ASSEMBLEA COSTITUENTE
CLVIII.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 20 GIUGNO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
De Filpo
Congedi:
Presidente
Comunicazioni del Presidente:
Presidente
Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):
Fogagnolo
Pallastrelli
Micheli
Lombardi Riccardo
Sforza, Ministro degli affari esteri
Corbino
La Malfa
Presidente
La seduta comincia alle 10.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
Sul processo verbale.
DE FILPO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE FILPO. Dichiaro che se fossi stato presente nella seduta di ieri avrei votato contro l’ordine del giorno Cifaldi.
PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Canevari, Natoli e Porzio.
(Sono concessi).
Comunicazioni del Presidente.
PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha comunicato che il Capo provvisorio dello Stato ha nominato, su sua proposta, Commissari del Governo per partecipare nell’Assemblea costituente alle discussioni relative alle materie che rientrano nella loro rispettiva competenza: il professor Edoardo Angelo Martino, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio dei ministri per l’assistenza ai reduci e partigiani; il professor Vittorio Ronchi, Alto commissario per l’alimentazione.
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.
Gli onorevoli Fogagnolo, Fedeli Aldo, Tomba, De Michelis, Pieri, Faccio, Vernocchi, Dugoni, Tonello, Malagugini, Costa, Fiorentino, Giacometti, Ghislandi, hanno presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea invita il Governo ad emanare con tutta sollecitudine la più volte promessa legge organica sui danni di guerra ed a mantenere in vita – rendendolo più efficiente e adeguato ai nuovi compiti – il Sottosegretariato od altro organo politico-amministrativo, più rispondente, che – coordinando i servizi e gli uffici oggi sparsi nelle varie amministrazioni dello Stato – provveda con unicità di criterio e di direttive a dare efficace esecuzione alle provvidenze che la legge sarà per fissare».
L’onorevole Fogagnolo ha facoltà di svolgerlo.
FOGAGNOLO. Onorevole Presidente, io avrei anche potuto rinunciare a svolgere l’ordine del giorno, dato che già in precedenza l’onorevole Colitto aveva esposte le ragioni per cui non trovava giusta la soppressione del Sottosegretariato di Stato per i danni di guerra. Quando si è cercato di formare questo Governo, quando l’onorevole De Gasperi si è accinto a formarlo, seguendo forse l’insegnamento che era derivato dalle trattative precedentemente svolte dall’onorevole Nitti – il quale, per ragioni di economia, si era detto avesse annunciato che quasi tutti i Sottosegretariati sarebbero stati tolti – io ed altri colleghi abbiamo mandato un telegramma al Presidente De Gasperi, per dimostrargli tutta la nostra preoccupazione per l’eventualità della soppressione del Sottosegretariato di Stato per i danni di guerra.
Perché questo? Perché il problema dei danni di guerra, che già ho avuto occasione di esaminare in quest’Aula, in sede di interrogazione, è un problema al quale, sì, l’onorevole De Gasperi ha fatto cenno nella sua esposizione, ma uno di quei cenni che lasciano il tempo che trovano, perché egli ha detto: il nostro dovere è di non dimenticare i danneggiati di guerra.
Il dovere del Governo è quello di mantenere le promesse fatte in quest’Aula, quando l’onorevole Sottosegretario Braschi, ad una interrogazione presentata da me, e ad un’altra interrogazione presentata dal collega Maltagliati, rispondeva ed assicurava gli interroganti che «in queste ultime settimane il Ministero si era dato premura di affrontare e di risolvere, in via definitiva, il più grave problema che era oggetto delle loro interrogazioni».
«Com’è noto – sono parole del Sottosegretario – si sono avuti in questi ultimi anni decreti su decreti che, ad iniziativa dei vari Dicasteri, dovevano risolvere in via frammentaria ed episodica, i singoli problemi che le necessità impellenti di ogni giorno ponevano sul tappeto». Prosegue con altre frasi che preferisco non leggere. Tutti questi altri Dicasteri si sono frazionati l’attività, per venire incontro ai singoli danni di guerra?
Io non so se questo Governo sarà chiamato ad esaminare il problema dei danni di guerra, e ciò per diverse ragioni. Prima di tutto perché in quest’Aula si è sentito parlare di un Governo che durerà in carica qualche giorno, e si è detto, proprio dai banchi di coloro che daranno il loro voto di fiducia al Governo, che esso durerà qualche settimana. Così, ieri sera, l’onorevole Giannini ha parlato di qualche settimana. Quindi, non è un Governo che possa dare affidamento né per la decisione nel volere effettivamente esaminare questo problema, né per la base che sarà chiamata a sostenerlo. Vi sarà un numero insufficiente di voti per dare prestigio a questo Governo; ma, poi, vi è anche la qualità di questi voti, onorevoli colleghi, qualità di voti coi quali il Governo pensa di potersi, se non sostenere, almeno puntellare. Sono dei voti questi che il Governo forse farebbe bene a rifiutare, per il significato che è stato dato ai voti stessi. Abbiamo sentito qui il discorso del rappresentante dei monarchici. È stato un discorso – vi dico la verità – che mi è piaciuto in un certo senso, perché l’onorevole Benedettini – naturalmente parla da monarchico perché è monarchico – ha parlato un linguaggio molto preciso per quello che riguarda i voti che sono stati dati alla monarchia dagli elettori che hanno eletto i deputati della Democrazia cristiana. Stando ai calcoli dell’onorevole Benedettini – e sono calcoli esatti – dei 12 milioni di voti che la Repubblica ha avuto, 2 milioni soli sarebbero stati dati dalla Democrazia cristiana, la quale ne ha dati 5 milioni alla monarchia. Ebbene, dinanzi a questa affermazione fatta in quest’Aula, e con nostro grande stupore, non abbiamo sentito un solo deputato della democrazia cristiana elevare le sue proteste. Di queste cose il Paese saprà tener il debito conto.
Tornando alla capacità di questo Governo di potere esaminare il problema dei sinistrati di guerra, io ho ragione di ritenere che non si possa avere alcuna fiducia nella parola dell’onorevole De Gasperi, perché Se è vero che le intenzioni sono quelle di non dimenticare i sinistrati di guerra, queste intenzioni dovrebbero essere messe in esecuzione con delle proposte pratiche e non sopprimendo l’unico organo serio che c’era nel precedente Governo. Questo organo non è mai vissuto bene, ma ha sempre vivacchiato, perché tutti i vari ministeri, o per lo meno un minimo di otto ministeri, si erano ripartiti i compiti di studiare, caso per caso, settore per settore, quelli che erano i provvedimenti a favore dei sinistrati di guerra. E sono venuti fuori 47 decreti, parte dei quali fanno a pugni l’uno con l’altro.
Ora, o si vuol fare sul serio o altrimenti bisogna avere il coraggio di dire che non si vuole o non si può fare nulla. Io non credo che non si voglia; credo anche che vi siano delle difficoltà, ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo avuto un’altra grande guerra mondiale, quella del 1915-18. Ebbene, i governi di allora si erano preoccupati, molto più di questo, della necessità di venire incontro ai sinistrati di guerra.
DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. Ma i danni erano molto minori allora.
FOGAGNOLO. Appunto perché erano molto minori, non si comprende la cosa! Noi a quell’epoca ci siamo trovati con un Ministero delle terre liberate, e con un Sottosegretariato al Ministero stesso. Ora, se per danni molto minori, come dice giustamente l’onorevole Ministro che mi ha interrotto, si era creato un Ministero ed un Sottosegretariato, per danni enormi come quelli della guerra fascista, francamente stupisce che il Governo De Gasperi, presentandosi in questa quarta formazione, non tenga conto che nel Paese ci sono milioni di danneggiati.
Ora, fra questi milioni di danneggiati, la gran parte sono costituiti da povera gente, la quale ritiene che la legge dell’ottobre 1940 sia una legge ancora in vigore, e lo è teoricamente soltanto, perché praticamente è una legge che non viene applicata.
DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. Altri erano i prezzi di allora. Essa sarebbe rovinosa per i danneggiati.
FOGAGNOLO. Non credo che il Governo possa ritenere di cavarsela promettendo semplicemente una legge organica, che è stata in realtà preparata, ma poi si è fermata. Ci son voluti tre anni per arrivare a questo, ed ora purtroppo tutto è nuovamente fermo.
Comunque, noi non siamo qui a discutere questa legge; quando essa verrà in discussione, io penso che tutti i colleghi dell’Assemblea prenderanno a cuore questa questione più di quanto non l’abbia presa il Governo, e ciascuno di noi avrà qualche cosa da suggerire al Governo onde si venga incontro per lo meno ai piccoli sinistrati di guerra. Ci sono anche i grossi sinistrati, ma quelli hanno altre possibilità di vita attraversò lo svolgimento di diverse attività. Se andiamo ad esaminare questa categoria dei ricchi sinistrati ci accorgiamo che sono proprio quelli che hanno gridato «viva la guerra»; interessa sopratutto di andare incontro ai piccoli sinistrati, per i quali sono state disposte finora somme troppo irrisorie.
Io vorrei far presente che c’è questa possibilità di mantenere l’organo preesistente; oppure si dovrebbe creare un organo nuovo che, se non sarà un Sottosegretariato, potrà essere un Alto Commissariato.
DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. Per questa materia esiste già il Sottosegretariato; praticamente funziona ed è affidato all’onorevole Petrilli.
FOGAGNOLO. È una novità per me; non mi risultava che esistesse.
DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. Non è stato mai soppresso. È un’opinione sbagliata dei danneggiati quella di ritenere che sia stato soppresso. In realtà è affidato all’onorevole Petrilli.
FOGAGNOLO. Mi dispiace che lei abbia fatto soltanto oggi questa dichiarazione e non tre giorni fa, quando il collega Colitto ha trattato lo stesso argomento ed ha manifestato la sua sorpresa perché non si è data una notizia sufficiente circa l’esistenza o meno di questo organo. Comunque, anche quel Sottosegretariato ha vivacchiato nella compagine ministeriale precedente.
Ora, bisogna rinforzare questo organo e non già cercare di ridurlo a qualche cosa di quasi inesistente, perché allora finiremmo col metterlo al livello di tutti quei piccoli servizi che esistono presso il Ministero dei lavori pubblici e presso altri Ministeri.
Se noi vogliamo veramente fare qualche cosa di serio, c’è il mezzo, onorevole Ministro: né a me si può muovere rimprovero se io glielo addito. Per creare quest’organo, e perché questo organo abbia delle funzioni specifiche, perché non sia, cioè, l’organo che c’è stato fino ad oggi, bisogna aggregargli tutti i servizi che oggi si trovano suddivisi fra altri Ministeri.
È facile vedere quali sono tutte queste formazioni che potrebbero passare a costituire il nuovo organo. La direzione generale del personale e degli affari generali potrebbe, ad esempio, essere costituita con gli uffici già esistenti presso la direzione generale dei danni di guerra e la direzione generale delle pensioni di guerra. C’è stato qualche collega che ne ha parlato: si tratta di quella branca del servizio che riceve centinaia di migliaia di domande di povera gente che da anni ed anni attende la pensione per dei morti.
Ora, si ha quasi l’impressione che questa branca al Governo dia fastidio; è un’impressione originata dal fatto che a tutte le interrogazioni presentate al riguardo dal 25 giugno dell’anno scorso all’Assemblea, mai è stata data alcuna risposta dagli onorevoli Ministri; e, tutte le volte che il nostro Presidente fissa gli ordini del giorno per le sedute del giorno successivo, c’è sempre qualche deputato che salta fuori e che dice: Ma quando si risponde a queste interrogazioni?
Si può prendere quella direzione generale dei danni di guerra che è stata aggregata al tesoro e farne un’altra direzione generale; si potrebbe poi fare la direzione generale per i danni di guerra che sono fuori del territorio nazionale: oggi il servizio di questi danni è stato dato al Ministero dell’Africa italiana ed anche noi deputati tante volte siamo andati a piazza del Quirinale per vedere se queste pratiche vanno avanti, e purtroppo non vanno avanti.
C’è la direzione generale per gli atti non di combattimento compiuti dalle truppe alleate: anche per questa c’è l’ufficio dell’U.R.A. che già esiste; non vi sono quindi altri impiegati da assumere. C’è la direzione generale per gli edifici di culto che sta presso il Ministero dei lavori pubblici.
Perché dunque tutti questi vari uffici, distribuiti uno qua e l’altro là, non possono essere raccolti, non possono essere coordinati e, come dicevo prima, onorevole Ministro, senza alcun bisogno di procedere a nuove assunzioni di personale? Non si tratta, torno a ripeterlo, di spendere neppure una lira di più: si tratta solo di creare dell’ordine nell’amministrazione di questa specifica branca.
In un primo momento, il lavoro da fare è, come dicevo, quello di coordinare lo svolgimento delle varie attività fino ad oggi esistenti per continuarle sotto una direzione unica, in modo che non debbano più verificarsi dei divari, in modo cioè che non debba più accadere che vi siano disposizioni che creino discordanza nel modo di inoltrare una determinata pratica cosicché i funzionari non sanno nemmeno, molte volte, come incanalare queste determinate pratiche. Se si va ai lavori pubblici è una cosa; se si va alle pensioni è un’altra cosa; se si va ai danni di guerra, è un’altra cosa ancora. Cosa ci vuole a far questo? E in un secondo tempo, poi, per varare questa legge organica che è stata promessa ci vuole l’organo, il capo, il Ministro, l’Alto Commissario che la porterà al Consiglio dei Ministri; e quando questa legge l’avremo fatta, ci vuole chi predispone le cose, perché sia data esecuzione alla legge stessa.
Dopo di ciò sorgeranno le necessità di impostazioni di bilancio, in relazione a quella che sarà la nuova legge. Ma bisogna cominciare con la buona volontà di fare e di fare sul serio, una buona volta.
Del resto, dicendo quello che ho detto, sono in buona compagnia, perché anche recentemente – qualche settimana fa, come il signor Ministro saprà – il Consiglio di Stato, in una relazione che ha presentato alla Presidenza del Consiglio sull’argomento dei danni di guerra, ha dato l’allarme contro il pericoloso frazionamento dell’intervento dello Stato per i danni di guerra. E sempre in quella relazione, signor Ministro, sta scritto che «l’impostazione unitaria dei servizi dei danni di guerra è presupposto indispensabile di una soluzione che non solo eviti disparità di trattamento, oggi da ogni parte lamentata, ma che mediante la razionale organizzazione delle spese miri non soltanto alla reintegrazione, ma a realizzare la superiore esigenza di restaurare e riattivare le attività economiche e produttive del Paese».
Perciò, se anche il Consiglio di Stato ha avuto occasione ed ha avuto ragione di osservare questa necessità di coordinamento, io mi domando perché il Governo non ha sentito lo stesso bisogno. Noi abbiamo, sì, questa affermazione generica del Presidente del Consiglio che ci ha parlato della prossima legge, che sarà fatta; ma non ci ha detto come si dovrà procedere per mettere insieme tutti questi servizi. Già fin dall’aprile, quando ho avuto occasione di parlare con l’onorevole Ministro su questo argomento, s’era detto che era imminente il riordino di tutti i servizi e il coordinamento in un unico ente, che tutti abbiamo pensato sarebbe stato un Ministero. Non preoccupiamoci se dovremo creare un Ministero o un Alto Commissariato in più! Facciamo vedere qualche cosa di concreto a tutti questi milioni di italiani, i quali aspettano che il Governo prenda veramente a cuore la soluzione, che potrà essere un risarcimento integrale per i piccoli e potrà essere un aiuto materiale per quelli meno piccoli! Facciamo vedere qualche realizzazione a tutta questa gente, la quale ha il torto di credere, perché noi abbiamo sempre fatto credere! In queste assemblee di sinistrati di guerra bisognerebbe essere presenti, signor Ministro, per vedere quanta povera gente, quanti pensionati ci sono, che hanno messo via qualche soldo per farsi la casetta di due o tre stanze e che oggi non l’hanno più e vivono ancora in baracche! Ancora non possiamo far niente, perché non si è avuto il coraggio di affrontare questo problema, che può e deve essere affrontato.
PRESIDENTE. Onorevole Fogagnolo, concluda.
FOGAGNOLO. Ho finito. Noi insistiamo perché il Governo crei l’organo che abbiamo chiesto nel nostro ordine del giorno, al quale non possiamo rinunciare. (Approvazioni).
PRESIDENTE. L’onorevole Pallastrelli ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno, del seguente tenore:
«L’Assemblea Costituente, mentre rileva con compiacimento che nelle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri si è accennato all’importante problema delle bonifiche, convinta che la sua soluzione sarà uno dei mezzi più efficaci per dare pane e lavoro al popolo italiano, per provvedere adeguatamente fin da ora alla riforma agraria e per portare un rilevante contributo al bilancio dello Stato, invita il Governo a prendere in attenta considerazione i voti espressi nel recente Congresso di San Donà di Piave e per ciò a fornire i mezzi perché, con una organizzazione autonoma, si possa dare attuazione ad un programma di lavori che contribuirà efficacemente a soddisfare al benessere delle classi lavoratrici dovunque, ma particolarmente nell’Italia meridionale e nelle isole.
«L’Assemblea inoltre invita il Governo a considerare la necessità del riesame del decreto dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio per evitare, con necessari provvedimenti, alla agricoltura ed in modo speciale alla piccola proprietà, il grave danno che deriverebbe da tale decreto».
PALLASTRELLI. Onorevoli Colleghi, molto brevemente illustrerò il mio ordine del giorno, che d’altronde credo sia abbastanza chiaro. Esso riguarda due argomenti importantissimi per l’agricoltura: il primo è quello delle bonifiche, che a San Donà di Piave, pochi giorni fa, riunì valorosi tecnici e studiosi dei problemi economici e sociali, che, dopo interessantissime discussioni, emisero voti per sollecitare il Governo a provvedere mezzi ed organi adeguati per la bonifica. Bonifica del piano, bonifica dei terreni acquitrinosi, ma bonifica intesa nel senso più lato: della montagna e del latifondo. Mezzi ed organi che dovranno servire anche a rendere la soluzione di questo problema, soluzione dei problemi sociali della terra, e perciò: istruzione dei contadini, mezzi tecnici, cooperazione, credito, mutualità.
Perché, onorevoli colleghi, dire bonifica equivale a dire il mezzo più importante per attuare la riforma agraria. Infatti, là dove la piccola proprietà trova il suo ambiente economico, essa si può diffondere e con la bonifica si possono preparare pure grandi aziende a sistema industrializzato da condurre anche con sistemi collettivi; vuol dire applicare il sistema più adatto per aumentare la produzione del nostro suolo e ancora fissare alla terra i contadini, provvedere alla disoccupazione. Di conseguenza, preparare il suolo italiano a soddisfare i nostri bisogni alimentari, a incrementare l’esportazione e perciò giovare al bilancio dello Stato.
Insomma, nelle bonifiche sta in gran parte la soluzione di quei problemi che più ci preoccupano in questo dopoguerra e che devono avviare l’Italia repubblicana e democratica al suo risorgimento economico, sociale e politico. Potrebbe voler dire ancora creare un demanio di quelle terre a latifondo, per cui si sono spesi fiumi di inchiostro e di eloquenza.
In questa Assemblea si è accennato più volte, specialmente dai colleghi di sinistra, alla necessità della riforma agraria. L’onorevole Nenni disse che la riforma agraria doveva essere fatta nel 1947 – o iniziata almeno – e aveva ragione perché molti di coloro che attendono una soluzione di questo problema, i più diseredati, i braccianti specialmente dell’Italia Meridionale, hanno bisogno che questo problema sia risolto, perché una buona volta la parola «terra ai contadini» non sia più una frase vana e perché la produzione italiana agricola, come ho già detto, possa essere incrementata a vantaggio del popolo italiano e dello Stato.
L’onorevole Einaudi, l’altro giorno, disse che solo nel 1952 l’Italia potrà soddisfare al fabbisogno della sua popolazione, ma che prima dovremo ricorrere all’estero; e purtroppo quest’anno noi dovremo ricorrervi, per l’andamento della stagione e per molte altre circostanze, per ottenere parecchi milioni di quintali di grano.
Quindi la necessità di risolvere questo problema e di dare all’onorevole Segni, Ministro dell’agricoltura, i mezzi necessari perché il problema stesso possa essere sul serio risolto.
Se noi – io non voglio citarvi dei dati – scorriamo la relazione dell’onorevole Campilli e guardiamo quanto in passato si è speso in opere pubbliche e per la disoccupazione, noi vediamo che sono centinaia di miliardi che sono andati per altre opere, spesso improduttive, anche se utili, per dare lavoro ai disoccupati, ma che oltre a non portare, insisto, nessun aumento alla produzione, non redimeranno il suolo italiano e non ci permetteranno di avviarci (come attraverso la bonifica ci potremmo avviare) alla soluzione di quei problemi che – come ho detto – i nostri contadini attendono.
Quindi, prima necessità: dare al Ministro dell’Agricoltura i mezzi necessari.
Luigi Luzzatti, che era un entusiasta delle bonifiche, diceva che in periodo di disoccupazione si ricorre a dei lavori pubblici che frodano il denaro dello Stato e rendono inutili le opere che si fanno.
Se sul serio vogliamo pensare al risorgimento della nostra Nazione, noi dobbiamo pensare che le spese più immediatamente produttive sono quelle rivolte all’agricoltura, alle bonifiche nel senso più largo della parola, ripeto, dalla bonifica del piano, a quella del monte e del latifondo. E quando si pensa alla piccola proprietà ed a certe forme di conduzione collettiva dei terreni, che io ho visto applicate anche in tempi lontani, e che nella mia Emilia e anche nell’Agro Romano, insieme ad uomini autorevoli di questa parte (Accenna alla estrema sinistra), quali i compianti Camillo Prampolini, Nullo Bandini, Dugoni e il vivente onorevole Mazzoni, ho propugnate, perché sorgessero numerose le affittanze collettive, considero che questo problema può essere risolto anche nel mezzogiorno. E forse – mi consentano i Colleghi comunisti – forse sarà attraverso al latifondo ed ai sistemi di conduzione collettiva che noi potremo dare pane e lavoro ai contadini dell’Italia meridionale, e fare qualche cosa che rappresenti per l’Italia ciò che in Russia costituisce il Kolkholz. Perché se non è possibile – credete a chi modestamente vi parla da tecnico ed economista di cose agrarie – se non è possibile, dico, trasportare da un paese all’altro dei sistemi di conduzione, perché essi hanno, come le piante, bisogno di trovare il clima adatto, credo che se voi rifletterete e studierete quanto si può fare in questo campo, troverete la soluzione del problema della conduzione della terra col sistema collettivo in questo che ho brevemente detto, e sarà questo l’avviamento a quelle forme sociali, oggi premature, ma alle quali occorre pensare, pensando anche a creare una coscienza che al gretto individualismo, agli egoismi, sostituisca la convinzione che nel vantaggio di tutti sta il bene dei singoli.
E allora, onorevole Ministro dell’agricoltura, io le rivolgo l’augurio che il suo-Ministero possa essere riorganizzato in modo da avere tutti quei servizi, centrali e periferici, adatti ed efficienti, per risolvere gli importanti problemi della terra. Tutto quanto riguarda la bonifica deve essere riunito nel suo Ministero, che dovrà, è superfluo dirlo, avvalersi dei Consorzi di bonifica e, quando occorra, degli Enti parastatali.
A San Donà di Piave si è detto di costituire una azienda autonoma della bonifica, a somiglianza dell’azienda autonoma della strada. Io non ritengo che si debba giungere a questo e penso anzi che si sia frainteso il pensiero di un illustre maestro, l’amico onorevole Serpieri, il quale credo abbia manifestata la necessità che nel Ministero dell’agricoltura fossero riuniti tutti questi servizi.
L’argomento è così attraente per me, che a questi problemi ho dedicato tutta la mia vita, che sarei tentato di parlare a lungo.
Ma non intendo, onorevoli Colleghi, abusare della vostra cortesia. Credo di avere, per questa parte e sia pure con rapidi accenni, illustrato il mio ordine del giorno. D’altra parte non è questo il momento di parlare più ampiamente del problema sociale, del dramma, come è stato detto qui, dei contadini nostri che attendono pane e lavoro; dramma che ci deve convincere della necessità di aumentare la produzione a vantaggio del consumo, a vantaggio del popolo italiano, che pure attende pane abbondante ed a buon mercato; dramma che qualche volta assume le caratteristiche di tragedia, e se sul serio vogliamo che questa tragedia o dramma arrivi a lieto fine, ciascuno di noi concordemente deve cercare di portare il suo contributo perché i problemi a cui ho accennato siano risolti al più presto possibile.
Dedichiamoci a questa opera in pace. L’onorevole Togliatti disse, a proposito del noto articolo 7 della Costituzione, che egli avrebbe votato questo articolo perché gli premeva di non turbare la pace religiosa, essendoci problemi più gravi che devono essere risolti. E l’onorevole Nenni, concludendo invece in senso contrario che egli avrebbe votato contro l’articolo 7, affermava che non poneva in discussione il problema religioso, perché a lui premeva la riforma agraria.
Questo pensiero trasportiamolo anche nel campo sociale. Non turbiamo la pace religiosa e la pace sociale, e vediamo, tutti insieme, concordi, di lavorare per la nostra agricoltura e per chi soffre ed attende giustizia.
I tecnici, coloro che vivono la vita dei campi a contatto dei contadini – ed io mi onoro di essere fra questi – sanno come questi contadini amano chi li avvicina, li educa, li istruisce e li porta ad essere operai specializzati. Essi ci benediranno, se provvederemo ai loro bisogni e nelle campagne, con la giustizia, trionferà la pace e il lavoro fecondo. (Applausi).
Ed ora, onorevoli colleghi, consentitemi di parlare della seconda parte del mio ordine del giorno.
Onorevoli colleghi, prendere la parola in una discussione di carattere finanziario è compito assai arduo per chi non ha profonda competenza di questa difficile e delicata materia. Quindi io dovrei tacere e tacerei molto volentieri, se non fossero sorte in me varie e gravi preoccupazioni dalla lettura del decreto sulla imposta straordinaria progressiva sul patrimonio e della relazione della Commissione: preoccupazioni che si aggiungono a quelle che già, in altra recente occasione, manifestai all’Assemblea e che particolarmente riguardano il fisco nel settore della agricoltura.
Premetto che non ho alcuna intenzione di fare della critica, sia pure parca e non solamente negativa, come è mia abitudine, ma di provocare, in base alle osservazioni che farò, dichiarazioni dalla cortesia dell’onorevole Ministro delle finanze; dichiarazioni che valgano a dissipare i miei dubbi e perciò a tranquillizzare me e quanti con me sono, come ho detto, preoccupati dall’esame dei precitati documenti.
Credo inoltre che non sia superfluo segnalare quelle conseguenze dannose che, a mio modesto avviso, possono prodursi con l’applicazione di questo decreto e, mi si permetta, in genere con le vigenti disposizioni tributarie nel settore agricolo.
Badate bene, onorevoli colleghi, io non ho la preoccupazione di difendere una categoria di contribuenti e perciò interessi particolari. Anzi penso e intendo, per quanto sta in me, che chi ha paghi e chi non ha, e soffre maggiormente della attuale situazione nella quale si trova il nostro Paese, sia esonerato da ulteriori sacrifici che sarebbero ingiusti e perciò anti-sociali. Sono invece esclusivamente mosso a parlare dal desiderio che la nostra agricoltura possa rapidamente risorgere per dare abbondanti prodotti per l’alimentazione del popolo italiano e per darli a prezzi convenienti; per dare occupazione a molti lavoratori nelle campagne; per poter risolvere i problemi sociali connessi alla terra, che, mi sia consentito, non si risolvono per decreto, ma con adeguata e non sempre breve preparazione, che richiede tutta una attrezzatura tecnica di istruzione e di credito che ha bisogno di mezzi finanziari. Certe frasi che oggi corrono sulla bocca di tutti, possono essere allettatrici, ma diventeranno fonti di disillusione, se non sapremo preparare adeguatamente queste riforme. Desidero ancora che si possa mantenere questa terra in condizioni di essere sempre una fonte cospicua per la finanza dello Stato e perché essa possa contribuire alla economia del Paese con la esportazione dei prodotti della agricoltura sia naturali che lavorati.
Ora, onorevole Ministro Pella e onorevoli colleghi, per chi mira a questi scopi, il decreto in discussione sembra tutt’altro che tranquillizzante e in genere non lo sembra tutto il sistema attuale tributario. Non intendo affatto, per questo accenno ai sistemi tributari in vigore, trarre occasione da un decreto per ampliare la discussione.
Ripeto però che per quanto riguarda l’agricoltura in relazione al fisco, pur avendo di mira ciò che è di vitale importanza: l’assestamento della nostra finanza e la stabilizzazione della moneta, bisogna fare in modo che gli oneri siano tali da non gravare, anche per ragioni di giustizia, sperequatamente sulla terra e in modo così esorbitante da produrre come inevitabile conseguenza il rialzo dei prezzi dei generi alimentari e da dare origine a crisi nel settore dell’agricoltura che sarebbero di grande pregiudizio all’intero Paese. Perciò occorre ricordarsi di porre dei limiti anche agli interventi della finanza locale con gli oneri da imporsi alla agricoltura. In sintesi, l’azione fiscale dovrebbe, nel settore agricolo, avere un solo indirizzo: unica la fonte, unici i criteri di tassazione.
Ma veniamo più precisamente alla imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. È fuori dubbio che, date le nostre attuali condizioni e particolarmente quelle della finanza statale, sia indispensabile trovare quei mezzi, anche drastici, per arrestarci sull’orlo dell’abisso e iniziare, sia pure lentamente e faticosamente, la via della ripresa che ci permetta anche di agire nel campo sociale, come è desiderio di tutti coloro che sono veramente democratici, perché democrazia non sia una parola vana ed abusata ma fonte di giustizia particolarmente per le classi lavoratrici.
Onorevoli colleghi, quando si parla della attuale situazione finanziaria, siamo tutti concordi nell’affermare che bisogna ridurre le spese; ma bisogna soprattutto, nel limitarci, fare solo quelle che sono produttive e aggiungo produttive quasi immediatamente quali quelle destinate alla agricoltura.
Si potrebbe, discutendo questo decreto, prendere anche occasione per fare altre considerazioni di carattere generale, ma abbrevio. Due credo tuttavia non si possano tralasciare e cioè: bisogna evitare che si diffonda la convinzione che il fisco infierisca specialmente contro quei contribuenti che non possono occultare i propri beni; e bisogna evitare inoltre che specialmente coloro che si sono arricchiti sulle sfortune della Nazione abbiano la possibilità di sfuggire alle gravi imposizioni che dovrebbero pagare. La stessa relazione La Malfa ha un accenno a questo e dice che l’attuale progetto, circa il problema mobiliare, attenua le critiche che a questo riguardo si fanno; attenua, ripeto, io, ma purtroppo non le elimina.
Onorevole Ministro, sono in errore, o questa imposta, trattandosi di un sistema contributivo straordinario che non si può ripetere se non a lunghi periodi, dovrebbe concludere e non iniziare il ciclo del risanamento finanziario e, tecnicamente, la stessa imposta non dovrebbe perciò applicarsi dopo od insieme ad altri diversi mezzi coi quali si sia stabilizzata la moneta? Mi duole di non essere d’accordo con l’onorevole La Malfa che espone il concetto contrario, cioè che con questo provvedimento si apre il ciclo per il risanamento finanziario.
L’onorevole La Malfa accenna anche, a questo proposito, al cambio della moneta che ritiene sarebbe stato necessario ma dice che non occorre parlarne ora perché si ritarderebbe l’entrata in vigore del provvedimento in corso. Onorevole La Malfa, d’accordo con lei, bisogna affrettarci, ma per la fretta non bisogna ricorrere, con mezzi incompleti, ad un sistema di prelevamento eccezionale, cioè da applicarsi a lunghissimi intervalli di tempo con mezzi inidonei. Intanto che si perfeziona questo mezzo si ricorra ad altri espedienti e ve ne possono essere di efficaci.
Non potrebbe verificarsi il caso estremo che, con la lira che scivola ogni giorno, il prelievo progettato diventasse sterile e che si verificasse che il gettito delle future rate della imposta, al momento della riscossione, fosse appena sufficiente a pagare le spese? Si badi bene, con questo interrogativo non intendo avvalorare la tesi di coloro che vorrebbero si applicasse subito la esazione totale (pare in un anno) della imposta; abbreviazione alla quale accenna anche la relazione. Attenti ai mali passi, onorevoli colleghi! Pensate al collasso che si avrebbe inevitabilmente nel mercato terriero e alle conseguenti crisi disastrose cui andrebbe incontro l’agricoltura italiana. Altro che parlare e sperare di poter fare delle riforme! Altro che sperare di incrementare la produzione! Riflettiamo, onorevoli colleghi, ai danni enormi che deriverebbero a tutti ma specialmente ai piccoli proprietari e ai consumatori; e riflettiamo anche se non si possa verificare che, per altri motivi che esporrò tra breve, sia dal punto di vista psicologico che da quello materiale, con questa imposta gravante con aliquota fortemente progressiva (peggio ancora se queste aliquote si volessero aumentare) sulla terra non si peggioreranno quelle condizioni necessarie per quelle riforme che in vario modo, ripeto, tutte le correnti politiche auspicano?
Onorevoli colleghi, che l’onere sia già grave a proposito di proposte di aumento di aliquote, è indubitabile, ma lo è ancor più di quanto forse non si rileva subito; basterà si ricordi che con questo decreto si hanno due patrimoniali: la vecchia e la nuova. Dovendosi riscattare la vecchia si avrà una somma cospicua da pagare prestissimo. Chi ad esempio avesse un patrimonio di tre milioni, al 4 per cento dovrà pagare per la primitiva imposta patrimoniale nella annata prossima ventura lire 120 mila oltre la patrimoniale straordinaria. A questo riguardo pensi l’onorevole Ministro ai piccoli proprietari, pensi a modificare e ad attenuare l’onere come da diverse parti di questa Assemblea si è invocato.
Su altri punti, onorevole Ministro, abbia pazienza, io desidero assicurazioni da lei.
Esistono o sono celermente predisponibili gli strumenti tecnici adatti perché questa imposta dia frutti veramente efficaci? Se così non fosse, non sarebbe da prendere in considerazione di circoscrivere subito il male con altre provvidenze e preparare intanto e al più presto i mezzi idonei perché la straordinaria contribuzione possa dare un frutto tale da risolvere il problema o almeno attenuarne la gravità? Io non voglio azzardare cifre, ma se fosse esatta quella cifra che si ripete insistentemente, cioè che questa imposta frutterà 300 miliardi, questo onere fiscale non si ridurrebbe ad un semplice ed insufficiente espediente di tesoreria? E allora come verrebbero compensati i disavanzi futuri, sia pure tenendo conto di possibili riduzioni di spese e aumenti delle entrate ordinarie? Pare a me, per i motivi già esposti e per altri ancora, che non si debba restringere il periodo della esazione, come vorrebbe la Commissione, e molto meno che non si debbano aumentare le aliquote, ma, d’altra parte, è pur vero che la preoccupazione che questo provvedimento si riduca ad un poco efficace espediente di tesoreria si avvalora sempre più.
Passiamo ad altri argomenti più particolari: articolo 34 della legge: ai fini della liquidazione provvisoria, data l’inesistenza di elementi tecnici di accertamento, ci si accontenta dei valori tenuti in conto per la patrimoniale ordinaria. Orbene, se non erro, tali valori, secondo dati che penso siano attendibili, ammontano complessivamente a 2.250 miliardi costituiti per 1.500 miliardi da immobili fondiari e per 750 miliardi da ogni altro valore. Se si tien conto della esenzione generale stabilita dalla legge e della quota esente, individualmente accordata, i valori effettivamente tassabili parrebbe che difficilmente dovessero raggiungere, nella prima applicazione, l’imponibile complessivo di 1.000 miliardi. Prevedendo anche una aliquota media del 9 per cento (già molto alta perché corrisponde a patrimoni di 22 milioni tassabili per 20), il gettito complessivo non potrebbe superare i 90 miliardi e tenendo conto delle possibili dilazioni, sia pure conseguenti al pagamento di interessi, il gettito non dovrebbe essere, per un triennio, superiore ai 30 miliardi. Ma se questo fosse anche vero, e ci correggerà, io me lo auguro, l’onorevole Ministro, mi si potrebbe obiettare che si potrà far leva sui frutti del definitivo conguaglio. (Commenti).
Onorevoli colleghi, a questo riguardo vi sono altre gravi preoccupazioni perché, almeno pare, non esistono gli strumenti tecnici adatti a conferire alla impostazione del tributo quel carattere di automaticità che sarebbe tanto più necessario quanto più urgente è il realizzo del gettito e più indispensabile la conoscenza di una base sicura di imposizione che assicuri la utilità del tributo. Ora la legge lascia adito a molte ipotesi e c’è chi vede tutto nero e chi roseo. (Approvazioni). La legge, onorevoli colleghi, si limita a constatare che lo strumento misuratore dei valori imponibili non c’è e dice: premesso che i valori mobiliari sono facilmente occultabili e che gli estimi immobiliari sono irreali e sperequatissimi; considerato che l’accertamento diretto dei valori mobiliari è irrealizzabile e l’aggiornamento e la perequazione degli estimi immobiliari richiederebbero molte spese e molto tempo di lavoro (con risultato nullo, perché nel frattempo varierebbe sia la consistenza e qualità delle cose stimate e sia il valore intrinseco dell’unità di misura); ritenuto che un qualche sistema di conguaglio deve essere pure escogitato, si stabilisce che i valori mobiliari, fermo restando l’obbligo della dichiarazione (dichiarazione che forse pochi faranno), e salvo l’eccezionale ricorso, secondo l’articolo 26, all’accertamento preventivo, l’imponibile è determinato mediante l’aggiunta di un 12 per cento al valore dei cespiti direttamente accertati. Questo pare a me che aggravi la sperequazione fra coloro che possono e coloro che non possono occultare i loro beni con ingiusto vantaggio dei primi e svantaggio dei secondi e ciò anche e specialmente per l’agricoltura. (Approvazioni). Si stabilisce poi che la Commissione censuaria centrale per i cespiti immobiliari, adotterà una tabella di coefficienti da applicare al reddito dominicale per i terreni e alla effettiva consistenza per i fabbricati. I primi da distinguersi per zone economico-agrarie con riguardo alla qualità di coltura e alla classe di produttività e discriminando i secondi per categoria e per classe, sentite le osservazioni e proposte delle Commissioni censuarie comunali e provinciali e salvi i ricorsi degli interessati. Credo che tutti, ma specialmente chi ha un po’ di esperienza in materia, debba preoccuparsi del tempo occorrente perché entri in funzione questo complesso sistema, né la legge toglie questa preoccupazione. Certo il tempo necessario non sarà breve. Basta pensare che le unità tipo del catasto edilizio sono ben 200 mila e che una varietà infinitamente più grande offrono i terreni. Per tutto questo continuerà a sussistere, anche se attenuata, la sperequazione degli estimi e più ancora la non corrispondenza dei classamenti alla attualità; e se nelle more la inflazione conseguente al ritardo del gettito aumenterà, si avranno altri danni che voi ben comprendete. Certo pare a me che si porterebbe un grave colpo alla commerciabilità degli immobili e si reciderebbe alla radice la base operativa del credito. (Approvazioni e commenti).
D’accordo, mi si potrebbe obiettare, sulle Vostre preoccupazioni ma: quid agendum? Nell’attesa di applicare questo provvedimento in base alle premesse più sopra ricordate di avere almeno pronti gli strumenti adatti per questo straordinario tributo, non si potrebbe intanto indirizzare le cure degli uffici a migliorare il gettito delle imposte esistenti, magari per alcuni modificandone la struttura? Non si potrebbe giovarci del rendere lievemente progressiva l’imposta ordinaria sul patrimonio? Mi pare che, senza nuovi accertamenti ed operando solo sulla aliquota che potrebbe essere stabilita a scaglioni dall’l al 4 per cento, si potrebbe realizzare un beneficio immediato notevole senza turbamenti, senza dispendi e senza pregiudizio di applicare al più presto la straordinaria con congegni adatti.
Ma io non ho competenze specifiche in materia e perciò non ho fatto che dei semplici accenni interrogativi, lieto se si dissiperanno le mie preoccupazioni. Tengo piuttosto se, onorevoli colleghi, non sono importuno…
Voci. No, no!
PALLASTRELLI. Tengo, ripeto, come tecnico della economia agraria, a far considerare che se la legge non verrà modificata, per parecchio tempo almeno, cioè fino ai definitivi accertamenti, gli immobili diverranno incommerciabili e il credito sarà completamente paralizzato e sarà specialmente dannosa la paralisi del credito agrario di miglioramento e di ricostruzione. Infatti per l’articolo 50 della legge il credito dello Stato, per l’intero ammontare del tributo, ha privilegio speciale su tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data di pubblicazione della legge stessa, ossia 29 marzo 1947, salvi i diritti dei terzi precostituiti. Bisogna quindi riflettere che: 1°) la inesistenza di tabelle di cui parla l’articolo 9 rende impossibile qualsiasi calcolo relativo alla futura valutazione fiscale del cespite ed all’incidenza della imposta privilegiata; 2°) che per gli articoli 3, 5, 6, 26 e 60 della legge il più modesto cespite immobiliare può essere gravato dal privilegio fiscale per centinaia di milioni e ciò in dipendenza di attività mobiliari vere o presunte o in dipendenza di beni di qualsiasi natura, fittiziamente cumulabili senza che l’aspirante compratore o l’Istituto di credito richiesto di sovvenzione abbia la più lontana possibilità di accertamento e quindi di cautela. Ecco perciò che ne deriva fatalmente la incertezza del commercio immobiliare e del credito. (Approvazioni). Speriamo che all’articolo 60, oltre all’aggiunta proposta dalla Commissione, altri perfezionamenti si possano apportare per evitare quanto io ho detto. Speriamo anche che a proposito degli Enti collettivi, non si tocchino gli istituti di credito fondiario, le Casse di risparmio, i Monti di pietà (gli Enti religiosi sono fuori discussione per il concordato); se così non fosse questo accenno basta per comprendere le disastrose conseguenze prevedibili: primo il danno alla stessa finanza, per la quale la paralisi commerciale e creditizia suesposta renderà impossibile anche la riscossione di quel tributo che il privilegio dovrebbe cautelare. La mancanza di scambi e di credito, infatti, renderà necessaria una valanga di contemporanee espropriazioni e perciò il credito fiscale subirà notevolissime falcidie. Ciò a prescindere dal mancato incasso di tutti gli oneri fiscali ai quali è condizionato il trasferimento degli immobili e la esecuzione delle operazioni di credito. La situazione, sia detto in parentesi, è inasprita dall’articolo 3, che in sostanza considera avvenuti in frode alla legge i trasferimenti a titolo gratuito fatti ai discendenti dopo il 10 giugno 1940, cioè in epoca in cui non si poteva prevedere l’eventualità della imposizione straordinaria. Non le pare, onorevole Ministro, che sia il caso di rivedere queste norme per non turbare i rapporti familiari?
Si osserverà che la legge offre il rimedio del riscatto della imposta anche limitato a singoli cespiti. Ricordiamoci anzitutto che per l’articolo 53 della legge il riscatto è subordinato al consenso dell’Amministrazione. Ora, per elementare prudenza e per cautela contro facili eventuali accuse di favoritismo o di corruzione, gli uffici non accorderanno il riscatto mancando qualsiasi elemento che possa far calcolare, sia pure approssimativamente, l’ammontare complessivo dell’imposta ancora da accertare in via definitiva. Mi si permetta di azzardare una proposta, visto che la mancanza di idonei strumenti di immediata valutazione costringerebbe ad attese ed a ripieghi pericolosi; non si potrebbe rinunciare al sistema macchinoso escogitato e attenersi ai valori accertati alla patrimoniale ordinaria, dopo l’aumento apportato? Tanto più che dalle stesse disposizioni vigenti non è esclusa la possibilità per il fisco di rivedere la base imponibile quando si discosti dal valore effettivo del patrimonio. Così agendo il fisco, il contribuente, gli aspiranti compratori e gli Istituti di credito potrebbero vedere attenuate le loro preoccupazioni anche se non eliminate, dato il carattere personale della imposta e la possibile incidenza del credito del fisco sugli immobili anche se conseguenti alla valutazione del patrimonio mobiliare del contribuente. In tutti i modi si otterrebbe il risultato di rendere più rapidi gli accertamenti e le relative riscossioni.
Ma se proprio non si potesse, per ragioni che a me sfuggono, rinunciare al sistema, mi si permetta, complesso, escogitato di accertamento, non sarebbe consigliabile porre un limite al privilegio fiscale o ragguagliandolo in quantità ad un coefficiente del reddito imponibile o rendendo obbligatorio per la finanza, sia pure con particolari cautele, il riscatto parziale? Ho accennato più sopra alla utilità, come rimedio all’eventuale ritardo della applicazione della imposta straordinaria per meglio congegnarla, del riordino delle imposte esistenti creando nuove fonti di reddito in altri cespiti attivi e a questo riguardo mi vien fatto di pensare, ad esempio, alle non poche possibilità di successo che potrebbe avere una grande operazione finanziaria appoggiata alla patrimoniale ordinaria resa progressiva e al gettito crescente e notevolmente migliorabile del monopolio dei tabacchi. Settore nel quale penso possano esistere possibilità per riprendere l’esportazione ed anche per preparare la tabacchicoltura italiana a produrre quel tipo di tabacco orientale più adatto alla esportazione.
Onorevoli colleghi, ho fatto questo accenno perché è ovvio che la nostra finanza potrà migliorare veramente oltre che col contenere le spese e con il gettito crescente delle imposte sia a mezzo di imposizioni ordinarie che di quelle straordinarie, con aiuti creditizi che possano veramente servire a mettere in efficienza la nostra capacità produttiva, purtroppo in gran parte, anche nel settore agricolo, allo stato potenziale; quella capacità produttiva che, resa dinamica, potrà sul serio permetterci di risolvere il problema della alimentazione, delle invocate e bene tecnicamente preparate riforme, alle quali ho già accennato. Ma questo è, come mi insegnate, problema squisitamente politico e su questo voi, onorevoli colleghi, ben sapete ciò che è necessario fare. (Applausi).
Onorevoli colleghi, per il bene del Paese, per l’avvenire del popolo italiano, perché libertà e democrazia non siano parole vane, accingiamoci, tutti uniti, a quest’opera grandiosa. Tutti i cittadini, come dice la relazione, devono ancora tutti considerarsi come in guerra e tutti perciò uniti. Non perdiamo più tempo; di fronte a noi stanno due vie: quella di una precipitosa rovina e quella, sia pure faticosa, della sicura ascesa. Incamminiamoci per quest’ultima per dare, sotto l’egida della nuova Repubblica italiana: pane, lavoro e benessere, morale e materiale, al popolo che attende. (Applausi vivissimi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Gli onorevoli Micheli, Marconi, Valenti e Coppi Alessandro, hanno presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente,
ritenendo che, pure negli indispensabili aggravi determinati dalle nuove leggi si debba tener sempre presente la necessità di agevolare la piccola proprietà già esistente e particolarmente quella rurale e montana,
invita il Governo:
- a) a rendere praticamente applicabile l’esenzione di terreni e fabbricati situati oltre i 700 metri;
- b) a sistemare con criterio di doverosa comprensione i contributi unificati;
- c) ad esentare le quote minime dalla imposta straordinaria progressiva del patrimonio;
- d) ad evitare che concessioni particolari (ad esempio indennità per danni di guerra determinati da azioni nazi-fasciste) siano rese inapplicabili per tutti coloro che non possono dimostrare di essere nullatenenti perché posseggono la casa distrutta».
L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerlo.
MICHELI. Il lieve imbarazzo che mi procura il dover anticipare le parole che intendevo dire per svolgere il mio ordine del giorno, è eliminato in gran parte dal fatto che il collega Pallastrelli ha egli pure accennato a quello che doveva essere l’argomento principale del mio breve discorso. Da ormai quarant’anni in questa Camera si è alzata sempre la mia voce in difesa della piccola proprietà e non solamente a favore di quella da creare con lo spezzettamento del latifondo o attraverso altre riforme agrarie, perché mi è sempre sembrato un controsenso che il legislatore, il quale si affatica per trovar modo di creare la proprietà piccola, non si preoccupi ugualmente di mantenere quella che già è in atto, inquantochè nella maggior parte, anzi direi in tutte le regioni d’Italia, una gran parte della proprietà è piccola e limitata. Questo particolarmente nelle zone montuose che sono i due terzi dell’Italia e dove è più forte e più vivace l’attaccamento alla terra, per modo che la gente la quale è emigrata in lontane terre, dopo decenni riesce a fare lo sforzo ultimo per acquistare un modesto terreno e la casetta nel suo paese di origine, dove finire i suoi giorni. E quando io fui nel 1920-21 Ministro dell’agricoltura – oramai il ricordo si perde nella notte dei tempi – non pensai tanto a dar vita ad un progetto concreto per lo spezzettamento del latifondo siciliano, che doveva essere il primo esperimento per riforme più ardite, ma volli particolarmente cercare di eliminare alcuni aggravi fiscali i quali nuocevano grandemente alla piccola proprietà. E questo feci particolarmente in base ad un’inchiesta che io ed il mio antecessore onorevole Raineri ordinammo sulla piccola proprietà rurale e montana. Ebbi anzi l’onore di pubblicarne le conclusioni in due volumi che, anche oggi, fanno testo in materia. Principale constatazione era che la piccola proprietà, specialmente quella montana, era minacciata, e, per non scomparire, doveva essere alleviata da non pochi aggravi fiscali.
Il che fu poi confermato largamente da altri studi, fatti posteriormente con criterio di vera e propria rilevazione scientifica, sullo spopolamento delle valli montane.
Peccato che in quei molti volumi dedicati alle valli alpine, si fossero dimenticati completamente gli Appennini, nelle cui zone il fenomeno dell’emigrazione era altrettanto preoccupante. Non c’è bisogno che io dichiari come non intenda di porre ostacoli o remore all’opera del Governo nel cercare di ristabilire e di riorganizzare le finanze dello Stato. Credo che sia dovere di ogni cittadino di coadiuvare quest’opera, e tanto più di ogni deputato, particolarmente di coloro che avendo fiducia nel Governo si apprestano, attraverso il voto, a dimostrarlo.
Ma se ogni cittadino deve fare i propri sacrifici volenterosamente, essi debbono essere coordinati ed organizzati in guisa che il sacrificio di nessuna categoria di essi sia controproducente, in modo che lo Stato invece di averne solo un vantaggio immediato pecuniario, si trovi domani di fronte a situazioni gravi e difficili produttrici di nuove spese.
Quindi io avrei atteso a discutere di questa parte particolare, se alla Costituente si fossero presentate in discussione di Assemblea le leggi che si riferiscono alle due imposte patrimoniali. Ma siccome questo non è certo e nel timore che tutto si debba ridurre alle discussioni già avvenute in seno alla Commissione di Finanza – alla quale io non mi onoro di appartenere – ho ritenuto opportuno presentare questo ordine del giorno, per poter dire il mio pensiero in questo argomento. Ed a tale riguardo, io non ho che da unirmi alle affermazioni che sono già contenute nei due ordini del giorno presentati dai colleghi Scotti Alessandro e Pallastrelli, dell’ultimo dei quali abbiamo sentite, or ora, le lucide e precise argomentazioni.
Io debbo invece cercare di completare quanto ha detto, nella sua accurata e vivace esposizione, l’onorevole Crispo, in appoggio al suo ordine del giorno col quale afferma che l’applicazione del decreto legislativo 29 marzo 1947, sull’imposta straordinaria progressiva del patrimonio, colpendo, fino all’espropriazione, la proprietà edilizia e rurale, a danno dei meno abbienti, reca specialmente gravi pregiudizi all’economia meridionale.
Come dissi, io non contesto affatto, anzi sono perfettamente d’accordo in questa affermazione, ma io credo che sia necessario e doveroso, perché il panorama che si presenta di fronte al Governo sia completo, avvertire che il pregiudizio di questa legge non è purtroppo solo limitato alla sola parte del mezzogiorno. I colleghi Mastino Pietro, Lussu, Abozzi, ed anche Veroni, che si è unito ai sardi per spirito solidale, hanno aggiunto, nell’altro ordine del giorno loro, che effettivamente esso colpisce l’Italia centro meridionale e le isole. (Interruzione dell’onorevole Veroni). Non nego che esso colpisca Velletri e il Lazio che appartengono all’Italia centro meridionale. Ad ogni modo, il pregiudizio è uguale per tutta Italia, purtroppo, senza soverchie eccezioni. Può darsi che la particolare situazione nella quale si trovano le terre del mezzogiorno e quelle delle isole rendano più acuto e disastroso questo aggravio, ma non mancano nell’Italia settentrionale i territori che si trovano presso a poco nelle medesime condizioni.
Io non intendo qui di aprire una gara dolorosa per sapere chi abbia più o meno sofferto in questa deprecabile situazione, ma devo solo ricordare che tutte le volte che si sono proposte particolari leggi per il mezzogiorno, nell’ultimo quarantennio del Parlamento Italiano, un gruppo di deputati, capitanati dall’onorevole Luchino Dal Verme, del quale gruppo io, giovanissimo, facevo da segretario (trovo ancora qui qualcuno presente, come gli onorevoli Ruini e Pallastrelli), ne chiedeva l’estensione dei benefici anche a quei territori delle Alpi e degli Appennini, i quali per la loro altitudine, per la mancanza di comunicazioni, per la deficienza di tutti i servizi necessari alla vita civile, si trovavano nelle condizioni stesse che tanto opportunamente il legislatore voleva eliminare nel mezzogiorno.
Cosa direbbero i miei colleghi, che mi ascoltano con tanta cortese attenzione, se io dicessi loro che, nonostante la tenace opera di quarant’anni, di uno che è stato anche qualche tempo Ministro dei lavori pubblici, nella provincia di Parma vi sono ancora due comuni isolati, Solignano e Valmozzola, perché la famosa legge sull’allacciamento dei comuni isolati non è riuscita ancora a togliere quest’ultimo ricordo di altri tempi?
VERONI. Se sapesse da noi!
MICHELI. Da voi la sistemazione è più facile; chi è più vicino al sole si scalda più facilmente. Certo è che non si riesce a comprendere come nell’alta Italia, in una provincia come Parma, una delle più progredite e produttive, si trovino ancora insuperabili situazioni del tempo passato!
Che cosa direbbero i colleghi, se io ricordassi loro che, ad esempio, delle strade di serie di cui la benefica legge del Baccarini del 1881, ordinava la costruzione, noi ne abbiamo ancora quattro o cinque da terminare e non siamo riusciti, con tutti i nostri sforzi, che a farne cominciare qualcuna? La Borgotaro-Bardi, ad esempio, e la Borgotaro-Pontremoli. Così abbiamo anche un’altra antica questione riguardante un importantissimo valico appenninico che accorcerà di 30 chilometri il percorso dalI’Aurelia a Milano; eppure queste strade si attardano ancora lungo le nostre pazienti valli e non giungono mai a termine. La strada di serie numero 161, che interessa quattro provincie – Parma, Reggio, Massa e La Spezia – è quella per terminare la quale invano combattiamo da quarant’anni!
Non si riescono a spingere innanzi queste pratiche, perché trovano ostacolo in quella che è la morta gora della burocrazia centrale, per cui noi ci troviamo ancora nelle condizioni di un tempo. (Approvazioni). Ecco perché lassù si attende la Regione. Quelle popolazioni sperano che nuovi organismi, più vicini e comprensivi dei bisogni del luogo, riescano finalmente a dare alle nostre valli quelle comodità insostituibili e necessarie che l’organizzazione centralistica dello Stato italiano ci ha lasciato finora mancare. I valichi del Bretello, del Cirone, del Lagastrello, di Praderena, delle Forbici solcheranno in modo meraviglioso il nostro Appennino che la Regione sistemerà facilmente con grande vantaggio della Nazione.
Ho fatto questo preambolo per esprimere un sentimento che proviene dalla mia coscienza turbata, perché, come in tante altre occasioni, anche oggi ha dovuto constatare questo stato di fatto.
Io debbo ora esaminare brevissimamente i quattro punti (Commenti) e vi potrà confortare la mia voce, che dopo tanto lungo silenzio parrà fioca, anche se qualche spiacevole constatazione ha dovuto fare per dire una parola in difesa della mia terra e delle belle e modeste valli che la formano, le quali hanno bisogno di difensori in questa sede, grati essi per loro dell’attenzione con cui avete seguito la difesa dei loro interessi, e delle approvazioni con cui avete accolto le mie parole.
Accennerò brevissimamente ai quattro punti diversi, ma fra loro collegati e tutti nell’interesse della piccola proprietà rurale e montana. Il primo punto si riferisce all’imposta sul patrimonio. Ora, l’imposta straordinaria progressiva colpisce tutti, senza distinzione, sino a 100 lire di reddito, ma cosa sono oggi cento lire? Invece l’imposta proporzionale elimina le quote minori sino a tre milioni.
Non dico che 3 milioni siano oggi uno sproposito, ma non sono nemmeno pochi, ed è certo un minore sacrificio per chi ha la possibilità di enunciare nella sua denuncia tre milioni. Mentre noi, con la tassa proporzionale siamo partiti da tre milioni, con le altre tasse non c’è che una esenzione insensibile, cosicché in molti comuni, anche per le piccole casette, modestissimi proprietari che altro non hanno si sono visti arrivare cartelle con cifre per essi certo assai esagerate, e molti mi hanno chiesto spiegazioni, e qualcuno me la ha mandata perché provveda io a pagargliela (Si ride).
Ora, a questa gente io ho risposto: fate uno sforzo, pagate la prima rata, pagate la seconda, e per le altre poi vedremo, ne parleremo al Governo. Io ne ho parlato e scritto all’onorevole Campilli prima e all’onorevole Einaudi dopo: mi hanno dato delle buone parole, ma non sono riuscito ancora ad avere una risposta, concreta. Si vede che è troppo difficile per loro favorirmela come io desidero. Mi auguro che in questa sede la difficoltà sia minore. Ad ogni modo vediamo che cosa succederà. O che ci troveremo di fronte ad una quantità di quote inesigibili, oppure dovremo fare delle espropriazioni a migliaia, perché molta di questa piccola gente non avrà la possibilità di pagare. E così poco per volta la piccola proprietà, attraverso a questi aggravi verrà schiacciata ed eliminata. Questo era il primo e principale concetto del mio ordine del giorno. Mi auguro che le osservazioni, fondate sulla pratica, esposte da me e da tanti altri colleghi possano essere tenute presenti ed ottenere almeno una conveniente e larga rateazione.
Restando pur sempre nei limiti della piccola proprietà, ci si presenta come secondo punto quello dei contributi unificati. Ora nessuno contesta che si debba provvedere all’assicurazione dei lavoratori per far loro avere le prestazioni sociali, ma è il sistema di accertamento e dei lavoratori e dei contributi che non va.
Da una parte, con sommario giudizio, il lavoratore viene iscritto negli elenchi comunali in una delle tante categorie e con questo è senz’altro assicurato per tutto l’anno agrario indipendentemente da chi pagherà. Dall’altra si impongono i contributi sulla base di un presunto impiego di mano d’opera per ettaro e coltura e per la forma delle conduzioni. Il che dà luogo a troppe sorprese.
Il piccolo proprietario o affittuario che coltiva in proprio un modesto appezzamento di terra, senza aver bisogno di assumere mano d’opera, trova sulla cartella dell’esattore quella tal voce «contributi unificati» e naturalmente non può rendersi ragione perché deve pagarli. Non di rado è addirittura colpito come conduttore in economia; di regola poi gli si impongono i contributi per le cosidette giornate di punta che, in virtù di presunzione su presunzione, si dice che fa eseguire anche quando, come avviene nella maggioranza dei casi, può largamente provvedervi con l’opera propria e con quella della sua famiglia.
Qualche attenuazione è stata introdotta per questo titolo, ma l’ingiustizia di un contributo non dovuto permane di frequente.
Per i mezzadri, un podere paga una cifra, un altro podere che ha le stesse caratteristiche, la stessa estensione, le stesse colture e bestiame ne paga un’altra anche molto diversa.
Si risponde che ciò dipende dal numero dei membri della famiglia. Ma, se eguale è la quantità di lavoro perché eguali sono gli altri estremi, come si possono giustificare le disuguaglianze degli oneri?
La montagna aveva avuto l’esonero. Lo si è tolto. Le ragioni che lo avevano consigliato e che lo fanno ora reclamare sono sempre le stesse.
La montagna è povera e deve essere aiutata cogli sgravi. Ma, tornando al sistema generale le sperequazioni non si contano. Il servizio di accertamento applica i contributi sulla base di dati acclarati nel 1940. Risultato: taluno, e non è caso isolato, l’ha fatta franca allora e continua ad essere esente dal contributo; moltissimi poi pagano per forme di conduzione e per colture che sono completamente modificate.
Risultato finale è che si riscuotono contributi solo per i due terzi delle giornate risultanti dagli elenchi dei lavoratori e che per colmare il deficit si finisce per colpire ancora quelli che hanno già fatto il loro dovere.
Un altro dato per chiudere la partita. I soli servizi di accertamento e di riscossione di questi contributi costano il 22 per cento di ciò che viene pagato. Un altro 30 per cento costano, ad esempio, i servizi amministrativi dell’assicurazione malattia. Domandiamo cosa va a beneficio del lavoratore di tutto quello che si paga?
È tempo ormai che si riveda a fondo questa materia, perché il crescere continuo degli oneri, le ingiustizie, le sperequazioni, i dispendi inutili determinano ogni giorno gravi malcontenti e risentimenti a scapito degli stessi fini che si vogliono raggiungere: quelli delle assicurazioni sociali, per cui anche i lavoratori hanno a loro volta motivo di dolersene.
E vengo al terzo punto del mio ordine del giorno: l’esenzione già antecedentemente concessa per le imposte fondiarie e di reddito agrario per i terreni montani non inferiori ai settecento metri, col regio decreto legge 16 giugno 1942, n. 1063. Abrogata nel 1945, fu ristabilita, dopo tutta una vivace campagna alla quale io presi viva parte, col decreto legislativo Presidenziale 27 giugno 1946, n. 98, completato poi coll’altro del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12.
La gente lassù cominciò a respirare quando si seppe la buona novella. Ma i decreti sono decreti, ma ancora più fanno le circolari. Quella del 10 ottobre 1946, n. 3200, cominciava a mettere a carico degli interessati la domanda disponendo che, qualora non risultasse agli uffici distrettuali delle imposte che tutto il territorio comunale fosse non inferiore ai settecento metri, si doveva «lasciare alle cure dei singoli interessati di chiedere l’esenzione, dimostrandone il diritto». Come se agli uffici predetti non sieno affiancati quelli del Catasto, attraverso i quali la situazione dell’altitudine di una località non risultasse ampiamente! Come questo non bastasse ecco l’ultima circolare del 5 aprile 1947, n. 59770, colla quale si stabilisce che i contribuenti dovranno documentare le loro istanze «mediante una carta topografica dell’Istituto geografic, militare (in scala del 1:25.000 o 1:50.000) nella quale sieno individuate le particelle stesse», ovvero mediante una dichiarazione di un perito o di un geometra. È consentito anche di fare la domanda per tutti dai comuni, ma questi se ne dispensano per evitare spese ed anche perché non intendono di rinunciare domani alle sovrimposte, che sono il reddito unico dei loro magri bilanci. Qualcuno teme che, esonerati i tributi dello Stato, non si vogliano più pagare gli altri, il che non è mai stato chiesto da alcuno.
Ma praticamente, dove vanno i nostri piccoli proprietari di alta montagna a trovare le carte dell’Istituto geografico militare, che difficilmente si trovano in qualche libreria di città, ritornate a farsi vedere dopo le severe proibizioni del periodo bellico? Ma né in quelle del 50 mila né nelle altre del 25 mila (che non sono state compilate per tutte le località) si trovano segnate le particelle, e quindi sono a questo effetto inservibili nei terreni a estensioni limitate. Non resta, quindi, che rivolgersi al professionista, che ordinariamente deve andare sopra luogo e si fa pagare secondo i tempi che corrono e le distanze da percorrere. Con questo accorgimento nel maggior numero dei casi l’esenzione resta scritta sulla carta.
È evidente che anche questo sistema non può assolutamente andare. Quanto il legislatore concede, deve essere concesso anche dagli organi di esecuzione. Diversamente siamo di fronte ad una burla.
Ed ora poche parole per l’ultimo punto. II provvedimento legislativo 22 ottobre 1946, n. 226, da tempo da me invocato, e che potei appoggiare allora in Consiglio dei Ministri, considerava come fatto di guerra, ai fini del risarcimento anche «i rastrellamenti, le azioni di rappresaglia, e saccheggi, ecc.». Il che consentiva che finalmente l’articolo secondo della legge 26 ottobre 1940 n. 1543, si estendesse a tutte le distruzioni, gli incendi, le rapine che i nazi-fascisti avevano fatto in tante parti d’Italia, ma particolarmente nelle nostre montagne che erano state per lunghissimo tempo teatro della lotta formidabile dei nostri partigiani, contro i quali il nemico adoperava il ferro ed il fuoco. Così si accese il cuore alla speranza a tanti disastrati. Ma ecco che un bel giorno a tarpare le ali alle Intendenze di Finanza, sempre bene intenzionate, arriva la solita circolare da Roma, la quale esige che le domande di risarcimento debbano essere accompagnate dal certificato di nullatenenza. Lassù nessuno è povero, e nessuno tale può essere dichiarato, perché tutti, piccola terra o piccola casa, la posseggono. E chi ebbe la casa distrutta dai tedeschi in catasto ne figura ancora proprietario e nulla così ottiene.
Così anche in questi casi la buona volontà del legislatore è stata frustrata dalla solita mania della documentazione!
Praticamente, quindi, anche questa concessione si è ridotta a poco o a niente. In questi casi allora è meglio fare la faccia feroce. Come fa, e farà il nostro nuovo ministro Einaudi, e dire: «Signori, non si può». E quando si sa che manca la possibilità, la gente finisce per mettersi l’animo in pace. Dolorosamente, potrei citare altro e dimostrare che la burocrazia trova il modo, attraverso circolari troppo sapienti, di far sì che non si possano applicare quelle disposizioni, che faticosamente si ottengono.
Ad ogni modo non è lecito né consigliabile, qualunque siano le condizioni dello Stato, dare con una mano e togliere coll’altra!
Ora, questo è il concetto informatore del mio ordine del giorno. Se avessi parlato nel pomeriggio, come dovevo, avrei potuto dire qualche cosa di più preciso, così ho dovuto improvvisare sopra alcuna note incomplete, ma la materia è così connessa all’affettuosa consuetudine che ho col popolo delle mie montagne, che sono certo di aver dimenticato poco, e forse, improvvisando in questo modo, ho messo nelle mie parole quel calore e quella convinzione che è riuscita a far comprendere meglio ai colleghi quale sia la gravità della nostra situazione. (Approvazioni).
Io al banco del Governo vedo due illustri uomini, che apprezzano senza dubbio queste cose: l’onorevole Segni le conosce meglio di me, senza dubbio, in quanto che esse hanno luogo anche nella sua Sardegna, dove la piccola proprietà rurale e montana è numerosissima, e prevalente. E quindi egli si farà eco delle mie parole. E il professore Del Vecchio, che, pure venendo al Governo dal vastissimo panorama della grande economia, saprà certamente che accanto ai grandi numeri ci sono anche i piccoli, e che i primi si formano anche mettendo insieme i secondi. I governanti, nei quali abbiamo piena fiducia, debbono cercare che lo Stato, nella sua ricostruzione lungimirante non dimentichi la grande forza che può venire ad esso dalla solidarietà spirituale dell’umile lavoratore, che vuole soprattutto mantenere integra ancora la sua piccola proprietà e si sforza con ogni sacrificio, come hanno fatto i suoi avi, per tramandare ai figli il piccolo predio e la modesta casetta, nella quale chiuderà sereno la sua vita, domani, dopo un’esistenza di lavoro, e di fatiche, magnifico esempio di mirabili virtù civiche! (Applausi al centro –Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Lombardi Riccardo. Ne ha facoltà.
LOMBARDI RICCARDO. Onorevoli colleghi, io avrei volentieri rinunciato a parlare dopo che, a nome del mio Gruppo, aveva già parlato l’onorevole Foa, il quale aveva espresso interamente anche il mio pensiero, se nel corso della discussione non fossero intervenute le dichiarazioni dell’onorevole Einaudi e non vi fosse stato l’intervento dell’onorevole Nitti, che ha sottolineato a suo modo un accenno dell’onorevole Corbino.
L’onorevole Nitti ha rifatto una cronaca del modo come si è svolta questa crisi, cronaca che devo dichiarare, non dico «mendace», perché c’è un obbligo elementare di cortesia, ma inesatta e tendenziosa.
L’onorevole Nitti ha detto che, quando egli si è accinto a formare il suo Ministero, voleva fare un Ministero di larga concentrazione nazionale, una specie di Ministero di unione nazionale, che più o meno includesse uomini di tutti i settori.
Questo non è vero; perché quando l’onorevole Nitti assunse l’incarico ed iniziò le trattative, c’era stata non soltanto la presa di posizione, da questa parte, contraria ad un governo di «unione sacra», ma c’era stata anche la dichiarazione dell’onorevole Corbino, la dichiarazione del Gruppo liberale, il quale aveva giustamente negato la sua collaborazione ad un governo che includesse indiscriminatamente, nella confusione e nella indecisione, tutte le correnti dell’Assemblea.
Quindi, allorché l’onorevole Nitti iniziò la sua fatica, egli aveva un compito limitato. Poteva fare un governo che andasse, tutto al più, dalla democrazia cristiana al partito comunista, ma non un governo di unione nazionale.
E questa limitazione aveva il suo valore, e appunto perché c’era questa limitazione, a questa formula aderivamo anche noi. Noi l’avevamo accettata.
Ma l’onorevole Nitti ha una curiosa forma mentis, la quale gli vieta in modo assoluto la comprensione di quello che è l’Italia del post-fascismo.
A me spiace assai di dover parlare in modo sgradevole dell’onorevole Nitti, non dico con scarso rispetto, perché egli sa quanto gli sia devoto; ma l’onorevole Nitti è uomo il quale si è inibita la comprensione di ciò che è nato dopo il fascismo. È uomo il quale vive nella contemplazione del prefascismo, durante il quale, non i partiti, ma le clientele dominavano; i partiti moderni, grandi o piccoli che essi siano, egli non li comprende. Io non so se li disprezzi, ma non li comprende.
Ed è per questo che egli ha parlato con tanta amarezza, che è forse comprensibile, di un certo numero di partiti (fra i quali il mio), che gli avrebbero reso impossibile la soluzione quale egli auspicava, partiti che egli ha qualificato come formazioni precarie, dirette soltanto ad ottenere Ministeri e Sottosegretariati.
L’onorevole Nitti (mi dispiace che non sia presente) sa che questo non è vero. Egli sa che la collaborazione nostra non gli fu negata per un calcalo di influenze, ma per una ragione politica che noi abbiamo esposto pubblicamente, e che è la stessa per la quale abbiamo negato la nostra collaborazione, come la negheremo, al Governo dell’onorevole De Gasperi.
È noto che ormai da un anno in questa Assemblea vi è un’opposizione di sinistra, e che noi abbiamo sempre domandato una omogeneità di indirizzo nei Dicasteri economici. Questa posizione doveva esser fatta valere contro l’onorevole Nitti per una ragione di più, perché noi potevamo bensì ammettere che un uomo del prefascismo, ma antifascista sicuro, come l’onorevole Nitti, presiedesse il nuovo Governo: ma che cosa tentava di passare sotto il suo nome?
Il mio amico Nenni ha molte volte ricordato un precetto di Costantino Lazzari: «Quando vuoi regolare la tua azione, vedi come si comporta la stampa reazionaria e fa il contrario». Orbene, tutta la stampa reazionaria ha appoggiato l’onorevole Nitti. Questo ci ha messo in diffidenza, perché se eravamo disposti ad accettare un capo venerando come l’onorevole Nitti, non potevamo esser disposti ad accettare, sotto il suo nome, merce di contrabbando. Questa è la ragione, esclusivamente politica, per cui noi gli abbiamo fatto opposizione; ed egli non ha il diritto di dire che abbiamo fatto una questione di portafogli, perché ciò non è vero.
Ora questo riferimento alla soluzione che l’onorevole. Nitti aveva tentato, fa vedere in modo chiaro come in realtà, qualunque sia l’aspetto occasionale che questa situazione sta assumendo, e come risulta dalle dichiarazioni che l’onorevole Nitti prima e l’onorevole Einaudi poi hanno fatte, il Governo che l’onorevole Nitti voleva costituire era sostanzialmente identico nelle sue direttive al Governo che l’onorevole De Gasperi raccomanda ai voti di questa Assemblea. Il fatto che De Gasperi sia al Governo e non Nitti – ed il Ministero Nitti era previsto con un controllo da parte delle sinistre, l’altro no – a nostro avviso non è decisivo. Io non faccio questione di persone. È inutile anzi che io dica la stima che noi tutti abbiamo per alcuni degli uomini che compongono il Governo attuale: anzi, proprio per ciò io potrei sentirmi molto imbarazzato nel parlare contro il Governo, cui partecipano membri che io stimo moltissimo. È inutile dire come noi tutti stimiamo l’onorevole De Gasperi, l’onorevole Einaudi. Vi è poi il professor Del Vecchio, vi è l’amico Merzagora, col quale abbiamo collaborato in momenti decisivi. Si tratta dunque di una situazione politica che prescinde dalle persone.
Quando noi abbiamo visto il tentativo dell’onorevole Nitti, di fronte all’ondata di fiducia che saliva nel Paese e che l’onorevole Nitti – me lo perdoni – ha notevolmente esagerata, sono andato a rivedere quello che era successo con lo stesso Governo Nitti nel 1919 e nel 1920. Quando si ricorre ad uomini del passato è chiaro che vi si ricorre in base agli esperimenti che essi hanno fatto nel passato. Ora, che cosa noi domandavamo ad un uomo di polso, ad un uomo che assumesse saldamente in pugno la situazione difficile che finanza, tesoro ed economia presentavano?
Nel 1919, nel 1920, durante il lungo periodo in cui l’onorevole Nitti era stato Ministro del tesoro prima, con la Presidenza di Orlando, e Presidente del Consiglio dei Ministri poi, la situazione era assai somigliante a quella di oggi, a quella che noi vogliamo migliorare. L’onorevole Nitti, con la sua cronica incertezza di decisione, aveva portato il Paese alla stessa situazione in cui è oggi e dalla quale volevamo uscire oggi, proprio ricorrendo a lui.
Se si leggono le cronache di allora, si vedono gli stessi rimproveri, le stesse preoccupazioni che oggi noi prospettiamo al Governo: aumento del prestito statale (l’operazione del prestito consolidato, fatta con tempestività e accortezza somme, è stata il vero merito dell’onorevole Nitti, ma è, si può dire, il solo); aumento degli impegni delle gestioni fuori bilancio, di cui si è tanto parlato anche oggi; accrescimento dei finanziamenti statali; incremento della burocrazia (è sotto l’onorevole Nitti che avvenne l’immissione degli avventizi in massa nelle pubbliche amministrazioni); promesse di severa finanza; l’onorevole Nitti disse a lungo per parecchi mesi, per qualche anno, che bisognava fare una finanza severa, ma non la fece. La finanza severa fu fatta in Italia, ma dopo, quando si ricorse a Giolitti e quando effettivamente il deficit da 18 miliardi, se non erro, del 1920 passò nel 1921 a 6 miliardi, smentendo il vanto per tanto tempo messo avanti dal fascismo, di avere esso risanato le finanze del Paese.
Ci furono sotto l’onorevole Nitti discussioni analoghe a quelle che noi affrontiamo oggi.
Ricordo il discorso dell’onorevole Nitti al Senato nella seduta del 15 dicembre del 1918 contro la patrimoniale. Ma poi l’onorevole Nitti fu costretto a presentare il progetto per la patrimoniale voluta dai socialisti ed egli la difese con la stessa sicurezza. In realtà la politica di Nitti, in un’epoca la quale somiglia tanto, per una serie di fenomeni analoghi, a quella di allora, non ci persuadeva, perché l’onorevole Nitti non voleva darci un programma richiesto da tutti noi. Ne sono testimoni gli onorevoli Nenni e Togliatti.
L’onorevole Nitti si è sempre rifiutato di precisare su quale programma egli intendesse fondare il suo esperimento. Perché? Forse perché egli suggeriva un rimedio arcano, il «colpo segreto»? No, certamente.
L’onorevole Nitti non esponeva un programma, perché si voleva riservare intera libertà di azione, cioè intera libertà di decisione, e quali fossero i suoi intendimenti lo ha detto solo oggi, quando durante la discussione si è dichiarato contrario alla patrimoniale; ha dichiarato, sì, d’accettarla; ma tutti sappiamo dove vanno a finire le cose di cui non si è persuasi e che si applicano mal volentieri.
Quindi avevamo ragione noi di non accordare fiducia solo sul nome, perché non è vero che queste ondate di euforia, questi colpi di borsa siano determinanti per la riuscita di una politica. Se fosse così (ed aveva ragione l’onorevole Nenni, quando ha parlato ieri sul precedente del Gabinetto Blum), sarebbe il caso di chiudere il Parlamento e trasferirlo alla Borsa, perché la Borsa sarebbe la padrona della nostra azione politica. Non è vero, perché durante il tentativo Nitti (ed egli me ne deve dare atto), esisteva una situazione in Borsa facilmente orientabile al ribasso in modo spiegabile perfino dai ragazzi.
L’onorevole Corbino ricordava che sarebbe stato opportuno uno studio documentato sull’andamento delle Borse, durante il periodo corrente dalle dimissioni del terzo Gabinetto De Gasperi all’esperimento Nitti. Io dico che sarebbe interessante fare questo esame anche sull’ammontare dei titoli trattati in quei giorni. La liquidazione dei riporti si annunciava difficile in rapporto alla liquidazione del mese passato, liquidazione che era stata meno facile di quella del mese precedente. C’era già una situazione orientata al ribasso sulla quale influire nel senso di accelerarla. L’influire su di una situazione simile diveniva scherzo da bambini. L’onorevole Nitti del resto capiva bene tutto questo, quando mi confessava di essere più preoccupato dell’ondata di fiducia che non dell’avversione fra la quale aveva costituito il suo Governo nel 1919. E aveva ragione, perché non basta fare un Governo sotto un’ondata al rialzo o ribasso di Borsa, secondo il momento in cui l’uno o l’altro può rappresentare una posizione ottimistica o pessimistica. Il più è mantenere questa fiducia. Ora, se noi esaminiamo quello che succedeva sotto il Governo dell’onorevole Nitti nel 1919-20, altro che mantenere! La sterlina al, giugno 1919, media 37,33; nel giugno 1920, 67,14; il dollaro…
CORBINO. Nel giugno 1919 no, perché c’erano ancora gli accordi interalleati sui cambi.
LOMBARDI RICCARDO. Furono aboliti ufficialmente nel maggio 1919, ma in realtà erano cessati nell’aprile. Il dollaro dunque da 8,05 a 16,89.
Ora, si voleva fare un Governo sotto una spinta di Borsa appoggiata da una campagna giornalistica della quale non c’è esempio in Italia, neanche nella campagna della stampa conservatrice di oggi a favore dell’onorevole De Gasperi. Quest’ultima è una pallida cosa di fronte all’ampiezza delle lodi per Nitti e alla violenza di linguaggio contro di noi sulla stampa di destra, durante l’esperimento Nitti. Ed allora il nostro sospetto era legittimo. Che cosa si voleva far passare dietro la testa veneranda dell’onorevole Nitti? Si domandava un programma e l’onorevole Nitti rispondeva: nessun programma; si tratta di andare avanti giorno per giorno, di sette giorni in sette giorni. E questo non è vero.
Onorevole Del Vecchio, mi dia atto che non è possibile fare una politica di sette giorni in sette giorni.
Nemmeno l’economia familiare si fa in tal modo.
Abolire le automobili dei Ministeri, ripeteva l’onorevole Nitti; e, intendiamoci l’invito all’austerità è un invito che ha il suo valore e che dobbiamo tutti accogliere. L’austerità nei servizi, nei posti rappresentativi, è una cosa importante.
Ma se domani vedessimo l’onorevole De Gasperi, anziché su di un’auto, su una carrozza trainata da un cavallo, tutt’al più potremmo dire: speriamo che questo cavallo non sia un cavallo bianco. (Ilarità). La soppressione dei Sottosegretariati ha dei vantaggi ed è possibile che abbia anche degli svantaggi, tanto è vero che l’onorevole Nitti voleva abolire i Sottosegretariati, ma non tutti. Cominciava col riservarne due per due uomini del suo Gruppo e man mano che gli si faceva presente la necessità che alcuni Sottosegretariati, che avevano ed hanno una specifica ragione e funzione, permanessero, egli accettava volentieri questo suggerimento, perché sopprimere i Sottosegretariati quando sono inutili è una cosa che si può fare, ma dove essi svolgono una funzione utile è impossibile.
Io vorrei domandare all’onorevole Togni se al Ministero dell’industria e commercio è possibile sopprimere il Sottosegretariato. In alcuni Ministeri se ne può fare a meno, ma in altri essi sono indispensabili. Ora, quando noi domandavamo a Nitti precisazioni sulla politica economico-finanziaria, Nitti taceva sorridendo, e questo ci mise in grave sospetto; ed appunto perché l’esperimento Nitti, per non essere pericoloso doveva essere controllato, domandammo che a garanzia della politica del suo Ministero nel campo economico-finanziario ci fossero dei socialisti, o meglio, degli uomini orientati socialisticamente, che garantissero una certa politica di intervento pubblico che è essenziale e che costituiva e costituisce tuttora la base fondamentale del nostro dissenso nei confronti del Governo. Quando facemmo presente ciò a Nitti, egli dichiarò che, in fondo, egli faceva a meno dei partiti, e che sceglieva gli uomini che voleva, facendo un Governo che così non poteva non apparire come un Governo personale.
In realtà, l’onorevole Nitti non ha idea della funzione dei partiti politici nello Stato moderno. Egli li disprezza, tutti quanti. Ma egli ci ha fatto assistere a un fatto straordinario. In un suo discorso alla Consulta l’onorevole Nitti ebbe ad affermare che i soli partiti esistenti in Italia erano il Partito comunista, il Partito democristiano (che egli chiamava allora popolare) ed il Partito qualunquista, e quando Pertini lo interruppe affermando che c’era anche il Partito socialista, l’onorevole Nitti gli rispose sorridendo: Stia buono onorevole Pertini. Però l’altro ieri Nitti ha fatto scomparire il Partito qualunquista ed ha invece riconosciuto il Partito socialista; e certamente il non riconoscerlo sarebbe stato un atto di nera ingratitudine verso l’onorevole Nenni… (Ilarità).
In realtà, il modo come l’onorevole Nitti ha condotto il suo tentativo, il suo esperimento, risulta dalle dichiarazioni estremamente preoccupanti da lui fatte durante il suo intervento; e dirò di più: da ciò che ha detto l’onorevole Einaudi si rileva che la politica economica che l’onorevole Nitti voleva seguire, era la stessa di quella che vogliono seguire oggi l’onorevole De Gasperi e l’onorevole Einaudi. Io domando, onorevole Togliatti, se, quando lei, nell’intervista sull’Unità durante il tentativo Nitti, accettava, sia pure come una necessità, la presenza al Governo dei «rappresentanti diretti dei ceti produttori», ciò poteva significare altra cosa che l’accettazione di una direzione di destra della politica economica del Governo.
Noi abbiamo ben capito che tale politica si sarebbe fatta, non con il controllo, ma sotto la copertura comunista e socialista, poiché comunisti e socialisti non sarebbero stati in grado di poter esercitare un controllo efficace, così come non lo hanno esercitato nei passati Governi tripartitici. E questa è la ragione della nostra avversione: noi comprendiamo che il tripartito non poteva funzionare. Ma perché non funzionava? Perché gli impegni che non si mantenevano non portavano a conseguenze politiche e i partiti rimanevano al Governo, anche quando il programma concordato veniva di fatti abbandonato.
Vediamo dunque un po’ lo sforzo fatto dall’onorevole Scoccimarro, uno sforzo di cui altre volte ho riconosciuto il valore (perché le accuse dirette all’onorevole Scoccimarro di aver trascurato il ristabilimento dell’apparato fiscale sono in buona parte ingiustificate). L’onorevole Scoccimarro ha fatta una sua politica ed essa è stata sabotata, ma non per questo il suo partito ha messo in crisi il Governo.
L’onorevole Morandi, a un certo momento, ha posto la questione dei consigli di gestione. Ora io non voglio discutere se il progetto Morandi sia buono o cattivo, perché ho già fatta una dichiarazione a questo proposito, in quest’Aula. Egli comunque aveva posto la questione ed il Governo aveva accettato il suo progetto. Ricordo benissimo che, per ben due volte, da quel banco, l’onorevole De Gasperi ha promesso l’accoglimento della legge Morandi sui consigli di gestione. Essa venne – diciamolo pure – sabotata, attraverso le tergiversazioni, le lungaggini, i rinvii e gli interventi della Confederazione dell’industria e della Confederazione del lavoro. Nella sua ultima edizione il progetto Morandi, accanto a dei difetti, ha pure un lato pregevole, perché, lo dobbiamo riconoscere, esso presenta almeno un pregio, il tentativo di svincolare i consigli digestione dalla pratica corporativa, e questo è un fatto positivo che va riconosciuto e mantenuto. I consigli di gestione vengono rinviati, di fatto abbandonati, ma l’onorevole Morandi, secondo la formula fatale del tripartito, rimane nel Governo.
Nasce la questione dell’I.R.I. Il Paese si è interessato a tale questione, e colgo l’occasione per dire all’onorevole Scoccimarro e all’onorevole Dugoni che l’I.R.I. non dovrà essere dissolto, non solo perché ci sono alle sue dipendenze 220.000 operai ed impiegati, ma perché c’è una questione infinitamente più seria, che non interessa solo i 220.000 dipendenti – i quali, noi lo comprendiamo, potrebbero avere interesse legittimo al mantenimento della loro fonte di guadagno – ed è il fatto che l’I.R.I. è il solo strumento di politica socialista che il Governo abbia in mano. Il Paese ha diritto che questo strumento non venga sciupato, che esso sia utilizzato, perché e uno strumento prezioso e valido e se, fino ad oggi, non è stato adoperato, non è questa una buona ragione perché non lo sia neanche in avvenire.
Si fa dunque la questione dell’I.R.I. Io ho la sventura di dover affrontare sempre questioni ingrate, che possono dare appiglio a interpretazioni personali anziché politiche. Anche quando ebbi a parlare dell’onorevole Paratore qui dentro, io tengo a far presente che non lo conoscevo affatto di persona e che egli chiese di conoscermi qualche giorno dopo: infatti lo conoscevo solo per fama. Egli aveva una sua politica, ed io sapevo ciò che tale politica aveva fatto dell’I.R.I. Si è posto un problema non solo per il salvataggio dell’I.R.I., perché, se si fa la questione del salvataggio, essa è mal posta, e questa è anzi una eccellente ragione per dire che non si sciupa del denaro pubblico per fare dei salvataggi. L’I.R.I. non è fatta per salvare delle aziende, ma per fare una politica economica.
Orbene, anche su questa fondamentale questione dell’I.R.I. si ha la riprova del fatto che la collaborazione dei partiti di sinistra al Governo non vale per sé sola a garantire una politica di sinistra: noi abbiamo esposto qui le nostre critiche alla politica dell’I.R.I. nel gennaio scorso; la stampa comunista le ha condivise, ma l’onorevole Pesenti è rimasto alla vicepresidenza dell’istituto; ancora una volta, non controllo da parte delle sinistre, ma copertura di una politica di destra.
Ed allora io mi domando se quando noi giudichiamo della funzionalità del tripartito da questi esempi, abbiamo o no ragione di dire che la pura presenza, questa «presenza reale» che sta diventando una questione mitologica, dei partiti di sinistra al Governo non è affatto una garanzia per una solida politica economica. Le condizioni per fare una certa politica sono due: che vi siano le sinistre al Governo, e che possano condurre la loro politica, sia pure moderata, ma condotta a fondo. Soltanto allora si può fare una politica, una eccellente politica, che è la massima garanzia nel campo del lavoro. Gli operai e i contadini che danno i loro voti ad un determinato partito – ed hanno il diritto di scegliere essi il partito dal quale si sentono rappresentati – devono avere anche una garanzia per i sacrifici che loro vengono richiesti. E quando l’onorevole La Malfa, in un discorso bellissimo, che mi dispiace sia stato fatto in un’Aula poco affollata, ha ricordato la politica che si può e si deve richiedere alla Confederazione del lavoro, egli aveva perfettamente ragione, perché, a quali condizioni è possibile – e l’ho già detto altre volte in quest’Aula – domandare una politica costruttiva alla Confederazione del lavoro? In certi momenti la Confederazione vale più del Governo, perché ha più poteri. Come è possibile fare una politica della Confederazione del lavoro, una politica di largo respiro, che non sia semplicemente la politica di resistenza e la superatissima politica agitatoria, se non c’è un Governo il quale si impegni a dare la contropartita – non la contropartita elettorale, ma economica – che tagli veramente le unghie a coloro i quali, anziché condividere i sacrifici comuni, avrebbero vantaggi da questi sacrifici? Gli impiegati, gli operai, i contadini, possono essere chiamati a fare dei sacrifici, ma quando essi sanno che questi sacrifici servono non già a costruire gli strumenti di una azione socialista, ma a rafforzare gli strumenti che saranno usati contro di loro, allora è comprensibile che essi non vogliano sacrificarsi per i loro nemici.
Il tripartito ha funzionato o non ha funzionato?
Qui si sono levate voci molto ottimistiche, e voci pessimistiche. L’onorevole Nenni è stato pessimista, mentre l’onorevole Scoccimarro ha fatto un quadro relativamente ottimistico.
Ci sono cose che debbono farci riflettere. La Malfa diceva ieri che noi non abbiamo mai avuto una bilancia dei pagamenti così favorevole come quest’anno; eppure, malgrado questo, un processo inflazionistico c’è stato, e questo significa che c’è una carenza nell’attuale Governo. Noi abbiamo sentito inoltre le dichiarazioni dell’onorevole Einaudi, e prima ancora le dichiarazioni dell’onorevole Bertone, il quale ha fatto una difesa del successo del prestito e ha vantato la sua ascesa a 84 lire; però qui c’è anche la questione del tasso che è stato portato dal 3,5 al 5 per cento. E purtroppo, sia detto incidentalmente, il provvedimento era filtrato e aveva dato luogo a qualche speculazione in Borsa.
A questo riguardo mi permetto di ricordare a tutti coloro che hanno in mano i Dicasteri economici e che sono nel nuovo Governo, un esempio che ci fu dato l’onorevole Filippo Meda, Ministro delle finanze prima del fascismo: i provvedimenti catenaccio non li passava al suo Segretario o al suo capo Gabinetto, ma li scriveva di suo pugno. Qui c’è una questione di probità professionale, perché c’è un impegno professionale, oltreché morale, per cui bisogna prendere quegli accorgimenti professionali che ciascuno prende e adotta nella conclusione di affari propri.
L’onorevole Einaudi ha fatto un discorso inquietante, non per quello che ha detto, ma per quello che non ha detto. Perché, vede, onorevole De Gasperi, noi siamo stati sempre partigiani della finanza severa, siamo stati sempre risoluti in questa materia, perché non crediamo che sulla finanza si possa transigere. È questa una condizione indispensabile alla nostra vita e alla nostra indipendenza. Una politica che voglia arrestare l’inflazione non deve soltanto dire di volerla arrestare, ma deve essere una politica che manovri le leve che vanno manovrate e sia veramente capace di colpire determinati interessi.
C’è negli uomini preparati al governo dell’economia una mentalità – quella che l’onorevole Foa ha chiamato dogmatica – che per avventura coincide con gl’interessi dei ceti che detengono il potere economico. Ora, la ragione del nostro dissenso non è sulla drasticità della politica finanziaria, ma è sulla debolezza della politica finanziaria e sulla assenza di una politica economica. L’onorevole Einaudi ha parlato dopo che molti altri colleghi pure ne hanno parlato, sull’Ispettorato bancario, accettando il progetto redatto dall’onorevole Campilli. Erano stati avanzati dei suggerimenti dall’onorevole Foa, dall’onorevole Scoccimarro, dall’onorevole Dugoni, specie sulle modifiche all’attuale legislazione sul segreto bancario.
L’onorevole Einaudi si è limitato a tacere su tutto questo; egli ha parlato solo del cambio della moneta e, francamente, ha parlato in modo che non ci ha persuaso: era troppo brillante la sua tesi perché potesse essere accettata. Non voglio ora risollevare una lunga e vecchia polemica, ma dirò soltanto che, se il cambio della moneta presentava delle caratteristiche così puerili come l’onorevole Einaudi ha voluto farci credere, perché allora l’onorevole Einaudi ha speso ben tredici miliardi per preparare questo cambio della moneta nel dicembre 1945? Perché l’onorevole Einaudi ha collaborato con l’onorevole Soleri?
O ha ragione infatti l’onorevole Einaudi, o aveva ragione l’onorevole Soleri, il quale non era per niente scettico su questo punto. Perché dunque l’onorevole Einaudi, mentre si sono succeduti vari Ministeri che erano tutti favorevoli al cambio della moneta, è rimasto al Governatorato della Banca d’Italia, collaborando quindi con essi?
Tutti lo volevano dunque questo cambio della moneta: egli non lo voleva, ma tuttavia lo preparava. In realtà, quando gli si fa l’accusa di sabotaggio – c’è quel tanto di sabotaggio inconscio che può aggiungersi al sabotaggio conscio – io credo che si dica una cosa sostanzialmente giusta. C’era, in realtà, una volontà determinata di arrivare, attraverso espedienti tecnici, a silurare il cambio della moneta. Cambio della moneta che non si riferiva soltanto ai biglietti di circolazione: no, via; non si era impostata la questione in modo così puerile come l’onorevole Einaudi, per il desiderio di stravincere, l’ha posta; ma il cambio della moneta doveva aprire la strada al controllo sui depositi bancari ed era questo che si temeva.
È avvenuto così che, con questo sabotaggio, si sia venuti ad arrestare in fascio i provvedimenti finanziari preparati dal Governo Parri, che venivano in un momento ideale, perché c’era una curva decrescente di prezzi che si era incominciata a manifestare anche prima che ci fosse lei, onorevole Corbino, e che è continuata anche qualche mese dopo che lei se ne era andato…
CORBINO. Si sarebbe fermata se si fosse fatto il cambio della moneta. (Commenti a sinistra).
LOMBARDI RICCARDO. Guardi, onorevole Corbino, che io mi riferisco a quello che disse Soleri quando parlò a Milano, ammalato, del prestito redimibile, sapendo che bruciava così la sua vita. Perché Soleri cadde veramente sul campo, mentre era tutto proteso in uno sforzo di probità e di intelligenza. Onorevole Corbino, io mi riferisco per la situazione del mercato in quel tempo a quello studio che lei conosce e che il nostro comune amico Sergio Steve ha scritto sulla questione: ci sono lì alcuni dati evidenti.
Comunque, il cambio della moneta avrebbe aperto la strada a quella serie di provvedimenti finanziari dei quali si può essere fautori o non fautori, ma che si accettano o si respingono lealmente. L’onorevole Corbino non ne era fautore: è doveroso dirlo, perché l’onorevole Corbino può essere accusato per la sua politica, ma deve anche essere difeso da accuse ingiuste. Ora il cambio apriva la strada ad una serie di provvedimenti i quali potevano avere la massima efficacia, il massimo rendimento proprio in quel momento, in cui c’era lo sciopero dei consumatori, c’era una curva decrescente notevolissima dei prezzi in base all’afflusso di merci estere, che nel primo semestre dell’esercizio 1945-46 era cominciato e s’era accentuato dopo l’abolizione della «linea gotica», nel momento in cui – come ho altra volta ricordato – i grossi proprietari e gli industriali avevano accantonato le riserve per potere pagare le imposte straordinarie che si aspettavano – perché questo sentimento di giustizia lo avevano allora anche i ricchi – perché ci sono delle cose così evidenti, c’era una richiesta così logica della coscienza popolare che alcuni provvedimenti potevano essere fatti…
SCOCCIMARRO. E c’era una notevole liquidità delle banche!
LOMBARDI RICCARDO. Certo, ha ragione, onorevole Scoccimarro; eppure i provvedimenti non furono presi, e non perché erano dei provvedimenti inutili o dannosi. Questo è stato il solo punto al quale l’onorevole Einaudi ha dato una risposta alle richieste fatte; ma, a mio avviso, la risposta non è stata soddisfacente.
Per quanto riguarda il cambio dei biglietti, devo ritornare su una mia osservazione fatta nel gennaio, dopo la crisi di Gabinetto. Io domandai allora come poteva lo Stato, che aveva basato la sua operazione del prestito sulla premessa del cambio della moneta, così di punto in bianco, in base ad una dichiarazione, si può dire, giornalistica, seguita poi da una dichiarazione dal banco del Governo, rinnegare il suo impegno. E l’onorevole Scoccimarro, interrompendo, o io, interrompendo lui, non ricordo bene, perché abbiamo parlato sullo stesso argomento, disse: «Io ho un sistema da suggerire al Governo perché esso mantenga il suo impegno, senza peraltro fare il cambio della moneta», cambio che in quel momento non poteva essere fatto se non come operazione di taglio, alla quale l’onorevole Scoccimarro era contrario. Però non è avvenuto niente.
Ho chiesto parecchie volte all’onorevole Campilli cosa ne fosse di questo famoso provvedimento; ho chiesto informazioni all’onorevole Scoccimarro; ma la questione è rimasta lì. Su questo punto il Governo non ha detto nulla. È chiaro, comunque, che il Governo – se rimarrà, anche coi nostri voti contrari – dovrà preparare dei prestiti sul mercato; e se non sarà questo Governo, sarà un altro.
Ora, crede l’onorevole Presidente del Consiglio che si possa predisporre e presentare al pubblico dei risparmiatori una qualsiasi operazione nuova di indebitamento dello Stato, con uno Stato che si presenta dopo aver mancato ad un suo obbligo elementare, dopo aver ingannato? Queste non sono soltanto questioni psicologiche, ma questioni di altissimo valore politico. Io prego il Governo di esaminare il problema; forse l’onorevole Scoccimarro può avere ancora qualche cosa da suggerire; ma credo, comunque, che il Governo – e la collaborazione di tutti credo possa essere assicurata a qualsiasi Governo democratico in Italia – debba impegnarsi a dare una sistemazione a tutto questo problema, perché non è possibile che un Governo si presenti al pubblico mercato in una situazione di debitore insolvente… (Interruzioni al centro).
SCOCCIMARRO. Possiamo riparlarne in sede di imposta straordinaria.
LOMBARDI RICCARDO. Sì, potremo riparlarne, ma credo che il Governo debba assumere, comunque, questo impegno, di ridiscutere la questione in sede di imposta patrimoniale.
E allora anch’io rinvio a tale discussione le osservazioni che intendevo fare sul modo come è stata preparata la patrimoniale; mi limiterò per ora a ricordare che questa è una pratica amministrativa che molte volte appare più importante della stessa attività politica; molte volte l’attività amministrativa finisce per diventare attività politica. Ne riparleremo comunque.
L’onorevole Corbino ha fatto un discorso ottimistico, a suo modo ottimistico. Onorevole Corbino, lei ha auspicato perfino che ci sia tanto pane da abolire il tesseramento! Ma noi tutti siamo d’accordo…
CORBINO. Non ho auspicato, ho chiesto. Sono stato sempre ottimista.
LOMBARDI RICCARDO. L’onorevole Corbino è stato sempre ottimista. Ricordo che quando, nel maggio, mi pare, del 1946, vennero le prime informazioni ottimistiche sul mercato granario americano per il 1947 fu lei, onorevole Corbino, il primo a crederci. Disgraziatamente fu il solo.
CORBINO. No.
LOMBARDI RICCARDO. Onorevole Corbino, la questione è che il grano è forse l’unica merce sulla quale esiste un grosso mercato nero internazionale. Forse questo è un problema sul quale il Ministro Merzagora potrà studiare un provvedimento. La borsa nera internazionale del grano esiste.
Dicevo dunque che l’onorevole Corbino ci ha fatto una bellissima lezione sul principio edonistico. L’onorevole Corbino ci ha insegnato che gli uomini, checché si voglia o si dica, fanno sempre quello che secondo il loro giudizio è il loro interesse. Siamo d’accordo. E in cosa consistono del resto la moralità, la civiltà, la stessa religione, se non nel portare questi interessi, il godimento e la sofferenza, su un piano sempre più alto? È vero che gli uomini vogliono il loro interesse, ma questo avviene nel quadro della norma giuridica. È appunto su questo quadro che la discussione verte. È chiaro che gli uomini vogliono il loro interesse, ma con quali limiti? E l’azione giuridica è diretta a stabilire questi limiti. E dirò di più: in una democrazia moderna, che non voglia bamboleggiarsi con gli idoli del liberismo del secolo scorso, non basta più neanche il quadro giuridico.
Credo che ci siano due soli uomini – Benedetto Croce e Luigi Einaudi – che hanno avuto su tutti i settori di quest’Assemblea un’enorme influenza, ma hanno creato dei figli, non dirò degeneri, ma dei figli ostili, perché non potevano certamente crearli a loro pura e semplice simiglianza. Ma in che cosa si distingue l’economia di uno Stato moderno, che voglia essere libera?
Si distingue da questo: che fino all’altra guerra noi stabilivamo la norma giuridica destinata a limitare il giuoco degl’interessi secondo il principio edonistico. Essa era sempre più stretta, ma il suo carattere non mutava. Ma oggi la questione è diversa. Prima si lasciava libertà agli individui di operare con una sola iniziativa presente, l’iniziativa individuale, l’iniziativa che lei, onorevole Corbino, dice che tutti gli uomini assumono facendo quello che, secondo il loro giudizio, è il loro interesse.
Oggi c’è l’iniziativa collettiva: come non vederlo? E il problema di oggi non è già se ci debba essere o no una iniziativa collettiva, ma se essa debba essere controllata dai lavoratori oppure dai ceti possidenti. (Applausi a sinistra).
Ora, nella politica economica quale è stata esposta dall’onorevole Einaudi, c’è una carenza assoluta a riguardo di molti problemi. Egli tace su tutte le domande, non solo su quelle che gli sono state fatte direttamente circa il suo pensiero e le sue intenzioni sui 14 punti di Morandi o su altre questioni; ma, per esempio, tace anche sulla questione dell’I.R.I. Per la questione dell’I.R.I. non basta che egli risponda che il Governo può garantire la esistenza dell’I.R.I., ma l’importante è di sapere come essa verrà organizzata.
Noi abbiamo assistito a questo fatto curioso. L’onorevole Corbino è stato piuttosto ostile alle iniziative dello Stato, alla pubblica iniziativa; ma quando le iniziative sono affidate ad uomini che non sono persuasi della loro necessità e quindi sono impreparati ad attuarle, allora, senza dubbio, esse sono destinate a rimanere sterili.
Ad esempio, le industrie italiane hanno avuto 35 miliardi di crediti dallo Stato. In che modo? Lo Stato si è assicurato il rimborso. Ma quando l’amico Morandi pose al Consiglio dei Ministri la questione delle garanzie per lo Stato non semplicemente del rimborso ma dell’impiego, nessuno ne ha parlato più. Ma la questione sta proprio nel modo in cui si organizzano questi interventi dello Stato, sta nella necessità di sottrarli a quel carattere caotico che essi hanno attualmente. Oggi infatti essi avvengono in modo caotico, non pianificato, e quindi subiscono necessariamente la pressione di interessi particolari, di industriali, e magari anche di operai spinti o no dagli industriali; e ciò avviene in tutti i tipi possibili di intervento pubblico, in tutta la vasta gamma che tutti ben conosciamo. Lo Stato interviene in modo disordinato: si creano dei vincoli, ma senza che abbiano un rendimento, senza che possano servire alla sola cosa che lo Stato, orientato socialmente, può domandare, che siano cioè creati gli strumenti idonei ad un regolare intervento dello Stato.
La richiesta elementare che da tutti i settori socialisti vien fatta, che questi strumenti dell’intervento pubblico siano organizzati, è un problema di enorme importanza, che noi siamo costretti ad affrontare innanzi tutto perché è la base della nostra politica. Perché senza di questi strumenti noi ci troveremo come chi è indifeso contro un nemico che non conosce. Noi dobbiamo preparare nell’uso quotidiano gli strumenti dell’intervento pubblico. E farò solo l’esempio dell’I.R.I. Perché che cosa si potrebbe fare dell’I.R.I.?
Ho accennato in un intervento precedente (che mi valse una campagna di ingiurie brillanti, che mi ha lasciato del resto assolutamente indifferente) alla lotta che la Confederazione generale dell’industria faceva contro il Ministero dell’industria, non già per rilevarne le pecche, ma per combattere qualunque politica di intervento statale. Ripeto oggi che la Confederazione dell’industria persegue un’azione non sindacale, ma politica. Io qui sento parlare troppo spesso della Confederazione del lavoro, accusata di non essere apartitica, di servire cioè ad interessi politici; ma nessuno qui si è domandato se la Confederazione dell’industria è un organo solo sindacale o non anche politico. Ed io devo ricordare a questo proposito che un uomo che abbiamo commemorato giorni or sono, Carlo Rosselli, usava dire: «C’è un solo partito in Italia che fa una politica continuativa: è la Confederazione generale dell’industria». Questa situazione di cose è inutile che noi la controbattiamo a parole.
Lo Stato ha i suoi mezzi per controbatterla. Mi scusino gli onorevoli Togni, Ministro dell’industria, e Del Vecchio, Ministro del tesoro: essi hanno il controllo dell’I.R.I. Ma l’I.R.I. partecipa alla Confederazione dell’industria, ed in alcuni settori detiene la maggioranza assoluta dei capitali, per esempio nel settore bancario e siderurgico. Le aziende controllate dall’I.R.I. partecipano agli organi confederali, ma come intraprese private, non a titolo di rappresentanti dello Stato.
I voti che esse danno agli organi direttivi della Confederazione dell’industria sono dati a coloro che svolgono poi la politica di demolizione sistematica degli organi di pubblico controllo. Io mi domando ancora se questo è ammissibile (questa domanda la posi già altra volta e l’onorevole De Gasperi non rispose). L’I.R.I. è nata male, come diceva giustamente l’onorevole Einaudi: tutti sappiamo come è nata. Ma è diventato uno strumento efficace. L’I.R.I. c’è, e guardiamoci bene dall’assumere verso di essa questo tono di sufficienza, quasi di fronte a un fastidioso impedimento che ci è venuto fra i piedi e di cui importa liberarsi al più presto. È uno strumento prezioso; qualunque Stato moderno ci invidierebbe questa fortuna di trovarci in mano un mezzo per la pianificazione industriale e per il controllo del credito. Io capisco che su questo strumento prezioso si appunti l’odio di tutti coloro che hanno ragione di temerlo; ma non capisco come un Governo democratico…
DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. L’onorevole Einaudi ha promesso di potenziarlo.
LOMBARDI RICCARDO. La ringrazio dell’osservazione. Di queste cose possiamo discutere con obbiettività. Ho paura che dell’I.R.I. si faccia quello che si è fatto fino ad oggi: lo si consideri soltanto come un organismo finanziario. L’I.R.I. come è nato? È lo Stato che assume determinati pacchetti di azioni di aziende di cui vuole assicurare il risanamento. Tutti sappiamo la storia dell’I.R.I. Di che cosa esso si preoccupa? Si preoccupa di risanare queste aziende. Quando esse sono risanate le immette nelle migliori condizioni all’iniziativa privata. Questa è l’origine. È nata male.
DEL VECCHIO, Ministro del tesoro. È nata per curare un male.
LOMBARDI RICCARDO. Precisamente: io ricordo quanto scrisse a suo tempo il professore Cabiati. Egli ha fatto un’analisi precisa e così convincente che possiamo tutti trovarci d’accordo su di essa. Quello su cui non siamo d’accordo è sul fatto che l’I.R.I., nato come organismo di risanamento finanziario, via via ha assunto una funzione economica ed il lato che il Governo ha trascurato è questo: il Governo, attraverso i suoi uomini delegati all’I.R.I., ha continuato a curare (e anche a curare bene) la gestione finanziaria, ma a curarla, come un qualsiasi capitalista privato.
Qualunque imprenditore privato cura il proprio pacchetto azionario, cioè cura che esso abbia il massimo reddito, il massimo valore in borsa, amministrandolo come un buon padre di famiglia. Diamo atto di questo, ma la questione non è soltanto quella di curare, di far fruttare con i criteri di un capitalista privato, ma col criterio degli interessi sociali, cioè perseguendo determinati fini di interesse collettivo.
Una voce a destra. Per far andare male anche le altre aziende.
LOMBARDI RICCARDO. Qualcuno dirà che se si fa questo l’I.R.I. andrà in aria. Non è vero; perché, professore Del Vecchio, guardi, nell’industria meccanica questo criterio di aver voluto trattare soltanto il pacchetto dell’I.R.I. dal punto di vista finanziario ha portato a questa aberrazione: che delle aziende controllate per la maggioranza assoluta, per la quasi totalità, dall’I.R.I., si trovano a non avere potuto sviluppare un programma ordinato, a parte la concorrenza fra aziende dello stesso tipo controllate dall’I.R.I., criterio che perfino in una amministrazione privata è inammissibile; non si è provveduto, cioè, neanche a quel minimo di razionalizzazione dal quale dipende la vita della nostra industria meccanica. Si può discutere sulla industria siderurgica, ma sulla necessità di un’industria meccanica in Italia non possiamo discutere, perché tanto varrebbe fare una campagna antidemografica. Se vogliamo sopprimere l’industria meccanica, tanto vale fare una campagna neo-malthusiana, perché noi abbiamo bisogno dell’industria meccanica onde dare occupazione, lavoro, ad una maestranza di prim’ordine, e si tratta di un’industria che trova ottime condizioni di vita e di sviluppo nel nostro Paese.
Ora l’industria meccanica, che si trova in una fase di riconversione difficilissima, non è stata aiutata per nulla dall’I.R.I. ad effettuare questa riconversione, alla quale costituiscono premessa fondamentale alcune razionalizzazioni: certe razionalizzazioni non si possono fare per mancanza di capitali, per mancanza di macchine, ma il coordinamento delle costruzioni, sì. Qualsiasi capitalista privato lo avrebbe fatto. Lo Stato non lo ha fatto, perché? Perché ha guardato la questione dal punto di vista prettamente privatistico del rendimento, del successo che determinati titoli in possesso dello Stato avrebbero avuto sul mercato. Lo Stato ha trascurato il fatto di possedere uno strumento prezioso, uno strumento che avrebbe potuto facilitare e la razionalizzazione e la riconversione. Noi ci preoccupiamo di tanti problemi, ma guardate che la superpopolazione in un Paese come il nostro fa passare in primo piano la questione del rimodernamento degli impianti e del rendimento del lavoro.
Guardate che alla base di quel Libro bianco inglese, di cui il senatore Einaudi ha letto il lato che più conveniva alla sua tesi, c’è una constatazione paurosa: nella Gran Bretagna di oggi, in una situazione di impoverimento che tutti conosciamo, il rendimento del lavoro industriale è inferiore di due volte e mezzo a quello americano. Alla base del piano, alla base del socialismo in Inghilterra, c’è questo dato obiettivo di creare le condizioni non dico per prosperare, ma per vivere. Solo il 5 per cento del reddito nazionale inglese viene adoperato per il rimodernamento, il rafforzamento e la razionalizzazione degli impianti industriali. Ed allora, di fronte a questa carenza dell’iniziativa privata, che cosa può fare lo Stato? Se i cotonieri non vogliono passare.ai fusi e ai telai moderni e il Paese ha bisogno di esportare, perché senza esportare il Paese morirebbe letteralmente di fame, è lo Stato che interviene nelle industrie cotoniere, ad esempio, e le costringe a fare quei rimodernamenti degli impianti che l’iniziativa privata ha dimostrato di non saper fare.
Ora in quale Paese vi è uno strumento eguale all’I.R.I.? È possibile pensare che uno strumento di questo genere possa essere sciupato? Io non voglio discutere se alcune aziende marginali possano essere liquidate o no. Questa è una questione che si può vedere serenamente.
Ora, la relazione che ha fatto l’onorevole Einaudi, in sostanza, per quello che dice e soprattutto per quello che non dice, dimostra una sola cosa: cioè che di tutti gli interventi che lo Stato è in grado di esercitare oggi nell’economia moderna, il Governo si propone di esercitarne uno solo, quello fiscale. Anche dalla lettura che egli ha fatto di quella parte del Libro bianco inglese, risultano chiare le sue tendenze in questo campo e credo che nello stesso senso debba interpretarsi il sorriso di simpatia con cui il professor Del Vecchio ha sottolineato le dichiarazioni su questo punto dell’onorevole Einaudi, cioè un indirizzo volto quasi esclusivamente allo strumento fiscale. Con lo strumento fiscale si sospingono determinati ceti a certe iniziative, si spostano determinati interessi. Ora questo non è più vero. Non è vero che con determinate tassazioni, entro certi limiti, con determinate variazioni di saggio di sconto, si spostino degli interessi, dei capitali, i quali, ormai, obbediscono non dico solo alle grosse, ma alle grossolane sollecitazioni. Oggi la politica che noi domandiamo allo Stato è una politica di intervento e di iniziativa, ma una iniziativa non fatta rassegnatamente è come una sgradevole necessità ma fatta da gente che ne sia persuasa. Lo Stato deve fare una politica determinata di iniziativa economica, ma chi deve svolgerla non siete voi che non credete a queste cose. Ecco perché non abbiamo fiducia in voi.
Io voglio ricordare proprio al professore Del Vecchio a questo proposito, senza nessuna intenzione personale, un suo libro: «Cronache della lira in pace e in guerra». Non lo leggo.
So che lei è un galantuomo e che soprattutto non è un fascista: so persino quali pressioni furono esercitate su di lei per costringerla a giurare, perché lei non voleva giurare. Ma nel libro appare evidentissima la diffidenza verso l’intervento pubblico, caratteristica della posizione dogmatica di molti uomini che vediamo ora al Governo. Dinanzi a certe aberrazioni di uomini che ritengono che il fascismo sia stata una reazione contro le bardature che si mantenevano nel vecchio regime, nell’immediato dopo guerra, noi non possiamo che dire: puerilità! Vere puerilità a cui si arriva con la mentalità dogmatica che hanno certi uomini al Governo, mentalità alla quale ha accennato nel suo discorso il compagno ed amico onorevole Foa. Nel Paese si vuol diffondere la convinzione che il nazismo ed il fascismo non siano stati altro che vincolismo e negazione del liberismo: giudizi sul fascismo e sul nazismo che peccano di cecità e di ignoranza, perché, intendiamolo bene, gli strumenti di intervento pubblico che hanno usato male i fascisti ed abbastanza bene i nazisti, non sono interventi specifici del fascismo o del nazismo, ma interventi di qualsiasi democrazia e di qualsiasi regime socialista moderno. Li usano in America e li usano anche i laburisti inglesi. Lo strumento è indifferente: il modo con cui li hanno usati è importante, perché li hanno usati ai fini di una politica di guerra e di impoverimento. Contro questa mentalità e contro la politica che ne deriva, noi abbiamo lottato e lotteremo. Guardiamoci bene da queste interpretazioni che fanno consistere il fascismo nella bardatura e nel vincolismo delle forze economiche. Non sarebbe stata necessaria una lotta di 20 anni, così sanguinosa, per distruggere un semplice fatto di un indirizzo economico.
Ma c’è dell’altro nel fascismo e nel nazismo. E la comoda interpretazione per cui si dice che il fascismo risorge quando si tenta di mettere in atto gli strumenti del controllo pubblico è ridicola, e non possiamo che respingerla. (Approvazioni a sinistra).
Non vorrei proseguire e stancare l’Assemblea che oggi, e stasera, ha da lavorare. Tralascio ogni altra cosa, ma vorrei ricordare un punto importante, per il quale mi rivolgo all’onorevole Sforza; perché qui è stata posta la questione più delicata, e, dico, più odiosa delle origini di questa crisi: l’accusa – provata o no, non importa – comunque il sospetto avanzato nel Paese e nel Parlamento che questa crisi possa essere stata determinata dall’acquiescenza a richieste, vere o presunte, di uno Stato verso il quale siamo obbligati per i suoi aiuti, e per la generosità che più evidentemente contrasta con la ingenerosità altrui.
Perché, onorevole Corbino, lei ha detto che nessuno ci minaccia, e nessuno vuole che l’Italia sia accodata a questa od a quell’altra politica. Questa è una visione ottimistica che, però, urta contro la realtà dei fatti.
Il «messaggio Truman» esiste, non è una mia fantasia. Esso rappresenta una svolta nella politica mondiale ed oggi, quando si fa un atto in politica, non si può prescindere dal messaggio Truman e dall’intervento americano in Grecia ed in Turchia. È ovvio quindi che qualsiasi azione politica avvenga nel bacino del Mediterraneo, sia in rapporto alla presenza vigilante di una grande potenza, ed il riferimento, verso la politica di questa potenza, è legittimo.
È naturale che ci si domandi tutto questo. Io rilutto dal pensare che ci sia stata una acquiescenza di questo genere, però vorrei ricordare all’onorevole Sforza che non c’è stata solo l’iniziativa Truman, ma c’è stata anche l’iniziativa Marshall, la quale, in certo senso, è la negazione della politica precedente ed apre delle prospettive. Io non so se questa sia furberia; non mi interessa. Il fatto è che esiste l’iniziativa di domandare all’Europa un piano coordinato per gli aiuti americani. Nell’Europa è compresa anche la Russia. Circa la pronta adesione di Tarchiani, non so se essa sia stata data consultando il Governo. Io domando che il Governo punti su questa azione. È questa la politica di largo respiro, capace di togliere le punte a qualsiasi sospetto. Qualsiasi altra politica – se lo ricordi l’onorevole De Gasperi – offre appiglio a sospetti.
Io credo di avere esposto, nei punti essenziali, le ragioni fondamentali, le quali sono principalmente di natura economica e finanziaria, per le quali noi voteremo contro l’attuale Governo. Ma le ragioni per le quali noi voteremo contro il Governo sono ragioni diverse da quelle addotte dagli amici alla nostra sinistra. Noi non ci accontentiamo di un Governo che riproduca quello attuale con il semplice correttivo dell’immissione di uomini della sinistra o dell’estrema sinistra. Noi vogliamo un Governo capace di fare una politica nello stesso tempo severa e democratica, un Governo che assuma l’impegno di una politica economica ben determinata, anche se limitata, e che abbia gli organi necessari per affrontarla. Noi non condividiamo l’ottimismo di molti sulla situazione finanziaria del nostro Paese. Poiché noi siamo persuasi che la situazione economica e finanziaria del nostro Paese si affronta con una politica, e non con delle velleità; ma con una politica dura di sacrifici, di severità, alla quale deve fare riscontro una politica di iniziativa economica e di intervento dello Stato; noi diciamo che soltanto su queste basi solide un Governo può reggersi e ottenere il consenso popolare, e non sulle basi generiche della partecipazione di questo o di quell’altro partito.
E di ciò penso che siano persuasi anche molti amici democratici cristiani. Non è possibile che da questo dibattito, al quale credo di aver dato per mia parte una impronta di serenità, molti amici della Democrazia cristiana non capiscano la situazione estremamente grave per il loro partito, una situazione che interessa tutto lo schieramento democratico italiano. Un Governo non è qualificato soltanto dal suo programma, ma anche dalle sue alleanze. Se questo è vero, ad un certo momento, onorevole De Gasperi, nessuno potrà impedire a determinati gruppi di puntare su di lei. Io riconosco che lei è un onesto democratico ed un onesto repubblicano, ma ad un certo momento queste forze prendono la mano. Io non ho mai creduto – l’ho detto e l’ho scritto – a quello che si è detto di Corbino, cioè che fosse l’uomo degli industriali. È una sciocchezza. Corbino è un uomo che ha la sua politica, che ha difeso lealmente. Le ragioni del suo insuccesso sono dovute al fatto che questa politica era, a nostro giudizio, errata, ed anche al fatto che questa sua politica non poteva essere sviluppata, come non poteva essere sviluppata la politica opposta.
Io ricordo che quando nel Governo si venne alla decisione di non fare più il cambio della moneta e si voleva fare un comunicato per dire che il cambio era rinviato, io dissi allora: se non si deve fare, bisogna dire soltanto che non si fa, per avere alcuni vantaggi di una politica e non gli svantaggi e della politica che si fa e di quella che si è abbandonata. Perché raccogliere soltanto gli svantaggi di una determinata politica equivale a un suicidio. L’onorevole Corbino ha avuto una sua politica, un suo indirizzo, anche se sbagliato. L’onorevole Corbino, interrompendo durante un intervento dell’onorevole Scoccimarro, affermò che egli se ne era andato dal Governo in settembre non tanto sotto la pressione delle agitazioni popolari, quanto per la pressione della speculazione. Ciò è vero, a mio giudizio. Per questo, quando l’onorevole Foa diceva al Governo: «Chi vi salverà dalla pressione di coloro che puntano su di voi?» e lei, onorevole Corbino, interruppe dicendo: «Li cacceremo via», l’onorevole Foa replicò: «Intanto è stato lei ad essere cacciato».
Dunque, queste forze, capaci di costringere il Governo, sono reali; la riorganizzazione di determinate categorie oligarchiche esiste nel Paese, ed io vi prego di leggere – sarebbe il caso di affiggerlo al Parlamento – uno studio obiettivo che risulta dalla inchiesta del Ministero della Costituente, pubblicato sul fascicolo 5 della Critica economica, sulla concentrazione dell’industria elettrica in Italia. Ma pensate quanta parte dell’industria nazionale è oggi in mano, non dico di uno solo, ma di pochi!
Ora queste forze esistono, ed è impossibile che agiscano in un modo contrario alla propria costituzione, per cui esse tendono sempre a ritornare alla loro origine. Ci sono delle questioni, dei problemi che sono legati ad interessi, anche legittimi, e che diventano fatali per uno Stato che non costituisca gli organi indispensabili per fronteggiarli. Gli amici della Democrazia cristiana debbono valutare anche questo, perché, prima di una questione di equilibrio, di elezioni, di successo o di insuccesso di partito, esse debbono valutare anche questi fatti. Fra i democristiani ci sono uomini che tutti conosciamo, e anche quando si è parlato di costituire un Gabinetto economico, omogeneo di sinistra, si pensava ad uomini anche di quella parte. Voi credete che ci siano uomini della Democrazia cristiana che la pensano tutti allo stesso modo? No, perché sulla politica economica l’onorevole Zerbi, ad esempio, la pensa in gran parte come noi, e così l’onorevole Scoca sulla politica finanziaria; e così molti altri; c’è in questa Assemblea in tutti i gruppi politici ed anche tra i democristiani, un certo numero di uomini che hanno una concezione moderna dei problemi economici, che vedono con lo stesso occhio i problemi che l’intervento pubblico impone alle democrazie moderne.
Ora, onorevole De Gasperi, non disperda queste energie, non costringa questi uomini in una alleanza che li abbasserebbe e negherebbe la ragione per la quale essi credono e combattono. (Applausi a sinistra).
SFORZA. Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SFORZA, Ministro degli affari esteri. È per facilitare l’andamento e la rapidità della discussione, per non aumentare, cioè, alla fine di questa discussione, l’intervento di membri del Governo, che preferisco rispondere subito a una interessantissima osservazione e domanda formulata dall’onorevole Lombardi.
Io sono lieto che in questa Assemblea un uomo del valore intellettuale dell’onorevole Lombardi abbia affermato così obiettivamente ed imparzialmente ciò che vi è di nobilmente umano e di felicemente ricco di speranze nella proposta Marshall. Voi sapete i legami che derivano a noi dalla situazione di armistizio – situazione che mai dobbiamo dimenticare – perché è facile criticare il Trattato, che sarà sottoposto prestissimo al giudizio dell’Assemblea, ma bisogna sempre tener presente che noi siamo davanti a un dilemma: o nostra piena libertà di fronte al mondo in seguito alla stoica accettazione di un sia pur cattivo trattato, oppure mantenimento di un armistizio. Eppure, malgrado ciò, abbiamo offerto subito il nostro contributo allo sviluppo del piano Marshall.
E non per vanità nazionalistica, ma proprio per aiutare il piano Marshall abbiamo offerto tale contributo sulla base di un’assoluta parità di diritti e di doveri.
E da Washington e da Londra mi sono già pervenute manifestazioni di apprezzamento di quello che subito è stato compreso che sarebbe stato l’atteggiamento italiano. È evidente a qualunque spirito obiettivo che il piano Marshall è ispirato ad un’idea infinitamente superiore ai piani di blocchi ostili, all’idea di reticolati che dividono il mondo. Questo piano è stato veramente, dopo tanti anni, il primo raggio di luce dinanzi a noi; e se noi ci siamo tosto posti di fronte al piano Marshall è stato per questo concetto essenziale: perché il fascismo non credeva nell’Italia e quindi voleva la guerra; noi crediamo nell’Italia e quindi vogliamo la pace. (Vivi applausi).
CORBINO. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Desidero fare una brevissima dichiarazione intorno agli accenni fatti dall’amico Lombardi e precedentemente fatti anche dall’onorevole Morandi sulla questione dei finanziamenti concessi alle industrie nel periodo in cui io ero Ministro del tesoro.
Si è parlato di 35 miliardi erogati: desidero che sia chiaro che si tratta di somme anticipate sulle quali lo Stato non aveva altro onere se non quello di un concorso parziale nel pagamento degli interessi, a favore di industrie, in gran parte danneggiate dalla guerra, che avevano esaurito il capitale circolante e che avevano numerose maestranze da mantenere, occupate o no.
Sarebbe stato un errore e sarebbe stata una colpa da parte del Governo, se ci si fosse rifiutati di fare quei finanziamenti che consentivano a centinaia di migliaia di lavoratori d’Italia, di tutte le Regioni, di guardare all’avvenire con maggiore serenità.
Le somme stanziate furono quelle strettamente necessarie; e furono appena sufficienti, tanto che per gli ultimi stanziamenti si è dovuto poi, per l’impossibilità di effettuare altrimenti il pagamento dei salari settimanali – e me ne danno testimonianza gli amici Barbareschi e Nenni, che erano con me al Governo – anticipare delle somme sugli stanziamenti futuri.
Desideravo, quindi, tranquillizzare l’Assemblea che non si è fatto nulla che non rispondesse agli interessi generali italiani, guardati non dal lato degli industriali, ma dal lato delle classi lavoratrici. (Approvazioni).
LA MALFA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole La Malfa?
LA MALFA. Vorrei dare una precisazione circa la questione degli stanziamenti.
PRESIDENTE. L’onorevole Corbino è stato chiamato in causa personalmente; lei non è stato citato nel discorso che abbiamo sentito or ora. Non posso quindi darle la parola.
L’onorevole Cuomo, al quale spetterebbe ora di parlare, non è presente. Si intende, pertanto, che vi abbia rinunciato.
L’onorevole De Caro Raffaele non è neppure presente; si intende che anch’egli abbia rinunciato a parlare.
Il seguito della discussione è rinviato alle 16.
La sedata termina alle 13.10.