Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLVII

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Per le accuse mosse al Ministro dell’interno:

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Scoccimarro                                                                                                    

Cerreti                                                                                                             

Togliatti                                                                                                          

Patrissi                                                                                                             

Votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Nenni                                                                                                                

La Malfa                                                                                                          

Di Vittorio                                                                                                       

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Giannini                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli Varvaro, Corsanego, Canevari, Natoli, Porzio.

(Sono concessi).

Per le accuse mosse al Ministro dell’interno.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha chiesto di fare le dichiarazioni da lui preannunciate nella seduta del 13 giugno.

Ha facoltà di parlare.

SCELBA, Ministro dell’interno (Segni di attenzione). Onorevoli colleghi, nella seduta di sabato scorso assicurai l’Assemblea che avrei riferito, appena avessi tutti gli elementi, sui fatti che avevano formato oggetto della discussione parlamentare e soprattutto del pro-memoria presentato dall’onorevole Cerreti e della dichiarazione del capitano Cancilla. Ho avuto soltanto ieri la dichiarazione del prefetto di Padova in ordine ai fatti, e mi sono premurato di riferire, così come avevo promesso.

Nel pro-memoria presentato dall’onorevole Cerreti, di cui insieme alla lettera del capitano Cancilla fu data lettura soltanto nel pomeriggio dal Presidente di questa Assemblea, si accenna a tre fatti specifici, con riferimento ad interferenze del Ministro dell’interno in ordine all’attività dell’Alto Commissariato per l’alimentazione, per la repressione di reati annonari. Nel pro-memoria in questione (esamino il pro-memoria a ritroso, incomincio cioè dall’ultimo fatto) l’onorevole Cerreti, riferendosi alle infrazioni annonarie a Curinga (Catanzaro), dice: «L’Alto Commissariato, avuto sentore, a seguito di manifestazioni di malcontento da parte della popolazione, che la denuncia non era istruita, chiese spiegazioni al direttore della Sepral di Catanzaro ed all’Ispettorato regionale della Calabria, circa i provvedimenti presi dall’autorità prefettizia a carico degli accusati». (Erano accusati il sindaco e alcuni componenti della Giunta). «A risposta del nostro intervento ci fu un intervento del Ministro Scelba, con lettera in data 10 maggio 1947, protocollo 4176/838 A per dire che non era di nostra competenza il passo surriferito. (Originale archivio Alto Commissariato). Constato che a tutt’oggi nulla si è fatto per colpire gli amministratori imputati dei reati su esposti».

Il riferimento dell’Alto Commissario è documentato dalla lettera da lui stesso citata e che io ho diretto all’Alto Commissariato.

L’Alto Commissariato, in data 23 aprile, aveva indirizzato una lettera al direttore della Sepral, per fare delle inchieste sul comportamento del prefetto e dell’Autorità giudiziaria. Il prefetto, informato della cosa, scrive al Ministro questa lettera. Leggo la lettera principalmente per le considerazioni che il prefetto fa, perché i fatti risultano documentati e riferiti in una lettera ufficiale da me diretta all’Alto Commissariato per l’alimentazione.

Lettera del prefetto di Catanzaro in data 29 aprile:

«Tramite il corriere della Prefettura è pervenuta stamani, per evidente disguido postale, una lettera, che, in data 23 corrente col n. 1040 di protocollo, l’Alto Commissariato per l’alimentazione ha diretto al direttore di questa Sepral.

«Con tale lettera, di cui accludo copia conforme, l’Alto Commissariato per l’alimentazione, riferendosi ad alcune irregolarità annonarie riscontrate a carico del sindaco e di altri componenti dell’Amministrazione comunale di Curinga, dà incarico al direttore di questa Sepral di esperire ulteriori particolari indagini, al fine di appurare i motivi dell’inerzia delle Autorità prefettizie e giudiziarie, che, secondo l’Alto Commissariato, non avrebbero preso ancora alcun provvedimento contro i presunti responsabili.

«Richiamo sul contenuto di tale lettera la particolare attenzione dell’onorevole signor Ministro, cui non posso tacere il mio vivo disappunto per l’iniziativa presa dall’Alto Commissariato per l’alimentazione, il quale, non solo ha voluto attribuirsi il compito di disporre indagini, che ritengo esulino dalla sua specifica competenza, ma ha seguito una procedura del tutto nuova, non compatibile con il prestigio dell’autorità, sul cui conto dovrebbero essere esperite le indagini.

«Se l’Alto Commissariato per l’alimentazione, non soddisfatto, per quanto concerne la sua competenza, della avvenuta denuncia dei presunti colpevoli (denunzia fatta dal prefetto) avesse avuto motivo di dolersi che l’Autorità giudiziaria non abbia ancora emesso alcun mandato di cattura e che la Prefettura mantenga in carica gli amministratori denunziati e di chiedere, pertanto, chiarimenti e delucidazioni sulla presunta inerzia di tali autorità, avrebbe dovuto rivolgersi, a mio modo di vedere, ai Ministeri, dai quali dipendono le dette Autorità, ma non affidare al direttore di questa Sepral l’incarico, di cui alla lettera 23 corrente, essendo ovvio che io non potrò consentire che tale funzionario, peraltro posto alla mia dipendenza, inquisisca o comunque interferisca sul mio operato, nell’esercizio delle attribuzioni di vigilanza sulle amministrazioni comunali, che mi sono demandate dalla legge vigente.

«Ad ogni modo, mentre non ho elementi per pronunziarmi su quello che finora avesse fatto l’Autorità giudiziaria, che a suo tempo chiedeva telegraficamente l’invio degli atti e che oggi forse attende all’espletamento della procedura prevista dall’articolo 15 del Codice di procedura penale (autorizzazioni), per quanto, invece, concerne la mia opera, preciso che non ho inteso aderire alle varie pressioni di esponenti locali del partito comunista, che avrebbero voluto lo scioglimento del Consiglio comunale di Curinga o quanto meno, la sospensione del sindaco o degli amministratori denunziati in quanto ogni mia decisione nell’un senso o nell’altro non credo possa prescindere dal verificarsi dei presupposti di cui all’articolo 323 e 149 del testo unico della legge comunale e provinciale e dell’articolo 270 del testo unico della legge comunale e provinciale, cioè a dire scioglimento della garanzia amministrativa».

A seguito di questa lettera, mandata dal prefetto, io scrivevo la seguente lettera riservata all’Alto Commissario per l’alimentazione, onorevole Cerreti:

«Alto Commissariato per l’Alimentazione.

«Viene segnalato a questo Ministero che codesto Alto Commissariato ha dato incarico al direttore della Sepral di Catanzaro di esperire accertamenti sulla pretesa inerzia delle autorità prefettizia e giudiziaria in ordine ad alcune irregolarità annonarie riscontrate a carico del sindaco ed altri componenti l’Amministrazione comunale di Curinga.

«Al riguardo, questo Ministero non può non rilevare pregiudizialmente, per quanto concerne la propria competenza, che l’intervento del direttore della Sepral per gli accertamenti accennati è inammissibile ed inopportuno, sia perché esso è posto alle dirette dipendenze del prefetto, anche se sotto la vigilanza di codesto Alto Commissariato, sia perché, e soprattutto, non possono comunque essere esercitate interferenze sulla azione del prefetto nell’esercizio delle sue attribuzioni di vigilanza e controllo sull’amministrazione comunale da organi estranei alla organizzazione di questo Ministero, ai cui uffici centrali e periferici sono esclusivamente conferiti poteri del genere dalle leggi vigenti. Qualora fosse stata segnalata, a questo Ministero, una rilevata insufficienza nell’azione prefettizia per quanto riguarda l’adozione di provvedimenti nei confronti delle amministrazioni comunali, in connessione con il perseguimento di reati annonari, non si sarebbe mancato di eccitare, ove fosse risultata deficiente, l’azione del prefetto.

«In merito poi alla questione specifica, si ritiene di dover precisare che, in relazione alle infrazioni annonarie oggetto di procedimento istruttorio in corso presso l’autorità giudiziaria competente, il prefetto non può adottare provvedimenti amministrativi nei confronti degli amministratori, se non, dopo esaurita l’istruttoria, nei casi e nei limiti stabiliti dall’articolo 149, comma 5, e dall’articolo 287 del testo unico della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148».

Non contento di questo, lo stesso giorno, poiché l’intervento e l’interferenza dell’Alto Commissario tendevano nella sostanza a scardinare lo stesso prestigio e l’autorità del prefetto nella Provincia, mi rivolgevo al Presidente del Consiglio con la seguente lettera:

«Al Presidente del Consiglio.

«Il prefetto di Catanzaro ha riferito, con l’allegato rapporto 29 aprile u.s., n. 4355 Gabinetto, sull’intervento attuato presso quella Sepral dall’Alto Commissariato per l’alimentazione con la lettera 23 aprile che qui si unisce, con il quale si è dato incarico al direttore della Sepral di esperire ulteriori particolari indagini, al fine di appurare i motivi della inerzia delle autorità prefettizia e giudiziaria che non avrebbero adottato provvedimenti contro i presunti responsabili della Sepral, sindaco ed alcuni consiglieri di Curinga, in ordine ad alcune infrazioni annonarie. Questo Ministero ha ritenuto necessario, a tutela del prestigio dell’autorità prefettizia e del mantenimento delle attribuzioni conferitegli dalla legge, di richiamare l’attenzione dell’Alto Commissariato, per quanto riguarda la sua competenza, sulla inopportunità ed inammissibilità di un tale intervento, con la lettera di cui si unisce copia. Si comunica quanto sopra doverosamente a codesta onorevole Presidenza, alla cui dipendenza opera l’Alto Commissariato, per quella ulteriore azione che al riguardo ritenesse esplicare».

Ecco, onorevoli colleghi, l’intervento che il Ministro dell’interno avrebbe esperito per la pratica dell’affare Curinga di cui parla l’Alto Commissario Cerreti nel suo pro-memoria.

È veramente strano che si accusi di interferenza il Ministro dell’interno in questo caso specifico, nel quale il Ministro dell’interno, come era suo diritto e suo dovere, si è limitato a richiamare l’attenzione dell’Alto Commissario sulla inopportunità di una iniziativa che aveva un duplice scopo: inquisire sull’attività o inerzia del prefetto; inquisire sulla inattività dell’Autorità giudiziaria. E per quest’opera si affidava l’incarico ad un funzionario della Sepral, ad un funzionario tecnico, il quale avrebbe dovuto esperire una inchiesta per riferire all’Alto Commissariato sulla inazione dell’Autorità giudiziaria e sull’inazione dell’Autorità prefettizia! Se una indebita ingerenza nel caso specifico concreto c’è stata, questa indebita ingerenza era quella dell’Alto Commissariato per l’alimentazione, il quale, così agendo, superava ogni sua specifica competenza. La denunzia per i fatti incriminati essendo stata già presentata dallo stesso prefetto, l’Alto Commissariato non aveva più un interesse diretto nella repressione o nell’accertamento del fatto specifico. Dimostrava di avere solo lo scopo di colpire l’amministrazione comunale che era di un partito diverso dal suo. Esso si intrometteva nell’attività della magistratura, di fronte alla quale l’Alto Commissariato è nella situazione di qualsiasi altro cittadino. Se avesse ritenuto che i magistrati non avessero dato rapido corso alla denuncia (e l’Autorità giudiziaria aveva, invece, agito rapidamente e aveva chiesto telegraficamente i dati), l’onorevole Cerreti, che è soltanto maestro elementare e non conosce il Codice di procedura penale… (Rumori a sinistra Si ride), e non conosce la vita dell’Amministrazione della giustizia, la quale è oberata da una massa ingente di lavoro, che non riesce a smaltire, e non poteva quindi rendersi conto che in venti giorni è impossibile decidere su un processo di questo genere, avrebbe avuto il diritto di rivolgersi al Ministro della giustizia, che in quel momento era l’onorevole Gullo, compagno di partito, il quale avrebbe potuto esperire tutte le indagini e dare tutta la tranquillità necessaria all’Alto Commissario.

Egli, anziché seguire questa strada, che era la strada normale, ha incaricato un suo funzionario di inquisire sull’inerzia della Autorità giudiziaria e del prefetto.

Ritengo, onorevoli colleghi, che nessuno può rimproverare al Ministro dell’interno di aver compiuto il proprio dovere, che è quello, non soltanto di punire i funzionari quando si rendono colpevoli di manchevolezze, ma di difenderne anche il prestigio, soprattutto nell’esercizio delle loro funzioni. (Applausi al centro Rumori a sinistra).

E vengo ai fatti di Montorio Romano.

Nel pro-memoria presentato alla Presidenza dell’Assemblea, l’onorevole Cerreti scrive poche righe, che io mi permetto di leggere.

«Fatti di Montorio Romano.

«Debbo segnalare – scrivo l’onorevole Cerreti – che con fonogramma n. 1572 U.D.A. del 6 corrente, ore 14, a firma del prefetto di Roma, si è chiesto all’Alto Commissario di sospendere la denuncia essendo il sindaco e l’assessore dell’annona di Montorio Romano incolpati di sottrazione di generi razionati. Negli archivi dell’Alto Commissariato esiste tutta la pratica.

«La denuncia, firmata da me il 30 maggio, ha però avuto corso solo il 4 giugno».

Osservo, onorevoli colleghi, che anche in questo caso, come per i fatti di Padova, il prefetto sarebbe arrivato sempre con un ritardo di 2 giorni dopo la presentazione della denuncia all’Autorità giudiziaria. Ma io mi domando: l’onorevole Cerreti, in queste poche righe, accenna ad un intervento o ad una richiesta del prefetto, diretta all’Alto Commissariato, di sospendere una denunzia. Ora, i casi sono due: o la richiesta del prefetto era illegittima, e l’Alto Commissario rigettava la richiesta, o la richiesta era legittima e poteva accoglierla. Comunque, non si trattava di nulla di oscuro e di tenebroso, ma di una informazione e di una richiesta di carattere ufficiale. Cosa c’entra il Ministro dell’interno in tutto questo? Ritiene che l’opera del Prefetto sia stata arbitraria ed illegittima? Possiamo anche ammettere che il Prefetto, facendo quella richiesta, abbia potuto commettere un errore. Ma il Ministro dell’interno o qualsiasi Ministro può essere ritenuto responsabile? Si può chiedere ed invocare una Commissione parlamentare di inchiesta sull’attività di un Ministro sol perché un funzionario ha errato nell’esercizio del proprio potere e delle proprie attribuzioni? Se dovessimo ammettere questo principio, credo che nessun Ministro si salverebbe da questa possibilità e l’onorevole Cerreti sarebbe da parecchio tempo sul banco degli accusati, perché parecchi dei suoi funzionari – e certo non ne facciamo risalire a lui la responsabilità – si sono resi responsabili di veri e propri delitti. Nel caso specifico non si trattava di delitti odi oscure manovre, ma di una richiesta, legittima od illegittima, arbitraria o non arbitraria, del Prefetto.

Riteneva l’onorevole Cerreti che l’azione del Prefetto rivelasse una mentalità ed uno stile? L’onorevole Cerreti avrebbe potuto allora rivolgere un’interrogazione al Ministro dell’interno, per chiedere i motivi dell’intervento del prefetto di Roma, e se dall’interrogazione non avesse ottenuto spiegazioni adeguate, avrebbe potuto anche trasformare l’interrogazione in interpellanza, per consentire a tutta l’Assemblea di prender parte al dibattito sulla questione. Ma cosa c’entra il Ministro dell’interno in tutta questa faccenda, se non per le poche righe che l’Alto Commissario ha creduto bene di dedicare all’azione del Prefetto di Roma? Se l’ex Alto Commissario onorevole Cerreti, nella sua qualità di deputato, vuole più ampie spiegazioni sull’intervento del Prefetto, posso dargliene; in sede competente darò tutte le più ampie spiegazioni. Nel caso specifico posso aggiungere qualcosa e spiegare quello che il Ministro dell’interno ha fatto, non sollecitato da alcuno, se non dalla stampa.

Il giorno 25 aprile la Repubblica d’Italia, giornale di Roma, pubblicava una notizia: «Il sindaco e l’assessore anziano accusati di gravi colpe a Montorio Romano». Il Ministro dell’interno ha l’abitudine di seguire la stampa e di interessarsi delle faccende da essa denunziate, anche se il più delle volte risulta che i fatti denunziati non corrispondono alla verità o non hanno la reale portata che si denunzia.

Il giorno 27 aprile il mio Capo di Gabinetto scriveva al Prefetto di Roma:

«Sul giornale La Repubblica d’Italia del 25 corrente è apparsa una corrispondenza dal titolo «II sindaco e l’assessore anziano accusati di gravi colpe a Montorio Romano», nella quale viene data notizia di una denuncia inoltrata all’autorità giudiziaria dal presidente della sezione combattenti di Montorio Romano, a carico del sindaco e dell’assessore anziano, per sottrazione e rivendita con personali profitti di grassi e sapone.

«Si prega la S.V. di riferire, con cortese urgenza, previo, ove necessario, rigoroso accertamento, sui provvedimenti di competenza eventualmente adottati o da adottare in via amministrativa nei confronti dei responsabili».

Il Prefetto non rispondeva, perché, come spiegò successivamente, disponeva una inchiesta per suo conto. Comunque, l’11 maggio lo stesso giornale tornò ad occuparsi di questa faccenda con un articolo così intitolato «Scandalo al comune di Montorio Romano. Le gravissime risultanze di una recente inchiesta».

Il 21 maggio si scriveva ancora al prefetto di Roma, in questi termini:

«Si prega la S.V. di voler rispondere con cortese sollecitudine alla ministeriale 27 aprile u.s., pari numero ed oggetto».

Ecco, onorevoli colleghi, l’intervento del Ministro dell’interno nei fatti di Montorio Romano.

Torno a ripetere che, qualunque sia stato l’atteggiamento del Prefetto, qualunque ragione l’abbia mosso per richiedere la sospensione del procedimento, il Ministro dell’interno è assolutamente fuori causa. Il Ministro dell’interno è intervenuto, come ho detto, per sollecitare l’azione prefettizia. Se l’onorevole Cerreti vorrà sapere i particolari di questa faccenda, della quale è ora investita l’autorità giudiziaria, potrà presentare una interrogazione ed il Ministro risponderà in sede competente. Ma, torno a ripetere, non comprendo le ragioni per le quali si vorrebbe mettere sotto inchiesta il Ministro dell’interno, soltanto perché un Prefetto abbia commesso o non commesso un errore, che non mi riguarda come responsabilità diretta.

E, ripeto, se ogni Ministro dovesse rispondere per questi fatti, la vita ministeriale diverrebbe impossibile.

E vengo ai fatti più importanti, ai fatti che hanno appassionato l’opinione pubblica. Ricorderete che avevo assicurato l’Assemblea che, in seguito alla lettura della relazione del capitano Cancilla, fatta dal Presidente dell’Assemblea (e che era una cosa perfettamente diversa da come l’aveva accennata l’onorevole Cerreti), mi riservavo di fare ulteriori accertamenti, assicurando l’Assemblea che avrei riferito su questa questione.

Ed ecco i fatti. Il 12 maggio l’onorevole Cerreti aveva dato assicurazione all’Alto Commissario aggiunto per l’alimentazione, onorevole Saggin, che l’avrebbe tenuto al corrente dell’inchiesta che veniva condotta sui fatti di Padova, e che nessuna decisione egli avrebbe presa senza averla comunicata preventivamente allo stesso suo collaboratore. Il 12 maggio l’onorevole Saggin, tornato da Padova, apprende a Roma – era scoppiata in quei giorni la crisi ministeriale – che l’onorevole Cerreti aveva richiamato improvvisamente il capitano Cancilla, che stava compiendo l’inchiesta, e lo aveva rispedito con l’incarico, non si sa esattamente, se di completare l’inchiesta o di presentare la denuncia all’autorità giudiziaria per i fatti stessi.

L’onorevole Saggin ignorava esattamente come i fatti si fossero svolti, e, in attesa di poter avere una spiegazione dall’onorevole Cerreti, pregò il capo di Gabinetto del Ministro dell’interno di voler fare una comunicazione al prefetto di Padova perché riferisse, se fosse stato possibile, circa il corso dell’inchiesta, informando se era stata presentata qualche denuncia, e, nel caso contrario, di pregare l’ispettore generale perché soprassedesse per due o tre giorni a presentare le eventuali denunce, in attesa di ulteriori comunicazioni. (Commenti Proteste a sinistra).

Il capo di Gabinetto fece, la sera del 12, la comunicazione al prefetto di Padova, il quale non sapeva esattamente come stessero le cose, anche perché l’onorevole Cerreti, come ha dichiarato, aveva dato istruzione al capitano Cancilla di non presentarsi al Prefetto, e si riservò di informarsi e di riferire.

Il giorno dopo, alle 11.30, il Prefetto vede il capitano Cancilla e gli fa la comunicazione del capo di Gabinetto, ed il capitano Cancilla risponde che la denuncia era stata già presentata e che non c’era nulla da fare.

Il Prefetto riferisce al capo di Gabinetto la risposta del capitano Cancilla, risposta che viene riferita all’onorevole Saggin. Il giorno 13, cioè durante il tempo corso fra la telefonata e la risposta del Prefetto di Padova, io partivo per Firenze, per rappresentare il Governo alla Mostra dell’Arte fiamminga, insieme al Presidente di questa Assemblea. Rimanevo assente tre giorni da Roma; al mio ritorno il capo di Gabinetto non ritenne di dovermi riferire nulla sulla questione, che si era esaurita con la comunicazione da parte del capitano Cancilla e del Prefetto, che una denuncia era stata presentata e che la pratica si poteva considerare chiusa.

Ecco come i fatti si sono svolti; e in questi fatti io non ho trovato neppure materia di appunto per l’azione del mio capo di Gabinetto; perché, onorevoli colleghi, il capo di Gabinetto del Ministro dell’interno, che è un Prefetto, è un uomo responsabile, e a mio giudizio non poteva sottrarsi dal fare la comunicazione di cui lo richiedeva l’onorevole Saggin. (Interruzione dell’onorevole Laconi).

Onorevole Laconi, la prego di ascoltarmi e di fare le sue osservazioni quando sarà il caso (Commenti – Proteste a sinistra), perché, onorevoli colleghi, mi pare che la prima cosa, avanti di esprimere un giudizio, è di ascoltare la parte interessata: questo è il più elementare dovere per voi e credo di avere il diritto di essere ascoltato.

Il mio capo di Gabinetto, dicevo, non poteva rifiutarsi di fare una comunicazione, richiesta dall’Alto Commissario aggiunto per l’alimentazione, per una materia di sua competenza, comunicazione da farsi ad un funzionario dello stesso Alto Commissariato, con la quale non si chiedeva di violare la legge o di frodare la giustizia, ma – nella migliore delle ipotesi – di voler soprassedere due o tre giorni alla presentazione di una denunzia che l’onorevole Cerreti (secondo quanto lui stesso ha dichiarato) aveva tenuto nel suo cassetto, per considerazioni di opportunità politica, alcune settimane.

Nessuna violazione di legge, nessuna compromissione in un qualsiasi delitto può riscontrarsi nella comunicazione che veniva richiesta dall’onorevole Saggin, assente l’onorevole Cerreti da Roma, perché quel giorno, appunto, l’onorevole Cerreti non era a Roma.

Io non ho trovato – e ho domandato anche a illustri parlamentari, a uomini che mi hanno preceduto nel Dicastero se in questo atteggiamento del capo di Gabinetto ci fosse qualcosa di rimarchevole, dato che la mia coscienza di uomo interessato alla faccenda poteva velare il mio giudizio – io non ho trovato, dicevo, che l’atteggiamento del capo di Gabinetto potesse essere oggetto di qualsiasi richiamo, di qualsiasi provvedimento da parte del Ministro responsabile. (Approvazioni al centro).

Questo, onorevoli colleghi, il fatto nella sua semplicità, nella sua nuda e cruda verità. Se l’onorevole Saggin fosse stato presente alla passata riunione dell’Assemblea ed avesse potuto chiarire e precisare che era stato lui stesso a fare questa richiesta, la cosa si sarebbe esaurita in quella tornata.

Comunque sia, l’Assemblea ha tutti gli elementi di giudizio per dire se l’attività del Ministro dell’interno, come azione immediata e diretta, è fuori causa e se l’azione del Ministero e del capo di Gabinetto abbia violato una qualsiasi norma, non dico di legge, ma anche di correttezza amministrativa, cosa che, ripeto, escludo, per il senso di giustizia della mia coscienza, ma escludo anche per il giudizio che uomini responsabili di alta autorità hanno creduto di confermarmi. (Vivi applausi al centro).

Onorevoli colleghi, l’episodio, per sé modesto e limitato, a mio avviso, non avrebbe dovuto meritare di essere portato in questa Assemblea, perché anche episodi sostanzialmente privi di fondamento, episodi che non hanno nessuna consistenza, turbano lo spirito ed il sentimento del Paese e non si crea una coscienza democratica e la fiducia nelle istituzioni democratiche gettando il discredito, neppure per interesse di partito, sulle istituzioni e sugli uomini. (Approvazioni al centro).

Forse questi sistemi e questi metodi possono assicurare una vittoria politica; ma tutti gli uomini di buona fede – e ritengo che in questa Assemblea e nel Paese sono la stragrande maggioranza – su quanto è accaduto non potranno dare che un giudizio sereno ed obiettivo. (Vivi applausi al centro e a destra).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei pregare l’onorevole Ministro dell’interno di precisare all’Assemblea se la comunicazione telefonica partita da Roma da parte del capo di Gabinetto chiedeva la sospensione della denuncia per due o tre giorni, oppure se essa chiedeva la sospensione dell’inchiesta, perché la comunicazione che è stata fatta a noi qui, parlava di sospensione di inchiesta, e non già di sospensione della denuncia all’autorità giudiziaria. (Rumori – Proteste al centro).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore. L’interrogato è il Ministro dell’interno e sarà l’onorevole Scelba a rispondere.

CERRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CERRETI. Ho ascoltato con molta attenzione le dichiarazioni del Ministro dell’interno e ad un certo momento mi sono chiesto se l’onorevole Scelba abbia riletto, l’ultima parte del mio discorso del 12 giugno, nella quale io inquadravo l’azione del Ministro dell’interno in una analisi politica, cioè nella preoccupazione che da questi settori si levava verso non tanto la persona del Ministro Scelba – e nel testo stenografico è precisato – quanto verso determinati metodi che possono essere derivati da indirizzi oppure da volontà caparbia, che le cose vadano in un certo modo.

È a questo proposito che io mi permettevo di citare in senso generico alcune cose delle quali ero al corrente, essendo stato Alto Commissario dell’alimentazione. C’è stato poi quello che i giornali hanno chiamato uno scandalo: ma io sfido chiunque riprenda il testo del discorso a trovare in esso un argomento valido per una conclusione scandalistica del dibattito. (Proteste al centro).

Ho tanto riflettuto, in questi giorni, al fatto «scandalo», cioè ad una cosa che per me presentava dei lati incresciosi, perché, dopo aver collaborato per settimane e settimane, per mesi e mesi, con lealtà – e mi pare che un giornale, in questo senso, abbia avuto ragione – con alcuni uomini di quelli che adesso siedono al banco del Governo, prima di fare qualsiasi allusione che possa ledere l’onore personale di uno di questi colleghi, bisogna riflettere almeno due volte.

Perciò quello che non ho potuto fare in modo più netto ed esplicito in quella seduta arroventata, potrei forse farlo oggi.

Ho chiamato arroventata quella seduta, perché si è sentito forse anche qui quel giorno aleggiare un certo spirito fazioso; quello spirito fazioso che sarebbe bene non dominasse neanche in certi dicasteri. Se dunque, come ho detto, non ci fosse stata quella atmosfera arroventata, sarebbero bastate poche parole mie per inquadrare nel giusto modo quel dibattito.

Non ebbi la possibilità di farlo. E adesso, dopo quello che ha detto l’onorevole Ministro, che cosa dovrei dichiarare? Due cose, mi pare. Siccome io ho parlato di un metodo, ho parlato di un sistema, indipendentemente dalla posizione politica di colui che si trova alla testa di un dicastero così importante, la richiesta di una Commissione d’inchiesta poteva significare la volontà di esaminare, di vedere con quali criteri l’organismo più delicato del Governo è diretto. E gli elementi di fatto esistevano, preoccupanti, perché si potesse sul serio esaminare se quel dicastero, e perfino se l’onorevole Scelba, dessero le garanzie necessarie al Paese di essere al di sopra dei partiti, e, quindi, al di sopra della mischia, per garantirci in ogni eventualità; e io parlavo nel mio discorso dell’eventualità di elezioni, e citavo ad esempio la condotta del Ministero diretto dall’onorevole Romita durante le elezioni del 2 giugno, e dicevo che la stessa tranquillità noi ora non l’abbiamo, in quanto noi avevamo fiducia nell’onorevole Romita non per il suo colore politico, ma perché dimostrò di avere un alto senso civico, e che non potevamo essere garantiti che questo equilibrio ci sarebbe stato col Ministro Scelba.

SCELBA, Ministro dell’interno. Abbiamo fatto le elezioni in Sicilia! (Commenti – Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Per favore, onorevoli colleghi, non interrompano.

CERRETI. Già, le elezioni in Sicilia; e sono andate bene; ma ci sono stati poi gli eccidi del 1° maggio in Sicilia, e non credo che l’inchiesta sia andata così bene come sono andate le elezioni.

Ci sono stati poi anche gli eccidi in Calabria, ecc. e non si ha l’impressione che ci sia da parte del Ministero dell’interno una difesa adeguata dell’ordine repubblicano e che si colpiscano coloro che questo ordine mettono in pericolo. (Interruzioni e commenti al centro – Proteste a sinistra).

LI CAUSI. Sì, sì, dopo un mese e mezzo non si sa niente di coloro che hanno ucciso! Lo diremo in Sicilia! È una vergogna! (Proteste al centro – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Li Causi, la prego!

CERRETI. Onorevoli colleghi, credo che nella seduta del 18 giugno l’onorevole Togliatti abbia ben spiegato che non era stata mia volontà di provocare uno scandalo, ma che da altri motivi ero mosso in quel discorso e in quelle allusioni. Prego che non si ricrei un’atmosfera tale per cui si debba scendere su di un terreno, che io non voglio scegliere e che credo nessuno vorrà scegliere, perché – e qui sono d’accordo con l’onorevole Ministro – non è decoroso per la democrazia che questi episodi si verifichino. (Applausi al centro – Commenti).

Noi avevamo il diritto, e ne abbiamo fatto uso, di chiedere una Commissione d’indagine o Commissione d’inchiesta, la quale non significava per il Ministro nessuna diminuzione a priori (Commenti al centro); anzi, vi era forse la possibilità – come si è potuto verificare con la Commissione degli Undici – di confondere l’accusatore. Ma nelle condizioni di oggi, quando non vi è stata una Commissione d’inchiesta, ma vi è stato il Ministro in carica, in questo caso accusato, che ha fatto l’inchiesta per poi riferire, io considero che non siamo più nel vero quadro del dibattito, ma che io devo rispondere in qualità di interrogante, cioè a dire che il Ministro Scelba risponde ad un’interrogazione o ad un’interpellanza, e io devo dire se sono sodisfatto o meno. E allora dichiaro che non sono sodisfatto. (Commenti al centro).

Il Ministro, anche se non lo è stato nella interpretazione, credo che nell’enunciazione scheletrica dei fatti sia stato sereno. Io conosco a memoria tutte queste cose, ormai, perché ho avuto da esaminarle nel corso delle inchieste e poi da riesaminarle e ponderarle prima di dare il via alla denuncia all’autorità giudiziaria, perché mi sono sempre preoccupato delle eventuali ripercussioni politiche che avrebbero potuto turbare una determinata situazione, delicata in quanto non avevamo niente da vendere nel momento in cui costantemente vi era la minaccia di manifestazioni per la mancanza di generi alimentari, di manifestazioni per l’insufficienza dei salari, di manifestazioni da parte degli impiegati statali e da parte dei ferrovieri in ispecial modo.

Ma, d’altra parte, io ero alla direzione di un dicastero il quale è sempre, direi, un po’ la testa di turco di tutte le situazioni: quando si manifesta perché il pane è giallo si dà la colpa all’Alto commissariato, anche se il giallo del pane dipende solo dai mancati arrivi dall’estero o dalla troppa quantità di granturco che dall’estero viene inviata; quando vi è una denuncia annonaria che non ha il suo seguito (e qui, onorevole Scelba, entro nell’affare di Curinga), quando vi sono reati annonari non denunciati e vi è stata una denuncia per una mancata applicazione della legge, voluta o no da parte delle forze politiche di una determinata località, l’uomo della strada – o l’uomo qualunque – esige sempre che si sia fermi nel colpire e si colpisca. Quando non si colpiva, a chi ci si riferiva? All’Alto commissariato, che – si diceva – copriva i ladri, copriva gli accaparratori e gli speculatori!

Quindi, io che mi oro proposto – andando all’Alto Commissariato – di restituire il decoro a quella istituzione che era malfamata, dovevo essere di incentivo a tutti i direttori periferici di quella organizzazione, affinché fossero vigilanti e perché le responsabilità non nostre non ricadessero Sull’Alto Commissariato.

Lei, onorevole Scelba, ha alluso al fatto che io, maestro elementare, non conosco il Codice. Ma sono in buona compagnia perché lei, come Ministro e come avvocato, dimostra di non conoscere la legge. Infatti nella seduta del 18 è stato provato che gli interventi dell’autorità prefettizia, verificatisi, erano inammissibili con la modifica della legge avvenuta nel 1944.

E poiché lei parla spesso di ordine pubblico, dovrebbe comprendere la mia sensibilità per tutto quanto concerneva il campo alimentare e i reati annonari.

Io ho visto, in tutta la numerosa corrispondenza e nelle diecine e diecine di telegrammi e di fonogrammi che mi sono stati inviati, questa preoccupazione dell’ordine pubblico. Questa preoccupazione era anche mia, tanto è vero che abbiamo ricomposto scioperi e abbiamo discusso lungamente perché agitazioni non fossero provocate. Ma quando non andavano avanti queste pratiche per reati annonari e si doveva intervenire presso la giustizia e sapevo che cosa vi era che ostacolava la marcia della giustizia ho cercato di compiere il mio dovere; e non si tratta di un caso ma potrei citarne venti, a cominciare dalla denuncia di Mantova che da sette mesi giace non si sa dove e che non va avanti, ed ho ricevuto delegazioni su delegazioni perché la denuncia di Mantova avesse un esito e fosse istruita! Si son fatti passi presso il Prefetto e non so se si son fatti anche presso il Ministero degli Interni! Comunque, verso di me se ne son fatti molti e, com’era mio dovere, ho cercato di spingere le cose innanzi, ma senza nessun risultato.

Potrei parlare di Verona, potrei parlare di Genova, di Napoli: stesso risultato. Anzi potrei aggiungere, onorevole Scelba, che un Prefetto di un grande capoluogo – mi scusi se non lo cito, ma la citazione ce l’ho (Commenti) – ha tolto l’inchiesta di mano al funzionario che era stato inviato dall’Alto Commissariato e ha incaricato lui degli agenti di fare l’inchiesta. Risultato: non vi è stata nessuna denuncia all’autorità giudiziaria.

SCELBA, Ministro dell’interno. È partito un telegramma del Ministro dell’interno a quel tale Prefetto chiedendo spiegazioni del fatto, che è stato prospettato in altri termini al Ministro dell’interno. (Commenti a sinistra).

CERRETI. Se le cose stanno veramente così me ne compiaccio, però l’esempio serve a inquadrare le dichiarazioni da lei fatte e le risposte che devo dare. Lascio giudice l’Assemblea di valutare, in questa atmosfera in cui la difficoltà di far andare avanti una denuncia, la difficoltà di andare sino in fondo senza interferenze di carattere politico ed amministrativo è grandissima, la inanità degli sforzi di chi vuole operare bene. Tanto,più che non siamo sicuri che queste ingerenze cessino attualmente. Al contrario!

È vero; i fatti di Montorio Romano riguardano un suo dipendente, il Prefetto. Ma è vero anche che il Prefetto della capitale d’Italia è un po’ più direttamente sotto il controllo del Ministro di quanto non lo sia il prefetto di Catanzaro. Per quanto mi concerne, so che il direttore della Sepral di Roma era spesso nel mio ufficio e attraverso l’Ispettore regionale del Lazio e fisicamente attraverso la persona dello stesso direttore vi era un controllo costante: quasi direi che a un certo momento ero un po’ io stesso il Direttore della Sepral. Ebbene, il Prefetto di Roma si è permesso di mandare un fonogramma di questo tenore: «In relazione alle comunicazioni telefoniche e verbali fra questa Prefettura ed i funzionari di Gabinetto di codesto Alto Commissarialo, pregasi voler soprassedere all’invio della denuncia all’autorità giudiziaria a carico amministratori e impiegati ufficio annonario comune Montorio Romano».

È un’ingerenza che non si comprende, tanto più che si poteva chiedere a me di discutere, di esaminare i documenti dell’inchiesta medesima, e la cosa sarebbe stata normale. Invece no! Questi tentativi sono stati fatti senza che si sia tentato di abboccarsi con me. Il che vuol dire che vi era una diffidenza di carattere politico, che ha impedito probabilmente una collaborazione più organica perché le cose andassero avanti. Dubito comunque che le cose sarebbero andate avanti. Perché c’è costantemente più il desiderio di nascondere – e questo un po’ dappertutto – che quello di dire la verità.

Solo in questi giorni c’è stato il desiderio di dire qualche cosetta, e credo che la Presidenza del Consiglio, o chi per essa, si è messa a spigolare tutti i fatti e fatterelli che erano potuti capitare al povero e seccato Alto Commissario e gettarli in pasto alla stampa come fossero comunicazioni innocenti dell’Ansa (Commenti).

Si è persino voluto ripescare – tanto meglio se non è vero che vi fosse un servizio della Presidenza del Consiglio, e ne prendo atto – si è voluto ripescare il caso disgraziatissimo di un assessore di Arezzo, il quale è stato arrestato due mesi fa. I giornali ne parlarono allora e lo ricordano oggi come un fatto di cronaca scandalistica.

Forse non si è trovato di più. E di più non si poteva trovare, perché, benché io sappia che sono state sollecitate disposizioni per richiedere determinate informazioni alla periferia su certe assegnazioni fatte dall’onorevole Cerreti, c’è qualche cosa che ha posto un ostacolo, un freno immediato: l’ordine di fare quella inchiesta, dato dall’onorevole Cerreti il 30 maggio, cioè cinque giorni prima che uscissi dall’Alto Commissariato, appena ebbi sentore che qualche cosa di poco corretto era avvenuto, alla periferia attraverso determinate cooperative di consumo. Comunque, accanto ad un fatto che avrebbe potuto portare in esame determinate responsabilità ed un determinato indirizzo della politica del Ministero dell’interno si è cercato di fare degli scandaletti ammaestrati. Non ho raccolto la sfida, come avrei potuto fare, perché in quel caso avremmo dato un esempio pietoso al nostro Paese e non avremmo contribuito a rafforzare la democrazia. Constato infine tutto il chiasso che si è fatto sui fatti di Padova: «L’onorevole Cerreti dove era dalle 24 alle 9 del mattino?». Diamine! Dopo quella seduta è andato a dormire. «È vero o non è vero che il capitano Cancilla era parente di un Deputato comunista?». Chi ne ha mai saputo niente! «È vero o no che fra questo capitano e l’onorevole Cerreti c’è stato un colloquio notturno per fargli fare quella dichiarazione?» Quanto al capitano Cancilla – mi auguro non ci siano verso di lui rappresaglie – si trovava a Brescia a fare ancora il suo dovere, a tentare di scoprire ancora delle malefatte, affinché i colpevoli non restassero impuniti. Si è detto che quel foglio non era sgualcito e che ho commesso la dabbenaggine di non infilarlo in tasca e passarlo all’olio di oliva in modo che ci fossero delle macchie, forse anche aggiungendovi le impronte digitali, in modo da dimostrare l’autenticità della data di esso, 23 maggio. Si è cercato di fare un grande castello; e poi il Ministro degli interni dice: «Il fatto è vero, soltanto non l’ho commesso io. È stato attraverso il mio Capo di Gabinetto che questa comunicazione è stata mandata a Padova».

Con questa dichiarazione, che riconosce la veridicità delle mie asserzioni, considero chiuso l’incidente. (Applausi a sinistra).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. A giustificazione del Prefetto di Roma, vorrei completare il fonogramma da lui inviato all’Alto Commissario Cerreti, visto che non è stato letto nel testo integrale.

Il telegramma dice: «In relazione alle comunicazioni telefoniche e verbali intercorse fra questa Prefettura ed i funzionari di Gabinetto di codesto Alto Commissariato, pregasi voler soprassedere all’invio denuncia all’autorità giudiziaria a carico amministratori ufficio annonario comune Montorio Romano».

Fin qui ha letto l’onorevole Cerreti. Il telegramma continua: «in attesa di altri elementi di giudizio che questa Prefettura si riserva di segnalare per eventuali ulteriori indagini dirette a stabilire particolarmente la posizione del sindaco di detto Comune». (Applausi al centro e a destra).

Per quanto riguarda la domanda formulata dall’onorevole Scoccimarro, io dichiaro che, anche se la comunicazione fosse stata nei termini da lui accennati, la situazione non muterebbe.

Comunque, io ho accettato, di fronte alla diversità di informazioni, la tesi più estrema dell’accusa che considerava la sospensione d’una denuncia all’autorità giudiziaria, che era il fatto più grave, direi, in quanto rappresentava una vera e propria interferenza nell’azione giudiziaria d’un ufficiale di polizia giudiziaria. Se l’onorevole Scoccimarro desidera che gli comunichi la risposta del Prefetto in materia, posso dare lettura di ciò che il Prefetto mi ha comunicato relativamente a questo punto:

«In relazione alla lettera in data 23 maggio scorso del capitano Cancilla, di cui comunicatami copia dall’Eccellenza Vostra, devo dichiarare che non risponde a verità che io lo abbia invitato a sospendere l’inchiesta. Basta a dimostrarlo il fatto che proprio nel colloquio accennato, egli mi comunicò spontaneamente che intendeva trattenersi ancora pochi giorni a Padova, per condurre a termine alcuni accertamenti, senza che io gli abbia mosso la minima obiezione».

Non avevo voluto dare lettura prima di questo documento, perché non ritenevo di dovere portare in lungo la questione con una discussione oziosa, dal momento che in sostanza, anche a giustificazione dell’operato del Prefetto e del Capo Gabinetto, stava il fatto che la richiesta tendeva non a sospendere l’inchiesta, che peraltro era ultimata da tempo, ma a sospendere la denunzia all’autorità giudiziaria.

Infatti, il Prefetto ha comunicato, precisamente, che la sua richiesta tendeva a sospendere la denunzia all’autorità giudiziaria; cosa più grave perché, una volta avvenuta la denuncia, il fatto sarebbe stato irreparabile; era la cosa più grave che si potesse chiedere; mentre contesta di aver chiesto la sospensione dell’inchiesta.

Voci al centro. Basta, basta!

SCOCCIMARRO. Non basta. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io insisto, onorevole Ministro dell’interno, non per accendere una polemica nei suoi confronti, ma perché il mio vivo desiderio è che questa questione si chiuda senza dubbio per nessuno; né per noi, né per l’opinione pubblica. È il solo motivo che mi induce ancora a voler chiarire tutto, non per gusto malsano di sollevare discussioni e polemiche.

Noi possiamo chiudere la questione come vogliamo, ma ci sono 45 milioni di italiani, che ragioneranno a modo loro e la chiuderanno colla loro testa. (Interruzioni – Commenti).

Ora, onorevole Scelba, io non credo che chiedere di sospendere di alcuni giorni l’inoltro di una denunzia all’autorità giudiziaria sia più grave che chiedere la sospensione dell’inchiesta, cioè della ricerca di elementi obiettivi per l’accertamento della verità.

Ecco perché questo dubbio, che viene a noi, può venire all’opinione pubblica e noi abbiamo il dovere di dare una risposta. E formulo un altro quesito: il Ministro dell’interno dal punto di vista della legge ha diritto o non ha diritto di intervenire in questioni di questo genere? Noi sappiamo che fino ad una certa data aveva diritto, e precisamente fino al 1944; ma sappiamo anche che da quella data in poi non aveva più diritto di farlo.

Ora, il problema serve anche per l’avvenire; i Prefetti hanno con le leggi attualmente in vigore la facoltà di interferire in questioni di questo genere? Questo è il problema centrale.

Terza questione: l’onorevole Saggin è Alto Commissario aggiunto. Che bisogno ha di andare dal Capo di Gabinetto del Ministro dell’interno? Perché non telefona lui come Alto Commissario aggiunto? (Interruzione dell’onorevole Uberti).

Ora, perché era giustificata la Commissione di inchiesta? Era giustificata per sapere: 1°) se il Ministro dell’interno avesse o non avesse mandato quella comunicazione telefonica; 2°) se avesse diritto di mandarla.

Noi sappiamo che non ne aveva il diritto e ora sappiamo anche che una telefonata c’è stata, non per disposizione del Ministro dell’interno, ma per intervento dell’Alto Commissario aggiunto per l’alimentazione.

Ora, mi si consenta di dire che tutto questo non è chiaro. Non per levare accuse verso l’onorevole Saggin o verso altri, ma per necessità di chiarezza io chiedo: non potete voi dare gli elementi obiettivi che chiariscano tutti i dubbi? Al punto in cui è la questione non si può dire che tutto è chiaro.

Una voce al centro. Che cosa volete chiarire?

SCOCCIMARRO. Quello che non ha chiarito né il Ministro dell’interno né l’onorevole Saggin col suo silenzio. (Applausi a sinistra – Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Rispondo subito alle domande cortesemente formulate dall’onorevole Scoccimarro.

L’onorevole Scoccimarro insiste per sapere se la richiesta sia stata di sospensione della denuncia o di sospensione dell’inchiesta, perché ritiene che sarebbe stata più grave la sospensione dell’inchiesta che non la sospensione della denuncia.

Io non posso fare una disquisizione teorica, se sia più grave l’una o sia più grave l’altra, ma devo richiamare l’onorevole Scoccimarro alla realtà delle cose.

Si tratta di una comunicazione telefonica, cioè a dire di una conversazione a distanza (Rumori a sinistra) in cui è facile non riferire esattamente e non si potrebbe andare a fare una indagine per accertare responsabilità, se responsabilità ci fossero, su una conversazione telefonica registrata con appunti. Ma io dico all’onorevole Scoccimarro qualche cosa di più: nella sostanza questa indagine non porta nessuna conseguenza, perché la denuncia era stata presentata, l’inchiesta era stata ultimata da parecchio tempo (Commenti a sinistra), perché lo stesso onorevole Cerreti ha dichiarato che aveva tutti gli elementi per la denuncia, che solo per determinate considerazioni egli non aveva ritenuto di dover fare in precedenza.

Quanto al diritto del Prefetto di intervenire in questa faccenda, bisogna chiarire la natura di questo intervento. Dal punto di vista legale io mi permetto di ricordare all’onorevole Scoccimarro che il Prefetto, per legge, interferisce in questa materia, perché è il Presidente della Sepral e come tale ha il diritto di essere informato di tutte le inchieste. (Applausi al centro – Proteste a sinistra).

L’articolo 3 della legge vigente in materia stabilisce questo: «Le sezioni provinciali dell’alimentazione sono nominate con deliberazioni dell’Alto Commissariato per l’alimentazione, su proposta del Prefetto, che attua le direttive dell’Alto Commissariato per l’alimentazione».

Il Prefetto quindi è il Presidente della Sepral e siccome si trattava di irregolarità commesse negli uffici della Sepral volete che il Prefetto, responsabile dell’andamento della Sepral, non avesse il diritto di informarsi sull’andamento di una inchiesta che riguardava un ufficio di cui egli era Presidente e che poteva investire la sua stessa responsabilità? (Applausi al centro).

Seconda ragione: il Prefetto, nel caso specifico, non ha esercitato un intervento. Il Prefetto si è limitato a fare una comunicazione che veniva dall’Autorità qualificata ed in questo caso era suo dovere (non si tratta di stabilire se c’è o non c’è il diritto) di fare una comunicazione ad un’altra Autorità qualificata. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Cifaldi ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea, udite le dichiarazioni del Ministro dell’interno passa all’ordine del giorno». (Commenti).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Non so se l’onorevole Cifaldi si propone di sviluppare il suo ordine del giorno, assai semplice nella sua formulazione, tanto semplice però che può essere di significato non univoco, in quanto può significare parecchie cose. Il problema come era posto? Qui è stato rilevato che è stato compiuto da parte del Gabinetto del Ministro dell’interno un atto illecito, contrario alla legge.

È stato risposto dall’onorevole Ministro dell’interno che tale atto è stato compiuto. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

Che cosa significa in questo caso l’ordine del giorno puro e semplice? L’ordine del giorno puro e semplice significa constatazione di questa verità oppure il contrario? Vorrei saperlo, e lo vorrei per lo stesso motivo per il quale intervenni l’altra sera e dissi che anche un voto della maggioranza dell’Assemblea il quale respingesse quella inchiesta, che tutti riconoscevano nella coscienza loro necessaria, sarebbe cosa utile e, in un certo senso, mi soddisfarebbe, nel senso che dimostrerebbe che cosa questa maggioranza è capace di fare.

Ci troviamo ora di fronte a fatti precisi, costatati e affermati dal Ministro dell’interno, che coincidono con le affermazioni fatte dall’onorevole Cerreti. (Rumori al centro).

BONOMI PAOLO. E la copia del fonogramma?

TOGLIATTI. In questa situazione desidero continuare e continuo a seguire la stessa linea di condotta tracciata dal mio intervento dell’altra sera, cioè voglio vedere se la maggioranza arriva a dire il contrario di quel che ha detto il Ministro dell’interno, o ad asserire che il Ministro dell’interno non ha affermato quel che ha affermato. Voglio sapere se la maggioranza è tale, onorevole Calamandrei, che possa arrivare a fare del «no» «ita» come diceva il padre Dante. (Approvazioni all’estrema sinistra – Interruzioni al centro e a destra).

Per questo propongo un emendamento all’ordine del giorno Cifaldi. Propongo che dopo aver affermato: «L’Assemblea udite le dichiarazioni del Ministro dell’interno» si aggiunga: «costatato che è risultato vero il fatto di un illecito intervento da parte del Capo di Gabinetto del Ministro dell’interno per sospendere l’inchiesta giudiziaria in corso, passa all’ordine del giorno». (Applausi a sinistra – Rumori prolungati al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte a due ordini del giorno. Poiché l’ordine del giorno puro e semplice rappresenta una pregiudiziale – e questo è chiaro, e se qualcuno è di avviso contrario può esprimerlo – ritengo che l’ordine del giorno puro e semplice, appunto perché non entra nell’argomento, e significa di fatto trascendere la questione, non porta emendamenti. Vi è, invece, un altro ordine del giorno il quale entra nel merito ed esprime un giudizio.

Ed allora, ritengo che l’ordine del giorno puro e semplice abbia la precedenza nella votazione.

Pongo, dunque, in votazione l’ordine del giorno Cifaldi.

PATRISSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Sulla procedura, onorevole Patrissi?

PATRISSI. No, in merito all’ordine del giorno.

PRESIDENTE. A questo punto, onorevole Patrissi, lei può chiedere la parola solo sul problema della procedura. Quindi, non posso darle la facoltà di parlare.

È stato chiesto l’appello nominale sull’ordine del giorno Cifaldi dagli onorevoli Farini, Pratolongo, Barontini Anelito, Massola, Moranino, Fedeli Armando, Reale Eugenio, Maltagliati, La Rocca, Scotti Francesco, Spano Velio e altri.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Si procede allora alla votazione nominale sull’ordine del giorno Cifaldi.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Guariento.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bassano – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

Damiani – D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gasparotto – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giannini – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Rocco.

Jacini – Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni– Lettieri – Lizier – Lucifero.

Maffioli – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Montemartini – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murgia.

Nicola Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paratore – Pastore Giulio – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Ponti – Porzio – Preziosi – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Paolo – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Spallicci – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigo – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi.

Rispondono no:

Allegato – Amadei – Amendola – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bellusci – Bennani – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bordon – Bucci.

Cacciatore – Calamandrei – Caprani – Carmagnola – Carpano Maglioli – Cavallotti – Cerreti – Cianca – Colombi Arturo – Corbi – Costa – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Michelis Paolo – Di Vittorio – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grieco – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lozza – Lupis – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Massini – Massola – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Modigliani – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pertini Sandro – Pesenti – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Priolo – Pucci.

Ravagnan – Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti.

Vernocchi – Vigna – Vinciguerra – Vischioni.

Zanardi – Zannerini.

Si sono astenuti:

Della Seta.

Paris – Parri.

Scelba – Segala.

Sono in congedo:

Arata.

Bernardi.

Cimenti – Colonnetti.

Lombardo Ivan Matteo.

Mariani.

Pellizzari.

Rapelli.

Saragat.

Tremelloni.

Varvaro – Villani.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale.

Presenti                    440

Votanti                     435

Astenuti                       5

Maggioranza             218

Hanno risposto :      277

Hanno risposto no:    158

(L’Assemblea approva l’ordine del giorno dell’onorevole Cifaldi).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, se non hanno nulla in contrario, desidererei esaminare subito la questione dei nostri lavori di domani, per evitare di farlo in fine di seduta, quando la maggior parte dei presenti si affretta ad uscire ed il compito risulta più ingrato.

I termini del problema sono questi: vi sono ancora dieci oratori iscritti, sei presentatori di ordini del giorno; poi c’è da prevedere un certo numero di dichiarazioni di voto. Di fronte a questi dati, pongo il desiderio espresso da molte parti, e un po’ anche la necessità, di finire questa discussione domani sera, per giungere al voto. (Approvazioni).

Ed allora si potrebbe procedere in questo modo: dare adesso la parola a due oratori, poi interrompere la seduta per un’ora od una ora e mezzo e, alla ripresa, ascoltare ancora i discorsi di tre colleghi.

Ridurremmo così, alla metà il numero degli iscritti.

Domattina, poi, e spezzeremo così un po’ la vecchia tradizione che vuole che le sedute mattutine siano meno solenni di quelle pomeridiane, domattina riprenderemo la discussione, con tutta la dignità che essa comporta.

Stasera dovrebbero parlare gli onorevoli Nenni, La Malfa, Di Vittorio, Giannini, Lombardi Riccardo, e domattina gli onorevoli colleghi Pacciardi, Cuomo, Gronchi, Togliatti, Corsi, più i presentatori degli ordini del giorno.

Gli ultimi ordini del giorno dovrebbero essere svolti all’inizio della seduta pomeridiana, dopo di che avrebbe la parola il Presidente del Consiglio per rispondere, ed a sera non troppo avanzata si potrebbe giungere al voto.

La realizzazione di questo piano naturalmente comporterà un certo sforzo, ma permetterà insieme che i vari programmi personali che molti colleghi si sono proposti per i prossimi giorni, possano essere sodisfatti.

Lunedì, poi, potremmo finalmente riprendere i lavori sul progetto di costituzione. (Applausi).

(Così rimane stabilito).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle comunicazioni del Governo.

È inscritto a parlare l’onorevole Nenni. Ne ha facoltà.

NENNI. L’onorevole Einaudi ha fatto ieri l’elogio del tono, della chiarezza con cui l’Assemblea Costituente ha affrontato la parte delle dichiarazioni del Governo riferentisi alla situazione economico-finanziaria del Paese ed ha affermato, giustamente, che la discussione è stata su questo punto all’altezza delle migliori tradizioni parlamentari.

Vorrei augurarmi che alla fine del dibattito, che per quanto si riferisce all’aspetto politico della crisi è stato forse più lungo che chiaro, si potesse ripetere un così lusinghiero giudizio.

Ho l’impressione però che ci sia stata nella discussione una zona nebulosa e che ciò derivi dalla reticenza delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, onorevole De Gasperi, intorno alla causa e all’origine, non soltanto della crisi di cui in questo momento analizziamo il corso e le conseguenze, ma anche della precedente: quella di gennaio.

Mi sembra evidente che, nell’interesse dell’Assemblea e del Paese, l’onorevole De Gasperi abbia l’obbligo di essere assolutamente esplicito e di non lasciare alcuna zona di ombra, alcuna zona di incertezza. Quanto a me, credo di avere individuato l’origine di questa crisi, non già nella situazione, o meglio, non soltanto nella situazione economico-finanziaria, che ha grandemente preoccupato il Presidente del Consiglio nel corso di questi ultimi mesi, ma in quella che, a distanza di un po’ di tempo, potremmo definire una svolta politica dell’onorevole De Gasperi e di una parte della Democrazia cristiana.

L’origine di tale svolta si colloca allo scorso dicembre, al momento cioè della riunione del consiglio nazionale della Democrazia cristiana, subito dopo le elezioni amministrative del mese di novembre, che ebbero ovunque dei risultati catastrofici per la Democrazia cristiana e non buoni per noi.

In quel consiglio nazionale la causa del grave insuccesso elettorale della Democrazia cristiana fu individuata nell’alleanza politica da essa contratta al Governo con le forze comuniste e socialiste.

In una certa misura era la stessa interpretazione che del nostro insuccesso relativo dava l’onorevole Saragat nella intervista al Giornale d’Italia, e che fu il primo atto del dissidio sfociato nella scissione del congresso di Roma.

Al consiglio nazionale di dicembre l’onorevole De Gasperi, a chi lo sollecitava a provocare una crisi ministeriale per escludere i comunisti e i socialisti marxisti dal Governo, rispose che molto probabilmente tale iniziativa l’avrebbero presa i socialisti.

Confesso che egli fu migliore profeta di me, che non avevo visto venire la scissione, sia ch’egli possedesse informazioni migliori delle mie o fosse più addentro alle segrete cose o addirittura vi contribuisse.

Non c’è nessun dubbio, in ogni caso, che, dalle elezioni di novembre in poi, l’onorevole De Gasperi e una parte della Democrazia cristiana subordinarono tutto al proposito di arrivare alla rottura con l’estrema sinistra, approfittando della crisi interna del Partito socialista.

Fin d’allora l’onorevole De Gasperi ebbe l’idea di realizzare il suo piano col concorso di una parte almeno dei socialisti. In questo piano l’onorevole Saragat doveva essere il garofano rosso per l’abito nero – non dico talare – (Commenti al centro) di De Gasperi, doveva servire cioè a condire di un certo sapore di democrazia avanzata un’operazione di netto carattere reazionario.

Non è cosa nuova né strana. Da cinquanta anni in qua gli uomini e i partiti di centro che lavorano per la restaurazione o il consolidamento del capitalismo, hanno sempre avuto cura di condire con un pizzico di socialismo i loro manicaretti.

Fortunatamente il mio ex compagno di esilio Saragat sa la storia e sa quindi come finiscono queste cose.

Nel mese di gennaio quando, tornato dall’America, l’onorevole De Gasperi considerò venuto il momento di realizzare la frattura delle forze popolari servendosi della scissione socialista e di alcuni elementi socialisti, Saragat non si prestò ad un connubio del quale previde le conseguenze deleterie, non soltanto per il proletariato, ma anche per la democrazia in generale.

Così il tentativo di gennaio non riuscì, o riuscì soltanto in minima parte. L’onorevole De Gasperi ricorse allora alla tecnica, per realizzare in parte il suo programma. Tornò al tripartito, ma alleggerendolo del Ministro delle finanze Scoccimarro, sacrificato alla impellente e ineluttabile esigenza tecnica della fusione del dicastero del tesoro con quello delle finanze. Leggemmo allora che si andava a rovina senza la fusione dei due dicasteri. In verità si trattava di togliere ad un comunista una delle cosiddette leve di comando e di eliminarne un altro dal dicastero della assistenza post-bellica, giudicato un dicastero elettorale. La tecnica fu invocata allora per la fusione, così come è stata invocata in senso inverso nel corso delle ultime settimane.

La crisi di gennaio fu determinata e guidata dall’idea di escludere dal Governo l’estrema sinistra e di fare un Governo di centro sulla base del connubio De Gasperi-Saragat-Facchinetti.

Al fallimento di questo suo tentativo l’onorevole De Gasperi non si è rassegnato mai. Egli ha subito il ritorno al tripartito perché la crisi era arrivata al momento in cui l’impazienza del Paese imponeva una soluzione. Ma il terzo Gabinetto De Gasperi si era appena costituito che già il suo capo pensava al quarto Gabinetto, pensava cioè ad attuare il piano fallito in gennaio.

Tuttavia l’ultima crisi, onorevoli colleghi, sta fra le due date del 4 e del 28 aprile. Sono stati 24 giorni duri per l’onorevole De Gasperi.

Che cosa era successo il 4 aprile? Dopo molte discussioni, il Governo si era finalmente messo d’accordo su quello che è stato chiamato il piano del Mosè Morandi, coi famosi 14 punti, i quali dovevano svolgersi ad integrazione e sostegno delle misure di carattere finanziario elaborate dal ministro Campilli e della imposta straordinaria sul capitale.

L’onorevole De Gasperi è stato, fra il 4 e il 28 aprile, assalito dalle forze del capitalismo speculativo che non volevano l’imposta straordinaria sul patrimonio; che non volevano le misure finanziarie elaborate dal ministro Campilli; che non volevano i 14 punti dell’onorevole Morandi; e disgraziatamente davanti a quella forza ha finito per capitolare. Il censo ha trionfato di fronte al suffragio universale.

Anche questo fenomeno non è nuovo. Qualcuno ha ricordato che era già successo in Francia nel 1924, dopo la vittoria del blocco delle sinistre, allorché il Governo Herriot fu rovesciato dalla Borsa. Un esempio più tipico fu quello di dieci anni or sono in Francia, allorché il mio illustre amico Léon Blum, uscito vittorioso dalla consultazione elettorale del 1936, fu nel 1937 rovesciato dalle «duecento famiglie». Teoricamente il fenomeno trova la sua spiegazione nel fatto che, attraverso la vittoria elettorale, la classe lavoratrice acquista la forza di controllare il Governo, di parteciparvi o di assumerne la direzione, senza peraltro essere ancora in grado di controllare le leve economiche, che noi socialisti sappiamo essere molto più importanti di quelle politiche.

A determinare la capitolazione dell’onorevole De Gasperi di fronte al censo, molto influirono le elezioni del 21 aprile in Sicilia. I 250 mila voti perduti dalla Democrazia cristiana e la vittoria relativa del Blocco del popolo contribuirono a rafforzare la corrente di coloro che attribuiscono gli insuccessi elettorali del partito cattolico all’alleanza con i comunisti e i socialisti. Ciascuno ha le sue reazioni di fronte alle vittorie della classe lavoratrice. La reazione degli agrari siciliani si è manifestata con la mitraglia di Portella delle Ginestre, la mitraglia che – e l’onorevole Scelba non ha ancora individuato per mano e istigazione di chi – seminò la morte fra i contadini. (Applausi a sinistra). La risposta dell’onorevole De Gasperi è stata l’esclusione dal Governo di coloro che avevano vinto le elezioni in Sicilia.

Veda, onorevole De Gasperi (le do del lei per sottolineare la solennità del dialogo, non perché in me sia diminuito l’affetto che a lei mi ha legato in un periodo delicato della nostra vita politica), io ho visto con sorpresa confrontare la sua politica con quella del mio vecchio compagno ed amico onorevole Ramadier, Presidente del Consiglio dei Ministri di Francia. Il confronto non regge. Questa non è la sede perché io discuta se i socialisti francesi hanno fatto bene od hanno fatto male ad assumere, nelle forme attuali, la responsabilità del Governo. Credo del resto che essi siano alla vigilia d’una modificazione sostanziale della loro politica. Ma questo non c’entra. Quello che c’entra è che l’onorevole Ramadier non ha voluto e non vuole l’esclusione dei comunisti dal Governo. Ho qui un articolo del più autorevole interprete della politica di Ramadier, il mio amico Léon Blum, un articolo nel quale egli esorta i comunisti a rientrare nel Governo repubblicano e afferma che la loro assenza dal Governo crea un vuoto, una difficoltà, rende ardua e finirà per rendere impossibile la stessa opera di Governo dei socialisti.

Il presidente Ramadier ha visto sorgere il conflitto coi comunisti in Parlamento sulla questione dell’Indocina prima, sulla politica economica e finanziaria del Governo poi. La crisi è maturata in Francia sul terreno dei fatti, non col tentativo subdolo di allontanare dal Governo un partito, che ha avuto, in Francia come in Italia, un numero tale di suffragi da dover essere considerato come uno degli elementi essenziali della vita democratica del Paese. (Applausi all’estrema sinistra).

Che cosa ha fatto invece l’onorevole De Gasperi? Egli non è riuscito mai a portare la crisi sul piano politico. Non è mai successo che, in Consiglio dei Ministri, non si sia trovato un terreno di accordo e di conciliazione. (Commenti). Non c’è stato nessun dibattito di fronte a questa Assemblea. De Gasperi ha dovuto fare una crisi extra parlamentare, perché gli mancavano i motivi per fare una crisi parlamentare. E ritengo che l’inquietudine del Paese, oltre che dalla esclusione di tutto un settore della opinione pubblica repubblicana dal Governo, dipenda anche dal modo come ciò è successo, senza che se ne vedessero e individuassero le cause. Perché, onorevole De Gasperi, vogliamo proprio parlare sul serio della questione del doppio giuoco? Vediamo.

Io potrei dimostrare senza fatica che, nei casi essenziali e fondamentali, il doppio giuoco lo ha fatto l’onorevole De Gasperi. Lo ha fatto certamente nella questione del cambio della moneta, quando apparentemente ha dato il suo consenso al progetto del cambio e poi si è rifugiato dietro la tecnica, rappresentata anche allora dall’onorevole Einaudi, per non farlo.

Una volta De Gasperi parlava di «doppio binario». Ricordo con una punta di emozione le riunioni del Comitato di liberazione nazionale, in cui egli veniva con l’Avanti! clandestino segnato in bleu o in rosso, e non era possibile passare alla discussione delle questioni all’ordine del giorno, molte volte involgenti gravi problemi di carattere politico e militare, senza che avesse fatto il suo sfogo preventivo contro il doppio binario dell’Avanti! Mi dicono che nel Consiglio dei Ministri degli ultimi tempi l’onorevole De Gasperi faceva la stessa cosa e arrivava con l’Avanti! e con l’Unità segnati, come al solito, in blu o rosso – non so che colore adoperi per i casi più gravi – e il Consiglio dei Ministri non poteva passare alla discussione dei temi all’ordine del giorno senza che il Presidente del Consiglio avesse risollevato per la milionesima volta la questione non più del doppio binario, ma del doppio giuoco.

Onorevole De Gasperi, se ella chiama doppio giuoco il fatto che la prospettiva generale politica di noi socialisti non è quella della Democrazia cristiana, allora non c’è più niente da dire. Se non ci fosse questa diversa prospettiva politica o noi saremmo democristiani o i democristiani sarebbero socialisti.

Esiste un documento celebre nella letteratura marxista: il primo documento che ha dato luogo alla polemica sul doppio giuoco. È l’indirizzo di Marx alla Lega dei comunisti dopo la rivoluzione del 1848-1849, quando Marx sosteneva la tesi, che io ritengo sia ancora oggi pienamente valida, essere compito della classe operaia, all’indomani di una rivoluzione, obbligare i democratici ad eseguire le loro promesse, a mantenere gli impegni che hanno assunto e quando diceva che il partito della classe operaia, dopo una rivoluzione, non deve rivolgere la sua critica contro il nemico vinto (nel caso nostro il fascismo) ma contro il partito col quale collabora e che vuole accaparrare per sé solo i benefici della rivoluzione (nel caso nostro la Democrazia cristiana). Così noi ci siamo trovati a collaborare nella lotta contro il nazi-fascismo prima, in quella per la Costituente poi, senza con ciò rinunciare ad essere noi stessi, appunto perché avevamo di fronte un nemico comune. Oggi ancora la nostra collaborazione sarebbe possibile, pur nella diversità degli ideali e degli obbiettivi, se fossimo d’accordo nell’individuare nella speculazione il nemico comune. Quindi da questo punto di vista la polemica sul doppio giuoco non è una cosa seria: è un espediente; è il tentativo di valersi di disaccordi che non hanno mai messo in pericolo la vitalità del Governo per una operazione politica che offende il nostro sentimento di rappresentanti della classe lavoratrice ed anche il nostro sentimento di repubblicani, i quali non possono ammettere che un anno dopo la proclamazione della Repubblica i repubblicani siano esclusi dal Governo del Paese. (Applausi a sinistra).

Questa è la genesi della crisi di gennaio e di quella di maggio.

Vorrei esaminarne adesso le conseguenze. Nell’ordine politico ella, onorevole De Gasperi, ha spezzato il fronte repubblicano e si presenta davanti all’Assemblea con un Governo di parte e di classe. Ella ha creato una situazione che, se dovesse svilupparsi, porterebbe in sé gravi pericoli per la unità morale della nazione e per la solidarietà che deve esistere fra le forze popolari del nostro Paese, se vogliamo uscire dalla tragica situazione in cui ci hanno posto il fascismo e la guerra.

Quando io dico che dietro l’onorevole De Gasperi mi pare di vedere l’ombra di monsignor Seipel, dello spagnolo Gil Robles o del piccolo cancelliere Dollfuss, non penso affatto che esista una consapevole volontà del Presidente del Consiglio di portare le cose al punto in cui le portò monsignor Seipel nel novembre 1928, o di andare ad una repressione del tipo Gil Robles nelle Asturie, o di meditare una strafe-expedition come quella di Dollfuss contro il proletariato di Vienna nel febbraio del 1934. Non pretendo neppure che il Presidente del Consiglio si proponga coscientemente di seguire le orme del cancelliere Bruening, che svirilizzò la Repubblica di Weimar prima che von Papen la consegnasse a Hitler.

Molto probabilmente l’onorevole De Gasperi ha orrore di queste cose, ma sono persuaso che ne avrebbero avuto orrore anche monsignor Seipel ed il piccolo cancelliere Dollfuss, se qualcuno li avesse prevenuti del punto d’arrivo della loro politica. Senonché noi non facciamo la storia secondo la nostra volontà, ma in condizioni determinate dall’ambiente e quando c’è davanti a noi una china o un abisso, la sola cosa che possiamo fare è di non mettere il piede su quella china giacché, fatto il primo passo, gli altri seguiranno fatalmente. (Applausi a sinistra).

Onorevole De Gasperi, si comincia con l’escludere i comunisti e i socialisti dal Governo e si può finire con lo sparare contro gli operai. (Applausi a sinistra – Vive proteste al centro – Scambio di apostrofi).

Voci al centro. Ungheria!

NENNI. Bisogna pensarci a tempo, onorevoli colleghi. (Rumori al centro – Interruzione dell’onorevole Fuschini).

PRESIDENTE. Non interrompano, onorevoli colleghi!

NENNI. Bisogna pensarci a tempo, onorevoli colleghi, perché l’arte di governare è l’arte di prevedere e non di reprimere. (Interruzioni e rumori al centro). La realtà è che gli atti di questo Governo sono, fin da questo momento, inficiati di parzialità: c’è gran parte del Paese che non riconosce come legittima la situazione che si è creata. (Rumori al centro e a destra).

Nell’ordine ideologico il Governo attuale fa sorgere nel Paese una – come dire? – tentazione di anticlericalismo…

Una voce al centro. L’avete sempre avuta questa tendenza.

NENNI. …e noi questo non vogliamo. (Commenti). Non lo vogliamo perché, come ho già avuto occasione di dire in questa Assemblea, le reminiscenze volterriane ci interessano poco, nel momento in cui è posto davanti al Paese il problema fondamentale della riforma agraria e della riforma industriale, dalla cui soluzione dipendono, secondo noi, l’avvenire della Nazione e l’avvenire delle classi lavoratrici.

Non lo vogliamo, ma l’altro giorno mi è capitato di sentire in Firenze degli epigrammi – che forse l’onorevole De Gasperi conosce – i quali mostrano come l’umorismo del popolo s’attacchi ai preti. (Rumori al centro). Ripeto che non ci interessano i blocchi anticlericali e massonici…

Una voce al centro. Legge mai l’Avanti? (Rumori a sinistra).

NENNI. Qualche volta.

PRESIDENTE. Ricordiamo il programma, stabilito per i lavori di questa sera. Se gli oratori non potranno andare avanti non ne faremo nulla.

NENNI. Ci farebbe orrore una Repubblica clericale, ma non ci auguriamo nemmeno la Repubblica del petit-père Combes. (Interruzioni al centro). Ci sono altri problemi. Quando su quel banco (Accenna al banco dei Ministri) c’erano i rappresentanti di tutto il movimento democratico e popolare, dietro di voi, onorevole De Gasperi, tutti intravedevano il Presidente De Nicola, dei cui illuminati servigi temiamo in questo momento di vedere privato il Paese. (Il Presidente, i componenti del Governo, tutti i deputati e il pubblico delle tribune si levano in piedi – Vivissimi, prolungati, generali applausi che si rinnovano a più riprese).

Oggi, guardando il banco del Governo, malgrado qualche ostaggio come l’onorevole Sforza, c’è da domandarsi se la Città del Vaticano non abbia dilatati i suoi confini a tutta Roma, a tutta la penisola. (Commenti al centro). Vi conviene, onorevole De Gasperi, e conviene alla Democrazia cristiana? (Commenti e interruzioni al centro). Non dico se convenga alla Chiesa, perché la Chiesa qui non c’entra, come non c’entra la religione, giacché, se la religione c’entrasse, le cose sarebbero andate in modo diverso. Cosa è valso al mio amico Togliatti votare l’articolo 7?

TOGLIATTI. Aspetta, aspetta!

NENNI. Per lo meno, nell’ambito governativo e parlamentare, non è valso a niente. Io non so se l’onorevole Einaudi sia uno di quei grands bourgeois anticlericali e volterriani stile Ottocento, ma so per certo che il Presidente del Consiglio non si preoccupa delle sue opinioni religiose. L’elemento sociale conta molto più della religione. (Applausi a sinistra).

Ma dove le conseguenze della rottura del fronte repubblicano e della formazione di un Governo di classe possono essere più gravi, è nel campo economico-sociale. Noi abbiamo sentito ieri il discorso dell’onorevole Einaudi, ammirevole per profondità di dottrina, per maestria tecnica, per onestà intenzionale. Credo di non offenderla, onorevole Einaudi, dicendo che ella ci è apparso ieri come la borghesia fatta scienza. Quarant’anni or sono ella era un collaboratore di Filippo Turati nella Critica Sociale, quando si trattava di difendere il liberalismo contro i negrieri del protezionismo. Il suo discorso di ieri ha per noi un significato inequivocabile. Tutto il suo sforzo è teso a ricostituire la società italiana, come era alla vigilia della guerra e prima del fascismo. In questo non siamo d’accordo. Noi socialisti non consideriamo la guerra del 1939 come l’avventura personale di Hitler, se non nei suoi dettagli. Non consideriamo il fascismo come l’avventura personale di Mussolini, se non in rapporto alle frange personali e temperamentali del fenomeno. Per noi la guerra del 1939 ed il fascismo sono l’avventura del capitalismo tedesco e del capitalismo italiano, di capitalismi, cioè, che non hanno la vasta assiette au beurre degli altri capitalismi occidentali e che sono periodicamente trascinati sul piano delle avventure.

Ora, rifare la società italiana come era, vorrebbe dire ricreare i sintomi e i germi della malattia dalla quale stiamo per uscire. Ecco perché noi non possiamo collaborare a. questo tentativo.

L’onorevole Einaudi ha parlato ieri della difesa del risparmiatore. I risparmiatori meritano di essere difesi, ma il Vicepresidente del Consiglio non ha detto niente dei lavoratori e di quelle categorie, il cui livello di esistenza è oggi al di sotto del minimo indispensabile e la cui sorte preme alla Nazione e deve premere allo Stato più degli stessi risparmiatori.

Ora io domando al Governo: stanno per venire alla scadenza gli impegni che sono stati assunti e che non possono essere elusi. Si è fatta la politica del blocco dei salari, condizionandola al blocco dei prezzi; fallita la prima ne consegue il fallimento della seconda.

Per quanto riguarda gli operai dell’industria si è trovato nella scala mobile con determinati coefficienti un temperamento che agisce con una relativa efficacia. Che cosa si propone di fare il Governo per i ferrovieri, per i postelegrafonici ed in generale per i suoi dipendenti? Il minimo che si possa fare per costoro è di applicare al contratto di lavoro e di impiego dei dipendenti statali una scala mobile a coefficienti analoghi a quelli praticati dalle industrie private. Onorevole Einaudi, drizzare contro la fame del popolo il mito del pareggio del bilancio è cosa assurda ed impossibile, che suonerebbe condanna a morte per le categorie più umili e disagiate. (Approvazioni a sinistra – Commenti al centro).

Onorevoli colleghi, mi rimane da considerare il significato del quarto Gabinetto De Gasperi nel campo internazionale.

L’onorevole De Gasperi si è comportato in modo da stabilire agli occhi dell’opinione nazionale una specie di rapporto di causa ed effetto fra le crisi di gennaio e di maggio e gli aiuti americani. In gennaio si è dimesso mettendo il piede a terra dall’aeroplano che lo riconduceva dagli Stati Uniti; in maggio ha fatto il discorso del 28 aprile, dopo di avere convocato a Roma il nostro Ambasciatore a Washington e di essersi lungamente intrattenuto con lui al Viminale. In questo modo, il Presidente del Consiglio ha voluto che il Paese mettesse in relazione la crisi e col suo viaggio e con le difficoltà che incontravano, per cause obiettive, i negoziati aperti con gli Stati Uniti d’America.

Io credo che ciò non sia esatto. Io credo a quello che il Presidente del Consiglio ha sempre detto, e che cioè in America nessuno ha subordinato gli aiuti al nostro Paese alla estromissione dei comunisti dal Governo. Io sono sicuro che nessuno è andato a dire una cosa di questo genere all’onorevole Sforza, a Palazzo Chigi. Non credo, per esempio, che l’interprete più autorizzato dell’America sia quel banchiere Giannini, che venne in Italia a dire: «Se volete i dollari dall’America mettete i comunisti fuori del Governo».

Questa è una menzogna dei reazionari…

Una voce a destra. In agguato.

NENNI. …di casa nostra. L’altro giorno abbiamo sentito parlare dai banchi di destra, della «Voce dell’America», con un tono offensivo per l’Assemblea e per la Nazione, che ci poneva al livello degli sciuscià e che presagiva il sacrificio della nostra indipendenza, che vale quanto il nostro pane! (Vivi applausi a sinistra).

Nessuno si nasconde che c’è una politica americana nel Mediterraneo della quale dobbiamo tener conto: è la politica americana iniziata col discorso del 12 marzo del Presidente Truman. Per fortuna essa non ci riguarda in modo diretto e nella misura in cui riguarda la Grecia e la Turchia. Ed è sbalorditivo che vecchie classi, le quali hanno sempre il nome della Patria sulle labbra, non trovino niente di più glorioso e di più degno per il nostro Paese che metterci al rango dei paesi coloniali.

Io ho ascoltalo l’altro giorno, alla conferenza socialista internazionale di Zurigo, il presidente del Partito socialista greco, il quale non è un bolscevico con il coltello fra i denti (Ilarità – Commenti al centro e a destra) secondo la vecchia formula dei reazionari francesi. Ebbene, questo presidente del Partito socialista greco ci ha fatto un quadro impressionante delle conseguenze che ha avuto nel suo Paese l’intervento straniero. La guerra civile, che era una larvata minaccia, è diventata una tragica realtà. Io spero che nessuno in quest’Aula si auguri che torni il giorno in cui rivedremo le fazioni affrontarsi con le armi… (Commenti al centro e a destra).

Voci a destra. In Ungheria! In Ungheria!

NENNI. …in cui assisteremo a delle macabre processioni precedute dal capo mozzo dei partigiani.

Voci a destra. Jugoslavia! Jugoslavia!

NENNI. Noi abbiamo la possibilità di stare fuori dall’urto degli interessi delle grandi potenze e dobbiamo farlo. Abbiamo bisogno di prestiti americani e dobbiamo quindi dare alcune garanzie. Non quella, che nessuno ci chiede, di tenere Togliatti lontano dal Governo. La garanzia che gli americani ci chiedono è che ci sia veramente nel Paese uno sforzo organico per la ricostruzione. Se mai un americano si presentasse all’onorevole De Gasperi o all’onorevole Sforza a chiedere garanzie politiche, io pregherei i Ministri di accompagnare il loro ospite alla Mostra della ricostruzione delle ferrovie, per fargli vedere che cosa ha saputo fare una categoria di lavoratori e un’amministrazione dello Stato che, guarda caso, ha avuto alla sua testa un’azionista prima e un comunista poi.

La verità è che in due mesi abbiamo fatto cose che altrove avrebbero richiesto un decennio di lavoro. E questo il titolo che ci dà il diritto di essere aiutati per fare un’Italia prospera, elemento indispensabile della prosperità di tutta l’Europa. (Applausi a sinistra).

Io, poi, metto in dubbio che l’America protestante abbia un entusiasmo delirante per il nostro Governo cattolico apostolico e romano. (Commenti al centro).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Fa un bel servizio al Paese! (Commenti a sinistra – Applausi al centro).

Una voce a sinistra. Lo fate voi!

NENNI. D’altra parte non vedo, onorevole De Gasperi, con quale artificio riuscirà a dimostrare in America, vecchio glorioso Paese di tradizioni democratiche, che un Governo il quale avrà venticinque o trenta voti di maggioranza, ottenendoli dalla destra, che li darà per odio e dispetto dell’estrema sinistra (Proteste a destra), non vedo come potrà dimostrare che questo Governo merita fiducia più di quello di ieri che aveva 470 voti in questa Assemblea ed era sorretto da tutte le correnti popolari del Paese. (Commenti – Interruzioni a destra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, tengano presente che devono parlare deputati di tutti i settori.

NENNI. Ma c’è un altro aspetto della questione. Il Governo non deve ispirare fiducia soltanto in Occidente; deve per lo meno non apparire all’Oriente come preventivamente incorporato in un blocco determinato perché, se dipendiamo dagli aiuti americani, non è men vero che l’economia italiana non potrà trovare la sua soluzione organica che riconquistando i mercati orientali. Venuto a mancare, per i prossimi trenta o quarant’anni il mercato tedesco, è verso i paesi orientali che dobbiamo orientare gli scambi commerciali (Commenti al centro) senza preoccupazioni politiche ed ideologiche. Signori, noi non abbiamo alleanze militari o politiche da fare con nessuno, né con l’Ovest né con l’Est, ma soltanto dei buoni trattati di commercio. E sarebbe criminale che, davanti alla possibilità di fare in un prossimo avvenire dei buoni trattati di Commercio con la Romania, con la Polonia, con la Bulgaria, con la Jugoslavia e con l’Unione Sovietica (Commenti al centro), che noi ci precludessimo una tale possibilità, solo perché un determinato partito non condivide l’ideologia prevalente in questi paesi.

Una voce a destra. Ma chi l’ha detto?

NENNI. Anche noi abbiamo le nostre simpatie ideologiche e le nostre antipatie; ma personalmente mi sarei considerato l’ultimo degli italiani se, nel breve periodo in cui ressi la nostra politica estera, avessi sacrificato a queste simpatie o a queste antipatie gli interessi fondamentali del Paese e del popolo! (Applausi a sinistra).

L’onorevole Nitti ha reso un segnalato servizio al Paese mettendo in guardia l’opinione pubblica contro i miracoli attesi dallo zio d’America. L’America ci aiuterà nella misura del possibile, ma ci aiuterà, non perché avremo un Governo fatto in un modo o in un altro modo, ma solo se daremo la prova di voler tendere tutte le nostre energie alla ricostruzione del Paese e se daremo la garanzia di fare una politica di pace, di neutralità e di indipendenza verso qualsiasi blocco, o qualsiasi determinata potenza. (Applausi a sinistra).

Onorevoli colleghi, io ho così indicate le ragioni di ordine politico, di ordine economico-sociale e di ordine internazionale per le quali noi socialisti abbiamo detto «no» al Governo, prima ancora che esso si presentasse alla Costituente. La nostra sfiducia va alla formula politica con la quale l’onorevole De Gasperi ha costituito il suo quarto Gabinetto. Perciò, quando il Presidente del Consiglio è venuto a dirci che il suo programma è quello del Governo precedente, noi non abbiamo potuto prendere in considerazione un tale proposito. Come infatti ammettere che un programma di sinistra possa essere attuato da un Gabinetto di destra, dopo le difficoltà che sono sorte per la sua attuazione nei Ministeri di cui facevamo parte anche noi della estrema sinistra? In queste condizioni non ci turba l’accusa che ci viene mossa di mantenere il Paese in crisi. È sempre difficile essere coerenti con le proprie idee, è sempre ingrato andare a fondo delle cose nelle quali si crede. Ma, come non abbiamo esitato a staccarci dal gregge osannante negli ultimi venti anni, così non ci spaventa andare oggi contro corrente e incorrere nelle critiche o negli insulti di chi ha interesse a travisare il nostro atteggiamento. Tanto più che a tenere il Governo in crisi ci ha pensato De Gasperi. Per sei mesi consecutivi il Governo è stato in crisi, e nessuna cosa è più ingiusta che voler fare ricadere su noi la responsabilità delle difficoltà attuali.

Ho visto dei manifesti per le vie di Roma con la domanda: «Cosa vuole Nenni?». La risposta è semplice.

Se pensassimo agli interessi esclusivi del nostro partito, augureremmo all’onorevole De Gasperi venti o trenta voti di maggioranza e gli augureremmo di stare al Governo fino alle elezioni perché così la via del potere ce l’avreste spalancata proprio voi e tutto diventerebbe per noi estremamente facile. (Interruzioni – Commenti al centro).

Ma noi abbiamo dimostrato di essere capaci di subordinare gli interessi del partito a quelli della Nazione. E come prima del 2 giugno abbiamo chiesto di partecipare al Governo per portare il Paese al referendum e alle elezioni, così oggi rivendichiamo la nostra parte di responsabilità nella direzione del Paese, per lottare contro la speculazione e per portare il Paese alle elezioni politiche. E diciamo che voi uscite dalla legittimità democratica allorché confinate in un ruolo di opposizione i cinque milioni di voti socialisti delle elezioni del 2 giugno, i nove milioni di voti socialisti e comunisti, i dieci milioni e mezzo di voti del fronte repubblicano di sinistra.

Questo solo noi diciamo e lo diciamo col sentimento non tanto di reclamare un diritto, quanto di fare il nostro dovere.

Perché? Io non sono più entusiasta di lei, onorevole De Gasperi, del tripartito, dell’esarchia, della pentarchia. Mi auguro che venga presto l’ora dei Governi di colore e di partito. Quando la Repubblica avrà la sua Carta costituzionale, quando ci sarà un Parlamento per controllare il Governo, quando il potere legislativo sarà distinto da quello esecutivo, allora chi avrà un voto di maggioranza avrà il diritto di governare e noi non ci priveremo per conto nostro di tale diritto. Ma dov’è oggi il Parlamento? Il Parlamento è al Viminale, non è a Montecitorio. A Montecitorio noi facciamo la Costituzione, mentre le leggi le fa il Governo. L’onorevole Nitti si è meravigliato per i Consigli di Ministri che durano da sei a dieci ore, ma si è dimenticato che ciò dipende dal fatto che il Consiglio dei Ministri è un piccolo Parlamento che fa le leggi. In tali condizioni il Governo non può essere di parte e di classe, ma deve essere rappresentativo di tutte le forze democratiche del Paese. (Applausi a sinistra).

Onorevole De Gasperi, all’inizio delle sue dichiarazioni, ella ci ha chiesto di non fare intervenire nel dibattito nessun pregiudizio favorevole per la sua persona. Tuttavia per me il disaccordo di oggi non annulla il pregiudizio favorevole, che deriva dai ricordi comuni di una lotta comune. Avrei voglia di riprendere nei suoi confronti il motto di Jean Jaurès a Clemenceau: Pas vous ou pas ça. «Non voi o non ciò»: non voi, perché siete uno dei fondatori della Repubblica, perché siete stato membro del Comitato centrale di liberazione nazionale, perché avete lottato contro la dominazione fascista e cospirato contro la dominazione nazista. La politica che oggi trionfa ha avuto come esponente il conte Jacini e doveva essere lui al vostro posto, onorevole De Gasperi, se la politica fosse qualcosa di coerente.

Non «ciò», perché ciò turba moralmente, politicamente e socialmente il Paese, in un momento in cui la forza maggiore del Governo sta nel prestigio che esso trae dalla investitura popolare.

Onorevole De Gasperi, alla fine del dibattito, il mio dovere è di dirle che il servizio più illuminato che può rendere alla Nazione e alla Repubblica è di andarsene, aprendo la via alla concentrazione delle forze popolari e repubblicane, sole qualificate per affrontare e risolvere i problemi economici e politici del momento e per portare sollecitamente il Paese alle elezioni.

Signori, io non credo che la Repubblica sia in pericolo (Approvazioni), non credo che sia seriamente minacciata. So, però, una cosa: che se fosse minacciata, se fosse in pericolo, dai cattolici di sinistra fino all’estrema sinistra saremmo tutti d’accordo per difenderla con ogni mezzo ed anche a prezzo di sangue, ove ciò fosse necessario.

Ora a tutti coloro che idealmente si sentono parte del fronte repubblicano, in modo particolare ai gruppi del centro ed ai nostri secessionisti dai quali ci dividono grossi dissapori, i quali peraltro non mettono in discussione la nostra comune fedeltà alla Repubblica, vorrei dire che ciò che faremmo se la Repubblica fosse minacciata o fosse in pericolo, dobbiamo farlo oggi, dobbiamo cioè unirci nel voto contro l’attuale Governo, perché la Repubblica non possa essere da nessuno minacciata o messa in pericolo. (Vivissimi applausi a sinistra – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Onorevoli colleghi, confesso che avrei rinunziato alla parola, se non fossi un po’ costretto a parlare dalla mia particolare posizione nell’Assemblea e dal problema che fa oggetto delle comunicazioni del Governo.

Da questo punto di vista mi trovo, per così dire, un po’ imbarazzato. Perché? Perché ho desiderato, da lungo tempo, come del resto molti colleghi, questo dibattito per la sua sostanza tecnica, economica e finanziaria.

Questo dibattito è il primo, il primo grande dibattito su alcuni problemi fondamentali della vita del nostro Paese ed è stato preceduto da una presa di posizione della Commissione finanze e tesoro, da una esposizione, che io considero la prima degna di questo nome del Ministro Campilli, da una discussione in seno alle quattro Commissioni legislative, discussione assai interessante, che ha chiarito molti aspetti delle questioni che ci preoccupano. Era augurabile che questo dibattito potesse rimanere in sede puramente tecnica, ma esso, se ha trovato la sua sostanza nell’esame dei problemi economici e finanziari, si presenta tuttavia come un dibattito diretto a risolvere una crisi politica. Ora il mio giudizio – obiettivo e spassionato, al di fuori di qualsiasi preoccupazione di parte – è che, dal punto di vista della sostanza del problema che noi dovevamo affrontare, la crisi politica non era necessaria.

A me pare, proprio da un punto di vista tecnico, che la grave crisi politica apertasi con le dimissioni del terzo Governo De Gasperi e la costituzione del quarto, abbia allontanato, anziché avvicinato, la possibilità di raggiungere un risultato utile. Ne dirò francamente il perché.

Quando si esaminino le vicende della nostra situazione economico-finanziaria del passato, è difficile attribuire il cattivo andamento delle cose al fatto che ci siano stati al governo una coalizione di partiti. No; non ho questa sensazione. Credo piuttosto che, usciti dal fascismo e dalla guerra, abbiamo avuto una grande difficoltà a riordinare le nostre idee e a metterle tecnicamente a punto. Del resto, esperti e competenti appartenenti allo stesso movimento di idee, per esempio di parte liberale, non si sono trovati d’accordo sulle vie da battere per il risanamento della nostra situazione economico-finanziaria.

Non mi pare (almeno, ad essere obiettivi) che la direzione della politica economico-finanziaria del nostro Paese sia stata divisa fra i vari partiti in maniera da creare una inconciliabilità di direttive fra i partiti stessi. Debbo francamente dichiarare, per esempio, che la politica del tesoro è stata sempre affidata a uomini che potevano garantire al Paese una condotta assai moderata, in ogni caso lontana da impostazioni socialiste: si sono succeduti in quel dicastero Soleri, Ricci, Corbino, Bertone, Campilli. Nessuno di tali Ministri è stato talmente distante dall’altro da far sì che la politica del tesoro dovesse risentire dell’origine politica dei Ministri stessi. Eppure, se voi guardate allo svolgimento nel tempo della politica del tesoro, voi trovate che questi Ministri non si sono trovati mai, su una linea di azione unitaria. Soleri voleva il cambio della moneta; Ricci non so se lo volesse o non lo volesse; Corbino non ha voluto il cambio della moneta; Bertone ha voluto il cambio della moneta; Campilli ha dovuto rinunciare al cambio della moneta, pur credendoci, ed Einaudi riprende in pieno la tesi di Corbino.

Ma andiamo in un altro campo più vasto. Quando noi accostiamo Tesoro, Banca d’Italia e I.R.I., troviamo, a capo di quello che considero il triangolo di direzione della vita economica e finanziaria italiana, uomini della stessa tradizione di pensiero, se non delle stesse idee. Eppure il trinomio non ha funzionato.

I partiti di sinistra sono stati rappresentati in questo campo, dall’onorevole Scoccimarro, che è stato ministro delle finanze per molto tempo. Ma le critiche che più sovente ho sentito fare sull’onorevole Scoccimarro, riguardano la sua attività tecnica e non coinvolgono un giudizio politico. Quando qualcuno dice che Scoccimarro non ha saputo mettere a punto il congegno tributario, assicurare un gettito delle imposte adeguato alle necessità e alla svalutazione della lira, critica l’attività tecnica del ministro, ma non Scoccimarro comunista, poiché nessuno mette in dubbio che il Partito comunista avrebbe ben voluto tassare i contribuenti e accrescere il gettito delle imposte.

Vi sono alcuni aspetti della politica delle sinistre in Italia, che hanno contribuito ad aggravare la situazione finanziaria e monetaria. Ma io non so se il presente Governo sia il più idoneo a combattere questi aspetti, uno dei quali riguarda la politica della Confederazione del lavoro. È difficile sostenere che, dal punto di vista della difesa della moneta e del potere d’acquisto, la Confederazione abbia dato un contributo costruttivo. Ma io chiedo, a questo riguardo, che cosa abbiamo fatto noi perché la politica della Confederazione del lavoro fosse una politica costruttiva, che cosa abbiamo dato di contropartita perché la Confederazione ci seguisse sul terreno da noi scelto?

L’altro aspetto riguarda la politica dei minimi imponibili, questa sì dell’onorevole Scoccimarro, che in sede della Commissione finanze e tesoro io ho sempre criticata. Il Ministro Scoccimarro, nella politica dei minimi imponibili, ha molto risentito delle ideologie di partito ed ha cercato di elevare costantemente tali minimi. Ho sempre combattuto tale politica, perché ritengo che il sistema fiscale si fondi sui piccoli e medi imponibili. Noi, per ragioni di giustizia, dobbiamo applicare rigorosamente il sistema della progressività, ma non possiamo sperare di avere un sistema tributario efficiente, esentando i piccoli e medi imponibili e tassando fortemente gli altri. Sarebbe come distruggere il sistema d’imposte.

Ma, se questa è la critica che noi possiamo fare al ministro Scoccimarro, niente della discussione di questa Assemblea dice che noi intendiamo farla. Anzi, nel programma del nuovo Governo, troviamo che questa politica è accettata e avallata in pieno.

E allora? Cosa dobbiamo concludere: che vi è una responsabilità dei partiti di sinistra, come vuole una falsa e insidiosa campagna di stampa? Io credo di no. Dobbiamo dire piuttosto che la responsabilità della situazione non appartiene né alle sinistre né alle destre, ma è una responsabilità solidale di tutti i Governi che si sono succeduti, i quali non hanno saputo trovare i mezzi tecnici idonei per condurre una politica adeguata di difesa e controllo della moneta.

Ed è da questo punto di vista che io considero un errore l’avere inserito una crisi politica in un problema tecnico, che si avviava alla sua soluzione. Perché, se consideriamo elemento di politica costruttiva economico-finanziaria la politica della Confederazione del lavoro, non credo che, la situazione politica attuale, abbia facilitato il raggiungimento di questo obiettivo; non credo cioè che l’attuale Governo si trovi in condizioni di perseguire con maggiore tranquillità e autorità dei precedenti la sua politica.

Dicevo, a proposito della «crisi Corbino», che noi dobbiamo sgomberare il terreno dal massimalismo politico col quale accompagniamo lo studio dei problemi tecnici. La «crisi Corbino» per me – lo dissi allora – fu esagerazione politica di un problema tecnico. A me parve che, dopo quella crisi, si dovesse rientrare nella normalità e nella tranquillità dello studio di questi problemi, e vedo, invece, che, con questa crisi, abbiamo riportata la situazione al punto dal quale doveva uscire.

Certe cifre spiegano questa situazione. In definitiva, uno dei problemi essenziali e risolutivi della nostra situazione monetaria è il sistema dei prezzi.

C’è stato un momento, in Italia, in cui effettivamente la tendenza dei prezzi è stata verso la diminuzione: precisamente nel periodo gennaio-maggio 1946, durante la gestione del tesoro da parte dell’onorevole Corbino. Il fenomeno fu decisivo per la situazione della nostra moneta. Che cosa avvenne allora? Si aprì il mercato internazionale, vi fu un afflusso di merci sul mercato interno, si creò una situazione per cui tutti gli stocks di merci che esistevano nel Paese, a scopo speculativo, dovevano essere sbloccati.

Fu il momento decisivo in cui potevamo, con una adeguata politica controllare il sistema dei prezzi e, quindi, infrenare la corsa all’aumento dei salari che è conseguente all’aumento dei prezzi. Ora, questo momento non è stato sfruttato per la inadeguatezza della nostra politica. Era allora che noi dovevamo instaurare il controllo del credito, del quale parliamo ad un anno e mezzo di distanza: era allora che dovevamo porci i problemi del cambio della moneta e delle imposte straordinarie.

Fin dal primo governo Parri, fin dal primo governo De Gasperi, ho chiesto, e l’onorevole Gronchi me ne può dare atto, che noi controllassimo il credito, i prezzi e cercassimo di frenare l’aumento dei salari. Sono i tre elementi che hanno portato all’inflazione. Non abbiamo assolutamente controllato il credito in quel periodo. Se prendete alcuni dati degli impieghi delle Banche trovate che dal dicembre 1945 al dicembre 1946, questi impieghi sono saliti dal 35 per cento al 56 per cento. Ci possono essere stati, evidentemente, degli impieghi necessari e utili, ma nessuno può escludere che vi siano stati impieghi diretti a favorire la formazione di stocks di merci e se questo movimento non è preso all’inizio, diviene uno dei fattori fondamentali dell’inflazione.

Ho dato delle cifre globali, ma potrei citare cifre relative a singoli istituti, e voi potreste vedere che questo fenomeno ha determinato centinaia di miliardi di aumento. E non si tratta soltanto, come sosteneva ieri l’onorevole Einaudi, di moneta creditizia. Io parlo, a questo proposito, non solo di moneta creditizia, ma di risparmio vero e proprio che affluisce alle Banche. La massa del risparmio, che il Paese dà, è assortita da una parte dal Tesoro, attraverso i debiti di tesoreria, e dall’altra parte dalle Banche. Ora, controllare la situazione monetaria, significa non soltanto far pervenire alle casse dello Stato una parte del risparmio del Paese, ma significa anche controllare quale destinazione abbia la parte del risparmio del Paese che va alle Banche. È un controllo anche di carattere qualitativo, diverso (avrei voluto vedere questo concetto, illustrato nel discorso dell’onorevole Einaudi) dal controllo individuale del credito.

L’onorevole Einaudi, ieri, ci diceva che vi sono due tipi di controllo: quantitativo e qualitativo individuale. Ve ne è un terzo: qualitativo per categorie. Se voi controllate, ad esempio, lo sviluppo del credito nel campo alimentare, voi, con azione tempestiva, potete alleggerire la situazione speculativa sui prodotti alimentari, e quindi facilitare il movimento dei prezzi al ribasso.

Siamo qui nel campo di provvedimenti che non sono stati presi in tempo, e all’onorevole Corbino, che giustamente approva la politica di controllo del credito oggi esposta dal Governo, io vorrei manifestare il mio rincrescimento che tale politica non sia stata iniziata molti mesi fa.

Badate che questi sono i veri problemi del Paese, quelli che assillano di più e vanno considerati con la massima obiettività. Si tratta di aspetti fondamentali. Naturalmente ne esistono altri, come quelli relativi al rendimento delle imposte e tasse. Non posso dilungarmi qui in una critica di ordine tecnico, ma se guardiamo ad alcuni dati, troviamo che, rispetto a quello che è l’aumento dei prezzi, il gettito delle nostre tasse ed imposte è stato finora assolutamente inadeguato. Rispetto al 1938-39, nel terzo bimestre del 1947 noi abbiamo un aumento del gettito globale come da 100 a 1194. Per singole categorie di imposte, noi abbiamo un aumento nelle dirette come da 100 a 600; le tasse sugli affari sono andate da 100 a 2550; i monopoli da 100 a 1633, le dogane da 100 a 600. Non c’è un rendimento adeguato a quella che è la situazione dei prezzi, dei salari, ecc.

D’altra parte il gonfiamento della nostra circolazione, in conseguenza di una politica del Tesoro, che non ha controllato sufficientemente il mercato, comincia non appena il periodo di diminuzione dei prezzi si chiude.

Nel maggio 1946 discussi con l’onorevole Einaudi le statistiche fondamentali della sua relazione sulla Banca, d’Italia: se prendete il maggio 1946, e considerate le statistiche riguardanti i salari, le quotazioni di Borsa, ecc., voi vedete che da allora comincia il ciclo inflazionistico. Praticamente le quotazioni di Borsa sono aumentate ininterrottamente dal maggio 1946. E non solo le quotazioni di Borsa, ma tutti i valori, tutti gli indici. Dal maggio 1946 non avete un minuto di respiro, qualunque sia stato il Ministro, Corbino o Scoccimarro o Campilli o chi so io. In occasione del tentativo Nitti, i giornalisti mi citarono la discesa dei prezzi in borsa, al che ribattei chiedendo se i prezzi del burro erano diminuiti. Ciò perché attribuisco ben poca importanza a queste fluttuazioni transitorie. È una politica energica e tecnicamente ben congegnata, sono i fatti concreti che incidono permanentemente sul mercato, non gli umori transitori e contingenti.

L’onorevole Corbino ha detto per molto tempo e ha ripetuto qui l’altro giorno: «Non bisogna aumentare di un soldo la circolazione». Mi spiace che l’onorevole Corbino non sia presente; ma devo osservare che durante la sua gestione, dal maggio al giugno 1946 la circolazione è aumentata di 9 miliardi; dal maggio al luglio di 21 miliardi; dal maggio all’agosto ai 32 miliardi; dal maggio al settembre di 46 miliardi. Al 31 gennaio 1947 la circolazione era aumentata di 110 miliardi. È sempre cresciuta, e non basta dire che non dobbiamo stampare un soldo di carta moneta; bisogna vedere quale politica facciamo per arrivare a questo risultato, e se abbiamo predisposto tutti i mezzi tecnici per conseguire lo scopo.

Il mercato, dunque, è orientato, dal maggio, all’inflazione; non c’è stato un momento di arresto in questa situazione sotto qualsiasi Ministro. C’è stato il periodo Bertone, che fu caratterizzato da questo: che il prestito della ricostruzione doveva essere un elemento di freno in questa marcia inflazionistica. Ma anche a questo proposito l’onorevole Einaudi si ricorderà di una conversazione tra me, lui e il Direttore della Banca d’Italia, dottore Menichella. Bertone aveva accettato il cambio della moneta e l’imposta patrimoniale e intendeva fondare il prestito della ricostruzione a saggio ridotto su questi due provvedimenti. Osservai all’onorevole Einaudi (che era poi quasi dalla mia parte) e a Menichella che non si può emettere un prestito, presupponendo due provvedimenti che non sono già stati presi e definiti. Quando avrete definito il cambio della moneta e l’imposta patrimoniale, voi potrete dare a coloro che devono subire il cambio della moneta e l’imposta un’alternativa; ma, finché questo non è possibile, il prestito non ha probabilità di un buon successo.

Effettivamente, avendo fondato un prestito su due provvedimenti che non erano ancora definiti, si è determinata una crisi di tutta la politica del Governo, il che è fondamentale e costituisce il fallimento del prestito della ricostruzione e del suo scopo.

Le conseguenze tecniche, poi, di questa emissione del prestito, al di fuori del provvedimento concreto di imposta patrimoniale cui si applica, le potrete oggi osservare: sono molto gravi per lo Stato, sono estremamente gravi da un punto di vista di giustizia fiscale. Se avessi potuto cancellare le facilitazioni così inavvedutamente concesse, l’avrei fatto senza rimorsi. Ma la cosa non era possibile.

Anche qui non si è trattato di differenze ideologiche, ma di punti di vista tecnici. In questo campo mi sono trovato d’accordo con l’onorevole Corbino, che voleva l’emissione di un normale 5 per cento.

Ed ora mi chiederete qual è stata l’opera della Commissione di finanza in questo periodo. Al momento in cui la Commissione ha potuto intervenire, trovando per la prima volta la collaborazione piena di un Ministro del Tesoro (devo dare questo riconoscimento all’onorevole Campilli, che ha posto per primo nei suoi più reali e concreti termini il problema della nostra finanza) non le restava che occuparsi immediatamente del bilancio e del problema delle spese. Altre questioni erano state pregiudicate. E qui debbo dissentire completamente dalle affermazioni fatte da alcuni colleghi a proposito di bilancio. Dissento specialmente dai punti di vista espressi dagli onorevoli Scoccimarro, Ruini e Tremelloni e mi trovo invece completamente consenziente con gli onorevoli Nitti ed Einaudi.

La bilancia dei pagamenti ha certamente grande importanza. Ma la politica del bilancio è pure un problema fondamentale dell’economia italiana. L’onorevole Einaudi ci ha dimostrato che noi avremo bisogno, per molti anni, di un saldo di bilancio dei pagamenti di 600 miliardi. Però, in qualsiasi condizione sia la bilancia dei pagamenti, s’impone costantemente una politica finanziaria seria ed accorta.

Io posso, infatti, ottenere o non ottenere prestiti esteri, ma il mio dovere è di avere costantemente una posizione di equilibrio, del bilancio e del tesoro. Quando i colleghi mi dicono che il problema del bilancio non è grave, ma è grave invece il problema della bilancia dei pagamenti, rispondo che abbiamo avuto una condizione ideale della bilancia dei pagamenti nei mesi passati; eppure siamo andati verso l’inflazione e per mera incapacità tecnica. Nessuno mi dimostrerà che nei prossimi mesi noi avremo una bilancia dei pagamenti migliore di quella avuta nel 1946 e in questo primo semestre. Eppure abbiamo avuto 110-130 miliardi di aumento di circolazione, il che eloquentemente dimostra che una cattiva politica finanziaria può coesistere con una magnifica bilancia dei pagamenti. Sono su questo punto perfettamente d’accordo con l’onorevole Einaudi. La Commissione di finanza giustamente si è quindi preoccupata della situazione del bilancio e delle spese. E debbo qui ringraziare tutti i colleghi della Commissione, i quali, il 14 marzo, senza distinzione, hanno preso posizione su tale problema. Noi possiamo ben deprecare che le entrate siano inadeguate e cercare di aumentarle. Possiamo ben controllare il credito, per impedire quei fenomeni inflazionistici di cui vi parlavo. Possiamo studiare un congegno per diminuire i prezzi. Ma, finché questi altri congegni che noi abbiamo per impedire il processo inflazionistico non siano stati messi a punto, occorre operare drasticamente sulle spese.

E, in materia di spese, la Commissione di finanza ha trovato molto da ridire. Il problema delle spese è problema gravissimo. Vi è da rivedere tutto la struttura amministrativa e burocratica dello Stato, tutto il complesso degli oneri, degli obblighi che gravano sullo Stato. La Commissione, ogni volta che si trova di fronte a un disegno di legge, sente quasi irresistibile il bisogno di guardare a fondo. Ma non ne ha il tempo, perché tutto dovrebbe essere rivisto. Noi abbiamo avuto venti anni di incrostazioni amministrative e burocratiche, al di fuori di ogni controllo parlamentare. Per venti anni, abbiamo aggiunto al congegno amministrativo nuovi elementi, senza che avessimo alcuna possibilità di accertarne la necessità. Ecco perché occorrono controlli profondi e seri, e alcuni anni di lavoro, che la Commissione ha potuto appena iniziare.

Accanto al problema della limitazione delle spese, la Commissione si è preoccupata del problema dei residui. Nell’ultima esposizione dell’onorevole Einaudi, non mi pare di aver sentito parlare dei residui. L’onorevole Scoccimarro e altri colleghi sono molto ottimisti al riguardo. Ma, già in occasione della discussione dinanzi alle quattro Commissioni legislative, io manifestavo al Ministro Campilli la mia preoccupazione per quello che è l’andamento dei residui: i residui nel bilancio italiano si vanno accrescendo con progressione preoccupante. Nell’esercizio 1945-46 abbiamo avuto 130 miliardi di residui. In questo esercizio, dei residui degli esercizi precedenti ne abbiamo pagati 95; ma abbiamo rimandato ad esercizi futuri il pagamento di 480 miliardi (situazione di fine marzo). Aggiungete a questi 480 miliardi i residui degli esercizi precedenti e avrete nell’esercizio futuro 600-700 miliardi di residui, corrispondenti a quasi un anno di spese dello Stato. Quale sarà la soluzione che noi daremo al problema di questa massa di pagamenti che gravano sul Tesoro?

Ed eccoci, da questo punto di vista, ad esaminare l’atteggiamento della Commissione di fronte all’imposta straordinaria patrimoniale. Qui si è sfiorato appena il problema, ma spero che se ne parlerà più a lungo, in sede di esame del decreto legislativo. Ora ho una critica spietata dell’onorevole Nitti all’imposta patrimoniale: l’imposta patrimoniale deve essere attenuata e moderata. Ricordo che il progetto Nitti dell’altro dopoguerra, è stato modificato tre volte, il che indica la difficoltà di questa materia.

Ma il problema fondamentale, che sta di fronte al Governo e all’Assemblea è questo: che scopo vogliamo dare all’imposta patrimoniale? Se vogliamo darle lo scopo di un provvedimento tributario integrativo, la possiamo dilazionare, diluire nel tempo: è un gettito tributario qualsiasi, integrativo del gettito ordinario. Se vogliamo darle, invece, uno scopo anti-inflazionistico, allora l’imposta deve operare in maniera totalmente diversa; deve essere un’imposta drastica, altrimenti lo scopo anti-inflazionistico non si realizzerebbe.

Questo è il punto di vista dal quale si è messa la Commissione, quando ha aggravato in un certo senso il progetto governativo. Perché deve essere drastica? Perché, come provvedimento anti-inflazionistico, l’imposta funziona in quanto, riduce il valore di mercato dei beni soggetti ad imposta: cioè contribuisce alla politica di contrazione dei prezzi, che per altre vie il Governo persegue.

Domando al Governo, all’Assemblea, a coloro che combattono l’imposta, come vogliono combattere l’inflazione o il pericolo dell’inflazione nei mesi venturi se non con provvedimenti del genere. L’onorevole Nitti trovava che il sistema di funzionamento del tesoro, attraverso il debito fluttuante, non va. Ma se l’imposta non va, i buoni del tesoro non vanno, come si combatte l’inflazione? Quali sono i mezzi tecnici che vogliamo usare per combattere, nei mesi venturi, l’inflazione?

Ed eccomi tornato al punto di partenza. Quale sarà la politica del tesoro nei mesi venturi? Io non oso fare classificazioni: direi che, fra gli economisti tradizionali di parte liberale (e in questa Assemblea ve ne sono diversi), l’onorevole Einaudi e il professor Del Vecchio rappresentino una delle correnti più avanzate. Ora tocca a loro risolvere questi gravi problemi. La deficienza, la vera deficienza della nostra politica del tesoro nei mesi passati, è di non aver mai avuto presenti tutte le condizioni del mercato e di non avere operato nei vari settori in maniera tale da raggiungere un effetto antinflazionistico. Questa politica deve essere mutata.

Parlando, nel settembre scorso della politica del tesoro e delle leve necessarie per condurre tale politica, ho avuto una replica brillante e assai spiritosa dell’onorevole Corbino. Ma oggi i nostri problemi sono quelli che ho prospettato sette o otto mesi or sono: dobbiamo ridurre le spese, controllare il credito, conoscere l’ammontare del risparmio, mettere in azione alcune imposte straordinarie, trovare un preciso terreno d’accordo con la Confederazione del lavoro.

A quest’ultimo proposito (l’onorevole De Gasperi lo ricorderà) c’è stato un momento, dopo la posizione presa dalla Commissione di finanza in materia di spese, nel quale si è minacciato lo sciopero dei ferrovieri e dei postelegrafonici. Ignoro se la posizione assunta dalla Commissione di finanza abbia potuto rafforzare l’azione del Governo; credo che abbia potuto farlo.

In quel momento, che poteva essere assai grave, gli scioperi non avvennero, perché la serietà stessa della situazione finanziaria, che fu denunciata al Paese dalla Commissione delle finanze, dal ministro Campilli e dalle quattro Commissioni legislative riunite, misero di fronte a una decisiva responsabilità le classi lavoratrici, e la Confederazione del lavoro, che diede allora prova di essere all’altezza di tale responsabilità.

Col rinunciare agli scioperi, le classi lavoratrici diedero un grande contributo alla lotta anti-inflazionistica. Siamo in grado, nella nuova composizione politica del Governo, di ottenere la stessa collaborazione? Siamo in grado di dare alla Confederazione del lavoro l’assicurazione che il nostro sforzo anti-inflazionistico riuscirà?

Perché lo sforzo riesca, occorre imporre forti sacrifici alle classi abbienti, limitare drasticamente il loro potere d’acquisto. Ci sentiamo di fare questo? Qualche volta, quando vedo le resistenze che certi interessi organizzati oppongono ad una tassazione straordinaria, mi viene il sospetto che in Italia vogliano essere i contribuenti, ed i contribuenti che non intendono pagare, a scegliere il Ministro delle finanze. È necessario che i tributi siano imposti fermamente ai contribuenti e che il fine del risanamento monetario prevalga su ogni altra considerazione.

A questo riguardo, non sono d’accordo col ministro Einaudi circa il mancato cambio della moneta. Non si doveva rinunciare così tranquillamente a questo strumento di accertamento fiscale, e ciò per una ragione fondamentale: che la rinuncia al cambio avrebbe significato rinuncia alla tassazione della parte del patrimonio costituita da deposito in banca e da titoli al portatore. Rinunciando ad una di queste forme di tassazione abbiamo rinunciato anche ad altre e così abbiamo confermato nel Paese l’impressione che tassiamo sempre la proprietà immobiliare.

Anche ad evitare questa impressione, quando si trattò di esaminare il disegno di legge sull’imposta straordinaria, alcuni membri della Commissione di finanza avevano pensato alla tassazione degli enti collettivi. Illustrerò meglio questo punto di vista, in sede di esame dell’imposta patrimoniale. Ma è certo che la tassazione degli enti collettivi, oltre a dare maggiore equilibrio all’imposta straordinaria, avrebbe dato un forte contributo alla politica anti-inflazionistica perseguita dall’imposta.

Fu un collega della Democrazia cristiana, l’onorevole Castelli, se non erro, che è molto preparato ed agguerrito, a sostenere, da un punto di vista dottrinario, la tassazione degli enti collettivi. Mi associai alla sua proposta per ragioni puramente contingenti, di politica anti-inflazionistica. Ritenevo che incidere sulle società in questo momento, significava creare un equilibrio di contribuzione tributaria nei due campi, mobiliare e immobiliare, nel quale si divide la ricchezza nazionale e significava innanzi tutto combattere la speculazione in borsa, che è uno degli indici della inflazione e che bisogna stroncare.

Io non mi faccio illusioni. Non credo che si possa arrivare a salvare la moneta, se non con una politica di estrema energia, che colpisca il potere di acquisto esuberante, esistente nel mercato, e lo colpisca con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, senza esclusione di colpi. (Applausi).

Questa estrema energia chiedo da tempo. Mi dispiace di dover rilevare, onorevole De Gasperi, che le ragioni del nostro dissenso, in materia, risalgono lontano fino dal suo primo Governo. Dobbiamo tutti riconoscere che il trapasso dalle istituzioni monarchiche alle istituzioni repubblicane è stato fatto, con i Governi De Gasperi, in condizioni di perfetto ordine e civismo. Ho l’impressione invece che nell’opera di risanamento economico e finanziario, il Presidente del Consiglio sia stato assai più debole e incerto. L’onorevole De Gasperi, in questo campo, si è di volta in volta affidato al programma di questo o quel Ministro delle finanze, ma senza alcuna convinzione personale. Con Bertone ha detto: «si fa il cambio della moneta»; con altri Ministri: «non si fa», ma senza che vi fosse nessun impegno nell’uno o nell’altro senso. Eppure la ricostruzione economica e finanziaria dell’Italia non ha minor importanza del trapasso da una forma istituzionale all’altra. Ed è strano, veramente strano, che non riusciamo a dominare questa materia.

Per dominarla, dobbiamo anzitutto comprendere e sventare il giuoco degli interessi particolari. Questo giuoco esiste. Caro Presidente del Consiglio, io leggo L’Organizzazione industriale, giornale che rappresenta e difende interessi organizzati. Non ho mai visto trattare un Governo così com’è trattato da quel giornale. Capisco la libertà di stampa per tutti, ma per un organo responsabile, che rappresenta interessi organizzati, l’opposizione non può essere né sistematica, né astiosa, né intimamente antidemocratica e fascista. Questo, invece, fa quel giornale. Ed allora, onorevole Presidente del Consiglio, io non riceverei il signor Costa, finché il giornale portavoce degli interessi industriali, non assumesse un tono più adeguato alla sua funzione e alle sue responsabilità. Questo è il giuoco degli interessi particolari.

Ricordiamoci quello che hanno fatto i Governi, certo moderati, in Inghilterra e negli Stati Uniti. Per difendere la sterlina e il dollaro hanno condotto una politica estremamente energica di tassazione e di eliminazione del potere di acquisto esuberante sul mercato. Non lasciare un soldo a coloro che lo spendono per inflazionare il mercato. Ecco il grido di guerra della finanza anglo-sassone. Ecco quello che noi dobbiamo fare. Bisogna stancare il potere d’acquisto. L’equilibrio tra una politica verso le classi lavoratrici ed una politica verso le altre classi è questo: le prime devono continuare per qualche tempo ancora nei loro sacrifici, che tutti conosciamo, non devono disordinatamente chiedere aumenti che sono aumenti del tutto cartacei; ma le altre non devono avere libertà di inflazionare il mercato con le loro speculazioni, come è stato fatto. L’onorevole Corbino ha dipinto magnificamente questo aspetto della nostra situazione: c’è una infinità di merci in Italia che non circolano: bisogna stanarle.

Come ottenere questo scopo? Finché non cambiate la tendenza del mercato, finché non costringete lo speculatore a dire: «devo mettere merci sul mercato perché fra qualche giorno me ne diminuisce il prezzo», non potete combattere l’inflazione. Dovete adottare tutti i provvedimenti efficaci a questo scopo: e, quindi, anche i 14 punti, dei quali quattro o non so quanti saranno validi; dovete strettamente coordinare questa politica.

Tutto qui. Se non fate questo, rapidamente e sicuramente, devo concludere che noi continueremo nel corso delle cose così come si è annunciato dal maggio del 1946 in poi.

Se poi la situazione politica su cui si fonda il Governo consenta questa azione decisa, è un giudizio che darà l’Assemblea. Per parte mia, credo di no. (Applausi a sinistra – Congratulazioni).

(La seduta, sospesa alle 21.5, è ripresa alle 22.35).

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole Di Vittorio. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Onorevoli colleghi, nonostante che questa discussione sia stata già abbastanza lunga, io credo di dover aggiungere alcune altre considerazioni a quelle anche molto interessanti che sono state già fatte.

Io credo, come altri colleghi, che per giudicare un Governo non sia sufficiente considerare il suo colore, la sua composizione, le qualità o i difetti degli uomini che lo compongono. È necessario, invece, tenere in massimo conto la maggioranza parlamentare sulla quale il Governo intende appoggiarsi, perché è questo il fatto materiale che conta di più, a mio parere, delle enunciazioni programmatiche del Governo stesso.

Ora è evidente, anche dallo schieramento che si è già avuto dei differenti gruppi dell’Assemblea, che questo Governo, per la sua composizione e per gli scopi effettivi che si propone di realizzare, non può reggersi che con l’appoggio totale delle destre; cioè con quelle forze parlamentari che sono più rappresentative delle oligarchie economiche-privilegiate e reazionarie, i cui interessi non contrastano soltanto con gli interessi dei lavoratori ma anche con gli interessi generali della Nazione. I compiti più urgenti che si impongono oggi per la rinascita dell’Italia sono fondamentalmente due: uno di ordine economico, l’altro di ordine politico. Nel campo dell’economia che cosa ci occorre fondamentalmente? Ci occorre, innanzi tutto, uno sforzo produttivo offerto da tutta la collettività nazionale, come base essenziale per il risanamento graduale della nostra economia, e per poter uscire dalle gravissime difficoltà attuali.

Nel campo politico ci occorre una maggiore stabilità politica e governativa: stabilità che è possibile realizzare soltanto su una larga base, su una larga concentrazione di forze nel Parlamento e nel Paese. L’adempimento di questi due compiti fondamentali richiede l’unione di larghe forze nazionali, e specialmente delle forze operose e produttive del popolo italiano. Realizza questo Governo, con la sua composizione, con gli scopi che si propone, con la maggioranza sulla quale si deve basare, le premesse per l’adempimento di questi compiti fondamentali, che sono le premesse essenziali della rinascita del Paese?

Rispondo categoricamente: no!

Anzi è il contrario che realizza questo Governo, dividendo le forze popolari e democratiche. Questa esigenza di unione delle forze nazionali e produttive che si pone all’Italia, è stata avvertita e sentita dai lavoratori italiani. Nel campo sindacale, infatti, lavoratori di differenti correnti politiche o religiose, di differenti ideologie, di differenti partiti, abbiamo realizzato ed abbiamo ancora recentemente, al congresso di Firenze, rafforzato la nostra unità. Come è possibile che questa unità, che hanno saputo rafforzare i lavoratori di differenti ideologie, non possa realizzarsi (sia pure in altra forma e per altri obiettivi) fra i partiti democratici e repubblicani di differenti ideologie?

Questa unione di forze democratiche e repubblicane, vi è stata nel nostro Paese. Essa si costituì nel corso della lotta eroica che ha sostenuta il nostro popolo per liberare l’Italia dal fascismo e dagli invasori tedeschi. Fu grazie a questa unione che noi riuscimmo a vincere, nel nostro Paese, le più gravi difficoltà, ad uscire da situazioni non solo difficili, ma drammatiche.

Siamo ora in una situazione nella quale si possa onestamente affermare che questa unione non sia più necessaria? Noi crediamo che l’esigenza dell’unione sia più necessaria oggi di ieri.

Perché dunque fra i lavoratori è sentita questa esigenza di unione e non lo è, invece, o non lo è più, tra i vari partiti democratici e repubblicani?

La spiegazione per me è molto semplice. I lavoratori, pur appartenendo a ideologie diverse, hanno interessi fondamentalmente solidali: per ciò essi si mettono d’accordo con maggiore facilità. Invece, in alcuni partiti democratici, e in modo particolare nel partito democratico cristiano, sono rappresentate – constato semplicemente un fatto obiettivo – varie ed opposte classi, che rappresentano interessi diversi e contrastanti.

Allora si può giungere alla conclusione che questo rovesciamento di situazione, questo cambiamento di fronte, operato dall’onorevole De Gasperi, con la costituzione del nuovo Governo, significa che si applica quella politica che nel partito democratico cristiano è espressa dai ceti e dalle classi che hanno interessi contrari a quelli dei lavoratori ed a quelli della grande massa del popolo.

Perciò, in ultima analisi, noi possiamo considerare questo Governo come un Governo di classe, come un Governo che può essere portato, dalle forze su cui è costruito, ad essere un Governo di lotta di classe: lotta di classe dei ceti ricchi e privilegiati contro i lavoratori.

Noi non crediamo che una tale politica possa essere approvata da tutti i democristiani; noi non crediamo che la formazione di questo Governo possa essere approvata dai lavoratori democristiani. Ho la convinzione che il rovesciamento della situazione politica non è stato determinato da un conflitto di ideologie, né da un conflitto di politica pura, avulsa dagli interessi economici e di classe che rispettivamente rappresentiamo, anche in questa Assemblea.

Io credo che, sul piano interno, la questione fondamentale che è alla base di tutte le manovre politiche che stanno compiendo le destre è quella di sapere se le spese della catastrofe nazionale e della ricostruzione devono ricadere esclusivamente sulle spalle del popolo lavoratore, o se devono ricadere invece (e nella giusta misura) anche sulle spalle dei ceti ricchi, delle classi abbienti. Questo è il problema che è alla base di questa manovra politica. È chiaro che, con questo Governo, si vuol far pagare ai lavoratori e si vogliono proteggere i ricchi. (Interruzioni).

Infatti, è facile osservare la contrapposizione che vi è fra il programma di politica economica e sociale che si sono dati i lavoratori al recente congresso di Firenze della Confederazione generale italiana del lavoro ed il programma di politica economica e sociale di quelle destra, sulla quale il Governo deve appoggiarsi. Io do atto all’onorevole De Gasperi d’aver detto, nelle sue dichiarazioni programmatiche, che il Governo avrebbe tenuto conto delle decisioni del Congresso di Firenze. Io domando all’onorevole De Gasperi di darmi atto, a sua volta, che però il programma di politica economica e sociale, sul quale i lavoratori manuali ed intellettuali di tutte le correnti e di tutte le ideologie si sono messi d’accordo a Firenze, è in contrapposizione netta col programma governativo che ci è stato esposto, così dottamente, ieri sera, dall’onorevole Einaudi ed è sopratutto in contrapposizione totale con le vedute di politica sociale delle forze reazionarie e monarchiche, sulle quali il Governo deve appoggiarsi per esistere.

Quale è il programma di politica sociale sul quale i lavoratori hanno rafforzato la propria unità? Primissimo punto: i lavoratori hanno dichiarato che il compito principale che si impone al Paese è quello di aumentare la produzione, di diminuirne i costi, di aumentare il rendimento del lavoro, non soltanto mediante una migliore organizzazione del lavoro stesso ed una migliore attrezzatura tecnica, ma anche con uno sforzo maggiore degli stessi lavoratori.

Onorevoli colleghi, vi prego di considerare l’importanza di questo fatto, che è un fatto nuovo nella storia sociale dei popoli: i lavoratori che non posseggono nulla, poiché tutti i mezzi di produzione sono rimasti nelle mani delle antiche oligarchie capitalistiche, hanno portato ad un livello così elevato il proprio senso civico e nazionale, da proclamare apertamente che essi, per far uscire il Paese dalla situazione attuale, intendono imporsi uno sforzo maggiore, per aumentare la produzione. Si tenga conto del grado di maturità dei lavoratori italiani, qual è espresso da questa loro posizione.

Naturalmente, i lavoratori hanno aggiunto qualche cosa che non c’è nell’esposizione dell’onorevole Einaudi, non c’è nel programma del Governo e non ci può essere, matematicamente, nel programma già noto delle destre, che sostengono questo Governo: che, cioè, i lavoratori, imponendosi lo sforzo che è necessario per risanare gradualmente l’economia del Paese, vogliono la garanzia che questo sforzo giovi al Paese, a tutto il popolo, e non serva, invece, ad aumentare i profitti dei capitalisti! (Applausi a sinistra).

Infatti, la risoluzione votata dal Congresso di Firenze, e quella sui problemi economici che le è annessa, domandano categoricamente che siano prese misure concrete dallo Stato democratico per sopprimere ogni super guadagno speculativo, sia da parte dei produttori, sia e – soprattutto – da parte dei commercianti.

L’aumento della produzione deve tradursi in una compressione del prezzo di vendita al popolo, e non in un aumento del profitto del capitalista, o della speculazione del commerciante.

I lavoratori hanno chiesto il controllo dei prezzi di costo e la pubblicazione e il controllo dei prezzi di vendita all’ingrosso, per eliminare la speculazione immonda che si esercita su larga scala in Italia, senza che nessuna legge persegua effettivamente i più cinici speculatori.

Per questo, la risoluzione del Congresso di Firenze ha ribadito la richiesta dei consigli di gestione, che non sono la ripetizione dei consigli di fabbrica di altri tempi – come da alcuni colleghi sono stati interpretati – ma sono, dove esistono, e vogliono essere, organi di stimolo della produzione, della migliore organizzazione del lavoro e anche una garanzia, non soltanto per i lavoratori, ma anche per il popolo in generale, cioè la garanzia materiale che lo sforzo della Nazione non serva a qualcuno, ma serva alla Nazione stessa. Dei consigli di gestione, nella dichiarazione dell’onorevole De Gasperi, si è fatto cenno. Vi si dice che, come si è organizzato un accordo sul problema dei licenziamenti e delle assunzioni fra la Confederazione del lavoro e la Confindustria, così si spera che le due forze si mettano d’accordo per quanto concerne i consigli di gestione.

Però, quando si conosce, perché è notissima, la posizione della Confindustria nei confronti dei consigli dì gestione; quando si sa, cioè, che essa ne è pregiudizialmente ostile, il rimettersi ad un accordo fra le due confederazioni equivale a pronunciarsi contro l’adozione dei consigli di gestione nel nostro Paese, secondo la volontà della Confindustria.

Non sono, del resto, indiscreto, se ricordo all’onorevole De Gasperi che già nelle due precedenti dichiarazioni governative, ch’egli fece per i due precedenti Governi che ha presieduto, aveva pure promesso la realizzazione dei consigli di gestione, mediante la promulgazione della famosa legge Morandi. Ma questa legge non è ancora venuta. E se non è venuta quando nel Governo erano anche le forze più direttamente rappresentative dei lavoratori, non abbiamo alcuna fiducia che questo Governo, per la sua composizione e per la maggioranza sulla quale deve appoggiarsi, possa e voglia promulgare la legge sui consigli di gestione, che tutti i lavoratori italiani attendono da tempo!

La Confederazione del lavoro, al congresso di Firenze, ha anche chiesto, condizionandovi l’accettazione della proroga della tregua salariale, la rivalutazione effettiva dei salari reali, mediante la distribuzione ai lavoratori e alle masse popolari in generale di viveri non razionati, di calzature, di tessuti, di altri generi di largo consumo popolare, che gli industriali dovrebbero fornire a prezzo controllato, anche per esercitare un’influenza calmieratrice sul mercato.

I lavoratori, al Congresso di Firenze, hanno chiesto un controllo sul credito, un controllo sulle banche; e non soltanto un controllo quantitativo (di cui ha parlato l’onorevole Einaudi), ma anche un controllo qualitativo, perché oggi, o signori, sono assicurati larghi finanziamenti a tutte le operazioni di carattere speculativo. Chiunque infatti abbia un vagone di olio di contrabbando, o di sigarette americane di contrabbando, può avere da qualsiasi banca centinaia di milioni per fare gli acquisti e realizzare larghi profitti. (Commenti a destra).

Una voce a destra. Non bisogna esagerare.

DI VITTORIO. Ma non si trovano crediti sufficienti per le opere produttive perché non garantiscono profitti speculativi. I lavoratori hanno chiesto al loro Congresso di Firenze un controllo sulle banche che assicuri il finanziamento delle opere produttive necessarie alla rinascita economica del Paese.

I lavoratori hanno dichiarato a Firenze che, nelle condizioni attuali del Paese, è necessario fare appello a tutte le forze produttive e che perciò bisogna stimolare ed incoraggiare anche l’iniziativa privata, essi hanno chiesto anche che lo Stato democratico e repubblicano si attrezzi per sostituirsi all’iniziativa privata, quando questa risulti inoperante nei settori che sono vitali per la rinascita Economica dell’Italia.

Infine, i lavoratori di tutte le correnti sono stati concordi, a Firenze, nel chiedere allo Stato una serie di misure concrete, dirette ad assicurare ai lavoratori (cioè a coloro, dai quali dipendono l’aumento della produzione e la ricostruzione del Paese) un minimo di esistenza tollerabile, essendo ovvio che un nutrimento sufficiente ai lavoratori è la condizione essenziale per ottenere da essi lo sforzo produttivo che si impone. Perciò abbiamo chiesto l’istituzione e l’allargamento del tesseramento differenziato e preferenziale in favore dei lavoratori, per i generi alimentari e per gli altri generi indispensabili alle loro famiglie. Abbiamo chiesto un potenziamento effettivo degli Enti comunali di consumo e un aiuto efficace da parte del Governo, perché essi siano messi in grado di assolvere i compiti per i quali sono stati costituiti, quantunque soltanto in alcuni grandi Comuni, per ora.

Questi Enti debbono essere messi in grado di reperire, acquistare e distribuire al popolo grandi quantità di merci, a prezzo di costo, dando un colpo serio alla speculazione.

Infine i lavoratori, a Firenze, si sono messi d’accordo anche su ciò: di chiedere al Governo che vengano adottate le misure già proposte, dirette a stroncare la speculazione. In modo particolare, essi chiedono di togliere la disponibilità del cinquanta per cento di valuta estera agli esportatori, poiché tale concessione serve a intensificare la speculazione, a facilitare la fuga di capitali all’estero, a minacciare la lira, aggravando il pericolo dell’inflazione. E non è che i lavoratori vogliano mortificare gli esportatori; essi domandano che si escogiti un sistema per cui sia possibile lo sviluppo degli scambi con l’estero, che sono indispensabili alla vita del nostro popolo, con mezzi tali che non consentano né la fuga di capitali all’estero, né la speculazione sulla valuta estera.

I lavoratori sono tutti d’accordo nel voler portare un contributo positivo alla lotta contro l’inflazione, alla lotta per la stabilizzazione della moneta, sapendo benissimo che l’inflazione, in ultima analisi, è un mezzo per alcune potenti oligarchie economiche, specialmente finanziarie, per rastrellare i risparmi del popolo, per aggravare l’affamamento dei lavoratori ed operare una maggiore concentrazione di ricchezza a proprio favore.

Già dai pochi punti qui accennati della politica economica, sulla quale si sono messi d’accordo tutti i lavoratori italiani organizzati, si vede chiarissima la contrapposizione netta che vi è con la politica del Governo, basata sulle teorie liberiste, che ci sono state esposte con tanta dottrina dall’onorevole Einaudi.

In fondo, non si vogliono applicare nel nostro Paese – nonostante la dichiarazione dell’onorevole De Gasperi – i 14 punti, che promise già e che non applicò il precedente Governo presieduto dall’onorevole De Gasperi.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Dieci su quattordici.

DI VITTORIO. Il popolo non se n’è accorto! (Applausi a sinistra). Se n’è accorto con i continui aumenti dei prezzi, il popolo!

In fondo, malgrado le sue spiegazioni, onorevole De Gasperi, il programma governativo di politica economica esposto dall’onorevole Einaudi è basato sui principî del liberismo economico classico. (Commenti a destra e al centro).

Signori, la concezione liberista dell’economia è una concezione discutibile in tempi normali. Ma in tempi di carestia, come quelli attuali, l’applicazione della teoria liberista equivale all’applicazione della legge del più forte: chi più ha, più acquisti e consumi, senza limiti; faccia il comodo suo, si accaparri tutto, si arricchisca. Chi non ha, invece, crepi di fame! È come volere una specie di selezione di carattere primitivo, più o meno bestiale!

In un momento come questo, nel quale anche i paesi più ricchi, come la stessa Inghilterra, patria del liberismo, ancora dopo la guerra, introducono nuovi tesseramenti, nuove regolamentazioni della distribuzione delle merci. Applicare in Italia i principî liberisti (come, ad eccezione di pochissimi prodotti, sono stati applicati fino ad oggi), vuol dire applicare, in pratica, una politica economica e sociale, che addossi esclusivamente ai lavoratori e alla gran massa del popolo, le spese della catastrofe e della ricostruzione!

Stabilita la contrapposizione netta che vi è fra la politica economica dei lavoratori e quella del Governo, è per noi chiaro che il Governo applicherà il programma delle destre, sulle quali deve appoggiarsi: cioè, un programma contrario agli interessi dei lavoratori. Perciò noi voteremo contro questo Governo. Tanto più in quanto siamo persuasi che una politica economica che è contraria agli interessi dei lavoratori, è perciò stesso contraria agli interessi generali ed alle esigenze di rinascita del Paese! (Commenti a destra).

Ma vi sono altri punti in contrapposizione del programma governativo, rispetto a quello dei lavoratori. (Commenti – Interruzioni). I lavoratori hanno unanimemente approvato, al Congresso di Firenze, questo concetto: il rinnovo della tregua salariale presuppone una perequazione almeno approssimativa delle condizioni economiche delle varie categorie dei lavoratori, perché tutti siano messi in condizioni di vivere. I lavoratori, dando prova di alta comprensione, hanno accettato di trattenere sulle posizioni acquisite categorie che sono più avanzate, evitando di spingerle più avanti, per fare avanzare le categorie che ricevono un trattamento che è al disotto dei bisogni minimi indispensabili all’esistenza. Tra queste categorie è da annoverare in primo luogo quella dei dipendenti statali, parastatali e degli enti locali: impiegati, funzionari, ferrovieri, postelegrafonici, maestri, professori ed anche i magistrati, la cui indipendenza economica costituisce una necessaria garanzia di giustizia per il popolo. Questi lavoratori, come è noto all’Assemblea, per la differente applicazione della scala mobile, non soltanto si trovano in condizioni di grave inferiorità rispetto ad altre categorie, il cui tenore di vita è pure estremamente basso, ma, se questo sistema dovesse permanere, come è rimasto fino ad oggi, le loro condizioni si aggraverebbero progressivamente.

Noi abbiamo già spiegato a più riprese, come rappresentanti della Confederazione del lavoro, che non è possibile, non è giusto, non è umano, e non è tollerabile, che dei lavoratori, in condizioni di inferiorità gravissima rispetto ad altri lavoratori, siano condannati ad un peggioramento continuo di queste loro condizioni, che sono già insopportabili. Abbiamo chiesto al Governo di uniformare la scala mobile degli impiegati statali e quella dei lavoratori dell’industria. Ma il Governo non ha detto nulla su questo angoscioso problema. Si sappia che i benemeriti lavoratori dello Stato e di altri Enti pubblici, i quali assicurano i servizi essenziali della Nazione, sono in condizioni di non poter più vivere. Ed essi sono giustamente decisi ad uscire da questa situazione impossibile. Cosa significa il silenzio dell’onorevole De Gasperi su questo punto? L’onorevole De Gasperi ha fatto un accenno alla possibilità di riduzione ulteriore dell’imposta di ricchezza mobile sui redditi di lavoro. Anche questa è una rivendicazione formulata da tempo dalla Confederazione del lavoro e fatta propria, unanimemente, dal congresso di Firenze. È necessario e non soltanto per gli impiegati statali e per i dipendenti degli altri enti pubblici, ma per tutti i lavoratori italiani, di elevare l’esenzione della ricchezza mobile ad almeno 280 mila lire.

Quanto ai pensionati, anche per essi non vi è stato che un accenno fugace. Il problema dei pensionati, onorevoli colleghi, è fra i problemi più angosciosi della Nazione. Noi dobbiamo imporci uno sforzo collettivo per risolverlo. La Confederazione del lavoro, pur rimanendo ferma nel principio che i contributi sociali sono parte integrante della rimunerazione del lavoro, e che perciò devono essere a totale carico dei datori di lavoro, ha proposto al Governo ed alle organizzazioni dei datori di lavoro un contributo particolare dei lavoratori a favore dei pensionati, a condizione che lo Stato e i datori di lavoro vi contribuiscano a loro volta, proporzionalmente alle loro possibilità, per assicurare ai pensionati della Previdenza sociale almeno una pensione che, quantunque ancora misera, permetta loro di non morir di fame.

Anche su questo problema il Congresso di Firenze ha preso netta posizione. I lavoratori in attività si impongono volontariamente un grave sacrificio, per venire in aiuto dei pensionati. Altrettanto debbono fare lo Stato ed i datori di lavoro. Ma il Governo non ne ha parlato con la chiarezza che sarebbe stata necessaria e desiderabile.

Infine, vi è il problema della disoccupazione. Questo problema, quando si hanno due milioni e tre o quattrocentomila disoccupati nel Paese, non può lasciare indifferente il Governo. Io sono rimasto preso da una vivissima ammirazione, di fronte al discorso così dotto ed elevato dell’onorevole Einaudi. Ho considerato questo suo discorso come l’esposizione di uno schema perfetto. Ma mi domando se questo schema così bene architettato, può contenere la realtà della vita del nostro popolo, oggi. Basta pensare che non si è parlato del problema della disoccupazione, per concludere che lo schema Einaudi è fuori dalla realtà. Il fenomeno doloroso della disoccupazione è una piaga nella nostra vita nazionale. Nessun italiano può vivere tranquillo, o fissare una qualsiasi prospettiva, quando si sa che due milioni e più di concittadini non hanno i mezzi necessari per alimentarsi e per alimentare le proprie creature. I lavoratori italiani, al Congresso di Firenze, hanno esaminato seriamente questo problema ed hanno indicato, come mezzo per avviarlo alla soluzione, un piano organico di lavori utili ad incrementare il patrimonio nazionale ed a sviluppare la produzione. Essi hanno anche insistito sulla necessità di compiere uno sforzo per dare una qualifica professionale alla massa dei disoccupati ed ai giovani italiani che, non per colpa loro, non hanno avuto la possibilità di avere una professione od un mestiere, mediante l’istituzione di scuole professionali che, intanto, assicurino un minimo di esistenza tollerabile ai disoccupati. In tal modo, i disoccupati attuali possono rendersi utili all’Italia ed eventualmente, nella misura in cui siamo obbligati a sopportarla, anche nell’emigrazione in altri paesi.

Ebbene: assicurare un trattamento umano agli statali, ai para-statali ed agli impiegati pubblici in generale; affrontare con serietà e con larghezza di vedute il problema della disoccupazione, in relazione all’esigenza di accelerare la ricostruzione economica del Paese; dare una soluzione, almeno parziale, al problema dei pensionati, sono dei problemi gravi ed urgenti, che non si possono dilazionare ulteriormente. La soluzione di questi problemi esige dei grandi mezzi da parte dello Stato. E lo Stato deve avere la volontà e la capacità di procurarseli, questi mezzi; ma se li potrebbe procurare soltanto da quelle classi ricche, tra le quali il Governo attuale va a cercare la sua maggioranza. Sarà possibile a questo Governo di realizzare una politica che dia allo Stato i mezzi necessari per far fronte a questi problemi vivi e brucianti del nostro popolo e del nostro Paese? Non lo crediamo. L’onorevole Einaudi ieri ci ha detto che le imposte che ci sono, sono anche troppe; e che se si applicassero tutte, si prenderebbe ai contribuenti più del cento per cento del reddito. È una dimostrazione che in Italia si decretano imposte, ma poi, gli abbienti che dovrebbero pagarle, non le pagano.

Però, l’onorevole Einaudi, pur rilevando l’eccesso di imposte, non ha detto nulla contro un’imposta di carattere privato, scandalosa, di cui aveva parlato l’onorevole Scoccimarro; cioè l’imposta istituita alla chetichella di 4 lire su ogni chilogrammo di cotone importato; imposta che non è a beneficio dello Stato, della collettività nazionale; ma a beneficio di una associazione privata, cioè della Confindustria. A che cosa devono servire questi fondi?

Io domando all’onorevole De Gasperi: se la Confederazione del lavoro domanda la stessa cosa, è pronto il Governo a concedere un’imposta su altri prodotti importati, o sul cotone stesso, a favore della Confederazione del lavoro, o meglio ancora, a favore delle colonie estive dei bambini dei disoccupati, che muoiono di denutrizione? Per questa iniziativa non si è fatto nulla; mentre si istituiscono imposte di carattere privato, per scopi di classe e forse faziosi. (Commenti a destra).

Una voce a sinistra. Voi siete tutti milionari, non conoscete la miseria.

DI VITTORIO. Vorrei dire qualcosa sull’agricoltura.

L’onorevole De Gasperi ne ha fatto un accenno; e lo ha fatto sopratutto per tessere un elogio all’onorevole Segni. Complimenti, onorevole Segni! Io credo però che si possa dire qualcosa di più.

È vero che l’onorevole De Gasperi ci ha esposto un programma di emergenza, per un periodo breve, ma credete voi, signori, che non sia urgente, urgentissimo, fare qualche cosa per aumentare la produzione agricola?

È necessario prendere misure urgenti, dirette a migliorare le condizioni della nostra agricoltura, che sono oggi estremamente arretrate. È necessario prendere misure per poter fornire, a prezzi controllati, ai contadini italiani, i concimi e gli attrezzi,necessari per sviluppare la produzione agricola. È necessario rimettere in funzione la Federazione dei Consorzi Agrari, previa democratizzazione di questo organismo, facendo eleggere i dirigenti da parte degli iscritti, perché la sua enorme attrezzatura possa servire ai bisogni dell’agricoltura e del Paese.

Abbiamo bisogno, anche in agricoltura, di compiere uno sforzo per la formazione professionale dei giovani. Perché non si ripristinano le Cattedre ambulanti di agricoltura? Perché non si fa un piano di bonifica, che ci può consentire di conquistare all’agricoltura diecine e diecine di migliaia di ettari di terreno incolto, in breve tempo?

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. C’è già.

DI VITTORIO. Noi abbiamo un’agricoltura arretrata ed i nostri tecnici agricoli disoccupati. Noi potremmo promuovere utilmente l’occupazione di questi tecnici per lo sviluppo dell’agricoltura.

Quando parliamo di piano di bonifica, non si dovrebbe intendere (come purtroppo avviene) soltanto lavori di prosciugamento e di arginatura di torrenti; fondamentalmente si deve parlare di concessione di terreni incolti o mal coltivati, da bonificare e da dare ai contadini ed ai braccianti senza terra.

Ciò permetterebbe di assorbire mano d’opera disoccupata, di assicurare una maggiore produzione, e quindi più pane al popolo italiano.

Perché, con le terre bonificate, o comprese in comprensori di bonifica, specialmente nelle regioni dove vi è molto latifondo, non si costituisce un demanio di terre coltivabili, come esistono i demani forestali? Perché non si concedono queste terre ai contadini disoccupati, che si getterebbero a lavorarle con la più grande passione, e darebbero ben maggior copia di prodotti della terra al nostro Paese?

Vi è in agricoltura un’altra questione fondamentale, della quale l’onorevole De Gasperi non ha parlato; e non ne ha parlato, naturalmente, nemmeno l’onorevole Einaudi: la questione della mezzadria. Nelle campagne italiane non vi è pace. C’è stato il famoso lodo De Gasperi che poi, finalmente, dopo tanto tempo, è stato trasformato in legge. I lavoratori italiani, al Congresso di Firenze, hanno chiesto unanimemente che la legge, fatta sulla base del lodo De Gasperi, venga applicata anche per il prossimo raccolto, senza bisogno che vi siano altre agitazioni per potere ottenere ih soddisfacimento di rivendicazioni minime dei mezzadri italiani.

Io so che si è fatta e si fa molta demagogia sui mezzadri italiani. (Commenti a destra). Lo so perché voi ridete; voi ritenete che i mezzadri siano divenuti tutti milionari. Voi ritenete, perciò, che non ci sarebbe alcun bisogno di occuparsi di loro. La verità, o signori, è un’altra. Io non escludo che qualche mezzadro sia divenuto milionario, ma, signori, che cosa hanno guadagnato i grandi proprietari che hanno 50 mezzadri, se un mezzadro solo, vivendo con tutta la sua famiglia sulla metà del prodotto, ha potuto diventare milionario? (Rumori a destra Applausi a sinistra). La realtà è che la mezzadria è la forma di conduzione più desiderata dai grandi proprietari di terre, semplicemente perché è la più conveniente per loro. Ed è la più conveniente perché, nella conduzione mezzadrile, il mezzadro fornisce egli stesso, insieme a tutta la sua famiglia, una somma di lavoro che è incalcolabile; ed è su questo lavoro che il proprietario realizza un reddito ben maggiore di quanto non può realizzare con altre forme di conduzione.

Del resto, su questo problema potrebbe parlare (non so se sia presente) l’onorevole Pallastrelli, che è uno studioso, un tecnico, un pratico della questione agraria e che appartiene alla democrazia cristiana.

Dica qui l’onorevole Pallastrelli, ciò che va sostenendo nei comizi e che illustra con tanta saggezza nei suoi studi, che noi apprezziamo al massimo grado. Dica qui se la rivendicazione fondamentale dei mezzadri, diretta ad avere una più equa ripartizione dei prodotti rispetto al proprietario, sia giusta oppur no; dica se l’apporto di lavoro e di capitale del mezzadro, essendo superiore a quello del proprietario, il mezzadro abbia oppur no il diritto – come noi lo riteniamo – ad avere una parte dei prodotti ben superiore al 50 per cento; dica, infine, se il chiedere che venga applicata anche per quest’anno, in attesa di meglio, la legge De Gasperi, sia una rivendicazione giusta oppure no.

Per noi è una rivendicazione più che giusta, riconosciuta tale dai rappresentanti di tutti i lavoratori italiani. Ma il Governo non ne ha parlato.

Vi è ancora in agricoltura il problema del miglioramento fondiario, legato a quello di una più razionale lavorazione delle terre. Il che permetterebbe una maggiore produzione ed un maggior assorbimento della mano d’opera agricola disoccupata. Badate che su circa due milioni e mezzo di disoccupati che abbiamo in Italia, una parte notevolissima è data dai braccianti agricoli.

Ebbene, che cosa accade oggi? Accade che, specialmente nel Mezzogiorno e nel Centro d’Italia, non vengono eseguiti nemmeno i lavori normali ed indispensabili per l’agricoltura. E ciò perché i proprietari ritengono che il costo del salario sia troppo elevato.

Noi abbiamo chiesto al Congresso di Firenze, unanimemente, che venga promulgata una legge la quale obblighi i proprietari delle terre ad eseguire tutti i lavori agricoli ritenuti indispensabili dagli organi tecnici del Ministero dell’Agricoltura, dall’Ispettorato agrario.

Noi abbiamo chiesto che i proprietari siano egualmente obbligati, per effettuare una graduale trasformazione o miglioria fondiaria, ad operare queste migliorie e queste trasformazioni in una aliquota minima nelle loro terre, ogni anno. I lavoratori si sono dichiarati pronti ad accollarsi una parte dei sacrifici necessari, per raggiungere questi scopi benefici per il Paese. A Firenze abbiamo unanimemente dichiarato che per i braccianti italiani la questione più importante non è il livello del salario, ma è il numero delle giornate ch’essi riescono a lavorare durante l’anno. E abbiamo soggiunto: noi, organizzazione dei lavoratori, siamo disposti a contenere, se volete, anche a ridurre i salari dei braccianti agricoli, qualora si garantisca ad essi un maggior numero di giornate lavorative all’anno. Si può chiedere ai lavoratori una prova maggiore di comprensione?

No, il Governo non ha detto nulla nemmeno su questo problema vitale. I pochi decreti emessi da alcuni prefetti, sotto la pressione di concrete esigenze locali, sono stati praticamente aboliti. Questi decreti prefettizi permettevano a delle Commissioni paritetiche, legalmente costituite, di assegnare un certo numero di disoccupati agricoli ai singoli proprietari. Ora, invece, ed in modo particolare dal primo giorno che è stato costituito il nuovo Governo, alle masse dei disoccupati, che premono per andare a lavorare (questa è la pressione che fanno, l’obiettivo che si propongono: poter vivere lavorando) si risponde da parte del Governo e da parte degli agrari inviando la Celere ed i carabinieri, per respingerle con la violenza.

E qui voglio accennare, almeno di sfuggita, alla politica interna che è stata già instaurata dal nuovo Governo. Già abbiamo visto in Puglia un primo aspetto della politica del nuovo Governo, che io mi sono permesso di segnalare anche all’onorevole Grassi, nuovo Ministro della giustizia…

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho risposto. Ho fatto subito un telegramma.

DI VITTORIO. In Puglia abbiamo avuta la manifestazione palese che i ceti agrari più ricchi e più reazionari, ai quali l’onorevole Grassi (non lo rilevo per fargliene un rimprovero) è molto strettamente legato…

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Sono legato a tutta la Puglia.

DI VITTORIO. Questi ceti, comunque, hanno interpretato l’avvento del nuovo Governo, con l’esclusione dei comunisti, dei socialisti e degli altri gruppi di sinistra, come la fine della Repubblica e della libertà ed il ritorno al sopravvento della reazione. Le manifestazioni che ho già segnalate al Ministro della giustizia sono molto significative.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho già risposto, onorevole Di Vittorio.

DI VITTORIO. Si è detto che vi erano mandati di cattura per fatti avvenuti dieci mesi od un anno fa, che non erano stati eseguiti e relativi ad incidenti già chiusi, per cui era stata ristabilita da tempo la normalità. Ma dopo la formazione di questo Governo, si è voluto procedere all’arresto di numerosi contadini, imputati del «grave» reato di aver voluto lavorare per forza la terra (per poter vivere di lavoro e non di speculazione, e non di altre attività indegne) e di aver esercitata una pressione sui proprietari per cercare di ottenere il pagamento del lavoro fatto.

Ebbene; questi arresti sono stati eseguiti precisamente il 2 giugno, giorno anniversario dell’avvento della Repubblica, appunto per dare ai lavoratori la sensazione del ritorno al potere delle forze reazionarie e monarchiche. (Rumori al centro – Interruzione dell’onorevole Ministro di grazia e giustizia).

PASTORE RAFFAELE. Però, che bravi magistrati abbiamo!

DI VITTORIO. Io sono certo che l’onorevole Scelba risponderà che gli arresti sono perfettamente legali e che non c’è assolutamente nulla da ridire: anche qui si applica una politica di schemi. Premessa una tale legge e una tale circolare, tutto è giusto e legale. Tutto va bene!

Ma con queste apparenze di legalità, si mettono in galera padri di famiglia, onesti lavoratori che si sono messi a lavorare per forza la terra, e questo è un lavoro duro, ed io lo conosco molto da vicino (Rumori al centro), mentre si usa tanta indulgenza verso gli speculatori ed i faziosi reazionari, fascisti c monarchici.

Ed ancora più gravi, come sintomo della politica interna che intende seguire il Governo, sono i fatti accaduti ieri a Bergamo; fatti che inaugurano nuovi sistemi, i quali – a parte la parentesi fascista – riportano l’Italia a più di cinquant’anni addietro.

Nella provincia di Bergamo i contadini si sono messi in agitazione, per ottenere quella che essi considerano, a giusto titolo, una più giusta ripartizione dei prodotti: è l’agitazione dei mezzadri, per la questione a cui ho già accennato.

Il signor Questore ha chiamato gli organizzatori dei contadini, i dirigenti delle leghe e sindacati locali, e li ha diffidati dicendo loro: «Voi dovete sospendere questa agitazione, cioè, non dovete permettere che i contadini osino chiedere agli agrari un miglioramento delle loro condizioni. Se voi non farete questo, sarete arrestati!». (Commenti a sinistra).

Onorevole Scelba, questo si chiama attentare alle più elementari libertà sindacali.

La libertà sindacale non consiste soltanto nell’avere la facoltà di riunirsi in un locale, o di fare un comizio. La funzione specifica ed essenziale del sindacato è quella di difendere gli interessi dei lavoratori nei confronti dei padroni. Quindi, il sindacato, deve essere in grado di formulare e avanzare le sue richieste, nonché di esercitare una pressione, nell’ambito delle leggi, per ottenere il soddisfacimento di queste richieste. Ora, a Bergamo, le leggi non sono state violate, non è stato commesso nessun reato. Vi è solo il fatto che i dirigenti dell’organizzazione si sono rifiutati di obbedire all’ingiunzione del Questore, sono stati arrestati durante la notte e – quale vergogna – non è stato permesso loro nemmeno di mettersi le scarpe per andare in carcere, e vi sono stati trascinati a piedi nudi. (Commenti a sinistra).

Riassumendo, io credo che sarebbe stata possibile una ben differente soluzione a questa crisi, se si fossero tenuti presenti, come preoccupazione fondamentale ed essenziale, gli interessi del Paese. I lavoratori italiani hanno dato delle prove magnifiche di senso nazionale, di maturità, di senso civico, di abnegazione verso il Paese. I lavoratori italiani, che soffrono crudelmente oggi, hanno accettato di prorogare la tregua salariale, sapendo di imporsi dei sacrifici. I lavoratori, fino ad oggi, si sono imposti dei sacrifici crudeli, che alcuni forse non conoscono nemmeno per sentito dire. E di ciò non si tiene alcun conto. Qui si pone un problema serio: si sa che nei periodi di emergenza, in tutta la storia dei paesi civili, spesso sono state richieste al popolo delle prove di abnegazione e di eroismo; prove che sono state consentite dalle masse popolari, quando esse erano convinte di compierle per una causa giusta. I lavoratori italiani, consapevoli appunto di servire una giusta causa, si sono imposti sinora dei sacrifici enormi. Ed essi li hanno sopportati, anche perché avevano fiducia nel Governo, nel quale essi si sentivano direttamente rappresentati, specialmente dal Partito comunista e da quello socialista. La questione, che si pone oggi, è quella di sapere se quando questi partiti (che pur senza pretendere di rappresentare tutti i lavoratori italiani, sono però i più rappresentativi della grande maggioranza della massa lavoratrice) sono esclusi dal Governo e vi è in essi una carenza di fiducia verso il nuovo Governo, non saranno i lavoratori scoraggiati nell’imporsi dei nuovi sacrifici, che pur sono necessari per la rinascita del Paese. A questo non si è pensato. Eppure, con l’orientamento assunto chiaramente da tutti i lavoratori italiani, si era costituita una premessa di stabilità politica e sociale nel nostro Paese.

Abbiamo prorogato la tregua salariale, abbiamo risolto il problema spinoso dei licenziamenti e delle assunzioni: abbiamo dunque realizzato una condizione essenziale, per aprire al nostro Paese un periodo di tranquillità sociale e di stabilità politica. Questa premessa poteva aprire al nostro Paese delle magnifiche prospettive. Ebbene; questo periodo così promettente di stabilità è reso quasi impossibile, o, almeno, difficilissimo dalla formazione di questo Governo.

Non credo che questo Governo, per la sua composizione e per la maggioranza su cui deve appoggiarsi, possa servire gli interessi dell’Italia. (Commenti a destra).

Comunque, i lavoratori italiani non faranno mai una politica di dispetto. Essi continueranno la politica che più interessa alla Nazione; seguiranno la politica unitaria, la politica di difesa vigorosa ed energica degli interessi dei lavoratori, che coincidono con gli interessi generali e permanenti del Paese.

Era possibile, ed è ancora possibile al nostro Paese, un Governo di larghe basi e godente della fiducia del popolo. Con un proletariato solidamente organizzato; con una Confederazione del Lavoro che rappresenta la più grande forza organizzata del Paese e che è pronta a collaborare col Governo in una politica di rinascita economica e di rinnovamento democratico dell’Italia, sarebbe stato agevolmente possibile realizzare quella larga concentrazione di forze popolari che avrebbe assicurato all’Italia un Governo stabile, capace d’utilizzare l’iniziativa creatrice e l’entusiasmo delle masse, per accelerare la ricostruzione economica del Paese. Si preferisce, invece, un Governo a basi ristrette e, quindi, impopolare.

Ebbene, nel corso di questa discussione, sono stati dati numerosi consigli al Governo e, in modo particolare, all’onorevole De Gasperi.

Se me lo permette l’onorevole De Gasperi, modestissimamente, vorrei anch’io dargli un consiglio. (Commenti a destra e al centro). Onorevole De Gasperi, liquidate questo Governo che divide il Paese in due blocchi, che spezza l’unità delle forze democratiche e repubblicane, che non può servire che i ceti privilegiati della reazione e formate un altro Governo, nel quale siano rappresentate tutte le forze operose, le forze democratiche e repubblicane, che sole potranno assicurare la rinascita dell’Italia! (Vivi applausi a sinistra).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Desidero dare un semplice chiarimento all’onorevole Di Vittorio, il quale ha affermato che a Bergamo sarebbero stati arrestati degli organizzatori sindacali per avere instaurato l’agitazione per la mezzadria.

Ho comunicato oggi all’onorevole Giulio Pastore, Consegretario della Confederazione generale italiana del lavoro, il testo del telegramma inviato dal Prefetto di Bergamo, il quale spiega che sono stati arrestati – mi pare – cinque lavoratori per violenze e minacce, e a seguito di regolare mandato di cattura spiccato dall’autorità giudiziaria.

Per quanto riguarda il merito dell’agitazione, il Ministero dell’interno ha dato tassative disposizioni ai Prefetti in questo senso: i lavoratori sono pienamente liberi, com’è nel loro diritto, di prospettare le loro rivendicazioni. L’azione dei Prefetti deve essere limitata esclusivamente ad assicurare che non sia arrecata nessuna violenza o minaccia.

In questo senso sono le disposizioni del Ministro dell’interno. Nessun attentato alle libertà sindacali, quando si esercitano, come giustamente ha osservato l’onorevole Di Vittorio, nell’ambito della legalità; ma repressione energica e decisa di ogni violenza e di ogni attentato alle libertà fondamentali. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi chiedo perdono se incomincio a parlare a mezzanotte meno sette minuti (Si ride): la colpa non è mia. Cercherò di essere il più breve possibile.

Noi abbiamo, in questa discussione, l’obbligo di difendere la logica politica del nostro partito. Indubbiamente noi abbiamo portato un elemento nuovo nella politica italiana e forse non soltanto italiana. Sbagliano coloro i quali ci accusano di aver voluto portare nella politica italiana solamente dei reazionari o altro genere di politici; è vero invece che alcuni di questi elementi si sono aggiunti a noi, come si sono aggiunti a tutti gli altri partiti, in quanto, dopo la guerra, nello sbandamento, nel nervosismo che è succeduto alla guerra, questi elementi hanno cercato dove potevano aderire. I più furbi hanno scelto bene; i più ingenui, forse, sono venuti a noi. (Ilarità al centro e a destra).

Ma si può accusare di questo l’Uomo Qualunque? Questa è un’epoca in cui tutti si studiano di ricostruire, non soltanto i Paesi, ma principalmente se stessi, la propria spiritualità. Noi abbiamo avuto dei terremoti nelle case, degli sconvolgimenti nelle strade: ma abbiamo avuto soprattutto delle vere catastrofi spirituali.

Noi abbiamo avuto uomini i quali, dopo avere per venti, per trent’anni, pensato in un modo, sono stati improvvisamente costretti, dalla logica delle cose, dalla cruda realtà dei fatti a pensare in un altro. Signori, noi stessi che abbiamo fondato questo movimento – per cui a me compete lo scherzoso nomignolo di «Fondatore», che ormai non fa ridere più nessuno – noi stessi non sappiamo dove questo movimento ci porterà, perché, per quanto ingenui, non sappiamo come poter padroneggiare un movimento politico una volta che sia scatenato.

Noi pensiamo, ad ogni modo, che non dobbiamo lasciare più la direzione della vita politica ad una ristretta aristocrazia; noi vogliamo, anche a costo di errori, anche a costo di esperimenti dolorosi, impedire che una ristretta categoria di uomini abbia il monopolio della direzione della vita politica del Paese.

Chi ci accusa di aver mutato il nostro atteggiamento in questa ultima crisi politica, si inganna. È la Democrazia cristiana che ha cambiato venendo a noi, non noi che non siamo andati a lei. (Applausi a sinistra).

lo sono veramente commosso di questo successo (Si ride), e spero di avere un applauso dalla Democrazia cristiana, più tardi, come l’ho avuto da voi.

E si precisa che non c’è un patto tra la Democrazia cristiana e noi; tanto è vero che i democratici cristiani hanno continuato ad attaccarci e ad attaccarci non per ischerzo, non leggermente, non – oso dire – con la mano lieve di certe mie «vespe», ma con il bastone pesante, col badile.

Voglio leggere qualche cosa che interessa anche l’onorevole Togliatti. Ho qui un giornale, che tutto mi fa supporre democristiano; presenta la mia caricatura: i piedi sono nelle scarpe, le mani, però, sono di porco; intorno alla testa svolazzano degli insetti; il titolo dice: «Fondatore, olè!» Ci deve essere qualche cosa di spagnolo. Ed ecco la dicitura; «Dopo aver allegramente condensato la materia qualunquista in un nuovo decalogo, Giannini non ha mancato di sottolineare l’odiosità della violenza rossa esplosa a Cremona contro gli iscritti al suo partito. Tutto serve. Essi diventano sempre più odiosi. Intanto i trecento amici cremonesi, più o meno duramente colpiti dalla bestialità criminale dei rossi progressisti» – quei trecento amici brutalmente colpiti si sono ridotti a pochi contusi – «hanno un modo per consolarsi: contemplare la fotografia del loro «Fondatore», nell’atto di stringere, sempre allegramente, la mano al leader comunista Togliatti. Fotografia storica presa durante il ricevimento a Montecitorio nell’anniversario della Repubblica: Giannini stringe la mano a Togliatti, il quale ride, ride abbondantemente, e poi telefona, impartendo l’ordine ai federali comunisti, periferici, di violenze bestiali. Ormai la bestialità è il metodo democratico. Cortesia a Giannini o sconto per la stretta di mano?»

Una voce. Che giornale è?

GIANNINI. È il Don Palmilio o L’onorevole Palmilio; in testata c’è la caricatura dell’onorevole Togliatti, ma ho il vago sospetto che non sia lui a fare quel giornale.

TOGLIATTI. E chi lo sa?! (Si ride).

GIANNINI. Sarebbe troppo doppio giuoco. (Si ride).

Ho qui qualche manifestino in cui siamo sempre indicati come gli alleati dei comunisti; e non è vero. Qui c’è un altro manifestino, in cui si dice: «Votate per le liste di destra, le quali, però, quelle dell’Uomo Qualunque, portano al partito comunista». Si vede che noi siamo cripto-comunisti! Ecco qui c’è «un asse» Giannini-Togliatti. Noi abbiamo fatto un asse, onorevole Togliatti! (Commenti a sinistra). «II terribile anticomunista Giannini ritiene più opportuno venire a patti con Togliatti. Cosa penseranno coloro che vedevano in Giannini la quintessenza dell’anticomunismo? Giannini scolaro di Marx! I cattolici filo-qualunquisti sono serviti!».

Risparmio la lettura di altri documenti. Ricordo soltanto che l’altro giorno un oratore democristiano, credo l’onorevole Cappi, ha voluto parlare in sede di discussione per gli incidenti di Cremona, per i quali noi non abbiamo presentata nessuna interrogazione, perché riteniamo inutili le interrogazioni. L’onorevole Cappi ci ha raccattati col fazzoletto; ci ha dato dei consigli; ci ha spiegato che siamo composti male, che abbiamo un sacco di gentaccia nel nostro partito. All’onorevole Cappi potrei rispondere quello che hanno risposto i nostri amici di Cremona ai loro accusatori: «Pubblichiamo gli elenchi dei nostri iscritti e vediamo chi ne ha di più. Noi siamo sicuri di vincere la prova. Offriamo questa prova a tutti i partiti».

Noi non ci lagniamo dell’aria di sufficienza, della ostentazione di ignorarci, che di solito ha la Democrazia cristiana. Non ci lagniamo se il nostro ottimo Presidente del Consiglio – verso il quale va, come andava prima, la mia stima, il mio rispetto personale – non si è preoccupato affatto, nelle sue dichiarazioni, di fare un sia pur vago accenno a questo nostro partito, che poi non è precisamente l’ultimo d’Italia.

È noto che nell’interno della Democrazia cristiana vi sono degli elementi i quali si sono violentemente opposti a che a noi potesse essere offerta una qualsiasi opportunità in una combinazione ministeriale; e ciò, malgrado il fatto che abbiamo dichiarato – e sul serio – di non voler prendere parte a nessuna combinazione, perché ci riserviamo di dare gratuitamente il nostro appoggio a chi ci pare, nella linea che conviene a noi e fino a quando conviene a noi.

Ora, questi elementi della Democrazia cristiana, che ci sono così avversi, che cosa vogliono? Vogliono la democrazia? Vogliono l’avvento del comunismo? È un mistero! L’onorevole Nitti ha messo un po’ di moda le storielle in quest’aula. L’onorevole Corbino, l’altra sera, ce ne ha narrato una a proposito di una piccola differenza fra l’uomo e la donna. Vorrei domandare il permesso di dirne brevemente una anch’io sui misteri della incomprensione. Si tratta d’una badessa, pia signora, dal cui vergine cuore erompe un impeto di maternità per tutte le creature. Le hanno regalato due cardellini. Lei li ha messi in gabbia e spera di poter fare la nidiata. Senonché il tempo passa e la nidiata non viene; e qualcuno spiega alla badessa che forse la coppia non c’è, forse saranno due femmine, forse due maschi. Bisogna verificare il sesso. La badessa prende gli uccellini, comincia a investigare sotto le piume, soffia sulle piume, non ci si raccapezza; e ad un certo momento, spazientita, esclama: Viva la faccia del somaro, perché almeno si fa capire subito! (Viva ilarità).

C’è un apparente mistero in queste contradizioni interne della Democrazia cristiana, ma io credo di poterlo svelare. Il mistero è questo: la Democrazia cristiana è un grande partito borghese, un inconscio partito qualunquista, che sfugge alla direzione dell’onorevole Tieri. Ed ecco la ragione di certa sua incoerenza. Praticamente questo grande partito ha avuto nelle ultime elezioni del 2 giugno una grandissima quantità di voti che erano nostri, e li ha avuti per una ragione molto semplice: perché noi eravamo troppo nuovi, noi non inspiravamo la necessaria fiducia. Il pubblico voleva quello che volevamo noi, ma non era ancora sicuro di noi, non aveva ancora capito bene. In più grazie alla campagna dei nostri avversari e anche di qualche nostro buon amico (perché tutti ci hanno aiutato in questo), credeva che fossimo fascisti, squadristi, che facessimo parte di una aristocrazia passata, d’una oligarchia di ieri; ha approvato la nostra idea, ma si è detto: votiamo per della gente che ci dia maggiore sicurezza. E oggi, sotto la pressione di questi voti che questo grande partito ha raccolto, esso ripiega sulle posizioni dove fatalmente doveva venire e dove noi li abbiamo richiamati fin dal 24 giugno dell’anno scorso, quando dicemmo che la sola Democrazia cristiana doveva assumere il potere e lasciarci fare in pace la Costituzione: oggi non avremmo la crisi presidenziale e avremmo finito la Costituzione.

Ma ci sono altri partiti nella destra, dove noi militiamo per ragioni di ubicazione. Ci sono i liberali. Sono note le nostre polemiche coi liberali. È nota la lunga, complicata, estenuante storia dei tentativi di intese che abbiamo cercato di stabilire coi liberali. Abbiamo fatto coi liberali delle fruttifere esperienze elettorali, che non ripeteremo, perché abbiamo imparato abbastanza e adesso ne sappiamo quanto loro.

Anche i liberali ostentano di non conoscerci. Sul Risorgimento Liberale alcuni giorni fa c’era un articolo, firmato molto bene, nel quale si avvertiva che eravamo in presenza di tre futuri partiti di massa, i liberali, i repubblicani e i socialisti saragattiani. Noi probabilmente siamo una élite, un’accolta di intellettuali, di cervelli di primissimo ordine, ai quali non toccano le masse. Evidentemente noi prenderemo il posto di quello che è oggi il partito liberale, mentre il partito liberale prenderà il posto nostro. Comunque la divisione fra noi e i liberali è concettuale. Il nostro liberalismo non è estremista. Noi non conosciamo, per esempio, la libertà di uccidere la libertà. Noi esigiamo la libertà di commercio, ma non concediamo la libertà di speculazione. Noi pretendiamo la libertà di arricchire, perché la Nazione ricca è fatta da cittadini ricchi, ma non consentiamo la libertà di arricchire immiserendo la comunità.

La libertà per noi, onorevole Scoccimarro, non è un sentimento. La libertà per noi è una scienza, che dovrebbe essere coltivata come il diritto, non costituisce un anarchico impulso del cuore, che vorrebbe essere libero a qualunque costo, magari contro i propri interessi, contro la libertà degli altri. La libertà deve essere studiata, pensata, inquadrata. Il diritto ha i suoi maestri. Li ha avuti nell’antica Roma, che fa splendere ancora di buonissima luce il nome d’Italia, la scuola d’Italia. La libertà non ha questa scuola. Noi ci auguriamo che possa nascere dopo questa catastrofe, la cui causa remota, ma sostanziale, è stata la mancanza di libertà.

Dopo i liberali, noi dobbiamo esaminare alcuni altri nostri compagni di destra. Parlo di certi speciali monarchici. Noi abbiamo dei monarchici nell’Uomo Qualunque, dei quali ci onoriamo: il generale Bencivenga, il gruppo dell’Italia Nuova, la signora Penna, Selvaggi, Perugi: sono monarchici che hanno accettato l’agnosticismo istituzionale dell’Uomo Qualunque. Noi pensiamo che il Paese debba essere al disopra di qualsiasi nostalgia di istituzioni, i cui aderenti e credenti sono nei nostri ranghi a collaborare con noi e rispettandoci come noi li rispettiamo. C’è un altro monarchico, un po’ violento (Accenna all’onorevole Benedettini – Ilarità), ma comunque è di quelli che mordono meno. Ma c’è una categoria di monarchici, che chiamerei «trans-benedettinici», perché vanno al di là del nostro benedetto amico.

Onorevoli colleghi, io ho avuto molte ingiurie nella mia vita politica di cui molti di voi sono autori; ma da nessuno di voi ho avuto la somma di contumelie ed il luridume di contumelie che ho avuto da giornali monarchici «trans-benedettinici». Ciò che ho avuto da voi e dai democratici cristiani è stato comunque uno scambio di contumelie. Io per voi non ho fatto niente: ho cercato di danneggiarvi; conto di danneggiarvi ancora; spero di portar via molti posti alla Democrazia cristiana e a voi. I monarchici invece si sono giovati di quella che è stata la nostra prima e disperata azione. Il loro atteggiamento verso di noi assume dunque un aspetto non simpatico. Non voglio dire con questo che la vostra lotta sia simpatica: voglio dire che la loro lo è di meno.

Alcuni giorni fa sono andato al teatro Quirino, invitato dalla figlia dell’onorevole Orlando, per parlare alle donne romane. Si tratta di un’associazione apolitica di donne, almeno si dichiara tale. Sono stato invitato, come lo sono stati l’onorevole Lucifero ed altri. Non potevo non andare e ci sono andato volentieri. Bene: al «Quirino» quei monarchici «trans-benedettinici» – che vanno oltre l’onorevole Benedettini – avevano organizzato una solenne fischiata per me. Ora io domando: che bisogno c’era di fischiarmi? C’è voluta tutta l’autorità di quelle buone dame, di quelle distinte signore della buona società romana, per impedire che si commettesse quello che sarebbe stato un atto di cattivissimo gusto: invitare una persona per il piacere di fischiarla.

A questo punto, è logico che ci si domandi: perché votate con loro? Lo spiego subito: è qui la logica politica del Fronte dell’Uomo Qualunque. Nelle nostre condizioni attuali, nella nostra formazione numerica di gruppo parlamentare, non possiamo preoccuparci «con chi» votiamo, ma a «favore» di chi e «contro» chi votiamo. Non ho bisogno di molte parole per dire che, votando oggi per questo Governo della Democrazia cristiana, noi votiamo a favore di un esperimento che abbiamo auspicato e che si deve fare, e contro un esperimento che si è fatto e che secondo noi è fallito. Noi votiamo contro il socialismo. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Lo sapevamo.

GIANNINI. Calma! Io più cordialmente di così non posso parlare. Noi votiamo contro il socialismo, di cui il comunismo è il tentativo di realizzazione più esasperata, mentre il Partito socialista dei lavoratori italiani ne è il tentativo più moderato. Non respingiamo l’ideologia comunista. Abbiamo sempre votato contro di voi; oggi noi continuiamo a votare contro di voi: non abbiamo cambiato. Perché siamo contro di voi? Perché, secondo noi, il socialismo si tragicizza nella sua impossibilità di realizzarsi. Noi condanniamo molti principî; non condanniamo i vostri perché essi sono sani, onesti e oserei dire lucenti, ma ne condanniamo l’applicazione, che prescinde dalla realtà ed esige ciò che non esiste: una umanità virtuosa. Noi crediamo che bisogna fondarsi sui difetti dell’uomo e dell’umanità e non sulle sue virtù, più sulle sue debolezze che sulle sue così dette forze.

Il vostro Stato centralizzato, che a tutto provvede, è un’ingenua amplificazione dell’istituto del padre di famiglia, istituto rispettabile, ma del quale tutti i difetti sono riscattati dall’amore del padre verso i figli. Lo Stato non ha amore verso i cittadini. E allora tutti i difetti di questa oppressiva paternità, che voi volete nello Stato centralizzato, non sono riscattati da un amore, da un sentimento affettuoso.

Non c’è niente di più giusto, teoricamente, del controllo statale, anche sulle attività dei singoli, sulle più piccole attività. È giusto teoricamente che ci siano delle Sepral, per dare a ciascuno il suo, per assicurare a tutti un nutrimento, un trattamento uguale. Ma, in pratica, noi leggiamo ogni giorno fatti come quello che ho appreso dalla cronaca dei giornali di stamani: «Un colonnello dei carabinieri incettava e vendeva farina. Anche dei militi e dei contadini denunziati». Mi auguro che la notizia non sia vera, che sia stata amplificata, come l’ha amplificata un altro giornale con questo titolo: «Grosso scandalo a Firenze: un colonnello dei carabinieri arrestato per traffico di farina; due vice brigadieri ai suoi ordini, la merce trasportata con gli automezzi della Legione di Bari, venduta ad una fabbrica di biscotti».

A me, vecchio ufficiale di complemento, che pur feci nove anni di guerra, ripugna l’idea di un ufficiale, che si sia macchiato d’un simile reato. Ma il reato maggiore è forse nel vincolismo, che spinge questo funzionario per avidità di guadagno o per una profonda tragedia che non conosciamo e che non siamo in grado di valutare, su una via disonesta. E non è un caso isolato. Il caso isolato è che egli sia stato scoperto e colto con le mani nel sacco. Ma, di fronte a questo colpevole scoperto, onorevoli colleghi, quanti ce ne sono, che non saranno mai scoperti, che hanno creato una complicatissima rete di complicità, la quale alle volte affonda le radici in basso, ma spinge i rami ed i pampini verso altezze insospettate!

Economia controllata; è giustissima, teoricamente; ma, onorevoli colleghi dell’estrema sinistra, quest’anno noi avremo un misero raccolto di grano. E questo perché? Perché i coltivatori di grano trovano più conveniente coltivare altro, che dia maggiore reddito di questo grano, tanto prezioso, che, però, non è pagato abbastanza. Io non so, mi è stato riferito, ed ho controllato alla meglio perché, disgraziatamente per me, non sono uno speculatore; pur essendo persona intelligente, non sono mai riuscito a speculare. Ma c’è una faccenda, che riguarda i dollari di importazione, che mi è stata spiegata molto bene.

I cittadini italiani residenti all’estero, gli stranieri che trascorrono un certo periodo di tempo in Italia, hanno diritto di entrare nel nostro Paese con una quantità incontrollata ed illimitata di valuta estera, che possono spendere in Italia. E ciò è giusto. Mi fermo al dollaro, perché la mia scienza finanziaria è limitata.

Dunque, questo dollaro, così detto di importazione o di esportazione, è pagato in questo momento circa 840 lire; in borsa nera lo si prende a 700. Basta che arrivi uno dei nostri amici dall’estero, basta andargli incontro all’aeroporto, portando in tasca 10 mila dollari, che possono anche consistere in 10 biglietti da mille dollari, arriva l’amico, lo si abbraccia, gli si fanno scivolare in tasca i diecimila dollari e guadagnando 140 lire a dollaro su quei diecimila dollari, si ha un guadagno, in pochi minuti, di un milione e 400 mila lire.

A chi potrebbe non fare gola un guadagno di questo genere, così facile, così comodo? Da che cosa nasce? Dal vincolismo, da quella che è chiamata economia controllata, pianificazione e che è tirannide. L’autarchia fascista che cosa era se non una economia controllata, una economia la quale era diretta dallo Stato a fini politici che interessavano lo Stato e non il Paese?

Dice: non si deve fare l’imbroglio del colonnello dei carabinieri, non si deve fare l’imbroglio dei 10 mila dollari. Voi vorreste avere degli angeli, vorreste avere dei cittadini con delle alucce dietro la schiena; ma non ci sono, non ci sono questi cittadini.

Io credo di essere una persona per bene, ma è certo che se mi capitasse di guadagnare un milione e 400 mila lire senza fare nessuno sforzo, non so se mi tratterrei. E allora da questa situazione scaturisce un altro fatto: che non si lavora più utilmente, perché non conviene più la fabbrica, non conviene più l’officina, non conviene più lo «scagno» genovese o la bottega napoletana; conviene la speculazione; si vuol guadagnare subito, si vuole raccattare il reddito immediatamente, si vuole guadagnare il cento per cento, rifare il capitale immediatamente e considerare tutto il resto come guadagno sul velluto, come valuta che si miete. Tutto ciò nasce da questo stato che io direi di eretismo finanziario, che, con il vincolismo, si è creato non soltanto in Italia, ma in tutti i Paesi.

Un produttore cinematografico inglese che, beato lui, ha fatto delle gran belle pellicole, che gli sono andate molto bene, è venuto ad invitarmi a lavorare con lui.

Gli ho detto che non potevo. Allora mi ha domandato che cosa guadagnassi facendo il deputato e il giornalista. Io glielo ho detto, e gliel’ho detto con un certo orgoglio, come per dirgli: che bei passi da gigante ho fatto!

Egli mi ha risposto pietosamente: «What are you doing in Itaty? Come along where you belong! (Cosa stai facendo in Italia? Vieni dov’è il tuo posto).

Ora, anche sul mercato internazionale del film il vincolismo consente guadagni enormi e perdite enormi. Tutto ciò nasce da questo sbilancio, da questa coazione, da questo aver voluto chiudere tutte le industrie, tutti i commerci, tutte le attività, tutte le possibilità umane in una specie di campo di concentramento, in un reticolato ideale, dal quale nessuno può uscire, e allora tutti quanti si sono messi a fare il contrabbando e poiché c’è gente intelligente, si specializza nel contrabbando e c’è chi eccelle e fa fortuna smoderata, come quella del milione e 400 mila lire (è un’idea fissa, quella mia, del milione e 400 mila lire) guadagnati in pochi minuti, che si risolvono effettivamente a danno della collettività, perché il danno della collettività non è dato dal guadagno dell’agricoltore che produce, dall’utile che può ricavare l’armatore che fa navigare la nave, ma dal super-utile della speculazione. Sono queste grosse fette, che la speculazione taglia nella carne viva della gente, le cause della crisi, che si ripercuote nell’economia generale.

Ora, esasperati dal non veder realizzate queste vostre, peraltro, nobili idee di giustizia sociale, di perequazione, di livellamento e, in un certo senso, anche di umana e cristiana pietà – perché a tutti dispiace vedere gli altri soffrire, tanto è vero che facciamo di tutto per andare incontro alla sofferenza, magari con l’elemosina, che è un volontario tributo che paghiamo a chi è più disgraziato di noi – esasperati dal vedere la non realizzazione di queste idee, alle quali voi credete, ve la pigliate con tutti gli avversari, ed invece di accusare la natura umana, accusate coloro che sono d’accordo con voi ed allora insieme al controllo economico ed al controllo finanziario, voi finite per chiedere il controllo politico, il controllo di polizia, perché finalmente e giustamente – (lo hanno detto alcuni vostri oratori) – vi siete resi conto che la vittoria politica è poco e niente, se non c’è anche la vittoria su quelle che sono le reali forze economiche del Paese.

A questo punto il nostro spirito si ribella e dice: No; io posso esservi grato di volermi fare del bene; posso studiare con te il modo di realizzare questo bene nel modo migliore, non posso permetterti di volermelo fare per forza. Il bene fatto per forza non è più bene. È su questo conflitto che si basa la vostra intolleranza e la nostra opposizione. Noi vogliamo la pacificazione. Anche voi dite di volerla, ma non disarmate il vostro spirito.

Io ricordo, con un certo senso di umorismo, che, fra le accuse che un epuratore di sinistra mi fece all’epoca in cui mi si voleva epurare non so di quale peccato fascistico, c’era questa accusa: scrisse delle brutte commedie!

Ora io non vedo perché dovrei essere biasimato per aver scritto delle commedie che altri trova brutte.

Una voce. Non sei il solo. C’è in materia un precedente shakespeariano.

GIANNINI. Il Signore mi ha dato questo ingegno. Io non posso andare al di là e scrivo le commedie che so scrivere.

La prova di questo vostro settarismo è stata fornita anche oggi dall’onorevole Nenni, che ha contestato la legittimità di questa nostra maggioranza. Ma se è una maggioranza, come fa a non essere legittima? Non siamo stati eletti al pari di voi? Non abbiamo i vostri stessi diritti? Non rappresentiamo anche noi delle categorie (voi dite: «classi») del popolo italiano?

In questa vostra pretesa c’è un legittimismo che per fortuna è soltanto comico, ma può diventare grave e tragico in quanto si infiltra nelle masse che ne rimangono dolorosamente persuase.

Ed a proposito di questa pacificazione, io voglio ricordare uno degli episodi forse più interessanti della mia vita di giornalista: la polemica che ho avuto con l’onorevole Togliatti. Io dissi, in quella polemica, per giustificare il fatto di averla iniziata: il comunismo è una realtà, il comunismo è un partito, è una forza politica che si può o sterminare o col quale andare d’accordo. Credevo di non sbagliare. Credo di non avere sbagliato, e si finirà per riconoscere che non ho sbagliato. Ora io dico a voi: ci sono dei residui dell’altro regime. Quelli di voi che mi conoscono personalmente, sanno che io non c’entro con quei residui. Ho preso le difese di chi credevo minacciato e maltrattato e che in passato aveva minacciato e maltrattato me, perché ho sempre vissuto così: mi è sempre piaciuto di battermi per quelli che erano caduti e per quelli che erano più deboli.

Quello che ho detto per voi, lo dico per questi residui. Ci sono. Cosa volete fare? Li volete sterminare? Non è possibile, e allora lasciate che vivano. Abbiamo molti di questi uomini, che sono ancora molto giovani, che non sono in galera e non sono nei campi di concentramento, contro i quali pende, più che altro, un’accusa di localismo, perché è nel loro paese che sono conosciuti, nel loro angoletto hanno fatto, se l’hanno fatto, qualche cosa di male. Non tutti possono trasferirsi in altri paesi e non tutti possono cambiar professione e passare – che so io? – dal cinema al teatro, o dalla banca al commercio all’ingrosso dei generi alimentari. Ci sono degli individui nati per fare i calzolai, o per fare i barbieri e debbono fare i calzolai ed i barbieri e non impareranno mai a fare altro di diverso. Cosa volete fare di questa gente? Sterminatela subito e subitene le conseguenze; altrimenti, lasciatela vivere e fate che nel Paese ritorni un’atmosfera di pace in cui si possa lavorare insieme; perché non abbiamo mai – sappiatelo bene, signori della sinistra – posto pregiudiziali contro di voi e mai le metteremo, perché per noi, chiunque è eletto dal popolo, ha diritto di andare al Governo, diritto e dovere di collaborare all’amministrazione della comunità.

Ora, quali sono le ragioni per cui noi abbiamo voluto questo Governo omogeneo, questo Governo formato da un solo partito, con dei tecnici che spero diventeranno più numerosi e, principalmente, più tecnici in avvenire? Noi l’abbiamo voluto perché tendiamo ad un Governo che si occupi unicamente dell’amministrazione dello Stato, senza fare in esso della politica, perché, per fare della politica, fatalmente si arriva a fare politica di parte.

DI VITTORIO. Infatti questo Governo è apolitico!

GIANNINI. Onorevole Di Vittorio, se vogliamo fare una conversazione, andiamocene al caffè! (Si ride). È per questo che noi appoggiamo ed abbiamo appoggiato questo tentativo, che non è l’ideale, onorevole Di Vittorio, ma che è incamminato per la via sulla quale volevamo che si incamminasse. Noi non vogliamo stravincere e conquistare il Paradiso in un giorno. Ci accontentiamo: gli «uomini qualunque» non vogliono fare nessuna conquista integrale ed istantanea. D’altra parte, scusate, non comprendo perché voi vogliate andare assolutamente al Governo, e risentiate un tale, non dico dolore, ma un tale disappunto per non esserci. Signori, noi non siamo al Governo: non siamo centocinque, ma abbiamo ottenuto ciò che volevamo. Perché voi non dovreste ottenere ciò che noi abbiamo ottenuto? Se stare al Governo è un dovere ed una fatica, siamo lieti di non esserci, e di avere valorosi colleghi che lavorano per nostro conto, facendo quel Governo che noi vogliamo! (Applausi a sinistra). Il «nostro conto» è quello dell’«Uomo Qualunque»: noi non siamo in condizioni di poter mantenere un Governo. Vi ringrazio della vostra frenesia di applaudirmi questa sera. (Si ride). Vi sono molto grato, ma non vorrei che fossero applausi sbagliati: non c’è nulla di peggiore, perché gli applausi debbono arrivare al momento giusto. Noi non possiamo mantenere il Governo. Quando diciamo: «è un Governo che lavora per nostro conto», noi vogliamo dire che è un Governo che continua a fare una propaganda nel paese per conto dell’«Uomo Qualunque». (Applausi a sinistra). Non dovremmo fare la nostra propaganda? Dovremmo fare forse la vostra? (Commenti e ilarità a sinistra). Noi facciamo la «nostra» propaganda. Ora, se questo Governo riuscirà a dare quella tranquillità al Paese che noi auspichiamo, siamo certi che nel Paese si continuerà a dire quello che già si dice da tanto tempo: «Ma, questi dell’«Uomo Qualunque» hanno veramente ragione». Noi non vogliamo altro.

Ora, la ragione per cui voi fate tanto per stare al Governo, quale è? Ci sono forse vantaggi politici? Noi non siamo stati mai Ministri, e quindi non lo sappiamo; ma se ci sono dei vantaggi politici, allora altro deve essere il tono della vostra protesta.

Si parla del programma del Governo e si dice che il Governo ha un programma di sinistra che è accettato dagli uomini di destra. Non è vero niente. Prima di tutto, non abbiamo accettato nessun programma; noi non crediamo ai programmi, perché non vi è Governo, nelle condizioni attuali, che possa fare altro programma, al di fuori di quello di tirare avanti, giorno per giorno, per le poche settimane di vita che può vivere. (Si ride). Sento parlare di programma governativo, come se si trattasse, per l’onorevole De Gasperi, di rimanere al potere fino al 2000. Io non credo, onorevole De Gasperi, che lei voglia rimanerci tanto tempo; comunque, se ci riuscirà, lei certamente applicherà un programma e ce lo dirà dopo averlo applicato. Ma non credo che oggi, nelle condizioni del presente dopoguerra, nelle condizioni attuali della moneta, nelle attuali condizioni dell’industria, della indipendenza nazionale, sulla quale mi riservo di dire qualche parola, io non credo che si possa fare veramente un programma. Si vuole usare, anche in politica, una dizione sbagliata: «periodo transitorio». Tutti i periodi sono transitori, perché un periodo è sempre fra due periodi; ma questo è il più transitorio dei periodi che abbia avuto mai il mondo.

Sento parlare della vendita della nostra indipendenza a questo o a quello Stato. Innanzi tutto, non si vende ciò che non si ha; in secondo luogo, quali sono gli Stati indipendenti, non in Europa, ma nel mondo? Al mondo vi sono due Stati indipendenti: gli Stati Uniti d’America e la Russia Sovietica. Poi, c’è un altro Stato indipendente che è l’impero inglese, col suo Commonwealth, la cui indipendenza non mi sembra che sia uguale a quella degli altri due Stati che sono usciti vittoriosi da questa guerra. Gli altri stati nazionali di Europa, e fuori di Europa, di quale indipendenza godono? Godono indipendenza quei paesi, sia dell’America, sia dell’Europa, sia dell’Asia i quali sono compresi nell’area, diciamo così, del dollaro e della sterlina? Quei paesi, possono fare quello che vogliono? Potrebbero domani rifiutarsi di entrare in una guerra nella quale non volessero entrare, o fare una guerra per conto proprio? Non vi è nessun paese che possa far questo. Hanno forse indipendenza gli altri paesi dell’Europa Orientale? Non l’hanno. Allora, io non mi preoccuperò tanto di questa indipendenza, che non esiste, e che mi pare sia tirata fuori solamente in occasione di crisi ministeriali. Noi non siamo indipendenti ed ho paura che non lo saremo mai più, perché la politica nazionale deve sparire, perché gli Stati nazionali sono finiti. Noi non possiamo fare che una politica continentale.

Oggi l’Europa si attraversa in poche ore, oggi l’Atlantico si attraversa in poche ore, oggi ci sono armi formidabili, alle quali non si può opporre che lo spirito, che è indistruttibile; oppure armi di eguale potenza, ed allora è perfettamente inutile farne di potenza inferiore.

L’indipendenza, come è intesa nel senso quarantottesco dello Stato nazionale, onorevoli colleghi, non solo dell’estrema sinistra, ma di tutta l’Assemblea, quella indipendenza non esiste più: e chi si illude su quella indipendenza fa molto male ad illudersi, perché danneggia se stesso ed il suo paese.

Noi abbiamo bisogno di andare avanti, di costruire il nostro Stato in pace, in tranquillità, in laboriosità: il programma non è niente, il programma è uno solo, quello di riedificare la casa, ripulirla di tutto il materiale crollato, richiamarvi tutti gli abitanti, riaffratellarli, dimenticare il passato. Molti di noi portano ancora il lutto e lo porteranno sempre nel cuore: bisogna avere la forza di dimenticare il passato, e chi non l’ha dimenticato prima di noi, è caduto perché non ha saputo dimenticarlo.

L’essere generosi contiene una forza ed una spiritualità che vengono veramente da Dio, che possono dare tutte le vittorie, perché presuppongono tutte le soggezioni.

Vorrei dire due parole particolarmente dedicate all’onorevole Di Vittorio, che è sempre preoccupato dei poveri. Io lo ringrazio, perché anche io faccio parte di questa categoria, se per povero s’intende – oggi – non avere che poche decine di migliaia di lire.

C’è una frase che si ripete tanto spesso, sul dovere dei ricchi di pagare. Ma, signori, chi paga sono i ricchi, perché chi non ha non paga. Noi lo vediamo: e principalmente non paga nessuno, perché il sistema delle imposte è applicato in un modo così bestiale, che nessuno paga le tasse. (Commenti a sinistra). Ora, la nostra situazione non ha precedenti, non troviamo insegnamenti nella crisi dell’«assegnato» francese e nemmeno in quella che fu l’inflazione germanica. Questi professori di economia, ai quali mi inchino, finiscono sempre per darsi torto l’uno con l’altro, non riescono mai ad andare d’accordo, hanno ciascuno una loro particolare scienza, una loro particolare certezza di esattezza finanziaria. Questi professori polemizzano tra loro; ce n’è perfino qualcuno il quale ritiene che l’inflazione sia un bene, allo scopo di ramazzare tutto quel superguadagno che certe categorie non meritevoli hanno fatto ed hanno tesaurizzato. Non so se l’illustre professor Del Vecchio mi tirerà le orecchie, per essere io entrato nel suo campo; comunque, questa intrusione l’ho fatta da dilettante e spero che egli mi perdonerà.

Ora, cosa noi chiediamo a questo Governo? Che esso amministri in pace il paese, e che rinunzi al suo programma di appariscenze. L’onorevole De Gasperi ci ha promesso troppe cose, eppure da parte vostra (Accenna a sinistra) è rimproverato di non aver promesso abbastanza. Se volessi fargli un appunto, gli direi: «Caro Presidente, lei ha promesso troppo, non esageri, non ci dia troppa ricchezza! (Si ride). Lei, per esempio, ci ha detto perfino che si poteva rivalutare la lira! Per carità, Presidente, non la rivaluti! Impedisca che si svaluti di più, ma non la rivaluti, la tenga ferma, perché l’importante è che la moneta sia ferma, non che sia rivalutata».

Per poco che io me ne intenda, la rivalutazione non è un guaio minore della svalutazione, perché, se si rivalutasse la lira, cominceremmo a non capire più nulla dei valori che ormai, bene o male, possediamo.

E veniamo ad un punto che mi pare interessi particolarmente i colleghi dell’estrema sinistra, i quali ne hanno parlato varie volte e che, in certo senso, ha impressionato anche me, di solito non impressionabile. Si dice che questo Governo sia molto pericoloso per le prossime elezioni politiche.

Una voce a sinistra. Lavora per voi.

GIANNINI. Bisognerebbe allora ammettere che il Governo possa influire sulle elezioni politiche. (Commenti a sinistra). Ma se è così, domando che cosa è successo nelle elezioni passate (Vivi applausi a destra), perché noi siamo qui in trentadue, e avremmo potuto esservi in centocinquanta.

Una voce a sinistra. Erano sei partiti al Governo!

GIANNINI. Ora, osservo che, se un Governo ha potuto influire sulle elezioni politiche, non vedo perché il mio ottimo amico Romita non mi abbia portato via, quando era Ministro dell’interno, una buona messe di candidati. Io ho ringraziato Romita nel mio primo discorso, perché ho avuto 32 eletti, ma oggi incomincio ad accorgermi che forse ne avrei potuti avere molti di più.

ROMITA. No, no.

GIANNINI. Onorevoli colleghi, permettetemi di dirvi che non credo che, in regime di suffragio universale, un Governo possa influire sulle elezioni. Potrà, tutto al più, fare un imbroglio in una città o in un’altra…

Una voce a sinistra. E grazie!

GIANNINI. …ma, quando gli elettori incominciano a diventare venticinque o trenta milioni, non è possibile: si potrà magari alterare il risultato di qualche referendum, perché la scheda è semplice (Applausi a destra): non c’è che un sì o un no; ma alterare profondamente i risultati di un’elezione politica, oggi, con il suffragio universale, non è possibile; tanto vero che varî partiti di massa hanno incominciato a rivedere il proprio atteggiamento di fronte al suffragio universale, che noi invece vogliamo. Voi l’avete voluto, adesso dividiamocelo.

Le ragioni che inducono la Democrazia cristiana, nostra alleata nel sostenere valorosamente questo Governo, a combatterci, noi le troviamo precisamente nella certezza che le elezioni oramai si vincono, riuscendo a persuadere il pubblico dell’eccellenza e della superiorità del proprio pensiero politico.

Ecco la ragione per cui il grande partito qualunquista inconscio ha paura di quello effettivo (Si ride) e lo avversa in tutti i modi e in tutte le forme. Noi ce ne vendichiamo appoggiando il suo Governo, certi che da questo esperimento uscirà la nostra maggiore vittoria.

Voglio darvi un’altra prova, onorevoli colleghi dell’estrema sinistra, dell’impossibilità attuale, da parte di un Governo, di manovrare le proprie elezioni: in Ungheria, dove c’è l’armata rossa, i comunisti, nelle elezioni, hanno riportato il diciassette per cento dei voti. Ora, se i poteri, se l’armata, se insomma quelli che sono i mezzi di Governo, in mano a chiunque essi siano, amico o nemico, nazionale o straniero, valessero qualche cosa nel suffragio universale, io non credo che i Russi, a Budapest, avrebbero permesso che i comunisti conquistassero solo il diciassette per cento dei voti.

Voi mi direte che lo hanno fatto perché sono fior di galantuomini, e io non saprei che cosa rispondere a queste vostre argomentazioni. (Ilarità a destra – Commenti).

D’altra parte, onorevoli colleghi, io vi dico che se questa, per me improbabile, impossibile, irrealizzabile truffa governativa si realizzasse; se noi avessimo le prove che questo Governo, o un altro Governo liberticida, impedisse la manifestazione della vera volontà popolare nelle elezioni, noi prenderemmo le armi e saremmo al vostro fianco per abbattere questo Governo con tutti i mezzi. Non ci lasceremmo certamente sopraffare nella lotta elettorale.

Passo ai quattordici punti dell’onorevole Morandi. Di questi punti si è enormemente parlato: c’è chi ne ha una paura matta; c’è chi li esalta. Io, allora, ho fatto come faceva l’abate Galliani: mi sono andato «a leggere la materia», e mi sono letti questi quattordici punti. Beh! dico la verità, non mi pare che ci sia niente di straordinario. Non so perché ci si affanni tanto a volerli respingere, e non so nemmeno perché ci si affanni tanto a volerli accettare. A me sembra che in questi quattordici punti non ci sia assolutamente niente di anormale. Il primo: «Procedere entro il più breve termine all’eliminazione degli oneri che il Tesoro sopporta per effetto dei prezzi politici». Che male c’è? E così tutti i quattordici punti, che io non voglio leggervi, perché non sarebbe di buon gusto da parte mia criticare il lavoro di un collega, al quale lavoro mi sono accostato semplicemente perché ha acquistato una grande importanza politica. Ma ripeto, onorevoli colleghi, non ci trovo nulla di enorme; ci trovo, sì, «lo spirito» col quale essi possono essere applicati; perché questi quattordici punti potrebbero essere applicati indifferentemente dall’onorevole De Gasperi, dall’onorevole Benedettini, dall’onorevole Mazza, dall’onorevole Togliatti, dall’onorevole Gronchi, da tutti: solamente che ciascuno, applicandoli, li applicherebbe, forse, in modo diverso. Quindi, probabilmente, non sono i quattordici punti per cui voi strepitate, ma per la loro applicazione; quindi ricadete in quello che vi si è sempre rimproverato: la vostra ingiustizia settaria. Voi volete aver ragione per forza; e per forza non potete averla.

Noi, dunque, in questo che è il programma del Governo, sia in quattordici punti, sia in più, sia in meno, non possiamo attenerci che al provvisorio e al contingente, per la fatale soggezione in cui, non solo noi, ma tutto il mondo è tenuto dai due giganti che oggi comandano. E allora, ci limiteremo a fare qualche raccomandazione all’onorevole Presidente del Consiglio; perché, quando gli vogliamo chiedere qualche cosa, noi gliela chiediamo apertamente nell’Aula, non nei corridoi.

Innanzitutto, di fare quanto più è possibile per questa pacificazione degli animi, signor Presidente del Consiglio, perché anche la lira, la così detta salvazione della lira, è in funzione non solamente di importazioni, di esportazioni, di produzione, di consumo – chi sa perché, tutti quanti dimenticano sempre che c’è un consumo – ma è anche una questione di tranquillità interna, di pace sociale. Trovi il modo, Presidente, faccia quello che può; preghi Dio, lei che è così religioso (Si ride): trovi il mezzo per cui si possa finalmente chiudere una discussione annosa e ormai sorpassata. Ci sono tombe su cui sono nati dei fiori: non disturbiamole più; lasciamole tranquille.

La salute pubblica. Ho saputo, e ne sono rimasto veramente colpito, che in alcuni istituti statali, specie nei tubercolosari, c’è un sistema che nasce anche dalla crisi degli alloggi: gente guarita che non esce; gente malata che non può entrare; imposizioni di commissioni interne, imposizioni di medici, imposizione di fuori, imposizioni di dentro.

Presidente, pensi a questo: che la massima aliquota di tubercolotici è data dai lavoratori manuali, dalla gente povera, impossibilitata a curarsi! È peccato mortale lasciarla alla mercé di gente, la quale ha fatto dell’assistenza un mestiere e non ha più cuore, non ha più animo e vede solo un interesse, in quella che è l’assistenza.

Moneta: ho già esposto il concetto della rivalutazione. Desidero dire qualcosa sul cambio della moneta. Guardi, Presidente: mille lire e dieci lire. Gliele mostro. Faccia il cambio della moneta e riduca le proporzioni del biglietto da mille alle proporzioni del biglietto da dieci, perché tanto vale.

È un fatto psicologico. Noi diamo alla fine del mese o della settimana dei fasci di questi biglietti ai lavoratori, alla gente che lavora per noi. Abbiamo redattori, impiegati, tipografi, ai quali diamo trenta, quaranta affaroni di questi alla fine del mese o della settimana, e crediamo di dare tanto e non diamo niente, e questa gente è costretta a far debiti e a rimandare i suoi pagamenti e, insomma, a dare ragione a Di Vittorio, perché questa gente deve campare! Se noi dessimo soltanto cinquanta bigliettini di questi (da dieci) anziché di questi (da mille), noi, forse, finiremmo col considerare con maggiore equanimità il compenso dovuto a gente che lavora per noi.

C’è un’organizzazione bancaria – (mi dispiace che non sia presente l’onorevole Einaudi) – l’organizzazione bancaria del Mezzogiorno: Banco di Napoli e Banco di Sicilia. Ho sentito parlare di trattative, di riordinamento di quella che deve essere l’organizzazione bancaria del Sud.

Signor Presidente, noi dobbiamo pensare a questo: il Mezzogiorno d’Italia oggi è la retrovia dell’Europa, ma principalmente la retrovia dell’Italia. Noi abbiamo bisogno di avere nel Mezzogiorno le industrie del Nord. Non vi dico di spiantarle dal Nord ed impiantarle nel Sud, ma, se parlassi inglese e potessi creare un verbo, direi di «succursalizzare» nel Sud queste industrie del Nord. Noi abbiamo bisogno di impiantare da Napoli in giù, dal Garigliano in giù, in Calabria, in Puglia, in Basilicata, in Sicilia, in Sardegna, per lo meno delle succursali delle nostre grandi aziende industriali, perché possiamo trovarci da un momento all’altro privi della possibilità di valerci delle industrie della Valle padana. Noi abbiamo bisogno almeno di una fabbrica di automobili in Sicilia, abbiamo bisogno della valorizzazione di tutto il patrimonio minerario silano, abbiamo bisogno di creare un’ossatura industriale, ferroviaria, stradale, portuale principalmente, nel Mezzogiorno d’Italia! La storia d’Italia ha sempre profondamente cambiato a seconda delle sue invasioni. Noi abbiamo avuto invasioni dal Nord: abbiamo avuto quella storica dei Galli, poi abbiamo avuto l’invasione degli Sciti, di Annibale, tante invasioni! Dal Sud abbiamo avuto tre sole invasioni, che hanno sempre e profondamente modificato la struttura del nostro paese: abbiamo avuto l’invasione di Pirro, quella precedente dei Greci e quella di oggi degli Anglo-Americani. È un fatto enorme che l’Italia sia stata invasa dal Sud!

Una voce. L’invasione dei Saraceni.

GIANNINI. Già, dimenticavo: quella dei Saraceni.

È un fatto enorme che può avere conseguenze formidabili. Noi dobbiamo tenerci pronti, a meno di non sacrificare tutto il nostro paese, in quella che può anche essere una rapida avventura militare; dobbiamo tenerci pronti a valorizzare quella che è la catena appenninica, perché le Alpi non le possiamo valorizzare; ne abbiamo mezzo versante soltanto, e in certi punti anche meno.

E allora, se avremo bisogno di un bottone, o di una maniglia di porta, o di una bicicletta, signor Presidente, non dobbiamo essere costretti ad andarla a comprare oltre Oceano. Dobbiamo essere in condizioni di poterla produrre nel Sud. Nel Sud c’è una popolazione illustre, non indegna delle popolazioni del Nord. È una popolazione agricola, ma saprà adattarsi alle nuove esigenze, e d’altra parte non si esclude che i fratelli del Nord, più capaci di stare alle macchine, possano venire ad insegnare a quelli del Sud ciò che è necessario che essi apprendano.

C’è il piano Marshall. Io credo di poter rivendicare di essere uno dei primi, e di quelli che hanno più lavorato, per la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa. A mie spese ho fatto una Rivista, l’Europeo Qualunque, una pubblicazione molto importante che si occupa esclusivamente degli Stati Uniti d’Europa. Nel numero del mese di luglio, signor Presidente del Consiglio, vi si dà una notizia che pochi sanno: la notizia che tutti i Parlamenti di Europa hanno aderito, con una certa aliquota, alla conferenza preliminare e quindi all’idea degli Stati Uniti d’Europa. Il Parlamento belga ha aderito col 33 per cento dei suoi membri; gli altri Parlamenti hanno aderito con una percentuale minore. La percentuale di adesioni del Parlamento italiano è del 55 per cento: la più alta di tutti i Parlamenti europei. Noi sentiamo profondamente in Italia il bisogno della ricostituzione di quello che fu il grande Stato europeo, che noi dominammo e lo dominammo come sempre abbiamo dominato in passato, ossia insegnando e civilizzando. Noi abbiamo creato questo grande Stato europeo che si chiamava Impero Romano, alla testa del quale ci sono stati anche dei negri, degli asiatici: abbiamo avuto imperatori di origine nordica, di origine spagnola. L’aspirazione universalistica della nostra gente era tale che fin da allora prevedeva la possibilità che il mondo, tutto il mondo allora conosciuto, fosse riunito in un grande Stato.

Gli Stati nazionali oggi non vivono più. Oggi è ridicolo e criminale voler impiantare dei conflitti su un fiume, su una montagna, su un golfo, alle volte su pretesti ancora più frivoli, ancora meno consistenti, e che pur possono portare all’eccidio, alla rovina, al saccheggio, a quello che noi abbiamo visto nel nostro Paese quando è stato liberato, sì, liberato, ma con troppa energia e da liberatori in un certo senso ancora troppo selvaggi, ancora incapaci di comprendere qual era la nobiltà del Paese che avevano l’onore di essere stati chiamati a liberare.

Noi vorremmo che non si ripetessero più queste tragedie, o che, almeno, non si ripetessero per dei piccoli motivi. Io quindi vi prego, signor Presidente del Consiglio, e prego l’onorevole Sforza, che so benissimo come non condivida tutte le mie idee, ma qualcuna credo di sì, io vi prego di cercare nel vostro patriottismo illuminato se è possibile compiere al più presto un gesto significativo e decisivo verso questa grande costruzione degli Stati Uniti d’Europa, costruzione dalla quale non deve essere escluso nessuno Stato europeo.

Non dobbiamo fare questi Stati Uniti d’Europa per metterci al servizio di un continente o di un altro: dobbiamo costituire questa grande unità, dobbiamo ricostituire questo grande impero latino di un tempo, con l’idea di ricostituire tutta l’Europa, e quindi anche con gli Stati orientali d’Europa, anche con gli Stati scandinavi e nordici, senza nessuna esclusione e senza nessun proposito aggressivo verso chicchessia.

Il 21 settembre dell’anno scorso, quando ebbi l’onore di parlarvi la prima volta a braccio sciolto, vi esortai a mettervi d’accordo. Vi esortai a unirvi per la salvezza del nostro paese e vi dissi anche che da questa unione sarebbe venuta la nostra morte; perché noi siamo vivi appunto in funzione della vostra disunione, della vostra incapacità di andare d’accordo. Io vi invitai a questo accordo a nome del mio gruppo, con spirito sinceramente suicida, disposto a non ritornare in questo Parlamento, purché voi vi accordaste e insieme salvaste il nostro paese. Vedo che non è possibile. L’accordo tra voi non è realizzabile; e allora io devo finire il mio discorso, in maniera perfettamente opposta a quella con cui terminai quello del 21 settembre. Noi, dunque, ci proponiamo di combattervi con la massima lealtà nelle prossime elezioni, di battervi e di ritornare in questa Assemblea nel numero necessario per instaurare realmente un vero Stato amministrativo qualunquista, che deve portare al riscatto del nostro Paese e, possibilmente, alla libertà per tutto il vecchio continente. (Vivi applausi a destra – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Avverto gli onorevoli colleghi che vi sono ancora sette oratori iscritti a parlare, oltre ai presentatori degli ordini del giorno. Il seguito della discussione è pertanto rinviato a domani alle 10, avvertendo che vi sarà seduta anche alle 16.

La seduta termina alle 1.10.

Ordine del giorno per le sedute del 20 giugno 1947.

Alle ore 10 e alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.