digressione), il timbro di Giuliano ha servito a Reggio Calabria per alimentare una sottoscrizione per la restaurazione monarchica. (Commenti – Proteste a destra).

BENEDETTINI. Ma non diciamo sciocchezze; non abbiamo bisogno di briganti per fare la politica, noi!

SARDIELLO. È sciocchezza negare senza sentire i fatti.

COVELLI. Non tanto, perché questo sono menzogne, che però non ci confondono.

SARDIELLO. Sono verità. Quella sottoscrizione monarchica, fatta col timbro di Giuliano, è servita a carpire alla stupidità od alla paura di certi sognatori nostalgici, un paio di centinaia di migliaia di lire.

BENEDETTINI. Non abbiamo bisogno di rivolgerci a Giuliano per fare delle sottoscrizioni. Fate meno speculazione politica su queste cose!

SARDIELLO. Speculazione? Di qualcuno certamente. Non nostra. Infatti, l’episodio è finito in Tribunale ed il truffatorello in galera.

Ripeto: non è in questo la gravità del fatto. La gravità del fatto è in ciò: che ogni episodio di violenza di questo genere, anche modesto, ha in questo momento una gravità particolare in se stesso, ed è di due ordini, su due piani diversi: è nello stato dello spirito pubblico, che ad episodi del genere non sempre reagisce proporzionatamente, il che ci preoccupa e dobbiamo evitare; ed è inoltre nel fatto che il Governo mostra di mancare al suo compito che oggi è anche quello di essere, oltre a tutto, garante di quelle affermazioni di libertà per tutti che l’Assemblea ha già consacrato nella Carta costituzionale e le quali bisogna credere che l’autorità deve sapere difendere.

Ecco perché io ho portato qui la questione e mi sono permesso di sollecitare personalmente l’onorevole Scelba perché desse oggi la sua risposta alla interrogazione. Questa preoccupazione è ben degna dell’Assemblea e del mio dovere di deputato e di cittadino. Il popolo di Reggio può aver bisogno di sentire una parola rasserenatrice, e la mia richiesta aveva appunto lo scopo che al popolo che sento dire convocato per domani in piazza a Reggio potesse giungere la parola del Governo, con l’affidamento che episodi del genere non si ripeteranno. Questa era la mia speranza: non è stata coronata dal successo e non posso pertanto dichiararmi sodisfatto. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Priolo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PRIOLO. Onorevoli colleghi, il Ministro dell’interno ha semplicizzato troppo: vorrei che le cose fossero effettivamente andate come l’onorevole Scelba le ha esposte, e lo vorrei perché, nemico della violenza per temperamento, mi dolgo assai quando vedo questa prendere il posto della libera, sana, democratica battaglia politica. Ho avuto la grande fortuna, cosa della quale vado immensamente orgoglioso, di sedere su questi banchi dell’estrema sinistra nel 1924 accanto a Filippo Turati, a Giacomo Matteotti, a Claudio Treves, ad Eugenio Chiesa, a Giovanni Amendola ed a tanti altri uomini politici di alta statura, che la bufera travolse, su questi banchi, che costituivano l’ultima disperata trincea contro la valanga liberticida irrompente, ed ho visto come la violenza, scatenatasi dapprima contro di noi, paludata di anticomunismo e di antisocialismo, abbia a mano a mano invaso tutti gli altri settori.

E cominciò appunto con la distruzione delle sedi dei partiti di sinistra, delle Camere del lavoro, delle Case del popolo, delle Cooperative, con le bastonature singole e collettive, per culminare infine nell’assassinio, nella deportazione, negli esilî, negli ergastoli. (Applausi a sinistra).

Parlo soprattutto per i giovani, che sono in quest’Aula e fuori, perché sappiano a che duro prezzo è stata riconquistata la libertà, della quale oggi godono, e come sia sommamente necessario difenderla, ed invoco la testimonianza autorevole dei superstiti, pochi, pochissimi invero, che ancora siedono in questa prima Assemblea democratica e repubblicana. (Applausi).

Gli onorevoli colleghi Musolino e Sardiello lo hanno già detto: «Ingenua la vostra versione dei fatti, Ministro dell’interno, ingenua» e, qualificandola così, sono stati generosi. Io mi associo alla loro definizione, volendo essere generoso anch’io. (Ilarità).

Ma pensate, onorevoli colleghi: la bandiera, guarda caso, era stata inaugurata appena qualche giorno prima.

Orbene: la bandiera viene asportata, assieme al busto di Stalin (il ladruncolo, che si preoccupa dei simboli di partito!): l’una e l’altro vengono la mattina dopo rinvenuti imbrattati sul Ponte della Libertà.

Onorevoli colleghi, voi non sapete che cosa rappresenti per i lavoratori di Reggio Calabria il Ponte della Libertà! Aveva un altro nome, questo Ponte, e fui proprio io a ribattezzarlo così in un giorno lontano del marzo 1924, lontano nel tempo non nella memoria, di fronte ad una imponente adunata di popolo, convenuto coraggiosamente in quel luogo ed in quel giorno malgrado l’imperversare della tirannide ed i divieti della polizia.

Un punto di luce nella notte fosca!

Dissi in quel giorno ed in quel luogo: «Da oggi noi intitoleremo questo ponte: «Ponte della Libertà»; da qui moveremo, quando il sole nuovo tornerà finalmente a risplendere su questa martoriata Italia».

Nella notte un valoroso giovane, un bravo intelligente pittore (voglio a suo onore ricordarne il nome: Carmelo Lanucara) scrisse sulle due spallette la nuova denominazione: «Ponte della Libertà».

Il giorno dopo i fascisti deturparono la scritta, il segretario politico del tempo ordinò rappresaglie, la polizia indagò rigorosamente: quando nel 1944 fui prefetto politico di Reggio Calabria ebbi modo di vedere l’incarto voluminoso raccolto allora, che consacrava le indagini ed enumerava le persecuzioni.

Ebbene, onorevoli colleghi, proprio io ho avuto la grande gioia, quale primo sindaco di Reggio Calabria nel settembre 1943, a distanza di venti anni, di chiamare quell’eroico cittadino, non più giovane d’età, ma sempre fervido di sentimento, invitandolo a iscrivere su quel ponte il nome fatidico: «Ponte della Libertà», che nessuno più, mai più, riuscirà a cancellare. (Vivissimi applausi).

Su quel ponte ci siamo ritrovati, lavoratori del braccio e lavoratori del pensiero, fraternamente affasciati nei giorni epici, in cui abbiamo combattuto la grande battaglia per la Repubblica contro una monarchia fradicia, che, alleandosi al fascismo, pronuba prima, succube poi, aveva disonorato l’Italia. (Rumori – Proteste a destra – Vivissimi applausi a sinistra).

BENEDETTINI. Questa è demagogia. (Rumori a sinistra).

COSTANTINI. L’ha rovinata, oltre che disonorata. (Applausi a sinistra).

PRIOLO. Perché demagogia? E non stiamo forse piangendo, ed amaramente, le conseguenze di quel tristo connubio?

Voce a sinistra. Benissimo, proprio così!

PRIOLO. Lasci invece, mio caro Benedettini, che io a titolo di gloria imperitura ricordi come non solo la città di Reggio, ma tutta la Provincia abbia risposto nel referendum con una percentuale di voti repubblicani, superiore alle previsioni più rosee. (Vivissimi applausi a sinistra).

Orbene, onorevoli colleghi, la bandiera della sezione ed il mezzo busto, imbrattati, vengono portati proprio su quel ponte! Ma non sentite, non avvertite come la beffa si mescola all’oltraggio?

Ingenuità, ingenuità, onorevole Ministro, la vostra: accontentatevi di questa generosa definizione, data al raccontino, che ci avete poco prima ammannito con aria compunta e dimessa. (Applausi).

E poi le iscrizioni sui muri: un fascio littorio, mi dicono, artisticamente dipinto con accanto il nome dell’ex duce e del bandito Giuliano! Il ladro od i ladri, che asportano i simboli di partito non solo, ma si premurano anche di munirsi di vernice per dipingere un fascio e scrivere il nome del celebre bandito! Povero Giuliano! È diventato il condimento di tutte le minestre reazionarie! E si badi, onorevoli colleghi: ciò che dianzi diceva Gaetano Sardiello è perfettamente vero, ed in maniera particolare mi rivolgo a lei, collega Benedettini, che è venuto a Reggio, ha fatto una riunione monarchica ed ha nominato, nuovo rappresentante della Federazione regionale, quel buon uomo, e tanto mio buon amico, del barone Carlo De Blasio Monsolini, in sostituzione dell’onorevole Siles, che ha sentito finalmente il bisogno di lasciare la presidenza dell’U.M.I.

SILES. Non sono più presidente.

PRIOLO. Sì, non ha più la carica, ma purtroppo, e ciò mi addolora moltissimo, è rimasto decisamente monarchico. Ora è giunto il momento di confessare con lealtà la propria fede, a viso aperto, assumendone tutte le responsabilità. (Approvazioni).

BENEDETTINI. Ecco, ha detto benissimo, a viso aperto.

PRIOLO. Se infatti la Democrazia cristiana, ed a grandissima, maggioranza, nel suo Congresso dell’aprile 1946, tenutosi in Roma alla Città Universitaria (sono i congressi, che dànno le direttive ai partiti) si è proclamata repubblicana, chi è monarchico e si sente ancora tale, mi pare non possa più onestamente e legittimamente sedere su quei banchi e militare in quel partito.

Passi nelle file monarchiche, ma prima restituisca il mandato parlamentare: ne avete tanti e tanti di monarchici – e che razza di monarchici! – nelle vostre file, cari amici della Democrazia cristiana; potrei indicarveli tutti con nome, cognome e paternità. (Commenti al centro – Applausi a sinistra).

Ebbene, costoro compiano lealmente un gesto chiarificatore, si irreggimentino nel partito di Covelli e di Benedettini, ma prima, ripeto, restituiscano il mandato parlamentare, così come si faceva al buon tempo antico, quando si cambiava partito.

Io ricordo che gli onorevoli Barzilai e Bissolati, rispettivamente deputati del quinto e secondo collegio di Roma, si dimisero solo perché nelle elezioni amministrative della città, svoltesi nel 1914, il blocco democratico-popolare era stato battuto dalle forze conservatrici: quanta sensibilità ed onestà politica allora! Ma quegli uomini si chiamavano Bissolati e Barzilai!… (Applausi – Commenti prolungati).

Orbene, quando io, di rincalzo a Gaetano Sardiello, parlo della sottoscrizione fatta a Reggio Calabria per finanziare la insurrezione savoina, ciò dico per far conoscere all’onorevole Ministro dell’interno, che fa l’ingenuo, che cosa bolle in pentola e per incitarlo a stare all’erta ed a vigilare attentamente.

Perché è ridicolo, sommamente ridicolo quanto è accaduto, lo riconosco, ma è un sintomo, è un indice, ed è per questo che bisogna soffermarsi e meditare.

È bastato che un truffatorello volgare (si sta in questi giorni celebrando a Reggio il processo contro di lui) si presentasse a dei nostalgici, denarosi, della mia città, affetti ancora da cardiopalma monarchico-savoiardo, dicendo ad alcuni che veniva a nome di Giuliano, ad altri a nome di un immaginario conte Guido di Santafiora e presentasse commendatizie, munite di sigillo a ceralacca e timbro a secco, comunicanti che vi era in preparazione un vasto complotto per rimettere sul ricostituito trono d’Italia Umberto II, anzi addirittura Vittorio Emanuele III, perche subito le speranze sopite si rinverdissero. Mano ai portafogli (non so se in confronto ad un operaio disoccupato o ad un povero morto di fame sarebbero stati così solleciti, premurosi e generosi!) e circa trecento mila lire vennero consegnate all’eroicomico ambasciatore di Giuliano e del conte di Santafiora. (Si ride).

Voce a sinistra. Ed i sottoscrittori perché non vennero processati? (Commenti prolungati).

PRIOLO. Purtroppo non fu fatto, lo so, e fu male, perché indubbiamente costoro pensavano di avere ben impiegati i loro soldi; e sognavano già il ritorno trionfale del re, non disgiunto, si badi bene, ed è questo che maggiormente loro interessava, non disgiunto dal risorgere della reazione torbida, scatenata contro le classi lavoratrici in marcia. (Applausi).

Questi benedetti monarchici! Ma chi ve lo fa fare, dico io spesso in cordiale colloquio a due dei nostri più accesi colleghi, e mi riferisco appunto a Benedettini e Covelli: chi ve lo fa fare? (Si ride).

BENEDETTINI. Lo facciamo perché lo sentiamo: i soldi non ce li dà nessuno, creda, onorevole Priolo.

PRIOLO. Io non dubito della vostra onestà, miei cari amici; voi sapete che vi voglio bene, e, se vi parlo così, è perché a me duole che voi sprechiate la vostra giovinezza in un rinnovato supplizio di Messenzio: uomini vivi vi legate a cose morte, ad istituzioni tramontate, ad una monarchia sprofondata nel fango, nel sangue e nella rovina (Vivissimi applausi a sinistra).

Ho deviato ancora, onorevole Ministro; forse è vero, ma io che conosco i vostri sentimenti repubblicani ed antifascisti (mi auguro che non si siano ora di un subito annullati o intiepiditi), vorrei che voi porgeste orecchio alla mia voce, che segnala i pericoli, precisa le responsabilità, addita gli agguati, davanti ai quali non bisogna fare come lo struzzo, che nasconde la testa sotto l’ala, sperando così di allontanare ogni minaccia. Sorvegliare, sorvegliare, sorvegliare!

Orbene, onorevole Scelba, la sottoscrizione monarchica è un sintomo, l’attacco alla sezione comunista di Reggio è un altro sintomo: ambedue egualmente ammonitori (Approvazioni).

E rifacendomi al concetto espresso dal collega Sardiello, vi dico: domani a Reggio vi sarà una manifestazione popolare di protesta; noi avremmo voluto (ed anche per questo abbiamo presentate le interrogazioni e sollecitata la risposta) che fosse venuta dal banco del Governo una parola ammonitrice, che tranquillizzasse quelle popolazioni e facesse loro comprendere come le autorità non chiudono gli occhi davanti al pericolo. Io intendo che l’episodio di Reggio non è da paragonarsi a quello del Piano della Ginestra od a quelli avvenuti successivamente in Sicilia.

SCELBA, Ministro dell’interno. Sono state compiute almeno duecento aggressioni a carico di tutti i partiti in Italia.

PRIOLO (continuando). Male, male! Il mio vivo desiderio è quello che aggressioni non si compiano a danno di nessun partito, ma quando avvengono non bisogna minimizzare, bisogna invece intervenire e colpire i responsabili.

Onorevole Ministro, impartisca ordini precisi ai prefetti e ai questori: non si dia tregua agli elementi fascisti e monarchici, che cercano di intorbidare le acque e di creare fastidi alla Repubblica, non si accolgano negli uffici con sorrisi e moine: si parli loro invece in maniera severa, categorica, recisa. Dica questo, onorevole Ministro, e chiaramente al prefetto e al questore di Reggio Calabria! (Applausi a sinistra).

L’onorevole Musolino ha affermato che i principî di libertà e di giustizia sociale si fanno sempre più strada in Calabria: ha detto cosa profondamente vera! Alcuni di voi, onorevoli colleghi, hanno sorriso, me ne duole; qualcuno anche ha urlato, peggio ancora; ma nessuno invece ha pensato che l’onorevole Musolino è qui, dopo avere però scontato, innocente, ben tredici anni di galera nelle celle di Portolongone, per aver creduto nella libertà e desideroso soltanto che la libertà finalmente trionfasse nella nostra Italia e anche nella sua, nella nostra Calabria. (Applausi).

Io ricordo, e lo ricorda certamente anche il mio fraterno amico, onorevole Sardiello, che in passato non riusciva a noi allora giovani penetrare in molti paesi della Calabria e più particolarmente nelle vallate dell’Aspromonte, se non a rischio della vita; oggi invece si può andare tranquillamente; e, dove prima il feudalismo più gretto imperava, vi sono ora amministrazioni comunali, rette in maniera impareggiabile da giovani, professionisti, operai, contadini, i quali credono nella santità del lavoro e nella giustizia sociale e si prodigano incessantemente perché questi principî si sviluppino sempre più. (Approvazioni).

I feudatari, i signorotti si mortificano: peggio per loro, che sono rimasti immobili come piloni in mezzo al fiume, che procede impetuoso. Abituati a comandare, non comprendono come ai posti, che loro tenevano in rappresentanza del fascismo con le qualifiche allora in voga di podestà, segretari politici, comandanti di milizia, ecc., ecc., siano subentrati invece, attraverso libere consultazioni popolari, come sindaci, segretari di Camere di lavoro, ecc., nuove forze giovanili dei partiti di sinistra e che coloro, contadini, professionisti ed operai, contro i quali essi appuntavano i loro strali durante il ventennio, ricoprano oggi, ed egregiamente, posti di comando. (Applausi).

È da ciò che origina la reazione padronale, è perciò che fascisti e monarchici, spodestati e definitivamente, muovono alla riscossa: in una parola è il proletariato che si vuole mortificare! (Applausi vivissimi a sinistra).

Io non so a che cosa approderà l’inchiesta. Essa però, ove condotta con onestà di intenti, potrà dire chi siano i responsabili, e, se fra coloro che hanno partecipato all’episodio mortificante, del quale ci occupiamo, vi siano per disavventura alcuni di coloro verso i quali da capo del movimento antifascista prima, e da prefetto politico, più tardi, ho usato indulgenza…

Una voce. Ha fatto male!

PRIOLO. Non me ne pento! Se tornassi indietro mi regolerei allo stesso modo. Ai fascisti della città e della Provincia, i quali, nei giorni del 1943-1944 affollavano, sbiancati in viso, timorosi e preoccupati, i saloni del Municipio e della prefettura di Reggio Calabria, parlai un linguaggio umano, affettuoso, dirò di più, fraterno. Dissi loro che il fascismo era ormai finito, morto, sepolto per sempre; li consigliai a rifarsi un avvenire, a credere nella libertà; soggiunsi che, a poco a poco, sarebbe stato loro facile rientrare nel vasto movimento delle forze politiche, che si profilava all’orizzonte.

Ora mi dorrebbe assai che taluno o taluni di quelli, ai quali parlai in maniera così cordiale, fossero implicati nel doloroso episodio: ciò purtroppo dimostrerebbe (ed avrebbero ragione coloro che sollecitavano in quel tempo la mia severità) che le mie parole non hanno avuto per tutti l’esito da me sperato e che sono cadute invece come una goccia d’acqua su una lastra arroventata.

Non conta: se tornassi indietro, ripeto, mi regolerei nello stesso modo: ma, indulgente allora, e fiero oggi di poterli guardare negli occhi, senza essere io costretto ad abbassare lo sguardo, soggiungo subito che non bisogna ormai avere più debolezze contro i recidivi, sordi a tutti i richiami ed a tutti gli appelli, che, partendo da cuori fraterni, volevano giungere per le vie più diritte a cuori, che si consideravano egualmente fraterni. (Applausi).

Si indaghi perciò, onorevole Ministro, si indaghi e si dia al popolo di Reggio la sensazione che non si possono impunemente compiere gesti che offendono la libertà e la dignità umana.

Si indaghi: non soltanto per ricercare immaginari ladruncoli di radio e di macchine da scrivere, ma per colpire inflessibilmente coloro, i quali vogliono ancora, purtroppo, opporsi alla marcia trionfale della democrazia e della Repubblica. (Vivissimi, applausi – Congratulazioni).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Pochissime parole ancora ai colleghi, che hanno presentato interrogazioni. Credo che il Ministro dell’interno si debba augurare che gli attentati alla libertà politica siano nel minor numero possibile, e che la tendenza a stabilire che si tratti in questo caso di un fatto, di un delitto comune, dovrebbe corrispondere alla aspirazione, al desiderio di tutti; perché io spero che in Italia siano pochi coloro che pensino di macchiarsi di delitti contro la libertà politica e contro la libertà dei cittadini.

Ho riferito i fatti così come sono stati a me riferiti; ma non ho detto che l’inchiesta dell’autorità giudiziaria sia finita. Le istruzioni, che mi s’invita a dare, io le ripeto continuamente da un pezzo e spero che l’azione del Governo in questo senso sia sussidiata dal consenso di tutto il popolo italiano.

Se manifestazione politica c’è in questo episodio, sarà repressa con la massima energia e in virtù delle leggi che la Repubblica possiede.

Disposizioni in questo senso sono già state impartite e saranno rinnovate anche al prefetto ed al questore di Reggio Calabria, perché luce sia fatta su questo caso, e, se responsabilità ci sono, voi potete essere sicuri, e me ne rendo garante di fronte al Paese, che i responsabili saranno colpiti nel modo più rigoroso.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, presa visione dei comunicati diramati dal Consiglio dei Ministri circa alcune disposizioni fondamentali che farebbero parte del decreto di prossima emissione in materia di alloggi, fra cui l’abolizione del Commissariato relativo anche per comuni capiluogo di Provincia;

ritenuto che l’eventuale abolizione della disciplina esistente in materia esige una nuova generale disciplina capace di impedire le gravi speculazioni che già si manifestano nel mercato degli alloggi, persistendo le quali risulterebbe impossibile ad ogni famiglia di lavoratori di procurarsi un tetto;

considerato inoltre che l’applicazione della legislazione in vigore ha costituito delle situazioni di diritto che meritano almeno un regime transitoriale;

ritenuto infine che la materia in esame è complessa e molto importante;

chiedono urgenti informazioni al riguardo; e soprattutto di sapere se il Governo non ritenga di doversi valere della facoltà di sottoporre il progettato decreto alla competente Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente, adottando, data l’urgenza dei termini, un breve provvedimento di proroga della disciplina esistente.

«Platone, Gavina; Pollastrini Elettra, Caprani, Bebnamonti, Mariani Enrico, Cairo».

Chiedo al Ministro dell’interno quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò lunedì.

Su alcune interrogazioni urgenti.

RODINÒ UGO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODINÒ UGO. Chiedo al Governo di comunicare quando intenda rispondere alla mia interrogazione relativa ai fatti di Napoli.

PRESIDENTE. Il Governo quando intende rispondere?

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò nella seduta di lunedì.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Ho presentato ieri una interpellanza, con richiesta di svolgimento urgente, concernente una requisizione di immobile a Treviso.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Potrei rispondere lunedì, se si trattasse di una interrogazione.

COSTANTINI. Ritiro l’interpellanza e la ripresento sotto forma di interrogazione con richiesta di risposta urgente, e prego il Ministro di rispondere nella seduta di lunedì.

SCELBA, Ministro dell’interno. Aderisco.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Chiedo all’onorevole Scelba se sia disposto a rispondere ad una mia interrogazione riguardante il divieto di trasmissioni radiofoniche in occasione di comizi.

PRESIDENTE. Il Governo quando intende rispondere?

SCELBA, Ministro dell’interno. Anche a questa interrogazione risponderò lunedì.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Ho presentato da tempo una interrogazione al Ministro della pubblica istruzione circa il trasferimento dei provveditori agli studi.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Interesserò il Ministro competente.

PIGNATARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNATARI. Da diversi mesi ho presentato una interrogazione, alla quale il Governo non ha ancora risposto, in merito alle comunicazioni ferroviarie in Lucania.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Pignatari a ripresentare la sua interrogazione.

Lunedì si terrà seduta alle 17, e la seduta sarà dedicata interamente alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, sulla pessima qualità del pane che viene distribuito alla popolazione della città e della provincia di Siracusa, con evidente grave nocumento della salute dei cittadini, specialmente delle classi lavoratrici, costrette a comprare il pane della tessera ed impossibilitate a sostituirlo con quello proveniente dal mercato nero.

«La confezione del pane tesserato è quanto di più deplorevole ed antigienico possa immaginarsi: le miscele di farina di grano turco e di altre non commestibili lo rendono esiziale per la salute pubblica, specie nel periodo del caldo estivo. Sono quindi a deplorare non pochi casi di enterite principalmente fra i bambini, e taluni di infezione tifica serpeggiante fra le classi povere.

«L’interrogante invoca immediate disposizioni dai competenti uffici, onde ovviare al gravissimo inconveniente.

«Di Giovanni».

Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per avere dettagliate informazioni sugli incidenti che hanno avuto luogo domenica 22 giugno a Napoli in via Roma.

«Amendola».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno, dell’industria e commercio e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se non si ravvisi necessario inibire ai prefetti la emanazione di decreti limitanti la esportazione da provincia a provincia di merci non destinate all’alimentazione; ed in ispecie per sapere per quali motivi il prefetto di Cuneo abbia recentemente prescritto che possa esportarsi da quella provincia solamente il quantitativo di bozzoli eccedente il fabbisogno degli stabilimenti locali per il periodo normale di lavoro, imponendo agli acquirenti di valersi dei forni e delle filande locali per l’essiccazione, trattura e filatura della merce acquistata; quali provvedimenti, oltreché gravemente lesivi degli interessi dei produttori dei bozzoli e pregiudicanti una produzione di grande importanza per l’economia nazionale, ledono il principio della libertà di commercio e di esportazione di una merce esclusa da ogni vincolo, il cui prezzo ed il cui acquisto debbono essere lasciati al libero giuoco della domanda e dell’offerta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quella per la quale si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 13.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 30 giugno 1947.

Alle ore 17:

Interrogazioni.

VENERDÌ 27 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXIV.

SEDUTA DI VENERDÌ 27 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Messaggio del Capo provvisorio dello Stato:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Sostituzione di Commissari:

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Risposta del Congresso del Guatemala al Messaggio dell’Assemblea Costituente:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Carboni                                                                                                            

Caroleo                                                                                                           

Tonello                                                                                                            

Lussu                                                                                                                

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

                                                                                                                            

Spallicci                                                                                                          

Dominedò                                                                                                         

Jacini                                                                                                                

Chieffi                                                                                                              

Russo Perez                                                                                                      

Veroni                                                                                                              

Romano                                                                                                            

Canepa                                                                                                              

Camposarcuno                                                                                                 

Zanardi                                                                                                            

Bovetti                                                                                                             

Nobile                                                                                                               

Zuccarini                                                                                                         

Perisco                                                                                                             

Targetti                                                                                                           

Piccioni                                                                                                             

Rivera                                                                                                              

Micheli                                                                                                             

Bernini                                                                                                             

De Vita                                                                                                             

Corbino                                                                                                            

Abozzi                                                                                                               

Paris                                                                                                                 

Pecorari                                                                                                           

Tessitori                                                                                                           

Ambrosini, Relatore                                                                                          

Scoccimarro                                                                                                    

Piemonte                                                                                                          

Dugoni                                                                                                              

Carbonari                                                                                                        

Priolo                                                                                                               

Gui                                                                                                                    

Grieco                                                                                                              

Dimissioni del deputato Falchi:

Presidente                                                                                                        

Presentazioni del disegno di legge relativo all’approvazione del Trattato di pace:

Sforza, Ministro degli affari esteri                                                                     

Presidente                                                                                                        

Canepa                                                                                                              

Interrogazioni e interpellanza con richiesta di risposta urgente:

Presidente                                                                                                        

Costantini                                                                                                        

Camposarcuno                                                                                                 

Sul lavori dell’Assemblea:

Dugoni                                                                                                              

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 11.

Messaggio del Capo provvisorio dello Stato.

PRESIDENTE. Comunico il seguente messaggio inviatomi dal Capo provvisorio dello Stato:

«Onorevole avvocato Umberto Terracini
Presidente Assemblea Costituente

Roma

«Desidero rinnovare ancora una volta all’Assemblea Costituente le espressioni della mia gratitudine, che già ho manifestato oggi all’Ufficio di Presidenza, per la nuova testimonianza di benevolenza di cui ha voluto onorarmi e l’assicurazione che compirò ogni sforzo per condurre a termine la mia missione.

«Voglia gradire, illustre Presidente, i miei più vivi ringraziamenti per la forma cordiale e commossa con cui Ella si è reso interprete della volontà dell’Assemblea da Lei così degnamente presieduta.

«Deferenti saluti.

«Enrico De Nicola».

(Vivissimi, generali applausi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che ho ricevuto il seguente telegramma dell’onorevole Cuomo, ieri assente.

«Infermo, voglio con devoto sentimento compiere il dovere di concorrere al solenne plebiscito di omaggio, col quale l’Assemblea Costituente, fedele interprete della sovrana volontà popolare, riacclama Enrico De Nicola Capo dello Stato con avvincente fervore di animo grato e di rinnovate speranze».

Sostituzione di un Commissario.

PRESIDENTE. Comunico di aver chiamato a far parte della prima Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge l’onorevole Fausto Gullo, in sostituzione dell’onorevole Minio, dimissionario.

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Ciampitti, Costa, Cotellessa, Leone Giovanni, Codignola, Pratolongo e Alberti.

(Sono concessi).

Risposta del Congresso del Guatemala al Messaggio dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Sono lieto di annunziare all’Assemblea che, in risposta al nostro messaggio, il Congresso del Guatemala ha espresso la sua viva simpatia per il popolo e il Governo democratico italiano e i sentimenti di solidarietà per le giuste aspirazioni della Nazione italiana a godere di una piena pace in un clima di generosità e di giustizia. Il Congresso si associa, poi, alla fervida speranza dell’Assemblea Costituente che le Nazioni Unite raccolgano l’appello del popolo italiano e gli assicurino maggiori possibilità di consolidare il nuovo regime democratico repubblicano nella pace sociale e nel fecondo lavoro. (Vivi, generali applausi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che, a conclusione della discussione generale sul Titolo V della parte II (le Regioni ed i Comuni) l’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Bonomi Ivanoe, Bozzi, Togliatti, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, e Molè, fu respinto.

L’ordine del giorno presentato dagli, onorevoli Nitti e Rubilli fu assorbito dalla votazione avvenuta, nel senso che, ponendo esso il problema in termini analoghi, doveva considerarsi pure respinto dall’Assemblea.

L’ordine del giorno Bozzi era già stato respinto e, infine, l’ordine del giorno Grieco-Laconi è stato ritirato.

D’altra parte, gli onorevoli Grieco e Laconi, come anche l’onorevole Bozzi, avevano firmato l’ordine del giorno Bonomi che pure è stato respinto.

Dovrei ora porre in votazione il seguente ordine del giorno dell’onorevole Russo Perez:

«L’Assemblea Costituente ritiene che, ferme restando le autonomie già concesse alla Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta con forme e condizioni particolari, altri gruppi di provincie potranno, mediante normali provvedimenti legislativi, essere costituiti in Regioni secondo le norme del Titolo V della Costituzione, quando esse ne avranno sentito ed espresso il bisogno mediante la richiesta di tanti Consigli comunali che rappresentino almeno i due terzi delle popolazioni interessate e tale proposta sia stata approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse».

Poiché l’onorevole Russo Perez non è presente, l’ordine del giorno si intende decaduto.

Restano, pertanto, i seguenti ordini del giorno.

«L’Assemblea Costituente considera la Regione come elemento essenziale della nuova struttura democratica dello Stato italiano, le cui possibilità di vita e di funzionamento dipenderanno specialmente da una immediata e profonda riforma dell’attuale apparato burocratico, ad attuare la quale dovranno essere subito presi i provvedimenti necessari».

Zuccarini.

«L’Assemblea, riconosciuta la necessità di far luogo al decentramento amministrativo dello Stato a mezzo di un Ente autarchico territoriale a carattere regionale, delibera di passare alla discussione degli articoli compresi nel Titolo V della seconda parte del progetto di Costituzione».

Lami Starnuti.

«L’Assemblea Costituente, considerata la decisiva importanza dell’adozione dell’ordinamento regionale per la realizzazione della struttura democratica dello Stato, delibera di passare alla discussione degli articoli».

Conti.

«L’Assemblea Costituente,

udita la discussione generale sul Titolo V del progetto di Costituzione, che ha portato un notevole contributo al chiarimento del concetto, dei poteri e dei limiti dell’Ente Regione;

ritenuto che è indispensabile che il nuovo Ente trovi il suo fondamento e la sua regolamentazione istituzionale nella Costituzione della Repubblica italiana;

delibera

di passare alla discussione degli articoli del progetto di Costituzione».

Martino Enrico.

«L’Assemblea, esaurita la discussione generale, passa all’esame degli articoli».

Lussu.

Fra questi ordini del giorno, che propongono il passaggio all’esame degli articoli, il più succinto è quello dell’onorevole Lussu.

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo allora all’esame degli articoli.

Prima di iniziare l’esame degli emendamenti relativi all’articolo 106, devo fare alcune considerazioni sugli emendamenti presentati dagli onorevoli Abozzi, Canepa e Caroleo.

L’onorevole Abozzi ha proposto e svolto il seguente emendamento:

«In relazione agli articoli 90-bis e 90-ter proposti al Titolo III, Sezione II, sopprimere l’intero Titolo».

In realtà qui l’onorevole Abozzi ripropone, sotto forma di emendamento, quanto già aveva proposto sotto forma di ordine del giorno, che l’Assemblea ha respinto. L’emendamento Abozzi è quindi superato.

Gli onorevoli Canepa e Pera hanno pure svolta la proposta di modificare l’epigrafe del Titolo nel modo seguente: «Le Regioni, le Provincie, i Comuni»; e l’onorevole Caroleo quella di modificare l’epigrafe del Titolo nel modo seguente: «Le Provincie e i Comuni».

Ritengo che queste due proposte possano essere esaminate quando sarà terminata la discussione del Titolo, a seconda del contenuto concreto che l’Assemblea darà al Titolo stesso nel corso delle varie votazioni degli articoli.

Passiamo dunque all’esame dell’articolo 106:

«La Repubblica italiana, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali.

«Attua, nei servizi che dipendono dallo Stato, un ampio decentramento amministrativo.

«Adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».

L’onorevole Perassi ha proposto di inserire l’articolo 106 dopo l’articolo 2. Egli svolse questa proposta in sede di esame dell’articolo 2.

Penso, comunque, che tale proposta possa essere rinviata alla Commissione di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

L’onorevole Codignola ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica italiana riconosce le autonomie locali nel quadro della propria inscindibile unità. Mediante un largo decentramento di funzioni e di servizi, essa avvicina l’amministrazione ai cittadini, promuovendone la responsabilità democratica».

Poiché l’onorevole Codignola non è presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Spallicci ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituire al primo comma il seguente: «La Repubblica italiana, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, stimolandone lo spirito di emulazione a vantaggio della Patria comune».

Gli onorevoli Ruggiero Carlo, Carboni, Preti, Cartia, Paris, hanno presentato il seguente emendamento.

«Trasferire le parole del primo comma: una ed indivisibile, al primo comma dell’articolo, dopo la parola: democratica».

Poiché l’onorevole Ruggiero Carlo non è presente, ha facoltà di svolgere l’emendamento l’onorevole Carboni.

CARBONI. A nome anche degli altri firmatari, non insisto.

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma aggiungere: controllato anche dagli enti locali».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. L’emendamento tende a stabilire, in via di principio, se anche nei servizi che dipendono dallo Stato, debbano avere una qualche ingerenza gli enti autonomi, che ci prepariamo ad istituire per la struttura del nostro Paese.

A me pare che al decentramento, qualunque esso sia, si colleghi una funzione prevalentemente di controllo.

Questa esigenza, da tutti avvertita, di snellire il corpo dello Stato, di disarticolarlo, è determinata, soprattutto, dalla necessità, che mai come in questo momento è viva, di far sì che nella vita periferica, nella vita provinciale o regionale (come vorrà denominarsi questa nuova costruzione del nostro Stato), gli organi elettivi dei diversi enti autonomi, possano esplicare in pieno le funzioni loro attribuite, beninteso non in contrasto, perché non si può ammettere che nella Nazione vivano degli enti che perseguano il bene pubblico in contrasto e in contradizione tra le rispettive attività, ma in stretto concorso. Purtroppo oggi noi sappiamo che nella periferia non tutto procede regolarmente, che il centro non ha la possibilità di sorvegliare, di disciplinare quello che accade nella vita delle lontane città, staccate da questo centralismo burocratico; e quindi, ai colleghi che vivono nelle città, vorrei chiedere se, data la loro esperienza, non avvertono la necessità che anche nei servizi dello Stato gli organi decentrati possano avere una certa vigilanza ed un certo controllo. Guardiamo anche ai servizi di polizia, ai servizi di sicurezza pubblica. È bene che il Capo della provincia, dell’amministrazione regionale, il sindaco del comune, tutti gli enti che operano in quel determinato centro, in quella determinata comunità nazionale, possano seguire, nell’interesse collettivo, anche tali servizi. È, ripeto, un suggerimento. L’argomento deve essere ben ponderato, ma a me pare che questa autonomia sia dettata da una esigenza di controllo, specialmente in questo momento in cui la vita nazionale presenta tante deficienze.

Posso suffragare quanto ho detto con un esempio recentissimo. Gravi irregolarità si sono verificate all’intendenza di finanza di Catanzaro, ed il Ministro delle finanze dovrebbe saperne qualche cosa, nella riscossione dell’imposta di fabbricazione.

Vi erano dei vaglia di commercianti, che andavano nelle tasche dei funzionari invece che nelle casse dello Stato, e la cosa si è saputa da un usciere che era stato licenziato. Da notare che questo usciere indirizzava al Ministro delle finanze, onorevole Scoccimarro, dei reclami e gli veniva restituita la raccomandata con l’annotazione: «sconosciuto». Vedete, dunque, come è difficile, anche per un cittadino, poter raggiungere il centro, l’alta autorità che deve intervenire per vedere le cose che si svolgono nella provincia. Ora, se per avventura il capo dell’Amministrazione provinciale, il capo dell’Amministrazione comunale, potessero mettere gli occhi in ciò che si svolge nell’Amministrazione dello Stato, forse molti inconvenienti si potrebbero evitare.

E questa volta si è potuto riparare per opera di un usciere che ha rivelato un insieme di frodi che venivano compiute. Insomma, è troppo poco il controllo di un cittadino al quale si risponde con un licenziamento improvviso. A me pare quindi che l’inserire che anche i servizi dello Stato debbano avere un controllo locale sia molto opportuno per il bene pubblico, e questa formula potrebbe trovare posto in aggiunta al capoverso dell’articolo 106.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Nobili Tito Oro, Tonello, Musotto, Merighi e Tega hanno presentato il seguente emendamento:

«Al secondo e al terzo comma sostituire:

«determina con legge gli enti locali destinati ad attuare un razionale decentramento; e adegua a questa esigenza i principî e i metodi di tutto l’ordinamento amministrativo».

Poiché l’onorevole Nobili Tito Oro non è presente, il secondo firmatario, onorevole Tonello, ha facoltà di svolgere l’emendamento.

TONELLO. L’emendamento che noi presentiamo non è di adesione o di avversione all’istituzione dell’organismo regionale, ma è dettato da una preoccupazione evidente.

Noi pensiamo che, nell’attuale Assemblea, non è possibile, mancando il tempo necessario, determinare esattamente le attribuzioni del nuovo ente, perché questa deve essere opera paziente di studiosi, spettante alla futura Camera dei Deputati, in quanto i nostri compiti sono ormai ben definiti, e noi perderemmo una quantità di tempo di cui non possiamo assolutamente disporre, se volessimo sodisfare alle altre esigenze del nostro lavoro.

Con questo emendamento noi stabiliremmo il principio delle Regioni, ma lasceremmo, in certo qual modo, alla futura Camera di determinare le forme e l’ordinamento amministrativo delle Regioni. È un problema importante, onorevoli colleghi, in quanto da questo nuovo ordinamento dipende molta parte del domani del nostro Paese. Una disposizione, anche secondaria, non studiata, né ben ponderata, potrebbe portare ad una serie di disgregamenti nella compagine unitaria del nostro Paese.

Chi conosce l’anima italiana sa come essa sia varia da Regione a Regione; sa come noi italiani siamo ancora disposti a ripetere le antiche discordie. Non si è formato, secondo me, uno spirito nazionale tanto profondo da poterci, con tranquilla coscienza, determinare a creare quest’organismo della Regione. Il pericolo maggiore che vedo, onorevoli colleghi, è questo: che la Regione, anziché cementare i vincoli della famiglia italiana, li rallenti e crei una quantità di contrasti tra Regione e Regione o tra varie località della stessa Regione, per cui, anziché fare opera di unione e di pacificazione nazionale, noi compiremmo un’opera di disgregazione e di traviamento, anche nei partiti.

Per questo credo che l’emendamento da noi presentato possa essere approvato, per il bene del Paese, indipendentemente dall’essere favorevoli o contrari all’ente regionale.

Possiamo anche affermare l’istituzione dell’ente regionale nella Carta costituzionale, ma lasciamo che la struttura e la forma di questo nuovo ente siano determinate, col tempo e con lo studio, dalla nuova Camera legislativa. (Applausi a sinistra).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Potrei chiedere all’onorevole Tonello di ritirare il suo emendamento, dimostrandogliene la inutilità?

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, non posso darle la parola a questo proposito. Lei può rivolgere, in via amichevole e riservata, tale invito all’onorevole Tonello.

Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Farò una rapida dichiarazione sull’articolo 106, spiegando le ragioni che hanno indotto la Commissione a formularlo così, e spero che l’onorevole Tonello accetterà la preghiera che gli è stata rivolta dall’onorevole Lussu.

TONELLO. Io ho presentato l’emendamento e lo sostengo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lei vorrà in ogni modo tener conto delle considerazioni che io svolgerò. Sarà padronissimo di respingerle, ma vorrà prima sentirle.

La Commissione ha formulato quest’articolo 106 indipendentemente dalla questione della maggiore o minore autonomia che si deve dare all’ente Regione. Si è inspirata al concetto, non tanto dell’autonomia particolare del nuovo ente, quanto del decentramento, nel senso più largo, a cominciare da quello burocratico dello Stato, che appunto è nell’ordine di idee dell’onorevole Tonello.

Quale è il testo dell’articolo 106? In un primo comma vi è il principio generale: «La Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali». Non si parla di Regione. Siamo d’accordo, anche coloro che non sono favorevoli alla Regione, nel ritenere che si debba salvaguardare il più possibile l’autonomia degli altri enti locali. Il secondo comma prevede un ampio decentramento amministrativo dei servizi dello Stato. Ed anche qui siamo tutti d’accordo. Il terzo comma dice che lo Stato: «adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». Ho esposto più volte tale concetto all’Assemblea, e non v’è chi non veda che ormai il Parlamento non può più fare le leggi di vecchio tipo, minute e particolareggiate. Ripeto, il numero delle leggi va irresistibilmente aumentando, per l’inevitabile sviluppo dello Stato. Non è ormai possibile fare delle leggi lunghe e dettagliate, di vecchio stampo. Ed allora, seguendo l’esempio di altri Paesi, si faranno delle leggi che stabiliscano i principî, «leggi cornici», e poi il Governo od altri organi ed enti, delegati dallo Stato determineranno le norme di integrazione ed attuazione dei principî base. A questa tendenza si riallaccia l’ultimo comma dell’articolo. Neppure qui si parla di ente Regione, ed io credo che tutti noi potremo votare tranquillamente per l’ultimo comma.

L’articolo è, nel suo complesso, un’introduzione ed una epigrafe a tutto il Titolo, che riguarda non solo la Regione, ma la Provincia ed il Comune; ossia le autonomie locali in genere, e, ricollegandosi anche al decentramento degli organi veri e propri dello Stato, è una sintesi larghissima dell’esigenza decentratrice in generale.

Il Comitato, che si è occupato degli emendamenti presentati, mantiene immutato il suo testo dell’articolo 106.

L’emendamento dell’onorevole Caroleo, non è infondato, in quanto bisogna procedere al coordinamento delle funzioni e della vita degli enti locali, ma piuttosto che qui, nell’atrio che apre il Titolo e si conclude logicamente nei punti stabiliti nel nostro testo, l’onorevole Caroleo potrà sollevare la questione in luogo più opportuno.

PRESIDENTE. Invito i presentatori di emendamenti a dichiarare se vi insistono.

Poiché l’onorevole Codignola non è presente, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Spallicci, mantiene l’emendamento?

SPALLICCI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, mantiene l’emendamento?

CAROLEO. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, mantiene l’emendamento?

TONELLO. Lo mantengo anche a nome degli altri firmatari.

PRESIDENTE. Avverto che sull’emendamento dell’onorevole Tonello è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Poiché si chiede la votazione a scrutinio segreto su questo emendamento, io desidererei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla eccezionalità che deve avere questo metodo di votazione, il quale dovrebbe essere raramente adoperato; altrimenti arriveremmo ad un sistema di votazione parlamentare che, senza offendere il Paese che ora cito, si avvicinerebbe molto a certi sistemi balcanici di anteguerra. Bisognerebbe quindi adottare questo metodo di votazione per scrutinio segreto soltanto in casi eccezionali.

D’altra parte, desidero rilevare che non si può mettere ai voti l’emendamento dell’onorevole Tonello ed altri, perché esso presenta il carattere di quegli ordini del giorno che sono stati già accettati o respinti prima che l’Assemblea entrasse nel merito della discussione dei vari articoli. L’onorevole Tonello, quindi, è stato un ritardatario, estremamente lento a questo riguardo, poiché egli avrebbe potuto discutere la sua questione qualche giorno fa. Ora essa è superata, e noi dobbiamo entrare nel merito degli articoli. Tutte le ragioni esposte dall’onorevole Tonello sono rispettabilissime, ma non rientrano in questa sede, poiché sono inerenti alla discussione generale. Ritengo, pertanto, che non si possa mettere ai voti l’emendamento dell’onorevole Tonello.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Sono stato in parte già superato da quanto ha detto l’onorevole Lussu. A prescindere dal metodo di votazione, a me pare evidente che, se con un ordine del giorno votato dall’Assemblea si è già deliberato il passaggio all’esame dei singoli articoli, l’emendamento a firma dell’onorevole Tonello ed altri, finirebbe per precludere tale passaggio in quanto, logicamente, se esso fosse accolto, porterebbe alla sostanziale conseguenza di far depennare tutti gli altri articoli del Progetto. Ciò che significherebbe ritornare su una materia ormai resa cosa giudicata attraverso una deliberazione dell’Assemblea, la quale importa un’evidente ragione di preclusione.

PRESIDENTE. Sopra la prima parte delle considerazioni fatte dall’onorevole Lussu io sono pienamente d’accordo, ma bisognerebbe che fossero anche d’accordo i colleghi di tutti i settori dell’Assemblea, perché il ricorso ai vari metodi di votazione dovrebbe essere subordinato ad alcuni criteri di valutazione, che forse non sempre sono stati tenuti presenti dai numerosi richiedenti di appello nominale e di scrutinio segreto, che, in forma del tutto imparziale, si distribuiscono fra tutti i settori.

Per quanto poi concerne la seconda parte del discorso dell’onorevole Lussu, credo che egli abbia ragione. L’onorevole Dominedò ha forse esteso troppo la questione, perché l’onorevole Tonello potrebbe opporre appunto che il passaggio agli articoli c’è stato e che conseguentemente non si viene meno alla decisione che si era presa di passare all’esame degli articoli. Lei, onorevole Dominedò, ha voluto portare quindi un argomento forse eccessivo a una tesi che aveva già avuto la sua giustificazione contenuta in ciò che, mentre l’Assemblea ha accettato il principio di un ente regionale, salvo a definirne poi tutte le caratteristiche, nell’emendamento dell’onorevole Tonello non si parla più della Regione ed anzi, vorrei dire, si esclude la decisione già presa, in quanto si rinvia alla legge il compito di determinare quali siano gli enti locali destinati ad attuare il decentramento.

Penso pertanto che il principio sollevato dall’onorevole Lussu e appoggiato dall’onorevole Dominedò sia valido, perché l’Assemblea ha in realtà già deciso nel merito della questione che l’emendamento ripropone.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Io credo che il Regolamento della Camera sia superiore a qualunque argomentazione, non sempre chiara, non sempre serena. Il mio emendamento non mirava ad escludere la Regione, intendiamoci; mettetela pure nella vostra Costituzione questa parola «Regione».

MAZZA. Nostra, nostra!

Voci al centro: Nostra, nostra!

TONELLO. Più vostra che nostra. (Ilarità – Commenti). Lo so che voi, attraverso la Regione, volete mettere un altro caposaldo nelle vostre dottrine. (Proteste al centro).

Onorevole Presidente, io miravo, in fondo, a dire che le facoltà di questo ente Regione che voi volete istituire non si possono stabilire alla leggera. (Commenti). Ma abbiamo bisogno di vedere molto in fondo nelle cose per sceverare quali esse veramente siano. Non è quindi una questione di regolamento.

Mantengo quindi l’emendamento per affermare che la definizione della natura della Regione e delle sue attribuzioni deve essere deferita alla nuova Camera, in quanto essa potrà accingersi a questa definizione con maggior tempo e maggior pazienza. Non vorrei che ora si pregiudicasse un lavoro in modo da renderlo esiziale per il Paese. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, col suo emendamento lei rimanda alla legge di determinare gli enti locali destinati ad attuare il decentramento; e la legge potrebbe, eventualmente, anche non accogliere la Regione.

TONELLO. Non sono contro la deliberazione precedente.

PRESIDENTE. Lei si pone contro la deliberazione precedente, onorevole Tonello. Se lei dicesse che la legge determinerà in qual modo le Regioni, le Provincie, i Comuni attueranno praticamente il decentramento, accoglierebbe la decisione già presa dall’Assemblea; ma col suo emendamento è evidente che lei vuole riproporre ancora una volta la questione della Regione, e la ripropone, in fondo, tacendone.

TONELLO. Onorevole Presidente, accetto i suoi rilievi e vorrei modificare così la mia formulazione: «determina con legge gli enti locali, Comune, Provincia, Regione, destinati ad attuare un razionale decentramento, ecc.». In tal modo non si esclude la Regione, ma si rinvia la determinazione delle sue attribuzioni.

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, in questo caso, però, il suo emendamento deve essere proposto all’articolo 107 e non all’articolo 106, perché è all’articolo 107 che si specificano gli enti locali coi quali si deve realizzare il decentramento. Se mai, ripresenti questa sua proposta all’articolo 107.

TONELLO. Acconsento.

PRESIDENTE. Allora è mantenuto soltanto l’emendamento dell’onorevole Spallicci, tendente ad aggiungere al primo comma dell’articolo 106 le parole: «stimolandone lo spirito di emulazione a vantaggio della Patria comune».

Pongo pertanto in votazione il primo comma dell’articolo 106, nel testo del progetto:

«La Repubblica italiana, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Spallicci:

«stimolandone lo spirito di emulazione a vantaggio della Patria comune».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma dell’articolo 106:

«Attua, nei servizi che dipendono dallo Stato, un ampio decentramento amministrativo».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma dello stesso articolo:

«Adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».

(E approvato).

L’articolo 106 risulta pertanto approvato nel testo proposto dalia Commissione.

Passiamo all’esame dell’articolo 107:

«La Repubblica si riparte in Regioni e Comuni.

«Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale».

L’onorevole Canepa ha già svolto l’emendamento presentato con l’onorevole Pera, tendente a sostituire l’articolo 107 col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie, Comuni».

Così pure sono stati svolti i due identici emendamenti sostitutivi dell’articolo 107, presentati dagli onorevoli Recca e Rescigno:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

L’onorevole Jacini ha presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Il territorio dello Stato si ripartisce in Regioni, Provincie e Comuni».

L’onorevole Jacini ha facoltà di svolgerlo.

JACINI. Onorevoli colleghi, una spiacevole coincidenza di pubblico servizio mi ha impedito di trattare qui alcuni concetti in sede di discussione generale. Io mi rendo conto che in sede di emendamento non si possa ulteriormente svolgerli in forma adeguata.

Vorrei semplicemente richiamare uno o due dati di fatto che possono interessare. Il principale è questo: da alcune parti (e molto autorevolmente, mi pare anche da parte dell’onorevole Nitti) è stato detto che il concetto della Regione in Italia non ha notevoli basi tradizionali, all’infuori del famoso tentativo del Minghetti, che naufragò nel 1861.

Orbene, io per ragioni, dirò così, familiari sono in grado di smentire quest’affermazione.

Vi fu dal 1870 in avanti, anzi, per essere più esatti, dal 1870 al 1890, un uomo, già collega del Minghetti nel Ministero Cavour, il quale sventolò per suo conto e sostenne la bandiera della Regione con gli stessi termini e con le stesse modalità con le quali oggi la sostiene il partito al quale ho l’onore di appartenere. Quest’uomo fu Stefano Jacini, mio nonno.

Io non posso svolgere qui lungamente citazioni che tedierebbero l’Assemblea. Tuttavia è necessario che vi legga poche parole che Stefano Jacini scriveva nel 1870 nella sua lettera agli elettori di Terni: Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dopo la guerra del 1866, e che poi andò ripetendo e sviluppando nei suoi successivi lavori fino al 1890.

Le idee di Jacini erano queste: allargamento del suffragio universale e decentramento regionale. Vi leggo quanto scriveva:

«Veniamo ora all’idea che si riferisce alla riforma amministrativa. Il maggior numero degli affari di pubblica amministrazione, banditi dal centro del Governo e dal Parlamento nazionale, a chi potrebbero essere deferiti?

«Ai corpi amministrativi e rappresentativi delle Regioni, che si dovrebbero costituire. Sì, certamente; se si vuol decentrare davvero in Italia la pubblica amministrazione, senza distruggerla, non bisogna gravare le odierne Provincie di attribuzioni superiori alle loro forze. Conviene lasciare le Provincie come sono, e presso a poco colle attribuzioni che hanno; ma associarle, per gli affari più rilevanti, ricostituendole nelle Regioni create dalla natura e in gran parte dalle tradizioni. Le quali Regioni avranno abbastanza di vita per assumere molta parte del potere oggi confidato al Governo centrale ed al Parlamento nazionale, e per esercitarlo più proficuamente; cosicché il regionalismo, che è indistruttibile, e penetra oggi di contrabbando nel Parlamento per viziarne le funzioni, diventerà uno strumento di progresso e di prosperità, atteggiando quelle leggi e quei regolamenti che non debbono essere essenzialmente unitari, alle tradizioni, al genio speciale, ai bisogni diversi delle varie parti d’Italia, e facendo cessare il malcontento che le odierne violenze, generate dall’esagerazione dell’unitarismo, portano irrimediabilmente seco».

È proprio l’impostazione del problema, quale l’abbiamo posta noi oggi.

Egli diceva inoltre, vent’anni dopo, in Pensieri sulla politica italiana, frasi di questo genere:

«Il parlamentarismo, un sistema tutto composto di equilibrio e di forze equipollenti, ha fatto ottima prova in Inghilterra… dove fiorisce il decentramento istituzionale: cosicché il Parlamento è ivi chiamato a decidere solo dei grandi interessi dello Stato, un’infinità di pubblici interessi sviluppandosi indipendentemente per forza propria.

«Invece la Francia…. diede l’esempio, seguito poi dagli altri popoli latini, di un sistema parlamentare all’inglese, ma senza le istituzioni inglesi, con la responsabilità indiretta e immediata dei Ministri verso i rappresentanti della nazione. Mentre poi tutta quanta la pubblica amministrazione del Paese viene a far capo al Governo centrale, vale a dire a quei Ministri appunto. Di lì un connubio mostruoso fra il regime parlamentare, che non è concepibile disgiunto dal decentramento, e l’accentramento amministrativo: il che doveva diventare una fonte inesauribile di pubbliche spese, un modo inevitabile di falsare la vita pubblica, una causa permanente di instabilità di governo e una fonte di corruzione».

Io vi risparmio il resto della citazione che si potrebbe prolungare per pagine e pagine. Mi basti quanto ho citato per dimostrare che l’idea era fino da allora viva nella tradizione italiana; che essa non si identificava con quella primitiva del Minghetti, la quale ricalcava le circoscrizioni degli antichi stati e perciò era stata sentita come pericolosa per l’unità nazionale, ma invece creava le vere e proprie Regioni, con attribuzioni analoghe a quelle che noi stiamo appunto attuando.

E la cosa rispondeva ad uno stato d’animo largamente diffuso, perché Stefano Jacini non era un uomo isolato, ma interpretava larghe correnti del pensiero nazionale. È quindi evidente che questa tradizione si è trasfusa fino ai nostri giorni e si basava allora sullo stesso stato d’animo con il quale noi oggi la sosteniamo.

Il secondo concetto, che non ho possibilità di svolgere, ma che mi limito ad accennare, è questo. Mi pare che in tutta la nostra discussione si sia troppo poco precisata la distinzione, che deve essere netta, fra decentramento amministrativo, Regione e federalismo. Sono tre concetti completamente diversi. Il decentramento amministrativo muove dal centro, è opera del potere centrale, e perciò non risponde all’essenza della Regione, che è germinazione spontanea dell’anima popolare. Il decentramento amministrativo è un fatto che muove dal centro e che si protende verso la periferia: noi vogliamo invece l’organizzazione autonoma della Regione in se stessa.

Il federalismo è molto diverso: è il concetto di sovranità trasferito nelle Regioni, e attuandolo, sorge veramente il pericolo che venga a mancare quell’unità dello Stato di cui l’Italia ha urgente bisogno, specie nelle difficoltà attuali.

Un concetto federalistico – e il più bell’esempio che si possa citare è quello del federalismo svizzero – sarebbe in Italia profondamente deleterio, perché la Svizzera ha una rappresentanza dei Cantoni in seno alla Confederazione, ma non la proiezione del potere centrale nei Cantoni, di modo che mancano allo Stato, come tale, le antenne per agire alla periferia; e ciò, specialmente in un grande Stato come il nostro, sarebbe assolutamente deleterio.

Inoltre, secondo il tipo federale svizzero, non è concepibile un Governo centrale, se non pressoché apolitico; in Svizzera i consiglieri federali sono nominati, si può dire, a vita e fanno soprattutto dell’amministrazione. Noi vogliamo invece che l’amministrazione la facciano le Regioni, ma che la politica la faccia lo Stato. E perciò bisogna che allo Stato sia conservata una relativa forza la quale, attuandosi il sistema federalistico, verrebbe grandemente diminuita.

Onorevoli colleghi, non voglio prolungare questa discussione, ma mi pare di avere inquadrato due punti che si devono tener presenti. Il primo riguarda la ripartizione proposta col mio emendamento: «Il territorio dello Stato si ripartisce in Regioni, Provincie e Comuni». Essa corrisponde ad una antica tradizione, viva in seno al Parlamento ed all’opinione pubblica italiana sin dall’epoca del nostro Risorgimento. Il secondo punto consiste in ciò: che il nostro tipo regionale tende a distaccarsi nettamente sia dal decentramento amministrativo promosso dal centro ed introdotto coattivamente alla periferia, sia dal sistema federativo, che sottrae il principio di sovranità allo Stato per ripartirlo fra vari stati ossia fra le Regioni che vengono fra loro federate. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Chieffi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni.

«Le Provincie ed i Comuni sono enti autarchici territoriali con proprie rappresentanze elettive, che realizzano un più vasto decentramento amministrativo statale e regionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

CHIEFFI. Diversi sono i colleghi che hanno presentato emendamenti all’articolo 107 del progetto di Costituzione: a me sembra ragionevole introdurre nella Costituzione che la Provincia è un ente autarchico con rappresentanza elettiva. Quali motivi sussistono per indicare esplicitamente che la Provincia è un ente autarchico con rappresentanza elettiva? Vi può essere un ente autarchico anche senza la rappresentanza elettiva? Abbiamo visto durante il ventennio fascista i Comuni conservare la caratteristica di enti autarchici; ma a reggerne l’amministrazione veniva nominato il podestà. Così, d’altra parte, abbiamo visto i presidi di Provincia sostituirsi alle deputazioni provinciali. La legge comunale del 1865 riconosceva una propria personalità giuridica alla Provincia, ed a capo della deputazione provinciale doveva essere il Prefetto. La legge successiva del 1889 toglieva la presidenza della deputazione provinciale al Prefetto e l’affidava ad un membro elettivo. Ora, ecco perché io dico che la rappresentanza elettiva non è una caratteristica propria e sempre costante dell’autarchia. L’ente autarchico deve disporre di mezzi propri, ossia, deve avere un proprio patrimonio. Non bisogna dimenticare che il patrimonio delle Provincie è stato creato attraverso il sacrificio dei cittadini che vivono in quel determinato territorio, attraverso il pagamento delle tasse e attraverso le donazioni che vi possono essere state. Ora, il voler limitare la Provincia ad una circoscrizione territoriale, come fa il progetto di Costituzione, snatura completamente il significato dell’ente autonomo che ha un proprio patrimonio. La Provincia, nelle configurazioni attribuitele dal nostro diritto pubblico, appare come una circoscrizione amministrativa dello Stato e come ente autarchico rivolto all’esplicazione di determinate attività di un dato territorio. Spesso si fa confusione quando si parla della Provincia e delle funzioni ad essa inerenti. Talvolta si crede che la deputazione provinciale sia un ufficio della Prefettura, e la Giunta provinciale amministrativa e l’ufficio del medico provinciale siano organi della Provincia come organo amministrativo ed elettivo.

Dirò senz’altro che la Provincia come organo di circoscrizione statale, cioè la Prefettura, deve scomparire; mentre deve rimanere la Provincia come ente autarchico, che, oltre agli attuali poteri ed attribuzioni – quali strade, matrimoni, brefotrofi – deve avere parte delle funzioni, oggi di competenza della Prefettura, cioè, la Provincia può divenire, ed esempio, il centro di assistenza sanitaria per la circoscrizione territoriale provinciale.

La dizione dell’articolo 107, così com’è formulata, è frutto di compromesso tra i membri della Sottocommissione; già in occasione della prima relazione alla seconda Sottocommissione l’onorevole Ambrosini ha posto in evidenza la necessità di non sopprimere la Provincia come ente autonomo; egli diceva che non si doveva ad un accentramento sostituirne un altro, col passaggio di tutti i poteri del capoluogo di Provincia al capoluogo della Regione. La formula, così com’è nel Progetto non può essere da noi approvata.

D’altra parte, grave è l’incongruenza che si denota nella formulazione dell’articolo 120 del Progetto, quando si parla della costituzione della Giunta in ogni circoscrizione provinciale o ufficio di decentramento regionale. Quali sono le modalità per la formazione di questa Giunta, quali i poteri? È evidente che i membri della Commissione si sono trovati in così profondo dissidio, da rimandare tutto alla legge della Repubblica. Anche qui dobbiamo dedurre che, dal contrasto verificatosi in seno alla seconda Sottocommissione, è nata una formula ambigua, che non risponde alle richieste ed alle esigenze manifestatesi in tutte le Provincie, che tendono a realizzare un maggiore decentramento, conservando però la natura di ente autarchico per assumere parte dei poteri che oggi sono di competenza della Prefettura.

In Sardegna, ove il problema autonomistico è sentito da tutte le popolazioni, sono sorti profondi contrasti quando si è trattato di discutere sul mantenimento o meno della Provincia; ed il dissidio più profondo è sorto tra le provincie settentrionali di Sassari e Nuoro e quella di Cagliari.

L’amico Lussu ha affermato che coloro i quali sono per la conservazione della Provincia appartengono ad una oligarchia federale d’interessi, minacciante l’autonomia regionale. Io dico, caro Lussu, che proprio coloro i quali sostengono la soppressione della Provincia minacciano inconsapevolmente di compromettere l’autonomia; perché il problema «Provincia» è forse più profondamente sentito, di quanto, in alcune Regioni non sia il problema «Regione».

La conservazione della Provincia come ente autonomo ha importanza notevole per la riforma che vogliamo realizzare attraverso la Regione: occorre fare conoscere questo nuovo istituto senza eccessive divisioni, nello spirito di solidarietà e di collaborazione.

D’altra parte, l’onorevole Lussu ha riconosciuto al partito al quale appartengo il merito, specialmente per virtù di Don Sturzo, di aver fatto sua l’idea autonomista; ebbene, Don Sturzo non si è pronunziato contro la soppressione della Provincia, ma ha affermato la necessità di riconoscere ad essa ben altre funzioni e la rappresentanza permanente degli interessi comunali. Non si può negare a quest’uomo, che ha battagliato per tanti decenni per questa idea, uno spirito antiautonomista, anche quando s’è manifestato per la conservazione della Provincia. (Interruzione dell’onorevole Lussu).

Concludo questa breve esposizione, affermando che è vivo l’interesse e l’attesa in tutte le Provincie, perché esse vengano conservate come enti autarchici con rappresentanza elettiva.

Ho fatto un accenno allo statuto progettato per la Sardegna. Anche qui si è verificato un profondo contrasto, quando si è trattato di discutere sulla conservazione o meno della Provincia; a questo riguardo la Consulta regionale è ricorsa ad una formula ambigua, poiché ha ammesso che la Provincia venga mantenuta per un primo tempo, salvo poi all’Assemblea regionale, una volta eletta, modificarne la struttura e i poteri.

Riesamineremo la questione quando l’Assemblea Costituente sarà chiamata a discutere e deliberare sullo Statuto sardo; dirò soltanto che si è dovuta aggirare la posizione, e trovare una formula di compromesso, senza di che non avremmo potuto presentare il progetto che oggi è all’esame dell’apposita Commissione. Termino, dato che su questo argomento sono parecchi i presentatori di emendamenti; quasi tutti si sono limitati a richiedere la inserzione della Provincia fra gli enti che devono far parte del territorio dello Stato. Il mio emendamento ha un’altra portata, perché sostengo che, oltre a conservare la natura di ente autarchico, la Provincia deve costituzionalmente avere una propria rappresentanza elettiva. Solo così facendo, si rende un servizio alle autonomie regionali, che debbono realizzare una sincera e concreta collaborazione fra le diverse Provincie e che invece potrebbero venire pregiudicate da un nuovo accentramento nel capoluogo della Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si compone di Provincie, Circondari e Comuni.

«I Circondari sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e provinciale».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Con questo emendamento avevo fatto della Provincia un organo di decentramento politico, quando erano sorte molte preoccupazioni sulla denominazione di «Regione» per il nuovo ente.

Le preoccupazioni erano soprattutto di fratture e di rivalità nella compagine nazionale.

Ora, sulla questione non è più possibile discutere, perché l’organo Regione, in via di massima, ha già avuto l’approvazione di questa Assemblea. Resta però sempre il problema sulla quantità di poteri da conferire all’ente Provincia, della cui sopravvivenza ormai qui molti avvertono la necessità. Ma nel mio emendamento si parla anche di circondari ed io voglio proporre agli onorevoli colleghi se non sia il caso di meditare bene sull’opportunità di mantenere, per tali enti, quella soppressione che fu decisa dal fascismo; il quale partiva dal concetto che non si dovessero creare nello Stato degli enti che all’occasione potessero trovarsi in disaccordo con il centro, chiamato a tutto governare e ad avere tutto facilmente sottomano.

I circondari, specialmente nelle provincie del Mezzogiorno, adempirono a una loro viva funzione. Basta tener conto di quello che è l’attuale decentramento della giustizia, che ha proprio per caposaldo il circondario. In ogni circondario è collocato un tribunale. Anche il nostro ex Ministro Gullo ha creato di recente in Calabria un nuovo tribunale a Crotone, che una volta era capoluogo di circondario. Quindi bisogna tener ben presente questa che può essere una necessità in senso generico.

Ma io voglio richiamare pure l’attenzione della Commissione su qualche cosa di particolare: c’è l’articolo 125 del Progetto, il quale consente che 500.000 cittadini possano chiedere l’istituzione della Regione. Faccio una considerazione specialmente con riferimento alla Calabria. Abbiamo tre Provincie, di cui ciascuna ha seicentomila e più abitanti. Naturalmente, se non si raggiungerà l’accordo sulla sede del capoluogo regionale, ciascuna di queste tre Provincie sarà nelle condizioni previste dall’articolo 125 e quindi potrà chiedere di essere elevata a Regione.

Allora domando ai componenti la Commissione quali saranno gli organi di collegamento per i servizi statali fra la Regione e la periferia, fra lo Stato e la periferia? Dovremo al posto degli antichi circondari creare tante Provincie? Sostituire una denominazione all’altra? Ciò non mi sembrerebbe conveniente, e penso che, per lo meno, i circondari dovrebbero avere la possibilità di risorgere come organi di decentramento amministrativo per quelle nuove Regioni che venissero istituite in base all’articolo 125.

Anche questo emendamento, che è in ritardo rispetto all’orientamento, che già l’Assemblea ha preso in ordine all’istituzione dell’ente Regione, oggi può servire solo come suggerimento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Russo Perez:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Provincie e Comuni. Un gruppo di Provincie può costituire la Regione, Ente autonomo con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione».

L’onorevole Russo Perez ha facoltà di svolgerlo.

RUSSO PEREZ. Io posso risparmiare all’Assemblea l’illustrazione del mio emendamento, perché esso corrisponde all’ordine del giorno che avevo presentato e che è decaduto, non essendomi trovato nell’Aula al momento opportuno. L’ordine del giorno diceva:

«L’Assemblea Costituente ritiene che, ferme restando le autonomie già concesse alla Sicilia, Sardegna, Trentino Alto-Adige e Valle d’Aosta con forme e condizioni particolari, altri gruppi di Provincie potranno, mediante normali provvedimenti legislativi, essere costituiti in Regioni secondo le norme del Titolo V della Costituzione, quando esse ne avranno sentito ed espresso il bisogno mediante la richiesta di tanti Consigli comunali che rappresentino almeno i due terzi delle popolazioni interessate e tale proposta sia stata approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse».

Il mio concetto è che, invece di essere l’Italia condannata, sia ammessa alla regionalizzazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Veroni ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie, Circondari e Comuni.

«Le Provincie e i Circondari sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

VERONI. Mi associo a quanto è stato detto dall’onorevole Caroleo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Codignola:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si articola in Regioni e Comuni, enti autonomi forniti di propri poteri e funzioni, nei limiti e con le garanzie della presente Costituzione.

«Lo Stato attua il decentramento dei propri servizi mediante le Provincie o altre circoscrizioni amministrative, ovvero delegandone l’esecuzione agli enti autonomi.

«La Regione può avvalersi, per l’espletamento dei propri compiti originari o delegati delle circoscrizioni di decentramento statale».

Non essendo presente l’onorevole Codignola, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Bruni ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Circondari e Comuni».

L’onorevole Romano ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regione, Provincie e Comuni.

«Nei capoluoghi di Provincie hanno sede gli Ispettorati amministrativi e provinciali».

Ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’emendamento da me proposto si può scindere in due parti. La prima parte trova riscontro negli emendamenti proposti da altri colleghi, dove si insiste perché sia mantenuta l’istituzione della Provincia come ente autarchico e si vuole evitare che, attraverso un decentramento, si cada nell’accentramento. Con la seconda parte dell’emendamento si vuol far sì che attraverso il decentramento, non si vada nel disordine amministrativo, in quel disordine amministrativo che potrebbe portare ad una forma quasi di anarchia amministrativa, specie nei luoghi dove si è meno politicamente maturi.

L’orientamento a favore dell’autonomia regionale si è sempre più sviluppato durante la discussione generale.

Ciò dimostra che, anche nei settori più contrari alla concezione autonomistica, si è affermato il convincimento che la malattia della nostra società è radicata nell’eccessivo accentramento, che si è attuato in tutte le manifestazioni della vita sociale ed economica.

Ma, per evitare questo accentramento, si creano altri pericoli, e quindi si sente il bisogno che il decentramento si applichi anche nei dettagli.

Come la società ha dilagato nella massa e nell’agglomerato indistinto, favorendo il formarsi dello Stato accentrato, burocratico, assoluto, totalitario, così l’apparato burocratico dello Stato accentrato ha avvinto gli individui in modo sempre più uniformante ed inevitabile, paralizzando ogni giorno a vista d’occhio le forze della spontaneità.

Da tutti, quindi, si è sentito il bisogno di desistere da ogni accentramento, da ogni agglomerato, e questo bisogno ha investito tutti gli aspetti della vita umana.

Oggi si guarda con preoccupazione al pigiarsi degli uomini nelle grandi città e nei grandi impianti industriali, si guarda con raccapriccio alla eccessiva proletarizzazione delle masse, che lega l’anima e la dignità del lavoro attraverso la produzione meccanizzata.

Tutto insomma oggi contribuisce ad avvicinarci sempre più al decentramento, nel senso più vasto della parola, allo spostamento di gravità sociali dall’alto al basso, alla correzione di esagerazione nell’organizzazione, alla creazione di nuove forme di industrie non proletarie, alla formazione di una proprietà di produzione e di una proprietà di domicilio contrastante con l’accentramento di produzione.

Questo bisogno è quanto mai sentito anche nell’ordinamento dello Stato. Giulio Simon diceva che libertà significa decentramento: questo la ragione di essere dell’autonomia, che deve essere applicata anche nei dettagli. Facendo scomparire la Provincia si corre il rischio di creare l’accentramento nel decentramento.

Considerando la Regione appunto come ente locale di decentramento amministrativo, si presenta la questione della conservazione o meno della Provincia.

Nell’articolo 107, comma secondo, del progetto di Costituzione si legge: «Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale».

Quindi la Provincia dovrebbe scomparire come ente autarchico territoriale, dotato di proprie personalità.

Però lo stesso Progetto all’articolo 120 corre ai ripari e dice: «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali, che può suddividere in circondari per ulteriore decentramento. Nelle circoscrizioni provinciali sono istituite Giunte nominate dai Corpi elettivi, nei modi e coi poteri stabiliti dalle leggi della Repubblica».

Con questa disposizione si riconosce la necessità di mantenere un contatto più immediato con i bisogni locali; ed allora tanto vale mantenere la Provincia, che, attraverso una lunga tradizione ha assunto una fisionomia propria e vive nel cuore degli italiani.

Si è detto da qualcuno che la Provincia si occupa soltanto di strade, di manicomi, di brefotrofi. Anzitutto, questo non è esatto perché alla Provincia fanno capo i Consorzi provinciali antitubercolari, le Federazioni provinciali dell’Opera nazionale maternità ed infanzia, i Comitati antimalarici ed altre attività amministrative.

D’altra parte, non sarebbe giustificata la soppressione della Provincia per la considerazione delle limitate funzioni, le quali possono allargarsi facendo della Provincia il principale elemento dell’autonomia locale.

Deve rilevarsi che in alcune Regioni vi sono centri che si contendono il primato e che, elevando a sede dell’ente Regione una delle città concorrenti, si pongono le altre in condizioni di inferiorità. Con l’elevazione a capoluogo di Provincia molti centri si sono sviluppati in edilizia, nel campo commerciale ed industriale. Con la soppressione della Provincia essi perderebbero ogni importanza, mentre si inizierebbe un periodo di decadenza, con gravi danni di molteplici interessi. Attuandosi l’autonomia regionale, la pratica dimostrerà come per alcuni servizi non sarà sufficiente l’unico ufficio regionale. Esempio: lavori pubblici. Vi sarà un ufficio tecnico nel capoluogo della Regione, come Palermo; ma se i lavori debbono eseguirsi in provincia di Siracusa, sarà necessario lo spostamento dei funzionari da Palermo a Siracusa, onde la necessità di uffici distaccati. Quindi, per ragioni di distanza, molti uffici non si potranno sopprimere, ed allora la Provincia continuerebbe ad esistere di fatto. Non so poi spiegare perché da qualche collega si sostiene di mantenere in vita solo le Provincie esistenti prima del fascismo, quasi come se quelle sorte durante il ventennio fascista avessero demeritato.

Va anche rilevato che nel Progetto non è detto, e non lo si poteva dire, e neppure si intuisce dai principî generali, se saranno lasciati gli uffici statali esistenti nelle Provincie: Intendenza di finanza, Genio civile, Ispettorati agrari provinciali, Questure, Uffici sanitari provinciali. Questi io penso che non si potranno portare alla Regione, giacché, così facendo, si creerebbe, come ho detto, un accentramento nel decentramento. Ciò deve avere preoccupato anche i compilatori del Progetto, che nell’articolo 120 hanno parlato di suddivisione circondariale. Questo però costituirebbe altro eccesso non giustificato dai migliorati mezzi di comunicazione rispetto al tempo in cui esistevano i circondari.

In verità, l’incertezza della sorte di tutti gli uffici statali esistenti nei capoluoghi di Provincia ha messo in grave preoccupazione migliaia di famiglie, le quali con paura pensano ad eventuali trasferimenti che costituirebbero dei veri disastri familiari in tempi tanto difficili, in cui trovare una casa non è problema di facile soluzione. Non è giusto tacere di questi gravi inconvenienti, anzi è doveroso chiarire e tranquillizzare tutta una categoria di funzionari. Non so pensare al passaggio di detti uffici statali alle dipendenze della Regione, perché allora si moltiplicherebbe la burocrazia.

Nell’attuazione di questo primo grande esperimento dell’autonomia è prudente andare cauti, conservando tutto quello che l’esperienza del passato consiglia di conservare giacché, come diceva il Gioberti, in tutte le riforme occorre un allacciamento tra il vecchio e il nuovo, in quanto nel collegamento è la vitalità di ogni riforma.

Altro interrogativo grava sulla sorte dei funzionari delle Prefetture.

È ben vero che questa materia non può trovar posto in sede di costituzione e che dovrà essere disciplinata dalle leggi ordinarie dell’ordinamento amministrativo.

Ma è giusto che di questa materia si possegga in anticipo la visione generale ed organica, fissando in sede costituzionale quei principî, ai quali il legislatore futuro dovrà attenersi. Tutti sappiamo che il prefetto in ogni tempo è stato sempre la longa manus del Governo centrale; tutti sappiamo che spesso, e specie durante il fascismo, al prefetto venivano attribuiti poteri, in virtù dei quali era consentito ingerirsi in tutti i rami dell’amministrazione, assumendo così una funzione odiosa e poliziesca; tutti sappiamo dei frequenti contrasti tra l’autonomia del Comune e lo strapotere prefettizio; ma tutto questo non giustifica la soppressione radicale di un organismo, che, come ogni medaglia, ha il suo rovescio.

Fare scomparire lo strapotere del prefetto è una urgente necessità, ma togliere ai comuni una guida tecnico-amministrativa è un pericolo. In molti piccoli comuni non si sa neppure impiantare il bilancio, l’unica luce alle volte è il segretario comunale, il quale finisce per sostituirsi in pieno agli amministratori. Spesso nei piccoli centri l’attività amministrativa reca l’impronta dei rancori, degli odî personali; nei grandi Comuni si infiltra la nota dell’affarismo. Tutti questi inconvenienti consigliano un controllo di legittimità che richiede esperti della vita amministrativa, cioè funzionari preparati, che devono anche essere strumenti di formazione della capacità tecnica-amministrativa.

Se è vero che deve evitarsi che l’autorità controllante soverchi di diritto e di fatto l’autorità controllata; se è vero che autarchia significa diritto di agire in modo autonomo per l’amministrazione degli interessi impersonati nell’ente, con l’esclusione dell’ingerenza degli organi centrali, tutto questo però presuppone che alla cura di detti interessi si provveda correttamente in modo legittimo ed opportuno. Onde la necessità di mantenere alcune forme di controllo per impedire che gli amministratori comunali e provinciali esplichino la loro attività in modo contrario agli interessi che rappresentano.

Se è giusto non far sopravvivere i controlli di merito, non può farsi a meno dei controlli di legittimità nella triplice forma di controlli preventivi, di controlli repressivi e di controlli sostitutivi.

Si attui pure una larga autonomia nelle amministrazioni locali, ma se queste dimostrano di non meritarla o di non saperla usare, è indispensabile l’intervento dell’organo di controllo. Questi controlli potrebbero svilupparsi a mezzo di ispettorati amministrativi da crearsi, utilizzando il personale delle Prefetture, nelle singole Provincie.

Gli ispettori amministrativi statuiranno sulla legittimità degli atti compiuti degli enti autarchici, Comune e Provincia. Contro le statuizioni di ispettori provinciali si potrà ricorrere ad organi di controllo regionali, costituiti da elementi in prevalenza elettivi con l’intervento di funzionari reclutati tra quelli oggi appartenenti al Ministero dell’interno.

Si assicurerebbe in tale maniera il rispetto della legge e si eviterebbero deviazioni pericolose. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Canevari e Canepa hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Provincie e Comuni.

«Le Provincie possono costituirsi in Consorzi o in Regioni, enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî e le norme che saranno stabilite dalla legge.

«Lo Stato italiano promuove e sviluppa le autonomie locali ed attua nei suoi organi un largo decentramento amministrativo, secondo le norme che sono demandate alla legge».

L’onorevole Canepa ha facoltà di svolgerlo.

CANEPA. Si tratta di una materia ormai trita e ritrita, su cui ciascuno ha già potuto esprimere la propria opinione.

La mia idea l’ho già detta svolgendo un altro emendamento a sostegno della Provincia. Rinuncio ora allo svolgimento di questo emendamento e mi auguro che il mio esempio sia seguito anche da altri.

PRESIDENTE. L’onorevole Rivera ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e comuni».

«Inserire, dopo il primo comma, il seguente:

«Le Regioni, le Provincie ed i Comuni sono costituiti e delimitati secondo le tradizioni e la storia antefascista con i capoluoghi tradizionali, salvo variazioni deliberate per referendum popolare, da indire non prima di due anni dalla entrata in vigore della Costituzione».

Non essendo presente l’onorevole Rivera, s’intende che abbia rinunciato a svolgerli.

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica si ripartisce in Regioni, Provincie e Comuni».

«Sopprimere il secondo comma, trasferendone il contenuto all’articolo 120-bis».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerli.

DOMINEDÒ. Dopo quanto è stato detto dai precedenti colleghi, posso essere estremamente breve.

L’emendamento al primo comma riflette una questione di sostanza, cioè che non si crei, per avventura, un accentramento regionale e, inoltre, che le nuove Regioni sorgano in un’atmosfera di concordia con le antiche Provincie. Non reputo di dover indugiare ulteriormente su ciò.

Per quanto riguarda l’emendamento al secondo comma, esso è dettato dalla considerazione che, se poniamo nel primo comma la ripartizione del territorio dello Stato in Regioni, Provincie e Comuni, mi sembra che successivamente l’enucleazione delle norme relative alle Regioni, alle Provincie e ai Comuni debba, secondo un evidente disegno architettonico della Costituzione, snodarsi attraverso le norme sulla Regione, sulla Provincia, sul Comune.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. D’accordo.

DOMINEDÒ. Conseguenza pratica di questa esigenza è di sopprimere il secondo comma dell’articolo 107, trasformandolo in norma sulla Provincia, sia vista come ente autarchico, sia come organo di decentramento statuale, da inserire fra la Regione e il Comune; cosicché tutto l’articolo 107 si ridurrebbe all’enunciazione del primo comma della ripartizione in Regioni, Provincie e Comuni.

Nulla esclude un ulteriore passo per cui eventualmente questa enunciazione possa essere fatta addirittura nell’intitolazione del Titolo in esame, nel qual caso salterebbe del tutto l’articolo 107.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. D’accordo.

PRESIDENTE. L’onorevole Camposarcuno ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al secondo comma aggiungere: secondo l’ordinamento che verrà stabilito dalla legge».

«Aggiungere il seguente comma:

«Possono crearsi nuove Provincie con decreto del Presidente della Repubblica, su richiesta del Consiglio regionale e con le modalità che saranno stabilite dalla legge».

L’onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgerli.

CAMPOSARCUNO. L’articolo 107 tratta, fra l’altro, della ripartizione della Repubblica in Regioni e Comuni. Io tralascio di trattare la questione se, tra la Regione e il Comune, debba inserirsi l’elemento Provincia, anche perché altri colleghi di ogni settore hanno già autorevolmente discusso in merito e l’Assemblea Costituente ha tutti gli elementi per decidere. Osservo però che, tanto nel caso in cui la Provincia sia mantenuta nell’attuale forma di ente autarchico, come nel caso in cui essa sia invece trasformata in organo di decentramento amministrativo statale e regionale, alla Provincia deve essere data indubbiamente una nuova configurazione con la creazione dell’ente Regione.

Deve allora esservi una norma di legge che stabilisca, nell’un caso come nell’altro, come debba essere configurato questo ente Provincia. E perché sia chiaro che il nuovo ordinamento deve essere attuato in base ad una disposizione legislativa, io ho chiesto che al secondo comma sia aggiunta la dicitura: «secondo l’ordinamento che verrà stabilito dalla legge».

Per quanto riguarda poi il mio emendamento aggiuntivo, osservo che il progetto di Costituzione, all’articolo 125, stabilisce in qual modo si possano creare le nuove Regioni. Ma, se non erro, nel Progetto manca una disposizione che stabilisca in qual modo si possano eventualmente creare le nuove Provincie, sia sotto forma autarchica che sotto forma di decentramento amministrativo.

Ho proposto pertanto di aggiungere all’articolo questo comma: «Possono crearsi nuove Provincie…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non è qui che va trattata tale questione.

CAMPOSARCUNO. E dove, onorevole Ruini?

Dicevo, adunque, «Possono crearsi nuove Provincie con decreto del Presidente della Repubblica, su richiesta del Consiglio regionale e con le modalità che saranno stabilite dalla legge».

Naturalmente, per vedere quando si verifichino le condizioni che consentano di creare le nuove Provincie, ho proposto che questo articolo rimandi alla legge di stabilire le modalità.

PRESIDENTE. L’onorevole Zanardi ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«I Comuni costituiscono la base del rinnovamento democratico della vita italiana».

Ha facoltà di svolgerlo.

ZANARDI. Onorevoli colleghi, in questa discussione si è parlato molto di Regioni e di Provincie e si sono dimenticati quasi completamente i Comuni, che costituiscono l’organo amministrativo più antico e più italiano.

Io ho ascoltato l’onorevole Ambrosini, il quale veramente è un poeta della sua tesi, che io ammiro, come si deve per gli uomini in buona fede, ma non posso aderire ai suoi principî.

Però, debbo dare una risposta all’onorevole Conti, il quale ci ha detto che noi siamo dei «piatti riformisti», e all’onorevole Piccioni, il quale ha affermato che noi ci siamo dimenticati delle promesse elettorali, cioè di dare le autonomie locali. Orbene, a nome di coloro che sono amanti della vita comunale, io posso qui affermare che in ogni momento della nostra vita pubblica abbiamo sempre domandato l’autonomia della vita comunale dai Prefetti, che sono gli arbitri della vita dei nostri Comuni. Orbene, i Prefetti potranno essere organi statali, ma non devono controllare la vita comunale, che è affidata soltanto alla legittima rappresentanza del corpo elettorale, come avviene oggi. Nell’interesse del Comune, i Prefetti non debbono per nulla entrare nella vita amministrativa.

In questa discussione i Comuni furono sempre dimenticati, ma io voglio ricordare a questa Assemblea che il Comune di Milano – diretto dal sindaco Caldara, mai dimenticato – ha perfino battuto moneta, e che noi, di Bologna, abbiamo avuto due navi, intitolate ad Andrea Costa e a Giosuè Carducci, che solcavano gli oceani. Quindi noi siamo capaci di riformare meglio le nostre città di quello che non sia la tarda burocrazia romana. (Interruzioni).

Il Comune è organizzato, prima di tutto – secondo le tradizioni del nostro partito – per l’assistenza scolastica. Noi abbiamo discusso per un mese circa sulla scuola, sul rinnovamento della scuola. Non vi è che un rinnovamento: quello di difendere la gioventù quando viene nella scuola e, quindi, di dare una assistenza scolastica più larga e più generosa; si deve dare il pane a tutti i bambini, senza bisogno di recitare il Pater noster o di cantare l’Internazionale. (Interruzioni).

Il Comune deve essere anche bene organizzato per l’approvvigionamento. Ho sentito l’amico e collega Cerreti che aveva stabilito una distribuzione differenziata del pane. Ma quello è un errore amministrativo perché, per avere il prezzo differenziato, ci vuole anche una distribuzione differenziata, perché nel negozio dove si vende il pane per tutte le categorie, indubbiamente, il commerciante, che non conosce mai la giustizia nel vero termine della parola, confonderà l’una e l’altra parte.

Orbene, la distribuzione differenziata del pane non può essere che opera dei Comuni, ed io non so perché 45 milioni di abitanti abbiano bisogno di tante tessere e di tante spese, dato che le tessere non servono altro che nelle grandi città, mentre nei nostri paesi, esse, di fatto, sono già abolite.

Noi, poi, abbiamo avuto – a Milano e a Bologna – una grande influenza anche nelle riforme legislative in Roma, ed il Governo centrale ha ascoltato spesso la nostra parola. L’Ente consumi, venuto a nuova vita, è stato fondato circa 30 anni fa in Comuni d’Italia che erano in mano al nostro partito.

E poi, un Comune deve, per essere bene amministrato, conoscere appieno il censimento dei locali che esso amministra. Dietro nostra iniziativa, l’onorevole Meda, il Ministro Meda, il vero e autentico Meda. (Si ride).

RUBILLI. Il Meda anziano, volevi dire. Quello dei tempi nostri!

ZANARDI. …ha emanato un decreto-legge per una tassa progressiva sui vani. Orbene, l’onorevole Einaudi era contrario; ricordo che mi fece aspre critiche: disse che ero un empirico ed un flebotomo della vita economica del Paese. Ma ho il piacere di rispondergli che, con il censimento dei locali da noi proposto, oggi si potrebbero applicare le tasse in modo più giusto; con il censimento dei locali noi potremmo colpire i fondi rustici che sono liberi da imposte erariali e, mentre pagano le tasse le povere famiglie che vivono in sobborghi cittadini, nulla si paga là dove si raccolgono milioni di buoi e di vacche e di altri animali di notevole valore. In tal modo i nullatenenti pagano e quelli che guadagnano milioni sono liberi da ogni tributo. Quindi il censimento è giusto, nonostante il parere dell’onorevole Einaudi; ed il povero empirico ha ragione mentre l’illustre Einaudi va sempre cercando inutilmente i mezzi di applicare le tasse.

Già basterebbe la nuova imposta del 4 per cento. La più ingiusta che gli italiani abbiano mai pagata, perché succede che si paga una tassa che riguarda gli stabili che per ragioni diverse non danno redditi.

La tassa in parola doveva essere applicata soltanto ai terreni, non alle case, perché le case sono passive, mentre le campagne danno reddito altissimo.

Ora noi, confortati dal nostro grande Caldara, con l’aiuto del Ministro Meda, col consenso di uomini come Mariotti, come Greppi, abbiamo sempre sostenuto l’autonomia comunale, e perché siamo uomini pratici, abbiamo anche domandato che fosse applicata una autonomia finanziaria nel senso che le tasse reali dovevano essere date al Comune, e le personali essere lasciate allo Stato.

Di questo nulla si è fatto. Noi amici della vita comunale, dopo venticinque anni di esilio, siamo tornati ad amministrare i piccoli e i grandi Comuni, con quello spirito rivoluzionario del 1945, quando non vi era nessuna difficoltà a raccogliere delle persone che venivano ad offrire al Comune tutto quello che avevano più o meno onestamente guadagnato. Orbene è successo che – passata la festa gabbato lo Santo – mentre nel 1945 si potevano fare tutte le riforme possibili, oggi invece si trovano delle resistenze che allora non vi erano, perché quelli che allora agivano per paura, dopo due anni si sono liberati completamente dalla paura.

Io non insisto perché, prima di tutto, voglio stare al regolamento e credo di aver ormai raggiunto il limite del tempo che mi è assegnato. Soltanto, ritorno a questo concetto che per me è fondamentale: se vi devono essere le Regioni, le Provincie e i Comuni, noi avremo la minaccia che, invece di una burocrazia sola, ne avremo quattro per ogni città. A Milano, Genova, Torino, Bologna avremo quattro burocrazie: quella statale, quella regionale, quella provinciale e quella comunale. Domando se tale riforma possa essere sopportata da un Paese come il nostro, che è in dissesto e che non ha trovato la possibilità di difendere la propria moneta. (Interruzioni).

Nessuno finora mi ha detto come devono funzionare le Regioni. Non vorrei che si prendesse ad esempio il funzionamento della Regione siciliana, il cui governo è già venuto qui a domandare quattrini per la carta da scrivere. (Interruzioni Commenti).

Io sono in un’età in cui non diventerò più sindaco. Ma comunque sia, richiamo l’attenzione dell’Assemblea verso i compagni che reggono i Comuni d’Italia e che sono qui numerosi, ed autorevoli, perché preferiti dagli elettori. Essi rappresentano la parte migliore della vita italiana e ne costituiscono la classe dirigente. Rendo omaggio ai sindaci che onorano quest’Assemblea, i quali, forti delle tradizioni dei loro Comuni, affermano una sola volontà, la libertà comunale.

Voi formerete delle Regioni; e vi saranno in esse dei partiti che diventeranno potenti, forse anche prepotenti, ma io, democratico socialista, domando che si mantenga viva la libertà del Comune, perché soltanto con essa si avrà il trionfo della democrazia socialista, che noi abbiamo amato per tutta la vita e per la quale molti, che hanno onorato questi banchi, hanno tanto sofferto. (Applausi).

PRESIDENTE. L’ultimo emendamento è il seguente dell’onorevole Bovetti:

«Sostituirlo col seguente:

«Il territorio della Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOVETTI. Sarò telegrafico e non aggiungerò ulteriori argomentazioni a quanto è stato detto egregiamente sul tema dell’autonomia della Provincia. Solo per rispondere ad un interrogativo dell’onorevole Zanardi, mi limiterò a portare all’Assemblea un dato di fatto, collaudato dall’esperienza, di una Regione che ha proprie caratteristiche topografiche, di popolazione e di economia, cioè la Regione piemontese. Noi ci siamo trovati, immediatamente dopo la lotta di liberazione, in una situazione particolarmente avulsa dall’economia nazionale e dalle direttive generali dello Stato. È stato creato in Piemonte il Consiglio economico piemontese, che ha raggruppato, attraverso una attività durata un biennio, le deputazioni provinciali, le Camere del lavoro, le Camere di commercio e di agricoltura; che ha esplicato, non soltanto attraverso una attività di coordinamento, varie iniziative che costituiscono la traduzione in fatto di quanto l’Assemblea sta per elaborare in linea di diritto. Il Consiglio economico piemontese non ha limitato soltanto la sua attività a coordinare norme economiche, ma ha esteso i suoi compiti anche a tutta la vasta gamma di problemi che potevano interessare la Regione: dai problemi dei trasporti, ai problemi ospedalieri e all’attività quasi normativa, attraverso l’elaborazione di un codice delle consuetudini.

Questa attività di fatto – ripeto, collaudata da una esperienza biennale – ci ha portato alla constatazione che l’esperimento regionale può essere fattivo, quando è inteso su norme giuste, su norme confacenti alle esigenze della Regione. Ci ha dimostrato, cioè, la possibilità della coesistenza di un ente Regione, che avrà quell’attività legislativa e normativa che l’Assemblea crederà di demandargli, e di un ente Provincia, inteso come ente autarchico.

Ho sentito dall’onorevole Zanardi paventare il pericolo di una eccessiva burocratizzazione: cioè la conservazione di una burocrazia statale, l’innovazione di una burocrazia regionale e la coesistenza di una burocrazia provinciale. Io credo, invece, che la coesistenza dell’ente Regione con l’ente Provincia possa essere mantenuta senza questo pericolo, perché se noi alla Regione demandiamo compiti legislativi e normativi, possiamo conservare alla Provincia, intesa come ente autarchico, l’attuale attività di decentramento amministrativo, così che al centro regionale potrà aversi un’Assemblea, che ci auguriamo sia ristretta, in modo che non porti alle spese lamentate da qualche settore di questa Assemblea.

Ed anticipando la discussione sull’articolo 120, vorrei invocare dalla Commissione maggiore chiarezza, circa quelli che dovranno essere gli organi rappresentativi della Provincia. A me l’espressione «decentramento» non sodisfa. Una formula così generica, che rimanda alla legge, non può portare la chiarezza, che abbiamo il diritto di invocare da questa Costituzione.

Ritengo – è una idea mia personalissima, ma avvalorata dai voti e dai desideri di unioni di amministrazioni provinciali – che l’Assemblea regionale non debba portare in sé la vivezza delle discussioni politiche, ma debba fermarsi soprattutto su problemi economici ed amministrativi. Ritengo che l’Assemblea regionale non debba essere un Parlamento politico, che possa portare in sé i pregi ed i difetti del Parlamento centrale, ma debba essere composto da persone competenti, collaudate dall’esperienza nella vita provinciale, le quali possano portare non la passione politica, ma l’esperienza nei problemi che più assillano la vita della Regione, della Provincia e del Comune.

Per questo il voto di numerose Amministrazioni provinciali è che la futura Assemblea regionale debba essere eletta in secondo grado, con elezione in primo grado dei Consigli comunali, ed in secondo grado di una Assemblea ristretta, promanazione del voto e della designazione dei Consigli provinciali, delle Camere del lavoro, delle Camere di commercio e dell’agricoltura, di tutti gli organismi, cioè, amministrativi ed economici della Regione.

PRESIDENTE. Non esca fuori argomento, onorevole Bovetti.

BOVETTI. Così, o signori, attraverso l’esperienza, che abbiamo collaudata, in perfetta unione di spiriti di vari partiti nella Regione piemontese, abbiamo raggiunto lo scopo di dimostrare che l’organizzazione regionale non significa antagonismo fra Regione e Provincia, non significa distacco della Provincia dallo Stato, ma nobile gara fra le energie delle Regioni, per il benessere e la ricostruzione del Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. Penso sia opportuno sospendere la seduta, rinviando il seguito della discussione alle 17.

(Così rimane stabilito).

 

(La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 17).

Dimissioni del deputato Falchi.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prima di riprendere l’esame del testo di Costituzione, comunico il testo di una lettera inviata dall’onorevole Battista Falchi:

«Per ragioni di salute presento le dimissioni rassegnando il mandato parlamentare».

Pongo ai voti l’accettazione di queste dimissioni.

(È approvata).

Sostituzione di un Commissario.

PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Einaudi, nominato Ministro, ho chiamato a far parte della Commissione per la Costituzione l’onorevole Cortese.

Presentazione del disegno di legge relativo all’approvazione del Trattato di pace.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare il disegno di legge relativo all’approvazione del Trattato di pace tra le Potenze alleate ed associate e l’Italia firmato a Parigi il 10 febbraio 1947.

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro degli esteri, della presentazione di questo disegno di legge, che sarà inviato alla Commissione per i Trattati internazionali.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA. Ministro degli affari esteri. Vorrei permettermi di far sapere al collega Canepa che ho letto la sua interrogazione urgente circa la presentazione del Trattato e ne ho apprezzato altamente i motivi lungimiranti e patriottici. Ma il collega Canepa mi darà atto che un fatto vale più di un migliaio di parole. Il fatto è la presentazione del Trattato, e spero quindi che egli sia sodisfatto.

CANEPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEPA. Non potevo aspettarmi una risposta più sodisfacente della presentazione del Trattato di pace. E tanto più me l’aspettavo, dopo che nella seduta di. venerdì scorso l’onorevole Sforza, facendo eco al discorso dell’onorevole Lombardi, aveva salutato il piano Marshall come «un primo raggio di luce che brilla sul mondo dopo tanti anni» e, poteva aggiungere, come l’ultima speranza dopo tante delusioni.

L’urgenza dell’approvazione del Trattato, si intende con la protesta per la sua durezza e per la sua ingiustizia, che il Governo ha fatto quando l’ha approvato…

SFORZA, Ministro degli affari esteri. E che è ripetuta nella relazione.

CANEPA. …e che noi rinnoveremo, dipende non soltanto dalla necessità di liberarci dallo stato armistiziale, quanto dalla presentazione del piano Marshall. Questo piano comporta la distribuzione fra le Nazioni di Europa dei soccorsi dell’America ed è tanto più interessante per noi, in quanto viene dopo la cessazione dei soccorsi dell’UNRRA. Si tratta della distribuzione delle materie prime, dei cereali, del carbone, del petrolio, del cotone, di tutto quello che è necessario alla vita. Ora, tutto questo sarà ripartito da organismi dipendenti dall’organizzazione delle Nazioni Unite e chi non appartiene ad essa non avrà voce in capitolo. E noi non apparterremo a questa Organizzazione se non avremo ratificato il Trattato.

Di qui l’urgenza assoluta che non ammette dilazioni. Certamente il nostro presidente, appena ricevuto il Trattato, lo trasmetterà alla Commissione dei Trattati, ed io credo di sapere che la Commissione riferirà con la massima sollecitudine, di modo che spero che nella entrante settimana l’Assemblea potrà esaminare e decidere in merito, e, secondo me, potrà ratificare questo Trattato.

Oggi stesso, anzi in quest’ora, a Parigi si inaugura la Conferenza dei tre Ministri Bevin, Bidault e Molotov, i quali esaminano il «piano Marshall» e danno inizio quindi al principio della organizzazione dell’Europa, alla quale organizzazione di riparto dei soccorsi io ho ferma fiducia che terrà dietro l’organizzazione federale dell’Europa, e, prima ancora di questa, la ben auspicata pace tra l’Oriente e l’Occidente. Se noi avremo ratificato il Trattato, l’onorevole Sforza potrà, accanto a Bevin, Bidault e Molotov, difendere gli interessi d’Italia, i quali collimano perfettamente, anzi si identificano, con gl’interessi d’Europa e con quelli del mondo intero, che aspira supremamente, e come ultimo suo anelito, alla pace. Questo è l’augurio che faccio e che certamente è condiviso da tutti gli italiani. (Applausi).

PRESIDENTE. Vi è stato uno svolgimento un po’ fuori dell’ordine del giorno, ma penso che nulla di quel che è stato detto possa dispiacere a qualcuno nell’Assemblea.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Riprendiamo l’esame degli emendamenti proposti all’articolo 107.

Gli onorevoli Bozzi e Grassi avevano presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli dal 107 al 125 col seguente:

«La Repubblica si riparte in Comuni, Provincie e Regioni. Con legge costituzionale saranno stabiliti i confini delle diverse Regioni, nonché i poteri e la competenza, normativa ed amministrativa, dei Comuni, delle Provincie e delle Regioni e i rapporti fra questi enti e lo Stato».

Gli onorevoli Bozzi e Grassi lo hanno ritirato.

NOBILE. Chiedo di farlo mio.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Gli intenti che hanno ispirato questo emendamento sono, per la loro portata chiari, e non avrò bisogno di molte parole per illustrarli.

L’emendamento è pienamente d’accordo con le precedenti deliberazioni dell’Assemblea, che hanno ammesso l’istituzione dell’ente Regione.

Perciò, a mio avviso, anche i fautori più accesi dell’ordinamento regionale potrebbero accettarlo, perché con esso non si pregiudica nessuna delle questioni che ad essi stanno più a cuore. Io non voglio ripetere le argomentazioni che già svolsi davanti all’Assemblea sulla necessità che una riforma così radicale, quale quella che si discute, sia attentamente esaminata.

Ora, discutere seriamente, com’è necessario fare, dei confini, dei poteri e della competenza normativa ed amministrativa del nuovo Ente è cosa che, a mio avviso, richiede molto tempo. Ognuna delle voci elencate negli articoli 109, 110 e 111 implica l’esame di difficili e complesse questioni tecniche. Non meno ampio e profondo dovrebbe essere il dibattito intorno all’articolo 113 che concerne l’autonomia finanziaria. Infine, l’articolo 123 solleva centinaia di questioni complesse, come è provato dalle infinite e contradittorie manifestazioni che tutti i giorni ci pervengono da ogni parte d’Italia.

Spero, perciò, che i colleghi non vorranno tacciarmi di pessimismo se asserisco che tutta questa complicata, spinosa, controversa materia, richiederebbe mesi e mesi di indagini e di discussioni. Del resto, devo notare che le mie precedenti previsioni in fatto di tempo non sono state smentite dagli avvenimenti. Si dirà che davanti a noi c’è ancora un lungo periodo di tempo per i nostri lavori, ma io non credo che questo tempo sia poi tanto. Il tempo passa presto e l’esperienza ci dovrebbe ammonire che spesso l’Assemblea, in questo difficile momento della vita nazionale, è chiamata a discutere ed a pronunciarsi su altri problemi, che non sono quelli della Costituzione. D’altra parte, credo che non vi sia alcuno fra noi che ritenga, che comunque sia necessario fissare ora le attribuzioni, i confini ed i poteri del nuovo Ente. Vi è, se mi è permesso di ricordarlo, un vecchio proverbio, credo napoletano, il quale dice che la gatta per andare troppo in fretta fece i piccoli ciechi. Ora, io non vorrei che questa riforma regionale, la quale è pure cosa seria e dovrebbe essere attentamente esaminata, nascesse morta, gettando così il discredito su tutta la Carta costituzionale.

Procediamo per gradi. Abbiamo sancito e sanciamo, con gli articoli approvati, la creazione del nuovo Ente. Rimandiamo al futuro Parlamento il compito di fissarne il funzionamento. Si tenga anche presente che, a grande maggioranza, l’Assemblea ha deciso che si debba mantenere, anzi potenziare la Provincia. Ed allora direi che, anche per ragioni di euritmia della Costituzione, se si parla di autonomia regionale si dovrebbe parlare, con la stessa ampiezza, di autonomia provinciale e di autonomia comunale; invece, all’autonomia comunale non è dedicato che un solo articolo.

Per queste ragioni, io penso che l’emendamento possa trovare l’accoglimento anche dei fautori più accesi dell’autonomia regionale. Perciò, confido che l’Assemblea vorrà approvarlo.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Desidero precisare che, a mio parere, questo emendamento non può essere posto in votazione.

PRESIDENTE. Le faccio presente, onorevole Zuccarini, che non siamo ancora in sede di votazione; siamo allo svolgimento degli emendamenti.

ZUCCARINI. Appunto perché siamo in tema di svolgimento degli emendamenti, mi pare che sia il caso di porre questa pregiudiziale: se questo emendamento debba cioè o non debba rientrare nell’articolo 107. Per me la questione la ritengo già superata.

I colleghi Bozzi e Grassi hanno ritirato il loro emendamento, appunto perché presentarono, insieme all’onorevole Bonomi, un ordine del giorno sul quale abbiamo ormai discusso e l’Assemblea ha già votato. Riprendere oggi lo stesso tema mi sembra anche poco riguardoso verso l’Assemblea.

FUSCHINI. È contro il Regolamento.

ZUCCARINI. Significherebbe precisamente distruggere quel voto che è stato preso da una Assemblea molto più numerosa di questa e, per la larga discussione fatta, consapevole di ciò che faceva.

Perciò ritengo che questo emendamento, che non riguarda un solo articolo, ma un complesso di articoli, non possa essere messo in votazione. Qui trattiamo ora dell’articolo 107: si propongano pure emendamenti a questo articolo, che si potranno respingere o approvare; ma la richiesta Nobile è tutta altra questione. Mi pare anzi che con essa ci si prenda gioco dell’Assemblea. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. La prego, onorevole Zuccarini, di limitarsi nei suoi termini e di non aggiungere parole che possono anche colpire dei colleghi.

PERSICO. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Non c’è dubbio, onorevoli colleghi, che essendo passati alla discussione degli articoli, ogni deputato ha diritto di proporre quegli emendamenti che crede sui singoli articoli; ma l’emendamento a firma degli onorevoli Bozzi e Grassi fatto proprio poi dall’onorevole Nobile, non è un emendamento ad un articolo, non incide sulla materia, cioè, dell’articolo 107, ma, riguarda tutto il Titolo V e quindi gli articoli da 107 a 125, con una sola affermazione: che la futura Camera stabilirà i confini della Regione ed i poteri dei Comuni, delle Provincie, nonché i rapporti fra questi Enti e lo Stato. Cioè a dire, nel concetto informatore di questo emendamento, di questo che prima era un ordine del giorno, come era stato presentato dagli onorevoli Bozzi e Grassi, si voleva accantonare la questione della Regione, fare un’affermazione generica nella Carta costituzionale e rimandare al futuro Parlamento tutta la complessa materia diretta alla costituzione dell’ente Regione.

Tutto questo fu superato in base a quella seconda discussione generale che abbiamo fatto a proposito degli ordini del giorno, che furono ampiamente svolti, discussi e votati.

In quella sede gli onorevoli Bozzi e Grassi, ritirarono il loro ordine del giorno e, d’accordo con l’onorevole Bonomi, proposero un altro ordine del giorno, respingendo il quale si è adottata una determinata deliberazione.

Quindi, a mio avviso, sia l’ordine del giorno Nobile, sia quello che viene subito dopo, dell’onorevole Targetti ed altri, non si possono più discutere, perché non sono più emendamenti all’articolo 107, che dice soltanto: «La Repubblica si riparte in Regioni e Comuni».

Questi due emendamenti possiamo discuterli insieme, se il collega Targetti lo consente: in sostanza, non sono emendamenti, in quanto tendono a riprendere in esame la questione già votata sull’ordine del giorno Bonomi, mentre, d’altra parte, questa mattina è stata approvata la proposta di passare alla discussione dei singoli articoli.

Non si può chiamare emendamento una proposta che tende a sopprimere il Titolo V; ora si possono solo proporre delle modifiche all’articolo 107. Si potrebbe ad esempio proporre questo testo: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni», questa è una modifica. Ma gli emendamenti Nobile e Targetti…

FUSCHINI. Sono un nuovo progetto.

PERSICO. …costituiscono appunto un nuovo progetto, in cui rimane soltanto la parola «Regione» come affermazione generica, e rimangono i quattro Statuti autonomi della Valle d’Aosta, della Sardegna, della Sicilia e delle Valli Atesine, che sono già stati approvati.

Quindi, proporrei una mozione d’ordine, nel senso che tanto l’emendamento Targetti quanto quello dell’onorevole Nobile debbano considerarsi fuori del tema della nostra discussione, la quale è limitata soltanto a quegli emendamenti o a quelle modificazioni che attengono al testo dell’articolo 107, che è il solo in discussione.

Noi abbiamo già approvato l’articolo 106; siamo già in pieno nella discussione degli articoli e non possiamo riportare la discussione ad una fase preliminare.

PRESIDENTE. Hanno parlato due oratori a favore della pregiudiziale. Possono parlare due oratori contro la pregiudiziale.

TARGETTI. Chiedo di parlare contro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io vorrei chiedere al collega ed amico Persico in qual altro modo si potrebbero avanzare, in questa sede, proposte di modificazione dei vari articoli, se fosse vero che non si potessero svolgere gli emendamenti da noi presentati.

L’Assemblea ha respinto l’ordine del giorno Bonomi, poi ha approvato un ordine del giorno in base al quale si è passati alla discussione degli articoli. Discussione, non approvazione preventiva degli articoli.

Ora, discutere gli articoli vuol dire proporre anche, volta per volta, degli emendamenti agli articoli stessi.

La questione che fa l’onorevole Persico poteva essere fatta e potrebbe essere fatta in sede di votazione, quando il nostro Presidente deciderà come procedere alla votazione di questi emendamenti.

Sarà quello il momento in cui si potrà discutere ed il Presidente deciderà se si possa o meno passare all’approvazione di tutti e quattro gli articoli da sostituire a quelli del Progetto, o se non sia invece più consono allo spirito del Regolamento di mettere a partito articolo per articolo.

Mi pare strano che un deputato, il quale voglia proporre che un determinato articolo in discussione venga modificato in una qualsivoglia maniera, debba sentirsi opporre un diniego proprio perché siamo alla discussione degli articoli, e di ciò non si può più parlare.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare contro la pregiudiziale, dobbiamo passare alla votazione della pregiudiziale dall’onorevole Zuccarini nei confronti dell’emendamento fatto proprio dall’onorevole Nobile.

L’onorevole Persico l’ha estesa anche ai seguenti emendamenti presentati dagli onorevoli Targetti, Malagugini, Giacometti:

«Sostituire gli articoli dal 101 al 125 (incluso) con i seguenti:

Art. …

Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni.

Art. …

I Comuni sono autonomi nel proprio ambito.

Art. …

Le Regioni e le Provincie sono Enti di decentramento statale, dotati di autogoverno.

Art. …

L’ordinamento, le attribuzioni, le circoscrizioni delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni sono stabiliti dalla legge.

Statuti particolari di autonomia per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta, le Valli Atesine saranno stabiliti con leggi speciali».

PERSICO. L’ho estesa al complesso degli emendamenti.

PRESIDENTE. No, onorevole Persico: non si può estendere la pregiudiziale al complesso, in quanto ci troviamo di fronte ad una questione tecnica e non di merito. L’onorevole Targetti presenta quattro articoli, ognuno dei quali può essere contrapposto ad un altro degli articoli del progetto di Costituzione. Mi pare che questo rientri pienamente nelle facoltà dell’onorevole Targetti. E infatti, come l’onorevole Targetti stesso ha tenuto a sottolineare, le sue formulazioni possono essere respinte, ma non possono essere dichiarate a priori non accettabili.

Desidero soltanto, prima di porre in votazione la pregiudiziale, dare un chiarimento per quanto concerne l’emendamento fatto proprio dall’onorevole Nobile. Se si ponesse a raffronto l’ordine del giorno dell’onorevole Bonomi, già respinto dall’Assemblea, con la proposta dell’onorevole Nobile, si vedrebbe chiaramente come fra le due formulazioni non vi sia nulla di comune. La proposta Nobile, se mai, è molto più radicale di quella dell’onorevole Bonomi e questo potrebbe essere, a mio parere, l’argomento da invocarsi.

Nell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Bonomi, infatti, non solo era previsto che la Costituzione dovesse sancire l’ordinamento regionale, ma anche che si occupasse della limitazione dei poteri e degli organi del nuovo ente. Esso autorizzava quindi anche lo sviluppo di diecine e decine di articoli, mentre secondo la proposta Nobile tutto questo dovrebbe sparire.

Ci troviamo, quindi, di fronte ad una proposta, che per la sua radicalità, si distanzia nettamente dall’altra. Tengo a chiarire ciò per spiegare la ragione per cui non ho ritenuto di dover impedire all’onorevole Nobile a priori di svolgere il suo emendamento.

Quanto all’onorevole Targetti, io penso che egli abbia il diritto di presentare la formulazione dei suoi articoli di volta in volta, in contrapposizione a quegli articoli del Progetto che egli designerà.

Pongo pertanto in votazione la pregiudiziale dell’onorevole Zuccarini, in rapporto all’emendamento dell’onorevole Nobile.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

Risultando incerto l’esito della votazione, procediamo alla votazione per divisione.

(La pregiudiziale è approvata).

Dobbiamo ora prendere in esame gli emendamenti presentati dagli onorevoli Targetti, Malagugini e Giacometti, di cui è stata data testé lettura. I quattro articoli proposti potrebbero considerarsi come un complesso unico, oppure separatamente in rapporto ai corrispondenti articoli del Progetto. Quale è, in proposito il parere dell’onorevole Tragetti?

TARGETTI. Sarò ingenuo, ma credo poco all’importanza di adottare questa od un’altra procedura. O con l’una o con l’altra, il pensiero dei vari deputati non può cambiare. Non voglio dire cosa poco rispettosa, ma queste schermaglie mi sembrano da museo. Io esprimo il parere del mio Gruppo, su questa questione. Il Presidente deciderà se mettere in votazione un emendamento dietro l’altro o l’insieme dei quattro articoli che noi proponiamo di sostituire agli articoli dal 107 al 125 del Progetto. La modalità della votazione non potrà certo influire sul voto dell’Assemblea. Io sono agli ordini del Presidente.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si potrebbe fare così: l’articolo primo dell’onorevole Targetti: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni» che è stato presentato da una dozzina di altri proponenti può essere trattato ora. Il secondo: «I Comuni sono autonomi nel proprio ambito», non è nuovo, giacché si riferisce a quanto è già considerato all’articolo 121.

TARGETTI. Non mi fa un complimento ma, per mia fortuna, dice cosa inesatta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho detto che il suo emendamento sia identico al testo dell’articolo 121; ho detto che il concetto è quello lì.

TARGETTI. Vi è una sostanziale differenza.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non desidero discutere ora: dico che l’autonomia dei Comuni nell’ambito delle leggi come dice il Comitato, o nel proprio ambito, come invece propone Lei (ed io non ritengo accettabile tale dizione), è tema dell’articolo 121.

Troviamo poi: «Le Regioni e le Provincie sono enti di decentramento statale», ed il tema attiene all’articolo 107, e può essere trattato in quella sede. L’articolo Targetti che segue: «L’ordinamento, le attribuzioni, le circoscrizioni delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni sono stabiliti dalla legge. Statuti particolari di autonomia per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta, le Valli Atesine saranno stabiliti con leggi speciali» attiene all’articolo 108.

Mi sono limitato ad indicare la corrispondenza di argomento fra gli emendamenti testé presentati e gli articoli formulati dalla Commissione: niente altro. L’insieme delle proposte Targetti, che intende essere in tutto sistematico, implica infine la soppressione di tutte le altre disposizioni sulla Regione; ma sulla questione si è già pregiudizialmente pronunciata l’Assemblea.

PRESIDENTE. Io ritengo che questi quattro articoli che lei, onorevole Targetti, ha presentato debbano essere svolti quando si presentano gli articoli corrispondenti del testo della Commissione. Ora è ben chiaro che nel suo pensiero il Titolo dovrebbe ridursi a questi quattro articoli. Ciò implica tutta una serie di proposte soppressive nei confronti di articoli proposti dalla Commissione, ma il modo con cui si manifesta l’intenzione della soppressione è proprio quello di votare contro gli articoli proposti. Pertanto, man mano che gli articoli del testo, che non vengono considerati per la loro materia nella sua formulazione, saranno posti in votazione, lei voterà, se conserva lo stesso atteggiamento, contro quegli articoli; ed è il modo con il quale manifesterà la sua intenzione di sopprimerli.

TARGETTI. Osservo che l’ultimo articolo da noi proposto, se approvato, determinerebbe la caduta di tutti gli altri articoli del Progetto.

PRESIDENTE. L’Assemblea poco fa ha votato su una pregiudiziale, la quale non era diretta contro la sua formulazione; ma suppongo che l’onorevole Zuccarini, o altri, nel momento in cui si dovesse votare sopra questi quattro articoli, porrebbero una nuova pregiudiziale, e ci ritroveremmo nella stessa situazione di poco fa.

TARGETTI. Nel momento in cui l’onorevole Zuccarini o altri ponesse la pregiudiziale anche contro i nostri emendamenti, si dovrebbe rinnovare la votazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se il Presidente lo crede.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE; Ne ha facoltà.

PICCIONI. Il Regolamento che disciplina la discussione è alquanto elastico – non si può non riconoscerlo – ma non fino al punto da riproporre articolo per articolo tutto ciò che è stato discusso, votato o respinto precedentemente.

L’articolo 89 del Regolamento – leggo per mia memoria in modo particolare – dice:

«Quando la Camera vi annuisca, si passa alla discussione degli articoli.

«Questa consiste nella discussione sopra ogni articolo del progetto di legge. La votazione si fa sopra ogni articolo e sugli emendamenti che si propongono».

Quindi, discussione e votazione articolo per articolo: non si può, evidentemente, al progetto in discussione contrapporre un altro progetto, sia pure più sintetico o più schematico.

Per conseguenza, gli articoli dell’onorevole Targetti devono essere, come ha già detto l’onorevole Presidente, collocati in corrispondenza dei singoli articoli, ai quali ciascuno di essi si riferisce.

Ma c’è di più. Nell’articolo 89 è detto: «Non si potranno riprodurre sotto forma di emendamenti o di articoli aggiuntivi gli ordini del giorno respinti nella discussione generale, nel qual caso può sempre essere opposta la pregiudiziale».

Ora – mi consenta l’Assemblea – se si dovesse radicare questo costume, che oggi ha avuto un inizio di applicazione, per cui in sede di emendamenti di articoli si ripropongono, in maniera più o meno larvata o mascherata, gli stessi concetti, gli stessi principî, le stesse definizioni, che hanno costituito oggetto di particolari ordini del giorno respinti, noi ci accingeremmo ad un lavoro di Sisifo, veramente inconcludente ed interminabile, perché, ad ogni piè sospinto, si potrebbe riproporre il siluramento di tutto il progetto dell’ordinamento regionale.

Quindi, è bene sia fissata – mi rivolgo in modo particolare, per quanto non ve ne sia bisogno, all’onorevole Presidente – una prassi precisa, che, d’altra parte, si riallaccia a questa norma specifica del Regolamento e ad una prassi costante delle discussioni parlamentari.

Ritengo che in applicazione del Regolamento, sia un preciso diritto dell’onorevole Presidente, se non pure un dovere, non porre in votazione emendamenti che mascherino ordini del giorno veri e propri.

Per quanto si riferisce all’ultimo Articolo proposto dall’onorevole Targetti, formulo senz’altro la pregiudiziale già posta dall’onorevole Zuccarini nei confronti dell’emendamento Nobile, non svolgendone i motivi, perché mi pare che balzino agli occhi di tutti dalla lettura dello stesso articolo proposto dall’onorevole Targetti. (Applausi).

PRESIDENTE. Possiamo considerare il primo articolo proposto dall’onorevole Targetti come un emendamento all’articolo 107.

Esso dice:

«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni».

L’articolo riprende, in sostanza, una formulazione proposta da numerosi altri colleghi.

Onorevole Targetti, intende svolgere il primo dei suoi articoli, in riferimento all’articolo 107 del Progetto?

TARGETTI. Io mi trovo in un certo imbarazzo a seguire questo ordine di discussione. ma cercherò, come suol dirsi, di fare del mio meglio.

La prima nostra proposta è: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni».

Ma non ci possiamo fermare qui.

Siccome l’articolo 107 del Progetto aggiunge: «Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale», ed in relazione a questa definizione della Provincia, stanno altre disposizioni del Progetto, abbiamo la necessità di spiegare che quando diciamo: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni» intendiamo riferirci ad una determinata specie di Provincie.

Intendiamo cioè che sia conservata la Provincia come ente autarchico dotato di autogoverno.

Immagino che nessuno avrà obiezioni da fare sopra la nostra facoltà di illustrare, se occorresse, questa parte del nostro emendamento. Ma noi abbiamo la fortuna di non trovare più oppositori alla conservazione della Provincia. Ricordiamo che, nella elaborazione del progetto di Costituzione da parte della Commissione dei Settantacinque, alla povera Provincia fu celebrato un funerale, un funerale di terza classe. A seguire il mesto corteo mi trovai solo con i colleghi Fuschini e Bozzi. Questo mi permetto di osservare, per richiamare l’attenzione di tutta l’Assemblea sopra la necessità di una ponderazione bene approfondita prima di prendere deliberazioni in questa materia. Se si fosse venuti allora ad una decisione, la Provincia sarebbe stata senz’altro soppressa. Oggi tutti la vogliono conservare! Oggi è avvenuta, non una modificazione, ma una conversione della situazione. Rallegriamoci del risultato felice ottenuto. Non indaghiamone le cause, anche per metterci al sicuro da qualsiasi tentazione di malignazioni politiche.

È certo, da quanto ci risulta, che ormai vi è un pieno accordo nella necessità di conservare la Provincia. Non si trova più nessuno che sostenga, come una volta si ripeteva da tante parti, che la nascita della Regione deve portare come conseguenza questa specie di strangolamento della Provincia.

LUSSU. C’è la maggioranza.

TARGETTI. Come l’amico Lussu ricorda, nella Commissione dei Settantacinque per il mantenimento della Provincia rimanemmo soltanto in due o tre. Ho qui il verbale della seduta della seconda Sottocommissione in cui fu discussa la questione. Glielo posso senz’altro passare.

Allora, siamo d’accordo che la Provincia resta così com’è, come ente autarchico. (Rumori Commenti).

Non abbiamo sentito nessuno sostenere una tesi contraria e, se sono bene informato, anche la Commissione (non so se all’unanimità o a maggioranza) è d’accordo per la sopravvivenza della Provincia quale essa è.

PERSICO. L’onorevole Ruini non l’ha detto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’ho detto più volte nel mio discorso, onorevole Persico.

TARGETTI. Questo parziale dissenso potrebbe essere per me una istigazione a dire le ragioni che militano per la conservazione della Provincia, ma credo di dover resistere alla tentazione di svolgere innanzi all’Assemblea questo argomento che molto mi ha appassionato, non vedendone più la necessità.

Noi abbiamo proposto di far seguire a questa indicazione che il territorio si ripartisce in Regioni, Provincie e Comuni, un articolo che affermi l’autonomia dei Comuni. L’onorevole Ruini è caduto prima in un equivoco…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, onorevole Targetti, non ho detto che il suo emendamento sia la stessa disposizione dell’articolo 121; ho detto che è lo stesso tema.

TARGETTI. Allora ho capito male io. E questo suo concetto, come lo capisco ora, è perfettamente conforme alla realtà, mentre l’articolo 122 parla, sì, dell’autonomia dei Comuni, ma questa autonomia circoscrive nei limiti fissati dalle leggi generali della Repubblica, noi chiediamo all’Assemblea che questa autonomia non sia in relazione e quindi eventualmente limitata da quei principî, e vorremmo che l’Assemblea adottasse una formula generica, perché a noi sembra che con questa formula si assicuri, qualunque sia l’orientamento della futura Assemblea legislativa, quella piena autonomia comunale che abbiamo sempre ritenuto essere una necessità della vita del Paese.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, parleremo di ciò quando esamineremo appunto l’articolo 122.

TARGETTI. Mi sembra di essere nel vero, dicendo che quando noi, con questo emendamento, proponiamo che l’articolo 107 abbia la dizione testé letta: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni», intendiamo anche dire che il resto dell’articolo viene soppresso. Delle Provincie riparleremo nell’articolo successivo.

RIVERA. Onorevole Presidente, non essendo stato presente nel momento in cui avrei dovuto svolgere due emendamenti da me presentati, chiedo ora la facoltà di svolgerli.

PRESIDENTE. Onorevole Rivera, data l’importanza dell’argomento, le è consentito di svolgere i due emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

«Inserire, dopo il primo comma, il seguente:

«La Regione è costituita e delimitata secondo le tradizioni e la storia antifascista con i capoluoghi tradizionali, salvo variazioni deliberate per referendum popolare, da indire non prima di due anni dalla entrata in vigore della Costituzione».

Avverto che l’onorevole Rivera ha modificato il secondo emendamento, sopprimendo le Provincie e i Comuni, compresi nella prima formulazione.

RIVERA. Sarò molto breve. Mi sembra che la parte spinosa di tutta questa discussione sia rimasta accantonata. Abbiamo inteso, in quest’Aula, accennare un po’ vagamente, e qualche volta più distintamente, a questioni gravi che si svolgono tra capoluoghi di Provincia per diventare capoluoghi di Regione. E la delimitazione delle Regioni che costituisce la parte più amara di questo problema. Noi vorremmo domandare che l’Assemblea affronti direttamente, e non rinvii ad una legge del futuro Parlamento questa parte del problema: perché mi sembra che, se noi non affrontiamo questa parte concreta della delimitazione della Regione, facciamo una cosa a metà o per lo meno vaga, perché enunciamo la Regione, e non ci poniamo in condizioni di poterla mettere in esecuzione concreta.

Per questa ragione ho presentato l’emendamento con cui si vuole trovare una soluzione al problema della delimitazione delle Regioni. Veramente avevo indicato il problema complesso della delimitazione delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni, ma mi pare oggi – ed è un emendamento emendato che ho presentato al Presidente – che entrare a discutere sulla delimitazione delle Provincie renderebbe difficile e pesante la soluzione che cerchiamo.

Per questa ragione, vorrei fermarmi alla enunciazione della delimitazione delle Regioni.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Rivera. La delimitazione delle Regioni ed anche l’indicazione dei capoluoghi sono previste dall’articolo 123. Ora lei aveva, nella prima redazione del suo emendamento, incluse le Provincie, e questo giustificava la presentazione dell’emendamento in relazione all’articolo 107, ma poi ha modificato il suo emendamento e si riferisce solo; alle Regioni. Allora per le Regioni e per quanto attiene al problema dei confini e dei capoluoghi di essa, vi sono le disposizioni previste dall’articolo 123. Sarebbe quindi opportuno che lei presentasse in quel momento il suo emendamento.

RIVERA. Mi rimetto alla sua opinione e chiedo che il mio emendamento venga trasferito all’articolo 123.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuole esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti all’articolo 107?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’articolo 107 nella sua prima parte diceva: «La Repubblica si riparte in Regioni e Comuni». Evidentemente se ammettiamo di conservare l’ente Provincia, questa prima parte dell’articolo va modificata nel senso che: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

La seconda parte dell’articolo: «Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale», rispondeva all’orientamento anteriore che, pur non conservando la Provincia come ente autonomo, ne riaffermava l’esistenza appunto come ordinamento amministrativo. Ora che intendiamo mantenere la Provincia anche come ente autonomo, nulla vieta di ripetere che è anche organo di decentramento statale e regionale: ma ciò potrà essere più opportunamente veduto, quando si parlerà propriamente della Provincia.

Qui si tratta di una dichiarazione generale; che si limita ad indicare le tre specie di enti in cui la Repubblica si riparte; ed anzi colgo l’occasione per dichiarare – come ha accennato l’onorevole Dominedò – che lo stesso primo comma potrebbe formalmente sparire se, alla fine della discussione di questo Titolo o in sede di coordinamento definitivo, mettessimo ad intitolazione del Titolo stesso la formula: «Le Regioni, le Provincie ed i Comuni», che equivarrebbe alla sostanza del primo comma.

Non occorre che io risponda ai numerosi emendamenti, senz’altro accolti, che aggiungono «Provincie» al testo di prima.

L’emendamento Russo Perez tende ad introdurre il sistema delle Regioni facoltative, a seconda della loro volontà. Con tutto il mio desiderio di andare incontro a forme elastiche, non posso accogliere questo emendamento, sul quale si è pronunciato il Comitato di redazione, ribadendo la conclusione già presa in sede di seconda Sottocommissione, in quanto, come fu detto, un tipo di Regione facoltativo avrebbe ridotto la Repubblica ad «un abito di Arlecchino».

Dell’emendamento dell’onorevole Rivera non occorre parlare, perché egli ha consentito di rimandarlo all’articolo 123.

L’emendamento dell’onorevole Romano insiste su una determinazione più particolareggiata dell’ente Provincia, che definisce autarchico, e vuol collegarvi il richiamo ad una serie di ispettorati, che attengono evidentemente al decentramento burocratico dello Stato. Prescindendo dall’opportunità della proposta, non è materia da considerare qui. Ho già detto che il Comitato pensa di stabilire, in quest’articolo, all’inizio del Titolo, che si conservi l’ente Provincia; salvo poi determinarne i poteri e le attribuzioni, dopo aver configurati i poteri e le attribuzioni della Regione. È un ordine logico che non dovrebbe essere alterato.

Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Camposarcuno che affaccia l’idea di istituire Provincie nuove. Quest’argomento andrà esaminato a suo luogo. Non si comprende la fretta di voler travasare tutt’insieme, sulla soglia del Titolo, questioni che una elementare tecnica di struttura legislativa deve riservare ad una sistematica collocazione.

Vi sono emendamenti che riguardano il circondario, come quelli degli onorevoli Caroleo e Veroni. È sembrato al Comitato che i circondari non possano essere messi sullo stesso piano degli enti autonomi quale la Regione, la Provincia ed il Comune. È sembrato altresì che non sia, quella dei circondari, materia di carattere costituzionale, ma da tener presente e decidere nelle leggi fondamentali sull’amministrazione provinciale e comunale. Si aggiunga che, mettendo nella Costituzione la figura del circondario, potrebbe intendersi come invito ed incoraggiamento a creare – ormai con le Provincie sono quattro – un quinto scaglione burocratico; sul quale, ripeto, non si vogliono mettere qui dinieghi ed esclusioni, in quanto, in certi casi, può rispondere ad esigenze amministrative; ma si vuol rinviare il tema a sede più meditata ed opportuna.

Altro è del Comune. In questo argomento abbiamo sentito parole vive e commosse dall’onorevole Zanardi. Il Comune è il nucleo naturale e storico della vita italiana; e credo che non vi sia nessuno che non condivida il senso di profondo attaccamento a questo organismo essenziale e vitale per tutti noi. Ricordiamo l’opera che l’onorevole Zanardi ha svolta quando era a capo del Comune di Bologna, non solo per questo, ma simbolicamente ed effettivamente per il Comune in generale. Lo ringraziamo di avere rievocato quello che è per noi, nel senso più nobile, il campanilismo, come forza di vita e di solidarietà della Nazione. Ma anche a lui devo ricordare che non est hic locus; e del Comune parleremo in seguito, quando, fissata la fisionomia della Regione, dovremo affrontare quella della Provincia e del Comune.

Ed ora, dopo aver risposto ai presentatori di emendamenti, debbo dire qualcosa della questione che ora qui sostanzialmente decidiamo, cioè della Provincia. La Commissione dei Settantacinque non intendeva conservarla come ente autonomo, ma come circoscrizione di decentramento amministrativo statale e regionale. Con ciò, onorevole Targetti, non si era fatto un funerale di terza classe. Si era infatti stabilito – spingendosi quasi ad una forma intermedia, se non di autonomia, di partecipazione alla gestione amministrativa – che nelle Provincie funzionassero Giunte nominate dai corpi elettivi, rimandando alle leggi di fissarne i poteri ed i modi di designazione. L’organismo a lei caro, onorevole Targetti, non era dunque sepolto, anche se non aveva più la tradizionale figura di ente autonomo.

Aprendo una parentesi, dichiaro che io parlo sempre di «ente autonomo» e non di «ente autarchico». Quest’ultima è una categoria scientifica, introdotta dal mio predecessore al Consiglio di Stato, professor Santi Romano; ed io potrei esprimere dubbi e riserve; ad ogni modo, nella Costituzione, non possiamo introdurre formule teoriche, discutibili e controverse, ma attenerci alla designazione classica, che ha le più chiare e continue tradizioni nelle leggi e nella vita pubblica italiana, di enti autonomi.

La Commissione dei Settantacinque, pur mantenendola per altri aspetti in vita, non aveva conservato alla Provincia la natura di ente autonomo. Ma poi si è avuto, in seno all’Assemblea, un diverso orientamento. Abbiamo sentito tanti oratori, in una serie di argomenti diffusi e minuti, richiamarsi alla necessità che la Provincia sia ente autonomo. Non ripeterò quanto è stato detto a questo riguardo. Si sono addotte ragioni storiche, si è ricordata resistenza tradizionale, qualcuno ha detto millenaria, della Provincia; mi limiterò a ricordare che un nostro maestro, Orlando, ha scritto, in un suo magnifico studio, che la Provincia è storicamente propria della parte d’Italia ove sono esistiti i Comuni, ed appunto attorno al maggiore di essi si è raggruppata la Provincia, mentre in altre parti, specialmente del Mezzogiorno, dove non ha allignato il Comune, non è esistita storicamente neppure la Provincia; ma – ha aggiunto Orlando – sebbene istituita dovunque in Italia soltanto dal 1860, dopo l’unità nazionale, sebbene dunque non abbia, in certi luoghi, che ottanta anni di età, la Provincia si è ormai fondata, consolidata, ed ha acquistato una sua, pur recente, tradizione storica. È un vivente organismo con attribuzioni un po’ magre, che si riducono, oltre che ad una categoria di strade, all’assistenza dei pazzi e dei trovatelli, ed a qualche materia aggiuntiva, sempre prevalentemente assistenziale. Però siffatti organismi hanno uffici solidi e struttura tale da poter adempiere anche funzioni maggiori. Ecco le ragioni pratiche, più ancora che storiche, invocate per la permanenza dell’ente Provincia.

È stato poi accennato, tra gli altri argomenti in favore della Provincia, al timore che, sopprimendola e creando la Regione, si ottenga l’effetto non di decentrare, ma di accentrare funzioni amministrative, che le popolazioni desiderano portate, più che è possibile alla loro porta ed a contatto immediato con chi se ne deve servire. Vero è, debbo notarlo, che con la conservazione della Provincia e la fondazione della Regione, bisogna evitare di moltiplicare eccessivamente i gradini burocratici e le ruote inutili del carro; al che dovremo porre mente con avvedimenti, di cui parleremo sempre qui, a suo tempo.

Vi è infine un argomento di opportunità, del quale io personalmente sento il grande valore: se noi, per creare la Regione, distruggessimo la Provincia, susciteremmo un ambiente di malcontenti, di diffidenze, di gelosie, di urti, entro il quale non conviene che sorga la Regione. Quest’ente nuovo, che la maggioranza dell’Assemblea ha deciso di fondare, deve avere la maggior collaborazione possibile, anche di coloro che vedono nella Provincia il loro nido, la loro tradizione, il loro sentimento. (Approvazioni).

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, su che cosa?

MICHELI. Sulla questione in votazione, desidererei poter esprimere il mio punto di vista con una dichiarazione di voto.

Se ella crede che io possa avere diritto a parlare, io lo farò; se invece, al punto in cui la discussione è pervenuta, non ho possibilità di esprimere questo mio avviso, io resto persuaso e mi seggo.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, lei ha diritto di fare una dichiarazione di voto. L’Assemblea si rimette a lei perché questa dichiarazione non divenga un discorso.

MICHELI. La ringrazio, onorevole Presidente.

Io, veramente, non ho antecedentemente dichiarato il mio voto, perché non ho mai creduto che fosse di tale importanza da renderne necessaria una particolare espressione ai colleghi…

Urta voce a sinistra: Troppo modesto!

MICHELI. Troppo modesto. Io spero che saranno altrettanto modesti coloro che mi vorranno ascoltare in questo momento nella breve espressione del mio pensiero, sulla dibattuta questione. Complessa è la discussione che si presenta intorno alla più o meno effettiva eliminazione della Provincia nella costituzione della Regione.

Io, i colleghi lo sanno, sono regionalista dei più antichi da quando, nel 1896, con Romolo Murri ed i primi della Democrazia Cristiana che si erano stretti intorno a lui – tanti anni or sono – facemmo le prime note affermazioni di regionalismo.

Oggi, peraltro, dobbiamo non limitarci ad affermazioni, ma provvedere ad una nuova organizzazione dello Stato; nel farlo ci troviamo di fronte alla Provincia, che effettivamente merita tutta la nostra considerazione, perché essa è entrata nella tradizione del popolo italiano. Perché? Perché da 70, da 80 anni, essa ha effettivamente costituito una delle forme di organizzazione dello Stato più vicine al popolo. Questo è sufficiente per fermarci e farci pensare, per vedere se sia possibile che nella grandiosa organizzazione nuova debba essere mantenuta quella vecchia, che effettivamente ha funzionato bene, in modo che anche con la costituzione della Regione possa lasciare alla Provincia una parte di quanto serve a mantenere più agevoli i rapporti fra popolo e Stato, provvedendo nel modo più conveniente alle necessità individuali dei cittadini.

Il centralismo che tutti noi abbiamo deprecato – ed io credo che anche gli avversari dell’ordinamento regionale non possano, in questo momento, non essere del mio stesso avviso – ha portato qui a Roma tutte le funzioni dello Stato, anche per le cose minori e di più scarsa importanza, ed il cittadino, per ogni necessità sua, deve convenire in Roma per trattare con i funzionari degli organi centrali dell’amministrazione. È evidente che parte delle funzioni dello Stato dovranno ancora continuare ad essere discusse e risolte qui; ma un’altra parte che dovranno venire affrontate e risolte localmente, attraverso la nuova organizzazione regionale ed a quella provinciale.

E per questo che io sono oltremodo perplesso di fronte a chi afferma che si possa e si debba eliminare ogni funzione della Provincia.

La tradizione, a suo parere, si è esplicata anche se la sua competenza è stata assai limitata. Di reale importanza vi sono le strade provinciali, perché le altre cose ne hanno assai meno, come i folli, la maternità ed infanzia…

FUSCHINI. Anche quelli sono importanti.

MICHELI. Senza dubbio.

COSTANTINI. Si possono sopprimere le strade provinciali.

MICHELI. Onorevole Costantini, o io ho capito male o non ho compreso la sua interruzione che mi sembra non abbia alcun significato; ma, perdoni, onorevole Costantini…

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Micheli fa già una lunga dichiarazione di voto: se poi lo si interrompe, non si finisce più. Ad ogni modo, da una frase scherzosa non è il caso che venga fuori un discorso così lungo. Onorevole Micheli, non dimentichi che si tratta di una dichiarazione di voto.

MICHELI. Io finisco subito, ma lei, onorevole Costantini, qualche volta intervenga con una ragione plausibile. Io capisco le interruzioni perché non sono qui da oggi, ma quando mi si interrompe per dirmi quello che mi ha detto ora il collega (Interruzione dell’onorevole Costantini), mi pare che si farebbe meglio a tacere.

COSTANTINI. Io ho detto semplicemente: sopprimiamo le strade provinciali. Non c’era niente di grave.

MICHELI. Effettivamente le strade non si possono sopprimere. (Commenti). Comunque, abbandoniamo l’interruzione e ritorniamo all’argomento.

Il concetto, al quale avevo accennato, quando l’onorevole Costantini ha creduto di interrompermi (Si ride) era questo: è un dato di fatto che la Provincia ha una sua nobilissima tradizione, creatasi sin dal principio della formazione dello Stato italiano che noi non possiamo completamente dimenticare. Ma volendo servirci ancora di essa, nella nuova organizzazione regionale da dare allo Stato, dovremo trovare una strada di mezzo per accomodare la cosa.

Quindi io penso che l’onorevole Ruini, il quale si è momentaneamente appartato, abbia giustamente sostenuta la tesi che la Provincia debba restare come ente precipuo di coordinamento nella nuova organizzazione, non però che possa o debba in alcun modo sostituirsi ad essa.

Ora, consentendo che la Provincia rimanga, mantenendo le vecchie mansioni già indicate, potremo aggiungere, a complemento, parte delle molte pratiche che lo Stato affiderà alle Regioni; quelle particolarmente che rendano necessario un maggior concorso di pubblico.

In fondo, si vuole semplificare ed eliminare quanto succede oggi: il viaggio di tutti i cittadini d’Italia a Roma per qualsiasi piccola faccenda.

Io ricordo, o signori, che nel caso di un piccolo molino che si doveva costruire in una piccola frazione montana a 800-900 metri, c’è voluto un anno per ottenere l’autorizzazione. Ora, effettivamente, quella gente doveva portare sulle spalle il frumento e fare a piedi molti e molti chilometri…

PRESIDENTE. Per favore, onorevole Micheli, è una cosa molto interessante, ma cerchi di parlare della Provincia!

MICHELI. Ritengo la cosa molto interessante per quei cittadini che dovevano portare sulle spalle quintali di frumento a quindici chilometri di distanza, fino al molino più vicino.

Per poter ottenere l’autorizzazione di costruire il nuovo molino, sono occorsi più di dieci mesi di continue insistenze personali. (Commenti Approvazioni).

Allora ero ancora Ministro e questo può aver giovato ad ottenere più rapidamente, ma se si fosse trattato di altro semplice cittadino forse avrebbe avuto bisogno di due o tre anni per ottenere che il molino si potesse esercitare.

Ora, io dico che bisogna trovare il modo di semplificare, il che si potrà fare anche ove le Province abbiano alcune di queste facoltà che oggi sono concentrate a Roma. A Roma tutto si perde. Qui abbiamo una gran bravissima gente nei funzionari, ma troppe carte, troppa formalità che non lasciano concludere mai niente. Ecco la vera necessità dei centri provinciali di decentramento, collegati e coordinati coi centri maggiori di decentramento regionale.

Ecco perché mi sembra, senza contraddirmi, di appoggiare per una parte la proposta degli uni e per l’altra la proposta degli altri. Tali proposte non si escludono a vicenda, ma possono e debbono essere coordinate.

Onorevoli colleghi, chieggo venia se ho citato qualche caso pratico, che il signor Presidente a stretto rigore non ha creduto pertinente alla discussione, ma forse era necessario, perché di quei casi, anziché uno, avrei potuto citarne molti e tutti vi avrebbero fatto persuasi come sia opportuno che la Provincia abbia queste facoltà, ma le abbia coordinate e non in contrasto con le Regioni. Quindi la Regione resterà come prima e suprema amministratrice delle facoltà che lo Stato le affiderà per il decentramento, e la Provincia resterà non come ente autarchico vero e proprio, ma come esplicazione locale, come organizzazione locale di uffici regionali, di quella Regione così come sorgerà dalla nostra Costituzione.

Per questo ho chiesto la parola a motivazione del mio voto, in quanto ritengo che la Provincia debba restare in questo modo, senza che si pretenda con ciò di impedire che si costituisca la Regione. La Regione rimane al disopra di tutte le nostre aspirazioni: accetti dallo Stato le competenze tutte che esso le affida, e la Provincia diventi tramite nella pratica esplicazione di esse. E allora il popolo italiano sarà molto più lieto e sodisfatto di avere la possibilità che lo Stato con la nuova organizzazione, senza salti troppo sensibili ma attraverso i Comuni e le Provincie che restano enti minori collegati colla Regione, possa esplicare nel modo più opportuno e conveniente tutte quelle funzioni, in guisa che sia eliminato una volta per sempre l’accentramento che oggi si verifica in Roma e che contrasta ogni possibilità di vita locale ed ogni agevolazione nel disbrigo delle pratiche. (Commenti).

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io mi permetto di richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi su alcune cose che dico adesso, non soltanto a sgravio di coscienza e per dichiarazione di voto, quanto nella speranza di convincere qualcuno in tale questione.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, lei parlerà liberamente, ma la sede in cui si cerca di convincere gli altri è la discussione generale, non la dichiarazione di voto.

LUSSU. Infatti, se avessi supposto che la Provincia all’ultimo momento avrebbe avuto tanti sostenitori come ente autarchico, nella discussione generale avrei affrontato soltanto questo problema, che mi pare fondamentale.

Io non sono affatto perplesso, come il mio amico onorevole Micheli. Sono invece molto chiaro e dico che se si vuol conservare la Provincia tal quale è, come ente autarchico, sabotiamo la Regione, e tanto vale rinviare la riforma regionale ad un altro momento, dichiarando che ancora non siamo pronti ad affrontarla. (Approvazioni).

La Regione è un organismo, è una personalità, una struttura, qualcosa di nuovo nella vita dello Stato democratico italiano, e noi come tale la concepiamo.

La Provincia è niente. Io mi rivolgo alla esperienza dei colleghi che hanno fatto parte dei Consigli o delle Deputazioni provinciali prima del fascismo. Io ne ho fatto parte dopo la guerra, sino a che il fascismo non ha soppresso i Consigli provinciali, e affermo che i Consigli e le Deputazioni provinciali sono un bel niente nell’organizzazione periferica. (Commenti). E quando si teme che insorgano i capoluoghi attuali di provincia, che si sentirebbero minacciati, si cede a un senso di panico, che non ha nessuna consistenza nella realtà dei fatti. Perché, in fondo, i capoluoghi di provincia rimangono, in quanto sono centri di civiltà sviluppatisi nell’ultimo cinquantennio.

Nessuno può pensare di cambiare Catania, Ascoli Piceno od Arezzo. Le città rimangono. Non si toglie nulla alla loro importanza, ma si fa in modo che vi sia un unico organismo regionale, una unica Assemblea che affronti tutti i problemi della Regione unitariamente e non parzialmente, come fanno i Consigli provinciali per le note questioni delle strade, dei manicomi e dei brefotrofi. Qui si dice, ed è l’appunto maggiore: «se si distrugge la Provincia così come è oggi, veniamo a creare una specie di accentramento regionale». Mi permetto di dire che questo è falso. Infatti, mentre abbiamo tutti i capoluoghi di provincia i quali si sentono minacciati e protestano per questa riforma, non abbiamo affatto la protesta della periferia provinciale. (Interruzioni).

Per esempio, nella provincia di Ancona, vi sono queste cittadine d’importanza locale di primo ordine: Jesi, Fabriano, Senigallia. Nella provincia di Pesaro c’è Urbino; nella provincia di Macerata vi sono Tolentino e Sanseverino. Tutti questi Comuni, che rappresentano gli interessi della periferia, non protestano affatto. Protestano solo Macerata, Pesaro, Ascoli Piceno; protestano solo i capoluoghi che confondono i propri interessi cittadini con gli interessi generali della Provincia.

Non v’è nessuna ragione a sostegno del mantenimento della Provincia. Già dopo il 1919, una generazione democratica aveva distrutto questi campanilismi. Adesso risorgono e sono ridicoli e antidemocratici. Mantenendo la Provincia vi sarebbero quattro sistemi elettorali, quattro sistemi tributari, quattro Assemblee. Ciò non è possibile. Chi non sente che si appesantisce quella burocrazia che noi, con questa riforma, vorremmo colpire nel suo centralismo e nella sua superfluità? Mi si permetta solo di dire che se avessi previsto che la Democrazia cristiana avrebbe cambiato atteggiamento su questo problema, francamente non avrei perduto tanto tempo a discutere questa riforma durante sei mesi, per poi sabotarla in cinque minuti. Io vi dichiaro questo: se voi mantenete la Provincia ente autarchico, mi è perfettamente indifferente continuare la discussione su un fantasma di Regione che esiste solo per rendere ridicola la riforma.

TARGETTI. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Vorrei chiarire che quando l’Assemblea approvasse l’emendamento nostro che include la Provincia nella prima parte dell’articolo 107, s’intende che cadrebbe il capoverso di detto articolo. Il capoverso configura la Provincia come un ente diverso da quello che sarebbe stato istituito con l’approvazione del nostro emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resta inteso che la collocazione del capoverso in questo articolo era ispirata alla concezione dei Settantacinque. Poiché la Provincia resta, parleremo dopo della sua figura.

BERNINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. Onorevoli colleghi, non avrei chiesto la parola, se non avessi sentito proprio oggi ripetere quello che a me pare un luogo comune ed è un errore: che la Provincia esiste da 80 anni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho detto questo; ho detto che in più luoghi esisteva anche prima.

PRESIDENTE. Se si tratta semplicemente di un chiarimento di carattere storico, onorevole Bernini, le faccio notare che siamo in sede di dichiarazione di voto.

BERNINI. Faccio una dichiarazione di voto, che ha come appoggio una valutazione storica.

La «Provincia» non è un organismo creato da Napoleone, come si legge nella maggior parte dei trattati giuridici. (Interruzione dell’onorevole Micheli).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nessuno lo ha detto.

BERNINI. La Provincia ha una tradizione non di secoli, ma di millenni.

Permettetemi di fare un’affermazione, che non può essere contraddetta, perché, caro Lussu, è il risultato di studi storici incontrovertibili: la Provincia non è altro che il territorio raggiunto dal Comune medioevale nel suo massimo limite di espansione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ecco perché nel Mezzogiorno il Comune non v’era e non v’era neppure la Provincia.

BERNINI. Il Mezzogiorno non ebbe il Comune, ma, e fin dal tempo degli Svevi, ebbe una organizzazione amministrativa intorno alle città. Ecco la ragione, per cui esiste oggi in Italia un senso «provinciale», mentre non esiste un senso «regionale».

Se, poi, noi volessimo esaminare i precedenti storici della Regione, mi permetto di dire che la Regione non ha quasi mai coinciso con lo Stato. Anche in Sardegna, coincise solo per alcuni secoli coi limiti dello Stato.

Ad esempio, esiste un Piacentino, un Parmigiano, un Reggiano, ma non arriverete certo a creare una unità, che possa essere quella dell’Emilia.

Per questa ragione, non per le ragioni addotte dall’onorevole Lussu – non perché noi seguiamo l’incitamento di Provincie, di Comuni o di grandi città (dalla mia città non mi è mai venuto nessun incitamento) – dichiaro di votare per la conservazione della Provincia, come ente autarchico. Quale che sia il potere che questa Assemblea voglia togliere allo Stato e attribuire ad altri enti, io ritengo che una parte di questo potere debba legittimamente essere attribuito alla Provincia.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Difendo calorosamente il mantenimento della Provincia come ente autonomo, non soltanto per le ragioni storiche accennate dal collega che ha parlato prima, ma perché ciò risponde a una necessità. Domanderei ai colleghi che vorrebbero andare tanto celermente verso l’abolizione della Provincia, se sono d’accordo con le loro città capoluogo di provincia, perché desideriamo ad ogni modo pure noi far capire, a quelli che vorrebbero togliere questi uffici provinciali, che essi rispondono a una necessità e che hanno avuto una funzione storica. Quindi si abbia il coraggio di dire: vogliamo abolita la Provincia, ed allora noi vi diciamo apertamente che la vogliamo mantenuta con le sue funzioni meglio precisate e con le sue autonomie meglio date.

DE VITA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. A nome mio personale, mi associo alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Lussu. La Provincia, espressione dello Stato accentratore, è una creazione artificiale che non corrisponde né ai criteri geografici, né a esigenze umane ed è quindi priva di qualsiasi ragione di vita amministrativa ed economica. Quale funzione eserciterebbe la Provincia? È proprio necessario il suo mantenimento?

Credo che nessuno possa seriamente sostenere che la Provincia eserciti funzioni che non possono essere efficacemente esercitate o dal Comune o dalla Regione.

L’area comunale è certamente troppo piccola per alcuni servizi per i quali quella statale offre maggiori vantaggi. Per altri servizi soltanto la Regione presenta dimensioni necessarie e sufficienti. Quando l’area di offerta propria di pubblici servizi è più grande di quella comunale e più piccola di quella regionale, allora i Comuni potrebbero liberamente riunirsi in consorzi.

Per questi motivi dichiaro che voterò contro la proposta di mantenimento dell’ente Provincia.

PICCIONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io debbo un chiarimento in modo particolare al collega Lussu e al collega Tonello. Rilevo che se il collega Lussu avesse partecipato come membro effettivo alle riunioni del Comitato di redazione, si sarebbe reso conto personalmente della evoluzione che il problema della Provincia ha avuto nel corso della discussione. Aggiungo che – e posso anche sbagliarmi – mi pare che si valorizzi eccessivamente il significato di questa parola così largamente di moda: «autarchico» e che ci si spaventi un po’ delle varie applicazioni che il senso, non ancora esattamente definito, della parola può lasciare intravedere; ma ragionando pacatamente e richiamandoci a quello che in ordine alla Provincia era già acquisito nel progetto della Costituzione, veniamo a riconoscere che la Provincia, come circoscrizione di carattere amministrativo, con funzioni di decentramento di servizi regionali e statali, era esattamente prevista nel progetto ed era mantenuta perfino – l’onorevole Lussu partecipò alle discussioni in seno alla Commissione – la denominazione di Provincia; non solo, ma era previsto nel progetto che questa circoscrizione amministrativa, denominata Provincia, sarebbe stata amministrata da una Giunta elettiva nominata da un corpo elettivo. In una formula un po’ velata, questo voleva dire eletta dai Consigli comunali, se ben ricordo.

Ora che cosa abbiamo? Abbiamo la Provincia mantenuta come denominazione, con attribuzioni di servizi particolari, con una sua amministrazione particolare attraverso questa Giunta elettiva.

Quindi lo stupore manifestato dall’onorevole Lussu in ordine a questa ulteriore fase di precisazione dei compiti della Provincia, cui noi, come gli altri partecipanti al Comitato di redazione, abbiamo aderito, mi sembra veramente eccessivo.

Però devo chiarire per quali motivi noi abbiamo aderito a questa ulteriore specificazione della posizione della Provincia nell’ordinamento dello Stato.

Il motivo è duplice. Anzitutto, a parte la tradizione storica della Provincia, della sua inserzione nella vita dello Stato, si deve tener conto che è un organo che ha funzionato e continua a funzionare, sia pure nella limitata sfera delle sue competenze e per taluni servizi decentrati dello Stato. Ora noi abbiamo sentito che in questa fase di riordinamento di tutta la struttura e di tutta la funzionalità dello Stato, non era opportuno, non era saggio estirpare immediatamente anche questo organismo, che in qualche modo rispondeva a necessità tuttora vive e tuttora vitali per l’ordinamento statale.

In secondo luogo, andando incontro a talune impostazioni che in riferimento alla istituzione dell’ente Regione erano state fatte da varie parti, abbiamo tenuto conto di un altro concetto che, realisticamente, non si può sottacere, ed è che effettivamente nell’ambito della Provincia, alcuni servizi particolari, per la configurazione della Provincia, intermedia fra Comune e Regione, possono trovare una migliore attività funzionale ed esecutiva. Però abbiamo aggiunto tra le attribuzioni della Regione anche quella di coordinare le attività e le funzioni lasciate alle Provincie, intendendo con ciò che l’attività provinciale, così come era stata prevista fin qui, non si sarebbe più svolta.

Se a ciò si aggiunge la diversità delle attribuzioni riservate alla Provincia, rispetto all’elencazione delle materie e delle competenze attribuite alla Regione, mi pare eccessivo e al di fuori della realtà dire che il mantenimento della Provincia, così concepito, svuoti di ogni senso e significato rinnovatore l’ente Regione. Quando poi a questo paragone tra le competenze dell’uno e dell’altro ente si aggiunge la potestà normativa della Regione per quelle determinate e specifiche materie, il che è qualcosa di profondamente diverso dalla potestà amministrativa propria, evidentemente la funzione, la figura e l’efficienza dell’ente Regione ne escono così complete, così forti ed operanti nel rinnovamento democratico del Paese, che non si può in alcun modo pensare che possano essere manomesse o rese comunque inefficaci dal mantenimento della Provincia, così come è previsto. Per queste considerazioni dichiaro di accettare la formula: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

PERSICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. La proposta dell’onorevole Targetti è profondamente diversa da quanto ha esposto ora l’onorevole Piccioni. Se l’onorevole Piccioni avesse formulato in un ordine del giorno od in un emendamento quello che ha detto, noi avremmo votato, senz’altro, a favore. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Persico, ma questo non c’entra!

PERSICO. Tutti hanno spiegato le loro ragioni, ho anch’io diritto di farlo.

PRESIDENTE. Non è ancora detto che si voti sulla proposta dell’onorevole Targetti, che, nella sua formulazione, è evidentemente simile a tante altre proposte che mi sono pervenute.

PERSICO. Sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Lussu. Se lasciamo vivere la Provincia, così com’è, assieme alla Regione, il nuovo ordinamento regionale si rivelerà perfettamente inutile.

Noi vogliamo creare un nuovo ordinamento che sia l’antitesi dell’attuale. È una riforma ardita della Costituzione, l’unica vera riforma di questa Carta costituzionale per cui il nuovo ordinamento statale sarebbe fondato sulle autonomie regionali, per cui le Regioni diventerebbero gli unici enti tra i Comuni e lo Stato. Ora, o noi diamo alla Provincia le caratteristiche e le funzioni a cui ha or ora accennato l’onorevole Piccioni, o noi facciamo vivere la Provincia col Consiglio provinciale e con tutti i suoi organi attuali, senza la Regione. Per ciò dichiaro di votare contro. (Commenti).

Voci. Ai voti, ai voti!

PRESIDENTE. Dobbiamo passare alla votazione del primo comma dell’articolo 107.

Avverto che è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Sicignano, Lombardo, Targetti, Di Gloria, Grilli, Bocconi, Bassano, Porzio, Vernocchi, Canepa, Fioritto, Romita, Rubilli, Mancini, Maltagliati.

Chiederò ai presentatori della richiesta se la mantengono.

Poiché risulta che la maggioranza dei presentatori della richiesta di appello nominale non vi insiste, essa si intende ritirata.

Ricordo che il testo della Commissione, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini è così modificato:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

Tra i vari emendamenti presentati per il primo comma, quello che maggiormente si distacca dal testo proposto dalla Commissione, in quanto prevede anche la ripartizione in circondari, è quello proposto dall’onorevole Veroni, così formulato:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie, Circondari e Comuni».

Ritengo pertanto che la votazione debba svolgersi su questo emendamento.

CORBINO. Chiedo che la votazione abbia luogo per divisione.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione per divisione.

Pongo in votazione la formula:

«La Repubblica si riparte in Regioni».

(È approvata).

Pongo in votazione la parola: «In Provincie».

(È approvata).

Pongo in votazione la parola: «Circondari».

(Non è approvata).

Pongo in votazione le parole: «e Comuni».

(Sono approvate).

Il comma risulta quindi approvato nella seguente formulazione:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

La Commissione ha proposto di sopprimere il secondo comma dell’articolo 107:

«Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale».

Pongo in votazione tale proposta.

(È approvata).

L’onorevole Camposarcuno ha proposto il seguente comma aggiuntivo:

«Possono crearsi nuove Provincie con decreto del Presidente della Repubblica, su richiesta del Consiglio regionale e con le modalità che saranno stabilite dalla legge».

Ritengo che la proposta potrà essere esaminata quando si parlerà degli altri articoli riguardanti la Provincia.

CAMPOSARCUNO. Sono d’accordo, purché il mio emendamento venga ripresentato in sede di discussione degli articoli relativi all’ordinamento della Provincia.

PRESIDENTE. Resta così esaurita la materia riguardante l’articolo 107 e si intendono assorbiti tutti gli emendamenti presentati.

Dobbiamo ora passare all’articolo 108.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Prima di passare all’articolo 108 chiederei al Presidente della Commissione se, dopo che si è trovato l’accordo sul mantenimento della Provincia, si sia concretata qualche norma transitoria per regolare il Consiglio provinciale insieme con l’Assemblea regionale; altrimenti ne viene fuori una confusione. Se la Commissione non ha fatto questo, presenterò un emendamento al riguardo, perché mi pare inconcepibile conservare il Consiglio provinciale, insieme con l’Assemblea regionale.

PRESIDENTE. Il problema diverrà attuale allorché rivedremo il capitolo relativo alla Provincia.

CARBONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI. Mi sembra che il problema prospettato dall’onorevole Lussu non si possa differire a quando discuteremo della Provincia, e che sia opportuno che l’Assemblea sia messa fin d’ora a conoscenza delle deliberazioni del Comitato coordinatore circa le funzioni da attribuire alla Provincia. Data l’innegabile interferenza tra queste funzioni e quelle della Regione, non si può intraprendere la discussione degli articoli seguenti prima di conoscere le modificazioni che il Comitato coordinatore intende proporre.

Mi pare che questa sia una conoscenza preliminare; perciò vorrei pregare la Commissione di comunicare all’Assemblea le sue proposte prima di affrontare la discussione degli articoli 109 e seguenti.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Comprendo la preoccupazione dell’onorevole Carboni. Ma cosa abbiamo fatto finora? Abbiamo stabilito di conservare l’ente Provincia come ente autonomo: questo è in sostanza il valore delle decisioni finora prese. Quali poi sieno le funzioni della Provincia nel riguardo della Regione, quali le attribuzioni reciproche, come siano istituiti i loro organi, sono tutte materie che verranno determinate, se e come si crederà opportuno, negli articoli seguenti.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Ho chiesto se la Commissione ha preparato qualche norma, altrimenti siamo obbligati ad intervenire, perché ci preoccupiamo che altrimenti, ad un certo momento, si determini una confusione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ha tenuto conto del problema. Ad ogni articolo proporrà il suo testo, al quale potranno essere presentati gli emendamenti.

CARBONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI. Vorrei replicare all’onorevole Presidente della Commissione che, negli articoli che noi dovremo ora esaminare, c’è tutta la disciplina della Regione, con la determinazione delle varie materie di competenza della stessa. Questa disciplina era stata ideata dalla Commissione dei Settantacinque nel presupposto che la Provincia non dovesse essere un ente autarchico, ma soltanto una circoscrizione di decentramento.

Invece, la Provincia è stata conservata e mi pare che sia stata conservata come ente autarchico.

Una voce a sinistra. Non è detto!

CARBONI. È stata conservata come un ente, al quale devono essere attribuite delle funzioni. Ora, a me pare che queste funzioni potrebbero essere determinate anche a scapito della Regione, potrebbe cioè avvenire che la Commissione o l’Assemblea, in conseguenza della conservazione della Provincia, avvertisse la necessità di rivedere la ripartizione, la designazione delle funzioni attribuite alle Regioni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si è fatto.

CARBONI. Quindi io penso che, prima di affrontare l’esame dell’articolo 109 e dei successivi, l’Assemblea debba esser messa a conoscenza delle deliberazioni della Commissione circa le funzioni della Provincia.

PICCIONI. Ma siamo all’articolo 108.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Vorrei far presente che a noi interessa che le proposte del Comitato siano portate a conoscenza dell’Assemblea alcuni giorni prima, e non già nel momento in cui debbono essere discusse e approvate. Questa è la raccomandazione che io desideravo fare.

Dal momento poi che l’onorevole Ruini ha assicurato che queste proposte, in sede di Commissione, sono state già discusse ed approvate, la mia raccomandazione è appunto che esse vengano portate a nostra conoscenza il più presto possibile, in modo che al momento della discussione si possa essere preparati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Evidentemente, prima che l’Assemblea avesse deliberato la conservazione della Provincia, non si potevano formulare testi nuovi. Ad ogni modo, da otto e dieci giorni, il Comitato si riunisce ogni mattina per definire tali formulazioni, tenendo conto dei numerosissimi emendamenti presentati.

Rispondo poi all’onorevole Carboni che l’articolo 107 non tocca la questione che egli ha sollevata, e così anche l’articolo 108. Prima di passare all’esame degli articoli 109, 110 e 111, speriamo che, dopo il lavoro di Sisifo a cui ci siamo fino ad oggi assoggettati, si realizzi finalmente un testo concordato fra le varie correnti; al quale riguardo sembra che un’ora fa si sia raggiunto l’accordo. Ad ogni modo un testo nuovo, concordato o di maggioranza, sarà presentato.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 108:

«Le Regioni sono costituite in enti autonomi con proprî poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione.

«Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con statuti speciali adottati mediante leggi costituzionali».

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, su che cosa?

PERSICO. Ritengo opportuno far presente che l’articolo 108 stabilisce che le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni; ora, l’articolo testé votato, il quale mantiene le Provincie, incide sui poteri della futura Regione.

PRESIDENTE. Ma, onorevole Persico, in questo articolo non si indica ancora quali siano tali poteri. Possiamo dunque procedere innanzi.

L’onorevole Codignola ha proposto di sopprimere l’articolo 108. Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunciato a svolgere il suo emendamento soppressivo.

Ad ogni modo ritengo che la sua proposta non sia più accettabile, perché ripropone la questione che abbiamo discusso già all’inizio di seduta. Sopprimere l’articolo 108, infatti, significherebbe, nel complesso, sopprimere la Regione.

L’onorevole Abozzi ha proposto di sopprimere il secondo comma dell’articolo.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

ABOZZI. Pare a me che il secondo comma dica cose inutili o dannose. Le cose inutili sono queste: che alla Sicilia e alla Val d’Aosta siano da concedere statuti particolari. Sono già concessi. Ormai sono leggi dello Stato. Si vedrà quello che si può fare in sede di coordinamento; ma credo pericoloso concedere altri statuti particolari.

LUSSU. È una speculazione elettoralistica! È una speculazione campanilistica!

ABOZZI. Se le dispiace, se ne vada!

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, non interrompa. Prosegua, onorevole Abozzi.

ABOZZI. Credo che sia estremamente pericoloso moltiplicare gli statuti particolari. Le Regioni sono state approvate, e ormai – sia bene o sia male – fanno parte della struttura dello Stato. Il pericolo degli statuti particolari è stato denunziato in quest’Aula dall’onorevole Einaudi; verrà un giorno in cui le Regioni non si contenteranno di quello che hanno e penseranno che se c’è qualche altra Regione che ha qualche cosa di più, di quel di più dovranno beneficiare anch’esse.

E questo è un male, perché così avverrà che si parleranno cento lingue diverse, ma la sola lingua che non si sentirà più sarà la lingua sovrana dello Stato.

Ecco perché chiedo la soppressione del secondo comma.

PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Salve restando le autonomie regionali già concesse alla Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta, con forme e condizioni particolari, l’autonomia potrà, con normali provvedimenti legislativi, essere concessa ad altre Regioni, quando esse ne avranno sentito ed espresso il bisogno mediante la richiesta di tanti Consigli comunali, che rappresentino almeno i due terzi delle popolazioni interessate e tale proposta sia stata approvata per referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse».

Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: Le Regioni, sostituire le altre: Le Provincie».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Rinunzio all’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige ed alla Valle d’Aosta sono attribuite, con leggi costituzionali, forme e condizioni particolari di autonomia».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Desidero premettere che parlo in questo momento per sostenere un emendamento che ho presentato, non come appartenente ad un gruppo, ma come membro della Commissione. Voglio dire con ciò che l’emendamento è stato suggerito esclusivamente da considerazioni tecniche. È assolutamente esclusa qualsiasi considerazione di ordine politico.

Per intendere la portata di questo emendamento, è necessario chiarire il rapporto che passa tra il primo ed il secondo comma dell’articolo 108.

Nel primo comma noi delineiamo il tipo di Regione – diciamo – normale: Regione il cui ordinamento è determinato da norme generali inserite nel testo costituzionale e uguali per tutte. Nel secondo comma si prevede un gruppo di Regioni per le quali, in considerazione di loro particolari esigenze, è previsto un ordinamento speciale.

In che senso vi è differenza fra le Regioni del primo gruppo e le Regioni del secondo? Le differenze sono due e connesse. Una è differenza di quantità, nel senso cioè che per il secondo gruppo di Regioni, di cui resta da definire esattamente l’elenco, noi prevediamo la possibilità che si diano ad esse condizioni particolari di autonomia, cioè un insieme di funzioni che non coincidono con quelle previste per le Regioni in generale. E dunque una differenza quantitativa che sarà in più, sebbene non sia escluso che possa essere anche in meno.

La seconda differenza è formale. Essa riguarda il modo col quale si disciplina l’ordinamento di queste Regioni. La differenza sta in ciò: che l’ordinamento di ciascuna di queste Regioni è stabilito con legge costituzionale speciale. Per ogni Regione di questo gruppo si avrà una legge costituzionale speciale. Questo è il senso del secondo comma dell’articolo 108.

In sede di Commissione di coordinamento, si è avuta occasione, in diverse sedute, di chiarire la portata di questo secondo comma; e nella seduta del 18 giugno è stato unanimemente riconosciuto che la portata del secondo comma dell’articolo 108 è quella che ho indicata, ed il Presidente onorevole Ruini ha dato atto di ciò.

Si tratta ora di dare la formulazione tecnicamente più precisa a ciò che l’articolo, al secondo comma, vuole dire.

È su questa considerazione che si fonda l’emendamento che ho proposto.

Nel testo attuale si dice che le condizioni particolari di autonomia sono attribuite a queste Regioni «con statuti speciali adottati mediante leggi costituzionali».

Come si è detto, l’atto che pone le norme in cui si concreta l’ordinamento di ciascuna Regione è una legge costituzionale. Se così è, mi sembra che non sia il caso di usare la parola «statuti», perché potrebbe dar luogo ad equivoci. In realtà la parola «statuti» nel senso che assume nel secondo comma dell’articolo 108, non significa l’atto che pone norme giuridiche, ma significa il complesso di norme nelle quali si concreta l’autonomia attribuita ad una certa regione. Ora, sia per questo significato che la parola statuto ha qui, sia anche per evitare che nello stesso testo costituzionale si usi la parola statuto in due sensi: uno in quello che assume nel secondo comma dell’articolo 108 e un altro in quello che risulta dall’articolo 124, dove la parola statuto è usata in senso proprio, di atto emanante dalla Regione, io ritengo opportuno che il secondo comma dell’articolo 108 sia formulato in modo da esprimere in forma tecnicamente precisa il suo contenuto, dicendosi che alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta sono attribuite, con leggi costituzionali, forme e condizioni particolari di autonomia. L’emendamento proposto consiste, in sostanza, nel sopprimere l’inciso «con statuti speciali adottati», che può dar luogo ad equivoci e malintesi pericolosi, di cui si sono già avuti dei segni.

Mi pare che questa rettifica giovi alla chiarezza del testo, epperciò la raccomando alla adozione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Paris:

«Al secondo comma, dopo le parole: Trentino-Alto Adige, aggiungere: Regione unica».

L’onorevole Paris ha facoltà di svolgerlo.

PARIS. Sono stato informato che la Commissione istituita per elaborare un progetto di statuto per il Trentino-Alto Adige si è orientata su una forma di autonomia regionale. Data la proroga dei poteri dell’Assemblea fino al 31 dicembre, sarà possibile la discussione di detto progetto. Perciò parlerò in quella sede e per adesso ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Pecorari:

«Al secondo comma, dopo: Valle d’Aosta, aggiungere: alla Regione giulio-friulana e Zara».

L’onorevole Pecorari ha facoltà di svolgerlo.

PECORARI. Recentemente vi è stato uno scambio di lettere fra Don Sturzo e il Ministro degli esteri a proposito di certe premature rinunzie. Non si meravigli quindi la Costituente se io richiamo l’attenzione su alcuni termini che vengono così spesso dimenticati (Interruzioni).

TONELLO. Cosa c’entra Don Sturzo? (Commenti).

PECORARI. Fino alla esecuzione del Trattato di pace la Regione giuliana ci appartiene. Gli abitanti di queste terre sono ancora oggi cittadini italiani. È un nostro dovere politico e morale non dimenticare queste terre e queste genti. Forse non vi rendete conto dello stato d’animo di queste popolazioni, che si sentono abbandonate da tutti e non difese da nessuno. È un obbligo politico nostro di distinguerci, per riparare quello che è stato fatto dal regime fascista in quelle terre. La Repubblica democratica italiana non deve avere nessuna mira snazionalizzatrice. Per questo ho proposto di inserire fra le Regioni a costituzione particolare la Regione giulio-friulana e Zara.

L’obbligo morale è evidente. Quelle popolazioni stanno pagando per tutta la Nazione gli errori e i delitti del regime cessato. Non dobbiamo dimenticare i morti dell’altra guerra. Queste popolazioni sono state redente, sono state incluse nello Stato italiano, e noi quindi ci siamo assunti l’obbligo di tutelarle. Non possiamo oggi con facilità, direi quasi con volubilità, dimenticare questi obblighi di tutela che ci spettano.

Dobbiamo anche dimostrare agli jugoslavi, che ci contendono il possesso di queste terre, la nostra intenzione chiara e netta di difendere in ogni caso e in qualsiasi condizione le minoranze che vivono in queste terre e in quelle che ci verranno assegnate. Dobbiamo anche corrispondere all’aspettativa di queste minoranze le quali attendono di essere tutelate, quale che sia la decisione sulla loro sorte. Per questo dobbiamo occuparcene nella Costituzione del nuovo Stato italiano. In attesa della revisione del Trattato di pace noi dobbiamo premunirci. Vi sono tanti nostri connazionali, in America sopratutto, che chiedono questa revisione del Trattato, chiedono che quelle popolazioni italiane ritornino nel grembo della madre Patria. Se non ci preoccupiamo nella Costituzione di prevenire il fausto e desiderato evento di questa revisione, saremo costretti a modificarla quando questo lieto evento si avvererà. È pertanto un nostro dovere provvedere fin d’ora per questa situazione futura.

Occorre anche tranquillizzare le popolazioni italiane che sono ancora rimaste in quelle zone. Si parla tanto di esodo dei giuliani; ma se questi giuliani non si sentono difesi in qualche modo, scompariranno, abbandoneranno tutti le loro terre.

A quelli che restano noi dobbiamo dare l’assicurazione che la Repubblica italiana pensa sempre a loro e cercherà sempre di difenderli. Io chiedo quindi l’inserzione di questo emendamento, non a scopo nazionalistico, ma semplicemente per la tutela degli interessi superiori nazionali di queste minoranze: per affermare ancora una volta, prima che il Trattato ci venga imposto, il nostro diritto a queste terre; per prevenire questo fausto e lieto evento della revisione del Trattato di pace che è auspicato e desiderato da tutti i settori di questa Assemblea. (Applausi).

PRESIDENTE. Gli emendamenti all’articolo 108 sono stati così tutti svolti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Desidero sapere quale sia la sorte dei miei emendamenti in relazione all’articolo 108, cioè se alla loro presentazione si oppone la pregiudiziale votata dianzi. Gli ultimi due emendamenti sono i seguenti. Il primo: «Le Regioni e le Provincie sono Enti di decentramento statale, dotati di autogoverno»; l’altro: «L’ordinamento, le attribuzioni, le circoscrizioni delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni sono stabiliti dalla legge.

«Statuti particolari di autonomia per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta, la Valle Atesina saranno stabiliti con leggi speciali».

Chiedo se questi due emendamenti si possono considerare come inerenti all’articolo 108 e se si oppone alla loro presentazione la pregiudiziale già ricordata.

FUSCHINI. Vi sono articoli dei quali possono costituire emendamenti.

PRESIDENTE. L’ultimo degli articoli che lei propone potrebbe essere considerato anche in sede di articolo 108. Questa sua formulazione infatti parla degli Statuti particolari di autonomia per la Sicilia la Sardegna ecc.

TARGETTI. Mi riferisco alla prima parte dell’articolo che dice: «Le Regioni e le Provincie sono Enti di decentramento statale, dotati di autogoverno». È l’altro che rimanda alla legge ordinaria.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’emendamento dell’onorevole Targetti: «Le Regioni e le Provincie sono Enti di decentramento statale, dotati di autogoverno», non può essere accettato (indipendentemente dai rilievi che si potrebbero fare perché parla di autogoverno e non di enti autonomi e tace dei Comuni), perché, come ho detto a sazietà, le norme sulla Provincia sono da stabilire successivamente.

Della Regione ci stiamo ora occupando in una serie di articoli, nel corso della cui discussione l’onorevole Targetti potrà fare le sue osservazioni; così poi per la Provincia; potremo discutere le sue idee volta per volta.

PRESIDENTE. È d’accordo l’onorevole Targetti in questo senso?

TARGETTI. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. L’onorevole Tessitori propone ora di sopprimere all’emendamento Pecorari le parole: «e Zara», per modo che la formula sarebbe la seguente: «al Friuli-Venezia Giulia».

L’onorevole Tessitori ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TESSITORI. L’articolo 123 del progetto di Costituzione annovera fra le Regioni di Italia il Friuli e la Venezia Giulia.

L’attuale stato di fatto è tale che della Venezia Giulia rimane allo Stato Italiano soltanto una piccola, parte: il mandamento di Monfalcone e la provincia di Gorizia. Ora, in rapporto a questa situazione di diritto e di fatto, io propongo che l’emendamento Pecorari sia sostituito con la denominazione già proposta dalla Commissione. Con questa denominazione a me pare siano salvaguardate anche le ragioni di natura patriottica e sentimentale, che l’onorevole Pecorari ha esposte; perché, quando noi nell’indicare questa nuova regione dello Stato Italiano diciamo «Venezia Giulia», ciascuno avverte e sente come questo nome abbia, dal punto di vista nazionale, quel significato che è nell’animo di tutti gli italiani.

Ed ora alcune considerazioni di carattere sostanziale: vi sono o no motivi che consigliano la concessione d’un particolare statuto alla Regione Friuli-Venezia Giulia?

Il problema è stato già trattato in sede di Commissione.

L’Assemblea ricorda la proposta dell’onorevole Fabbri, favorevole alla concessione d’uno statuto particolare al Friuli. Quella proposta ha trovato un’eco in sede di discussione generale nel discorso dell’onorevole Grieco, il quale, salvo ad esaminare più profondamente in sede opportuna il problema, espresse il parere che il Friuli-Venezia Giulia ha tali caratteristiche, per cui uno statuto particolare si addice alla sua organizzazione futura.

Ora, quali sono questi motivi? Non è certo possibile qualificare la Regione come mistilingue. Entro i nuovi confini del nostro Stato, rimangono circa 9.400 slavi, che si concentrano quasi tutti nella città o nei dintorni di Gorizia. Ci sono altri slavi, circa 30.000, ma questi sono stati e sono incorporati all’Italia fin dal 1866: sono le popolazioni della vallata del Natisone, popolazioni che sono profondamente italiane. Basta che l’Assemblea Costituente sappia come durante la guerra 1915-1918, l’unico reparto dell’esercito italiano che non abbia avuto nemmeno un disertore è stato il battaglione Val Natisone dell’VIII Reggimento Alpini. Quando, dunque, parliamo di opportunità di uno Statuto particolare per la Regione non ci riferiamo a queste popolazioni, ma a quell’altra infima minoranza slava alla quale si accennava dapprima. Penso tuttavia che l’Assemblea non possa sottovalutare questo problema. È un problema di una delicatezza estrema, poiché si tratta della Regione confinaria del nostro Paese verso il confine orientale.

Ritengo pertanto sia necessario e politicamente opportuno, soprattutto ora in cui tutti noi desideriamo una distensione di spiriti nei rapporti internazionali, offrire fin da questo momento la base acché i futuri amministratori di quella Regione possano creare una organizzazione la quale con maggiore elasticità, che non sia quella derivante dallo Statuto di tutte le altre Regioni italiane, possa servire come strumento di pacificazione con il popolo vicino.

Parlo da italiano e da friulano alla massima Assemblea del mio Paese; parlo quindi con la sensibilità che il mio popolo friulano ha dei rapporti con il mondo slavo vicino. È plurisecolare da noi la tradizione di rapporti pacifici col mondo slavo. Ciò che costituì la ragione prima di irritazione dell’anima slava contro di noi è stata l’errata politica snazionalizzatrice che il fascismo ebbe ad inaugurare in quelle terre, politica esercitata attraverso strumenti burocratici, non solo insensibili, ma niente affatto conoscitori dell’anima di quelle popolazioni e privi di una retta comprensione delle esigenze locali.

Io non voglio, e non ne avrei la competenza, approfondire questo tema. D’altra parte i colleghi che mi ascoltano sanno bene, senza che io debba chiarire di più, come il problema si pone con riflessi di politica internazionale, ai quali penso che l’Assemblea Costituente possa rispondere concedendo uno Statuto particolare a questa Regione. Quando poi si scenderà ai dettagli, a fissare cioè gli articoli di tale Statuto, siate pur certi che, se la elaborazione di esso, come certamente avverrà, sarà affidata ad uomini della mia terra, essi sapranno trovare quegli istituti e quelle formule che serviranno a risolvere, non tanto un problema locale ma, nell’interesse dell’intero Paese, un problema di carattere nazionale.

Ma, prima di finire, non posso sottacere che vi è una difficoltà, un’obiezione, una preoccupazione che ci si oppone, e la preoccupazione è questa: che una eccessiva differenziazione del Friuli nei confronti delle altre regioni d’Italia potrebbe costituire pretesto, se non argomento, alle correnti nazionalistiche slave per pretese su quelle italianissime terre, cosa alla quale il collega Pecorari accennava testé. A coloro che hanno codesta preoccupazione mi permetto di osservare che il fenomeno di un esasperato nazionalismo espansionistico non è di oggi, e non sono certo le nostre autonomie regionali che lo hanno provocato. Codeste correnti espansionistiche sono vecchie di decenni, ed esistevano anche quando esisteva la sola provincia piatta ed uniforme. Codeste mire espansionistiche non muoiono, purtroppo, opponendo la maschera o il paravento molto trasparente del negare una costituzione autonoma ad una terra le cui caratteristiche le richiedono; esse potranno essere mortificate e superate soltanto quando noi, con serietà, daremo, attraverso la nostra legislazione e soprattutto attraverso la sua applicazione, la prova della nostra decisa volontà di collaborazione fra i popoli. (Applausi).

PECORARI. Chiedo la parola per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PECORARI. L’onorevole Tessitori ha completamente svisato la mia concezione, in quanto la denominazione della regione del Friuli e della Venezia Giulia deve essere intesa con spirito diverso da quello che ha mosso il collega Tessitori. Il piccolo pezzettino della provincia di Gorizia che viene ad essere incorporato, con una proposta del trattato di pace da noi ancora non approvato, non giustifica l’aggiunta del termine «Venezia Giulia». Insisto pertanto nel mio emendamento.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

RESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI, Relatore. Dirò brevemente poche considerazioni sull’emendamento presentato dal collega onorevole Perassi. Si tratta di una questione che fu già sollevata avanti la seconda Sottocommissione e poi nella Commissione dei Settantacinque.

In sostanza, egli non vorrebbe cambiare quella che è la struttura dell’attuale articolo 108, ma soltanto le parole «statuto speciale» del secondo comma. L’articolo 108 stabilisce un ordinamento generale uniforme per tutte le Regioni, fissato dalle norme segnate nella Costituzione, e prevede poi, in riguardo alle condizioni particolari di talune Regioni, quale la Sicilia, la Sardegna, la Val d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, l’adozione di un ordinamento particolare, da consacrare in «statuti speciali» adottati con legge di natura costituzionale.

Nel primitivo progetto era stata adoperata un’espressione più lata, che importava maggiore elasticità nella determinazione di tali ordinamenti particolari. Dopo si è adottata una formula, intesa a dare a tali Regioni – come ha detto l’onorevole Perassi – attribuzioni superiori a quelle stabilite per tutte le altre Regioni in genere. È semplicemente sulle parole «statuto speciale» che egli crede di dover procedersi ad emendamento, con la loro modifica nelle parole «ordinamenti speciali».

Mi permetto di ripetergli quello che dissi dinanzi alla seconda Sottocommissione e dinanzi ai Settantacinque, cioè che si tratta veramente di uno scrupolo di tecnica superabile dallo stesso punto di vista tecnico. E non occorre entrare in discussione quando si chiarisca che il termine «statuto» è adoperato nel senso di insieme di norme, come ordinamento. Egli dice: nell’articolo 124 si può attribuire a questa parola un significato diverso. Io gli rispondo: vuol dire, allora, che si esaminerà la proposta quando si tratterà dell’articolo 124.

PERASSI. Là sarebbe impropria; qui no!

AMBROSINI, Relatore. Non è impropria, se si considera lo statuto come un insieme di norme e come un ordinamento giuridico. Questa è la situazione dal punto di vista della tecnica giuridica. Ma c’è di più. C’è una ragione politica che sorpassa immensamente, per lasciare l’espressione «statuti speciali», qualsiasi scrupolo tecnico. Bisogna rammentare che abbiamo già uno statuto, ed è lo statuto della Regione siciliana, approvato con una legge dello Stato, di cui l’Assemblea Costituente dovrà occuparsi, ma sicuramente non ora, né tanto meno per cambiare quella che è la denominazione di «statuto». Quando tale denominazione è adottata per l’ordinamento della Sicilia, non può farsi un trattamento diverso alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige ed alla Val d’Aosta. Io debbo far osservare, onorevoli colleghi, che dal punto di vista politico un qualsiasi cambiamento in proposito sarebbe veramente grave; ed è inutile che accenni alle conseguenze che potrebbero derivarne in Sicilia e nelle altre tre Regioni suddette.

Come dissi anche alcuni mesi addietro, in occasione della mozione qui discussa sulla convocazione dei comizi per le elezioni siciliane, nessun pericolo in sostanza, viene all’ordinamento generale dello Stato ed ai poteri dell’Assemblea Costituente in particolare, dal riconoscimento dell’ordinamento regionale siciliano, che nel provvedimento legislativo del 15 maggio 1945 è chiamato «statuto della Regione siciliana».

Ed allora perché, per un semplice scrupolo tecnico – che può essere benissimo superato sullo stesso terreno tecnico – dovremmo imbarcarci sulla via di modifiche, che solleverebbero tanti dubbi, tanti contrasti, e molto probabilmente tante reazioni?

Per queste considerazioni tecniche, e più ancora, politiche, prego il collega Perassi di ritirare il suo emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’emendamento Russo Perez cade, perché è una ripetizione del concetto di Regione facoltativa, che l’Assemblea ha respinto. L’emendamento Caroleo è ritirato.

Resta un emendamento, a proposito del quale è sorto un dissenso, non dico sostanziale, ma almeno formale fra i miei due valorosissimi collaboratori, che non mi hanno mai abbandonato, un momento solo, nel faticoso lavoro di rielaborazione dei testi. Sono tutti e due ardenti autonomisti, Ambrosini e Perassi, ed il loro dissenso non può tendere a diminuire l’autonomia regionale.

L’emendamento Perassi è stato dettato dalla competenza tecnica e dal fine senso giuridico del suo autore; ed ha voluto mettere in rilievo che gli statuti delle Regioni, le quali hanno speciali autonomie, non costituiscono degli statuti di tipo albertino, non sono Carte costituzionali volute dalle sole Regioni e immodificabili se non per volontà delle Regioni stesse. Non credo che nessuno dei più spinti autonomisti, se non è separatista, voglia dar tale carattere agli statuti delle Regioni ad autonomie speciali. Per eliminare il dubbio, l’onorevole Perassi pensava di togliere la qualifica di statuti, ma sembra a me che possano conservare questo nome, in quanto sono complessi di norme sull’ordinamento regionale. Se vanno al di là di quelle ordinarie stabilite dalla Costituzione, non per questo perdono il carattere di statuti; e resta fermo che debbono essere adottate con una legge di valore costituzionale.

PERASSI. Sono leggi costituzionali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le leggi che approvano questi statuti sono leggi costituzionali dello Stato. È questa la garanzia che «statuto» non potrà essere inteso nel modo temuto dall’onorevole Perassi. Se siamo d’accordo nella sostanza, non è il caso di sollevare, con nuove formule, le apprensioni, ad esempio, dei siciliani, che potrebbero vedere, nella nuova impostazione tecnica, un pericolo che sia ad essi tolto lo statuto che hanno già conquistato; e che dovrà in ogni caso, ricordiamoci, pur con autonomia maggiore della normale, essere coordinato con la Costituzione.

Il Comitato è d’accordo nel conservare, con i chiarimenti che ho dato, il testo dell’articolo 108 nel suo secondo comma, sostituendovi soltanto «secondo statuti», che è una modifica di forma, che non contrasta con lo spirito e con la sostanza del testo.

Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Pecorari, per aggiungere alle Regioni ad autonomia speciale il Friuli e la Venezia Giulia, compresa anche Zara. L’onorevole Tessitori, propone una formula, che non parla di Zara. Non credo che possiamo considerare, in questa nuova Regione speciale, Zara, che è pur così italiana e così legata al nostro cuore di italiani. Purtroppo di Venezia Giulia non ci hanno lasciato che un brandello: Gorizia ed un po’ di Monfalcone.

PECORARI. Ma il Trattato non è stato ancora approvato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’abbiamo firmato: e non possiamo, pur non essendo ancora ratificato, affermare che Zara resta nel territorio italiano. Sarebbe andar contro una dolorosa realtà; e la nostra affermazione potrebbe avere significati e riflessi internazionali, non opportuni.

Per quanto riguarda il Friuli-Venezia Giulia, vi possono essere tre soluzioni: quella di ammetterla come una regione normale, quella di ammetterla come una regione speciale e quella di non ammetterla né come l’una né come l’altra. In seno al Comitato si era cominciato ad esaminare tutte e tre le soluzioni. Viene ora fuori, in Assemblea, una proposta formale: e bisogna decidere senza che io possa riconvocare il Comitato. Esprimo dunque un avviso a titolo personale, pur ritenendo di concordare col pensiero di molti, dei più del Comitato. Quando si presenta una questione come questa, bisogna prender posizione. Io so che la schiera degli alloglotti slavi che restano all’Italia è tenuissima; e non penso certo che il riconoscimento del Friuli-Venezia Giulia quale regione speciale abbia lo stesso significato e lo stesso valore che ha la figura della regione speciale per la Valle d’Aosta e per il Trentino-Alto Adige. Non si tratta affatto di affermare che quanto ci resta è zona etnicamente e politicamente contestabile. Anzi il senso è contrario. Si tratta di dare attuazione al disposto del trattato, che per le minoranze linguistiche ed etniche sono da accordarsi garanzie. Quale è la via migliore che affidare il compito di definire tali garanzie alle italianissime popolazioni della regione? Lo statuto che esse formuleranno e che lo Stato approverà, sarà press’a poco uno statuto di regione normale, con qualche norma, specialmente linguistica, per le piccolissime minoranze stesse. Aggiungo che il fatto che l’Italia dà queste garanzie ci darà un altro argomento per chiedere che anche la Jugoslavia accordi uno statuto speciale alle sue zone, dove risiede un numero ben maggiore di italiani. Infine mi sembra che la regione nuova, che istituiamo alla nostra mutilata frontiera, abbia un valore simbolico: di attendere, in una futura revisione del trattato, la sua capitale: Trieste.

In questo senso credo che si possa accogliere la proposta dell’onorevole Tessitori.

PRESIDENTE. Onorevole Abozzi, mantiene il suo emendamento?

ABOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Codignola, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Russo Perez, mantiene l’emendamento?

RUSSO PEREZ. Rinunzio.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, mantiene l’emendamento?

PERASSI. Prendo atto che il Comitato di redazione propone ora che il testo del secondo comma dell’articolo 108 sia modificato nel senso che alle parole «con statuti speciali» si sostituiscano le altre «secondo statuti speciali».

Non ritorno, per evidenti ragioni di tempo, sulla questione che è stata sollevata. Preso atto della modificazione indicata dal Presidente del Comitato, onorevole Ruini, dichiaro di non insistere nel mio emendamento, in quanto che, con la modifica proposta dal Comitato, il significato giuridico che la parola «statuti» ha nell’articolo 108 viene ad essere precisata nel senso da me indicato e perciò risulta di molto attenuato il pericolo di malinteso, a cui avrebbe potuto dar luogo il testo primitivo. Io non insisto, dunque, nel mio emendamento. Siccome, d’altra parte, ritengo che in questa materia la chiarezza non sia mai troppa, dichiaro, a scanso di responsabilità, che io mi astengo dal voto.

PRESIDENTE. Onorevole Pecorari, mantiene il suo emendamento?

PECORARI. Lo ritiro con questa motivazione: per non esporre i dalmati a un voto che suonerebbe offesa per loro.

PRESIDENTE. Onorevole Tessitori, mantiene l’emendamento?

TESSITORI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Il primo comma dell’articolo 108, nel testo proposto dalla Commissione, è il seguente:

«Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione».

A tale comma l’onorevole Targetti ha presentato un emendamento così formulato:

«Le Regioni sono Enti di decentramento statale, dotati di autogoverno».

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Targetti.

PICCIONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Dichiaro di votare contro l’emendamento presentato dall’onorevole Targetti perché esso riduce, per la ennesima volta, la funzione delle Regioni ad una funzione, semplicemente, di decentramento amministrativo.

(L’emendamento non è approvato).

PRESIDENTE. Pongo ora in votazione il primo comma nel testo proposto dalla Commissione, testé letto.

(È approvato).

Passiamo al secondo comma del progetto:

«Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con statuti speciali mediante leggi costituzionali».

L’onorevole Abozzi ha proposto la soppressione di questo comma. Pongo in votazione tale proposta.

(Non è approvata).

L’onorevole Tessitori ha proposto di aggiungere al secondo comma, dopo le parole: «Trentino-Alto Adige», le altre: «al Friuli-Venezia Giulia»,

Passiamo alla votazione di questo emendamento.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Il gruppo comunista dichiara di condividere pienamente le considerazioni esposte dall’onorevole Tessitori. Pertanto voterà questo emendamento nel senso e nei limiti proposti dall’onorevole Tessitori.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Anche per il gruppo repubblicano, devo dichiarare che noi voteremo favorevolmente all’emendamento presentato dall’onorevole Tessitori, col quale siamo pienamente d’accordo, specialmente per lo scopo per cui abbiamo sostenuto l’ordinamento regionale in Italia, che era non solamente uno scopo di democrazia, ma anche di avvicinamento, direi quasi, di attrazione verso di noi, verso le nostre istituzioni, dei popoli che sono stati separati da noi o sono in dissenso con noi, alle nostre frontiere.

È un’idea che vediamo affermata in questo emendamento ed alla quale vogliamo dare qui la nostra piena adesione.

PIEMONTE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Aderisco pienamente alla proposta fatta dal collega Tessitori. Le ragioni non si possono sviluppare in pieno oggi; ma lo spirito della proposta è di fratellanza e di pace, e credo che molti del mio gruppo voteranno nello stesso senso.

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Dichiaro, a titolo personale, di votare a favore dell’emendamento Tessitori.

CARBONARI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. Mi associo, personalmente, all’emendamento dell’onorevole Tessitori.

PRIOLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Anche a nome del mio gruppo, mi associo all’emendamento dell’onorevole Tessitori.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi associo, anche a nome del mio gruppo, all’emendamento.

GUI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUI. Parlo a nome anche di altri colleghi, che non rappresentano un partito, ma semplicemente un gruppo di amici che la pensano allo stesso modo.

Dichiaro che avremmo votato a favore di un emendamento che concedesse un’autonomia speciale alla Regione della Venezia Giulia, intendendo in questo modo di dare un riconoscimento ai diritti degli abitanti italiani e slavi di quella Regione.

Dichiaro che voteremo contro l’emendamento Tessitori, perché, con l’applicazione del Trattato di pace, questo comporterebbe la concessione di un’autonomia speciale alla sola Provincia di Udine ed a una piccola parte di quella di Gorizia, per le quali non esistono, a nostro modo di vedere, i presupposti per la concessione di una autonomia speciale. Esistono invece gravi motivi di pensare che questa autonomia speciale costituisca una minaccia all’unità nazionale. (Commenti).

GRIECO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRIECO. Io vorrei che la formula «Trentino-Alto Adige» fosse indicata nell’articolo che noi stiamo ora per approvare, come una formula provvisoria, perché è probabile che sarà modificata a suo tempo quando approveremo lo Statuto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resta inteso che, quando faremo il coordinamento finale, se saranno intervenute ragioni che ci consiglieranno di apportare qualche modifica, noi modificheremo; ma per ora non mi pare che vi sia altro da fare che votare il testo così quale esso è.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Micheli?

MICHELI. Per dichiarare che sono favorevolissimo a questa formulazione, la quale stabilisce delle evidenti necessarie preferenze fra le singole Regioni. Sono lieto di poter votare per queste Regioni che si trovano in singolari condizioni, e particolarmente per la Val d’Aosta, per la quale ancora nessuno ha speso una parola…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Perché siamo d’accordo.

MICHELI. …ed io l’aggiungo, anche se non ve n’è certo bisogno in questo momento.

Queste particolari autonomie, che prime si presentano nell’organizzazione dello Stato unitario, meritano tutto il nostro appoggio, come affermazione del principio generale reso ancor più vigoroso perché espresso in antecedenza attraverso queste Regioni che hanno particolari motivi di essere preferite.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Pur condividendo le aspirazioni di fratellanza segnalate dall’onorevole Tessitori, dichiaro, che per i motivi specifici esposti dall’onorevole Gui, voterò contro l’emendamento dell’onorevole Tessitori.

PRESIDENTE. Sta bene. Possiamo dunque passare ai voti.

Il testo del secondo comma dell’articolo 108, come risulta dopo le modifiche apportate dalla Commissione che vi ha incluso la formulazione proposta dall’onorevole Tessitori, risulta il seguente:

«Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia e alla Val d’Aosta, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo statuti speciali adottati mediante leggi costituzionali».

GUI. Chiedo che la votazione avvenga per divisione.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione Regione per Regione. Poiché il comma comincia con l’elencazione delle Regioni alle quali si dovrebbero, a norma dell’articolo, attribuire queste forme particolari di autonomia secondo statuti speciali, resta inteso che, votando nome per nome le singole Regioni, gli onorevoli colleghi votano anche per tutto quello che è indicato nel resto dell’articolo.

Pongo in votazione le parole: «Alla Sicilia».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «alla Sardegna».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «al Trentino-Alto Adige».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «al Friuli-Venezia Giulia».

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «alla Valle d’Aosta».

(Sono approvate):

Pongo in votazione l’ultima parte del comma: «sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati mediante leggi costituzionali».

(È approvata).

L’articolo 108 risulta pertanto così approvato:

«Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati dalla Costituzione.

«Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati mediante leggi costituzionali».

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Prospetto l’opportunità di tenere seduta domani nel pomeriggio e non al mattino, per dare tempo al Comitato di redazione di concordare un nuovo testo, in seguito al mantenimento dell’ente Provincia, oggi deliberato.

PRESIDENTE. Questa esigenza era stata già prospettata dall’onorevole Carboni, e la Commissione ha manifestato il suo parere.

Comunque, nella seduta di domani, se sarà presente l’onorevole Codignola, potrà essere esaminata la sua proposta di un articolo 108-bis e, quindi, il Comitato degli Undici, che ha completato i suoi lavori, darà comunicazione della sua relazione, in merito alla quale l’Assemblea deciderà.

Domani, pertanto, vi sarà seduta alle 10.

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta di risposta urgente.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, perché dia precise notizie sulle violenze commesse da elementi reazionari nella notte del 25 corrente a Reggio Calabria a danno di una Sezione comunista locale, e per sapere quali misure egli ha preso per assicurare che simili violenze non abbiano a ripetersi ancora.

«Musolino, Silipo».

«Al Ministro dell’interno, per sapere ciò che risulta intorno all’aggressione contro la Sezione comunista «Nino Battaglia» di Reggio Calabria e quali disposizioni ha dato perché, con inflessibile fermezza, siano garantite la vita e la legale attività dei partiti politici e la tranquillità di tutti i cittadini.

«Sardiello».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quanto gli consti in merito alla vile aggressione perpetrata la notte dal 24 al 25 giugno in Reggio Calabria contro la Sezione comunista «Nino Battaglia» e per sapere le misure adottate onde perseguire i responsabili ed evitare il ripetersi di simili atti di banditismo politico.

«Priolo, Mancini Pietro».

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali misure ha preso o intende prendere il Governo per l’aggressione comunista al Mattino di Sicilia di Palermo, alla Sede dell’Uomo Qualunque di Pistoia e di altre città.

«Russo Perez».

Comunicherò queste interrogazioni ai Ministri competenti, affinché facciano sapere quando intendano rispondervi.

Avverto che la seduta pomeridiana di lunedì sarà interamente dedicata alle interrogazioni e non è improbabile che il Governo risponda anche alle interrogazioni testé lette.

È stata anche presentata la seguente interpellanza:

 

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali sono le disposizioni di legge le quali consentirono al signor prefetto di Treviso di emettere un decreto di requisizione di una casa di privata abitazione occupata da sei famiglie, ordinando ai legittimi possessori il rilascio dell’immobile entro il 15 giugno.

«Il decreto regio del 18 agosto 1940, n. 1740 è inapplicabile per ovvie ragioni al caso in esame, e non può giustificatamente invocarsi il decreto legislativo 26 aprile 1947, n. 264.

«Costantini».

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Sono stato costretto a trasformare in interpellanza questa che era una interrogazione presentata con carattere d’urgenza, dato che il Governo non ha risposto.

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, ella non era presente quando il Governo era pronto a rispondere. Si intende che ogni deputato ha il dovere di essere presente per la risposta ad una sua interrogazione d’urgenza.

COSTANTINI. Ma non quando si risponde 15 giorni dopo!

PRESIDENTE. Lei era. presente quando fu fissata la data della risposta, e quindi non doveva mancare.

Ad ogni modo l’interrogazione dell’onorevole Costantini è stata trasformata in interpellanza.

CAMPOSARCUNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPOSARCUNO. Ricordo di aver presentato, fin dal mese di aprile, una interrogazione relativa alla disciplina delle acque del fiume Biferno. Chiedo quando il Governo potrà rispondere, data l’importanza del problema.

PRESIDENTE. Onorevole Camposarcuno, rinnovi domani la sua richiesta in presenza del Governo.

Sui lavori dell’Assemblea.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. La Commissione di finanza ha terminato da oltre due mesi l’esame dell’imposta straordinaria e ha depositato la relazione dell’onorevole La Malfa. Chiediamo al Governo di mettere all’ordine del giorno la discussione dell’imposta straordinaria che, specialmente per quanto riguarda la proporzionale, ha bisogno di notevoli modificazioni.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, ella conosce la ragione del rinvio della discussione sopra l’imposta straordinaria. Il Governo mi ha fatto sapere di essere pronto martedì a cominciare la discussione, e quindi, quasi con certezza, il disegno di legge sarà allora portato all’Assemblea.

Faccio poi presente che nella seduta di domani sarà portato a conoscenza dell’Assemblea il risultato della Commissione degli Undici senza che, secondo le consuetudini, se ne faccia parola nell’ordine del giorno.

La Commissione presenterà la relazione ed esporrà le sue conclusioni; dopo di che l’Assemblea deciderà sul da farsi.

Interrogazioni.

PRESIDENTE, Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, premesso, che dopo oltre due anni dalla fine della guerra nulla ancora di concreto e di sostanziale è stato fatto per ricondurre alla normalità il settore degli automezzi; che diecine di migliaia di essi, prima depredati dai nazi-fascisti e poi assegnati o lasciati in uso in qualche modo a terzi, continuano a rimanere «spostati» senza che gli sforzi e le richieste dei danneggiati abbiano ancora avuto un principio di accoglimento; che la situazione, così come si è venuta cristallizzando, lascia via libera a speculazioni e dispersioni, creando fonti di malcontento e di malessere in pregiudizio degli onesti e grave danno all’interesse generale, all’economia e all’ordine pubblico del Paese; l’interrogante chiede di conoscere:

  1. a) quali siano le intenzioni del Ministro dei trasporti di fronte alle proposte per una nuova disciplina in materia di ricupero automezzi presentate dai danneggiati, proposte che hanno per iscopo – oltre il giusto riconoscimento dei loro diritti – di normalizzare il settore automobilistico e di esonerare l’erario dal peso dei risarcimenti per danni di guerra nel settore in parola, risarcimenti che «comunque» non indennizzeranno mai adeguatamente i danneggiati;
  2. b) quali siano in generale gli intendimenti del Ministro dei trasporti e le disposizioni che intende emanare per ricondurre la normalità in un campo tanto delicato e importante della vita nazionale ed ovviare agli inconvenienti che ancor oggi rendono caotica e arbitraria la situazione.

«Malagugini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non intenda armonizzare al nuovo clima politico ed alla nuova situazione sociale la legge fascista del 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici, avvalendosi – se del caso – della facoltà prevista dall’articolo 43 della legge stessa, che prevede l’emanazione di norme necessarie alla sua esecuzione.

«Occorrerà soprattutto distinguere tra la generalità degli abitanti, che dovrebbe continuare ad esercitare gli usi civici secondari (legnatico, spigatico, ghiandatico, ecc.) e gli utenti veri e propri (cioè coltivatori diretti e braccianti agricoli), che dal dominio collettivo devono trarre col loro lavoro le fonti di sussistenza e che alle spese del dominio provvedono con i loro contributi.

«Si tratta di una riforma urgentemente reclamata dalle classi agricole di molte provincie, sopra tutto di quelle dell’ex Stato pontificio, e che è ispirata ad un sano principio democratico di giustizia sociale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non sia possibile ed opportuno aumentare di alcune decine di unità la forza operaia del Polverificio dell’Esercito, sito in Fontana Liri Inferiore (Caserta), così come è stato fatto negli stabilimenti militari di Terni e di Spoleto.

«In questo modo si renderebbe possibile, con vantaggio della produzione, la sollecita riassunzione di alcuni ex-operai, ex-militari, o reduci dall’internamento o partigiani della zona, attualmente disoccupati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non intende provvedere alla sorte di un gruppo di capitani dei carabinieri, i quali sono rimasti in testa al ruolo senza essere promossi con circa 30 anni di spalline, avendo sostato nei quadri di tenente e di primo tenente almeno 20 anni.

«Si tratta di un blocco di distintissimi ufficiali, molti dei quali laureati, che hanno partecipato a più guerre, mostrando qualità professionali di alto rilievo, che si trovano ancora capitani mentre i loro compagni di corso di altre armi sono almeno tenenti colonnelli.

«Si tratta, non solo di un provvedimento di giustizia, ma che gioverebbe al prestigio e al rafforzamento dell’Arma, di cui ha tanto bisogno la Patria in quest’ora critica della vita nazionale.

«Il provvedimento non imporrebbe alcun aggravio all’Erario, il quale anzi ne ritrarrebbe un vantaggio, in quanto con la promozione a maggiori di detti capitani (che già percepiscono gli assegni iniziali del quadro superiore e l’indennità di primi capitani) si verrebbe a corrisponder loro il normale stipendio, mentre col loro collocamento nella riserva e il necessario congedo l’Amministrazione verrebbe gravata degli assegni di quiescenza loro spettanti in aggiunta al trattamento in servizio attivo dovuto agli ufficiali destinati a rimpiazzarli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio, dei lavori pubblici e delle finanze, per conoscere se essi non trovino opportuno, ai fini di aiutare lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, di rimettere in vigore, con un nuovo ed aggiornato decreto legislativo, le direttive contenute nella legge 5 dicembre 1941, n. 1572, sul «decentramento degli stabilimenti industriali in connessione con i nuovi impianti idroelettrici nell’Italia centrale, meridionale e insulare», la cui efficacia è venuta a cessare il 31 dicembre 1946.

«Simile voto, già espresso da vari Enti dell’Italia centrale e meridionale, e recentemente dalla Deputazione provinciale di Bari, è conforme agli interessi bene intesi della ricostruzione dell’economia meridionale, la quale non poté usufruire dei vantaggi concessile dalla legge 5 dicembre 1941, a cagione degli eventi bellici, ma che ora potrebbe profittarne assai utilmente, se un decreto-legge ne prorogasse gli effetti per almeno dieci anni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Grieco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere in base a quali criteri od istruzioni il prefetto della provincia di Roma, nell’applicazione del decreto legislativo 18 ottobre 1946, n. 290, con cui si fissano le norme per l’esecuzione degli sfratti, conceda proroghe di durata costantemente inferiore a quella massima consentita dall’articolo 1 del decreto, anche quando dalla situazione comparativa dell’inquilino e di colui che deve occupare l’immobile risulterebbero giustificatissimi, anzi impellenti motivi per largheggiare a favore del primo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per conoscere se gli consti che sia stato concesso il permesso di importare dall’estero trecento tonnellate di banane, e, nel caso positivo, come possa ciò giustificarsi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se gli consti che, per ottenere la concessione di tradotte per il trasporto di legna da ardere, si sia costretti a pagare illecitamente somme variabili da centomila lire in su per ogni tradotta; e, nel caso positivo, quali provvedimenti intenda prendere per porre termine all’indegno traffico, promuovendo anche un’inchiesta giudiziaria per ricercare e punire i responsabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per venire incontro alla massa dei piccoli coltivatori diretti, che hanno avuto distrutti completamente i raccolti per le recenti intemperie ed in particolare se ritengano di disporre che i detti contadini siano autorizzati a prelevare dagli ammassi il quantitativo di grano necessario al fabbisogno familiare entro i limiti delle norme vigenti relative alle trattenute di frumento.

«L’interrogante ritiene che tale provvedimento di giustizia non solo riuscirebbe gradito ai benemeriti contadini, i quali eviterebbero aggravi e perdite di tempo per fornirsi di tessere annonarie, ma li conforterebbe a continuare nel loro lavoro, cui li disamorerebbe l’allontanamento della tradizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste, dell’interno e dell’industria e commercio, per conoscere quali provvidenze precauzionali s’intende adottare per evitare che la ripresa attività delle fabbriche di Borgofranco (Ivrea), Società alluminio italiana; Società idroelettrica Borgofranco e Società Cheddite rechino serio danno con le esalazioni di gas nocivi alla vegetazione, ai raccolti e ai numerosi agricoltori della zona, come già precedentemente si è verificato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quando e se intenda emanare delle disposizioni relative al risarcimento di danni di guerra subiti da Istituzioni pubbliche di beneficienza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non ritenga necessario ed urgente la soppressione dei campi profughi, divenuti ormai, per universale constatazione, da campi di ristoro e di sollievo, centri, invece, di malattie e di immoralità.

«L’interrogante propone, pertanto, che le ingenti somme (parecchi miliardi al mese) che lo Stato spende per l’organizzazione ed il funzionamento dei detti campi, siano più utilmente devolute alla costituzione di un Ente (Istituto nazionale abitazione profughi, INAP) col preciso scopo dell’immediata costruzione di fabbricati a tipo popolare, da assegnarsi in uso alle singole famiglie, fino a quando, dopo un determinato periodo di anni e la corresponsione di un leggero onere finanziario, esse ne acquistino la piena proprietà. Suggerisce, infine, che nell’intervallo di tempo strettamente necessario per la costruzione di detti immobili, lo Stato si preoccupi di avviare al lavoro quanti tra i profughi ne sono capaci, organizzando particolari iniziative, secondo le esigenze industriali, artigiane o agricole del luogo, al fine di nobilitarne resistenza e di dar loro la possibilità di svincolarsi dalla soggezione del sussidio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Terranova».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’industria e commercio e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se e quali provvedimenti siano in corso per fermare la speculazione esplicata in Alta Italia nel commercio dei bozzoli, i cui prezzi sono manovrati e tenuti ad un livello non compensativo per i produttori; se quanto meno, ad evitare il ripetersi di queste manovre nel prossimo anno, non si ritenga opportuno di sollecitare l’azione degli enti locali agrari ed economici per la costruzione e l’esercizio di essiccatoi bozzoli per conto dei produttori e di magazzini fiduciari di deposito della merce essiccata, concedendo a tali iniziative il concreto appoggio e concorso dello Stato; i quali provvedimenti si palesano comunque necessari onde impedire che gli agricoltori abbiano ad abbandonare la produzione dei bozzoli, con ingente danno della pubblica economia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bubbio, Baracco, Stella, Quarello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere i motivi per cui l’Istituto nazionale assicurazioni infortuni seguita a pretendere altissimi premi per l’assicurazione dei rastrellatori di mine, pur sapendo che la liquidazione degli infortuni derivanti dallo scoppio di ordigni esplosivi è assunta direttamente dallo Stato, giusta decreto legislativo n. 320 in data 12 aprile 1947; pertanto le garanzie prestate dal suddetto Istituto sono limitate ai comuni rischi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi che lo hanno indotto ad assumere all’ufficio centrale di statistica il professore Tappi Manlio, ex consigliere nazionale, ex ante marcia, ex sciarpa littorio, ex fiduciario del pubblico impiego. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Dugoni, Vernocchi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni per cui non sia stato ancora rimosso dall’ufficio il segretario comunale di Celano, Tatoni Amerigo, da tempo denunziato all’autorità giudiziaria per sottrazione al regolare consumo di ingenti quantità di generi razionati con la complicità di funzionari della S.E.P.R.A.L. di Aquila.

«A prescindere dal fatto che il buon funzionamento di quella Amministrazione è compromesso, essendo venuta a mancare ogni possibilità di necessaria e onesta collaborazione tra gli amministratori (denuncianti) e il funzionario, resta il fatto che la popolazione, naturalmente, è portata a dubitare dell’obiettività e della correttezza dei superiori organi dell’amministrazione e della giustizia dello Stato.

«Né pare che pretesti di formalità burocratiche possano ritenersi validi per procrastinare l’allontanamento e la giusta condanna dovuta a chi specula anche su quel poco che lo Stato destina all’alimentazione di coloro che sono costretti a vivere con i soli generi tesserati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere perché il prefetto di Frosinone non provvede ancora a consentire e promuovere la ricostituzione dell’amministrazione ordinaria per il Consorzio dell’acquedotto di Capofiume, perpetuando una assurda situazione le cui origini risalgono ad un provvedimento fascista che nel 1943, con lo stile proprio dell’epoca e del regime e per fini forse inconfessabili, estrometteva i legittimi rappresentanti dei Comuni interessati dalla normale amministrazione del Consorzio che volontariamente quei Comuni stessi avevano creato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della marina mercantile e della difesa, per conoscere quali provvedimenti intendano emanare per una più sollecita distruzione delle mine vaganti, avvistate e segnalate dai piroscafi in navigazione ai vari comandi di marina.

«Il ritardo di tale eliminazione, in oggi lamentato, costituisce un grave impedimento alla ripresa del traffico sui mari e alla sua sicurezza.

«Due mine, segnalate il 28 maggio corrente anno presso l’isola del Giglio, il giorno del successivo mese di giugno si trovavano ancora alla deriva in quello specchio d’acqua, né si sa quando siano state tolte. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non ritenga opportuno esonerare dall’imposta straordinaria sul patrimonio le opere pie o quanto meno rivedere nei loro riguardi i criteri della imposizione.

«Questa interrogazione è stata suggerita dalla situazione in cui si trova l’Orfanotrofio Vittorio Alfieri di Asti che deve pagare, per il 1947, imposte per lire 475.000, nelle quali l’imposta straordinaria sul patrimonio incide per lire 375.596.

«L’orfanotrofio, che provvede al mantenimento di 72 orfani, ha una entrata complessiva, fra canoni di affitto e rendita di titoli, di lire 483.000.

«È in trattative per la vendita di metri quadrati 3000 di terreno fabbricativo, dalla quale potrà ricavare lire 1.200.000. Di queste, lire 966.000 sono già destinate ad estinzione di debiti arretrati.

«È evidente la impossibilità di continuare la sua vita così utile a tanti sventurati se deve sodisfare l’onere verso lo Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Grilli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei trasporti, dell’industria e commercio e della marina mercantile, per sapere se risulti loro che più di una volta piroscafi carichi di carbone, che dovevano approdare a Salerno, si son fatti dirottare per altri porti, inasprendosi così il disagio dei lavoratori portuali della detta città, già segnalato dal prefetto di Salerno; per sapere ancora quali provvidenze s’intendano adottare per la risoluzione in genere del problema del porto di Salerno, che attende ancora una attrezzatura degna della importanza economica del suo vasto retroterra; per sapere infine ed in particolare se e quando si intenda ripristinare la linea di navigazione già gestita nell’anteguerra dalla Società Tirrena, la quale possa congiungere almeno quindicinalmente Genova, Livorno, Napoli, Salerno, Messina, Catania, Crotone, Taranto, Brindisi, Venezia, Trieste. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se sia loro giunta alcuna informazione intorno a gravi irregolarità che si sarebbero verificate nel servizio approvvigionamento generi alimentari razionati e contingentati del comune di Campagna (Salerno), irregolarità che sarebbero state anche oggetto di inchiesta disposta dal prefetto di Salerno; quali siano stati i risultati di tale inchiesta; e quali risoluzioni essi Ministri abbiano preso o intendano prendere in merito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se e quando intenda dare un assetto regolare e definitivo all’insegnamento delle lingue straniere nelle scuole secondarie, abolendo il ruolo transitorio degli insegnanti di dette lingue, creato dopo la liberazione coi docenti delle ripetute lingue già appartenenti ai ruoli dei ginnasi e degli istituti tecnici inferiori, per trarre da questo corpo unificato i professori di lingue straniere nella scuola media, cui veniva restituito tale insegnamento. In questo unificato e transitorio ruolo, invero, si trovano portati allo stesso piano, alla medesima funzione, insegnanti di preparazione e di origine diversa, ai quali, in conseguenza della transitorietà del ruolo stesso, sarebbe inibito, a quanto pare, chiedere il trasferimento ad altri tipi di scuole. Si dà così il caso paradossale di professori già del ruolo A dei ginnasi, laureati in lettere, che insegnano in seconda e terza media per 18 ore settimanali, mentre classi di ginnasio superiore, o di Istituto tecnico, o di Liceo scientifico, sono affidate a giovani supplenti, che preferirebbero essi stessi coprir posti di minore impegno e responsabilità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.35.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

GIOVEDÌ 26 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXIII.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 26 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Deliberazioni e votazioni relative al Messaggio del Capo provvisorio dello Stato:

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 11.

CHIEFFI, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana del 21 giugno.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Arata, Caso, Martino Gaetano, Bellavista, Fietta, Gullo Rocco, Ferrario Celestino, Cifaldi, De Caro Raffaele, Perrone Capano.

(Sono concessi).

Deliberazioni e votazioni relative al Messaggio del Capo provvisorio dello Stato

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Deliberazioni e votazioni relative al Messaggio del Capo provvisorio dello Stato.

Onorevoli colleghi, il messaggio del Capo provvisorio dello Stato, del quale ho dato ieri comunicazione all’Assemblea, che ne era la naturale e legittima destinataria, non comporta dibattiti o decisioni. Manifestazione di volontà di chi nel nostro Stato repubblicano rappresenta e impersona la maggiore autorità, noi non possiamo e non dobbiamo che dargliene atto, consenso di deferente e profondo rammarico.

Ognuno in questa Assemblea e tutti in Italia siamo testimoni della dedizione completa con la quale Enrico De Nicola si è prodigato, durante l’anno trascorso ed anche con consapevole sacrificio della propria salute, all’arduo compito che fiducia di popolo gli aveva assegnato, attraverso il voto dell’Assemblea Costituente. Ed è certo che a Lui i liberi democratici istituti repubblicani, al suo capace consiglio e all’opera sua tenace, intelligente, serena, devono largamente di avere ormai raggiunto un grado di consolidamento fuori di ogni pericolo.

Dire ciò è dovere imperioso e debito di gratitudine ammirata, specialmente di fronte alle parole di modestia incomparabile con le quali Enrico De Nicola ha voluto fare commento ad una decisione, da tutti insistentemente, ma purtroppo vanamente, deprecata.

Ma essa sta ormai innanzi a noi, e ci impegna all’atto per il cui assolvimento stamane l’Assemblea si è riunita: l’elezione del Capo provvisorio dello Stato. (Segni di assenso).

Vi procederemo, come è norma, con votazione a scrutinio segreto, e, per maggior decoro della procedura, dando ordine all’affluenza alle urne per mezzo dell’appello nominale.

Prego gli onorevoli colleghi di non abbandonare il loro posto, se non allorché saranno nominativamente chiamati.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà l’appello.

Comincerà dall’onorevole Persico.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la Chiama.

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bonfantini – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni – Carignani – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Enrico – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montemartini – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Nergaville – Negro – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Ravagnan – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Sforza – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terracini – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valiani – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappetti – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Bellavista – Bettiol.

Canevari – Cannizzo – Caso – Cifaldi – Corsanego.

D’Amico Michele – De Caro Raffaele.

Ferrario Celestino – Fietta.

Ghidini – Gullo Rocco.

Lombardo Ivan Matteo.

Martino Gaetano – Matteotti Matteo.

Natoli.

Perrone Capano – Pignatari.

Rapelli.

Saragat.

Tremelloni.

Varvaro – Villani.

 

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Procederò io stesso allo scrutinio.

(Procede allo scrutinio).

Comunico all’Assemblea il risultato della votazione per la nomina del Capo provvisorio dello Stato:

Presenti e votanti                     431

Maggioranza speciale

dei 3/5 dei 556 membri

dell’Assemblea                        334

Hanno ottenuto voti:

Enrico De Nicola     405

(Vivissimi, generali, prolungati applausi L’Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi – Nuovi ripetuti applausi).

Voti dispersi                 6

Schede bianche           19

Schede nulle                 1

Proclamo eletto Capo provvisorio dello Stato l’onorevole Enrico De Nicola.

(Vivissimi, prolungati, reiterati applausi, cui si associano i giornalisti ed il pubblico delle tribune).

Immediatamente, insieme con l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, mi recherò dunque a comunicare al neo eletto Capo provvisorio dello Stato l’esito della votazione in uno col processo verbale che ne fa fede e ne costituisce ratifica. L’unità dei consensi, con spontanea immediatezza formatasi sul suo nome, dirà certamente al suo profondo senso politico, alla sua squisita comprensione dei nostri avvenimenti nazionali, più di quanto non potremmo noi significargli con vive parole.

Ma fin da questo momento credo di dover dire – interpretando il pensiero di tutti i membri dell’Assemblea – che, designando ancora Enrico De Nicola alla dignità cui aveva pur ora fatto rinuncia, non solo non si è inteso misconoscere il grande sacrificio da lui già compiuto fino ad oggi con scapito della sua preziosa salute, ma anzi si desidera ardentemente che questa venga circondata e sorretta d’ora innanzi da ogni più attenta cura e previdenza.

Gravi e ponderosi i compiti inerenti alla carica assegnata ad Enrico De Nicola e severo ed inflessibile in lui il senso del dovere. Tuttavia, pure restando – come volle e seppe essere nel compiuto anno – esempio a tutti di intransigente disciplina ed applicazione nel lavoro, è forse possibile un temperamento fra esigenza ed esigenza che, tranquillizzando il suo scrupolo squisito di buon cittadino della Repubblica, sodisfi insieme l’attesa di tutto il popolo, rispettosa, ma fervida, che si è espressa nel voto dell’Assemblea. (Vivissimi, generali, prolungati applausi).

Invito il Segretario a leggere il processo verbale della seduta odierna, di cui dovrà darsi comunicazione ad Enrico De Nicola.

RICCIO, Segretario, dà lettura del processo verbale.

(È approvato).

PRESIDENTE. L’Assemblea riprenderà i suoi lavori domani alle ore 11, con il seguente ordine del giorno: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

La sedata termina alle 13.10.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 11:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

MERCOLEDÌ 25 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXII.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 25 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Messaggio del Cape provvisorio delle Stato:

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

CHIEFFI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo il deputato Bettiol.

(È concesso).

Messaggio del Capo provvisorio dello Stato.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Anziché passare alla trattazione di questa materia, devo, con vivissimo rammarico, chiedere ai membri dell’Assemblea di volgere la loro attenzione ad altro argomento.

Il Capo provvisorio dello Stato mi ha fatto pervenire un messaggio che un ingrato dovere mi obbliga di comunicare immediatamente all’Assemblea Costituente. Eccone il testo:

«Roma, 25 giugno 1941.

«Illustre Presidente,

le mie coedizioni di salute – come Ella sa – mi impediscono in modo assoluto l’ulteriore esercizio delle mie funzioni. Sono costretto, perciò, a rassegnare le dimissioni da Capo provvisorio dello Stato all’Assemblea Costituente, alla quale rinnovo le espressioni della mia profonda riconoscenza per l’alto onore che volle conferirmi e chiedo venia per non aver saputo adempiere il mio dovere come avrei voluto.

«Rivolgo al popolo italiano il mio pensiero grato e devoto, formulando i voti più fervidi perché abbiano termine presto le immeritate sventure e i duri sacrifizi, che esso ha affrontato con spirito così eroico da additarlo alla ammirazione di tutte le Nazioni, e possa riprendere finalmente il posto che gli spetta nel mondo per le sue tradizioni e per le sue virtù.

«La prego di gradire, Illustre Presidente, che dirige con rara competenza i lavori dell’Assemblea per l’esame e l’approvazione della Costituzione della Repubblica d’Italia, i sensi della mia deferente considerazione e i miei cordiali ossequi.

«Enrico De Nicola».

Penso che ogni membro dell’Assemblea ed i Gruppi avvertano la necessità di riflettere ponderatamente sulla comunicazione che hanno udita, e sui problemi, gravi, che essa ci pone.

Rinvio, pertanto, i nostri lavori alla seduta che si terrà domani, 26 giugno, alle ore 11, col seguente ordine del giorno:

«Deliberazioni e votazioni relative al messaggio del Capo provvisorio dello Stato».

D’ARAGONA. Viva De Nicola!

(Il Presidente, i componenti del Governo, tutta i Assemblea ed il pubblico delle tribune si levano in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi – Si grida: Viva De Nicola! – Nuovi, vivissimi, ripetuti applausi).

La seduta termina alle 16.15.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 11:

Deliberazioni e votazioni relative al messaggio del Capo provvisorio dello Stato.

MARTEDÌ 24 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXI.

SEDUTA DI MARTEDÌ 24 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Sul processo verbale:

Corsi                                                                                                                 

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Domande di autorizzazione a procedere:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Musotto                                                                                                           

Salvatore                                                                                                        

Lussu                                                                                                                

Scoccimarro                                                                                                    

Calosso                                                                                                            

Interrogazioni (Svolgimento):

Laconi                                                                                                              

Presidente                                                                                                        

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                  

Longhena                                                                                                         

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro                                                     

Basile                                                                                                               

Porzio                                                                                                               

Mazza                                                                                                               

D’Amico Diego, Alto Commissario aggiunto per

l’igiene e la sanità pubblica                                                                                 

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Conti                                                                                                                

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza

del Consiglio dei Ministri                                                                                    

Caronia                                                                                                            

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa                                                  

Ferrarese                                                                                                         

Monticelli                                                                                                       

Ronchi, Alto Commissario per l’alimentazione                                                    

Musolino                                                                                                          

Bruni                                                                                                                

Sardiello                                                                                                         

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Notarianni                                                                                                       

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                  

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

RUSSO PEREZ, il Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

CORSI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORSI. Una mia dichiarazione di voto era chiaramente implicita nel discorso che io ebbi occasione di fare la sera precedente a quella in cui in questa Assemblea fu discusso l’ordine del giorno di fiducia al Governo.

Tuttavia dichiaro che avrei votato in conformità alla dichiarazione che qui fu letta dal collega onorevole D’Aragona.

PRESIDENTE. Aggiungo che è pervenuto alla Presidenza un telegramma dell’onorevole Varvaro, il quale dichiara che, se fosse stato presente alla votazione sulle comunicazioni del Governo, avrebbe dato voto contrario.

Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo gli onorevoli Bertone, Cannizzo, Ghidini, Pignatari, Repelli, D’Amico Michele.

(Sono concessi).

Domande di autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso le seguenti domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati:

Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, commi 2° e 3°, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. I, n. 20);

Giannini, per il reato di cui all’articolo 595, comma 3°, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. I, n. 21);

Li Causi, per il reato di cui all’articolo 595, commi 1° e 2°, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. I, n. 22);

Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, commi 2° e 3°, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. I, n. 23).

Saranno stampate, distribuite e inviate alla Commissione competente.

Svolgimento di interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con carattere di urgenza delle quali do lettura:

«Al Ministro dell’interno, sui gravi fatti avvenuti in Sicilia, e precisamente a Partinico, Carini, Monreale e in altri centri, e sui provvedimenti adottati e che intende ancora adottare.

«Musotto, Fiorentino».

«Al Ministro dell’interno, sui gravi fatti di terrore contro organizzazioni democratiche in Sicilia, e per conoscere le misure prese dal Governo, e quelle che intende prendere per scoprire e colpire i responsabili e garantire al popolo siciliano le libertà politiche e sindacali.

«Gullo Fausto, Fiore, Scoccimarro, Grieco, Maffi, Laconi».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali notizie rispondano a verità in merito alla cronaca dei giornali sulle aggressioni che si sarebbero compiute in Partinico, Cinisi ed altri in provincia di Palermo.

«Salvatore, Volpe».

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali responsabilità abbia accertato in relazione ai criminosi fatti di Partinico, di Carini e di altre località della Sicilia e quali provvedimenti abbia adottato e intenda adottare per la difesa della libertà.

«Lussu, Cianca».

L’onorevole Ministro dell’interno ha dichiarato che intende rispondere immediatamente a queste interrogazioni. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, secondo le comunicazioni pervenute al Ministero dell’interno i luttuosi fatti svoltisi in Sicilia si possono riassumere in sette attentati contro le sedi del partito comunista in sette comuni della provincia di Palermo. I danni materiali sono stati assai modesti. Si è dovuto lamentare, dolorosamente, a Partinico, la perdita d’un uomo e cinque feriti. A San Giuseppe Jato si è avuto un ferito. I fatti si sono svolti nella notte dal 22 al 23. La prima aggressione si è avuta alle ore 23, l’ultima alle ore tre del mattino.

Lo svolgimento di questi attentati è quasi analogo in tutti i comuni: si sono lanciate delle bottiglie di benzina contro gli ingressi delle sedi e poi delle bombe o scariche di mitra, evidentemente per provocare incendi, che non si sono sviluppati.

In un solo luogo, a Borgetto, l’attentato, secondo le informazioni, sarebbe stato compiuto da due individui vestiti o travestiti da carabinieri.

Questi i fatti nella loro materialità.

Appena informato di questi luttuosi avvenimenti, come è stato reso pubblico già da un comunicato ufficiale, ho convocato il Capo della polizia e il Comandante generale dell’arma dei Carabinieri, insieme col Sottosegretario per la guerra; alla riunione era presente anche il Presidente del Consiglio. Il Governo è deciso a stroncare, con tutti i mezzi, queste forme di banditismo politico.

Sono state impartite ai funzionari mandati in Sicilia disposizioni perentorie: non badino a spese, non badino a mezzi; perché nessuno più del Governo è interessato alla scoperta di questi criminali, che disonorano l’isola e gettano un’ombra di sfiducia nel nostro Paese. (Approvazioni). Sono stati messi a disposizione tutti i mezzi necessari.

Ho inviato sul posto il Capo della polizia ed il generale Branca, il quale, per essere stato lungamente in Sicilia, conosce la situazione ed è in grado di coordinare e rendere più efficace e più efficiente l’azione della polizia, per la repressione di questa forma di criminalità.

Si è verificato nella stessa notte anche un tentativo di sabotaggio contro la Centrale trasformatrice: un ordigno esplosivo è stato messo all’una e mezzo di notte ed è esploso contro la centrale di Casuzze, che fornisce energia elettrica a Palermo.

I danni sono lievi; si avrà una diminuzione di energia per qualche giorno.

Ripeto, è interesse sommo del Governo che questa forma di criminalità sia repressa. Non abbiamo elementi di giudizio. Abbiamo un dato di fatto, che ci pare sintomatico: cioè da parecchio tempo il bandito Giuliano mandava lettere minatorie a tutte le autorità, compreso il Ministro dell’interno. «Lasciatemi in pace – diceva – io scomparirò; se mi perseguitate e se perseguitate, soprattutto, i miei parenti, io mi vendicherò nel modo più crudele».

Recentemente, negli ultimi giorni, erano stati arrestati due banditi – parenti, appunto, del Giuliano – colti in flagrante, che sono stati catturati dai carabinieri, e nello stesso tempo è stato scoperto il cadavere del cantoniere Fusellino. L’assassinio di quest’ultimo è imputabile certamente agli autori della strage di Pian della Ginestra e quindi imputabile alla banda, che probabilmente sarà la stessa, che ha operato questa nuova strage, ed i sintomi sono dati dal fatto che le aggressioni seguono le minacce e l’arresto dei due criminali parenti del Giuliano. Comunque, ripeto, non abbiamo nessun dato, nessun elemento fino a questo momento per stabilire la natura e l’origine di questi fatti, se ci sono dei complici, dei mandanti e chi sono; ma posso rinnovare l’assicurazione all’Assemblea che, essendo il Governo il più interessato alla scoperta di questi assassini, noi faremo tutto intero il nostro dovere e tutti i mezzi saranno forniti perché la scoperta degli assassini possa ottenersi al più presto possibile. Misure di sicurezza sono state prese da tutti gli organi di polizia in Sicilia; abbiamo impartito ordini severissimi perché sia esercitata la più ampia vigilanza nelle sedi dei partiti che sono stati minacciati, che hanno subito il danno e che vengono minacciati di ulteriori rappresaglie, perché, come sapete, accanto alle sedi del Partito comunista colpite da questi banditi sono stati trovati dattiloscritti, a firma Giuliano Salvatore, in cui, attraverso l’esaltazione della autonomia siciliana, c’è una chiara presa di posizione contro il Partito comunista, ed in cui il Giuliano si fa banditore di una specie di crociata antibolscevica in Sicilia.

Appunto perché un partito politico è stato colpito, perché minacce sono rivolte specificatamente contro questo partito, il Governo, che ha il dovere di tutelare la libertà di tutti i partiti, la loro legittimità di esistenza e la loro possibilità di vita e l’incolumità dei loro iscritti, ha dato disposizioni perché le sedi di questo partito siano tutelate e sia evitato il ripetersi di qualsiasi minaccia e di qualsiasi attentato.

Io rinnovo questa assicurazione all’Assemblea e mi riservo, appena potrò avere dati più completi, di poter annunciare all’Assemblea – e sarei molto lieto poterlo fare al più presto – che i criminali sono stati arrestati ed assicurati alla giustizia, perché giustizia sia fatta al più presto possibile per rassicurare la coscienza dei cittadini e del popolo siciliano. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Musotto ha facoltà di dichiarare se è sodisfatto.

MUSOTTO. Onorevoli colleghi, ancora non è spenta l’eco dei fatti dolorosi del primo maggio, che funestarono la nostra povera terra di Sicilia e che nell’Assemblea ebbero unanime e commosso compianto. Due giorni addietro altri contadini caddero, e nostre sezioni sono state devastate ed incendiate, così come devastate ed incendiate sono state Camere del lavoro.

Io ho inteso i provvedimenti che ha adottato il Ministro dell’interno ed anche la promessa che altri provvedimenti dovrà adottare.

Signor Ministro! Io voglio dire una parola serena, se pur accorata, ma anche franca. Dopo il primo maggio, dopo i fatti del primo maggio, la stessa interrogazione, le stesse assicurazioni da parte sua. Se non erro, in quella tragica occasione, anche il Ministro dell’interno si recò in Sicilia. Che cosa ha lei fatto allora? Nessuna disposizione ha preso, nessuna; ed ha fatto allora le promesse che in questo momento fa all’Assemblea.

Sono trascorsi due mesi. Nessun provvedimento da parte del Governo. Occorrevano dunque i nuovi avvenimenti, per prendere le misure che lei oggi ci ha annunziate?

Senta, onorevole Ministro, noi non vogliamo fare delle speculazioni politiche; troppo sangue è stato sparso, e troppo lutto c’è in Sicilia; e lo dico con gran dispiacere, e l’Assemblea vorrà scusarmi questa affermazione, che trae vigore non da impressioni personali – non avrebbero valore – ma dalle notizie che ci pervengono dalla Sicilia. Sono infatti di stamane le lettere pervenute a me e ad altri compagni, deputati siciliani, tra cui il compagno onorevole Fiorentino.

Senta, anche Lei, Presidente del Consiglio, lo dico con franchezza e non voglio fare della speculazione politica, sarebbe fuori posto. C’è in Sicilia diffusa questa consapevolezza, che contro i partiti di sinistra si possa, non dico legittimamente, ma impunemente alzare il braccio, sparare il mitra e lanciare la bomba dopo l’estromissione dal Governo. (Approvazioni a sinistra). Ed è grave. Del resto i partiti di sinistra sono stati chiamati partiti del disordine: il disordine non è da questa parte; è dall’altra.

Nessuna speculazione politica dunque. Non vorrà credere, onorevole Ministro, che bastino i soli provvedimenti di polizia per risanare l’anima siciliana, per correggere questa atmosfera arroventata, che gli avvenimenti hanno creata. Occorrono altri provvedimenti, soprattutto politici e sociali: occorre dare ai cittadini di Sicilia la consapevolezza che lo Stato è di tutti e per tutti. Dinanzi alle affermazioni giuridiche, sociali, politiche dello Stato, non vanno consacrati dei privilegi, né vanno stabilite delle distinzioni. Quando si sarà dato al popolo siciliano questa consapevolezza, questo popolo nobilissimo – martoriato, ma nobilissimo – potrà riprendere la sua vita normale: la riprenderà, onorevole Ministro dell’interno, ne sia certo.

Io l’altra volta ebbi l’onore di fare una interrogazione, e tentai di sollecitare con appassionata parola il senso della sua responsabilità. Torno anche oggi a sollecitarlo.

I provvedimenti che lei ha emanati siano eseguiti con infallibile ed oculata energia, sopratutto con giustizia. Noi uomini di sinistra vogliamo l’ordine e la sicurezza delle nostre case e delle nostre campagne, perché siamo consapevoli che semplicemente con l’ordine e con la sicurezza, la prosperità e l’avvenire delle classi lavoratrici saranno assicurati.

Onorevoli colleghi, io vi ringrazio della vostra espressione di compianto, e ve ne rendo grazie anche a nome del popolo siciliano, e delle famiglie delle vittime. Sappiamo inchinarci dinanzi a coloro che cadono per la nobiltà della loro idea. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Salvatore ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SALVATORE. Onorevoli colleghi, compio innanzi tutto il dovere di manifestare la più profonda solidarietà cristiana verso coloro che sono stati colpiti; colpiti in quello che costituisce il diritto più forte, il diritto più bello dell’animo nostro: il diritto alla libertà e alla serena professione della propria fede. È con angoscia che noi constatiamo, ancora una volta, il susseguirsi di episodi i quali per qualche momento possono anche investire di una luce non del tutto bella, di una luce direi addirittura fosca, la terra nostra di Sicilia, terra ricca di uomini di pensiero e di azione.

Io mi auguro, come si augurava testé l’oratore che mi ha preceduto, che presto abbia a cessare lo snocciolio di episodi abbastanza tristi e che avviliscono nell’intimo l’animo nostro.

Ho fiducia in quelli che il Ministro dell’interno ha qui oggi annunciati come immediati provvedimenti. Ma al Ministro dell’interno, di cui conosco la robustezza di propositi e la tenacia di intendimenti, raccomando che anche gli organi che da lui dipendono abbiano, nella loro attività, a dimostrare la tenacia che egli dimostra, e che cioè ogni manifestazione di criminalità abbia una buona volta, e per sempre, a cessare nella nostra Sicilia. Noi molte volte queste speranze abbiamo avvivate e molte volte esse sono andate incontro alla delusione. Anche prima ancora che al Ministero dell’interno ci fosse l’odierno titolare, ed anche quando a capo della Sicilia vi erano altri uomini, tenaci e ben risoluti, purtroppo, alle buone intenzioni ed alle promesse non è seguita che l’amarezza della delusione.

Onorevoli colleghi, l’appello che le manifestazioni di criminalità abbiano una buona volta a fermarsi accomuna uomini di tutti i banchi in quest’Aula. Noi sentiamo che, perché nella nostra Sicilia abbia veramente a seguire una lunga giornata di serenità e di tranquillità, è necessario che il delitto sia definitivamente allontanato dalle preoccupazioni della nostra popolazione; perché la Sicilia nostra, che è bella fra le belle regioni d’Italia, sente il bisogno di vedere allontanata dal suo suolo un’ombra che potrebbe esserle funesta; ed io mi auguro che non abbiano a ripetersi quelle legittime lamentele che si deprecano qui e mi auguro che, per opera del Governo, abbia ad essere annunciata qui una parola che assicuri a tutti la tranquillità, la restaurazione del benessere sociale e di quella giustizia che già ebbe ad essere troppe volte violentata. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Lussu ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LUSSU. A nome del mio Gruppo io intervengo in questo miserabile affare per segnalare la gravità del fatto, così come noi lo vediamo e per segnalarlo soprattutto al Governo.

Il grave di questo triste episodio è che esso esplode – non voglio fare dell’ironia, ma viene spontaneo – quasi come un applauso dopo la fiducia votata a questo assurdo Governo. (Commenti – Proteste al centro).

FUSCHINI. Cosa c’entra questo?

LUSSU. Dico che la cosa è grave. I colleghi ricordano ancora l’episodio del 1° maggio in Sicilia? Questo è una ripetizione, in grande forma, e non c’entra più la Sicilia, né il comunismo; qui c’entriamo tutti, di tutti i partiti, c’entrano persino – se non sbaglio – l’onorevole Scelba e l’onorevole De Gasperi; e coloro che sono stati qui 26 anni fa ricorderanno come questa faccenda è cominciata e come poi è andata a finire: è cominciata dai comunisti, poi è passata ai socialisti, e poi ci sono passati tutti e, se non sbaglio, è accaduto che l’onorevole De Gasperi è andato a finire in galera anche lui, e mi pare anche l’onorevole Scelba. Ora, fino a che questi episodi sono colpiti da una sanzione immediata, restano deprecabili e volgari episodi criminali; ma se non interviene pronta la sanzione penale, onorevoli colleghi ed egregi rappresentanti del Governo, noi ci troveremo di fronte a veri episodi di guerra civile.

Ed allora io sento – io che ho vissuto le passate vicende in quest’Aula, come parecchi altri colleghi – che bisogna fare veramente appello alla vostra coscienza antifascista. Onorevole De Gasperi e onorevole Scelba, voi siete entrambi antifascisti militanti, come noi; se non lo siete adesso, francamente noi sentiamo che non comprendiamo più nulla dell’avvenire del nostro Paese. (Applausi a sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SCOCCIMARRO. Onorevoli colleghi, a breve distanza di tempo, ancora una volta viene a noi dalla terra di Sicilia un grido di dolore e di angoscia: altri lavoratori sono caduti, nuovo sangue del proletariato è stato versato.

Noi non possiamo non porci una grave domanda che altre volte ci siamo posti. Che cosa significano questi avvenimenti? Noi poniamo il problema oggi in modo particolarmente energico perché, come non ci convinse il giudizio del Ministro dell’interno sulla carneficina di Portella della Ginestra, non ci convincono oggi le parole del Ministro. I morti pesano: vi sono dei conti che si possono rinviare, ma viene prima e poi il giorno della inevitabile resa dei conti.

Dopo il 1° maggio si disse che quella carneficina non era un delitto politico: questo era un incoraggiamento involontario per quelle forze politiche che tali mezzi, di lotta avevano prescelto contro i lavoratori e contro di noi: era un errore politico.

Oggi compare all’orizzonte il bandito Giuliano. È veramente sorprendente che il Ministro dell’interno, in un comunicato ufficiale, non abbia trovato altro da dire che si trattava di atti di delinquenza comune: non una parola che esprimesse un giudizio politico. Si è fatto un riferimento formale al rispetto delle leggi e della democrazia, ma nulla si è detto al Paese sul significato di questi avvenimenti.

Quello che non si è detto dal banco del Governo, possiamo dirlo noi, dal nostro banco. E mi dispiace dover dire queste parole oggi che siamo all’opposizione, perché potrebbe sembrare che, solo perché ci troviamo in questa particolare posizione, noi diamo un particolare giudizio su questi avvenimenti; ma io pronuncerei le stesse parole, anche se qualche rappresentante del mio partito sedesse al banco del Governo.

Io non so se il bandito Giuliano sia o no l’autore materiale di quei fatti; ne dubito assai. Quello che a me interessa sapere, invece, è per quali motivi, sotto l’impulso di quali forze e con quale obiettivo si è incominciata in Sicilia la guerra civile che, per ora, si combatte solo da una parte, perché noi cerchiamo di evitare ogni scatenamento di odio popolare. Ma, badate, che c’è un limite anche per noi, per voi, per tutti i democratici.

Voi non potete ignorare che da quindici, venti giorni i dirigenti delle organizzazioni operaie e delle leghe contadine sono stati minacciati da varie parti. C’è qui alla Presidenza una interrogazione presentata dagli onorevoli Li Causi e Montalbano, dalla quale risulta che gli autori di quelle minacce non erano il bandito Giuliano o i suoi seguaci. Gli autori sono quei proprietari di feudi ai quali le leghe contadine avanzano richieste per concessione di terre incolte ai contadini.

Per stroncare questo movimento, per arrestare questo anelito di rinascita delle masse lavoratrici siciliane, si cerca di ricorrere ad un vecchio metodo di lotta: uccidere i capi, uccidere i dirigenti.

Noi abbiamo in Sicilia alcuni dei nostri migliori compagni, come Li Causi ed altri, che hanno la vita minacciata tutti i giorni: noi non ci meraviglieremmo un giorno se dovessimo ricevere notizia del loro assassinio, ma essi restano al loro postò di combattimento per fare il loro dovere; questo hanno fatto per tutta la loro vita.

Onorevole Scelba, badi che, se avvenimenti di questo genere dovessero ancora ripetersi, non ci sarebbe forza di disciplina capace di impedire il prorompere dello sdegno popolare.

Voi sapete quanti scioperi noi abbiamo evitato in questi giorni, ma non illudetevi: non crediate che le masse dei lavoratori italiani non si rendano conto di quello che sta avvenendo oggi nel nostro Paese. Ora, quello che avviene in Sicilia è una cosa molto complessa, ma è anche una cosa semplice: è la reazione agraria che vuole definitivamente stroncare il movimento dei contadini.

È questo il senso vero e profondo di quello che sta accadendo. Inutile quindi andare a ricercare se ci sono o non ci sono dei banditi, se si tratta o non si tratta della banda di Giuliano: questi sono aspetti esteriori. Non basta procedere ad arresti, non basta che la polizia, quando vi riesce, metta le mani su questo e quel delinquente. Occorre un’azione politica energica e decisa, la quale faccia comprendere che nello Stato repubblicano italiano quei metodi di lotta che favorirono l’affermarsi del fascismo e che si consolidarono col fascismo oggi non sono più possibili.

Poiché, signori, noi parliamo oggi della Sicilia; ma volgiamo lo sguardo alla Puglia, alla Campania ed altrove: sapete voi che ci sono paesi, nell’Italia meridionale, dove gli antifascisti non possono più andare alle loro case? E sapete che vi sono paesi dove impunemente si canta Giovinezza? E sapete che cosa avviene, ad Ischia?

Naturalmente là dove più dura ed aspra è la lotta si passa già alla guerra civile. Signori, dai banchi della Destra, nei giorni scorsi, proprio dopo che io definii il carattere della nostra opposizione costruttiva e leale, si levava una voce a denunciare in noi coloro che preparano la guerra civile. Ed ora ecco i fatti: chi è che prepara la guerra civile?

Sono le forze e gli esponenti di quegli interessi i quali trovano caso mai espressione nelle correnti politiche che siedono in quei banchi. È là che bisogna andare a ricercare le responsabilità di quello che avviene oggi.

Ma c’è di più. La sera in cui questa Assemblea dava con 43 voti di maggioranza la fiducia al Governo, l’onorevole De Gasperi formulò, credo alla stampa, un giudizio politico che ci ha molto impressionato: Abbiamo messo una barriera fra le forze dell’ordine e le forze del disordine.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non è esatto, non è roba mia: non ne assumo la responsabilità. Non è il mio stile, e lo sa bene.

SCOCCIMARRO. Ne sono lieto, ma allora, onorevole De Gasperi, permetta una parola: quando le capita un infortunio di questo genere, una semplice parola di smentita serve a dissipare molte preoccupazioni.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. L’ho letto questa mattina quando sono ritornato da Milano; non l’avevo ancora letto.

SCOCCIMARRO. Poiché il problema è questo: quando ci si accusa di preparare la guerra civile; quando vediamo organi di stampa a carattere neo-fascista i quali scrivono: «è giunto il tempo di mettere i comunisti fuori della legge» – e questi giornali si stampano, si pubblicano, sono esposti nelle edicole – quando poi sentiamo un uomo responsabile come lei pronunciare tali giudizi, drizziamo le orecchie. Lei capisce perché. Perché, onorevole De Gasperi, non lo dico per lei, ma per chiunque potesse pensare questo, noi non siamo più disposti a farci mettere fuori della legge da nessuno. Lo si tenga ben presente.

Ma perché avviene tutto questo oggi? Bisogna tener presente un fatto obiettivo: il giorno in cui questo Governo ha avuto la maggioranza nell’Assemblea, le forze più retrive, più reazionarie del nostro Paese hanno incominciato a dire: «Incomincia ad arrivare l’ora nostra». In Puglia e in altri paesi i reazionari locali hanno cominciato a picchiare comunisti e socialisti, dicendo: «Adesso ve la faremo vedere noi; abbiamo il nostro Governo». (Commenti al centro).

Obiettivamente, il modo come è stato costituito questo Governo apre la via alle forze della reazione; anche contro la vostra volontà e contro la vostra intenzione. Quello che avviene in Sicilia non mi meraviglia; finché c’erano i comunisti nel Governo si pensava che vi poteva esserci il rischio di subire qualche conseguenza per i propri delitti. Oggi si pensa che sia più facile l’impunità. Il Governo deve preoccuparsi del come l’opinione pubblica reagisce agli avvenimenti e ai fatti politici, e non può non tenerne conto. Ora, questa è l’opinione che si è diffusa in Italia: quelle forze che ieri dovevano piegarsi alla legge ed accettare anche controvoglia le deliberazioni legali del Governo, oggi ritengono di poterle anche spregiare. Perché? Signori, poco prima che l’onorevole Grassi fosse nominato Ministro della giustizia, aveva presieduto un’assemblea di agrari, nella quale si era deciso il sabotaggio delle leggi del Governo e la resistenza, si dice, anche a mano armata. Poco dopo quella riunione i proprietari terrieri hanno visto il loro presidente Ministro della giustizia; voi potete subito pensare quali conseguente ed illazioni ne hanno tratto.

E in Sicilia, dove si cammina sui margini della guerra civile, non si è scherzato: si è passati all’azione. Questa storia del bandito Giuliano ha un solo significato: non solo giustificare i morti che ci sono stati, ma anche quelli che verranno; ci sarà sempre un bandito-fantasma per coprire le responsabilità vere e reali.

Ora, io mi domando – la Sicilia non è un continente, la Sicilia ha cinque milioni di abitanti: è mai possibile che un gruppo di banditi possa impunemente agire, per tanto tempo, se non è circondato da un’atmosfera che lo protegge, dall’omertà che penetra negli stessi organi governativi locali? Non è possibile che questo non avvenga. D’altra parte, quando prendete in mano quel ridicolo manifesto del cosiddetto bandito Giuliano, questi vi dice dove ha posto il quartier generale, vi dà il nome del feudo, apre gli arruolamenti, invita a presentarsi con documenti di riconoscimento per i sussidi da dare alle famiglie. Ora, voi che avete creduto alla storiella del bandito Giuliano, non ci avete detto una sola parola di questo manifesto pubblicato in tutta la stampa, non avete mandato a vedere cosa succedeva in quel feudo dove si troverebbe il quartiere generale, da dove si organizza e si dirigono le operazioni contro le sedi comuniste e socialiste, contro le Camere del lavoro e le organizzazioni operaie. Questo bisognava fare e non avete fatto. Perché? Ci credete o non ci credete alla storia del bandito Giuliano?

Ma c’è anche un’altra preoccupazione e cioè: la convinzione diffusa in Italia che finalmente si son cacciati via i comunisti e i socialisti dal Governo e vi sono entrati altri che permetteranno di ricominciare le antiche gesta contro i lavoratori.

Ora, non dirò parole grosse, non dirò parole di minaccia, anzi io riaffermo che oggi ancor più che per il passato noi faremo di tutto per impedire qualunque azione violenta, qualunque atto che turbi la vita democratica del Paese! Oggi che siamo all’opposizione, noi sentiamo ancor più forte il dovere di imporre a tutti il rispetto della legalità e delle libertà democratiche!

Però non dimentichiamo la realtà. Volete liquidare la reazione? Volete porre termini agli assassinî politici? Liquidate i grandi feudi agrari, legalmente ma energicamente, e vedrete che questa sanguinosa reazione in breve tempo finirà! E non accontentatevi di correre dietro al bandito Giuliano, di mettere taglie: tutto ciò è ridicolo! La realtà politica è un’altra!

SCELBA, Ministro dell’interno. Ma esiste Giuliano! È un bandito!

SCOCCIMARRO. Va bene, arrestatelo come si arresta un qualsiasi delinquente, ma non crediate di aver risolto così il problema politico. Giuliano può anche vendersi. Ma non è questo il problema! Vede, onorevole Scelba, il problema del bandito Giuliano come lo pone lei può porselo il questore, il direttore generale della pubblica sicurezza, come problema puramente criminale; ma il Ministro dell’interno deve inquadrare il problema degli assassinî politici. Nella situazione politica, deve porsi e risolvere un problema politico. Lasci fare ai suoi funzionari i rapporti particolareggiati sul bandito Giuliano. Lei guardi questi problemi un po’ più dall’alto e allora scoprirà che c’è qualcosa di più da fare che non denunciare il piccolo o il grande delinquente. C’è tutta una politica da fare!

È per questo che, essendo stato il nuovo Governo considerato come un lasciapassare alle forze della reazione, noi vediamo con preoccupazione l’avvenire, e le sue parole non ci assicurato per nulla.

Noi non abbiamo fiducia nelle sue parole, non abbiamo fiducia politica nel Governo, perché quelle incrostazioni reazionarie che lei stroncare dovrebbe, quelle forze che dovreste spezzare, sono proprio quelle a cui vi appoggiate, che vi dànno la loro fiducia è che oggi vi sostengono contro comunisti e socialisti.

Questo è il problema, il quale si aggrava per il fatto che oggi in tutta l’amministrazione dello Stato, per effetto del nuovo Governo, avviene uno sbandamento verso destra, in senso antidemocratico, e questo fatto si ripercuoterà in tutti i campi d’azione del Governo, e vi impedirebbe di realizzare quella che potrebbe essere anche la vostra volontà. Perciò è un grave errore quello che si è fatto col recente Governo. E concludo. Noi abbiamo contenuto l’impeto del nostro sdegno, la ribellione della nostra coscienza. Non possiamo pensare a quei morti senza sentirci irrigidire nella decisa volontà di impedire ad ogni costo che questi fatti sciagurati si ripetano, che si ripeta quello che è già avvenuto in passato nel nostro Paese.

Sul terreno della legalità democratica noi batteremo le forze reazionarie. Comunque si sappia che contro di noi non servono i mezzi del terrore. Non ci spaventano. Noi continueremo per la nostra via. Abbiamo superato ben altre tempeste, supereremo anche questa. Dal Governo attendiamo azione decisa: fatti e non parole. Però non abbiamo fiducia, non siamo sodisfatti. Dalle sue parole, onorevole Scelba, attendevamo un giudizio politico e non il rapporto di un agente di polizia.

Noi conosciamo il nostro dovere. Sappiamo che il popolo italiano attraversa un momento pericoloso: mai come oggi è stata possibile la provocazione. Faremo di tutto per non lasciarci provocare, per non lasciar provocare le classi lavoratrici. Ma badate: vi sono forze che possono sfuggire al controllo di qualsiasi partito, e allora la responsabilità sarà vostra, soltanto vostra. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Nel corso della discussione è stata presentata un’altra interrogazione sullo stesso argomento dagli onorevoli Calosso, Corsi, Lami Starnuti, Persico, La Malfa:

 

«Al Ministro dell’interno sui fatti di Sicilia».

 

Evidentemente il Ministro dell’interno ha risposto anche a questa interrogazione. Ora, in via di eccezione, data la particolare importanza dell’argomento, do facoltà all’onorevole Calosso di dichiarare se sia sodisfatto.

CALOSSO. A nome del Partito socialista dei lavoratori italiani e della Democrazia del lavoro, mi associo alle parole dette dai colleghi.

Dovremmo mettere in luce un punto speciale, ed è che su questa questione grava l’ala sinistra d’un sottinteso. Il sottinteso è noto a tutti, perché abbiamo tutti presente quello che è avvenuto dal 1919 al 1922. Allora si potevano colpire i giovanotti che usavano il manganello, ma l’agrario che era dietro quei giovanotti non si colpiva, sebbene tutti sapessero chi fosse.

Sono questi i sottintesi, e non sono cose difficili perché già le conosciamo tutti.

La prima constatazione evidente è che sono gli agrari che hanno assassinato. L’altra è questa, che quando andò su Giolitti nel 1920, non è che volesse aiutare il fascismo; lo voleva schiacciare e tutto il suo pensiero era orientato in questo senso. Tuttavia c’era un sottinteso che noi socialisti, comunisti, democratici cristiani comprendevamo benissimo ed era che in Roma, nonostante la volontà di Giolitti, c’era qualche cosa che non andava. Forse non era una connivenza con Giolitti, ma una mancanza di attività, di vigilanza, di avanscoperta. Ora per questo c’è un Governo. In questo momento abbiamo paura tutti – e immagino anche il Ministro Scelba – che in qualche ufficio di Roma, in qualche zona, ci sia questa connivenza che si chiama pigrizia, poca fede, mancanza di sensibilità. Io voglio parlare di un sottinteso, non voglio arrivare a dire ciò che non so. Non credo che il Presidente del Consiglio, che era accanto a noi nel 1919 e nel 1920, sia inferiore a noi nell’odio al fascismo. Ma anche Giolitti odiava il fascismo e non gli andavano i manganelli.

Cos’è avvenuto? Un cambio di Governo: in un attimo si è passati dal comunismo al qualunquismo; in un attimo si è divisa l’Assemblea secondo una linea che disegna una destra ed una sinistra: il che è pericoloso anche se non è fatto a posta. E subito dopo assistiamo a questo fatto. È impossibile per noi e tanto meno per il Ministro dell’interno non tener conto della gravità di questo fatto.

Vi sono anche altri sottintesi che avremmo dovuto dire nel 1919. Io credo che noi di sinistra abbiamo commesso degli errori, come allora. Noi li conosciamo e sarebbe bene conoscerli anche adesso. Nonostante la buona volontà e l’esperienza, non sempre abbiamo a sinistra quel senso della legalità che vogliamo dagli altri; e, benché in misura minore, è innegabile che abbiamo disordini anche a sinistra; non è vero, compagno Di Vittorio?

Perciò è importante imparare anche noi che prima di lanciare delle manifestazioni di massa bisogna pensarci come ci pensa la Confederazione del lavoro; perché ciò può dar luogo a quella battaglia frontale che stanca tutti e fa nascere il fascismo. È per questo senso di responsabilità che potrei pensare a uno schieramento diverso del Governo in cui non ci fosse un taglio fra destra e sinistra. Ma c’è un’altra considerazione. L’altro giorno abbiamo sentito dall’onorevole Corsi una critica, veramente rivoluzionaria, contro il Governo attuale, ma anche contro la tradizione giolittiana e perfino la collusione giolittiana con le sinistre, che è tradizionale in Italia; per cui si è sempre gridato molto, ma non si è risolto il problema agrario sul serio. Si è fatto sempre il giuoco dei monopoli del Nord. Ora il lato rivoluzionario – in parole modeste – del discorso l’onorevole Corsi era che egli metteva il dito sulla piaga. Attenti che abbiamo gridato molto all’invasione di terre, sotto l’impulso immediato, in base all’articolo 19 della legge comunale e provinciale; ma non abbiamo neanche continuato a fare quello che prima si faceva. Prima del crollo del fascismo, prima della guerra, c’era una classe feudale, una classe agraria, la quale stava impoverendosi, perché le ipoteche cominciavano a gravare; non aveva più un dominio esclusivo, conosceva i bassi prezzi, si copriva di ipoteche. Oggi non abbiamo saputo prendere la palla al balzo: iniziare la riforma agraria, come in tanti Paesi d’Europa è stato fatto; anche senza arrivare a misure gravi, anche modestamente. Oggi la classe agraria, attraverso l’inflazione, sta liberandosi delle ipoteche e sta riprendendo il dominio esclusivo delle campagne.

Avviene non una rivoluzione, ma una controrivoluzione.

E perciò sulle linee, molto belle, se pure modeste – come, del resto, tutto ciò che è rivoluzionario – del programma proposto dall’onorevole Corsi, direi una cosa, che può sembrare un po’ ingenua, come molte cose che io dico: perché non iniziamo oggi, onorevole De Gasperi, una riforma agraria, lasciando ai carabinieri il compito di cercare il bandito Giuliano?

Noi domandiamo cose fattibili. Immaginate se avessimo investito nel 1919 un certo numero di milioni per non avere il fascismo, che ottimo contratto avremmo fatto!

Ora, se investissimo un certo numero di miliardi per non riavere il fascismo?

Io desidero una risposta dal Governo, non le sue dimissioni, come dice l’onorevole Lussu, il che sarebbe pretendere un po’ troppo. Credo che sarebbe bene nominare una Commissione, per iniziare l’esame della riforma agraria sulle linee accennate dall’onorevole Corsi.

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. Esaurito lo svolgimento delle interrogazioni urgenti, passiamo a quelle iscritte all’ordine del giorno.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi è stato detto che nella seduta scorsa l’onorevole De Gasperi ha chiesto che non fossero iscritte all’ordine del giorno di oggi le interpellanze, mentre nella seduta del 14 giugno si era impegnato a rispondere nella prima seduta dopo il voto sulle comunicazioni del Governo.

Siccome io, per caso, non ero presente, desidero sapere per quale ragione quella richiesta è stata fatta.

PRESIDENTE. È questa una di quelle questioni che si sollevano in sede di formazione dell’ordine del giorno.

LACONI. Io non mi ritenevo obbligato a essere presente ad una ulteriore discussione su una decisione già presa.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, questa non è la sede per una discussione del genere. Se lei desidera conoscere le ragioni dell’ultima decisione dell’Assemblea, può consultare i processi verbali ed i resoconti stenografici.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo che siano discusse insieme le interrogazioni degli onorevoli Longhena e Basile.

PRESIDENTE. Sta bene. L’interrogazione dell’onorevole Longhena è la seguente:

Al Ministro dell’interno, «sulla situazione finanziaria delle amministrazioni ospedaliere. L’interrogante ricorda di avere, otto mesi or sono, chiesto al Ministro dell’interno se non credesse opportuno, per sovvenire alle disagiate finanze delle amministrazioni ospedaliere, riapplicare il decreto 2 febbraio 1922, n. 114, e avendo avuto risposta non soddisfacente, di aver presentato nel dicembre scorso una interpellanza, alla quale non s’è creduto neppure di rispondere. Il Congresso delle amministrazioni ospedaliere, radunato nel marzo a Torino, ha riconfermato il voto avanzato dall’interrogante. Nuovamente ha fatto seguito il silenzio. Alle invocazioni di aiuto, ai telegrammi disperati, s’è opposta una tranquilla indifferenza. Ora si verifica ciò che era facile prevedere: gli ospedali non possono più pagare medici, impiegati, personale di assistenza. L’interrogante chiede che cosa pensi l’onorevole Ministro dell’interno e se reputi le dimissioni di tutti gli amministratori degli ospedali risposta all’indifferenza onde fin qui furono circondati i loro appelli insistenti».

L’interrogazione dell’onorevole Basile è la seguente:

Ai Ministri del tesoro e dell’interno, «per conoscere fino a quando dovrà perdurare l’attuale stato di grave disagio degli ospedali che non sono in grado di provvedere ai bisogni più essenziali dell’assistenza degli infermi».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’adozione, nelle odierne circostanze, di un provvedimento legislativo simile a quello che fu adottato dopo la guerra del 1915-18 e precisamente il decreto 2 febbraio 1922, n. 114, citato dall’onorevole Longhena, per ovviare, in favore degli ospedali, alla mancata riscossione dei crediti di spedalità verso i Comuni, non è stato ravvisato necessario, in quanto si è cercato di realizzare e si è realizzato, con la Cassa depositi e prestiti, un accordo in base al quale si potevano raggiungere, e a condizioni più favorevoli, gli stessi risultati.

Infatti, in base al decreto del 2 febbraio 1922, n. 114, il Ministero dell’interno fu autorizzato a fare anticipazioni agli ospedali fino all’importo massimo di 125 milioni, mentre il Ministero del tesoro fu autorizzato, a sua volta, ad attingere i mezzi necessari per tale spesa mediante l’emissione di buoni del tesoro quinquennali, secondo le disposizioni contenute nel decreto 5 maggio 1916, n. 505, sulle spese straordinarie di guerra.

In corrispondenza a tali anticipazioni, gravate dell’interesse del 4 per cento, venivano ceduti a favore all’Erario i crediti certi e liquidi degli ospedali per rette di spedalità verso i Comuni, e questi ultimi si obbligavano a rilasciare, per un periodo massimo di 5 anni, delegazioni sulle sovraimposte o su altri cespiti di entrata dati in riscossione all’esattore.

Invece, in seguito alle trattative condotte fra il Ministero e la Cassa depositi e prestiti, quest’ultimo Istituto ha messo a disposizione un fondo di un miliardo di lire da erogarsi nella concessione di mutui ai Comuni, destinati esclusivamente alla estinzione di debiti verso gli ospedali.

Questo sistema appare più conveniente dato il maggiore respiro per ammortamento, che è stabilito secondo le norme generali vigenti, per i mutui concessi dalla Cassa depositi e prestiti, in 30 anni, dilazionabili finora 50 anni, mentre il periodo di ammortamento fissato dalla legge speciale del 1922 fu di 5 anni.

Con la messa a disposizione a favore dei Comuni da parte della Cassa depositi e prestiti del detto fondo di un miliardo, il problema del congelamento dei crediti degli ospedali per rette di spedalità arretrate dovrebbe ritenersi risolto essendosi accertato che l’ammontare dei crediti stessi, al 31 dicembre 1945, corrisponde appunto, in totale, a lire 1 miliardo e 7 milioni.

Le singole operazioni di mutuo sono già in corso e le pratiche vengono espletate con la massima rapidità.

Permane, indubbiamente, molto grave, nei riflessi delle finanze ospedaliere, il problema della liquidazione delle spedalità correnti, che è compromesso dalla sistematica inadempienza dei Comuni, i quali non soltanto omettono di versare l’importo delle spedalità, a mano a mano che vengono loro addebitate dagli enti, ma addirittura iscrivono nel bilancio previsioni di spesa per rette di spedalità inadeguate al reale costo del servizio.

Altro motivo di difficoltà: la riluttanza degli enti ospedalieri di adeguare le rette al costo del servizio.

Le difficoltà vengono altresì aggravate dal fatto che le amministrazioni ospedaliere non inviano i bilanci in tempo.

A tale proposito il Ministero, con circolare 12 febbraio 1947, n. 25272/15, ha dovuto richiamare l’attenzione dei prefetti sulla necessità di curare che gli stanziamenti nei bilanci comunali siano sufficienti per il finanziamento della spesa di cui trattasi, nonché sulla necessità di disporre perché le amministrazioni ospedaliere, vincendo la resistenza dei comuni, provvedano, ai sensi dell’articolo 78 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, a che la misura delle rette di degenza venga adeguata al reale costo del ricovero e della cura.

Inoltre, il Ministero ha dato disposizioni ai prefetti perché, sui fondi che lo Stato eroga a favore dei comuni per integrare i bilanci deficitari, vengano senza altro trattenute le somme necessarie per soddisfare i debiti di spedalità.

Oltre a ciò il Ministero, sempre che siano state presentate fondate richieste dagli Ospedali, è intervenuto e interviene, nei casi più urgenti, con sovvenzioni dirette a fronteggiare le deficienze di cassa ed a garantire, nei limiti del possibile, la continuità dei servizi.

È stata avanzata la proposta, per risolvere radicalmente il problema, di estendere a tutti gli enti ospedalieri le disposizioni vigenti per Roma, in virtù delle quali lo Stato anticipa l’importo delle spedalità liquidate a carico dei Comuni e se ne rivale addebitando a questi il relativo importo.

Tale proposta è stata sottoposta all’esame del Ministero del tesoro, e sono ora in corso accertamenti intesi a stabilire l’onere che deriverebbe da un siffatto provvedimento al bilancio dello Stato in rapporto alle sue possibilità e disponibilità, nonché lo studio di accorgimenti tecnici idonei a risolvere l’importante problema nell’ambito dell’attuale sistema finanziario, che stabilisce l’onere comunale di tale servizio.

Il Governo segue con ogni attenzione tale problema la cui risoluzione è resa peraltro difficile dalla generale situazione economico-finanziaria degli enti pubblici.

PRESIDENTE. L’onorevole Longhena ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LONGHENA. Egregio Presidente ed onorevoli colleghi, io avrei desiderato che al suo banco avesse continuato a sedere il Ministro dell’interno e fosse presente pure il Ministro del tesoro, perché l’interrogazione che io ho rivolto ai signori del Governo non è una delle solite interrogazioni. È un grave problema che è necessario si affronti e si affronti con sollecitudine. Siccome la mia interrogazione si riallaccia ad una precedente interpellanza che non fu mai svolta, io desidererei un po’ di tempo, oltre i cinque minuti sacramentali.

Dunque la condizione degli ospedali è questa: gli ospedali d’Italia si trovano con bilanci economici quasi dappertutto confortanti, tanto è vero che parecchi di essi hanno chiuso il consuntivo del 1945 con un disavanzo di pochi milioni. Viceversa i bilanci finanziari sono in condizioni veramente disastrose. Perché? Perché gli ospedali vivono delle rette che i Comuni pagano per i loro ammalati. I Comuni dal 1944 non pagano più un soldo; è necessario quindi che noi facciamo fronte a tutte le spese, chiedendo alle nostre tesorerie dei fidi. I fidi si sono ingranditi quasi all’inverosimile.

I fidi sono arrivati a centinaia di milioni. Le banche, le tesorerie, hanno posto giustamente un limite. Oggi ci troviamo in questa condizione: che non possiamo più né pagare gli impiegati, né pagare gli infermieri, né comprare le medicine e neppure mantenere gli ammalati, perché i numerosi creditori non vogliono più farci eredito.

Vi citerò alcune cifre: gli ospedali dell’Emilia (su 14.800 letti, 12.000) hanno mandato a me i loro conti. Hanno 495 milioni di credito verso i comuni, e 280 milioni di credito verso altre amministrazioni, non escluso il Ministero degli interni e compresi molti altri Ministeri.

Ora, di fronte a questi crediti, essi hanno contratto dei debiti che oggi le banche non vogliono più aumentare. Nel luglio dell’anno scorso io presentai un’interrogazione. Rispose l’amico Corsi. Rispose che non era possibile riapplicare il decreto del 2 febbraio 1922, ed aveva ragione, perché allora, nel 1922, si trattava di piccole somme. Già nel 1945 i 125 milioni stanziati nel 1922 sarebbero stati del tutto insufficienti, anche per un solo ospedale, e quindi l’amico Corsi mi consigliava di ricorrere alla Cassa depositi e prestiti, la quale, in quel frattempo, aveva avuto un miliardo circa per somministrare prestiti ai Comuni, sotto questo titolo.

Ed io, obbedendo al consiglio, convocai quasi tutti i sindaci dei Comuni del Bolognese. Conseguenza: assicurazioni che i Comuni avrebbero provveduto. Ma nessun Comune ha chiesto nemmeno un centesimo alla Cassa depositi e prestiti.

Allora io rivolsi un’interpellanza il 10 dicembre. Alla interpellanza non si diede alcuna risposta. Nel contempo si formavano le federazioni regionali degli ospedalieri, si radunava un congresso a Torino. A Torino il problema ospedaliero fu esaminato in tutta la sua ampiezza. L’avvocato Colombo, di Milano, in tale congresso propose che si chiedesse alla Cassa depositi e prestiti un anticipo, per i singoli ospedali, di un trimestre, ammortizzabile in trenta-quaranta-cinquanta anni. Se pensate alle centinaia di Comuni che hanno ospedali, questa operazione diventa assai macchinosa e difficile. Invece, so che al Ministero del tesoro vi è un progetto, mandato dalla Direzione degli affari civili del Ministero dell’interno, il quale progetto estende al Tesoro le funzioni che il Tesoro ha per gli ospedali di Roma e del Lazio. So pure che la cifra è cospicua: si tratta di 7 miliardi nel primo anno e di 7 miliardi nel secondo, perché solo alla fine del secondo anno il Governo comincia ad essere reintegrato dai Comuni. È necessario, però, che il Ministro dell’interno ed il Ministro del tesoro riesaminino con buona volontà questo progetto. Oggi stesso, qua a Roma, sono convocati tutti i Presidenti delle Federazioni degli ospedali italiani ed aspettano che io porti la parola del Governo, aspettano che io porti l’assicurazione, almeno, che voi del Governo vi occuperete di questa questione, e ve ne occuperete sul serio, non solo a parole – permettete che ve lo dica – come avete fatto sino ad oggi.

 

La questione degli ospedali non è questione che riguarda soltanto alcune città. Essa ha la risonanza anche nei più lontani borghi, e una parola di assicurazione che parta oggi dai banchi del Governo avrebbe una larga risonanza da Torino a Reggio Calabria.

Ora, questi miei colleghi, i quali provengono da tutti i partiti, sono uomini che adempiono con passione, con amore, con intelligenza, e con entusiasmo alla funzione di Presidenti degli enti ospedalieri. E, badate, che oggi essere Presidente di un ospedale vuol dire non dormire nemmeno la notte, essere perseguitati dai creditori, avere l’impopolarità degli ammalati, dei parenti degli ammalati, del personale infermieristico, dei medici, di tutti. Ora, costoro sono decisi ad abbandonare il loro posto ove dal Governo non venga l’assicurazione che essi saranno sodisfatti almeno in questo: che voi incomincerete a discutere e ad affrontare il problema. E se io potessi portare loro questa assicurazione, essi vi sarebbero riconoscenti, e vi sarebbero riconoscenti soprattutto gli ammalati i quali, oltre al male, soffrono ora di tante deficienze: medicine scarse, scarsità anche di caldo, e, qualche volta, scarsità di cibo.

Ora, provvedete, e con sollecitudine.

Questo è il problema così detto di emergenza, ma vi è un altro problema. Io voglio dirvi tutto il mio pensiero e quando avrò manifestato a voi quello che penso, quello che sento e quello che sono stato incaricato di dire, sarò sodisfatto.

C’è un altro problema: il problema dei concorsi. È necessario che il Vice Alto Commissario per l’igiene e per la sanità, l’onorevole D’Amico, che è un uomo intelligente ed energico, bandisca subito i concorsi e tolga le presenti irregolarità di vita ospitaliera. Pensate, dal 1938 nessun concorso si bandisce! È necessario che nel progetto di legge presentato dall’onorevole Scelba alla Costituente, oltre ai Comuni ed alle Provincie, sieno considerate anche le opere pie, che hanno tra il loro personale molti individui che sono stati sospesi per essere epurati, e poi, da Commissioni molto generose, sono stati discriminati. Ora, è di una settimana appena uno sciopero scoppiato a Bologna, perché gli addetti ai nostri stabilimenti non vogliono, a ragione, essere vicini a coloro che li hanno fatti arrestare, a coloro che li hanno bastonati, a coloro che li hanno denunciati. È necessario che voi pensiate anche a questo.

Poi c’è il problema del riordinamento, della riconcentrazione, del riassestamento di tutti gli ospedali. I miei colleghi amministratori per mezzo mio a voi dicono che non li dimentichiate. Non potete risolvere od avviare ad una soluzione questo problema senza che essi siano interpellati ed esprimano ampiamente il loro parere. Fin qui sono stati trascurati. Io ricordo che il giorno in cui i miei amici dissero che la scuola doveva essere data ai maestri, io inorridii. Inorridisco anche ora (me lo permettano gli amici medici) sentendo che da più parti si grida che gli ospedali debbono essere dati ai medici. No, i grandi servizi collettivi devono essere studiati nella loro trasformazione, non soltanto dai tecnici e dagli amministratori, ma anche da coloro che ne usano, dagli utenti.

È bene che i cittadini abbiano la loro voce, e siccome gli ospedali sono raccoglitori della umile gente, io ho voluto che in certi Consigli venga il rappresentante dei lavoratori. Cercate dunque di impostare per bene il problema per avviarlo ad una soluzione, date soddisfazione a costoro che vengono a voi offrendo la loro competenza: essi sono dei capaci, e vi ringrazieranno se la loro capacità utilizzerete nel modo migliore. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato al tesoro ha facoltà di parlare.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Desidero, da parte del Ministro del tesoro, assicurare l’onorevole interrogante che la proposta alla quale egli faceva cenno è pervenuta effettivamente da parte del Ministero dell’interno all’amministrazione del tesoro ma che la gravità dell’onere (come egli stesso accennava), che avrebbe risentito il bilancio dello Stato, ha indotto il Ministero del tesoro a esaminare se non fosse il caso di apportare qualche modifica a questo sistema di proposte. Il Ministero del tesoro ha già replicato a quello dell’interno proponendo una diversa sistemazione, e sono in corso le trattative tra i due Ministeri per addivenire ad una conclusione concreta, pratica e definitiva.

PRESIDENTE. L’onorevole Basile ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BASILE. Io non posso dichiararmi sodisfatto, perché dopo le dichiarazioni del Governo, in realtà, la situazione degli ospedali rimarrà immutata. Avete fatto una circolare, ma non basta. Occorre una legge. I Comuni hanno ricevuto la circolare del 12 febbraio, e continuano a non avere i prestiti e a non fare gli stanziamenti nel magro bilancio; gli ospedali che si conformano alla disposizione di aumentare le rette continuano a non esigerle, perché i Comuni che non pagavano nemmeno la retta di 35 lire non possono pagare quella di 600 lire. Il Ministero resiste a non dare anticipi, con cento pretesti, o perché la Prefettura non ha ancora approvalo il bilancio, o perché non lo ha ancora trasmesso al Ministero, o perché non fu fatto un nuovo adeguamento delle rette, o perché non ha fondi sufficienti a sua disposizione, ecc. E allora le amministrazioni, per non chiudere gli ospedali – conseguenza della politica governativa, sorda e insensibile a tutte le sollecitazioni – chiedono anticipi a una banca che li concede col carico degli interessi. Poi quando le banche non danno più anticipi, i fornitori non pagati aumentano i prezzi, poi sospendono la fornitura, e gli ospedali sono costretti a fare acquisti al mercato, spendendo di più. Finalmente il Ministero dà il denaro che ha rifiutato, ma bisogna pagare gli interessi alle banche e così invece di spendere 10 si spende 15. Avete dato un miliardo alla Cassa depositi e prestiti. Perché non l’avete dato prima ai Comuni?

Ora attenderete che i Comuni restino inadempienti, fino a quando il debito non raggiungerà di nuovo il miliardo e allora ricomincerete, dando nuovamente il denaro alla Cassa depositi e prestiti, che lo darà ai Comuni, che lo daranno agli ospedali!

Ma gli ospedali come vivranno oggi? negli stenti, come sono vissuti fino a oggi? Perché non date loro il necessario, che dovrete dare fra due anni, anziché lasciarli ora senza sapere come pagare gli impiegati, gli infermieri, i medici e i farmaci? Siamo arrivati a questo, mi ascolti il Ministro del tesoro: a Bologna c’è stata una manifestazione pubblica di malati che sono scesi nelle strade con cartelloni su cui era scritto: «Non abbiamo né medicinali né vitto». Ora, è decoroso che in un Paese che ha scritto nella sua Costituzione che assicura il diritto al lavoro e all’istruzione, che promuove il credito, tutela il risparmio e protegge perfino il paesaggio, è possibile che si lasci senza cure il cittadino, che è finito all’ospedale, su un letto, malato grave, o moribondo, senza la possibilità di aiutarsi, di muoversi, e può soltanto prendere, se glielo porga una mano soccorritrice e pietosa, un cucchiaino di tonico o una goccia di latte? Se la Repubblica non si interessa di assistere il cittadino quando è ridotto in queste condizioni, di che cosa mai si occuperà? Quando leggiamo gli articoli, già approvati, della nostra Costituzione, ad un certo punto se ne aspetta uno che dica: «La Repubblica assicura la felicità generale di tutti». Ma quando ci troviamo ridotti a questo, che i malati devono scendere nella strada per chiedere il pane che non trovano bastante nelle corsie ospedaliere, disonoriamo lo Stato.

Onorevole Ministro del tesoro, io dico che oggi uno Stato moderno ha il dovere della pubblica assistenza; lasciamo stare tutte le promesse che la Costituzione fa e che non potranno essere mantenute, ma questo dovere ha certo il Governo di provvedere alla cura dei malati facendo giustizia, dando il suo aiuto senza preferenze per gli ospedali di una o più città privilegiate, ha il dovere di parificare il trattamento per tutti gli ospedali d’Italia, perché quelli che più soffrono sono quelli che non hanno patrimoni sufficienti, che non ricevono lasciti, quelli delle regioni povere, la cui povertà è collegata a una condizione di inferiorità secolare, che è colpa dell’abbandono dei Governi. Occorre cominciare da domani, subito, perché gli ospedali non hanno come vivere.

«Devono provvedere i Comuni», mi soggiungerà l’onorevole Ministro del tesoro? No. I casi sono due: o i Comuni possono o non possono pagare. Se non possono pagare, deve ad essi sostituirsi lo Stato, perché se lo Stato ha dei fini sociali ed etici da perseguire, il primo è quello dell’assistenza pubblica. O i Comuni sono in grado di pagare, ed allora lo Stato anticipi per i Comuni; i Comuni faranno le delegazioni agli esattori delle imposte, che hanno l’obbligo del non riscosso per riscosso, e lo Stato sarà rimborsato dai Comuni. Ma ripeto, non basta una circolare: occorre una legge. Gli ospedali non possono attendere di raggranellare i pagamenti dai cento Comuni di una Provincia. Mentre assistiamo a quest’ubbriacatura dissipatrice e scialacquatrice, per cui si fanno spese che non sono consentite dalla situazione finanziaria, per lavori senza rendimento e senza coordinamento, è possibile dimenticarsi dei più umili, dei malati, dei poveri, dei più bisognosi? È possibile che non si senta l’urgenza di fare una norma, che da domani in poi assicuri la vita degli ospedali in Italia?

Io invoco tutta la benevolenza del Ministro del tesoro perché questo provvedimento urgente che equipari tutti indistintamente gli ospedali d’Italia sia preso immediatamente.

È questa la più viva preghiera che io rivolgo al Governo. Mi sono astenuto da qualsiasi recriminazione politica, ma questo stato di cose non è più tollerabile. (Applausi).

PRESIDENTE. Le due interrogazioni seguenti riguardano lo stesso argomento e possono essere abbinate:

Porzio, Sansone, Notarianni, Leone Giovanni, Numeroso, Rodinò Mario, Reale Eugenio, La Rocca, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti di urgenza intende adottare perché gli ospedali di Napoli non falliscano gli scopi cui sono stati da secoli destinati»;

Mazza, al Ministro dell’interno, «per conoscere come si intenda provvedere alle urgenti, improrogabili necessità degli ospedali di Napoli, le cui condizioni sono tali da non consentire alcuna possibilità di funzionamento, con grave danno della loro funzione assistenziale».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Le difficoltà in cui si dibattono gli Ospedali Riuniti di Napoli non differiscono sostanzialmente da quelle che gravano su tutte le gestioni ospedaliere e sono dovute, in massima parte, all’inadempienza dei Comuni che non sodisfano i debiti per le rette di ricovero e all’insufficienza delle entrate patrimoniali.

Si è indicato, nella risposta data poco fa all’interrogazione degli onorevoli Longhena e Basile, l’azione svolta dal Ministero dell’interno per ovviare a questo grave inconveniente nell’ambito della pur difficile situazione finanziaria dei Comuni e si è posto in rilievo il costante interessamento del Ministero per assicurare comunque il funzionamento degli stabilimenti ospedalieri, con interventi finanziari diretti, con sovvenzioni tratte dai fondi a disposizione.

Per quanto, in particolare, riguarda gli ospedali di Napoli, poiché il detto ente, quantunque vivamente sollecitato, non ha fatto ancora pervenire il preventivo per l’esercizio corrente, non si è in grado di stabilire quali delle dette difficoltà dipendano dall’insufficienza delle entrate e quali siano da attribuirsi all’inadempienza dei Comuni debitori di spedalità.

In ogni modo, agli ospedali in parola sono state concesse dal Ministero dell’interno, nell’aprile e nel maggio scorso, sovvenzioni per complessive lire 28 milioni, mentre, nel corso del 1946, gli furono dati, sempre a titolo di sovvenzione, 50 milioni di lire.

Nel maggio scorso, il prefetto chiese l’ulteriore anticipazione, da parte dello Stato, di 100 milioni da mettere a sua disposizione per erogarli a favore degli ospedali del capoluogo, a seconda delle esigenze di cassa e salva la restituzione non appena effettuata la riscossione delle spedalità.

Non essendo tale sistema di anticipazioni assolutamente consentito dalle disposizioni in vigore, non è stato possibile aderire a tale richiesta.

Successivamente è stata richiesta per gli ospedali di Napoli l’assegnazione di 300 milioni, di cui 100 per l’avviamento dell’ospedale Cardarelli testé derequisito.

Per quanto concerne quest’ultimo ospedale, è da rilevare che, nell’inverno scorso, essendo stata verbalmente rappresentata al Ministero l’opportunità di mettere a disposizione i fondi necessari per la rimessa in efficienza della sede e per la prima riorganizzazione dei servizi, si rimase di intesa che, sulla base di una circostanziata proposta, si sarebbe proposto al Tesoro lo stanziamento di un apposito fondo, essendo impossibile erogare, per tale scopo, il fondo esistente, destinato soltanto al ripiano delle deficienze di gestione, di carattere ordinario, degli istituti di assistenza e beneficenza pubblica.

Senonché proposte del genere non sono finora pervenute, né è stato fatto tenere il bilancio per l’esercizio corrente, da cui possa desumersi, anche in rapporto alle necessità della gestione del Cardarelli, la situazione finanziaria dell’istituto.

Sono state invece segnalate, anche da parte dell’attuale amministrazione degli ospedali di Napoli, gravi infrazioni nell’andamento dei vari servizi ospedalieri, organizzati in modo del tutto contrastante con gli interessi dell’opera stessa (fra l’altro, non sono stati applicati ai contratti di affitto dei fondi rustici e degli immobili urbani gli aumenti previsti dalla legge), donde si deduce che la responsabilità dell’attuale situazione ricade almeno in parte, oltre che sui Comuni ostinatamente inadempienti, sull’amministrazione che, come è noto, si è dimessa ed è stata sostituita da un Commissario straordinario.

Attualmente il Ministero, preoccupato di tutto ciò, ha inviato colà un ispettore generale con l’incarico di apprestare tutti gli elementi di giudizio necessari per una completa valutazione della situazione, così dal punto di vista amministrativo come da quello economico-finanziario, e di formulare, dopo un primo rapido esame, concrete proposte atte ad assicurare all’ente i mezzi per superare le più gravi e più urgenti necessità della gestione.

PRESIDENTE. L’onorevole Porzio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PORZIO. Onorevoli colleghi, naturalmente, al solito si chiede all’interrogante se sia o no sodisfatto, ma io debbo affrettarmi a dichiarare che non lo sono; e aggiungo che non saremo mai sodisfatti, noi deputati di Napoli – a qualsiasi partito apparteniamo – perché vediamo trascurati tutti gli interessi e i diritti della nostra grande città.

Ho in questo momento ascoltato l’onorevole Sottosegretario di Stato, il quale diceva: «Non v’è nessuna differenza tra le dichiarazioni che sono state fatte testé per le condizioni di altri ospedali e le condizioni nelle quali si presenta la questione ospedaliera a Napoli». Mi meraviglio, onorevole Sottosegretario di Stato! Forse si è dimenticato tutto quello che Napoli ha sofferto ed ha patito! Posso assicurarla, onorevole Sottosegretario di Stato, che, quando finalmente noi uscimmo dall’uragano, uscimmo dall’incubo, nel 1943, allora, mi parve e sentii, che perfino il sole s’era offuscato per la polvere delle macerie che si levava dalle distruzioni patite. Tutto distrutto, tutto: case, ospedali, officine, fabbriche, alberghi, impianti industriali, porto, arsenali, perfino il cimitero!

Che cosa si è fatto in questi anni? Onorevoli signori, nulla. Belle parole, come quelle che testé ha pronunciato l’onorevole Sottosegretario di Stato, il quale ci ha detto: «Abbiamo mandato un ispettore a vedere un po’ le cose come stanno». E io non so che cosa rispondere ad un povero sofferente, ad un agonizzante, il quale non ha latte, non ha uova, non ha medicine; gli posso dire: «Il Sottosegretario di Stato ti ha mandato un ispettore»?

Ora, la condizione nella quale noi ci troviamo è una condizione assolutamente disperata e disperante; ed ecco perché occorre provvedere assolutamente d’urgenza. Soccorsi d’urgenza. Non vi spaventate delle cifre, perché gli ospedali di Napoli hanno nientemeno da dover incassare più di cento milioni dai Comuni, che non hanno mai pagato…

RUBILLI. E che non pagheranno mai.

PORZIO. …e che si trovano in condizioni così gravi da non poter nemmeno pagare i debiti ai fornitori, i quali si rifiutano di dare anche quello che occorre.

Poco fa l’onorevole Sottosegretario di Stato parlava dell’ospedale Cardarelli. Magnifico complesso ospedaliero. Ma ora è una spelonca: i tedeschi rovinarono e rapinarono tutto, e poi le requisizioni hanno fatto il resto. L’ospedale ormai è stato spogliato di tutto. Non v’è come fare un pneumotorace ad un povero tubercolotico, non v’è come fare un’iniezione di penicillina ad un povero morente; nulla. Tali le condizioni, addirittura raccapriccianti, indegne di un paese civile.

Mi si permetta di aggiungere anche qualche altra parola, che riguarda gli interessi napoletani. Non è che io mi discosti dal tema della nostra discussione, perché tutta Napoli è un ospedale abbandonato. Vi erano questioni di capitale importanza per quella che poteva essere la rinascita del nostro Paese, la doverosa ricostruzione del nostro Paese. Tutti problemi acuiti durante questi anni tremendi, e durante le immani distruzioni, che io non sento mai abbastanza ricordare in questa Assemblea; perché noi ci occupiamo di tante cose di straordinaria importanza e di importanza politica, ma vi sono dolori, lutti, miserie, rovine, le quali dovrebbero reclamare l’attenzione non solo del Governo, ma anche, e soprattutto, dell’Assemblea. È vero, signori, che una volta, in un suo discorso, Giosuè Carducci diceva che alla Camera «folla agli scandali, deserto ai bilanci». Questa è verità!, ed io, signori, sto facendo qua un triste bilancio: il bilancio della guerra atroce e delle distruzioni immani. Un grande geografo disse una volta che il mare è la via, è la via trionfale, è la via del traffico, è la via della bellezza. Quale via più trionfale del nostro mare per la condizione geografica, e per la linea incantevole del golfo!

Ebbene, questo mare è divenuto deserto, il porto nulla! Occorrono ancora grue. E son tre anni che si aspetta e ci si risponde, signori, che le materie prime non vi sono, che il Ministero ha fatto il blocco del ferro e del cemento. Ma il Governo non avverte che Napoli avrebbe diritto ad una quota preferenziale, appunto per le distruzioni immani cui fu soggetta, e per la miseria che la contrista.

Si dice: il mare. Il turismo potrebbe essere la risorsa del nostro Paese. Ebbene, questo turismo è ancora di là da venire. Non ci sono alberghi, tutta quanta l’attrezzatura alberghiera è distrutta. Perché non si risolvono questi problemi, cominciando col pagare i danni di guerra, e le commesse che si devono dare?

Risorgono i vecchi problemi: quote di armamento, scali, bacini. E questi problemi mi pare che sorgano come tante figure con i segni della sofferenza, con le impronte di lunghi martiri, di abnegazione, di sacrifici, che chiedano invano considerazione, sollecitudine, giustizia! Sono tre anni che queste cose io ripeto qui e fuori di qui, e restiamo ancora agli studi, alle Commissioni, ai delegati, mentre Napoli langue, i disoccupati aumentano in una forma minacciosa, le case sono distrutte ed i sinistrati si addensano nelle caverne, ed i sofferenti degli ospedali rischiano di essere messi alla porta. Perché è vero che c’è stata anche la nomina di un commissario, ma questi, inorridito, ha rinunciato all’incarico, ha dato le dimissioni, e quelli che si sono succeduti all’amministrazione dell’avvocato Cocchia son venuti qui a chiedere soccorsi d’urgenza perché, ripeto, manca perfino il latte, ed essi sono inseguiti per le vie dai fornitori che devono essere ancora pagati.

E allora guardate: il bilancio dei lavori pubblici porta un terzo del bilancio in favore di Roma. A Napoli è rimasto stanziato – signori, pensate! – mezzo miliardo, dopo tre anni di bombardamenti!

Gli ospedali di Napoli sono in completo dissesto, sono in rovina! Perché non si applica la legge di Roma?

RUBILLI. Questa è l’unica via. Speriamo che ci pensino!

PORZIO. Perché il mare, signori, resta così inoperoso, senza dare una quota qualsiasi di armamento, nemmeno questo? Gli equipaggi nostri, i nostri marittimi, sono stati fra i più reputati ed ora sono inoperosi.

Io non voglio sollevare questioni regionali. Sono avverso al regionalismo forse per questo. Ma dove volete trascinare questa antica, gloriosa capitale? Io non vi parlo con spirito di opposizione astiosa.

Vi parlo con animo di cittadino, di italiano: dove volete trascinare questa nostra così grande e sventurata capitale, Napoli, la capitale del Mezzogiorno, che ha dato all’Italia tutto: e ricchezze, e forze, e uomini preclari, e luce di pensiero, di arte? Napoli, che serba sempre incorruttibile nella sua anima generosa il grande palpito di un sentimento civile, anche nelle ore più fosche e più tenebrose della guerra e della pace. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mazza ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MAZZA. Dopo il lucido discorso del collega Longhena e la colorita esposizione del collega Basile, non potrò intrattenervi più a lungo sul problema degli ospedali d’Italia.

Dopo la parola appassionata che il collega Porzio, dimenticando l’onomastico, dimenticando il cinquantenario della sua vita forense (Applausi su tutti i fianchi all’indirizzo dell’onorevole Porzio), è venuto qui a pronunziare per la nostra capitale Napoli, non posso che ripetervi il grido d’allarme, non posso non ricordare al Governo che negli ospedali gli ammalati non sono curati e vanno a morire senza medicinali e senza cibo. Questa non è un’affermazione retorica o una esagerazione: è una realtà. Negli ospedali di Napoli, ove ogni giorno tremila ammalati possono essere assistiti, sono ricettati soltanto mille ammalati, che non sono curati e non hanno da mangiare.

Io credo di interpretare il desiderio e il pensiero di tutti i napoletani presenti in quest’Aula, dall’onorevole Amendola sulla altra sponda all’onorevole Riccio sul banco della Presidenza, movendo preghiera al Governo perché provveda di urgenza. Le condizioni sono assolutamente fallimentari, e il Governo deve sentire la responsabilità di provvedere, oppure abbia il coraggio di chiudere gli ospedali, perché almeno ci sarà una posizione chiara quando a Napoli non ci saranno più ospedali. (Approvazioni).

D’AMICO DIEGO, Alto Commissario aggiunto per l’igiene e la sanità pubblica. Chiedo di parlare per fatto personale, essendo stato chiamato in causa come Alto Commissario aggiunto per la sanità.

PRESIDENTE. Le interrogazioni non erano dirette a lei, ma al Ministro dell’interno. Comunque, ha facoltà di parlare.

D’AMICO DIEGO, Alto Commissario aggiunto per l’igiene e la sanità pubblica. All’onorevole Longhena devo dichiarare che è in corso il provvedimento per i concorsi ospedalieri. L’Alto Commissariato l’ha trasmesso al Ministro dell’interno e a quello dell’istruzione perché diano il loro parere. Quindi da parte nostra questa partita può considerarsi chiusa perché, appena avremo il benestare, i concorsi saranno banditi.

Per quanto riguarda gli ospedali, essi non dipendono dall’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità, ma dal Ministero dell’interno.

Per quanto riguarda la Sanità, io personalmente ho fatto un giro in Sicilia durato dieci giorni durante i quali ho visitato ospedali piccoli e grandi. Ho visitato gli ospedali delle Puglie, della Campania, sono stato tre volte a Napoli. A questa città l’Alto Commissariato ha dato tutto quello che occorreva per quanto riguarda il materiale A.R.A.R., cioè letti, strumenti: tutto quello in sostanza che potevamo dare. È verissimo che le condizioni finanziarie non sono floride. Ne parlai personalmente con il Commissario degli ospedali, il quale disse che sarebbe venuto a Roma per prospettare al Ministro Scelba le condizioni finanziarie dell’ospedale.

Noi dell’Alto Commissariato possiamo fare molto poco in materia. È altresì vero che l’Alto Commissariato sta provvedendo a rifornire gli ospedali del materiale A.R.A.R. a nostra disposizione. Qui ci sono i colleghi presenti i quali ogni venerdì, ogni sabato ricevono da me personalmente dieci, quindici, venti comunicazioni per volta di ospedali che sono forniti dall’Alto Commissariato del materiale che ci è stato chiesto.

Non ho altro da aggiungere.

PORZIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORZIO. Vorrei permettermi di fare una sola osservazione all’Alto Commissario D’Amico. Non ho voluto portare piccoli fatti avanti all’Assemblea per una linea – diremo così – delle nostre discussioni. Mi permetto soltanto di rivolgere una interrogazione all’onorevole Alto Commissario: vorrei sapere se quel carabiniere che morì all’ospedale senza poter avere nemmeno una borsa di ghiaccio rappresenti un fatto avvenuto prima o dopo la sua venuta a Napoli.

D’AMICO DIEGO, Alto Commissario aggiunto per l’igiene e la sanità pubblica. Noi non possiamo seguire caso per caso l’attività degli ospedali.

PORZIO. Non si tratta del caso per caso: si tratta del fatto che manca tutta l’attrezzatura. Vi farò avere tutto l’elenco del materiale. All’Ospedale Cardarelli non si è potuto fare una iniezione. I malati sono mandati via.

D’AMICO DIEGO, Alto Commissario aggiunto per l’igiene e la sanità pubblica. Io mi sono adoperato col sindaco Buonocore (Commenti a sinistra); non guardo il colore politico. Mi hanno detto che occorrono cento milioni per mettere l’ospedale in efficienza. I cento milioni l’Alto commissariato non li può dare.

PORZIO. Non li volevo da lei cento milioni: li domandavo al Governo. È un delitto tenere l’ospedale chiuso. (Commenti).

PRESIDENTE. Lo svolgimento di questa interrogazione è esaurito.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Martino Gaetano, Bellavista, Galioto, al Presiedente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro del tesoro, «per sapere se non ritengano opportuno anticipare al Governo della Regione siciliana i mezzi necessari per l’istituzione e per l’inizio del funzionamento degli organi dell’amministrazione; e ciò anche in vista degli obblighi derivanti dall’applicazione degli articoli 36 e 38 dello Statuto della Regione siciliana ed in considerazione del tempo che ancora ci separa dall’inizio dell’esercizio finanziario».

Non essendo presenti gli onorevoli interroganti, si intende che vi abbiano rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Bozzi al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se sia vero che il Governo regionale della Sicilia abbia richiesto al Governo nazionale la immediata erogazione di cinque miliardi di lire, e per conoscere il titolo di tale richiesta».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbiano rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Conti, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere – se vera la notizia che si è appresa per l’interrogazione dell’onorevole Bozzi – il testo della richiesta di erogazione di un fondo di cinque miliardi da parte del Governo regionale della Sicilia, e i criteri del Governo centrale nell’esame della richiesta».

L’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Poiché si tratta di cifre, prego che si permetta al Sottosegretario per il tesoro di esporre tecnicamente il problema.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Senza riguardo ad alcuna richiesta formale, tra i rappresentanti della Regione siciliana e gli organi del Governo centrale sono intercorse discussioni concernenti l’attribuzione delle imposte e delle tasse riscosse nel mese di giugno 1947 alla Regione siciliana, a norma dell’articolo 36 dello Statuto, e l’anticipazione da parte del Tesoro di una integrazione delle somme come sopra riscosse, per la costituzione di un fondo di disponibilità della Regione, alla data del 1° luglio 1946.

Il Governo centrale ha dovuto osservare: 1°) che il passaggio dei proventi fiscali alla Regione siciliana deve essere concomitante con l’inizio effettivo della gestione finanziaria autonoma della Regione; 2°) che tale gestione presuppone logicamente non solo l’attribuzione dei proventi e delle entrate d’ogni natura spettanti alla Regione, ma l’assunzione, altresì, di tutti i servizi di sua competenza e delle relative spese e che, sulla base delle entrate e delle spese, sarà formato un regolare bilancio.

Ciò premesso, si soggiunge che, in relazione a trattative in corso, è in vista la istituzione di un breve periodo transitorio, durante il quale il Governo centrale, per conto di quello regionale, riscuota le entrate e sopporti le spese; e ciò per predisporre la concreta e tempestiva efficienza delle attribuzioni della Regione siciliana, tanto in materia di entrate, quanto in quella di erogazione di spese.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CONTI. Io sono soddisfattissimo. Evidentemente, l’onorevole Bozzi, presentando questa interrogazione, ha avuto un proposito offensivo contro la nostra povera Regione; ed io ho presentato la interrogazione proprio con un intendimento controffensivo. (Approvazioni). All’onorevole Bozzi questa volta non erano associati l’onorevole Rubilli e gli altri battaglieri avversari della Regione. Ma l’onorevole Bozzi voleva silurare, in qualche modo, questa idea regionalistica, che sta per essere discussa in pieno nelle prossime sedute. Far circolare la voce che la Regione ha chiesto già quattrini allo Stato, che il problema finanziario è così imponente e grave, che non si riesce a risolverlo, significa gettare il sospetto contro, l’ordinamento regionale, che noi propugniamo, nell’Assemblea e nell’opinione pubblica. Ma l’onorevole Bozzi, non essendo presente, ha rinunziato all’offensiva; ed io, naturalmente, devo rinunziare alla controffensiva.

È stato facile mettere in luce lo scopo dell’interrogazione; sarebbe facilissimo mettere in chiara luce la portata del rapporto, che in questo momento si è istituito tra la Regione siciliana ed il Governo centrale. Evidentemente, anche qui si tratta di null’altro che di una sistemazione provvisoria, essendo la Regione siciliana all’inizio della sua attività.

Possiamo aggiungere questo, a nostro conforto: abbiamo l’impressione fondata – per accertamenti che abbiamo avuto cura di fare sul luogo – che la Regione siciliana, la prima organizzazione regionale in Italia, ha iniziato felicemente la sua vita. Da parte dell’Assemblea regionale abbiamo ottime informazioni: l’avviamento del lavoro è eccellente, la sistemazione di certi problemi comincia già.

Tutto questo ci incoraggia ad affrontare la discussione sulla Regione nelle prossime sedute con grandissimo vigore. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Caronia, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell’interno, «per sapere se non ritengano necessario ed urgente emanare un provvedimento legislativo che stabilisca l’incompatibilità dell’esercizio del mandato parlamentare con la qualità di membri di un’Assemblea regionale, incompatibilità già prevista dalla legge elettorale che trovasi all’esame dell’Assemblea Costituente».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Governo non è competente per risolvere la questione sollevata dall’onorevole Caronia. Esso può soltanto esprimere un proprio giudizio.

L’incompatibilità richiesta potrebbe avere due significati: uno per il futuro e uno attuale.

Per quanto riguarda i membri della prossima Camera dei deputati, il progetto di legge elettorale, attualmente all’esame dell’Assemblea, prevede l’ineleggibilità dei deputati regionali nelle circoscrizioni ove esercitano le loro funzioni, nonché l’obbligo dei deputati regionali, che vengono eletti in collegi diversi di quelli in cui esercitano le loro funzioni, di optare per una delle due cariche entro otto giorni dalla convalida.

Il progetto non contempla i senatori, per i quali la legge elettorale da emanarsi è subordinata ai criteri che verranno adottati dalla Costituente in merito alla composizione della seconda Camera legislativa.

Se poi l’interrogazione dell’onorevole Caronia si riferisce ai membri dell’Assemblea Costituente, il problema consisterebbe, praticamente, nel sancire l’incompatibilità fra la carica di deputato alla Costituente e quella di deputato all’Assemblea regionale siciliana, dato che gli altri Statuti regionali con i relativi Consigli ed organi legislativi non potranno, presumibilmente, entrare in funzione se non dopo l’approvazione della Carta costituzionale e quindi dopo lo scioglimento della Costituente.

Ma in questo modo si verrebbe a dare all’incompatibilità stessa una efficacia retroattiva, che sarebbe in assoluto contrasto con le norme legislative con le quali è stata eletta la prima Assemblea regionale siciliana, che non prevedono simile causa di incompatibilità.

Una disposizione del genere, contenendo una limitazione al diritto di partecipare ad organi di carattere costituzionale, non potrebbe comunque essere emanata dal Governo, rientrando invece nella competenza dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CARONIA. Non posso che dichiararmi parzialmente sodisfatto.

Prevedevo l’obiezione di natura giuridica dell’onorevole Andreotti; prevedevo l’appello alla retroattività della legge; ma vi sono due motivi, uno di ordine morale e l’altro di ordine materiale, che non possono essere disconosciuti. I fatti contingenti, a volte, hanno importanza maggiore dei principî giuridici.

Mi riferisco proprio al fatto compiuto della Regione siciliana, in cui abbiamo questa condizione: membri dell’Assemblea Costituente nello stesso tempo sono membri dell’Assemblea regionale. Vi è una incompatibilità morale e vi è una incompatibilità materiale; e questo avevano sentito in un primo tempo i deputati siciliani appartenenti a questa Assemblea, i quali in una lontana riunione avevano stabilito di comune accordo, meno gli indipendentisti, di non presentarsi come candidati all’Assemblea regionale, colmando così col fatto la lacuna esistente nella legge. Purtroppo, come avviene spesso nel campo politico, alcuni di detti deputati non credettero di mantenere l’impegno preso e si presentarono alle elezioni per l’Assemblea siciliana, riuscendo in parte eletti.

L’incompatibilità di carattere morale è costituita soprattutto dal fatto che lo stesso individuo possa nello stesso tempo appartenere a due consessi che, per ovvie ragioni, possono in determinate circostanze trovarsi in contrasto. Un primo esempio lo abbiamo anche oggi a proposito delle interrogazioni degli onorevoli Bozzi e Conti.

L’incompatibilità di carattere materiale è ancora più evidente. Nessuno dei deputati ha il dono dell’ubiquità di S. Antonio. Gli appartenenti alle due Assemblee non possono trovarsi nello stesso tempo a Roma e a Palermo.

Dove sono oggi i deputati siciliani di questa Assemblea appartenenti anche all’Assemblea regionale? Sono assenti. Probabilmente sono a fare il loro dovere a Palermo, ma non fanno il loro dovere qui.

MAFFI. Probabilmente però non sono i soli assenti.

CARONIA. È vero, onorevole Maffi, vi sono altri assenti; ma i deputati siciliani erano assenti anche l’altro ieri, quando l’Assemblea Costituente era quasi al completo. Questo è un fatto incontrovertibile. Oggi, per esempio, l’onorevole Li Causi sta a battersi in Sicilia, «a rischiare la vita», ha detto l’onorevole Scoccimarro; ma se fosse qui a compiere il dovere di costituente, non starebbe a rischiare la sua preziosa esistenza altrove.

Ma c’è ancora qualche cosa più «terra terra». In questa Assemblea è stata fatta questione del cumulo delle cariche retribuite e qui siamo in presenza di tipico cumulismo. L’Assemblea regionale dà ai suoi deputati un gettone mensile di trenta mila lire, lo stesso gettone che godono i membri della Costituente. Non si tratta di una grande somma, è vero, ma si tratta di un cumulo di assegni a carico dello Stato.

Altri motivi d’incompatibilità si potrebbero addurre, ma mi pare che bastino quelli accennati per giustificare la mia insoddisfazione della risposta della Presidenza del Consiglio e la mia insistenza nel chiedere un provvedimento da parte dell’Assemblea Costituente che elimini ogni inconveniente sancendo l’incompatibilità.

PRESIDENTE. Le tre interrogazioni che seguono riguardano lo stesso argomento, e possono pertanto essere svolte congiuntamente.

Costantini, al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale disposizione vigente ed a quale criterio di opportunità e convenienza civili, sia consentito al prefetto di Treviso (città devastata dalla guerra nella misura del 63 per cento dei suoi edifici per abitazione), di emettere decreto di requisizione di una casa privata attualmente occupata da ben sei famiglie di inquilini, le quali non potranno trovare sistemazione in altro alloggio, per collocarvi gli uffici della divisione Folgore, ordinando altresì alle famiglie occupanti l’edificio di renderlo in ogni caso libero e disponibile entro il giorno 15 giugno prossimo venturo»;

Ferrarese, al Ministro della difesa, «per conoscere se non creda di dare e subito disposizioni al comando della divisione Folgore onde siano evitate requisizioni di alloggi in Treviso per ufficiali e sottufficiali, tenuta presente la tragica situazione della città: Treviso ebbe, infatti, 708 fabbricati con n. 9240 vani completamente distrutti; 1112 fabbricati con n. 14.200 vani gravemente danneggiati; 1963 fabbricati con n. 25.560 vani lievemente danneggiati: su un totale dì 4600 fabbricati ante-guerra. Molto si è fatto sul terreno della ricostruzione, ma restano tuttora senza alloggio in città circa 5000 persone sfollate nei vari comuni della provincia, e la popolazione residente nel comune vive spesso in poveri ambienti di fortuna, non capaci, in contrasto con le più elementari norme di morale e di igiene»;

Ghidetti, ai Ministri dell’interno e della difesa, «per conoscere come intendono conciliare il grande bisogno di abitazioni della popolazione di Treviso – città tradizionalmente ospitale, ma fra le più colpite dalle distruzioni di guerra e con diverse migliaia dei suoi abitanti costretti ancora in gravissimo disagio nei luoghi di sfollamento – e la necessaria, quanto impossibile, provvista di alloggi per ufficiali e sottufficiali del Comando e Reparti divisionali della Folgore, trasferiti in questi giorni a Treviso su ordine del Ministero».

Non essendo presenti gli onorevoli Costantini e Ghidetti, s’intende che abbiano rinunciato alle loro interrogazioni.

Il Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere all’interrogazione dell’onorevole Ferrarese.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Con la ratifica del Trattato di pace e il conseguente esodo delle truppe alleate, la responsabilità militare della frontiera orientale passa al nostro esercito.

Sono state pertanto date disposizioni per far affluire nel Veneto alcun grandi unità dell’esercito, e perché dette unità, destinate a guardia della frontiera orientale, raggiungessero al più presto possibile la massima efficienza.

In seguito ad accordi presi con la Presidenza del Consiglio, è stato disposto che gli immobili privati, strettamente necessari per la sistemazione delle Forze armate italiane, e che costituiscono una limitata aliquota di quelli attualmente requisiti dalle autorità alleate, passino in consegna ai nostri reparti, a mezzo degli uffici del Genio militare. Tutti i rimanenti immobili privati, già requisiti dagli Alleati, saranno riconsegnati ai proprietari od agli affittuari, secondo le norme vigenti.

Il Ministero della difesa ritiene pertanto che, con la partenza degli Alleati, la situazione generale dei privati migliorerà sensibilmente, anche se il prefetto di Treviso, in forza di disposizioni vigenti, ha dovuto requisire il palazzo Revendin, per adibirlo a sede del Comando della divisione Folgore, in sostituzione del palazzo Scotti (ex sede del Comando del 14° Corpo d’armata già richiesto dall’autorità militare) attualmente occupato dall’Amministrazione provinciale.

Il prefetto, comunque, ha dato assicurazione di aver trovato adeguata sistemazione per quelle sei famiglie sfrattate, cui accenna l’onorevole Costantini. D’altra parte, è interesse della popolazione locale, oltre che del Paese, ai fini della sicurezza e della tranquillità della regione, di dare ai reparti destinati a presidio della zona una adeguata sistemazione, in modo da far raggiungere ad essi la massima efficienza possibile.

In pari tempo, è stato interpellato lo Stato Maggiore dell’esercito, perché il problema sia affrontato con comprensione delle esigenze delle popolazioni locali, da parte dei Comandi e dei reparti di ogni ordine, con particolare riguardo alle particolarmente disagiate condizioni di cui soffre la nobile città di Treviso e di cui si sono fatti interpreti gli onorevoli interroganti.

PRESIDENTE. L’onorevole Ferrarese ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FERRARESE. Mi dichiaro non completamente sodisfatto delle dichiarazioni del Sottosegretario per la difesa.

Nella mia interrogazione sono stati specificati particolarmente i danni che ebbe a subire la mia città; dico «mia» perché sono anche sindaco di Treviso. Noi abbiamo fatto di tutto, col concorso dello Stato, per ricostruire la città. Su quarantamila vani riparabili, 22.500 circa sono già stati riparati. Trecento appartamenti stanno per essere ultimati per i senza tetto. Il Comitato costituito dopo la liberazione, presieduto dal prefetto politico, avvocato Ramanzini, sta ultimando altri 120 appartamenti; l’I.N.C.I.S. altri 64; l’Istituto autonomo per le case popolari, altri 27. Quindi possiamo dire che Treviso è all’avanguardia della ricostruzione. Però abbiamo ancora 5.000 e più persone costrette a vivere fuori di città, perché in città non trovano dove alloggiarsi, e lo sa benissimo anche il Sottosegretario di Stato per la difesa. La popolazione, che prima della guerra era di 55.000 abitanti, oggi è di 62.000, nonostante le distruzioni avvenute; il che vuol dire che abbiamo delle famiglie che vivono in tuguri sovraffollati con danno per l’igiene e per la moralità.

Treviso si è preoccupata – ed ho ricevuto proteste non solo di cittadini, ma anche della Camera confederale del lavoro – perché vi era il pericolo di requisizioni di abitazioni per ufficiali e sottufficiali. Finché si trattava di dare alloggio o una sistemazione al Comando della divisione «Folgore», ho risposto al Generale, che è venuto da me, che ben volentieri li avrei ospitati e che Treviso sarebbe stata lieta di accogliere il Comando della divisione «Folgore». Quindi, c’è stato tutto il mio interessamento perché il Comando si sistemasse, ma oggi c’è la preoccupazione di veder requisiti alloggi per ufficiali, famiglie di ufficiali e sottufficiali. Ora, questo ha giustamente allarmato la nostra popolazione, perché non sappiamo come e dove poter allogare tutta questa gente. Quando a fine ottobre avremo messo a posto cinquecento famiglie, ancora mille e cinquecento famiglie in Treviso saranno senza alloggio.

Ecco perché mi sono premurato di presentare l’interrogazione. Della risposta del Sottosegretario – ripeto – mi dichiaro parzialmente sodisfatto e prego l’onorevole Sottosegretario per la difesa di tener presente la precaria condizione di Treviso e di voler dare disposizioni al Comando della divisione perché siano evitate requisizioni per famiglie dì ufficiali e sottufficiali.

Treviso è ospitale. Io ricordo che l’anno scorso, in occasione della Fiera campionaria, moltissimi vennero da altre città per ammirare quanto avevamo potuto fare alla Fiera. Ebbene, le famiglie si sono prestate per dare alloggio ai visitatori, e mi consta che circa duecento famiglie hanno potuto restringersi per cedere una stanza o due ai visitatori. Questo sarà facile anche per gli ufficiali e sottufficiali della Divisione «Folgore».

Tenga presente, quindi, il Ministero della difesa le precarie condizioni di Treviso e voglia evitare requisizioni che darebbero una brutta impressione al popolo trevisano, che ha accolto festosamente la gloriosa Divisione e che manterrà verso di essa quei cordiali ed ospitali rapporti che sono la tradizione del popolo trevisano.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Monticelli, al Ministro della difesa, «per sapere quali provvedimenti intenda prendere onde eliminare la situazione anormale ed insostenibile che si è creata a Siena, in seguito al persistente e non giustificato atteggiamento del comandante di territorio di Firenze generale De Simone, il quale si oppone alla rimozione dei poligoni di tiro di Pescaia, situati nell’abitato della città, costituenti continui pericoli, disturbi e malcontento nei cittadini e rendendo tesi i rapporti tra la popolazione e il nuovo esercito repubblicano italiano. Tali poligoni possono agevolmente essere trasferiti nei poligoni di Petruccio, Montarioso e Pieve al Bozzone, distanti pochi chilometri di ottime strade. La opposizione del generale De Simone è quanto mai inopportuna, in quanto sembrava che lo stesso Ministero della difesa avesse nel passato riconosciuto giustificate le lamentele del pubblico ed avesse deciso la rimozione dei poligoni, e tutte le altre autorità italiane ed alleate, civili e militari, si sono espresse in più occasioni favorevolmente ai desideri della popolazione».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Per l’addestramento locale delle reclute occorrono, in tesi generale, un poligono di 270 metri circa ed un certo numero di poligoni di 27 metri circa per le esercitazioni giornaliere.

Mentre il poligono di 270 metri può essere dislocato a distanza di alcuni chilometri dagli alloggiamenti della truppa, dato il suo uso saltuario, i piccoli poligoni devono essere ubicati vicino, perché i reparti vi si possano recare ogni giorno, senza compiere lunghi percorsi a piedi (che sarebbero anche molto faticosi, specie per le reclute), data la brevità del tempo a disposizione per l’addestramento e le caratteristiche dell’addestramento elementare da svolgere, e dato che il trasporto giornaliero con automezzi in poligoni lontani, oltre che antieconomico, sarebbe anche impossibile, in considerazione della massa da trasportare (si tratta di circa 4 mila uomini) e della inevitabile perdita di tempo per il carico, lo scarico ed il percorso.

Viene assicurato che i poligoni sono costruiti in maniera da fornire sicurezza nei riguardi delle abitazioni civili circostanti; per cui è stato costantemente escluso che la loro presenza, nell’interno della città, potesse arrecare danno alla popolazione. La loro limitata estensione non intralcia sensibilmente le coltivazioni.

Il principale inconveniente per la popolazione sarebbe quindi quello del rumore determinato dagli spari.

D’altra parte la presenza del C.A.R. è gradita alla popolazione, a cui deriva un non trascurabile apporto economico.

Infine, si fa rilevare che da parte di varie città d’Italia, dove i predetti poligoni esistono in condizioni analoghe, viene riconosciuta, senza rimostranze, la loro particolare necessità.

PRESIDENTE. L’onorevole Monticelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTICELLI. Non posso essere sodisfatto, perché il problema della città di Siena riveste una particolare importanza. Le dichiarazioni fatte dall’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa contrastano d’altra parte con quel volume di documenti e di dichiarazioni che varie Commissioni hanno avuto occasione di consegnare allo stesso Ministero della difesa. Si tratta di dichiarazioni di tutti i generi, di documenti che provengono da varie fonti, da tutti i partiti, e che dimostrano la impossibilità che i poligoni, vecchi e nuovi, di Pescaia permangano al centro della città stessa. Per quanto riguarda le dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa, debbo anche rilevare che vi è un vero contrasto con quella che è la realtà dei fatti. Mi sia concesso pertanto di mettere un po’ nella sua giusta luce la vera situazione di Siena nei riguardi di questi poligoni di tiro: dirò anzitutto che il poligono di Pescaia è situato nell’interno della città, in via Ricasoli, e che dalle ore 5 del mattino in poi si iniziano le operazioni di tiro con fucili modello 81, con mitragliatrici, con mitra e bombe a mano.

Si può comprendere facilmente che non si tratta di semplici rumori, ma di un vero frastuono che viene aumentato dalla concavità della valle, nella quale si trova il poligono di Pescaia, e che impedisce ai numerosissimi abitanti, non soltanto di riposare, ma persino di attendere a tutte le loro occupazioni professionali. Queste operazioni durano dalle 5 del mattino (in estate anche dalle 4 e mezzo) fino al tramonto, e questo si prolunga per mesi e mesi. Ma non basta: se si trattasse di soli rumori e frastuoni, forse potrei dichiararmi sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato. Ma vi è qualcosa di più: ogni tanto qualche pallottola fatalmente devia e ferisce qualcuno. Come vedete, sono dati di fatto in contrasto con quanto affermava l’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa.

Ricorderò che una volta – ed ho qui i documenti – una pallottola entrò nello studio del notaio Ricci; un’altra volta il colono Visi Giulio fu colpito da una pallottola riportando una lesione alla spalla sinistra; recentemente un proiettile ha forato i vetri della Villa Uncinello dell’onorevole Ponticelli ed altri proiettili hanno battuto nelle persiane della Villa Poggiarello.

Inoltre, i contadini si trovano nella impossibilità di accudire al lavoro dei campi, perché nei dintorni esistono degli orti, attraverso i quali, durante le operazioni di tiro, non è concesso a nessuno di passare; perciò i coloni devono fare dei lunghi giri attraverso la città per potersi recare da un punto all’altro. Ora questi inconvenienti possono essere rimediati, e questa è la circostanza che più delle altre, ha inasprito la popolazione di Siena.

Non si tratta di lunghi percorsi che i militari debbono fare per adempiere alle esercitazioni, perché a Siena vi sono altri tre poligoni di tiro a distanza di due chilometri, ai quali si accede per mezzo di ottime strade e precisamente i poligoni di Petruccio, Montarioso e Pieve al Dozzone, dove potrebbero benissimo e agevolmente essere trasferite le varie esercitazioni.

È una lunga storia che rimonta al 1945, è una spina conficcata nel cuore della popolazione di Siena, tanto è vero che il Consiglio comunale della città si è preoccupato ed ha votato all’unanimità un ordine del giorno nel quale si richiede la rimozione dei poligoni vecchi e nuovi di Pescaia. Anche il prefetto è intervenuto più volte presso il Ministro della difesa, e gli stessi Alleati, durante il loro governo, non solo non hanno mai sollevato difficoltà di sorta, ma si sono espressi in più occasioni favorevolmente ai desideri della popolazione. La stessa stampa locale è intervenuta: io ho consegnato all’onorevole Sottosegretario molti ritagli di articoli dei vari giornali in cui si auspicava sempre la soluzione di questo problema dello spostamento dei poligoni, che avrebbe portato a risolvere anche l’altro grave problema della costruzione di alloggi, perché su quel terreno potrebbero benissimo sorgere nuovi villini, tanto è vero che si è già formata una cooperativa edilizia di reduci.

Abbiamo sempre avuto assicurazioni da tutte le parti, dai comandi alleati al Ministero. Un solo ostacolo sempre vi è stato, ed i desideri della popolazione non sono mai stati esauditi per il persistente rifiuto e l’ingiustificato atteggiamento che il comandante militare territoriale di Firenze, generale De Simone, ha sempre manifestato, trincerandosi dietro il comodo paravento delle ragioni addestrative delle reclute, per cui ritiene necessarissimo che queste esercitazioni si svolgano nell’interno della città. Eppure, come ho detto, a due chilometri di distanza vi sono altri tre poligoni che permetterebbero benissimo di armonizzare i piani e i progetti delle autorità militari con quelle che sono le esigenze della città e dei senesi.

Si tratta di una vera e propria presa di posizione del generale De Simone; e io richiamo su questo punto tutta la vigile attenzione dell’onorevole Sottosegretario di Stato perché, se non ci fossero altre ragioni a convincersi di questa assurdità, basterebbe il fatto che proprio in questi giorni, mentre sulla stampa locale si sta agitando questo problema, e mentre tutta la popolazione senese attende la risposta a questa mia interrogazione, il generale De Simone si è affrettato a bandire una gara pubblica per l’assunzione dei lavori di consolidamento dei poligoni, dimenticando così che l’opera è sommamente invisa alla popolazione e dimenticando altresì che è considerata dalla popolazione stessa come estremamente dannosa per i propri interessi.

Questi i fatti, nella loro realtà. Un provvedimento, indubbiamente, s’impone con urgenza.

È passata la guerra: occorre tornare alle opere di pace, dopo le ore angosciose dei mitragliamenti e dei bombardamenti che non sono stati dimenticati e non possono essere dimenticati tanto facilmente dalle popolazioni. E già si sono cominciate a vedere, in questi giorni, bandiere rosse attestanti il pericolo, proprio nel centro della città, che obbligano i cittadini a fare lunghi percorsi e i contadini a sospendere i loro lavori.

Tutto questo perché? Per l’incomprensione di un Comandante territoriale, che crede di poter disporre di una città come Siena a suo beneplacito, dimenticando il Comune, il prefetto, le autorità civili e lo stesso Ministero della difesa, presso il quale esiste una relazione del colonnello Benedetti del Comando genio di Firenze, che attesta l’estrema vicinanza dei poligoni all’abitato e la inderogabile necessità di un trasferimento.

Se una voce può partire da questa tribuna, vorrei rivolgere un invito all’onorevole Sottosegretario di Stato, un invito che vuole essere anche una fervida esortazione: Siena, città di santi e di poeti, città di artisti, che è stata sempre rispettata e risparmiata nelle varie epoche da tutti i nemici, per le sue nobili tradizioni e per le sue bellezze artistiche, sia anche ora rispettata da parte degli Italiani, nell’interesse della vita civile cittadina e della sua laboriosa popolazione!

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Musolino e Silipo, al Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’alimentazione) e al Ministro dell’agricoltura e foreste, «per sapere se non ritengano necessario ed urgente autorizzare i prefetti delle provincie produttrici di olio a bloccare un quantitativo di questo prodotto, essenziale all’alimentazione, in quantità sufficiente a far fronte ai bisogni delle popolazioni interessate, servendosi per la vendita degli enti più qualificati. Ciò allo scopo di infrenare la speculazione che in questi ultimi giorni, dopo avvenuto lo sblocco in virtù del decreto ministeriale 14 maggio 1947, ha fatto salire il prezzo dell’olio a prezzi iperbolici nei luoghi di produzione con gravissimo danno delle masse popolari consumatrici».

L’Alto Commissario per l’alimentazione ha facoltà di rispondere.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Nel dar corso ai piani di approvvigionamento di olio di oliva, l’Alto Commissariato dell’alimentazione si è sempre preoccupato di assicurare alle provincie produttrici le quantità di olio necessarie alla copertura dei fabbisogni previsti dal razionamento in vigore per la popolazione civile e per le varie convivenze aventi diritto.

A prescindere infatti dall’andamento dei conferimenti delle quantità di olio per le quali le provincie stesse erano state contingentate, l’Alto Commissariato, nel predisporre i piani di approvvigionamento nazionale, ha considerato, per la esportazione in altre provincie, esclusivamente i contingenti di olio eccedenti i quantitativi necessari per la copertura del fabbisogno locale fino alla saldatura con la nuova campagna olearia.

Finora le modeste disponibilità di grassi nazionali non hanno consentito di derogare dai piani di approvvigionamento, ma è intenzione di questo Alto Commissariato di venire incontro alla popolazione delle provincie che risentono il disagio dello sblocco mediante assegnazioni di carattere straordinario.

L’Alto Commissariato infatti, come ha già fatto per Taranto, nell’intento di favorire le classi meno abbienti di tali provincie autorizzerà le provincie stesse a trattenere congrue aliquote di prodotto sulle quantità di olio di oliva che risulteranno conferite in applicazione del decreto 11 maggio 1947.

Benché il decreto, per quanto è detto all’articolo 8, lasci in qualche modo possibilità ai prefetti di adottare particolari provvedimenti nell’ambito della provincia, non sembrerebbe opportuno incoraggiare la imposizione di ulteriori oneri, oltre quelli previsti dal decreto stesso, in quanto ciò, se da un lato potrebbe avvantaggiare la provincia di produzione, dall’altro andrebbe a tutto svantaggio dei consumatori delle altre provincie, i quali dovrebbero evidentemente sostenere il maggior aggravio economico derivante all’olio di libero commercio in conseguenza dell’obbligo del conferimento di determinate aliquote a prezzi vincolati,

PRESIDENTE. L’onorevole Musolino ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MUSOLINO. Ringrazio l’Alto Commissario per l’alimentazione della risposta datami, ma debbo dichiarare che non posso essere soddisfatto, e ciò essenzialmente per due ragioni:

1°) perché il decreto che ha tolto il blocco dell’olio per il momento in cui è intervenuto, ha favorito una parte dei produttori, e precisamente quelli inadempienti alla legge sull’ammasso. Si è verificato, quindi, lo stesso inconveniente dell’anno scorso, quando i produttori inadempienti hanno guadagnato speculando alla borsa nera, appunto perché il decreto è venuto un mese prima, anziché un mese dopo;

2°) in secondo luogo, perché il Ministro dell’agricoltura, mentre ha ridotto il contingente da 33 mila quintali a 30 mila, dimostrandosi così molto sensibile alle richieste dei produttori, non è stato altrettanto sensibile alle richieste delle masse popolari, le quali oggi sono obbligate a pagare quasi mille lire al litro l’olio prodotto dalla loro terra. Mille lire significano per un salariato di laggiù quasi tre giornate di lavoro; mentre nel 1838 un lavoratore con una giornata di salario pagava tre litri d’olio, oggi ci vogliono tre giornate per un solo litro.

Questa situazione genera del malcontento in alcune provincie, come è stato segnalato all’Alto Commissario da un telegramma del 17 giugno del prefetto di Reggio Calabria, nel quale si dice che le agitazioni e il fermento si estenderanno anche alla provincia di Reggio Calabria e si declina ogni responsabilità.

Il Governo chiede la nostra collaborazione per il mantenimento dell’ordine; ma io dico che prima il Governo deve creare le premesse, per poter noi collaborare con esso a questo proposito.

Per questo faccio rilevare che il Governo non si rende sensibile alla voce del popolo, in quanto la richiesta fatta dal prefetto col suo telegramma di elevare dal 35 al 45 per cento la tangente, che gli esportatori devono lasciare per avere il permesso di esportazione, non ha avuto ancora riscontro per dare se non altro ai lavoratori, a reddito fisso, altri due decilitri di olio, onde fronteggiate la speculazione e, comunque, per non far rialzare ancora il prezzo dell’olio.

Debbo poi fare ancora un altro rilievo. Il Governo, credo, ha fatto richiesta di importazione per 400 mila quintali di olio di semi dall’America. Sarebbe bene poter mettere questo olio sul mercato, in modo da poter approvvigionare non soltanto le popolazioni delle provincie meridionali produttrici di olio, ma tutta l’Italia.

Debbo poi far rilevare che l’olio che si porta via alla provincia di Reggio non va ai consumatori italiani ma viene esportato clandestinamente in Svizzera, dove viene pagato duemila lire il litro. Questo fanno i produttori delle nostre provincie, verso i quali il Governo è troppo sensibile, quando essi fanno le loro richieste.

Ecco perché mi dichiaro insoddisfatto ed insisto perché il Governo accolga tempestivamente la richiesta che ha fatto il prefetto di Reggio Calabria col suo telegramma, in modo da andare incontro alle masse lavoratrici.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Morini, al Governo (Alto Commissariato dell’Alimentazione), «per conoscere se non si ritiene che le stesse ragioni che hanno consigliato – agli effetti del tesseramento differenziato – di assegnare tutti gli operai alla categoria A, indipendentemente dal salario percepito, militino anche a favore degli impiegati, assegnati invece nella categoria A o B a seconda dello stipendio sino a 25.000 lire mensili o superiore a detta somma».

Non essendo l’onorevole Morini presente, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Bruni, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti sono stati presi contro i violatori della libertà di riunione e di parola che provocarono i noti incidenti del 15 corrente a Livorno, in cui Beverelli Paolo, della locale sezione del Partito cristiano sociale, accorso in difesa del l’onorevole D’Aragona che commemorava Giacomo Matteotti, venne selvaggiamente aggredito, malmenato e denudato».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’internò ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Durante il discorso che il 15 corrente ha tenuto al teatro «centrale» di Livorno l’onorevole D’Aragona, moltissimi presenti interruppero l’oratore con urla, fischi, minacce e insulti, talché l’onorevole D’Aragona fu costretto a cessare il suo discorso.

Nel momento in cui era più violenta questa ingiustificata insurrezione dei presenti, un giovane studente, Beverelli Paolo, dando indubbiamente prova di coraggio civile, saliva sul palcoscenico, si avvicinava al microfono ed invitava energicamente gli intervenuti a desistere dal chiasso ed a lasciare parlare l’oratore.

Purtroppo questo suo intervento, forse non molto misurato nelle espressioni (pare che egli abbia apostrofato violentemente i presenti con l’ingiuria di fascisti, di violenti, di antidemocratici, ecc.), non raggiunse l’effetto desiderato, anzi determinò una sempre maggiore violenza dei presenti, che si rivolsero anche contro di lui. Un gruppo di costoro, nonostante che indubbiamente gli agenti della forza pubblica presenti abbiano cercato di difenderlo e, in un certo momento, vi siano anche riusciti, lo raggiunsero e non si poté evitare che un giovane, rimasto sconosciuto, riuscisse ad afferrarlo, stracciandogli i pantaloni. Uso la parola stracciarli perché, dall’interrogazione dell’onorevole Bruni, parrebbe che, piuttosto che stracciati fossero stati strappati. Ma le notizie che abbiamo avuto si limitano a questo particolare.

La questione ebbe un seguito perché, o denudato, come dice l’onorevole Bruni, o semplicemente coi pantaloni stracciati, come dice il rapporto, questo giovane si stava recando a casa sua; ma, poco lontano dal posto del comizio, incontrò un gruppo di una ventina di uomini, a lui sconosciuti. Due di essi si avvicinarono a lui, percuotendolo a pugni, fortunatamente senza gravi conseguenze.

Ad ogni modo il fatto è indubbiamente molto grave, sia per la prima parte – cioè l’impedire all’onorevole D’Aragona di continuare il suo discorso – sia per la seconda, che denotava una particolare pervicacia nei confronti di questo giovane che aveva tentato di difenderlo.

Il Ministero è intervenuto immediatamente raccomandando alla pubblica sicurezza le indagini più diligenti. Purtroppo queste indagini non sono riuscite ancora ad assicurare alla giustizia nessuno dei colpevoli. Manca infatti qualsiasi elemento d’identificazione. Tuttavia le ricerche proseguono, sollecitate vivissimamente, come esse sono, dal Ministero, che è deciso a reprimere nel modo più energico siffatte inammissibili violazioni della libertà di riunione e di parola.

PRESIDENTE. L’onorevole Bruni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BRUNI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario della risposta che ha dato alla mia interrogazione, ma non posso dichiararmi sodisfatto, perché una circostanza mi ha sorpreso. C’è stata innanzi tutto una deficienza di servizio da parte della pubblica sicurezza. Non si capisce, infatti, perché il giovane, che era stato percosso ed era uscito malconcio, non sia stato accompagnato fino a casa, in modo da evitare che si ripetesse l’aggressione.

Vorrei poi sottolineare che non ho inteso affatto con questa mia interrogazione di rinfocolare gli odî di parte, con riferimento a ciò che avvenne il 15 corrente a Livorno.

In questo momento, in cui un fronte unico deve essere fatto dalle classi lavoratrici, riterrei fuori di posto ogni tentativo del genere ed ogni accusa di reciproca intolleranza.

Ma, fatta questa riserva, prego l’onorevole Sottosegretario di continuare sempre più direttamente a colpire quei fanatici, a qualunque partito appartengano, che da qualche mese ad oggi compiono azioni troppo apertamente in contrasto con lo spirito della nostra democrazia.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Sardiello, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere: 1°) se – in esecuzione del decreto che, dal 1° luglio prossimo venturo, trasferisce la Sezione di Corte d’appello di Reggio Calabria dalla dipendenza della Corte d’appello di Messina a quella di Catanzaro, e dovendo il 1° luglio i magistrati ed i funzionari attualmente in missione a Reggio rientrare alla Corte di appello di Messina – possa assicurare che la Corte di Catanzaro provvederà prontamente alla sostituzione; 2°) se – nel caso non sia possibile dare tale assicurazione – non crede opportuno disporre, con l’urgenza che il caso consiglia, che i magistrati e i funzionari attualmente dipendenti dalla Corte di Messina ed in missione presso la Sezione di Reggio vengano (per i magistrati, con la loro adesione) trasferiti alla Corte di Catanzaro, restando destinati in missione presso la Sezione di Reggio. A tal proposito è da notare che i magistrati e funzionari predetti, durante la loro missione presso la Sezione di Reggio, sono stati sempre esclusivamente adibiti al lavoro di questa; 3°) quali altri provvedimenti – in caso che non ritenga attuabile o non risulti sufficiente quello sopra indicato – intenda adottare (e potrebbesi pensare anche ad una proroga della data di entrata in vigore del decreto) per garantire oltre il 1° luglio prossimo venturo il funzionamento della Sezione di Corte di appello di Reggio Calabria, che ha risposto e risponde in modo opportuno e degno sotto tutti i rapporti al funzionamento della giustizia, e che quella nobile popolazione ha invocato per lunghi decenni, ha conseguito con piena soddisfazione ed intende conservare e difendere con tutte le sue forze».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere in sostituzione del Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Per il regolare funzionamento della Sezione di Corte d’appello di Reggio Calabria tre magistrati sono stati destinati a detto ufficio: Donato, Labbate, Perricone.

Altri 3 (Michienni, Borruto, Migliardi) sono stati invitati a dichiarare se accettino la destinazione in pianta a Reggio.

In caso di risposta negativa si provvederà con l’applicazione, in base all’articolo 42, del decreto-legge 31 maggio 1946, n. 511. Sarà applicato alla Cancelleria della Sezione un funzionario (Triolo) che sarà coadiuvato da un avventizio (Mazzeo).

Il primo Presidente della Corte d’appello di Catanzaro, nei limiti delle sue facoltà, provvederà ad applicare altro funzionario per il servizio della Procura generale.

Con tali provvedimenti è stato assicurato il regolare funzionamento della Sezione predetta, sicché non occorre prorogare la data al 1° luglio stabilita per l’entrata in vigore del decreto per effetto del quale la Sezione, già dipendente dalla Corte di Messina, passa alle dipendenze di quella di Catanzaro.

PRESIDENTE. L’onorevole Sardiello ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SARDIELLO. Devo dichiararmi sodisfatto della risposta fornitami dall’onorevole rappresentante del Ministro di grazia e giustizia. Raccomando soltanto che l’esecuzione dei provvedimenti annunciati abbia luogo al più presto. Per il delicato periodo che attraversano gli uffici giudiziari, alla vigilia delle ferie, una sospensione del lavoro della Corte, ove non si provvedesse in questo momento, sarebbe assai dannosa ai fini della giustizia. Colgo l’occasione per raccomandare al Ministro della giustizia che l’avvenire della Sezione di Corte di appello di Reggio Calabria venga guardato nel senso dell’autonomia di questo ufficio giudiziario, che risponde ad una aspirazione antica della città di Reggio. La Sezione di Corte d’appello, che potrei dire la conquista della mia città, è insidiata e minacciata da molti interessi contrastanti. Ora questa preoccupazione nella provincia reggina è motivo di grande turbamento. Ecco perché raccomando che una particolare cura e una vigilanza premurosa siano rivolte alla vita ed all’avvenire di quell’ufficio.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Pajetta Giuliano, Pellegrini, Scotti Francesco, Bardini, Pressinotti, Roselli e Bosi, ai Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, «sulle misure che intendono prendere per garantire ai bachicoltori un equo pagamento del loro raccolto di bozzoli e sull’eventuale requisizione, da parte delle autorità, degli essiccatoi, affinché i contadini possano conservare i bozzoli da essi raccolti in attesa di una nuova evoluzione dei prezzi sul mercato serico; ciò in vista del fatto che, in molte provincie italiane, tutti gli essiccatoi si trovano nelle mani di associazioni monopolistiche, che impongono ai contadini il prezzo di lire 200 al chilogrammo per i bozzoli freschi, prodotto estremamente deperibile».

Non essendo presenti gli onorevoli interroganti, s’intende che vi abbiano rinunciato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Molè, Veroni e Cevolotto, ai Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, per domandare quali misure intendano prendere per assicurare ai bachicoltori un prezzo dei bozzoli rimuneratore delle loro fatiche e impedire la speculazione ai danni di una categoria di umili lavoratori».

Non essendo presenti gli onorevoli interroganti, s’intende che vi abbiano rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Terranova, ai Ministri dell’industria e commercio e dei trasporti, «per sapere se non ritengano di dovere direttamente approvvigionare di carbone la città di Siracusa per evitare l’inconveniente, già altre volte verificatosi, che, a causa del mancato tempestivo arrivo di carbone da Catania, tanto la ferrovia Siracusa-Vizzini, quanto le industrie locali, hanno dovuto sospendere la loro attività, con grave pregiudizio economico di quelle laboriose popolazioni. Tale invio periodico di carbone, per un quantitativo minimo di 3000 tonnellate mensili, consentirebbe di alleviare la forte disoccupazione fra i portuali di quella città, le cui misere condizioni hanno determinato legittime agitazioni con conseguente turbamento dell’ordine pubblico».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole De Martino, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se sia a sua conoscenza che, a circa un chilometro da Colleferro, i lavori di ricostruzione del ponte sul fiume Sacco, iniziati da oltre un anno, sono condotti con lentezza, disinteresse e noncuranza della pubblica incolumità, sì da provocare, in questi ultimi tempi, ben sei seri gravi incidenti automobilistici e per sapere quali provvedimenti intenda adottare per punire i responsabili di tali trascuraggini e prevenire, con opportuni servizi di segnalazione, altri disastri».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

È così terminato lo svolgimento delle interrogazioni iscritte all’ordine del giorno.

Domani vi sarà seduta alle 16, per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro degli affari esteri, circa l’urgenza – in rapporto al piano Marshall – della ratifica del Trattato di pace.

«Canepa».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere la ragione per la quale il preventorio di Cosenza rimane ermeticamente chiuso.

«Mancini».

«Ai Ministri delle finanze, del tesoro, e degli affari esteri, per sapere se non riconoscono urgente la necessità di intervenire a favore degli infortunati nel lavoro fruenti di rendita dall’Istituto nazionale svizzero d’assicurazione contro gli infortuni. Alcune migliaia di famiglie italiane potrebbero liberarsi dalla miseria se il Governo italiano si decidesse a prendere la determinazione che l’Istituto svizzero attende per dar corso al pagamento delle rendite in Italia e degli arretrati dal 1° ottobre 1946, determinazione che il Governo italiano non deve ritardare oltre, per quanto sta nelle sue possibilità, senza assumere grave responsabilità.

«Ghidetti».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non creda che debbano essere finalmente tradotti in atto i provvedimenti più volte richiesti e promessi per regolare la posizione giuridica dei beni mobili ed immobili sottratti durante il periodo fascista, con la violenza morale e materiale, ad Enti e privati.

«Macrelli».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se sia a conoscenza di una circolare, che sarebbe stata diramata dalla Questura di Roma (e, si pensa, anche dalle altre Questure), a mente della quale è fatto divieto alle organizzazioni dei partiti politici di usare in comizi e in altre manifestazioni impianti per la diffusione sonora delle manifestazioni stesse.

«Per sapere altresì, nel caso l’onorevole Ministro abbia approvato la circolare suddetta, se egli concordi sul parere espresso dalle autorità locali di pubblica sicurezza; cioè che essa trova la sua giustificazione nel decreto-legge 3 febbraio 1936, n. 418, contenente «norme per l’uso degli apparecchi di radio-diffusione all’aperto e nei pubblici esercizi», convertito in legge 4 giugno 1936, n. 1521, che vieta ai possessori degli apparecchi radioriceventi di farne uso in pubblico.

«E per sapere se l’onorevole Ministro non ritenga opportuno riesaminare attentamente il testo della legge in parola, la quale, avendo fini protettivi di monopolio delle trasmissioni radiofoniche ed essendo stata a suo tempo promossa dal Ministro per la stampa e propaganda, non può avere applicazione in campi diversi e tanto meno diventare un mezzo per limitare le libertà politiche dei cittadini.

«Gullo Fausto».

«Al Ministro dell’interno, per chiedere d’urgenza quali provvedimenti siano stati adottati e in rapporto alle Autorità preposte all’ordine pubblico e per l’identificazione e deferimento all’Autorità giudiziaria dei colpevoli delle provocazioni ed aggressioni effettuate in Napoli in danno di democratici cristiani, e tra essi dell’onorevole Stefano Riccio, nel cortile della Sede centrale del loro Partito, da elementi che partecipavano al corteo comunista svoltosi la mattina del giorno 22 giugno dopo il discorso dell’onorevole Togliatti al teatro San Carlo, elementi che, oltre al distintivo di quel Partito, recavano al braccio ed al petto un contrassegno con la dicitura «Squadre d’ordine» ed erano armati di nervi di bue; precisando se l’esistenza di dette squadre di parte possa essere consentita o comunque tollerata.

«Rodinò Ugo, De Unterrichter Maria, Leone Giovanni, Numeroso, Gatta, De Michele, Caso, Firrao, Notarianni, Titomanlio Vittoria, Angelini».

NOTARIANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOTARIANNI. Quale firmatario di questa ultima interrogazione, domando che sia posta all’ordine del giorno della seduta di venerdì prossimo.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere alle interrogazioni testé lette.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. All’interrogazione dell’onorevole Gullo Fausto risponderò nella seduta di sabato prossimo. Accetto la richiesta dell’onorevole Notarianni.

Quanto alle altre interrogazioni, interesserò i Ministri competenti perché vogliano dichiarare, possibilmente nella seduta di domani, quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non intenda rimediare all’errata interpretazione data al decreto 1° aprile 1947, n. 221, del Ministero dell’interno, con cui s’intese alleviare le gravi condizioni di disagio nelle quali versano i funzionari di pubblica sicurezza e gli appartenenti al Corpo degli agenti di pubblica sicurezza, stabilendo per essi una indennità giornaliera di ordine pubblico con decorrenza dal 1° gennaio.

«La indennità in parola teneva conto anche di rischi e di sacrifici eccezionali ai quali è sottoposto, attualmente, il personale di pubblica sicurezza.

«Ora la Ragioneria centrale del Ministero dell’interno, con interpretazione inesplicabile, ha disposto che tale indennità non sia accumulabile con i compensi per lavoro straordinario e, in certi casi, rimessi all’arbitrio dei ragionieri della questura e non cumulabile perfino con l’indennità giornaliera di pubblica sicurezza.

«Cosicché si è reso inutile il provvedimento di cui sopra, aggravando il vivo malcontento di tutto il personale di pubblica sicurezza che si ritiene vittima di una autentica beffa.

«Bruni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla urgente necessità che sia istituita in Siracusa una Sezione dell’Ispettorato del lavoro, con competenza anche sulla vicina provincia di Ragusa, per esercitare con visite frequenti una continua azione ispettiva, ai fini dell’osservanza delle norme legislative in materia di assistenza e previdenza sociale sulle ditte interessate ed impedirne le evasioni, col danno dei lavoratori. L’interrogante richiama in proposito l’attenzione del Ministro sulle recenti deliberazioni ed istanze della Camera confederale del lavoro di Siracusa e dei rappresentanti degli Uffici provinciali di assistenza e previdenza e del lavoro.

«Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se ritenga giusto che i contribuenti, i quali hanno presentato prima del 10 giugno domanda di riscatto dell’imposta straordinaria proporzionale, siano egualmente iscritti nel ruolo per il pagamento della prima rata con l’inconveniente di dover pagare i relativi e notevoli aggi esattoriali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno decidere finalmente sulla questione delle soppresse Direzioni speciali delle scuole rurali e sulla sistemazione degli ex direttori incaricati di dette scuole, prevista dall’articolo 5 della legge 31 maggio 1943, n. 570.

«Detta soppressione, ordinata dalla circolare ministeriale n. 1344/O.E.I. del 2 maggio 1944, togliendo alle scuole rurali quella organizzazione che era sorta dal loro stesso seno e perciò aderente ai loro bisogni e ricca di elementi preparatisi in lunghi anni di consuetudine coi problemi, col lavoro, coll’ambiente che sono ad esse particolari, ha prodotto risultati negativi, facilmente controllabili.

«L’interrogante chiede quindi se non sia opportuno che almeno nelle zone ricche di popolazione rurale sparsa, come nei comuni di Martina e di Ostuni, per riferirsi alle sole provincie di Taranto e di Brindisi da lui rappresentate, vengano ripristinate le Direzioni didattiche a carattere eminentemente rurale, con personale direttivo e insegnante particolarmente idoneo e provato alle speciali esigenze delle scuole per i contadini, le quali ora più che mai dovrebbero essere incrementate, per una sana e completa preparazione morale e civile del benemerito proletariato rurale.

«È noto che per il recupero delle Direzioni rurali soppresse è avviata la pratica al Ministero del tesoro e poiché è sperabile che nel prossimo riordinamento dei circoli didattici, ormai improrogabile per l’organizzazione scolastica, almeno quelle Direzioni soppresse siano ripristinate, se proprio non sarà possibile istituirne altre, l’interrogante chiede se non sia opportuno, per ovvie ragioni, nel superiore interesse della scuola, che negli imminenti concorsi direttivi dette Direzioni siano riservate agli stessi ex direttori rurali, che attendono da anni la loro giusta sistemazione.

«In tal modo si assicurerebbe a dette Direzioni personale particolarmente preparato per lunga esperienza e i nuovi aspiranti ai concorsi direttivi, avendo a loro disposizione tutte le sedi attualmente vacanti, non avrebbero più motivi di ostacolare l’applicazione della legge 31 maggio 1943. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Motolese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere il motivo per cui la popolazione di Caltagirone, con oltre 40.000 abitanti, da ben dieci giorni viene lasciata completamente senza acqua, e ciò dopo la solenne inaugurazione dell’acquedotto idrico Bellia-San Michele di Ganzeria-Caltagirone, fatta alla presenza del Ministro Scelba e delle autorità provinciali e regionali, il 13 aprile 1947, alla vigilia delle elezioni regionali; e per conoscere, inoltre, perché non sono stati presi provvedimenti per garantire le condizioni igienico-sanitarie della città; perché si è voluto intimidire e terrorizzare la popolazione con la mobilitazione e lo spiegamento di ingenti forze di polizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fiore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga di contemplare la possibilità che nei bandi di concorso di imminente pubblicazione sia concessa alle vedove di guerra l’ammissione in ruolo per titoli, anche se non abilitate, purché abbiano prestato servizio in istituti governativi per un numero di anni da determinarsi e ne abbiano conseguito la qualifica di «ottime».

«Questo in considerazione del gravissimo sacrificio sopportato dalle vedove di guerra per il bene della Patria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rumor».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se sono state fedelmente riprodotte le parole da lui pronunciate in una intervista col giornale II Tempo del 22 giugno e che sono state pubblicate nel tenore seguente:

«Io ho accettato la battaglia e con la vittoria di oggi – almeno per quanto riguarda le mie forze – ho la consapevolezza di aver posto una barriera fra le forze dell’ordine e quelle del disordine. L’Italia ha bisogno di lavorare, e se mi lasciano tranquillo, lavorerò». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vischioni».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La sedata termina alle 19.50.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 21 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLX.

SEDUTA DI SABATO 21 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Presentazione di una relazione:

Bertini, Presidente della Giunta delle elezioni                                                    

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Scotti Alessandro                                                                                          

Perrone Capano                                                                                              

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Presidente                                                                                                        

Marinaro                                                                                                         

Crispo                                                                                                               

Mastino Pietro                                                                                                

Pallastrelli                                                                                                    

Micheli                                                                                                             

Giannini                                                                                                            

Bovetti                                                                                                             

Fogagnolo                                                                                                       

Nenni                                                                                                                

D’Aragona                                                                                                       

Angelini                                                                                                           

Lucifero                                                                                                           

Nitti                                                                                                                  

Covelli                                                                                                             

Bertini                                                                                                              

Pastore Giulio                                                                                         

Cianca                                                                                                              

Croce                                                                                                                

Damiani                                                                                                            

Orlando Vittorio Emanuele                                                                          

Votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

Presidente                                                                                                        

Mastino Pietro                                                                                                

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 8.30.

MOLINELLI Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo il deputato Gasparotto.

(È concesso).

Presentazione di una relazione.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTINI. Presidente della Giunta delle elezioni. Mi onoro di presentare la relazione della Giunta delle elezioni sull’elezione contestata della circoscrizione di Catania.

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Presidente della Giunta delle elezioni di questa relazione. Sarà stampata e distribuita.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

L’onorevole Scotti Alessandro ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente raccomanda al Governo che sia, quanto prima, rimossa la bardatura degli ammassi o, quanto meno, ne sia ridotta e contenuta l’applicazione al solo fine di garantire l’approvvigionamento per le categorie dei non abbienti.

«In ordine al prezzo del grano, richiama l’attenzione del Governo sulla necessità di adeguare al costo effettivo la quota riservata al produttore, tenendo presente gli alti costi dei concimi, della mano d’opera, della trebbiatura e degli oneri fiscali.

«L’Assemblea Costituente raccomanda inoltre al Governo, nella ripartizione degli oneri tributari, di inspirarsi ad una equa giustizia distributiva, tenendo presente come sulla media e piccola proprietà terriera già gravi uno sproporzionato carico fiscale.

«L’Assemblea invita pure il Governo, in attesa della riforma agraria, a concedere, nella forma che riterrà migliore, le terre demaniali ai partigiani, ai reduci, agli agricoltori della Venezia Giulia che hanno lasciato per l’amore dell’Italia terre italiane bonificate con i loro sudori e di cui lo straniero coglierà i frutti».

Ha facoltà di svolgere questo ordine del giorno.

SCOTTI ALESSANDRO. Onorevoli colleghi, dopo i bellissimi discorsi di ieri, io parlerò a nome del Partito dei contadini d’Italia e cercherò di essere breve perché noi rurali preferiamo dire cose semplici, chiare e concrete. Tratterò vari argomenti; la sostanza però è una sola e si può sintetizzare in due frasi: ingiustizia distributiva degli oneri fiscali e privazione dì libertà nei riguardi degli agricoltori specie dei piccoli e dei medi.

Dai giorni della liberazione nazifascista ad oggi l’Italia ha avuto ben sei ministeri; la crisi testé risolta è stata la più lunga e la più laboriosa; ora io penso che le crisi del Governo, le contese di partito, le competizioni per raggiungere o conservare il potere non fanno che allontanare le possibili e volenterose energie tecniche e morali dall’obiettivo supremo che deve essere la salvezza del Paese.

Questa crisi ha visto gli onorevoli Nitti, Orlando, Bonomi, i nostri uomini politici più anziani e credo migliori, rinunziare a guidare il Paese per non avere potuto raggiungere quel minimo di concordia nazionale per ben governare.

La cronaca della crisi ci ha chiaramente detto che nessuno dei partiti ha voluto sacrificare un po’ del proprio amor proprio per consentire la formazione di un Ministero che avesse avuto per programma l’unione di tutti gli animi e tendente ad un solo fine immediato: la salvezza della lira, la salvezza, dell’unità morale del popolo italiano. In tutto questo lungo periodo della crisi il popolo italiano in generale e quello rurale in particolare hanno dato ai governanti un nobilissimo esempio di maturità politica e di disciplina. Il popolo italiano nella sua grande maggioranza ha continuato a lavorare silenziosamente e tenacemente ben sapendo chela risurrezione del Paese viene più dal lavoro e dalla saggezza del popolo che dall’opera dei governanti ai quali auguro di sapere ben dirigere questo popolo così ricco di energie. La democrazia cristiana come Partito più numeroso ha ritenuto suo obbligo morale prendere le redini del Governo, il partito dei contadini si augura che essa sappia superare sé stessa e la propria visuale di partito per governare nell’interesse superiore della nazione e resta in questa benevola attesa prospettando al nuovo Governo quanto desidera il popolo delle campagne, specie i mezzadri, i piccoli e medi proprietari terrieri e l’artigianato rurale. Il popolo rurale attende che gli ammassi che hanno chiaramente dimostrato di essere onerosi per lo Stato, scoraggianti per gli agricoltori e svantaggiosi per i consumatori, siano definitivamente tolti e si ritorni al regime di libertà e di libera concorrenza.

Per gli anni passati il Governo ha conservato gli ammassi trincerandosi dietro l’obbligo che ne avevano fatto gli Alleati; ora questa obbligazione morale più non esiste. L’ingiusto trattato di pace avrà almeno concesso questa primordiale libertà di fare a casa nostra quello che più riteniamo saggio nell’interesse del popolo. Ora il popolo rurale ritiene saggia l’abolizione degli ammassi che sono stati la causa prima e principale per cui si è formato un ceto di intermediari profittatori spudorati ed incoscienti che hanno inasprito i rapporti tra produttori e consumatori, hanno danneggiato la produzione ed hanno creato il disagio morale ed economico in tutta la Nazione. Questo è stato il solo risultato positivo della politica degli ammassi: spendere 100 miliardi per mantenerli.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non è esatto.

SCOTTI ALESSANDRO. Se si conteggia il tempo perduto dai contadini, i 100 miliardi saranno certamente superati. Il Partito dei contadini, dal giorno della liberazione ad oggi, ha sempre onestamente e apertamente combattuto gli ammassi come una fonte di ingiustizia, come un impedimento reale all’aumento della produzione, e come una causa dell’alto prezzo del pane. Basta pensare che per gestione ammassi, trasporto grano e stipendi all’U.N.S.E.A. ogni quintale di grano viene gravato di oltre mille lire – e oggi questi disgraziati impiegati della U.N.S.E.A. scioperano chiedendo l’aumento dello stipendio e chiedono che detti uffici siano trasformati in uffici di statistica agraria… È così la burocrazia che prolifica a tutto danno del produttore e del consumatore.

Qualche giornale, qualche partito e anche qualche Ministro del passato Governo, hanno confuso tra ammassi e consegna del grano e hanno detto che il Partito dei contadini ha fatto propaganda perché gli agricoltori non consegnassero il grano ai granai del popolo. Smentisco nella maniera più categorica questa calunnia e leggo il manifesto che il Partito dei contadini stampò nel mese di giugno del 1945, manifesto al quale ha sempre ispirato la sua propaganda. Ecco il testo:

«Contadini, consegnate il grano, tratteniamo lo stretto necessario per l’uso familiare, non vendiamone niente in borsa nera e portiamo il resto ai granai del popolo al giusto prezzo che retribuisca i nostri sudori, il nostro lavoro e le nostre spese.

«Per noi contadini è un dovere di solidarietà umana consegnare il grano, per il Governo è un dovere che non defraudi il nostro sudore, che non irrida alle nostre fatiche, che non approfitti della nostra disunione, della nostra disorganizzazione; non chiediamo privilegi, ma chiediamo giustizia e giustizia distributiva nei riguardi degli altri cittadini a cui sentiamo di non essere inferiori per peso specifico e sociale».

Ora, il prezzo del grano è stato fissato nel 1945 in lire 700 al quintale mentre ne costava all’agricoltore 1500; nel 1946 è stato fissato in lire 2500 (premio compreso) mentre ne valeva 3000 e quest’anno fissato in 4300 mentre al piccolo proprietario ne costa 6000 mila. Il grano è oro, anzi è più necessario dell’oro perché con il grano si vive mentre con il solo oro non si potrebbe vivere. Prima della guerra un quintale di grano valeva una sterlina oro, perché non dovrebbe valerlo oggi che è più necessario di allora? Perché si mette il prezzo di imperio sul grano, sul granoturco, sul riso e non lo si mette sugli altri prodotti industriali? Perché non è stato concesso il premio della maggior produzione? Quale è la categoria che lavora in perdita?

Bisogna tener presente che il prezzo dei prodotti agricoli rappresenta il salario del mezzadro, del piccolo e medio coltivatore diretto, salario che deve essere equo, giusto, proporzionato alle spese, alle fatiche, alle ore di lavoro, salario che la Divina Provvidenza proporziona sempre all’intelligenza e al lavoro che l’agricoltore dà alla madre terra.

Ogni agricoltore, come ogni altro lavoratore, ha il diritto di difendere il suo salario, le sue spese, l’interesse del suo capitale e il suo faticoso lavoro che non è di sole otto ore. Specialmente nelle pianure, il grano è il principale raccolto dell’agricoltore e quindi il suo principale salario, dal quale deve trarre il sostentamento per sé e per la sua numerosa famiglia che tutta lavora, dal bambino di dieci anni al vecchio di ottanta. E per di più da quel salario deve detrarre le onerose imposte su cui il fisco non transige.

Io domanderei ai dirigenti della Confederazione del Lavoro a quale mezzo devono ricorrere i mezzadri e i coltivatori diretti per difendere il loro salario, cioè il prezzo dei loro prodotti agricoli.

Se il Governo, con atto di giustizia, avesse pagato il grano al suo giusto prezzo, i contadini. avrebbero consegnato non solo il cento per cento del prodotto, ma avrebbero aumentato la produzione e oggi non si dovrebbe constatare che oltre centomila ettari di terreno non sono stati coltivati a grano, ma a colture libere e più redditizie, poiché l’agricoltore, come ogni altra categoria di cittadini, cura i suoi interessi secondo le leggi economiche, che non si possono violare arbitrariamente senza provocare danno per tutta la Nazione.

Per fare funzionare gli ammassi c’è voluto naturalmente il controllo governativo, controllo che in certe zone agricole è stato particolarmente brutale ed irritante. Anche quest’anno pare si voglia mettere la sentinella accanto alla trebbiatrice.

Creda, onorevole De Gasperi, che nulla è più umiliante per l’agricoltore di vedersi sorvegliato quale comune delinquente, quale ladro della roba sua. Questo controllo offende la dignità, la personalità, la bontà dell’agricoltore, del soldato obbediente e valoroso, del cittadino laborioso e pacifico. Il contadino nel suo innato buon senso si chiede: perché non si è messa la sentinella alle poche fabbriche di concimi? Perché non si mette la sentinella alle fabbriche di tessuti, alle fabbriche di scarpe, alle fabbriche che ci forniscono le vanghe, gli aratri, i trattori, per controllarne i prezzi? Non sa il Governo che ci ha dato una razione di assegnazione di concimi di 15 chili per ettaro mentre ne occorrevano almeno 15 quintali per ottenere una buona produzione? Non sa il Governo che i concimi abbiamo dovuto comperarli a borsa nera pagandoli sei, sette, ed anche ottomila lire il quintale? Perché questa differenza di trattamento?

Oggi la terra ha forse più fame di concime che il popolo italiano, di pane (Commenti a sinistra) e il solo sudore dell’agricoltore non basta a farla fruttificare.

Questo controllo, onorevole De Gasperi, è umiliante ed è specialmente umiliante e intimidatorio per le nostre donne rurali costrette a vivere in un clima di paura; perché mentre gli uomini lavorano nei campi esse vivono sotto l’incubo di sentire avvicinarsi il rombo delle macchine dalle quali scendono i poliziotti dell’annonaria o della questura, che come già i petulanti squadristi fascisti entrano in casa… (Commenti a sinistra), violano il sacro domicilio familiare, mettono sottosopra ogni masserizia per cercare il quintale di grano non consegnato e trattenuto il più delle volte per sfamare i proprî figlioloni, che alla terra danno forza di muscoli e sudore della fronte, forza che non potrebbero dare a stomaco semivuoto lavorando da una stella all’altra stella.

E questa paura si viene proprio a destare nelle nostre sante donne rurali che danno sacerdoti alla Chiesa, soldati alla Patria e in quasi ogni famiglia rurale attendono un figlio disperso, curano un figlio mutilato o piangono un figlio morto e nella loro lunga giornata non perdano un minuto di tempo per tingersi le unghie dei piedi, e non sprecano un giorno per andare al mare o ai monti a mangiare la panna montata fetta con le uova delle loro galline e con il latte delle loro mucche, a cui porgono il mangime prima che sorga il sole e mentre ancora tanta parte di italiane dormono saporitamente!

Questo sistema di controllo è una vergogna e il Partito dei contadini, sicuro interprete dell’anima e dell’onestà dei rurali, invita il Governo a non più praticarlo e soprattutto a non applicare quelle feroci sanzioni che sono state emanate in questi giorni.

Parliamo ora del quantitativo di grano lasciato agli agricoltori. L’anno scorso era stato fissato in quintali 1,50 e 2 per ogni coltivatore diretto; quest’anno è stato fissato in quintali 1,80-2,40 per ogni persona. Io non dico che sia molto o che sia poco; dirò che per qualche famiglia è sufficiente, per molte invece non è sufficiente. Ma voglio ricordare al Governo che non è questo il giusto criterio. Già S. Paolo, 19 secoli or sono, diceva: «Non si mette la museruola al bue che trebbia»! E con questo voleva dire che al produttore bisogna lasciare il necessario per la sua famiglia. Il Partito dei contadini dice agli agricoltori di trattenersi lo stretto necessario.

Abbiate fiducia, onorevoli membri del Governo, abbiate fiducia in quest’uomo dei campi che ve ne ha dato tante prove in guerra e in pace, e non mettetegli la museruola che lo irrita e lo umilia. Il volere misurare, il volere limitare la razione al produttore offende la sua indipendenza economica e morale; ed è questa una mentalità burocratica sulla quale richiamo l’attenzione dei signori nuovi Ministri, perché essa va esplicandosi anche in altri campi, oltre che in quello del grano. Così, nel decreto legislativo del Capo dello Stato del 29 marzo 1947 viene lasciato al produttore di vino un solo litro per persona e su tutto il resto della produzione il fisco ha diritto del controllo e di applicare la tassa. Ora, se si vuole applicare una tassa che favorisca i comuni di produzione, questa imposta deve essere applicata solo sul vino che viene scantinato e non già sulla parte che il viticultore tiene per sé, per la sua famiglia, per i suoi amici, a cui lo offre gratuitamente.

A proposito del vino, quale esponente dei viticoltori, faccio osservare che in questi ultimi tempi il Governo ha abolito tutte le norme che tutelavano la viti-vinicoltura: ha sospeso la tariffa eccezionale dei trasporti ferroviari per i prodotti meridionali, ha elevato l’imposta di consumo in misura esagerata, ha permesso ai grandi centri urbani di elevare il dazio che raggiunge per Torino e Milano lire 12 al litro, ha tassato i vini in bottiglia con cifre sbalorditive, impedendo così il consumo e quindi la produzione di qualità, che è quella che viene esportata all’estero, con grave pregiudizio della nostra bilancia commerciale.

Ora, nell’interesse della viti-vinicoltura, è necessario che il nuovo Governo riveda tutti questi provvedimenti draconiani che danneggiano la produzione, il consumo e rendono quasi impossibile alla classe operaia di bere un bicchiere di buon vino.

Altri ingiusti provvedimenti oggi assillano i coltivatori diretti e su quelli richiamo l’attenzione dei competenti Ministri.

Contributi unificati: i contributi unificati, creati per l’assistenza ai lavoratori della terra, oggi sono stati estesi ed applicati anche a quei coltivatori diretti che non hanno nessuno alle loro dipendenze e che nei lavori di punta fanno intervenire in loro aiuto il personale femminile familiare. Forse che si vuole con questo ingiusto provvedimento proibire al coltivatore diretto, quando i lavori urgono, di alzarsi presto al mattino e rincasare tardi alla sera? Forse che si vuole castigare il suo duro lavoro? Anche il premio della Repubblica si è cercato di farlo pagare dal coltivatore diretto che non ha nessun dipendente, e questo è stato fatto dagli uffici del lavoro dell’istituto di Previdenza Sociale.

Io ritengo che gli istituti di previdenza debbano essere sveltiti, altrimenti le spese del numeroso personale diventano superiori agli incassi già molto gravosi per i datori di lavoro e più nulla resta per i lavoratori della terra e per i medici addetti alle mutue, che pure prestano la loro opera con assidua abnegazione.

Una deliberazione del Consiglio dei ministri del passato Governo – per venire ad altro argomento – proponeva…

PRESIDENTE. Onorevole Scotti, la prego: lei ha oltrepassato il tempo prescritto.

SCOTTI ALESSANDRO. Onorevole Presidente, l’argomento che io devo trattore…

PRESIDENTE. Onorevole Scotti, non è la natura dell’argomento quella che determina il tempo.

SCOTTI ALESSANDRO. …una deliberazione del Consiglio dei ministri del passato Governo proponeva l’esonero dall’imposta di ricchezza mobile a favore di tutte quelle singole persone il cui stipendio annuale fosse inferiore alle 280 mila lire. Noi contadini siamo ben lieti di questo provvedimento che favorisce tutti i travets del lavoro burocratico, ma chiediamo: quale limite è stato posto al reddito rurale per esentarlo dalle imposte? Per l’imposta proporzionale sul patrimonio sono stati tassati anche i patrimoni minimi.

Credo non occorra essere un dottore in scienze economiche per constatare come il milione e mezzo stabilito come limite per la denuncia della tassa patrimoniale permetta agli agenti delle imposte di colpire una enorme massa di piccoli e minimi proprietari terrieri che non hanno certo il reddito personale di 280 mila lire stabilito per gli impiegati. Se mai, questo reddito potrà essere raggiunto da tre, quattro persone che lavorino insieme come nucleo familiare e non solo otto ore. È questa giustizia distributiva?

È stata da me, in questi giorni, una povera vedova di guerra, Rosina Grassano, la quale possiede due giornate e quaranta tavole di terreno, circa novemila metri quadrati di terreno, cioè meno di un ettaro, coltivato a campo ed a vigna. Lo lavora essa stessa con un figlio di quattordici anni. Ebbene, questa donna ha ricevuto le cartelle di pagamento che leggo.

Imposta terreno: lire 2.800; imposta di reddito agrario: lire 320; imposta sul patrimonio: lire 2.228; imposta proporzionale sul patrimonio: lire 21.869. Totale complessivo: lire 27.812, somma che essa deve ricavare e pagare al fisco lavorando meno di un ettaro di terreno e sulla quale il nuovo Governo prepara l’imposta straordinaria sul patrimonio. Ho qui le cartelle di pagamento per l’egregio Ministro Pella nel caso volesse controllarle.

Ora, se ci fosse su tutti i trenta milioni di ettari di terreno coltivabili d’Italia una giusta perequazione delle imposte, questi terreni dovrebbero dare un introito all’erario dello Stato di ben 820 miliardi; e questo senza applicare l’imposta progressiva. Ebbene, questa cifra sarebbe niente meno che la distruzione della media e piccola proprietà terriera e l’annientamento degli agricoltori.

Queste, onorevoli colleghi, sono le ingiustizie che gli agenti delle imposte delle province, non controllati o spinti dalla burocrazia centrale, commettono a danno dei piccoli coltivatori che dalla società vengono chiamati affamatori del popolo e che ancora vivono in certe zone mangiando polenta ed insalata con poco olio e pane raffermo di otto giorni, con cipolle al solo aceto.

Onorevoli colleghi, oggi tutti vorrebbero pescare a piene mani nelle casse dello Stato, ma questo sperato pozzo di San Patrizio è esausto. Mentre miliardi di ricchezza nati dalla guerra eludono il fisco, mentre la trionfante borsa nera ostenta nel lusso, nel gioco, nei bagordi, nei ritrovi eleganti, la ricchezza acquistata senza sudore, l’agricoltore, l’artigiano, l’uomo semplice che continua a lavorare, che continua a risparmiare, che continua la sua modesta vita dei campi, vede le sue terre, la sua modesta casa, i suoi mezzi di produzione tutti al sole, oberati di imposte, di tasse, di balzelli sempre più duri, sempre più ingiusti.

Da notare, onorevoli colleghi, che di questi piccoli coltivatori non ne troverete nessuno che viaggi in treno con i biglietti a riduzione; se entrate negli ospedali non ne troverete nessuno cui la mutua paghi l’ospedalità; se girate per la campagna li troverete a lavorare ancora a settant’anni e senza pensione; e quello che molte volte più addolora si è che il frutto del loro lavoro, l’interesse del loro piccolo capitale, le ingenti spese della campagna sono sotto la cappa del cielo, il quale non sempre è benigno verso di loro.

Ed è di questi giorni la notizia che la grandine ha fatto piangere gli agricoltori del veronese, del canavesano, del casolese, di Frascati, dell’astigiano, dove furono distrutti anche i sostegni delle viti ed il raccolto è stato compromesso pure per un altro anno.

Chi pensa a questi sfortunati agricoltori? Quali sono i provvedimenti dello Stato verso questa benemerita categoria sulla quale si accanisce il fisco anche dopo la tempesta?

Questa è la tragedia dei piccoli e medi coltivatori, caro onorevole Pella, ai quali prego di rivolgere una attenzione benevola e non grifagna. Se mai, lo sguardo suo energico e severo – ella è biellese e perciò intelligente osservatore – dovrà rivolgerlo verso quegli industriali che hanno trasportato all’estero i loro tessuti, i loro prodotti industriali e invece di riportare in Italia la moneta pregiata per sanare le piaghe di questa nostra grande ed amata malata, la Patria, lasciano i loro guadagni lassù dove la loro ricchezza si accumula non a milioni, ma a miliardi. Contro questi la tenaglia della finanza dovrebbe incidere nelle carni vive, tanto che il dolore li obblighi a riportare in Patria il proprio patrimonio depositato all’estero.

Un’altra osservazione, onorevoli colleghi; i molti nostri partigiani e reduci ancora non si sentono a posto, sono irrequieti. Molti di essi hanno nascosto le armi sotto i pagliai, nelle tombe dei cimiteri, nelle cantine, sottoterra, non so per quali occulti fini.

Io constato che quelle armi probabilmente sono diventate arrugginite e col tempo, ritornando il popolo alla serenità dello spirito, più non servono e più non devono servire come armi fratricide.

Sarebbe stato meglio che quelle armi fossero state consegnate allo Stato il quale ne avrebbe acquistato autorità ed in cambio avessero chiesto armi più belle, più pacifiche: vanghe, zappe, badili, aratri, trattori; e che il Governo, forte del consenso dei partigiani e dei reduci, avesse consegnato ad essi le terre incolte, le terre demaniali (poiché bisogna ricordarsi che in Italia il più grande latifondista è ancora lo Stato), e con le terre e con gli attrezzi di lavoro avesse dato i capitali necessari per mettere in efficienza la terra, mercé il lavoro e la buona volontà dei partigiani.

Ed a fianco dei partigiani e reduci io mi auguro che il Governo trovi posto anche per gli ottimi agricoltori della Venezia Giulia, che hanno lasciate, con il pianto nel cuore, quelle terre italiane ch’essi avevano fecondato con sudore italiano: anche questo è un dovere di giustizia, di solidarietà nazionale e campagnola.

La campagna che tanto ha contribuito alla guerra ed alla lotta partigiana, che ha fornito la maggioranza dei combattenti dando mezzi alle brigate partigiane, viveri e ospitalità anche quando v’era pericolo di deportazione, di fucilazione, di incendio della propria casa, questa campagna ha visto giungere la liberazione con un senso di sollievo; ma è stato un semplice miraggio, una fata morgana.

Ne ha fatto l’anno scorso ed ancora oggi ne fa una triste esperienza. Il Governo ha rinsaldate e rafforzate le vecchie leggi fasciste e repubblichine. Il buon onorevole Parri voleva mettere l’agricoltore sul libro nero della Nazione, i Governi che gli successero lo hanno posto in croce; io mi auguro che il nuovo Governo non ne ribadisca i chiodi, poiché l’agricoltore sempre paziente, sempre tollerante, soffre in silenzio, ma vi guarda, vi giudica dagli atti e non dalle parole o dalle promesse, e si prepara moralmente e intellettualmente al suo domani, che è prossimo e non può mancare, poiché la Divina Provvidenza nei momenti difficili della vita sociale chiama a rinnovare la società esausta le forze sane, le forze vergini, le forze che hanno ancora volontà di produrre, di risparmiare. Saranno queste forze rurali, onorevoli colleghi, quelle che salveranno il Paese! (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Perrone Capano ha presentato un ordine del giorno del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente,

riconosciuta la necessità di contemperare le due urgenti e parallele esigenze di una ferrea pressione fiscale e del massimo possibile incremento delle attività produttive e della ripresa edilizia,

invita il Governo a disporre senza ritardo:

1°) una equa elevazione del minimo imponibile della imposta proporzionale ordinaria sul patrimonio e una più congrua dilazione del pagamento di essa da parte dei piccoli e medi proprietari;

2°) la definizione, entro un breve termine, delle tassazioni degli utili di congiuntura;

3°) la sottoposizione all’esame dell’Assemblea stessa del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, affinché si renda possibile una cauta ed obiettiva revisione del tributo, la quale elimini l’ingiustizia della situazione, particolarmente pregiudizievole per le provincie meridionali, in base a cui l’onere grava in modo quasi esclusivo sui patrimoni immobiliari, ritenuti presuntivamente altresì detentori dei beni liquidi, ed affinché la necessaria maggiore pressione possa invece volgere a colpire i beni che s’imboscano o che sono il frutto di speculazioni o di attività improduttive, e al tempo stesso possano essere riconosciute ed esercitate le esenzioni.

«Ai medesimi fini l’Assemblea Costituente raccomanda al Governo la graduale sostituzione di un regime di libero scambio dei prodotti al regime vincolistico attraverso una fase intermedia, tempestivamente predisposta, di disciplina della produzione e della distribuzione».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, io mi auguro, anzi affermo che manterrò senz’altro la parola data all’illustre Presidente: svolgerò, cioè, con molta rapidità, attesa l’urgenza delle conclusioni, alcune osservazioni che vorrebbero essere costruttive. Si è molto parlato, nel corso di questa nostra discussione, del decreto 29 marzo 1947, n. 143 concernente l’istituzione dell’imposta sul patrimonio.

Questo decreto, come tutti sanno, consta di due parti: una relativa all’imposta ordinaria sul patrimonio, che è già andata in riscossione; l’altra, relativa all’imposta progressiva straordinaria, che dovrà andare in riscossione col prossimo anno.

Le mie raccomandazioni per la prima parte riguardano l’opportunità di elevare il minimo imponibile fissato nella somma veramente esigua, per i tempi che volgono, di lire centomila; nei riguardi della seconda parte, riflettono l’opportunità che il Governo si impegni formalmente a portare subito il decreto legge già promulgato e da convalidarsi, all’esame di questa Assemblea.

L’imposta ordinaria, dicevo, colpisce i patrimoni immobiliari da un minimo di lire centomila.

Ora, basta fare questa precisazione perché subito se ne ricavi come l’imposta ordinaria, in sostanza, colpisca i poveri, colpisca anche coloro i quali oggi hanno proprietà immobiliari modestissime, come potrebbe essere per il contadino la piccola stalla destinata a custodire il somaro, come potrebbe essere per l’artigiano la modesta casuccia destinata a ricoverare sotto un tetto unico ed entro quattro mura ristrette, il padre, la madre, e i figliuoli.

Il malcontento, suscitato in tutto il Paese da questa disposizione, è vastissimo.

La stampa registra ogni giorno notizie di comuni nei quali si fa o si minaccia di fare lo sciopero fiscale.

Noi deputati riceviamo tutti – io per me ne ho ricevuta una grande quantità – lettere da sindaci ed anche da interi aggruppamenti di piccoli proprietari che protestano, vivamente protestano contro una imposizione così grave, così onerosa per categorie così bisognose e così meritevoli della società.

Raccomando quindi al Governo di voler considerare, come dicevo, l’opportunità di un riesame della determinazione del minimo imponibile, portando tale minimo a un livello adeguatamente più alto, per modo che i piccoli proprietari di immobili, rustici o urbani, siano messi in condizione di non dover subire l’espropriazione del loro piccolo capitale, o per lo meno l’assorbimento, a spron battuto, entro un anno e mezzo, di tutto il reddito di cui il loro capitale è capace.

Raccomando altresì di voler rilevare questa volta nei confronti dei piccoli e dei medi proprietari, l’opportunità di una più lunga dilazione della durata del tempo stabilito per il pagamento di questa imposta.

A riguardo di cotesta raccomandazione, ho richiamato anche i medi proprietari, in quanto nei loro confronti si verificherà, per effetto della brevità del termine consentito per il pagamento, la contemporanea esistenza dei due tributi: dell’imposta ordinaria e dell’imposta progressiva straordinaria sul patrimonio, in quanto, come è noto, la prima dovrà essere interamente estinta nel 1948, mentre la seconda comincerà a gravare dall’inizio dello stesso 1948.

L’onorevole La Malfa, nel suo chiaro e interessante discorso, affermò avant’ieri che, per poter fare una politica antinflazionistica bisogna duramente colpire il potere di acquisto, attuare una ferrea politica di tributi da riscuotere in tempo relativamente breve, altrimenti gli scopi di tale politica non potranno raggiungersi. Si può sottoscrivere questa chiara osservazione; ma bisogna integrarla con l’altra che, mentre occorre colpire, duramente colpire il potere d’acquisto, limitando quindi le possibilità di consumo e soprattutto impedendo i consumi superflui e voluttuari, bisogna al tempo stesso fare in maniera che quella iniziativa privata, che è stata tante volte magnificata e posta sugli altari in questa Aula come l’altro anello della catena della deflazione necessaria alla ricostruzione del Paese, non sia interamente privata delle fonti alle quali potrà attingere per dare incremento alle attività produttive.

Se questo è esatto, se una finanza sana, tesa veramente al miraggio della deflazione e della ricostruzione, si dovrà ispirare a tali criteri, sarà assolutamente necessario che le raccomandazioni da me sviluppate siano accolte, perché altrimenti l’iniziativa privata sarà aggredita alla base; cioè nelle risorse dei piccoli proprietari e coltivatori, e precisamente anche in quelle della categoria dei medi proprietari.

Successivamente prego il Governo di voler considerare l’opportunità, sempre nel quadro di queste esigenze fondamentali, di definire una buona volta la tassazione e liquidazione dei così detti utili di congiuntura. Non intendo insorgere contro questa imposizione e reclamarne l’eliminazione: segnalo soltanto la imprescindibile necessità che essa, poiché di carattere straordinario e di natura tale da determinare, logicamente, nelle categorie colpite o che possono esserne colpite, il terrore, e quindi ancora una paralisi della iniziativa privata, sia una buona volta condotta a conclusione. Tra il terrore e il sospetto non si produce.

Gli onorevoli colleghi sanno e il Governo conosce benissimo la situazione che in questo campo, negli anni scorsi, si è andata formando e che si è manifestata sempre più deleteria ai fini dell’organizzazione della produzione. Un primo decreto fu promulgato nel 1944; un secondo nel 1946, un ultimo nel 1947: noi speriamo che finisca questa serie di decreti e che siano messi senza ritardo in esecuzione i principî ai quali decreti stessi sono ispirati, rappresentati nelle consecutive correzioni, chiudendosi definitivamente questo increscioso capitolo.

Infine, per quanto riguarda la seconda parte della legge relativa all’imposta patrimoniale, raccomando al Governo di mantenere la promessa di portare la legge all’esame e alla discussione dell’Assemblea, perché è indispensabile che se ne riveda la struttura fondamentale, in quanto essa consacra una grande ingiustizia nei riguardi del Mezzogiorno d’Italia, perché, in sostanza, colpisce quasi esclusivamente la proprietà immobiliare e la colpisce due volte. Non solo, infatti, ne fa l’unica fonte dalla quale attingere, con criteri particolarmente severi, il tributo, ma presuppone presso i proprietari immobiliari la detenzione di quei beni mobili e liquidi dei quali invece andava ed andrà fatta la ricerca presso le categorie degli speculatori e di coloro che si sono arricchiti, comunque, per effetto della guerra, durante la guerra e dopo la guerra. L’esperienza ci ha insegnato che in materia di promesse di questo genere, relative cioè alla sottoposizione all’esame della Costituente di decreti-legge o di disegni di legge, il Governo non sempre è stato di parola.

Questa volta dovrà esserlo, perché non è possibile lasciar passare senza un adeguato esame in tutti i suoi particolari una legge così importante sotto tutti gli aspetti. Di essa ci dobbiamo seriamente interessare e preoccupare tutti per farle raggiungere i suoi giusti obiettivi, senza tuttavia isterilire la produzione e mortificare le molteplici e sempre crescenti attività di questo laborioso popolo italiano. Essa inoltre deve essere posta su una piattaforma di giustizia tributaria perché il contribuente pagherà tanto più volentieri e tanto più prontamente quanto più avrà la sensazione che non saranno compiute sperequazioni ed ingiustizie.

Per quanto riguarda la politica degli ammassi desidero dire una parola sola. Il Governo ha accennato alla volontà di passare dall’ammasso integrale all’ammasso per contingentamento dei cereali. Se intende veramente attuare questo proposito, deve procedere ai relativi disegni di legge ed alle relative disposizioni fin da ora, perché coloro che hanno il dovere ed il diritto di seminare la terra e che ci dovranno dare il grano hanno bisogno di sapere in tempo in quali condizioni e con quali prospettive potranno svolgere questa loro attività. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del Governo.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri per rispondere ai numerosi oratori che hanno partecipato alla discussione.

Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri (Segni di viva attenzione). Onorevoli colleghi, nel mio primo discorso avevo evitato di parlare della crisi, del suo svolgimento, delle sue cause. Avevo detto che sarei stato a disposizione dell’Assemblea, qualora avversari o amici avessero richiesto una spiegazione o una informazione dettagliata. Mi ero sbagliato. Credevo che l’importanza, il valore o meno di un Governo venisse misurato soprattutto dal suo programma, dalla sua costituzione, dal complesso delle forze che vi lavorano. Invece parecchi oratori dell’Assemblea si sono preoccupati soprattutto dello svolgimento della crisi e dei propositi di chi questa crisi ha guidato. Ora dobbiamo tener conto di questa tendenza, e per parte mia riferisco in dettaglio come la crisi si svolse e perché la crisi venne: tanto più lo debbo fare, in quanto l’onorevole Nenni ha qui presentato una specie di storia romanzata, che ha bisogno di molte rettifiche.

Vi ricordo che prima che si parlasse di crisi si è parlato di gravità della situazione finanziaria. Quando il Ministro Campilli presentò la sua relazione generale, una specie di rendiconto o di inventario, che non si era mai fatto in quella misura ed in quella profondità, l’Assemblea scelse la riunione delle quattro Commissioni per la discussione preliminare. In queste quattro Commissioni erano presenti quasi tutti gli oratori che qui hanno interloquito in materia finanziaria, e si svolse una discussione oggettiva appassionata, mossa soprattutto, nell’interesse del Paese, dall’allarme che era stato dato.

Alla discussione io non ho partecipato ma ho assistito con la massima attenzione, come colui che aveva la massima responsabilità. Da questa discussione, alla quale hanno partecipato uomini che appartenevano al Governo ed uomini che ne erano al di fuori, uomini che oggi sono favorevoli al Governo ed uomini che oggi sono contrari, da questa discussione, che si fondava sull’esposizione di Campilli – che arrivava a 610 miliardi di passivo del bilancio, più 190 miliardi di residui passivi – si è rafforzata in me la convinzione che la situazione finanziaria era molto grave e che c’era bisogno di una scossa particolare nel Paese, perché ci arrestassimo su una china che mi sembrava pericolosa.

Si può essere di differenti opinioni, si può credere che io abbia esagerato, ma non si può dubitare delle ragioni che hanno scossa la mia responsabilità ed hanno richiamato alla mia attenzione uno stato di cose che prima, per mancanza di visione panoramica, non poteva essere così chiaro, così evidente. È vero che dopo, come Governo, ci siamo messi con la massima diligenza a contrastare questa china verso l’abisso: abbiamo deliberato delle imposte e delle tasse per 200 miliardi; abbiamo compresso tutti i bilanci, abbiamo anche proposta la revisione del numero degli impiegati, con la riduzione del 5 per cento, siamo arrivati a risultati relativamente ottimi in confronto alla situazione precedente. Tuttavia il deficit di 312 miliardi rappresentava sempre un notevole allarme; e accanto ad esso c’era il deficit della bilancia dei pagamenti e poi una situazione di cassa pericolosa; e c’era soprattutto il segno della mancanza di fiducia da parte del pubblico italiano e dei risparmiatori, e certi segni di poca sicurezza nella nostra situazione; anche da parte di coloro che si erano chiamati per primi dal di fuori per aiutarci.

Quando si fa la colpa – post hoc ergo propter hoc – al mio discorso-radio, di aver dato l’allarme, si deve pensare che il discorso-radio era una conseguenza dell’allarme, non un allarme.

Fu in quel discorso-radio che nacque il pensiero di una solidarietà più vasta, che superasse le frontiere dei partiti e del limite che, fino a quel momento, si era tenuto nella responsabilità governativa. In quel discorso io dicevo quello che il Governo ha fatto, gli sforzi che il Governo faceva e che intendeva fare nel campo economico e finanziario. E poi aggiungevo: «La verità è che il Governo, qualsiasi Governo, non può superare la presente crisi economica, che è alla base crisi di fiducia, di fiducia non nei pochi uomini che stanno al Governo, ma nello sforzo del popolo italiano di riaversi dai disastri del dopoguerra; non lo può se gli organi economici della vita nazionale, cioè gli istituti economico-finanziari, le categorie degli industriali e di coloro che si occupano delle industrie, tanto datori di lavoro che operai, degli agricoltori e della compartecipazione dei braccianti, degli artigiani della stampa che ne rappresenta gli interessi e le direttive, non si stringano intorno al Governo, questo o un altro che sia, per uno sforzo comune e solidale, e non si propongano di mettere ordine in casa nostra, di difendere la moneta e quanto resta del patrimonio nazionale, sopportando, proporzionalmente alle proprie possibilità, i sacrifici necessari». Accennavo poi ai pericoli dell’inflazione e concludevo: «Possibile che a lungo andare i partiti non comprendano che quando si tratta della fiducia nella moneta, del credito dello Stato all’interno e all’estero, siamo tutti legati l’uno all’altro, e che quello che ci salva non sono i programmi futuri di destra o di sinistra, ma sono una sostanziale, manifesta e leale solidarietà di oggi nell’Amministrazione dello Stato e nella legislazione della cosa pubblica? Se i rappresentanti di tutti gli interessi onesti e di tutte le concezioni economiche fattive fossero dentro il Governo, o, consapevoli dell’estrema gravità dell’ora, concorressero alla salvazione del Paese, il popolo che lavora riprenderebbe quel senso di sicurezza, che vuol dire fiducia, e l’estero riconoscerebbe che la nostra solidarietà merita credito. È questo il pensiero che mi tormenta da quando tornai dall’America; è questo il pensiero che ritorna in molte delle lettere inviate dalla popolazione e dai lavoratori». E terminavo: «E perché le eccezionali condizioni economiche che mettono in causa la vita del Paese non dovranno, in un certo momento, spingere gli stessi partiti politici ad una solidale collaborazione nell’opera di Governo, dando tregua ai contrasti più disgregatori? Di fronte al problema del risanamento finanziario, dell’approvvigionamento dei viveri, delle materie prime, e della vita stessa delle classi lavoratrici, di tutto il popolo italiano, è necessario opporre, a quello che i pavidi considerano fatto inesorabile, la concordia fattiva di tutte le parti e di tutte le forze vive: unità che conduca alla disciplina interna ed allo spirito di sacrificio liberamente accettato».

Questo il discorso-radio che doveva tanto allarmare, questo il discorso incriminato come attentato all’unità democratica repubblicana, questo il discorso che doveva nella sua pratica attuazione condurre a tentativi che io poi ho cercato di attuare.

Ora, parlerò qui in concreto di questi tentativi. L’onorevole Nenni è risalito alla crisi di gennaio ed ha parlato anche di cause oscure. Fra le cause oscure c’è il ritiro di Nenni dal Ministero degli esteri, la divisione avvenuta entro il partito socialista, che era un partito rappresentato nel Governo, e le dichiarazioni del Congresso di Firenze del Partito repubblicano.

Queste cause oscure rendevano necessario un rimaneggiamento del Governo; per lo meno, io ho creduto più democratico di rimettere il Governo nelle mani del Presidente della Repubblica perché convocasse e sentisse i rappresentanti di tutti i partiti, allo scopo – poiché da tempo cerco la quiete e non il lavoro, che già abbastanza ne ho prestato – di affidare a un altro uomo la possibilità di organizzare una solidarietà che credevo anche allora più che mai necessaria.

Sì, lo confesso, volevo specialmente la collaborazione con i socialisti temperati. Perché? Perché avevo conosciuto nella pratica di Governo uomini solidi e competenti come Tremelloni, e come Corsi, che, avendo con me diviso la responsabilità del Ministero dell’interno, dimostrava tale senso di collaborazione da dimenticare in molti momenti il Partito; avevo conosciuto uomini come Saragat, che, ambasciatore a Parigi, aveva dimostrato di lavorare soprattutto per l’Italia, e con questi non escludevo gli altri. Quindi, nessuna pregiudiziale per escludere socialisti e comunisti si è presentata in quella crisi.

Certo, io penso anche oggi che per l’Italia sarebbe una fortuna se si potesse costituire, accanto alla democrazia cristiana, una democrazia dirò così laica, una democrazia socialista, in modo che le due forze potessero, nei momenti più critici della Nazione, dare il senso dell’equilibrio e della difesa dei principî sociali, consolidandoli nella civiltà cristiana. Questo dovrebbe essere il nucleo centrale, senza escludere altre forze che possono confluire sopra tale direttiva. Certo, questa speranza è lecita; ma escludo che al momento della crisi di gennaio io abbia cercato di fare un simile Governo, ed escludo soprattutto che la mia intenzione fosse stata quella di mettere fuori comunisti od altri.

Oh, avrei avuto cento pretesti se, di fronte a tutte le pressioni di giornalisti e di curiosità giornalistiche, avessi risposto con tendenza anticomunista; ma prego i miei critici di estrema sinistra di rileggere la mia intervista in America e le mie dichiarazioni per trovare una sola parola in cui io, per opportunità del luogo, del tempo e degli interlocutori, abbia detto una parola che potesse essere contraddittoria per un uomo che in quel momento presiedeva un Governo, di cui facevano parte i comunisti. (Approvazioni).

In quella crisi non vollero entrare nemmeno i repubblicani, e nacque l’idea della «piccola intesa».

Anche i repubblicani avevano collaborato al precedente Ministero; si era trovata una affinità programmatica, ed io credevo e speravo che nel momento in cui si trattava di consolidare la Repubblica, anche il Partito repubblicano sentisse la responsabilità di condividere le difficili situazioni, perché la Repubblica, uscita fresca fresca dalle decisioni del 2 giugno, diventasse reale nei fatti e nei consensi delle masse del popolo italiano.

Poi venne un periodo di attacchi. Signori miei, voi li conoscete gli attacchi contro il Governo, quegli attacchi che hanno quasi paralizzato per un mese e che hanno tenuto in sospeso gli uomini che dovevano proprio occuparsi delle finanze e della salvezza della lira; attacchi però che non si limitarono ai nostri Ministri democristiani, ma che si riferirono anche ad altri Ministri che io, come era mio dovere – e non sono qui per vantarmene –, ho difeso con la stessa forza e con la stessa imparzialità con cui ho difeso i miei. (Approvazioni).

Fu un mese di travaglio. Si dice: ma noi alla Costituente siamo stati zitti! Grazie, cari alleati, siete stati zitti, quando si è trattato dell’ordine del giorno; io ho dovuto battermi per ottenere un minimo di ordine del giorno che ponesse fuori causa i Ministri, e sulla stampa (poiché l’opinione pubblica non si fa semplicemente qui e sulla stampa amica e dei miei amici) si è inaugurata e continuata, con resistenza feroce, una campagna contro i Ministri. Io qui, da questi banchi, ho difeso la regola logica per ogni democrazia; ho sostenuto che si trattava, specialmente nel caso del Ministro del tesoro, di responsabilità ministeriale e che il Governo era solidale e che pertanto prima doveva esaminare, fare l’inchiesta, battersi il Governo stesso: poi doveva venire dinanzi alla Assemblea.

Questo principio, che era sacrosanto e che avrebbe impedito che la Commissione scivolasse in un compito che non era suo, questo principio io dovetti lasciar cadere per tener conto delle obiezioni che mi venivano da parte amica socialista, quando in Consiglio dei Ministri mi si disse che, per ragioni di partito ed anche per ragioni interne stesse, sarebbe stato bene che io mi fossi indotto a recedere da questa mia pretesa, che pure era logica.

E allora io ho ceduto, cercando una di quelle formule transattive che salvano la faccia, ma non la sostanza. Fu male. Quando venne la relazione degli Undici, voi vedeste che ci trovammo imbarazzati, noi a giudicare favorevolmente, gli altri a giudicare in senso negativo.

Tutto sarebbe andato bene, se non ci fosse stata la campagna; campagna che veniva essenzialmente da parte comunista, con questo foglietto che naturalmente… non viene dal centro. Togliatti mi dice sempre: «Ma tu hai la fissazione che tutto venga dal centro!». Può darsi, ma siccome questo foglietto è fatto molto bene, è certo che è stato fatto per lo meno da amici dell’onorevole Scoccimarro.

Vennero poi le elezioni siciliane, cui i Ministri del mio Governo intervennero con molta energia. Certo, i Ministri avevano la libertà di farlo. Nessuna eccezione quindi, se qualcuno è mancato anche per otto o dieci giorni di seguito. (Commenti a sinistra).

Voci a sinistra. Aldisio! Aldisio!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non facciamo nomi, perché vi erano Ministri che non erano per niente siciliani, ma erano della parte opposta. (Applausi al centro). Ora, io non faccio obiezioni a questo, ma dico: quando si diffondono foglietti come questo per il Blocco del popolo, in cui si insinua che un Ministro democristiano abbia fatto un miliardo e mezzo speculando in borsa… (Proteste a sinistra).

Voci a sinistra. Il nome! Il nome!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non occorre che faccia il nome, perché l’accusa è stata mossa anche qui.

Si dice nel foglietto: «De Gasperi, Presidente del Consiglio – qui faccio il nome – ha arricchito il fratello con l’intrallazzo e il commercio dell’olio». Falso dalla prima riga all’ultima!

Poi ce n’è un’altra: «Ha affamato la Sicilia per favorire i metodi degli speculatori. Elettore, non farti togliere il pane; che il tuo voto sbarri la strada ai profittatori democratici cristiani. Vota per il Blocco del popolo!». (Commenti, proteste al centro).

Una voce al centro. Con questi sistemi hanno la vittoria! (Interruzioni Commenti).

PRESIDENTE. Per favore, silenzio, onorevoli colleghi.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. E non parlo dell’onorevole Romita che, Ministro in carica, mi si dichiarava pronto ad offrirmi il mazzo di rose per licenziarmi dal Governo: è questione di frasi, di delicatezza.

Io non ho partecipato alla campagna elettorale in Sicilia; ci sono andato solo l’ultimo giorno e ho fatto delle dichiarazioni che potevo fare a nome di tutti, perché non erano dichiarazioni che avessero un carattere di parte; ed era l’ultimo giorno, dopo che erano giunti tutti gli altri. Mi hanno fatto anche regolarmente fischiare; e non posso addebitarlo ai miei amici di partito. Questo per spiegare come si forma lo stato di fatto e il clima in cui certe preoccupazioni, che sono oggettive, possono trovare anche alimento nello stato di animo. Nenni mi ha detto: «Il doppio gioco è vecchio; dal 1850 Marx diceva che dopo una rivoluzione bisogna pungolare il partito vincitore – il partito democratico in Germania – non limitarsi ad aiutarlo, ma pungolarlo».

Non è piacevole questa sensazione di avere sempre in Nenni e amici dei pungolatori come se noi fossimo dei buoi. (Applausi al centro).

Caro Nenni, quando Marx scriveva quello a cui ti riferisci come ad un Vangelo, erano altri tempi, e il socialismo era in marcia per conquistare, per vincere, per rovesciare lo Stato borghese; ma oggi nella Repubblica, di cui voi siete parte, non può essere tollerabile lo stesso metodo. (Applausi al centro Commenti a sinistra).

Ora voglio dire a Nenni che è stato così gentile, del resto, così sentimentale, che quando parla qui io mi dimentico quello che scrive o quasi lo abbraccerei (Si ride), ma disgraziatamente scrive. Ora Nenni, in uno dei suoi ultimi discorsi, vi ricordate come ha votato la fiducia al Ministero che oggi si vorrebbe descrivere come un idillio e una salda fortezza? Ha votato citando il famoso detto di Prampolini, che cominciava il discorso con queste parole: «Noi voteremo contro Sonnino, quindi voteremo per l’onorevole Giolitti». Nenni l’ha tradotto: «Noi voteremo contro Giannini, quindi voteremo per l’onorevole De Gasperi». Questo era il programma di un partito che aveva i suoi Ministri nel Governo.

Non mi meraviglio che Giannini abbia detto su per giù la stessa cosa: «Non devo niente alla Democrazia cristiana, che continua a combattermi» – non so che giornale ha tirato fuori per provarlo – non entro nel merito; egli ha detto: «nel complesso la considero un male minore; e, soprattutto per far dispetto a certa gente, voto a favore».

Questo è il voto «a carambola» come viene definito; un voto a carambola che può essere ad un certo momento una necessità (Commenti a sinistra); in certi momenti si può sopportare, come ho sopportato il vostro; ma che questo debba essere esaltato come sistema democratico da difendere e introdurre nell’Assemblea come sistema naturale, non è ammissibile. Con questi sistemi la democrazia va in malora, non si salva. (Applausi al centro). Certo, debbo a questo riguardo fare la debita differenza, che Giannini non ha nessun impegno col Governo, perché non vi ha nessun rappresentante, mentre Nenni aveva Ministri nel Governo. (Applausi al centro).

Badate che non accetto la vostra tesi che io abbia fatto la crisi semplicemente per ragioni interne. Io dico che questo era il clima in cui la crisi, che da molti era cercata per sostituire il precedente Governo con un Gabinetto di larga concentrazione, per ragioni economiche, si è trovata a svolgersi. Quando ho parlato di allargamento dopa il discorso-radio, non è vero che io abbia cominciato a fare dei raggiri. I primi che ho consultato si chiamano Nenni e Togliatti. Nenni partiva per una conferenza, non so se a Venezia. Egli ha detto subito: «Se vuoi fare un allargamento verso destra, il mio partito non ci starà. Questa è la mia opinione personale; ma insomma ci rivedremo lunedì». Quando l’ho rivisto lunedì, mi ha confermato la stessa cosa. Allora io gli ho detto: «È il pensiero di Togliatti?» E mi ha risposto: «Mah! domandaglielo tu. Presso a poco credo che penserà lo stesso». (Si ride).

Nell’Avanti! del 1° maggio incomincia la campagna (badate che queste erano discussioni, conferenze fra amici, assaggi, pourparlers). L’Avanti! subito comincia: «Noi vorremmo pregarlo (De Gasperi) di tenere per sé le sue consolazioni e le sue pene, tanto più che siamo portati a credere che l’allargamento va sempre a scapito dell’efficienza».

Ecco un primo segno di atteggiamento negativo. Siamo alla pre-crisi.

Nei diversi assaggi coi vari settori io sottoponevo questa domanda: «Qualora dalla tribuna dell’Assemblea, dopo l’esposizione della gravità della situazione, vi si facesse appello a partecipare ad un Governo di concentrazione nazionale, ad un Governo di salute pubblica, accettereste voi?».

Questa la domanda che ho sottoposta ai vari partiti.

Le risposte, in complesso, furono incoraggianti: specialmente da parte del settore centro-sinistra non ho avuto risposte pregiudizialmente negative. Vi ho già detto la risposta di Nenni. Togliatti, il giorno 5, mi dice di non essere contrario ad una certa collaborazione. E qui ha fatto cenno ad una idea riportata da giornali come mia (non era mia, ma poteva anche esserlo: tante idee mi sono passate per la testa, e quindi anche questa): che si potevano portare al Governo rappresentanti della Confederazione, del lavoro e della Confederazione dell’industria per vedere se si potevano superare assieme certe difficoltà. Però più avanti non siamo andati. Naturalmente, non collaborazione della destra.

Allora mi trovai di fronte alla decisione del partito liberale, che diceva: sì, ma a condizione di escludere i comunisti.

Una voce a sinistra. E voi avete marciato.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non abbiamo marciato per nulla!

Poi siamo arrivati alla crisi. Fino allora erano stati assaggi.

E alla crisi perché siamo arrivati? Naturalmente, c’era il corso logico della mia iniziativa. Sostanzialmente era una mia iniziativa; ma l’occasione ultima con cui la crisi s’è presentata è dovuta all’iniziativa del Partito socialista, che mi ha messo fra i piedi una dichiarazione. Io dovevo venir qui all’Assemblea a presentarmi assieme ai due Ministri del tesoro e dell’industria. Poi si è detto: no, è bene che il programma sintetizzato lo faccia il Presidente del Consiglio stesso.

Mi sono quindi assunto quest’incarico e mi sono messo a scuola di Campilli e di Morandi. Ho letto la relazione di Morandi e ne sono rimasto entusiasta e gli ho detto: Accetto in pieno, tolta qualche cosa (Commenti a sinistra).

Ora, quando ho preparato le cose, s’è cominciato a fare obiezioni e Morandi ha detto: «È bene che lo faccia tu». Ed io mi sono assunto tale compito.

Nell’Avanti! del 13 maggio c’è un titolo: «L’onorevole De Gasperi impone al Paese la crisi delle sue esitazioni. Esplicite riserve dei Ministri socialisti sulla procedura del Presidente del Consiglio e sull’allargamento a destra».

E si parla di fuga. Infatti c’è il sottotitolo: «Fuga davanti alle responsabilità».

E si scrive: «I ministri socialisti hanno riferito all’esecutivo del Partito e al Comitato direttivo del Gruppo le riserve da essi formulate al Consiglio dei Ministri di questa mattina circa la crisi politica virtualmente aperta dal Presidente del Consiglio e il tentativo di spostare l’asse politico del Governo, accrescendo l’inefficienza nel momento in cui la situazione economica e monetaria del Paese imponeva l’applicazione dei 14 punti concordati e misure energetiche contro la speculazione».

Come se i 14 punti si potessero applicare in 24 ore!

Caro Morandi, non prendertela con me, perché io ho imparato dal tuo giornale a mettere in ridicolo questi 14 punti, mentre io li prendo invece molto sul serio!

E il giornale continua: «Il Comitato direttivo del Gruppo si è trovato pienamente d’accordo con le riserve dei compagni Ministri».

Nell’Unità veniva pubblicata la cronaca del Consiglio riportando che i Ministri comunisti avevano dichiarato che il Presidente del Consiglio doveva presentarsi soltanto sotto la sua responsabilità. Cioè che il Presidente del Consiglio si doveva presentare personalmente.

Vi domando se io dovevo venire qui con un mio discorso per parlare a nome di chi? Evidentemente non c’era che da dimettersi; e io mi sono dimesso. (Approvazioni al centro).

TOGLIATTI. I Ministri comunisti non avevano detto questo nel Consiglio.

DE GASP ERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ecco qua: «Il Consiglio ha preso atto, ecc., ecc.». Poi: «In conseguenza di ciò appare evidente che l’onorevole De Gasperi farà le sue dichiarazioni a semplice titolo personale e non come Presidente del Consiglio». (Applausi al centro Interruzioni a sinistra).

C’era un altro allarme. Nella manchette dell’Unità di diceva: «Di tante misure concordate si vuole applicare solo l’aumento del prezzo del pane» (Interruzioni a sinistra).

E questo si riferisce al fatto che i deputati comunisti, per iniziativa di Cerreti, avevano proposto di non attuare la seconda rata dell’aumento del pane che era fissata a verbale come decisione comune (Interruzioni a sinistra). Questo per dire che nel momento decisivo, non valgono nemmeno gli impegni che si sono presi formalmente. (Interruzioni a sinistra Commenti ed applausi al centro).

Ad ogni modo vediamo un po’ come la storia si è svolta, in confronto della storia romanzata di Nenni. O meglio, ce ne sono due di storie romanzate, quella di Nenni sull’Avanti! e quella di Nenni qui dentro, e sono contraddittorie. Nenni qui è venuto con voce di usignolo a predicare la concordia e la pace. Ma nell’Avanti! Ha fatto una politica contraria, ha detto che «bisogna tenere nettamente diviso il Paese in due blocchi, perché questa è la dialettica assolutamente necessaria della democrazia».

Ecco qua, nuovamente nell’Avanti! del 16 maggio: L’articolo di fondo è intitolato: «La maggioranza c’è». In esso si legge, fra l’altro:

«La logica e il dovere imponevano evidentemente più coraggio e più coerenza». (A me lo predica!). «Vuol dire che il coraggio e la coerenza, mancata a De Gasperi e mancata alla Democrazia cristiana, li avranno le elettrici e gli elettori, le quali e i quali sanno che la sinistra, come non respinge oggi le responsabilità nell’ambito della sua forza reale, meno che mai le respingerà il giorno che avrà una maggioranza, fosse anche di un voto, con la quale si può fare il più forte e il più coerente dei Governi». (Ilarità al centro Vivaci commenti).

Dopo il 23 maggio, il mio partito aveva dichiarato, in un ordine del giorno, come avevo del resto già avvertito io stesso, che, vista la necessità di una larga concentrazione, vista la necessità della solidarietà nazionale, era disposto a rinunziare a quello che secondo le norme gli perveniva, cioè alla Presidenza del Governo, mettendosi a disposizione d’un capo che fosse al di fuori dei partiti.

Che in questo atteggiamento entrasse un pochino, confesso, anche la mia voglia di dedicarmi ad altri lavori, questo è vero.

I tentativi degli onorevoli Nitti ed Orlando li conoscete, quindi non me ne occupo. Però, chiusi questi tentativi, e prima del reincarico, l’Avanti! che pungola sempre un po’, scriveva il 23 maggio: «Otto milioni di elettrici e di elettori non hanno votato per la Democrazia cristiana, perché essa si rifugi sotto l’ombrellone della irresponsabilità. È vero che i casi di questi giorni insegnano al corpo elettorale a non riporre la sua fiducia in un partito che non può organicamente essere la guida della democrazia».

La prova è stata che l’incarico lo abbiamo assunto. (Applausi a destra). Ed ho avuto una designazione indiretta anche dei colleghi di estrema sinistra, in quanto avrebbero dovuto mettersi un po’ d’accordo su tutto quello che si era mosso contro di me, nella eventualità che io componessi di nuovo il Governo. Essi sperarono di creare qualche divergenza fra i democratici cristiani, affermando che io ero fallito e che bisognava trovare un altro capo autorevole nella Democrazia cristiana. Ma la Democrazia cristiana e l’onorevole Gronchi hanno designato me. (Applausi al centro).

Ho fatto due tentativi che qui si confondono l’uno con l’altro e che non si sono veduti nella loro obiettività: primo, concentrazione politica; ossia sono tornato alla vecchia idea di mettere la maggior parte dei partiti insieme. Qui ho trovato subito l’onorevole Nenni all’opposizione di qualsiasi allargamento. Invece anche il quarto partito esiste, disgraziatamente, all’infuori di noi: anche quello m’interessa. Ne avevo parlato nelle conversazioni confidenziali con voi; quando sono venuto da voi non sono venuto per contarvi storie e fantasie, ma con dichiarazioni e cifre della Ragioneria generale. Vi ho detto quanto abbiamo di passivo ed altro; vi ho fatta la confessione della mia situazione. Naturalmente, caro Nenni, quando tu mi rispondi: politique d’abord, so anche io che si può andare avanti così. Ti auguro di arrivare al Governo in un tempo in cui queste questioni non premono più e che tu sia felice.

L’opposizione di Togliatti fu più attenuata, naturalmente: non i qualunquisti. Ma sui liberali si riservava di esaminare le persone. Quando ho fatto il nome dell’onorevole Einaudi, ha fatto obiezioni per le sue direttive economiche naturalmente, non per la persona, poiché è stato suo maestro e ne ha molta stima.

Poi ho trovato in un primo periodo una disposizione favorevole nel Partito socialista dei lavoratori italiani. Ma la sera che mi pareva di aver combinato, è comparso un articolo di Saragat: «Assolutamente niente a destra». Credo che non occorre che ve lo legga. E questo è avvenuto nello spazio di una notte. Poi ho trovato l’esclusiva per i comunisti; ed ho detto: «qui non si riesce, perché se fo un Governo da capo come quello di prima, è inutile ogni sforzo: ma non voglio fare nemmeno un Governo secondo lo spirito di esclusione. Tento quindi un’altra soluzione, e sapete quale? Una soluzione la quale desse in parte ragione a Nenni quando diceva che la responsabilità spettava alla Democrazia cristiana e in parte a me che volevo essere contornato di uomini, i quali potessero fare nascere fiducia di competenza tecnica. (Commenti a sinistra).

Allora ho detto: facciamo un secondo tentativo. Questo è il secondo tentativo che non bisogna confondere con l’altro. Ho detto: la preminenza di responsabilità politica se l’assumerà la Democrazia cristiana; è fatale che sia così; però chiedo a tutti i partiti di mandare al Governo un rappresentante che si possa dire tecnico, nel senso che, pur essendo uomo di partito, non impegni il voto del partito. Togliatti sa che, ad esempio, ho detto: voi avete un ottimo tecnico come l’ingegner Ferrari; con un elemento simile voi venite ad avere una vigilanza politica entro il Governo, e date tutti una certa competenza tecnica. Non solo, ma cade allora la questione della dignità che qualche volta mi ha fatto Togliatti, cioè che cento non possono essere messi allo stesso livello di venti o trenta.

Ora qui mi son trovato dinanzi all’opposizione più organizzata, questa volta, di Nenni e Togliatti, i quali ormai agivano sulle leve della grande politica parlamentare e cercavano di farmi il vuoto; hanno spaventato anche molti che mi avevano detto di sì, affermando che facevo un Governo monarchico, reazionario (Applausi al centro); un Governo di guerra civile, un Governo che dividerà il Paese in due blocchi, che per Nenni erano di prammatica e che avrebbe portato così alla rivolta del Paese. (Rumori a sinistra).

Finalmente, dopo l’articolo di Saragat, mi è venuta una dichiarazione ufficiale da parte anche di delegati del partito e in questa dichiarazione ufficiale in cinque punti, una diceva: niente elementi di destra; ed avendo chiesto quali elementi di destra, mi è stato risposto: tutto quello che è a destra della Democrazia cristiana.

E allora ho visto che anche questo difficilmente riusciva; mi son trovato un ultimo giorno con Togliatti, il quale mi stima poco, ma tiene conto degli inviti che gli mando, di che lo ringrazio. Ho avuto un ultimo colloquio con Togliatti, abile tattico, il quale aveva fatto già delle manovre circa la data delle elezioni, perché aveva detto: le elezioni, per De Gasperi, se va con un Governo simile, sono assolutamente necessarie subito; se non va lui, si può discutere.

TOGLIATTI. L’ha detto lei.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. L’ha detto lei ai capigruppo. Io ho ammirato la sua abilità, però me ne sono servito dopo, naturalmente. Mi rincresce anche per la responsabilità da parte dei miei amici, che la cosa non sia andata in quel senso. (Ilarità a sinistra).

Voci a sinistra. Doppio giuoco.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non è doppio giuoco. Per quello che mi riguarda, Togliatti ha fatto questa dichiarazione: (Badate come è sapiente: si parlava allora del ritorno eventuale a un uomo fuori partito; si diceva Nitti, Orlando, ecc.).

Questa è la risposta del 28 maggio di Togliatti: «Non esiste difficoltà alla creazione di un Governo di concentrazione repubblicana, che avrebbe una solida base parlamentare, sì da giustificare una procedura diversa (la procedura diversa era la formula mia). Qualora si ritenesse necessario ricorrere ad una formula presidenziale, non dovrebbe essere un leader di partito a fare il Governo, perché ciò toglierebbe alla formula presidenziale il suo carattere di imparzialità».

Questo era un atto di sfiducia formale fatto a me, quindi ho tirato le conseguenze: fare, con i collaboratori che potevo trovare, quello che credo dovere mio e dovere di un partito di fare, perché domani non mi fosse rimproverato dal mio partito di essere scappato nei momenti di più grave responsabilità. (Applausi al centro). E l’ho fatto, vi ripeto, non perché io non veda le difficoltà: forse le ho esagerate, certo non le ho diminuite; l’ho fatto perché ho fiducia nel popolo italiano e nella sua resurrezione. (Vivissimi applausi al centro).

Intanto Nenni, mio precettore, mi stava indicando le quattro soluzioni, sotto il titolo: «Le tentazioni di Sant’Alcide». Dev’essere un lettore dei Santi Padri, Nenni! Non si direbbe! E faceva le ipotesi di quattro Ministeri, dicendo, in fondo, che è chiaro che di queste quattro soluzioni la prima e la quarta sono serie, mentre soltanto la prima presenta carattere di vitalità».

Prima soluzione: Ministero tripartito con qualche aggiunta del centro-sinistra ed eventualmente di tecnici di indiscusso valore.

Quarta soluzione: Ministero democristiano, «con l’apporto di personalità politiche o tecniche, individualmente rassegnate a correre l’avventura di un Governo minoritario con il Paese in ebollizione». Quello che è stato fatto! Vedete, quindi, che per lo meno è una cosa seria! (Si ride).

Nenni è poi venuto qui a parlare della pace religiosa, ed anzi ha messo in un certo imbarazzo Togliatti, il quale non credo abbia risposto a Firenze o a Venezia.

Ora io dico che Nenni nell’Avanti! ha fatto tutto quello che poteva per suscitare il sospetto che in quest’azione vi sia stata una manovra del clericalismo. Ha cominciato ad inventare che i grandi ecclesiastici che si occupano della crisi erano il Padre generale dei Gesuiti, Monsignor Francesco Morandi, uditore personale, Monsignor Giovanni Urbani, della Commissione Pontificia.

Devo dire la verità che queste personalità mi sono ignote! Ma dove ha pescato queste notizie? Evidentemente nell’Annuario Pontificio, copiandole a caso. (Ilarità Applausi al centro).

Allora, dice Nenni, che cosa ha impedito a De Gasperi di fare il Governo? È l’Azione Cattolica, sostenuta da alcuni circoli reazionari, fermamente decisi a soffocare la classe lavoratrice! E l’onorevole De Gasperi, seguito dalla maggioranza della Democrazia cristiana, ha preso nettamente posizione per il censo contro il suffragio universale.

Guardate la fantasia feconda di Nenni! Egli vede tutto sotto la veste rivoluzionaria e butta facilmente queste frasi. Egli sa che per la via vagheggiata si va diretti a Monsignor Seipel. Povero Monsignor Seipel!

Una voce a sinistra. Povero, niente!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Povero, perché è morto! O, peggio, si va a Dollfuss!

Vi ricordate chi è Dollfuss? È una vittima assassinata dai nazisti. (Applausi prolungati al centro e a destra Vivi rumori e interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Voi seguite quella strada e noi non lo vogliamo!

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi spiego subito… (Rumori prolungati a sinistra Richiami del Presidente) …mi spiego con tutta franchezza… (Interruzione dell’onorevole Lussu Scambio di apostrofi Rumori). Io non intendo attribuire a Nenni un significato che potrebbe essere ovvio, per chi non conosce la storia e per chi non conosce Nenni. Non intendo, e non l’ho mai fatto, nemmeno in quel tempo, in cui mi sono dichiarato – e l’ho anche stampato – contro la politica di Dollfuss. Non è che io con ciò intenda accusare Nenni, né io l’ho citato per analogia, né intendo di coprire quello che ha fatto Dollfuss perché io credo, e l’ho sempre creduto, l’ho stampato e ne ho i documenti… (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Dollfuss è austriaco! (Rumori al centro e a destra).

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. …che egli abbia commesso degli errori; ma badate, quando c’è la morte di mezzo… (Interruzioni a sinistra Rumori vivissimi Richiami del Presidente). Si è detto che bisognava rovesciare il Governo, perché si era scoperto che De Gasperi faceva ormai da mesi il gioco della reazione interna, sacrificando l’unità delle forze popolari con illusorie promesse, che non si erano, del resto, mai mantenute. Poi, il giorno 2 giugno, si sono visti in giro certi cartelli, di cui faccio grazia.

Ma, a proposito dell’anticlericalismo che appassiona tanta gente, io devo dire qualche cosa. Mi si annuncia: badate che, con la vostra azione, fate nascere l’anticlericalismo. In verità io credevo che ci fosse già. Da un anno e mezzo un giornale come il Don Basilio, favorito da alcuni, anche amici nostri, continua una campagna violenta contro la Chiesa. E voi mi venite a dire che nasce l’anticlericalismo se non facciamo attenzione! Abbiamo fatto quello che voi avete detto. Ed oggi, che cosa salta fuori? Un articolo niente di meno di un intellettuale come Marchesi, il quale dice: «Oggi non è più lecito dubitare: la maschera democratica è caduta, via via, come una crosta che si stacca da sé. Noi non ne siamo delusi, né sorpresi. Seguendo la sua tradizione, oggi più che mai attiva, la Chiesa entra nella santa alleanza capitalistica che ha negli Stati Uniti d’America la sua centrale internazionale, e vi entra con tutto il peso della organizzazione cattolica divenuta, pertanto, forza antiproletaria, collegata a questo fine con tutte le forze secolari del capitalismo». (Commenti).

Io non nego la verità soggettiva di quello che è stato scritto, ma nego quella oggettiva. Ma, come mai, dopo tutto quello che è stato scritto, dopo i tentativi di rovesciarmi, di crearmi il vuoto attorno, venite qui a presentare un ordine del giorno che chiede l’unione di tutte le forze repubblicane per salvare la lira? Semplicemente perché sono io solo, io persona o io Democrazia cristiana, che impediamo questa possibilità? Siamo noi che abbiamo messo delle esclusive o siete voi? Siete stati voi e di questo dovete subire le conseguenze, conseguenze che possono essere più gravi per noi dal punto di vista elettorale, ma che sono per noi un titolo d’onore per aver resistito, nonostante tutto, e per aver assunto le nostre responsabilità. (Applausi vivissimi al centro).

Il Governo si è formato con la collaborazione di tecnici e, dovete ammettere, tecnici competenti. Su questo nessuno ha fatto eccezione. Il Governo si fonda – vi prego di rilevare questa caratteristica del Governo, che è un po’ diversa dalla solidarietà politica del tripartito – il Governo si fonda essenzialmente sulla responsabilità politica del partito maggiore, cioè della Democrazia cristiana, e sulla collaborazione specifica nel campo economico di uomini che, nell’interesse del Paese, hanno messo a disposizione la loro competenza per difendere la lira, per sanare il bilancio e per preparare e perfezionare tutti gli organi necessari a fronteggiare con una azione economica moderna e programmatica le esigenze della ricostruzione e della produzione, avendo di mira soprattutto il miglioramento del tenore di vita dei lavoratori.

Fra i miei collaboratori, da qualunque corrente provengano – come vedete non tutti appartengono alla mia parrocchia – esiste un impegno di reciproca lealtà di coordinare e, dove occorre, subordinare le tendenze di parte alle supreme necessità economiche e finanziarie del momento. (Applausi al centro).

Essi non rappresentano nel Governo un impegno di partito, ma intendono fare opera con noi perché questo Governo di necessità e di emergenza, nato da uno sforzo di concentrazione, che per il momento non è stato potuto condurre a fondo, costituisca un ponte verso una più larga concordia di intenti, sia nella Assemblea, sia nel Paese, fra tutte le classi della produzione, del commercio, del risparmio e verso una nuova consultazione popolare, fatta per dare finalmente alla Repubblica italiana le sue istituzioni. (Interruzioni Commenti a sinistra).

Noi democratici cristiani – ed io in particolare – siamo grati dell’appoggio che ci viene dato, in quanto lo consideriamo un apporto costruttivo per la salvezza del Paese, e chiediamo, a chi ci combatte, di assumere la responsabilità di altre soluzioni. (Approvazioni al centro).

Fra i deputati che ci sostengono o che voteranno per noi ci possono essere differenze, secondo la topografia parlamentare; ma noi confidiamo che, anche senza formali alleanze politiche – che si sono dimostrate così poco efficaci, come nel tripartito – la lealtà reciproca, il senso della libertà e quello della responsabilità verso il Paese, costituiscano un vincolo di solidarietà nazionale ed una base per la vitalità del nostro sforzo costruttivo. (Applausi al centro).

 Non accetto la concezione di Togliatti relativa al metodo democratico: la vera essenza del metodo democratico sta nella responsabilità della maggioranza e nel controllo delle minoranze. Il suo concetto unitario, invece, è in realtà la prevalenza del partito più organizzato e, con minori scrupoli, ottenuta attraverso patti, accordi o coalizioni che trasferiscono dentro il Governo e nei partiti il giuoco delle forze politiche, che deve svolgersi apertamente nel Parlamento. (Approvazioni al centro).

Con ciò non escludo nessuna possibilità a nessun partito, ma credo che questo Ministero rappresenti un progresso verso il ritorno alle forme parlamentari, garanzia di libertà e di rinnovamento. Né vi è alcuna obiezione alla legge fondamentale, perché il Governo è comunque responsabile verso l’Assemblea, e la prassi stabilitasi attorno all’articolo 3 ci ha già fatto uscire dalle combinazioni extra-parlamentari di Comitati di liberazione nazionale e di partiti. Sento la responsabilità, ma anche i partiti minori – che, mi pare, non ne hanno capito il valore, che è quello di destare e liberare le energie e le responsabilità collettive – avvertiranno che abbiamo combattuto anche una loro battaglia. La Repubblica così diventa, e così si attua il verdetto del 2 giugno, al quale tutti i membri del Governo, quali che fossero le opinioni e preferenze antecedenti, si inchinano come ad una sentenza definitiva della volontà popolare. (Approvazioni al centro).

Il Governo è profondamente addolorato… (Interruzioni a sinistra Commenti Rumori).

Credo di esprimere qualche cosa che ci è comune in questo momento. Dicevo, il Governo è profondamente addolorato che il Capo della Repubblica (Vivissimi, generali, prolungati applausi L’Assemblea sorge in piedi al grido di: Viva De Nicola!), il quale, con le sue altissime doti di lealtà, di pensiero e di azione, ha contribuito in misura insigne al consolidamento del nuovo regime, abbia manifestato il proposito di ritirarsi per ragioni di salute (Commenti a sinistra), ed esprime ancora la speranza che un periodo di riposo possa rappresentare solo una breve parentesi e che il suo validissimo concorso sia assicurato all’Assemblea, perché questa acceleri e finisca il suo compito costituzionale anche prima dell’ultimo termine, onde si possa procedere il più rapidamente possibile alle elezioni delle due Camere e alla nomina del Presidente definitivo della Repubblica. (Vivi applausi).

La Repubblica deve essere un regime di libertà, di ordine, di pacificazione. (Approvazioni al centro). Il Governo si propone di procedere per questa via, provvedendo intanto alla rapida eliminazione dei quindicimila ricorsi epurativi giacenti al Consiglio di Stato. Il Ministro dell’interno seguirà direttive severe di imparzialità (Commenti a sinistra), ma di vigile autorità dello Stato per mantenere la libertà, intervenendo con larga comprensione delle esigenze di giustizia sociale, ma con l’impegno sicuro di incoraggiare l’autodisciplina delle forze popolari e delle organizzazioni sindacali.

Sottrarre le forze di polizia a nefaste influenze di parte (Applausi al centro), ridare autorità e prestigio a tutti gli organi dello Stato, ristabilire il senso di legalità decaduto per effetto di nostre vicende politiche e guerresche, non significa fare una politica di parte e di reazione, ma significa soddisfare alle esigenze elementari della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica italiana. (Applausi al centro e a destra).

Una parola sugli attacchi alle persone. Prendo atto della grande estimazione da tutti espressa per il Ministro del bilancio e Vicepresidente onorevole Einaudi, il quale, benché per un apposito decreto conservi nominalmente il posto di Governatore della Banca d’Italia, ne ha di fatto trasmesso le funzioni al Direttore generale.

Prendo atto del riconoscimento dell’onorevole Lombardi a favore del carattere, della persona del professor Del Vecchio.

Non è mia colpa se altri uomini di questa Assemblea, di cui riconosco la competenza e il valore, non si trovano oggi fra i nostri collaboratori.

A Merzagora si è gridato: uomo di Pirelli! Non è esatto, Merzagora, Presidente del Comitato centrale economico, è uomo della Pirelli, perché fu nominato, dopo la liberazione, commissario dell’azienda dai suoi 20.000 lavoratori. (Applausi al centro). Egli ha creato e diretto il primo consiglio di gestione. Un mese prima della sua partenza per il Brasile, i comunisti insistettero per affidargli la presidenza del giornale comunista più letto a Milano, il Milano sera. (Applausi al centro).

Due mesi prima della sua partenza, i socialisti «nenniani», chiamiamoli così… (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Chiamateci in un altro modo.

Una voce al centro. È difficile trovare il modo come chiamarvi.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Domando scusa, non volevo offendere nessuno. Voglio tanto bene a Nenni, che dire «nenniano» non è, secondo me, fare un torto. (Interruzioni a sinistra).

COSTANTINI. Non dipendiamo da nessun Nenni! (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, le sembra proprio questo il momento opportuno per fare una questione del genere?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. I socialisti italiani, con una lettera commovente, ricordando l’appoggio sempre da Merzagora dato ai lavoratori, lo invitavano ad entrare nel loro partito, «che aveva bisogno di una forza come la sua». (Si ride al centro).

Come vedete, che poi sia venuto come tecnico al Ministero De Gasperi, e vi sia venuto come rappresentante della reazione, è un po’ difficile a combinare con tutto questo che ho letto. (Applausi al centro).

È stato fatto un accenno anche all’ingegnere Corbellini. Ora, ecco qua la conclusione della Commissione epurativa… (Interruzioni a sinistra Rumori).

Vi ricordate che tutti i funzionari, dal grado quinto in su, sono stati sottoposti a procedimento speciale.

La conclusione, eccola qua; è firmata dal primo capo di Gabinetto dell’ingegnere Ferrari: «La Commissione ha tratto il convincimento che l’ingegnere Corbellini non è stato né filofascista né filotedesco; e la sua eminente posizione è dovuta al suo valore e alla sua attività, favorita anche dal particolare ambiente in cui agiva. D’altro canto le azioni non trascurabili da lui svolte dopo l’8 settembre 1943 dimostrano un netto orientamento contro il nazi-fascismo». (Applausi al centro Commenti a sinistra).

A proposito dell’ingegnere Ferrari, a cui ha accennato Togliatti, mi associo al riconoscimento eminente dell’opera sua, che è dovuta a lui personalmente e alla collaborazione di eminenti tecnici, fra cui l’amico Corbellini.

TOGLIATTI. Non si tratta di questo!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Vuole Togliatti che per utilizzare dei tecnici…

TOGLIATTI. Non come Ministri!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. …di questo valore, si attenda che arrivi e faccia egli il suo Governo, per imitare Stalin, che utilizza i tecnici che hanno dato buone prove? (Applausi al centro Rumori a sinistra).

Togni è dirigente di azienda, cioè impiegato direttivo, un lavoratore con rapporto di impiego, un lavoratore con funzione di mediazione fra impresa e lavoro; e non direi che sia rappresentante della reazione se egli, che viene dal Sottosegretariato del lavoro, ha cominciato a denunciare quattro grossi commercianti, responsabili di un certo commercio di carbone, in una forma che anche un Ministro di estrema sinistra non poteva fare più energica.

Anche l’Ambasciatore Tarchiani è stato attaccato. Devo, per tranquillità di coloro che pensano che egli sia stato chiamato qui per congiurare chissà che cosa, dichiarare che il Ministro degli esteri ha chiamato Tarchiani, come tre altri ambasciatori (e dico tre e non quattro, perché Quaroni, che veniva appena dalla Russia, era in grado di riportare anche delle informazioni che venivano dalla Russia), per una conferenza sulle conseguenze del Trattato di pace.

Comunque sia, Tarchiani non proviene dal mio partito, come tanti altri che si trovano a servizio dello Stato. E vi prego, colleghi, quando accusate il Partito democristiano di accaparrare tutti i posti, vi prego di esaminare quanti posti, in servizio pubblico e interno, in servizio economico, sono in mano di persone che non provengono da noi, e ci troviamo perfettamente d’accordo e lavoriamo tutti di conserva per il bene del Paese! Così è oggi e così sarà domani! Ed io faccio appello anche a coloro che non sono nel Ministero ufficialmente, quando hanno competenza tecnica e amore del Paese, perché ci aiutino in tutti i campi dell’amministrazione. E faccio appello specialmente a coloro che ci hanno dato tanta collaborazione nella Commissione delle finanze e nelle quattro Commissioni riunite (ma specialmente nella Commissione delle finanze), perché questa è preziosa collaborazione parlamentare, della quale siamo grati e della quale specialmente sarà grato il Paese! (Applausi al centro e a destra).

A Tarchiani, che proviene da altro partito, ma che si è dimostrato tenace, fedele collaboratore, fino al sacrificio, per migliorare i rapporti con gli Stati Uniti ed ottenere l’appoggio economico di questa grande potenza economica, preoccupato però sempre e tuttavia degli interessi e della dignità del Paese, mando un grato saluto, ed ai suoi collaboratori, e lo mando anche alla delegazione Sacerdoti, che mi pare un Deputato abbia scambiato per un’agenzia privata, mentre è agenzia ufficiale.

E un saluto mando anche a Ivan Matteo Lombardo e alla sua missione, a Lombardo che si è battuto contro grandi difficoltà e diffidenze, anch’egli non turbato dalle nostre polemiche interne, ed io credo si sentirà confortato nel vedere che qui facciamo opera di serenità e di ricostruzione perché si aumenti il nostro credito morale ed economico (Applausi al centro e a destra).

Ora ho da toccare alcuni argomenti e chiedo scusa ai colleghi se in questo discorso – che ha dovuto essere rapidamente tracciato stamane – mi riesce impossibile di rispondere a tutti e di tener conto di tutto.

Ringrazio quelli che hanno detto delle buone parole, anche se votano contro. Ringrazio in modo particolare l’onorevole Pacciardi e lo assicuro che, dal punto di vista politico, avrei preferito che qualche uomo più direttamente suo rappresentante fosse nel Governo per offrire una garanzia, direi, più visibile.

L’amico Sforza, che ha avuto licenza di partecipare, credo che sia sufficiente garanzia per la politica estera ed anche per l’indirizzo generale della politica della Repubblica.

Dovrò ora parlare del cambio della moneta. Vi sono state nel passato opinioni diverse circa la opportunità di fare il cambio, e vi sono ancora oggi. Vedo che Scoca fa cenni con la testa, perché lui è un partigiano del cambio.

Comunque le discussioni le abbiamo fatte sia nel primo, sia nel secondo Ministero. Quando si è trattato di presentare la patrimoniale, abbiamo deciso di esaminare la questione in accordo. Nel passato Governo si riconobbe che ormai conveniva fare la patrimoniale e che bisognava ricorrere a certi elementi induttivi per colpire questa ricchezza mobile che ci sfugge, e bisognava non parlarne più perché, dal momento che facciamo la patrimoniale, bisogna farla sul serio e non perderne i vantaggi per parlarne troppo. Bisognava lasciare in pace il pubblico. (Approvazioni).

Situazione dell’I.R.I.: c’è una discrasia amministrativa che dipende da uomini e cose. Evidentemente converrà intervenire, e su questa strada era anche il passato Governo. Ma non crediate che noi – ed io in particolare – non comprendiamo, dal punto di vista sociale, l’utilità di sfruttare questo ordigno nato male, ma utile per scopi di controllo sulle industrie-chiave. Quando Molotof a Parigi – mi pare di averlo già raccontato un’altra volta – mi ha fatto delle eccezioni al riguardo della politica economica italiana, io ho risposto che non è esatto che non si siano fatti dei passi verso il controllo pubblico sopra certi enti pubblici economici. Noi abbiamo l’I.R.I. E ho spiegato allora che cos’è l’I.R.I. Anche lui ha capito l’importanza dell’istrumento nel senso che spiegava Lombardi. E credo che sia uno strumento da trattarsi con molta delicatezza, per salvare l’economia per il bene comune. D’altra parte, nel mio discorso programmatico si parla chiaro.

Si è rimproverato all’onorevole Einaudi di non aver parlato abbastanza della materia economica; ma è un’osservazione fuori posto, perché egli aveva preso incarico di parlare come Ministro del bilancio, e parlava perciò sopra tutte le questioni finanziarie e non sui problemi economici, ai quali, invece, si era accennato nel mio discorso. Ed io avevo detto che bisogna riorganizzare gli organi dello Stato, che bisogna crearli prima di dirigerli. Oggi abbiamo il Comitato dei prezzi, abbiamo l’I.R.I., ed è semplicemente abbozzata la esperienza di un Consiglio economico.

Accetto il programma esposto con tanta competenza dall’onorevole Tremelloni, quando parla di vivace politica, di stimolo e di controllo del credito.

E, caro Di Vittorio, abbiamo trattato tante volte insieme nei momenti difficili! Spesse volte io ho riconosciuto che la Confederazione del lavoro aveva un senso di responsabilità limitando, frenando i movimenti, anche se ragionevoli che, senza il controllo della Confederazione, erano nati spontaneamente. Dopo la definizione che l’onorevole Di Vittorio, Segretario generale della Confederazione del lavoro, ha fatto del Governo che presiedo, sarebbe ingenuità che io mi rivolgessi a lui a nome del Governo. Ma io mi rivolgo a lui a nome della democrazia e del Paese. Cerchi di collaborare in quella misura che crederà opportuna e nell’interesse dei lavoratori, con gli sforzi che farà il Governo, il quale non vuole il danno dei lavoratori: può sbagliarsi sulle forme, sulle misure, sui mezzi; ma salvando la lira, vuol salvare soprattutto il salario reale del lavoratore. E a proposito di alcune formulazioni più concrete, osservo che stiamo attuando le decisioni del passato Governo; aumento del 15 per cento agli impiegati e anche ai pensionati; sforzo che era ritenuto massimo nel momento più triste e pessimista della crisi. Ma non inasprite nelle vostre trattative le difficoltà estreme che abbiamo, con pregiudiziali di partito. Lo sforzo che facciamo noi è anche lo sforzo per la classe operaia. Non è vero che abbiamo voluto escludere i rappresentanti più diretti della classe operaia. È vero che da parte di alcuni partiti si è tentato di sabotare lo sforzo per pura preoccupazione politica. Ma voi che rappresentate l’unità operaia sappiate che il Governo riconosce il valore dell’unità operaia; che la vuole elevare, al disopra dei partiti, perché sia veramente una forza a beneficio della democrazia e della classe operaia. (Applausi al centro).

L’onorevole Togliatti ha avuto delle parole di critica amara contro di me: troppo amara perché io reagisca con lo stesso metodo. Anch’io avrei argomenti per una valutazione della persona di Togliatti e della sua politica interna ed estera; ma poiché, con molte altre gravissime deficienze, egli trova in me anche scarso sentimento nazionale, è evidente che egli conta sul mio senso di responsabilità perché, nell’interesse del Paese, io eviti una polemica di politica estera alla vigilia del Trattato di pace. (Applausi al centro e a destra).

Una questione che meriterebbe una lunga esposizione è quella del famoso prestito dell’Export Import Bank. Una delle più crudeli delusioni è stato l’attacco del Ministro Morandi, con il quale, per la verità, abbiamo collaborato sempre in perfetta lealtà; e del quale ho in mano una relazione che egli doveva leggere da questi banchi, e che non avrei difficoltà a fare quasi completamente mia, tanto era lo sforzo suo – lo riconosco – di mettersi sulla linea mediana del Governo.

Ma per questa linea mediana del Governo, oltre uno sforzo tecnico notevole – che io gli riconosco – ci vuole anche un certo senso di fiducia.

Ora dicono che il prestito di 100 milioni era stato già assicurato, e che poi ho trascurato, lasciato marcire l’applicazione di questo prestito, una volta ottenuto. Questo, amico Morandi, è eccessivo. Sarebbe eccessivo anche per uno che non fosse mai stato al Governo e non avesse seguito le nostre vicende; ma poiché devo rispondere anche per quelli che le hanno seguite, non ho che a fare una cosa: leggervi la lettera diretta al Ministro del Tesoro dal Direttore dell’Export Import Bank del 14 gennaio 1947; cioè il giorno della nostra partenza da Washington. Badate, prossimamente uscirà un diario dell’Ambasciatore Tarchiani, in cui sarà descritto mezz’ora per mezz’ora il nostro calvario di quei dieci giorni. Vedrete come in partenza io non mi sia occupato di alcuna réclame; né durante, né dopo mi sono mai curato di propaganda politica; vedrete che non sono stato soddisfatto delle manifestazioni esteriori, ma ho sempre mirato al sodo e fino all’ultimo momento sono rimasto a Washington e mi sono rifiutato di partire due giorni prima, come era stabilito, perché alla Banca fosse strappato finalmente l’impegno di accantonare per l’Italia 100 milioni di dollari. Vi leggo la lettera:

«Mio caro Ministro, il Consiglio direttivo della Export Import Bank di Washington è lieto di avere concluso con lei e gli altri membri, in occasione della sua visita, la concessione di crediti di cui l’Italia ha bisogno. Lei ricorderà che il Governo italiano si rivolse alla Export Import Bank nel febbraio 1946 per chiedere un credito molto ampio da finanziare l’acquisto di svariati prodotti americani, compresi generi alimentari, combustibili, materie prime ed impianti. Tale richiesta era intesa a coprire il deficit previsto nella bilancia dei pagamenti della Banca d’Italia per il 1946.

«La Banca non è stata in grado di accogliere per intero la richiesta, essendo l’importo in questione al di là delle proprie risorse, date le altre cospicue domande avanzate. Né, d’altro lato, la Banca si sentiva di potere accogliere la richiesta solo in parte, in quanto che non si vedeva in qual modo il resto del deficit italiano avrebbe potuto essere coperto. Tuttavia la Banca ha elaborato con la Banca commerciale italiana e col Governo italiano un credito a breve scadenza per facilitare l’acquisto di cotone greggio americano da parte dell’industria tessile italiana.

«D’altra parte, il suo Governo ha recentemente di nuovo interessato la Export Import Bank per ottenere un credito generale che aiutasse a fronteggiare il previsto deficit della bilancia dei pagamenti del 1947. Ma poiché la Banca ha deciso di porre termine ai suoi prestiti, per scopo economico, le è stato al pari impossibile di accogliere la seconda richiesta nella forma presentata.

«In conseguenza tuttavia delle nostre discussioni, con lei e con i suoi collaboratori, e dopo avere ulteriormente studiato il problema italiano, il Consiglio direttivo della Export Import Bank è disposto a prendere in considerazione la concessione durante il 1947 di crediti con scadenze appropriate nella circostanza a ogni singolo caso, allo scopo di aiutare specifici settori dell’industria italiana ad espandere il proprio mercato di esportazione. La Banca ha accantonato a tale scopo un totale di 100 milioni di dollari. La concessione di crediti individuali per l’importazione dagli Stati Uniti dipenderà dalle condizioni d’Italia, dalla sua stabilità e dalla sua capacità a provvedere al mantenimento della propria economia. Firmato: William».

Ora non so quello che è avvenuto dopo, cioè della sistemazione di tutto il materiale. Ho incaricato il Ministro del tesoro ed il Ministro dell’industria. La cosa non l’ho potuta seguire da vicino; so che vi furono molte sedute e si decise di invitare la Banca a mandare i delegati stessi che per puro caso sono capitati durante la crisi economica o poco prima. Non è stata manovra. Essi sono andati in Alta Italia, hanno visto le industrie come vanno; mi hanno telegrafato che tornavano con parere positivo. E speriamo che questo sia un vantaggio; vantaggio o merito che io non pongo a beneficio mio, né del mio Governo passato, né del tripartito e nemmeno del programma attuale, ma a beneficio dei nostri lavoratori, dei nostri industriali, che dimostrano di essere capaci di meritare il credito all’estero. (Applausi).

Amico Nenni; ho cominciato con te ed è fatale che con te termini. Hai fatto un accenno alla maggioranza protestante negli Stati Uniti. Io ho interrotto perché mi è dispiaciuto che tu ti domandassi che cosa quei protestanti pensassero di un Governo di clericali, di preti, per quanto credo che molti che sono qui non appartengano alla mia parrocchia. (Si ride). Badate che in America – e io l’ho visto – dinanzi al monumento di Jefferson, che è il Mazzini americano, ho visto affermata una fede che ci accomuna: credere in Dio e nella libertà. (Vivissimi prolungati applausi al centro e a destra Moltissime congratulazioni).

PRESIDENTE. Ricordo che gli ordini del giorno svolti durante la discussione sulle comunicazioni del Governo sono i seguenti:

«L’Assemblea invita il Governo ad adottare immediati provvedimenti atti a frenare i continui aumenti della circolazione, perseguendo una ferma politica creditizia che impedisca il finanziamento delle operazioni di pura speculazione ed istradi il credito verso la ricostruzione ed il risanamento economico».

Marinaro.

«L’Assemblea, considerato che l’applicazione del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, colpisce fino all’espropriazione la proprietà edilizia e rurale a danno dei meno abbienti, con specifico, grave pregiudizio della economia meridionale, invita il Governo agli opportuni emendamenti».

Crispo, Badini Confalonieri, Morelli Renato, Villabruna, Reale Vito, Bozzi, Rubilli, Scoccimarro, Costantini, Gullo Fausto, Mancini, Sereni, Perrone Capano, Martino Gaetano, Preziosi, Caso, Rodinò Mario, Abozzi, Vinciguerra.

«L’Assemblea Costituente,

considerando che il decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio e di un’imposta proporzionale straordinaria, non risponde, nella sua attuale formulazione, a concetti di giustizia tributaria, e che sarà esiziale per la economia e specialmente per l’agricoltura dell’Italia centromeridionale e delle isole;

considerando anche che la sua applicazione, anteriore all’esame delle modifiche proposte dalla Commissione permanente ed alla convalida da parte dell’Assemblea Costituente, aumenta le incertezze, gli inconvenienti ed il danno;

invita il Governo a riesaminare il decreto legislativo e ad apportarvi le modifiche intese ad eliminare le conseguenze eccessivamente gravose lamentate dalle classi agricole».

Mastino Pietro, Lussu, Abozzi, Veroni.

«L’Assemblea Costituente raccomanda al Governo che sia, quanto prima, rimossa la bardatura degli ammassi o, quanto meno, ne sia ridotta e contenuta l’applicazione al solo fine di garantire l’approvvigionamento per le categorie dei non abbienti.

«In ordine al prezzo del grano, richiama l’attenzione del Governo sulla necessità di adeguare al costo effettivo la quota riservata al produttore, tenendo presente gli alti costi dei concimi, della mano d’opera, della trebbiatura e degli oneri fiscali.

«L’Assemblea Costituente raccomanda inoltre al Governo, nella ripartizione degli oneri tributari, di inspirarsi ad una equa giustizia distributiva, tenendo presente come sulla media e piccola proprietà terriera già gravi uno sproporzionato carico fiscale.

«L’Assemblea invita pure il Governo, in attesa della riforma agraria, a concedere, nella forma che riterrà migliore, le terre demaniali ai partigiani, ai reduci, agli agricoltori della Venezia Giulia che hanno lasciato per l’amore dell’Italia terre italiane bonificate con i loro sudori e di cui lo straniero ne coglierà i frutti».

Scotti Alessandro.

«L’Assemblea Costituente, mentre rileva con compiacimento che nelle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri si è accennato all’importante problema delle bonifiche, convinta che la sua soluzione sarà uno dei mezzi più efficaci per dare pane e lavoro al popolo italiano, per provvedere adeguatamente fin da ora alla riforma agraria e per portare un rilevante contributo al bilancio dello Stato, invita il Governo a prendere in attenta considerazione i voti espressi nel recente Congresso di San Donà di Piave e per ciò a fornire i mezzi perché, con una organizzazione autonoma, si possa dare attuazione ad un programma di lavori che contribuirà efficacemente a soddisfare al benessere delle classi lavoratrici dovunque, ma particolarmente nell’Italia meridionale e nelle isole.

«L’Assemblea inoltre invita il Governo a considerare la necessità del riesame del decreto dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio per evitare, con necessari provvedimenti, all’agricoltura ed in modo speciale alla piccola proprietà, il grave danno che deriverebbe da tale decreto».

Pallastrelli.

«L’Assemblea Costituente,

ritenendo che, pure negli indispensabili aggravi determinati dalle nuove leggi si debba tener sempre presente la necessità di agevolare la piccola proprietà già esistente e particolarmente quella rurale e montana,

invita il Governo:

  1. a) a rendere praticamente applicabile l’esenzione di terreni e fabbricati situati oltre i 700 metri;
  2. b) a sistemare con criterio di doverosa comprensione i contributi unificati;
  3. c) ad esentare le quote minime dalla imposta straordinaria progressiva del patrimonio;
  4. d) ad evitare che concessioni particolari (ad esempio indennità per danni di guerra determinati da azioni nazi-fasciste) siano rese inapplicabili per tutti coloro che non possono dimostrare di essere nullatenenti perché posseggono la casa distrutta».

Micheli, Marconi, Valenti, Coppi Alessandro.

«L’Assemblea Costituente invita il Governo ad accelerare la normalizzazione della vita pubblica, intensificando gli sforzi per raggiungere una effettiva e completa pacificazione, abolendo le ormai superate e anacronistiche leggi eccezionali e provvedendo, con ogni cura e cautela, alla sana amministrazione del Paese».

Giannini.

«L’Assemblea Costituente,

ritenuto che mentre l’articolo 7 del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, esenta dall’imposta patrimoniale le istituzioni di assistenza e beneficenza, l’articolo 68 dello stesso decreto non fa distinzione fra persone fisiche e giuridiche e viene a colpirle indistintamente;

ritenuto che, conseguentemente, tutte le opere di beneficenza vengono per l’anno 1947 ad essere gravate di un carico di imposte che, avendo riguardo alla rivalutazione patrimoniale stabilita dal decreto legislativo 18 ottobre 1946, viene ad essere di 50 volte il carico precedente;

ritenuto che tutte le opere pie, ospedaliere, di ricovero, di educazione e, comunque, di assistenza versano in situazione economica precaria, determinata dalla diminuzione delle entrate e dai ben maggiori oneri che il costo della vita e l’accrescere degli assistiti comporta;

che in identica situazione si trovano gli enti locali:

invita il Governo

ad emendare l’articolo 68 del decreto legislativo 29 marzo 1947, stabilendo espressamente la esenzione delle istituzioni di beneficenza e di assistenza e degli enti locali dalla imposta proporzionale sul patrimonio come già lo sono per quella progressiva;

a riserbare ogni più provvida cura a favore di tali istituzioni che costituiscono una delle più nobili tradizioni del nostro Paese».

Bovetti, Caso, Cremaschi Carlo, Foresi.

«L’Assemblea Costituente, constatati gli effetti dannosi della speculazione che minaccia in modo sempre più grave la già compromessa stabilità della moneta, invita il Governo ad adottare immediati provvedimenti, anche di natura penale, contro quei cittadini o quei gruppi d’interessi, che operano contro la collettività, e lo esorta altresì a perseguire una più ferma e coerente politica creditizia coordinata con un indirizzo produttivistico dell’economia nazionale, tale da avviare finalmente il Paese verso la ricostruzione».

Patrissi.

«L’Assemblea invita il Governo ad emanare con tutta sollecitudine la più volte promessa legge organica sui danni di guerra ed a mantenere in vita – rendendolo più efficiente e adeguato ai nuovi compiti – il Sottosegretariato od altro organo politico-amministrativo, più rispondente, che – coordinando i servizi e gli uffici oggi sparsi nelle varie amministrazioni dello Stato – provveda con unicità di criterio e di direttive a dare efficace esecuzione alle provvidenze che la legge sarà per fissare».

Fogagnolo, Fedeli Aldo, Tomba, De Michelis, Pieri, Faccio, Vernocchi, Dugoni, Tonello, Malagugini, Costa, Fiorentino, Giacometti, Ghislandi.

«L’Assemblea Costituente,

riconosciuta la necessità di contemperare le due urgenti e parallele esigenze di una ferrea pressione fiscale e del massimo possibile incremento delle attività produttive e della ripresa edilizia,

invita il Governo a disporre senza ritardo:

1°) una equa elevazione del minimo imponibile della imposta proporzionale ordinaria sul patrimonio e una più congrua dilazione del pagamento di essa da parte dei piccoli e medi proprietari;

2°) la definizione, entro un breve termine, delle tassazioni degli utili di congiuntura;

3°) la sottoposizione all’esame dell’Assemblea stessa del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, affinché si renda possibile una cauta ed obiettiva revisione del tributo, la quale elimini l’ingiustizia della situazione, particolarmente pregiudizievole per le provincie meridionali, in base a cui l’onere grava in modo quasi esclusivo sui patrimoni immobiliari, ritenuti presuntivamente altresì detentori dei beni liquidi, ed affinché la necessaria pressione possa invece volgere a colpire i beni che s’imboscano o che sono il frutto di speculazioni o di attività improduttive, e al tempo stesso possano essere riconosciute ed esercitate le esenzioni giustificate dai danni di guerra.

«Ai medesimi fini l’Assemblea Costituente raccomanda al Governo la graduale sostituzione di un regime di libero scambio dei prodotti al regime vincolistico attraverso una fase intermedia, tempestivamente predisposta, di disciplina della produzione e della distribuzione».

Perrone Capano.

«L’Assemblea Costituente,

udite le dichiarazioni del Governo, le approva e passa all’ordine del giorno».

Angelini, Guerrieri Filippo, Uberti, Cappugi, Schiratti.

Sono stati inoltre presentati i seguenti ordini del giorno:

«L’Assemblea Costituente, convinta che l’interesse del Paese, la difesa della lira, il prestigio e l’unità morale della Nazione esigono un Governo rappresentativo di tutte le correnti democratiche repubblicane, passa all’ordine del giorno».

Nenni, Targetti, Vernocchi, Barbareschi, De Michelis, Malagugini.

«L’Assemblea Costituente, considerato che la crisi attuale è sorta dalla necessità di fronteggiare la situazione economica, finanziaria e monetaria, aggravatasi nel tempo per le incertezze, le contradizioni, e le deficienze tecniche e politiche dell’azione del Governo tripartito; considerato che dalla progettata formazione di Governo su basi politicamente più larghe e tecnicamente più adeguate ed omogenee che poteva essere opportuna per una efficiente azione di difesa della lira si è giunti ad uno spostamento radicale di forze niente affatto necessario e tale da rompere l’unità democratica e repubblicana la quale ha garantito finora la ricostruzione della vita nazionale; considerato, infine, che questo spostamento rende politicamente più difficoltosa un’azione di Governo che, dal punto di vista tecnico, poteva raggiungere, dopo le ampie discussioni svoltesi in questi ultimi mesi, efficaci ed immediati risultati; delibera di negare la fiducia a questo Governo».

D’Aragona, Parri, Pacciardi, Cianca, Molè.

Invito l’onorevole Presidente del Consiglio ad esprimere il suo pensiero sui vari ordini del giorno presentati.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. All’onorevole Marinaro, il quale ha presentato un ordine del giorno che è più che altro una raccomandazione, rispondo che, come tale, l’accetto e che il Governo provvederà alla convocazione immediata del Comitato interministeriale per la disciplina del credito, allo scopo di adottare una ferma politica creditizia, sia per frenare l’aumento della circolazione, che per combattere l’aspetto patologico della circolazione economica.

All’ordine del giorno Crispo rispondo che, per ragioni di ordine politico, il Governo non poteva sospendere l’applicazione del decreto 29 marzo 1947, legalmente efficiente dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Esso sarà discusso dall’Assemblea, la quale potrà apportarvi tutte quelle modifiche che considererà opportune.

Riguardo all’ordine del giorno Mastino Pietro, Lussu ed altri, rinnovo l’impegno di provocare nell’Assemblea la più sollecita discussione per convalidare il decreto istitutivo dell’imposta straordinaria sul patrimonio e di adottare tutte le modificazioni che l’Assemblea troverà giusto deliberare.

Non posso accettare l’ordine del giorno Scotti Alessandro, perché richiede l’abolizione degli ammassi, che anche quest’anno si sono dovuti imporre per la critica situazione granaria mondiale, e perché non è pronta una organizzazione diversa.

Accetto come raccomandazione gli ordini del giorno presentati dagli onorevoli Pallastrelli e Micheli.

Anche l’ordine del giorno Giannini lo accetto come raccomandazione di politica interna.

A proposito dell’ordine del giorno Bovetti, avverto che non può essere concessa l’esenzione richiesta, per quanto riguarda l’imposta proporzionale del 4 per cento, che deve indistintamente colpire sia le persone fisiche, che le persone giuridiche. Il Governo interverrà perché i fabbricati siano valutati a cinque volte il valore prebellico, così come vuole la legge. Comunque assicuro che il Governo ha a cuore le sorti degli istituti di beneficenza.

Accetto l’ordine del giorno Patrissi, a titolo di raccomandazione; circa il suo invito ad una ferma politica creditizia, confermo le assicurazioni date all’onorevole Marinaro.

Per quanto riguarda l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Fogagnolo e da altri colleghi, devo dire che il Sottosegretariato per i danni di guerra è ancora in vita, per quante scoperto del titolare, e che i suoi servizi saranno coordinati nel senso indicato dai presentatori.

Il Governo terrà conto dei suggerimenti contenuti nell’ordine del giorno Perrone Capano e dei desideri dei piccoli proprietari. Assicuro che la tassazione degli utili di congiuntura sarà fatta con energia e sollecitudine.

Non posso accettare gli ordini del giorno degli onorevoli Nenni, Targetti ed altri e degli onorevoli D’Aragona, Parri ed altri.

Accetto il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo, le approva e passa all’ordine del giorno».

Angelini, Guerrieri Filippo, Uberti, Cappugi, Schiratti, Mattarella.

PRESIDENTE. Prego i presentatori degli ordini del giorno di dichiarare se li mantengono, oppure se si dichiarano soddisfatti.

Onorevole Marinaro, mantiene il suo ordine del giorno?

MARINARO. Sono soddisfatto.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo?

CRISPO. Voglio semplicemente augurarmi che venga al più presto sottoposto all’esame dell’Assemblea il decreto sull’imposta straordinaria per gli eventuali emendamenti dei quali abbiamo parlato durante la discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro?

MASTINO PIETRO. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Crispo.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Scotti Alessandro non è presente, si intende decaduto il suo ordine del giorno.

Onorevole Pallastrelli?

PALLASTRELLI. Mi dichiaro soddisfatto.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli?

MICHELI. Sono soddisfatto.

PRESIDENTE. Onorevole Giannini?

GIANNINI. Mi dichiaro soddisfatto.

PRESIDENTE. Onorevole Bovetti?

BOVETTI. Ritiro il mio ordine del giorno, riservandomi di sostenere il mio punto di vista in sede di discussione del decreto sull’imposta straordinaria.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Patrissi non è presente, si intende decaduto il suo ordine del giorno.

Onorevole Fogagnolo?

FOGAGNOLO. Mi dichiaro soddisfatto, soprattutto perché oggi il Presidente del Consiglio ha dichiarato che il Sottosegretariato per i danni di guerra non è stato soppresso e sarà nominata la persona fisica che dovrà ricoprirlo. Ieri, invece, il Ministro del tesoro aveva affermato che il Sottosegretariato era stato soppresso e che le attribuzioni erano state affidate al Sottosegretario del tesoro.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Perrone Capano non è presente, si intende decaduto il suo ordine del giorno.

Onorevole Nenni?

NENNI. Mantengo il mio ordine del giorno.

PRESIDENTE. Onorevole D’Aragona?

D’ARAGONA. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Angelini?

ANGELINI. Mantengo l’ordine del giorno.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno che ha la precedenza nella votazione è quello Angelini e altri, che il Governo ha dichiarato di accettare. Passiamo ora alle dichiarazioni di voto.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Onorevoli colleghi, mi ero iscritto a parlare sulle dichiarazioni del Governo ed ho rinunciato a parlare in quella sede; e forse avrei rinunciato a parlare anche in questa, se non mi trovassi in una particolare posizione e se alcuni interventi di altri colleghi non mi ci avessero, in un certo senso, costretto.

Io non posso, dopo questa discussione, alla chiusura di questa discussione, dimenticare che alla Consulta nazionale, da questo stesso banco, allora con pochissimi amici del vecchio Partito democratico italiano, io sostenni, solo, la necessità di dare al Governo una forma omogenea in modo che potesse governare secondo un determinato programma, lasciando al gioco delle opposizioni e delle forze governative quella dialettica e quei compiti, senza i quali non vi può essere democrazia. Fui solo allora, e ricordo con gratitudine l’attenzione e il silenzio con i quali fui ascoltato. Oggi non sono più solo, perché l’esperienza ha dimostrato a molti che forse il mio punto di vista non era sbagliato. Io sono debitore di questo ricordo a quelli che furono i miei compagni di lotta, i miei pochissimi compagni di lotta nei primi giorni di questa battaglia per la democrazia; ed in nome dei quali io ebbi l’onore in questa sede di sostenere la tesi che oggi mi conduce a votare a favore del Governo.

Ma c’è anche un’altra ragione che mi induce a parlare: ci sono cose che sono state dette da alcuni colleghi: c’è anzitutto l’odio dell’onorevole Nenni, l’opposizione dell’onorevole Pacciardi, una chiamata in causa, incidentale, dell’onorevole Togliatti.

PACCIARDI. Non riguardava lei; lei è già repubblicano!…

LUCIFERO. Onorevole Pacciardi, io sono italiano e servo l’Italia; in qualunque forma e in qualunque modo; ma non ho rinunciato a nessuna delle mie convinzioni, ed è in nome delle mie convinzioni che servo la Patria in qualunque sua forma e che sono un lealissimo cittadino dello Stato italiano; ed anche della Repubblica italiana, perché, ripeto, sono un leale cittadino italiano. Questo non significa che io debba rinunciare ai miei sentimenti e alle mie convinzioni.

Vi è stato poi un incredibile discorso dell’onorevole Gronchi, che non posso far passare sotto silenzio. Per quanto riguarda il partito liberale e la sua linea politica, molto più altamente di me parlerà l’onorevole Croce, e le mie dichiarazioni, quindi, sono di ordine personale, riallacciate ai motivi a cui ho prima accennato e alle chiamate dirette che io ho avuto in questa discussione.

L’onorevole Pacciardi ha invitato la Democrazia cristiana – e rivolgendosi a tutto questo settore – a rinunciare all’umiliazione della nostra presenza. Non spenderò molte parole: onorevole Pacciardi, quali che possano essere le opinioni, non è mai una umiliazione per nessuno quella di trovarsi in compagnia di galantuomini! (Applausi a destra).

PACCIARDI. Ho già detto che non riguardava lei. (Interruzione dell’onorevole Covelli).

LUCIFERO. All’onorevole Pacciardi debbo far notare che io faccio parte di un Gruppo parlamentare che rappresenta un partito politico, ed anche se io mi sono sempre vantato di essere un uomo libero ed indipendente, è nella mia libertà ed indipendenza che ho aderito al Gruppo ed al Partito liberale; ciò significa che sono con essi pienamente solidale. Quindi, quando si fanno al mio Gruppo parlamentare o al mio partito delle osservazioni alle quali io ritengo di poter rispondere, sia pure in proprio, lo faccio perché con essi mi sento pienamente solidale; e tanto più mi sento solidale in quanto io penso che è inesatta l’osservazione fatta dall’onorevole Foa, che noi siamo delle forze parlamentarmente irresponsabili. Siamo delle forze parlamentarmente responsabili perché mandate qui dai nostri elettori, qualcuno di noi da più di un collegio, ed in ogni modo non venuti qui con le cicche dei risultati elettorali. (Approvazioni a destra).

E vengo agli odî dell’onorevole Nenni. L’onorevole Nenni ha fatto una osservazione alla quale reagii immediatamente e che mi ha profondamente ferito: cioè ha detto che noi appoggiamo questo Governo – lo dico perché siamo in sede di dichiarazione di voto, perché è in queste risposte che si giustifica il voto – in odio ai partiti di sinistra.

Onorevole Nenni, lei è abituato a parlare in termini di antitesi, stabilendo dei continui dilemmi che hanno un corno mobile e un corno fisso. Il corno fisso è il caos e il corno mobile cambia secondo le circostanze. (Si ride). Noi non siamo abituati a ragionare in questi termini; noi non nutriamo odio per nessun partito, perché, se siamo liberali, non possiamo non riconoscere non solo il diritto di tutti i partiti, ma le esigenze che fanno nascere tutti i partiti. E se noi abbiamo messo delle condizioni, le abbiamo messe proprio per quel dovere democratico.

Ben rispose, a questo proposito, l’onorevole Corbino: le esclusive le abbiamo messe a noi, non agli altri. Noi non potevamo ammettere che si formasse nuovamente un Governo con forze che si paralizzassero a vicenda. Abbiamo detto quindi che le differenze fra la nostra forza politica e certe altre sono troppo profonde perché si possa collaborare con esse al Governo. Si vada dunque da una parte o dall’altra, ma non possiamo perpetuare un equivoco che ha già arrecato sufficienti danni al Paese.

E che noi abbiamo fatto questo con pieno disinteresse e con assoluto amore di Patria è dimostrato dal fatto, e l’onorevole Presidente del Consiglio ce ne può dare atto, che da parte nostra non vi sia stato nessuno di quei commerci delle vacche a cui egli è stato abituato nelle crisi precedenti, da parte di altri partiti.

Abbiamo detto che eravamo a disposizione per servire il Paese e per dare quello che ci veniva chiesto. Ci è stato chiesto uno degli uomini più cari a noi e all’Italia: lo abbiamo dato sapendo l’enorme rischio e l’enorme pericolo cui ci esponevamo, ma avendo perfetta coscienza che questo era il miglior contributo che potevamo dare al nostro Paese per la risoluzione di problemi gravissimi che altri prima di lui non hanno saputo risolvere.

Questa è l’esclusiva, onorevole Togliatti, che noi abbiamo dato: questa e non altra. Non la richiesta dell’esclusione del socialismo dal Governo, anche perché bisognerà intendersi una volta su questo termine di socialismo. I socialismi sono infatti oramai parecchi; c’è quello che può essere definito socialismo totalitario, che noi non vogliamo escludere soltanto dal Governo, ma dalla democrazia, perché non è democrazia. (Proteste a sinistra).

C’è poi l’altro socialismo; ma esso non è soltanto un socialismo vostro, è ormai di tutti; perché è merito di tutti noi se i suoi ideali non solo sono diventati universali, ma sono in parte realizzati.

E quando noi ci ribelliamo contro certo socialismo barricadiero, che non è se non un avanzo del secolo scorso, è perché queste barricate dovrebbero essere costruite fra gli edifici che ad onore del socialismo e per la battaglia del socialismo l’umanità ha già incominciato a costruire e continua a costruire.

Dopo questo io debbo dire solo due parole all’onorevole Gronchi. Fra i vari discorsi di opposizione che noi abbiamo sentito finora, il discorso dell’onorevole Gronchi è stato certamente il più velenoso, perché è stato l’unico che ha tentato di mettere in pericolo la maggioranza governativa. L’onorevole Gronchi ha qualche cosa in comune con l’onorevole Nenni e con il tenore Lauri Volpi: vi sono dei momenti per loro in cui essi debbono strappare l’applauso per forza.

MEDA. Questa è una sua opinione.

LUCIFERO. È una mia opinione, sì, perché io sono qui per sostenere le mie opinioni e non le sue, onorevole Meda. (Si ride). Le sue, sono convinto che lei le sostiene molto meglio di me. Ad ogni modo non mi permetterei di prendere il suo posto. Ma non posso passare sotto silenzio, per dignità del mio settore, la scortesia e la scorrettezza politica di parlare di «sgradite combinazioni». Onorevole Gronchi, questa è una sua opinione personale, e mi dispiace; ma noi non siamo qui per una combinazione, anche se questa opinione personale fosse condivisa dal suo partito; noi, gli «sgraditi combinati», sosterremmo ugualmente il Governo del suo partito, perché siamo profondamente convinti che questo sia in questo momento l’interesse del Paese. (Applausi a destra). E badi l’onorevole Gronchi a non assumere certe eredità e a non prendere lui l’iniziativa di fronte al nuovo Governo, di quei doppi giochi che sono stati deplorati nei confronti di altri partiti verso i Governi precedenti.

MAZZA. È stato un granchio di Gronchi. (Si ride).

LUCIFERO. Con ciò non posso che compiacermi della voce nuova, con la quale oggi ho sentito parlare il Presidente del Consiglio.

Vi sono indubbiamente verso questo Governo delle perplessità. Se l’adesione potesse essere completa, sarei democristiano, e non lo sono. Però vi è un avviamento alla fiducia che apre le speranze verso l’avvenire. Finalmente noi speriamo di vedere avviata la nostra politica verso la democrazia parlamentare, cioè noi vediamo riportata nella sua giusta sede quella dialettica, che erroneamente era stata portata nei Governi precedenti e che quei Governi ha paralizzato.

Questo ci apre il cuore alla speranza, e quindi, il voto di fiducia che do oggi all’onorevole De Gasperi non è soltanto un voto di fiducia: è qualche cosa di meno e qualche cosa di più. È qualche cosa di meno, perché non possiamo dimenticare completamente – almeno io non posso dimenticare – certe responsabilità degli uomini, o di alcuni uomini, che compongono questo Governo; è qualche cosa di più, perché è veramente, almeno per me, il voto della speranza nell’avvenire della Patria.

Dio vi assista, onorevole De Gasperi, perché questa speranza diventi realtà. (Applausi a destra Commenti a sinistra).

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Debbo accusare me stesso. Ho assistito a queste discussioni con disattenzione, alcune volte, forse con troppa disattenzione, come un assente. Troppi discorsi, troppe dissertazioni dei partiti e sui partiti! Voi sapete la mia opinione: i partiti sono inevitabili. I partiti nel nostro regime attuale, nel nostro Paese, non sono però una grande forza, se si consideri la loro azione. Non trovano il modo né di vivere isolatamente, né di vivere insieme. L’attuale controversia in fondo nasce da una separazione, dopo un dissenso; la separazione dei democristiani, dei comunisti e socialisti. Quale è stata la causa? quale l’effetto? L’effetto da parte dei comunisti non è finora l’odio né l’invettiva amara dei socialisti e dei comunisti contro il partito democratico cristiano. Nulla di aspro né di duro: ma piuttosto una discussione malinconica. Par che si dica: «eravamo nati insieme, dovevamo morire insieme».

Questo distacco dei tre partiti è stato il tono della discussione di quella parte che sembra la più cattiva e qualche volta la più aspra.

Si è fatta accusa all’onorevole De Gasperi di avere rotto la solidarietà del tripartito, che, nato insieme, sotto forme diverse, dall’esarchia, e vissuto fino adesso, doveva finire insieme.

Si è trovata quasi una infrazione costituzionale; vi era, si è detto o si è lasciato dire, quasi un patto che non si poteva rompere.

La verità è che l’onorevole De Gasperi può essere accusato di tutto, fuorché di avere infranto un patto costituzionale.

I tre partiti di massa si sono presentati alle elezioni l’uno contro l’altro, hanno lottato l’uno contro l’altro, poi si sono uniti e ora si possono disunire. Il fatto essenziale è che non si siano presentati alle elezioni con uno stesso programma: ognuno aveva un programma diverso e lottava contro gli altri; hanno creduto utile unirsi temporaneamente, si possono ora disunire senza rompere un patto, che poteva venire rotto ogni giorno.

Quindi, l’accusa non va portata nel campo della costituzionalità; va portata, se c’è, nel campo della convenienza politica.

Ora, ciascun partito è arbitro della sua azione, secondo la sua convenienza.

Io devo (non vi scandalizzate, qualche volta mi accade anche qualche paradosso) non solo difendere l’onorevole De Gasperi dall’accusa di incostituzionalità, ma dire anche che, se ha prodotto il dissidio, non poteva agire diversamente. Dover fare un Governo. Si può avere un cattivo Governo, ma bisogna avere un Governo. L’onorevole De Gasperi si è trovato nella situazione di non potere formare un Governo se non con la formula attuale. Quando egli ebbe la cortesia di consultarmi, una sola cosa gli dissi: scegliere la via meno cattiva e a ogni modo fare un Governo.

Non si può lasciare il Paese nell’incerto. Noi siamo dal 16 maggio senza un vero Governo che non sia in crisi o in stato di debolezza tale da non potere agire. Il Governo deve essere in condizione di agire, perché – fatemi dire la verità – noi siamo in una situazione mortale! Ed io vi dirò cifre che vi turberanno, ma vi devo parlare un linguaggio di verità. (Commenti). Bisogna avere un Governo e bisogna che il Governo resista in queste ore difficili.

Ora tutti i partiti non sono soltanto in lotta fra loro, ma sono quasi tutti, in questa follia che dilaga l’Italia, anche in lotta all’interno del partito. Ogni partito è diviso, ogni partito tende a bipartirsi o a tripartirsi, e partiti sorti adesso o nascenti sono già divisi.

Si sente dovunque il bisogno di qualche cosa di solido e di stabile. Abbiamo bisogno di poggiare il piede su qualche cosa di serio e di durevole, quale che sia, da una parte o dall’altra. Abbiamo bisogno di qualche cosa che ci dia il senso della continuità e della certezza: e pare dovunque camminare su sabbie mobili.

Voi sapete che io non ho desiderî né aspirazioni. Quando qualche settimana fa potevo fare il Governo, non l’ho voluto fare. Non avrei voluto fare un Governo secondo le mie idee e secondo gli scopi precisi che mi proponevo. A me importava assai poco fare un programma, ma realizzare un programma.

Ma ora un Governo occorre che dia un senso di continuità.

Il Paese si trova in condizioni così gravi che anche risorse più fondamentali possono venire a difettare se non a mancare da un momento all’altro. Il Governo afferma di aver bisogno subito di trecentocinquanta milioni di dollari, che attende da amici lontani, cioè dall’America. Questi trecentocinquanta milioni di dollari io non vedo come si possano ora ottenere seriamente. Tutt’al più, con uno sforzo, si può riunire forse metà di questa somma: avanzi dell’U.N.R.R.A., ed altri elementi che è possibile utilizzare. Ma non possiamo fare calcolo in modo assoluto sull’America. Ho già spiegato il meccanismo che adotta adesso l’America; dobbiamo procedere cauti nel domandare, e purtroppo c’è anche la probabilità di non ottenere nulla.

E quante cause di nuove ansie! Noi siamo minacciati da pericoli veri e non lontani. Il raccolto di grano di quest’anno è il più basso che si ricordi da molti anni. (Interruzioni Commenti).

Ci basterà tutt’al più fino a ottobre. E dopo fino al nuovo raccolto? I prezzi sono già alti e probabilmente non diminuiranno, anzi aumenteranno. Il Ministero dell’agricoltura americana ha segnalato la deficienza di grano nel mondo. Noi avremmo bisogno di almeno ventinove milioni di quintali e cioè ai prezzi correnti trecentocinquanta milioni di dollari alla fine di quest’anno, e nel prossimo per comperare le quantità mancanti che ci sono necessarie. E quali sono le riserve di dollari del Tesoro italiano in questo momento? Ho insistito molto con l’onorevole Einaudi perché abbia un programma e fin da ora se ne occupi.

Qualunque persona, anche mediocremente informata, lo sa. Quasi nulla. Occorre dunque una grande serietà, una grande serenità per affrontare le grandi difficoltà che ci attendono.

In queste condizioni io non voglio creare nessuna difficoltà a coloro che ci governano. So come è penosa la loro situazione e so quello che rischiano, quello che, se hanno coscienza delle loro responsabilità, devono soffrire.

Dobbiamo pensare a una cosa sola, all’Italia minacciata nella sua stessa esistenza. Superare la minaccia finanziaria ed evitare la inflazione deve essere il compito dei mesi prossimi. E poi, quali duri compiti ci riserva l’anno prossimo e quali i seguenti? E di fronte a questa triste realtà, che si può superare solo con visione realistica e con animo fermo e intrepido e volontà di lavoro, quanta incoscienza, e anche quanta dissipazione delle cose anche più necessarie! E quanti fatui progetti di avvenire!

Così anche alcune proposte e alcuni progetti finanziari mi sembrano sotto apparenze promettenti cause di nuovi danni. Non devo dissimulare la mia profonda avversione per la imposta patrimoniale, mal pensata, mal congegnata ed al momento più inopportuno, perché non avrà altra funzione che quella di turbare profondamente il Paese, e che nella forma in cui la si vuole attuare non serve al presente né all’avvenire. Perché non pensiamo prima di salvare la lira e di fare una seria politica finanziaria?

Sono convinto che, applicata ora e nella forma attuale, l’insuccesso, anche dal punto di vista finanziario, sarà esasperante. È stato più un atto di vanità che di serietà. Sempre la demagogia inconcludente! Quali sono i programmi finanziari? o quale dovrebbe essere, per dir meglio, il vero programma finanziario del Governo? Raccogliere il maggior numero di entrate che è possibile nella forma che danneggia il meno possibile e che non rompe l’unità della vita nazionale. Spero che l’onorevole De Gasperi sia sulla buona via: e però egli non deve arrestarsi alle forme di apparenza. Il programma finanziario con cui l’onorevole De Gasperi si è presentato è già per tre quarti caduto o non è reale.

L’onorevole De Gasperi aveva annunziato che egli continuava il programma che era stabilito nell’unione dei tre partiti di massa; nel programma erano molte cose, che poi sono cadute, come i 14 punti dell’onorevole Morandi, che sono caduti prima anche dell’onorevole Morandi. Altre cose annunziate sono cadute e non si potranno far risorgerei. Ma non importa.

Occorre concentrare ogni sforzo nell’evitare tutto ciò che nelle imposte è apparenza, demagogia, spettacolo: sono soprattutto le imposte dirette, le imposte di fabbricazione, i monopoli (Interruzioni a sinistra) che devono essere migliorati e bisogna che le imposte siano realmente pagate. In realtà in Italia vi sono imposte dirette che non si pagano, e anche imposte indirette e monopoli che bene amministrati dovrebbero essere ben più fruttiferi.

La difesa della lira, che ora non è sufficientemente fatta, deve essere seguita con la più grande efficacia. È mia convinzione – e non solo convinzione – che si speculi troppo sulla lira, anche da italiani fuori d’Italia. L’onorevole Einaudi ha il dovere, insieme al Ministro Merzagora, che ha chiara intelligenza ed è competentissimo in questa materia, di andare incontro alla speculazione e dare degli esempi a chiunque sia il responsabile, anche se si tratti delle più grandi autorità bancarie. Diano la sensazione che niente resterà impunito; e qualche arresto intelligente può forse giovare alla difesa della lira più che molti discorsi. Io dunque confido che il programma finanziario non sarà fatto solo a parole. Nella difesa della lira confido in un’azione realistica. E come non sono legato a nessun partito, a nessun gruppo, né ho da difendere nessuna persona, io desidero anche, e anzitutto, che si definisca l’azione stessa del Governo. Parliamo con lealtà con gli amici di questa parte. (Accenna alle sinistre). Vi è una certa non giustificata diffidenza o una certa preoccupazione per l’azione che possa avere il Governo di un solo partito.

Il Governo di un solo partito è nei tempi ordinari la forma normale e anche una necessità. È un vantaggio anche in tempi agitati, mette fine, quando è possibile, a Governi agitati, che composti di vari partiti paralizzano la loro stessa azione e soffocano tutte le iniziative utili.

Che vi sia al Governo un partito che ne formi la base non è dannoso: nei periodi agitati può anche essere utile, a condizione che la maggioranza che lo compone abbia la forza per credito e sicurezza e dignità di programma.

Ma io mi spiego molte delle vostre diffidenze.

Questo Governo (dobbiamo parlare linguaggio sincero, non convenzionale) dunque è formato da un solo partito, che ha esso solo press’a poco i due quinti dell’Assemblea. È responsabile di gran parte del passato e ha tendenze che non sono della maggioranza: si teme possa quindi far prevalere ragioni di partito a quelle della nazione. Si teme sopra tutto la politica interna; e noi siamo di fronte a non lontane elezioni generali. Le elezioni possono anche da un Governo di parte essere fatte indubbiamente con relativa obiettività. Io so come feci le elezioni generali del 1919 e so anche come si son fatte prima e dopo di me. Io so che un Governo può fare azione diversa in pubblico e in privato. Un Governo che sia solo di un partito e che abbia un Ministro dell’interno del suo partito e che quindi possa farsi guidare nella sua azione dai suoi interessi e dalle sue passioni (qui siamo tutti candidati), se il Ministro dell’interno non agisce in tale modo da essere garanzia per tutti di onestà e di equità, è un pericolo.

Ora mi spiego alcune preoccupazioni e non poche diffidenze; mi spiego anche che vi sia una preoccupazione nell’ordine politico anche più grande che nell’ordine finanziario. Qui si tratta di molte centinaia di miliardi che formano le spese fino a quando vi sarà una nuova Assemblea. Si tratta di spese di miliardi di cui il Governo e il partito che lo forma dispongono, senza che vi sia nessun controllo. Con le categorie attuali del bilancio, estese e incerte, è potere illimitato e pericolo permanente di abusi. Con le pressioni che vengono da ogni parte, e anche dal partito unito al Governo, ogni resistenza è difficile.

In ogni modo non si può negare che rischiamo di andare sempre più verso spese politiche crescenti, crescenti pressioni politiche e di partito, e verso nessun controllo.

L’onorevole Einaudi rifletterà su ciò che bisogna fare e io non oso precisare in materia simile.

Certo occorre prima di tutto dare diversa conformazione al bilancio.

Si è venuta sempre più affermando la cattiva abitudine di dividere il bilancio in enormi capitoli per cifre enormi di miliardi. Vi sono categorie in cui si trova modo di unir tutto, di comprender tutto.

Quasi nessun limite al disordine e anche in qualche caso, allo sperpero e al favoritismo. Oltre le enormi spese per i gabinetti, vi sono stati procedimenti che non avevano avuto mai precedenti per la loro scandalosità.

Sperperi e cattive consuetudini di gravità limitata: un Ministro che entrava al Governo dava una somma grossa come premio ai suoi impiegati e altra somma andando via dal Governo e un’altra se ritornava al Governo. Abitudini quasi familiari di finanza dello Stato e modi di considerare il denaro pubblico con troppa indulgente larghezza non rappresentano tanto un diretto danno o pericolo quanto una concezione dello Stato assurda e dannosa.

Prima vi erano diversi partiti e spesso opposti al Governo. Il danno e il pericolo in parte si compensavano. Ora sarebbero nella stessa direzione.

Una diversa sistemazione del bilancio e diversi sistemi di controllo sono dunque necessari.

Ora vi è uno speciale Ministro del bilancio. Di che si occuperebbe se non prima di tutto della forma del bilancio nella difesa della serietà finanziaria?

Io non ho in questi miei avvertimenti alcuna intenzione politica e tanto meno di situazioni ministeriali.

Ma non temo di dichiarare che, lontano dal Governo attuale e non consentendo in molti suoi propositi, desidero evitare quanto più possibile ogni crisi ministeriale. Nel momento attuale niente crisi! Si parla invece troppo di crisi e si fan calcoli sui piccoli partiti che si uniranno o si disuniranno.

Ebbene: si parla in continuazione di voti: tanti voti favorevoli al Ministero, tanti voti contrari. So tutte le difficoltà interne e il logorio interno dei partiti e dei gruppi. Si discute in qualche gruppo se dare il voto favorevole e per quanto tempo, o il voto contrario e fino a quando. Per ora esiste una sola necessità e non vi paia strano che io lo affermi: noi siamo stati già, per molto tempo, senza Governo. La caduta del Governo in questo momento, oltre che dare un grande discredito all’estero, verrebbe anche a coincidere con le dimissioni del Capo provvisorio dello Stato e verrebbe anche a coincidere con l’approvazione di quel Trattato di pace che il Ministero attuale e personalmente l’onorevole De Gasperi e l’onorevole Sforza hanno avuto il torto di non presentare ancora, benché io li abbia richiamati a far ciò, perché è inutile continuare ancora ad ingannare il pubblico. Quel Trattato va approvato senza discussione.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Ho detto ieri che è un dovere urgentissimo, onorevole Nitti.

NITTI. Quindi noi dobbiamo in questo momento, liberi nell’avvenire, assolutamente evitare una nuova crisi che creerebbe un grande imbarazzo per l’Italia. Ora è necessario avere un Governo. Voi adesso mi domanderete come io voterò. Ebbene io desidero che il Ministero non cada. I miei amici voteranno tutti in favore e qualcuno solo si asterrà.

Poiché io, con le mie idee, i miei precedenti, le mie manifestazioni non posso dar voto di fiducia, desidero personalmente astenermi. Si provveda alle necessità del presente e avremo modo di precisare la nostra azione in avvenire nell’interesse del Paese. (Commenti).

PRESIDENTE. Credo che nessuno mi rimprovererà di aver permesso che alcune dichiarazioni di voto occupassero un tempo maggiore del consueto; ma poiché penso appunto che i colleghi credono che queste dichiarazioni di voto debbano essere un poco accelerate, mi rimetto alla discrezione degli onorevoli colleghi che chiederanno di parlare, perché si attengano alle necessità di questo momento.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Onorevoli colleghi, desidero fare una breve dichiarazione di voto, a nome del Gruppo del Partito socialista dei lavoratori italiani. Il mio Gruppo, rilevando che in meno di quattro anni l’Italia si trova di fronte alla undicesima formazione ministeriale, prima di associarsi alla responsabilità della dodicesima crisi, ha voluto riflettere ponderatamente al danno eventuale che questa successione cinematografica di Ministeri può produrre all’economia e alle istituzioni democratiche e repubblicane, che con fatica vanno affermandosi nel nostro Paese.

Se l’Italia avesse avuto un partito socialista indipendente, libero e democratico, non vi è dubbio che questo avrebbe potuto, anzi dovuto, porre la sua candidatura alla direzione politica del nostro Paese. (Approvazioni). Purtroppo noi abbiamo ridato vita ad una libera esistenza del pensiero e dell’azione socialista da troppo breve tempo, per poter pretendere di essere l’elemento principale di un Governo omogeneamente democratico e repubblicano, deciso a conseguire con onesta concordia di forze, quel programma minimo, economico e sociale, che abbiamo già enunciato e che, secondo noi, è l’unico raggiungibile nelle attuali condizioni storiche ed economiche del nostro Paese.

Per uscire dalla mortifera impotenza delle alleanze tra forze sostanzialmente inconciliabili, dopo il fallimento della formula utopistica dell’union sacrée, non rimane che affidare il Governo del paese ad una unione, possibile nell’attuale schieramento parlamentare, di forze politiche repubblicane, democratiche e socialiste che abbiano quel tanto di omogeneità necessaria per assicurare una fattiva, costruttiva e concreta azione di Governo.

L’onorevole De Gasperi non ha ritenuto possibile accettare le nostre proposte, che non volevano essere, e non erano, la richiesta di un monopolio per il nostro Gruppo, ma soltanto la ricerca di un minimo di omogeneità di intenti per garantire la possibilità di un’azione concorde fra gli elementi chiamati a dirigere i dicasteri economici e finanziari, ed ha preferito costituire un Governo, cosiddetto tecnico, poggiante sulle forze conservatrici di questa Assemblea.

Il mio Gruppo non può dare la sua fiducia ad un Governo di siffatta specie. D’altra parte, non desideriamo che le sorti del nostro Paese siano affidate ad un Governo tripartito, e forse sarebbe più preciso chiamarlo bipartito, come hanno dimostrato, ancora una volta, i discorsi qui ascoltati; non desideriamo che si ritorni ad un Governo la cui interna antinomia porti a continuare il nullismo sin qui constatato.

Non spirito agitatorio od insufficiente coscienza del danno delle ripetute crisi ci portano a negare la nostra fiducia a questo nuovo Ministero De Gasperi, ma la ferma convinzione che nell’interesse delle classi lavoratrici, dei cittadini che traggono dal loro lavoro i mezzi di sostentamento, è necessario l’avvento di un Governo sinceramente e sicuramente democratico e repubblicano, efficiente e durevole. (Applausi).

COVELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Il voto al Governo, a nostro avviso, sia esso di fiducia o di sfiducia, ha, nell’opinione pubblica, un valore assai più ampio e, oserei dire, più alto. Il voto al Governo si riflette nell’opinione pubblica come un voto di fiducia o di sfiducia nella possibilità di rinascita del Paese, nella volontà delle forze sane di uscire finalmente da questa situazione. È per questa considerazione che i monarchici, tanto per accontentare l’onorevole Pacciardi, quelli che pure servendo lealmente gli interessi del Paese sono rimasti per doverosa e spontanea coerenza, per rispetto verso i propri elettori, sulle decisioni del 2 giugno, i monarchici sentono tutta la responsabilità di assumere ciascuno col voto della propria coscienza, un atteggiamento preciso nei confronti dell’opinione pubblica.

Io esprimo il parere ed il punto di vista del Partito nazionale monarchico, che mi onoro di rappresentare in quest’Aula insieme ad altri colleghi. Il Governo si presenta a noi sotto molteplici aspetti. È questo Governo, soprattutto nella persona del primo responsabile, il Governo della Repubblica del 2 giugno. Ed il Presidente di questo Governo, l’onorevole De Gasperi, che ha sollecitato il titolo, che nessuno vorrà invidiargli, di socio fondatore di questa Repubblica, ha in questo Governo, per la difesa della Repubblica, un complesso di leggi da avviare alla discussione, che fanno fremere nella tomba il più sagace sostenitore di Francesco Giuseppe. (Commenti). Ha questo Governo la tara della proclamazione della Repubblica. (Commenti a sinistra). Dopo di allora ogni legge sembra diventata un’opinione, al punto che lo stesso Capo dello Stato, per quanto provvisorio, vuole andarsene, temendo egli stesso di diventare un’opinione dell’onorevole De Gasperi. Motivi questi sufficienti perché si voti contro.

Ha, però anche, questo Governo, a nostro avviso, una o delle caratteristiche favorevoli. È uscito finalmente dalla formula dei compromessi, che tanto danno ha arrecato all’opera di ricostruzione del Paese; rappresenta, nella sua omogeneità, il risultato più concreto della nostra critica, che è stata sempre obiettiva: unicità di indirizzo, organicità di programma, e quindi responsabilità, senza possibilità di attenuanti, questa volta, nei confronti del Paese.

Rappresenta oltre tutto – e questo è determinante per noi – l’inizio del processo di revisione che noi chiedemmo per tutti gli errori che si sono consumati in Italia. (Proteste e commenti a sinistra).

Sotto questo profilo, il nostro atteggiamento di contrari si trasforma in quello di perplessi. Se non che, non possiamo dimenticare di essere monarchici (Rumori Commenti a sinistra) ed in quanto tali rappresentanti qui dentro della tradizione unitaria di un istituto che l’unità d’Italia costruì con l’ausilio ed il consenso di tutte le energie popolari, monarchiche e repubblicane. (Approvazioni a destra Commenti e interruzioni a sinistra).

L’onorevole De Gasperi, forse non invano, si è rifatto nel suo discorso ai concetti di unità e solidarietà nazionale, concetti che noi sentiamo sempre volentieri riecheggiare, perché sono nati dall’animo generoso del re all’atto della sua amara partenza. (Applausi a destra Commenti e interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. È fuggito!

BENEDETTINI. Ma chi è fuggito?

COVELLI. Orbene, siamo nelle condizioni di poter superare questa perplessità, e vogliamo questa volta credere alla sincerità dell’onorevole De Gasperi (Commenti Interruzioni a sinistra) e raccogliere – e mi riferisco al tramite del socio fondatore della Repubblica – l’istanza del Paese, che ci impone di votare per la sua tranquillità. Ebbene, noi voteremo a favore del Governo De Gasperi. (Rumori Interruzioni a sinistra).

Col nostro voto intendiamo dare credito al Governo ed anche alla Democrazia cristiana, almeno per quella parte che ancora il Governo rappresenta, per le fortune del Paese. (Approvazioni a destra).

BERTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTINI. Le brevi parole che io posso pronunciare (stiano tranquilli i colleghi del Gruppo) saranno improntate alla più schietta fraternità, ma anche, per altro, a quel senso di franchezza a cui in cinquant’anni di vita politica mi sono sempre attenuto.

Se talvolta esercito la critica, anche su quelli che sono gli atti del Governo, espressione della mia parte – e li esercito anche sul partito – voi non potete dimenticare, o signori, il travaglio che, durante questi cinquant’anni, ha vissuto la mia coscienza, fin da quando, con Romolo Murri, cui rivolgo il mio pensiero reverente, ebbi in Italia a combattere le prime e rudi battaglie per l’affermazione della democrazia cristiana. (Approvazioni al centro).

Allora essa era spregiata a destra ed a sinistra; e noi tirammo avanti senza timore, perché d’altra parte non ci allettava la speranza né di prebende né di onori. La nostra posizione è rimasta tale e quale, almeno per i pochi che, con sicura fede democratica, non hanno ceduto alle lusinghe del fascismo. Siamo rimasti con l’azione di cultura, con l’azione professionale indipendente, con aspre lotte davanti a tutti: a mantenere in Italia la sementa della nostra attività e la fede viva di una coscienza cristiana, associata al prestigio ideale della democrazia. (Applausi al centro).

Perciò, o signori, io mi rendo conto del valore che possa oggi avere da parte mia il consenso o il dissenso con l’attuale Ministero. Io non ho nulla da mutare a quelle che sono state le vere critiche espresse da me nel momento in cui non era contestata la libertà della critica; quando cioè questa libertà era permessa senza ledere la disciplina. (Approvazioni).

Ma oggi, o signori, dopo avere ascoltato i pareri delle diverse parti dell’Assemblea ed anche l’intonazione eccessivamente polemica presa dalla discussione, ritengo che, da parte mia, occorra esaminare se vi sia la possibilità di evadere da uno stato di emergenza nel quale, come fu detto da un autorevole collega, sia permesso di sottoporre liberamente al nostro giudizio l’esistenza dell’attuale Ministero o se, viceversa, in questa impellente condizione, sia esclusa la possibilità, come diceva or ora col consueto senso realistico l’onorevole Nitti, di sostituire ad esso una diversa combinazione destinata comunque a subire le stesse difficoltà del Ministero attuale.

Di fronte dunque ad esso, impegnato faticosamente a risolvere complessi e gravi problemi, io non avrei il coraggio, nonostante i dissensi, di occultarmi, venendo meno a un dovere di solidarietà. Ora che la Democrazia cristiana è impegnata in condizioni di altissima responsabilità, io non posso essere solidale se non con essa e soltanto con essa. (Applausi al centro).

Però la critica intendo esercitarla anche oggi, perché a Roma non si vede il Paese come lo vede chi, da buon provinciale, stando lontano da Roma, tiene lo sguardo aperto continuamente su quello che nel Paese si dice, si pensa e magari erroneamente si critica.

Esiste in Italia oggi una situazione amorfa di malcontento, alla quale si pretenderebbe opporre il rimedio d’un Governo dì facili vedute e facili espedienti. Tale è la situazione che, a contatto del pubblico, possiamo raffigurarci esattamente in questo momento.

Qualcuno si sbarazzerebbe ben volentieri della Repubblica e della democrazia, disposto ad accarezzare ancora, non ammaestrato dagli avvenimenti dolorosi di 25 anni, la mano d’un despota, quasi un sedicente messo della Provvidenza per restituirci il benessere agognato. Perciò, dico all’onorevole De Gasperi con lealtà e con fraternità: Questa folla di sbandati può rappresentare una illusione e un pericolo, se si desse a pensare che combattendo i socialisti o l’estrema sinistra, col tenerli fuori dal Governo, il rimedio sarebbe trovato, passando sopra, come nel 1920-1922, alle forze del popolo e delle sue organizzazioni legittime.

Contro questa illusione cerchiamo di opporre ogni forza di persuasione. La mia critica fu diretta appunto a questo: a disfare un’utopia, la quale rappresenterebbe un rinascente substrato di filo-fascismo.

Vengo ad un’ultima considerazione. Starà al condottiero guardarsi dai marosi nei quali la barca potrebbe essere impegnata, e naufragare, oppure veder compromesso il giusto impulso del suo guidatore. L’energia del Governo dev’essere rigida nel distinguere, tra i voti che andranno ad esso oggi, ciò che potrebbe essere allettamento a mutazione di indirizzo, affievolendo l’efficacia operosa e pratica dei principî democratici, sui quali intendiamo che esso abbia a continuare con fermezza la propria via.

PERTINI. In questo ha ragione!

BERTINI. Con siffatta persuasione, affermo l’utilità di una doppia corrente, e magari di una terza corrente, nel seno della Democrazia cristiana. Io detesto le forme di pecorile adattamento che menomano l’educazione di un partito, attentano alla sua valorizzazione, lo privano di quella efficienza intima e fattiva, di cui dobbiamo sapere dare col nostro esempio sostanziale addestramento al Paese.

Proprio con tale convincimento rimango al mio posto nel partito, non separato dai miei amici che nel dissenso hanno saputo essere verso di me fraternamente collegati, come lo fui con loro in ogni momento. Terrò il mio posto di sinistra, con la sinistra democratica, perché un tale atteggiamento servirà di compenso e di controbattuta ad ogni tentativo che pensasse di sterzare a destra la barca del Governo.

Questa fu sempre la mia forza, questa è la mia tradizione di lavoro; e poiché fu sempre radicata in me la convinzione che la Democrazia cristiana abbia una funzione utilissima di sociale progresso e di equilibrio civile nella vita dell’Italia, come ho lottato da giovane, lotterò da vecchio, per tramandare ai miei figli un esempio di coerenza, di onestà, di apostolato, fermo e fedele ai principî fondamentali della mia coscienza e del mio pensiero. (Applausi al centro Commenti).

PASTORE GIULIO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE GIULIO. Prendo la parola per una brevissima e semplice dichiarazione di voto, che non avrei fatta, se nel suo intervento il collega Di Vittorio non avesse fatto qui largo uso del nome della Confederazione generale italiana del lavoro.

Poiché ciò può aver dato luogo ad equivoco, desidero precisare, nella mia qualità di rappresentante di una non lieve aliquota di lavoratori italiani, che nell’odierno dibattito la Confederazione non può e non deve essere coinvolta. In ogni caso è da considerarsi arbitrario il voler preventivamente riscontrare un contrasto fra gli obiettivi confederali e il programma dell’attuale Governo.

Ricordo che in Confederazione approvammo i 14 punti del precedente Governo: siamo stati per il tesseramento differenziato, siamo sempre stati per una politica sociale avanzata per i lavoratori della terra.

Orbene, questi postulati io ho sentito enunciare qui dal Governo De Gasperi. Per questo voterò la fiducia al Governo, convinto che la maggioranza degli uomini che lo compongono ispireranno la loro azione all’indirizzo sociale del mio partito. Il che mi garantisce fin d’ora che sarà intrapresa un’immediata ed energica azione contro gli speculatori e che saranno prontamente adottati tutti i provvedimenti atti ad assicurare alle classi lavoratrici – ed in primo luogo ai pensionati ed ai disoccupati – un più alto e più degno tenore di vita. (Applausi al centro).

GIANNINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Avremmo potuto risparmiarci e risparmiare a voi, onorevoli colleghi, questa dichiarazione di voto. Senonché, il nostro ottimo amico onorevole Gronchi ci obbliga a farla.

Diciamo dunque all’onorevole Gronchi che, anche se egli avesse parlato in modo più bizzarro, noi avremmo ugualmente votato a favore del Governo. Noi votiamo nel nostro esclusivo interesse (Commenti), in quanto riteniamo che questo esperimento di Governo ci sia utile: utile a noi come partito…

Una voce a sinistra. E al Paese?

GIANNINI. …e utile al Paese. È questa la mia convinzione.

Noi abbiamo sentito dire per molti mesi, per due anni e più – mentre c’era un Governo prima di sei partiti, poi di quattro, poi di tre, poi di due e mezzo – che certe cose non si potevano fare perché nel Governo i comunisti si opponevano a che si facessero, oppure che si dovevano fare perché – che so? – gli azionisti pretendevano che si facessero. Allora noi abbiamo auspicato un Governo privo di opposizioni interne, per avere la possibilità che ci sia risparmiata questa scusa in avvenire, scusa che questo Governo ormai non ha più. Esso non potrà dirci domani che non ha fatto quello che doveva fare perché i comunisti che c’erano dentro glielo hanno impedito.

I comunisti ora sono fuori. Questa è una delle altre ragioni che avrebbero spiegato il nostro atteggiamento, e che non ho voluto dire l’altro ieri perché intendevo tenere – come ho tenuto – il mio discorso su un tono di cordialità.

Oggi ho dovuto dirvelo. È dunque anche per questo che noi diamo credito al nuovo tentativo dell’onorevole De Gasperi. Sarà un credito pieno, come si usa fra galantuomini, ma sarà credito a breve scadenza, perché non possiamo scontare cambiali troppo lunghe. Ci auguriamo che l’onorevole De Gasperi, nel suo patriottismo, nella sua buona volontà e nella sua laboriosità, ci convincerà a rinnovargli il credito alla scadenza: e, se potremo farlo, lo faremo col massimo piacere. (Applausi a destra).

SCOTTI ALESSANDRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOTTI ALESSANDRO. Ben volentieri avrei votato per la Democrazia cristiana, con la quale condivido gli stessi principî morali e spirituali; ma il vivo malcontento per i gravami fiscali e per il trattamento degli agricoltori, mi consigliano l’astensione.

Mi auguro che il nuovo Governo, trattando meglio gli agricoltori, mi permetta la prossima volta di votare a suo favore.

CIANCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Il Presidente del Consiglio può farci testimonianza che, durante le trattative svolte in occasione dell’ultima crisi, noi abbiamo affermato la necessità di evitare la formazione di Governi che per la troppo vasta loro eterogeneità includessero il rischio di dissolversi rapidamente nelle loro intime contraddizioni; e abbiamo affermato altresì la necessità che si procedesse alla creazione di un Governo di concentrazione repubblicana democratica con una direttiva economica di intervento pubblico democratico.

Io non mi attardo sul processo delle responsabilità a cui l’onorevole De Gasperi nella sua dichiarazione ha accennato. Dico che lo stesso onorevole De Gasperi ha dovuto oggi confessare il fallimento integrale del tentativo politico al quale si era accinto. È da questo che nasce la responsabilità politica alla quale l’onorevole De Gasperi ha fatto appello.

L’onorevole De Gasperi, nella parte conclusiva del suo discorso, ha anche auspicato la collaborazione della Democrazia cristiana, sul piano repubblicano, con la democrazia laica e socialista. L’onorevole De Gasperi sa che noi siamo su queste posizioni dal 1944, ma mi consentirà anche di dirgli che da una parte della sua dichiarazione è esplicitamente risultato come, non volendo o non potendo insistere nel tentativo della formazione verso cui andavano le sue primitive dichiarate speranze, egli si sia limitato prima ad accordi particolari colla Confederazione del lavoro e con la Confederazione dell’industria, e, in un secondo momento, soltanto con la Confederazione dell’industria. Il che spiega la formazione di questo Governo. (Commenti).

L’onorevole De Gasperi ha detto che bisogna consolidare la Repubblica; che bisogna salvare le premesse di un futuro democratico. Noi – non abbiamo bisogno di dirlo – intendiamo il valore di questa posizione e raccogliamo l’invito; ma appunto per questo diciamo che non si può consolidare la Repubblica formando un Governo di sostanziale minoranza, il quale trova il suo appoggio nelle forze monarchiche ed in quelle forze di destra le quali hanno dato una esplicita motivazione al loro voto. E se di questa motivazione degli spiriti politici non sanno misurare la gravità, vuol dire che falliscono al loro compito. (Applausi a sinistra).

Una voce a destra. Vogliamo il bene della Patria.

CIANCA. Non scendo a polemizzare con certe interruzioni.

L’onorevole De Gasperi ha anche assegnato gli obiettivi a cui la Repubblica dovrebbe tendere. Se si tratta di obiettivi di libertà e di democrazia, questi sono i nostri obiettivi. Ma appunto perché dobbiamo salvaguardare la Repubblica, appunto perché vogliamo avvicinarci a questi obiettivi e non allontanarci da essi, noi, che abbiamo presentato un ordine del giorno insieme con i repubblicani, con i democratici del lavoro e con il partito socialista dei lavoratori italiani, affermiamo che la responsabilità, al cui senso ci ha richiamato l’onorevole De Gasperi, ci impone di votare contro questo Governo. (Applausi a sinistra).

Votando contro questo Governo sentiamo, con serena ma ferma coscienza, di salvare appunto la Repubblica (Rumori a destra), di salvare gli obiettivi indicati dall’onorevole De Gasperi e le possibilità democratiche del futuro. (Applausi a sinistra Commenti).

CROCE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CROCE. Il Partito liberale vota la sua fiducia nella presente composizione ministeriale, e nel fare questa dichiarazione stima superfluo aggiungere che rimane fedele all’idea che regge ogni suo atto e che lo porta in alcuni punti sostanziali a contrasti con il Partito della Democrazia cristiana. È evidente che prima che un individuo si risolva ad essere liberale o democristiano è necessario che esso sia vivo; e l’Italia non potrà coltivare l’una o l’altra fede se muore, cioè se cade nella rovina economica, politica e morale che al presente la minaccia. Il dovere di salvare la nostra Patria primeggia sugli altri che a lei si riferiscono, e ci rende favorevoli al Ministero democristiano che lo ha posto a suo fine precipuo e attuale e ci unisce nel sostegno che diamo al conseguimento di questo fine precipuo e attuale. Mi pare che uno degli oratori che hanno parlato ieri, nell’accennare con una punta di spregio a siffatti legami, come li ha chiamati, occasionali e transitori fra i due partiti, si sia espresso alquanto bassamente, o che, in ogni caso, abbia mancato di dire che si tratta di una occasione assai alta e di una transitorietà che si spera possa essere una rapida vittoria, dopo la quale ciascun partito ripiglierà la sua opera propria e specifica.

Ho anche qualche ragione di dubitare che nei molti omaggi che qui ieri sono risuonati alla libertà, ci sia una piena comprensione di questa che non è una cosa tra le cose, ma per noi un principio religioso che non ha bisogno di ricevere l’aggiunta di una cosiddetta non chiara «sensibilità sociale», perché contiene in sé l’impulso a innalzare gli uomini tutti e a metterli in progredente condizione di giustizia. Così l’intese il Cavour, il quale disse che se egli non avesse avuto sulle braccia il carico dell’indipendenza e dell’unione d’Italia, si sarebbe consacrato a quella che allora si chiamava la questione sociale. Non reciterò nomi di autori e titoli di libri inglesi, americani, svizzeri e di altri paesi che negli ultimi anni hanno mostrato come, in virtù dei principî liberali si possano e si debbano combattere i mali e le ingiustizie degli ordinamenti economici, né rammenterò che al pensiero italiano si deve che sia stata dottrinalmente segnata la distinzione tra il liberalismo, che è un principio morale, e come ho detto, religioso, e il liberismo economico, che è un metodo pratico di grande e benefica efficacia ed estensione, ma che pure trova, secondo tempi e luoghi, i suoi limiti e non può escludere in assoluto l’intervento statale.

Le logomachie di destra e sinistra rischiarano assai poco circa la realtà della libertà e della giustizia che ne discende.

Un’altra parola ho udito enfaticamente pronunziare, quella di «Repubblica», con la trepidanza della sua incolumità e l’appello a difenderla, che mi parvero effetto di una esagerata paura o sospettosità. Comunque, se questa sospettosità pensa di rivolgersi a quelli di noi liberali che apertamente si manifestarono favorevoli all’istituto monarchico e per esso votarono (e di quei cotali son io medesimo), noi preghiamo di smetterla, come del tutto fuori di luogo, perché in quella difesa e in quella votazione noi sempre dichiarammo che avremmo accolto e rispettato il responso delle urne, come abbiamo fatto e faremo, perché noi abbiamo una parola sola, e per noi l’Italia è oggi non altro che una Repubblica da servire lealmente. Certo il nostro passato non è quello dei repubblicani, che da bambini ebbero nelle loro famiglie il cappuccetto rosso e giuochi infantili repubblicani, simili a quelle bambole che erano messe nelle mani della bambina che fu poi la monaca di Monza, e che erano vestite da monache. Noi ci educammo nella tradizione del Risorgimento, che ebbe la sua ultima e grande voce nel poeta del Piemonte è della Bicocca di San Giacomo, Giosuè Carducci, e dovevamo riverenza a quei nostri nobili affetti.

E chiudendo queste poche parole che dichiarano l’odierno nostro voto, non posso non raccogliere un’asserzione dell’onorevole Togliatti, che, se ho ben udito, disse ieri che io mi opposi, quando fu composto il Ministero di Salerno, all’ammissione nella compagine del Partito comunista. L’onorevole Togliatti narra sovente sui suoi giornali tratti della mia vita, e mi dà il piacere di leggere di me stesso una vita romanzata.

Se non si fosse assunto questo compito, ricorderete che egli mi fece l’onore, nell’aprile del 1944, di venire a casa mia, insieme con gli altri rappresentanti del Comitato di liberazione, ad ascoltare la dichiarazione di quanto noi liberali avevamo fatto per togliere l’ostacolo alla costituzione di un Governo democratico, e l’approvò per il primo: il che significava che il Ministero che ci accingevamo a comporre, e del quale io fui tra i demiurghi, comprendeva, come gli altri partiti, quello comunista. Ma io non posso più oltre intrattenere l’Assemblea sulle mie, non dirò cordiali, ma cortesi e bonarie relazioni col Partito comunista e con lo stesso Togliatti e tra l’altro sugli sforzi che feci per sollecitare la loro unione con noi nella prima crisi del Ministero Bonomi, nel novembre, mi sembra, dello stesso anno 1944. Bastino questi pochi accenni, perché non è ora il luogo né il momento di distendersi nella cronaca e nella aneddotica, né di ricostruire la storia vera e propria del recente passato; e quel che ho detto ho dovuto dirlo perché non si creda che noi accettiamo la storia non vera che è fiorita sulle labbra di alcuni oratori di questa Assemblea.

Ma tutto questo, ripeto, è un passato, il distacco dal quale è stato effettuato dalle elezioni che hanno reso illogica e incomportabile la composizione meccanica dei partiti diversi ed opposti; e convalidato dalla esperienza che ha dimostrato che la persistenza nel metodo antiquato produce l’impotenza dei Governi. Le accadute elezioni vogliono il ritorno alla prassi costituzionale di una maggioranza di Governo e di una minoranza che conduca con metodo democratico l’opposizione, in attesa che il corso parlamentare inverta la minoranza in maggioranza. Questo è stato il grande guadagno ottenuto dalla recente crisi laboriosa. (Vivi applausi al centro).

DAMIANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DAMIANI. Parlerò per un attimo soltanto.

L’onorevole Nitti, prima, ha dichiarato che la nostra situazione è estremamente difficile ed ha anche aggiunto che si può considerare mortale. Ebbene, noi dobbiamo guardare la situazione italiana nel quadro della situazione internazionale. (Rumori).

Fare però, in questo momento, una critica di tale situazione, comporterebbe un tempo lunghissimo. Non è quindi in questa sede di dichiarazione di voto che io voglio parlare di queste cose. Voglio semplicemente accennare a quei fatti grandiosi che oggi si sono manifestati e si stanno sviluppando nel mondo e che generano conseguenze tali da determinare la politica interna ed estera di tutti i paesi. Noi ci troviamo di fronte alla polarizzazione degli uomini verso due grandi blocchi: il russo e l’americano. (Rumori).

Ci troviamo di fronte alla preoccupazione dell’utilizzazione dell’energia atomica. (Rumori Interruzioni).

Lasciatemi parlare per tre minuti. Non potete impedirmi di parlare, anche se sono solo e non rappresento alcun Gruppo parlamentare. Ho diritto anche io di fare la mia dichiarazione come avete fatto voi! (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Damiani, non si metta a discutere con gli altri. Faccia la sua dichiarazione.

DAMIANI. Però gli altri dovrebbero sentire il dovere di non ostacolare la mia libertà di parola.

Se io cito questi fatti grandiosi è perché bisogna tenerli bene davanti agli occhi.

Nello stesso tempo c’è un naturale orientamento dei popoli verso un mondo unito e questo è un altro fatto importantissimo e positivo nei confronti degli altri due che possono essere considerati allarmanti.

Cosa voglio concludere io? Che, in un momento come questo, in cui tutto il mondo è in convulsione, in cui la navigazione nel mare tempestoso della vita internazionale è difficilissima, è meglio che la nave italiana sia condotta da un solo pilota e non da tre o quattro. Questa è una condizione che mi sembra necessaria. Ecco perché io vedo nel Governo De Gasperi una soluzione adeguata al momento, ecco perché ritengo che sia dannoso indebolire lo sforzo che egli fa esclusivamente per il bene del Paese, per il bene della democrazia e della Repubblica. Gli oppositori e gli avversari possono collaborare benissimo con il Presidente De Gasperi, facendo una critica onesta, obiettiva, serena di tutti i suoi atti e dei fatti che il suo Governo produrrà. (Rumori a sinistra).

Egli stesso non può essere considerato responsabile della situazione che si è creata, in quanto essa è conseguenza di un complesso di fattori internazionali e nazionali più forti di noi.

Dobbiamo renderci conto del gioco di tali fattori, e per questo io dichiaro che voterò a favore del Governo. (Applausi al centro e a destra).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Poiché io ho avuto una parte in questo periodo di soluzione della crisi, mi pare che debba fare una dichiarazione, anche perché sembra aspettata; comunque la colpa dell’iniziativa non è mia. Prova ne è che, a parlare, mi sono deciso per ultimo. Certo, la crisi si pose, sin dal suo inizio, su questo tema: unione di tutti gli italiani di fronte alla situazione gravissima in cui il Paese si trovava, e si trova. (Commenti). Io non faccio altro, da che fui rimesso in circolazione il 4 giugno del ’44 (Si ride), che predicare l’unione, con un insuccesso che non mi vergogno di dichiarare notevole. Mi ci sono ostinato, mi ci ostino e mi ci ostinerò. Per varie ragioni, il compito di risolvere la situazione venne immediatamente affidato al mio amico Nitti; io fui richiesto allora se avessi prestato il mio concorso e risposi affermativamente. In ogni modo, con qualunque qualità.

Di ciò ho avuto lodi molto calorose da parte dell’onorevole Nitti, ed anche al di fuori dell’Aula. Io non merito queste lodi. Suppongo e spero che chiunque farebbe lo stesso, qui dentro; perché, di fronte alle necessità del Paese, non si chiede di servire, ma se il servizio è richiesto, si obbedisce.

Nitti non riuscì ed allora si pose la possibilità di sostituirmi a lui. L’equazione algebrica che ne derivava, era semplice a porsi e più semplice ancora a risolversi: quel che non era riuscito a Nitti più Orlando non poteva riuscire ad Orlando meno Nitti, dato che Nitti non poteva evidentemente partecipare a quella combinazione che si era rifiutata quando si trattava di farla lui. (Si ride).

Ebbene io accettai di fare una rapidissima conversazione con i colleghi. Fu appunto per la consapevolezza della materiale impossibilità di risolvere la crisi, che io, pur accettando di fare, come dissi, quella conversazione, volli esaurirla nello spazio di ventiquattro ore per conseguire un primato di rapidità. Ciò mi costò la diminuzione di tre chili di peso e si risolse nel modo da me previsto.

Fu evidentemente un errore, dunque, l’aver pubblicato che la soluzione Orlando era stata sabotata. Nessuno l’aveva sabotata: per sé stessa, era condannata a non riuscire. Ci si venne così a trovare di fronte a quello stato che fu qualificato di emergenza – ormai questa brutta parola è entrata nell’uso – che significherebbe questo: bisogna che ci sia un Governo qualsiasi. L’onorevole De Gasperi si assunse l’arduo compito ed io gli dissi che lo accompagnavo con tutta la mia simpatia e con tutti i miei voti. Questo è il primo voto che egli mi chiede e non potrei negarglielo.

Ad ogni modo, io avrei potuto non fare questa dichiarazione di voto dopo la parola di Benedetto Croce, la cui dichiarazione io accetto toto corde. Attraverso la sua voce è risuonata la parola del vecchio partito liberale. Se io ho qualche ragione – anzi ne ho parecchie – di divergenza dai vari partiti, forse la divergenza di carattere, dirò, più personale, l’ho col partito liberale, perché esso si è voluto annunciare da alcuni come qualcosa di nuovo. Noi siamo liberali, si è detto, ma non siamo i liberali antichi; ci siamo trasformati e rinnovati. No, io sono il liberale antico, e ci tengo a esserlo. Io so che il Partito liberale rappresenta una grande tradizione, la più grande tradizione politica che possa vantare l’Italia; essa non può non concorrere, indubbiamente, con le forze nuove, perché è appunto confluenza di forze la vita politica di un popolo. Ma bisogna che ci sia pure il concorso di questo vecchio partito, che fece l’unità d’Italia, che la fece grande e la fece vittoriosa, inalberando la bandiera della libertà e dell’unità. Riassumiamo, dunque, questa tradizione, riassumiamola in tutti i suoi aspetti, anche sotto quello che egli pure accennò (Si rivolge all’onorevole Croce) e che io avevo accennato da un altissimo seggio, quando cioè ebbi l’onore di inaugurare questa Assemblea con la modesta qualità di decano – non so quanto desiderata o desiderabile – ma modesta per se stessa. Allora io dissi, e trassi l’insegnamento dalla vecchia Italia, che come sotto la monarchia quando si trattava del servizio del Paese, non era concepibile altra maniera di servire un ideale di Stato – e ne hanno dato un glorioso esempio non pochi repubblicani che ora noi piangiamo qui assenti – che servire la monarchia; nella stessa maniera chiunque aveva servito con dignità ed onore il Paese in regime di monarchia, se questo si fosse dato un’altra forma di governo doveva, con la stessa lealtà, con la stessa fermezza, con la stessa solidarietà, servire lo Stato nella sua forma nuova. Io concepisco ormai questo trinomio – il non voler entrare in campi preclusi alla dottrina laica m’impedisce di usare la parola «trinità» che pur soccorrerebbe per meglio indicare interezza di fusione dei tre elementi – io concepisco questo trinomio trinitario: Stato, Repubblica, Italia. Questa è la nostra divisa. (Vivissimi applausi).

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione, l’ordine del giorno degli onorevoli Angelini, Guerrieri Filippo, Uberti, Cappugi, Schiratti e Mattarella, accettato dal Governo:

«L’Assemblea Costituente,

udite le dichiarazioni del Governo, le approva e passa all’ordine del giorno».

Su di esso è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Uberti, Angelini, Monticelli, Guerrieri Emanuele, Piccioni, Micheli, Vicentini, Caiati, Del Curto, Taviani, Gui, Alberti, Meda, Coccia, Cappi, Cremaschi Carlo.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

Comincerà dall’onorevole Malagugini.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bevetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bobbio – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Caccuri – Caiati – Campilli – Camposarcuno – Candela – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsini – Cortese – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Crispo – Croce.

Damiani – D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – Do Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchèro – Giannini – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lucifero.

Maffioli – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gasumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Motolese – Mùrdaca – Murgia.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paratore – Pastore Giulio – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rubidi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato –Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Rispondono no:

Alberganti – Allegato – Amadei – Amendola – Arata – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bassano – Basso – Bei Adele – Bellusci – Benedetti – Bennani – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonfantini – Bonomelli – Bordon – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Caporali – Caprani – Carboni – Carmagnola – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Conti – Corbi – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – D’Aragona – De Filpo – Della Seta – De Mercurio – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Facchinetti – Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Gina – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Matti – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Francesco – Martino Enrico – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazzei – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Morandi – Moranino – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Paris – Pastore Raffaele – Pellegrini – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Pieri Gino – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Ravagnan – Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo.

Saccenti – Salerno – Sansone – Sardiello – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti.

Valiani – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vinciguerra – Vischioni.

Zagari – Zanardi – Zannerini – Zuccarini.

Astenuti:

Bergamini.

Fabbri – Finocchiaro Aprile.

Nitti.

Sono in congedo:

Bernardi.

Canevari – Caroleo – Colonnetti – Corsanego.

Lombardo Ivan Matteo.

Mariani.

Natoli.

Pellizzari – Porzio.

Saragat.

Tremelloni.

Varvaro – Villani.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione, e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti                    509

Astenuti                       4

Votanti                     505

Maggioranza             253

Hanno risposto        274

Hanno risposto no     231

(L’Assemblea approva l’ordine del giorno di fiducia al Governo – Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, v’era già un impegno da parte del Governo che la prima seduta successiva al voto sarebbe stata dedicata esclusivamente – d’accordo con la Presidenza dell’Assemblea – allo svolgimento delle interrogazioni con carattere d’urgenza presentate nel corso di questi ultimi quindici giorni o anche prima.

LUSSU. Ma il Governo rimane in carica dopo questa votazione? (Commenti).

PRESIDENTE. Fisserei, pertanto, la prossima seduta a martedì alle 16 per lo svolgimento delle interrogazioni urgenti.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro e dell’interno, per conoscere fino a quando dovrà perdurare l’attuale stato di grave disagio degli ospedali che non sono in grado di provvedere ai bisogni più essenziali dell’assistenza degli infermi.

«Basile».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se sia conforme al vero l’informazione data dal Journal de Genève, n. 139, del 17 giugno, secondo la quale un vagone di carta filigranata, stampi di biglietti da mille lire, macchine per imprimerli, siano stati clandestinamente trasferiti in uno stato estero e avrebbero servito a fabbricare moneta italiana, e per sapere, nel caso che la notizia abbia consistenza, quali provvedimenti intende prendere per discriminare la valuta italiana da quella fraudolenta.

«Piemonte, Pera, Di Gloria, Grilli, Paris, Bianchi Bianca, Bordon, Pertini, Zanardi, Bocconi, Bennani, Momigliano, Lussu».

«Il sottoscritto chiede, d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere quanto vi sia di vero nella allarmante notizia pubblicata dal Journal de Genève del 17 giugno e secondo la quale, nell’aprile del 1945, alla stazione di Aidussina, sarebbero caduti in mani jugoslave i clichés dei biglietti da mille, macchine per la loro stampa ed un’ingente quantità di carta filigranata, talché per lungo periodo vi sarebbe stata in territorio straniero stampa e messa in circolazione di cinquanta milioni mensili».

«Nell’ipotesi che tale notizia abbia fondamento, quali provvedimenti si intenda prendere.

«Schiratti».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per sapere:

1°) quale fondamento di verità abbiano le notizie relative al fatto che – consenzienti tutte le autorità di dogana, di polizia e comunali – nella notte del 5 giugno ultimo scorso, 23 muli provenienti dalla Francia abbiano valicato il confine e siano stati regalati a cittadini dell’Alta Valle Roja, che avevano dimostrato simpatie filo-francesi, e precisamente 12 a Tenda e 11 a Briga;

2°) per conoscere ancora perché i sussidi ai profughi della zona (170 famiglie), onde consentire loro i mezzi di sostentamento in attesa di sistemazione e di lavoro, non siano regolarmente versati, contrariamente ai disposti di legge vigenti (creando giustificato malcontento);

3°) per conoscere, infine, se di fronte al ben diverso trattamento che i filo-francesi ricevono dalle Autorità della nazione vicina, ritengano che il preannunciato plebiscito, che avverrà nell’assenza dei profughi e nel timore dei rimasti non possa che servire ad invalidare l’altro plebiscito, operato in piena obiettività dai sindaci italiani e che – riconosciuto non coatto dalla stessa Commissione Alleata – aveva dato una netta maggioranza contraria all’annessione francese.

«L’urgenza è motivata dalla imminente occupazione della Alta Val Roia da parte della Francia.

«Badini Confalonieri, Giacchero, Bertone, Scotti Alessandro, Baracco, Bovetti, Bellato, Stella, Cremaschi Carlo, Villabruna, Bubbio, Raimondi, Bertola, Bordon, Geuna, Quarello, Grilli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere – se vera la notizia che si è appresa per l’interrogazione dell’onorevole Bozzi – il testo della richiesta di erogazione di un fondo di cinque miliardi da parte del Governo regionale della Sicilia, e i criteri del Governo centrale nell’esame della richiesta.

«Conti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, sulle misure che intendono prendere per garantire ai bachicoltori un equo pagamento del loro raccolto di bozzoli e sull’eventuale requisizione, da parte delle autorità, degli essiccatoi affinché i contadini possano conservare i bozzoli da essi raccolti in attesa di una nuova evoluzione dei prezzi sul mercato serico, ciò in vista del fatto che, in molte provincie italiane, tutti gli essiccatoi si trovano nelle mani di associazioni monopolistiche, che impongono ai contadini il prezzo di lire 200 al chilogrammo per i bozzoli freschi, prodotto estremamente deperibile.

«Pajetta Giuliano, Pellegrini, Scotti Francesco, Bardini, Pressinotti, Roselli, Bosi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, per domandare quali misure intendono prendere per assicurare ai bachicoltori un prezzo dei bozzoli rimuneratore delle loro fatiche e impedire la speculazione ai danni di una categoria di umili lavoratori.

«Molè, Veroni, Cevolotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere quali criteri si sono adottati e a quali interessi si è obbedito al suo Ministero, nel designare gli osservatori presso la commissione di ricevimento e di avviamento degli operai italiani, istituita a Buenos Aires ai sensi dell’articolo 13 dell’accordo stipulato fra l’Italia e l’Argentina nel febbraio ultimo scorso; dato che i designati si dicono tutti elementi di sinistra, e nessuno di essi sembra offrire, per preparazione ed esperienza, quel minimo di attitudini che si richiedono per una funzione del genere.

«Per sapere altresì quanto vi sia di vero nella voce, secondo cui, da parte di alcuni nostri impresari assuntori di lavori in Argentina, si eserciterebbero indebite pressioni per ottenere la nomina di altri osservatori di loro fiducia, di guisa che i giudici del loro operato sarebbero per essere, secondo un triste costume in vigore, giudici di parte.

«Benedettini».

Queste interrogazioni saranno comunicate ai Ministri competenti per sapere quando intendano rispondere.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Chiedo quando verrà discussa una mia interpellanza sullo Statuto sardo.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. In merito alla interpellanza dell’onorevole Mastino Pietro, il Governo non si sente impegnato ad assumere alcuna iniziativa per lo svolgimento; perché tale interpellanza verte su materia di natura costituzionale, sulla quale sola competente a pronunziarsi è l’Assemblea.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere a quali criteri si sia ispirato nello stabilire i prezzi del grano del nuovo raccolto da conferire all’ammasso: in lire 4000 al quintale per l’Italia settentrionale e centrale, ad eccezione delle Maremme, della Toscana e del Lazio; in lire 4300 per l’Italia meridionale, ad eccezione della Lucania e della Calabria, tale prezzo estendendo anche alle Maremme della Toscana e del Lazio; ed infine in lire 4600 per l’Italia insulare, Lucania e Calabria.

«In tal modo l’Abruzzo – che, come tutti sanno, costituisce una regione in gran parte montana, ad agricoltura prevalentemente povera, sicché il raccolto in molte zone è scarsissimo in rapporto alla superficie coltivata – viene considerato alla stessa stregua delle regioni più fertili, ad altissima produzione granaria, quali – ad esempio – quelle di tutta la Valle Padana.

«Del pari si è dimenticato che l’Abruzzo è stata la regione più devastata dalla guerra, che vi ha ristagnato per otto mesi con la distruzione di ottanta comuni e conseguente devastazione delle campagne e del patrimonio zootecnico, considerandolo – ciò malgrado – al di sopra della Toscana e del Lazio, e mettendolo allo stesso livello dell’Umbria e delle Marche che, notoriamente, hanno terre di gran lunga più fertili, ed immuni dai danni di guerra.

«Infine, per quanto attenga al premio in lire 400 al quintale per coloro che conferiscono il prodotto prima del 15 luglio, si chiede se non si ritenga opportuno prorogare congruamente detto termine per tutte le provincie prevalentemente montane, nelle quali, nelle zone più alte, prima di detta data non si è ancora mietuto e, comunque, non si è dai più potuto procedere alla trebbiatura del grano raccolto.

«L’interrogante chiede, quindi, se l’onorevole Ministro non intenda proporre la revisione dei prezzi suaccennati, mettendo l’Abruzzo allo stesso livello della Calabria e della Lucania e, in ogni caso, della Toscana e del Lazio, eliminando in tal modo una sperequazione che nulla giustifica e costituisce soltanto un trattamento di ingiusto disfavore per la laboriosa popolazione agricola.

«Lopardi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri del bilancio e del tesoro, per conoscere se non ritengano rispondente a giustizia e umanità disporre che gli impiegati e i salariati statali, di tutte le categorie, che cessano dal servizio per quiescenza, anziché dover attendere dolorosamente per anni interi la liquidazione dei loro assegni di pensione, possano fruire, dal momento stesso del congedo – senza soluzione di continuità – di un assegno mensile provvisorio, corrisposto dalle Amministrazioni medesime presso cui prestarono servizio, pari all’ammontare dei quattro quinti almeno del rateo di pensione presumibilmente loro spettante, salvo successivo conguaglio.

Le condizioni veramente tragiche di migliaia e migliaia di pensionati in eterna attesa della corresponsione dei loro sacrosanti diritti, rendono indispensabile il richiesto provvedimento per debito di elementare equità.

«Franceschini, Bellato, Gortani, Lizier, Morelli Luigi, Pastore Giulio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se il fatto di essere stato deportato ed internato in Germania durante l’occupazione tedesca non sia ragione sufficiente per essere dispensati dal servizio militare attivo, soprattutto se detto internamento è stato superiore ad un anno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vischioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni del ritardo nella ultimazione dei lavori di ripristino della ferrovia Sora-Roccasecca ed i provvedimenti che ha adottato o intende adottare allo scopo di accelerare i lavori stessi, onde restituire al più presto a quella zona l’essenziale e vitale strumento della ferrovia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e commercio, per conoscere se, di fronte alla denuncia del Sindacato grossisti e dettaglianti di legna di Brescia contro la insana speculazione che, in questo momento, invece di portare una diminuzione sui prezzi invernali della legna, come avviene normalmente ogni anno, triplica tali prezzi elevandoli a 1500 lire il quintale, accaparrando scorte, mezzi di trasporto ed esercitando l’aggiotaggio delle legna dalle Alpi ai monti della Calabria, non intenda prendere provvedimenti adeguati per stroncare una speculazione indegna, atta a portare il disordine nel Paese, nel prossimo inverno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vischioni».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, in relazione alla risposta già data con comunicazione del 19 aprile 1947, n. 17972/309, in merito ad una precedente interrogazione relativa alla ricostruzione della carriera del segretario del comune di Sedegliano Ettore Fortunati, arbitrariamente collocato a riposo, contro ogni principio giuridico e morale, e poscia, con decisione del Ministero dell’interno, riassunto in servizio ed assegnato allo stesso comune di Sedegliano, dal quale successivamente risulterebbe trasferito al comune di Camino di Codroipo, con « ordinanza del prefetto di Udine;

premesso, in merito alla ricostruzione della carriera, che il suddetto funzionario è stato proposto dal prefetto di Udine per l’assegnazione al grado 5°;

tenuto presente che tale assegnazione non può ritenersi riparatrice del danno morale e materiale sofferto per ragioni politiche, in considerazione che l’altro funzionario, che il Fortunati ha sostituito all’atto della sua riassunzione in servizio nel 1932, con inizio ex novo della carriera, nelle cui condizioni si sarebbe trovato, è attualmente al grado 4°;

che è irrilevante il richiamo alle norme di legge che stabiliscono il concorso per il passaggio al grado 4°, inquantoché trattasi nella fattispecie di un provvedimento straordinario, diretto a sanare una irregolare posizione ed una palese ingiustizia;

che d’altra parte la partecipazione al concorso è stata impedita dal fatto di non aver proceduto, frustrando ogni norma giuridica e di equità, alla promozione al grado 5°, necessario per partecipare al concorso;

tenuto presente, per quanto riguarda il trasferimento, nel Comune di Camino di Codroipo:

che il provvedimento è ambiguo, inquantoché non sono chiari i motivi che l’hanno provocato;

che nella nota ministeriale sopra citata si accenna ad un trasferimento ed a un incarico (in realtà, secondo la forma giuridica, così come appare nel decreto del Prefetto di Udine in data 19 febbraio 1947, Div. 2ᵃ Segr. n. 8385, trattasi di incarico provvisorio in Comune di grado inferiore, tanto è vero che viene corrisposta anche l’indennità di missione), ad una ragione di incompatibilità del funzionario del comune di Sedegliano ed alle particolari qualità del funzionario stesso, che lo avrebbero reso necessario nel comune di Camino di Codroipo;

che appare evidente che il provvedimento è stato provocato esclusivamente da motivi di rappresaglia e di bassa faziosità da parte dell’Amministrazione comunale di Sedegliano;

che il provvedimento stesso è antigiuridico, nella sua sostanza, sia se considerato sotto l’aspetto del trasferimento, sia se considerato sotto l’aspetto dell’incarico;

che il comune di Camino di Codroipo è di grado settimo, mentre il comune di Sedegliano è di grado sesto, per cui il trasferimento non poteva essere imposto;

che l’incarico, che, in ogni caso, non può, in quanto tale, far perdere la titolarità nel comune di Sedegliano, doveva essere affidato con il consenso esplicito e pieno dell’interessato;

che l’allontanamento comunque dal comune di Sedegliano, prescindendo da ogni considerazione di vantaggio o di danno, deve essere considerato un atto di dispregio ad ogni principio morale e di giustizia, poiché la riassunzione in servizio del segretario Ettore Fortunati più che su principî giuridici è stata basata appunto su principî morali e di giustizia;

che la riassunzione in servizio in sostanza, dati i motivi che l’hanno determinata, è in stretta relazione alla sede;

che è inammissibile che, mentre epurati, sospesi e discriminati vengono mantenuti negli stessi posti coperti precedentemente, chi ha partecipato alla lotta antifascista ed al movimento di resistenza debba avere un trattamento diverso;

gli interroganti chiedono di conoscere se l’onorevole Ministro intenda disporre:

1°) che venga provveduto, con la massima urgenza, alla ricostruzione della carriera del segretario comunale Ettore Fortunati, con l’assegnazione al grado 4°, assegnazione giuridicamente e moralmente fondata, che sola potrà riparare l’ingiustizia subita dal suddetto funzionario, che non si è piegato alla tirannide fascista;

2°) che il suddetto funzionario, in pendenza della sua ricostruzione della carriera, venga mantenuto titolare del comune di Sedegliano, come è suo diritto, e ciò per ragioni di prestigio e di dignità. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Dozza, Grazia, Colombi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se ritiene rispondente allo spirito e alle leggi delle istituzioni democratiche e repubblicane il provvedimento del prefetto della provincia di Pisa diretto a vietare l’affissione di un manifesto politico di carattere nazionale, esposto in tutte le altre provincie della Repubblica; e se non ritiene suo dovere intervenire presso il prefetto ed il questore di Pisa affinché il diritto di libera espressione del pensiero sia garantito anche in quella provincia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Barontini Ilio, Bargagna».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per conoscere quale fondamento abbiano le notizie apparse sui giornali, relative ad emanande disposizioni di legge, in base alle quali si statuirebbe, anche per la prossima consegna granaria, il duplice prezzo del prodotto pel riferimento dei canoni rustici o una decurtazione dei canoni stessi. Il che non appare giustificato:

1°) sotto il profilo tributario, perché i duplici prezzi dei prodotti che formano i canoni di affitto hanno trasferito negli anni scorsi dai proprietari agli affittuari un terzo circa del canone complessivo dovuto. La somma totale di questi trasferimenti è nell’ordine di parecchi miliardi. Di conseguenza lo Stato non esige su questa cifra l’imposta generale sull’entrata, rinunciando così a molte centinaia di milioni di lire, oltre a quanto esso percepisce in meno dalle imposte personali (complementare, tassa di famiglia, ecc.) a carico di ciascun proprietario.

«Pertanto sono miliardi che annualmente Stato, provincie è comuni, non incassano per conseguenza dei doppi prezzi;

2°) sotto il profilo economico, perché il perdurare dei doppi prezzi toglie ogni seria base per la contrattazione delle nuove locazioni, con la sola conseguenza di far aumentare i quantitativi dei prodotti agricoli cui si riferiscono i canoni, in quanto i locatari tendono a fissare quantitativi di riferimento maggiori, ignorando quale sarà la falcidia derivante dalla differenza tra il prezzo fissato per l’ammasso e il prezzo fissato per il riferimento dei canoni;

3°) sotto il profilo sociale, perché i doppi prezzi non hanno più ragione di essere dopo la pubblicazione del nuovo decreto Segni sulla perequazione di affitti agrari (uscito nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 5 maggio 1946), in quanto tale decreto consente all’affittuario di ottenere dall’apposita commissione la riduzione dei canoni sperequati; perché il perdurare dei doppi prezzi renderebbe quanto mai incerta e confusa l’opera delle Commissioni istituite dal suddetto decreto; e, infine, perché vi sono in Italia numerosissimi piccoli proprietari che posseggono meno di una decina di ettari, che hanno dovuto affittare per avverse condizioni familiari. Se alle nuove notevoli imposte si dovesse aggiungere il perdurare dei doppi prezzi, queste famiglie di piccoli proprietari sarebbero ridotte in condizioni economiche di assoluta miseria. Analoghe considerazioni si devono fare al riguardo delle Opere Pie, per lo più proprietarie di terreni affittati.

4°) sotto il profilo giuridico, perché i decreti che stabilivano la duplicazione dei prezzi sono stati invalidati dalla magistratura. È inoltre auspicabile che, avviandoci verso condizioni più normali, lo Stato abbia ad intervenire solo in casi eccezionali, nei rapporti liberamente convenuti fra i privati;

5°) sotto il profilo tecnico-agricolo, perché la categoria dei proprietari di terre verrà ora sottoposta a un gravissimo onere per il riscatto dell’imposta ordinaria sul patrimonio cui si aggiungerà, sovrapponendosi, la nuova imposta patrimoniale. Perciò, ove gli effetti del perdurare del sistema dei doppi prezzi dovessero aggiungersi ai gravissimi oneri tributari, i proprietari di fondi rustici sarebbero posti nell’impossibilità di seguire le opere di manutenzione e migliorare il patrimonio fondiario, frutto del lavoro di numerose generazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del bilancio e del tesoro per conoscere che fine abbia fatto la promessa del passato Governo di concedere agli impiegati statali in servizio un aumento del 15 per cento sullo stipendio base e di aumentare congruamente tutte le pensioni.

«Si ritiene urgente che le promesse fatte siano tradotte in atto onde evitare il dilagare di un giustificato malcontento che trova la sua base nelle difficili presenti condizioni di vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fuschini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni per le quali le aziende, che con il decreto legislativo 2 giugno 1946, n. 502, venivano poste in vendita da parte dello Stato, continuino ancora ad essere gestite dallo Stato stesso con grave pregiudizio degli interessi generali del Paese e con grave onere per il Tesoro.

«Si fa riferimento in particolare alla Gestione raggruppamento autocarri (G.R.A.), che svolge un’attività che viene considerata per molteplici aspetti antieconomica e si ritiene pertanto necessario che la gestione di detto ente sia riesaminata da una commissione di esperti del problema dei trasposti e quindi risolta secondo i suggerimenti che saranno dati dalla detta commissione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«fuschini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non intenda estendere ai comuni di Gaeta, Formia, Itri, Castelforte Minturno e a quanti compresi nella regione immediatamente a nord del Garigliano, che, semidistrutti dagli eventi bellici, compiono in questi giorni il loro massimo e difficilissimo sforzo ricostruttivo, le forme di esonero o dilazione delle tassazioni straordinarie, già concesse ai comuni di Cassino, Ausonia, Atina, Coreno Ausonio, Pontecorvo, ecc. che, a differenza dei precedenti, sono stati favoriti da numerosi aiuti e soccorsi da parte delle organizzazioni assistenziali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Selvaggi»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere secondo quali argomentazioni egli intenda disporre una riproduzione dei canoni di affitto in cereali, favorendo gli affittuari che invece costituiscono il maggiore diaframma tra la produzione e il consumo, particolarmente in un momento così grave per la proprietà terriera, sulla quale piombano contemporaneamente la rivalutazione dal 6 al 12 degli estimi agrari e dominicali, nonché l’imposta patrimoniale ordinaria, quella patrimoniale straordinaria proporzionale, e quella patrimoniale straordinaria progressiva.

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quali provvedimenti si intenda adottare per alleviare la grave situazione determinatasi per i coltivatori, i fittuari, i piccoli proprietari dei comuni di San Giuseppe Vesuviano, Poggiomarino, Ottaviano, Terzigno, ove l’intensa grandinata del 29 maggio ha provocato la perdita quasi totale dei prodotti della terra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mazza».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se risponda al vero l’affermazione che è tuttora sospeso il pagamento di assegni familiari ai lavoratori trasferitisi in Germania negli anni 1943-45; e se, in tal caso, non ritenga giusto e doveroso definire tale questione con premurosa sollecitudine. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Gortani, Fantoni, Garlato».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, ai fini di favorire l’ammasso dei cereali e di evitare che gli agricoltori sottraggano quantitativi di cereali per utilizzarli come mangime per il bestiame, creda opportuno emanare subito una disposizione che riconosca ai conferenti all’ammasso il diritto di ottenere l’assegnazione di un quantitativo di crusca, ripartito nei diversi mesi dell’anno, proporzionato al quantitativo dei cereali conferiti.

«Purtroppo si è dovuto deplorare per il passato che, per il prezzo della crusca al mercato nero superiore al prezzo di ammasso del grano, molti agricoltori sono stati indotti a sottrarre all’ammasso quantitativi di cereali per utilizzarli come mangime per il bestiame.

«Tale incentivo sarebbe eliminato se venisse riconosciuto ai Conferenti all’ammasso il diritto di ottenere un quantitativo di crusca, ad esempio, un sesto del quantitativo del grano conferito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perlingieri».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per sapere se, in analogia a quanto è stato disposto per gli istituti di insegnamento privato diretti da religiosi e per ragioni di giustizia e di imparzialità, non sia il caso di concedere anche agli istituti di insegnamento privato diretti da civili, le anticipazioni sui danni subiti da bombardamenti e asportazioni da parte dei nazi-fascisti, in modo che essi possano riprendere la loro normale attività. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fabriani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se la Ragioneria generale dello Stato, come organo esecutivo, abbia la facoltà di trasformare con norme interne le disposizioni legislative, come è avvenuto con la circolare 21 marzo 1947, numero 117491, la quale nega il compenso per lavoro straordinario ai funzionari dello Stato che sono in missione, adducendo che essi non hanno limitazione di orario per l’incarico ricevuto e che la indennità di missione rimunera globalmente tutte le prestazioni inerenti all’incarico, mentre l’articolo 5 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, numero 19, precisa con quali assegni non è cumulabile il compenso per lavoro straordinario. L’indennità di missione non è compresa tra gli assegni non cumulabili, ed è perciò che, nel caso citato, è stata violata la legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fabriani».

Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se intenda provvedere con la necessaria urgenza alla concessione di licenze a militari contadini nella corrente stagione e in quella del prossimo autunno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Conti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro e del lavoro e previdenza sociale, per far loro presente la grave situazione in cui si trovano i lavoratori siderurgici dell’Isola d’Elba e per conoscere se non ritengano possibile di affrontarla al lume di una esatta valutazione del problema, abbandonando il criterio sin qui seguito di sussidi improduttivi, con la realizzazione di un programma industriale organico e ricostruttivo che possa assieme favorire l’economia dell’Isola e quella della Nazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bruni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali ragioni si frappongano alla normalizzazione del Commissariato di pubblica sicurezza di Adria (Rovigo), che ancora viene diretto da un elemento nominato dal C.L.N. e che non ha nessun titolo né requisito per continuare ad occupare un posto di ruolo dell’onorevole Amministrazione dell’interno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rognoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere i motivi che hanno provocato il provvedimento di trasferimento del segretario comunale di Oria (Brindisi), dottor Giuseppe Frazzini, provvedimento che la cittadinanza di Oria ritiene dovuto ad intervento non legittimo di un partito locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Grieco».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 13.40.

Ordine del giorno per la seduta di martedì 24 giugno.

Alle ore 16:

Interrogazioni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 20 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 20 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Patrissi                                                                                                             

Mastino Pietro                                                                                                

Pacciardi                                                                                                         

Togliatti                                                                                                          

Gronchi                                                                                                            

Corsi                                                                                                                 

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Giannini                                                                                                            

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

Vi sono da svolgere alcuni ordini del giorno.

L’onorevole Patrissi ha presentato un ordine del giorno del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, constatati gli effetti dannosi della speculazione, che minaccia in modo sempre più grave la già compromessa stabilità della moneta, invita il Governo ad adottare immediati provvedimenti, anche di natura penale, contro quei cittadini o quei gruppi di interessi che operano contro la collettività, e lo esorta altresì a perseguire una più ferma e coerente politica creditizia coordinata con un indirizzo produttivistico dell’economia nazionale, tale da avviare finalmente il Paese verso la ricostruzione.

Ha facoltà di svolgerlo.

PATRISSI. Onorevoli colleghi, in questi giorni, conversando nei corridoi dei passi perduti, parecchi fra noi ci siamo trovati d’accordo nel deplorare la sterilità di questi dibattiti e dal punto di vista tecnico e dal punto di vista politico. Tecnicamente poche autorevoli voci di illustri colleghi sono cadute nel vuoto di quest’Aula stanca, spesso sufficiente nel tono, assai spesso insufficiente nel numero. Non proposte, non consigli, non suggerimenti. Abbiamo riudito vecchi motivi, vecchi luoghi comuni; ma un apporto costruttivo, concreto, efficiente, in verità non c’è stato fino a questo momento. E ce n’era tanto bisogno, in quanto insufficiente appare lo stesso programma del Governo. Dal punto di vista politico abbiamo udito soltanto frammenti di verità. Gran parte della verità, gran parte della schietta opinione dei vari oratori è ottenebrata da oblique considerazioni, da tornaconti personali, da finalità di partito. Nessuno, tuttavia, dei colleghi che si trovavano d’accordo con me, ritenne opportuno e conveniente levare, in quest’Aula l’alta e sdegnosa protesta del Paese che si leva verso di noi, che pure ne siamo indegnamente i massimi reggitori.

Questa protesta del Paese è la protesta di un popolo che guarda a noi, guarda ai nostri lunghi dibattiti nel corso delle troppo frequenti crisi e tenta di intravedere nei nostri duelli oratori, molto spesso brillanti, ma anche molto spesso poco civili, la soluzione dell’intricato problema della quotidiana esistenza, che è per il popolo italiano sempre più incombente e sempre più difficile.

Tecnicamente, dicevo, apporti costruttivi non ce ne sono stati e ce n’era bisogno, perché il Governo, dal punto di vista tecnico, a me pare insufficiente. Gli aspetti più gravi della nostra situazione economico-finanziaria, dal momento che la crisi è stata provocata appunto da questa situazione, sono il bilancio dello Stato, la situazione crescente dei prezzi e la bilancia dei pagamenti.

Il programma del Governo si è limitato ad elencarci un ristretto numero di provvedimenti di finanza straordinaria tendenti appunto ad ovviare alla difficile situazione del bilancio dello Stato. Si tratta, in sostanza, di provvedimenti di finanza straordinaria. Infatti l’onorevole De Gasperi ha dichiarato che fa proprie le imposte già stabilite dal Governo che lo ha preceduto, cioè imposte sugli utili di congiuntura, imposte sui consumi voluttuari, imposte sui titoli azionari, imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. Accanto a queste imposte di natura straordinaria si prevede il solito insieme di provvedimenti avocativi.

Ora brevemente dirò, in materia di avocazione, il mio pensiero; e badate, onorevoli colleghi, io sono un isolato e non ripeterò la frase dell’onorevole Nitti; non sono vincolato a disciplina di partito, non sono vincolato a schemi preconcetti e per conseguenza esprimo il mio personale punto di vista, onde mi accade, per esempio, di essere d’accordo con l’onorevole La Malfa nella impostazione di determinati problemi, dissentendo dalle conclusioni cui perviene; sono d’accordo, per esempio, con l’onorevole Scoccimarro quando afferma che il livello dei prezzi ha preceduto sensibilmente il volume della circolazione; non sono d’accordo nei suoi presupposti, quando egli mostra di prescindere dalle agitazioni salariali; sono d’accordo con l’onorevole Nenni quando, con tono apparentemente sincero, si mostra sdegnato della tendenza in virtù della quale si auspica l’intervento straniero quale arbitro della situazione interna nostra, che dobbiamo pure risolvere da soli.

In materia di avocazione, se noi distinguiamo i provvedimenti di avocazione dei profitti di regime dai provvedimenti di avocazione dei profitti di guerra e dei profitti speciali di contingenza, possiamo arrivare a conclusioni diverse. In materia di profitti di regime, se noi consideriamo che fino a questo momento, dopo anni di pratica attuazione, non siamo riusciti ad iscrivere in bilancio che 18 miliardi appena, dobbiamo porci un dilemma: o lo strumento burocratico di cui disponiamo non è efficiente, o non ha risposto la classe politica, quella che con la legge si voleva colpire, assai maggiore di quanto noi tutti supponessimo, me compreso. Diciotto miliardi, indubbiamente, sono un risultato insoddisfacente. Se noi poi riteniamo che questi patrimoni avocabili esistono, dobbiamo ritenere che quei diciotto miliardi sono, senza dubbio, assai inferiori al danno che abbiamo arrecato all’economia nazionale bloccandone la funzionalità col sistema dei sequestri, ed allora questo strumento di avocazione si rivela sterile e non producente. In materia però di avocazione dei profitti speciali di contingenza e dei profitti di guerra, bisogna essere molto severi: questa è intenzione concorde di noi tutti. Non vedo però fino a che punto si possa essere severi quando non conosciamo ancora esattamente la configurazione e la distribuzione della ricchezza liquida nel Paese.

L’onorevole Einaudi, l’altro giorno, rispondendo ad alcuni colleghi che avevano riproposto la questione del cambio della moneta, volle parlarne abbinando il cambio della moneta ad una imposta progressiva o proporzionale.

Il problema non si poneva in questi termini. Il problema del cambio della moneta oggi si pone esclusivamente nei termini di censimento della moneta circolante. Noi abbiamo bisogno di sapere qual è l’attuale distribuzione della ricchezza liquida nel Paese.

In materia di imposte straordinarie ed anche in materia di avocazione dei profitti speciali di congiuntura e di guerra vorrei richiamare l’attenzione del Governo sul provvedimento, che credo sia stato già adottato ed i cui termini di applicazione sono già scaduti, cioè il provvedimento della pubblicazione delle ditte. Badate che noi tradiamo la funzione dello Stato, che non è quella né di vendicatore, né di ricattatore. Abbiamo il precedente delle liste dell’Ovra, che sono state pubblicate affrettatamente e che poi sono state oggetto di molte transazioni e di molte polemiche. Accertiamo rigidamente gli utili realizzabili e poi pubblichiamo i nomi delle ditte che quegli utili hanno realizzato.

In materia di imposte straordinarie vorrei fermare brevemente la mia attenzione sull’imposta straordinaria patrimoniale. Consento con le riserve enunciate brillantemente ed autorevolmente dall’amico onorevole Crispo. Devo però ricordare che, quando in seno alla Commissione finanze e tesoro fu portato il provvedimento di aggiornamento per l’imponibile dell’imposta ordinaria patrimoniale, io mi opposi al perpetuarsi del sistema della moltiplicazione automatica per coefficienti rigidi. Canone fondamentale della scienza delle finanze è quello di evitare sperequazioni. L’onorevole Einaudi ha dichiarato che la configurazione del reddito nazionale è mutevolissima e muta con rapidità impressionante. Come muta il reddito nell’anno, così muta anche la distribuzione patrimoniale. Noi non possiamo, su una base di configurazione patrimoniale che non risponda alla realtà, applicare un provvedimento drastico. Siccome sono stati fatti degli accertamenti, non potendo fare di meglio, si poteva, anziché applicare quei coefficienti soltanto, fare delle tabelle di coefficienti, sì da sceverare da azienda ad azienda, da impresa ad impresa, da patrimonio a patrimonio. In sede di Commissione di finanza si fece noto che il problema non avrebbe avuto gran rilievo. Fummo tutti concordi nel raccomandare al Governo di sottoporre all’esame della Commissione il progetto di imposta straordinaria patrimoniale, perché quella sperequazione di poco conto per l’imposta ordinaria avrebbe avuto invece grande rilievo quando si sarebbe applicata l’imposta straordinaria.

Ora io mi auguro che, in base alle stesse dichiarazioni dell’onorevole Einaudi, si riveda tutta la materia di applicazione dell’imposta straordinaria patrimoniale.

Riguardo poi a questa imposta, c’è l’altro problema che si pone all’attenzione dell’Assemblea e soprattutto all’attenzione del Governo, dal momento che, come giustamente diceva ieri l’onorevole Nenni, il Parlamento è al Viminale.

Tenete presente che la massa di incidenza dell’imposta straordinaria patrimoniale riguarderà i patrimoni compresi fra i 20 e i 50 milioni.

In questa categoria di patrimoni è alta la percentuale di patrimoni immobiliari urbani e rurali. I patrimoni immobiliari urbani sono colpiti, come è noto, dal blocco degli affitti: i proprietari di immobili urbani non saranno praticamente in grado di pagare l’imposta. Bisogna che voi li mettiate in grado di pagare l’imposta, e bisogna che voi autorizziate gli Istituti di credito edilizio a collocare sul mercato cartelle che concedano mutui, oppure che sblocchiate gli affitti. Dal momento che abbiamo adottato il criterio del tesseramento differenziato, per cui si differenzia sullo stomaco dei cittadini e non in riferimento alla necessità della forza di lavoro, ma in base al censo, estendete il criterio per cui, in base al censo, a determinati cittadini sia concesso lo sblocco degli affitti.

Per quanto riguarda i proprietari di beni affittati, i cui canoni sono corrisposti in denaro, occorre tener presente che il problema si ripropone con gli stessi termini, e va tenuto conto della materiale impossibilità del proprietario di pagare l’imposta. Questa imposta è giusta e necessaria, ma sarebbe vana e sterile se lo Stato non raggiungesse gli scopi per cui la impone.

Si pone poi il problema della utilizzazione del gettito dell’imposta. Dalla relazione fatta dall’onorevole De Gasperi abbiamo appreso che il 31 gennaio le disponibilità dì cassa ammontavano a 31 miliardi. Ed allora il prestito della ricostruzione che, almeno secondo il suo nome, doveva essere utilizzato per la ricostruzione, era, in realtà, servito a fronteggiare le esigenze della Tesoreria. Non levo una critica per questo fatto, perché, in periodo di bisogno, il denaro si prende dove è disponibile. Sarebbe stato preferibile, per esempio, non incamerare il fondo U.N.R.R.A., da cui sono stati prelevati circa 37 miliardi. Ricordo che l’onorevole Morandi fece un accenno in merito a questo fondo, dicendo che lo si poteva utilizzare a compensazione del prezzo politico del pane. In un primo tempo pensai che l’onorevole Morandi, già Ministro dell’industria e commercio, non conoscesse che il fondo era già stato utilizzato. Nel seguito del suo discorso appresi poi che egli era già a conoscenza della cosa.

Debbo far notare all’Assemblea che i vecchi parlamentari, maestri di procedura parlamentare per tutti noi giovani, ci hanno sempre insegnato che era buona pratica e buona tradizione che i Ministri appartenenti ad un Governo dimissionario non prendessero la parola in sede di dibattito per il voto di fiducia al Governo immediatamente successivo. Era una tradizione che indubbiamente aveva un gran valore di lealtà cavalleresca tra parlamentari. Badate, è bene che noi torniamo a questa tradizione, perché tutte le confraternite, gli istituti, le associazioni, i club, la malavita, la cosiddetta «onorata società», hanno norme non scritte e tradizionali a cui tutti si uniformano. Le carceri sono una scuola in cui gli anziani della malavita danno insegnamenti ai novellini, perché essi conoscono meglio quelle norme, e le insegnano affinché si possano tramandare ad altri. Se anche la malavita si uniforma a certe norme, perché non dovremmo, noi parlamentari, uniformarci a norme tradizionali? (Commenti a sinistra).

Ora, per esigenze di Tesoreria, il Governo ha attinto al fondo U.N.R.R.A., ed anche al fondo di copertura di depositi bancari. Bisogna essere cauti in questo. Così il prestito della ricostruzione non ammontava a 231 miliardi; ed anche qui abbiamo rinverdito i sistemi del malfamato regime fascista: nel periodo fascista i capi di istituti e i capi di enti si facevano un vanto di portare delle cifre gonfiate al capo del Governo. Lo stesso è accaduto in questa Assemblea: il gettito del prestito della ricostruzione non è di 231 miliardi, perché da quella cifra vanno tolti 24 miliardi del Consorzio delle sovvenzioni industriali, che era debito dello Stato e sul quale lo Stato pagava un mezzo per cento. La Banca d’Italia ha rilevato i 24 miliardi e li ha sottoscritti al prestito della ricostruzione per colmare le serie spezzate, il che è una vecchia tradizione degli istituti di emissione. Così che, su questo debito, mentre prima lo Stato pagava un mezzo per cento, oggi paga il 3 e mezzo per cento. E se tenete conto dello scarto di valore di emissione, 97,50 per cento, ed il valore nominale, constatate che lo Stato paga ancora di più.

Questo ricordo all’Assemblea perché, in materia di controllo della circolazione creditizia, incominciamo evidentemente male, perché il controllo della circolazione creditizia non va affidato alla Banca d’Italia. La Banca d’Italia deve essere lo strumento esecutivo del controllo, ma essa è una Banca come tutte le altre, legata soltanto da una convenzione col Tesoro. La Banca d’Italia, in sostanza, è una società come tutte le altre.

Non vorrei qui che gli avversari, i denigratori del Governo, trovassero facile argomento per affermare che non è giovevole alla imparzialità necessaria del Governo il fatto che l’onorevole Einaudi sia contemporaneamente Ministro del bilancio e Governatore della Banca d’Italia. Ora, anche in materia di controllo della circolazione creditizia, bisognerebbe che questo controllo rientrasse nella competenza esclusiva e diretta degli organi del Tesoro. È vero che occorre una particolare competenza bancaria; ebbene, la Banca d’Italia potrebbe essere benissimo lo strumento esecutivo di questo controllo.

In materia di risanamento di questo bilancio il Governo ci ha parlato soltanto di provvedimenti di natura straordinaria. L’onorevole Nitti ed altri oratori, che si sono occupati della materia squisitamente tecnica, hanno segnalato l’opportunità di rendere più efficienti le imposte ordinarie. A questo proposito io devo ricordare che ci stavamo orientando verso una politica di riduzione delle aliquote e di aggiornamento dell’imponibile. Questa politica trova giustificazione nel fatto che si vuole rendere l’imposta aderente alle reali possibilità dei contribuenti, sì da diminuire l’incentivo alla evasione fiscale. Indubbiamente il criterio è sano e ottimo; ma noi incorriamo sempre nel solito errore, cioè di praticare esperimenti non su un fondo di normalità, ma su un fondo disagiato e tormentato da mille necessità giornaliere.

Quindi, buono il proposito, ma sarebbe opportuno differirlo nel tempo.

Per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti, il Governo ci ha detto soltanto che occorrono, all’incirca, 200 milioni di dollari per colmare il deficit della nostra bilancia dei pagamenti. Naturalmente bisogna fare una politica economica produttivistica, bisogna incrementare al massimo la produzione, bisogna mettersi in grado di entrare in misura sempre maggiore sui mercati stranieri. Ma tutto questo è una enunciazione superficiale. Supponiamo di riuscire a fare una politica economica produttivistica, supponiamo di riuscire a produrre in misura maggiore, sì da poter mandare il super sui mercati stranieri; ma il Governo si chiede se è possibile, con l’attuale situazione del nostro sistema di cambi, andare sui mercati stranieri? Il Governo, per esempio, non si spiega perché oggi resistono, sui mercati esteri, i nostri prodotti di meccanica di precisione. Ma è evidente, perché la percentuale di materie prime contenute in quei prodotti è del quindici o venti per cento. I prodotti che, viceversa, contengono nel loro valore un’alta percentuale di materia prima, non possono entrare sul mercato straniero perché, se voi pensate che col sistema del 50 per cento di valuta disponibile per gli esportatori nei confronti del dollaro, le 800 lire di cambio in borsa nera e le 225 di cambio ufficiale in realtà portano a 500 il livello della transazione, e se con quella cifra si copre il valore della materia prima, non resta disponibilità sufficiente per la mano d’opera; ed è questa la ragione per cui il livello dei salari rimane strozzato, ed è questa la ragione per la quale non è possibile per determinati prodotti – per esempio, tessili – continuare a penetrare facilmente sul mercato estero.

Recentemente abbiamo rinnovato il trattato commerciale col Belgio e con la Cecoslovacchia. Non era il caso, per esempio, di regolare il clearing in franchi belgi con chèques-clearing utilizzabili sul mercato libero? Ad un certo momento avremmo saputo che cosa vale la nostra lira. Perché, la nostra lira, finché l’apprezzamento del relativo suo valore lo facciamo noi, può essere un apprezzamento d’affezione o di disaffezione, di stima o di disistima, un valore psicologico; ma un reale valore economico si può avere solo con questo sistema di stima.

Si può obiettare al nostro ragionamento che qualora le nostre relazioni commerciali col Belgio e con la Cecoslovacchia fossero state regolate in base a questo presupposto, tutti gli esportatori si sarebbero orientati su quel mercato, che sarebbe diventato indice di tutte le transazioni con tutti gli Stati esteri. Però, ad un certo momento, dobbiamo arrivare alla normalità delle nostre transazioni commerciali. Esistono, per esempio, altri Paesi che ci ostiniamo a tenere in castigo e relativamente ai quali il nostro tasso di cambio è restato al vecchio livello. Ma il dispetto a chi si fa? Mi auguro che l’onorevole Merzagora apporti nella direzione del commercio estero un contributo di costruttività e soprattutto di praticità.

Vorremmo, per esempio, sapere per quale ragione con la Svizzera dobbiamo continuare a praticare il sistema delle compensazioni, che non sempre è vantaggioso. Vorremmo sapere perché degli 800 milioni di pesos che era possibile trovare in Argentina, ne abbiamo utilizzato 500 milioni appena, che poi non erano neanche spendibili, perché quando l’Argentina chiede che paghiamo il grano 60 pesos al quintale prezzo «fob», ci obbliga a pagare il doppio il grano argentino rispetto a quello statunitense. Ora, noi ci auguriamo che le espressioni di amicizia venuteci dall’Argentina corrispondano anche sul piano pratico della realtà.

E in materia di commercio estero l’onorevole De Gasperi denunciava il piano tendente ad affidare un certo monopolio ad un certo commendatore. Allora perché il Ministro Morandi ha tollerato lo sconcio della missione Sacerdoti, che ha il monopolio degli acquisti sul mercato statunitense?

Ci si sta avviando ad un monopolio generale, mentre vi sono centinaia di ditte tradizionalmente importatrici in Italia che hanno migliaia di impiegati; e del resto è una vecchia regola secondo cui in regime di concorrenza sul mercato estero il maggior vantaggio viene allo Stato.

Si sono avute offerte firmate da parte di importatori privati, cui non si è dato corso, e viceversa si dava telegraficamente conferma alle offerte della missione Sacerdoti. Vorremmo che il Governo democristiano andasse a fondo in questa materia e portasse luce in questa situazione non troppo normale, né troppo ortodossa.

Vorrei fare qualche accenno al razionamento differenziato. In fondo noi avevamo un razionamento differenziato, e su basi eque, nel senso cioè che la differenziazione era determinata dalle necessità delle categorie lavoratrici. Si dava ad esse alimento in misura maggiore per corrispondere ad esse quel determinato maggiore quantitativo di energie necessarie alla vita lavorativa. Viceversa si è cambiato sistema, si è data una colorazione faziosa ad un aspetto del nostro problema distributivo, che è sacrosanto, perché riguarda il pane di tutti.

In materia di ammassi per contingente vorrei ricordare all’onorevole Segni che bisogna essere coerenti. Abbiamo fatto l’esperimento del contingente per l’ammasso dell’olio. In quell’esperimento fatto dallo Stato, l’autorità dello Stato è uscita piuttosto menomata. Si è mantenuto in piedi il decreto che istituiva l’ammasso integrale. Si sono fatti dei concordati per l’ammasso di altri generi. Quando le provincie hanno raggiunto il livello richiesto, si è insistito per avere un supplemento. Provincie che hanno raggiunto il contingente in gennaio hanno corrisposto adesso. L’ammasso per contingente è un compromesso, è il massimo che si possa ottenere nella situazione attuale. Bisogna consentire, attraverso una compensazione fatta dal produttore fra il realizzo del mercato libero ed il prezzo ufficiale, la copertura del costo di produzione. Ora, se promettiamo l’ammasso per contingente, io non credo che sia stato opportuno prometterlo adesso, perché le promesse del genere si fanno al momento della semina, non al momento del raccolto.

Devo, relativamente alla bilancia dei pagamenti, fare un’ultima osservazione, ed è questa: noi non ci siamo preoccupati – almeno nelle dichiarazioni del Governo non appare – di chiarire quelli che sono i propositi del Governo in materia di politica del commercio estero. Il Governo ha semplicemente detto che abbiamo bisogno di 200 milioni di dollari per pareggiare la nostra bilancia dei pagamenti. Questo è il segno di una mentalità che dirò deplorevole, di una mentalità parassitarla, per cui noi pensiamo di risolvere i nostri problemi urgenti soltanto con l’aiuto altrui. So che non è vero, ma comunque, nel linguaggio spesso tenuto in questi giorni, abbiamo dato al Paese questa sensazione. Nel corso di questa crisi si è accennato, per esempio, ad interventi, a simpatie. Io sono un isolato in questa Assemblea, ma so che nel Paese esistono correnti nazionalistiche. Queste correnti sono contrarie a qualsiasi forma di intervento. Se gli interventi auspicati da determinati settori dell’Aula dovessero verificarsi, quelle correnti sarebbero accanto ai settori opposti; se, viceversa, dovessero verificarsi gli interventi auspicati da quei settori, noi saremmo a fianco degli altri.

Il popolo desidera una politica di indipendenza, una politica di dignità, una politica che sia fatta di chiarezza della nostra povertà, sobria ed operosa, ed è bene che certe parole, certi concetti espressi leggermente non riaffiorino più.

PRESIDENTE. Onorevole Patrissi, io so che si presenta un ordine del giorno come un accorgimento per parlare comunque, ma con questo ci si impegna a parlare soltanto venti minuti. Lei è quasi mezz’ora che parla. Concluda, la prego.

PATRISSI. Riguardo all’aspetto politico della crisi vorrei fare un accenno al discorso dell’onorevole Nenni. Io credo che nel corso di quest’ultima crisi l’onorevole Nenni sia stato il naturale alleato dell’onorevole De Gasperi, e non è un paradosso!

Giornalisticamente ho dovuto fare delle previsioni sullo sviluppo della crisi e devo confessare che le reazioni opposte dall’onorevole Nenni agli eventi che si delineavano di volta in volta sono state sempre conformi alle mie previsioni. Ieri egli ci ha detto che il periodo di incubazione della crisi va dal 4 aprile al 28 aprile e che praticamente l’onorevole De Gasperi il 28 aprile già meditava di aprire la crisi. Può darsi che sia vero l’argomento che egli ha affermato. Però l’onorevole De Gasperi non poteva fare la crisi extraparlamentare. L’onorevole Nenni, con la decisione improvvisa dei Ministri socialisti, fornì all’onorevole De Gasperi il valido argomento per farla.

Nel corso delle discussioni riguardanti la crisi, anche l’onorevole Togliatti si preoccupava di non creare difficoltà e di non avanzare pregiudiziali, mentre l’onorevole Nenni era l’uomo dal solido e tenace irrigidimento, tanto che ad un certo punto io immaginai che l’onorevole Nenni fosse addirittura alleato dell’onorevole De Gasperi; viceversa ieri ci siamo accorti che egli è decisamente ostile ad un Governo uniforme. Però egli ci forniva delle ragioni per renderci favorevoli a questo Governo. Egli ha detto che gli stimoli, i punti di partenza sono diversi, per cui si arriva a delle soluzioni compromissorie. Ebbene, egli non può pensare che il Paese possa subire ulteriormente soluzioni intermedie e compromissorie, perché, è possibile fare una politica democristiana, o liberale, o comunista, o socialista, ma non tutte le politiche insieme; è possibile fare una politica successiva e non una politica simultanea.

Non occorre essere dei grandi cervelli politici per essere dispensati dal conoscere una regola fondamentale matematica per cui la somma di due opposti è nulla. Il Paese ha bisogno di avere, quindi, una omogeneità di direttive. Io non sono sodisfatto, non sono entusiasta del programma del Governo, perché lo ritengo insufficiente; ma questo Governo rappresenta sempre una amministrazione coerente. (Interruzioni – Commenti a sinistra).

Poiché noi abbiamo minato alla base ciò che ancora sopravviveva del nostro organismo economico, bisognava finalmente trovare una via, e questa è la via media tra gli estremi, e quindi tra i partiti della intransigenza assoluta, o del conformismo, o del doppio giuoco, ecc.

Era logico che il Governo andasse verso il giusto mezzo, verso la Democrazia cristiana; che, per designazione, popolare, è il partito più autorevole e più numeroso.

Per questa ragione, sia pure con le dovute riserve e cautele, io ho dichiarato già che risponderò favorevolmente alla richiesta di fiducia del quarto Governo De Gasperi, con la speranza però che questo Governo democratico cristiano ascolti la voce che si leva nel Paese dai disoccupati, dai reduci, dagli irredenti, dai profughi, dai danneggiati, ed ascolti soprattutto la voce che si leva dalle galere, dove circa 50.000 italiani attendono la giustizia serena degli uomini. Fra questi 50.000 italiani alcune centinaia, già da 24 mesi condannati a morte, attendono l’esecuzione. È una situazione che farebbe vergogna e disonore anche a un popolo semicivile! (Interruzioni – Commenti a sinistra).

Giorni fa, commemorando Giacomo Matteotti, l’onorevole Mariani ebbe a dirci che l’insegnamento di Giacomo Matteotti prescinde dall’odio e dalla rappresaglia.

Una voce a sinistra. Non parli di Matteotti proprio lei!

PATRISSI. Ora, fate che la voce di coloro che, sacrificandosi, hanno fatto del sacrificio la loro idealità, desti risonanza in questa Assemblea. La voce di costoro l’Assemblea deve ascoltarla, perché 50.000 uomini, con relative famiglie, rappresentano un lievito di discordia, un fermento di odio e costituiscono la base di quella nemesi che altrimenti si abbatterà su di noi tutti. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Abozzi, Veroni hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, considerando che il decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio e di un’imposta proporzionale straordinaria, non risponde nella sua attuale formulazione a concetti di giustizia tributaria, e che sarà esiziale per la economia e specialmente per l’agricoltura dell’Italia centromeridionale e delle isole;

considerando anche che la sua applicazione, anteriore all’esame delle modifiche proposte dalla Commissione permanente ed alla convalida da parte dell’Assemblea Costituente, aumenta le incertezze, gli inconvenienti ed il danno;

invita il Governo a riesaminare il decreto legislativo e ad apportarvi le modifiche intese ad eliminare le conseguenze eccessivamente gravose lamentate dalle classi agricole».

L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO PIETRO. Onorevoli colleghi, desidero precisare che il mio ordine del giorno non tende, neanche indirettamente, a negare la necessità di eccezionali provvedimenti finanziari che mirino a sanare la situazione, pure eccezionale, del nostro bilancio. Dichiaro che nello svolgimento di questo ordine del giorno io mi atterrò strettamente ad esso, senza per nulla accennare a questioni di indole diversa.

La sostanza dell’ordine del giorno, che illustro in questo momento, riguarda una questione di giustizia tributaria, in quanto se è vero che il decreto finanziario del 27 marzo sottopone ad imposte tutti i beni, di fatto ed in pratica incide quasi esclusivamente sui beni immobiliari e soprattutto sulla proprietà terriera. La maggior ricchezza, per non dire l’unica, della regione che io specialmente rappresento qua dentro è costituita dalla terra e dall’agricoltura, e la proprietà in Sardegna, come è stato riconosciuto da vari oratori in quest’Assemblea, anche in discussioni relative ad altre materie, è sommamente divisa e quasi frazionata. La piccola proprietà rappresenta il 99,3 per cento.

Basta premettere questo perché si debba riconoscere che un aggravamento della pressione fiscale, alla quale la proprietà terriera non possa per nulla sfuggire, non può che necessariamente colpire le classi umili e povere a vantaggio, quasi esclusivo, di quelle che si arricchirono dalla guerra e che sfuggirebbero – anche dopo l’applicazione dei provvedimenti contenuti nel decreto 28 marzo 1927 – ad una legittima e doverosa pressione fiscale.

Non occorre che io dica quale insieme di tributi gravi su ogni ettaro di terreno. Insisto nel riferirmi al peso tributario gravante su un ettaro di terra, per dimostrare che l’applicazione dell’imposta patrimoniale straordinaria non riguarda solo grandi estensioni, e i grandi contribuenti, ma riguarda anche quelli i quali possiedono sia pure un solo ettaro di terreno. In quest’Aula, giorni or sono, l’onorevole Pella disse che la pressione tributaria non supera il 25 o il 30 per cento. Io rimasi stupito di fronte a questa affermazione che mi pareva in contrasto assoluto con la realtà. Ma l’onorevole Einaudi ci ha detto ieri come, in definitiva, la pressione tributaria sia tale da doversi ritenere che, se applicata integralmente, supererebbe il cento per cento.

Questo riconoscimento giustifica pienamente il mio ordine del giorno, perché, se, come ha detto l’onorevole Einaudi, è possibile nella pratica ed in certi casi diminuire la pressione fiscale con la tacita acquiescenza degli organi che sono preposti ad applicarla; se è possibile addivenire, cioè, ad accordi con gli agenti delle imposte da parte di coloro che debbono pagarle, questo non è assolutamente possibile nei riguardi delle imposte dirette che gravano sulla terra.

È evidente, quindi, che in Sardegna un’eccessiva gravezza delle imposte finirebbe col pesare esclusivamente sull’agricoltura, completamente rovinandola. Né si dica che i redditi catastali non siano aggiornati perché, come mi permetto di ricordare, nel 1940 sono stati rivalutati i terreni con il coefficiente del 25 per cento dell’estimo e poi in seguito ancora sono stati moltiplicati per 10, in rapporto alla svalutazione della moneta.

La struttura economica dell’isola non potrà reggere allo sforzo finanziario; e la conseguenza necessaria sarà che molti dovranno vendere, con vantaggio immediato degli arricchiti di guerra.

È però da considerare che questo non darà all’erario alcun vantaggio, perché, se mi si può rispondere che i problemi finanziari non si propongono questioni di indole morale, resta però sempre da vedere se il mercato consentirà quelle vendite. La compravendita suppone ed impone la necessità di chi venda e la necessità di chi comperi e, a mio avviso, questa possibilità non si presenterà nel mercato sardo.

L’immediato bisogno di denaro sarà frustrato. Che il decreto del 29 marzo 1947 non risponda a concetti di giustizia tributaria, si può anche dimostrare rilevando che automaticamente, per l’articolo 25 del decreto legislativo, si considererà possessore di un cinque per cento in denaro qualunque possessore d’immobili, in rapporto all’insieme della sua proprietà immobiliare.

La nostra agricoltura è un’agricoltura misera, che risente di condizioni naturali avverse ed insopprimibili: la siccità, i fiumi a carattere torrentizio, le montagne prive di ghiacciai i quali possano alleviare l’agricoltura dalla siccità estiva, mancanza soprattutto del capitale mobiliare che dovrebbe farla vivere e prosperare.

Su questa agricoltura, onorevoli colleghi, inciderebbe la nuova imposta.

Si verifica questo: che da un lato il Governo stabilisce sgravi a favore degli agricoltori che non hanno ricavato il doppio del seme, combatte l’infestione delle cavallette e dall’altra poi procede ad un’applicazione di gravami fiscali per cui quegli sgravi e quegli interventi rappresentano un’ironia.

E quale sarà la sorte dei lavoratori manuali, i quali non avranno possibilità di ottenere lavoro, perché in Sardegna nessun lavoro di conservazione o di miglioramento potrà essere fatto?

A questo proposito – salvo a riparlare del problema quando i provvedimenti finanziari vengano in discussione in modo specifico davanti a questa Assemblea – osservo che il decreto sulla patrimoniale del 1919 stabiliva delle riduzioni del patrimonio imponibile dovuto alla necessità di procedere ad opere di irrigazione, di riparazione di stabili e di costruzioni rurali, ecc. Queste disposizioni, che sono quelle che farebbero vivere l’agricoltura, non sono contenute nella nuova legge. Non posso omettere di rilevare che la maggiore ricchezza mobiliare dell’isola è rappresentata dal bestiame. Abbiamo in Sardegna il registro dell’abigeato, istituito per ragioni di polizia, cioè per la prevenzione dei furti. Questo registro dà quasi al 100 per cento la consistenza del nostro bestiame. Il patrimonio zootecnico fu sottoposto ai famosi raduni, a requisizioni dovute alle necessità di provvedere di carne il mercato locale e i mercati del continente. Ciò non di meno oggi per il bestiame gli uffici delle imposte procedono, in Sardegna, ad accertamenti che risalgono fino al 1940; vale a dire che gli uffici delle imposte impongono a tutti i proprietari di bestiame – e in queste condizioni può trovarsi anche chi eventualmente possieda solo poche pecore – di pagare le imposte anche se lo hanno perduto da anni.

A questo proposito sarà necessario che il Governo esamini l’opportunità di transigere sul rigore assoluto della legge, e rinunzi alle conseguenze del famoso detto romano: res perit domino.

L’obbligo di pagare le imposte non dovrebbe, cioè, essere mantenuto quando l’oggetto sul quale gravi il peso tributario venga poi a scomparire. Ricordo che, dopo il decorso sulla patrimoniale del 1919, molti che per furti ed anche a causa della lotta contro le cavallette erano rimasti privi del bestiame da essi posseduto, furono poi costretti ugualmente a pagare, per quanto la fonte di reddito alla quale si riferiva l’imposta più non esistesse.

Dopo avervi detto questo, per giustificare sommariamente l’ordine del giorno, sarà bene accennare anche alla povertà dell’economia isolana. La Sardegna durante la guerra provvide al mantenimento di 250 mila soldati, poi anche di altri 80 mila che vi arrivarono dalla Corsica; all’esercito così composto di 330 mila uomini i pastori sardi diedero il formaggio che qui, nel continente, era quotato per lo meno a 600 lire al chilo.

Per un accordo fra gli organi sardi e quelli dell’Italia continentale, soprattutto con l’Amministrazione della marina, migliaia di quintali di formaggio vennero ceduti alla marina di Brindisi e di Bari ad un prezzo che non raggiungeva le 100 lire. Tutto questo incide sulla circolazione monetaria; nell’isola oggi la moneta ha una capacità di acquisto maggiore di quella che ha nel continente. Ciò si risolve in un giusto vantaggio a favore delle classi a reddito fisso e delle classi umili; ma pone la popolazione sarda nell’impossibilità di sottostare a pesi fiscali così gravi come quelli che sono stati stabiliti. L’Alto Commissariato praticò una politica di blocco nella quale, bisogna dirlo, furono d’accordo – nessuno escluso – tutti i partiti; politica di blocco in base alla quale si accantonarono a prezzi bassi le quantità di merci necessarie per la vita locale. Anche questo determinò una scarsità di circolante. La stessa quantità di am-lire che nel continente italiano venne diffusa largamente – centinaia di miliardi – in Sardegna fu di qualche miliardo soltanto.

Non dovete poi dimenticare che in Sardegna l’esazione delle imposte procede regolarmente. Gli organi di accertamento e di esazione funzionano. So che in Roma taluno tentò onestamente di poter pagare la complementare perché la sua condizione e la sua dignità gli imponevano di evitare la possibilità, che in seguito, potesse apparire come evasore dell’imposta complementare, ma non riuscì a pagare per il disservizio che regna negli uffici fiscali.

In Sardegna ripeto si paga regolarmente e se noi protestiamo è perché i provvedimenti finanziari graverebbero per la maggiore parte sulla nostra miseria; alle vecchie imposte, che abbiamo pagate, si dovrebbero unire le nuove, mentre altrove non si pagano né le vecchie né le nuove. Capisco che la giustizia tributaria è un mito e so che l’onorevole Einaudi scrisse in proposito un libro.

Ma se il fatto che la giustizia tributaria è un mito può persuadere qualcuno di noi, non persuaderà certo quelle popolazioni le quali, dopo aver sempre sottostato ad una pressione fiscale molto dura dovrebbero adattarsi a sostenerne necessariamente delle altre. Pensate a ciò sotto il punto di vista tributario ed anche sotto il punto di vista politico. Ricordo che l’onorevole Einaudi scrisse che il contribuente che può pagare solo cento lire, non ne potrà mai pagare 120, anche se le imposte vengono presentate con nomi nuovi.

Onorevoli colleghi, concludo: in questi giorni in Sardegna si sono riuniti gli organi economici, e gli organismi amministrativi; essi hanno concretato in specifici ordini del giorno ed in precise richieste la sostanza delle loro domande e, mi permettano anche dire, delle loro proteste.

Credo sia bene, signori del Governo, che quella voce venga ascoltata.

In questa Assemblea, a proposito dell’ordinamento regionale, si è detto che può minare l’unità della Patria, e può rappresentare un motivo di divisione; mentre noi autonomisti respingiamo tale affermazione, richiamiamo l’attenzione di tutti sul fatto che sono questi sistemi d’ingiustizia quelli che rappresentano e costituiscono il seme ed il lievito di possibile avversione fra regione e regione. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Pacciardi. Ne ha facoltà.

PACCIARDI. Onorevoli colleghi, più che un discorso io vorrei fare alcuni succinti rilievi, alcune brevissime dichiarazioni e vi dico subito che se avessi saputo che il nostro Presidente fosse diventato così condiscendente col Regolamento, avrei preferito farlo nella sede ed al momento opportuno.

Voglio dire che io non mi occuperò più in modo specifico del programma del Governo quale è stato presentato dalle dichiarazioni del Presidente e del Vice Presidente del Consiglio. Se ne sono occupati l’amico La Malfa del nostro Gruppo, l’amico Lombardi, che, pur non facendo parte della nostra famiglia, è di una famiglia imparentata alla nostra. E l’onorevole De Gasperi conosce ormai la nostra posizione su questi programmi, perché il nostro dialogo, starei per dire, è antico e costante fino dalla instaurazione del primo Governo della Repubblica.

Vi dirò francamente che noi abbiamo piuttosto fermato la nostra attenzione sui problemi che suscita dinanzi alla nostra coscienza e alla coscienza di una parte notevole del Paese la formazione stessa di questo Governo.

Stamane l’amico Lombardi ha replicato ai giudizi severissimi dell’onorevole Nitti verso questa parte dell’Assemblea. Io non saprei, se pure lo volessi, essere severo con l’onorevole Nitti anche quando dimostra così ampio disprezzo, non credo per le nostre persone, ma per i nostri Gruppi morituri. Spero che ci consentirà, se siamo morituri (grazia ch’ei chiegga non si nega a chi muor) di tentare di elevarci per un momento al disopra delle passioni di parte per tentare di parlare un linguaggio che se non altro avrà il pregio, spero da nessuno contestato, di una assoluta sincerità.

Vi confesso che siamo stati molto perplessi prima di prendere un atteggiamento deciso di fronte al Governo. È troppo facile per coloro che, o per volontà propria o per volontà altrui, sono stati posti ai due opposti lati di una trincea, volgere lo spirito verso la baldanza e l’esaltazione del combattimento. È stato più difficile per noi, perché abbiamo voluto costantemente trovare una strada che ci permettesse di svolgere l’opera, che noi riteniamo in questo momento salutare, di mediazione, senza prendere staffilate da tutti.

La situazione che si è creata è una situazione estremamente dura, difficile e complicata.

Uomini e partiti che avevano stabilito una fraternità fra loro nella lotta di liberazione, che si erano ritrovati nel carcere e nella cospirazione, sono in questo momento, dopo avere affrontato insieme la bella, esaltante battaglia per la Repubblica, non solo divisi, ma in una situazione di lotta senza esclusione di colpi, come abbiamo visto dagli episodi recenti.

Il Paese non può permettersi ancora di questi lussi. Se fossimo in un periodo normale, questa dialettica politica, anche questa lotta politica contenuta in termini di educazione civica, sarebbe un segno di vitalità e forse anche di progresso. Ma il Paese non è ancora uscito dalla sua catastrofe, non l’ha ancora superata, non ha ancora rimarginato le sue ferite; c’è tutto da riedificare, in questo Paese: le case degli uomini, ed anche la più ampia casa civile nella quale bisogna stabilire la nostra pacifica convivenza, che è lo Stato, le istituzioni repubblicane.

E noi vediamo che in questo momento la faziosità ritorna nelle lotte di parte, la faziosità ritorna negli animi, e la faziosità è stata e sempre sarà foriera di sventure per il nostro Paese. Il suo ritorno non ci dice nulla di buono per il nostro avvenire. Che cosa è avvenuto insomma?

L’onorevole De Gasperi, dopo molti tentativi, dopo molte, troppe crisi, ha creato un Governo che, per vivere, ha bisogno degli appoggi della destra conservatrice ed anche reazionaria. Ha bisogno cioè di innestare le forze della Democrazia cristiana che si erano presentate al Paese, che erano nel Paese, che sono nel Paese, e debbono essere nel Paese una grande forza di centro con forze non repubblicane ed anche antirepubblicane. Come siamo giunti a questa involuzione, che da tutti i punti di vista noi giudichiamo estremamente rischiosa per il nostro Paese? Se dessimo tutte le responsabilità alla Democrazia cristiana, evidentemente non saremmo equanimi. È indubitato che i tre partiti maggiori, quelli che erano stati indicati dal corpo elettorale, vale a dire dal popolo sovrano come i partiti che dovevano dirigere il Governo, non sono riusciti a trovare una linea di azione politica che fosse la risultante delle loro diverse tendenze.

Ancora peggio, non sono riusciti a trovare una forma di convivenza nemmeno in quel «domicilio forzoso» di cui parlava – mi pare – l’onorevole Gronchi. I comunisti ed i socialisti hanno rimproverato sempre alla Democrazia cristiana di non aver tenuto fede al programma, o meglio ai programmi che erano stati concordati in comune. La Democrazia cristiana ha rimproverato ai comunisti ed ai socialisti di non essersi fatta ancora una mentalità di Governo, vale a dire una mentalità per cui non è possibile essere, allo stesso tempo, al Governo e all’opposizione. C’è – io penso – qualcosa di vero in queste critiche. Voglio dire di più, per scrupolo assoluto di sincerità. Anche l’accusa che si fa a questi nostri partiti (Indicando il centro-sinistra) di non essere ancora riusciti ad organizzare una forte corrente democratica, repubblicana e socialista, democratica, voglio dire, nel senso moderno, cioè aperta alla comprensione dei problemi sociali, anche questa critica è giusta, perché ciascuno di questi partiti, nelle differenti crisi, non è riuscito ad influire sulla soluzione od ha influito negativamente.

Però, anche se tutti noi siamo disposti a prenderci la nostra quota parte di responsabilità, ciò non toglie assolutamente che la soluzione, che è stata data all’ultima crisi, è la soluzione peggiore. Fra i due De Gasperi, quello che era stato, per le sue tendenze conciliatrici, definito autorevolmente il principe o l’imperatore del compromesso, e l’altro De Gasperi, che considera un po’ il banco del Governo come un «ring» dove si mette bravamente a disposizione dei suoi avversari, francamente noi non sappiamo quale scegliere. Spero che dal momento che è così capace di molte reincarnazioni, venga fuori un terzo De Gasperi che sia veramente accettabile da tutti.

Ma usciamo dallo scherzo, onorevoli signori. Io penso che da tutti i punti di vista la situazione nella quale ci siamo posti è una situazione che deve far pensare, deve far pensare noi, deve far pensare l’estrema sinistra, e, soprattutto, deve far pensale i colleghi della Democrazia cristiana.

Da tutti i punti di vista. Incominciamo dal punto di vista internazionale. La presenza di Sforza al banco del Governo, come titolare della politica estera, dà la garanzia – almeno a noi – che la politica estera del nostro Paese non cambierà. Ed è per questo che noi, nella misura in cui una persona, sia pure come Sforza, internazionalmente conosciuta, può dare questa garanzia anche all’estero, gli abbiamo consigliato, quando ci ha fatto l’onore di chiedere il nostro parere, di restare a dirigere la politica estera anche in questo Governo. Però, non possiamo chiudere gli occhi dinanzi a ciò che avviene nel mondo. Questa mattina l’amico Lombardi ha accennato all’ultimo gesto del Ministro degli esteri americano Marshall, che è veramente degno degli statisti americani i quali sanno qualche volta elevarsi a concetti ed a visioni di un mondo al di là dei conflitti presenti. Non possiamo negare, però, che questi conflitti esistono in potenza, che vi sono due blocchi contrapposti che gravitano alle nostre frontiere, purtroppo mutilate e disarmate. Noi dobbiamo essere estremamente prudenti, anche nel dare l’impressione di certi nostri atti. Guai a noi se le nostre crisi interne, se la nostra politica interna avesse o apparisse avere un sottinteso di esigenze straniere. Noi siamo al punto di confluenza degli urti di questi due blocchi; noi siamo vicini, io spero, a riacquistare la nostra personalità internazionale, e quando l’avremo riacquistata, poiché è nostra missione e nostro interesse, non potremo che puntare su una politica di pace. Se l’Italia vuol vivere e risorgere, non può che fare questa politica e stendere la mano a tutti i nostri vicini facendo quanto è possibile, nei consessi internazionali e nella sua azione politica, perché i nostri vicini si stendano la mano tra loro. Questa è la missione che è affidata all’Italia, a questa zona disarmata, in questo territorio senza padrone, che altrimenti diventerebbe, in caso di guerra, il ricettacolo delle bombe atomiche e sarebbe definitivamente sconvolto e schiantato.

Ora, non so se la costituzione di questo Governo sia sufficiente a dare all’estero l’impressione esatta di questa nostra indispensabile posizione di indipendenza.

Naturalmente, ripeto, la presenza dell’onorevole Sforza – che per noi è una garanzia assoluta – e quella di tutti gli altri membri del Governo, ci permette di pensare che non è nella nostra intenzione di cambiare politica, ma bisogna guardarsi anche dalle apparenze, poiché viviamo in questo mondo e si sono viste le manovre e le pressioni in tutti gli altri paesi del Mediterraneo, e dobbiamo convenire che l’impressione che abbiamo data all’estero non è troppo tranquillizzante. Per che cosa? Per quale fallace illusione? Non è possibile che qualcuno pensi che ci siano banchieri americani che ci manderanno dollari così, che li daranno ad un Governo di parte, ad un Governo non stabile, ad un Governo che può scivolare su ogni buccia di limone, ad un Governo che per la sua costituzione stessa non può garantire quello che gli americani vogliono che sia garantito, cioè la tranquillità del lavoro e la pace sociale.

Nella politica interna noi andiamo fatalmente, onorevole De Gasperi, anche in questo campo, alla costituzione di due blocchi contrapposti: voi raccogliete intorno a voi tutte le forze di destra e vi assicuro che io ero un po’ umiliato, per i miei amici della Democrazia cristiana, delle adesioni che sono venute da quei banchi ai loro programmi e al loro Governo; perché non è questa la funzione della Democrazia cristiana quale il Paese l’ha intesa e quale la Democrazia cristiana stessa l’aveva rivelata. La Democrazia cristiana non può essere l’alfiere delle forze di reazione e di conservazione del nostro Paese. Ma se voi prendete questa funzione e se gli avvenimenti stessi, la lotta che si determinerà tra le due parti di questa Assemblea, e peggio ancora che si verificherà nel Paese, vi costringerà sempre più ad assumere la direzione dei gruppi di destra – compresi i gruppi monarchici e neo-fascisti – se questa è la funzione che voi scegliete, voi non eviterete che si formi un altro blocco dall’altra parte.

Ebbene, o signori, noi non vogliamo, noi faremo di tutto per impedire che il Paese sia ancora una volta diviso fra fìlo-comunisti e anti-comunisti, perché noi sappiamo quello che paghiamo; noi sappiamo le tragedie che ancora scontiamo, per questa divisione faziosa nel nostro Paese. Guai se i gruppi di centro, se i gruppi democratici, se i gruppi della sinistra repubblicana e socialista, guai – dico anche agli amici ragionevoli della Democrazia cristiana – se dovessimo assistere impassibili a un nuovo inevitabile urto di passioni e di fazioni nel nostro Paese.

Non siamo in periodo normale: dobbiamo completare i lavori per la nostra Costituzione, per creare i pilastri del nuovo Stato. Abbiamo a disposizione alcuni mesi di tempo e gli avvenimenti recenti ci obbligheranno anche ad assestare il nostro regime provvisorio: noi non lo potremo fare, non potremo adempiere tranquillamente al nostro lavoro, se getteremo il Paese in lotte così dette civili, ma che sono incivilissime.

Siamo dinanzi allo spettro dell’inflazione, è anzi per questo che voi avete giustificato un Governo di emergenza, avete preso dei tecnici, che evidentemente sono obiettivi; ma si è sempre obiettivi contro qualcuno.

In ogni modo, noi ci inchineremo alla sapienza, alla scienza, agli accorgimenti di questi tecnici, per salvare la lira; ma anche l’opera dei tecnici e degli esperti più agguerriti non potrà niente in un clima, che non sia un clima di serenità assoluta.

Voi avete presentato un programma di emergenza per imporre sacrifici a tutte le classi; ma i sacrifici maggiori, come sempre, saranno sopportati dalle classi lavoratrici, dalle classi a reddito fisso.

Ebbene, voi non potrete applicare questo programma senza creare al contempo le condizioni della solidarietà, della collaborazione di queste classi lavoratrici.

Io vi dirò di più; vi dirò qualche cosa che dispiacerà, forse, ai colleghi dell’estrema sinistra: voi non avete interesse a regalare al Partito comunista questa invidiabile posizione. Noi tutti, soprattutto la Nazione, non ha interesse. No, la via non è facile, la vostra navigazione sarà difficilissima.

Non andiamo incontro a tempi rosei, andiamo incontro ai grandissimi sacrifici e creeremo legioni di scontenti.

Abbiamo avuto in questo dopo guerra il fenomeno di Giannini, dell’Uomo Qualunque, che mettendosi contro il Governo e facendosi eco – a suo modo – delle delusioni, dello scontento e del dispetto dell’uomo della strada, è riuscito, contro tutte le previsioni e contro le sue speranze, a creare un partito politico.

Ebbene, permettetemi di dirvi che se è l’onorevole Togliatti che si mette a capo di tutti gli scontenti, credo che sia molto più pericoloso di Giannini.

TOGLIATTI …ma sempre nell’interesse del Paese!

PACCIARDI. Nell’interesse del Paese, come voi l’interpretate; ma non trovo indispensabile provocare i comunisti a mettersi nella condizione di farsi centro e leva di tutti gli scontenti del Paese.

Badate, che noi, finora, non abbiamo avuto scioperi, o almeno non abbiamo avuto scioperi gravi, non abbiamo avuto grandi agitazioni sociali: abbiamo avuto incidenti minimi; e questo, con tutto il doppio giuoco che voi dite, è indubbiamente un merito dei rappresentanti delle classi lavoratrici.

Le classi lavoratrici non hanno bisogno di eccitare i ferrovieri, di eccitare gli impiegati statali, di eccitare i disoccupati, di eccitare i maestri elementari che vivono con delle miserie. Non ne hanno bisogno: basta che non compiano quell’opera di moderazione che il Governo aveva sinora potuto compiere col concorso dei rappresentanti delle masse operaie.

Ma, amici della Democrazia cristiana, io debbo farvi fare un’altra considerazione: e se il vostro blocco di destra fallisse? (Commenti al centro). Quale sarebbe, in tal caso, l’altra alternativa? Voi non uscirete certamente dalla legalità repubblicana; e allora qual è l’altra alternativa? Non v’è dubbio: l’altra alternativa non è che il trionfo del blocco di sinistra, per cui uno dei tanti slogans dell’amico Nenni, che non credevo così fertile nel lanciare dilemmi tanto drammatici, «dal Governo al potere», molto probabilmente avrà la sua realizzazione, perché succede sempre così agli anticomunisti per partito preso, che preparano il letto al comunismo.

Da tutti i punti di vista da cui si guardi la situazione, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, questa presenta grandi incognite ed estremi pericoli. Qual era il mezzo che noi potevamo impiegare per arrestarvi su questa china dalla quale state precipitosamente scendendo? Se noi votassimo a favore, voi fareste la stessa politica rafforzati dalla nostra solidarietà; se ci astenessimo, voi fareste la stessa politica incoraggiati dalla nostra tolleranza. Noi non abbiamo dunque altro mezzo per tentare di arrestare la Democrazia cristiana su questo pericoloso sentiero nel quale si è messa, se non quello di votare contro il Governo. (Commenti al centro).

Non abbiamo altro mezzo, non abbiamo altra alternativa. E votando contro non vogliamo confondere i nostri voti con quelli dell’estrema sinistra, perché i nostri voti hanno solo questo significato: che noi vogliamo evitare al Paese un deprecabile urto che già si annuncia; noi vogliamo che la fazione sparisca e trionfi la Nazione.

Io, onorevole De Gasperi, nella modestia della mia persona e del Partito che rappresento, non ho voce per rivolgervi un appello che è, credetelo, commosso e accorato in questo momento: se voi avrete qualche voto di maggioranza, pesate questi voti, in questo momento, perché potranno essere delle cappe di piombo sulla vostra coscienza e sulla coscienza del Partito che voi rappresentate.

Io sono un uomo che ha vissuto sciaguratamente per tutta la sua vita nelle lotte civili di cui conosco le ebbrezze, come conosco le amarezze e le brutture: ebbene, è forse per questo, onorevole De Gasperi, che voi dovete ascoltarmi quando io vi dico: se voi avrete questi voti di maggioranza, pesateli bene e date le dimissioni lo stesso.

Certo, anche noi pesiamo la nostra responsabilità dicendovi questo; pesiamo la nostra responsabilità che deve tradursi in un atteggiamento più attivo, nostro e di questi gruppi che si sono istintivamente cercati in un’ora difficile per assumere, d’accordo con noi e con tutte le altre frazioni repubblicane, posizioni nette. Ma ascoltate, onorevole Da Gasperi, ascoltate amici della Democrazia cristiana, l’appello che viene dalla nostra coscienza, interprete – io credo – dei supremi interessi del Paese. (Vivi applausi a sinistra – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Togliatti. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. (Segni di attenzione). Signor Presidente, signore, onorevoli colleghi. È la terza volta, se non erro, oppure la quarta, – se vogliamo tener conto anche della discussione che seguì l’abbandono da parte dell’onorevole Corbino del suo posto di Ministro del tesoro – che noi in questa Assemblea discutiamo della formazione di un governo, del suo programma, del modo come esso si presenta a noi. E tutte le volte, fatta eccezione forse per la prima, abbiamo sentito che le nostre discussioni erano dominate da un certo imbarazzo. Non è mai avvenuto che le cose fossero chiare completamente; non è mai avvenuto che tutta l’Assemblea comprendesse bene di che si trattava. Non siamo mai stati messi in condizione di confrontare il risultato di quello che si presenta a noi come governo nuovo con un precedente deliberato o almeno con una precedente discussione e un precedente schieramento dell’Assemblea. Questo non è mai avvenuto.

La cosa grave, caratteristica, però, del regime nel quale noi viviamo – dirò poi di certi particolari aspetti costituzionali di questo regime – è che nel modo come le differenti crisi scoppiate in regime repubblicano sono state aperte, condotte, manovrate, chiuse, vi è sempre stato qualche cosa, che, per lo meno, dimostra che noi non siamo ancora ritornati, con piena coscienza e convinzione, alla retta pratica del regime democratico e parlamentare.

A gennaio la crisi scoppiò senza un voto dell’Assemblea, e certo fu difficile comprendere perché fosse scoppiata, dal momento che volevamo respingere determinate, antipatiche interpretazioni; e alla fine assistemmo alla esclusione dal governo dei partiti che si sogliono chiamare del centro sinistra. E la cosa non fu chiara.

Oggi ci troviamo di fronte a una rottura più larga. Si apre oggi una scissione, la quale non solo mette da una parte e dall’altra due patti quasi uguali di questa Assemblea, ma è soprattutto una scissione la quale separa, – come testé diceva l’onorevole Pacciardi, e lo diceva, credo, con preoccupazione – i tre grandi partiti i quali raccolsero nelle elezioni del 2 giugno la grande maggioranza dei suffragi e li raccolsero avendo condotto nel Paese (isolato il problema istituzionale, ove la posizione di uno di questi partiti fu equivoca) sulle questioni fondamentali della ricostruzione della nostra Patria, sulle questioni economiche e sociali decisive per la vita degli italiani, una propaganda analoga, agitando programmi i cui punti fondamentali all’ingrosso corrispondevano e persino coincidevano, talora.

Il fatto è grave e noi siamo tenuti oggi a porci il problema: perché questa rottura? Perché è divisa in questo modo oggi la nostra Assemblea? Perché si sono divisi in questo modo e si affrontano oggi in una battaglia, che qualcuno ha voluto prevedere senza esclusione di colpi (quantunque io non sappia bene che cosa questa frase possa significare), e che certamente sarà una battaglia aspra, o che potrebbe divenirlo per lo meno molto presto, questi tre grandi partiti?

Vediamo: in che cosa furono divisi questi partiti nel periodo che immediatamente precorse la crisi, cioè nel corso dei due, tre, quattro mesi precedenti? Non vi fu divergenza sostanziale di opinioni relativamente al giudizio sulla situazione economica e politica del Paese. Non vi fu! Vi furono sfumature diverse e anche stonature, lo ammetto; vi fu da parte degli esponenti del partito democristiano, e particolarmente del Ministro del tesoro e del Presidente del Consiglio, una particolare accentuazione di toni allarmistici e di pessimismo, che altri partiti invece respingevano o avrebbero voluto che fossero moderati.

Ritengo che questi toni facessero già parte dell’orchestrazione della crisi attuale, e del resto tutti ne sono convinti ormai, tanto è vero che non appena il risultato fu raggiunto, i foni furono abbassati e coloro che prima avevano parlato di catastrofe imminente dissero: «No, la catastrofe non è poi tanto vicina, la catastrofe non ci sarà nemmeno», cioè ritornarono a quella che era stata sempre la posizione nostra, dei compagni socialisti e dei colleghi della sinistra democratica. Vi fu essenziale concordanza, quindi, nel giudizio della situazione. Vi fu anche concordanza – ritengo – nel determinare gli obiettivi fondamentali dell’azione economica e politica del governo nel momento presente, e dal Presidente del Consiglio e dai ministri di parte democratica cristiana, e da noi e dai colleghi socialisti indicati, prima di tutto, come necessità di salvare la lira, di lottare contro l’inflazione, di evitarne il pericolo ad ogni costo, perché tutti abbiamo sentito che questo pericolo minaccia tutti i cittadini italiani e in modo particolarmente grave le classi lavoratrici e i risparmiatori meno abbienti (gli abbienti sfuggono sempre a questo pericolo), e in secondo luogo come necessità di difendere il tenore di vita delle classi lavoratrici che noi sentiamo minacciato altrettanto quanto è minacciata la stabilità della nostra valuta. Queste due necessità primordiali sempre sono state poste assieme, e dal partito democratico cristiano e dai suoi esponenti al governo e da noi.

Concordanza, quindi, se non piena coincidenza, anche a questo proposito.

Quanto al programma del governo, al momento della costituzione del precedente governo un programma vero e proprio non ci fu. Furono tracciate alcune direttive generali; in seguito, però, aggravatasi la situazione, il governo e i partiti che ne facevano parte se ne preoccuparono, il partito della democrazia cristiana precisò la sua posizione, noi precisammo la nostra in una risoluzione sulle questioni economiche urgenti del nostro Paese, i compagni socialisti precisarono le posizioni loro. Il complesso dei problemi venne dibattuto nel governo. Ne risultò quel piano dei 14 punti, buoni o cattivi che fossero, di cui molti hanno parlato, e di cui non desidero trattare nei particolari. Certo è che qui pure troviamo un punto di convergenza, di coincidenza e convergenza fra i partiti che costituivano il governo.

Un problema si staccava dagli altri, quello della necessità di un aiuto dall’estero e di esso mi occuperò in seguito. Fin d’ora però è necessario dire che, anche a proposito di questo problema, un dissenso fondamentale aperto fra i differenti partiti che costituivano il governo, anzi fra tutti i partiti dell’Assemblea, non c’è mai stato, e non vi è. Quindi non vi erano qui ostacoli o difficoltà da superare. Nessuno disse che non si dovesse mandare una missione negli Stati Uniti per risolvere le pendenze colla Repubblica nord-americana e trattare la questione degli aiuti passati, presenti e futuri che da quella parte possono venire alla nostra economia per la ripresa e la resurrezione del nostro Paese. Nessuno si oppose; anzi, a capo della missione, che andò a trattare questi problemi, fu posto un collega di parte socialista. Il dissenso quindi non poteva essere, e non era, su questo punto, che poi ha avuto così grande rilievo nelle polemiche della stampa gialla e della stampa nera, chiamatela voi come volete.

Tutto questo sta bene: si dice però che il governo non funzionava e ciò, naturalmente a causa del doppio giuoco dei comunisti. E che cosa non si dice dei comunisti?

Esaminiamo anche questa questione. La crisi, diciamo così del doppio giuoco, fu quella del mese di gennaio. Essa venne aperta, non so se in territorio italiano o in territorio straniero, da una dichiarazione, mi pare, in cui si chiedeva ai comunisti di dire ciò che essi volevano, di assumersi l’impegno di applicare il programma governativo, e così via. È evidente che si alludeva a questo problema, e confesso che quando, nel mese di gennaio – aperta la crisi – mi recai al primo colloquio con l’onorevole De Gasperi, pensavo che il dibattito sarebbe stato su questo punto. Il dibattito non fu su questo punto. L’onorevole De Gasperi mi parlò, sì, della necessità di una solidarietà ministeriale. Credo che non potesse attendersi da me un rifiuto, una riserva nemmeno, ma, quando si venne al concreto, si limitò a parlarmi della sconvenienza che giornali di differenti partiti, partecipanti al governo, pubblicassero resoconti non ufficiali delle sedute del Consiglio dei Ministri. Siccome questa abitudine non era dei nostri giornali, ritenni che la questione non ci riguardasse.

Nel mese di maggio la questione del doppio giuoco, nelle conversazioni fra l’onorevole De Gasperi e me, non venne nemmeno toccata. Vi fu, al solito, il rimprovero che i dirigenti dei partiti, quando si incontrano, sogliono muovere l’uno all’altro circa la asprezza della polemica che viene condotta dalle rispettive organizzazioni periferiche. Anche questa volta si fu d’accordo nel riconoscere che torti vi erano dall’una e dall’altra parte. Quando si è voluto cercare un motivo che giustificasse la crisi, gettandone la responsabilità sopra il nostro partito che in questo modo si sarebbe reso colpevole di aprirla violando determinate norme di solidarietà ministeriale, credo si sia trovata in tutto e per tutto una frase nell’articolo scritto da un resocontista parlamentare che riferiva voci diffuse, per i corridoi di Montecitorio, cose di cui nessuna direzione di partito è responsabile, perché nei nostri giornalisti è invalsa l’abitudine di raccogliere e riferire voci di ogni genere e viene loro lasciato da tutti piena libertà di farlo.

È verissimo che noi, pur essendo nel governo, abbiamo sempre avuto l’abitudine di criticare determinati aspetti dell’attività di questo governo; ma lo abbiamo sempre fatto o per sottolineare il mancato adempimento di punti programmatici stabiliti in comune all’atto della costituzione del governo stesso, oppure per frenare certa tendenza che notavamo nella parte democristiana, con la quale collaboravamo, a una eccessiva invadenza, all’occupazione di una quantità eccessiva di posti, mentre ritenevamo e riteniamo che occorra in questo campo venga data prova di maggiore imparzialità e serenità, soprattutto da parte dei dirigenti e dei Ministri di un governo di coalizione.

Quando si aprì la crisi di che cosa dunque si parlò? Si parlò di attrarre all’opera governativa determinati elementi tecnici che potessero aiutare il governo con i loro consigli. Da parte nostra non venne fatta opposizione. Dicemmo: «Va bene, discuteremo i nomi». Ci venne posta la questione della necessità di ricercare una più larga unità politica facendo ritornare in seno al governo quei partiti che erano stati nei precedenti governi e nel mese di gennaio ne erano usciti. Acconsentimmo; non potevamo non acconsentire. Quando si trattò della composizione del nuovo Gabinetto credo che vi fu un solo partito, il liberale, che pose la sua esclusiva contro di noi; ma è proprio con questo partito che l’onorevole De Gasperi ha finito per mettersi d’accordo. Noi non ponemmo nessuna esclusiva: discutemmo degli orientamenti e del carattere di determinate formazioni politiche, onorevole Giannini, il cui sviluppo e le cui prospettive sono problematici per gli stessi loro dirigenti. Dato questo carattere problematico del futuro sviluppo di queste formazioni è ragionevole vi sia in noi un dubbio circa la loro attuale democraticità.

Quando l’onorevole Nitti si assunse, nonostante il grave carico dell’età, l’incarico di tentare la formazione di un governo di larga unità, sentimmo anche noi, all’inizio, quello che diceva stamane l’onorevole Lombardo. Nella prima conversazione dell’onorevole Nitti sentimmo qualcosa che ci ricordava una democrazia molto lontana da noi nei suoi metodi di vita e di funzionamento. Devo, però, riconoscere che, nel corso delle ulteriori conversazioni, sentimmo la crescente comprensione dell’onorevole Nitti sia per quel che si riferisce al programma, sia per quel che si riferisce al peso, che i partiti, come sono oggi organizzati nel Paese ed in questa Assemblea, devono avere, anche quando si tratta della composizione del governo. Avemmo la netta impressione che da parte dell’onorevole Nitti si facesse un onesto sforzo di avvicinamento ai nostri punti di vista. Fummo grati di ciò all’onorevole Nitti e appoggiammo lealmente il suo tentativo.

Ad un certo punto però, fallito questo tentativo, le cose cominciarono a porsi in maniera alternativa, fra una parte, che poneva condizioni esclusive, ed era la parte liberale, e coloro che cercavano l’unità e chiedevano che venissero rispettate determinate esigenze di programma, tra i quali eravamo noi stessi, che a un certo programma eravamo legati. Fu allora che l’onorevole De Gasperi dovette scegliere. Ed egli, che era partito con l’intenzione di fare il più largo governo di unità democratica che fosse possibile (tali almeno erano le sue dichiarazioni iniziali) si trova a dover scegliere: da una parte, i partiti delle sinistre coi loro 263 voti, che egli ha sempre ottenuto e avrebbe continuato a ottenere senza difficoltà eccessive, e dall’altra i 67 voti dell’estrema destra e della destra, del partito dell’onorevole Giannini, di quel partito liberale, che aveva posto l’esclusiva contro una parte dell’Assemblea, e dell’estrema destra monarchica legittimista. E l’onorevole De Gasperi ha fatto la sua scelta: ha scelto i 67 voti e non i 263. Ecco la politica unitaria dell’onorevole De Gasperi. È evidente che fin dall’inizio – in questo concordo col giudizio dato dall’onorevole Nenni – era nell’onorevole De Gasperi questa intenzione. Bisognava escludere dal governo noi; di rimbalzo veniva escluso anche il partito che è nostro alleato; il partito socialista. Forse all’inizio De Gasperi non desiderava la esclusione dei partiti del centro sinistra, dei repubblicani cioè e degli altri. Egli desiderava però la nostra esclusione e da questa venne infine anche quella. Ho davanti a me l’immagine del senso di sollievo che vidi dipingersi sul viso dell’onorevole De Gasperi, nell’ultimo incontro, che condusse alla conclusione, quando ebbe trovata la via che doveva portare alla nostra esclusione. Egli era arrivato, finalmente, là dove voleva arrivare.

Ed ora ci troviamo di fronte a questo governo, che è di una sola parte dell’Assemblea, alleata, non sappiamo se in modo temporaneo o permanente, coi gruppi della destra e dell’estrema destra.

Desidero, prima di tutto, porre la questione della legittimità e costituzionalità di questo governo. Desidero porla, perché non si creda che nell’impiego, che noi facciamo, di determinate qualifiche e del governo e del presidente, noi ci abbandoniamo soltanto ai piaceri della polemica; no, ciò che diciamo nella nostra agitazione corrisponde al modo come noi giudichiamo il governo sul terreno strettamente giuridico e costituzionale.

Prego gli onorevoli colleghi di avere un po’ di pazienza, perché desidero, a questo proposito, esporre loro con precisione il mio pensiero.

Noi siamo partiti da un regime costituzionale eccezionale, quale fu definito nel decreto-legge luogotenenziale dei 25 luglio 1944, autore l’onorevole Bonomi. All’articolo 4 di questo decreto si dice che finché non sarà entrato in funzione il nuovo Parlamento i provvedimenti aventi forza di legge sono deliberati dal Consiglio dei Ministri.

Regime eccezionale, dunque. Conseguenza politica di questo regime eccezionale: l’esarchia, inevitabilmente, perché tutti i partiti i quali partecipavano al Comitato di liberazione nazionale – e allora il Comitato di liberazione nazionale lasciava fuori soltanto i partiti che non volevano aderirvi, come il partito repubblicano o altri partiti di recente formazione e che anch’essi respingevano l’adesione a quel blocco – avevano il diritto di essere presenti in un Governo al quale dalla legge stessa erano attribuite facoltà legislative. Da questa posizione fino al 2 giugno non ci si stacca.

Il 2 giugno il regime costituzionale cambia, ma anche dopo il 2 giugno rimane un regime di eccezione. Noi abbiamo infatti qui davanti a noi un’Assemblea di un tipo speciale; essa non è un Parlamento; essa è un’Assemblea Costituente, la quale ha per sua funzione di fare la Costituzione e alla quale inoltre sono attribuiti, nei confronti del Governo, soltanto determinate funzioni. Difatti all’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale del 16 marzo 1946, che determina il potere di questa Assemblea, è detto che durante il periodo costituente, fino alla convocazione del Parlamento, il potere legislativo resta delegato al Governo, salvo la materia costituzionale, e fatte alcune eccezioni (legge elettorale, trattati internazionali e così via).

Il governo è responsabile di fronte all’Assemblea, ma questa responsabilità è di un tipo del tutto speciale, tanto è vero che l’Assemblea non dà voto di fiducia al Governo, dà soltanto voto di sfiducia; cioè ha una funzione completamente diversa da quella di un Parlamento, funzione che poi venne leggermente modificata, su proposta dell’onorevole Calamandrei, ma non radicalmente cambiata.

Anche nel regime costituzionale eccezionale, dunque, in cui oggi viviamo, il potere legislativo è delegato al governo, e l’Assemblea non ha, nei confronti del Governo, le funzioni di un Parlamento normale. Di qui la conseguenza di cui ci rendemmo tutti molto bene conto quando discutemmo in seno al Consiglio dei Ministri dell’esarchia di questo decreto e lo portammo poi, per l’approvazione definitiva, alla Consulta. Noi prevedevamo allora, e credo lo prevedessero tutti o quasi tutti i partiti che allora partecipavano al governo, che fino al nuovo Parlamento il governo sarebbe stato del tipo del governo precedente, cioè si sarebbe sempre sforzato di avere la più larga base nell’Assemblea, attraverso l’adesione del maggior numero possibile di partiti. Sarebbe stato, insomma, un governo del tipo precedente, con le correzioni portate dal suffragio universale per quello che si riferisce alla sua composizione e al peso specifico dei partiti stessi. Ecco, secondo me, quale è il regime politico, che corrisponde esattamente al regime costituzionale di eccezione, quale risulta da questa legge. Il governo attuale non corrisponde più a questo regime, in quanto è governo di una sola parte, che ha rotto il tacito patto che esisteva fra di noi, di andare avanti insieme, sia pure con difficoltà, fin che avessimo avuto la nuova Costituzione e il nuovo Parlamento, ed insieme esercitare il potere legislativo, facile o difficile che fosse questo compito.

Questo patto è stato rotto e non ha nessun valore l’argomento che mi venne opposto dall’onorevole De Gasperi quando io feci per la prima volta questa osservazione, ed egli mi disse: «Se ci sarà la maggioranza, tutto sarà legittimo!». No, il problema non è questo. Non qualsiasi maggioranza, dato l’attuale regime costituzionale di eccezione, legittima un governo, ma solo la maggioranza che corrisponda a quel regime politico che abbiamo voluto continuasse a sussistere fino all’entrata in vigore della nuova Costituzione. (Interruzioni al centro e a destra).

Non vale quindi la regola che un voto di maggioranza basta per governare. Essa non vale perché ci troviamo in una situazione anormale, ed è questo il motivo, collega Lombardi, di quel difetto che tu trovi nei governi del tripartito, per cui i Ministri anche quando sono in disaccordo non si dimettono. Sono in disaccordo e non si dimettono perché attraverso le discussioni, e direi anche le opposizioni che si possono verificare in seno al governo, si elabora la volontà legislativa del Paese. (Commenti al centro). E non vale criticare questa situazione. Attraverso di essa e con tutti i difetti che essa porta con sé, siamo riusciti a trarci dalla situazione che tutti sappiamo, abbiamo portato il Paese alla situazione cui l’abbiamo portato e questo è un grande, innegabile merito della democrazia (Applausi a sinistra). Se volevamo raggiungere questo risultato, dovevamo per forza trovare forme di regime costituzionale transitorio, forme di compromesso e di funzionamento anche eccezionale del Governo. È bene averlo fatto; è bene aver pazientato, anche se questo alle volte metteva davanti a tutti noi, davanti ai partiti, davanti ai Ministri, al governo, al Presidente del Consiglio compiti eccezionali.

Ma adesso che faremo? Cambiare il carattere dell’Assemblea Costituente? Sarebbe logico, ma è pericoloso e nessuno di noi lo consiglia. È pericoloso, perché creeremmo di colpo una situazione costituzionale nuova, senza che intervenga la volontà popolare. Creeremmo pure un precedente molto pericoloso. Questa Assemblea potrebbe in tal caso prolungarsi a tempo indeterminato. Una correzione di questo genere quindi non può essere consigliata, pur essendo logica costituzionalmente. La correzione che deve essere fatta è l’altra. Il governo deve ritornare a essere un governo il quale rappresenti la grande maggioranza dell’Assemblea, che non abbia una maggioranza più o meno numerosa, più o meno stabile, trovata attraverso una crisi politica manovrata nel modo che abbiamo visto manovrare questa, una maggioranza che sia l’espressione di tutto quel blocco democratico e repubblicano che si era impegnato a restare unito per fare la Costituzione, uscire dai frangenti attuali, convocare il popolo nei comizi ed instaurare quindi il nuovo Parlamento della Repubblica italiana. (Applausi a sinistra). Questa però, è forma, onorevole Lucifero. Qual è la sostanza? La sostanza è che si sono voluti escludere dalla partecipazione al potere quei partiti i quali più direttamente sono legati alla classe operaia e alle altre classi lavoratrici. (Proteste al centro e a destra – Approvazioni a sinistra).

Colleghi di parte democristiana, vi invito alla calma, perché questo non è che l’inizio della mia critica: v’è di peggio. (Si ride). Quando si chiede di escludere dal potere questi partiti, in sostanza che cosa si vuole escludere dal potere? Si vuole escludere il socialismo italiano, perché questi due partiti, il comunista e il socialista, rappresentano, nelle loro due branche, con le loro affinità e con le loro differenze, questo grande movimento di progresso e di libertà che è stato il movimento socialista italiano. (Applausi a sinistra). E qui sta il grande valore storico della partecipazione al potere dei nostri partiti, qualunque cosa essa potesse costare come grattacapi a un Presidente del Consiglio qualunque. (Interruzioni a destra ed al centro). Era un grande fatto nuovo, che ha influito, in modo decisivo, sull’orientamento degli operai e delle masse lavoratrici, tanto del Nord quanto del Sud, tanto delle campagne quanto delle grandi città industriali, perché si presenta come il risultato e in pari tempo come il generatore di nuovi orientamenti politici delle masse lavoratrici, di orientamenti politici nazionali e costruttivi. La partecipazione al potere di questi nostri partiti – ripeto – qualunque grattacapo potesse costare a un Presidente del Consiglio qualunque (Interruzioni al centro e a destra), è una delle più grandi conquiste della guerra di liberazione. Non possiamo dimenticare che l’iniziativa della guerra di liberazione non fu presa da altri gruppi sociali, no, fu presa dai lavoratori!

CAPUA. Lei non c’era! (Vive proteste a sinistra – interruzioni).

Una voce a sinistra. Voi eravate a Pescara!

TOGLIATTI. Furono i lavoratori che dettero coraggio agli altri gruppi sociali e alle altre classi, incitandoli alla lotta, raccogliendo i dispersi attorno alle bandiere della Patria che doveva essere difesa e liberata. (Interruzioni a destra). Il merito di questo non spetta a singoli partiti politici, perché i lavoratori che ebbero l’iniziativa della lotta erano di tutti i partiti: essi dimostrarono però di essere il nucleo sano della Nazione. Orbene, i lavoratori, mentre combattevano e cadevano per la libertà del Paese, pensavano di combattere e di cadere anche per affermare il loro diritto a essere una delle forze dirigenti della ricostruzione. Questo diritto oggi viene loro contestato.

Di che cosa si accusa la classe operaia? Di che cosa si accusano i lavoratori? Cosa hanno fatto per meritare questa esclusione da parte di un Presidente del Consiglio qualunque… (Prolungati rumori al centro e a destra – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prego di non interrompere!

TOGLIATTI. Desidero dare un chiarimento: io non ho mai detto, come non dico, che il Partito della democrazia cristiana non abbia la rappresentanza di determinati gruppi di lavoratori. Questo non l’ho mai detto e non lo dirò, perché sarebbe un errore, una falsità storica. Ma dico che il Partito comunista e quello socialista sono quei partiti che rappresentano per lo meno la stragrande maggioranza dei lavoratori organizzati nei sindacati. (Commenti al centro).

Vediamo dunque che cosa si rimprovera alla classe operaia e ai lavoratori. Sono gli operai, sono i lavoratori che hanno difeso e salvato dalla distruzione le fabbriche. Non solo, ma gli operai, avvenuta la liberazione, hanno compreso la situazione, dando prova di un mirabile senso politico e nazionale. Essi hanno compreso che l’aver salvato le fabbriche non li autorizzava a porre il problema di una immediata trasformazione socialista della società. L’onorevole Cappi, mi pare, l’altro giorno, sviluppava ampiamente la tesi che i ceti produttori capitalistici hanno diritto di vivere e di contribuire alla ricostruzione del Paese. Onorevole Cappi, se ella fosse un po’ meno ciceroniano, cioè retore, e un po’ più cristiano, cioè rispettoso della verità dei fatti, avrebbe potuto informarsi ed avrebbe saputo che la stessa posizione l’abbiamo sostenuta noi, l’ha sostenuta il Partito socialista, l’ha sostenuta e la sostiene la Confederazione generale del lavoro. Sappiamo benissimo che per la ricostruzione del Paese sono necessarie queste forze e infinite volte abbiamo detto loro: «Collaboriamo», e abbiamo teso loro la mano, abbiamo elaborato programmi di ricostruzione di fabbriche, di zone industriali, di città, di provincie intiere. D’accordo con uomini di questa classe abbiamo avuto, poco fa, un convegno di ricostruzione economica al quale partecipava, insieme coi rappresentanti più avanzati del pensiero economico sociale e socialista, credo persino uno dei Ministri che siede ora al banco del governo.

Quindi, questa accusa cade nel vuoto, questa critica non regge, questo argomento non serve a giustificare questo governo.

Ma gli operai hanno fatto di più: hanno moderato il loro movimento, l’hanno frenato, l’hanno contenuto nei limiti in cui era necessario contenerlo per non turbare l’opera della ricostruzione. Hanno accettato la tregua salariale, cioè una sospensione degli aumenti salariali, senza che vi fosse la corrispondente sospensione degli aumenti dei prezzi. Hanno trattato recentemente la proroga di questa tregua, cioè hanno dimostrato capacità di direzione politica ed economica nella vita del Paese. Nulla si può rimproverare agli operai, ai lavoratori e quei partiti dei lavoratori che meglio li rappresentano non possono essere l’oggetto della manovra di cui sono stati oggetto.

E i Ministri che hanno rappresentato questi partiti nel Governo? Non ho mai sentito una critica seria, fondata, a questi Ministri. Anzi, tutte le volte che, confidenzialmente, si è parlato con i colleghi di altre parti, si è sentito dire che comunisti e socialisti, al governo, vanno benissimo sia politicamente che tecnicamente. Sotto la tua direzione, caro Ferrari, gli operai hanno ricostruito le ferrovie, e non so se tu hai lavorato alla loro testa come politico o come tecnico. Credo tu abbia assolto a entrambe le funzioni assai bene. Ora però si è trovato che ci vogliono i tecnici. Ma stiamo attenti, perché, se Ferrari era anche un tecnico, egli però è l’uomo che ha avuto un figlio fucilato dai tedeschi e dai fascisti là, sulle montagne del Parmense, ed egli stesso è stato a capo del comando unico delle formazioni dei Volontari della libertà della sua provincia. Egli è dunque a posto e come tecnico e come politico.

Noi non siamo contro l’utilizzazione dei tecnici; e vi sono senza dubbio tecnici di grandissimo valore che occorre utilizzare. Però non possiamo dimenticare che al posto di Ferrari vi è oggi uno di questi tecnici, il quale ha al suo attivo dieci anni di iscrizione alla milizia volontaria per la sicurezza nazionale…

Una voce a sinistra. Vi sono dei fascisti al Governo! (Proteste al centro – Commenti – Applausi a sinistra).

TOGLIATTI. Fra l’uno e l’altro il popolo saprà scegliere. (Applausi a sinistra).

La costituzione di questo Governo apre dunque una crisi profonda nella democrazia italiana, perché è la rinuncia temporanea a una grande conquista delle classi lavoratrici, e rappresenta quindi parecchi passi fatti all’indietro nello sviluppo della democrazia repubblicana. Chi ha voluto questo? È errato credere che si tratti soltanto della volontà di un uomo o di qualche uomo. No, si tratta prima di una resistenza ostinata e consapevole, poi di una lotta altrettanto consapevole e ostinata di gruppi conservatori e di ceti reazionari, i quali ritengono di essere investiti, per diritto divino, cioè perché posseggono la maggior parte delle ricchezze del Paese, della facoltà di governare il Paese da soli, escludendo quei partiti che rappresentano in modo più diretto gli operai e le classi lavoratrici. Per determinati organismi, credo si tratti di una posizione persino di principio.

L’onorevole De Gasperi ha avuto un accenno, se non erro, a una sua conversazione del 1924 con l’onorevole Matteotti, nella quale egli aveva esaminato favorevolmente la possibilità di arrivare a una collaborazione fra il Partito popolare e il Partito socialista per salvare la democrazia in extremis. L’onorevole De Gasperi sarà in grado di ricordare quale aspra rampogna gli venne da autorevolissima sede per la posizione da lui presa allora. La realtà è che esistono forze e organizzazioni conservatrici e reazionarie, le quali vogliono sbarrare la strada al progresso della democrazia e a questo preciso scopo si oppongono a che le classi lavoratrici accedano al governo.

Ed è inutile che parliate di comunismo, che sbandieriate ad ogni passo questo spauracchio, come già una volta lo spauracchio socialista. È inutile: oggi, se voi volete davvero la collaborazione sul terreno governativo, a scopo ricostruttivo e nazionale, con la classe operaia e con le altre classi lavoratrici, dovete ricercarla col Partito comunista. Una grande parte, infatti, e in città e in regioni intiere, la maggioranza degli operai e dei lavoratori seguono questo partito. Questo è un fatto, che non mi interessa ora esaminare se sia soltanto del nostro Paese. Certamente questo non avviene ancora negli Stati Uniti, ove il problema si porrà quindi ora in modo diverso; ma qui è così. Tutta la campagna anticomunista che viene svolta dalla stampa gialla e nera, tende perciò, essenzialmente, al solo scopo di impedire che venga risolta la questione della collaborazione positiva, economica, politica, dei lavoratori alla ricostruzione nazionale e quindi al governo, questione che deve essere risolta, se vogliamo far progredire la storia del nostro Paese, se vogliamo creare nuove situazioni politiche e non continuamente segnare il passo sulle vecchie situazioni politiche ormai putrefacentisi.

Devo riconoscere che per molti di voi, cresciuti in clima diverso, questo nuovo compito che la storia vi pone rappresenta qualcosa di ostico. Si è troppo abituati alle formule conservative e politiche del secolo passato; lo dimostra, tra l’altro, il fatto che lo stesso onorevole Nitti ci ha dichiarato, alla fine del suo discorso, che egli non voterà contro questo governo; egli che pure non ha mai trovato difficoltà a votare contro i governi nei quali noi eravamo, insieme con i socialisti.

Credo che anche l’onorevole Benedetto Croce, quando a Salerno, per la prima volta, e in poche ore, sotto l’urgenza delle necessità della guerra e per salvare l’integrità e l’unità d’Italia allora minacciata, risolvemmo in modo positivo il problema della partecipazione di comunisti e socialisti al governo, credo, ripeto, che allora anche l’onorevole Benedetto Croce avesse qualche riserva in merito al nostro ingresso al governo, come forza nazionale e costruttiva. E quella posizione è stata poi tramandata ad altri; direi che si è consolidata nella campagna del partito liberale per l’esclusione dal governo dei comunisti…

CORBINO. Per l’esclusione, no.

TOGLIATTI. Sì!

CORBINO. Noi ce ne andiamo, fatelo voi il governo.

TOGLIATTI. È la stessa cosa. Strana pretesa quella dei liberali. Sono quattro noci in un sacco e vorrebbero tracciare loro la strada al mondo; ma il mondo va per conto suo, vota per questa parte, si schiera da questa parte, si orienta da questa parte. Voi non mirate ad altro che a mandare a ritroso il corso della storia; ma questo non vi riuscirà, non vi può riuscire, anche se oggi avete trovato un Presidente del Consiglio qualunque che vi ha favorito.

Ad ogni modo, ripeto che in tutti i governi finora esistiti e fondati sulla larga partecipazione di tutti i partiti democratici e di tutte le forze popolari, ci siamo trovati di fronte a una ostilità di gruppi capitalistici conservatori, rappresentanti di ceti privilegiati. Questa ostilità si è espressa, prima, nel sabotaggio: oggi si esprime nel tentativo di rompere quella unità di forze popolari che eravamo riusciti a costruire e mantenere. Domani, Dio voglia che questa stessa volontà non si esprima in una offensiva aperta contro le forze più avanzate della democrazia e del progresso sociale. Questo potrebbe essere, per l’Italia, l’inizio di una nuova rovina!

Certo, l’onorevole De Gasperi in tutto questo giuoco ha avuto una parte, e una parte di primo piano. Ho sentito dire che De Gasperi è un onesto democratico. Farei qualche riserva: lo definirei piuttosto un buon conservatore.

Per essere un democratico onesto, mi pare che manchino all’onorevole De Gasperi alcune qualità, che io non dispero però egli possa acquistare sotto lo stimolo dell’amichevole critica anche di questa parte dell’Assemblea. (Commenti al centro). Prima di tutto mi pare manchi all’onorevole De Gasperi una qualità che è indispensabile nell’uomo politico che deve guidare le sorti di una democrazia in un momento così delicato e difficile: l’oggettività. (Commenti). Sì, l’oggettività, l’imparzialità, la capacità di comprendere le posizioni dei singoli partiti per ciò che esse realmente sono, senza travisarle, senza farle oggetto di una tortuosa e complicata ricerca di oscure intenzioni.

Quando vi è, per esempio, una risoluzione del Partito comunista che propone determinate misure economiche le quali si riferiscono al presente immediato, ma si riferiscono anche all’avvenire, e indicano una via di sviluppo che è una via di collaborazione di tutte le forze che possono dare un contributo alla rinascita del nostro Paese, ebbene, egli è tenuto a credere che quella è la posizione dei comunisti, e non un’altra.

Lo so benissimo che, quando si fa dell’agitazione elettorale, alle volte ci si lascia prendere dalla tentazione di dire delle bugie per mettere l’avversario nell’imbarazzo. Lo so benissimo. È molto male però, onorevole De Gasperi, quando un uomo politico crede alle proprie bugie: è la peggior cosa. (Commenti – Si ride).

Una voce a destra. Nosce te ipsum.

TOGLIATTI. Il Presidente del Consiglio, nelle sue conversazioni con un partito come il nostro, il quale non chiede altro se non che le sue posizioni politiche siano prese per quelle che sono, così come esso le espone e come lotta per realizzarle, è di queste posizioni che deve tener conto, e non di altro.

Ho sentito una volta un vostro deputato, poiché si era accennato alle vostre intenzioni che sarebbero diverse da quello che voi dite, protestare con vigore, dire che alle vostre intenzioni non si deve fare il processo. Ebbene, lo stesso vale per noi. Tutti siamo per questo allo stesso livello, e l’applicazione generale di questa norma, che è norma di buona fede, è essenziale per il funzionamento di una democrazia, perché è la sola norma che permetta la convivenza e la collaborazione di tutti i partiti.

Una voce a destra. L’onorevole Togliatti sta facendo il suo autoritratto.

TOGLIATTI. Altrimenti non è possibile far funzionare un regime democratico; altrimenti, scusi, onorevole Giannini, accadrà che non penseremo ad altro che a fregarci l’uno con l’altro.

L’abbandono di questa norma può essere cosa fatale per una democrazia che ha ancora bisogno di consolidarsi e che, per consolidarsi, ha bisogno dell’unità…

Una voce a destra. Ah, ecco: ha bisogno dell’Unità.

TOGLIATTI. …delle sue grandi forze politiche.

Mi pare poi che manchi a lei, onorevole De Gasperi, un’altra qualità: quella di rispettare gli impegni e i patti conclusi. (Proteste al centro – Commenti prolungati). È per ciò che ci siamo trovati molte volte, nel governo, in un grande imbarazzo, perché da un lato avevamo gli impegni presi con il Paese, con i lavoratori che guardano al governo, dall’altro avevamo continuamente la dilazione, il rinvio, la correzione, il riesame, il ritocco, e così via.

Un esempio per tutti: il lodo De Gasperi.

Una voce a destra. Avete votato contro. (Commenti).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore.

TOGLIATTI. Non l’abbiamo fatto noi quel lodo: l’ha fatto De Gasperi; esso però faceva parte del primo programma del primo governo della Repubblica.

Ed è passato quasi un anno, e sono passati due Governi, prima che si arrivasse alla traduzione pratica della promessa fatta di convertirlo in legge. E lo stesso si può dire per molte altre cose. Per i consigli di gestione, ad esempio. Rileggete la vostra risoluzione del giugno, subito dopo le elezioni, dove, come uno squillo di tromba, annunciate come una grande conquista della Repubblica democratica la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, e poi andate a vedere dove sono andate a finire, per opera vostra, tutte le proposte di legge su questo tema. È questa una di quelle questioni che fino ad oggi ci siamo trovati nell’impossibilità di risolvere. E lo stesso si potrebbe dire per il cambio della moneta e molte altre cose ancora. Questo è il vero doppio giuoco che ha paralizzato finora l’azione di tutti i governi presieduti dall’onorevole De Gasperi.

Infine, mi permetta, onorevole De Gasperi, la critica forse più acerba che vorrei farle, è che se in tutti i partiti cattolici d’Europa in generale è scarso lo spirito nazionale, in lei questo spirito nazionale è particolarmente scarso. (Applausi a sinistra – Vivaci proteste al centro e a destra – Rumori – Interruzioni).

Mentre invece riconosco nell’onorevole De Gasperi notevoli qualità di organizzatore: di organizzatore, però, della lotta elettorale del suo partito. (Commenti al centro).

Soltanto, ritengo, vi siano spesso momenti in cui gli interessi elettorali del suo partito hanno in lui il sopravvento sulla considerazione degli interessi generali del Paese e della democrazia. (Applausi a sinistra – Proteste al centro e a destra).

E veniamo ora al programma: il quale consta, se bene ho compreso, di due parti o due punti essenziali. Primo punto, le elezioni a breve scadenza; secondo punto, le questioni economiche: salvezza della lira, imposta patrimoniale e, quindi, i 14 punti del precedente governo.

Disgraziatamente il primo punto è già caduto, non se ne parla più. Le elezioni a breve scadenza, che furono annunciate da De Gasperi nel suo discorso di presentazione del nuovo governo come una proposta del governo stesso, sono state seppellite coi voti del partito dell’onorevole De Gasperi. (Commenti al centro).

Come esempio di politica ad un solo binario mi pare sia mirabile!

E veniamo alle questioni economiche, sulle quali ha parlato a lungo l’onorevole Ministro del bilancio. Mi permetta l’onorevole Einaudi se non mi assocerò al coro di elogi che ha raccolto, anche per il motivo che molte delle cose che ho sentito dire da lui tre giorni or sono, le avevo sentito dire, non ricordo con precisione quante decine di anni fa, quando ero allievo del Professore Einaudi ed ero obbligato perfino a ripeterlo all’esame se volevo prendere il ventisette o il trenta che mi doveva permettere di continuare gli studi senza pagare le tasse. (Si ride). Non ho sentito nelle cose che egli ha detto l’accento dell’attualità politica, né il senso dei problemi che angustiano oggi la massa dei lavoratori. Questo non l’ho sentito!

Vi è poi una questione pregiudiziale, che non so se e in qual modo sia stata già risolta e consiste nel fatto che l’onorevole Einaudi è in pari tempo Ministro e Governatore della Banca d’Italia. Mi pare vi fossero leggi, e se non leggi per lo meno consuetudini, che non permettevano il cumulo di queste due cariche. La situazione quindi oggi non è corretta.

EINAUDI, Ministro del bilancio. Le funzioni sono cessate.

TOGLIATTI. Sì, ma la carica resta.

Ora, vi erano in Italia precedenti memorabili di un’altra linea, la quale esigeva che il Governatore della Banca d’Italia non avesse nessuna funzione politica e nemmeno potesse sedere in un’Aula del Parlamento, né della Camera dei deputati né del Senato.

GIANNINI. C’è il precedente di Bonaldo Stringher.

TOGLIATTI. Precisamente, di Stringher, il quale essendo stato fatto Ministro, non volle essere fatto senatore, perché in tal caso non avrebbe potuto, allo scadere delle sue funzioni ministeriali, tornare ad essere Governatore della Banca d’Italia.

Il fatto che l’onorevole Einaudi conservi la carica suscita un’impressione singolare, onorevoli colleghi, perché noi parliamo spesso di controllo del governo sulle Banche e sul credito e quindi anche sulla Banca d’Italia; ma invece qui si crea una situazione particolare nella quale sembra che sia la Banca d’Italia che controlli il governo… (Applausi a sinistra) e questo non è giusto.

La verità è che la direzione della Banca d’Italia deve essere profondamente trasformata da quella che è oggi. Devono entrare in quella direzione rappresentanti di tutte le forze produttive del Paese, non soltanto banchieri e capitalisti; vi devono entrare rappresentanti delle classi lavoratrici, dei sindacati, delle cooperative. Dobbiamo avere una direzione collettiva della Banca d’Italia, la quale ci dia la sicurezza che non prevalga alla testa di quell’istituto né una dottrina né la concezione politica di un determinato partito né gli interessi di un particolare gruppo sociale; ma siano tenuti in considerazione tutti gli interessi di tutta la Nazione.

Il programma dell’onorevole Einaudi, di cui mi occuperò solo di sfuggita perché altri colleghi del mio partito già lo hanno fatto, è un programma liberale. È quindi di aspetto essenzialmente negativo, e tende a respingere tutte quelle misure oggi reclamate e attuate da tutte le grandi democrazie per organizzare un’azione stimolatrice e direttrice dello Stato sull’economia. Questo programma ignora inoltre i problemi che più angustiano le masse lavoratrici, operai, impiegati e altri lavoratori in generale. Esso ignora quindi anche il problema dei prezzi e quello della lotta che deve essere condotta contro la speculazione. C’è l’imposta patrimoniale, è vero, e speriamo vi rimanga, nonostante l’avversione che abbiamo sentito esprimere al riguardo dall’onorevole Einaudi. Devo però fare osservare che l’imposta patrimoniale, per il momento ed il modo come è stata fatta, non darà i risultati che avrebbe potuto dare, prima perché non venne fatto a suo tempo il cambio della moneta, e poi perché per essere efficace, avrebbe dovuto essere preceduta da una serie di misure per combattere la speculazione e tentare di contenere l’ascesa dei prezzi. Se non si fa qualcosa in questo campo, l’efficacia di una imposta patrimoniale viene ad essere molto ridotta dal giuoco di quelle forze economiche che hanno in mano le leve della speculazione. Ma è appunto in questo giuoco di forze economiche che l’onorevole Einaudi sembra riporre tutta la sua fiducia. Non ostante quindi che il Governo abbia inserito nel suo programma i famosi 14 punti, che abbiamo redatti ed approvati noi insieme con ministri che tuttora siedono al banco del governo, noi nutriamo il più grande scetticismo sulle capacità di questo governo di risolvere nell’interesse generale le gravi questioni della nostra economia nel momento presente, perché nello stesso governo hanno il sopravvento, e proprio nella direzione della politica economica, una parte, un gruppo sociale, una tendenza politica è dottrinaria che non solo sono respinte dalla maggioranza del popolo, ma non sono in grado di farci uscire dalla situazione attuale. Nutriamo i più grandi dubbi sulla capacità di questo governo di tirarci fuori dalle attuali difficoltà facendo l’interesse delle grandi masse popolari e soprattutto prendendo le misure necessarie affinché il peso di queste difficoltà non ricada soltanto su coloro che stanno peggio, sui meno abbienti.

E vengo alla questione dei prestiti esteri. Ho già detto prima che non vi è nessun dissenso di principio sulla necessità e opportunità di questi prestiti; però i dissensi inevitabilmente devono sorgere quando si vedono uomini politici agire in modo che legittima e dà un fondamento all’opinione che le crisi di governo si facciano tra di noi per avere i prestiti, per soddisfare i creditori o i futuri creditori americani, al ritorno del Presidente del Consiglio dall’America, o all’arrivo in Italia di quell’ambasciatore Tarchiani, che non so se debbo definire rappresentante degli interessi dell’Italia negli Stati Uniti o di quelli degli Stati Uniti in Italia (Interruzioni – Commenti). Forse le due cose insieme. Ad ogni modo, l’impressione è questa. E quando sorge questa impressione nell’opinione pubblica, è evidente che noi abbiamo il diritto di essere allarmati.

Se si fanno prestiti alla nostra economia, che è una economia così dissestata, è evidente che i creditori hanno diritto di chiedere garanzie; e nessuno mai da parte nostra lo ha negato. Ma quali garanzie? Garanzie economiche, prima di tutto; cioè, garanzie circa l’impiego di quei capitali, e anche di una stabilità del regime economico, nelle grandi linee che il popolo vuole dare allo sviluppo della nostra economia. Oltre a questo, ritengo legittima anche la richiesta di una certa garanzia di stabilità politica; credo però ne offra di più un governo veramente rappresentativo di tutte le forze democratiche e repubblicane, in particolare delle classi lavoratrici e che seguono i nostri partiti di sinistra, che un governo come l’attuale. Altrettanto legittima mi pare la garanzia che il nostro Paese non si impegni in una politica estera ostile al Paese che ci aiuta. Chi potrebbe, infatti, fare obiezione a questo? La nostra politica e, credo, la politica di tutti i democratici italiani…

BELOTTI. Ed il suo articolo «Ma come sono cretini»?

TOGLIATTI. Non so se ella sappia di lettere latine.

BELOTTI. Un pochino.

TOGLIATTI. Ed allora le dico questo: Superior stabat …agnus.

Io fui attaccato, indegnamente attaccato, in modo oltraggioso per un cittadino italiano; risposi e in casi analoghi risponderei allo stesso modo. (Applausi a sinistra).

Dunque, nessuno farà obiezione a queste garanzie, perché, ripeto, il pensiero comune di tutti i buoni democratici è che la nuova democrazia italiana deve seguire una politica estera, la quale non sia di adesione né all’uno né all’altro blocco di potenze, nella misura in cui blocchi simili esistono, il che può essere contestato. Rimaniamo al di fuori di queste competizioni. Abbiamo abbastanza da fare per la ricostruzione della nostra casa, per medicare e sanare le nostre ferite.

Ma qui si apre il vero problema e nasce il nostro disaccordo. Perché, quando sentiamo avvalorare l’opinione che un governo particolare, un governo, anzi, di un particolare colore e di una particolare struttura, e di quella struttura che io prima ho definita non rispondente alle necessità della democrazia in Italia, deve essere messo a capo del Paese perché questo possa avere quegli aiuti di cui ha bisogno, ebbene, se le cose stanno così, allora non siamo più d’accordo. Questo infatti è un intervento diretto nella vita politica interna del nostro Paese, e quando si interviene nella vita politica interna del nostro Paese, vuol dire che non si fa più una politica di prestiti e aiuti a scopo di ricostruzione, ma una politica di potenza, di conquista di determinate posizioni, e a una cosa simile noi come italiani né ci possiamo né ci dobbiamo prestare, se vogliamo siano risparmiate al nostro Paese le sciagure di un nuovo conflitto nel quale qualcuno sembra ci vorrebbe trascinare.

Sono inoltre completamente in disaccordo con la posizione che ho visto accennata, non so se in una dichiarazione ufficiale del Presidente del Consiglio, o in articoli dell’organo del partito democristiano, dove si dice che noi dovremmo portare il nostro Paese al livello del regime democratico di coloro che ci aiutano. Non sono d’accordo. Il nostro regime democratico si deve sviluppare a seconda del nostro genio nazionale, a seconda delle aspirazioni della maggioranza dei cittadini italiani ed esso avrà la sua impronta particolare, che non sarà né americana, né inglese, né francese, né russa, ma italiana e soltanto italiana. (Applausi a sinistra). E poi, a che cosa livellarci? A che cosa adeguarci? Forse che per metterci allo stesso livello con gli americani dovremmo avere anche noi una legge che metta fuori legge i sindacati e distrugga le libertà recentemente scritte nella nostra Costituzione? Questa sarebbe democrazia? Oppure dovremmo metterci a linciare i negri? Oppure dovremmo avere un regime come quello che in una grande parte, badate, in una gran parte dell’opinione pubblica italiana, suscita sempre l’impressione di essere un regime nel quale in realtà la direzione politica appartiene a plutocratici gruppi e non, come noi vogliamo, alla maggioranza del popolo liberamente espresso attraverso forme concrete di organizzazione e lotta politica?

L’onorevole Giannini ha scoperto che non c’è un problema dell’indipendenza. Mi pare che egli faccia confusione fra la questione della interdipendenza dei singoli Paesi e quella dell’indipendenza nazionale. Quella è sempre esistita, in una certa misura, ed aumenterà sempre più. Lo sviluppo economico di ogni Paese dipende da quello dei paesi vicini e lontani; ma questo non vuol dire che non esista un problema di indipendenza, cioè di libertà interna di ogni popolo, il quale deve essere pienamente nella facoltà di darsi quel regime che crede e di governarsi come crede senza intervento straniero. E questo non vuol dire affatto un ritorno all’autarchia, ma semplicemente il rispetto di quell’ideale per cui hanno combattuto i nostri antenati nel secolo passato e i nostri concittadini che sono morti negli anni del recente passato nella lotta per cacciare dal nostro Paese quello straniero, che pensava di toglierci l’indipendenza, ma copriva anche lui le sue intenzioni reali con le ciance relative a una cosiddetta unione dei popoli europei nella quale la libertà dei popoli sarebbe stata soffocata e distrutta. (Applausi a sinistra).

Ad ogni modo, questo governo oggi c’è, e quali prospettive si aprono per esso e per il nostro Paese? È stato detto: correggiamo subito la situazione, comportiamoci in modo che il governo venga immediatamente riformato e ritorni ad essere quel largo governo rappresentativo di tutte le forze democratiche e repubblicane di cui l’Italia ha bisogno.

Sono convinto che questa opinione è l’opinione, senza dubbio, della maggioranza di questa Assemblea. La maggioranza pensa che questo sarebbe un bene, perché anche coloro che voteranno a favore del Governo pensano che esso è un errore e che questo errore potrebbe svilupparsi anche in una avventura.

Io non so però se si arriverà a riformare il Governo subito. Non lo so, perché ho visto che il giuoco della maggioranza è diventato una cosa molto facile; con una maggioranza si trasformano le cose, si fa diventar bianco il nero e nero il bianco. Tra poco per un voto di maggioranza vedremo l’onorevole Cerreti diventare l’onorevole Scelba e l’onorevole Scelba diventare l’onorevole Cerreti. Vi è ormai un’alleanza che funziona e probabilmente continuerà a funzionare fino all’ora delle elezioni.

Sta bene. Per un partito democratico come il nostro l’appello alle elezioni è un invito a nozze. Si facciano esse qualche mese prima, qualche mese dopo, siamo relativamente indifferenti. Con un governo simile avremmo voluto le elezioni al più presto per sanare, attraverso la manifestazione della volontà popolare, la grave e falsa situazione creata dall’onorevole De Gasperi. Ma diversamente ha voluto l’Assemblea. Più tardi, dunque, ma le elezioni le avremo. Per quanto riguarda il loro risultato, se avessimo soltanto un interesse ristretto di parte, potremmo anche dire, come rilevava testé l’onorevole Pacciardi, che la nostra posizione è invidiabile. Questo è vero in un certo senso, non soltanto per noi, ma anche per il suo partito. In fondo, un governo come quello attuale è un governo che tende a distruggere tutti i partiti che stanno alla sua destra, mentre tonifica quelli che stanno alla sua sinistra!… (Si ride). Ma noi non siamo affatto dominati da preoccupazioni elettorali di partito… (Commenti al centro). Al di sopra di tutto vi è per noi la preoccupazione per il benessere del Paese e per i destini della Patria. Orbene; sappiamo qual è la gravità della situazione che sta avanti a noi. In questa situazione bisogna governare, e bisogna governare nell’interesse di tutti e non solo dei privilegiati, con il consenso della grande maggioranza del Paese, e non solo di una transitoria maggioranza d’Assemblea. Bisogna governare in una situazione che è così grave, così tesa, che ad ogni momento e in ogni villaggio d’Italia può scoppiare un movimento di protesta (Commenti) per le disperate condizioni in cui vivono i nostri lavoratori. Dovrete chiedere dei sacrifici. A chi li chiederete questi sacrifici? E in nome di che cosa li chiederete? In nome di chi? I nostri operai comunisti e socialisti vedranno al governo i rappresentanti del ceto ricco, dei grandi capitalisti come Pirelli, ad esempio; non vedranno gli uomini in cui essi hanno fiducia. È evidente, quindi, che la loro fiducia nel governo come tale non potrà esistere o sarà, per lo meno, una fiducia molto ridotta. Questa è la cosa che più ci preoccupa. Questa è la conseguenza del germe di discordia che è stato gettato dall’onorevole De Gasperi con la presente crisi e con la precedente nella vita politica del nostro Paese. L’onorevole De Gasperi ha dei precedenti in proposito. (Interruzioni). Sì, ha dei precedenti. Io ricordo quando ella, a scopo di speculazione elettorale, impostò tutta una campagna di calunnie contro il nostro Partito per quanto riguardava la questione di Trieste, mentre la nostra posizione nella questione di Trieste poteva e doveva essere da lei sfruttata davanti al mondo intiero per dimostrare la compattezza e l’unità del popolo italiano.

Guai a quel dirigente politico il quale non comprende questa necessità di unità politica e morale, che è oggi condizione indispensabile per la ricostruzione dell’Italia, per la salvezza della nostra Patria.

Certo, oggi, nella nuova situazione creata da De Gasperi, nuovi compiti stanno davanti a noi e a tutti i partiti sinceramente democratici. Ma stia tranquillo, onorevole Corbino. Lei ha dimostrato la sua soddisfazione per il fatto che il nostro partito, messo fuori dal governo, non ha lanciato la parola d’ordine dell’insurrezione. La cosa mi meraviglia. Lei, onorevole Corbino, che ha collaborato al governo con noi e dice di essere uno studioso, avrebbe il dovere di conoscerci meglio. Il fatto che ella faccia una simile affermazione non depone a favore della sua intelligenza. (Interruzioni a destra e al centro).

CORBINO. L’ho voluta fare egualmente!

TOGLIATTI. La questione è un’altra, onorevole Corbino; la questione è che ella appartiene precisamente a quella parte del Paese la quale spera che i comunisti si gettino in una avventura e cerca di provocarla. Ella, quando è stata lanciata la sottoscrizione per il prestito nazionale, ha scritto un articolo in cui diceva che la prospettiva a breve scadenza era della guerra civile. Ella sapeva benissimo che questo non è vero.

CORBINO. Il prestito era un errore!

TOGLIATTI. Peggio! Vuol dire che ella ha fatto ricorso a una provocazione per sabotare una misura diretta alla ricostruzione del Paese. Ripeto, che vi è un mucchio di gente, che va dal capo della polizia all’ultimo gazzettiere giallo, specialisti nell’annunziare ogni giorno che il nostro partito prepara l’insurrezione, che i partigiani si adunano e sono saliti sulle montagne, e cose del genere, la cui azione provocatoria rivela la segreta speranza della parte più reazionaria della Nazione, di quella parte che è responsabile diretta della guerra e della catastrofe abbattutasi su di noi, e che oggi spera di poter riuscire ancora una volta a spezzare con la violenza quella unità della Nazione per cui abbiamo lottato, e lottiamo. (Interruzione del deputato Benedettini). Noi dobbiamo condurre, ripeto, una nuova grande battaglia, questa è la realtà. Abbiamo già condotta una battaglia per la salvezza del Paese al tempo dell’occupazione tedesca e del tradimento fascista, e l’abbiamo vinta! Le più grandi speranze si sono accese allora nell’animo del popolo per l’avvenire del Paese. Abbiamo vinto altre battaglie: quella del 2 giugno, a cui arrivammo grazie alla nostra pazienza e alla nostra tenacia, e vincemmo allora insieme con voi, amici della Democrazia cristiana.

Oggi un’altra grande battaglia deve essere combattuta e vinta per dare un nuovo impulso all’opera di ricostruzione democratica dell’Italia.

Qui non si tratta, amici repubblicani, di comunismo o di filocomunismo. Non è questo il problema: noi non siamo divisi da questioni di ideologia, né vogliamo esserlo. Per questo abbiamo votato l’articolo 7. Un altro problema è in giuoco: è in giuoco la sorte della democrazia e della Repubblica.

Democrazia e Repubblica vogliono dire per il popolo italiano, dopo il crollo del fascismo e dopo l’esperienza del fallimento delle vecchie classi dirigenti reazionarie, qualcosa di nuovo: vogliono dire rinnovamento profondo della nostra vita politica, economica, sociale. Questa opera di rinnovamento, che speravamo di poter compiere, pure attraverso la necessaria prudenza e moderazione, assieme con voi, amici della Democrazia cristiana, oggi viene spezzata.

Ebbene, dobbiamo vincere una grande battaglia per riprendere lo slancio e farlo riprendere a tutto il Paese. Noi non vogliamo nessuna egemonia, vogliamo collaborare con tutti i buoni democratici al rinnovamento democratico italiano! (Applausi a sinistra).

Combattiamo assieme, riportiamo assieme una nuova grande vittoria…

RUSSO PEREZ. Torniamo ai vecchi amori!

TOGLIATTI. …affinché questo episodio possa essere rapidamente cancellato. Consideriamolo come qualcosa che sarà chiuso tra una breve parentesi, cerchiamo di poterlo dimenticare al più presto e tutti assieme potremo riprendere la via della ricostruzione e del rinnovamento democratico della Patria! (Vivissimi, prolungati applausi all’estrema sinistra – Molte congratulazioni).

(La seduta, sospesa alle 19.15, è ripresa alle 19.40).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Gronchi. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Onorevoli colleghi, quasi all’inizio di questa seduta l’onorevole Patrissi bollava di infecondità e di inconcludenza questo largo dibattito parlamentare sulle dichiarazioni del Governo. Vorrei dirgli, a parte l’inesattezza del suo riferimento per il dibattito precedente al suo intervento, che il giudizio si è manifestato tanto più inesatto dopo il discorso dell’onorevole Togliatti, che è valso veramente a rivelare certe posizioni, che era utile che Assemblea e Governo conoscessero. Io ho una grande stima del talento politico dell’onorevole Togliatti, ma debbo dirgli, con amichevole franchezza, che da qualche tempo egli fa di tutto per diminuire questa mia valutazione (Commenti); egli, cioè, sembra perdere spesso quel perfetto controllo di se stesso, del proprio giudizio, dell’intuito dei vari elementi della situazione, che erano veramente caratteristici del suo intelletto e della sua azione. Egli ha fatto oggi, contrariamente alle sue abitudini, l’attacco più duro che sia stato portato al Governo in questo dibattito parlamentare. Non altrettanto duro era stato il discorso dell’onorevole Nenni, non quello dell’onorevole Lombardi, o del rappresentante dei repubblicani storici. L’onorevole Togliatti, non soltanto ha negato fiducia al Governo per la sostanza del suo programma, per la configurazione politica che rappresenta, ma ha anche addentrato il suo esame sugli aspetti della personalità politica del suo capo, onorevole De Gasperi, arrivando a trovare in lui caratteristiche negative che non avevamo sentito rilevare da nessuna parte di quest’Assemblea; fra l’altro, anche il suo scarso senso nazionale; il che mi ricorda che l’onorevole Togliatti è in una splendida e significativa compagnia, perché le accuse di scarso sentimento nazionale vanno dall’onorevole Mussolini all’onorevole Giannini nel Becco Giallo. (Approvazioni al centro).

È certo che la passione politica, che può essere naturale in un dibattito come questo, può giocare dei tiri anche al più controllato degli oratori ed è certo che, all’infuori di queste polemiche, noi ritroviamo quella serenità necessaria a porre in risalto di fronte al Paese la posizione degli uomini e dei partiti e a illuminare e rendere conclusivo questo dibattito.

C’è stata una voce che voglio rilevare, quella dell’onorevole Pacciardi, il quale ha dichiarato che sarebbe inesatto ed ingiusto che si facesse, nel commentare l’attuale situazione governativa e parlamentare, soltanto il processo alla Democrazia cristiana. Sarebbe quindi (egli non lo ha detto, ma è facile dedurlo come conseguenza) utile che ciascuno dei partiti e degli uomini facesse una specie di proprio esame di coscienza.

L’onorevole Nenni ha detto che la crisi attuale è incominciata sostanzialmente il 4 aprile 1947.

Io dico che la crisi è incominciata in epoca assai più remota: il 2 giugno 1946.

Una voce a sinistra. Siamo d’accordo.

GRONCHI. È incominciata cioè da quando, usciti dalla situazione provvisoria dei Governi esarchici, il responso elettorale ha stabilito un rapporto di forze nel Paese e nell’Assemblea, e stabilendo un rapporto di forze, ha anche spostato, direi, il centro della vita e dell’attività politica del nostro Paese. Io non nego la utilità, ai fini generali e collettivi degli interessi del nostro Paese, i vantaggi di una unità e della più larga solidarietà possibile. Dico però che, mentre prima del 2 giugno questa unità doveva essere ritenuta come elemento fondamentale della nostra vita politica – perché era quella che aveva caratterizzato tutto il movimento di tutti i partiti antifascisti, dai liberali ai comunisti – durante la lotta di liberazione e dopo il responso elettorale, un’altra esigenza si faceva luce, quella di rendere possibili delle compagini di Governo efficienti ed operanti; cioè la questione della omogeneità di cui si è tanto parlato, della capacità di un Governo di affrontare e risolvere i problemi prende il sopravvento sulla composizione più larga del Governo stesso.

Io, in seno al mio partito, ho manifestato il dissenso sul metodo di formule di Governo basate su formazioni politiche preconcette, sostenendo che oggi il solo modo razionale per costituire una compagine di Governo capace di operare è quello di fissare un programma minimo sul quale stabilire convergenze e discordanze, senza preoccuparci se questo comporti maggiori o minori dimensioni parlamentari alla base del Governo medesimo.

Il secondo Ministero De Gasperi, nato dopo il 2 giugno, fu un tentativo di creare e consolidare quella unità più ristretta, ma consacrata dal voto elettorale, rappresentata dalla preponderanza di quelli che si chiamano i tre più grandi partiti di massa.

E fu, forse, errore. Voi vedete che comincio a fare un esame di coscienza per conto del mio partito, del mio Gruppo e, forse, della mia stessa persona. E fu forse errore non aver dato la necessaria importanza alla formulazione precisa di Governo.

Pare una cosa paradossale, ma sulla questione dei programmi di Governo è estremamente difficile intendersi, o meglio, estremamente facile fraintendersi, perché la maggior parte delle volte ci è capitato di esaminare tutti i problemi che questo tormentoso e complesso periodo di ricostruzione pone dinanzi al Paese, e di pretendere di farli rientrare tutti in un programma di Governo, quasi che pensassimo di aver di fronte non mesi, ma anni di attività, quali sarebbero stati necessari perché questi complessi e ponderosi problemi, non dico potessero essere risolti, ma avviati sostanzialmente ad una soluzione.

Da ciò è nata la genericità del programma. Invece di curvarsi sulla realtà immediata e restringere l’osservazione a quei pochi problemi che la stessa ristrettezza e limitatezza del tempo imponeva di considerare e di risolvere, questa considerazione invalsa ha dato la struttura così generica dei programmi che quasi mai – è la constatazione che l’onorevole Togliatti ha fatto giustamente – su di essi vi sono stati dissensi; tanto che, formandosi il Ministero De Gasperi successivo, io fui tra quelli che consigliarono che il programma uscisse dal carattere di un formulario, per assumere la concretezza di veri e propri progetti di legge, debitamente articolati. Poiché non basta il dire che in un determinato problema si segue una determinata linea di indirizzo, ma occorre scendere al particolare dell’attuazione pratica, perché proprio in questo particolare si sono sempre verificate le estreme discordanze che hanno reso debole, non soltanto l’attività del Governo dell’esarchia, ma anche di quelli che furono i Governi triarchici, e con l’appendice delle altre forze che vi collaborarono.

Ma, secondo me, l’errore che è stato il germe del successivo sviluppo è un errore di impostazione politica e coloro i quali prendono la situazione attuale come una causa della discordia, capovolgono i fatti, perché la situazione attuale è il prodotto di una discordia che si era già determinata. (Applausi a destra e al centro).

Ora, l’impostazione politica errata era quella che io chiamavo «concezione cooperativa» del tripartito, cioè un Governo tripartitico in cui tutti avessero la stessa influenza e lo stesso posto.

Amici miei e colleghi, si governa difficilmente anche nel seno di organizzazioni che non hanno l’ampiezza e la vastità del Governo di uno Stato moderno, si governa difficilmente perfino fra uomini che condividono le stesse idee e lo stesso programma: immaginarci come deve essere difficile condividere il Governo ed operare fra uomini che hanno concezioni ideologiche opposte.

La concezione cooperativa del tripartito era elemento di debolezza, poiché bisognava concepire fin d’allora un partito al quale o il responso elettorale, o la situazione parlamentare attribuivano una maggiore responsabilità, per riconoscere in esso anche una preminenza di direzione, e non sentirsi diminuiti se, invece di una perfetta e meccanica uguaglianza, la collaborazione era fondata su una collaborazione al fine comune. Lo sforzo fu però di mantenere – e questo dimostra la nostra buona volontà – i primi Governi tripartitici proprio su questa posizione di eguaglianza. E vorrei dire che, se questo non fosse avvenuto, non si sarebbe lasciato comporre il Governo con l’astensione dei capi più responsabili del Partito comunista e del Partito socialista; perché l’astensione dalla partecipazione al Governo dell’onorevole Togliatti, fino da allora, dava la sensazione che il Partito comunista volesse impegnarsi fino ad un certo punto, per rimanere libero da quel punto fino a tutte le possibilità che si offrono ad un partito come il suo, che ha così larghe radici nel Paese.

Fu parlando in sede di dichiarazioni del Governo, nello scorso luglio, che io ebbi a dire che il programma era così largo e concreto che quasi nessuno poteva avere dei rilievi sostanziali da fare; ma il problema politico incominciava sulle possibilità di attuarlo, e queste erano condizionate soprattutto dallo spirito di collaborazione che i partiti partecipanti al Governo vi avrebbero portato. E con molta cortesia, e con molto tatto diplomatico, accennai che avevo qualche dubbio proprio da quei banchi cui appartiene l’onorevole Togliatti. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Infatti basta ripercorrere non dirò la storia, perché sarebbe troppo onore per un episodio come quello, ma di ripercorrere la cronaca, per ricordare certi episodi della conferenza di Parigi (Commenti a sinistra), certi atteggiamenti di Sottosegretari rispetto ai loro Ministri, certi viaggi che scoppiarono non come una bomba atomica, ma certo come una bomba pubblicitaria. Basta rifarsi a tutti questi episodi per trovare nell’opinione pubblica la radice di quello stato di disagio che è andato man mano approfondendosi, rendendosi più concreto e più largo e che ha operato, sì, o signori, anche nel seno del nostro partito, perché il nostro partito sarebbe un organismo morto e insensibile se non si ripercuotessero in esso, con la vivacità dei movimenti vitali, i riflessi delle grandi correnti, delle grandi intuizioni, direi, dell’opinione pubblica, se esso non fosse, in certo senso, determinato nei suoi atteggiamenti e nei suoi orientamenti anche da quello che il Paese pensa di taluni episodi, cui va orientando la sua attività. (Approvazioni al centro).

E l’amico Nenni mi perdonerà se io dico a lui, che pure è stato così garbato nel suo intervento di ieri sera, che non è stato certo uno degli ultimi artefici di questa opinione pubblica che si andava orientando. Si diceva già, infatti, del vento del Nord, del Governo di salute pubblica, di queste nubi minacciose che si annunciavano all’orizzonte e che presero poi corpo in certe affermazioni, come quella che le classi operaie o saranno al Governo, o saranno fuori della legge, o come quella abbastanza recente «dal Governo al potere», posta come linea di indirizzo della politica del suo partito.

NENNI. E in che cosa questo ha disturbato l’azione di Governo?

GRONCHI. Basta, infatti, riandare alla storia, se la storia è maestra, perché è raro che le vicende politiche e sociali di un Paese si presentino con gli stessi elementi e le stesse caratteristiche; è però vero che vi sono alcune analogie che non possono fare a meno di impressionarci. Anche prima del fascismo l’opinione pubblica fu spaventata da tutto un verbalismo rivoluzionario, a cui, disgraziatamente… (Interruzione dell’onorevole Nenni).

Una voce al centro. Lasci parlare.

GRONCHI. …dico «disgraziatamente» riferendomi a quello che venne dopo; a cui – dicevo – non corrispondeva nessuna capacità effettiva rivoluzionaria; e questo produsse una polarizzazione dell’opinione pubblica contro la quale fummo impotenti voi e noi; tanto è vero che ne nacque – perché gli inizi del fascismo da questo furono caratterizzati – un movimento spontaneo che si alimentò in una confusa aspirazione di libertà e di cui profittarono taluni ceti, soprattutto ceti agrari della Valle padana, per dare a questa aspirazione le armi effettive, senza metafora, di una rivolta che poi arrivò a dominare il nostro Paese. (Interruzione dell’onorevole Togliatti – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore!

GRONCHI. A queste polarizzazioni dell’opinione pubblica bisogna fare molta attenzione.

Una voce a sinistra. È un pericolo.

GRONCHI. È un pericolo, certamente; ed è per questo che l’addito, perché il fenomeno non è soltanto italiano. Ma non vedete, ad esempio, che non è casuale che l’ombra di De Gaulle sia dietro le spalle del Governo socialista di Ramadier? Che si senta in vari Paesi questa aspirazione incerta verso forme di autorità che diano una garanzia contro ogni sovvertimento e ogni violenza… (Commenti a sinistra – Applausi al centro).

Una voce a sinistra. Che ombra c’è dietro di voi? (Rumori al centro).

GRONCHI. …e che costituiscono il terreno più pericoloso per le democrazie ancora fragili e nell’atto di fare il proprio scheletro, la propria muscolatura, insomma, la propria forza vitale? (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore!

GRONCHI. Mi vuole permettere l’onorevole Di Vittorio di dare anche una occhiata fugace su quella che è stata l’azione della Confederazione generale del lavoro? Io sono uno di quelli – ed egli lo sa – che crede nell’unità sindacale, e vi crede al di là e al di sopra degli interessi di partito; poiché, secondo me, il fatto sindacale interessa non i partiti ma i lavoratori, soprattutto (Applausi al centro); e dal punto di vista dei lavoratori va considerato.

Ora, non è dubbio che agli interessi dei lavoratori corrisponde l’unità organizzativa, oltre che l’unità di azione; ed è per questo che io sono fra coloro che all’unità sindacale credono; e vi credono anche contro le attuali difficoltà, e anche le cocenti delusioni di taluni. Vi credono, perché hanno fede in se stessi. È vero, onorevole Togliatti, che oggi voi, soprattutto – i socialisti assai meno – rappresentate la grande maggioranza dei lavoratori; ma noi non daremo la battaglia per perduta, perché, se oggi siamo minoranza, noi vogliamo onestamente e democraticamente combattere per rafforzare le nostre posizioni. (Applausi al centro – Commenti a sinistra). E niente vieta di pensare che domani non possiamo occupare posizioni ben diverse!

Non togliete, con una superficialità che non vi fa onore, consistenza a questa mia osservazione, perché mi costringerete a richiamare la vostra attenzione sul fatto che le forze organizzate sono una minoranza rispetto alla massa dei lavoratori (Applausi al centro e a destra), minoranza che non è sempre costituita in forma di legittimità democratica (Applausi al centro). E perciò esiste anche fra le classi operaie quella larga zona neutra nella quale nessuno, neppure voi, sa se prevarremo in avvenire voi o noi.

GIANNINI. O noi! Fra i due litiganti il terzo gode! (Si ride).

GRONCHI. Gli è che i sindacati sono nel campo dell’organizzazione dei lavoratori quello che i partiti sono nel campo dell’organizzazione politica, cioè delle élites dirigenti, che rappresentano minoranze attive, le quali sono più adatte a spingere verso nuove conquiste queste masse inerti e più tarde a seguire.

Orbene, nella Confederazione questa abitudine a considerare tutti i problemi sotto un aspetto politico – che in fondo è caratteristica da attribuire a taluni atteggiamenti dell’onorevole Togliatti o dell’onorevole Nenni – si è rivelata spesso innegabilmente, con chiara evidenza, dalla politica per i salari al blocco indiscriminato dei licenziamenti.

E badate che potrei far mie le parole dell’onorevole Lombardi e dell’amico La Malfa. L’onorevole Lombardi vi ha diretto una volta una lettera che conteneva profonde verità e che ha dato all’analisi della politica confederale elementi di giudizio difficilmente confutabili sul terreno dei fatti.

La stessa vostra mancanza di interessamento nell’intervenire come parte attiva ed operante negli organismi dello Stato, cade sotto la mia diretta esperienza di Ministro dell’industria. Certi interventi saltuari, frazionati e quindi, nella stessa loro discontinuità, non costruttivi, nel Comitato dei prezzi, nel Comitato ministeriale per la ricostruzione, indicano la considerazione dei problemi sotto un aspetto politico.

E guardate: io vi faccio credito per quello che è stato l’immane lavoro di riorganizzazione dal nulla della vita sindacale; ma è una realtà di fatto che questo atteggiamento ha dato alla Confederazione del lavoro un aspetto di organismo che ha raccolto le voci, che confesso giustificate, provenienti dalla periferia circa le tristi congiunture della nostra economia e circa la situazione delle classi lavoratrici, ma che non ha potuto dare a voi il modo di sovrapporre a questo, che era un semplice manifestarsi di istinti e di interessi delle varie categorie, una visione organica nel momento che attraversavamo, adottando soluzioni altrettanto concrete.

E che ci fosse questo ragionare istintivo in termini politici di tutti i problemi economici potrebbe essere dimostrato dall’atteggiamento assunto durante la crisi del Ministero Parri, dove non ritengo che fosse in giuoco nessuna questione fondamentale per le classi lavoratrici, ma che pure agitò (certo, spontaneamente) molti centri operai più importanti dell’Italia settentrionale.

E vi meravigliate se tutta questa situazione è stata utilizzata dalle forze conservatrici? Ma, onorevoli colleghi, pensate voi forse che la libertà e la democrazia siano conquistate in Italia? Pensate che noi non abbiamo altro da fare che imbandierare le finestre per celebrare la conquistata Repubblica? O non sentiamo che c’è ancora molto cammino da fare per consolidare queste nostre istituzioni? (Applausi al centro e a destra – Interruzioni a sinistra).

E allora si impone in coloro che vogliono seriamente difendere la libertà e la democrazia quell’atteggiamento che vorrei, se non vi spaventa la parola, chiamare di equilibrio e che equivale soltanto ad un sano realismo. Vorrei, cioè, non offrire terreno a quelle tali polarizzazioni di opinione pubblica che sono polarizzazioni di interessi e che possono creare ostacoli gravissimi e pericolosi alla vita della nuova democrazia.

Non avete osservato come vi sia stata, da parte di molti ceti abbienti, una vera e propria rivolta contro lo Stato? Non avete sentito come al di là dei pretesti che offrivano in parte le agitazioni, in parte gli interventi slegati e incoerenti di uno Stato che andava ritrovando se stesso, queste forze miravano soprattutto a riaffermare il loro predominio di interessi particolari contro gli interessi collettivi? (Proteste a sinistra).

Io mi ricordo di aver cercato di predisporre per lo Stato certi strumenti di difesa, ma mi ricordo anche di essere stato violentemente aggredito dai colleghi liberali come Ministro niente meno che corporativo, e di essere stato lasciato, non dirò solo, ma in una certa olimpica indifferenza dagli altri colleghi di Governo, perché anche lì il politique d’abord giocava il tiro di far perdere di vista i problemi sostanziali e concreti della vita economica e sociale, cioè gli interessi più diretti delle classi lavoratrici, di fronte alle interminabili discussioni sulla politica interna e sulla politica internazionale.

TOGLIATTI. Noi votammo sempre le sue proposte.

GRONCHI, Non vorrei ricordare che certi provvedimenti rimasero, senza forte reazione da parte del Gabinetto, quarantacinque giorni nel cassetto.

SCOCCIMARRO. E chi presiedeva il Governo?

GRONCHI. Poco mancò che questo non creasse per me una specie di crisi personale.

Comunque, ho voluto richiamare questi dati di fatto per rafforzare la valutazione che ho accennato. E perciò si sbaglia se noi valutiamo la presente situazione come causa di una discordia o rottura di unità, mentre essa va considerata come conseguenza di una rottura sostanziale di unità che, malgrado l’unità formale, non esisteva da tempo (Applausi a destra – Vivi commenti a sinistra).

La situazione che si è creata è certamente fra le più difficili e le meno gradite a noi medesimi. Io non seguirò l’onorevole Togliatti in quella sua ingegnosa e sottile disquisizione sulla legittimità o meno dell’attuale Governo, data la particolare situazione. Mi sarebbe facile dirgli che noi procediamo un po’ su un terreno di empirismo costituzionale, perché stiamo creando una costituzionalità che non ha precedenti e che ha fatto sentire talmente le sue esigenze, che noi man mano siamo andati correggendo nella struttura. Appartiene a questo tentativo di correzione il compromesso fra il carattere puramente costituente dell’Assemblea e il carattere legislativo. Appartiene a questa categoria di espedienti la creazione di Commissioni legislative, le quali sono un vero e proprio strumento di controllo del Governo, per quanto esse, se si guarda alla forma e anche in parte allo spirito che informa la loro costituzione, non sono altro che organismi che decidono sull’importanza politica o tecnica di un provvedimento e se quindi debba o no essere inviato all’Assemblea. Ma in realtà, nell’esercitare questo compito voi, o colleghi che fate parte di queste Commissioni, avete sempre sentito come il vostro dovere di responsabilità andasse più oltre, cioè nell’esaminare il merito di questi provvedimenti, attuando con ciò opera non solo di collaborazione, ma anche di controllo al Governo, fino ad esprimere un vostro vero e proprio giudizio sul contenuto dei provvedimenti medesimi sotto forma di raccomandazione.

Desidero, invece, esaminare brevemente la situazione politica, e dico che essa non è gradita neppure a noi. Vi siamo arrivati come a una soluzione di necessità; ne sentiamo la complessità e difficoltà, ma vi diciamo con piena fierezza ed onestà che ce ne rendiamo garanti come di un Governo che rispetterà e difenderà la libertà e la democrazia. (Applausi al centro e a destra – Interruzioni a sinistra).

Se dovessi raccogliere un’affermazione fatta dall’onorevole Nenni – nobile nel suo intento di trasformare quello che può sembrare un diritto di partecipazione al Governo in dovere di partecipazione al Governo – direi che un’affermazione di questo genere non nega né questo diritto, né questo dovere, perché altrimenti dovremmo ammettere che la partecipazione al Governo debba sembrare o incostituzionale o antidemocratica: tutti caratteri della inamovibilità e immobilità. C’è stato un periodo, nei passati Governi, in cui il Partito socialista ha creduto di non partecipare e nessuno ha gridato che si faceva opera antidemocratica costituendo un Governo. Capisco l’obiezione, così facile e così fondata, che la situazione era ben diversa; ma, non ragionando per assurdo, dico che anche in quel caso vi sarebbe stata materia di avanzare questo dubbio. E non è a parlarsi di esclusione quando, come vi dico, si è arrivati a una soluzione di questo genere come a una conseguenza logica di successivi atteggiamenti. E se avessi dietro le mie spalle un partito, quale era uscito dalle elezioni del 2 giugno, in quei primi giorni di incertezza e di disorientamento che sono stati comuni a tutte le grandi forze politiche, potrei forse essere meno categorico; ma oggi posso dire, perché ne sono sicuro, che abbiamo dietro di noi un partito che ha una sua individualità così forte, che la garanzia, di cui vi ho parlato, non è una vana affermazione di parole, ma è una garanzia effettiva.

La Democrazia cristiana oggi sa quello che vuole. (Applausi al centro – Interruzioni e commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. È una confessione grave, però.

GRONCHI. E comunque vada, sa rimanere se stessa.

Una voce a sinistra. Come nel passato.

GRONCHI. E vi dico che va acquistando piena coscienza delle sue caratteristiche e delle sue funzioni, che sono state spesso adoperate contro di essa nella polemica politica come elemento di scarsa chiarezza: la sua posizione di centro, la sua ispirazione spirituale, il suo interclassismo.

La sua ispirazione spirituale. Ho sentito da molte parti, anche durante la discussione della Costituzione, sollevare ombre di confessionalità sulla nostra azione e sulla nostra struttura. (Commenti). È una grossolana confusione che si fa tra la nostra ispirazione ideologica e la nostra posizione rispetto alla Chiesa, alle sue funzioni ed alle sue gerarchie.

Vi ho fatto notare altra volta che non è fuor di luogo, né casuale che noi non abbiamo ripreso il nome, pure glorioso, di cui non abbiamo da piegare nessun lembo, di Partito popolare; abbiamo voluto chiamarci Democrazia cristiana (Interruzioni a sinistra); abbiamo voluto prendere il nome di Democrazia cristiana, perché esso ci richiama un periodo, durante il quale nel seno dei cattolici italiani si era andata formando la chiarificazione più sostanziale che fosse stata mai tentata, e che se dette luogo poi, resa incerta e saltuaria, attraverso le vicende del Patto Gentiloni, la Union Sacrée della guerra, al tentativo empirico e primordiale del partito popolare, è poi diventata una realtà durante la triste esperienza fascista che ci ha fatti maturi per dare a questo nome «Democrazia cristiana» tutto il suo pieno significato. (Interruzioni a sinistra).

Noi non vogliamo avere nessuna intonazione, nessuna ombra confessionale, perché non vogliamo rinunziare, fra l’altro, alla nostra capacità di diffusione e di conquista. A noi non occorre, come del resto non occorre a voi, che nella vostra politica di partito non chiedete neanche la fede marxista per l’iscrizione, ma chiedete soltanto l’adesione al vostro programma, e vi dissi nel luglio che, se questo fosse vero, non troverei nessuna difficoltà ad iscrivermi (Ilarità a sinistra). Noi non vogliamo porre ostacolo a questa nostra capacità di diffonderci soprattutto verso le classi medie e verso le élites intellettuali, le quali, se non sono captate e tenute da partiti di massa che le saldino coi ceti lavoratori, sono esposte alle più pericolose illusioni verso la destra; perché quei ceti politici, sensibili come sono a motivi ideologici di nazionalismo e di libertà o che so io, vanno troppo spesso ad essere preda, come furono preda nel periodo del fascismo, di ideologie che sono la negazione della libertà e della democrazia (Applausi al centro).

E il nostro stesso interclassismo vi dà una garanzia in questo senso: avete negato risolutamente di non riconoscere ogni funzione anche ai ceti del capitale, della tecnica, della piccola e media borghesia; avete cioè sentito come oggi un puro classismo, quale la vostra dottrina impone e comporta, sarebbe inattuale e darebbe luogo ad una azione ancora più inattuale. Orbene, il nostro interclassismo rappresenta quell’equilibrio fra i vari interessi che è democratico, perché è dominato da una volontà di indirizzare a un interesse comune tutti gli interessi di parte (Approvazioni) ed è dominato da quella sensibilità sociale, che ci fa rivolgere qualche parola piuttosto franca anche alla destra dei liberali e dell’Uomo qualunque. (Commenti a sinistra).

Noi non sentiamo il pericolo grave di certi contatti, che sono, del resto, diremo, transitori e contingenti (Interruzione dell’onorevole Giannini), come tutti i contatti politici; ma vogliamo ricordare all’onorevole Giannini, il quale ieri ha fatto un po’ lui una certa scena di gelosia che rimproverava l’altra volta a voi e a noi nelle nostre diatribe, vogliamo ricordare che non è in noi nessuna volontà né di ignorare l’importanza del suo movimento, né tanto meno di disprezzarlo. Ma la differenza sostanziale di atteggiamento e di indirizzo non va neanche in questa sede nascosta, tanto più quando c’è, o serpeggia, più o meno palesemente, il tentativo di farci apparire come un partito a rimorchio di una situazione oggi determinatasi.

TONELLO. Ve l’hanno detto.

GRONCHI. Noi riscontriamo nei liberali quella mancanza di sensibilità sociale nella considerazione dei fatti, per la quale ogni loro visione della società attuale è unilaterale, incerta ed inesatta. (Commenti a sinistra).

Se dovessimo, come essi sembrano dire, abbandonarci al libero giuoco delle forze economiche, come se esse anche in periodo di depressione tendessero ad equilibrarsi spontaneamente, abbandoneremmo la posizione per la quale la legge del profitto non è la sola a cui debba obbedire la vita economica di oggi, cioè la legge della impresa privata, per la quale il limite della sua espansione e l’optimum della sua dimensione sono costituiti da quello che si chiama il profitto massimale. Questa non è per noi una legge che abbia contenuto e valore sociale.

GIANNINI. Questo lei lo dice solo ai liberali, però. (Applausi a sinistra).

GRONCHI. Il profitto non può considerarsi, secondo noi, come la sola legge che muova la vita economica e quando l’onorevole Giannini ci parla del suo Stato amministrativo, dicendo che lo Stato non deve intervenire, perché non sa fare né il commerciante, né il mercante, né l’industriale, intendendo con ciò lasciare piena libertà all’iniziativa privata, cioè alle forze economiche singole, egli dice una verità ed un errore.

Errore, perché non si tratta di una discussione teorica sull’interventismo, ma di considerazione pratica e concreta dei problemi che ci vengono sottoposti dalla realtà; direi che è una questione di limiti, più che una questione di indirizzo. Ma non si può, col richiamare la inefficienza dell’azione dello Stato in questo campo, negare l’utilità sociale dell’intervento dello Stato medesimo. Non si può misconoscere che nella complessità della vita moderna lo Stato acquista poteri sempre più ampi, funzioni sempre più grandi, perché solo allo Stato è demandato utilmente il compito di difendere la collettività e quello che si chiama il bene comune dagli interessi particolari che si manifestano. Quando l’onorevole Giannini definisce con la sua pittoresca oratoria, il socialismo come l’esasperazione di una impossibilità di attuazione, perché voi – dice rivolto ai socialisti ed ai comunisti – non tenete conto che la natura umana è quella che è, devo rispondere che appunto perché la natura umana è quella che è, è necessario l’intervento dello Stato, tutelatore degli interessi comuni, per correggere gli eccessi degli interessi particolari (Applausi).

GIANNINI. Si viene a creare la borsa nera ed il contrabbando delle valute!

GRONCHI. E non è neppure vero che oggi non sia questione di programma, ma soltanto di vivere giorno per giorno, salvo a provvedere tempestivamente alle esigenze che purtroppo incalzano e si accavallano le une alle altre. Non si tratta soltanto di attrarre, di guidare l’intervento estero e particolarmente americano, il quale chiede di sapere come collocare i suoi denari, quale ne sarà l’utilizzazione e quale sarà quindi l’utilità che, agli effetti collettivi, ne possa derivare, ma anche di regolare e di avviare la nostra vita interna verso una sintesi fra l’autorità e la libertà nel campo politico, nel campo sociale e nel campo economico; sintesi che non è il compromesso, che non è la conciliazione dell’inconciliabile, ma l’esplicazione più concreta e più realistica della funzione dello Stato e, nella nostra ideologia, della funzione di un partito nella vita moderna, cioè non assenza dello Stato, non Stato agnostico, non Stato che lascia abbandonate a sé le forze economiche, ma Stato che sente la sua funzione sociale, piaccia o non piaccia all’indirizzo che seguono tutti i Paesi moderni, America compresa: voi ad ogni momento vedete che lo Stato interviene, oggi contro i trusts, domani contro i sindacati, dopodomani contro ogni forza che al ceto dirigente sembri attentare a quella che è l’utilità comune e l’interesse collettivo.

Per questa ragione occorre non andare soltanto giorno per giorno a risolvere i problemi, ma scegliere l’indirizzo e cercare di adeguarvi la vita politica del nostro Paese.

GIANNINI. È la terza via che abbiamo trovata noi, non lei. (Commenti).

GRONCHI. Vorrei dire che la terza via non è una sua invenzione, ma è un’invenzione del Röpke, che ha scritto su questo argomento interessantissimi libri e molti articoli.

Con questo intendo dire che la nostra presenza al Governo è una garanzia che la libertà e la democrazia sono difese. Non voglia dispiacere a qualcuno che nel Paese ci ascolti, ed è inutile che verso di noi si rivolga l’invocazione come all’ultima Thule della borghesia. Probabilmente l’ultima Thule della borghesia – e non ne vogliamo contestare la funzione – spetta all’«Uomo Qualunque», verso cui si rivolge, in questo momento, la polarizzazione di ogni malcontento e trepidazione, di ogni paura di tutti coloro che vedono nel loro vero volto il nostro movimento, sanno che noi siamo rivolti a progressi sociali e materiali, non solo di conquista politica, ma sostenuti da quelle conquiste economiche senza le quali le conquiste politiche non hanno alcun valore. (Applausi al centro).

Ma mi direte: poiché voi parlate di esclusione, non resta nessuna funzione ai Partiti socialista e comunista. Io credo che voi ne abbiate una importantissima, purché allarghiate lo sguardo da quella che è la situazione interna e vediate qual è la situazione internazionale che si è creata in Europa e nel mondo.

Onorevoli colleghi, noi possiamo deprecare che i principî della Carta Atlantica siano stati così rapidamente dimenticati. La realtà è quella che è. Noi siamo di fronte al cozzo di due colossali imperialismi – non faccio l’analisi se siano guidati da ragioni ideologiche o da interessi materiali – ma sono imperialismi che si accampano, oltre che nel resto del mondo, anche nel centro d’Europa. L’Italia è purtroppo una marca di frontiera: essa è sulla linea di displuvio, e noi vediamo come al sud di questa linea di displuvio talune potenze si aggrappano alle coste rocciose della Grecia per rimanervi come scolte di fronte ad infiltrazioni che esse temono. Questa situazione internazionale condiziona – si voglia o non si voglia – anche la nostra politica interna. Siamo fra coloro che pensano che l’indipendenza non possa essere non solo venduta, ma neppure menomata per nessun beneficio economico. Certo, è vostra funzione di aiutare l’irrobustirsi di questa democrazia nel nostro Paese, perché la migliore garanzia di indipendenza contro ogni mira egemonica sta proprio nell’irrobustirsi della democrazia. (Interruzioni a sinistra).

Dico aiutare, perché, come nel campo della vita sindacale e della vita politica interna noi siamo lieti che le forze dei lavoro, da qualunque indirizzo politico siano rappresentate, siano strette in una collaborazione verso il fine comune della elevazione delle classi lavoratrici, così, nel campo internazionale, non solo non vogliamo soggezioni né a oriente né ad occidente, ma riteniamo che il compito della democrazia moderna di tutti gli Stati europei sia quello di reinserire il popolo russo nel giuoco della vita politica europea, per farne un fattore di progresso, lasciandolo intatto e libero negli ordinamenti che voglia darsi. (Applausi).

Questo è il compito che noi ci attribuiamo. Ed è perciò – ora è la volta degli amici della sinistra, non dell’estrema sinistra – che non conviene, nell’interesse generale del Paese, che voi spingiate la Democrazia cristiana a destra. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Siete voi che la spingete.

GRONCHI. Per quale ragione voi ci avete definito, irrimediabilmente, posizione di centro, quando eravamo di intesa con voi e non dobbiamo rimanere nella stessa posizione ora che vi è un contatto con l’altra parte? (Commenti a sinistra). È politicamente interessante che noi conserviamo, come intendiamo fare, la nostra fisionomia. Ma se la sinistra assume atteggiamenti di distacco, è evidente che inevitabilmente la configurazione politica dell’Assemblea si divide in due parti distinte, ciò che non risponde, noi riteniamo, né alle nostre aspirazioni, né all’interesse del Paese. Questa è una esortazione a considerare l’utilità che questa divisione in due parti quasi uguali non si faccia, e che si dia il pieno significato al voto che ora stiamo per dare al Governo, e che si chiama, non a caso, voto di fiducia. Vuol dire, cioè, dare mandato ad una determinata formazione di mantenere un determinato atteggiamento e di applicare un determinato programma, cioè dare effettivamente fiducia a un insieme di uomini che formano un Governo. (Commenti a sinistra). Questo è l’avvertimento che mi permetto di dare ai colleghi della sinistra democratica, perché indubbiamente se una manchevolezza vi è, che impedisce di dare una base sicura alla nascente democrazia, è l’assenza alla nostra sinistra di forze le quali sentano come sul terreno della libertà e della democrazia possono fare un largo e lungo cammino con noi. (Interruzione dell’onorevole Lussu).

È, insomma, questa specie di vuoto che esiste, a cominciare da noi, fino ai socialisti nenniani, per intenderci, e ai comunisti.

Mancano nello schieramento politico italiano quelle forze di sinistra intermedie, che costituirebbero con noi il centro, il fulcro più efficiente. (Commenti a sinistra).

Vi sono estremi opposti, i quali hanno già fatto la loro prova, non soltanto nella vita politica italiana, ma anche nella vita degli altri Paesi, ed è utile che noi non ritentiamo l’esperimento, e noi non intendiamo ritentarlo.

Dicevo, e concludo, che persino dietro il Governo socialista di Ramadier – il quale dimostra un senso dello Stato così vivo e così operante da opporsi con coraggio e con equilibrio, ma con rigore, a tutte le forme di agitazione che possano minacciare la stabilità finanziaria ed economica della Francia – non è invisibile l’ombra di De Gaulle, il quale è il rappresentante, non solo, e forse non principalmente, della reazione; poiché il popolo francese non è nella sua enorme maggioranza nostalgico di nessuna reazione e di nessuna restaurazione; ma del malcontento, del senso di incertezza, della volontà di appoggiare su qualche cosa di stabile la vita del Paese, in momenti così tristi e così tremendi per l’interesse collettivo. Egli può essere lo strumento di reazione di cui è impossibile indicare oggi il cammino e che potrebbe rivolgersi proprio contro le classi popolari.

GIANNINI. L’Uomo qualunque francese!

GRONCHI. Orbene, come in Francia, finché esisterà un Movimento repubblicano popolare, che va consolidando la sua posizione e il suo indirizzo democratico, così in Italia, finché esisterà un movimento democratico cristiano, è inutile sventolare il fantasma della reazione perché la democrazia, la libertà e la Repubblica troveranno in esso la difesa ed il baluardo più valido ed effettivo. (Vivissimi applausi Moltissime congratulazioni).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vorrei ricordare all’Assemblea che ci siamo dati tutti insieme – nessuno escluso – un programma di lavori per questa seduta, e poiché abbiamo fatto una interruzione di 30 minuti un’ora fa, penso che non vi sia bisogno di un’altra interruzione, dato che c’è ancora un oratore iscritto, l’onorevole Corsi.

Restano, poi, ancora da svolgere due ordini del giorno e noi siamo sicuri che i presentatori sapranno attenersi al limite di tempo prestabilito, tenendo anche conto della lunghezza di questa seduta.

Successivamente, si pone il problema della risposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. D’accordo con lui, io penso che possiamo rinviare quest’ultima parte dei nostri lavori a domattina. Se non vi sono obiezioni, ritengo che tutti possiamo essere d’accordo che la seduta di domattina sia dedicata alla risposta del Presidente del Consiglio.

Seguiranno le dichiarazioni di voto, e vorrei dire subito che l’ampiezza del dibattito e la precisione degli atteggiamenti assunti probabilmente non renderanno necessarie molte e, soprattutto, lunghe dichiarazioni di voto.

Si passerà, poi, al voto, in maniera tale che, se incominceremo la seduta alle 9, potremo finire con la votazione verso le tredici, naturalmente rimettendoci alla discrezione di coloro che faranno le dichiarazioni di voto. In questo modo tutti noi potremo osservare i programmi predisposti per il pomeriggio ed anche per il giorno successivo. (Commenti).

Onorevoli colleghi, ho esposto questo programma dei lavori sulla base di un colloquio avuto coll’onorevole Presidente del Consiglio. Mi pareva che in generale, salvo a stabilire l’ora d’inizio della seduta di domani mattina, si avesse un’accettazione generica. Vi sono, però, alcuni colleghi i quali preferirebbero continuare stasera i nostri lavori. (Commenti).

Ora, poiché mi pare che ci sia un certo contrasto a questo proposito, risolviamolo immediatamente, ma risolviamolo anche in relazione al fatto che, sulla base del colloquio – che non era un impegno, poiché la decisione spetta all’Assemblea – che ho avuto coll’onorevole Presidente del Consiglio, a certi colleghi che sono venuti ad informarsi sull’andamento dei nostri lavori, per regolarsi su ciò che dovessero fare, è stato detto che non si votava stasera, e pertanto si sono allontanati. (Commenti).

Vi è però la reciproca, nel senso che alcuni colleghi, pensando che si votasse stasera, hanno preso impegni per domani mattina.

Questa è la situazione. Adesso decidiamo cosa dobbiamo fare.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io avevo espresso il desiderio di parlare domani, per rispondere più esaurientemente a tutti gli oratori. Per questo intendevo parlare dalle 10 in poi, in modo che vi fosse tutta la possibilità che l’Assemblea si radunasse di nuovo nella sua grande maggioranza.

Però, se vi sono eccezioni, sono disposto a parlare domattina alle 8.30, perché tengo conto degli impegni presi a partire dalle ore 13.

TIERI. Meglio stanotte.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io credo di venire incontro nella misura del possibile alla volontà dell’Assemblea. Però, se c’è un forte gruppo che desidera che io parli stanotte, mi sobbarcherò a parlare stanotte.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, io non vedo la ragione di chiudere questa discussione sulle dichiarazioni del Governo e di votare con tanta urgenza. Non vedo questa urgenza, tanto più che oggi ho avuto l’impressione che si sia tentato un colpo di mano. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, non faccia un discorso politico. Parli di questa questione.

GIANNINI. Le garantisco che non farò un discorso politico, ma tecnico (Si ride). Ho l’impressione, da quanto ho udito dal mio eminente collega Gronchi, che si sia pensata qualche cosa che possa turbare un orientamento già raggiunto. Mi sembra assurdo, in tali condizioni, preoccuparci della partenza dei treni che i nostri colleghi dovranno prendere e dei loro interessi nei rispettivi collegi. Mi sembra che sia perfettamente inutile preoccuparci della loro stanchezza.

Io propongo – allo scopo di rendere sempre più chiara e cristallina questa nostra funzione politica, nella quale davvero vado facendo delle stupefacenti scoperte di cristallinità – di continuare la discussione per altri due, tre, quattro giorni (Commenti). E che c’è di male? Abbiamo gli uscieri alle calcagna? Abbiamo qualche cambiale in protesto? O avete forse troppa fretta voi? (Accenna a sinistra).

Aspettiamo: vuol dire che si voterà mercoledì, giovedì, venerdì, Non fa niente, signor Presidente! L’Italia sta tanto bene senza Governo! Può aspettare altri due giorni!

Quindi propongo di sospendere perché sono le ore 21. Domani faremo la seduta alle 10, perché noi siamo uomini e non siamo muli. Ad un certo momento si toglierà la seduta antimeridiana e i colleghi partiranno. Lunedì ci rivedremo – in grazia di Dio – e andremo avanti, perché finché c’è tempo c’è speranza, e non c’è bisogno di cadere in nessuna trappoletta ed in nessun guet-à-pens, come direbbe il collega Nenni.

PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta dell’onorevole Giannini di rinviare la seduta a domattina per proseguire la discussione, e suppongo che l’onorevole Giannini non penserà di iscriversi ancora una volta a parlare.

GIANNINI. C’è un ordine del giorno mio e ne approfitterò.

PRESIDENTE. Ma lei ha già parlato.

GIANNINI. Vuol dire che parlerò in sede di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Questa proposta implica il rinvio della votazione alla prossima settimana. Vi è poi la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio di condurre a termine stasera la discussione, dando facoltà di parlare all’onorevole Corsi e agli altri oratori iscritti, e di rinviare la seduta a domattina alle otto e trenta. (Commenti).

Non mi pare che sia una cosa stranissima che una volta tanto nella storia del Parlamento si cominci la seduta alle otto e mezzo, con il sole alto, in piena estate.

C’è, infine, una proposta dell’onorevole Schiavetti di continuare i nostri lavori stasera sino a votazione avvenuta. (Commenti).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio.

(È approvata).

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, continuiamo la discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole Corsi. Ne ha facoltà.

CORSI. Onorevoli colleghi, sono rammaricato di dover prendere la parola, direi all’ultimo punto, quando l’Assemblea ha compiuto un’altra delle sue laboriose fatiche, e dopo che numerosi oratori hanno esaminato sotto ogni aspetto il problema grave che ora a noi si pone, cioè quello prevalente di natura politica, connesso ad elementi di natura finanziaria ed economica relativi alla vita del Paese.

Peraltro, debbo brevemente assolvere il compito che mi è stato affidato dal mio Gruppo, di precisare, in attesa d’una dichiarazione che sarà letta al momento del voto, le linee generali ed ispiritatrici della nostra condotta. Profitterò brevemente della vostra benevola attenzione, e rinuncerò a quella più vasta analisi che mi ero proposta per adempiere all’obbligo di chiarire tale nostra condotta politica in rapporto non a formali posizioni, ma all’obiettiva valutazione di elementi politici, finanziari ed economici. Se noi vogliamo dare un giudizio della situazione, nella quale si va laboriosamente formando la nuova democrazia italiana, possiamo e dobbiamo constatare come il tempo divori le situazioni che successivamente si creano e forse anche gli uomini, che di esse sono gli esponenti più significativi. L’esigenza fondamentale, sentita soprattutto dal Paese, è quella di un equilibrio che consenta alla nuova democrazia di affermarsi, di affondare le proprie radici nella vita nazionale, fra gli strati più profondi e anche fra quelli più alti, realizzando quell’opera di conciliazione che tutti i partiti, dai più estremi gruppi fino a quelli di destra, hanno auspicato come una necessità essenziale della nuova vita italiana. Ma spesso appare, destando in noi preoccupazioni profonde, la possibilità che all’equilibrio si sostituisca il conflitto, e questo cadrebbe sul corpo già tanto piagato della Nazione. Ora, come si inquadra la crisi ministeriale della quale noi ci occupiamo, in questa esigenza di equilibrio e in questa possibilità paurosa di conflitto? Se noi vogliamo aver riguardo ad una democrazia sostanziale, effettiva, che esprima le esigenze del nostro spirito e quelle degli interessi nazionali di ogni classe, noi dobbiamo dire che la democrazia sostanziale non ha trovato espressione in una crisi ministeriale extra parlamentare, sulle cui origini, sui cui moventi, sulle cui cause profonde, per altro, l’onorevole Presidente del Consiglio non ci ha dato, per quanto ispirato dalla più lodevole intenzione di non esasperare i contrasti, sufficienti chiarimenti. E se valutiamo, noi, di questo Gruppo, la esclusione dal nuovo Governo di quelle forze socialiste e comunque centriste, che mirano a realizzare in Italia, in questa situazione di auspicato equilibrio e di temuto conflitto, una posizione di mediazione o di conciliazione, se consideriamo la esclusione di queste forze per le condizioni ad esse fatte d’una pura partecipazione tecnica, quasi sequestro di alcuni uomini, valutati esclusivamente per le loro capacità intellettuali o per la loro esperienza, in una coalizione politica, noi abbiamo ulteriori ragioni di perplessità nel considerare la soluzione della crisi ministeriale.

Possiamo dire, senza ambagi, che essa non è sodisfacente, non risponde alle esigenze della vita nazionale in questo momento, sovrattutto perché nella nuova compagine ministeriale non sono rappresentate le forze politiche, dicevo centriste, interpreti della più consapevole volontà delle classi lavoratrici italiane, le quali, ugualmente lontane da ogni posizione estremista, si richiamano a quella tradizione, veramente italiana e socialista, la quale è affermazione di garantite libertà, nella pratica di un’alta tolleranza, e vogliono realizzare audaci riforme, obiettivamente compatibili colle condizioni odierne economiche, finanziarie, internazionali del nostro Paese.

Giudizio, quindi, di insodisfazione per le forme, i modi e le conclusioni della crisi ministeriale.

D’altra parte, colla stessa obiettività, noi dobbiamo dichiarare contradittorie le severe rampogne, autorevolmente espresse dall’onorevole Morandi, prima, dall’onorevole Nenni, poi, e da ultimo, questa sera, dall’onorevole Togliatti, circa la fine della coalizione tripartita.

Infatti, è già stato rilevato stamani dall’onorevole Lombardi – e su questo punto, come su altri, io mi limiterò ad accenni – che non si sta al Governo nelle condizioni da tali oratori lamentate. In sostanza essi hanno formulate delle vere e proprie accuse contro il Presidente del Consiglio; e l’onorevole Scoccimarro ha parlato addirittura di accertamento di responsabilità. Si è precisato che l’onorevole De Gasperi ha fatto «marcire» – questa è la parola, che io ripeto – la conclusione del prestito dei 100 milioni di dollari; inoltre, che il cambio della moneta non è stato operato per un larvato ostruzionismo, che avrebbe preso volta a volta aspetti o pretesti diversi, come quello della polizia insufficiente e impreparata, dell’amministrazione priva di mezzi tecnici necessari e via di seguito. Si è detto che la stessa organizzazione dell’I.R.I. e la sua destinazione a un compito specifico nell’attuale momento economico sono state paralizzate dalla volontà sagace ed insieme dilatoria del Presidente del Consiglio; e altro per altre questioni, per altri mancati provvedimenti. Anche per quanto concerne l’attribuzione del 50 per cento della valuta ai privati esportatori, abbiamo udito recriminazioni e condanne. Questi i motivi pei quali la tripartitica coalizione governativa non ha funzionato ed è stata ridotta alla paralisi.

Comunque sia delle accuse, la constatazione obiettiva c’è: il Governo tripartitico non ha sodisfatto le esigenze della grande maggioranza degli italiani, che attendeva la soluzione di problemi concreti, che attendeva la realizzazione di una parte, almeno, di quei quattro o tre programmi, che furono enunciati qui, relativi a tutti gli aspetti della vita nazionale, agricola, industriale, finanziaria, sociale. Il Governo tripartitico, per constatazione unanime e concorde, alla quale si sono aggiunti questa sera i ricordi e le notizie dell’onorevole Gronchi, era condannato per la sua stessa inefficienza.

Ebbene, la democrazia sostanziale, della quale parlavamo, esige, soprattutto, che una coalizione governativa, imperniata su di un programma liberamente accettato, ponga in esecuzione e realizzi questo programma, e innanzitutto, che essa sia fondata su di una effettiva e leale collaborazione; senza di che essa diventa corruttrice, crea il trasformismo e l’equivoco, la contradizione e la subdola condotta dei partecipanti alla coalizione. Ciò che è tanto più grave in quanto il Governo ha oggi, come è stato qui da più parti ripetuto e ricordato, i poteri di una Assemblea, ha i poteri legislativi, ed esso solo può e deve esercitarli nell’interesse del Paese; ciò che è tanto più grave se si considera la situazione, sotto ogni aspetto preoccupante, della nostra vita nazionale.

Della situazione, io non dirò, come col suo umorismo l’onorevole Nitti ha voluto dire, che i problemi non sono poi così grandi; e che si tratta, in fondo, del conto della serva, ma certo è che non si tratta di cose sublimi. Sono i problemi relativi al bilancio dello Stato, cioè all’adeguamento delle entrate, alla circolazione ed alla svalutazione della moneta; al rapporto tra importazioni ed esportazioni; alla politica degli investimenti. Tutti essi involgono il problema insieme pauroso e fondamentale della ricostruzione della vita nazionale, della efficienza della sua amministrazione e del suo Governo; ma specialmente esigono una politica di fatti e non già di parole; non di soli programmi, ma di azioni concrete; non soltanto di previsioni, ma di realizzazioni.

Ora, per la effettiva soluzione dei problemi anzidetti, che possono riassumersi in una breve formula «assetto di un bilancio e di una bilancia e saggezza negli impieghi dei nuovi risparmi attualmente disponibili», dobbiamo ricordare a noi stessi che poco è stato compiuto delle cose indispensabili, alle quali bisognava con la più grande energia che il Governo, capace di potere legislativo, si accingesse.

L’onorevole Scoccimarro ha dichiarato (l’ha detto più volte) che la situazione non è grave, non è eccessivamente preoccupante o, per lo meno, che non in tutti i tre anzidetti settori si verifica questa allarmante situazione. Ma contro l’ottimismo dell’ex Ministro delle finanze noi dobbiamo ricordare il giudizio dell’onorevole Morandi, il quale, nel suo importante discorso di Milano, ha affermato che il Paese si trova al limitare del baratro; dobbiamo ricordare le affermazioni dell’onorevole Campilli il quale ha parlato eufemisticamente di «nave sbattuta dalla tempesta». Infine l’onorevole Einaudi, che ha lanciato un «grido di allarme», avvertendo che ci troviamo ad un bivio, donde si può ugualmente procedere verso una vetta di salvazione o verso un abisso.

D’altra parte, dinanzi a queste valutazioni così gravi e direi concordi di uomini autorevoli di diversa fede politica e tutti di alta competenza finanziaria ed economica, abbiamo i dilemmi ferrei, posti dall’onorevole Campilli nelle Commissioni riunite, i quali distruggono e rendono inutile, direi deplorevole, ogni discussione a carattere scolastico e teorico sulla nostra situazione economica e finanziaria.

Perché l’onorevole Campilli, alle varie osservazioni dei nostri colleghi che, in quelle quattro o cinque sedute delle Commissioni riunite, hanno con scrupolosa coscienza esaminato tutti i problemi finanziari, economici tributari, riferentisi a ciascuna particolare situazione e a ciascuna particolare azienda dello Stato, ha posto questi dilemmi, e dobbiamo dargliene atto.

Impossibilità, per ciascun uomo, di qualunque partito, di qualunque ideologia politica o tendenza dottrinale, di evitare la scelta circa l’impiego della valuta disponibile: in beni di consumo, o in beni strumentali destinati a creare o ricostruire fonti di nuova ricchezza? Chi concede prestiti – disse l’onorevole Campilli – vuol sapere come intendiamo restituirli; non certo, naturalmente, consumandoli.

L’I.R.I. – Come alleggerire la posizione se occorre preoccuparci della sorte di trentaquattromiladuecento operai in eccedenza? Il problema è non solo finanziario ed economico, ma sociale.

Le industrie dovrebbero rifornirsi con capitali presi da fonti normali di risparmio, presso fonti ordinarie di credito, ma le esigenze eccezionali e le necessità di impedire una più paurosa e vasta disoccupazione hanno imposto allo Stato (spesso attraverso richieste delle stesse organizzazioni sindacali e dei partiti che sono a più diretto contatto con le classi lavoratrici), questi finanziamenti a favore delle industrie.

I residui. – Tutte le osservazioni sono legittime e possibili, ma era utile ed inevitabile la manovra fra quelli effettivi e quelli formali, quelli che occorre accertare e quelli che possono essere contestati.

E così del prezzo politico del grano, in rapporto al valore medio del dollaro; e così quello della burocrazia pletorica, mentre le esigenze dei reduci e la necessità di non accrescere la disoccupazione anche in questo settore limitano le possibilità degli uomini del Governo.

Infine la situazione creditizia e del risparmio. – Se lo Stato già assorbe il 62 per cento del risparmio per i bisogni della Tesoreria, e per gli impieghi privati resta appena il 38 per cento, come possono accrescersi questi assorbimenti senza pregiudicare la ripresa produttiva? In tal modo, lo Stato non potrà avere risorse attraverso le imposte e dovrà esso aiutare le iniziative dell’agricoltura, del commercio, dell’industria. Così, l’onorevole Campilli poneva un altro dilemma, quello della Azienda Ferroviaria, che ha un deficit di 22 miliardi.

Dinanzi a questa situazione, che cosa s’è fatto? Quale azione positiva ha realizzato il Governo tripartitico? In materia tributaria, dopo vari anni di azione parzialmente inefficiente, e che comunque non ha dato i risultati che si attendevano, il Governo ha dovuto ricorrere in gran fretta – dopo la esposizione finanziaria dell’onorevole Campilli, che è sembrata quasi una rivelazione – alla duplice imposta sul patrimonio, come un colpo di scure sull’economia nazionale e sull’apparato tributario nazionale. E voi, onorevoli colleghi, avete udito da più parti, e oltre ogni demagogia, la condanna di queste due imposte, le quali sono soprattutto due imposte sulla proprietà immobiliare.

Infatti, l’accertamento della ricchezza mobiliare risulta limitato e difficile, perché il cambio della moneta non si è fatto o non si poteva fare; perché la denuncia dei titoli sarà certamente omessa; perché le azioni, oltre la difficoltà di rincorrerle nei vari trapassi, sono per gran parte in possesso di quegli enti collettivi che non si sono voluti tassare. Le due imposte rappresentano un colpo di scure anche in riferimento alla nostra particolare condizione tra il nord e il sud, poiché gli enti collettivi che si esentano esistono prevalentemente nelle zone settentrionali del nostro Paese, e per tal modo queste regioni verranno a concorrere in misura non certo adeguata alla loro potenzialità economica alla ricostruzione nazionale. La ricchezza del Mezzogiorno è prevalentemente immobiliare e da ciò derivano, e sono state constatate, sperequazioni gravissime. Tra le altre, l’onorevole Einaudi molti anni fa rilevava come nell’incremento dell’imposta di successione venivano a trovarsi al primo posto le regioni più povere d’Italia e, fra esse, la Sardegna, mentre al tredicesimo posto era per questo titolo l’apporto di una delle regioni più ricche, la Liguria. Tale situazione, dunque, risulta ora aggravata.

Ma si abbatte, questa imposta patrimoniale, queste due imposte patrimoniali, sull’apparato tributario del nostro Paese, che doveva essere l’oggetto principale delle cure dei Governi passati, e auguriamoci che sarà l’oggetto principale delle cure dei Governi prossimi e futuri, o del Governo attuale, se durerà! Perché, onorevoli colleghi, voi sapete in quali condizioni di paralisi si trovano gli uffici tributari del nostro Paese, per insufficienza di personale. Essi sono organizzati in base a tabelle – mi pare – del 1940, che non furono mai attuate e, successivamente, sono stati ulteriormente depauperati dalla guerra e dalla disorganizzazione generale che ne è seguita.

Uffici senza personale, quindi nell’assoluta impossibilità di effettuare accertamenti; in locali inidonei; sprovvisti di mezzi; dove la lentezza burocratica fa sì che i cottimi di coloro che lavorano siano pagati con ritardo di semestri; dove le indennità ai membri delle commissioni arrivano con tale ritardo e con tale inadeguatezza, che le commissioni non possono funzionare; dove gli impiegati di così delicato ed importante servizio – che procura allo Stato miliardi – devono anticipare le spese per le più umili esigenze del funzionamento di questa importante amministrazione!

Dato tale stato di cose, quale era il compito principale, la funzione essenziale per far funzionare la macchina tributaria? Quella di fornire gli uomini a questi uffici. Noi ci troviamo in Italia in questa situazione: che alcuni Ministeri non esistono più, ma esiste tutta l’impalcatura burocratica; che si lamenta pletora di impiegati in tutti gli uffici, in tutti i Ministeri, ma che, d’altra parte, servizi di prevalente importanza non funzionano, non adempiono ai loro compiti specifici per mancanza di personale.

Questo avviene in tanti settori, da quello relativo alle pensioni, a quello relativo al Casellario giudiziario centrale, dove quasi duemila domande al giorno non possono essere evase per mancanza di personale; agli uffici giudiziari, per i quali voi del Governo avete discusso se dare ai magistrati qualche modesto aumento. Ma lo Stato avrebbe potuto recuperare adeguatamente questi oneri, semplicemente fornendo i funzionari alle amministrazioni giudiziarie, che non possono far esigere all’erario – come dovrebbero – somme enormi, cospicue, appunto per mancanza di personale.

Ciò è vero, dicevo, specialmente per quanto attiene agli uffici tributari e alla loro struttura: mancanza di personale, mancanza di mezzi materiali, indecorosità di locali e anche inadeguatezza dei mezzi di indagine. Infatti, non è consentito ai funzionari di recarsi sul luogo degli accertamenti e, in materia di trasferimento di aziende (siamo anche qui nel campo della ricchezza mobiliare), gli organi sono inidonei, impreparati, senza quella competenza tecnica che dovrebbe crearsi con appositi organi e con l’ausilio di esperti commercialisti.

Attraverso le imposte ordinarie, dunque, attraverso i nuovi accertamenti, poteva benissimo e tempestivamente farsi affluire nelle casse dello Stato un adeguato apporto tributario da parte dei cittadini, che forse mai come in questo momento sono disposti a pagare, perché hanno la possibilità di pagare.

Ma bisognava soprattutto, con questi accertamenti, ridurre l’enorme sproporzione fra imposte indirette e imposte dirette. Ieri l’onorevole Einaudi ci ha detto che il 70 per cento delle imposte che lo Stato incassa attualmente sono imposte indirette. Voi vedete l’ingiustizia profonda di tale situazione, particolarmente aggravata in questo momento, e quanto essa risulti iniqua, ora che il capitale realizza, oltre i normali e spesso legittimi utili, quelli particolari di congiuntura.

Proprio l’onorevole Einaudi, con la lealtà che lo distingue, con quel coraggio che lo ha reso benemerito nella vita nazionale per l’opposizione agli arrembaggi sul bilancio dello Stato, alle forme protezionistiche, alle forme tributarie ingiuste, lo stesso onorevole Einaudi, dicevo, nella sua magnifica relazione come Governatore della Banca d’Italia, ricorda e dichiara che in questo momento in Italia, come in tutte le economie che si impoveriscono, chi si avvantaggia di più e lucra di più sono le forze e gli elementi capitalistici.

In aggiunta a questa sperequazione fra imposte dirette e indirette, in aggiunta a questi lucri di congiuntura, che cosa dobbiamo dire, quando la continua generica ripetizione della necessità della riforma agraria appare come un’ironia, mentre, di fatto, soltanto il dominio esclusivo di determinati ceti della proprietà rurale si va ricostituendo in forme che erano state superate?

Ho detto superate, perché quei ceti erano assenti dalla vita agricola e avevano caricato di ipoteche le proprietà attraverso una vita estranea e lontana alla terra, attraverso una vita quasi antisociale, e, in tal modo appunto, avevano perduto quel dominio esclusivo su ricchezze spesso di origine feudale.

Oggi quel gravame ipotecario si va annullando e si va quindi ripristinando la prevalenza di classi assenteistiche, mentre noi nulla in concreto operiamo. A ciò si aggiunge la spogliazione dei risparmiatori, i quali spesso sono piccoli e medi ceti.

Così abbiamo un quadro ingiusto, comunque doloroso, di una situazione che pesa su classi consumatrici, che va a favore di classi o già ricche, o assenti dall’attività produttiva. Onorevoli colleghi, se il Governo tripartito avesse realizzato, come doveva, un minimo di concordia e di azione, qualche cosa poteva farsi, soprattutto per superare lo squilibrio economico del nostro Paese. I fattori di questo squilibrio sono ben noti: mancanza di materie prime, mancanza di valuta per acquistarle, deficienza e mancanza di carbone. Il periodo di euforia, quasi, di cui ha goduto l’attività industriale italiana, si opina dai competenti possa attenuarsi nel prossimo inverno per la deficienza di tali fattori e per la concorrenza di Paesi che prima non potevano operare contro di noi, ma che presto si troveranno in condizioni che consentono ad essi di effettuarla. In vista di ciò, l’attività nazionale doveva essere rivolta prevalentemente ad una grande politica rurale. Questa politica rurale avrebbe dovuto consentire, intanto, un maggiore apporto di prodotti alimentari sul mercato, per ridurre il costo della vita. Doveva offrire la possibilità al Governo di fronteggiare la disoccupazione con un impiego di mano d’opera largamente possibile in un settore che non richiede carbone, che non richiede cemento, che non richiede ferro. Doveva consentire, altresì, la creazione di quei presupposti della riforma agraria, che pure si deve fare gradualmente, razionalmente; farsi insomma, senza declamarla soltanto fra le mura delle vecchie basiliche o negli orti botanici.

Si poteva incominciare a fare qualche cosa soprattutto in quel patrimonio terriero che fa dello Stato uno dei maggiori latifondisti del nostro Paese. Basta ricordare che oltre 85 mila articoli di ruolo per un reddito imponibile di circa 108 milioni di lire-oro 1938, costituiscono il patrimonio terriero dello Stato, degli enti pubblici, delle opere pie; e una parte notevole di queste terre è incolta, è abbandonata, è deserta. Ora, in questo settore, che era essenzialmente produttivistico, che avrebbe fornito la possibilità di fronteggiare la disoccupazione, che ci avrebbe consentito – sono già quattro anni: dal luglio 1943 noi siamo arrivati quasi al luglio del 1947 – intanto, un immediato, maggiore apporto di prodotti alimentari sul mercato, in questo campo che cosa è stato fatto? Nulla.

A proposito del costo della vita, l’onorevole Cerreti, nella sua lunga polemica col Ministro dell’interno, ha ricordato gli enti annonari municipali e le difficoltà di funzionamento di questi enti. In verità, è assai strano, in un Paese nel quale tre o quattro banche dispongono di un terzo del risparmio nazionale, dei depositi nazionali – e sono banche di natura statale – è ben strano che in questo Paese gli enti comunali di approvvigionamento non possano trovare credito.

UBERTI. Ma glielo garantisce il comune. Lo possono trovare.

CORSI. I comuni non sono dei garanti molto desiderabili, i comuni hanno bisogno di essere garantiti essi stessi!

Ebbene, anche qui, le proposte che partirono durante i primi mesi di quest’anno per il Consiglio dei Ministri in materia di ristoranti popolari, in materia di enti di consumo ecc., stabilivano un diretto aiuto da parte dello Stato ad organismi i quali non sono di natura politica o filantropica, ma devono avere ed hanno un carattere esclusivamente economico e sono controllati dall’autorità tutoria, ma debbono esercitare un potere calmieristico effettivo. Non solo: ma la questione che fu qui proposta dall’onorevole Cerreti nella incresciosa disputa col Ministro dell’interno, la questione relativa al rifornimento dei generi della Sepral attraverso gli enti di consumo era stata proposta allorché si discusse della costituzione di questi enti.

Chi non ha approvato tali proposte? Chi ha modificato il progetto iniziale, il quale stabiliva, precisamente, che gli enti di approvvigionamento dovessero essere i distributori dei generi forniti dalla Sepral? Le norme a suo tempo formulate stabilivano come obbligo della Sepral e di altri enti provinciali e comunali quello di trasferire agli esercizi privati i vari prodotti, compresa la farina per la panificazione, attraverso gli enti di consumo.

Una voce. Chi si oppose?

CORSI. Io non ne facevo parte, ma erano presenti nel Consiglio dei Ministri tre Ministri comunisti e quattro, mi pare, Ministri socialisti.

Inoltre, proponemmo sanzioni molto drastiche, un regolamento molto rigoroso in un Paese dove purtroppo nessuna disciplina si riesce a realizzare.

Ritorno all’argomento essenziale. Per questo importante settore agricolo che avrebbe dovuto, anche secondo autorevoli economisti, costituire in questo periodo di emergenza il campo d’azione d’un Governo energico ed illuminato, che rinunciasse all’illusoria e canzonatoria pratica di stanziamenti che mai si realizzano, che cosa si è fatto?

Lo sviluppo dell’attività rurale costituisce un dovere nazionale non solo da parte dello Stato mediante bonifiche ed irrigazioni, ma anche da parte privata. Se la proprietà privata va rispettata, è anche evidente che esistono in Italia leggi che non si rispettano sulla bonifica integrale, attraverso le quali lo Stato avrebbe potuto e dovuto esigere dalle classi rurali possidenti il compimento dei loro doveri che, del resto, corrispondono anche agli interessi di tali categorie. A questo proposito, mi sovviene di domandare: quale sarà l’influenza dell’imposta patrimoniale, se voi toglierete alle classi rurali i fondi disponibili che dovevano esser rivolti a quest’opera di miglioramento, di bonifica agraria, anche con carattere coercitivo?

Avevo proposto una volta all’onorevole Segni, che è così solerte nella sua attività di Ministro dell’agricoltura, di stabilire un potere di ordinanza degli ispettori agrari compartimentali e provinciali, poiché non è giusto tollerare in un Paese che importava normalmente in soli prodotti alimentari il venti per cento di tutte le importazioni, che in questo Paese, in un momento come questo, in cui la fame batte a tante porte e la stessa salute della stirpe è seriamente compromessa, non è giusto tollerare una forma di indisciplina, direi quasi di anarchia, nel campo dell’attività produttiva, quando esistono le stesse leggi fasciste del 1933 per la bonifica integrale che impongono alla classe dei proprietari determinati lavori, che sono quelli economicamente e razionalmente più necessari e più benefici in questo momento.

Ho qui un piano di irrigazione favoritomi dall’onorevole Segni, piano dal quale risulta che quasi 500 mila ettari di terreno potrebbero essere irrigati con una spesa che è appena di 112 miliardi. D’altro canto, l’onorevole Lombardi, a proposito del premio della Repubblica che ha dato un pasto più o meno magro alle famiglie dei nostri lavoratori, diceva che questo premio importava una spesa di 30 miliardi. Non so se ciò sia esatto. Ma dico che avremmo giovato molto di più se avessimo impiegato il denaro non attraverso queste forme che dispensano elemosine a varie riprese, ma attraverso forme costruttive. E 112 miliardi per quel piano di irrigazione non sono molti, se si considera che dei 112 ve ne sono 42 a carico della proprietà privata.

Un congresso, che è stato tenuto a Roma, a proposito di questi problemi di irrigazione e di bonifica, preventivava un milione e centomila ettari da irrigare in un breve periodo di tempo, con una spesa non paurosa, ma con una utilità formidabile, perché potrebbe trecentuplicare la produzione e occupare oltre duecentosessanta milioni di giornate di lavoro.

Onorevoli colleghi, che cosa è stato avviato in questo settore oltre quella che è stata la personale iniziativa dell’onorevole Segni nel suo campo di Ministro dell’agricoltura? È stata organizzata questa vasta azione rurale intesa a risolvere molti problemi, quello alimentare, quello della disoccupazione, quello dei presupposti della riforma agraria in un paese che non ha soltanto oggi, incidentalmente, per la guerra, una disoccupazione agricola, ma dove plebi miserabili affliggono la vita nazionale oltre ogni congiuntura ed oltre ogni dolorosa conseguenza bellica? Si tratta, ripeto, di un problema di importanza primaria su cui va richiamata l’attenzione di ogni Governo.

Ma, onorevoli colleghi, altri grandi problemi fondamentali si ponevano al Governo tripartitico. Ieri l’onorevole Lombardi parlava dell’industria meccanica e l’onorevole Scoccimarro diceva alcuni giorni or sono che l’industria navale italiana, con appena 24 miliardi, avrebbe potuto avere assicurata la propria vita. Mi pare che alla base dell’attività meccanica nazionale, che occupava 600.000 operai e della stessa industria navale italiana, ci sia il problema siderurgico: questo annoso problema che tante polemiche e sopratutto tante deviazioni all’attività economica italiana è costato. Il problema della siderurgia, che ha pesato lungamente e ancora pesa sull’agricoltura e sull’industria italiana, in quale maniera è stato proposto e avviato a soluzione dopo quattro anni? Qualche cosa bisognava fare, decidere. Perché, se si ricostruiscono in Italia i 70 stabilimenti che producono tutti insieme 2 milioni e mezzo di tonnellate di acciaio, mentre all’estero spesso un solo stabilimento produce tanto, se si ripristina quella situazione siderurgica corrotta, viziata e ispirata a concetti nazionalistici e imperialistici, comunque antieconomici, sarà difficile domani rimediare a una situazione che si sarà ancora una volta stabilizzata, cristallizzando anche interessi rispettabili.

E nel campo elettrico, nel campo idroelettrico, onorevoli colleghi, dove si trova un altro dei pilastri della vita economica nazionale, come quello delle bonifiche, dell’irrigazione, in genere dell’agricoltura e quello della siderurgia? Non c’è bisogno di ricordare qui che proprio l’onorevole Nitti, nei primi anni del secolo, dichiarava essere questa un’attività prevalentemente pubblica, poiché ne dipendono tutte le altre; e non c’è bisogno di ricordare che, dopo tante dispute, la materia era stata regolata con una legge Villa – che non era un sovversivo – e dalla legge Bonomi del 1919 che, pur consentendo all’iniziativa privata un vasto campo di attività, affermarono il principio dell’interesse pubblico prevalente in questo settore. Ora le leggi fasciste, il testo unico del 1933 e un’altra legge del 1942, ci hanno fatto retrocedere di molti anni; e soprattutto ci hanno fatto retrocedere come generale regolamento di questa materia, perché tutta una legislazione concepita a tutela degli interessi pubblici è divenuta, come disse l’onorevole Gilardoni, protezione di un monopolio esclusivo. Qui siamo in uno di quei settori dei quali parlava l’onorevole Einaudi l’altro giorno, affermando la necessità dell’intervento pubblico là dove si tratti di attività che comunque abbiano un generale interesse per la collettività nazionale. Ora il progetto che è stato preparato dal C.I.R. si risolve in una pianificazione di concessioni, ed in questa materia non abbiamo veduto un provvedimento che garantisca e difenda gli interessi della collettività nazionale. Era uno dei pilastri. Bisognava agire e bisogna agire prima che sia troppo tardi, perché le risorse idroelettriche del Paese non sono infinite: per il 50 per cento sono già sfruttate o in via di sfruttamento.

Bisogna regolare l’utilizzazione delle acque. Né qui si vogliono distruggere l’iniziativa privata e le concessioni in corso, ma si vuole soltanto impedire che si crei un monopolio.

Ecco adunque, onorevoli colleghi, come appare ancora una volta la verità e la necessità dì quel piano del quale l’onorevole Tremelloni aveva parlato e che costituiva una delle condizioni ed una delle possibilità della nostra collaborazione al nuovo Governo. Il piano non costituisce una eresia, se uomini di scuole diverse lo hanno ritenuto indispensabile. Ricordo il professore Saraceno dell’Università del Sacro Cuore; lo stesso onorevole Giannini, allorché ieri diceva che occorrerebbe creare nel Mezzogiorno succursali di tante attività industriali nostre, e per dirimere certe condizioni di inferiorità, e per fronteggiare le situazioni del prossimo e del lontano avvenire politico ed economico; lo stesso onorevole Giannini, allorché formulava questa richiesta, indicava in sostanza, una formula di pianificazione. È evidente che non si può lasciare all’iniziativa privata disordinata questa distribuzione o ridistribuzione di attività in regioni che hanno una economia arretrata e primitiva.

Comunque, anche l’onorevole Einaudi riconosceva, sia pure sotto forma soltanto di previsione, la necessità di una pianificazione limitata ad alcuni settori e ad alcuni campi. Si tratta di una richiesta né assurda, né impossibile, non contrastante con gli interessi dell’attività nazionale, non paralizzatrice dell’azione di Governo.

Tutto ciò, onorevoli colleghi, non è stato fatto in nessun campo, e si poneva, dunque, come una esigenza, allorché un nuovo Governo doveva costituirsi, per avviare finalmente questa democrazia italiana alla realizzazione delle cose sostanziali, che sono reclamate dal Paese.

Allo stato delle cose, perciò e invece, noi ci troviamo soltanto dinanzi ad una esasperazione dei contrasti politici, data la formazione del nuovo Governo, data la mancata rappresentanza in esso di forze operaie, dato lo stato di irritazione che i partiti esclusi dal Governo soffrono e dichiarano.

Io ho ascoltato con stupore e con preoccupazione la affermazione dell’onorevole Togliatti rivolta all’onorevole De Gasperi circa un presunto atteggiamento antinazionale di quest’ultimo. È questa la parola che egli ha usato, respinta e controbattuta, d’altra parte, dall’onorevole Gronchi, nelle sue energiche risposte. Antinazionale! La parola che scavò in Italia il solco profondo, che fu alle origini della divisione fra italiani e italiani, allorché i fascisti dichiaravano antinazionali noi che in quest’aula votavamo contro il Governo, poiché esso disprezzava la volontà popolare ed offendeva il Parlamento. Così fu divisa la Nazione! Uomini di diversa fede, di fede professata con probità e inspirata alla difesa degli interessi nazionali, furono dichiarati nemici della Patria. Antinazionale! Ricordiamo e dichiariamo che sono atteggiamenti pericolosi da questa parte o da quella parte. A me pare, invece, che la strada sia un’altra, quella di una tolleranza veramente sentita, di una collaborazione veramente effettiva. Perciò io non sono insensibile, e credo nessuno in questa Aula, a ciò che diceva l’onorevole Giannini a proposito di fascismo e di antifascismo. Se vi sono tanti uomini, tanti giovani, i quali si sono compromessi perché presi da un miraggio illusorio, o perché coinvolti per la loro stessa posizione, o per la stessa loro giovine età in una situazione che è stata rovinosa per il Paese e per essi individualmente, occorre ridare a costoro diritto di cittadinanza, possibilità di vita nel consorzio nazionale. Così, più che accedere alle aberrazioni delle estreme posizioni, considerando antinazionale l’avversario politico, reciprocamente vediamo se è possibile riconciliare con la vita nazionale democratica e repubblicana anche le forze oneste che una tragedia ha allontanate, ha compromesse, ha posto fuori della vita civile, della vita politica del Paese.

Nello stesso tempo, una vasta azione organica nel campo sociale, nel campo tributario, economico, agricolo ed industriale.

La caratteristica dell’iniziativa privata sia quella tradizionale dell’economia liberale, con alla base il rischio, l’iniziativa e l’investimento di capitali proprî, non di quelli statali. L’azione dello Stato intervenga in quei settori fondamentali per la vita nazionale, ma intervenga di fatto, perché troppe sono state le affermazioni. Gli uomini di Governo, invece che correre da una piazza all’altra ad affermare questa esigenza, devono realizzarla; e, allorché la realizzazione trova ostacolo, debbono uscire dal Governo per fare opera di opposizione, di critica, di controllo. (Applausi a sinistra).

Ciò, purtroppo, non è avvenuto, onorevoli colleghi, con pericolo, che denunciavamo all’inizio, dell’auspicato equilibrio e possibilità grave di conflitto. Ma noi pensiamo che, oltre le forze che oggi contrastano e reciprocamente si accusano, un’altra forza può risolvere insieme il contrasto politico e il disagio economico, quella della vera democrazia italiana che preesisteva al fascismo e aveva abilitato le folle italiane, neglette allora, a essere veramente cittadine nella Patria comune; quell’azione socialista che tanto ha contribuito alla creazione dei valori non solo materiali, ma spirituali del nostro Paese; insomma l’autonoma e indipendente forza socialista che noi difendiamo e non è costituita soltanto da questi 50 uomini di un gruppo che si richiama al nome del partito dei lavoratori italiani, bensì ha aderenti in varie frazioni di questa Assemblea. La unità socialista darà allo Stato, noi lo auspichiamo e lo crediamo fermamente, delle mete che risolveranno gli opposti estremismi nella realizzazione degli interessi supremi della Nazione. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 8.30.

La seduta termina alle 22.20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 8.30:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 20 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 20 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

De Filpo                                                                                                            

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Fogagnolo                                                                                                       

Pallastrelli                                                                                                    

Micheli                                                                                                             

Lombardi Riccardo                                                                                         

Sforza, Ministro degli affari esteri                                                                     

Corbino                                                                                                            

La Malfa                                                                                                          

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

DE FILPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE FILPO. Dichiaro che se fossi stato presente nella seduta di ieri avrei votato contro l’ordine del giorno Cifaldi.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Canevari, Natoli e Porzio.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha comunicato che il Capo provvisorio dello Stato ha nominato, su sua proposta, Commissari del Governo per partecipare nell’Assemblea costituente alle discussioni relative alle materie che rientrano nella loro rispettiva competenza: il professor Edoardo Angelo Martino, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio dei ministri per l’assistenza ai reduci e partigiani; il professor Vittorio Ronchi, Alto commissario per l’alimentazione.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

Gli onorevoli Fogagnolo, Fedeli Aldo, Tomba, De Michelis, Pieri, Faccio, Vernocchi, Dugoni, Tonello, Malagugini, Costa, Fiorentino, Giacometti, Ghislandi, hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea invita il Governo ad emanare con tutta sollecitudine la più volte promessa legge organica sui danni di guerra ed a mantenere in vita – rendendolo più efficiente e adeguato ai nuovi compiti – il Sottosegretariato od altro organo politico-amministrativo, più rispondente, che – coordinando i servizi e gli uffici oggi sparsi nelle varie amministrazioni dello Stato – provveda con unicità di criterio e di direttive a dare efficace esecuzione alle provvidenze che la legge sarà per fissare».

L’onorevole Fogagnolo ha facoltà di svolgerlo.

FOGAGNOLO. Onorevole Presidente, io avrei anche potuto rinunciare a svolgere l’ordine del giorno, dato che già in precedenza l’onorevole Colitto aveva esposte le ragioni per cui non trovava giusta la soppressione del Sottosegretariato di Stato per i danni di guerra. Quando si è cercato di formare questo Governo, quando l’onorevole De Gasperi si è accinto a formarlo, seguendo forse l’insegnamento che era derivato dalle trattative precedentemente svolte dall’onorevole Nitti – il quale, per ragioni di economia, si era detto avesse annunciato che quasi tutti i Sottosegretariati sarebbero stati tolti – io ed altri colleghi abbiamo mandato un telegramma al Presidente De Gasperi, per dimostrargli tutta la nostra preoccupazione per l’eventualità della soppressione del Sottosegretariato di Stato per i danni di guerra.

Perché questo? Perché il problema dei danni di guerra, che già ho avuto occasione di esaminare in quest’Aula, in sede di interrogazione, è un problema al quale, sì, l’onorevole De Gasperi ha fatto cenno nella sua esposizione, ma uno di quei cenni che lasciano il tempo che trovano, perché egli ha detto: il nostro dovere è di non dimenticare i danneggiati di guerra.

Il dovere del Governo è quello di mantenere le promesse fatte in quest’Aula, quando l’onorevole Sottosegretario Braschi, ad una interrogazione presentata da me, e ad un’altra interrogazione presentata dal collega Maltagliati, rispondeva ed assicurava gli interroganti che «in queste ultime settimane il Ministero si era dato premura di affrontare e di risolvere, in via definitiva, il più grave problema che era oggetto delle loro interrogazioni».

«Com’è noto – sono parole del Sottosegretario – si sono avuti in questi ultimi anni decreti su decreti che, ad iniziativa dei vari Dicasteri, dovevano risolvere in via frammentaria ed episodica, i singoli problemi che le necessità impellenti di ogni giorno ponevano sul tappeto». Prosegue con altre frasi che preferisco non leggere. Tutti questi altri Dicasteri si sono frazionati l’attività, per venire incontro ai singoli danni di guerra?

Io non so se questo Governo sarà chiamato ad esaminare il problema dei danni di guerra, e ciò per diverse ragioni. Prima di tutto perché in quest’Aula si è sentito parlare di un Governo che durerà in carica qualche giorno, e si è detto, proprio dai banchi di coloro che daranno il loro voto di fiducia al Governo, che esso durerà qualche settimana. Così, ieri sera, l’onorevole Giannini ha parlato di qualche settimana. Quindi, non è un Governo che possa dare affidamento né per la decisione nel volere effettivamente esaminare questo problema, né per la base che sarà chiamata a sostenerlo. Vi sarà un numero insufficiente di voti per dare prestigio a questo Governo; ma, poi, vi è anche la qualità di questi voti, onorevoli colleghi, qualità di voti coi quali il Governo pensa di potersi, se non sostenere, almeno puntellare. Sono dei voti questi che il Governo forse farebbe bene a rifiutare, per il significato che è stato dato ai voti stessi. Abbiamo sentito qui il discorso del rappresentante dei monarchici. È stato un discorso – vi dico la verità – che mi è piaciuto in un certo senso, perché l’onorevole Benedettini – naturalmente parla da monarchico perché è monarchico – ha parlato un linguaggio molto preciso per quello che riguarda i voti che sono stati dati alla monarchia dagli elettori che hanno eletto i deputati della Democrazia cristiana. Stando ai calcoli dell’onorevole Benedettini – e sono calcoli esatti – dei 12 milioni di voti che la Repubblica ha avuto, 2 milioni soli sarebbero stati dati dalla Democrazia cristiana, la quale ne ha dati 5 milioni alla monarchia. Ebbene, dinanzi a questa affermazione fatta in quest’Aula, e con nostro grande stupore, non abbiamo sentito un solo deputato della democrazia cristiana elevare le sue proteste. Di queste cose il Paese saprà tener il debito conto.

Tornando alla capacità di questo Governo di potere esaminare il problema dei sinistrati di guerra, io ho ragione di ritenere che non si possa avere alcuna fiducia nella parola dell’onorevole De Gasperi, perché Se è vero che le intenzioni sono quelle di non dimenticare i sinistrati di guerra, queste intenzioni dovrebbero essere messe in esecuzione con delle proposte pratiche e non sopprimendo l’unico organo serio che c’era nel precedente Governo. Questo organo non è mai vissuto bene, ma ha sempre vivacchiato, perché tutti i vari ministeri, o per lo meno un minimo di otto ministeri, si erano ripartiti i compiti di studiare, caso per caso, settore per settore, quelli che erano i provvedimenti a favore dei sinistrati di guerra. E sono venuti fuori 47 decreti, parte dei quali fanno a pugni l’uno con l’altro.

Ora, o si vuol fare sul serio o altrimenti bisogna avere il coraggio di dire che non si vuole o non si può fare nulla. Io non credo che non si voglia; credo anche che vi siano delle difficoltà, ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo avuto un’altra grande guerra mondiale, quella del 1915-18. Ebbene, i governi di allora si erano preoccupati, molto più di questo, della necessità di venire incontro ai sinistrati di guerra.

DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. Ma i danni erano molto minori allora.

FOGAGNOLO. Appunto perché erano molto minori, non si comprende la cosa! Noi a quell’epoca ci siamo trovati con un Ministero delle terre liberate, e con un Sottosegretariato al Ministero stesso. Ora, se per danni molto minori, come dice giustamente l’onorevole Ministro che mi ha interrotto, si era creato un Ministero ed un Sottosegretariato, per danni enormi come quelli della guerra fascista, francamente stupisce che il Governo De Gasperi, presentandosi in questa quarta formazione, non tenga conto che nel Paese ci sono milioni di danneggiati.

Ora, fra questi milioni di danneggiati, la gran parte sono costituiti da povera gente, la quale ritiene che la legge dell’ottobre 1940 sia una legge ancora in vigore, e lo è teoricamente soltanto, perché praticamente è una legge che non viene applicata.

DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. Altri erano i prezzi di allora. Essa sarebbe rovinosa per i danneggiati.

FOGAGNOLO. Non credo che il Governo possa ritenere di cavarsela promettendo semplicemente una legge organica, che è stata in realtà preparata, ma poi si è fermata. Ci son voluti tre anni per arrivare a questo, ed ora purtroppo tutto è nuovamente fermo.

Comunque, noi non siamo qui a discutere questa legge; quando essa verrà in discussione, io penso che tutti i colleghi dell’Assemblea prenderanno a cuore questa questione più di quanto non l’abbia presa il Governo, e ciascuno di noi avrà qualche cosa da suggerire al Governo onde si venga incontro per lo meno ai piccoli sinistrati di guerra. Ci sono anche i grossi sinistrati, ma quelli hanno altre possibilità di vita attraversò lo svolgimento di diverse attività. Se andiamo ad esaminare questa categoria dei ricchi sinistrati ci accorgiamo che sono proprio quelli che hanno gridato «viva la guerra»; interessa sopratutto di andare incontro ai piccoli sinistrati, per i quali sono state disposte finora somme troppo irrisorie.

Io vorrei far presente che c’è questa possibilità di mantenere l’organo preesistente; oppure si dovrebbe creare un organo nuovo che, se non sarà un Sottosegretariato, potrà essere un Alto Commissariato.

DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. Per questa materia esiste già il Sottosegretariato; praticamente funziona ed è affidato all’onorevole Petrilli.

FOGAGNOLO. È una novità per me; non mi risultava che esistesse.

DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. Non è stato mai soppresso. È un’opinione sbagliata dei danneggiati quella di ritenere che sia stato soppresso. In realtà è affidato all’onorevole Petrilli.

FOGAGNOLO. Mi dispiace che lei abbia fatto soltanto oggi questa dichiarazione e non tre giorni fa, quando il collega Colitto ha trattato lo stesso argomento ed ha manifestato la sua sorpresa perché non si è data una notizia sufficiente circa l’esistenza o meno di questo organo. Comunque, anche quel Sottosegretariato ha vivacchiato nella compagine ministeriale precedente.

Ora, bisogna rinforzare questo organo e non già cercare di ridurlo a qualche cosa di quasi inesistente, perché allora finiremmo col metterlo al livello di tutti quei piccoli servizi che esistono presso il Ministero dei lavori pubblici e presso altri Ministeri.

Se noi vogliamo veramente fare qualche cosa di serio, c’è il mezzo, onorevole Ministro: né a me si può muovere rimprovero se io glielo addito. Per creare quest’organo, e perché questo organo abbia delle funzioni specifiche, perché non sia, cioè, l’organo che c’è stato fino ad oggi, bisogna aggregargli tutti i servizi che oggi si trovano suddivisi fra altri Ministeri.

È facile vedere quali sono tutte queste formazioni che potrebbero passare a costituire il nuovo organo. La direzione generale del personale e degli affari generali potrebbe, ad esempio, essere costituita con gli uffici già esistenti presso la direzione generale dei danni di guerra e la direzione generale delle pensioni di guerra. C’è stato qualche collega che ne ha parlato: si tratta di quella branca del servizio che riceve centinaia di migliaia di domande di povera gente che da anni ed anni attende la pensione per dei morti.

Ora, si ha quasi l’impressione che questa branca al Governo dia fastidio; è un’impressione originata dal fatto che a tutte le interrogazioni presentate al riguardo dal 25 giugno dell’anno scorso all’Assemblea, mai è stata data alcuna risposta dagli onorevoli Ministri; e, tutte le volte che il nostro Presidente fissa gli ordini del giorno per le sedute del giorno successivo, c’è sempre qualche deputato che salta fuori e che dice: Ma quando si risponde a queste interrogazioni?

Si può prendere quella direzione generale dei danni di guerra che è stata aggregata al tesoro e farne un’altra direzione generale; si potrebbe poi fare la direzione generale per i danni di guerra che sono fuori del territorio nazionale: oggi il servizio di questi danni è stato dato al Ministero dell’Africa italiana ed anche noi deputati tante volte siamo andati a piazza del Quirinale per vedere se queste pratiche vanno avanti, e purtroppo non vanno avanti.

C’è la direzione generale per gli atti non di combattimento compiuti dalle truppe alleate: anche per questa c’è l’ufficio dell’U.R.A. che già esiste; non vi sono quindi altri impiegati da assumere. C’è la direzione generale per gli edifici di culto che sta presso il Ministero dei lavori pubblici.

Perché dunque tutti questi vari uffici, distribuiti uno qua e l’altro là, non possono essere raccolti, non possono essere coordinati e, come dicevo prima, onorevole Ministro, senza alcun bisogno di procedere a nuove assunzioni di personale? Non si tratta, torno a ripeterlo, di spendere neppure una lira di più: si tratta solo di creare dell’ordine nell’amministrazione di questa specifica branca.

In un primo momento, il lavoro da fare è, come dicevo, quello di coordinare lo svolgimento delle varie attività fino ad oggi esistenti per continuarle sotto una direzione unica, in modo che non debbano più verificarsi dei divari, in modo cioè che non debba più accadere che vi siano disposizioni che creino discordanza nel modo di inoltrare una determinata pratica cosicché i funzionari non sanno nemmeno, molte volte, come incanalare queste determinate pratiche. Se si va ai lavori pubblici è una cosa; se si va alle pensioni è un’altra cosa; se si va ai danni di guerra, è un’altra cosa ancora. Cosa ci vuole a far questo? E in un secondo tempo, poi, per varare questa legge organica che è stata promessa ci vuole l’organo, il capo, il Ministro, l’Alto Commissario che la porterà al Consiglio dei Ministri; e quando questa legge l’avremo fatta, ci vuole chi predispone le cose, perché sia data esecuzione alla legge stessa.

Dopo di ciò sorgeranno le necessità di impostazioni di bilancio, in relazione a quella che sarà la nuova legge. Ma bisogna cominciare con la buona volontà di fare e di fare sul serio, una buona volta.

Del resto, dicendo quello che ho detto, sono in buona compagnia, perché anche recentemente – qualche settimana fa, come il signor Ministro saprà – il Consiglio di Stato, in una relazione che ha presentato alla Presidenza del Consiglio sull’argomento dei danni di guerra, ha dato l’allarme contro il pericoloso frazionamento dell’intervento dello Stato per i danni di guerra. E sempre in quella relazione, signor Ministro, sta scritto che «l’impostazione unitaria dei servizi dei danni di guerra è presupposto indispensabile di una soluzione che non solo eviti disparità di trattamento, oggi da ogni parte lamentata, ma che mediante la razionale organizzazione delle spese miri non soltanto alla reintegrazione, ma a realizzare la superiore esigenza di restaurare e riattivare le attività economiche e produttive del Paese».

Perciò, se anche il Consiglio di Stato ha avuto occasione ed ha avuto ragione di osservare questa necessità di coordinamento, io mi domando perché il Governo non ha sentito lo stesso bisogno. Noi abbiamo, sì, questa affermazione generica del Presidente del Consiglio che ci ha parlato della prossima legge, che sarà fatta; ma non ci ha detto come si dovrà procedere per mettere insieme tutti questi servizi. Già fin dall’aprile, quando ho avuto occasione di parlare con l’onorevole Ministro su questo argomento, s’era detto che era imminente il riordino di tutti i servizi e il coordinamento in un unico ente, che tutti abbiamo pensato sarebbe stato un Ministero. Non preoccupiamoci se dovremo creare un Ministero o un Alto Commissariato in più! Facciamo vedere qualche cosa di concreto a tutti questi milioni di italiani, i quali aspettano che il Governo prenda veramente a cuore la soluzione, che potrà essere un risarcimento integrale per i piccoli e potrà essere un aiuto materiale per quelli meno piccoli! Facciamo vedere qualche realizzazione a tutta questa gente, la quale ha il torto di credere, perché noi abbiamo sempre fatto credere! In queste assemblee di sinistrati di guerra bisognerebbe essere presenti, signor Ministro, per vedere quanta povera gente, quanti pensionati ci sono, che hanno messo via qualche soldo per farsi la casetta di due o tre stanze e che oggi non l’hanno più e vivono ancora in baracche! Ancora non possiamo far niente, perché non si è avuto il coraggio di affrontare questo problema, che può e deve essere affrontato.

PRESIDENTE. Onorevole Fogagnolo, concluda.

FOGAGNOLO. Ho finito. Noi insistiamo perché il Governo crei l’organo che abbiamo chiesto nel nostro ordine del giorno, al quale non possiamo rinunciare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Pallastrelli ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno, del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, mentre rileva con compiacimento che nelle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri si è accennato all’importante problema delle bonifiche, convinta che la sua soluzione sarà uno dei mezzi più efficaci per dare pane e lavoro al popolo italiano, per provvedere adeguatamente fin da ora alla riforma agraria e per portare un rilevante contributo al bilancio dello Stato, invita il Governo a prendere in attenta considerazione i voti espressi nel recente Congresso di San Donà di Piave e per ciò a fornire i mezzi perché, con una organizzazione autonoma, si possa dare attuazione ad un programma di lavori che contribuirà efficacemente a soddisfare al benessere delle classi lavoratrici dovunque, ma particolarmente nell’Italia meridionale e nelle isole.

«L’Assemblea inoltre invita il Governo a considerare la necessità del riesame del decreto dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio per evitare, con necessari provvedimenti, alla agricoltura ed in modo speciale alla piccola proprietà, il grave danno che deriverebbe da tale decreto».

PALLASTRELLI. Onorevoli Colleghi, molto brevemente illustrerò il mio ordine del giorno, che d’altronde credo sia abbastanza chiaro. Esso riguarda due argomenti importantissimi per l’agricoltura: il primo è quello delle bonifiche, che a San Donà di Piave, pochi giorni fa, riunì valorosi tecnici e studiosi dei problemi economici e sociali, che, dopo interessantissime discussioni, emisero voti per sollecitare il Governo a provvedere mezzi ed organi adeguati per la bonifica. Bonifica del piano, bonifica dei terreni acquitrinosi, ma bonifica intesa nel senso più lato: della montagna e del latifondo. Mezzi ed organi che dovranno servire anche a rendere la soluzione di questo problema, soluzione dei problemi sociali della terra, e perciò: istruzione dei contadini, mezzi tecnici, cooperazione, credito, mutualità.

Perché, onorevoli colleghi, dire bonifica equivale a dire il mezzo più importante per attuare la riforma agraria. Infatti, là dove la piccola proprietà trova il suo ambiente economico, essa si può diffondere e con la bonifica si possono preparare pure grandi aziende a sistema industrializzato da condurre anche con sistemi collettivi; vuol dire applicare il sistema più adatto per aumentare la produzione del nostro suolo e ancora fissare alla terra i contadini, provvedere alla disoccupazione. Di conseguenza, preparare il suolo italiano a soddisfare i nostri bisogni alimentari, a incrementare l’esportazione e perciò giovare al bilancio dello Stato.

Insomma, nelle bonifiche sta in gran parte la soluzione di quei problemi che più ci preoccupano in questo dopoguerra e che devono avviare l’Italia repubblicana e democratica al suo risorgimento economico, sociale e politico. Potrebbe voler dire ancora creare un demanio di quelle terre a latifondo, per cui si sono spesi fiumi di inchiostro e di eloquenza.

In questa Assemblea si è accennato più volte, specialmente dai colleghi di sinistra, alla necessità della riforma agraria. L’onorevole Nenni disse che la riforma agraria doveva essere fatta nel 1947 – o iniziata almeno – e aveva ragione perché molti di coloro che attendono una soluzione di questo problema, i più diseredati, i braccianti specialmente dell’Italia Meridionale, hanno bisogno che questo problema sia risolto, perché una buona volta la parola «terra ai contadini» non sia più una frase vana e perché la produzione italiana agricola, come ho già detto, possa essere incrementata a vantaggio del popolo italiano e dello Stato.

L’onorevole Einaudi, l’altro giorno, disse che solo nel 1952 l’Italia potrà soddisfare al fabbisogno della sua popolazione, ma che prima dovremo ricorrere all’estero; e purtroppo quest’anno noi dovremo ricorrervi, per l’andamento della stagione e per molte altre circostanze, per ottenere parecchi milioni di quintali di grano.

Quindi la necessità di risolvere questo problema e di dare all’onorevole Segni, Ministro dell’agricoltura, i mezzi necessari perché il problema stesso possa essere sul serio risolto.

Se noi – io non voglio citarvi dei dati – scorriamo la relazione dell’onorevole Campilli e guardiamo quanto in passato si è speso in opere pubbliche e per la disoccupazione, noi vediamo che sono centinaia di miliardi che sono andati per altre opere, spesso improduttive, anche se utili, per dare lavoro ai disoccupati, ma che oltre a non portare, insisto, nessun aumento alla produzione, non redimeranno il suolo italiano e non ci permetteranno di avviarci (come attraverso la bonifica ci potremmo avviare) alla soluzione di quei problemi che – come ho detto – i nostri contadini attendono.

Quindi, prima necessità: dare al Ministro dell’Agricoltura i mezzi necessari.

Luigi Luzzatti, che era un entusiasta delle bonifiche, diceva che in periodo di disoccupazione si ricorre a dei lavori pubblici che frodano il denaro dello Stato e rendono inutili le opere che si fanno.

Se sul serio vogliamo pensare al risorgimento della nostra Nazione, noi dobbiamo pensare che le spese più immediatamente produttive sono quelle rivolte all’agricoltura, alle bonifiche nel senso più largo della parola, ripeto, dalla bonifica del piano, a quella del monte e del latifondo. E quando si pensa alla piccola proprietà ed a certe forme di conduzione collettiva dei terreni, che io ho visto applicate anche in tempi lontani, e che nella mia Emilia e anche nell’Agro Romano, insieme ad uomini autorevoli di questa parte (Accenna alla estrema sinistra), quali i compianti Camillo Prampolini, Nullo Bandini, Dugoni e il vivente onorevole Mazzoni, ho propugnate, perché sorgessero numerose le affittanze collettive, considero che questo problema può essere risolto anche nel mezzogiorno. E forse – mi consentano i Colleghi comunisti – forse sarà attraverso al latifondo ed ai sistemi di conduzione collettiva che noi potremo dare pane e lavoro ai contadini dell’Italia meridionale, e fare qualche cosa che rappresenti per l’Italia ciò che in Russia costituisce il Kolkholz. Perché se non è possibile – credete a chi modestamente vi parla da tecnico ed economista di cose agrarie – se non è possibile, dico, trasportare da un paese all’altro dei sistemi di conduzione, perché essi hanno, come le piante, bisogno di trovare il clima adatto, credo che se voi rifletterete e studierete quanto si può fare in questo campo, troverete la soluzione del problema della conduzione della terra col sistema collettivo in questo che ho brevemente detto, e sarà questo l’avviamento a quelle forme sociali, oggi premature, ma alle quali occorre pensare, pensando anche a creare una coscienza che al gretto individualismo, agli egoismi, sostituisca la convinzione che nel vantaggio di tutti sta il bene dei singoli.

E allora, onorevole Ministro dell’agricoltura, io le rivolgo l’augurio che il suo-Ministero possa essere riorganizzato in modo da avere tutti quei servizi, centrali e periferici, adatti ed efficienti, per risolvere gli importanti problemi della terra. Tutto quanto riguarda la bonifica deve essere riunito nel suo Ministero, che dovrà, è superfluo dirlo, avvalersi dei Consorzi di bonifica e, quando occorra, degli Enti parastatali.

A San Donà di Piave si è detto di costituire una azienda autonoma della bonifica, a somiglianza dell’azienda autonoma della strada. Io non ritengo che si debba giungere a questo e penso anzi che si sia frainteso il pensiero di un illustre maestro, l’amico onorevole Serpieri, il quale credo abbia manifestata la necessità che nel Ministero dell’agricoltura fossero riuniti tutti questi servizi.

L’argomento è così attraente per me, che a questi problemi ho dedicato tutta la mia vita, che sarei tentato di parlare a lungo.

Ma non intendo, onorevoli Colleghi, abusare della vostra cortesia. Credo di avere, per questa parte e sia pure con rapidi accenni, illustrato il mio ordine del giorno. D’altra parte non è questo il momento di parlare più ampiamente del problema sociale, del dramma, come è stato detto qui, dei contadini nostri che attendono pane e lavoro; dramma che ci deve convincere della necessità di aumentare la produzione a vantaggio del consumo, a vantaggio del popolo italiano, che pure attende pane abbondante ed a buon mercato; dramma che qualche volta assume le caratteristiche di tragedia, e se sul serio vogliamo che questa tragedia o dramma arrivi a lieto fine, ciascuno di noi concordemente deve cercare di portare il suo contributo perché i problemi a cui ho accennato siano risolti al più presto possibile.

Dedichiamoci a questa opera in pace. L’onorevole Togliatti disse, a proposito del noto articolo 7 della Costituzione, che egli avrebbe votato questo articolo perché gli premeva di non turbare la pace religiosa, essendoci problemi più gravi che devono essere risolti. E l’onorevole Nenni, concludendo invece in senso contrario che egli avrebbe votato contro l’articolo 7, affermava che non poneva in discussione il problema religioso, perché a lui premeva la riforma agraria.

Questo pensiero trasportiamolo anche nel campo sociale. Non turbiamo la pace religiosa e la pace sociale, e vediamo, tutti insieme, concordi, di lavorare per la nostra agricoltura e per chi soffre ed attende giustizia.

I tecnici, coloro che vivono la vita dei campi a contatto dei contadini – ed io mi onoro di essere fra questi – sanno come questi contadini amano chi li avvicina, li educa, li istruisce e li porta ad essere operai specializzati. Essi ci benediranno, se provvederemo ai loro bisogni e nelle campagne, con la giustizia, trionferà la pace e il lavoro fecondo. (Applausi).

Ed ora, onorevoli colleghi, consentitemi di parlare della seconda parte del mio ordine del giorno.

Onorevoli colleghi, prendere la parola in una discussione di carattere finanziario è compito assai arduo per chi non ha profonda competenza di questa difficile e delicata materia. Quindi io dovrei tacere e tacerei molto volentieri, se non fossero sorte in me varie e gravi preoccupazioni dalla lettura del decreto sulla imposta straordinaria progressiva sul patrimonio e della relazione della Commissione: preoccupazioni che si aggiungono a quelle che già, in altra recente occasione, manifestai all’Assemblea e che particolarmente riguardano il fisco nel settore della agricoltura.

Premetto che non ho alcuna intenzione di fare della critica, sia pure parca e non solamente negativa, come è mia abitudine, ma di provocare, in base alle osservazioni che farò, dichiarazioni dalla cortesia dell’onorevole Ministro delle finanze; dichiarazioni che valgano a dissipare i miei dubbi e perciò a tranquillizzare me e quanti con me sono, come ho detto, preoccupati dall’esame dei precitati documenti.

Credo inoltre che non sia superfluo segnalare quelle conseguenze dannose che, a mio modesto avviso, possono prodursi con l’applicazione di questo decreto e, mi si permetta, in genere con le vigenti disposizioni tributarie nel settore agricolo.

Badate bene, onorevoli colleghi, io non ho la preoccupazione di difendere una categoria di contribuenti e perciò interessi particolari. Anzi penso e intendo, per quanto sta in me, che chi ha paghi e chi non ha, e soffre maggiormente della attuale situazione nella quale si trova il nostro Paese, sia esonerato da ulteriori sacrifici che sarebbero ingiusti e perciò anti-sociali. Sono invece esclusivamente mosso a parlare dal desiderio che la nostra agricoltura possa rapidamente risorgere per dare abbondanti prodotti per l’alimentazione del popolo italiano e per darli a prezzi convenienti; per dare occupazione a molti lavoratori nelle campagne; per poter risolvere i problemi sociali connessi alla terra, che, mi sia consentito, non si risolvono per decreto, ma con adeguata e non sempre breve preparazione, che richiede tutta una attrezzatura tecnica di istruzione e di credito che ha bisogno di mezzi finanziari. Certe frasi che oggi corrono sulla bocca di tutti, possono essere allettatrici, ma diventeranno fonti di disillusione, se non sapremo preparare adeguatamente queste riforme. Desidero ancora che si possa mantenere questa terra in condizioni di essere sempre una fonte cospicua per la finanza dello Stato e perché essa possa contribuire alla economia del Paese con la esportazione dei prodotti della agricoltura sia naturali che lavorati.

Ora, onorevole Ministro Pella e onorevoli colleghi, per chi mira a questi scopi, il decreto in discussione sembra tutt’altro che tranquillizzante e in genere non lo sembra tutto il sistema attuale tributario. Non intendo affatto, per questo accenno ai sistemi tributari in vigore, trarre occasione da un decreto per ampliare la discussione.

Ripeto però che per quanto riguarda l’agricoltura in relazione al fisco, pur avendo di mira ciò che è di vitale importanza: l’assestamento della nostra finanza e la stabilizzazione della moneta, bisogna fare in modo che gli oneri siano tali da non gravare, anche per ragioni di giustizia, sperequatamente sulla terra e in modo così esorbitante da produrre come inevitabile conseguenza il rialzo dei prezzi dei generi alimentari e da dare origine a crisi nel settore dell’agricoltura che sarebbero di grande pregiudizio all’intero Paese. Perciò occorre ricordarsi di porre dei limiti anche agli interventi della finanza locale con gli oneri da imporsi alla agricoltura. In sintesi, l’azione fiscale dovrebbe, nel settore agricolo, avere un solo indirizzo: unica la fonte, unici i criteri di tassazione.

Ma veniamo più precisamente alla imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. È fuori dubbio che, date le nostre attuali condizioni e particolarmente quelle della finanza statale, sia indispensabile trovare quei mezzi, anche drastici, per arrestarci sull’orlo dell’abisso e iniziare, sia pure lentamente e faticosamente, la via della ripresa che ci permetta anche di agire nel campo sociale, come è desiderio di tutti coloro che sono veramente democratici, perché democrazia non sia una parola vana ed abusata ma fonte di giustizia particolarmente per le classi lavoratrici.

Onorevoli colleghi, quando si parla della attuale situazione finanziaria, siamo tutti concordi nell’affermare che bisogna ridurre le spese; ma bisogna soprattutto, nel limitarci, fare solo quelle che sono produttive e aggiungo produttive quasi immediatamente quali quelle destinate alla agricoltura.

Si potrebbe, discutendo questo decreto, prendere anche occasione per fare altre considerazioni di carattere generale, ma abbrevio. Due credo tuttavia non si possano tralasciare e cioè: bisogna evitare che si diffonda la convinzione che il fisco infierisca specialmente contro quei contribuenti che non possono occultare i propri beni; e bisogna evitare inoltre che specialmente coloro che si sono arricchiti sulle sfortune della Nazione abbiano la possibilità di sfuggire alle gravi imposizioni che dovrebbero pagare. La stessa relazione La Malfa ha un accenno a questo e dice che l’attuale progetto, circa il problema mobiliare, attenua le critiche che a questo riguardo si fanno; attenua, ripeto, io, ma purtroppo non le elimina.

Onorevole Ministro, sono in errore, o questa imposta, trattandosi di un sistema contributivo straordinario che non si può ripetere se non a lunghi periodi, dovrebbe concludere e non iniziare il ciclo del risanamento finanziario e, tecnicamente, la stessa imposta non dovrebbe perciò applicarsi dopo od insieme ad altri diversi mezzi coi quali si sia stabilizzata la moneta? Mi duole di non essere d’accordo con l’onorevole La Malfa che espone il concetto contrario, cioè che con questo provvedimento si apre il ciclo per il risanamento finanziario.

L’onorevole La Malfa accenna anche, a questo proposito, al cambio della moneta che ritiene sarebbe stato necessario ma dice che non occorre parlarne ora perché si ritarderebbe l’entrata in vigore del provvedimento in corso. Onorevole La Malfa, d’accordo con lei, bisogna affrettarci, ma per la fretta non bisogna ricorrere, con mezzi incompleti, ad un sistema di prelevamento eccezionale, cioè da applicarsi a lunghissimi intervalli di tempo con mezzi inidonei. Intanto che si perfeziona questo mezzo si ricorra ad altri espedienti e ve ne possono essere di efficaci.

Non potrebbe verificarsi il caso estremo che, con la lira che scivola ogni giorno, il prelievo progettato diventasse sterile e che si verificasse che il gettito delle future rate della imposta, al momento della riscossione, fosse appena sufficiente a pagare le spese? Si badi bene, con questo interrogativo non intendo avvalorare la tesi di coloro che vorrebbero si applicasse subito la esazione totale (pare in un anno) della imposta; abbreviazione alla quale accenna anche la relazione. Attenti ai mali passi, onorevoli colleghi! Pensate al collasso che si avrebbe inevitabilmente nel mercato terriero e alle conseguenti crisi disastrose cui andrebbe incontro l’agricoltura italiana. Altro che parlare e sperare di poter fare delle riforme! Altro che sperare di incrementare la produzione! Riflettiamo, onorevoli colleghi, ai danni enormi che deriverebbero a tutti ma specialmente ai piccoli proprietari e ai consumatori; e riflettiamo anche se non si possa verificare che, per altri motivi che esporrò tra breve, sia dal punto di vista psicologico che da quello materiale, con questa imposta gravante con aliquota fortemente progressiva (peggio ancora se queste aliquote si volessero aumentare) sulla terra non si peggioreranno quelle condizioni necessarie per quelle riforme che in vario modo, ripeto, tutte le correnti politiche auspicano?

Onorevoli colleghi, che l’onere sia già grave a proposito di proposte di aumento di aliquote, è indubitabile, ma lo è ancor più di quanto forse non si rileva subito; basterà si ricordi che con questo decreto si hanno due patrimoniali: la vecchia e la nuova. Dovendosi riscattare la vecchia si avrà una somma cospicua da pagare prestissimo. Chi ad esempio avesse un patrimonio di tre milioni, al 4 per cento dovrà pagare per la primitiva imposta patrimoniale nella annata prossima ventura lire 120 mila oltre la patrimoniale straordinaria. A questo riguardo pensi l’onorevole Ministro ai piccoli proprietari, pensi a modificare e ad attenuare l’onere come da diverse parti di questa Assemblea si è invocato.

Su altri punti, onorevole Ministro, abbia pazienza, io desidero assicurazioni da lei.

Esistono o sono celermente predisponibili gli strumenti tecnici adatti perché questa imposta dia frutti veramente efficaci? Se così non fosse, non sarebbe da prendere in considerazione di circoscrivere subito il male con altre provvidenze e preparare intanto e al più presto i mezzi idonei perché la straordinaria contribuzione possa dare un frutto tale da risolvere il problema o almeno attenuarne la gravità? Io non voglio azzardare cifre, ma se fosse esatta quella cifra che si ripete insistentemente, cioè che questa imposta frutterà 300 miliardi, questo onere fiscale non si ridurrebbe ad un semplice ed insufficiente espediente di tesoreria? E allora come verrebbero compensati i disavanzi futuri, sia pure tenendo conto di possibili riduzioni di spese e aumenti delle entrate ordinarie? Pare a me, per i motivi già esposti e per altri ancora, che non si debba restringere il periodo della esazione, come vorrebbe la Commissione, e molto meno che non si debbano aumentare le aliquote, ma, d’altra parte, è pur vero che la preoccupazione che questo provvedimento si riduca ad un poco efficace espediente di tesoreria si avvalora sempre più.

Passiamo ad altri argomenti più particolari: articolo 34 della legge: ai fini della liquidazione provvisoria, data l’inesistenza di elementi tecnici di accertamento, ci si accontenta dei valori tenuti in conto per la patrimoniale ordinaria. Orbene, se non erro, tali valori, secondo dati che penso siano attendibili, ammontano complessivamente a 2.250 miliardi costituiti per 1.500 miliardi da immobili fondiari e per 750 miliardi da ogni altro valore. Se si tien conto della esenzione generale stabilita dalla legge e della quota esente, individualmente accordata, i valori effettivamente tassabili parrebbe che difficilmente dovessero raggiungere, nella prima applicazione, l’imponibile complessivo di 1.000 miliardi. Prevedendo anche una aliquota media del 9 per cento (già molto alta perché corrisponde a patrimoni di 22 milioni tassabili per 20), il gettito complessivo non potrebbe superare i 90 miliardi e tenendo conto delle possibili dilazioni, sia pure conseguenti al pagamento di interessi, il gettito non dovrebbe essere, per un triennio, superiore ai 30 miliardi. Ma se questo fosse anche vero, e ci correggerà, io me lo auguro, l’onorevole Ministro, mi si potrebbe obiettare che si potrà far leva sui frutti del definitivo conguaglio. (Commenti).

Onorevoli colleghi, a questo riguardo vi sono altre gravi preoccupazioni perché, almeno pare, non esistono gli strumenti tecnici adatti a conferire alla impostazione del tributo quel carattere di automaticità che sarebbe tanto più necessario quanto più urgente è il realizzo del gettito e più indispensabile la conoscenza di una base sicura di imposizione che assicuri la utilità del tributo. Ora la legge lascia adito a molte ipotesi e c’è chi vede tutto nero e chi roseo. (Approvazioni). La legge, onorevoli colleghi, si limita a constatare che lo strumento misuratore dei valori imponibili non c’è e dice: premesso che i valori mobiliari sono facilmente occultabili e che gli estimi immobiliari sono irreali e sperequatissimi; considerato che l’accertamento diretto dei valori mobiliari è irrealizzabile e l’aggiornamento e la perequazione degli estimi immobiliari richiederebbero molte spese e molto tempo di lavoro (con risultato nullo, perché nel frattempo varierebbe sia la consistenza e qualità delle cose stimate e sia il valore intrinseco dell’unità di misura); ritenuto che un qualche sistema di conguaglio deve essere pure escogitato, si stabilisce che i valori mobiliari, fermo restando l’obbligo della dichiarazione (dichiarazione che forse pochi faranno), e salvo l’eccezionale ricorso, secondo l’articolo 26, all’accertamento preventivo, l’imponibile è determinato mediante l’aggiunta di un 12 per cento al valore dei cespiti direttamente accertati. Questo pare a me che aggravi la sperequazione fra coloro che possono e coloro che non possono occultare i loro beni con ingiusto vantaggio dei primi e svantaggio dei secondi e ciò anche e specialmente per l’agricoltura. (Approvazioni). Si stabilisce poi che la Commissione censuaria centrale per i cespiti immobiliari, adotterà una tabella di coefficienti da applicare al reddito dominicale per i terreni e alla effettiva consistenza per i fabbricati. I primi da distinguersi per zone economico-agrarie con riguardo alla qualità di coltura e alla classe di produttività e discriminando i secondi per categoria e per classe, sentite le osservazioni e proposte delle Commissioni censuarie comunali e provinciali e salvi i ricorsi degli interessati. Credo che tutti, ma specialmente chi ha un po’ di esperienza in materia, debba preoccuparsi del tempo occorrente perché entri in funzione questo complesso sistema, né la legge toglie questa preoccupazione. Certo il tempo necessario non sarà breve. Basta pensare che le unità tipo del catasto edilizio sono ben 200 mila e che una varietà infinitamente più grande offrono i terreni. Per tutto questo continuerà a sussistere, anche se attenuata, la sperequazione degli estimi e più ancora la non corrispondenza dei classamenti alla attualità; e se nelle more la inflazione conseguente al ritardo del gettito aumenterà, si avranno altri danni che voi ben comprendete. Certo pare a me che si porterebbe un grave colpo alla commerciabilità degli immobili e si reciderebbe alla radice la base operativa del credito. (Approvazioni e commenti).

D’accordo, mi si potrebbe obiettare, sulle Vostre preoccupazioni ma: quid agendum? Nell’attesa di applicare questo provvedimento in base alle premesse più sopra ricordate di avere almeno pronti gli strumenti adatti per questo straordinario tributo, non si potrebbe intanto indirizzare le cure degli uffici a migliorare il gettito delle imposte esistenti, magari per alcuni modificandone la struttura? Non si potrebbe giovarci del rendere lievemente progressiva l’imposta ordinaria sul patrimonio? Mi pare che, senza nuovi accertamenti ed operando solo sulla aliquota che potrebbe essere stabilita a scaglioni dall’l al 4 per cento, si potrebbe realizzare un beneficio immediato notevole senza turbamenti, senza dispendi e senza pregiudizio di applicare al più presto la straordinaria con congegni adatti.

Ma io non ho competenze specifiche in materia e perciò non ho fatto che dei semplici accenni interrogativi, lieto se si dissiperanno le mie preoccupazioni. Tengo piuttosto se, onorevoli colleghi, non sono importuno…

Voci. No, no!

PALLASTRELLI. Tengo, ripeto, come tecnico della economia agraria, a far considerare che se la legge non verrà modificata, per parecchio tempo almeno, cioè fino ai definitivi accertamenti, gli immobili diverranno incommerciabili e il credito sarà completamente paralizzato e sarà specialmente dannosa la paralisi del credito agrario di miglioramento e di ricostruzione. Infatti per l’articolo 50 della legge il credito dello Stato, per l’intero ammontare del tributo, ha privilegio speciale su tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data di pubblicazione della legge stessa, ossia 29 marzo 1947, salvi i diritti dei terzi precostituiti. Bisogna quindi riflettere che: 1°) la inesistenza di tabelle di cui parla l’articolo 9 rende impossibile qualsiasi calcolo relativo alla futura valutazione fiscale del cespite ed all’incidenza della imposta privilegiata; 2°) che per gli articoli 3, 5, 6, 26 e 60 della legge il più modesto cespite immobiliare può essere gravato dal privilegio fiscale per centinaia di milioni e ciò in dipendenza di attività mobiliari vere o presunte o in dipendenza di beni di qualsiasi natura, fittiziamente cumulabili senza che l’aspirante compratore o l’Istituto di credito richiesto di sovvenzione abbia la più lontana possibilità di accertamento e quindi di cautela. Ecco perciò che ne deriva fatalmente la incertezza del commercio immobiliare e del credito. (Approvazioni). Speriamo che all’articolo 60, oltre all’aggiunta proposta dalla Commissione, altri perfezionamenti si possano apportare per evitare quanto io ho detto. Speriamo anche che a proposito degli Enti collettivi, non si tocchino gli istituti di credito fondiario, le Casse di risparmio, i Monti di pietà (gli Enti religiosi sono fuori discussione per il concordato); se così non fosse questo accenno basta per comprendere le disastrose conseguenze prevedibili: primo il danno alla stessa finanza, per la quale la paralisi commerciale e creditizia suesposta renderà impossibile anche la riscossione di quel tributo che il privilegio dovrebbe cautelare. La mancanza di scambi e di credito, infatti, renderà necessaria una valanga di contemporanee espropriazioni e perciò il credito fiscale subirà notevolissime falcidie. Ciò a prescindere dal mancato incasso di tutti gli oneri fiscali ai quali è condizionato il trasferimento degli immobili e la esecuzione delle operazioni di credito. La situazione, sia detto in parentesi, è inasprita dall’articolo 3, che in sostanza considera avvenuti in frode alla legge i trasferimenti a titolo gratuito fatti ai discendenti dopo il 10 giugno 1940, cioè in epoca in cui non si poteva prevedere l’eventualità della imposizione straordinaria. Non le pare, onorevole Ministro, che sia il caso di rivedere queste norme per non turbare i rapporti familiari?

Si osserverà che la legge offre il rimedio del riscatto della imposta anche limitato a singoli cespiti. Ricordiamoci anzitutto che per l’articolo 53 della legge il riscatto è subordinato al consenso dell’Amministrazione. Ora, per elementare prudenza e per cautela contro facili eventuali accuse di favoritismo o di corruzione, gli uffici non accorderanno il riscatto mancando qualsiasi elemento che possa far calcolare, sia pure approssimativamente, l’ammontare complessivo dell’imposta ancora da accertare in via definitiva. Mi si permetta di azzardare una proposta, visto che la mancanza di idonei strumenti di immediata valutazione costringerebbe ad attese ed a ripieghi pericolosi; non si potrebbe rinunciare al sistema macchinoso escogitato e attenersi ai valori accertati alla patrimoniale ordinaria, dopo l’aumento apportato? Tanto più che dalle stesse disposizioni vigenti non è esclusa la possibilità per il fisco di rivedere la base imponibile quando si discosti dal valore effettivo del patrimonio. Così agendo il fisco, il contribuente, gli aspiranti compratori e gli Istituti di credito potrebbero vedere attenuate le loro preoccupazioni anche se non eliminate, dato il carattere personale della imposta e la possibile incidenza del credito del fisco sugli immobili anche se conseguenti alla valutazione del patrimonio mobiliare del contribuente. In tutti i modi si otterrebbe il risultato di rendere più rapidi gli accertamenti e le relative riscossioni.

Ma se proprio non si potesse, per ragioni che a me sfuggono, rinunciare al sistema, mi si permetta, complesso, escogitato di accertamento, non sarebbe consigliabile porre un limite al privilegio fiscale o ragguagliandolo in quantità ad un coefficiente del reddito imponibile o rendendo obbligatorio per la finanza, sia pure con particolari cautele, il riscatto parziale? Ho accennato più sopra alla utilità, come rimedio all’eventuale ritardo della applicazione della imposta straordinaria per meglio congegnarla, del riordino delle imposte esistenti creando nuove fonti di reddito in altri cespiti attivi e a questo riguardo mi vien fatto di pensare, ad esempio, alle non poche possibilità di successo che potrebbe avere una grande operazione finanziaria appoggiata alla patrimoniale ordinaria resa progressiva e al gettito crescente e notevolmente migliorabile del monopolio dei tabacchi. Settore nel quale penso possano esistere possibilità per riprendere l’esportazione ed anche per preparare la tabacchicoltura italiana a produrre quel tipo di tabacco orientale più adatto alla esportazione.

Onorevoli colleghi, ho fatto questo accenno perché è ovvio che la nostra finanza potrà migliorare veramente oltre che col contenere le spese e con il gettito crescente delle imposte sia a mezzo di imposizioni ordinarie che di quelle straordinarie, con aiuti creditizi che possano veramente servire a mettere in efficienza la nostra capacità produttiva, purtroppo in gran parte, anche nel settore agricolo, allo stato potenziale; quella capacità produttiva che, resa dinamica, potrà sul serio permetterci di risolvere il problema della alimentazione, delle invocate e bene tecnicamente preparate riforme, alle quali ho già accennato. Ma questo è, come mi insegnate, problema squisitamente politico e su questo voi, onorevoli colleghi, ben sapete ciò che è necessario fare. (Applausi).

Onorevoli colleghi, per il bene del Paese, per l’avvenire del popolo italiano, perché libertà e democrazia non siano parole vane, accingiamoci, tutti uniti, a quest’opera grandiosa. Tutti i cittadini, come dice la relazione, devono ancora tutti considerarsi come in guerra e tutti perciò uniti. Non perdiamo più tempo; di fronte a noi stanno due vie: quella di una precipitosa rovina e quella, sia pure faticosa, della sicura ascesa. Incamminiamoci per quest’ultima per dare, sotto l’egida della nuova Repubblica italiana: pane, lavoro e benessere, morale e materiale, al popolo che attende. (Applausi vivissimi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Micheli, Marconi, Valenti e Coppi Alessandro, hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

ritenendo che, pure negli indispensabili aggravi determinati dalle nuove leggi si debba tener sempre presente la necessità di agevolare la piccola proprietà già esistente e particolarmente quella rurale e montana,

invita il Governo:

  1. a) a rendere praticamente applicabile l’esenzione di terreni e fabbricati situati oltre i 700 metri;
  2. b) a sistemare con criterio di doverosa comprensione i contributi unificati;
  3. c) ad esentare le quote minime dalla imposta straordinaria progressiva del patrimonio;
  4. d) ad evitare che concessioni particolari (ad esempio indennità per danni di guerra determinati da azioni nazi-fasciste) siano rese inapplicabili per tutti coloro che non possono dimostrare di essere nullatenenti perché posseggono la casa distrutta».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. Il lieve imbarazzo che mi procura il dover anticipare le parole che intendevo dire per svolgere il mio ordine del giorno, è eliminato in gran parte dal fatto che il collega Pallastrelli ha egli pure accennato a quello che doveva essere l’argomento principale del mio breve discorso. Da ormai quarant’anni in questa Camera si è alzata sempre la mia voce in difesa della piccola proprietà e non solamente a favore di quella da creare con lo spezzettamento del latifondo o attraverso altre riforme agrarie, perché mi è sempre sembrato un controsenso che il legislatore, il quale si affatica per trovar modo di creare la proprietà piccola, non si preoccupi ugualmente di mantenere quella che già è in atto, inquantochè nella maggior parte, anzi direi in tutte le regioni d’Italia, una gran parte della proprietà è piccola e limitata. Questo particolarmente nelle zone montuose che sono i due terzi dell’Italia e dove è più forte e più vivace l’attaccamento alla terra, per modo che la gente la quale è emigrata in lontane terre, dopo decenni riesce a fare lo sforzo ultimo per acquistare un modesto terreno e la casetta nel suo paese di origine, dove finire i suoi giorni. E quando io fui nel 1920-21 Ministro dell’agricoltura – oramai il ricordo si perde nella notte dei tempi – non pensai tanto a dar vita ad un progetto concreto per lo spezzettamento del latifondo siciliano, che doveva essere il primo esperimento per riforme più ardite, ma volli particolarmente cercare di eliminare alcuni aggravi fiscali i quali nuocevano grandemente alla piccola proprietà. E questo feci particolarmente in base ad un’inchiesta che io ed il mio antecessore onorevole Raineri ordinammo sulla piccola proprietà rurale e montana. Ebbi anzi l’onore di pubblicarne le conclusioni in due volumi che, anche oggi, fanno testo in materia. Principale constatazione era che la piccola proprietà, specialmente quella montana, era minacciata, e, per non scomparire, doveva essere alleviata da non pochi aggravi fiscali.

Il che fu poi confermato largamente da altri studi, fatti posteriormente con criterio di vera e propria rilevazione scientifica, sullo spopolamento delle valli montane.

Peccato che in quei molti volumi dedicati alle valli alpine, si fossero dimenticati completamente gli Appennini, nelle cui zone il fenomeno dell’emigrazione era altrettanto preoccupante. Non c’è bisogno che io dichiari come non intenda di porre ostacoli o remore all’opera del Governo nel cercare di ristabilire e di riorganizzare le finanze dello Stato. Credo che sia dovere di ogni cittadino di coadiuvare quest’opera, e tanto più di ogni deputato, particolarmente di coloro che avendo fiducia nel Governo si apprestano, attraverso il voto, a dimostrarlo.

Ma se ogni cittadino deve fare i propri sacrifici volenterosamente, essi debbono essere coordinati ed organizzati in guisa che il sacrificio di nessuna categoria di essi sia controproducente, in modo che lo Stato invece di averne solo un vantaggio immediato pecuniario, si trovi domani di fronte a situazioni gravi e difficili produttrici di nuove spese.

Quindi io avrei atteso a discutere di questa parte particolare, se alla Costituente si fossero presentate in discussione di Assemblea le leggi che si riferiscono alle due imposte patrimoniali. Ma siccome questo non è certo e nel timore che tutto si debba ridurre alle discussioni già avvenute in seno alla Commissione di Finanza – alla quale io non mi onoro di appartenere – ho ritenuto opportuno presentare questo ordine del giorno, per poter dire il mio pensiero in questo argomento. Ed a tale riguardo, io non ho che da unirmi alle affermazioni che sono già contenute nei due ordini del giorno presentati dai colleghi Scotti Alessandro e Pallastrelli, dell’ultimo dei quali abbiamo sentite, or ora, le lucide e precise argomentazioni.

Io debbo invece cercare di completare quanto ha detto, nella sua accurata e vivace esposizione, l’onorevole Crispo, in appoggio al suo ordine del giorno col quale afferma che l’applicazione del decreto legislativo 29 marzo 1947, sull’imposta straordinaria progressiva del patrimonio, colpendo, fino all’espropriazione, la proprietà edilizia e rurale, a danno dei meno abbienti, reca specialmente gravi pregiudizi all’economia meridionale.

Come dissi, io non contesto affatto, anzi sono perfettamente d’accordo in questa affermazione, ma io credo che sia necessario e doveroso, perché il panorama che si presenta di fronte al Governo sia completo, avvertire che il pregiudizio di questa legge non è purtroppo solo limitato alla sola parte del mezzogiorno. I colleghi Mastino Pietro, Lussu, Abozzi, ed anche Veroni, che si è unito ai sardi per spirito solidale, hanno aggiunto, nell’altro ordine del giorno loro, che effettivamente esso colpisce l’Italia centro meridionale e le isole. (Interruzione dell’onorevole Veroni). Non nego che esso colpisca Velletri e il Lazio che appartengono all’Italia centro meridionale. Ad ogni modo, il pregiudizio è uguale per tutta Italia, purtroppo, senza soverchie eccezioni. Può darsi che la particolare situazione nella quale si trovano le terre del mezzogiorno e quelle delle isole rendano più acuto e disastroso questo aggravio, ma non mancano nell’Italia settentrionale i territori che si trovano presso a poco nelle medesime condizioni.

Io non intendo qui di aprire una gara dolorosa per sapere chi abbia più o meno sofferto in questa deprecabile situazione, ma devo solo ricordare che tutte le volte che si sono proposte particolari leggi per il mezzogiorno, nell’ultimo quarantennio del Parlamento Italiano, un gruppo di deputati, capitanati dall’onorevole Luchino Dal Verme, del quale gruppo io, giovanissimo, facevo da segretario (trovo ancora qui qualcuno presente, come gli onorevoli Ruini e Pallastrelli), ne chiedeva l’estensione dei benefici anche a quei territori delle Alpi e degli Appennini, i quali per la loro altitudine, per la mancanza di comunicazioni, per la deficienza di tutti i servizi necessari alla vita civile, si trovavano nelle condizioni stesse che tanto opportunamente il legislatore voleva eliminare nel mezzogiorno.

Cosa direbbero i miei colleghi, che mi ascoltano con tanta cortese attenzione, se io dicessi loro che, nonostante la tenace opera di quarant’anni, di uno che è stato anche qualche tempo Ministro dei lavori pubblici, nella provincia di Parma vi sono ancora due comuni isolati, Solignano e Valmozzola, perché la famosa legge sull’allacciamento dei comuni isolati non è riuscita ancora a togliere quest’ultimo ricordo di altri tempi?

VERONI. Se sapesse da noi!

MICHELI. Da voi la sistemazione è più facile; chi è più vicino al sole si scalda più facilmente. Certo è che non si riesce a comprendere come nell’alta Italia, in una provincia come Parma, una delle più progredite e produttive, si trovino ancora insuperabili situazioni del tempo passato!

Che cosa direbbero i colleghi, se io ricordassi loro che, ad esempio, delle strade di serie di cui la benefica legge del Baccarini del 1881, ordinava la costruzione, noi ne abbiamo ancora quattro o cinque da terminare e non siamo riusciti, con tutti i nostri sforzi, che a farne cominciare qualcuna? La Borgotaro-Bardi, ad esempio, e la Borgotaro-Pontremoli. Così abbiamo anche un’altra antica questione riguardante un importantissimo valico appenninico che accorcerà di 30 chilometri il percorso dalI’Aurelia a Milano; eppure queste strade si attardano ancora lungo le nostre pazienti valli e non giungono mai a termine. La strada di serie numero 161, che interessa quattro provincie – Parma, Reggio, Massa e La Spezia – è quella per terminare la quale invano combattiamo da quarant’anni!

Non si riescono a spingere innanzi queste pratiche, perché trovano ostacolo in quella che è la morta gora della burocrazia centrale, per cui noi ci troviamo ancora nelle condizioni di un tempo. (Approvazioni). Ecco perché lassù si attende la Regione. Quelle popolazioni sperano che nuovi organismi, più vicini e comprensivi dei bisogni del luogo, riescano finalmente a dare alle nostre valli quelle comodità insostituibili e necessarie che l’organizzazione centralistica dello Stato italiano ci ha lasciato finora mancare. I valichi del Bretello, del Cirone, del Lagastrello, di Praderena, delle Forbici solcheranno in modo meraviglioso il nostro Appennino che la Regione sistemerà facilmente con grande vantaggio della Nazione.

Ho fatto questo preambolo per esprimere un sentimento che proviene dalla mia coscienza turbata, perché, come in tante altre occasioni, anche oggi ha dovuto constatare questo stato di fatto.

Io debbo ora esaminare brevissimamente i quattro punti (Commenti) e vi potrà confortare la mia voce, che dopo tanto lungo silenzio parrà fioca, anche se qualche spiacevole constatazione ha dovuto fare per dire una parola in difesa della mia terra e delle belle e modeste valli che la formano, le quali hanno bisogno di difensori in questa sede, grati essi per loro dell’attenzione con cui avete seguito la difesa dei loro interessi, e delle approvazioni con cui avete accolto le mie parole.

Accennerò brevissimamente ai quattro punti diversi, ma fra loro collegati e tutti nell’interesse della piccola proprietà rurale e montana. Il primo punto si riferisce all’imposta sul patrimonio. Ora, l’imposta straordinaria progressiva colpisce tutti, senza distinzione, sino a 100 lire di reddito, ma cosa sono oggi cento lire? Invece l’imposta proporzionale elimina le quote minori sino a tre milioni.

Non dico che 3 milioni siano oggi uno sproposito, ma non sono nemmeno pochi, ed è certo un minore sacrificio per chi ha la possibilità di enunciare nella sua denuncia tre milioni. Mentre noi, con la tassa proporzionale siamo partiti da tre milioni, con le altre tasse non c’è che una esenzione insensibile, cosicché in molti comuni, anche per le piccole casette, modestissimi proprietari che altro non hanno si sono visti arrivare cartelle con cifre per essi certo assai esagerate, e molti mi hanno chiesto spiegazioni, e qualcuno me la ha mandata perché provveda io a pagargliela (Si ride).

Ora, a questa gente io ho risposto: fate uno sforzo, pagate la prima rata, pagate la seconda, e per le altre poi vedremo, ne parleremo al Governo. Io ne ho parlato e scritto all’onorevole Campilli prima e all’onorevole Einaudi dopo: mi hanno dato delle buone parole, ma non sono riuscito ancora ad avere una risposta, concreta. Si vede che è troppo difficile per loro favorirmela come io desidero. Mi auguro che in questa sede la difficoltà sia minore. Ad ogni modo vediamo che cosa succederà. O che ci troveremo di fronte ad una quantità di quote inesigibili, oppure dovremo fare delle espropriazioni a migliaia, perché molta di questa piccola gente non avrà la possibilità di pagare. E così poco per volta la piccola proprietà, attraverso a questi aggravi verrà schiacciata ed eliminata. Questo era il primo e principale concetto del mio ordine del giorno. Mi auguro che le osservazioni, fondate sulla pratica, esposte da me e da tanti altri colleghi possano essere tenute presenti ed ottenere almeno una conveniente e larga rateazione.

Restando pur sempre nei limiti della piccola proprietà, ci si presenta come secondo punto quello dei contributi unificati. Ora nessuno contesta che si debba provvedere all’assicurazione dei lavoratori per far loro avere le prestazioni sociali, ma è il sistema di accertamento e dei lavoratori e dei contributi che non va.

Da una parte, con sommario giudizio, il lavoratore viene iscritto negli elenchi comunali in una delle tante categorie e con questo è senz’altro assicurato per tutto l’anno agrario indipendentemente da chi pagherà. Dall’altra si impongono i contributi sulla base di un presunto impiego di mano d’opera per ettaro e coltura e per la forma delle conduzioni. Il che dà luogo a troppe sorprese.

Il piccolo proprietario o affittuario che coltiva in proprio un modesto appezzamento di terra, senza aver bisogno di assumere mano d’opera, trova sulla cartella dell’esattore quella tal voce «contributi unificati» e naturalmente non può rendersi ragione perché deve pagarli. Non di rado è addirittura colpito come conduttore in economia; di regola poi gli si impongono i contributi per le cosidette giornate di punta che, in virtù di presunzione su presunzione, si dice che fa eseguire anche quando, come avviene nella maggioranza dei casi, può largamente provvedervi con l’opera propria e con quella della sua famiglia.

Qualche attenuazione è stata introdotta per questo titolo, ma l’ingiustizia di un contributo non dovuto permane di frequente.

Per i mezzadri, un podere paga una cifra, un altro podere che ha le stesse caratteristiche, la stessa estensione, le stesse colture e bestiame ne paga un’altra anche molto diversa.

Si risponde che ciò dipende dal numero dei membri della famiglia. Ma, se eguale è la quantità di lavoro perché eguali sono gli altri estremi, come si possono giustificare le disuguaglianze degli oneri?

La montagna aveva avuto l’esonero. Lo si è tolto. Le ragioni che lo avevano consigliato e che lo fanno ora reclamare sono sempre le stesse.

La montagna è povera e deve essere aiutata cogli sgravi. Ma, tornando al sistema generale le sperequazioni non si contano. Il servizio di accertamento applica i contributi sulla base di dati acclarati nel 1940. Risultato: taluno, e non è caso isolato, l’ha fatta franca allora e continua ad essere esente dal contributo; moltissimi poi pagano per forme di conduzione e per colture che sono completamente modificate.

Risultato finale è che si riscuotono contributi solo per i due terzi delle giornate risultanti dagli elenchi dei lavoratori e che per colmare il deficit si finisce per colpire ancora quelli che hanno già fatto il loro dovere.

Un altro dato per chiudere la partita. I soli servizi di accertamento e di riscossione di questi contributi costano il 22 per cento di ciò che viene pagato. Un altro 30 per cento costano, ad esempio, i servizi amministrativi dell’assicurazione malattia. Domandiamo cosa va a beneficio del lavoratore di tutto quello che si paga?

È tempo ormai che si riveda a fondo questa materia, perché il crescere continuo degli oneri, le ingiustizie, le sperequazioni, i dispendi inutili determinano ogni giorno gravi malcontenti e risentimenti a scapito degli stessi fini che si vogliono raggiungere: quelli delle assicurazioni sociali, per cui anche i lavoratori hanno a loro volta motivo di dolersene.

E vengo al terzo punto del mio ordine del giorno: l’esenzione già antecedentemente concessa per le imposte fondiarie e di reddito agrario per i terreni montani non inferiori ai settecento metri, col regio decreto legge 16 giugno 1942, n. 1063. Abrogata nel 1945, fu ristabilita, dopo tutta una vivace campagna alla quale io presi viva parte, col decreto legislativo Presidenziale 27 giugno 1946, n. 98, completato poi coll’altro del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12.

La gente lassù cominciò a respirare quando si seppe la buona novella. Ma i decreti sono decreti, ma ancora più fanno le circolari. Quella del 10 ottobre 1946, n. 3200, cominciava a mettere a carico degli interessati la domanda disponendo che, qualora non risultasse agli uffici distrettuali delle imposte che tutto il territorio comunale fosse non inferiore ai settecento metri, si doveva «lasciare alle cure dei singoli interessati di chiedere l’esenzione, dimostrandone il diritto». Come se agli uffici predetti non sieno affiancati quelli del Catasto, attraverso i quali la situazione dell’altitudine di una località non risultasse ampiamente! Come questo non bastasse ecco l’ultima circolare del 5 aprile 1947, n. 59770, colla quale si stabilisce che i contribuenti dovranno documentare le loro istanze «mediante una carta topografica dell’Istituto geografic, militare (in scala del 1:25.000 o 1:50.000) nella quale sieno individuate le particelle stesse», ovvero mediante una dichiarazione di un perito o di un geometra. È consentito anche di fare la domanda per tutti dai comuni, ma questi se ne dispensano per evitare spese ed anche perché non intendono di rinunciare domani alle sovrimposte, che sono il reddito unico dei loro magri bilanci. Qualcuno teme che, esonerati i tributi dello Stato, non si vogliano più pagare gli altri, il che non è mai stato chiesto da alcuno.

Ma praticamente, dove vanno i nostri piccoli proprietari di alta montagna a trovare le carte dell’Istituto geografico militare, che difficilmente si trovano in qualche libreria di città, ritornate a farsi vedere dopo le severe proibizioni del periodo bellico? Ma né in quelle del 50 mila né nelle altre del 25 mila (che non sono state compilate per tutte le località) si trovano segnate le particelle, e quindi sono a questo effetto inservibili nei terreni a estensioni limitate. Non resta, quindi, che rivolgersi al professionista, che ordinariamente deve andare sopra luogo e si fa pagare secondo i tempi che corrono e le distanze da percorrere. Con questo accorgimento nel maggior numero dei casi l’esenzione resta scritta sulla carta.

È evidente che anche questo sistema non può assolutamente andare. Quanto il legislatore concede, deve essere concesso anche dagli organi di esecuzione. Diversamente siamo di fronte ad una burla.

Ed ora poche parole per l’ultimo punto. II provvedimento legislativo 22 ottobre 1946, n. 226, da tempo da me invocato, e che potei appoggiare allora in Consiglio dei Ministri, considerava come fatto di guerra, ai fini del risarcimento anche «i rastrellamenti, le azioni di rappresaglia, e saccheggi, ecc.». Il che consentiva che finalmente l’articolo secondo della legge 26 ottobre 1940 n. 1543, si estendesse a tutte le distruzioni, gli incendi, le rapine che i nazi-fascisti avevano fatto in tante parti d’Italia, ma particolarmente nelle nostre montagne che erano state per lunghissimo tempo teatro della lotta formidabile dei nostri partigiani, contro i quali il nemico adoperava il ferro ed il fuoco. Così si accese il cuore alla speranza a tanti disastrati. Ma ecco che un bel giorno a tarpare le ali alle Intendenze di Finanza, sempre bene intenzionate, arriva la solita circolare da Roma, la quale esige che le domande di risarcimento debbano essere accompagnate dal certificato di nullatenenza. Lassù nessuno è povero, e nessuno tale può essere dichiarato, perché tutti, piccola terra o piccola casa, la posseggono. E chi ebbe la casa distrutta dai tedeschi in catasto ne figura ancora proprietario e nulla così ottiene.

Così anche in questi casi la buona volontà del legislatore è stata frustrata dalla solita mania della documentazione!

Praticamente, quindi, anche questa concessione si è ridotta a poco o a niente. In questi casi allora è meglio fare la faccia feroce. Come fa, e farà il nostro nuovo ministro Einaudi, e dire: «Signori, non si può». E quando si sa che manca la possibilità, la gente finisce per mettersi l’animo in pace. Dolorosamente, potrei citare altro e dimostrare che la burocrazia trova il modo, attraverso circolari troppo sapienti, di far sì che non si possano applicare quelle disposizioni, che faticosamente si ottengono.

Ad ogni modo non è lecito né consigliabile, qualunque siano le condizioni dello Stato, dare con una mano e togliere coll’altra!

Ora, questo è il concetto informatore del mio ordine del giorno. Se avessi parlato nel pomeriggio, come dovevo, avrei potuto dire qualche cosa di più preciso, così ho dovuto improvvisare sopra alcuna note incomplete, ma la materia è così connessa all’affettuosa consuetudine che ho col popolo delle mie montagne, che sono certo di aver dimenticato poco, e forse, improvvisando in questo modo, ho messo nelle mie parole quel calore e quella convinzione che è riuscita a far comprendere meglio ai colleghi quale sia la gravità della nostra situazione. (Approvazioni).

Io al banco del Governo vedo due illustri uomini, che apprezzano senza dubbio queste cose: l’onorevole Segni le conosce meglio di me, senza dubbio, in quanto che esse hanno luogo anche nella sua Sardegna, dove la piccola proprietà rurale e montana è numerosissima, e prevalente. E quindi egli si farà eco delle mie parole. E il professore Del Vecchio, che, pure venendo al Governo dal vastissimo panorama della grande economia, saprà certamente che accanto ai grandi numeri ci sono anche i piccoli, e che i primi si formano anche mettendo insieme i secondi. I governanti, nei quali abbiamo piena fiducia, debbono cercare che lo Stato, nella sua ricostruzione lungimirante non dimentichi la grande forza che può venire ad esso dalla solidarietà spirituale dell’umile lavoratore, che vuole soprattutto mantenere integra ancora la sua piccola proprietà e si sforza con ogni sacrificio, come hanno fatto i suoi avi, per tramandare ai figli il piccolo predio e la modesta casetta, nella quale chiuderà sereno la sua vita, domani, dopo un’esistenza di lavoro, e di fatiche, magnifico esempio di mirabili virtù civiche! (Applausi al centro –Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Lombardi Riccardo. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Onorevoli colleghi, io avrei volentieri rinunciato a parlare dopo che, a nome del mio Gruppo, aveva già parlato l’onorevole Foa, il quale aveva espresso interamente anche il mio pensiero, se nel corso della discussione non fossero intervenute le dichiarazioni dell’onorevole Einaudi e non vi fosse stato l’intervento dell’onorevole Nitti, che ha sottolineato a suo modo un accenno dell’onorevole Corbino.

L’onorevole Nitti ha rifatto una cronaca del modo come si è svolta questa crisi, cronaca che devo dichiarare, non dico «mendace», perché c’è un obbligo elementare di cortesia, ma inesatta e tendenziosa.

L’onorevole Nitti ha detto che, quando egli si è accinto a formare il suo Ministero, voleva fare un Ministero di larga concentrazione nazionale, una specie di Ministero di unione nazionale, che più o meno includesse uomini di tutti i settori.

Questo non è vero; perché quando l’onorevole Nitti assunse l’incarico ed iniziò le trattative, c’era stata non soltanto la presa di posizione, da questa parte, contraria ad un governo di «unione sacra», ma c’era stata anche la dichiarazione dell’onorevole Corbino, la dichiarazione del Gruppo liberale, il quale aveva giustamente negato la sua collaborazione ad un governo che includesse indiscriminatamente, nella confusione e nella indecisione, tutte le correnti dell’Assemblea.

Quindi, allorché l’onorevole Nitti iniziò la sua fatica, egli aveva un compito limitato. Poteva fare un governo che andasse, tutto al più, dalla democrazia cristiana al partito comunista, ma non un governo di unione nazionale.

E questa limitazione aveva il suo valore, e appunto perché c’era questa limitazione, a questa formula aderivamo anche noi. Noi l’avevamo accettata.

Ma l’onorevole Nitti ha una curiosa forma mentis, la quale gli vieta in modo assoluto la comprensione di quello che è l’Italia del post-fascismo.

A me spiace assai di dover parlare in modo sgradevole dell’onorevole Nitti, non dico con scarso rispetto, perché egli sa quanto gli sia devoto; ma l’onorevole Nitti è uomo il quale si è inibita la comprensione di ciò che è nato dopo il fascismo. È uomo il quale vive nella contemplazione del prefascismo, durante il quale, non i partiti, ma le clientele dominavano; i partiti moderni, grandi o piccoli che essi siano, egli non li comprende. Io non so se li disprezzi, ma non li comprende.

Ed è per questo che egli ha parlato con tanta amarezza, che è forse comprensibile, di un certo numero di partiti (fra i quali il mio), che gli avrebbero reso impossibile la soluzione quale egli auspicava, partiti che egli ha qualificato come formazioni precarie, dirette soltanto ad ottenere Ministeri e Sottosegretariati.

L’onorevole Nitti (mi dispiace che non sia presente) sa che questo non è vero. Egli sa che la collaborazione nostra non gli fu negata per un calcalo di influenze, ma per una ragione politica che noi abbiamo esposto pubblicamente, e che è la stessa per la quale abbiamo negato la nostra collaborazione, come la negheremo, al Governo dell’onorevole De Gasperi.

È noto che ormai da un anno in questa Assemblea vi è un’opposizione di sinistra, e che noi abbiamo sempre domandato una omogeneità di indirizzo nei Dicasteri economici. Questa posizione doveva esser fatta valere contro l’onorevole Nitti per una ragione di più, perché noi potevamo bensì ammettere che un uomo del prefascismo, ma antifascista sicuro, come l’onorevole Nitti, presiedesse il nuovo Governo: ma che cosa tentava di passare sotto il suo nome?

Il mio amico Nenni ha molte volte ricordato un precetto di Costantino Lazzari: «Quando vuoi regolare la tua azione, vedi come si comporta la stampa reazionaria e fa il contrario». Orbene, tutta la stampa reazionaria ha appoggiato l’onorevole Nitti. Questo ci ha messo in diffidenza, perché se eravamo disposti ad accettare un capo venerando come l’onorevole Nitti, non potevamo esser disposti ad accettare, sotto il suo nome, merce di contrabbando. Questa è la ragione, esclusivamente politica, per cui noi gli abbiamo fatto opposizione; ed egli non ha il diritto di dire che abbiamo fatto una questione di portafogli, perché ciò non è vero.

Ora questo riferimento alla soluzione che l’onorevole. Nitti aveva tentato, fa vedere in modo chiaro come in realtà, qualunque sia l’aspetto occasionale che questa situazione sta assumendo, e come risulta dalle dichiarazioni che l’onorevole Nitti prima e l’onorevole Einaudi poi hanno fatte, il Governo che l’onorevole Nitti voleva costituire era sostanzialmente identico nelle sue direttive al Governo che l’onorevole De Gasperi raccomanda ai voti di questa Assemblea. Il fatto che De Gasperi sia al Governo e non Nitti – ed il Ministero Nitti era previsto con un controllo da parte delle sinistre, l’altro no – a nostro avviso non è decisivo. Io non faccio questione di persone. È inutile anzi che io dica la stima che noi tutti abbiamo per alcuni degli uomini che compongono il Governo attuale: anzi, proprio per ciò io potrei sentirmi molto imbarazzato nel parlare contro il Governo, cui partecipano membri che io stimo moltissimo. È inutile dire come noi tutti stimiamo l’onorevole De Gasperi, l’onorevole Einaudi. Vi è poi il professor Del Vecchio, vi è l’amico Merzagora, col quale abbiamo collaborato in momenti decisivi. Si tratta dunque di una situazione politica che prescinde dalle persone.

Quando noi abbiamo visto il tentativo dell’onorevole Nitti, di fronte all’ondata di fiducia che saliva nel Paese e che l’onorevole Nitti – me lo perdoni – ha notevolmente esagerata, sono andato a rivedere quello che era successo con lo stesso Governo Nitti nel 1919 e nel 1920. Quando si ricorre ad uomini del passato è chiaro che vi si ricorre in base agli esperimenti che essi hanno fatto nel passato. Ora, che cosa noi domandavamo ad un uomo di polso, ad un uomo che assumesse saldamente in pugno la situazione difficile che finanza, tesoro ed economia presentavano?

Nel 1919, nel 1920, durante il lungo periodo in cui l’onorevole Nitti era stato Ministro del tesoro prima, con la Presidenza di Orlando, e Presidente del Consiglio dei Ministri poi, la situazione era assai somigliante a quella di oggi, a quella che noi vogliamo migliorare. L’onorevole Nitti, con la sua cronica incertezza di decisione, aveva portato il Paese alla stessa situazione in cui è oggi e dalla quale volevamo uscire oggi, proprio ricorrendo a lui.

Se si leggono le cronache di allora, si vedono gli stessi rimproveri, le stesse preoccupazioni che oggi noi prospettiamo al Governo: aumento del prestito statale (l’operazione del prestito consolidato, fatta con tempestività e accortezza somme, è stata il vero merito dell’onorevole Nitti, ma è, si può dire, il solo); aumento degli impegni delle gestioni fuori bilancio, di cui si è tanto parlato anche oggi; accrescimento dei finanziamenti statali; incremento della burocrazia (è sotto l’onorevole Nitti che avvenne l’immissione degli avventizi in massa nelle pubbliche amministrazioni); promesse di severa finanza; l’onorevole Nitti disse a lungo per parecchi mesi, per qualche anno, che bisognava fare una finanza severa, ma non la fece. La finanza severa fu fatta in Italia, ma dopo, quando si ricorse a Giolitti e quando effettivamente il deficit da 18 miliardi, se non erro, del 1920 passò nel 1921 a 6 miliardi, smentendo il vanto per tanto tempo messo avanti dal fascismo, di avere esso risanato le finanze del Paese.

Ci furono sotto l’onorevole Nitti discussioni analoghe a quelle che noi affrontiamo oggi.

Ricordo il discorso dell’onorevole Nitti al Senato nella seduta del 15 dicembre del 1918 contro la patrimoniale. Ma poi l’onorevole Nitti fu costretto a presentare il progetto per la patrimoniale voluta dai socialisti ed egli la difese con la stessa sicurezza. In realtà la politica di Nitti, in un’epoca la quale somiglia tanto, per una serie di fenomeni analoghi, a quella di allora, non ci persuadeva, perché l’onorevole Nitti non voleva darci un programma richiesto da tutti noi. Ne sono testimoni gli onorevoli Nenni e Togliatti.

L’onorevole Nitti si è sempre rifiutato di precisare su quale programma egli intendesse fondare il suo esperimento. Perché? Forse perché egli suggeriva un rimedio arcano, il «colpo segreto»? No, certamente.

L’onorevole Nitti non esponeva un programma, perché si voleva riservare intera libertà di azione, cioè intera libertà di decisione, e quali fossero i suoi intendimenti lo ha detto solo oggi, quando durante la discussione si è dichiarato contrario alla patrimoniale; ha dichiarato, sì, d’accettarla; ma tutti sappiamo dove vanno a finire le cose di cui non si è persuasi e che si applicano mal volentieri.

Quindi avevamo ragione noi di non accordare fiducia solo sul nome, perché non è vero che queste ondate di euforia, questi colpi di borsa siano determinanti per la riuscita di una politica. Se fosse così (ed aveva ragione l’onorevole Nenni, quando ha parlato ieri sul precedente del Gabinetto Blum), sarebbe il caso di chiudere il Parlamento e trasferirlo alla Borsa, perché la Borsa sarebbe la padrona della nostra azione politica. Non è vero, perché durante il tentativo Nitti (ed egli me ne deve dare atto), esisteva una situazione in Borsa facilmente orientabile al ribasso in modo spiegabile perfino dai ragazzi.

L’onorevole Corbino ricordava che sarebbe stato opportuno uno studio documentato sull’andamento delle Borse, durante il periodo corrente dalle dimissioni del terzo Gabinetto De Gasperi all’esperimento Nitti. Io dico che sarebbe interessante fare questo esame anche sull’ammontare dei titoli trattati in quei giorni. La liquidazione dei riporti si annunciava difficile in rapporto alla liquidazione del mese passato, liquidazione che era stata meno facile di quella del mese precedente. C’era già una situazione orientata al ribasso sulla quale influire nel senso di accelerarla. L’influire su di una situazione simile diveniva scherzo da bambini. L’onorevole Nitti del resto capiva bene tutto questo, quando mi confessava di essere più preoccupato dell’ondata di fiducia che non dell’avversione fra la quale aveva costituito il suo Governo nel 1919. E aveva ragione, perché non basta fare un Governo sotto un’ondata al rialzo o ribasso di Borsa, secondo il momento in cui l’uno o l’altro può rappresentare una posizione ottimistica o pessimistica. Il più è mantenere questa fiducia. Ora, se noi esaminiamo quello che succedeva sotto il Governo dell’onorevole Nitti nel 1919-20, altro che mantenere! La sterlina al, giugno 1919, media 37,33; nel giugno 1920, 67,14; il dollaro…

CORBINO. Nel giugno 1919 no, perché c’erano ancora gli accordi interalleati sui cambi.

LOMBARDI RICCARDO. Furono aboliti ufficialmente nel maggio 1919, ma in realtà erano cessati nell’aprile. Il dollaro dunque da 8,05 a 16,89.

Ora, si voleva fare un Governo sotto una spinta di Borsa appoggiata da una campagna giornalistica della quale non c’è esempio in Italia, neanche nella campagna della stampa conservatrice di oggi a favore dell’onorevole De Gasperi. Quest’ultima è una pallida cosa di fronte all’ampiezza delle lodi per Nitti e alla violenza di linguaggio contro di noi sulla stampa di destra, durante l’esperimento Nitti. Ed allora il nostro sospetto era legittimo. Che cosa si voleva far passare dietro la testa veneranda dell’onorevole Nitti? Si domandava un programma e l’onorevole Nitti rispondeva: nessun programma; si tratta di andare avanti giorno per giorno, di sette giorni in sette giorni. E questo non è vero.

Onorevole Del Vecchio, mi dia atto che non è possibile fare una politica di sette giorni in sette giorni.

Nemmeno l’economia familiare si fa in tal modo.

Abolire le automobili dei Ministeri, ripeteva l’onorevole Nitti; e, intendiamoci l’invito all’austerità è un invito che ha il suo valore e che dobbiamo tutti accogliere. L’austerità nei servizi, nei posti rappresentativi, è una cosa importante.

Ma se domani vedessimo l’onorevole De Gasperi, anziché su di un’auto, su una carrozza trainata da un cavallo, tutt’al più potremmo dire: speriamo che questo cavallo non sia un cavallo bianco. (Ilarità). La soppressione dei Sottosegretariati ha dei vantaggi ed è possibile che abbia anche degli svantaggi, tanto è vero che l’onorevole Nitti voleva abolire i Sottosegretariati, ma non tutti. Cominciava col riservarne due per due uomini del suo Gruppo e man mano che gli si faceva presente la necessità che alcuni Sottosegretariati, che avevano ed hanno una specifica ragione e funzione, permanessero, egli accettava volentieri questo suggerimento, perché sopprimere i Sottosegretariati quando sono inutili è una cosa che si può fare, ma dove essi svolgono una funzione utile è impossibile.

Io vorrei domandare all’onorevole Togni se al Ministero dell’industria e commercio è possibile sopprimere il Sottosegretariato. In alcuni Ministeri se ne può fare a meno, ma in altri essi sono indispensabili. Ora, quando noi domandavamo a Nitti precisazioni sulla politica economico-finanziaria, Nitti taceva sorridendo, e questo ci mise in grave sospetto; ed appunto perché l’esperimento Nitti, per non essere pericoloso doveva essere controllato, domandammo che a garanzia della politica del suo Ministero nel campo economico-finanziario ci fossero dei socialisti, o meglio, degli uomini orientati socialisticamente, che garantissero una certa politica di intervento pubblico che è essenziale e che costituiva e costituisce tuttora la base fondamentale del nostro dissenso nei confronti del Governo. Quando facemmo presente ciò a Nitti, egli dichiarò che, in fondo, egli faceva a meno dei partiti, e che sceglieva gli uomini che voleva, facendo un Governo che così non poteva non apparire come un Governo personale.

In realtà, l’onorevole Nitti non ha idea della funzione dei partiti politici nello Stato moderno. Egli li disprezza, tutti quanti. Ma egli ci ha fatto assistere a un fatto straordinario. In un suo discorso alla Consulta l’onorevole Nitti ebbe ad affermare che i soli partiti esistenti in Italia erano il Partito comunista, il Partito democristiano (che egli chiamava allora popolare) ed il Partito qualunquista, e quando Pertini lo interruppe affermando che c’era anche il Partito socialista, l’onorevole Nitti gli rispose sorridendo: Stia buono onorevole Pertini. Però l’altro ieri Nitti ha fatto scomparire il Partito qualunquista ed ha invece riconosciuto il Partito socialista; e certamente il non riconoscerlo sarebbe stato un atto di nera ingratitudine verso l’onorevole Nenni… (Ilarità).

In realtà, il modo come l’onorevole Nitti ha condotto il suo tentativo, il suo esperimento, risulta dalle dichiarazioni estremamente preoccupanti da lui fatte durante il suo intervento; e dirò di più: da ciò che ha detto l’onorevole Einaudi si rileva che la politica economica che l’onorevole Nitti voleva seguire, era la stessa di quella che vogliono seguire oggi l’onorevole De Gasperi e l’onorevole Einaudi. Io domando, onorevole Togliatti, se, quando lei, nell’intervista sull’Unità durante il tentativo Nitti, accettava, sia pure come una necessità, la presenza al Governo dei «rappresentanti diretti dei ceti produttori», ciò poteva significare altra cosa che l’accettazione di una direzione di destra della politica economica del Governo.

Noi abbiamo ben capito che tale politica si sarebbe fatta, non con il controllo, ma sotto la copertura comunista e socialista, poiché comunisti e socialisti non sarebbero stati in grado di poter esercitare un controllo efficace, così come non lo hanno esercitato nei passati Governi tripartitici. E questa è la ragione della nostra avversione: noi comprendiamo che il tripartito non poteva funzionare. Ma perché non funzionava? Perché gli impegni che non si mantenevano non portavano a conseguenze politiche e i partiti rimanevano al Governo, anche quando il programma concordato veniva di fatti abbandonato.

Vediamo dunque un po’ lo sforzo fatto dall’onorevole Scoccimarro, uno sforzo di cui altre volte ho riconosciuto il valore (perché le accuse dirette all’onorevole Scoccimarro di aver trascurato il ristabilimento dell’apparato fiscale sono in buona parte ingiustificate). L’onorevole Scoccimarro ha fatta una sua politica ed essa è stata sabotata, ma non per questo il suo partito ha messo in crisi il Governo.

L’onorevole Morandi, a un certo momento, ha posto la questione dei consigli di gestione. Ora io non voglio discutere se il progetto Morandi sia buono o cattivo, perché ho già fatta una dichiarazione a questo proposito, in quest’Aula. Egli comunque aveva posto la questione ed il Governo aveva accettato il suo progetto. Ricordo benissimo che, per ben due volte, da quel banco, l’onorevole De Gasperi ha promesso l’accoglimento della legge Morandi sui consigli di gestione. Essa venne – diciamolo pure – sabotata, attraverso le tergiversazioni, le lungaggini, i rinvii e gli interventi della Confederazione dell’industria e della Confederazione del lavoro. Nella sua ultima edizione il progetto Morandi, accanto a dei difetti, ha pure un lato pregevole, perché, lo dobbiamo riconoscere, esso presenta almeno un pregio, il tentativo di svincolare i consigli digestione dalla pratica corporativa, e questo è un fatto positivo che va riconosciuto e mantenuto. I consigli di gestione vengono rinviati, di fatto abbandonati, ma l’onorevole Morandi, secondo la formula fatale del tripartito, rimane nel Governo.

Nasce la questione dell’I.R.I. Il Paese si è interessato a tale questione, e colgo l’occasione per dire all’onorevole Scoccimarro e all’onorevole Dugoni che l’I.R.I. non dovrà essere dissolto, non solo perché ci sono alle sue dipendenze 220.000 operai ed impiegati, ma perché c’è una questione infinitamente più seria, che non interessa solo i 220.000 dipendenti – i quali, noi lo comprendiamo, potrebbero avere interesse legittimo al mantenimento della loro fonte di guadagno – ed è il fatto che l’I.R.I. è il solo strumento di politica socialista che il Governo abbia in mano. Il Paese ha diritto che questo strumento non venga sciupato, che esso sia utilizzato, perché e uno strumento prezioso e valido e se, fino ad oggi, non è stato adoperato, non è questa una buona ragione perché non lo sia neanche in avvenire.

Si fa dunque la questione dell’I.R.I. Io ho la sventura di dover affrontare sempre questioni ingrate, che possono dare appiglio a interpretazioni personali anziché politiche. Anche quando ebbi a parlare dell’onorevole Paratore qui dentro, io tengo a far presente che non lo conoscevo affatto di persona e che egli chiese di conoscermi qualche giorno dopo: infatti lo conoscevo solo per fama. Egli aveva una sua politica, ed io sapevo ciò che tale politica aveva fatto dell’I.R.I. Si è posto un problema non solo per il salvataggio dell’I.R.I., perché, se si fa la questione del salvataggio, essa è mal posta, e questa è anzi una eccellente ragione per dire che non si sciupa del denaro pubblico per fare dei salvataggi. L’I.R.I. non è fatta per salvare delle aziende, ma per fare una politica economica.

Orbene, anche su questa fondamentale questione dell’I.R.I. si ha la riprova del fatto che la collaborazione dei partiti di sinistra al Governo non vale per sé sola a garantire una politica di sinistra: noi abbiamo esposto qui le nostre critiche alla politica dell’I.R.I. nel gennaio scorso; la stampa comunista le ha condivise, ma l’onorevole Pesenti è rimasto alla vicepresidenza dell’istituto; ancora una volta, non controllo da parte delle sinistre, ma copertura di una politica di destra.

Ed allora io mi domando se quando noi giudichiamo della funzionalità del tripartito da questi esempi, abbiamo o no ragione di dire che la pura presenza, questa «presenza reale» che sta diventando una questione mitologica, dei partiti di sinistra al Governo non è affatto una garanzia per una solida politica economica. Le condizioni per fare una certa politica sono due: che vi siano le sinistre al Governo, e che possano condurre la loro politica, sia pure moderata, ma condotta a fondo. Soltanto allora si può fare una politica, una eccellente politica, che è la massima garanzia nel campo del lavoro. Gli operai e i contadini che danno i loro voti ad un determinato partito – ed hanno il diritto di scegliere essi il partito dal quale si sentono rappresentati – devono avere anche una garanzia per i sacrifici che loro vengono richiesti. E quando l’onorevole La Malfa, in un discorso bellissimo, che mi dispiace sia stato fatto in un’Aula poco affollata, ha ricordato la politica che si può e si deve richiedere alla Confederazione del lavoro, egli aveva perfettamente ragione, perché, a quali condizioni è possibile – e l’ho già detto altre volte in quest’Aula – domandare una politica costruttiva alla Confederazione del lavoro? In certi momenti la Confederazione vale più del Governo, perché ha più poteri. Come è possibile fare una politica della Confederazione del lavoro, una politica di largo respiro, che non sia semplicemente la politica di resistenza e la superatissima politica agitatoria, se non c’è un Governo il quale si impegni a dare la contropartita – non la contropartita elettorale, ma economica – che tagli veramente le unghie a coloro i quali, anziché condividere i sacrifici comuni, avrebbero vantaggi da questi sacrifici? Gli impiegati, gli operai, i contadini, possono essere chiamati a fare dei sacrifici, ma quando essi sanno che questi sacrifici servono non già a costruire gli strumenti di una azione socialista, ma a rafforzare gli strumenti che saranno usati contro di loro, allora è comprensibile che essi non vogliano sacrificarsi per i loro nemici.

Il tripartito ha funzionato o non ha funzionato?

Qui si sono levate voci molto ottimistiche, e voci pessimistiche. L’onorevole Nenni è stato pessimista, mentre l’onorevole Scoccimarro ha fatto un quadro relativamente ottimistico.

Ci sono cose che debbono farci riflettere. La Malfa diceva ieri che noi non abbiamo mai avuto una bilancia dei pagamenti così favorevole come quest’anno; eppure, malgrado questo, un processo inflazionistico c’è stato, e questo significa che c’è una carenza nell’attuale Governo. Noi abbiamo sentito inoltre le dichiarazioni dell’onorevole Einaudi, e prima ancora le dichiarazioni dell’onorevole Bertone, il quale ha fatto una difesa del successo del prestito e ha vantato la sua ascesa a 84 lire; però qui c’è anche la questione del tasso che è stato portato dal 3,5 al 5 per cento. E purtroppo, sia detto incidentalmente, il provvedimento era filtrato e aveva dato luogo a qualche speculazione in Borsa.

A questo riguardo mi permetto di ricordare a tutti coloro che hanno in mano i Dicasteri economici e che sono nel nuovo Governo, un esempio che ci fu dato l’onorevole Filippo Meda, Ministro delle finanze prima del fascismo: i provvedimenti catenaccio non li passava al suo Segretario o al suo capo Gabinetto, ma li scriveva di suo pugno. Qui c’è una questione di probità professionale, perché c’è un impegno professionale, oltreché morale, per cui bisogna prendere quegli accorgimenti professionali che ciascuno prende e adotta nella conclusione di affari propri.

L’onorevole Einaudi ha fatto un discorso inquietante, non per quello che ha detto, ma per quello che non ha detto. Perché, vede, onorevole De Gasperi, noi siamo stati sempre partigiani della finanza severa, siamo stati sempre risoluti in questa materia, perché non crediamo che sulla finanza si possa transigere. È questa una condizione indispensabile alla nostra vita e alla nostra indipendenza. Una politica che voglia arrestare l’inflazione non deve soltanto dire di volerla arrestare, ma deve essere una politica che manovri le leve che vanno manovrate e sia veramente capace di colpire determinati interessi.

C’è negli uomini preparati al governo dell’economia una mentalità – quella che l’onorevole Foa ha chiamato dogmatica – che per avventura coincide con gl’interessi dei ceti che detengono il potere economico. Ora, la ragione del nostro dissenso non è sulla drasticità della politica finanziaria, ma è sulla debolezza della politica finanziaria e sulla assenza di una politica economica. L’onorevole Einaudi ha parlato dopo che molti altri colleghi pure ne hanno parlato, sull’Ispettorato bancario, accettando il progetto redatto dall’onorevole Campilli. Erano stati avanzati dei suggerimenti dall’onorevole Foa, dall’onorevole Scoccimarro, dall’onorevole Dugoni, specie sulle modifiche all’attuale legislazione sul segreto bancario.

L’onorevole Einaudi si è limitato a tacere su tutto questo; egli ha parlato solo del cambio della moneta e, francamente, ha parlato in modo che non ci ha persuaso: era troppo brillante la sua tesi perché potesse essere accettata. Non voglio ora risollevare una lunga e vecchia polemica, ma dirò soltanto che, se il cambio della moneta presentava delle caratteristiche così puerili come l’onorevole Einaudi ha voluto farci credere, perché allora l’onorevole Einaudi ha speso ben tredici miliardi per preparare questo cambio della moneta nel dicembre 1945? Perché l’onorevole Einaudi ha collaborato con l’onorevole Soleri?

O ha ragione infatti l’onorevole Einaudi, o aveva ragione l’onorevole Soleri, il quale non era per niente scettico su questo punto. Perché dunque l’onorevole Einaudi, mentre si sono succeduti vari Ministeri che erano tutti favorevoli al cambio della moneta, è rimasto al Governatorato della Banca d’Italia, collaborando quindi con essi?

Tutti lo volevano dunque questo cambio della moneta: egli non lo voleva, ma tuttavia lo preparava. In realtà, quando gli si fa l’accusa di sabotaggio – c’è quel tanto di sabotaggio inconscio che può aggiungersi al sabotaggio conscio – io credo che si dica una cosa sostanzialmente giusta. C’era, in realtà, una volontà determinata di arrivare, attraverso espedienti tecnici, a silurare il cambio della moneta. Cambio della moneta che non si riferiva soltanto ai biglietti di circolazione: no, via; non si era impostata la questione in modo così puerile come l’onorevole Einaudi, per il desiderio di stravincere, l’ha posta; ma il cambio della moneta doveva aprire la strada al controllo sui depositi bancari ed era questo che si temeva.

È avvenuto così che, con questo sabotaggio, si sia venuti ad arrestare in fascio i provvedimenti finanziari preparati dal Governo Parri, che venivano in un momento ideale, perché c’era una curva decrescente di prezzi che si era incominciata a manifestare anche prima che ci fosse lei, onorevole Corbino, e che è continuata anche qualche mese dopo che lei se ne era andato…

CORBINO. Si sarebbe fermata se si fosse fatto il cambio della moneta. (Commenti a sinistra).

LOMBARDI RICCARDO. Guardi, onorevole Corbino, che io mi riferisco a quello che disse Soleri quando parlò a Milano, ammalato, del prestito redimibile, sapendo che bruciava così la sua vita. Perché Soleri cadde veramente sul campo, mentre era tutto proteso in uno sforzo di probità e di intelligenza. Onorevole Corbino, io mi riferisco per la situazione del mercato in quel tempo a quello studio che lei conosce e che il nostro comune amico Sergio Steve ha scritto sulla questione: ci sono lì alcuni dati evidenti.

Comunque, il cambio della moneta avrebbe aperto la strada a quella serie di provvedimenti finanziari dei quali si può essere fautori o non fautori, ma che si accettano o si respingono lealmente. L’onorevole Corbino non ne era fautore: è doveroso dirlo, perché l’onorevole Corbino può essere accusato per la sua politica, ma deve anche essere difeso da accuse ingiuste. Ora il cambio apriva la strada ad una serie di provvedimenti i quali potevano avere la massima efficacia, il massimo rendimento proprio in quel momento, in cui c’era lo sciopero dei consumatori, c’era una curva decrescente notevolissima dei prezzi in base all’afflusso di merci estere, che nel primo semestre dell’esercizio 1945-46 era cominciato e s’era accentuato dopo l’abolizione della «linea gotica», nel momento in cui – come ho altra volta ricordato – i grossi proprietari e gli industriali avevano accantonato le riserve per potere pagare le imposte straordinarie che si aspettavano – perché questo sentimento di giustizia lo avevano allora anche i ricchi – perché ci sono delle cose così evidenti, c’era una richiesta così logica della coscienza popolare che alcuni provvedimenti potevano essere fatti…

SCOCCIMARRO. E c’era una notevole liquidità delle banche!

LOMBARDI RICCARDO. Certo, ha ragione, onorevole Scoccimarro; eppure i provvedimenti non furono presi, e non perché erano dei provvedimenti inutili o dannosi. Questo è stato il solo punto al quale l’onorevole Einaudi ha dato una risposta alle richieste fatte; ma, a mio avviso, la risposta non è stata soddisfacente.

Per quanto riguarda il cambio dei biglietti, devo ritornare su una mia osservazione fatta nel gennaio, dopo la crisi di Gabinetto. Io domandai allora come poteva lo Stato, che aveva basato la sua operazione del prestito sulla premessa del cambio della moneta, così di punto in bianco, in base ad una dichiarazione, si può dire, giornalistica, seguita poi da una dichiarazione dal banco del Governo, rinnegare il suo impegno. E l’onorevole Scoccimarro, interrompendo, o io, interrompendo lui, non ricordo bene, perché abbiamo parlato sullo stesso argomento, disse: «Io ho un sistema da suggerire al Governo perché esso mantenga il suo impegno, senza peraltro fare il cambio della moneta», cambio che in quel momento non poteva essere fatto se non come operazione di taglio, alla quale l’onorevole Scoccimarro era contrario. Però non è avvenuto niente.

Ho chiesto parecchie volte all’onorevole Campilli cosa ne fosse di questo famoso provvedimento; ho chiesto informazioni all’onorevole Scoccimarro; ma la questione è rimasta lì. Su questo punto il Governo non ha detto nulla. È chiaro, comunque, che il Governo – se rimarrà, anche coi nostri voti contrari – dovrà preparare dei prestiti sul mercato; e se non sarà questo Governo, sarà un altro.

Ora, crede l’onorevole Presidente del Consiglio che si possa predisporre e presentare al pubblico dei risparmiatori una qualsiasi operazione nuova di indebitamento dello Stato, con uno Stato che si presenta dopo aver mancato ad un suo obbligo elementare, dopo aver ingannato? Queste non sono soltanto questioni psicologiche, ma questioni di altissimo valore politico. Io prego il Governo di esaminare il problema; forse l’onorevole Scoccimarro può avere ancora qualche cosa da suggerire; ma credo, comunque, che il Governo – e la collaborazione di tutti credo possa essere assicurata a qualsiasi Governo democratico in Italia – debba impegnarsi a dare una sistemazione a tutto questo problema, perché non è possibile che un Governo si presenti al pubblico mercato in una situazione di debitore insolvente… (Interruzioni al centro).

SCOCCIMARRO. Possiamo riparlarne in sede di imposta straordinaria.

LOMBARDI RICCARDO. Sì, potremo riparlarne, ma credo che il Governo debba assumere, comunque, questo impegno, di ridiscutere la questione in sede di imposta patrimoniale.

E allora anch’io rinvio a tale discussione le osservazioni che intendevo fare sul modo come è stata preparata la patrimoniale; mi limiterò per ora a ricordare che questa è una pratica amministrativa che molte volte appare più importante della stessa attività politica; molte volte l’attività amministrativa finisce per diventare attività politica. Ne riparleremo comunque.

L’onorevole Corbino ha fatto un discorso ottimistico, a suo modo ottimistico. Onorevole Corbino, lei ha auspicato perfino che ci sia tanto pane da abolire il tesseramento! Ma noi tutti siamo d’accordo…

CORBINO. Non ho auspicato, ho chiesto. Sono stato sempre ottimista.

LOMBARDI RICCARDO. L’onorevole Corbino è stato sempre ottimista. Ricordo che quando, nel maggio, mi pare, del 1946, vennero le prime informazioni ottimistiche sul mercato granario americano per il 1947 fu lei, onorevole Corbino, il primo a crederci. Disgraziatamente fu il solo.

CORBINO. No.

LOMBARDI RICCARDO. Onorevole Corbino, la questione è che il grano è forse l’unica merce sulla quale esiste un grosso mercato nero internazionale. Forse questo è un problema sul quale il Ministro Merzagora potrà studiare un provvedimento. La borsa nera internazionale del grano esiste.

Dicevo dunque che l’onorevole Corbino ci ha fatto una bellissima lezione sul principio edonistico. L’onorevole Corbino ci ha insegnato che gli uomini, checché si voglia o si dica, fanno sempre quello che secondo il loro giudizio è il loro interesse. Siamo d’accordo. E in cosa consistono del resto la moralità, la civiltà, la stessa religione, se non nel portare questi interessi, il godimento e la sofferenza, su un piano sempre più alto? È vero che gli uomini vogliono il loro interesse, ma questo avviene nel quadro della norma giuridica. È appunto su questo quadro che la discussione verte. È chiaro che gli uomini vogliono il loro interesse, ma con quali limiti? E l’azione giuridica è diretta a stabilire questi limiti. E dirò di più: in una democrazia moderna, che non voglia bamboleggiarsi con gli idoli del liberismo del secolo scorso, non basta più neanche il quadro giuridico.

Credo che ci siano due soli uomini – Benedetto Croce e Luigi Einaudi – che hanno avuto su tutti i settori di quest’Assemblea un’enorme influenza, ma hanno creato dei figli, non dirò degeneri, ma dei figli ostili, perché non potevano certamente crearli a loro pura e semplice simiglianza. Ma in che cosa si distingue l’economia di uno Stato moderno, che voglia essere libera?

Si distingue da questo: che fino all’altra guerra noi stabilivamo la norma giuridica destinata a limitare il giuoco degl’interessi secondo il principio edonistico. Essa era sempre più stretta, ma il suo carattere non mutava. Ma oggi la questione è diversa. Prima si lasciava libertà agli individui di operare con una sola iniziativa presente, l’iniziativa individuale, l’iniziativa che lei, onorevole Corbino, dice che tutti gli uomini assumono facendo quello che, secondo il loro giudizio, è il loro interesse.

Oggi c’è l’iniziativa collettiva: come non vederlo? E il problema di oggi non è già se ci debba essere o no una iniziativa collettiva, ma se essa debba essere controllata dai lavoratori oppure dai ceti possidenti. (Applausi a sinistra).

Ora, nella politica economica quale è stata esposta dall’onorevole Einaudi, c’è una carenza assoluta a riguardo di molti problemi. Egli tace su tutte le domande, non solo su quelle che gli sono state fatte direttamente circa il suo pensiero e le sue intenzioni sui 14 punti di Morandi o su altre questioni; ma, per esempio, tace anche sulla questione dell’I.R.I. Per la questione dell’I.R.I. non basta che egli risponda che il Governo può garantire la esistenza dell’I.R.I., ma l’importante è di sapere come essa verrà organizzata.

Noi abbiamo assistito a questo fatto curioso. L’onorevole Corbino è stato piuttosto ostile alle iniziative dello Stato, alla pubblica iniziativa; ma quando le iniziative sono affidate ad uomini che non sono persuasi della loro necessità e quindi sono impreparati ad attuarle, allora, senza dubbio, esse sono destinate a rimanere sterili.

Ad esempio, le industrie italiane hanno avuto 35 miliardi di crediti dallo Stato. In che modo? Lo Stato si è assicurato il rimborso. Ma quando l’amico Morandi pose al Consiglio dei Ministri la questione delle garanzie per lo Stato non semplicemente del rimborso ma dell’impiego, nessuno ne ha parlato più. Ma la questione sta proprio nel modo in cui si organizzano questi interventi dello Stato, sta nella necessità di sottrarli a quel carattere caotico che essi hanno attualmente. Oggi infatti essi avvengono in modo caotico, non pianificato, e quindi subiscono necessariamente la pressione di interessi particolari, di industriali, e magari anche di operai spinti o no dagli industriali; e ciò avviene in tutti i tipi possibili di intervento pubblico, in tutta la vasta gamma che tutti ben conosciamo. Lo Stato interviene in modo disordinato: si creano dei vincoli, ma senza che abbiano un rendimento, senza che possano servire alla sola cosa che lo Stato, orientato socialmente, può domandare, che siano cioè creati gli strumenti idonei ad un regolare intervento dello Stato.

La richiesta elementare che da tutti i settori socialisti vien fatta, che questi strumenti dell’intervento pubblico siano organizzati, è un problema di enorme importanza, che noi siamo costretti ad affrontare innanzi tutto perché è la base della nostra politica. Perché senza di questi strumenti noi ci troveremo come chi è indifeso contro un nemico che non conosce. Noi dobbiamo preparare nell’uso quotidiano gli strumenti dell’intervento pubblico. E farò solo l’esempio dell’I.R.I. Perché che cosa si potrebbe fare dell’I.R.I.?

Ho accennato in un intervento precedente (che mi valse una campagna di ingiurie brillanti, che mi ha lasciato del resto assolutamente indifferente) alla lotta che la Confederazione generale dell’industria faceva contro il Ministero dell’industria, non già per rilevarne le pecche, ma per combattere qualunque politica di intervento statale. Ripeto oggi che la Confederazione dell’industria persegue un’azione non sindacale, ma politica. Io qui sento parlare troppo spesso della Confederazione del lavoro, accusata di non essere apartitica, di servire cioè ad interessi politici; ma nessuno qui si è domandato se la Confederazione dell’industria è un organo solo sindacale o non anche politico. Ed io devo ricordare a questo proposito che un uomo che abbiamo commemorato giorni or sono, Carlo Rosselli, usava dire: «C’è un solo partito in Italia che fa una politica continuativa: è la Confederazione generale dell’industria». Questa situazione di cose è inutile che noi la controbattiamo a parole.

Lo Stato ha i suoi mezzi per controbatterla. Mi scusino gli onorevoli Togni, Ministro dell’industria, e Del Vecchio, Ministro del tesoro: essi hanno il controllo dell’I.R.I. Ma l’I.R.I. partecipa alla Confederazione dell’industria, ed in alcuni settori detiene la maggioranza assoluta dei capitali, per esempio nel settore bancario e siderurgico. Le aziende controllate dall’I.R.I. partecipano agli organi confederali, ma come intraprese private, non a titolo di rappresentanti dello Stato.

I voti che esse danno agli organi direttivi della Confederazione dell’industria sono dati a coloro che svolgono poi la politica di demolizione sistematica degli organi di pubblico controllo. Io mi domando ancora se questo è ammissibile (questa domanda la posi già altra volta e l’onorevole De Gasperi non rispose). L’I.R.I. è nata male, come diceva giustamente l’onorevole Einaudi: tutti sappiamo come è nata. Ma è diventato uno strumento efficace. L’I.R.I. c’è, e guardiamoci bene dall’assumere verso di essa questo tono di sufficienza, quasi di fronte a un fastidioso impedimento che ci è venuto fra i piedi e di cui importa liberarsi al più presto. È uno strumento prezioso; qualunque Stato moderno ci invidierebbe questa fortuna di trovarci in mano un mezzo per la pianificazione industriale e per il controllo del credito. Io capisco che su questo strumento prezioso si appunti l’odio di tutti coloro che hanno ragione di temerlo; ma non capisco come un Governo democratico…

DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. L’onorevole Einaudi ha promesso di potenziarlo.

LOMBARDI RICCARDO. La ringrazio dell’osservazione. Di queste cose possiamo discutere con obbiettività. Ho paura che dell’I.R.I. si faccia quello che si è fatto fino ad oggi: lo si consideri soltanto come un organismo finanziario. L’I.R.I. come è nato? È lo Stato che assume determinati pacchetti di azioni di aziende di cui vuole assicurare il risanamento. Tutti sappiamo la storia dell’I.R.I. Di che cosa esso si preoccupa? Si preoccupa di risanare queste aziende. Quando esse sono risanate le immette nelle migliori condizioni all’iniziativa privata. Questa è l’origine. È nata male.

DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. È nata per curare un male.

LOMBARDI RICCARDO. Precisamente: io ricordo quanto scrisse a suo tempo il professore Cabiati. Egli ha fatto un’analisi precisa e così convincente che possiamo tutti trovarci d’accordo su di essa. Quello su cui non siamo d’accordo è sul fatto che l’I.R.I., nato come organismo di risanamento finanziario, via via ha assunto una funzione economica ed il lato che il Governo ha trascurato è questo: il Governo, attraverso i suoi uomini delegati all’I.R.I., ha continuato a curare (e anche a curare bene) la gestione finanziaria, ma a curarla, come un qualsiasi capitalista privato.

Qualunque imprenditore privato cura il proprio pacchetto azionario, cioè cura che esso abbia il massimo reddito, il massimo valore in borsa, amministrandolo come un buon padre di famiglia. Diamo atto di questo, ma la questione non è soltanto quella di curare, di far fruttare con i criteri di un capitalista privato, ma col criterio degli interessi sociali, cioè perseguendo determinati fini di interesse collettivo.

Una voce a destra. Per far andare male anche le altre aziende.

LOMBARDI RICCARDO. Qualcuno dirà che se si fa questo l’I.R.I. andrà in aria. Non è vero; perché, professore Del Vecchio, guardi, nell’industria meccanica questo criterio di aver voluto trattare soltanto il pacchetto dell’I.R.I. dal punto di vista finanziario ha portato a questa aberrazione: che delle aziende controllate per la maggioranza assoluta, per la quasi totalità, dall’I.R.I., si trovano a non avere potuto sviluppare un programma ordinato, a parte la concorrenza fra aziende dello stesso tipo controllate dall’I.R.I., criterio che perfino in una amministrazione privata è inammissibile; non si è provveduto, cioè, neanche a quel minimo di razionalizzazione dal quale dipende la vita della nostra industria meccanica. Si può discutere sulla industria siderurgica, ma sulla necessità di un’industria meccanica in Italia non possiamo discutere, perché tanto varrebbe fare una campagna antidemografica. Se vogliamo sopprimere l’industria meccanica, tanto vale fare una campagna neo-malthusiana, perché noi abbiamo bisogno dell’industria meccanica onde dare occupazione, lavoro, ad una maestranza di prim’ordine, e si tratta di un’industria che trova ottime condizioni di vita e di sviluppo nel nostro Paese.

Ora l’industria meccanica, che si trova in una fase di riconversione difficilissima, non è stata aiutata per nulla dall’I.R.I. ad effettuare questa riconversione, alla quale costituiscono premessa fondamentale alcune razionalizzazioni: certe razionalizzazioni non si possono fare per mancanza di capitali, per mancanza di macchine, ma il coordinamento delle costruzioni, sì. Qualsiasi capitalista privato lo avrebbe fatto. Lo Stato non lo ha fatto, perché? Perché ha guardato la questione dal punto di vista prettamente privatistico del rendimento, del successo che determinati titoli in possesso dello Stato avrebbero avuto sul mercato. Lo Stato ha trascurato il fatto di possedere uno strumento prezioso, uno strumento che avrebbe potuto facilitare e la razionalizzazione e la riconversione. Noi ci preoccupiamo di tanti problemi, ma guardate che la superpopolazione in un Paese come il nostro fa passare in primo piano la questione del rimodernamento degli impianti e del rendimento del lavoro.

Guardate che alla base di quel Libro bianco inglese, di cui il senatore Einaudi ha letto il lato che più conveniva alla sua tesi, c’è una constatazione paurosa: nella Gran Bretagna di oggi, in una situazione di impoverimento che tutti conosciamo, il rendimento del lavoro industriale è inferiore di due volte e mezzo a quello americano. Alla base del piano, alla base del socialismo in Inghilterra, c’è questo dato obiettivo di creare le condizioni non dico per prosperare, ma per vivere. Solo il 5 per cento del reddito nazionale inglese viene adoperato per il rimodernamento, il rafforzamento e la razionalizzazione degli impianti industriali. Ed allora, di fronte a questa carenza dell’iniziativa privata, che cosa può fare lo Stato? Se i cotonieri non vogliono passare.ai fusi e ai telai moderni e il Paese ha bisogno di esportare, perché senza esportare il Paese morirebbe letteralmente di fame, è lo Stato che interviene nelle industrie cotoniere, ad esempio, e le costringe a fare quei rimodernamenti degli impianti che l’iniziativa privata ha dimostrato di non saper fare.

Ora in quale Paese vi è uno strumento eguale all’I.R.I.? È possibile pensare che uno strumento di questo genere possa essere sciupato? Io non voglio discutere se alcune aziende marginali possano essere liquidate o no. Questa è una questione che si può vedere serenamente.

Ora, la relazione che ha fatto l’onorevole Einaudi, in sostanza, per quello che dice e soprattutto per quello che non dice, dimostra una sola cosa: cioè che di tutti gli interventi che lo Stato è in grado di esercitare oggi nell’economia moderna, il Governo si propone di esercitarne uno solo, quello fiscale. Anche dalla lettura che egli ha fatto di quella parte del Libro bianco inglese, risultano chiare le sue tendenze in questo campo e credo che nello stesso senso debba interpretarsi il sorriso di simpatia con cui il professor Del Vecchio ha sottolineato le dichiarazioni su questo punto dell’onorevole Einaudi, cioè un indirizzo volto quasi esclusivamente allo strumento fiscale. Con lo strumento fiscale si sospingono determinati ceti a certe iniziative, si spostano determinati interessi. Ora questo non è più vero. Non è vero che con determinate tassazioni, entro certi limiti, con determinate variazioni di saggio di sconto, si spostino degli interessi, dei capitali, i quali, ormai, obbediscono non dico solo alle grosse, ma alle grossolane sollecitazioni. Oggi la politica che noi domandiamo allo Stato è una politica di intervento e di iniziativa, ma una iniziativa non fatta rassegnatamente è come una sgradevole necessità ma fatta da gente che ne sia persuasa. Lo Stato deve fare una politica determinata di iniziativa economica, ma chi deve svolgerla non siete voi che non credete a queste cose. Ecco perché non abbiamo fiducia in voi.

Io voglio ricordare proprio al professore Del Vecchio a questo proposito, senza nessuna intenzione personale, un suo libro: «Cronache della lira in pace e in guerra». Non lo leggo.

So che lei è un galantuomo e che soprattutto non è un fascista: so persino quali pressioni furono esercitate su di lei per costringerla a giurare, perché lei non voleva giurare. Ma nel libro appare evidentissima la diffidenza verso l’intervento pubblico, caratteristica della posizione dogmatica di molti uomini che vediamo ora al Governo. Dinanzi a certe aberrazioni di uomini che ritengono che il fascismo sia stata una reazione contro le bardature che si mantenevano nel vecchio regime, nell’immediato dopo guerra, noi non possiamo che dire: puerilità! Vere puerilità a cui si arriva con la mentalità dogmatica che hanno certi uomini al Governo, mentalità alla quale ha accennato nel suo discorso il compagno ed amico onorevole Foa. Nel Paese si vuol diffondere la convinzione che il nazismo ed il fascismo non siano stati altro che vincolismo e negazione del liberismo: giudizi sul fascismo e sul nazismo che peccano di cecità e di ignoranza, perché, intendiamolo bene, gli strumenti di intervento pubblico che hanno usato male i fascisti ed abbastanza bene i nazisti, non sono interventi specifici del fascismo o del nazismo, ma interventi di qualsiasi democrazia e di qualsiasi regime socialista moderno. Li usano in America e li usano anche i laburisti inglesi. Lo strumento è indifferente: il modo con cui li hanno usati è importante, perché li hanno usati ai fini di una politica di guerra e di impoverimento. Contro questa mentalità e contro la politica che ne deriva, noi abbiamo lottato e lotteremo. Guardiamoci bene da queste interpretazioni che fanno consistere il fascismo nella bardatura e nel vincolismo delle forze economiche. Non sarebbe stata necessaria una lotta di 20 anni, così sanguinosa, per distruggere un semplice fatto di un indirizzo economico.

Ma c’è dell’altro nel fascismo e nel nazismo. E la comoda interpretazione per cui si dice che il fascismo risorge quando si tenta di mettere in atto gli strumenti del controllo pubblico è ridicola, e non possiamo che respingerla. (Approvazioni a sinistra).

Non vorrei proseguire e stancare l’Assemblea che oggi, e stasera, ha da lavorare. Tralascio ogni altra cosa, ma vorrei ricordare un punto importante, per il quale mi rivolgo all’onorevole Sforza; perché qui è stata posta la questione più delicata, e, dico, più odiosa delle origini di questa crisi: l’accusa – provata o no, non importa – comunque il sospetto avanzato nel Paese e nel Parlamento che questa crisi possa essere stata determinata dall’acquiescenza a richieste, vere o presunte, di uno Stato verso il quale siamo obbligati per i suoi aiuti, e per la generosità che più evidentemente contrasta con la ingenerosità altrui.

Perché, onorevole Corbino, lei ha detto che nessuno ci minaccia, e nessuno vuole che l’Italia sia accodata a questa od a quell’altra politica. Questa è una visione ottimistica che, però, urta contro la realtà dei fatti.

Il «messaggio Truman» esiste, non è una mia fantasia. Esso rappresenta una svolta nella politica mondiale ed oggi, quando si fa un atto in politica, non si può prescindere dal messaggio Truman e dall’intervento americano in Grecia ed in Turchia. È ovvio quindi che qualsiasi azione politica avvenga nel bacino del Mediterraneo, sia in rapporto alla presenza vigilante di una grande potenza, ed il riferimento, verso la politica di questa potenza, è legittimo.

È naturale che ci si domandi tutto questo. Io rilutto dal pensare che ci sia stata una acquiescenza di questo genere, però vorrei ricordare all’onorevole Sforza che non c’è stata solo l’iniziativa Truman, ma c’è stata anche l’iniziativa Marshall, la quale, in certo senso, è la negazione della politica precedente ed apre delle prospettive. Io non so se questa sia furberia; non mi interessa. Il fatto è che esiste l’iniziativa di domandare all’Europa un piano coordinato per gli aiuti americani. Nell’Europa è compresa anche la Russia. Circa la pronta adesione di Tarchiani, non so se essa sia stata data consultando il Governo. Io domando che il Governo punti su questa azione. È questa la politica di largo respiro, capace di togliere le punte a qualsiasi sospetto. Qualsiasi altra politica – se lo ricordi l’onorevole De Gasperi – offre appiglio a sospetti.

Io credo di avere esposto, nei punti essenziali, le ragioni fondamentali, le quali sono principalmente di natura economica e finanziaria, per le quali noi voteremo contro l’attuale Governo. Ma le ragioni per le quali noi voteremo contro il Governo sono ragioni diverse da quelle addotte dagli amici alla nostra sinistra. Noi non ci accontentiamo di un Governo che riproduca quello attuale con il semplice correttivo dell’immissione di uomini della sinistra o dell’estrema sinistra. Noi vogliamo un Governo capace di fare una politica nello stesso tempo severa e democratica, un Governo che assuma l’impegno di una politica economica ben determinata, anche se limitata, e che abbia gli organi necessari per affrontarla. Noi non condividiamo l’ottimismo di molti sulla situazione finanziaria del nostro Paese. Poiché noi siamo persuasi che la situazione economica e finanziaria del nostro Paese si affronta con una politica, e non con delle velleità; ma con una politica dura di sacrifici, di severità, alla quale deve fare riscontro una politica di iniziativa economica e di intervento dello Stato; noi diciamo che soltanto su queste basi solide un Governo può reggersi e ottenere il consenso popolare, e non sulle basi generiche della partecipazione di questo o di quell’altro partito.

E di ciò penso che siano persuasi anche molti amici democratici cristiani. Non è possibile che da questo dibattito, al quale credo di aver dato per mia parte una impronta di serenità, molti amici della Democrazia cristiana non capiscano la situazione estremamente grave per il loro partito, una situazione che interessa tutto lo schieramento democratico italiano. Un Governo non è qualificato soltanto dal suo programma, ma anche dalle sue alleanze. Se questo è vero, ad un certo momento, onorevole De Gasperi, nessuno potrà impedire a determinati gruppi di puntare su di lei. Io riconosco che lei è un onesto democratico ed un onesto repubblicano, ma ad un certo momento queste forze prendono la mano. Io non ho mai creduto – l’ho detto e l’ho scritto – a quello che si è detto di Corbino, cioè che fosse l’uomo degli industriali. È una sciocchezza. Corbino è un uomo che ha la sua politica, che ha difeso lealmente. Le ragioni del suo insuccesso sono dovute al fatto che questa politica era, a nostro giudizio, errata, ed anche al fatto che questa sua politica non poteva essere sviluppata, come non poteva essere sviluppata la politica opposta.

Io ricordo che quando nel Governo si venne alla decisione di non fare più il cambio della moneta e si voleva fare un comunicato per dire che il cambio era rinviato, io dissi allora: se non si deve fare, bisogna dire soltanto che non si fa, per avere alcuni vantaggi di una politica e non gli svantaggi e della politica che si fa e di quella che si è abbandonata. Perché raccogliere soltanto gli svantaggi di una determinata politica equivale a un suicidio. L’onorevole Corbino ha avuto una sua politica, un suo indirizzo, anche se sbagliato. L’onorevole Corbino, interrompendo durante un intervento dell’onorevole Scoccimarro, affermò che egli se ne era andato dal Governo in settembre non tanto sotto la pressione delle agitazioni popolari, quanto per la pressione della speculazione. Ciò è vero, a mio giudizio. Per questo, quando l’onorevole Foa diceva al Governo: «Chi vi salverà dalla pressione di coloro che puntano su di voi?» e lei, onorevole Corbino, interruppe dicendo: «Li cacceremo via», l’onorevole Foa replicò: «Intanto è stato lei ad essere cacciato».

Dunque, queste forze, capaci di costringere il Governo, sono reali; la riorganizzazione di determinate categorie oligarchiche esiste nel Paese, ed io vi prego di leggere – sarebbe il caso di affiggerlo al Parlamento – uno studio obiettivo che risulta dalla inchiesta del Ministero della Costituente, pubblicato sul fascicolo 5 della Critica economica, sulla concentrazione dell’industria elettrica in Italia. Ma pensate quanta parte dell’industria nazionale è oggi in mano, non dico di uno solo, ma di pochi!

Ora queste forze esistono, ed è impossibile che agiscano in un modo contrario alla propria costituzione, per cui esse tendono sempre a ritornare alla loro origine. Ci sono delle questioni, dei problemi che sono legati ad interessi, anche legittimi, e che diventano fatali per uno Stato che non costituisca gli organi indispensabili per fronteggiarli. Gli amici della Democrazia cristiana debbono valutare anche questo, perché, prima di una questione di equilibrio, di elezioni, di successo o di insuccesso di partito, esse debbono valutare anche questi fatti. Fra i democristiani ci sono uomini che tutti conosciamo, e anche quando si è parlato di costituire un Gabinetto economico, omogeneo di sinistra, si pensava ad uomini anche di quella parte. Voi credete che ci siano uomini della Democrazia cristiana che la pensano tutti allo stesso modo? No, perché sulla politica economica l’onorevole Zerbi, ad esempio, la pensa in gran parte come noi, e così l’onorevole Scoca sulla politica finanziaria; e così molti altri; c’è in questa Assemblea in tutti i gruppi politici ed anche tra i democristiani, un certo numero di uomini che hanno una concezione moderna dei problemi economici, che vedono con lo stesso occhio i problemi che l’intervento pubblico impone alle democrazie moderne.

Ora, onorevole De Gasperi, non disperda queste energie, non costringa questi uomini in una alleanza che li abbasserebbe e negherebbe la ragione per la quale essi credono e combattono. (Applausi a sinistra).

SFORZA. Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. È per facilitare l’andamento e la rapidità della discussione, per non aumentare, cioè, alla fine di questa discussione, l’intervento di membri del Governo, che preferisco rispondere subito a una interessantissima osservazione e domanda formulata dall’onorevole Lombardi.

Io sono lieto che in questa Assemblea un uomo del valore intellettuale dell’onorevole Lombardi abbia affermato così obiettivamente ed imparzialmente ciò che vi è di nobilmente umano e di felicemente ricco di speranze nella proposta Marshall. Voi sapete i legami che derivano a noi dalla situazione di armistizio – situazione che mai dobbiamo dimenticare – perché è facile criticare il Trattato, che sarà sottoposto prestissimo al giudizio dell’Assemblea, ma bisogna sempre tener presente che noi siamo davanti a un dilemma: o nostra piena libertà di fronte al mondo in seguito alla stoica accettazione di un sia pur cattivo trattato, oppure mantenimento di un armistizio. Eppure, malgrado ciò, abbiamo offerto subito il nostro contributo allo sviluppo del piano Marshall.

E non per vanità nazionalistica, ma proprio per aiutare il piano Marshall abbiamo offerto tale contributo sulla base di un’assoluta parità di diritti e di doveri.

E da Washington e da Londra mi sono già pervenute manifestazioni di apprezzamento di quello che subito è stato compreso che sarebbe stato l’atteggiamento italiano. È evidente a qualunque spirito obiettivo che il piano Marshall è ispirato ad un’idea infinitamente superiore ai piani di blocchi ostili, all’idea di reticolati che dividono il mondo. Questo piano è stato veramente, dopo tanti anni, il primo raggio di luce dinanzi a noi; e se noi ci siamo tosto posti di fronte al piano Marshall è stato per questo concetto essenziale: perché il fascismo non credeva nell’Italia e quindi voleva la guerra; noi crediamo nell’Italia e quindi vogliamo la pace. (Vivi applausi).

CORBINO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero fare una brevissima dichiarazione intorno agli accenni fatti dall’amico Lombardi e precedentemente fatti anche dall’onorevole Morandi sulla questione dei finanziamenti concessi alle industrie nel periodo in cui io ero Ministro del tesoro.

Si è parlato di 35 miliardi erogati: desidero che sia chiaro che si tratta di somme anticipate sulle quali lo Stato non aveva altro onere se non quello di un concorso parziale nel pagamento degli interessi, a favore di industrie, in gran parte danneggiate dalla guerra, che avevano esaurito il capitale circolante e che avevano numerose maestranze da mantenere, occupate o no.

Sarebbe stato un errore e sarebbe stata una colpa da parte del Governo, se ci si fosse rifiutati di fare quei finanziamenti che consentivano a centinaia di migliaia di lavoratori d’Italia, di tutte le Regioni, di guardare all’avvenire con maggiore serenità.

Le somme stanziate furono quelle strettamente necessarie; e furono appena sufficienti, tanto che per gli ultimi stanziamenti si è dovuto poi, per l’impossibilità di effettuare altrimenti il pagamento dei salari settimanali – e me ne danno testimonianza gli amici Barbareschi e Nenni, che erano con me al Governo – anticipare delle somme sugli stanziamenti futuri.

Desideravo, quindi, tranquillizzare l’Assemblea che non si è fatto nulla che non rispondesse agli interessi generali italiani, guardati non dal lato degli industriali, ma dal lato delle classi lavoratrici. (Approvazioni).

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole La Malfa?

LA MALFA. Vorrei dare una precisazione circa la questione degli stanziamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino è stato chiamato in causa personalmente; lei non è stato citato nel discorso che abbiamo sentito or ora. Non posso quindi darle la parola.

L’onorevole Cuomo, al quale spetterebbe ora di parlare, non è presente. Si intende, pertanto, che vi abbia rinunciato.

L’onorevole De Caro Raffaele non è neppure presente; si intende che anch’egli abbia rinunciato a parlare.

Il seguito della discussione è rinviato alle 16.

La sedata termina alle 13.10.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLVII

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Per le accuse mosse al Ministro dell’interno:

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Scoccimarro                                                                                                    

Cerreti                                                                                                             

Togliatti                                                                                                          

Patrissi                                                                                                             

Votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Nenni                                                                                                                

La Malfa                                                                                                          

Di Vittorio                                                                                                       

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Giannini                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli Varvaro, Corsanego, Canevari, Natoli, Porzio.

(Sono concessi).

Per le accuse mosse al Ministro dell’interno.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha chiesto di fare le dichiarazioni da lui preannunciate nella seduta del 13 giugno.

Ha facoltà di parlare.

SCELBA, Ministro dell’interno (Segni di attenzione). Onorevoli colleghi, nella seduta di sabato scorso assicurai l’Assemblea che avrei riferito, appena avessi tutti gli elementi, sui fatti che avevano formato oggetto della discussione parlamentare e soprattutto del pro-memoria presentato dall’onorevole Cerreti e della dichiarazione del capitano Cancilla. Ho avuto soltanto ieri la dichiarazione del prefetto di Padova in ordine ai fatti, e mi sono premurato di riferire, così come avevo promesso.

Nel pro-memoria presentato dall’onorevole Cerreti, di cui insieme alla lettera del capitano Cancilla fu data lettura soltanto nel pomeriggio dal Presidente di questa Assemblea, si accenna a tre fatti specifici, con riferimento ad interferenze del Ministro dell’interno in ordine all’attività dell’Alto Commissariato per l’alimentazione, per la repressione di reati annonari. Nel pro-memoria in questione (esamino il pro-memoria a ritroso, incomincio cioè dall’ultimo fatto) l’onorevole Cerreti, riferendosi alle infrazioni annonarie a Curinga (Catanzaro), dice: «L’Alto Commissariato, avuto sentore, a seguito di manifestazioni di malcontento da parte della popolazione, che la denuncia non era istruita, chiese spiegazioni al direttore della Sepral di Catanzaro ed all’Ispettorato regionale della Calabria, circa i provvedimenti presi dall’autorità prefettizia a carico degli accusati». (Erano accusati il sindaco e alcuni componenti della Giunta). «A risposta del nostro intervento ci fu un intervento del Ministro Scelba, con lettera in data 10 maggio 1947, protocollo 4176/838 A per dire che non era di nostra competenza il passo surriferito. (Originale archivio Alto Commissariato). Constato che a tutt’oggi nulla si è fatto per colpire gli amministratori imputati dei reati su esposti».

Il riferimento dell’Alto Commissario è documentato dalla lettera da lui stesso citata e che io ho diretto all’Alto Commissariato.

L’Alto Commissariato, in data 23 aprile, aveva indirizzato una lettera al direttore della Sepral, per fare delle inchieste sul comportamento del prefetto e dell’Autorità giudiziaria. Il prefetto, informato della cosa, scrive al Ministro questa lettera. Leggo la lettera principalmente per le considerazioni che il prefetto fa, perché i fatti risultano documentati e riferiti in una lettera ufficiale da me diretta all’Alto Commissariato per l’alimentazione.

Lettera del prefetto di Catanzaro in data 29 aprile:

«Tramite il corriere della Prefettura è pervenuta stamani, per evidente disguido postale, una lettera, che, in data 23 corrente col n. 1040 di protocollo, l’Alto Commissariato per l’alimentazione ha diretto al direttore di questa Sepral.

«Con tale lettera, di cui accludo copia conforme, l’Alto Commissariato per l’alimentazione, riferendosi ad alcune irregolarità annonarie riscontrate a carico del sindaco e di altri componenti dell’Amministrazione comunale di Curinga, dà incarico al direttore di questa Sepral di esperire ulteriori particolari indagini, al fine di appurare i motivi dell’inerzia delle Autorità prefettizie e giudiziarie, che, secondo l’Alto Commissariato, non avrebbero preso ancora alcun provvedimento contro i presunti responsabili.

«Richiamo sul contenuto di tale lettera la particolare attenzione dell’onorevole signor Ministro, cui non posso tacere il mio vivo disappunto per l’iniziativa presa dall’Alto Commissariato per l’alimentazione, il quale, non solo ha voluto attribuirsi il compito di disporre indagini, che ritengo esulino dalla sua specifica competenza, ma ha seguito una procedura del tutto nuova, non compatibile con il prestigio dell’autorità, sul cui conto dovrebbero essere esperite le indagini.

«Se l’Alto Commissariato per l’alimentazione, non soddisfatto, per quanto concerne la sua competenza, della avvenuta denuncia dei presunti colpevoli (denunzia fatta dal prefetto) avesse avuto motivo di dolersi che l’Autorità giudiziaria non abbia ancora emesso alcun mandato di cattura e che la Prefettura mantenga in carica gli amministratori denunziati e di chiedere, pertanto, chiarimenti e delucidazioni sulla presunta inerzia di tali autorità, avrebbe dovuto rivolgersi, a mio modo di vedere, ai Ministeri, dai quali dipendono le dette Autorità, ma non affidare al direttore di questa Sepral l’incarico, di cui alla lettera 23 corrente, essendo ovvio che io non potrò consentire che tale funzionario, peraltro posto alla mia dipendenza, inquisisca o comunque interferisca sul mio operato, nell’esercizio delle attribuzioni di vigilanza sulle amministrazioni comunali, che mi sono demandate dalla legge vigente.

«Ad ogni modo, mentre non ho elementi per pronunziarmi su quello che finora avesse fatto l’Autorità giudiziaria, che a suo tempo chiedeva telegraficamente l’invio degli atti e che oggi forse attende all’espletamento della procedura prevista dall’articolo 15 del Codice di procedura penale (autorizzazioni), per quanto, invece, concerne la mia opera, preciso che non ho inteso aderire alle varie pressioni di esponenti locali del partito comunista, che avrebbero voluto lo scioglimento del Consiglio comunale di Curinga o quanto meno, la sospensione del sindaco o degli amministratori denunziati in quanto ogni mia decisione nell’un senso o nell’altro non credo possa prescindere dal verificarsi dei presupposti di cui all’articolo 323 e 149 del testo unico della legge comunale e provinciale e dell’articolo 270 del testo unico della legge comunale e provinciale, cioè a dire scioglimento della garanzia amministrativa».

A seguito di questa lettera, mandata dal prefetto, io scrivevo la seguente lettera riservata all’Alto Commissario per l’alimentazione, onorevole Cerreti:

«Alto Commissariato per l’Alimentazione.

«Viene segnalato a questo Ministero che codesto Alto Commissariato ha dato incarico al direttore della Sepral di Catanzaro di esperire accertamenti sulla pretesa inerzia delle autorità prefettizia e giudiziaria in ordine ad alcune irregolarità annonarie riscontrate a carico del sindaco ed altri componenti l’Amministrazione comunale di Curinga.

«Al riguardo, questo Ministero non può non rilevare pregiudizialmente, per quanto concerne la propria competenza, che l’intervento del direttore della Sepral per gli accertamenti accennati è inammissibile ed inopportuno, sia perché esso è posto alle dirette dipendenze del prefetto, anche se sotto la vigilanza di codesto Alto Commissariato, sia perché, e soprattutto, non possono comunque essere esercitate interferenze sulla azione del prefetto nell’esercizio delle sue attribuzioni di vigilanza e controllo sull’amministrazione comunale da organi estranei alla organizzazione di questo Ministero, ai cui uffici centrali e periferici sono esclusivamente conferiti poteri del genere dalle leggi vigenti. Qualora fosse stata segnalata, a questo Ministero, una rilevata insufficienza nell’azione prefettizia per quanto riguarda l’adozione di provvedimenti nei confronti delle amministrazioni comunali, in connessione con il perseguimento di reati annonari, non si sarebbe mancato di eccitare, ove fosse risultata deficiente, l’azione del prefetto.

«In merito poi alla questione specifica, si ritiene di dover precisare che, in relazione alle infrazioni annonarie oggetto di procedimento istruttorio in corso presso l’autorità giudiziaria competente, il prefetto non può adottare provvedimenti amministrativi nei confronti degli amministratori, se non, dopo esaurita l’istruttoria, nei casi e nei limiti stabiliti dall’articolo 149, comma 5, e dall’articolo 287 del testo unico della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148».

Non contento di questo, lo stesso giorno, poiché l’intervento e l’interferenza dell’Alto Commissario tendevano nella sostanza a scardinare lo stesso prestigio e l’autorità del prefetto nella Provincia, mi rivolgevo al Presidente del Consiglio con la seguente lettera:

«Al Presidente del Consiglio.

«Il prefetto di Catanzaro ha riferito, con l’allegato rapporto 29 aprile u.s., n. 4355 Gabinetto, sull’intervento attuato presso quella Sepral dall’Alto Commissariato per l’alimentazione con la lettera 23 aprile che qui si unisce, con il quale si è dato incarico al direttore della Sepral di esperire ulteriori particolari indagini, al fine di appurare i motivi della inerzia delle autorità prefettizia e giudiziaria che non avrebbero adottato provvedimenti contro i presunti responsabili della Sepral, sindaco ed alcuni consiglieri di Curinga, in ordine ad alcune infrazioni annonarie. Questo Ministero ha ritenuto necessario, a tutela del prestigio dell’autorità prefettizia e del mantenimento delle attribuzioni conferitegli dalla legge, di richiamare l’attenzione dell’Alto Commissariato, per quanto riguarda la sua competenza, sulla inopportunità ed inammissibilità di un tale intervento, con la lettera di cui si unisce copia. Si comunica quanto sopra doverosamente a codesta onorevole Presidenza, alla cui dipendenza opera l’Alto Commissariato, per quella ulteriore azione che al riguardo ritenesse esplicare».

Ecco, onorevoli colleghi, l’intervento che il Ministro dell’interno avrebbe esperito per la pratica dell’affare Curinga di cui parla l’Alto Commissario Cerreti nel suo pro-memoria.

È veramente strano che si accusi di interferenza il Ministro dell’interno in questo caso specifico, nel quale il Ministro dell’interno, come era suo diritto e suo dovere, si è limitato a richiamare l’attenzione dell’Alto Commissario sulla inopportunità di una iniziativa che aveva un duplice scopo: inquisire sull’attività o inerzia del prefetto; inquisire sulla inattività dell’Autorità giudiziaria. E per quest’opera si affidava l’incarico ad un funzionario della Sepral, ad un funzionario tecnico, il quale avrebbe dovuto esperire una inchiesta per riferire all’Alto Commissariato sulla inazione dell’Autorità giudiziaria e sull’inazione dell’Autorità prefettizia! Se una indebita ingerenza nel caso specifico concreto c’è stata, questa indebita ingerenza era quella dell’Alto Commissariato per l’alimentazione, il quale, così agendo, superava ogni sua specifica competenza. La denunzia per i fatti incriminati essendo stata già presentata dallo stesso prefetto, l’Alto Commissariato non aveva più un interesse diretto nella repressione o nell’accertamento del fatto specifico. Dimostrava di avere solo lo scopo di colpire l’amministrazione comunale che era di un partito diverso dal suo. Esso si intrometteva nell’attività della magistratura, di fronte alla quale l’Alto Commissariato è nella situazione di qualsiasi altro cittadino. Se avesse ritenuto che i magistrati non avessero dato rapido corso alla denuncia (e l’Autorità giudiziaria aveva, invece, agito rapidamente e aveva chiesto telegraficamente i dati), l’onorevole Cerreti, che è soltanto maestro elementare e non conosce il Codice di procedura penale… (Rumori a sinistra Si ride), e non conosce la vita dell’Amministrazione della giustizia, la quale è oberata da una massa ingente di lavoro, che non riesce a smaltire, e non poteva quindi rendersi conto che in venti giorni è impossibile decidere su un processo di questo genere, avrebbe avuto il diritto di rivolgersi al Ministro della giustizia, che in quel momento era l’onorevole Gullo, compagno di partito, il quale avrebbe potuto esperire tutte le indagini e dare tutta la tranquillità necessaria all’Alto Commissario.

Egli, anziché seguire questa strada, che era la strada normale, ha incaricato un suo funzionario di inquisire sull’inerzia della Autorità giudiziaria e del prefetto.

Ritengo, onorevoli colleghi, che nessuno può rimproverare al Ministro dell’interno di aver compiuto il proprio dovere, che è quello, non soltanto di punire i funzionari quando si rendono colpevoli di manchevolezze, ma di difenderne anche il prestigio, soprattutto nell’esercizio delle loro funzioni. (Applausi al centro Rumori a sinistra).

E vengo ai fatti di Montorio Romano.

Nel pro-memoria presentato alla Presidenza dell’Assemblea, l’onorevole Cerreti scrive poche righe, che io mi permetto di leggere.

«Fatti di Montorio Romano.

«Debbo segnalare – scrivo l’onorevole Cerreti – che con fonogramma n. 1572 U.D.A. del 6 corrente, ore 14, a firma del prefetto di Roma, si è chiesto all’Alto Commissario di sospendere la denuncia essendo il sindaco e l’assessore dell’annona di Montorio Romano incolpati di sottrazione di generi razionati. Negli archivi dell’Alto Commissariato esiste tutta la pratica.

«La denuncia, firmata da me il 30 maggio, ha però avuto corso solo il 4 giugno».

Osservo, onorevoli colleghi, che anche in questo caso, come per i fatti di Padova, il prefetto sarebbe arrivato sempre con un ritardo di 2 giorni dopo la presentazione della denuncia all’Autorità giudiziaria. Ma io mi domando: l’onorevole Cerreti, in queste poche righe, accenna ad un intervento o ad una richiesta del prefetto, diretta all’Alto Commissariato, di sospendere una denunzia. Ora, i casi sono due: o la richiesta del prefetto era illegittima, e l’Alto Commissario rigettava la richiesta, o la richiesta era legittima e poteva accoglierla. Comunque, non si trattava di nulla di oscuro e di tenebroso, ma di una informazione e di una richiesta di carattere ufficiale. Cosa c’entra il Ministro dell’interno in tutto questo? Ritiene che l’opera del Prefetto sia stata arbitraria ed illegittima? Possiamo anche ammettere che il Prefetto, facendo quella richiesta, abbia potuto commettere un errore. Ma il Ministro dell’interno o qualsiasi Ministro può essere ritenuto responsabile? Si può chiedere ed invocare una Commissione parlamentare di inchiesta sull’attività di un Ministro sol perché un funzionario ha errato nell’esercizio del proprio potere e delle proprie attribuzioni? Se dovessimo ammettere questo principio, credo che nessun Ministro si salverebbe da questa possibilità e l’onorevole Cerreti sarebbe da parecchio tempo sul banco degli accusati, perché parecchi dei suoi funzionari – e certo non ne facciamo risalire a lui la responsabilità – si sono resi responsabili di veri e propri delitti. Nel caso specifico non si trattava di delitti odi oscure manovre, ma di una richiesta, legittima od illegittima, arbitraria o non arbitraria, del Prefetto.

Riteneva l’onorevole Cerreti che l’azione del Prefetto rivelasse una mentalità ed uno stile? L’onorevole Cerreti avrebbe potuto allora rivolgere un’interrogazione al Ministro dell’interno, per chiedere i motivi dell’intervento del prefetto di Roma, e se dall’interrogazione non avesse ottenuto spiegazioni adeguate, avrebbe potuto anche trasformare l’interrogazione in interpellanza, per consentire a tutta l’Assemblea di prender parte al dibattito sulla questione. Ma cosa c’entra il Ministro dell’interno in tutta questa faccenda, se non per le poche righe che l’Alto Commissario ha creduto bene di dedicare all’azione del Prefetto di Roma? Se l’ex Alto Commissario onorevole Cerreti, nella sua qualità di deputato, vuole più ampie spiegazioni sull’intervento del Prefetto, posso dargliene; in sede competente darò tutte le più ampie spiegazioni. Nel caso specifico posso aggiungere qualcosa e spiegare quello che il Ministro dell’interno ha fatto, non sollecitato da alcuno, se non dalla stampa.

Il giorno 25 aprile la Repubblica d’Italia, giornale di Roma, pubblicava una notizia: «Il sindaco e l’assessore anziano accusati di gravi colpe a Montorio Romano». Il Ministro dell’interno ha l’abitudine di seguire la stampa e di interessarsi delle faccende da essa denunziate, anche se il più delle volte risulta che i fatti denunziati non corrispondono alla verità o non hanno la reale portata che si denunzia.

Il giorno 27 aprile il mio Capo di Gabinetto scriveva al Prefetto di Roma:

«Sul giornale La Repubblica d’Italia del 25 corrente è apparsa una corrispondenza dal titolo «II sindaco e l’assessore anziano accusati di gravi colpe a Montorio Romano», nella quale viene data notizia di una denuncia inoltrata all’autorità giudiziaria dal presidente della sezione combattenti di Montorio Romano, a carico del sindaco e dell’assessore anziano, per sottrazione e rivendita con personali profitti di grassi e sapone.

«Si prega la S.V. di riferire, con cortese urgenza, previo, ove necessario, rigoroso accertamento, sui provvedimenti di competenza eventualmente adottati o da adottare in via amministrativa nei confronti dei responsabili».

Il Prefetto non rispondeva, perché, come spiegò successivamente, disponeva una inchiesta per suo conto. Comunque, l’11 maggio lo stesso giornale tornò ad occuparsi di questa faccenda con un articolo così intitolato «Scandalo al comune di Montorio Romano. Le gravissime risultanze di una recente inchiesta».

Il 21 maggio si scriveva ancora al prefetto di Roma, in questi termini:

«Si prega la S.V. di voler rispondere con cortese sollecitudine alla ministeriale 27 aprile u.s., pari numero ed oggetto».

Ecco, onorevoli colleghi, l’intervento del Ministro dell’interno nei fatti di Montorio Romano.

Torno a ripetere che, qualunque sia stato l’atteggiamento del Prefetto, qualunque ragione l’abbia mosso per richiedere la sospensione del procedimento, il Ministro dell’interno è assolutamente fuori causa. Il Ministro dell’interno è intervenuto, come ho detto, per sollecitare l’azione prefettizia. Se l’onorevole Cerreti vorrà sapere i particolari di questa faccenda, della quale è ora investita l’autorità giudiziaria, potrà presentare una interrogazione ed il Ministro risponderà in sede competente. Ma, torno a ripetere, non comprendo le ragioni per le quali si vorrebbe mettere sotto inchiesta il Ministro dell’interno, soltanto perché un Prefetto abbia commesso o non commesso un errore, che non mi riguarda come responsabilità diretta.

E, ripeto, se ogni Ministro dovesse rispondere per questi fatti, la vita ministeriale diverrebbe impossibile.

E vengo ai fatti più importanti, ai fatti che hanno appassionato l’opinione pubblica. Ricorderete che avevo assicurato l’Assemblea che, in seguito alla lettura della relazione del capitano Cancilla, fatta dal Presidente dell’Assemblea (e che era una cosa perfettamente diversa da come l’aveva accennata l’onorevole Cerreti), mi riservavo di fare ulteriori accertamenti, assicurando l’Assemblea che avrei riferito su questa questione.

Ed ecco i fatti. Il 12 maggio l’onorevole Cerreti aveva dato assicurazione all’Alto Commissario aggiunto per l’alimentazione, onorevole Saggin, che l’avrebbe tenuto al corrente dell’inchiesta che veniva condotta sui fatti di Padova, e che nessuna decisione egli avrebbe presa senza averla comunicata preventivamente allo stesso suo collaboratore. Il 12 maggio l’onorevole Saggin, tornato da Padova, apprende a Roma – era scoppiata in quei giorni la crisi ministeriale – che l’onorevole Cerreti aveva richiamato improvvisamente il capitano Cancilla, che stava compiendo l’inchiesta, e lo aveva rispedito con l’incarico, non si sa esattamente, se di completare l’inchiesta o di presentare la denuncia all’autorità giudiziaria per i fatti stessi.

L’onorevole Saggin ignorava esattamente come i fatti si fossero svolti, e, in attesa di poter avere una spiegazione dall’onorevole Cerreti, pregò il capo di Gabinetto del Ministro dell’interno di voler fare una comunicazione al prefetto di Padova perché riferisse, se fosse stato possibile, circa il corso dell’inchiesta, informando se era stata presentata qualche denuncia, e, nel caso contrario, di pregare l’ispettore generale perché soprassedesse per due o tre giorni a presentare le eventuali denunce, in attesa di ulteriori comunicazioni. (Commenti Proteste a sinistra).

Il capo di Gabinetto fece, la sera del 12, la comunicazione al prefetto di Padova, il quale non sapeva esattamente come stessero le cose, anche perché l’onorevole Cerreti, come ha dichiarato, aveva dato istruzione al capitano Cancilla di non presentarsi al Prefetto, e si riservò di informarsi e di riferire.

Il giorno dopo, alle 11.30, il Prefetto vede il capitano Cancilla e gli fa la comunicazione del capo di Gabinetto, ed il capitano Cancilla risponde che la denuncia era stata già presentata e che non c’era nulla da fare.

Il Prefetto riferisce al capo di Gabinetto la risposta del capitano Cancilla, risposta che viene riferita all’onorevole Saggin. Il giorno 13, cioè durante il tempo corso fra la telefonata e la risposta del Prefetto di Padova, io partivo per Firenze, per rappresentare il Governo alla Mostra dell’Arte fiamminga, insieme al Presidente di questa Assemblea. Rimanevo assente tre giorni da Roma; al mio ritorno il capo di Gabinetto non ritenne di dovermi riferire nulla sulla questione, che si era esaurita con la comunicazione da parte del capitano Cancilla e del Prefetto, che una denuncia era stata presentata e che la pratica si poteva considerare chiusa.

Ecco come i fatti si sono svolti; e in questi fatti io non ho trovato neppure materia di appunto per l’azione del mio capo di Gabinetto; perché, onorevoli colleghi, il capo di Gabinetto del Ministro dell’interno, che è un Prefetto, è un uomo responsabile, e a mio giudizio non poteva sottrarsi dal fare la comunicazione di cui lo richiedeva l’onorevole Saggin. (Interruzione dell’onorevole Laconi).

Onorevole Laconi, la prego di ascoltarmi e di fare le sue osservazioni quando sarà il caso (Commenti – Proteste a sinistra), perché, onorevoli colleghi, mi pare che la prima cosa, avanti di esprimere un giudizio, è di ascoltare la parte interessata: questo è il più elementare dovere per voi e credo di avere il diritto di essere ascoltato.

Il mio capo di Gabinetto, dicevo, non poteva rifiutarsi di fare una comunicazione, richiesta dall’Alto Commissario aggiunto per l’alimentazione, per una materia di sua competenza, comunicazione da farsi ad un funzionario dello stesso Alto Commissariato, con la quale non si chiedeva di violare la legge o di frodare la giustizia, ma – nella migliore delle ipotesi – di voler soprassedere due o tre giorni alla presentazione di una denunzia che l’onorevole Cerreti (secondo quanto lui stesso ha dichiarato) aveva tenuto nel suo cassetto, per considerazioni di opportunità politica, alcune settimane.

Nessuna violazione di legge, nessuna compromissione in un qualsiasi delitto può riscontrarsi nella comunicazione che veniva richiesta dall’onorevole Saggin, assente l’onorevole Cerreti da Roma, perché quel giorno, appunto, l’onorevole Cerreti non era a Roma.

Io non ho trovato – e ho domandato anche a illustri parlamentari, a uomini che mi hanno preceduto nel Dicastero se in questo atteggiamento del capo di Gabinetto ci fosse qualcosa di rimarchevole, dato che la mia coscienza di uomo interessato alla faccenda poteva velare il mio giudizio – io non ho trovato, dicevo, che l’atteggiamento del capo di Gabinetto potesse essere oggetto di qualsiasi richiamo, di qualsiasi provvedimento da parte del Ministro responsabile. (Approvazioni al centro).

Questo, onorevoli colleghi, il fatto nella sua semplicità, nella sua nuda e cruda verità. Se l’onorevole Saggin fosse stato presente alla passata riunione dell’Assemblea ed avesse potuto chiarire e precisare che era stato lui stesso a fare questa richiesta, la cosa si sarebbe esaurita in quella tornata.

Comunque sia, l’Assemblea ha tutti gli elementi di giudizio per dire se l’attività del Ministro dell’interno, come azione immediata e diretta, è fuori causa e se l’azione del Ministero e del capo di Gabinetto abbia violato una qualsiasi norma, non dico di legge, ma anche di correttezza amministrativa, cosa che, ripeto, escludo, per il senso di giustizia della mia coscienza, ma escludo anche per il giudizio che uomini responsabili di alta autorità hanno creduto di confermarmi. (Vivi applausi al centro).

Onorevoli colleghi, l’episodio, per sé modesto e limitato, a mio avviso, non avrebbe dovuto meritare di essere portato in questa Assemblea, perché anche episodi sostanzialmente privi di fondamento, episodi che non hanno nessuna consistenza, turbano lo spirito ed il sentimento del Paese e non si crea una coscienza democratica e la fiducia nelle istituzioni democratiche gettando il discredito, neppure per interesse di partito, sulle istituzioni e sugli uomini. (Approvazioni al centro).

Forse questi sistemi e questi metodi possono assicurare una vittoria politica; ma tutti gli uomini di buona fede – e ritengo che in questa Assemblea e nel Paese sono la stragrande maggioranza – su quanto è accaduto non potranno dare che un giudizio sereno ed obiettivo. (Vivi applausi al centro e a destra).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei pregare l’onorevole Ministro dell’interno di precisare all’Assemblea se la comunicazione telefonica partita da Roma da parte del capo di Gabinetto chiedeva la sospensione della denuncia per due o tre giorni, oppure se essa chiedeva la sospensione dell’inchiesta, perché la comunicazione che è stata fatta a noi qui, parlava di sospensione di inchiesta, e non già di sospensione della denuncia all’autorità giudiziaria. (Rumori – Proteste al centro).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore. L’interrogato è il Ministro dell’interno e sarà l’onorevole Scelba a rispondere.

CERRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CERRETI. Ho ascoltato con molta attenzione le dichiarazioni del Ministro dell’interno e ad un certo momento mi sono chiesto se l’onorevole Scelba abbia riletto, l’ultima parte del mio discorso del 12 giugno, nella quale io inquadravo l’azione del Ministro dell’interno in una analisi politica, cioè nella preoccupazione che da questi settori si levava verso non tanto la persona del Ministro Scelba – e nel testo stenografico è precisato – quanto verso determinati metodi che possono essere derivati da indirizzi oppure da volontà caparbia, che le cose vadano in un certo modo.

È a questo proposito che io mi permettevo di citare in senso generico alcune cose delle quali ero al corrente, essendo stato Alto Commissario dell’alimentazione. C’è stato poi quello che i giornali hanno chiamato uno scandalo: ma io sfido chiunque riprenda il testo del discorso a trovare in esso un argomento valido per una conclusione scandalistica del dibattito. (Proteste al centro).

Ho tanto riflettuto, in questi giorni, al fatto «scandalo», cioè ad una cosa che per me presentava dei lati incresciosi, perché, dopo aver collaborato per settimane e settimane, per mesi e mesi, con lealtà – e mi pare che un giornale, in questo senso, abbia avuto ragione – con alcuni uomini di quelli che adesso siedono al banco del Governo, prima di fare qualsiasi allusione che possa ledere l’onore personale di uno di questi colleghi, bisogna riflettere almeno due volte.

Perciò quello che non ho potuto fare in modo più netto ed esplicito in quella seduta arroventata, potrei forse farlo oggi.

Ho chiamato arroventata quella seduta, perché si è sentito forse anche qui quel giorno aleggiare un certo spirito fazioso; quello spirito fazioso che sarebbe bene non dominasse neanche in certi dicasteri. Se dunque, come ho detto, non ci fosse stata quella atmosfera arroventata, sarebbero bastate poche parole mie per inquadrare nel giusto modo quel dibattito.

Non ebbi la possibilità di farlo. E adesso, dopo quello che ha detto l’onorevole Ministro, che cosa dovrei dichiarare? Due cose, mi pare. Siccome io ho parlato di un metodo, ho parlato di un sistema, indipendentemente dalla posizione politica di colui che si trova alla testa di un dicastero così importante, la richiesta di una Commissione d’inchiesta poteva significare la volontà di esaminare, di vedere con quali criteri l’organismo più delicato del Governo è diretto. E gli elementi di fatto esistevano, preoccupanti, perché si potesse sul serio esaminare se quel dicastero, e perfino se l’onorevole Scelba, dessero le garanzie necessarie al Paese di essere al di sopra dei partiti, e, quindi, al di sopra della mischia, per garantirci in ogni eventualità; e io parlavo nel mio discorso dell’eventualità di elezioni, e citavo ad esempio la condotta del Ministero diretto dall’onorevole Romita durante le elezioni del 2 giugno, e dicevo che la stessa tranquillità noi ora non l’abbiamo, in quanto noi avevamo fiducia nell’onorevole Romita non per il suo colore politico, ma perché dimostrò di avere un alto senso civico, e che non potevamo essere garantiti che questo equilibrio ci sarebbe stato col Ministro Scelba.

SCELBA, Ministro dell’interno. Abbiamo fatto le elezioni in Sicilia! (Commenti – Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Per favore, onorevoli colleghi, non interrompano.

CERRETI. Già, le elezioni in Sicilia; e sono andate bene; ma ci sono stati poi gli eccidi del 1° maggio in Sicilia, e non credo che l’inchiesta sia andata così bene come sono andate le elezioni.

Ci sono stati poi anche gli eccidi in Calabria, ecc. e non si ha l’impressione che ci sia da parte del Ministero dell’interno una difesa adeguata dell’ordine repubblicano e che si colpiscano coloro che questo ordine mettono in pericolo. (Interruzioni e commenti al centro – Proteste a sinistra).

LI CAUSI. Sì, sì, dopo un mese e mezzo non si sa niente di coloro che hanno ucciso! Lo diremo in Sicilia! È una vergogna! (Proteste al centro – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Li Causi, la prego!

CERRETI. Onorevoli colleghi, credo che nella seduta del 18 giugno l’onorevole Togliatti abbia ben spiegato che non era stata mia volontà di provocare uno scandalo, ma che da altri motivi ero mosso in quel discorso e in quelle allusioni. Prego che non si ricrei un’atmosfera tale per cui si debba scendere su di un terreno, che io non voglio scegliere e che credo nessuno vorrà scegliere, perché – e qui sono d’accordo con l’onorevole Ministro – non è decoroso per la democrazia che questi episodi si verifichino. (Applausi al centro – Commenti).

Noi avevamo il diritto, e ne abbiamo fatto uso, di chiedere una Commissione d’indagine o Commissione d’inchiesta, la quale non significava per il Ministro nessuna diminuzione a priori (Commenti al centro); anzi, vi era forse la possibilità – come si è potuto verificare con la Commissione degli Undici – di confondere l’accusatore. Ma nelle condizioni di oggi, quando non vi è stata una Commissione d’inchiesta, ma vi è stato il Ministro in carica, in questo caso accusato, che ha fatto l’inchiesta per poi riferire, io considero che non siamo più nel vero quadro del dibattito, ma che io devo rispondere in qualità di interrogante, cioè a dire che il Ministro Scelba risponde ad un’interrogazione o ad un’interpellanza, e io devo dire se sono sodisfatto o meno. E allora dichiaro che non sono sodisfatto. (Commenti al centro).

Il Ministro, anche se non lo è stato nella interpretazione, credo che nell’enunciazione scheletrica dei fatti sia stato sereno. Io conosco a memoria tutte queste cose, ormai, perché ho avuto da esaminarle nel corso delle inchieste e poi da riesaminarle e ponderarle prima di dare il via alla denuncia all’autorità giudiziaria, perché mi sono sempre preoccupato delle eventuali ripercussioni politiche che avrebbero potuto turbare una determinata situazione, delicata in quanto non avevamo niente da vendere nel momento in cui costantemente vi era la minaccia di manifestazioni per la mancanza di generi alimentari, di manifestazioni per l’insufficienza dei salari, di manifestazioni da parte degli impiegati statali e da parte dei ferrovieri in ispecial modo.

Ma, d’altra parte, io ero alla direzione di un dicastero il quale è sempre, direi, un po’ la testa di turco di tutte le situazioni: quando si manifesta perché il pane è giallo si dà la colpa all’Alto commissariato, anche se il giallo del pane dipende solo dai mancati arrivi dall’estero o dalla troppa quantità di granturco che dall’estero viene inviata; quando vi è una denuncia annonaria che non ha il suo seguito (e qui, onorevole Scelba, entro nell’affare di Curinga), quando vi sono reati annonari non denunciati e vi è stata una denuncia per una mancata applicazione della legge, voluta o no da parte delle forze politiche di una determinata località, l’uomo della strada – o l’uomo qualunque – esige sempre che si sia fermi nel colpire e si colpisca. Quando non si colpiva, a chi ci si riferiva? All’Alto commissariato, che – si diceva – copriva i ladri, copriva gli accaparratori e gli speculatori!

Quindi, io che mi oro proposto – andando all’Alto Commissariato – di restituire il decoro a quella istituzione che era malfamata, dovevo essere di incentivo a tutti i direttori periferici di quella organizzazione, affinché fossero vigilanti e perché le responsabilità non nostre non ricadessero Sull’Alto Commissariato.

Lei, onorevole Scelba, ha alluso al fatto che io, maestro elementare, non conosco il Codice. Ma sono in buona compagnia perché lei, come Ministro e come avvocato, dimostra di non conoscere la legge. Infatti nella seduta del 18 è stato provato che gli interventi dell’autorità prefettizia, verificatisi, erano inammissibili con la modifica della legge avvenuta nel 1944.

E poiché lei parla spesso di ordine pubblico, dovrebbe comprendere la mia sensibilità per tutto quanto concerneva il campo alimentare e i reati annonari.

Io ho visto, in tutta la numerosa corrispondenza e nelle diecine e diecine di telegrammi e di fonogrammi che mi sono stati inviati, questa preoccupazione dell’ordine pubblico. Questa preoccupazione era anche mia, tanto è vero che abbiamo ricomposto scioperi e abbiamo discusso lungamente perché agitazioni non fossero provocate. Ma quando non andavano avanti queste pratiche per reati annonari e si doveva intervenire presso la giustizia e sapevo che cosa vi era che ostacolava la marcia della giustizia ho cercato di compiere il mio dovere; e non si tratta di un caso ma potrei citarne venti, a cominciare dalla denuncia di Mantova che da sette mesi giace non si sa dove e che non va avanti, ed ho ricevuto delegazioni su delegazioni perché la denuncia di Mantova avesse un esito e fosse istruita! Si son fatti passi presso il Prefetto e non so se si son fatti anche presso il Ministero degli Interni! Comunque, verso di me se ne son fatti molti e, com’era mio dovere, ho cercato di spingere le cose innanzi, ma senza nessun risultato.

Potrei parlare di Verona, potrei parlare di Genova, di Napoli: stesso risultato. Anzi potrei aggiungere, onorevole Scelba, che un Prefetto di un grande capoluogo – mi scusi se non lo cito, ma la citazione ce l’ho (Commenti) – ha tolto l’inchiesta di mano al funzionario che era stato inviato dall’Alto Commissariato e ha incaricato lui degli agenti di fare l’inchiesta. Risultato: non vi è stata nessuna denuncia all’autorità giudiziaria.

SCELBA, Ministro dell’interno. È partito un telegramma del Ministro dell’interno a quel tale Prefetto chiedendo spiegazioni del fatto, che è stato prospettato in altri termini al Ministro dell’interno. (Commenti a sinistra).

CERRETI. Se le cose stanno veramente così me ne compiaccio, però l’esempio serve a inquadrare le dichiarazioni da lei fatte e le risposte che devo dare. Lascio giudice l’Assemblea di valutare, in questa atmosfera in cui la difficoltà di far andare avanti una denuncia, la difficoltà di andare sino in fondo senza interferenze di carattere politico ed amministrativo è grandissima, la inanità degli sforzi di chi vuole operare bene. Tanto,più che non siamo sicuri che queste ingerenze cessino attualmente. Al contrario!

È vero; i fatti di Montorio Romano riguardano un suo dipendente, il Prefetto. Ma è vero anche che il Prefetto della capitale d’Italia è un po’ più direttamente sotto il controllo del Ministro di quanto non lo sia il prefetto di Catanzaro. Per quanto mi concerne, so che il direttore della Sepral di Roma era spesso nel mio ufficio e attraverso l’Ispettore regionale del Lazio e fisicamente attraverso la persona dello stesso direttore vi era un controllo costante: quasi direi che a un certo momento ero un po’ io stesso il Direttore della Sepral. Ebbene, il Prefetto di Roma si è permesso di mandare un fonogramma di questo tenore: «In relazione alle comunicazioni telefoniche e verbali fra questa Prefettura ed i funzionari di Gabinetto di codesto Alto Commissarialo, pregasi voler soprassedere all’invio della denuncia all’autorità giudiziaria a carico amministratori e impiegati ufficio annonario comune Montorio Romano».

È un’ingerenza che non si comprende, tanto più che si poteva chiedere a me di discutere, di esaminare i documenti dell’inchiesta medesima, e la cosa sarebbe stata normale. Invece no! Questi tentativi sono stati fatti senza che si sia tentato di abboccarsi con me. Il che vuol dire che vi era una diffidenza di carattere politico, che ha impedito probabilmente una collaborazione più organica perché le cose andassero avanti. Dubito comunque che le cose sarebbero andate avanti. Perché c’è costantemente più il desiderio di nascondere – e questo un po’ dappertutto – che quello di dire la verità.

Solo in questi giorni c’è stato il desiderio di dire qualche cosetta, e credo che la Presidenza del Consiglio, o chi per essa, si è messa a spigolare tutti i fatti e fatterelli che erano potuti capitare al povero e seccato Alto Commissario e gettarli in pasto alla stampa come fossero comunicazioni innocenti dell’Ansa (Commenti).

Si è persino voluto ripescare – tanto meglio se non è vero che vi fosse un servizio della Presidenza del Consiglio, e ne prendo atto – si è voluto ripescare il caso disgraziatissimo di un assessore di Arezzo, il quale è stato arrestato due mesi fa. I giornali ne parlarono allora e lo ricordano oggi come un fatto di cronaca scandalistica.

Forse non si è trovato di più. E di più non si poteva trovare, perché, benché io sappia che sono state sollecitate disposizioni per richiedere determinate informazioni alla periferia su certe assegnazioni fatte dall’onorevole Cerreti, c’è qualche cosa che ha posto un ostacolo, un freno immediato: l’ordine di fare quella inchiesta, dato dall’onorevole Cerreti il 30 maggio, cioè cinque giorni prima che uscissi dall’Alto Commissariato, appena ebbi sentore che qualche cosa di poco corretto era avvenuto, alla periferia attraverso determinate cooperative di consumo. Comunque, accanto ad un fatto che avrebbe potuto portare in esame determinate responsabilità ed un determinato indirizzo della politica del Ministero dell’interno si è cercato di fare degli scandaletti ammaestrati. Non ho raccolto la sfida, come avrei potuto fare, perché in quel caso avremmo dato un esempio pietoso al nostro Paese e non avremmo contribuito a rafforzare la democrazia. Constato infine tutto il chiasso che si è fatto sui fatti di Padova: «L’onorevole Cerreti dove era dalle 24 alle 9 del mattino?». Diamine! Dopo quella seduta è andato a dormire. «È vero o non è vero che il capitano Cancilla era parente di un Deputato comunista?». Chi ne ha mai saputo niente! «È vero o no che fra questo capitano e l’onorevole Cerreti c’è stato un colloquio notturno per fargli fare quella dichiarazione?» Quanto al capitano Cancilla – mi auguro non ci siano verso di lui rappresaglie – si trovava a Brescia a fare ancora il suo dovere, a tentare di scoprire ancora delle malefatte, affinché i colpevoli non restassero impuniti. Si è detto che quel foglio non era sgualcito e che ho commesso la dabbenaggine di non infilarlo in tasca e passarlo all’olio di oliva in modo che ci fossero delle macchie, forse anche aggiungendovi le impronte digitali, in modo da dimostrare l’autenticità della data di esso, 23 maggio. Si è cercato di fare un grande castello; e poi il Ministro degli interni dice: «Il fatto è vero, soltanto non l’ho commesso io. È stato attraverso il mio Capo di Gabinetto che questa comunicazione è stata mandata a Padova».

Con questa dichiarazione, che riconosce la veridicità delle mie asserzioni, considero chiuso l’incidente. (Applausi a sinistra).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. A giustificazione del Prefetto di Roma, vorrei completare il fonogramma da lui inviato all’Alto Commissario Cerreti, visto che non è stato letto nel testo integrale.

Il telegramma dice: «In relazione alle comunicazioni telefoniche e verbali intercorse fra questa Prefettura ed i funzionari di Gabinetto di codesto Alto Commissariato, pregasi voler soprassedere all’invio denuncia all’autorità giudiziaria a carico amministratori ufficio annonario comune Montorio Romano».

Fin qui ha letto l’onorevole Cerreti. Il telegramma continua: «in attesa di altri elementi di giudizio che questa Prefettura si riserva di segnalare per eventuali ulteriori indagini dirette a stabilire particolarmente la posizione del sindaco di detto Comune». (Applausi al centro e a destra).

Per quanto riguarda la domanda formulata dall’onorevole Scoccimarro, io dichiaro che, anche se la comunicazione fosse stata nei termini da lui accennati, la situazione non muterebbe.

Comunque, io ho accettato, di fronte alla diversità di informazioni, la tesi più estrema dell’accusa che considerava la sospensione d’una denuncia all’autorità giudiziaria, che era il fatto più grave, direi, in quanto rappresentava una vera e propria interferenza nell’azione giudiziaria d’un ufficiale di polizia giudiziaria. Se l’onorevole Scoccimarro desidera che gli comunichi la risposta del Prefetto in materia, posso dare lettura di ciò che il Prefetto mi ha comunicato relativamente a questo punto:

«In relazione alla lettera in data 23 maggio scorso del capitano Cancilla, di cui comunicatami copia dall’Eccellenza Vostra, devo dichiarare che non risponde a verità che io lo abbia invitato a sospendere l’inchiesta. Basta a dimostrarlo il fatto che proprio nel colloquio accennato, egli mi comunicò spontaneamente che intendeva trattenersi ancora pochi giorni a Padova, per condurre a termine alcuni accertamenti, senza che io gli abbia mosso la minima obiezione».

Non avevo voluto dare lettura prima di questo documento, perché non ritenevo di dovere portare in lungo la questione con una discussione oziosa, dal momento che in sostanza, anche a giustificazione dell’operato del Prefetto e del Capo Gabinetto, stava il fatto che la richiesta tendeva non a sospendere l’inchiesta, che peraltro era ultimata da tempo, ma a sospendere la denunzia all’autorità giudiziaria.

Infatti, il Prefetto ha comunicato, precisamente, che la sua richiesta tendeva a sospendere la denunzia all’autorità giudiziaria; cosa più grave perché, una volta avvenuta la denuncia, il fatto sarebbe stato irreparabile; era la cosa più grave che si potesse chiedere; mentre contesta di aver chiesto la sospensione dell’inchiesta.

Voci al centro. Basta, basta!

SCOCCIMARRO. Non basta. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io insisto, onorevole Ministro dell’interno, non per accendere una polemica nei suoi confronti, ma perché il mio vivo desiderio è che questa questione si chiuda senza dubbio per nessuno; né per noi, né per l’opinione pubblica. È il solo motivo che mi induce ancora a voler chiarire tutto, non per gusto malsano di sollevare discussioni e polemiche.

Noi possiamo chiudere la questione come vogliamo, ma ci sono 45 milioni di italiani, che ragioneranno a modo loro e la chiuderanno colla loro testa. (Interruzioni – Commenti).

Ora, onorevole Scelba, io non credo che chiedere di sospendere di alcuni giorni l’inoltro di una denunzia all’autorità giudiziaria sia più grave che chiedere la sospensione dell’inchiesta, cioè della ricerca di elementi obiettivi per l’accertamento della verità.

Ecco perché questo dubbio, che viene a noi, può venire all’opinione pubblica e noi abbiamo il dovere di dare una risposta. E formulo un altro quesito: il Ministro dell’interno dal punto di vista della legge ha diritto o non ha diritto di intervenire in questioni di questo genere? Noi sappiamo che fino ad una certa data aveva diritto, e precisamente fino al 1944; ma sappiamo anche che da quella data in poi non aveva più diritto di farlo.

Ora, il problema serve anche per l’avvenire; i Prefetti hanno con le leggi attualmente in vigore la facoltà di interferire in questioni di questo genere? Questo è il problema centrale.

Terza questione: l’onorevole Saggin è Alto Commissario aggiunto. Che bisogno ha di andare dal Capo di Gabinetto del Ministro dell’interno? Perché non telefona lui come Alto Commissario aggiunto? (Interruzione dell’onorevole Uberti).

Ora, perché era giustificata la Commissione di inchiesta? Era giustificata per sapere: 1°) se il Ministro dell’interno avesse o non avesse mandato quella comunicazione telefonica; 2°) se avesse diritto di mandarla.

Noi sappiamo che non ne aveva il diritto e ora sappiamo anche che una telefonata c’è stata, non per disposizione del Ministro dell’interno, ma per intervento dell’Alto Commissario aggiunto per l’alimentazione.

Ora, mi si consenta di dire che tutto questo non è chiaro. Non per levare accuse verso l’onorevole Saggin o verso altri, ma per necessità di chiarezza io chiedo: non potete voi dare gli elementi obiettivi che chiariscano tutti i dubbi? Al punto in cui è la questione non si può dire che tutto è chiaro.

Una voce al centro. Che cosa volete chiarire?

SCOCCIMARRO. Quello che non ha chiarito né il Ministro dell’interno né l’onorevole Saggin col suo silenzio. (Applausi a sinistra – Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Rispondo subito alle domande cortesemente formulate dall’onorevole Scoccimarro.

L’onorevole Scoccimarro insiste per sapere se la richiesta sia stata di sospensione della denuncia o di sospensione dell’inchiesta, perché ritiene che sarebbe stata più grave la sospensione dell’inchiesta che non la sospensione della denuncia.

Io non posso fare una disquisizione teorica, se sia più grave l’una o sia più grave l’altra, ma devo richiamare l’onorevole Scoccimarro alla realtà delle cose.

Si tratta di una comunicazione telefonica, cioè a dire di una conversazione a distanza (Rumori a sinistra) in cui è facile non riferire esattamente e non si potrebbe andare a fare una indagine per accertare responsabilità, se responsabilità ci fossero, su una conversazione telefonica registrata con appunti. Ma io dico all’onorevole Scoccimarro qualche cosa di più: nella sostanza questa indagine non porta nessuna conseguenza, perché la denuncia era stata presentata, l’inchiesta era stata ultimata da parecchio tempo (Commenti a sinistra), perché lo stesso onorevole Cerreti ha dichiarato che aveva tutti gli elementi per la denuncia, che solo per determinate considerazioni egli non aveva ritenuto di dover fare in precedenza.

Quanto al diritto del Prefetto di intervenire in questa faccenda, bisogna chiarire la natura di questo intervento. Dal punto di vista legale io mi permetto di ricordare all’onorevole Scoccimarro che il Prefetto, per legge, interferisce in questa materia, perché è il Presidente della Sepral e come tale ha il diritto di essere informato di tutte le inchieste. (Applausi al centro – Proteste a sinistra).

L’articolo 3 della legge vigente in materia stabilisce questo: «Le sezioni provinciali dell’alimentazione sono nominate con deliberazioni dell’Alto Commissariato per l’alimentazione, su proposta del Prefetto, che attua le direttive dell’Alto Commissariato per l’alimentazione».

Il Prefetto quindi è il Presidente della Sepral e siccome si trattava di irregolarità commesse negli uffici della Sepral volete che il Prefetto, responsabile dell’andamento della Sepral, non avesse il diritto di informarsi sull’andamento di una inchiesta che riguardava un ufficio di cui egli era Presidente e che poteva investire la sua stessa responsabilità? (Applausi al centro).

Seconda ragione: il Prefetto, nel caso specifico, non ha esercitato un intervento. Il Prefetto si è limitato a fare una comunicazione che veniva dall’Autorità qualificata ed in questo caso era suo dovere (non si tratta di stabilire se c’è o non c’è il diritto) di fare una comunicazione ad un’altra Autorità qualificata. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Cifaldi ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea, udite le dichiarazioni del Ministro dell’interno passa all’ordine del giorno». (Commenti).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Non so se l’onorevole Cifaldi si propone di sviluppare il suo ordine del giorno, assai semplice nella sua formulazione, tanto semplice però che può essere di significato non univoco, in quanto può significare parecchie cose. Il problema come era posto? Qui è stato rilevato che è stato compiuto da parte del Gabinetto del Ministro dell’interno un atto illecito, contrario alla legge.

È stato risposto dall’onorevole Ministro dell’interno che tale atto è stato compiuto. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

Che cosa significa in questo caso l’ordine del giorno puro e semplice? L’ordine del giorno puro e semplice significa constatazione di questa verità oppure il contrario? Vorrei saperlo, e lo vorrei per lo stesso motivo per il quale intervenni l’altra sera e dissi che anche un voto della maggioranza dell’Assemblea il quale respingesse quella inchiesta, che tutti riconoscevano nella coscienza loro necessaria, sarebbe cosa utile e, in un certo senso, mi soddisfarebbe, nel senso che dimostrerebbe che cosa questa maggioranza è capace di fare.

Ci troviamo ora di fronte a fatti precisi, costatati e affermati dal Ministro dell’interno, che coincidono con le affermazioni fatte dall’onorevole Cerreti. (Rumori al centro).

BONOMI PAOLO. E la copia del fonogramma?

TOGLIATTI. In questa situazione desidero continuare e continuo a seguire la stessa linea di condotta tracciata dal mio intervento dell’altra sera, cioè voglio vedere se la maggioranza arriva a dire il contrario di quel che ha detto il Ministro dell’interno, o ad asserire che il Ministro dell’interno non ha affermato quel che ha affermato. Voglio sapere se la maggioranza è tale, onorevole Calamandrei, che possa arrivare a fare del «no» «ita» come diceva il padre Dante. (Approvazioni all’estrema sinistra – Interruzioni al centro e a destra).

Per questo propongo un emendamento all’ordine del giorno Cifaldi. Propongo che dopo aver affermato: «L’Assemblea udite le dichiarazioni del Ministro dell’interno» si aggiunga: «costatato che è risultato vero il fatto di un illecito intervento da parte del Capo di Gabinetto del Ministro dell’interno per sospendere l’inchiesta giudiziaria in corso, passa all’ordine del giorno». (Applausi a sinistra – Rumori prolungati al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte a due ordini del giorno. Poiché l’ordine del giorno puro e semplice rappresenta una pregiudiziale – e questo è chiaro, e se qualcuno è di avviso contrario può esprimerlo – ritengo che l’ordine del giorno puro e semplice, appunto perché non entra nell’argomento, e significa di fatto trascendere la questione, non porta emendamenti. Vi è, invece, un altro ordine del giorno il quale entra nel merito ed esprime un giudizio.

Ed allora, ritengo che l’ordine del giorno puro e semplice abbia la precedenza nella votazione.

Pongo, dunque, in votazione l’ordine del giorno Cifaldi.

PATRISSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Sulla procedura, onorevole Patrissi?

PATRISSI. No, in merito all’ordine del giorno.

PRESIDENTE. A questo punto, onorevole Patrissi, lei può chiedere la parola solo sul problema della procedura. Quindi, non posso darle la facoltà di parlare.

È stato chiesto l’appello nominale sull’ordine del giorno Cifaldi dagli onorevoli Farini, Pratolongo, Barontini Anelito, Massola, Moranino, Fedeli Armando, Reale Eugenio, Maltagliati, La Rocca, Scotti Francesco, Spano Velio e altri.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Si procede allora alla votazione nominale sull’ordine del giorno Cifaldi.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Guariento.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bassano – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

Damiani – D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gasparotto – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giannini – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Rocco.

Jacini – Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni– Lettieri – Lizier – Lucifero.

Maffioli – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Montemartini – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murgia.

Nicola Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paratore – Pastore Giulio – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Ponti – Porzio – Preziosi – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Paolo – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Spallicci – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigo – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi.

Rispondono no:

Allegato – Amadei – Amendola – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bellusci – Bennani – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bordon – Bucci.

Cacciatore – Calamandrei – Caprani – Carmagnola – Carpano Maglioli – Cavallotti – Cerreti – Cianca – Colombi Arturo – Corbi – Costa – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Michelis Paolo – Di Vittorio – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grieco – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lozza – Lupis – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Massini – Massola – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Modigliani – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pertini Sandro – Pesenti – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Priolo – Pucci.

Ravagnan – Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti.

Vernocchi – Vigna – Vinciguerra – Vischioni.

Zanardi – Zannerini.

Si sono astenuti:

Della Seta.

Paris – Parri.

Scelba – Segala.

Sono in congedo:

Arata.

Bernardi.

Cimenti – Colonnetti.

Lombardo Ivan Matteo.

Mariani.

Pellizzari.

Rapelli.

Saragat.

Tremelloni.

Varvaro – Villani.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale.

Presenti                    440

Votanti                     435

Astenuti                       5

Maggioranza             218

Hanno risposto :      277

Hanno risposto no:    158

(L’Assemblea approva l’ordine del giorno dell’onorevole Cifaldi).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, se non hanno nulla in contrario, desidererei esaminare subito la questione dei nostri lavori di domani, per evitare di farlo in fine di seduta, quando la maggior parte dei presenti si affretta ad uscire ed il compito risulta più ingrato.

I termini del problema sono questi: vi sono ancora dieci oratori iscritti, sei presentatori di ordini del giorno; poi c’è da prevedere un certo numero di dichiarazioni di voto. Di fronte a questi dati, pongo il desiderio espresso da molte parti, e un po’ anche la necessità, di finire questa discussione domani sera, per giungere al voto. (Approvazioni).

Ed allora si potrebbe procedere in questo modo: dare adesso la parola a due oratori, poi interrompere la seduta per un’ora od una ora e mezzo e, alla ripresa, ascoltare ancora i discorsi di tre colleghi.

Ridurremmo così, alla metà il numero degli iscritti.

Domattina, poi, e spezzeremo così un po’ la vecchia tradizione che vuole che le sedute mattutine siano meno solenni di quelle pomeridiane, domattina riprenderemo la discussione, con tutta la dignità che essa comporta.

Stasera dovrebbero parlare gli onorevoli Nenni, La Malfa, Di Vittorio, Giannini, Lombardi Riccardo, e domattina gli onorevoli colleghi Pacciardi, Cuomo, Gronchi, Togliatti, Corsi, più i presentatori degli ordini del giorno.

Gli ultimi ordini del giorno dovrebbero essere svolti all’inizio della seduta pomeridiana, dopo di che avrebbe la parola il Presidente del Consiglio per rispondere, ed a sera non troppo avanzata si potrebbe giungere al voto.

La realizzazione di questo piano naturalmente comporterà un certo sforzo, ma permetterà insieme che i vari programmi personali che molti colleghi si sono proposti per i prossimi giorni, possano essere sodisfatti.

Lunedì, poi, potremmo finalmente riprendere i lavori sul progetto di costituzione. (Applausi).

(Così rimane stabilito).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle comunicazioni del Governo.

È inscritto a parlare l’onorevole Nenni. Ne ha facoltà.

NENNI. L’onorevole Einaudi ha fatto ieri l’elogio del tono, della chiarezza con cui l’Assemblea Costituente ha affrontato la parte delle dichiarazioni del Governo riferentisi alla situazione economico-finanziaria del Paese ed ha affermato, giustamente, che la discussione è stata su questo punto all’altezza delle migliori tradizioni parlamentari.

Vorrei augurarmi che alla fine del dibattito, che per quanto si riferisce all’aspetto politico della crisi è stato forse più lungo che chiaro, si potesse ripetere un così lusinghiero giudizio.

Ho l’impressione però che ci sia stata nella discussione una zona nebulosa e che ciò derivi dalla reticenza delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, onorevole De Gasperi, intorno alla causa e all’origine, non soltanto della crisi di cui in questo momento analizziamo il corso e le conseguenze, ma anche della precedente: quella di gennaio.

Mi sembra evidente che, nell’interesse dell’Assemblea e del Paese, l’onorevole De Gasperi abbia l’obbligo di essere assolutamente esplicito e di non lasciare alcuna zona di ombra, alcuna zona di incertezza. Quanto a me, credo di avere individuato l’origine di questa crisi, non già nella situazione, o meglio, non soltanto nella situazione economico-finanziaria, che ha grandemente preoccupato il Presidente del Consiglio nel corso di questi ultimi mesi, ma in quella che, a distanza di un po’ di tempo, potremmo definire una svolta politica dell’onorevole De Gasperi e di una parte della Democrazia cristiana.

L’origine di tale svolta si colloca allo scorso dicembre, al momento cioè della riunione del consiglio nazionale della Democrazia cristiana, subito dopo le elezioni amministrative del mese di novembre, che ebbero ovunque dei risultati catastrofici per la Democrazia cristiana e non buoni per noi.

In quel consiglio nazionale la causa del grave insuccesso elettorale della Democrazia cristiana fu individuata nell’alleanza politica da essa contratta al Governo con le forze comuniste e socialiste.

In una certa misura era la stessa interpretazione che del nostro insuccesso relativo dava l’onorevole Saragat nella intervista al Giornale d’Italia, e che fu il primo atto del dissidio sfociato nella scissione del congresso di Roma.

Al consiglio nazionale di dicembre l’onorevole De Gasperi, a chi lo sollecitava a provocare una crisi ministeriale per escludere i comunisti e i socialisti marxisti dal Governo, rispose che molto probabilmente tale iniziativa l’avrebbero presa i socialisti.

Confesso che egli fu migliore profeta di me, che non avevo visto venire la scissione, sia ch’egli possedesse informazioni migliori delle mie o fosse più addentro alle segrete cose o addirittura vi contribuisse.

Non c’è nessun dubbio, in ogni caso, che, dalle elezioni di novembre in poi, l’onorevole De Gasperi e una parte della Democrazia cristiana subordinarono tutto al proposito di arrivare alla rottura con l’estrema sinistra, approfittando della crisi interna del Partito socialista.

Fin d’allora l’onorevole De Gasperi ebbe l’idea di realizzare il suo piano col concorso di una parte almeno dei socialisti. In questo piano l’onorevole Saragat doveva essere il garofano rosso per l’abito nero – non dico talare – (Commenti al centro) di De Gasperi, doveva servire cioè a condire di un certo sapore di democrazia avanzata un’operazione di netto carattere reazionario.

Non è cosa nuova né strana. Da cinquanta anni in qua gli uomini e i partiti di centro che lavorano per la restaurazione o il consolidamento del capitalismo, hanno sempre avuto cura di condire con un pizzico di socialismo i loro manicaretti.

Fortunatamente il mio ex compagno di esilio Saragat sa la storia e sa quindi come finiscono queste cose.

Nel mese di gennaio quando, tornato dall’America, l’onorevole De Gasperi considerò venuto il momento di realizzare la frattura delle forze popolari servendosi della scissione socialista e di alcuni elementi socialisti, Saragat non si prestò ad un connubio del quale previde le conseguenze deleterie, non soltanto per il proletariato, ma anche per la democrazia in generale.

Così il tentativo di gennaio non riuscì, o riuscì soltanto in minima parte. L’onorevole De Gasperi ricorse allora alla tecnica, per realizzare in parte il suo programma. Tornò al tripartito, ma alleggerendolo del Ministro delle finanze Scoccimarro, sacrificato alla impellente e ineluttabile esigenza tecnica della fusione del dicastero del tesoro con quello delle finanze. Leggemmo allora che si andava a rovina senza la fusione dei due dicasteri. In verità si trattava di togliere ad un comunista una delle cosiddette leve di comando e di eliminarne un altro dal dicastero della assistenza post-bellica, giudicato un dicastero elettorale. La tecnica fu invocata allora per la fusione, così come è stata invocata in senso inverso nel corso delle ultime settimane.

La crisi di gennaio fu determinata e guidata dall’idea di escludere dal Governo l’estrema sinistra e di fare un Governo di centro sulla base del connubio De Gasperi-Saragat-Facchinetti.

Al fallimento di questo suo tentativo l’onorevole De Gasperi non si è rassegnato mai. Egli ha subito il ritorno al tripartito perché la crisi era arrivata al momento in cui l’impazienza del Paese imponeva una soluzione. Ma il terzo Gabinetto De Gasperi si era appena costituito che già il suo capo pensava al quarto Gabinetto, pensava cioè ad attuare il piano fallito in gennaio.

Tuttavia l’ultima crisi, onorevoli colleghi, sta fra le due date del 4 e del 28 aprile. Sono stati 24 giorni duri per l’onorevole De Gasperi.

Che cosa era successo il 4 aprile? Dopo molte discussioni, il Governo si era finalmente messo d’accordo su quello che è stato chiamato il piano del Mosè Morandi, coi famosi 14 punti, i quali dovevano svolgersi ad integrazione e sostegno delle misure di carattere finanziario elaborate dal ministro Campilli e della imposta straordinaria sul capitale.

L’onorevole De Gasperi è stato, fra il 4 e il 28 aprile, assalito dalle forze del capitalismo speculativo che non volevano l’imposta straordinaria sul patrimonio; che non volevano le misure finanziarie elaborate dal ministro Campilli; che non volevano i 14 punti dell’onorevole Morandi; e disgraziatamente davanti a quella forza ha finito per capitolare. Il censo ha trionfato di fronte al suffragio universale.

Anche questo fenomeno non è nuovo. Qualcuno ha ricordato che era già successo in Francia nel 1924, dopo la vittoria del blocco delle sinistre, allorché il Governo Herriot fu rovesciato dalla Borsa. Un esempio più tipico fu quello di dieci anni or sono in Francia, allorché il mio illustre amico Léon Blum, uscito vittorioso dalla consultazione elettorale del 1936, fu nel 1937 rovesciato dalle «duecento famiglie». Teoricamente il fenomeno trova la sua spiegazione nel fatto che, attraverso la vittoria elettorale, la classe lavoratrice acquista la forza di controllare il Governo, di parteciparvi o di assumerne la direzione, senza peraltro essere ancora in grado di controllare le leve economiche, che noi socialisti sappiamo essere molto più importanti di quelle politiche.

A determinare la capitolazione dell’onorevole De Gasperi di fronte al censo, molto influirono le elezioni del 21 aprile in Sicilia. I 250 mila voti perduti dalla Democrazia cristiana e la vittoria relativa del Blocco del popolo contribuirono a rafforzare la corrente di coloro che attribuiscono gli insuccessi elettorali del partito cattolico all’alleanza con i comunisti e i socialisti. Ciascuno ha le sue reazioni di fronte alle vittorie della classe lavoratrice. La reazione degli agrari siciliani si è manifestata con la mitraglia di Portella delle Ginestre, la mitraglia che – e l’onorevole Scelba non ha ancora individuato per mano e istigazione di chi – seminò la morte fra i contadini. (Applausi a sinistra). La risposta dell’onorevole De Gasperi è stata l’esclusione dal Governo di coloro che avevano vinto le elezioni in Sicilia.

Veda, onorevole De Gasperi (le do del lei per sottolineare la solennità del dialogo, non perché in me sia diminuito l’affetto che a lei mi ha legato in un periodo delicato della nostra vita politica), io ho visto con sorpresa confrontare la sua politica con quella del mio vecchio compagno ed amico onorevole Ramadier, Presidente del Consiglio dei Ministri di Francia. Il confronto non regge. Questa non è la sede perché io discuta se i socialisti francesi hanno fatto bene od hanno fatto male ad assumere, nelle forme attuali, la responsabilità del Governo. Credo del resto che essi siano alla vigilia d’una modificazione sostanziale della loro politica. Ma questo non c’entra. Quello che c’entra è che l’onorevole Ramadier non ha voluto e non vuole l’esclusione dei comunisti dal Governo. Ho qui un articolo del più autorevole interprete della politica di Ramadier, il mio amico Léon Blum, un articolo nel quale egli esorta i comunisti a rientrare nel Governo repubblicano e afferma che la loro assenza dal Governo crea un vuoto, una difficoltà, rende ardua e finirà per rendere impossibile la stessa opera di Governo dei socialisti.

Il presidente Ramadier ha visto sorgere il conflitto coi comunisti in Parlamento sulla questione dell’Indocina prima, sulla politica economica e finanziaria del Governo poi. La crisi è maturata in Francia sul terreno dei fatti, non col tentativo subdolo di allontanare dal Governo un partito, che ha avuto, in Francia come in Italia, un numero tale di suffragi da dover essere considerato come uno degli elementi essenziali della vita democratica del Paese. (Applausi all’estrema sinistra).

Che cosa ha fatto invece l’onorevole De Gasperi? Egli non è riuscito mai a portare la crisi sul piano politico. Non è mai successo che, in Consiglio dei Ministri, non si sia trovato un terreno di accordo e di conciliazione. (Commenti). Non c’è stato nessun dibattito di fronte a questa Assemblea. De Gasperi ha dovuto fare una crisi extra parlamentare, perché gli mancavano i motivi per fare una crisi parlamentare. E ritengo che l’inquietudine del Paese, oltre che dalla esclusione di tutto un settore della opinione pubblica repubblicana dal Governo, dipenda anche dal modo come ciò è successo, senza che se ne vedessero e individuassero le cause. Perché, onorevole De Gasperi, vogliamo proprio parlare sul serio della questione del doppio giuoco? Vediamo.

Io potrei dimostrare senza fatica che, nei casi essenziali e fondamentali, il doppio giuoco lo ha fatto l’onorevole De Gasperi. Lo ha fatto certamente nella questione del cambio della moneta, quando apparentemente ha dato il suo consenso al progetto del cambio e poi si è rifugiato dietro la tecnica, rappresentata anche allora dall’onorevole Einaudi, per non farlo.

Una volta De Gasperi parlava di «doppio binario». Ricordo con una punta di emozione le riunioni del Comitato di liberazione nazionale, in cui egli veniva con l’Avanti! clandestino segnato in bleu o in rosso, e non era possibile passare alla discussione delle questioni all’ordine del giorno, molte volte involgenti gravi problemi di carattere politico e militare, senza che avesse fatto il suo sfogo preventivo contro il doppio binario dell’Avanti! Mi dicono che nel Consiglio dei Ministri degli ultimi tempi l’onorevole De Gasperi faceva la stessa cosa e arrivava con l’Avanti! e con l’Unità segnati, come al solito, in blu o rosso – non so che colore adoperi per i casi più gravi – e il Consiglio dei Ministri non poteva passare alla discussione dei temi all’ordine del giorno senza che il Presidente del Consiglio avesse risollevato per la milionesima volta la questione non più del doppio binario, ma del doppio giuoco.

Onorevole De Gasperi, se ella chiama doppio giuoco il fatto che la prospettiva generale politica di noi socialisti non è quella della Democrazia cristiana, allora non c’è più niente da dire. Se non ci fosse questa diversa prospettiva politica o noi saremmo democristiani o i democristiani sarebbero socialisti.

Esiste un documento celebre nella letteratura marxista: il primo documento che ha dato luogo alla polemica sul doppio giuoco. È l’indirizzo di Marx alla Lega dei comunisti dopo la rivoluzione del 1848-1849, quando Marx sosteneva la tesi, che io ritengo sia ancora oggi pienamente valida, essere compito della classe operaia, all’indomani di una rivoluzione, obbligare i democratici ad eseguire le loro promesse, a mantenere gli impegni che hanno assunto e quando diceva che il partito della classe operaia, dopo una rivoluzione, non deve rivolgere la sua critica contro il nemico vinto (nel caso nostro il fascismo) ma contro il partito col quale collabora e che vuole accaparrare per sé solo i benefici della rivoluzione (nel caso nostro la Democrazia cristiana). Così noi ci siamo trovati a collaborare nella lotta contro il nazi-fascismo prima, in quella per la Costituente poi, senza con ciò rinunciare ad essere noi stessi, appunto perché avevamo di fronte un nemico comune. Oggi ancora la nostra collaborazione sarebbe possibile, pur nella diversità degli ideali e degli obbiettivi, se fossimo d’accordo nell’individuare nella speculazione il nemico comune. Quindi da questo punto di vista la polemica sul doppio giuoco non è una cosa seria: è un espediente; è il tentativo di valersi di disaccordi che non hanno mai messo in pericolo la vitalità del Governo per una operazione politica che offende il nostro sentimento di rappresentanti della classe lavoratrice ed anche il nostro sentimento di repubblicani, i quali non possono ammettere che un anno dopo la proclamazione della Repubblica i repubblicani siano esclusi dal Governo del Paese. (Applausi a sinistra).

Questa è la genesi della crisi di gennaio e di quella di maggio.

Vorrei esaminarne adesso le conseguenze. Nell’ordine politico ella, onorevole De Gasperi, ha spezzato il fronte repubblicano e si presenta davanti all’Assemblea con un Governo di parte e di classe. Ella ha creato una situazione che, se dovesse svilupparsi, porterebbe in sé gravi pericoli per la unità morale della nazione e per la solidarietà che deve esistere fra le forze popolari del nostro Paese, se vogliamo uscire dalla tragica situazione in cui ci hanno posto il fascismo e la guerra.

Quando io dico che dietro l’onorevole De Gasperi mi pare di vedere l’ombra di monsignor Seipel, dello spagnolo Gil Robles o del piccolo cancelliere Dollfuss, non penso affatto che esista una consapevole volontà del Presidente del Consiglio di portare le cose al punto in cui le portò monsignor Seipel nel novembre 1928, o di andare ad una repressione del tipo Gil Robles nelle Asturie, o di meditare una strafe-expedition come quella di Dollfuss contro il proletariato di Vienna nel febbraio del 1934. Non pretendo neppure che il Presidente del Consiglio si proponga coscientemente di seguire le orme del cancelliere Bruening, che svirilizzò la Repubblica di Weimar prima che von Papen la consegnasse a Hitler.

Molto probabilmente l’onorevole De Gasperi ha orrore di queste cose, ma sono persuaso che ne avrebbero avuto orrore anche monsignor Seipel ed il piccolo cancelliere Dollfuss, se qualcuno li avesse prevenuti del punto d’arrivo della loro politica. Senonché noi non facciamo la storia secondo la nostra volontà, ma in condizioni determinate dall’ambiente e quando c’è davanti a noi una china o un abisso, la sola cosa che possiamo fare è di non mettere il piede su quella china giacché, fatto il primo passo, gli altri seguiranno fatalmente. (Applausi a sinistra).

Onorevole De Gasperi, si comincia con l’escludere i comunisti e i socialisti dal Governo e si può finire con lo sparare contro gli operai. (Applausi a sinistra – Vive proteste al centro – Scambio di apostrofi).

Voci al centro. Ungheria!

NENNI. Bisogna pensarci a tempo, onorevoli colleghi. (Rumori al centro – Interruzione dell’onorevole Fuschini).

PRESIDENTE. Non interrompano, onorevoli colleghi!

NENNI. Bisogna pensarci a tempo, onorevoli colleghi, perché l’arte di governare è l’arte di prevedere e non di reprimere. (Interruzioni e rumori al centro). La realtà è che gli atti di questo Governo sono, fin da questo momento, inficiati di parzialità: c’è gran parte del Paese che non riconosce come legittima la situazione che si è creata. (Rumori al centro e a destra).

Nell’ordine ideologico il Governo attuale fa sorgere nel Paese una – come dire? – tentazione di anticlericalismo…

Una voce al centro. L’avete sempre avuta questa tendenza.

NENNI. …e noi questo non vogliamo. (Commenti). Non lo vogliamo perché, come ho già avuto occasione di dire in questa Assemblea, le reminiscenze volterriane ci interessano poco, nel momento in cui è posto davanti al Paese il problema fondamentale della riforma agraria e della riforma industriale, dalla cui soluzione dipendono, secondo noi, l’avvenire della Nazione e l’avvenire delle classi lavoratrici.

Non lo vogliamo, ma l’altro giorno mi è capitato di sentire in Firenze degli epigrammi – che forse l’onorevole De Gasperi conosce – i quali mostrano come l’umorismo del popolo s’attacchi ai preti. (Rumori al centro). Ripeto che non ci interessano i blocchi anticlericali e massonici…

Una voce al centro. Legge mai l’Avanti? (Rumori a sinistra).

NENNI. Qualche volta.

PRESIDENTE. Ricordiamo il programma, stabilito per i lavori di questa sera. Se gli oratori non potranno andare avanti non ne faremo nulla.

NENNI. Ci farebbe orrore una Repubblica clericale, ma non ci auguriamo nemmeno la Repubblica del petit-père Combes. (Interruzioni al centro). Ci sono altri problemi. Quando su quel banco (Accenna al banco dei Ministri) c’erano i rappresentanti di tutto il movimento democratico e popolare, dietro di voi, onorevole De Gasperi, tutti intravedevano il Presidente De Nicola, dei cui illuminati servigi temiamo in questo momento di vedere privato il Paese. (Il Presidente, i componenti del Governo, tutti i deputati e il pubblico delle tribune si levano in piedi – Vivissimi, prolungati, generali applausi che si rinnovano a più riprese).

Oggi, guardando il banco del Governo, malgrado qualche ostaggio come l’onorevole Sforza, c’è da domandarsi se la Città del Vaticano non abbia dilatati i suoi confini a tutta Roma, a tutta la penisola. (Commenti al centro). Vi conviene, onorevole De Gasperi, e conviene alla Democrazia cristiana? (Commenti e interruzioni al centro). Non dico se convenga alla Chiesa, perché la Chiesa qui non c’entra, come non c’entra la religione, giacché, se la religione c’entrasse, le cose sarebbero andate in modo diverso. Cosa è valso al mio amico Togliatti votare l’articolo 7?

TOGLIATTI. Aspetta, aspetta!

NENNI. Per lo meno, nell’ambito governativo e parlamentare, non è valso a niente. Io non so se l’onorevole Einaudi sia uno di quei grands bourgeois anticlericali e volterriani stile Ottocento, ma so per certo che il Presidente del Consiglio non si preoccupa delle sue opinioni religiose. L’elemento sociale conta molto più della religione. (Applausi a sinistra).

Ma dove le conseguenze della rottura del fronte repubblicano e della formazione di un Governo di classe possono essere più gravi, è nel campo economico-sociale. Noi abbiamo sentito ieri il discorso dell’onorevole Einaudi, ammirevole per profondità di dottrina, per maestria tecnica, per onestà intenzionale. Credo di non offenderla, onorevole Einaudi, dicendo che ella ci è apparso ieri come la borghesia fatta scienza. Quarant’anni or sono ella era un collaboratore di Filippo Turati nella Critica Sociale, quando si trattava di difendere il liberalismo contro i negrieri del protezionismo. Il suo discorso di ieri ha per noi un significato inequivocabile. Tutto il suo sforzo è teso a ricostituire la società italiana, come era alla vigilia della guerra e prima del fascismo. In questo non siamo d’accordo. Noi socialisti non consideriamo la guerra del 1939 come l’avventura personale di Hitler, se non nei suoi dettagli. Non consideriamo il fascismo come l’avventura personale di Mussolini, se non in rapporto alle frange personali e temperamentali del fenomeno. Per noi la guerra del 1939 ed il fascismo sono l’avventura del capitalismo tedesco e del capitalismo italiano, di capitalismi, cioè, che non hanno la vasta assiette au beurre degli altri capitalismi occidentali e che sono periodicamente trascinati sul piano delle avventure.

Ora, rifare la società italiana come era, vorrebbe dire ricreare i sintomi e i germi della malattia dalla quale stiamo per uscire. Ecco perché noi non possiamo collaborare a. questo tentativo.

L’onorevole Einaudi ha parlato ieri della difesa del risparmiatore. I risparmiatori meritano di essere difesi, ma il Vicepresidente del Consiglio non ha detto niente dei lavoratori e di quelle categorie, il cui livello di esistenza è oggi al di sotto del minimo indispensabile e la cui sorte preme alla Nazione e deve premere allo Stato più degli stessi risparmiatori.

Ora io domando al Governo: stanno per venire alla scadenza gli impegni che sono stati assunti e che non possono essere elusi. Si è fatta la politica del blocco dei salari, condizionandola al blocco dei prezzi; fallita la prima ne consegue il fallimento della seconda.

Per quanto riguarda gli operai dell’industria si è trovato nella scala mobile con determinati coefficienti un temperamento che agisce con una relativa efficacia. Che cosa si propone di fare il Governo per i ferrovieri, per i postelegrafonici ed in generale per i suoi dipendenti? Il minimo che si possa fare per costoro è di applicare al contratto di lavoro e di impiego dei dipendenti statali una scala mobile a coefficienti analoghi a quelli praticati dalle industrie private. Onorevole Einaudi, drizzare contro la fame del popolo il mito del pareggio del bilancio è cosa assurda ed impossibile, che suonerebbe condanna a morte per le categorie più umili e disagiate. (Approvazioni a sinistra – Commenti al centro).

Onorevoli colleghi, mi rimane da considerare il significato del quarto Gabinetto De Gasperi nel campo internazionale.

L’onorevole De Gasperi si è comportato in modo da stabilire agli occhi dell’opinione nazionale una specie di rapporto di causa ed effetto fra le crisi di gennaio e di maggio e gli aiuti americani. In gennaio si è dimesso mettendo il piede a terra dall’aeroplano che lo riconduceva dagli Stati Uniti; in maggio ha fatto il discorso del 28 aprile, dopo di avere convocato a Roma il nostro Ambasciatore a Washington e di essersi lungamente intrattenuto con lui al Viminale. In questo modo, il Presidente del Consiglio ha voluto che il Paese mettesse in relazione la crisi e col suo viaggio e con le difficoltà che incontravano, per cause obiettive, i negoziati aperti con gli Stati Uniti d’America.

Io credo che ciò non sia esatto. Io credo a quello che il Presidente del Consiglio ha sempre detto, e che cioè in America nessuno ha subordinato gli aiuti al nostro Paese alla estromissione dei comunisti dal Governo. Io sono sicuro che nessuno è andato a dire una cosa di questo genere all’onorevole Sforza, a Palazzo Chigi. Non credo, per esempio, che l’interprete più autorizzato dell’America sia quel banchiere Giannini, che venne in Italia a dire: «Se volete i dollari dall’America mettete i comunisti fuori del Governo».

Questa è una menzogna dei reazionari…

Una voce a destra. In agguato.

NENNI. …di casa nostra. L’altro giorno abbiamo sentito parlare dai banchi di destra, della «Voce dell’America», con un tono offensivo per l’Assemblea e per la Nazione, che ci poneva al livello degli sciuscià e che presagiva il sacrificio della nostra indipendenza, che vale quanto il nostro pane! (Vivi applausi a sinistra).

Nessuno si nasconde che c’è una politica americana nel Mediterraneo della quale dobbiamo tener conto: è la politica americana iniziata col discorso del 12 marzo del Presidente Truman. Per fortuna essa non ci riguarda in modo diretto e nella misura in cui riguarda la Grecia e la Turchia. Ed è sbalorditivo che vecchie classi, le quali hanno sempre il nome della Patria sulle labbra, non trovino niente di più glorioso e di più degno per il nostro Paese che metterci al rango dei paesi coloniali.

Io ho ascoltalo l’altro giorno, alla conferenza socialista internazionale di Zurigo, il presidente del Partito socialista greco, il quale non è un bolscevico con il coltello fra i denti (Ilarità – Commenti al centro e a destra) secondo la vecchia formula dei reazionari francesi. Ebbene, questo presidente del Partito socialista greco ci ha fatto un quadro impressionante delle conseguenze che ha avuto nel suo Paese l’intervento straniero. La guerra civile, che era una larvata minaccia, è diventata una tragica realtà. Io spero che nessuno in quest’Aula si auguri che torni il giorno in cui rivedremo le fazioni affrontarsi con le armi… (Commenti al centro e a destra).

Voci a destra. In Ungheria! In Ungheria!

NENNI. …in cui assisteremo a delle macabre processioni precedute dal capo mozzo dei partigiani.

Voci a destra. Jugoslavia! Jugoslavia!

NENNI. Noi abbiamo la possibilità di stare fuori dall’urto degli interessi delle grandi potenze e dobbiamo farlo. Abbiamo bisogno di prestiti americani e dobbiamo quindi dare alcune garanzie. Non quella, che nessuno ci chiede, di tenere Togliatti lontano dal Governo. La garanzia che gli americani ci chiedono è che ci sia veramente nel Paese uno sforzo organico per la ricostruzione. Se mai un americano si presentasse all’onorevole De Gasperi o all’onorevole Sforza a chiedere garanzie politiche, io pregherei i Ministri di accompagnare il loro ospite alla Mostra della ricostruzione delle ferrovie, per fargli vedere che cosa ha saputo fare una categoria di lavoratori e un’amministrazione dello Stato che, guarda caso, ha avuto alla sua testa un’azionista prima e un comunista poi.

La verità è che in due mesi abbiamo fatto cose che altrove avrebbero richiesto un decennio di lavoro. E questo il titolo che ci dà il diritto di essere aiutati per fare un’Italia prospera, elemento indispensabile della prosperità di tutta l’Europa. (Applausi a sinistra).

Io, poi, metto in dubbio che l’America protestante abbia un entusiasmo delirante per il nostro Governo cattolico apostolico e romano. (Commenti al centro).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Fa un bel servizio al Paese! (Commenti a sinistra – Applausi al centro).

Una voce a sinistra. Lo fate voi!

NENNI. D’altra parte non vedo, onorevole De Gasperi, con quale artificio riuscirà a dimostrare in America, vecchio glorioso Paese di tradizioni democratiche, che un Governo il quale avrà venticinque o trenta voti di maggioranza, ottenendoli dalla destra, che li darà per odio e dispetto dell’estrema sinistra (Proteste a destra), non vedo come potrà dimostrare che questo Governo merita fiducia più di quello di ieri che aveva 470 voti in questa Assemblea ed era sorretto da tutte le correnti popolari del Paese. (Commenti – Interruzioni a destra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, tengano presente che devono parlare deputati di tutti i settori.

NENNI. Ma c’è un altro aspetto della questione. Il Governo non deve ispirare fiducia soltanto in Occidente; deve per lo meno non apparire all’Oriente come preventivamente incorporato in un blocco determinato perché, se dipendiamo dagli aiuti americani, non è men vero che l’economia italiana non potrà trovare la sua soluzione organica che riconquistando i mercati orientali. Venuto a mancare, per i prossimi trenta o quarant’anni il mercato tedesco, è verso i paesi orientali che dobbiamo orientare gli scambi commerciali (Commenti al centro) senza preoccupazioni politiche ed ideologiche. Signori, noi non abbiamo alleanze militari o politiche da fare con nessuno, né con l’Ovest né con l’Est, ma soltanto dei buoni trattati di commercio. E sarebbe criminale che, davanti alla possibilità di fare in un prossimo avvenire dei buoni trattati di Commercio con la Romania, con la Polonia, con la Bulgaria, con la Jugoslavia e con l’Unione Sovietica (Commenti al centro), che noi ci precludessimo una tale possibilità, solo perché un determinato partito non condivide l’ideologia prevalente in questi paesi.

Una voce a destra. Ma chi l’ha detto?

NENNI. Anche noi abbiamo le nostre simpatie ideologiche e le nostre antipatie; ma personalmente mi sarei considerato l’ultimo degli italiani se, nel breve periodo in cui ressi la nostra politica estera, avessi sacrificato a queste simpatie o a queste antipatie gli interessi fondamentali del Paese e del popolo! (Applausi a sinistra).

L’onorevole Nitti ha reso un segnalato servizio al Paese mettendo in guardia l’opinione pubblica contro i miracoli attesi dallo zio d’America. L’America ci aiuterà nella misura del possibile, ma ci aiuterà, non perché avremo un Governo fatto in un modo o in un altro modo, ma solo se daremo la prova di voler tendere tutte le nostre energie alla ricostruzione del Paese e se daremo la garanzia di fare una politica di pace, di neutralità e di indipendenza verso qualsiasi blocco, o qualsiasi determinata potenza. (Applausi a sinistra).

Onorevoli colleghi, io ho così indicate le ragioni di ordine politico, di ordine economico-sociale e di ordine internazionale per le quali noi socialisti abbiamo detto «no» al Governo, prima ancora che esso si presentasse alla Costituente. La nostra sfiducia va alla formula politica con la quale l’onorevole De Gasperi ha costituito il suo quarto Gabinetto. Perciò, quando il Presidente del Consiglio è venuto a dirci che il suo programma è quello del Governo precedente, noi non abbiamo potuto prendere in considerazione un tale proposito. Come infatti ammettere che un programma di sinistra possa essere attuato da un Gabinetto di destra, dopo le difficoltà che sono sorte per la sua attuazione nei Ministeri di cui facevamo parte anche noi della estrema sinistra? In queste condizioni non ci turba l’accusa che ci viene mossa di mantenere il Paese in crisi. È sempre difficile essere coerenti con le proprie idee, è sempre ingrato andare a fondo delle cose nelle quali si crede. Ma, come non abbiamo esitato a staccarci dal gregge osannante negli ultimi venti anni, così non ci spaventa andare oggi contro corrente e incorrere nelle critiche o negli insulti di chi ha interesse a travisare il nostro atteggiamento. Tanto più che a tenere il Governo in crisi ci ha pensato De Gasperi. Per sei mesi consecutivi il Governo è stato in crisi, e nessuna cosa è più ingiusta che voler fare ricadere su noi la responsabilità delle difficoltà attuali.

Ho visto dei manifesti per le vie di Roma con la domanda: «Cosa vuole Nenni?». La risposta è semplice.

Se pensassimo agli interessi esclusivi del nostro partito, augureremmo all’onorevole De Gasperi venti o trenta voti di maggioranza e gli augureremmo di stare al Governo fino alle elezioni perché così la via del potere ce l’avreste spalancata proprio voi e tutto diventerebbe per noi estremamente facile. (Interruzioni – Commenti al centro).

Ma noi abbiamo dimostrato di essere capaci di subordinare gli interessi del partito a quelli della Nazione. E come prima del 2 giugno abbiamo chiesto di partecipare al Governo per portare il Paese al referendum e alle elezioni, così oggi rivendichiamo la nostra parte di responsabilità nella direzione del Paese, per lottare contro la speculazione e per portare il Paese alle elezioni politiche. E diciamo che voi uscite dalla legittimità democratica allorché confinate in un ruolo di opposizione i cinque milioni di voti socialisti delle elezioni del 2 giugno, i nove milioni di voti socialisti e comunisti, i dieci milioni e mezzo di voti del fronte repubblicano di sinistra.

Questo solo noi diciamo e lo diciamo col sentimento non tanto di reclamare un diritto, quanto di fare il nostro dovere.

Perché? Io non sono più entusiasta di lei, onorevole De Gasperi, del tripartito, dell’esarchia, della pentarchia. Mi auguro che venga presto l’ora dei Governi di colore e di partito. Quando la Repubblica avrà la sua Carta costituzionale, quando ci sarà un Parlamento per controllare il Governo, quando il potere legislativo sarà distinto da quello esecutivo, allora chi avrà un voto di maggioranza avrà il diritto di governare e noi non ci priveremo per conto nostro di tale diritto. Ma dov’è oggi il Parlamento? Il Parlamento è al Viminale, non è a Montecitorio. A Montecitorio noi facciamo la Costituzione, mentre le leggi le fa il Governo. L’onorevole Nitti si è meravigliato per i Consigli di Ministri che durano da sei a dieci ore, ma si è dimenticato che ciò dipende dal fatto che il Consiglio dei Ministri è un piccolo Parlamento che fa le leggi. In tali condizioni il Governo non può essere di parte e di classe, ma deve essere rappresentativo di tutte le forze democratiche del Paese. (Applausi a sinistra).

Onorevole De Gasperi, all’inizio delle sue dichiarazioni, ella ci ha chiesto di non fare intervenire nel dibattito nessun pregiudizio favorevole per la sua persona. Tuttavia per me il disaccordo di oggi non annulla il pregiudizio favorevole, che deriva dai ricordi comuni di una lotta comune. Avrei voglia di riprendere nei suoi confronti il motto di Jean Jaurès a Clemenceau: Pas vous ou pas ça. «Non voi o non ciò»: non voi, perché siete uno dei fondatori della Repubblica, perché siete stato membro del Comitato centrale di liberazione nazionale, perché avete lottato contro la dominazione fascista e cospirato contro la dominazione nazista. La politica che oggi trionfa ha avuto come esponente il conte Jacini e doveva essere lui al vostro posto, onorevole De Gasperi, se la politica fosse qualcosa di coerente.

Non «ciò», perché ciò turba moralmente, politicamente e socialmente il Paese, in un momento in cui la forza maggiore del Governo sta nel prestigio che esso trae dalla investitura popolare.

Onorevole De Gasperi, alla fine del dibattito, il mio dovere è di dirle che il servizio più illuminato che può rendere alla Nazione e alla Repubblica è di andarsene, aprendo la via alla concentrazione delle forze popolari e repubblicane, sole qualificate per affrontare e risolvere i problemi economici e politici del momento e per portare sollecitamente il Paese alle elezioni.

Signori, io non credo che la Repubblica sia in pericolo (Approvazioni), non credo che sia seriamente minacciata. So, però, una cosa: che se fosse minacciata, se fosse in pericolo, dai cattolici di sinistra fino all’estrema sinistra saremmo tutti d’accordo per difenderla con ogni mezzo ed anche a prezzo di sangue, ove ciò fosse necessario.

Ora a tutti coloro che idealmente si sentono parte del fronte repubblicano, in modo particolare ai gruppi del centro ed ai nostri secessionisti dai quali ci dividono grossi dissapori, i quali peraltro non mettono in discussione la nostra comune fedeltà alla Repubblica, vorrei dire che ciò che faremmo se la Repubblica fosse minacciata o fosse in pericolo, dobbiamo farlo oggi, dobbiamo cioè unirci nel voto contro l’attuale Governo, perché la Repubblica non possa essere da nessuno minacciata o messa in pericolo. (Vivissimi applausi a sinistra – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Onorevoli colleghi, confesso che avrei rinunziato alla parola, se non fossi un po’ costretto a parlare dalla mia particolare posizione nell’Assemblea e dal problema che fa oggetto delle comunicazioni del Governo.

Da questo punto di vista mi trovo, per così dire, un po’ imbarazzato. Perché? Perché ho desiderato, da lungo tempo, come del resto molti colleghi, questo dibattito per la sua sostanza tecnica, economica e finanziaria.

Questo dibattito è il primo, il primo grande dibattito su alcuni problemi fondamentali della vita del nostro Paese ed è stato preceduto da una presa di posizione della Commissione finanze e tesoro, da una esposizione, che io considero la prima degna di questo nome del Ministro Campilli, da una discussione in seno alle quattro Commissioni legislative, discussione assai interessante, che ha chiarito molti aspetti delle questioni che ci preoccupano. Era augurabile che questo dibattito potesse rimanere in sede puramente tecnica, ma esso, se ha trovato la sua sostanza nell’esame dei problemi economici e finanziari, si presenta tuttavia come un dibattito diretto a risolvere una crisi politica. Ora il mio giudizio – obiettivo e spassionato, al di fuori di qualsiasi preoccupazione di parte – è che, dal punto di vista della sostanza del problema che noi dovevamo affrontare, la crisi politica non era necessaria.

A me pare, proprio da un punto di vista tecnico, che la grave crisi politica apertasi con le dimissioni del terzo Governo De Gasperi e la costituzione del quarto, abbia allontanato, anziché avvicinato, la possibilità di raggiungere un risultato utile. Ne dirò francamente il perché.

Quando si esaminino le vicende della nostra situazione economico-finanziaria del passato, è difficile attribuire il cattivo andamento delle cose al fatto che ci siano stati al governo una coalizione di partiti. No; non ho questa sensazione. Credo piuttosto che, usciti dal fascismo e dalla guerra, abbiamo avuto una grande difficoltà a riordinare le nostre idee e a metterle tecnicamente a punto. Del resto, esperti e competenti appartenenti allo stesso movimento di idee, per esempio di parte liberale, non si sono trovati d’accordo sulle vie da battere per il risanamento della nostra situazione economico-finanziaria.

Non mi pare (almeno, ad essere obiettivi) che la direzione della politica economico-finanziaria del nostro Paese sia stata divisa fra i vari partiti in maniera da creare una inconciliabilità di direttive fra i partiti stessi. Debbo francamente dichiarare, per esempio, che la politica del tesoro è stata sempre affidata a uomini che potevano garantire al Paese una condotta assai moderata, in ogni caso lontana da impostazioni socialiste: si sono succeduti in quel dicastero Soleri, Ricci, Corbino, Bertone, Campilli. Nessuno di tali Ministri è stato talmente distante dall’altro da far sì che la politica del tesoro dovesse risentire dell’origine politica dei Ministri stessi. Eppure, se voi guardate allo svolgimento nel tempo della politica del tesoro, voi trovate che questi Ministri non si sono trovati mai, su una linea di azione unitaria. Soleri voleva il cambio della moneta; Ricci non so se lo volesse o non lo volesse; Corbino non ha voluto il cambio della moneta; Bertone ha voluto il cambio della moneta; Campilli ha dovuto rinunciare al cambio della moneta, pur credendoci, ed Einaudi riprende in pieno la tesi di Corbino.

Ma andiamo in un altro campo più vasto. Quando noi accostiamo Tesoro, Banca d’Italia e I.R.I., troviamo, a capo di quello che considero il triangolo di direzione della vita economica e finanziaria italiana, uomini della stessa tradizione di pensiero, se non delle stesse idee. Eppure il trinomio non ha funzionato.

I partiti di sinistra sono stati rappresentati in questo campo, dall’onorevole Scoccimarro, che è stato ministro delle finanze per molto tempo. Ma le critiche che più sovente ho sentito fare sull’onorevole Scoccimarro, riguardano la sua attività tecnica e non coinvolgono un giudizio politico. Quando qualcuno dice che Scoccimarro non ha saputo mettere a punto il congegno tributario, assicurare un gettito delle imposte adeguato alle necessità e alla svalutazione della lira, critica l’attività tecnica del ministro, ma non Scoccimarro comunista, poiché nessuno mette in dubbio che il Partito comunista avrebbe ben voluto tassare i contribuenti e accrescere il gettito delle imposte.

Vi sono alcuni aspetti della politica delle sinistre in Italia, che hanno contribuito ad aggravare la situazione finanziaria e monetaria. Ma io non so se il presente Governo sia il più idoneo a combattere questi aspetti, uno dei quali riguarda la politica della Confederazione del lavoro. È difficile sostenere che, dal punto di vista della difesa della moneta e del potere d’acquisto, la Confederazione abbia dato un contributo costruttivo. Ma io chiedo, a questo riguardo, che cosa abbiamo fatto noi perché la politica della Confederazione del lavoro fosse una politica costruttiva, che cosa abbiamo dato di contropartita perché la Confederazione ci seguisse sul terreno da noi scelto?

L’altro aspetto riguarda la politica dei minimi imponibili, questa sì dell’onorevole Scoccimarro, che in sede della Commissione finanze e tesoro io ho sempre criticata. Il Ministro Scoccimarro, nella politica dei minimi imponibili, ha molto risentito delle ideologie di partito ed ha cercato di elevare costantemente tali minimi. Ho sempre combattuto tale politica, perché ritengo che il sistema fiscale si fondi sui piccoli e medi imponibili. Noi, per ragioni di giustizia, dobbiamo applicare rigorosamente il sistema della progressività, ma non possiamo sperare di avere un sistema tributario efficiente, esentando i piccoli e medi imponibili e tassando fortemente gli altri. Sarebbe come distruggere il sistema d’imposte.

Ma, se questa è la critica che noi possiamo fare al ministro Scoccimarro, niente della discussione di questa Assemblea dice che noi intendiamo farla. Anzi, nel programma del nuovo Governo, troviamo che questa politica è accettata e avallata in pieno.

E allora? Cosa dobbiamo concludere: che vi è una responsabilità dei partiti di sinistra, come vuole una falsa e insidiosa campagna di stampa? Io credo di no. Dobbiamo dire piuttosto che la responsabilità della situazione non appartiene né alle sinistre né alle destre, ma è una responsabilità solidale di tutti i Governi che si sono succeduti, i quali non hanno saputo trovare i mezzi tecnici idonei per condurre una politica adeguata di difesa e controllo della moneta.

Ed è da questo punto di vista che io considero un errore l’avere inserito una crisi politica in un problema tecnico, che si avviava alla sua soluzione. Perché, se consideriamo elemento di politica costruttiva economico-finanziaria la politica della Confederazione del lavoro, non credo che, la situazione politica attuale, abbia facilitato il raggiungimento di questo obiettivo; non credo cioè che l’attuale Governo si trovi in condizioni di perseguire con maggiore tranquillità e autorità dei precedenti la sua politica.

Dicevo, a proposito della «crisi Corbino», che noi dobbiamo sgomberare il terreno dal massimalismo politico col quale accompagniamo lo studio dei problemi tecnici. La «crisi Corbino» per me – lo dissi allora – fu esagerazione politica di un problema tecnico. A me parve che, dopo quella crisi, si dovesse rientrare nella normalità e nella tranquillità dello studio di questi problemi, e vedo, invece, che, con questa crisi, abbiamo riportata la situazione al punto dal quale doveva uscire.

Certe cifre spiegano questa situazione. In definitiva, uno dei problemi essenziali e risolutivi della nostra situazione monetaria è il sistema dei prezzi.

C’è stato un momento, in Italia, in cui effettivamente la tendenza dei prezzi è stata verso la diminuzione: precisamente nel periodo gennaio-maggio 1946, durante la gestione del tesoro da parte dell’onorevole Corbino. Il fenomeno fu decisivo per la situazione della nostra moneta. Che cosa avvenne allora? Si aprì il mercato internazionale, vi fu un afflusso di merci sul mercato interno, si creò una situazione per cui tutti gli stocks di merci che esistevano nel Paese, a scopo speculativo, dovevano essere sbloccati.

Fu il momento decisivo in cui potevamo, con una adeguata politica controllare il sistema dei prezzi e, quindi, infrenare la corsa all’aumento dei salari che è conseguente all’aumento dei prezzi. Ora, questo momento non è stato sfruttato per la inadeguatezza della nostra politica. Era allora che noi dovevamo instaurare il controllo del credito, del quale parliamo ad un anno e mezzo di distanza: era allora che dovevamo porci i problemi del cambio della moneta e delle imposte straordinarie.

Fin dal primo governo Parri, fin dal primo governo De Gasperi, ho chiesto, e l’onorevole Gronchi me ne può dare atto, che noi controllassimo il credito, i prezzi e cercassimo di frenare l’aumento dei salari. Sono i tre elementi che hanno portato all’inflazione. Non abbiamo assolutamente controllato il credito in quel periodo. Se prendete alcuni dati degli impieghi delle Banche trovate che dal dicembre 1945 al dicembre 1946, questi impieghi sono saliti dal 35 per cento al 56 per cento. Ci possono essere stati, evidentemente, degli impieghi necessari e utili, ma nessuno può escludere che vi siano stati impieghi diretti a favorire la formazione di stocks di merci e se questo movimento non è preso all’inizio, diviene uno dei fattori fondamentali dell’inflazione.

Ho dato delle cifre globali, ma potrei citare cifre relative a singoli istituti, e voi potreste vedere che questo fenomeno ha determinato centinaia di miliardi di aumento. E non si tratta soltanto, come sosteneva ieri l’onorevole Einaudi, di moneta creditizia. Io parlo, a questo proposito, non solo di moneta creditizia, ma di risparmio vero e proprio che affluisce alle Banche. La massa del risparmio, che il Paese dà, è assortita da una parte dal Tesoro, attraverso i debiti di tesoreria, e dall’altra parte dalle Banche. Ora, controllare la situazione monetaria, significa non soltanto far pervenire alle casse dello Stato una parte del risparmio del Paese, ma significa anche controllare quale destinazione abbia la parte del risparmio del Paese che va alle Banche. È un controllo anche di carattere qualitativo, diverso (avrei voluto vedere questo concetto, illustrato nel discorso dell’onorevole Einaudi) dal controllo individuale del credito.

L’onorevole Einaudi, ieri, ci diceva che vi sono due tipi di controllo: quantitativo e qualitativo individuale. Ve ne è un terzo: qualitativo per categorie. Se voi controllate, ad esempio, lo sviluppo del credito nel campo alimentare, voi, con azione tempestiva, potete alleggerire la situazione speculativa sui prodotti alimentari, e quindi facilitare il movimento dei prezzi al ribasso.

Siamo qui nel campo di provvedimenti che non sono stati presi in tempo, e all’onorevole Corbino, che giustamente approva la politica di controllo del credito oggi esposta dal Governo, io vorrei manifestare il mio rincrescimento che tale politica non sia stata iniziata molti mesi fa.

Badate che questi sono i veri problemi del Paese, quelli che assillano di più e vanno considerati con la massima obiettività. Si tratta di aspetti fondamentali. Naturalmente ne esistono altri, come quelli relativi al rendimento delle imposte e tasse. Non posso dilungarmi qui in una critica di ordine tecnico, ma se guardiamo ad alcuni dati, troviamo che, rispetto a quello che è l’aumento dei prezzi, il gettito delle nostre tasse ed imposte è stato finora assolutamente inadeguato. Rispetto al 1938-39, nel terzo bimestre del 1947 noi abbiamo un aumento del gettito globale come da 100 a 1194. Per singole categorie di imposte, noi abbiamo un aumento nelle dirette come da 100 a 600; le tasse sugli affari sono andate da 100 a 2550; i monopoli da 100 a 1633, le dogane da 100 a 600. Non c’è un rendimento adeguato a quella che è la situazione dei prezzi, dei salari, ecc.

D’altra parte il gonfiamento della nostra circolazione, in conseguenza di una politica del Tesoro, che non ha controllato sufficientemente il mercato, comincia non appena il periodo di diminuzione dei prezzi si chiude.

Nel maggio 1946 discussi con l’onorevole Einaudi le statistiche fondamentali della sua relazione sulla Banca, d’Italia: se prendete il maggio 1946, e considerate le statistiche riguardanti i salari, le quotazioni di Borsa, ecc., voi vedete che da allora comincia il ciclo inflazionistico. Praticamente le quotazioni di Borsa sono aumentate ininterrottamente dal maggio 1946. E non solo le quotazioni di Borsa, ma tutti i valori, tutti gli indici. Dal maggio 1946 non avete un minuto di respiro, qualunque sia stato il Ministro, Corbino o Scoccimarro o Campilli o chi so io. In occasione del tentativo Nitti, i giornalisti mi citarono la discesa dei prezzi in borsa, al che ribattei chiedendo se i prezzi del burro erano diminuiti. Ciò perché attribuisco ben poca importanza a queste fluttuazioni transitorie. È una politica energica e tecnicamente ben congegnata, sono i fatti concreti che incidono permanentemente sul mercato, non gli umori transitori e contingenti.

L’onorevole Corbino ha detto per molto tempo e ha ripetuto qui l’altro giorno: «Non bisogna aumentare di un soldo la circolazione». Mi spiace che l’onorevole Corbino non sia presente; ma devo osservare che durante la sua gestione, dal maggio al giugno 1946 la circolazione è aumentata di 9 miliardi; dal maggio al luglio di 21 miliardi; dal maggio all’agosto ai 32 miliardi; dal maggio al settembre di 46 miliardi. Al 31 gennaio 1947 la circolazione era aumentata di 110 miliardi. È sempre cresciuta, e non basta dire che non dobbiamo stampare un soldo di carta moneta; bisogna vedere quale politica facciamo per arrivare a questo risultato, e se abbiamo predisposto tutti i mezzi tecnici per conseguire lo scopo.

Il mercato, dunque, è orientato, dal maggio, all’inflazione; non c’è stato un momento di arresto in questa situazione sotto qualsiasi Ministro. C’è stato il periodo Bertone, che fu caratterizzato da questo: che il prestito della ricostruzione doveva essere un elemento di freno in questa marcia inflazionistica. Ma anche a questo proposito l’onorevole Einaudi si ricorderà di una conversazione tra me, lui e il Direttore della Banca d’Italia, dottore Menichella. Bertone aveva accettato il cambio della moneta e l’imposta patrimoniale e intendeva fondare il prestito della ricostruzione a saggio ridotto su questi due provvedimenti. Osservai all’onorevole Einaudi (che era poi quasi dalla mia parte) e a Menichella che non si può emettere un prestito, presupponendo due provvedimenti che non sono già stati presi e definiti. Quando avrete definito il cambio della moneta e l’imposta patrimoniale, voi potrete dare a coloro che devono subire il cambio della moneta e l’imposta un’alternativa; ma, finché questo non è possibile, il prestito non ha probabilità di un buon successo.

Effettivamente, avendo fondato un prestito su due provvedimenti che non erano ancora definiti, si è determinata una crisi di tutta la politica del Governo, il che è fondamentale e costituisce il fallimento del prestito della ricostruzione e del suo scopo.

Le conseguenze tecniche, poi, di questa emissione del prestito, al di fuori del provvedimento concreto di imposta patrimoniale cui si applica, le potrete oggi osservare: sono molto gravi per lo Stato, sono estremamente gravi da un punto di vista di giustizia fiscale. Se avessi potuto cancellare le facilitazioni così inavvedutamente concesse, l’avrei fatto senza rimorsi. Ma la cosa non era possibile.

Anche qui non si è trattato di differenze ideologiche, ma di punti di vista tecnici. In questo campo mi sono trovato d’accordo con l’onorevole Corbino, che voleva l’emissione di un normale 5 per cento.

Ed ora mi chiederete qual è stata l’opera della Commissione di finanza in questo periodo. Al momento in cui la Commissione ha potuto intervenire, trovando per la prima volta la collaborazione piena di un Ministro del Tesoro (devo dare questo riconoscimento all’onorevole Campilli, che ha posto per primo nei suoi più reali e concreti termini il problema della nostra finanza) non le restava che occuparsi immediatamente del bilancio e del problema delle spese. Altre questioni erano state pregiudicate. E qui debbo dissentire completamente dalle affermazioni fatte da alcuni colleghi a proposito di bilancio. Dissento specialmente dai punti di vista espressi dagli onorevoli Scoccimarro, Ruini e Tremelloni e mi trovo invece completamente consenziente con gli onorevoli Nitti ed Einaudi.

La bilancia dei pagamenti ha certamente grande importanza. Ma la politica del bilancio è pure un problema fondamentale dell’economia italiana. L’onorevole Einaudi ci ha dimostrato che noi avremo bisogno, per molti anni, di un saldo di bilancio dei pagamenti di 600 miliardi. Però, in qualsiasi condizione sia la bilancia dei pagamenti, s’impone costantemente una politica finanziaria seria ed accorta.

Io posso, infatti, ottenere o non ottenere prestiti esteri, ma il mio dovere è di avere costantemente una posizione di equilibrio, del bilancio e del tesoro. Quando i colleghi mi dicono che il problema del bilancio non è grave, ma è grave invece il problema della bilancia dei pagamenti, rispondo che abbiamo avuto una condizione ideale della bilancia dei pagamenti nei mesi passati; eppure siamo andati verso l’inflazione e per mera incapacità tecnica. Nessuno mi dimostrerà che nei prossimi mesi noi avremo una bilancia dei pagamenti migliore di quella avuta nel 1946 e in questo primo semestre. Eppure abbiamo avuto 110-130 miliardi di aumento di circolazione, il che eloquentemente dimostra che una cattiva politica finanziaria può coesistere con una magnifica bilancia dei pagamenti. Sono su questo punto perfettamente d’accordo con l’onorevole Einaudi. La Commissione di finanza giustamente si è quindi preoccupata della situazione del bilancio e delle spese. E debbo qui ringraziare tutti i colleghi della Commissione, i quali, il 14 marzo, senza distinzione, hanno preso posizione su tale problema. Noi possiamo ben deprecare che le entrate siano inadeguate e cercare di aumentarle. Possiamo ben controllare il credito, per impedire quei fenomeni inflazionistici di cui vi parlavo. Possiamo studiare un congegno per diminuire i prezzi. Ma, finché questi altri congegni che noi abbiamo per impedire il processo inflazionistico non siano stati messi a punto, occorre operare drasticamente sulle spese.

E, in materia di spese, la Commissione di finanza ha trovato molto da ridire. Il problema delle spese è problema gravissimo. Vi è da rivedere tutto la struttura amministrativa e burocratica dello Stato, tutto il complesso degli oneri, degli obblighi che gravano sullo Stato. La Commissione, ogni volta che si trova di fronte a un disegno di legge, sente quasi irresistibile il bisogno di guardare a fondo. Ma non ne ha il tempo, perché tutto dovrebbe essere rivisto. Noi abbiamo avuto venti anni di incrostazioni amministrative e burocratiche, al di fuori di ogni controllo parlamentare. Per venti anni, abbiamo aggiunto al congegno amministrativo nuovi elementi, senza che avessimo alcuna possibilità di accertarne la necessità. Ecco perché occorrono controlli profondi e seri, e alcuni anni di lavoro, che la Commissione ha potuto appena iniziare.

Accanto al problema della limitazione delle spese, la Commissione si è preoccupata del problema dei residui. Nell’ultima esposizione dell’onorevole Einaudi, non mi pare di aver sentito parlare dei residui. L’onorevole Scoccimarro e altri colleghi sono molto ottimisti al riguardo. Ma, già in occasione della discussione dinanzi alle quattro Commissioni legislative, io manifestavo al Ministro Campilli la mia preoccupazione per quello che è l’andamento dei residui: i residui nel bilancio italiano si vanno accrescendo con progressione preoccupante. Nell’esercizio 1945-46 abbiamo avuto 130 miliardi di residui. In questo esercizio, dei residui degli esercizi precedenti ne abbiamo pagati 95; ma abbiamo rimandato ad esercizi futuri il pagamento di 480 miliardi (situazione di fine marzo). Aggiungete a questi 480 miliardi i residui degli esercizi precedenti e avrete nell’esercizio futuro 600-700 miliardi di residui, corrispondenti a quasi un anno di spese dello Stato. Quale sarà la soluzione che noi daremo al problema di questa massa di pagamenti che gravano sul Tesoro?

Ed eccoci, da questo punto di vista, ad esaminare l’atteggiamento della Commissione di fronte all’imposta straordinaria patrimoniale. Qui si è sfiorato appena il problema, ma spero che se ne parlerà più a lungo, in sede di esame del decreto legislativo. Ora ho una critica spietata dell’onorevole Nitti all’imposta patrimoniale: l’imposta patrimoniale deve essere attenuata e moderata. Ricordo che il progetto Nitti dell’altro dopoguerra, è stato modificato tre volte, il che indica la difficoltà di questa materia.

Ma il problema fondamentale, che sta di fronte al Governo e all’Assemblea è questo: che scopo vogliamo dare all’imposta patrimoniale? Se vogliamo darle lo scopo di un provvedimento tributario integrativo, la possiamo dilazionare, diluire nel tempo: è un gettito tributario qualsiasi, integrativo del gettito ordinario. Se vogliamo darle, invece, uno scopo anti-inflazionistico, allora l’imposta deve operare in maniera totalmente diversa; deve essere un’imposta drastica, altrimenti lo scopo anti-inflazionistico non si realizzerebbe.

Questo è il punto di vista dal quale si è messa la Commissione, quando ha aggravato in un certo senso il progetto governativo. Perché deve essere drastica? Perché, come provvedimento anti-inflazionistico, l’imposta funziona in quanto, riduce il valore di mercato dei beni soggetti ad imposta: cioè contribuisce alla politica di contrazione dei prezzi, che per altre vie il Governo persegue.

Domando al Governo, all’Assemblea, a coloro che combattono l’imposta, come vogliono combattere l’inflazione o il pericolo dell’inflazione nei mesi venturi se non con provvedimenti del genere. L’onorevole Nitti trovava che il sistema di funzionamento del tesoro, attraverso il debito fluttuante, non va. Ma se l’imposta non va, i buoni del tesoro non vanno, come si combatte l’inflazione? Quali sono i mezzi tecnici che vogliamo usare per combattere, nei mesi venturi, l’inflazione?

Ed eccomi tornato al punto di partenza. Quale sarà la politica del tesoro nei mesi venturi? Io non oso fare classificazioni: direi che, fra gli economisti tradizionali di parte liberale (e in questa Assemblea ve ne sono diversi), l’onorevole Einaudi e il professor Del Vecchio rappresentino una delle correnti più avanzate. Ora tocca a loro risolvere questi gravi problemi. La deficienza, la vera deficienza della nostra politica del tesoro nei mesi passati, è di non aver mai avuto presenti tutte le condizioni del mercato e di non avere operato nei vari settori in maniera tale da raggiungere un effetto antinflazionistico. Questa politica deve essere mutata.

Parlando, nel settembre scorso della politica del tesoro e delle leve necessarie per condurre tale politica, ho avuto una replica brillante e assai spiritosa dell’onorevole Corbino. Ma oggi i nostri problemi sono quelli che ho prospettato sette o otto mesi or sono: dobbiamo ridurre le spese, controllare il credito, conoscere l’ammontare del risparmio, mettere in azione alcune imposte straordinarie, trovare un preciso terreno d’accordo con la Confederazione del lavoro.

A quest’ultimo proposito (l’onorevole De Gasperi lo ricorderà) c’è stato un momento, dopo la posizione presa dalla Commissione di finanza in materia di spese, nel quale si è minacciato lo sciopero dei ferrovieri e dei postelegrafonici. Ignoro se la posizione assunta dalla Commissione di finanza abbia potuto rafforzare l’azione del Governo; credo che abbia potuto farlo.

In quel momento, che poteva essere assai grave, gli scioperi non avvennero, perché la serietà stessa della situazione finanziaria, che fu denunciata al Paese dalla Commissione delle finanze, dal ministro Campilli e dalle quattro Commissioni legislative riunite, misero di fronte a una decisiva responsabilità le classi lavoratrici, e la Confederazione del lavoro, che diede allora prova di essere all’altezza di tale responsabilità.

Col rinunciare agli scioperi, le classi lavoratrici diedero un grande contributo alla lotta anti-inflazionistica. Siamo in grado, nella nuova composizione politica del Governo, di ottenere la stessa collaborazione? Siamo in grado di dare alla Confederazione del lavoro l’assicurazione che il nostro sforzo anti-inflazionistico riuscirà?

Perché lo sforzo riesca, occorre imporre forti sacrifici alle classi abbienti, limitare drasticamente il loro potere d’acquisto. Ci sentiamo di fare questo? Qualche volta, quando vedo le resistenze che certi interessi organizzati oppongono ad una tassazione straordinaria, mi viene il sospetto che in Italia vogliano essere i contribuenti, ed i contribuenti che non intendono pagare, a scegliere il Ministro delle finanze. È necessario che i tributi siano imposti fermamente ai contribuenti e che il fine del risanamento monetario prevalga su ogni altra considerazione.

A questo riguardo, non sono d’accordo col ministro Einaudi circa il mancato cambio della moneta. Non si doveva rinunciare così tranquillamente a questo strumento di accertamento fiscale, e ciò per una ragione fondamentale: che la rinuncia al cambio avrebbe significato rinuncia alla tassazione della parte del patrimonio costituita da deposito in banca e da titoli al portatore. Rinunciando ad una di queste forme di tassazione abbiamo rinunciato anche ad altre e così abbiamo confermato nel Paese l’impressione che tassiamo sempre la proprietà immobiliare.

Anche ad evitare questa impressione, quando si trattò di esaminare il disegno di legge sull’imposta straordinaria, alcuni membri della Commissione di finanza avevano pensato alla tassazione degli enti collettivi. Illustrerò meglio questo punto di vista, in sede di esame dell’imposta patrimoniale. Ma è certo che la tassazione degli enti collettivi, oltre a dare maggiore equilibrio all’imposta straordinaria, avrebbe dato un forte contributo alla politica anti-inflazionistica perseguita dall’imposta.

Fu un collega della Democrazia cristiana, l’onorevole Castelli, se non erro, che è molto preparato ed agguerrito, a sostenere, da un punto di vista dottrinario, la tassazione degli enti collettivi. Mi associai alla sua proposta per ragioni puramente contingenti, di politica anti-inflazionistica. Ritenevo che incidere sulle società in questo momento, significava creare un equilibrio di contribuzione tributaria nei due campi, mobiliare e immobiliare, nel quale si divide la ricchezza nazionale e significava innanzi tutto combattere la speculazione in borsa, che è uno degli indici della inflazione e che bisogna stroncare.

Io non mi faccio illusioni. Non credo che si possa arrivare a salvare la moneta, se non con una politica di estrema energia, che colpisca il potere di acquisto esuberante, esistente nel mercato, e lo colpisca con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, senza esclusione di colpi. (Applausi).

Questa estrema energia chiedo da tempo. Mi dispiace di dover rilevare, onorevole De Gasperi, che le ragioni del nostro dissenso, in materia, risalgono lontano fino dal suo primo Governo. Dobbiamo tutti riconoscere che il trapasso dalle istituzioni monarchiche alle istituzioni repubblicane è stato fatto, con i Governi De Gasperi, in condizioni di perfetto ordine e civismo. Ho l’impressione invece che nell’opera di risanamento economico e finanziario, il Presidente del Consiglio sia stato assai più debole e incerto. L’onorevole De Gasperi, in questo campo, si è di volta in volta affidato al programma di questo o quel Ministro delle finanze, ma senza alcuna convinzione personale. Con Bertone ha detto: «si fa il cambio della moneta»; con altri Ministri: «non si fa», ma senza che vi fosse nessun impegno nell’uno o nell’altro senso. Eppure la ricostruzione economica e finanziaria dell’Italia non ha minor importanza del trapasso da una forma istituzionale all’altra. Ed è strano, veramente strano, che non riusciamo a dominare questa materia.

Per dominarla, dobbiamo anzitutto comprendere e sventare il giuoco degli interessi particolari. Questo giuoco esiste. Caro Presidente del Consiglio, io leggo L’Organizzazione industriale, giornale che rappresenta e difende interessi organizzati. Non ho mai visto trattare un Governo così com’è trattato da quel giornale. Capisco la libertà di stampa per tutti, ma per un organo responsabile, che rappresenta interessi organizzati, l’opposizione non può essere né sistematica, né astiosa, né intimamente antidemocratica e fascista. Questo, invece, fa quel giornale. Ed allora, onorevole Presidente del Consiglio, io non riceverei il signor Costa, finché il giornale portavoce degli interessi industriali, non assumesse un tono più adeguato alla sua funzione e alle sue responsabilità. Questo è il giuoco degli interessi particolari.

Ricordiamoci quello che hanno fatto i Governi, certo moderati, in Inghilterra e negli Stati Uniti. Per difendere la sterlina e il dollaro hanno condotto una politica estremamente energica di tassazione e di eliminazione del potere di acquisto esuberante sul mercato. Non lasciare un soldo a coloro che lo spendono per inflazionare il mercato. Ecco il grido di guerra della finanza anglo-sassone. Ecco quello che noi dobbiamo fare. Bisogna stancare il potere d’acquisto. L’equilibrio tra una politica verso le classi lavoratrici ed una politica verso le altre classi è questo: le prime devono continuare per qualche tempo ancora nei loro sacrifici, che tutti conosciamo, non devono disordinatamente chiedere aumenti che sono aumenti del tutto cartacei; ma le altre non devono avere libertà di inflazionare il mercato con le loro speculazioni, come è stato fatto. L’onorevole Corbino ha dipinto magnificamente questo aspetto della nostra situazione: c’è una infinità di merci in Italia che non circolano: bisogna stanarle.

Come ottenere questo scopo? Finché non cambiate la tendenza del mercato, finché non costringete lo speculatore a dire: «devo mettere merci sul mercato perché fra qualche giorno me ne diminuisce il prezzo», non potete combattere l’inflazione. Dovete adottare tutti i provvedimenti efficaci a questo scopo: e, quindi, anche i 14 punti, dei quali quattro o non so quanti saranno validi; dovete strettamente coordinare questa politica.

Tutto qui. Se non fate questo, rapidamente e sicuramente, devo concludere che noi continueremo nel corso delle cose così come si è annunciato dal maggio del 1946 in poi.

Se poi la situazione politica su cui si fonda il Governo consenta questa azione decisa, è un giudizio che darà l’Assemblea. Per parte mia, credo di no. (Applausi a sinistra – Congratulazioni).

(La seduta, sospesa alle 21.5, è ripresa alle 22.35).

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole Di Vittorio. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Onorevoli colleghi, nonostante che questa discussione sia stata già abbastanza lunga, io credo di dover aggiungere alcune altre considerazioni a quelle anche molto interessanti che sono state già fatte.

Io credo, come altri colleghi, che per giudicare un Governo non sia sufficiente considerare il suo colore, la sua composizione, le qualità o i difetti degli uomini che lo compongono. È necessario, invece, tenere in massimo conto la maggioranza parlamentare sulla quale il Governo intende appoggiarsi, perché è questo il fatto materiale che conta di più, a mio parere, delle enunciazioni programmatiche del Governo stesso.

Ora è evidente, anche dallo schieramento che si è già avuto dei differenti gruppi dell’Assemblea, che questo Governo, per la sua composizione e per gli scopi effettivi che si propone di realizzare, non può reggersi che con l’appoggio totale delle destre; cioè con quelle forze parlamentari che sono più rappresentative delle oligarchie economiche-privilegiate e reazionarie, i cui interessi non contrastano soltanto con gli interessi dei lavoratori ma anche con gli interessi generali della Nazione. I compiti più urgenti che si impongono oggi per la rinascita dell’Italia sono fondamentalmente due: uno di ordine economico, l’altro di ordine politico. Nel campo dell’economia che cosa ci occorre fondamentalmente? Ci occorre, innanzi tutto, uno sforzo produttivo offerto da tutta la collettività nazionale, come base essenziale per il risanamento graduale della nostra economia, e per poter uscire dalle gravissime difficoltà attuali.

Nel campo politico ci occorre una maggiore stabilità politica e governativa: stabilità che è possibile realizzare soltanto su una larga base, su una larga concentrazione di forze nel Parlamento e nel Paese. L’adempimento di questi due compiti fondamentali richiede l’unione di larghe forze nazionali, e specialmente delle forze operose e produttive del popolo italiano. Realizza questo Governo, con la sua composizione, con gli scopi che si propone, con la maggioranza sulla quale si deve basare, le premesse per l’adempimento di questi compiti fondamentali, che sono le premesse essenziali della rinascita del Paese?

Rispondo categoricamente: no!

Anzi è il contrario che realizza questo Governo, dividendo le forze popolari e democratiche. Questa esigenza di unione delle forze nazionali e produttive che si pone all’Italia, è stata avvertita e sentita dai lavoratori italiani. Nel campo sindacale, infatti, lavoratori di differenti correnti politiche o religiose, di differenti ideologie, di differenti partiti, abbiamo realizzato ed abbiamo ancora recentemente, al congresso di Firenze, rafforzato la nostra unità. Come è possibile che questa unità, che hanno saputo rafforzare i lavoratori di differenti ideologie, non possa realizzarsi (sia pure in altra forma e per altri obiettivi) fra i partiti democratici e repubblicani di differenti ideologie?

Questa unione di forze democratiche e repubblicane, vi è stata nel nostro Paese. Essa si costituì nel corso della lotta eroica che ha sostenuta il nostro popolo per liberare l’Italia dal fascismo e dagli invasori tedeschi. Fu grazie a questa unione che noi riuscimmo a vincere, nel nostro Paese, le più gravi difficoltà, ad uscire da situazioni non solo difficili, ma drammatiche.

Siamo ora in una situazione nella quale si possa onestamente affermare che questa unione non sia più necessaria? Noi crediamo che l’esigenza dell’unione sia più necessaria oggi di ieri.

Perché dunque fra i lavoratori è sentita questa esigenza di unione e non lo è, invece, o non lo è più, tra i vari partiti democratici e repubblicani?

La spiegazione per me è molto semplice. I lavoratori, pur appartenendo a ideologie diverse, hanno interessi fondamentalmente solidali: per ciò essi si mettono d’accordo con maggiore facilità. Invece, in alcuni partiti democratici, e in modo particolare nel partito democratico cristiano, sono rappresentate – constato semplicemente un fatto obiettivo – varie ed opposte classi, che rappresentano interessi diversi e contrastanti.

Allora si può giungere alla conclusione che questo rovesciamento di situazione, questo cambiamento di fronte, operato dall’onorevole De Gasperi, con la costituzione del nuovo Governo, significa che si applica quella politica che nel partito democratico cristiano è espressa dai ceti e dalle classi che hanno interessi contrari a quelli dei lavoratori ed a quelli della grande massa del popolo.

Perciò, in ultima analisi, noi possiamo considerare questo Governo come un Governo di classe, come un Governo che può essere portato, dalle forze su cui è costruito, ad essere un Governo di lotta di classe: lotta di classe dei ceti ricchi e privilegiati contro i lavoratori.

Noi non crediamo che una tale politica possa essere approvata da tutti i democristiani; noi non crediamo che la formazione di questo Governo possa essere approvata dai lavoratori democristiani. Ho la convinzione che il rovesciamento della situazione politica non è stato determinato da un conflitto di ideologie, né da un conflitto di politica pura, avulsa dagli interessi economici e di classe che rispettivamente rappresentiamo, anche in questa Assemblea.

Io credo che, sul piano interno, la questione fondamentale che è alla base di tutte le manovre politiche che stanno compiendo le destre è quella di sapere se le spese della catastrofe nazionale e della ricostruzione devono ricadere esclusivamente sulle spalle del popolo lavoratore, o se devono ricadere invece (e nella giusta misura) anche sulle spalle dei ceti ricchi, delle classi abbienti. Questo è il problema che è alla base di questa manovra politica. È chiaro che, con questo Governo, si vuol far pagare ai lavoratori e si vogliono proteggere i ricchi. (Interruzioni).

Infatti, è facile osservare la contrapposizione che vi è fra il programma di politica economica e sociale che si sono dati i lavoratori al recente congresso di Firenze della Confederazione generale italiana del lavoro ed il programma di politica economica e sociale di quelle destra, sulla quale il Governo deve appoggiarsi. Io do atto all’onorevole De Gasperi d’aver detto, nelle sue dichiarazioni programmatiche, che il Governo avrebbe tenuto conto delle decisioni del Congresso di Firenze. Io domando all’onorevole De Gasperi di darmi atto, a sua volta, che però il programma di politica economica e sociale, sul quale i lavoratori manuali ed intellettuali di tutte le correnti e di tutte le ideologie si sono messi d’accordo a Firenze, è in contrapposizione netta col programma governativo che ci è stato esposto, così dottamente, ieri sera, dall’onorevole Einaudi ed è sopratutto in contrapposizione totale con le vedute di politica sociale delle forze reazionarie e monarchiche, sulle quali il Governo deve appoggiarsi per esistere.

Quale è il programma di politica sociale sul quale i lavoratori hanno rafforzato la propria unità? Primissimo punto: i lavoratori hanno dichiarato che il compito principale che si impone al Paese è quello di aumentare la produzione, di diminuirne i costi, di aumentare il rendimento del lavoro, non soltanto mediante una migliore organizzazione del lavoro stesso ed una migliore attrezzatura tecnica, ma anche con uno sforzo maggiore degli stessi lavoratori.

Onorevoli colleghi, vi prego di considerare l’importanza di questo fatto, che è un fatto nuovo nella storia sociale dei popoli: i lavoratori che non posseggono nulla, poiché tutti i mezzi di produzione sono rimasti nelle mani delle antiche oligarchie capitalistiche, hanno portato ad un livello così elevato il proprio senso civico e nazionale, da proclamare apertamente che essi, per far uscire il Paese dalla situazione attuale, intendono imporsi uno sforzo maggiore, per aumentare la produzione. Si tenga conto del grado di maturità dei lavoratori italiani, qual è espresso da questa loro posizione.

Naturalmente, i lavoratori hanno aggiunto qualche cosa che non c’è nell’esposizione dell’onorevole Einaudi, non c’è nel programma del Governo e non ci può essere, matematicamente, nel programma già noto delle destre, che sostengono questo Governo: che, cioè, i lavoratori, imponendosi lo sforzo che è necessario per risanare gradualmente l’economia del Paese, vogliono la garanzia che questo sforzo giovi al Paese, a tutto il popolo, e non serva, invece, ad aumentare i profitti dei capitalisti! (Applausi a sinistra).

Infatti, la risoluzione votata dal Congresso di Firenze, e quella sui problemi economici che le è annessa, domandano categoricamente che siano prese misure concrete dallo Stato democratico per sopprimere ogni super guadagno speculativo, sia da parte dei produttori, sia e – soprattutto – da parte dei commercianti.

L’aumento della produzione deve tradursi in una compressione del prezzo di vendita al popolo, e non in un aumento del profitto del capitalista, o della speculazione del commerciante.

I lavoratori hanno chiesto il controllo dei prezzi di costo e la pubblicazione e il controllo dei prezzi di vendita all’ingrosso, per eliminare la speculazione immonda che si esercita su larga scala in Italia, senza che nessuna legge persegua effettivamente i più cinici speculatori.

Per questo, la risoluzione del Congresso di Firenze ha ribadito la richiesta dei consigli di gestione, che non sono la ripetizione dei consigli di fabbrica di altri tempi – come da alcuni colleghi sono stati interpretati – ma sono, dove esistono, e vogliono essere, organi di stimolo della produzione, della migliore organizzazione del lavoro e anche una garanzia, non soltanto per i lavoratori, ma anche per il popolo in generale, cioè la garanzia materiale che lo sforzo della Nazione non serva a qualcuno, ma serva alla Nazione stessa. Dei consigli di gestione, nella dichiarazione dell’onorevole De Gasperi, si è fatto cenno. Vi si dice che, come si è organizzato un accordo sul problema dei licenziamenti e delle assunzioni fra la Confederazione del lavoro e la Confindustria, così si spera che le due forze si mettano d’accordo per quanto concerne i consigli di gestione.

Però, quando si conosce, perché è notissima, la posizione della Confindustria nei confronti dei consigli dì gestione; quando si sa, cioè, che essa ne è pregiudizialmente ostile, il rimettersi ad un accordo fra le due confederazioni equivale a pronunciarsi contro l’adozione dei consigli di gestione nel nostro Paese, secondo la volontà della Confindustria.

Non sono, del resto, indiscreto, se ricordo all’onorevole De Gasperi che già nelle due precedenti dichiarazioni governative, ch’egli fece per i due precedenti Governi che ha presieduto, aveva pure promesso la realizzazione dei consigli di gestione, mediante la promulgazione della famosa legge Morandi. Ma questa legge non è ancora venuta. E se non è venuta quando nel Governo erano anche le forze più direttamente rappresentative dei lavoratori, non abbiamo alcuna fiducia che questo Governo, per la sua composizione e per la maggioranza sulla quale deve appoggiarsi, possa e voglia promulgare la legge sui consigli di gestione, che tutti i lavoratori italiani attendono da tempo!

La Confederazione del lavoro, al congresso di Firenze, ha anche chiesto, condizionandovi l’accettazione della proroga della tregua salariale, la rivalutazione effettiva dei salari reali, mediante la distribuzione ai lavoratori e alle masse popolari in generale di viveri non razionati, di calzature, di tessuti, di altri generi di largo consumo popolare, che gli industriali dovrebbero fornire a prezzo controllato, anche per esercitare un’influenza calmieratrice sul mercato.

I lavoratori, al Congresso di Firenze, hanno chiesto un controllo sul credito, un controllo sulle banche; e non soltanto un controllo quantitativo (di cui ha parlato l’onorevole Einaudi), ma anche un controllo qualitativo, perché oggi, o signori, sono assicurati larghi finanziamenti a tutte le operazioni di carattere speculativo. Chiunque infatti abbia un vagone di olio di contrabbando, o di sigarette americane di contrabbando, può avere da qualsiasi banca centinaia di milioni per fare gli acquisti e realizzare larghi profitti. (Commenti a destra).

Una voce a destra. Non bisogna esagerare.

DI VITTORIO. Ma non si trovano crediti sufficienti per le opere produttive perché non garantiscono profitti speculativi. I lavoratori hanno chiesto al loro Congresso di Firenze un controllo sulle banche che assicuri il finanziamento delle opere produttive necessarie alla rinascita economica del Paese.

I lavoratori hanno dichiarato a Firenze che, nelle condizioni attuali del Paese, è necessario fare appello a tutte le forze produttive e che perciò bisogna stimolare ed incoraggiare anche l’iniziativa privata, essi hanno chiesto anche che lo Stato democratico e repubblicano si attrezzi per sostituirsi all’iniziativa privata, quando questa risulti inoperante nei settori che sono vitali per la rinascita Economica dell’Italia.

Infine, i lavoratori di tutte le correnti sono stati concordi, a Firenze, nel chiedere allo Stato una serie di misure concrete, dirette ad assicurare ai lavoratori (cioè a coloro, dai quali dipendono l’aumento della produzione e la ricostruzione del Paese) un minimo di esistenza tollerabile, essendo ovvio che un nutrimento sufficiente ai lavoratori è la condizione essenziale per ottenere da essi lo sforzo produttivo che si impone. Perciò abbiamo chiesto l’istituzione e l’allargamento del tesseramento differenziato e preferenziale in favore dei lavoratori, per i generi alimentari e per gli altri generi indispensabili alle loro famiglie. Abbiamo chiesto un potenziamento effettivo degli Enti comunali di consumo e un aiuto efficace da parte del Governo, perché essi siano messi in grado di assolvere i compiti per i quali sono stati costituiti, quantunque soltanto in alcuni grandi Comuni, per ora.

Questi Enti debbono essere messi in grado di reperire, acquistare e distribuire al popolo grandi quantità di merci, a prezzo di costo, dando un colpo serio alla speculazione.

Infine i lavoratori, a Firenze, si sono messi d’accordo anche su ciò: di chiedere al Governo che vengano adottate le misure già proposte, dirette a stroncare la speculazione. In modo particolare, essi chiedono di togliere la disponibilità del cinquanta per cento di valuta estera agli esportatori, poiché tale concessione serve a intensificare la speculazione, a facilitare la fuga di capitali all’estero, a minacciare la lira, aggravando il pericolo dell’inflazione. E non è che i lavoratori vogliano mortificare gli esportatori; essi domandano che si escogiti un sistema per cui sia possibile lo sviluppo degli scambi con l’estero, che sono indispensabili alla vita del nostro popolo, con mezzi tali che non consentano né la fuga di capitali all’estero, né la speculazione sulla valuta estera.

I lavoratori sono tutti d’accordo nel voler portare un contributo positivo alla lotta contro l’inflazione, alla lotta per la stabilizzazione della moneta, sapendo benissimo che l’inflazione, in ultima analisi, è un mezzo per alcune potenti oligarchie economiche, specialmente finanziarie, per rastrellare i risparmi del popolo, per aggravare l’affamamento dei lavoratori ed operare una maggiore concentrazione di ricchezza a proprio favore.

Già dai pochi punti qui accennati della politica economica, sulla quale si sono messi d’accordo tutti i lavoratori italiani organizzati, si vede chiarissima la contrapposizione netta che vi è con la politica del Governo, basata sulle teorie liberiste, che ci sono state esposte con tanta dottrina dall’onorevole Einaudi.

In fondo, non si vogliono applicare nel nostro Paese – nonostante la dichiarazione dell’onorevole De Gasperi – i 14 punti, che promise già e che non applicò il precedente Governo presieduto dall’onorevole De Gasperi.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Dieci su quattordici.

DI VITTORIO. Il popolo non se n’è accorto! (Applausi a sinistra). Se n’è accorto con i continui aumenti dei prezzi, il popolo!

In fondo, malgrado le sue spiegazioni, onorevole De Gasperi, il programma governativo di politica economica esposto dall’onorevole Einaudi è basato sui principî del liberismo economico classico. (Commenti a destra e al centro).

Signori, la concezione liberista dell’economia è una concezione discutibile in tempi normali. Ma in tempi di carestia, come quelli attuali, l’applicazione della teoria liberista equivale all’applicazione della legge del più forte: chi più ha, più acquisti e consumi, senza limiti; faccia il comodo suo, si accaparri tutto, si arricchisca. Chi non ha, invece, crepi di fame! È come volere una specie di selezione di carattere primitivo, più o meno bestiale!

In un momento come questo, nel quale anche i paesi più ricchi, come la stessa Inghilterra, patria del liberismo, ancora dopo la guerra, introducono nuovi tesseramenti, nuove regolamentazioni della distribuzione delle merci. Applicare in Italia i principî liberisti (come, ad eccezione di pochissimi prodotti, sono stati applicati fino ad oggi), vuol dire applicare, in pratica, una politica economica e sociale, che addossi esclusivamente ai lavoratori e alla gran massa del popolo, le spese della catastrofe e della ricostruzione!

Stabilita la contrapposizione netta che vi è fra la politica economica dei lavoratori e quella del Governo, è per noi chiaro che il Governo applicherà il programma delle destre, sulle quali deve appoggiarsi: cioè, un programma contrario agli interessi dei lavoratori. Perciò noi voteremo contro questo Governo. Tanto più in quanto siamo persuasi che una politica economica che è contraria agli interessi dei lavoratori, è perciò stesso contraria agli interessi generali ed alle esigenze di rinascita del Paese! (Commenti a destra).

Ma vi sono altri punti in contrapposizione del programma governativo, rispetto a quello dei lavoratori. (Commenti – Interruzioni). I lavoratori hanno unanimemente approvato, al Congresso di Firenze, questo concetto: il rinnovo della tregua salariale presuppone una perequazione almeno approssimativa delle condizioni economiche delle varie categorie dei lavoratori, perché tutti siano messi in condizioni di vivere. I lavoratori, dando prova di alta comprensione, hanno accettato di trattenere sulle posizioni acquisite categorie che sono più avanzate, evitando di spingerle più avanti, per fare avanzare le categorie che ricevono un trattamento che è al disotto dei bisogni minimi indispensabili all’esistenza. Tra queste categorie è da annoverare in primo luogo quella dei dipendenti statali, parastatali e degli enti locali: impiegati, funzionari, ferrovieri, postelegrafonici, maestri, professori ed anche i magistrati, la cui indipendenza economica costituisce una necessaria garanzia di giustizia per il popolo. Questi lavoratori, come è noto all’Assemblea, per la differente applicazione della scala mobile, non soltanto si trovano in condizioni di grave inferiorità rispetto ad altre categorie, il cui tenore di vita è pure estremamente basso, ma, se questo sistema dovesse permanere, come è rimasto fino ad oggi, le loro condizioni si aggraverebbero progressivamente.

Noi abbiamo già spiegato a più riprese, come rappresentanti della Confederazione del lavoro, che non è possibile, non è giusto, non è umano, e non è tollerabile, che dei lavoratori, in condizioni di inferiorità gravissima rispetto ad altri lavoratori, siano condannati ad un peggioramento continuo di queste loro condizioni, che sono già insopportabili. Abbiamo chiesto al Governo di uniformare la scala mobile degli impiegati statali e quella dei lavoratori dell’industria. Ma il Governo non ha detto nulla su questo angoscioso problema. Si sappia che i benemeriti lavoratori dello Stato e di altri Enti pubblici, i quali assicurano i servizi essenziali della Nazione, sono in condizioni di non poter più vivere. Ed essi sono giustamente decisi ad uscire da questa situazione impossibile. Cosa significa il silenzio dell’onorevole De Gasperi su questo punto? L’onorevole De Gasperi ha fatto un accenno alla possibilità di riduzione ulteriore dell’imposta di ricchezza mobile sui redditi di lavoro. Anche questa è una rivendicazione formulata da tempo dalla Confederazione del lavoro e fatta propria, unanimemente, dal congresso di Firenze. È necessario e non soltanto per gli impiegati statali e per i dipendenti degli altri enti pubblici, ma per tutti i lavoratori italiani, di elevare l’esenzione della ricchezza mobile ad almeno 280 mila lire.

Quanto ai pensionati, anche per essi non vi è stato che un accenno fugace. Il problema dei pensionati, onorevoli colleghi, è fra i problemi più angosciosi della Nazione. Noi dobbiamo imporci uno sforzo collettivo per risolverlo. La Confederazione del lavoro, pur rimanendo ferma nel principio che i contributi sociali sono parte integrante della rimunerazione del lavoro, e che perciò devono essere a totale carico dei datori di lavoro, ha proposto al Governo ed alle organizzazioni dei datori di lavoro un contributo particolare dei lavoratori a favore dei pensionati, a condizione che lo Stato e i datori di lavoro vi contribuiscano a loro volta, proporzionalmente alle loro possibilità, per assicurare ai pensionati della Previdenza sociale almeno una pensione che, quantunque ancora misera, permetta loro di non morir di fame.

Anche su questo problema il Congresso di Firenze ha preso netta posizione. I lavoratori in attività si impongono volontariamente un grave sacrificio, per venire in aiuto dei pensionati. Altrettanto debbono fare lo Stato ed i datori di lavoro. Ma il Governo non ne ha parlato con la chiarezza che sarebbe stata necessaria e desiderabile.

Infine, vi è il problema della disoccupazione. Questo problema, quando si hanno due milioni e tre o quattrocentomila disoccupati nel Paese, non può lasciare indifferente il Governo. Io sono rimasto preso da una vivissima ammirazione, di fronte al discorso così dotto ed elevato dell’onorevole Einaudi. Ho considerato questo suo discorso come l’esposizione di uno schema perfetto. Ma mi domando se questo schema così bene architettato, può contenere la realtà della vita del nostro popolo, oggi. Basta pensare che non si è parlato del problema della disoccupazione, per concludere che lo schema Einaudi è fuori dalla realtà. Il fenomeno doloroso della disoccupazione è una piaga nella nostra vita nazionale. Nessun italiano può vivere tranquillo, o fissare una qualsiasi prospettiva, quando si sa che due milioni e più di concittadini non hanno i mezzi necessari per alimentarsi e per alimentare le proprie creature. I lavoratori italiani, al Congresso di Firenze, hanno esaminato seriamente questo problema ed hanno indicato, come mezzo per avviarlo alla soluzione, un piano organico di lavori utili ad incrementare il patrimonio nazionale ed a sviluppare la produzione. Essi hanno anche insistito sulla necessità di compiere uno sforzo per dare una qualifica professionale alla massa dei disoccupati ed ai giovani italiani che, non per colpa loro, non hanno avuto la possibilità di avere una professione od un mestiere, mediante l’istituzione di scuole professionali che, intanto, assicurino un minimo di esistenza tollerabile ai disoccupati. In tal modo, i disoccupati attuali possono rendersi utili all’Italia ed eventualmente, nella misura in cui siamo obbligati a sopportarla, anche nell’emigrazione in altri paesi.

Ebbene: assicurare un trattamento umano agli statali, ai para-statali ed agli impiegati pubblici in generale; affrontare con serietà e con larghezza di vedute il problema della disoccupazione, in relazione all’esigenza di accelerare la ricostruzione economica del Paese; dare una soluzione, almeno parziale, al problema dei pensionati, sono dei problemi gravi ed urgenti, che non si possono dilazionare ulteriormente. La soluzione di questi problemi esige dei grandi mezzi da parte dello Stato. E lo Stato deve avere la volontà e la capacità di procurarseli, questi mezzi; ma se li potrebbe procurare soltanto da quelle classi ricche, tra le quali il Governo attuale va a cercare la sua maggioranza. Sarà possibile a questo Governo di realizzare una politica che dia allo Stato i mezzi necessari per far fronte a questi problemi vivi e brucianti del nostro popolo e del nostro Paese? Non lo crediamo. L’onorevole Einaudi ieri ci ha detto che le imposte che ci sono, sono anche troppe; e che se si applicassero tutte, si prenderebbe ai contribuenti più del cento per cento del reddito. È una dimostrazione che in Italia si decretano imposte, ma poi, gli abbienti che dovrebbero pagarle, non le pagano.

Però, l’onorevole Einaudi, pur rilevando l’eccesso di imposte, non ha detto nulla contro un’imposta di carattere privato, scandalosa, di cui aveva parlato l’onorevole Scoccimarro; cioè l’imposta istituita alla chetichella di 4 lire su ogni chilogrammo di cotone importato; imposta che non è a beneficio dello Stato, della collettività nazionale; ma a beneficio di una associazione privata, cioè della Confindustria. A che cosa devono servire questi fondi?

Io domando all’onorevole De Gasperi: se la Confederazione del lavoro domanda la stessa cosa, è pronto il Governo a concedere un’imposta su altri prodotti importati, o sul cotone stesso, a favore della Confederazione del lavoro, o meglio ancora, a favore delle colonie estive dei bambini dei disoccupati, che muoiono di denutrizione? Per questa iniziativa non si è fatto nulla; mentre si istituiscono imposte di carattere privato, per scopi di classe e forse faziosi. (Commenti a destra).

Una voce a sinistra. Voi siete tutti milionari, non conoscete la miseria.

DI VITTORIO. Vorrei dire qualcosa sull’agricoltura.

L’onorevole De Gasperi ne ha fatto un accenno; e lo ha fatto sopratutto per tessere un elogio all’onorevole Segni. Complimenti, onorevole Segni! Io credo però che si possa dire qualcosa di più.

È vero che l’onorevole De Gasperi ci ha esposto un programma di emergenza, per un periodo breve, ma credete voi, signori, che non sia urgente, urgentissimo, fare qualche cosa per aumentare la produzione agricola?

È necessario prendere misure urgenti, dirette a migliorare le condizioni della nostra agricoltura, che sono oggi estremamente arretrate. È necessario prendere misure per poter fornire, a prezzi controllati, ai contadini italiani, i concimi e gli attrezzi,necessari per sviluppare la produzione agricola. È necessario rimettere in funzione la Federazione dei Consorzi Agrari, previa democratizzazione di questo organismo, facendo eleggere i dirigenti da parte degli iscritti, perché la sua enorme attrezzatura possa servire ai bisogni dell’agricoltura e del Paese.

Abbiamo bisogno, anche in agricoltura, di compiere uno sforzo per la formazione professionale dei giovani. Perché non si ripristinano le Cattedre ambulanti di agricoltura? Perché non si fa un piano di bonifica, che ci può consentire di conquistare all’agricoltura diecine e diecine di migliaia di ettari di terreno incolto, in breve tempo?

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. C’è già.

DI VITTORIO. Noi abbiamo un’agricoltura arretrata ed i nostri tecnici agricoli disoccupati. Noi potremmo promuovere utilmente l’occupazione di questi tecnici per lo sviluppo dell’agricoltura.

Quando parliamo di piano di bonifica, non si dovrebbe intendere (come purtroppo avviene) soltanto lavori di prosciugamento e di arginatura di torrenti; fondamentalmente si deve parlare di concessione di terreni incolti o mal coltivati, da bonificare e da dare ai contadini ed ai braccianti senza terra.

Ciò permetterebbe di assorbire mano d’opera disoccupata, di assicurare una maggiore produzione, e quindi più pane al popolo italiano.

Perché, con le terre bonificate, o comprese in comprensori di bonifica, specialmente nelle regioni dove vi è molto latifondo, non si costituisce un demanio di terre coltivabili, come esistono i demani forestali? Perché non si concedono queste terre ai contadini disoccupati, che si getterebbero a lavorarle con la più grande passione, e darebbero ben maggior copia di prodotti della terra al nostro Paese?

Vi è in agricoltura un’altra questione fondamentale, della quale l’onorevole De Gasperi non ha parlato; e non ne ha parlato, naturalmente, nemmeno l’onorevole Einaudi: la questione della mezzadria. Nelle campagne italiane non vi è pace. C’è stato il famoso lodo De Gasperi che poi, finalmente, dopo tanto tempo, è stato trasformato in legge. I lavoratori italiani, al Congresso di Firenze, hanno chiesto unanimemente che la legge, fatta sulla base del lodo De Gasperi, venga applicata anche per il prossimo raccolto, senza bisogno che vi siano altre agitazioni per potere ottenere ih soddisfacimento di rivendicazioni minime dei mezzadri italiani.

Io so che si è fatta e si fa molta demagogia sui mezzadri italiani. (Commenti a destra). Lo so perché voi ridete; voi ritenete che i mezzadri siano divenuti tutti milionari. Voi ritenete, perciò, che non ci sarebbe alcun bisogno di occuparsi di loro. La verità, o signori, è un’altra. Io non escludo che qualche mezzadro sia divenuto milionario, ma, signori, che cosa hanno guadagnato i grandi proprietari che hanno 50 mezzadri, se un mezzadro solo, vivendo con tutta la sua famiglia sulla metà del prodotto, ha potuto diventare milionario? (Rumori a destra Applausi a sinistra). La realtà è che la mezzadria è la forma di conduzione più desiderata dai grandi proprietari di terre, semplicemente perché è la più conveniente per loro. Ed è la più conveniente perché, nella conduzione mezzadrile, il mezzadro fornisce egli stesso, insieme a tutta la sua famiglia, una somma di lavoro che è incalcolabile; ed è su questo lavoro che il proprietario realizza un reddito ben maggiore di quanto non può realizzare con altre forme di conduzione.

Del resto, su questo problema potrebbe parlare (non so se sia presente) l’onorevole Pallastrelli, che è uno studioso, un tecnico, un pratico della questione agraria e che appartiene alla democrazia cristiana.

Dica qui l’onorevole Pallastrelli, ciò che va sostenendo nei comizi e che illustra con tanta saggezza nei suoi studi, che noi apprezziamo al massimo grado. Dica qui se la rivendicazione fondamentale dei mezzadri, diretta ad avere una più equa ripartizione dei prodotti rispetto al proprietario, sia giusta oppur no; dica se l’apporto di lavoro e di capitale del mezzadro, essendo superiore a quello del proprietario, il mezzadro abbia oppur no il diritto – come noi lo riteniamo – ad avere una parte dei prodotti ben superiore al 50 per cento; dica, infine, se il chiedere che venga applicata anche per quest’anno, in attesa di meglio, la legge De Gasperi, sia una rivendicazione giusta oppure no.

Per noi è una rivendicazione più che giusta, riconosciuta tale dai rappresentanti di tutti i lavoratori italiani. Ma il Governo non ne ha parlato.

Vi è ancora in agricoltura il problema del miglioramento fondiario, legato a quello di una più razionale lavorazione delle terre. Il che permetterebbe una maggiore produzione ed un maggior assorbimento della mano d’opera agricola disoccupata. Badate che su circa due milioni e mezzo di disoccupati che abbiamo in Italia, una parte notevolissima è data dai braccianti agricoli.

Ebbene, che cosa accade oggi? Accade che, specialmente nel Mezzogiorno e nel Centro d’Italia, non vengono eseguiti nemmeno i lavori normali ed indispensabili per l’agricoltura. E ciò perché i proprietari ritengono che il costo del salario sia troppo elevato.

Noi abbiamo chiesto al Congresso di Firenze, unanimemente, che venga promulgata una legge la quale obblighi i proprietari delle terre ad eseguire tutti i lavori agricoli ritenuti indispensabili dagli organi tecnici del Ministero dell’Agricoltura, dall’Ispettorato agrario.

Noi abbiamo chiesto che i proprietari siano egualmente obbligati, per effettuare una graduale trasformazione o miglioria fondiaria, ad operare queste migliorie e queste trasformazioni in una aliquota minima nelle loro terre, ogni anno. I lavoratori si sono dichiarati pronti ad accollarsi una parte dei sacrifici necessari, per raggiungere questi scopi benefici per il Paese. A Firenze abbiamo unanimemente dichiarato che per i braccianti italiani la questione più importante non è il livello del salario, ma è il numero delle giornate ch’essi riescono a lavorare durante l’anno. E abbiamo soggiunto: noi, organizzazione dei lavoratori, siamo disposti a contenere, se volete, anche a ridurre i salari dei braccianti agricoli, qualora si garantisca ad essi un maggior numero di giornate lavorative all’anno. Si può chiedere ai lavoratori una prova maggiore di comprensione?

No, il Governo non ha detto nulla nemmeno su questo problema vitale. I pochi decreti emessi da alcuni prefetti, sotto la pressione di concrete esigenze locali, sono stati praticamente aboliti. Questi decreti prefettizi permettevano a delle Commissioni paritetiche, legalmente costituite, di assegnare un certo numero di disoccupati agricoli ai singoli proprietari. Ora, invece, ed in modo particolare dal primo giorno che è stato costituito il nuovo Governo, alle masse dei disoccupati, che premono per andare a lavorare (questa è la pressione che fanno, l’obiettivo che si propongono: poter vivere lavorando) si risponde da parte del Governo e da parte degli agrari inviando la Celere ed i carabinieri, per respingerle con la violenza.

E qui voglio accennare, almeno di sfuggita, alla politica interna che è stata già instaurata dal nuovo Governo. Già abbiamo visto in Puglia un primo aspetto della politica del nuovo Governo, che io mi sono permesso di segnalare anche all’onorevole Grassi, nuovo Ministro della giustizia…

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho risposto. Ho fatto subito un telegramma.

DI VITTORIO. In Puglia abbiamo avuta la manifestazione palese che i ceti agrari più ricchi e più reazionari, ai quali l’onorevole Grassi (non lo rilevo per fargliene un rimprovero) è molto strettamente legato…

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Sono legato a tutta la Puglia.

DI VITTORIO. Questi ceti, comunque, hanno interpretato l’avvento del nuovo Governo, con l’esclusione dei comunisti, dei socialisti e degli altri gruppi di sinistra, come la fine della Repubblica e della libertà ed il ritorno al sopravvento della reazione. Le manifestazioni che ho già segnalate al Ministro della giustizia sono molto significative.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho già risposto, onorevole Di Vittorio.

DI VITTORIO. Si è detto che vi erano mandati di cattura per fatti avvenuti dieci mesi od un anno fa, che non erano stati eseguiti e relativi ad incidenti già chiusi, per cui era stata ristabilita da tempo la normalità. Ma dopo la formazione di questo Governo, si è voluto procedere all’arresto di numerosi contadini, imputati del «grave» reato di aver voluto lavorare per forza la terra (per poter vivere di lavoro e non di speculazione, e non di altre attività indegne) e di aver esercitata una pressione sui proprietari per cercare di ottenere il pagamento del lavoro fatto.

Ebbene; questi arresti sono stati eseguiti precisamente il 2 giugno, giorno anniversario dell’avvento della Repubblica, appunto per dare ai lavoratori la sensazione del ritorno al potere delle forze reazionarie e monarchiche. (Rumori al centro – Interruzione dell’onorevole Ministro di grazia e giustizia).

PASTORE RAFFAELE. Però, che bravi magistrati abbiamo!

DI VITTORIO. Io sono certo che l’onorevole Scelba risponderà che gli arresti sono perfettamente legali e che non c’è assolutamente nulla da ridire: anche qui si applica una politica di schemi. Premessa una tale legge e una tale circolare, tutto è giusto e legale. Tutto va bene!

Ma con queste apparenze di legalità, si mettono in galera padri di famiglia, onesti lavoratori che si sono messi a lavorare per forza la terra, e questo è un lavoro duro, ed io lo conosco molto da vicino (Rumori al centro), mentre si usa tanta indulgenza verso gli speculatori ed i faziosi reazionari, fascisti c monarchici.

Ed ancora più gravi, come sintomo della politica interna che intende seguire il Governo, sono i fatti accaduti ieri a Bergamo; fatti che inaugurano nuovi sistemi, i quali – a parte la parentesi fascista – riportano l’Italia a più di cinquant’anni addietro.

Nella provincia di Bergamo i contadini si sono messi in agitazione, per ottenere quella che essi considerano, a giusto titolo, una più giusta ripartizione dei prodotti: è l’agitazione dei mezzadri, per la questione a cui ho già accennato.

Il signor Questore ha chiamato gli organizzatori dei contadini, i dirigenti delle leghe e sindacati locali, e li ha diffidati dicendo loro: «Voi dovete sospendere questa agitazione, cioè, non dovete permettere che i contadini osino chiedere agli agrari un miglioramento delle loro condizioni. Se voi non farete questo, sarete arrestati!». (Commenti a sinistra).

Onorevole Scelba, questo si chiama attentare alle più elementari libertà sindacali.

La libertà sindacale non consiste soltanto nell’avere la facoltà di riunirsi in un locale, o di fare un comizio. La funzione specifica ed essenziale del sindacato è quella di difendere gli interessi dei lavoratori nei confronti dei padroni. Quindi, il sindacato, deve essere in grado di formulare e avanzare le sue richieste, nonché di esercitare una pressione, nell’ambito delle leggi, per ottenere il soddisfacimento di queste richieste. Ora, a Bergamo, le leggi non sono state violate, non è stato commesso nessun reato. Vi è solo il fatto che i dirigenti dell’organizzazione si sono rifiutati di obbedire all’ingiunzione del Questore, sono stati arrestati durante la notte e – quale vergogna – non è stato permesso loro nemmeno di mettersi le scarpe per andare in carcere, e vi sono stati trascinati a piedi nudi. (Commenti a sinistra).

Riassumendo, io credo che sarebbe stata possibile una ben differente soluzione a questa crisi, se si fossero tenuti presenti, come preoccupazione fondamentale ed essenziale, gli interessi del Paese. I lavoratori italiani hanno dato delle prove magnifiche di senso nazionale, di maturità, di senso civico, di abnegazione verso il Paese. I lavoratori italiani, che soffrono crudelmente oggi, hanno accettato di prorogare la tregua salariale, sapendo di imporsi dei sacrifici. I lavoratori, fino ad oggi, si sono imposti dei sacrifici crudeli, che alcuni forse non conoscono nemmeno per sentito dire. E di ciò non si tiene alcun conto. Qui si pone un problema serio: si sa che nei periodi di emergenza, in tutta la storia dei paesi civili, spesso sono state richieste al popolo delle prove di abnegazione e di eroismo; prove che sono state consentite dalle masse popolari, quando esse erano convinte di compierle per una causa giusta. I lavoratori italiani, consapevoli appunto di servire una giusta causa, si sono imposti sinora dei sacrifici enormi. Ed essi li hanno sopportati, anche perché avevano fiducia nel Governo, nel quale essi si sentivano direttamente rappresentati, specialmente dal Partito comunista e da quello socialista. La questione, che si pone oggi, è quella di sapere se quando questi partiti (che pur senza pretendere di rappresentare tutti i lavoratori italiani, sono però i più rappresentativi della grande maggioranza della massa lavoratrice) sono esclusi dal Governo e vi è in essi una carenza di fiducia verso il nuovo Governo, non saranno i lavoratori scoraggiati nell’imporsi dei nuovi sacrifici, che pur sono necessari per la rinascita del Paese. A questo non si è pensato. Eppure, con l’orientamento assunto chiaramente da tutti i lavoratori italiani, si era costituita una premessa di stabilità politica e sociale nel nostro Paese.

Abbiamo prorogato la tregua salariale, abbiamo risolto il problema spinoso dei licenziamenti e delle assunzioni: abbiamo dunque realizzato una condizione essenziale, per aprire al nostro Paese un periodo di tranquillità sociale e di stabilità politica. Questa premessa poteva aprire al nostro Paese delle magnifiche prospettive. Ebbene; questo periodo così promettente di stabilità è reso quasi impossibile, o, almeno, difficilissimo dalla formazione di questo Governo.

Non credo che questo Governo, per la sua composizione e per la maggioranza su cui deve appoggiarsi, possa servire gli interessi dell’Italia. (Commenti a destra).

Comunque, i lavoratori italiani non faranno mai una politica di dispetto. Essi continueranno la politica che più interessa alla Nazione; seguiranno la politica unitaria, la politica di difesa vigorosa ed energica degli interessi dei lavoratori, che coincidono con gli interessi generali e permanenti del Paese.

Era possibile, ed è ancora possibile al nostro Paese, un Governo di larghe basi e godente della fiducia del popolo. Con un proletariato solidamente organizzato; con una Confederazione del Lavoro che rappresenta la più grande forza organizzata del Paese e che è pronta a collaborare col Governo in una politica di rinascita economica e di rinnovamento democratico dell’Italia, sarebbe stato agevolmente possibile realizzare quella larga concentrazione di forze popolari che avrebbe assicurato all’Italia un Governo stabile, capace d’utilizzare l’iniziativa creatrice e l’entusiasmo delle masse, per accelerare la ricostruzione economica del Paese. Si preferisce, invece, un Governo a basi ristrette e, quindi, impopolare.

Ebbene, nel corso di questa discussione, sono stati dati numerosi consigli al Governo e, in modo particolare, all’onorevole De Gasperi.

Se me lo permette l’onorevole De Gasperi, modestissimamente, vorrei anch’io dargli un consiglio. (Commenti a destra e al centro). Onorevole De Gasperi, liquidate questo Governo che divide il Paese in due blocchi, che spezza l’unità delle forze democratiche e repubblicane, che non può servire che i ceti privilegiati della reazione e formate un altro Governo, nel quale siano rappresentate tutte le forze operose, le forze democratiche e repubblicane, che sole potranno assicurare la rinascita dell’Italia! (Vivi applausi a sinistra).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Desidero dare un semplice chiarimento all’onorevole Di Vittorio, il quale ha affermato che a Bergamo sarebbero stati arrestati degli organizzatori sindacali per avere instaurato l’agitazione per la mezzadria.

Ho comunicato oggi all’onorevole Giulio Pastore, Consegretario della Confederazione generale italiana del lavoro, il testo del telegramma inviato dal Prefetto di Bergamo, il quale spiega che sono stati arrestati – mi pare – cinque lavoratori per violenze e minacce, e a seguito di regolare mandato di cattura spiccato dall’autorità giudiziaria.

Per quanto riguarda il merito dell’agitazione, il Ministero dell’interno ha dato tassative disposizioni ai Prefetti in questo senso: i lavoratori sono pienamente liberi, com’è nel loro diritto, di prospettare le loro rivendicazioni. L’azione dei Prefetti deve essere limitata esclusivamente ad assicurare che non sia arrecata nessuna violenza o minaccia.

In questo senso sono le disposizioni del Ministro dell’interno. Nessun attentato alle libertà sindacali, quando si esercitano, come giustamente ha osservato l’onorevole Di Vittorio, nell’ambito della legalità; ma repressione energica e decisa di ogni violenza e di ogni attentato alle libertà fondamentali. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi chiedo perdono se incomincio a parlare a mezzanotte meno sette minuti (Si ride): la colpa non è mia. Cercherò di essere il più breve possibile.

Noi abbiamo, in questa discussione, l’obbligo di difendere la logica politica del nostro partito. Indubbiamente noi abbiamo portato un elemento nuovo nella politica italiana e forse non soltanto italiana. Sbagliano coloro i quali ci accusano di aver voluto portare nella politica italiana solamente dei reazionari o altro genere di politici; è vero invece che alcuni di questi elementi si sono aggiunti a noi, come si sono aggiunti a tutti gli altri partiti, in quanto, dopo la guerra, nello sbandamento, nel nervosismo che è succeduto alla guerra, questi elementi hanno cercato dove potevano aderire. I più furbi hanno scelto bene; i più ingenui, forse, sono venuti a noi. (Ilarità al centro e a destra).

Ma si può accusare di questo l’Uomo Qualunque? Questa è un’epoca in cui tutti si studiano di ricostruire, non soltanto i Paesi, ma principalmente se stessi, la propria spiritualità. Noi abbiamo avuto dei terremoti nelle case, degli sconvolgimenti nelle strade: ma abbiamo avuto soprattutto delle vere catastrofi spirituali.

Noi abbiamo avuto uomini i quali, dopo avere per venti, per trent’anni, pensato in un modo, sono stati improvvisamente costretti, dalla logica delle cose, dalla cruda realtà dei fatti a pensare in un altro. Signori, noi stessi che abbiamo fondato questo movimento – per cui a me compete lo scherzoso nomignolo di «Fondatore», che ormai non fa ridere più nessuno – noi stessi non sappiamo dove questo movimento ci porterà, perché, per quanto ingenui, non sappiamo come poter padroneggiare un movimento politico una volta che sia scatenato.

Noi pensiamo, ad ogni modo, che non dobbiamo lasciare più la direzione della vita politica ad una ristretta aristocrazia; noi vogliamo, anche a costo di errori, anche a costo di esperimenti dolorosi, impedire che una ristretta categoria di uomini abbia il monopolio della direzione della vita politica del Paese.

Chi ci accusa di aver mutato il nostro atteggiamento in questa ultima crisi politica, si inganna. È la Democrazia cristiana che ha cambiato venendo a noi, non noi che non siamo andati a lei. (Applausi a sinistra).

lo sono veramente commosso di questo successo (Si ride), e spero di avere un applauso dalla Democrazia cristiana, più tardi, come l’ho avuto da voi.

E si precisa che non c’è un patto tra la Democrazia cristiana e noi; tanto è vero che i democratici cristiani hanno continuato ad attaccarci e ad attaccarci non per ischerzo, non leggermente, non – oso dire – con la mano lieve di certe mie «vespe», ma con il bastone pesante, col badile.

Voglio leggere qualche cosa che interessa anche l’onorevole Togliatti. Ho qui un giornale, che tutto mi fa supporre democristiano; presenta la mia caricatura: i piedi sono nelle scarpe, le mani, però, sono di porco; intorno alla testa svolazzano degli insetti; il titolo dice: «Fondatore, olè!» Ci deve essere qualche cosa di spagnolo. Ed ecco la dicitura; «Dopo aver allegramente condensato la materia qualunquista in un nuovo decalogo, Giannini non ha mancato di sottolineare l’odiosità della violenza rossa esplosa a Cremona contro gli iscritti al suo partito. Tutto serve. Essi diventano sempre più odiosi. Intanto i trecento amici cremonesi, più o meno duramente colpiti dalla bestialità criminale dei rossi progressisti» – quei trecento amici brutalmente colpiti si sono ridotti a pochi contusi – «hanno un modo per consolarsi: contemplare la fotografia del loro «Fondatore», nell’atto di stringere, sempre allegramente, la mano al leader comunista Togliatti. Fotografia storica presa durante il ricevimento a Montecitorio nell’anniversario della Repubblica: Giannini stringe la mano a Togliatti, il quale ride, ride abbondantemente, e poi telefona, impartendo l’ordine ai federali comunisti, periferici, di violenze bestiali. Ormai la bestialità è il metodo democratico. Cortesia a Giannini o sconto per la stretta di mano?»

Una voce. Che giornale è?

GIANNINI. È il Don Palmilio o L’onorevole Palmilio; in testata c’è la caricatura dell’onorevole Togliatti, ma ho il vago sospetto che non sia lui a fare quel giornale.

TOGLIATTI. E chi lo sa?! (Si ride).

GIANNINI. Sarebbe troppo doppio giuoco. (Si ride).

Ho qui qualche manifestino in cui siamo sempre indicati come gli alleati dei comunisti; e non è vero. Qui c’è un altro manifestino, in cui si dice: «Votate per le liste di destra, le quali, però, quelle dell’Uomo Qualunque, portano al partito comunista». Si vede che noi siamo cripto-comunisti! Ecco qui c’è «un asse» Giannini-Togliatti. Noi abbiamo fatto un asse, onorevole Togliatti! (Commenti a sinistra). «II terribile anticomunista Giannini ritiene più opportuno venire a patti con Togliatti. Cosa penseranno coloro che vedevano in Giannini la quintessenza dell’anticomunismo? Giannini scolaro di Marx! I cattolici filo-qualunquisti sono serviti!».

Risparmio la lettura di altri documenti. Ricordo soltanto che l’altro giorno un oratore democristiano, credo l’onorevole Cappi, ha voluto parlare in sede di discussione per gli incidenti di Cremona, per i quali noi non abbiamo presentata nessuna interrogazione, perché riteniamo inutili le interrogazioni. L’onorevole Cappi ci ha raccattati col fazzoletto; ci ha dato dei consigli; ci ha spiegato che siamo composti male, che abbiamo un sacco di gentaccia nel nostro partito. All’onorevole Cappi potrei rispondere quello che hanno risposto i nostri amici di Cremona ai loro accusatori: «Pubblichiamo gli elenchi dei nostri iscritti e vediamo chi ne ha di più. Noi siamo sicuri di vincere la prova. Offriamo questa prova a tutti i partiti».

Noi non ci lagniamo dell’aria di sufficienza, della ostentazione di ignorarci, che di solito ha la Democrazia cristiana. Non ci lagniamo se il nostro ottimo Presidente del Consiglio – verso il quale va, come andava prima, la mia stima, il mio rispetto personale – non si è preoccupato affatto, nelle sue dichiarazioni, di fare un sia pur vago accenno a questo nostro partito, che poi non è precisamente l’ultimo d’Italia.

È noto che nell’interno della Democrazia cristiana vi sono degli elementi i quali si sono violentemente opposti a che a noi potesse essere offerta una qualsiasi opportunità in una combinazione ministeriale; e ciò, malgrado il fatto che abbiamo dichiarato – e sul serio – di non voler prendere parte a nessuna combinazione, perché ci riserviamo di dare gratuitamente il nostro appoggio a chi ci pare, nella linea che conviene a noi e fino a quando conviene a noi.

Ora, questi elementi della Democrazia cristiana, che ci sono così avversi, che cosa vogliono? Vogliono la democrazia? Vogliono l’avvento del comunismo? È un mistero! L’onorevole Nitti ha messo un po’ di moda le storielle in quest’aula. L’onorevole Corbino, l’altra sera, ce ne ha narrato una a proposito di una piccola differenza fra l’uomo e la donna. Vorrei domandare il permesso di dirne brevemente una anch’io sui misteri della incomprensione. Si tratta d’una badessa, pia signora, dal cui vergine cuore erompe un impeto di maternità per tutte le creature. Le hanno regalato due cardellini. Lei li ha messi in gabbia e spera di poter fare la nidiata. Senonché il tempo passa e la nidiata non viene; e qualcuno spiega alla badessa che forse la coppia non c’è, forse saranno due femmine, forse due maschi. Bisogna verificare il sesso. La badessa prende gli uccellini, comincia a investigare sotto le piume, soffia sulle piume, non ci si raccapezza; e ad un certo momento, spazientita, esclama: Viva la faccia del somaro, perché almeno si fa capire subito! (Viva ilarità).

C’è un apparente mistero in queste contradizioni interne della Democrazia cristiana, ma io credo di poterlo svelare. Il mistero è questo: la Democrazia cristiana è un grande partito borghese, un inconscio partito qualunquista, che sfugge alla direzione dell’onorevole Tieri. Ed ecco la ragione di certa sua incoerenza. Praticamente questo grande partito ha avuto nelle ultime elezioni del 2 giugno una grandissima quantità di voti che erano nostri, e li ha avuti per una ragione molto semplice: perché noi eravamo troppo nuovi, noi non inspiravamo la necessaria fiducia. Il pubblico voleva quello che volevamo noi, ma non era ancora sicuro di noi, non aveva ancora capito bene. In più grazie alla campagna dei nostri avversari e anche di qualche nostro buon amico (perché tutti ci hanno aiutato in questo), credeva che fossimo fascisti, squadristi, che facessimo parte di una aristocrazia passata, d’una oligarchia di ieri; ha approvato la nostra idea, ma si è detto: votiamo per della gente che ci dia maggiore sicurezza. E oggi, sotto la pressione di questi voti che questo grande partito ha raccolto, esso ripiega sulle posizioni dove fatalmente doveva venire e dove noi li abbiamo richiamati fin dal 24 giugno dell’anno scorso, quando dicemmo che la sola Democrazia cristiana doveva assumere il potere e lasciarci fare in pace la Costituzione: oggi non avremmo la crisi presidenziale e avremmo finito la Costituzione.

Ma ci sono altri partiti nella destra, dove noi militiamo per ragioni di ubicazione. Ci sono i liberali. Sono note le nostre polemiche coi liberali. È nota la lunga, complicata, estenuante storia dei tentativi di intese che abbiamo cercato di stabilire coi liberali. Abbiamo fatto coi liberali delle fruttifere esperienze elettorali, che non ripeteremo, perché abbiamo imparato abbastanza e adesso ne sappiamo quanto loro.

Anche i liberali ostentano di non conoscerci. Sul Risorgimento Liberale alcuni giorni fa c’era un articolo, firmato molto bene, nel quale si avvertiva che eravamo in presenza di tre futuri partiti di massa, i liberali, i repubblicani e i socialisti saragattiani. Noi probabilmente siamo una élite, un’accolta di intellettuali, di cervelli di primissimo ordine, ai quali non toccano le masse. Evidentemente noi prenderemo il posto di quello che è oggi il partito liberale, mentre il partito liberale prenderà il posto nostro. Comunque la divisione fra noi e i liberali è concettuale. Il nostro liberalismo non è estremista. Noi non conosciamo, per esempio, la libertà di uccidere la libertà. Noi esigiamo la libertà di commercio, ma non concediamo la libertà di speculazione. Noi pretendiamo la libertà di arricchire, perché la Nazione ricca è fatta da cittadini ricchi, ma non consentiamo la libertà di arricchire immiserendo la comunità.

La libertà per noi, onorevole Scoccimarro, non è un sentimento. La libertà per noi è una scienza, che dovrebbe essere coltivata come il diritto, non costituisce un anarchico impulso del cuore, che vorrebbe essere libero a qualunque costo, magari contro i propri interessi, contro la libertà degli altri. La libertà deve essere studiata, pensata, inquadrata. Il diritto ha i suoi maestri. Li ha avuti nell’antica Roma, che fa splendere ancora di buonissima luce il nome d’Italia, la scuola d’Italia. La libertà non ha questa scuola. Noi ci auguriamo che possa nascere dopo questa catastrofe, la cui causa remota, ma sostanziale, è stata la mancanza di libertà.

Dopo i liberali, noi dobbiamo esaminare alcuni altri nostri compagni di destra. Parlo di certi speciali monarchici. Noi abbiamo dei monarchici nell’Uomo Qualunque, dei quali ci onoriamo: il generale Bencivenga, il gruppo dell’Italia Nuova, la signora Penna, Selvaggi, Perugi: sono monarchici che hanno accettato l’agnosticismo istituzionale dell’Uomo Qualunque. Noi pensiamo che il Paese debba essere al disopra di qualsiasi nostalgia di istituzioni, i cui aderenti e credenti sono nei nostri ranghi a collaborare con noi e rispettandoci come noi li rispettiamo. C’è un altro monarchico, un po’ violento (Accenna all’onorevole Benedettini – Ilarità), ma comunque è di quelli che mordono meno. Ma c’è una categoria di monarchici, che chiamerei «trans-benedettinici», perché vanno al di là del nostro benedetto amico.

Onorevoli colleghi, io ho avuto molte ingiurie nella mia vita politica di cui molti di voi sono autori; ma da nessuno di voi ho avuto la somma di contumelie ed il luridume di contumelie che ho avuto da giornali monarchici «trans-benedettinici». Ciò che ho avuto da voi e dai democratici cristiani è stato comunque uno scambio di contumelie. Io per voi non ho fatto niente: ho cercato di danneggiarvi; conto di danneggiarvi ancora; spero di portar via molti posti alla Democrazia cristiana e a voi. I monarchici invece si sono giovati di quella che è stata la nostra prima e disperata azione. Il loro atteggiamento verso di noi assume dunque un aspetto non simpatico. Non voglio dire con questo che la vostra lotta sia simpatica: voglio dire che la loro lo è di meno.

Alcuni giorni fa sono andato al teatro Quirino, invitato dalla figlia dell’onorevole Orlando, per parlare alle donne romane. Si tratta di un’associazione apolitica di donne, almeno si dichiara tale. Sono stato invitato, come lo sono stati l’onorevole Lucifero ed altri. Non potevo non andare e ci sono andato volentieri. Bene: al «Quirino» quei monarchici «trans-benedettinici» – che vanno oltre l’onorevole Benedettini – avevano organizzato una solenne fischiata per me. Ora io domando: che bisogno c’era di fischiarmi? C’è voluta tutta l’autorità di quelle buone dame, di quelle distinte signore della buona società romana, per impedire che si commettesse quello che sarebbe stato un atto di cattivissimo gusto: invitare una persona per il piacere di fischiarla.

A questo punto, è logico che ci si domandi: perché votate con loro? Lo spiego subito: è qui la logica politica del Fronte dell’Uomo Qualunque. Nelle nostre condizioni attuali, nella nostra formazione numerica di gruppo parlamentare, non possiamo preoccuparci «con chi» votiamo, ma a «favore» di chi e «contro» chi votiamo. Non ho bisogno di molte parole per dire che, votando oggi per questo Governo della Democrazia cristiana, noi votiamo a favore di un esperimento che abbiamo auspicato e che si deve fare, e contro un esperimento che si è fatto e che secondo noi è fallito. Noi votiamo contro il socialismo. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Lo sapevamo.

GIANNINI. Calma! Io più cordialmente di così non posso parlare. Noi votiamo contro il socialismo, di cui il comunismo è il tentativo di realizzazione più esasperata, mentre il Partito socialista dei lavoratori italiani ne è il tentativo più moderato. Non respingiamo l’ideologia comunista. Abbiamo sempre votato contro di voi; oggi noi continuiamo a votare contro di voi: non abbiamo cambiato. Perché siamo contro di voi? Perché, secondo noi, il socialismo si tragicizza nella sua impossibilità di realizzarsi. Noi condanniamo molti principî; non condanniamo i vostri perché essi sono sani, onesti e oserei dire lucenti, ma ne condanniamo l’applicazione, che prescinde dalla realtà ed esige ciò che non esiste: una umanità virtuosa. Noi crediamo che bisogna fondarsi sui difetti dell’uomo e dell’umanità e non sulle sue virtù, più sulle sue debolezze che sulle sue così dette forze.

Il vostro Stato centralizzato, che a tutto provvede, è un’ingenua amplificazione dell’istituto del padre di famiglia, istituto rispettabile, ma del quale tutti i difetti sono riscattati dall’amore del padre verso i figli. Lo Stato non ha amore verso i cittadini. E allora tutti i difetti di questa oppressiva paternità, che voi volete nello Stato centralizzato, non sono riscattati da un amore, da un sentimento affettuoso.

Non c’è niente di più giusto, teoricamente, del controllo statale, anche sulle attività dei singoli, sulle più piccole attività. È giusto teoricamente che ci siano delle Sepral, per dare a ciascuno il suo, per assicurare a tutti un nutrimento, un trattamento uguale. Ma, in pratica, noi leggiamo ogni giorno fatti come quello che ho appreso dalla cronaca dei giornali di stamani: «Un colonnello dei carabinieri incettava e vendeva farina. Anche dei militi e dei contadini denunziati». Mi auguro che la notizia non sia vera, che sia stata amplificata, come l’ha amplificata un altro giornale con questo titolo: «Grosso scandalo a Firenze: un colonnello dei carabinieri arrestato per traffico di farina; due vice brigadieri ai suoi ordini, la merce trasportata con gli automezzi della Legione di Bari, venduta ad una fabbrica di biscotti».

A me, vecchio ufficiale di complemento, che pur feci nove anni di guerra, ripugna l’idea di un ufficiale, che si sia macchiato d’un simile reato. Ma il reato maggiore è forse nel vincolismo, che spinge questo funzionario per avidità di guadagno o per una profonda tragedia che non conosciamo e che non siamo in grado di valutare, su una via disonesta. E non è un caso isolato. Il caso isolato è che egli sia stato scoperto e colto con le mani nel sacco. Ma, di fronte a questo colpevole scoperto, onorevoli colleghi, quanti ce ne sono, che non saranno mai scoperti, che hanno creato una complicatissima rete di complicità, la quale alle volte affonda le radici in basso, ma spinge i rami ed i pampini verso altezze insospettate!

Economia controllata; è giustissima, teoricamente; ma, onorevoli colleghi dell’estrema sinistra, quest’anno noi avremo un misero raccolto di grano. E questo perché? Perché i coltivatori di grano trovano più conveniente coltivare altro, che dia maggiore reddito di questo grano, tanto prezioso, che, però, non è pagato abbastanza. Io non so, mi è stato riferito, ed ho controllato alla meglio perché, disgraziatamente per me, non sono uno speculatore; pur essendo persona intelligente, non sono mai riuscito a speculare. Ma c’è una faccenda, che riguarda i dollari di importazione, che mi è stata spiegata molto bene.

I cittadini italiani residenti all’estero, gli stranieri che trascorrono un certo periodo di tempo in Italia, hanno diritto di entrare nel nostro Paese con una quantità incontrollata ed illimitata di valuta estera, che possono spendere in Italia. E ciò è giusto. Mi fermo al dollaro, perché la mia scienza finanziaria è limitata.

Dunque, questo dollaro, così detto di importazione o di esportazione, è pagato in questo momento circa 840 lire; in borsa nera lo si prende a 700. Basta che arrivi uno dei nostri amici dall’estero, basta andargli incontro all’aeroporto, portando in tasca 10 mila dollari, che possono anche consistere in 10 biglietti da mille dollari, arriva l’amico, lo si abbraccia, gli si fanno scivolare in tasca i diecimila dollari e guadagnando 140 lire a dollaro su quei diecimila dollari, si ha un guadagno, in pochi minuti, di un milione e 400 mila lire.

A chi potrebbe non fare gola un guadagno di questo genere, così facile, così comodo? Da che cosa nasce? Dal vincolismo, da quella che è chiamata economia controllata, pianificazione e che è tirannide. L’autarchia fascista che cosa era se non una economia controllata, una economia la quale era diretta dallo Stato a fini politici che interessavano lo Stato e non il Paese?

Dice: non si deve fare l’imbroglio del colonnello dei carabinieri, non si deve fare l’imbroglio dei 10 mila dollari. Voi vorreste avere degli angeli, vorreste avere dei cittadini con delle alucce dietro la schiena; ma non ci sono, non ci sono questi cittadini.

Io credo di essere una persona per bene, ma è certo che se mi capitasse di guadagnare un milione e 400 mila lire senza fare nessuno sforzo, non so se mi tratterrei. E allora da questa situazione scaturisce un altro fatto: che non si lavora più utilmente, perché non conviene più la fabbrica, non conviene più l’officina, non conviene più lo «scagno» genovese o la bottega napoletana; conviene la speculazione; si vuol guadagnare subito, si vuole raccattare il reddito immediatamente, si vuole guadagnare il cento per cento, rifare il capitale immediatamente e considerare tutto il resto come guadagno sul velluto, come valuta che si miete. Tutto ciò nasce da questo stato che io direi di eretismo finanziario, che, con il vincolismo, si è creato non soltanto in Italia, ma in tutti i Paesi.

Un produttore cinematografico inglese che, beato lui, ha fatto delle gran belle pellicole, che gli sono andate molto bene, è venuto ad invitarmi a lavorare con lui.

Gli ho detto che non potevo. Allora mi ha domandato che cosa guadagnassi facendo il deputato e il giornalista. Io glielo ho detto, e gliel’ho detto con un certo orgoglio, come per dirgli: che bei passi da gigante ho fatto!

Egli mi ha risposto pietosamente: «What are you doing in Itaty? Come along where you belong! (Cosa stai facendo in Italia? Vieni dov’è il tuo posto).

Ora, anche sul mercato internazionale del film il vincolismo consente guadagni enormi e perdite enormi. Tutto ciò nasce da questo sbilancio, da questa coazione, da questo aver voluto chiudere tutte le industrie, tutti i commerci, tutte le attività, tutte le possibilità umane in una specie di campo di concentramento, in un reticolato ideale, dal quale nessuno può uscire, e allora tutti quanti si sono messi a fare il contrabbando e poiché c’è gente intelligente, si specializza nel contrabbando e c’è chi eccelle e fa fortuna smoderata, come quella del milione e 400 mila lire (è un’idea fissa, quella mia, del milione e 400 mila lire) guadagnati in pochi minuti, che si risolvono effettivamente a danno della collettività, perché il danno della collettività non è dato dal guadagno dell’agricoltore che produce, dall’utile che può ricavare l’armatore che fa navigare la nave, ma dal super-utile della speculazione. Sono queste grosse fette, che la speculazione taglia nella carne viva della gente, le cause della crisi, che si ripercuote nell’economia generale.

Ora, esasperati dal non veder realizzate queste vostre, peraltro, nobili idee di giustizia sociale, di perequazione, di livellamento e, in un certo senso, anche di umana e cristiana pietà – perché a tutti dispiace vedere gli altri soffrire, tanto è vero che facciamo di tutto per andare incontro alla sofferenza, magari con l’elemosina, che è un volontario tributo che paghiamo a chi è più disgraziato di noi – esasperati dal vedere la non realizzazione di queste idee, alle quali voi credete, ve la pigliate con tutti gli avversari, ed invece di accusare la natura umana, accusate coloro che sono d’accordo con voi ed allora insieme al controllo economico ed al controllo finanziario, voi finite per chiedere il controllo politico, il controllo di polizia, perché finalmente e giustamente – (lo hanno detto alcuni vostri oratori) – vi siete resi conto che la vittoria politica è poco e niente, se non c’è anche la vittoria su quelle che sono le reali forze economiche del Paese.

A questo punto il nostro spirito si ribella e dice: No; io posso esservi grato di volermi fare del bene; posso studiare con te il modo di realizzare questo bene nel modo migliore, non posso permetterti di volermelo fare per forza. Il bene fatto per forza non è più bene. È su questo conflitto che si basa la vostra intolleranza e la nostra opposizione. Noi vogliamo la pacificazione. Anche voi dite di volerla, ma non disarmate il vostro spirito.

Io ricordo, con un certo senso di umorismo, che, fra le accuse che un epuratore di sinistra mi fece all’epoca in cui mi si voleva epurare non so di quale peccato fascistico, c’era questa accusa: scrisse delle brutte commedie!

Ora io non vedo perché dovrei essere biasimato per aver scritto delle commedie che altri trova brutte.

Una voce. Non sei il solo. C’è in materia un precedente shakespeariano.

GIANNINI. Il Signore mi ha dato questo ingegno. Io non posso andare al di là e scrivo le commedie che so scrivere.

La prova di questo vostro settarismo è stata fornita anche oggi dall’onorevole Nenni, che ha contestato la legittimità di questa nostra maggioranza. Ma se è una maggioranza, come fa a non essere legittima? Non siamo stati eletti al pari di voi? Non abbiamo i vostri stessi diritti? Non rappresentiamo anche noi delle categorie (voi dite: «classi») del popolo italiano?

In questa vostra pretesa c’è un legittimismo che per fortuna è soltanto comico, ma può diventare grave e tragico in quanto si infiltra nelle masse che ne rimangono dolorosamente persuase.

Ed a proposito di questa pacificazione, io voglio ricordare uno degli episodi forse più interessanti della mia vita di giornalista: la polemica che ho avuto con l’onorevole Togliatti. Io dissi, in quella polemica, per giustificare il fatto di averla iniziata: il comunismo è una realtà, il comunismo è un partito, è una forza politica che si può o sterminare o col quale andare d’accordo. Credevo di non sbagliare. Credo di non avere sbagliato, e si finirà per riconoscere che non ho sbagliato. Ora io dico a voi: ci sono dei residui dell’altro regime. Quelli di voi che mi conoscono personalmente, sanno che io non c’entro con quei residui. Ho preso le difese di chi credevo minacciato e maltrattato e che in passato aveva minacciato e maltrattato me, perché ho sempre vissuto così: mi è sempre piaciuto di battermi per quelli che erano caduti e per quelli che erano più deboli.

Quello che ho detto per voi, lo dico per questi residui. Ci sono. Cosa volete fare? Li volete sterminare? Non è possibile, e allora lasciate che vivano. Abbiamo molti di questi uomini, che sono ancora molto giovani, che non sono in galera e non sono nei campi di concentramento, contro i quali pende, più che altro, un’accusa di localismo, perché è nel loro paese che sono conosciuti, nel loro angoletto hanno fatto, se l’hanno fatto, qualche cosa di male. Non tutti possono trasferirsi in altri paesi e non tutti possono cambiar professione e passare – che so io? – dal cinema al teatro, o dalla banca al commercio all’ingrosso dei generi alimentari. Ci sono degli individui nati per fare i calzolai, o per fare i barbieri e debbono fare i calzolai ed i barbieri e non impareranno mai a fare altro di diverso. Cosa volete fare di questa gente? Sterminatela subito e subitene le conseguenze; altrimenti, lasciatela vivere e fate che nel Paese ritorni un’atmosfera di pace in cui si possa lavorare insieme; perché non abbiamo mai – sappiatelo bene, signori della sinistra – posto pregiudiziali contro di voi e mai le metteremo, perché per noi, chiunque è eletto dal popolo, ha diritto di andare al Governo, diritto e dovere di collaborare all’amministrazione della comunità.

Ora, quali sono le ragioni per cui noi abbiamo voluto questo Governo omogeneo, questo Governo formato da un solo partito, con dei tecnici che spero diventeranno più numerosi e, principalmente, più tecnici in avvenire? Noi l’abbiamo voluto perché tendiamo ad un Governo che si occupi unicamente dell’amministrazione dello Stato, senza fare in esso della politica, perché, per fare della politica, fatalmente si arriva a fare politica di parte.

DI VITTORIO. Infatti questo Governo è apolitico!

GIANNINI. Onorevole Di Vittorio, se vogliamo fare una conversazione, andiamocene al caffè! (Si ride). È per questo che noi appoggiamo ed abbiamo appoggiato questo tentativo, che non è l’ideale, onorevole Di Vittorio, ma che è incamminato per la via sulla quale volevamo che si incamminasse. Noi non vogliamo stravincere e conquistare il Paradiso in un giorno. Ci accontentiamo: gli «uomini qualunque» non vogliono fare nessuna conquista integrale ed istantanea. D’altra parte, scusate, non comprendo perché voi vogliate andare assolutamente al Governo, e risentiate un tale, non dico dolore, ma un tale disappunto per non esserci. Signori, noi non siamo al Governo: non siamo centocinque, ma abbiamo ottenuto ciò che volevamo. Perché voi non dovreste ottenere ciò che noi abbiamo ottenuto? Se stare al Governo è un dovere ed una fatica, siamo lieti di non esserci, e di avere valorosi colleghi che lavorano per nostro conto, facendo quel Governo che noi vogliamo! (Applausi a sinistra). Il «nostro conto» è quello dell’«Uomo Qualunque»: noi non siamo in condizioni di poter mantenere un Governo. Vi ringrazio della vostra frenesia di applaudirmi questa sera. (Si ride). Vi sono molto grato, ma non vorrei che fossero applausi sbagliati: non c’è nulla di peggiore, perché gli applausi debbono arrivare al momento giusto. Noi non possiamo mantenere il Governo. Quando diciamo: «è un Governo che lavora per nostro conto», noi vogliamo dire che è un Governo che continua a fare una propaganda nel paese per conto dell’«Uomo Qualunque». (Applausi a sinistra). Non dovremmo fare la nostra propaganda? Dovremmo fare forse la vostra? (Commenti e ilarità a sinistra). Noi facciamo la «nostra» propaganda. Ora, se questo Governo riuscirà a dare quella tranquillità al Paese che noi auspichiamo, siamo certi che nel Paese si continuerà a dire quello che già si dice da tanto tempo: «Ma, questi dell’«Uomo Qualunque» hanno veramente ragione». Noi non vogliamo altro.

Ora, la ragione per cui voi fate tanto per stare al Governo, quale è? Ci sono forse vantaggi politici? Noi non siamo stati mai Ministri, e quindi non lo sappiamo; ma se ci sono dei vantaggi politici, allora altro deve essere il tono della vostra protesta.

Si parla del programma del Governo e si dice che il Governo ha un programma di sinistra che è accettato dagli uomini di destra. Non è vero niente. Prima di tutto, non abbiamo accettato nessun programma; noi non crediamo ai programmi, perché non vi è Governo, nelle condizioni attuali, che possa fare altro programma, al di fuori di quello di tirare avanti, giorno per giorno, per le poche settimane di vita che può vivere. (Si ride). Sento parlare di programma governativo, come se si trattasse, per l’onorevole De Gasperi, di rimanere al potere fino al 2000. Io non credo, onorevole De Gasperi, che lei voglia rimanerci tanto tempo; comunque, se ci riuscirà, lei certamente applicherà un programma e ce lo dirà dopo averlo applicato. Ma non credo che oggi, nelle condizioni del presente dopoguerra, nelle condizioni attuali della moneta, nelle attuali condizioni dell’industria, della indipendenza nazionale, sulla quale mi riservo di dire qualche parola, io non credo che si possa fare veramente un programma. Si vuole usare, anche in politica, una dizione sbagliata: «periodo transitorio». Tutti i periodi sono transitori, perché un periodo è sempre fra due periodi; ma questo è il più transitorio dei periodi che abbia avuto mai il mondo.

Sento parlare della vendita della nostra indipendenza a questo o a quello Stato. Innanzi tutto, non si vende ciò che non si ha; in secondo luogo, quali sono gli Stati indipendenti, non in Europa, ma nel mondo? Al mondo vi sono due Stati indipendenti: gli Stati Uniti d’America e la Russia Sovietica. Poi, c’è un altro Stato indipendente che è l’impero inglese, col suo Commonwealth, la cui indipendenza non mi sembra che sia uguale a quella degli altri due Stati che sono usciti vittoriosi da questa guerra. Gli altri stati nazionali di Europa, e fuori di Europa, di quale indipendenza godono? Godono indipendenza quei paesi, sia dell’America, sia dell’Europa, sia dell’Asia i quali sono compresi nell’area, diciamo così, del dollaro e della sterlina? Quei paesi, possono fare quello che vogliono? Potrebbero domani rifiutarsi di entrare in una guerra nella quale non volessero entrare, o fare una guerra per conto proprio? Non vi è nessun paese che possa far questo. Hanno forse indipendenza gli altri paesi dell’Europa Orientale? Non l’hanno. Allora, io non mi preoccuperò tanto di questa indipendenza, che non esiste, e che mi pare sia tirata fuori solamente in occasione di crisi ministeriali. Noi non siamo indipendenti ed ho paura che non lo saremo mai più, perché la politica nazionale deve sparire, perché gli Stati nazionali sono finiti. Noi non possiamo fare che una politica continentale.

Oggi l’Europa si attraversa in poche ore, oggi l’Atlantico si attraversa in poche ore, oggi ci sono armi formidabili, alle quali non si può opporre che lo spirito, che è indistruttibile; oppure armi di eguale potenza, ed allora è perfettamente inutile farne di potenza inferiore.

L’indipendenza, come è intesa nel senso quarantottesco dello Stato nazionale, onorevoli colleghi, non solo dell’estrema sinistra, ma di tutta l’Assemblea, quella indipendenza non esiste più: e chi si illude su quella indipendenza fa molto male ad illudersi, perché danneggia se stesso ed il suo paese.

Noi abbiamo bisogno di andare avanti, di costruire il nostro Stato in pace, in tranquillità, in laboriosità: il programma non è niente, il programma è uno solo, quello di riedificare la casa, ripulirla di tutto il materiale crollato, richiamarvi tutti gli abitanti, riaffratellarli, dimenticare il passato. Molti di noi portano ancora il lutto e lo porteranno sempre nel cuore: bisogna avere la forza di dimenticare il passato, e chi non l’ha dimenticato prima di noi, è caduto perché non ha saputo dimenticarlo.

L’essere generosi contiene una forza ed una spiritualità che vengono veramente da Dio, che possono dare tutte le vittorie, perché presuppongono tutte le soggezioni.

Vorrei dire due parole particolarmente dedicate all’onorevole Di Vittorio, che è sempre preoccupato dei poveri. Io lo ringrazio, perché anche io faccio parte di questa categoria, se per povero s’intende – oggi – non avere che poche decine di migliaia di lire.

C’è una frase che si ripete tanto spesso, sul dovere dei ricchi di pagare. Ma, signori, chi paga sono i ricchi, perché chi non ha non paga. Noi lo vediamo: e principalmente non paga nessuno, perché il sistema delle imposte è applicato in un modo così bestiale, che nessuno paga le tasse. (Commenti a sinistra). Ora, la nostra situazione non ha precedenti, non troviamo insegnamenti nella crisi dell’«assegnato» francese e nemmeno in quella che fu l’inflazione germanica. Questi professori di economia, ai quali mi inchino, finiscono sempre per darsi torto l’uno con l’altro, non riescono mai ad andare d’accordo, hanno ciascuno una loro particolare scienza, una loro particolare certezza di esattezza finanziaria. Questi professori polemizzano tra loro; ce n’è perfino qualcuno il quale ritiene che l’inflazione sia un bene, allo scopo di ramazzare tutto quel superguadagno che certe categorie non meritevoli hanno fatto ed hanno tesaurizzato. Non so se l’illustre professor Del Vecchio mi tirerà le orecchie, per essere io entrato nel suo campo; comunque, questa intrusione l’ho fatta da dilettante e spero che egli mi perdonerà.

Ora, cosa noi chiediamo a questo Governo? Che esso amministri in pace il paese, e che rinunzi al suo programma di appariscenze. L’onorevole De Gasperi ci ha promesso troppe cose, eppure da parte vostra (Accenna a sinistra) è rimproverato di non aver promesso abbastanza. Se volessi fargli un appunto, gli direi: «Caro Presidente, lei ha promesso troppo, non esageri, non ci dia troppa ricchezza! (Si ride). Lei, per esempio, ci ha detto perfino che si poteva rivalutare la lira! Per carità, Presidente, non la rivaluti! Impedisca che si svaluti di più, ma non la rivaluti, la tenga ferma, perché l’importante è che la moneta sia ferma, non che sia rivalutata».

Per poco che io me ne intenda, la rivalutazione non è un guaio minore della svalutazione, perché, se si rivalutasse la lira, cominceremmo a non capire più nulla dei valori che ormai, bene o male, possediamo.

E veniamo ad un punto che mi pare interessi particolarmente i colleghi dell’estrema sinistra, i quali ne hanno parlato varie volte e che, in certo senso, ha impressionato anche me, di solito non impressionabile. Si dice che questo Governo sia molto pericoloso per le prossime elezioni politiche.

Una voce a sinistra. Lavora per voi.

GIANNINI. Bisognerebbe allora ammettere che il Governo possa influire sulle elezioni politiche. (Commenti a sinistra). Ma se è così, domando che cosa è successo nelle elezioni passate (Vivi applausi a destra), perché noi siamo qui in trentadue, e avremmo potuto esservi in centocinquanta.

Una voce a sinistra. Erano sei partiti al Governo!

GIANNINI. Ora, osservo che, se un Governo ha potuto influire sulle elezioni politiche, non vedo perché il mio ottimo amico Romita non mi abbia portato via, quando era Ministro dell’interno, una buona messe di candidati. Io ho ringraziato Romita nel mio primo discorso, perché ho avuto 32 eletti, ma oggi incomincio ad accorgermi che forse ne avrei potuti avere molti di più.

ROMITA. No, no.

GIANNINI. Onorevoli colleghi, permettetemi di dirvi che non credo che, in regime di suffragio universale, un Governo possa influire sulle elezioni. Potrà, tutto al più, fare un imbroglio in una città o in un’altra…

Una voce a sinistra. E grazie!

GIANNINI. …ma, quando gli elettori incominciano a diventare venticinque o trenta milioni, non è possibile: si potrà magari alterare il risultato di qualche referendum, perché la scheda è semplice (Applausi a destra): non c’è che un sì o un no; ma alterare profondamente i risultati di un’elezione politica, oggi, con il suffragio universale, non è possibile; tanto vero che varî partiti di massa hanno incominciato a rivedere il proprio atteggiamento di fronte al suffragio universale, che noi invece vogliamo. Voi l’avete voluto, adesso dividiamocelo.

Le ragioni che inducono la Democrazia cristiana, nostra alleata nel sostenere valorosamente questo Governo, a combatterci, noi le troviamo precisamente nella certezza che le elezioni oramai si vincono, riuscendo a persuadere il pubblico dell’eccellenza e della superiorità del proprio pensiero politico.

Ecco la ragione per cui il grande partito qualunquista inconscio ha paura di quello effettivo (Si ride) e lo avversa in tutti i modi e in tutte le forme. Noi ce ne vendichiamo appoggiando il suo Governo, certi che da questo esperimento uscirà la nostra maggiore vittoria.

Voglio darvi un’altra prova, onorevoli colleghi dell’estrema sinistra, dell’impossibilità attuale, da parte di un Governo, di manovrare le proprie elezioni: in Ungheria, dove c’è l’armata rossa, i comunisti, nelle elezioni, hanno riportato il diciassette per cento dei voti. Ora, se i poteri, se l’armata, se insomma quelli che sono i mezzi di Governo, in mano a chiunque essi siano, amico o nemico, nazionale o straniero, valessero qualche cosa nel suffragio universale, io non credo che i Russi, a Budapest, avrebbero permesso che i comunisti conquistassero solo il diciassette per cento dei voti.

Voi mi direte che lo hanno fatto perché sono fior di galantuomini, e io non saprei che cosa rispondere a queste vostre argomentazioni. (Ilarità a destra – Commenti).

D’altra parte, onorevoli colleghi, io vi dico che se questa, per me improbabile, impossibile, irrealizzabile truffa governativa si realizzasse; se noi avessimo le prove che questo Governo, o un altro Governo liberticida, impedisse la manifestazione della vera volontà popolare nelle elezioni, noi prenderemmo le armi e saremmo al vostro fianco per abbattere questo Governo con tutti i mezzi. Non ci lasceremmo certamente sopraffare nella lotta elettorale.

Passo ai quattordici punti dell’onorevole Morandi. Di questi punti si è enormemente parlato: c’è chi ne ha una paura matta; c’è chi li esalta. Io, allora, ho fatto come faceva l’abate Galliani: mi sono andato «a leggere la materia», e mi sono letti questi quattordici punti. Beh! dico la verità, non mi pare che ci sia niente di straordinario. Non so perché ci si affanni tanto a volerli respingere, e non so nemmeno perché ci si affanni tanto a volerli accettare. A me sembra che in questi quattordici punti non ci sia assolutamente niente di anormale. Il primo: «Procedere entro il più breve termine all’eliminazione degli oneri che il Tesoro sopporta per effetto dei prezzi politici». Che male c’è? E così tutti i quattordici punti, che io non voglio leggervi, perché non sarebbe di buon gusto da parte mia criticare il lavoro di un collega, al quale lavoro mi sono accostato semplicemente perché ha acquistato una grande importanza politica. Ma ripeto, onorevoli colleghi, non ci trovo nulla di enorme; ci trovo, sì, «lo spirito» col quale essi possono essere applicati; perché questi quattordici punti potrebbero essere applicati indifferentemente dall’onorevole De Gasperi, dall’onorevole Benedettini, dall’onorevole Mazza, dall’onorevole Togliatti, dall’onorevole Gronchi, da tutti: solamente che ciascuno, applicandoli, li applicherebbe, forse, in modo diverso. Quindi, probabilmente, non sono i quattordici punti per cui voi strepitate, ma per la loro applicazione; quindi ricadete in quello che vi si è sempre rimproverato: la vostra ingiustizia settaria. Voi volete aver ragione per forza; e per forza non potete averla.

Noi, dunque, in questo che è il programma del Governo, sia in quattordici punti, sia in più, sia in meno, non possiamo attenerci che al provvisorio e al contingente, per la fatale soggezione in cui, non solo noi, ma tutto il mondo è tenuto dai due giganti che oggi comandano. E allora, ci limiteremo a fare qualche raccomandazione all’onorevole Presidente del Consiglio; perché, quando gli vogliamo chiedere qualche cosa, noi gliela chiediamo apertamente nell’Aula, non nei corridoi.

Innanzitutto, di fare quanto più è possibile per questa pacificazione degli animi, signor Presidente del Consiglio, perché anche la lira, la così detta salvazione della lira, è in funzione non solamente di importazioni, di esportazioni, di produzione, di consumo – chi sa perché, tutti quanti dimenticano sempre che c’è un consumo – ma è anche una questione di tranquillità interna, di pace sociale. Trovi il modo, Presidente, faccia quello che può; preghi Dio, lei che è così religioso (Si ride): trovi il mezzo per cui si possa finalmente chiudere una discussione annosa e ormai sorpassata. Ci sono tombe su cui sono nati dei fiori: non disturbiamole più; lasciamole tranquille.

La salute pubblica. Ho saputo, e ne sono rimasto veramente colpito, che in alcuni istituti statali, specie nei tubercolosari, c’è un sistema che nasce anche dalla crisi degli alloggi: gente guarita che non esce; gente malata che non può entrare; imposizioni di commissioni interne, imposizioni di medici, imposizione di fuori, imposizioni di dentro.

Presidente, pensi a questo: che la massima aliquota di tubercolotici è data dai lavoratori manuali, dalla gente povera, impossibilitata a curarsi! È peccato mortale lasciarla alla mercé di gente, la quale ha fatto dell’assistenza un mestiere e non ha più cuore, non ha più animo e vede solo un interesse, in quella che è l’assistenza.

Moneta: ho già esposto il concetto della rivalutazione. Desidero dire qualcosa sul cambio della moneta. Guardi, Presidente: mille lire e dieci lire. Gliele mostro. Faccia il cambio della moneta e riduca le proporzioni del biglietto da mille alle proporzioni del biglietto da dieci, perché tanto vale.

È un fatto psicologico. Noi diamo alla fine del mese o della settimana dei fasci di questi biglietti ai lavoratori, alla gente che lavora per noi. Abbiamo redattori, impiegati, tipografi, ai quali diamo trenta, quaranta affaroni di questi alla fine del mese o della settimana, e crediamo di dare tanto e non diamo niente, e questa gente è costretta a far debiti e a rimandare i suoi pagamenti e, insomma, a dare ragione a Di Vittorio, perché questa gente deve campare! Se noi dessimo soltanto cinquanta bigliettini di questi (da dieci) anziché di questi (da mille), noi, forse, finiremmo col considerare con maggiore equanimità il compenso dovuto a gente che lavora per noi.

C’è un’organizzazione bancaria – (mi dispiace che non sia presente l’onorevole Einaudi) – l’organizzazione bancaria del Mezzogiorno: Banco di Napoli e Banco di Sicilia. Ho sentito parlare di trattative, di riordinamento di quella che deve essere l’organizzazione bancaria del Sud.

Signor Presidente, noi dobbiamo pensare a questo: il Mezzogiorno d’Italia oggi è la retrovia dell’Europa, ma principalmente la retrovia dell’Italia. Noi abbiamo bisogno di avere nel Mezzogiorno le industrie del Nord. Non vi dico di spiantarle dal Nord ed impiantarle nel Sud, ma, se parlassi inglese e potessi creare un verbo, direi di «succursalizzare» nel Sud queste industrie del Nord. Noi abbiamo bisogno di impiantare da Napoli in giù, dal Garigliano in giù, in Calabria, in Puglia, in Basilicata, in Sicilia, in Sardegna, per lo meno delle succursali delle nostre grandi aziende industriali, perché possiamo trovarci da un momento all’altro privi della possibilità di valerci delle industrie della Valle padana. Noi abbiamo bisogno almeno di una fabbrica di automobili in Sicilia, abbiamo bisogno della valorizzazione di tutto il patrimonio minerario silano, abbiamo bisogno di creare un’ossatura industriale, ferroviaria, stradale, portuale principalmente, nel Mezzogiorno d’Italia! La storia d’Italia ha sempre profondamente cambiato a seconda delle sue invasioni. Noi abbiamo avuto invasioni dal Nord: abbiamo avuto quella storica dei Galli, poi abbiamo avuto l’invasione degli Sciti, di Annibale, tante invasioni! Dal Sud abbiamo avuto tre sole invasioni, che hanno sempre e profondamente modificato la struttura del nostro paese: abbiamo avuto l’invasione di Pirro, quella precedente dei Greci e quella di oggi degli Anglo-Americani. È un fatto enorme che l’Italia sia stata invasa dal Sud!

Una voce. L’invasione dei Saraceni.

GIANNINI. Già, dimenticavo: quella dei Saraceni.

È un fatto enorme che può avere conseguenze formidabili. Noi dobbiamo tenerci pronti, a meno di non sacrificare tutto il nostro paese, in quella che può anche essere una rapida avventura militare; dobbiamo tenerci pronti a valorizzare quella che è la catena appenninica, perché le Alpi non le possiamo valorizzare; ne abbiamo mezzo versante soltanto, e in certi punti anche meno.

E allora, se avremo bisogno di un bottone, o di una maniglia di porta, o di una bicicletta, signor Presidente, non dobbiamo essere costretti ad andarla a comprare oltre Oceano. Dobbiamo essere in condizioni di poterla produrre nel Sud. Nel Sud c’è una popolazione illustre, non indegna delle popolazioni del Nord. È una popolazione agricola, ma saprà adattarsi alle nuove esigenze, e d’altra parte non si esclude che i fratelli del Nord, più capaci di stare alle macchine, possano venire ad insegnare a quelli del Sud ciò che è necessario che essi apprendano.

C’è il piano Marshall. Io credo di poter rivendicare di essere uno dei primi, e di quelli che hanno più lavorato, per la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa. A mie spese ho fatto una Rivista, l’Europeo Qualunque, una pubblicazione molto importante che si occupa esclusivamente degli Stati Uniti d’Europa. Nel numero del mese di luglio, signor Presidente del Consiglio, vi si dà una notizia che pochi sanno: la notizia che tutti i Parlamenti di Europa hanno aderito, con una certa aliquota, alla conferenza preliminare e quindi all’idea degli Stati Uniti d’Europa. Il Parlamento belga ha aderito col 33 per cento dei suoi membri; gli altri Parlamenti hanno aderito con una percentuale minore. La percentuale di adesioni del Parlamento italiano è del 55 per cento: la più alta di tutti i Parlamenti europei. Noi sentiamo profondamente in Italia il bisogno della ricostituzione di quello che fu il grande Stato europeo, che noi dominammo e lo dominammo come sempre abbiamo dominato in passato, ossia insegnando e civilizzando. Noi abbiamo creato questo grande Stato europeo che si chiamava Impero Romano, alla testa del quale ci sono stati anche dei negri, degli asiatici: abbiamo avuto imperatori di origine nordica, di origine spagnola. L’aspirazione universalistica della nostra gente era tale che fin da allora prevedeva la possibilità che il mondo, tutto il mondo allora conosciuto, fosse riunito in un grande Stato.

Gli Stati nazionali oggi non vivono più. Oggi è ridicolo e criminale voler impiantare dei conflitti su un fiume, su una montagna, su un golfo, alle volte su pretesti ancora più frivoli, ancora meno consistenti, e che pur possono portare all’eccidio, alla rovina, al saccheggio, a quello che noi abbiamo visto nel nostro Paese quando è stato liberato, sì, liberato, ma con troppa energia e da liberatori in un certo senso ancora troppo selvaggi, ancora incapaci di comprendere qual era la nobiltà del Paese che avevano l’onore di essere stati chiamati a liberare.

Noi vorremmo che non si ripetessero più queste tragedie, o che, almeno, non si ripetessero per dei piccoli motivi. Io quindi vi prego, signor Presidente del Consiglio, e prego l’onorevole Sforza, che so benissimo come non condivida tutte le mie idee, ma qualcuna credo di sì, io vi prego di cercare nel vostro patriottismo illuminato se è possibile compiere al più presto un gesto significativo e decisivo verso questa grande costruzione degli Stati Uniti d’Europa, costruzione dalla quale non deve essere escluso nessuno Stato europeo.

Non dobbiamo fare questi Stati Uniti d’Europa per metterci al servizio di un continente o di un altro: dobbiamo costituire questa grande unità, dobbiamo ricostituire questo grande impero latino di un tempo, con l’idea di ricostituire tutta l’Europa, e quindi anche con gli Stati orientali d’Europa, anche con gli Stati scandinavi e nordici, senza nessuna esclusione e senza nessun proposito aggressivo verso chicchessia.

Il 21 settembre dell’anno scorso, quando ebbi l’onore di parlarvi la prima volta a braccio sciolto, vi esortai a mettervi d’accordo. Vi esortai a unirvi per la salvezza del nostro paese e vi dissi anche che da questa unione sarebbe venuta la nostra morte; perché noi siamo vivi appunto in funzione della vostra disunione, della vostra incapacità di andare d’accordo. Io vi invitai a questo accordo a nome del mio gruppo, con spirito sinceramente suicida, disposto a non ritornare in questo Parlamento, purché voi vi accordaste e insieme salvaste il nostro paese. Vedo che non è possibile. L’accordo tra voi non è realizzabile; e allora io devo finire il mio discorso, in maniera perfettamente opposta a quella con cui terminai quello del 21 settembre. Noi, dunque, ci proponiamo di combattervi con la massima lealtà nelle prossime elezioni, di battervi e di ritornare in questa Assemblea nel numero necessario per instaurare realmente un vero Stato amministrativo qualunquista, che deve portare al riscatto del nostro Paese e, possibilmente, alla libertà per tutto il vecchio continente. (Vivi applausi a destra – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Avverto gli onorevoli colleghi che vi sono ancora sette oratori iscritti a parlare, oltre ai presentatori degli ordini del giorno. Il seguito della discussione è pertanto rinviato a domani alle 10, avvertendo che vi sarà seduta anche alle 16.

La seduta termina alle 1.10.

Ordine del giorno per le sedute del 20 giugno 1947.

Alle ore 10 e alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.