Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI VENERDÌ 20 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 20 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Patrissi                                                                                                             

Mastino Pietro                                                                                                

Pacciardi                                                                                                         

Togliatti                                                                                                          

Gronchi                                                                                                            

Corsi                                                                                                                 

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Giannini                                                                                                            

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

Vi sono da svolgere alcuni ordini del giorno.

L’onorevole Patrissi ha presentato un ordine del giorno del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, constatati gli effetti dannosi della speculazione, che minaccia in modo sempre più grave la già compromessa stabilità della moneta, invita il Governo ad adottare immediati provvedimenti, anche di natura penale, contro quei cittadini o quei gruppi di interessi che operano contro la collettività, e lo esorta altresì a perseguire una più ferma e coerente politica creditizia coordinata con un indirizzo produttivistico dell’economia nazionale, tale da avviare finalmente il Paese verso la ricostruzione.

Ha facoltà di svolgerlo.

PATRISSI. Onorevoli colleghi, in questi giorni, conversando nei corridoi dei passi perduti, parecchi fra noi ci siamo trovati d’accordo nel deplorare la sterilità di questi dibattiti e dal punto di vista tecnico e dal punto di vista politico. Tecnicamente poche autorevoli voci di illustri colleghi sono cadute nel vuoto di quest’Aula stanca, spesso sufficiente nel tono, assai spesso insufficiente nel numero. Non proposte, non consigli, non suggerimenti. Abbiamo riudito vecchi motivi, vecchi luoghi comuni; ma un apporto costruttivo, concreto, efficiente, in verità non c’è stato fino a questo momento. E ce n’era tanto bisogno, in quanto insufficiente appare lo stesso programma del Governo. Dal punto di vista politico abbiamo udito soltanto frammenti di verità. Gran parte della verità, gran parte della schietta opinione dei vari oratori è ottenebrata da oblique considerazioni, da tornaconti personali, da finalità di partito. Nessuno, tuttavia, dei colleghi che si trovavano d’accordo con me, ritenne opportuno e conveniente levare, in quest’Aula l’alta e sdegnosa protesta del Paese che si leva verso di noi, che pure ne siamo indegnamente i massimi reggitori.

Questa protesta del Paese è la protesta di un popolo che guarda a noi, guarda ai nostri lunghi dibattiti nel corso delle troppo frequenti crisi e tenta di intravedere nei nostri duelli oratori, molto spesso brillanti, ma anche molto spesso poco civili, la soluzione dell’intricato problema della quotidiana esistenza, che è per il popolo italiano sempre più incombente e sempre più difficile.

Tecnicamente, dicevo, apporti costruttivi non ce ne sono stati e ce n’era bisogno, perché il Governo, dal punto di vista tecnico, a me pare insufficiente. Gli aspetti più gravi della nostra situazione economico-finanziaria, dal momento che la crisi è stata provocata appunto da questa situazione, sono il bilancio dello Stato, la situazione crescente dei prezzi e la bilancia dei pagamenti.

Il programma del Governo si è limitato ad elencarci un ristretto numero di provvedimenti di finanza straordinaria tendenti appunto ad ovviare alla difficile situazione del bilancio dello Stato. Si tratta, in sostanza, di provvedimenti di finanza straordinaria. Infatti l’onorevole De Gasperi ha dichiarato che fa proprie le imposte già stabilite dal Governo che lo ha preceduto, cioè imposte sugli utili di congiuntura, imposte sui consumi voluttuari, imposte sui titoli azionari, imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. Accanto a queste imposte di natura straordinaria si prevede il solito insieme di provvedimenti avocativi.

Ora brevemente dirò, in materia di avocazione, il mio pensiero; e badate, onorevoli colleghi, io sono un isolato e non ripeterò la frase dell’onorevole Nitti; non sono vincolato a disciplina di partito, non sono vincolato a schemi preconcetti e per conseguenza esprimo il mio personale punto di vista, onde mi accade, per esempio, di essere d’accordo con l’onorevole La Malfa nella impostazione di determinati problemi, dissentendo dalle conclusioni cui perviene; sono d’accordo, per esempio, con l’onorevole Scoccimarro quando afferma che il livello dei prezzi ha preceduto sensibilmente il volume della circolazione; non sono d’accordo nei suoi presupposti, quando egli mostra di prescindere dalle agitazioni salariali; sono d’accordo con l’onorevole Nenni quando, con tono apparentemente sincero, si mostra sdegnato della tendenza in virtù della quale si auspica l’intervento straniero quale arbitro della situazione interna nostra, che dobbiamo pure risolvere da soli.

In materia di avocazione, se noi distinguiamo i provvedimenti di avocazione dei profitti di regime dai provvedimenti di avocazione dei profitti di guerra e dei profitti speciali di contingenza, possiamo arrivare a conclusioni diverse. In materia di profitti di regime, se noi consideriamo che fino a questo momento, dopo anni di pratica attuazione, non siamo riusciti ad iscrivere in bilancio che 18 miliardi appena, dobbiamo porci un dilemma: o lo strumento burocratico di cui disponiamo non è efficiente, o non ha risposto la classe politica, quella che con la legge si voleva colpire, assai maggiore di quanto noi tutti supponessimo, me compreso. Diciotto miliardi, indubbiamente, sono un risultato insoddisfacente. Se noi poi riteniamo che questi patrimoni avocabili esistono, dobbiamo ritenere che quei diciotto miliardi sono, senza dubbio, assai inferiori al danno che abbiamo arrecato all’economia nazionale bloccandone la funzionalità col sistema dei sequestri, ed allora questo strumento di avocazione si rivela sterile e non producente. In materia però di avocazione dei profitti speciali di contingenza e dei profitti di guerra, bisogna essere molto severi: questa è intenzione concorde di noi tutti. Non vedo però fino a che punto si possa essere severi quando non conosciamo ancora esattamente la configurazione e la distribuzione della ricchezza liquida nel Paese.

L’onorevole Einaudi, l’altro giorno, rispondendo ad alcuni colleghi che avevano riproposto la questione del cambio della moneta, volle parlarne abbinando il cambio della moneta ad una imposta progressiva o proporzionale.

Il problema non si poneva in questi termini. Il problema del cambio della moneta oggi si pone esclusivamente nei termini di censimento della moneta circolante. Noi abbiamo bisogno di sapere qual è l’attuale distribuzione della ricchezza liquida nel Paese.

In materia di imposte straordinarie ed anche in materia di avocazione dei profitti speciali di congiuntura e di guerra vorrei richiamare l’attenzione del Governo sul provvedimento, che credo sia stato già adottato ed i cui termini di applicazione sono già scaduti, cioè il provvedimento della pubblicazione delle ditte. Badate che noi tradiamo la funzione dello Stato, che non è quella né di vendicatore, né di ricattatore. Abbiamo il precedente delle liste dell’Ovra, che sono state pubblicate affrettatamente e che poi sono state oggetto di molte transazioni e di molte polemiche. Accertiamo rigidamente gli utili realizzabili e poi pubblichiamo i nomi delle ditte che quegli utili hanno realizzato.

In materia di imposte straordinarie vorrei fermare brevemente la mia attenzione sull’imposta straordinaria patrimoniale. Consento con le riserve enunciate brillantemente ed autorevolmente dall’amico onorevole Crispo. Devo però ricordare che, quando in seno alla Commissione finanze e tesoro fu portato il provvedimento di aggiornamento per l’imponibile dell’imposta ordinaria patrimoniale, io mi opposi al perpetuarsi del sistema della moltiplicazione automatica per coefficienti rigidi. Canone fondamentale della scienza delle finanze è quello di evitare sperequazioni. L’onorevole Einaudi ha dichiarato che la configurazione del reddito nazionale è mutevolissima e muta con rapidità impressionante. Come muta il reddito nell’anno, così muta anche la distribuzione patrimoniale. Noi non possiamo, su una base di configurazione patrimoniale che non risponda alla realtà, applicare un provvedimento drastico. Siccome sono stati fatti degli accertamenti, non potendo fare di meglio, si poteva, anziché applicare quei coefficienti soltanto, fare delle tabelle di coefficienti, sì da sceverare da azienda ad azienda, da impresa ad impresa, da patrimonio a patrimonio. In sede di Commissione di finanza si fece noto che il problema non avrebbe avuto gran rilievo. Fummo tutti concordi nel raccomandare al Governo di sottoporre all’esame della Commissione il progetto di imposta straordinaria patrimoniale, perché quella sperequazione di poco conto per l’imposta ordinaria avrebbe avuto invece grande rilievo quando si sarebbe applicata l’imposta straordinaria.

Ora io mi auguro che, in base alle stesse dichiarazioni dell’onorevole Einaudi, si riveda tutta la materia di applicazione dell’imposta straordinaria patrimoniale.

Riguardo poi a questa imposta, c’è l’altro problema che si pone all’attenzione dell’Assemblea e soprattutto all’attenzione del Governo, dal momento che, come giustamente diceva ieri l’onorevole Nenni, il Parlamento è al Viminale.

Tenete presente che la massa di incidenza dell’imposta straordinaria patrimoniale riguarderà i patrimoni compresi fra i 20 e i 50 milioni.

In questa categoria di patrimoni è alta la percentuale di patrimoni immobiliari urbani e rurali. I patrimoni immobiliari urbani sono colpiti, come è noto, dal blocco degli affitti: i proprietari di immobili urbani non saranno praticamente in grado di pagare l’imposta. Bisogna che voi li mettiate in grado di pagare l’imposta, e bisogna che voi autorizziate gli Istituti di credito edilizio a collocare sul mercato cartelle che concedano mutui, oppure che sblocchiate gli affitti. Dal momento che abbiamo adottato il criterio del tesseramento differenziato, per cui si differenzia sullo stomaco dei cittadini e non in riferimento alla necessità della forza di lavoro, ma in base al censo, estendete il criterio per cui, in base al censo, a determinati cittadini sia concesso lo sblocco degli affitti.

Per quanto riguarda i proprietari di beni affittati, i cui canoni sono corrisposti in denaro, occorre tener presente che il problema si ripropone con gli stessi termini, e va tenuto conto della materiale impossibilità del proprietario di pagare l’imposta. Questa imposta è giusta e necessaria, ma sarebbe vana e sterile se lo Stato non raggiungesse gli scopi per cui la impone.

Si pone poi il problema della utilizzazione del gettito dell’imposta. Dalla relazione fatta dall’onorevole De Gasperi abbiamo appreso che il 31 gennaio le disponibilità dì cassa ammontavano a 31 miliardi. Ed allora il prestito della ricostruzione che, almeno secondo il suo nome, doveva essere utilizzato per la ricostruzione, era, in realtà, servito a fronteggiare le esigenze della Tesoreria. Non levo una critica per questo fatto, perché, in periodo di bisogno, il denaro si prende dove è disponibile. Sarebbe stato preferibile, per esempio, non incamerare il fondo U.N.R.R.A., da cui sono stati prelevati circa 37 miliardi. Ricordo che l’onorevole Morandi fece un accenno in merito a questo fondo, dicendo che lo si poteva utilizzare a compensazione del prezzo politico del pane. In un primo tempo pensai che l’onorevole Morandi, già Ministro dell’industria e commercio, non conoscesse che il fondo era già stato utilizzato. Nel seguito del suo discorso appresi poi che egli era già a conoscenza della cosa.

Debbo far notare all’Assemblea che i vecchi parlamentari, maestri di procedura parlamentare per tutti noi giovani, ci hanno sempre insegnato che era buona pratica e buona tradizione che i Ministri appartenenti ad un Governo dimissionario non prendessero la parola in sede di dibattito per il voto di fiducia al Governo immediatamente successivo. Era una tradizione che indubbiamente aveva un gran valore di lealtà cavalleresca tra parlamentari. Badate, è bene che noi torniamo a questa tradizione, perché tutte le confraternite, gli istituti, le associazioni, i club, la malavita, la cosiddetta «onorata società», hanno norme non scritte e tradizionali a cui tutti si uniformano. Le carceri sono una scuola in cui gli anziani della malavita danno insegnamenti ai novellini, perché essi conoscono meglio quelle norme, e le insegnano affinché si possano tramandare ad altri. Se anche la malavita si uniforma a certe norme, perché non dovremmo, noi parlamentari, uniformarci a norme tradizionali? (Commenti a sinistra).

Ora, per esigenze di Tesoreria, il Governo ha attinto al fondo U.N.R.R.A., ed anche al fondo di copertura di depositi bancari. Bisogna essere cauti in questo. Così il prestito della ricostruzione non ammontava a 231 miliardi; ed anche qui abbiamo rinverdito i sistemi del malfamato regime fascista: nel periodo fascista i capi di istituti e i capi di enti si facevano un vanto di portare delle cifre gonfiate al capo del Governo. Lo stesso è accaduto in questa Assemblea: il gettito del prestito della ricostruzione non è di 231 miliardi, perché da quella cifra vanno tolti 24 miliardi del Consorzio delle sovvenzioni industriali, che era debito dello Stato e sul quale lo Stato pagava un mezzo per cento. La Banca d’Italia ha rilevato i 24 miliardi e li ha sottoscritti al prestito della ricostruzione per colmare le serie spezzate, il che è una vecchia tradizione degli istituti di emissione. Così che, su questo debito, mentre prima lo Stato pagava un mezzo per cento, oggi paga il 3 e mezzo per cento. E se tenete conto dello scarto di valore di emissione, 97,50 per cento, ed il valore nominale, constatate che lo Stato paga ancora di più.

Questo ricordo all’Assemblea perché, in materia di controllo della circolazione creditizia, incominciamo evidentemente male, perché il controllo della circolazione creditizia non va affidato alla Banca d’Italia. La Banca d’Italia deve essere lo strumento esecutivo del controllo, ma essa è una Banca come tutte le altre, legata soltanto da una convenzione col Tesoro. La Banca d’Italia, in sostanza, è una società come tutte le altre.

Non vorrei qui che gli avversari, i denigratori del Governo, trovassero facile argomento per affermare che non è giovevole alla imparzialità necessaria del Governo il fatto che l’onorevole Einaudi sia contemporaneamente Ministro del bilancio e Governatore della Banca d’Italia. Ora, anche in materia di controllo della circolazione creditizia, bisognerebbe che questo controllo rientrasse nella competenza esclusiva e diretta degli organi del Tesoro. È vero che occorre una particolare competenza bancaria; ebbene, la Banca d’Italia potrebbe essere benissimo lo strumento esecutivo di questo controllo.

In materia di risanamento di questo bilancio il Governo ci ha parlato soltanto di provvedimenti di natura straordinaria. L’onorevole Nitti ed altri oratori, che si sono occupati della materia squisitamente tecnica, hanno segnalato l’opportunità di rendere più efficienti le imposte ordinarie. A questo proposito io devo ricordare che ci stavamo orientando verso una politica di riduzione delle aliquote e di aggiornamento dell’imponibile. Questa politica trova giustificazione nel fatto che si vuole rendere l’imposta aderente alle reali possibilità dei contribuenti, sì da diminuire l’incentivo alla evasione fiscale. Indubbiamente il criterio è sano e ottimo; ma noi incorriamo sempre nel solito errore, cioè di praticare esperimenti non su un fondo di normalità, ma su un fondo disagiato e tormentato da mille necessità giornaliere.

Quindi, buono il proposito, ma sarebbe opportuno differirlo nel tempo.

Per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti, il Governo ci ha detto soltanto che occorrono, all’incirca, 200 milioni di dollari per colmare il deficit della nostra bilancia dei pagamenti. Naturalmente bisogna fare una politica economica produttivistica, bisogna incrementare al massimo la produzione, bisogna mettersi in grado di entrare in misura sempre maggiore sui mercati stranieri. Ma tutto questo è una enunciazione superficiale. Supponiamo di riuscire a fare una politica economica produttivistica, supponiamo di riuscire a produrre in misura maggiore, sì da poter mandare il super sui mercati stranieri; ma il Governo si chiede se è possibile, con l’attuale situazione del nostro sistema di cambi, andare sui mercati stranieri? Il Governo, per esempio, non si spiega perché oggi resistono, sui mercati esteri, i nostri prodotti di meccanica di precisione. Ma è evidente, perché la percentuale di materie prime contenute in quei prodotti è del quindici o venti per cento. I prodotti che, viceversa, contengono nel loro valore un’alta percentuale di materia prima, non possono entrare sul mercato straniero perché, se voi pensate che col sistema del 50 per cento di valuta disponibile per gli esportatori nei confronti del dollaro, le 800 lire di cambio in borsa nera e le 225 di cambio ufficiale in realtà portano a 500 il livello della transazione, e se con quella cifra si copre il valore della materia prima, non resta disponibilità sufficiente per la mano d’opera; ed è questa la ragione per cui il livello dei salari rimane strozzato, ed è questa la ragione per la quale non è possibile per determinati prodotti – per esempio, tessili – continuare a penetrare facilmente sul mercato estero.

Recentemente abbiamo rinnovato il trattato commerciale col Belgio e con la Cecoslovacchia. Non era il caso, per esempio, di regolare il clearing in franchi belgi con chèques-clearing utilizzabili sul mercato libero? Ad un certo momento avremmo saputo che cosa vale la nostra lira. Perché, la nostra lira, finché l’apprezzamento del relativo suo valore lo facciamo noi, può essere un apprezzamento d’affezione o di disaffezione, di stima o di disistima, un valore psicologico; ma un reale valore economico si può avere solo con questo sistema di stima.

Si può obiettare al nostro ragionamento che qualora le nostre relazioni commerciali col Belgio e con la Cecoslovacchia fossero state regolate in base a questo presupposto, tutti gli esportatori si sarebbero orientati su quel mercato, che sarebbe diventato indice di tutte le transazioni con tutti gli Stati esteri. Però, ad un certo momento, dobbiamo arrivare alla normalità delle nostre transazioni commerciali. Esistono, per esempio, altri Paesi che ci ostiniamo a tenere in castigo e relativamente ai quali il nostro tasso di cambio è restato al vecchio livello. Ma il dispetto a chi si fa? Mi auguro che l’onorevole Merzagora apporti nella direzione del commercio estero un contributo di costruttività e soprattutto di praticità.

Vorremmo, per esempio, sapere per quale ragione con la Svizzera dobbiamo continuare a praticare il sistema delle compensazioni, che non sempre è vantaggioso. Vorremmo sapere perché degli 800 milioni di pesos che era possibile trovare in Argentina, ne abbiamo utilizzato 500 milioni appena, che poi non erano neanche spendibili, perché quando l’Argentina chiede che paghiamo il grano 60 pesos al quintale prezzo «fob», ci obbliga a pagare il doppio il grano argentino rispetto a quello statunitense. Ora, noi ci auguriamo che le espressioni di amicizia venuteci dall’Argentina corrispondano anche sul piano pratico della realtà.

E in materia di commercio estero l’onorevole De Gasperi denunciava il piano tendente ad affidare un certo monopolio ad un certo commendatore. Allora perché il Ministro Morandi ha tollerato lo sconcio della missione Sacerdoti, che ha il monopolio degli acquisti sul mercato statunitense?

Ci si sta avviando ad un monopolio generale, mentre vi sono centinaia di ditte tradizionalmente importatrici in Italia che hanno migliaia di impiegati; e del resto è una vecchia regola secondo cui in regime di concorrenza sul mercato estero il maggior vantaggio viene allo Stato.

Si sono avute offerte firmate da parte di importatori privati, cui non si è dato corso, e viceversa si dava telegraficamente conferma alle offerte della missione Sacerdoti. Vorremmo che il Governo democristiano andasse a fondo in questa materia e portasse luce in questa situazione non troppo normale, né troppo ortodossa.

Vorrei fare qualche accenno al razionamento differenziato. In fondo noi avevamo un razionamento differenziato, e su basi eque, nel senso cioè che la differenziazione era determinata dalle necessità delle categorie lavoratrici. Si dava ad esse alimento in misura maggiore per corrispondere ad esse quel determinato maggiore quantitativo di energie necessarie alla vita lavorativa. Viceversa si è cambiato sistema, si è data una colorazione faziosa ad un aspetto del nostro problema distributivo, che è sacrosanto, perché riguarda il pane di tutti.

In materia di ammassi per contingente vorrei ricordare all’onorevole Segni che bisogna essere coerenti. Abbiamo fatto l’esperimento del contingente per l’ammasso dell’olio. In quell’esperimento fatto dallo Stato, l’autorità dello Stato è uscita piuttosto menomata. Si è mantenuto in piedi il decreto che istituiva l’ammasso integrale. Si sono fatti dei concordati per l’ammasso di altri generi. Quando le provincie hanno raggiunto il livello richiesto, si è insistito per avere un supplemento. Provincie che hanno raggiunto il contingente in gennaio hanno corrisposto adesso. L’ammasso per contingente è un compromesso, è il massimo che si possa ottenere nella situazione attuale. Bisogna consentire, attraverso una compensazione fatta dal produttore fra il realizzo del mercato libero ed il prezzo ufficiale, la copertura del costo di produzione. Ora, se promettiamo l’ammasso per contingente, io non credo che sia stato opportuno prometterlo adesso, perché le promesse del genere si fanno al momento della semina, non al momento del raccolto.

Devo, relativamente alla bilancia dei pagamenti, fare un’ultima osservazione, ed è questa: noi non ci siamo preoccupati – almeno nelle dichiarazioni del Governo non appare – di chiarire quelli che sono i propositi del Governo in materia di politica del commercio estero. Il Governo ha semplicemente detto che abbiamo bisogno di 200 milioni di dollari per pareggiare la nostra bilancia dei pagamenti. Questo è il segno di una mentalità che dirò deplorevole, di una mentalità parassitarla, per cui noi pensiamo di risolvere i nostri problemi urgenti soltanto con l’aiuto altrui. So che non è vero, ma comunque, nel linguaggio spesso tenuto in questi giorni, abbiamo dato al Paese questa sensazione. Nel corso di questa crisi si è accennato, per esempio, ad interventi, a simpatie. Io sono un isolato in questa Assemblea, ma so che nel Paese esistono correnti nazionalistiche. Queste correnti sono contrarie a qualsiasi forma di intervento. Se gli interventi auspicati da determinati settori dell’Aula dovessero verificarsi, quelle correnti sarebbero accanto ai settori opposti; se, viceversa, dovessero verificarsi gli interventi auspicati da quei settori, noi saremmo a fianco degli altri.

Il popolo desidera una politica di indipendenza, una politica di dignità, una politica che sia fatta di chiarezza della nostra povertà, sobria ed operosa, ed è bene che certe parole, certi concetti espressi leggermente non riaffiorino più.

PRESIDENTE. Onorevole Patrissi, io so che si presenta un ordine del giorno come un accorgimento per parlare comunque, ma con questo ci si impegna a parlare soltanto venti minuti. Lei è quasi mezz’ora che parla. Concluda, la prego.

PATRISSI. Riguardo all’aspetto politico della crisi vorrei fare un accenno al discorso dell’onorevole Nenni. Io credo che nel corso di quest’ultima crisi l’onorevole Nenni sia stato il naturale alleato dell’onorevole De Gasperi, e non è un paradosso!

Giornalisticamente ho dovuto fare delle previsioni sullo sviluppo della crisi e devo confessare che le reazioni opposte dall’onorevole Nenni agli eventi che si delineavano di volta in volta sono state sempre conformi alle mie previsioni. Ieri egli ci ha detto che il periodo di incubazione della crisi va dal 4 aprile al 28 aprile e che praticamente l’onorevole De Gasperi il 28 aprile già meditava di aprire la crisi. Può darsi che sia vero l’argomento che egli ha affermato. Però l’onorevole De Gasperi non poteva fare la crisi extraparlamentare. L’onorevole Nenni, con la decisione improvvisa dei Ministri socialisti, fornì all’onorevole De Gasperi il valido argomento per farla.

Nel corso delle discussioni riguardanti la crisi, anche l’onorevole Togliatti si preoccupava di non creare difficoltà e di non avanzare pregiudiziali, mentre l’onorevole Nenni era l’uomo dal solido e tenace irrigidimento, tanto che ad un certo punto io immaginai che l’onorevole Nenni fosse addirittura alleato dell’onorevole De Gasperi; viceversa ieri ci siamo accorti che egli è decisamente ostile ad un Governo uniforme. Però egli ci forniva delle ragioni per renderci favorevoli a questo Governo. Egli ha detto che gli stimoli, i punti di partenza sono diversi, per cui si arriva a delle soluzioni compromissorie. Ebbene, egli non può pensare che il Paese possa subire ulteriormente soluzioni intermedie e compromissorie, perché, è possibile fare una politica democristiana, o liberale, o comunista, o socialista, ma non tutte le politiche insieme; è possibile fare una politica successiva e non una politica simultanea.

Non occorre essere dei grandi cervelli politici per essere dispensati dal conoscere una regola fondamentale matematica per cui la somma di due opposti è nulla. Il Paese ha bisogno di avere, quindi, una omogeneità di direttive. Io non sono sodisfatto, non sono entusiasta del programma del Governo, perché lo ritengo insufficiente; ma questo Governo rappresenta sempre una amministrazione coerente. (Interruzioni – Commenti a sinistra).

Poiché noi abbiamo minato alla base ciò che ancora sopravviveva del nostro organismo economico, bisognava finalmente trovare una via, e questa è la via media tra gli estremi, e quindi tra i partiti della intransigenza assoluta, o del conformismo, o del doppio giuoco, ecc.

Era logico che il Governo andasse verso il giusto mezzo, verso la Democrazia cristiana; che, per designazione, popolare, è il partito più autorevole e più numeroso.

Per questa ragione, sia pure con le dovute riserve e cautele, io ho dichiarato già che risponderò favorevolmente alla richiesta di fiducia del quarto Governo De Gasperi, con la speranza però che questo Governo democratico cristiano ascolti la voce che si leva nel Paese dai disoccupati, dai reduci, dagli irredenti, dai profughi, dai danneggiati, ed ascolti soprattutto la voce che si leva dalle galere, dove circa 50.000 italiani attendono la giustizia serena degli uomini. Fra questi 50.000 italiani alcune centinaia, già da 24 mesi condannati a morte, attendono l’esecuzione. È una situazione che farebbe vergogna e disonore anche a un popolo semicivile! (Interruzioni – Commenti a sinistra).

Giorni fa, commemorando Giacomo Matteotti, l’onorevole Mariani ebbe a dirci che l’insegnamento di Giacomo Matteotti prescinde dall’odio e dalla rappresaglia.

Una voce a sinistra. Non parli di Matteotti proprio lei!

PATRISSI. Ora, fate che la voce di coloro che, sacrificandosi, hanno fatto del sacrificio la loro idealità, desti risonanza in questa Assemblea. La voce di costoro l’Assemblea deve ascoltarla, perché 50.000 uomini, con relative famiglie, rappresentano un lievito di discordia, un fermento di odio e costituiscono la base di quella nemesi che altrimenti si abbatterà su di noi tutti. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Abozzi, Veroni hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, considerando che il decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio e di un’imposta proporzionale straordinaria, non risponde nella sua attuale formulazione a concetti di giustizia tributaria, e che sarà esiziale per la economia e specialmente per l’agricoltura dell’Italia centromeridionale e delle isole;

considerando anche che la sua applicazione, anteriore all’esame delle modifiche proposte dalla Commissione permanente ed alla convalida da parte dell’Assemblea Costituente, aumenta le incertezze, gli inconvenienti ed il danno;

invita il Governo a riesaminare il decreto legislativo e ad apportarvi le modifiche intese ad eliminare le conseguenze eccessivamente gravose lamentate dalle classi agricole».

L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO PIETRO. Onorevoli colleghi, desidero precisare che il mio ordine del giorno non tende, neanche indirettamente, a negare la necessità di eccezionali provvedimenti finanziari che mirino a sanare la situazione, pure eccezionale, del nostro bilancio. Dichiaro che nello svolgimento di questo ordine del giorno io mi atterrò strettamente ad esso, senza per nulla accennare a questioni di indole diversa.

La sostanza dell’ordine del giorno, che illustro in questo momento, riguarda una questione di giustizia tributaria, in quanto se è vero che il decreto finanziario del 27 marzo sottopone ad imposte tutti i beni, di fatto ed in pratica incide quasi esclusivamente sui beni immobiliari e soprattutto sulla proprietà terriera. La maggior ricchezza, per non dire l’unica, della regione che io specialmente rappresento qua dentro è costituita dalla terra e dall’agricoltura, e la proprietà in Sardegna, come è stato riconosciuto da vari oratori in quest’Assemblea, anche in discussioni relative ad altre materie, è sommamente divisa e quasi frazionata. La piccola proprietà rappresenta il 99,3 per cento.

Basta premettere questo perché si debba riconoscere che un aggravamento della pressione fiscale, alla quale la proprietà terriera non possa per nulla sfuggire, non può che necessariamente colpire le classi umili e povere a vantaggio, quasi esclusivo, di quelle che si arricchirono dalla guerra e che sfuggirebbero – anche dopo l’applicazione dei provvedimenti contenuti nel decreto 28 marzo 1927 – ad una legittima e doverosa pressione fiscale.

Non occorre che io dica quale insieme di tributi gravi su ogni ettaro di terreno. Insisto nel riferirmi al peso tributario gravante su un ettaro di terra, per dimostrare che l’applicazione dell’imposta patrimoniale straordinaria non riguarda solo grandi estensioni, e i grandi contribuenti, ma riguarda anche quelli i quali possiedono sia pure un solo ettaro di terreno. In quest’Aula, giorni or sono, l’onorevole Pella disse che la pressione tributaria non supera il 25 o il 30 per cento. Io rimasi stupito di fronte a questa affermazione che mi pareva in contrasto assoluto con la realtà. Ma l’onorevole Einaudi ci ha detto ieri come, in definitiva, la pressione tributaria sia tale da doversi ritenere che, se applicata integralmente, supererebbe il cento per cento.

Questo riconoscimento giustifica pienamente il mio ordine del giorno, perché, se, come ha detto l’onorevole Einaudi, è possibile nella pratica ed in certi casi diminuire la pressione fiscale con la tacita acquiescenza degli organi che sono preposti ad applicarla; se è possibile addivenire, cioè, ad accordi con gli agenti delle imposte da parte di coloro che debbono pagarle, questo non è assolutamente possibile nei riguardi delle imposte dirette che gravano sulla terra.

È evidente, quindi, che in Sardegna un’eccessiva gravezza delle imposte finirebbe col pesare esclusivamente sull’agricoltura, completamente rovinandola. Né si dica che i redditi catastali non siano aggiornati perché, come mi permetto di ricordare, nel 1940 sono stati rivalutati i terreni con il coefficiente del 25 per cento dell’estimo e poi in seguito ancora sono stati moltiplicati per 10, in rapporto alla svalutazione della moneta.

La struttura economica dell’isola non potrà reggere allo sforzo finanziario; e la conseguenza necessaria sarà che molti dovranno vendere, con vantaggio immediato degli arricchiti di guerra.

È però da considerare che questo non darà all’erario alcun vantaggio, perché, se mi si può rispondere che i problemi finanziari non si propongono questioni di indole morale, resta però sempre da vedere se il mercato consentirà quelle vendite. La compravendita suppone ed impone la necessità di chi venda e la necessità di chi comperi e, a mio avviso, questa possibilità non si presenterà nel mercato sardo.

L’immediato bisogno di denaro sarà frustrato. Che il decreto del 29 marzo 1947 non risponda a concetti di giustizia tributaria, si può anche dimostrare rilevando che automaticamente, per l’articolo 25 del decreto legislativo, si considererà possessore di un cinque per cento in denaro qualunque possessore d’immobili, in rapporto all’insieme della sua proprietà immobiliare.

La nostra agricoltura è un’agricoltura misera, che risente di condizioni naturali avverse ed insopprimibili: la siccità, i fiumi a carattere torrentizio, le montagne prive di ghiacciai i quali possano alleviare l’agricoltura dalla siccità estiva, mancanza soprattutto del capitale mobiliare che dovrebbe farla vivere e prosperare.

Su questa agricoltura, onorevoli colleghi, inciderebbe la nuova imposta.

Si verifica questo: che da un lato il Governo stabilisce sgravi a favore degli agricoltori che non hanno ricavato il doppio del seme, combatte l’infestione delle cavallette e dall’altra poi procede ad un’applicazione di gravami fiscali per cui quegli sgravi e quegli interventi rappresentano un’ironia.

E quale sarà la sorte dei lavoratori manuali, i quali non avranno possibilità di ottenere lavoro, perché in Sardegna nessun lavoro di conservazione o di miglioramento potrà essere fatto?

A questo proposito – salvo a riparlare del problema quando i provvedimenti finanziari vengano in discussione in modo specifico davanti a questa Assemblea – osservo che il decreto sulla patrimoniale del 1919 stabiliva delle riduzioni del patrimonio imponibile dovuto alla necessità di procedere ad opere di irrigazione, di riparazione di stabili e di costruzioni rurali, ecc. Queste disposizioni, che sono quelle che farebbero vivere l’agricoltura, non sono contenute nella nuova legge. Non posso omettere di rilevare che la maggiore ricchezza mobiliare dell’isola è rappresentata dal bestiame. Abbiamo in Sardegna il registro dell’abigeato, istituito per ragioni di polizia, cioè per la prevenzione dei furti. Questo registro dà quasi al 100 per cento la consistenza del nostro bestiame. Il patrimonio zootecnico fu sottoposto ai famosi raduni, a requisizioni dovute alle necessità di provvedere di carne il mercato locale e i mercati del continente. Ciò non di meno oggi per il bestiame gli uffici delle imposte procedono, in Sardegna, ad accertamenti che risalgono fino al 1940; vale a dire che gli uffici delle imposte impongono a tutti i proprietari di bestiame – e in queste condizioni può trovarsi anche chi eventualmente possieda solo poche pecore – di pagare le imposte anche se lo hanno perduto da anni.

A questo proposito sarà necessario che il Governo esamini l’opportunità di transigere sul rigore assoluto della legge, e rinunzi alle conseguenze del famoso detto romano: res perit domino.

L’obbligo di pagare le imposte non dovrebbe, cioè, essere mantenuto quando l’oggetto sul quale gravi il peso tributario venga poi a scomparire. Ricordo che, dopo il decorso sulla patrimoniale del 1919, molti che per furti ed anche a causa della lotta contro le cavallette erano rimasti privi del bestiame da essi posseduto, furono poi costretti ugualmente a pagare, per quanto la fonte di reddito alla quale si riferiva l’imposta più non esistesse.

Dopo avervi detto questo, per giustificare sommariamente l’ordine del giorno, sarà bene accennare anche alla povertà dell’economia isolana. La Sardegna durante la guerra provvide al mantenimento di 250 mila soldati, poi anche di altri 80 mila che vi arrivarono dalla Corsica; all’esercito così composto di 330 mila uomini i pastori sardi diedero il formaggio che qui, nel continente, era quotato per lo meno a 600 lire al chilo.

Per un accordo fra gli organi sardi e quelli dell’Italia continentale, soprattutto con l’Amministrazione della marina, migliaia di quintali di formaggio vennero ceduti alla marina di Brindisi e di Bari ad un prezzo che non raggiungeva le 100 lire. Tutto questo incide sulla circolazione monetaria; nell’isola oggi la moneta ha una capacità di acquisto maggiore di quella che ha nel continente. Ciò si risolve in un giusto vantaggio a favore delle classi a reddito fisso e delle classi umili; ma pone la popolazione sarda nell’impossibilità di sottostare a pesi fiscali così gravi come quelli che sono stati stabiliti. L’Alto Commissariato praticò una politica di blocco nella quale, bisogna dirlo, furono d’accordo – nessuno escluso – tutti i partiti; politica di blocco in base alla quale si accantonarono a prezzi bassi le quantità di merci necessarie per la vita locale. Anche questo determinò una scarsità di circolante. La stessa quantità di am-lire che nel continente italiano venne diffusa largamente – centinaia di miliardi – in Sardegna fu di qualche miliardo soltanto.

Non dovete poi dimenticare che in Sardegna l’esazione delle imposte procede regolarmente. Gli organi di accertamento e di esazione funzionano. So che in Roma taluno tentò onestamente di poter pagare la complementare perché la sua condizione e la sua dignità gli imponevano di evitare la possibilità, che in seguito, potesse apparire come evasore dell’imposta complementare, ma non riuscì a pagare per il disservizio che regna negli uffici fiscali.

In Sardegna ripeto si paga regolarmente e se noi protestiamo è perché i provvedimenti finanziari graverebbero per la maggiore parte sulla nostra miseria; alle vecchie imposte, che abbiamo pagate, si dovrebbero unire le nuove, mentre altrove non si pagano né le vecchie né le nuove. Capisco che la giustizia tributaria è un mito e so che l’onorevole Einaudi scrisse in proposito un libro.

Ma se il fatto che la giustizia tributaria è un mito può persuadere qualcuno di noi, non persuaderà certo quelle popolazioni le quali, dopo aver sempre sottostato ad una pressione fiscale molto dura dovrebbero adattarsi a sostenerne necessariamente delle altre. Pensate a ciò sotto il punto di vista tributario ed anche sotto il punto di vista politico. Ricordo che l’onorevole Einaudi scrisse che il contribuente che può pagare solo cento lire, non ne potrà mai pagare 120, anche se le imposte vengono presentate con nomi nuovi.

Onorevoli colleghi, concludo: in questi giorni in Sardegna si sono riuniti gli organi economici, e gli organismi amministrativi; essi hanno concretato in specifici ordini del giorno ed in precise richieste la sostanza delle loro domande e, mi permettano anche dire, delle loro proteste.

Credo sia bene, signori del Governo, che quella voce venga ascoltata.

In questa Assemblea, a proposito dell’ordinamento regionale, si è detto che può minare l’unità della Patria, e può rappresentare un motivo di divisione; mentre noi autonomisti respingiamo tale affermazione, richiamiamo l’attenzione di tutti sul fatto che sono questi sistemi d’ingiustizia quelli che rappresentano e costituiscono il seme ed il lievito di possibile avversione fra regione e regione. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Pacciardi. Ne ha facoltà.

PACCIARDI. Onorevoli colleghi, più che un discorso io vorrei fare alcuni succinti rilievi, alcune brevissime dichiarazioni e vi dico subito che se avessi saputo che il nostro Presidente fosse diventato così condiscendente col Regolamento, avrei preferito farlo nella sede ed al momento opportuno.

Voglio dire che io non mi occuperò più in modo specifico del programma del Governo quale è stato presentato dalle dichiarazioni del Presidente e del Vice Presidente del Consiglio. Se ne sono occupati l’amico La Malfa del nostro Gruppo, l’amico Lombardi, che, pur non facendo parte della nostra famiglia, è di una famiglia imparentata alla nostra. E l’onorevole De Gasperi conosce ormai la nostra posizione su questi programmi, perché il nostro dialogo, starei per dire, è antico e costante fino dalla instaurazione del primo Governo della Repubblica.

Vi dirò francamente che noi abbiamo piuttosto fermato la nostra attenzione sui problemi che suscita dinanzi alla nostra coscienza e alla coscienza di una parte notevole del Paese la formazione stessa di questo Governo.

Stamane l’amico Lombardi ha replicato ai giudizi severissimi dell’onorevole Nitti verso questa parte dell’Assemblea. Io non saprei, se pure lo volessi, essere severo con l’onorevole Nitti anche quando dimostra così ampio disprezzo, non credo per le nostre persone, ma per i nostri Gruppi morituri. Spero che ci consentirà, se siamo morituri (grazia ch’ei chiegga non si nega a chi muor) di tentare di elevarci per un momento al disopra delle passioni di parte per tentare di parlare un linguaggio che se non altro avrà il pregio, spero da nessuno contestato, di una assoluta sincerità.

Vi confesso che siamo stati molto perplessi prima di prendere un atteggiamento deciso di fronte al Governo. È troppo facile per coloro che, o per volontà propria o per volontà altrui, sono stati posti ai due opposti lati di una trincea, volgere lo spirito verso la baldanza e l’esaltazione del combattimento. È stato più difficile per noi, perché abbiamo voluto costantemente trovare una strada che ci permettesse di svolgere l’opera, che noi riteniamo in questo momento salutare, di mediazione, senza prendere staffilate da tutti.

La situazione che si è creata è una situazione estremamente dura, difficile e complicata.

Uomini e partiti che avevano stabilito una fraternità fra loro nella lotta di liberazione, che si erano ritrovati nel carcere e nella cospirazione, sono in questo momento, dopo avere affrontato insieme la bella, esaltante battaglia per la Repubblica, non solo divisi, ma in una situazione di lotta senza esclusione di colpi, come abbiamo visto dagli episodi recenti.

Il Paese non può permettersi ancora di questi lussi. Se fossimo in un periodo normale, questa dialettica politica, anche questa lotta politica contenuta in termini di educazione civica, sarebbe un segno di vitalità e forse anche di progresso. Ma il Paese non è ancora uscito dalla sua catastrofe, non l’ha ancora superata, non ha ancora rimarginato le sue ferite; c’è tutto da riedificare, in questo Paese: le case degli uomini, ed anche la più ampia casa civile nella quale bisogna stabilire la nostra pacifica convivenza, che è lo Stato, le istituzioni repubblicane.

E noi vediamo che in questo momento la faziosità ritorna nelle lotte di parte, la faziosità ritorna negli animi, e la faziosità è stata e sempre sarà foriera di sventure per il nostro Paese. Il suo ritorno non ci dice nulla di buono per il nostro avvenire. Che cosa è avvenuto insomma?

L’onorevole De Gasperi, dopo molti tentativi, dopo molte, troppe crisi, ha creato un Governo che, per vivere, ha bisogno degli appoggi della destra conservatrice ed anche reazionaria. Ha bisogno cioè di innestare le forze della Democrazia cristiana che si erano presentate al Paese, che erano nel Paese, che sono nel Paese, e debbono essere nel Paese una grande forza di centro con forze non repubblicane ed anche antirepubblicane. Come siamo giunti a questa involuzione, che da tutti i punti di vista noi giudichiamo estremamente rischiosa per il nostro Paese? Se dessimo tutte le responsabilità alla Democrazia cristiana, evidentemente non saremmo equanimi. È indubitato che i tre partiti maggiori, quelli che erano stati indicati dal corpo elettorale, vale a dire dal popolo sovrano come i partiti che dovevano dirigere il Governo, non sono riusciti a trovare una linea di azione politica che fosse la risultante delle loro diverse tendenze.

Ancora peggio, non sono riusciti a trovare una forma di convivenza nemmeno in quel «domicilio forzoso» di cui parlava – mi pare – l’onorevole Gronchi. I comunisti ed i socialisti hanno rimproverato sempre alla Democrazia cristiana di non aver tenuto fede al programma, o meglio ai programmi che erano stati concordati in comune. La Democrazia cristiana ha rimproverato ai comunisti ed ai socialisti di non essersi fatta ancora una mentalità di Governo, vale a dire una mentalità per cui non è possibile essere, allo stesso tempo, al Governo e all’opposizione. C’è – io penso – qualcosa di vero in queste critiche. Voglio dire di più, per scrupolo assoluto di sincerità. Anche l’accusa che si fa a questi nostri partiti (Indicando il centro-sinistra) di non essere ancora riusciti ad organizzare una forte corrente democratica, repubblicana e socialista, democratica, voglio dire, nel senso moderno, cioè aperta alla comprensione dei problemi sociali, anche questa critica è giusta, perché ciascuno di questi partiti, nelle differenti crisi, non è riuscito ad influire sulla soluzione od ha influito negativamente.

Però, anche se tutti noi siamo disposti a prenderci la nostra quota parte di responsabilità, ciò non toglie assolutamente che la soluzione, che è stata data all’ultima crisi, è la soluzione peggiore. Fra i due De Gasperi, quello che era stato, per le sue tendenze conciliatrici, definito autorevolmente il principe o l’imperatore del compromesso, e l’altro De Gasperi, che considera un po’ il banco del Governo come un «ring» dove si mette bravamente a disposizione dei suoi avversari, francamente noi non sappiamo quale scegliere. Spero che dal momento che è così capace di molte reincarnazioni, venga fuori un terzo De Gasperi che sia veramente accettabile da tutti.

Ma usciamo dallo scherzo, onorevoli signori. Io penso che da tutti i punti di vista la situazione nella quale ci siamo posti è una situazione che deve far pensare, deve far pensare noi, deve far pensare l’estrema sinistra, e, soprattutto, deve far pensale i colleghi della Democrazia cristiana.

Da tutti i punti di vista. Incominciamo dal punto di vista internazionale. La presenza di Sforza al banco del Governo, come titolare della politica estera, dà la garanzia – almeno a noi – che la politica estera del nostro Paese non cambierà. Ed è per questo che noi, nella misura in cui una persona, sia pure come Sforza, internazionalmente conosciuta, può dare questa garanzia anche all’estero, gli abbiamo consigliato, quando ci ha fatto l’onore di chiedere il nostro parere, di restare a dirigere la politica estera anche in questo Governo. Però, non possiamo chiudere gli occhi dinanzi a ciò che avviene nel mondo. Questa mattina l’amico Lombardi ha accennato all’ultimo gesto del Ministro degli esteri americano Marshall, che è veramente degno degli statisti americani i quali sanno qualche volta elevarsi a concetti ed a visioni di un mondo al di là dei conflitti presenti. Non possiamo negare, però, che questi conflitti esistono in potenza, che vi sono due blocchi contrapposti che gravitano alle nostre frontiere, purtroppo mutilate e disarmate. Noi dobbiamo essere estremamente prudenti, anche nel dare l’impressione di certi nostri atti. Guai a noi se le nostre crisi interne, se la nostra politica interna avesse o apparisse avere un sottinteso di esigenze straniere. Noi siamo al punto di confluenza degli urti di questi due blocchi; noi siamo vicini, io spero, a riacquistare la nostra personalità internazionale, e quando l’avremo riacquistata, poiché è nostra missione e nostro interesse, non potremo che puntare su una politica di pace. Se l’Italia vuol vivere e risorgere, non può che fare questa politica e stendere la mano a tutti i nostri vicini facendo quanto è possibile, nei consessi internazionali e nella sua azione politica, perché i nostri vicini si stendano la mano tra loro. Questa è la missione che è affidata all’Italia, a questa zona disarmata, in questo territorio senza padrone, che altrimenti diventerebbe, in caso di guerra, il ricettacolo delle bombe atomiche e sarebbe definitivamente sconvolto e schiantato.

Ora, non so se la costituzione di questo Governo sia sufficiente a dare all’estero l’impressione esatta di questa nostra indispensabile posizione di indipendenza.

Naturalmente, ripeto, la presenza dell’onorevole Sforza – che per noi è una garanzia assoluta – e quella di tutti gli altri membri del Governo, ci permette di pensare che non è nella nostra intenzione di cambiare politica, ma bisogna guardarsi anche dalle apparenze, poiché viviamo in questo mondo e si sono viste le manovre e le pressioni in tutti gli altri paesi del Mediterraneo, e dobbiamo convenire che l’impressione che abbiamo data all’estero non è troppo tranquillizzante. Per che cosa? Per quale fallace illusione? Non è possibile che qualcuno pensi che ci siano banchieri americani che ci manderanno dollari così, che li daranno ad un Governo di parte, ad un Governo non stabile, ad un Governo che può scivolare su ogni buccia di limone, ad un Governo che per la sua costituzione stessa non può garantire quello che gli americani vogliono che sia garantito, cioè la tranquillità del lavoro e la pace sociale.

Nella politica interna noi andiamo fatalmente, onorevole De Gasperi, anche in questo campo, alla costituzione di due blocchi contrapposti: voi raccogliete intorno a voi tutte le forze di destra e vi assicuro che io ero un po’ umiliato, per i miei amici della Democrazia cristiana, delle adesioni che sono venute da quei banchi ai loro programmi e al loro Governo; perché non è questa la funzione della Democrazia cristiana quale il Paese l’ha intesa e quale la Democrazia cristiana stessa l’aveva rivelata. La Democrazia cristiana non può essere l’alfiere delle forze di reazione e di conservazione del nostro Paese. Ma se voi prendete questa funzione e se gli avvenimenti stessi, la lotta che si determinerà tra le due parti di questa Assemblea, e peggio ancora che si verificherà nel Paese, vi costringerà sempre più ad assumere la direzione dei gruppi di destra – compresi i gruppi monarchici e neo-fascisti – se questa è la funzione che voi scegliete, voi non eviterete che si formi un altro blocco dall’altra parte.

Ebbene, o signori, noi non vogliamo, noi faremo di tutto per impedire che il Paese sia ancora una volta diviso fra fìlo-comunisti e anti-comunisti, perché noi sappiamo quello che paghiamo; noi sappiamo le tragedie che ancora scontiamo, per questa divisione faziosa nel nostro Paese. Guai se i gruppi di centro, se i gruppi democratici, se i gruppi della sinistra repubblicana e socialista, guai – dico anche agli amici ragionevoli della Democrazia cristiana – se dovessimo assistere impassibili a un nuovo inevitabile urto di passioni e di fazioni nel nostro Paese.

Non siamo in periodo normale: dobbiamo completare i lavori per la nostra Costituzione, per creare i pilastri del nuovo Stato. Abbiamo a disposizione alcuni mesi di tempo e gli avvenimenti recenti ci obbligheranno anche ad assestare il nostro regime provvisorio: noi non lo potremo fare, non potremo adempiere tranquillamente al nostro lavoro, se getteremo il Paese in lotte così dette civili, ma che sono incivilissime.

Siamo dinanzi allo spettro dell’inflazione, è anzi per questo che voi avete giustificato un Governo di emergenza, avete preso dei tecnici, che evidentemente sono obiettivi; ma si è sempre obiettivi contro qualcuno.

In ogni modo, noi ci inchineremo alla sapienza, alla scienza, agli accorgimenti di questi tecnici, per salvare la lira; ma anche l’opera dei tecnici e degli esperti più agguerriti non potrà niente in un clima, che non sia un clima di serenità assoluta.

Voi avete presentato un programma di emergenza per imporre sacrifici a tutte le classi; ma i sacrifici maggiori, come sempre, saranno sopportati dalle classi lavoratrici, dalle classi a reddito fisso.

Ebbene, voi non potrete applicare questo programma senza creare al contempo le condizioni della solidarietà, della collaborazione di queste classi lavoratrici.

Io vi dirò di più; vi dirò qualche cosa che dispiacerà, forse, ai colleghi dell’estrema sinistra: voi non avete interesse a regalare al Partito comunista questa invidiabile posizione. Noi tutti, soprattutto la Nazione, non ha interesse. No, la via non è facile, la vostra navigazione sarà difficilissima.

Non andiamo incontro a tempi rosei, andiamo incontro ai grandissimi sacrifici e creeremo legioni di scontenti.

Abbiamo avuto in questo dopo guerra il fenomeno di Giannini, dell’Uomo Qualunque, che mettendosi contro il Governo e facendosi eco – a suo modo – delle delusioni, dello scontento e del dispetto dell’uomo della strada, è riuscito, contro tutte le previsioni e contro le sue speranze, a creare un partito politico.

Ebbene, permettetemi di dirvi che se è l’onorevole Togliatti che si mette a capo di tutti gli scontenti, credo che sia molto più pericoloso di Giannini.

TOGLIATTI …ma sempre nell’interesse del Paese!

PACCIARDI. Nell’interesse del Paese, come voi l’interpretate; ma non trovo indispensabile provocare i comunisti a mettersi nella condizione di farsi centro e leva di tutti gli scontenti del Paese.

Badate, che noi, finora, non abbiamo avuto scioperi, o almeno non abbiamo avuto scioperi gravi, non abbiamo avuto grandi agitazioni sociali: abbiamo avuto incidenti minimi; e questo, con tutto il doppio giuoco che voi dite, è indubbiamente un merito dei rappresentanti delle classi lavoratrici.

Le classi lavoratrici non hanno bisogno di eccitare i ferrovieri, di eccitare gli impiegati statali, di eccitare i disoccupati, di eccitare i maestri elementari che vivono con delle miserie. Non ne hanno bisogno: basta che non compiano quell’opera di moderazione che il Governo aveva sinora potuto compiere col concorso dei rappresentanti delle masse operaie.

Ma, amici della Democrazia cristiana, io debbo farvi fare un’altra considerazione: e se il vostro blocco di destra fallisse? (Commenti al centro). Quale sarebbe, in tal caso, l’altra alternativa? Voi non uscirete certamente dalla legalità repubblicana; e allora qual è l’altra alternativa? Non v’è dubbio: l’altra alternativa non è che il trionfo del blocco di sinistra, per cui uno dei tanti slogans dell’amico Nenni, che non credevo così fertile nel lanciare dilemmi tanto drammatici, «dal Governo al potere», molto probabilmente avrà la sua realizzazione, perché succede sempre così agli anticomunisti per partito preso, che preparano il letto al comunismo.

Da tutti i punti di vista da cui si guardi la situazione, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, questa presenta grandi incognite ed estremi pericoli. Qual era il mezzo che noi potevamo impiegare per arrestarvi su questa china dalla quale state precipitosamente scendendo? Se noi votassimo a favore, voi fareste la stessa politica rafforzati dalla nostra solidarietà; se ci astenessimo, voi fareste la stessa politica incoraggiati dalla nostra tolleranza. Noi non abbiamo dunque altro mezzo per tentare di arrestare la Democrazia cristiana su questo pericoloso sentiero nel quale si è messa, se non quello di votare contro il Governo. (Commenti al centro).

Non abbiamo altro mezzo, non abbiamo altra alternativa. E votando contro non vogliamo confondere i nostri voti con quelli dell’estrema sinistra, perché i nostri voti hanno solo questo significato: che noi vogliamo evitare al Paese un deprecabile urto che già si annuncia; noi vogliamo che la fazione sparisca e trionfi la Nazione.

Io, onorevole De Gasperi, nella modestia della mia persona e del Partito che rappresento, non ho voce per rivolgervi un appello che è, credetelo, commosso e accorato in questo momento: se voi avrete qualche voto di maggioranza, pesate questi voti, in questo momento, perché potranno essere delle cappe di piombo sulla vostra coscienza e sulla coscienza del Partito che voi rappresentate.

Io sono un uomo che ha vissuto sciaguratamente per tutta la sua vita nelle lotte civili di cui conosco le ebbrezze, come conosco le amarezze e le brutture: ebbene, è forse per questo, onorevole De Gasperi, che voi dovete ascoltarmi quando io vi dico: se voi avrete questi voti di maggioranza, pesateli bene e date le dimissioni lo stesso.

Certo, anche noi pesiamo la nostra responsabilità dicendovi questo; pesiamo la nostra responsabilità che deve tradursi in un atteggiamento più attivo, nostro e di questi gruppi che si sono istintivamente cercati in un’ora difficile per assumere, d’accordo con noi e con tutte le altre frazioni repubblicane, posizioni nette. Ma ascoltate, onorevole Da Gasperi, ascoltate amici della Democrazia cristiana, l’appello che viene dalla nostra coscienza, interprete – io credo – dei supremi interessi del Paese. (Vivi applausi a sinistra – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Togliatti. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. (Segni di attenzione). Signor Presidente, signore, onorevoli colleghi. È la terza volta, se non erro, oppure la quarta, – se vogliamo tener conto anche della discussione che seguì l’abbandono da parte dell’onorevole Corbino del suo posto di Ministro del tesoro – che noi in questa Assemblea discutiamo della formazione di un governo, del suo programma, del modo come esso si presenta a noi. E tutte le volte, fatta eccezione forse per la prima, abbiamo sentito che le nostre discussioni erano dominate da un certo imbarazzo. Non è mai avvenuto che le cose fossero chiare completamente; non è mai avvenuto che tutta l’Assemblea comprendesse bene di che si trattava. Non siamo mai stati messi in condizione di confrontare il risultato di quello che si presenta a noi come governo nuovo con un precedente deliberato o almeno con una precedente discussione e un precedente schieramento dell’Assemblea. Questo non è mai avvenuto.

La cosa grave, caratteristica, però, del regime nel quale noi viviamo – dirò poi di certi particolari aspetti costituzionali di questo regime – è che nel modo come le differenti crisi scoppiate in regime repubblicano sono state aperte, condotte, manovrate, chiuse, vi è sempre stato qualche cosa, che, per lo meno, dimostra che noi non siamo ancora ritornati, con piena coscienza e convinzione, alla retta pratica del regime democratico e parlamentare.

A gennaio la crisi scoppiò senza un voto dell’Assemblea, e certo fu difficile comprendere perché fosse scoppiata, dal momento che volevamo respingere determinate, antipatiche interpretazioni; e alla fine assistemmo alla esclusione dal governo dei partiti che si sogliono chiamare del centro sinistra. E la cosa non fu chiara.

Oggi ci troviamo di fronte a una rottura più larga. Si apre oggi una scissione, la quale non solo mette da una parte e dall’altra due patti quasi uguali di questa Assemblea, ma è soprattutto una scissione la quale separa, – come testé diceva l’onorevole Pacciardi, e lo diceva, credo, con preoccupazione – i tre grandi partiti i quali raccolsero nelle elezioni del 2 giugno la grande maggioranza dei suffragi e li raccolsero avendo condotto nel Paese (isolato il problema istituzionale, ove la posizione di uno di questi partiti fu equivoca) sulle questioni fondamentali della ricostruzione della nostra Patria, sulle questioni economiche e sociali decisive per la vita degli italiani, una propaganda analoga, agitando programmi i cui punti fondamentali all’ingrosso corrispondevano e persino coincidevano, talora.

Il fatto è grave e noi siamo tenuti oggi a porci il problema: perché questa rottura? Perché è divisa in questo modo oggi la nostra Assemblea? Perché si sono divisi in questo modo e si affrontano oggi in una battaglia, che qualcuno ha voluto prevedere senza esclusione di colpi (quantunque io non sappia bene che cosa questa frase possa significare), e che certamente sarà una battaglia aspra, o che potrebbe divenirlo per lo meno molto presto, questi tre grandi partiti?

Vediamo: in che cosa furono divisi questi partiti nel periodo che immediatamente precorse la crisi, cioè nel corso dei due, tre, quattro mesi precedenti? Non vi fu divergenza sostanziale di opinioni relativamente al giudizio sulla situazione economica e politica del Paese. Non vi fu! Vi furono sfumature diverse e anche stonature, lo ammetto; vi fu da parte degli esponenti del partito democristiano, e particolarmente del Ministro del tesoro e del Presidente del Consiglio, una particolare accentuazione di toni allarmistici e di pessimismo, che altri partiti invece respingevano o avrebbero voluto che fossero moderati.

Ritengo che questi toni facessero già parte dell’orchestrazione della crisi attuale, e del resto tutti ne sono convinti ormai, tanto è vero che non appena il risultato fu raggiunto, i foni furono abbassati e coloro che prima avevano parlato di catastrofe imminente dissero: «No, la catastrofe non è poi tanto vicina, la catastrofe non ci sarà nemmeno», cioè ritornarono a quella che era stata sempre la posizione nostra, dei compagni socialisti e dei colleghi della sinistra democratica. Vi fu essenziale concordanza, quindi, nel giudizio della situazione. Vi fu anche concordanza – ritengo – nel determinare gli obiettivi fondamentali dell’azione economica e politica del governo nel momento presente, e dal Presidente del Consiglio e dai ministri di parte democratica cristiana, e da noi e dai colleghi socialisti indicati, prima di tutto, come necessità di salvare la lira, di lottare contro l’inflazione, di evitarne il pericolo ad ogni costo, perché tutti abbiamo sentito che questo pericolo minaccia tutti i cittadini italiani e in modo particolarmente grave le classi lavoratrici e i risparmiatori meno abbienti (gli abbienti sfuggono sempre a questo pericolo), e in secondo luogo come necessità di difendere il tenore di vita delle classi lavoratrici che noi sentiamo minacciato altrettanto quanto è minacciata la stabilità della nostra valuta. Queste due necessità primordiali sempre sono state poste assieme, e dal partito democratico cristiano e dai suoi esponenti al governo e da noi.

Concordanza, quindi, se non piena coincidenza, anche a questo proposito.

Quanto al programma del governo, al momento della costituzione del precedente governo un programma vero e proprio non ci fu. Furono tracciate alcune direttive generali; in seguito, però, aggravatasi la situazione, il governo e i partiti che ne facevano parte se ne preoccuparono, il partito della democrazia cristiana precisò la sua posizione, noi precisammo la nostra in una risoluzione sulle questioni economiche urgenti del nostro Paese, i compagni socialisti precisarono le posizioni loro. Il complesso dei problemi venne dibattuto nel governo. Ne risultò quel piano dei 14 punti, buoni o cattivi che fossero, di cui molti hanno parlato, e di cui non desidero trattare nei particolari. Certo è che qui pure troviamo un punto di convergenza, di coincidenza e convergenza fra i partiti che costituivano il governo.

Un problema si staccava dagli altri, quello della necessità di un aiuto dall’estero e di esso mi occuperò in seguito. Fin d’ora però è necessario dire che, anche a proposito di questo problema, un dissenso fondamentale aperto fra i differenti partiti che costituivano il governo, anzi fra tutti i partiti dell’Assemblea, non c’è mai stato, e non vi è. Quindi non vi erano qui ostacoli o difficoltà da superare. Nessuno disse che non si dovesse mandare una missione negli Stati Uniti per risolvere le pendenze colla Repubblica nord-americana e trattare la questione degli aiuti passati, presenti e futuri che da quella parte possono venire alla nostra economia per la ripresa e la resurrezione del nostro Paese. Nessuno si oppose; anzi, a capo della missione, che andò a trattare questi problemi, fu posto un collega di parte socialista. Il dissenso quindi non poteva essere, e non era, su questo punto, che poi ha avuto così grande rilievo nelle polemiche della stampa gialla e della stampa nera, chiamatela voi come volete.

Tutto questo sta bene: si dice però che il governo non funzionava e ciò, naturalmente a causa del doppio giuoco dei comunisti. E che cosa non si dice dei comunisti?

Esaminiamo anche questa questione. La crisi, diciamo così del doppio giuoco, fu quella del mese di gennaio. Essa venne aperta, non so se in territorio italiano o in territorio straniero, da una dichiarazione, mi pare, in cui si chiedeva ai comunisti di dire ciò che essi volevano, di assumersi l’impegno di applicare il programma governativo, e così via. È evidente che si alludeva a questo problema, e confesso che quando, nel mese di gennaio – aperta la crisi – mi recai al primo colloquio con l’onorevole De Gasperi, pensavo che il dibattito sarebbe stato su questo punto. Il dibattito non fu su questo punto. L’onorevole De Gasperi mi parlò, sì, della necessità di una solidarietà ministeriale. Credo che non potesse attendersi da me un rifiuto, una riserva nemmeno, ma, quando si venne al concreto, si limitò a parlarmi della sconvenienza che giornali di differenti partiti, partecipanti al governo, pubblicassero resoconti non ufficiali delle sedute del Consiglio dei Ministri. Siccome questa abitudine non era dei nostri giornali, ritenni che la questione non ci riguardasse.

Nel mese di maggio la questione del doppio giuoco, nelle conversazioni fra l’onorevole De Gasperi e me, non venne nemmeno toccata. Vi fu, al solito, il rimprovero che i dirigenti dei partiti, quando si incontrano, sogliono muovere l’uno all’altro circa la asprezza della polemica che viene condotta dalle rispettive organizzazioni periferiche. Anche questa volta si fu d’accordo nel riconoscere che torti vi erano dall’una e dall’altra parte. Quando si è voluto cercare un motivo che giustificasse la crisi, gettandone la responsabilità sopra il nostro partito che in questo modo si sarebbe reso colpevole di aprirla violando determinate norme di solidarietà ministeriale, credo si sia trovata in tutto e per tutto una frase nell’articolo scritto da un resocontista parlamentare che riferiva voci diffuse, per i corridoi di Montecitorio, cose di cui nessuna direzione di partito è responsabile, perché nei nostri giornalisti è invalsa l’abitudine di raccogliere e riferire voci di ogni genere e viene loro lasciato da tutti piena libertà di farlo.

È verissimo che noi, pur essendo nel governo, abbiamo sempre avuto l’abitudine di criticare determinati aspetti dell’attività di questo governo; ma lo abbiamo sempre fatto o per sottolineare il mancato adempimento di punti programmatici stabiliti in comune all’atto della costituzione del governo stesso, oppure per frenare certa tendenza che notavamo nella parte democristiana, con la quale collaboravamo, a una eccessiva invadenza, all’occupazione di una quantità eccessiva di posti, mentre ritenevamo e riteniamo che occorra in questo campo venga data prova di maggiore imparzialità e serenità, soprattutto da parte dei dirigenti e dei Ministri di un governo di coalizione.

Quando si aprì la crisi di che cosa dunque si parlò? Si parlò di attrarre all’opera governativa determinati elementi tecnici che potessero aiutare il governo con i loro consigli. Da parte nostra non venne fatta opposizione. Dicemmo: «Va bene, discuteremo i nomi». Ci venne posta la questione della necessità di ricercare una più larga unità politica facendo ritornare in seno al governo quei partiti che erano stati nei precedenti governi e nel mese di gennaio ne erano usciti. Acconsentimmo; non potevamo non acconsentire. Quando si trattò della composizione del nuovo Gabinetto credo che vi fu un solo partito, il liberale, che pose la sua esclusiva contro di noi; ma è proprio con questo partito che l’onorevole De Gasperi ha finito per mettersi d’accordo. Noi non ponemmo nessuna esclusiva: discutemmo degli orientamenti e del carattere di determinate formazioni politiche, onorevole Giannini, il cui sviluppo e le cui prospettive sono problematici per gli stessi loro dirigenti. Dato questo carattere problematico del futuro sviluppo di queste formazioni è ragionevole vi sia in noi un dubbio circa la loro attuale democraticità.

Quando l’onorevole Nitti si assunse, nonostante il grave carico dell’età, l’incarico di tentare la formazione di un governo di larga unità, sentimmo anche noi, all’inizio, quello che diceva stamane l’onorevole Lombardo. Nella prima conversazione dell’onorevole Nitti sentimmo qualcosa che ci ricordava una democrazia molto lontana da noi nei suoi metodi di vita e di funzionamento. Devo, però, riconoscere che, nel corso delle ulteriori conversazioni, sentimmo la crescente comprensione dell’onorevole Nitti sia per quel che si riferisce al programma, sia per quel che si riferisce al peso, che i partiti, come sono oggi organizzati nel Paese ed in questa Assemblea, devono avere, anche quando si tratta della composizione del governo. Avemmo la netta impressione che da parte dell’onorevole Nitti si facesse un onesto sforzo di avvicinamento ai nostri punti di vista. Fummo grati di ciò all’onorevole Nitti e appoggiammo lealmente il suo tentativo.

Ad un certo punto però, fallito questo tentativo, le cose cominciarono a porsi in maniera alternativa, fra una parte, che poneva condizioni esclusive, ed era la parte liberale, e coloro che cercavano l’unità e chiedevano che venissero rispettate determinate esigenze di programma, tra i quali eravamo noi stessi, che a un certo programma eravamo legati. Fu allora che l’onorevole De Gasperi dovette scegliere. Ed egli, che era partito con l’intenzione di fare il più largo governo di unità democratica che fosse possibile (tali almeno erano le sue dichiarazioni iniziali) si trova a dover scegliere: da una parte, i partiti delle sinistre coi loro 263 voti, che egli ha sempre ottenuto e avrebbe continuato a ottenere senza difficoltà eccessive, e dall’altra i 67 voti dell’estrema destra e della destra, del partito dell’onorevole Giannini, di quel partito liberale, che aveva posto l’esclusiva contro una parte dell’Assemblea, e dell’estrema destra monarchica legittimista. E l’onorevole De Gasperi ha fatto la sua scelta: ha scelto i 67 voti e non i 263. Ecco la politica unitaria dell’onorevole De Gasperi. È evidente che fin dall’inizio – in questo concordo col giudizio dato dall’onorevole Nenni – era nell’onorevole De Gasperi questa intenzione. Bisognava escludere dal governo noi; di rimbalzo veniva escluso anche il partito che è nostro alleato; il partito socialista. Forse all’inizio De Gasperi non desiderava la esclusione dei partiti del centro sinistra, dei repubblicani cioè e degli altri. Egli desiderava però la nostra esclusione e da questa venne infine anche quella. Ho davanti a me l’immagine del senso di sollievo che vidi dipingersi sul viso dell’onorevole De Gasperi, nell’ultimo incontro, che condusse alla conclusione, quando ebbe trovata la via che doveva portare alla nostra esclusione. Egli era arrivato, finalmente, là dove voleva arrivare.

Ed ora ci troviamo di fronte a questo governo, che è di una sola parte dell’Assemblea, alleata, non sappiamo se in modo temporaneo o permanente, coi gruppi della destra e dell’estrema destra.

Desidero, prima di tutto, porre la questione della legittimità e costituzionalità di questo governo. Desidero porla, perché non si creda che nell’impiego, che noi facciamo, di determinate qualifiche e del governo e del presidente, noi ci abbandoniamo soltanto ai piaceri della polemica; no, ciò che diciamo nella nostra agitazione corrisponde al modo come noi giudichiamo il governo sul terreno strettamente giuridico e costituzionale.

Prego gli onorevoli colleghi di avere un po’ di pazienza, perché desidero, a questo proposito, esporre loro con precisione il mio pensiero.

Noi siamo partiti da un regime costituzionale eccezionale, quale fu definito nel decreto-legge luogotenenziale dei 25 luglio 1944, autore l’onorevole Bonomi. All’articolo 4 di questo decreto si dice che finché non sarà entrato in funzione il nuovo Parlamento i provvedimenti aventi forza di legge sono deliberati dal Consiglio dei Ministri.

Regime eccezionale, dunque. Conseguenza politica di questo regime eccezionale: l’esarchia, inevitabilmente, perché tutti i partiti i quali partecipavano al Comitato di liberazione nazionale – e allora il Comitato di liberazione nazionale lasciava fuori soltanto i partiti che non volevano aderirvi, come il partito repubblicano o altri partiti di recente formazione e che anch’essi respingevano l’adesione a quel blocco – avevano il diritto di essere presenti in un Governo al quale dalla legge stessa erano attribuite facoltà legislative. Da questa posizione fino al 2 giugno non ci si stacca.

Il 2 giugno il regime costituzionale cambia, ma anche dopo il 2 giugno rimane un regime di eccezione. Noi abbiamo infatti qui davanti a noi un’Assemblea di un tipo speciale; essa non è un Parlamento; essa è un’Assemblea Costituente, la quale ha per sua funzione di fare la Costituzione e alla quale inoltre sono attribuiti, nei confronti del Governo, soltanto determinate funzioni. Difatti all’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale del 16 marzo 1946, che determina il potere di questa Assemblea, è detto che durante il periodo costituente, fino alla convocazione del Parlamento, il potere legislativo resta delegato al Governo, salvo la materia costituzionale, e fatte alcune eccezioni (legge elettorale, trattati internazionali e così via).

Il governo è responsabile di fronte all’Assemblea, ma questa responsabilità è di un tipo del tutto speciale, tanto è vero che l’Assemblea non dà voto di fiducia al Governo, dà soltanto voto di sfiducia; cioè ha una funzione completamente diversa da quella di un Parlamento, funzione che poi venne leggermente modificata, su proposta dell’onorevole Calamandrei, ma non radicalmente cambiata.

Anche nel regime costituzionale eccezionale, dunque, in cui oggi viviamo, il potere legislativo è delegato al governo, e l’Assemblea non ha, nei confronti del Governo, le funzioni di un Parlamento normale. Di qui la conseguenza di cui ci rendemmo tutti molto bene conto quando discutemmo in seno al Consiglio dei Ministri dell’esarchia di questo decreto e lo portammo poi, per l’approvazione definitiva, alla Consulta. Noi prevedevamo allora, e credo lo prevedessero tutti o quasi tutti i partiti che allora partecipavano al governo, che fino al nuovo Parlamento il governo sarebbe stato del tipo del governo precedente, cioè si sarebbe sempre sforzato di avere la più larga base nell’Assemblea, attraverso l’adesione del maggior numero possibile di partiti. Sarebbe stato, insomma, un governo del tipo precedente, con le correzioni portate dal suffragio universale per quello che si riferisce alla sua composizione e al peso specifico dei partiti stessi. Ecco, secondo me, quale è il regime politico, che corrisponde esattamente al regime costituzionale di eccezione, quale risulta da questa legge. Il governo attuale non corrisponde più a questo regime, in quanto è governo di una sola parte, che ha rotto il tacito patto che esisteva fra di noi, di andare avanti insieme, sia pure con difficoltà, fin che avessimo avuto la nuova Costituzione e il nuovo Parlamento, ed insieme esercitare il potere legislativo, facile o difficile che fosse questo compito.

Questo patto è stato rotto e non ha nessun valore l’argomento che mi venne opposto dall’onorevole De Gasperi quando io feci per la prima volta questa osservazione, ed egli mi disse: «Se ci sarà la maggioranza, tutto sarà legittimo!». No, il problema non è questo. Non qualsiasi maggioranza, dato l’attuale regime costituzionale di eccezione, legittima un governo, ma solo la maggioranza che corrisponda a quel regime politico che abbiamo voluto continuasse a sussistere fino all’entrata in vigore della nuova Costituzione. (Interruzioni al centro e a destra).

Non vale quindi la regola che un voto di maggioranza basta per governare. Essa non vale perché ci troviamo in una situazione anormale, ed è questo il motivo, collega Lombardi, di quel difetto che tu trovi nei governi del tripartito, per cui i Ministri anche quando sono in disaccordo non si dimettono. Sono in disaccordo e non si dimettono perché attraverso le discussioni, e direi anche le opposizioni che si possono verificare in seno al governo, si elabora la volontà legislativa del Paese. (Commenti al centro). E non vale criticare questa situazione. Attraverso di essa e con tutti i difetti che essa porta con sé, siamo riusciti a trarci dalla situazione che tutti sappiamo, abbiamo portato il Paese alla situazione cui l’abbiamo portato e questo è un grande, innegabile merito della democrazia (Applausi a sinistra). Se volevamo raggiungere questo risultato, dovevamo per forza trovare forme di regime costituzionale transitorio, forme di compromesso e di funzionamento anche eccezionale del Governo. È bene averlo fatto; è bene aver pazientato, anche se questo alle volte metteva davanti a tutti noi, davanti ai partiti, davanti ai Ministri, al governo, al Presidente del Consiglio compiti eccezionali.

Ma adesso che faremo? Cambiare il carattere dell’Assemblea Costituente? Sarebbe logico, ma è pericoloso e nessuno di noi lo consiglia. È pericoloso, perché creeremmo di colpo una situazione costituzionale nuova, senza che intervenga la volontà popolare. Creeremmo pure un precedente molto pericoloso. Questa Assemblea potrebbe in tal caso prolungarsi a tempo indeterminato. Una correzione di questo genere quindi non può essere consigliata, pur essendo logica costituzionalmente. La correzione che deve essere fatta è l’altra. Il governo deve ritornare a essere un governo il quale rappresenti la grande maggioranza dell’Assemblea, che non abbia una maggioranza più o meno numerosa, più o meno stabile, trovata attraverso una crisi politica manovrata nel modo che abbiamo visto manovrare questa, una maggioranza che sia l’espressione di tutto quel blocco democratico e repubblicano che si era impegnato a restare unito per fare la Costituzione, uscire dai frangenti attuali, convocare il popolo nei comizi ed instaurare quindi il nuovo Parlamento della Repubblica italiana. (Applausi a sinistra). Questa però, è forma, onorevole Lucifero. Qual è la sostanza? La sostanza è che si sono voluti escludere dalla partecipazione al potere quei partiti i quali più direttamente sono legati alla classe operaia e alle altre classi lavoratrici. (Proteste al centro e a destra – Approvazioni a sinistra).

Colleghi di parte democristiana, vi invito alla calma, perché questo non è che l’inizio della mia critica: v’è di peggio. (Si ride). Quando si chiede di escludere dal potere questi partiti, in sostanza che cosa si vuole escludere dal potere? Si vuole escludere il socialismo italiano, perché questi due partiti, il comunista e il socialista, rappresentano, nelle loro due branche, con le loro affinità e con le loro differenze, questo grande movimento di progresso e di libertà che è stato il movimento socialista italiano. (Applausi a sinistra). E qui sta il grande valore storico della partecipazione al potere dei nostri partiti, qualunque cosa essa potesse costare come grattacapi a un Presidente del Consiglio qualunque. (Interruzioni a destra ed al centro). Era un grande fatto nuovo, che ha influito, in modo decisivo, sull’orientamento degli operai e delle masse lavoratrici, tanto del Nord quanto del Sud, tanto delle campagne quanto delle grandi città industriali, perché si presenta come il risultato e in pari tempo come il generatore di nuovi orientamenti politici delle masse lavoratrici, di orientamenti politici nazionali e costruttivi. La partecipazione al potere di questi nostri partiti – ripeto – qualunque grattacapo potesse costare a un Presidente del Consiglio qualunque (Interruzioni al centro e a destra), è una delle più grandi conquiste della guerra di liberazione. Non possiamo dimenticare che l’iniziativa della guerra di liberazione non fu presa da altri gruppi sociali, no, fu presa dai lavoratori!

CAPUA. Lei non c’era! (Vive proteste a sinistra – interruzioni).

Una voce a sinistra. Voi eravate a Pescara!

TOGLIATTI. Furono i lavoratori che dettero coraggio agli altri gruppi sociali e alle altre classi, incitandoli alla lotta, raccogliendo i dispersi attorno alle bandiere della Patria che doveva essere difesa e liberata. (Interruzioni a destra). Il merito di questo non spetta a singoli partiti politici, perché i lavoratori che ebbero l’iniziativa della lotta erano di tutti i partiti: essi dimostrarono però di essere il nucleo sano della Nazione. Orbene, i lavoratori, mentre combattevano e cadevano per la libertà del Paese, pensavano di combattere e di cadere anche per affermare il loro diritto a essere una delle forze dirigenti della ricostruzione. Questo diritto oggi viene loro contestato.

Di che cosa si accusa la classe operaia? Di che cosa si accusano i lavoratori? Cosa hanno fatto per meritare questa esclusione da parte di un Presidente del Consiglio qualunque… (Prolungati rumori al centro e a destra – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prego di non interrompere!

TOGLIATTI. Desidero dare un chiarimento: io non ho mai detto, come non dico, che il Partito della democrazia cristiana non abbia la rappresentanza di determinati gruppi di lavoratori. Questo non l’ho mai detto e non lo dirò, perché sarebbe un errore, una falsità storica. Ma dico che il Partito comunista e quello socialista sono quei partiti che rappresentano per lo meno la stragrande maggioranza dei lavoratori organizzati nei sindacati. (Commenti al centro).

Vediamo dunque che cosa si rimprovera alla classe operaia e ai lavoratori. Sono gli operai, sono i lavoratori che hanno difeso e salvato dalla distruzione le fabbriche. Non solo, ma gli operai, avvenuta la liberazione, hanno compreso la situazione, dando prova di un mirabile senso politico e nazionale. Essi hanno compreso che l’aver salvato le fabbriche non li autorizzava a porre il problema di una immediata trasformazione socialista della società. L’onorevole Cappi, mi pare, l’altro giorno, sviluppava ampiamente la tesi che i ceti produttori capitalistici hanno diritto di vivere e di contribuire alla ricostruzione del Paese. Onorevole Cappi, se ella fosse un po’ meno ciceroniano, cioè retore, e un po’ più cristiano, cioè rispettoso della verità dei fatti, avrebbe potuto informarsi ed avrebbe saputo che la stessa posizione l’abbiamo sostenuta noi, l’ha sostenuta il Partito socialista, l’ha sostenuta e la sostiene la Confederazione generale del lavoro. Sappiamo benissimo che per la ricostruzione del Paese sono necessarie queste forze e infinite volte abbiamo detto loro: «Collaboriamo», e abbiamo teso loro la mano, abbiamo elaborato programmi di ricostruzione di fabbriche, di zone industriali, di città, di provincie intiere. D’accordo con uomini di questa classe abbiamo avuto, poco fa, un convegno di ricostruzione economica al quale partecipava, insieme coi rappresentanti più avanzati del pensiero economico sociale e socialista, credo persino uno dei Ministri che siede ora al banco del governo.

Quindi, questa accusa cade nel vuoto, questa critica non regge, questo argomento non serve a giustificare questo governo.

Ma gli operai hanno fatto di più: hanno moderato il loro movimento, l’hanno frenato, l’hanno contenuto nei limiti in cui era necessario contenerlo per non turbare l’opera della ricostruzione. Hanno accettato la tregua salariale, cioè una sospensione degli aumenti salariali, senza che vi fosse la corrispondente sospensione degli aumenti dei prezzi. Hanno trattato recentemente la proroga di questa tregua, cioè hanno dimostrato capacità di direzione politica ed economica nella vita del Paese. Nulla si può rimproverare agli operai, ai lavoratori e quei partiti dei lavoratori che meglio li rappresentano non possono essere l’oggetto della manovra di cui sono stati oggetto.

E i Ministri che hanno rappresentato questi partiti nel Governo? Non ho mai sentito una critica seria, fondata, a questi Ministri. Anzi, tutte le volte che, confidenzialmente, si è parlato con i colleghi di altre parti, si è sentito dire che comunisti e socialisti, al governo, vanno benissimo sia politicamente che tecnicamente. Sotto la tua direzione, caro Ferrari, gli operai hanno ricostruito le ferrovie, e non so se tu hai lavorato alla loro testa come politico o come tecnico. Credo tu abbia assolto a entrambe le funzioni assai bene. Ora però si è trovato che ci vogliono i tecnici. Ma stiamo attenti, perché, se Ferrari era anche un tecnico, egli però è l’uomo che ha avuto un figlio fucilato dai tedeschi e dai fascisti là, sulle montagne del Parmense, ed egli stesso è stato a capo del comando unico delle formazioni dei Volontari della libertà della sua provincia. Egli è dunque a posto e come tecnico e come politico.

Noi non siamo contro l’utilizzazione dei tecnici; e vi sono senza dubbio tecnici di grandissimo valore che occorre utilizzare. Però non possiamo dimenticare che al posto di Ferrari vi è oggi uno di questi tecnici, il quale ha al suo attivo dieci anni di iscrizione alla milizia volontaria per la sicurezza nazionale…

Una voce a sinistra. Vi sono dei fascisti al Governo! (Proteste al centro – Commenti – Applausi a sinistra).

TOGLIATTI. Fra l’uno e l’altro il popolo saprà scegliere. (Applausi a sinistra).

La costituzione di questo Governo apre dunque una crisi profonda nella democrazia italiana, perché è la rinuncia temporanea a una grande conquista delle classi lavoratrici, e rappresenta quindi parecchi passi fatti all’indietro nello sviluppo della democrazia repubblicana. Chi ha voluto questo? È errato credere che si tratti soltanto della volontà di un uomo o di qualche uomo. No, si tratta prima di una resistenza ostinata e consapevole, poi di una lotta altrettanto consapevole e ostinata di gruppi conservatori e di ceti reazionari, i quali ritengono di essere investiti, per diritto divino, cioè perché posseggono la maggior parte delle ricchezze del Paese, della facoltà di governare il Paese da soli, escludendo quei partiti che rappresentano in modo più diretto gli operai e le classi lavoratrici. Per determinati organismi, credo si tratti di una posizione persino di principio.

L’onorevole De Gasperi ha avuto un accenno, se non erro, a una sua conversazione del 1924 con l’onorevole Matteotti, nella quale egli aveva esaminato favorevolmente la possibilità di arrivare a una collaborazione fra il Partito popolare e il Partito socialista per salvare la democrazia in extremis. L’onorevole De Gasperi sarà in grado di ricordare quale aspra rampogna gli venne da autorevolissima sede per la posizione da lui presa allora. La realtà è che esistono forze e organizzazioni conservatrici e reazionarie, le quali vogliono sbarrare la strada al progresso della democrazia e a questo preciso scopo si oppongono a che le classi lavoratrici accedano al governo.

Ed è inutile che parliate di comunismo, che sbandieriate ad ogni passo questo spauracchio, come già una volta lo spauracchio socialista. È inutile: oggi, se voi volete davvero la collaborazione sul terreno governativo, a scopo ricostruttivo e nazionale, con la classe operaia e con le altre classi lavoratrici, dovete ricercarla col Partito comunista. Una grande parte, infatti, e in città e in regioni intiere, la maggioranza degli operai e dei lavoratori seguono questo partito. Questo è un fatto, che non mi interessa ora esaminare se sia soltanto del nostro Paese. Certamente questo non avviene ancora negli Stati Uniti, ove il problema si porrà quindi ora in modo diverso; ma qui è così. Tutta la campagna anticomunista che viene svolta dalla stampa gialla e nera, tende perciò, essenzialmente, al solo scopo di impedire che venga risolta la questione della collaborazione positiva, economica, politica, dei lavoratori alla ricostruzione nazionale e quindi al governo, questione che deve essere risolta, se vogliamo far progredire la storia del nostro Paese, se vogliamo creare nuove situazioni politiche e non continuamente segnare il passo sulle vecchie situazioni politiche ormai putrefacentisi.

Devo riconoscere che per molti di voi, cresciuti in clima diverso, questo nuovo compito che la storia vi pone rappresenta qualcosa di ostico. Si è troppo abituati alle formule conservative e politiche del secolo passato; lo dimostra, tra l’altro, il fatto che lo stesso onorevole Nitti ci ha dichiarato, alla fine del suo discorso, che egli non voterà contro questo governo; egli che pure non ha mai trovato difficoltà a votare contro i governi nei quali noi eravamo, insieme con i socialisti.

Credo che anche l’onorevole Benedetto Croce, quando a Salerno, per la prima volta, e in poche ore, sotto l’urgenza delle necessità della guerra e per salvare l’integrità e l’unità d’Italia allora minacciata, risolvemmo in modo positivo il problema della partecipazione di comunisti e socialisti al governo, credo, ripeto, che allora anche l’onorevole Benedetto Croce avesse qualche riserva in merito al nostro ingresso al governo, come forza nazionale e costruttiva. E quella posizione è stata poi tramandata ad altri; direi che si è consolidata nella campagna del partito liberale per l’esclusione dal governo dei comunisti…

CORBINO. Per l’esclusione, no.

TOGLIATTI. Sì!

CORBINO. Noi ce ne andiamo, fatelo voi il governo.

TOGLIATTI. È la stessa cosa. Strana pretesa quella dei liberali. Sono quattro noci in un sacco e vorrebbero tracciare loro la strada al mondo; ma il mondo va per conto suo, vota per questa parte, si schiera da questa parte, si orienta da questa parte. Voi non mirate ad altro che a mandare a ritroso il corso della storia; ma questo non vi riuscirà, non vi può riuscire, anche se oggi avete trovato un Presidente del Consiglio qualunque che vi ha favorito.

Ad ogni modo, ripeto che in tutti i governi finora esistiti e fondati sulla larga partecipazione di tutti i partiti democratici e di tutte le forze popolari, ci siamo trovati di fronte a una ostilità di gruppi capitalistici conservatori, rappresentanti di ceti privilegiati. Questa ostilità si è espressa, prima, nel sabotaggio: oggi si esprime nel tentativo di rompere quella unità di forze popolari che eravamo riusciti a costruire e mantenere. Domani, Dio voglia che questa stessa volontà non si esprima in una offensiva aperta contro le forze più avanzate della democrazia e del progresso sociale. Questo potrebbe essere, per l’Italia, l’inizio di una nuova rovina!

Certo, l’onorevole De Gasperi in tutto questo giuoco ha avuto una parte, e una parte di primo piano. Ho sentito dire che De Gasperi è un onesto democratico. Farei qualche riserva: lo definirei piuttosto un buon conservatore.

Per essere un democratico onesto, mi pare che manchino all’onorevole De Gasperi alcune qualità, che io non dispero però egli possa acquistare sotto lo stimolo dell’amichevole critica anche di questa parte dell’Assemblea. (Commenti al centro). Prima di tutto mi pare manchi all’onorevole De Gasperi una qualità che è indispensabile nell’uomo politico che deve guidare le sorti di una democrazia in un momento così delicato e difficile: l’oggettività. (Commenti). Sì, l’oggettività, l’imparzialità, la capacità di comprendere le posizioni dei singoli partiti per ciò che esse realmente sono, senza travisarle, senza farle oggetto di una tortuosa e complicata ricerca di oscure intenzioni.

Quando vi è, per esempio, una risoluzione del Partito comunista che propone determinate misure economiche le quali si riferiscono al presente immediato, ma si riferiscono anche all’avvenire, e indicano una via di sviluppo che è una via di collaborazione di tutte le forze che possono dare un contributo alla rinascita del nostro Paese, ebbene, egli è tenuto a credere che quella è la posizione dei comunisti, e non un’altra.

Lo so benissimo che, quando si fa dell’agitazione elettorale, alle volte ci si lascia prendere dalla tentazione di dire delle bugie per mettere l’avversario nell’imbarazzo. Lo so benissimo. È molto male però, onorevole De Gasperi, quando un uomo politico crede alle proprie bugie: è la peggior cosa. (Commenti – Si ride).

Una voce a destra. Nosce te ipsum.

TOGLIATTI. Il Presidente del Consiglio, nelle sue conversazioni con un partito come il nostro, il quale non chiede altro se non che le sue posizioni politiche siano prese per quelle che sono, così come esso le espone e come lotta per realizzarle, è di queste posizioni che deve tener conto, e non di altro.

Ho sentito una volta un vostro deputato, poiché si era accennato alle vostre intenzioni che sarebbero diverse da quello che voi dite, protestare con vigore, dire che alle vostre intenzioni non si deve fare il processo. Ebbene, lo stesso vale per noi. Tutti siamo per questo allo stesso livello, e l’applicazione generale di questa norma, che è norma di buona fede, è essenziale per il funzionamento di una democrazia, perché è la sola norma che permetta la convivenza e la collaborazione di tutti i partiti.

Una voce a destra. L’onorevole Togliatti sta facendo il suo autoritratto.

TOGLIATTI. Altrimenti non è possibile far funzionare un regime democratico; altrimenti, scusi, onorevole Giannini, accadrà che non penseremo ad altro che a fregarci l’uno con l’altro.

L’abbandono di questa norma può essere cosa fatale per una democrazia che ha ancora bisogno di consolidarsi e che, per consolidarsi, ha bisogno dell’unità…

Una voce a destra. Ah, ecco: ha bisogno dell’Unità.

TOGLIATTI. …delle sue grandi forze politiche.

Mi pare poi che manchi a lei, onorevole De Gasperi, un’altra qualità: quella di rispettare gli impegni e i patti conclusi. (Proteste al centro – Commenti prolungati). È per ciò che ci siamo trovati molte volte, nel governo, in un grande imbarazzo, perché da un lato avevamo gli impegni presi con il Paese, con i lavoratori che guardano al governo, dall’altro avevamo continuamente la dilazione, il rinvio, la correzione, il riesame, il ritocco, e così via.

Un esempio per tutti: il lodo De Gasperi.

Una voce a destra. Avete votato contro. (Commenti).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore.

TOGLIATTI. Non l’abbiamo fatto noi quel lodo: l’ha fatto De Gasperi; esso però faceva parte del primo programma del primo governo della Repubblica.

Ed è passato quasi un anno, e sono passati due Governi, prima che si arrivasse alla traduzione pratica della promessa fatta di convertirlo in legge. E lo stesso si può dire per molte altre cose. Per i consigli di gestione, ad esempio. Rileggete la vostra risoluzione del giugno, subito dopo le elezioni, dove, come uno squillo di tromba, annunciate come una grande conquista della Repubblica democratica la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, e poi andate a vedere dove sono andate a finire, per opera vostra, tutte le proposte di legge su questo tema. È questa una di quelle questioni che fino ad oggi ci siamo trovati nell’impossibilità di risolvere. E lo stesso si potrebbe dire per il cambio della moneta e molte altre cose ancora. Questo è il vero doppio giuoco che ha paralizzato finora l’azione di tutti i governi presieduti dall’onorevole De Gasperi.

Infine, mi permetta, onorevole De Gasperi, la critica forse più acerba che vorrei farle, è che se in tutti i partiti cattolici d’Europa in generale è scarso lo spirito nazionale, in lei questo spirito nazionale è particolarmente scarso. (Applausi a sinistra – Vivaci proteste al centro e a destra – Rumori – Interruzioni).

Mentre invece riconosco nell’onorevole De Gasperi notevoli qualità di organizzatore: di organizzatore, però, della lotta elettorale del suo partito. (Commenti al centro).

Soltanto, ritengo, vi siano spesso momenti in cui gli interessi elettorali del suo partito hanno in lui il sopravvento sulla considerazione degli interessi generali del Paese e della democrazia. (Applausi a sinistra – Proteste al centro e a destra).

E veniamo ora al programma: il quale consta, se bene ho compreso, di due parti o due punti essenziali. Primo punto, le elezioni a breve scadenza; secondo punto, le questioni economiche: salvezza della lira, imposta patrimoniale e, quindi, i 14 punti del precedente governo.

Disgraziatamente il primo punto è già caduto, non se ne parla più. Le elezioni a breve scadenza, che furono annunciate da De Gasperi nel suo discorso di presentazione del nuovo governo come una proposta del governo stesso, sono state seppellite coi voti del partito dell’onorevole De Gasperi. (Commenti al centro).

Come esempio di politica ad un solo binario mi pare sia mirabile!

E veniamo alle questioni economiche, sulle quali ha parlato a lungo l’onorevole Ministro del bilancio. Mi permetta l’onorevole Einaudi se non mi assocerò al coro di elogi che ha raccolto, anche per il motivo che molte delle cose che ho sentito dire da lui tre giorni or sono, le avevo sentito dire, non ricordo con precisione quante decine di anni fa, quando ero allievo del Professore Einaudi ed ero obbligato perfino a ripeterlo all’esame se volevo prendere il ventisette o il trenta che mi doveva permettere di continuare gli studi senza pagare le tasse. (Si ride). Non ho sentito nelle cose che egli ha detto l’accento dell’attualità politica, né il senso dei problemi che angustiano oggi la massa dei lavoratori. Questo non l’ho sentito!

Vi è poi una questione pregiudiziale, che non so se e in qual modo sia stata già risolta e consiste nel fatto che l’onorevole Einaudi è in pari tempo Ministro e Governatore della Banca d’Italia. Mi pare vi fossero leggi, e se non leggi per lo meno consuetudini, che non permettevano il cumulo di queste due cariche. La situazione quindi oggi non è corretta.

EINAUDI, Ministro del bilancio. Le funzioni sono cessate.

TOGLIATTI. Sì, ma la carica resta.

Ora, vi erano in Italia precedenti memorabili di un’altra linea, la quale esigeva che il Governatore della Banca d’Italia non avesse nessuna funzione politica e nemmeno potesse sedere in un’Aula del Parlamento, né della Camera dei deputati né del Senato.

GIANNINI. C’è il precedente di Bonaldo Stringher.

TOGLIATTI. Precisamente, di Stringher, il quale essendo stato fatto Ministro, non volle essere fatto senatore, perché in tal caso non avrebbe potuto, allo scadere delle sue funzioni ministeriali, tornare ad essere Governatore della Banca d’Italia.

Il fatto che l’onorevole Einaudi conservi la carica suscita un’impressione singolare, onorevoli colleghi, perché noi parliamo spesso di controllo del governo sulle Banche e sul credito e quindi anche sulla Banca d’Italia; ma invece qui si crea una situazione particolare nella quale sembra che sia la Banca d’Italia che controlli il governo… (Applausi a sinistra) e questo non è giusto.

La verità è che la direzione della Banca d’Italia deve essere profondamente trasformata da quella che è oggi. Devono entrare in quella direzione rappresentanti di tutte le forze produttive del Paese, non soltanto banchieri e capitalisti; vi devono entrare rappresentanti delle classi lavoratrici, dei sindacati, delle cooperative. Dobbiamo avere una direzione collettiva della Banca d’Italia, la quale ci dia la sicurezza che non prevalga alla testa di quell’istituto né una dottrina né la concezione politica di un determinato partito né gli interessi di un particolare gruppo sociale; ma siano tenuti in considerazione tutti gli interessi di tutta la Nazione.

Il programma dell’onorevole Einaudi, di cui mi occuperò solo di sfuggita perché altri colleghi del mio partito già lo hanno fatto, è un programma liberale. È quindi di aspetto essenzialmente negativo, e tende a respingere tutte quelle misure oggi reclamate e attuate da tutte le grandi democrazie per organizzare un’azione stimolatrice e direttrice dello Stato sull’economia. Questo programma ignora inoltre i problemi che più angustiano le masse lavoratrici, operai, impiegati e altri lavoratori in generale. Esso ignora quindi anche il problema dei prezzi e quello della lotta che deve essere condotta contro la speculazione. C’è l’imposta patrimoniale, è vero, e speriamo vi rimanga, nonostante l’avversione che abbiamo sentito esprimere al riguardo dall’onorevole Einaudi. Devo però fare osservare che l’imposta patrimoniale, per il momento ed il modo come è stata fatta, non darà i risultati che avrebbe potuto dare, prima perché non venne fatto a suo tempo il cambio della moneta, e poi perché per essere efficace, avrebbe dovuto essere preceduta da una serie di misure per combattere la speculazione e tentare di contenere l’ascesa dei prezzi. Se non si fa qualcosa in questo campo, l’efficacia di una imposta patrimoniale viene ad essere molto ridotta dal giuoco di quelle forze economiche che hanno in mano le leve della speculazione. Ma è appunto in questo giuoco di forze economiche che l’onorevole Einaudi sembra riporre tutta la sua fiducia. Non ostante quindi che il Governo abbia inserito nel suo programma i famosi 14 punti, che abbiamo redatti ed approvati noi insieme con ministri che tuttora siedono al banco del governo, noi nutriamo il più grande scetticismo sulle capacità di questo governo di risolvere nell’interesse generale le gravi questioni della nostra economia nel momento presente, perché nello stesso governo hanno il sopravvento, e proprio nella direzione della politica economica, una parte, un gruppo sociale, una tendenza politica è dottrinaria che non solo sono respinte dalla maggioranza del popolo, ma non sono in grado di farci uscire dalla situazione attuale. Nutriamo i più grandi dubbi sulla capacità di questo governo di tirarci fuori dalle attuali difficoltà facendo l’interesse delle grandi masse popolari e soprattutto prendendo le misure necessarie affinché il peso di queste difficoltà non ricada soltanto su coloro che stanno peggio, sui meno abbienti.

E vengo alla questione dei prestiti esteri. Ho già detto prima che non vi è nessun dissenso di principio sulla necessità e opportunità di questi prestiti; però i dissensi inevitabilmente devono sorgere quando si vedono uomini politici agire in modo che legittima e dà un fondamento all’opinione che le crisi di governo si facciano tra di noi per avere i prestiti, per soddisfare i creditori o i futuri creditori americani, al ritorno del Presidente del Consiglio dall’America, o all’arrivo in Italia di quell’ambasciatore Tarchiani, che non so se debbo definire rappresentante degli interessi dell’Italia negli Stati Uniti o di quelli degli Stati Uniti in Italia (Interruzioni – Commenti). Forse le due cose insieme. Ad ogni modo, l’impressione è questa. E quando sorge questa impressione nell’opinione pubblica, è evidente che noi abbiamo il diritto di essere allarmati.

Se si fanno prestiti alla nostra economia, che è una economia così dissestata, è evidente che i creditori hanno diritto di chiedere garanzie; e nessuno mai da parte nostra lo ha negato. Ma quali garanzie? Garanzie economiche, prima di tutto; cioè, garanzie circa l’impiego di quei capitali, e anche di una stabilità del regime economico, nelle grandi linee che il popolo vuole dare allo sviluppo della nostra economia. Oltre a questo, ritengo legittima anche la richiesta di una certa garanzia di stabilità politica; credo però ne offra di più un governo veramente rappresentativo di tutte le forze democratiche e repubblicane, in particolare delle classi lavoratrici e che seguono i nostri partiti di sinistra, che un governo come l’attuale. Altrettanto legittima mi pare la garanzia che il nostro Paese non si impegni in una politica estera ostile al Paese che ci aiuta. Chi potrebbe, infatti, fare obiezione a questo? La nostra politica e, credo, la politica di tutti i democratici italiani…

BELOTTI. Ed il suo articolo «Ma come sono cretini»?

TOGLIATTI. Non so se ella sappia di lettere latine.

BELOTTI. Un pochino.

TOGLIATTI. Ed allora le dico questo: Superior stabat …agnus.

Io fui attaccato, indegnamente attaccato, in modo oltraggioso per un cittadino italiano; risposi e in casi analoghi risponderei allo stesso modo. (Applausi a sinistra).

Dunque, nessuno farà obiezione a queste garanzie, perché, ripeto, il pensiero comune di tutti i buoni democratici è che la nuova democrazia italiana deve seguire una politica estera, la quale non sia di adesione né all’uno né all’altro blocco di potenze, nella misura in cui blocchi simili esistono, il che può essere contestato. Rimaniamo al di fuori di queste competizioni. Abbiamo abbastanza da fare per la ricostruzione della nostra casa, per medicare e sanare le nostre ferite.

Ma qui si apre il vero problema e nasce il nostro disaccordo. Perché, quando sentiamo avvalorare l’opinione che un governo particolare, un governo, anzi, di un particolare colore e di una particolare struttura, e di quella struttura che io prima ho definita non rispondente alle necessità della democrazia in Italia, deve essere messo a capo del Paese perché questo possa avere quegli aiuti di cui ha bisogno, ebbene, se le cose stanno così, allora non siamo più d’accordo. Questo infatti è un intervento diretto nella vita politica interna del nostro Paese, e quando si interviene nella vita politica interna del nostro Paese, vuol dire che non si fa più una politica di prestiti e aiuti a scopo di ricostruzione, ma una politica di potenza, di conquista di determinate posizioni, e a una cosa simile noi come italiani né ci possiamo né ci dobbiamo prestare, se vogliamo siano risparmiate al nostro Paese le sciagure di un nuovo conflitto nel quale qualcuno sembra ci vorrebbe trascinare.

Sono inoltre completamente in disaccordo con la posizione che ho visto accennata, non so se in una dichiarazione ufficiale del Presidente del Consiglio, o in articoli dell’organo del partito democristiano, dove si dice che noi dovremmo portare il nostro Paese al livello del regime democratico di coloro che ci aiutano. Non sono d’accordo. Il nostro regime democratico si deve sviluppare a seconda del nostro genio nazionale, a seconda delle aspirazioni della maggioranza dei cittadini italiani ed esso avrà la sua impronta particolare, che non sarà né americana, né inglese, né francese, né russa, ma italiana e soltanto italiana. (Applausi a sinistra). E poi, a che cosa livellarci? A che cosa adeguarci? Forse che per metterci allo stesso livello con gli americani dovremmo avere anche noi una legge che metta fuori legge i sindacati e distrugga le libertà recentemente scritte nella nostra Costituzione? Questa sarebbe democrazia? Oppure dovremmo metterci a linciare i negri? Oppure dovremmo avere un regime come quello che in una grande parte, badate, in una gran parte dell’opinione pubblica italiana, suscita sempre l’impressione di essere un regime nel quale in realtà la direzione politica appartiene a plutocratici gruppi e non, come noi vogliamo, alla maggioranza del popolo liberamente espresso attraverso forme concrete di organizzazione e lotta politica?

L’onorevole Giannini ha scoperto che non c’è un problema dell’indipendenza. Mi pare che egli faccia confusione fra la questione della interdipendenza dei singoli Paesi e quella dell’indipendenza nazionale. Quella è sempre esistita, in una certa misura, ed aumenterà sempre più. Lo sviluppo economico di ogni Paese dipende da quello dei paesi vicini e lontani; ma questo non vuol dire che non esista un problema di indipendenza, cioè di libertà interna di ogni popolo, il quale deve essere pienamente nella facoltà di darsi quel regime che crede e di governarsi come crede senza intervento straniero. E questo non vuol dire affatto un ritorno all’autarchia, ma semplicemente il rispetto di quell’ideale per cui hanno combattuto i nostri antenati nel secolo passato e i nostri concittadini che sono morti negli anni del recente passato nella lotta per cacciare dal nostro Paese quello straniero, che pensava di toglierci l’indipendenza, ma copriva anche lui le sue intenzioni reali con le ciance relative a una cosiddetta unione dei popoli europei nella quale la libertà dei popoli sarebbe stata soffocata e distrutta. (Applausi a sinistra).

Ad ogni modo, questo governo oggi c’è, e quali prospettive si aprono per esso e per il nostro Paese? È stato detto: correggiamo subito la situazione, comportiamoci in modo che il governo venga immediatamente riformato e ritorni ad essere quel largo governo rappresentativo di tutte le forze democratiche e repubblicane di cui l’Italia ha bisogno.

Sono convinto che questa opinione è l’opinione, senza dubbio, della maggioranza di questa Assemblea. La maggioranza pensa che questo sarebbe un bene, perché anche coloro che voteranno a favore del Governo pensano che esso è un errore e che questo errore potrebbe svilupparsi anche in una avventura.

Io non so però se si arriverà a riformare il Governo subito. Non lo so, perché ho visto che il giuoco della maggioranza è diventato una cosa molto facile; con una maggioranza si trasformano le cose, si fa diventar bianco il nero e nero il bianco. Tra poco per un voto di maggioranza vedremo l’onorevole Cerreti diventare l’onorevole Scelba e l’onorevole Scelba diventare l’onorevole Cerreti. Vi è ormai un’alleanza che funziona e probabilmente continuerà a funzionare fino all’ora delle elezioni.

Sta bene. Per un partito democratico come il nostro l’appello alle elezioni è un invito a nozze. Si facciano esse qualche mese prima, qualche mese dopo, siamo relativamente indifferenti. Con un governo simile avremmo voluto le elezioni al più presto per sanare, attraverso la manifestazione della volontà popolare, la grave e falsa situazione creata dall’onorevole De Gasperi. Ma diversamente ha voluto l’Assemblea. Più tardi, dunque, ma le elezioni le avremo. Per quanto riguarda il loro risultato, se avessimo soltanto un interesse ristretto di parte, potremmo anche dire, come rilevava testé l’onorevole Pacciardi, che la nostra posizione è invidiabile. Questo è vero in un certo senso, non soltanto per noi, ma anche per il suo partito. In fondo, un governo come quello attuale è un governo che tende a distruggere tutti i partiti che stanno alla sua destra, mentre tonifica quelli che stanno alla sua sinistra!… (Si ride). Ma noi non siamo affatto dominati da preoccupazioni elettorali di partito… (Commenti al centro). Al di sopra di tutto vi è per noi la preoccupazione per il benessere del Paese e per i destini della Patria. Orbene; sappiamo qual è la gravità della situazione che sta avanti a noi. In questa situazione bisogna governare, e bisogna governare nell’interesse di tutti e non solo dei privilegiati, con il consenso della grande maggioranza del Paese, e non solo di una transitoria maggioranza d’Assemblea. Bisogna governare in una situazione che è così grave, così tesa, che ad ogni momento e in ogni villaggio d’Italia può scoppiare un movimento di protesta (Commenti) per le disperate condizioni in cui vivono i nostri lavoratori. Dovrete chiedere dei sacrifici. A chi li chiederete questi sacrifici? E in nome di che cosa li chiederete? In nome di chi? I nostri operai comunisti e socialisti vedranno al governo i rappresentanti del ceto ricco, dei grandi capitalisti come Pirelli, ad esempio; non vedranno gli uomini in cui essi hanno fiducia. È evidente, quindi, che la loro fiducia nel governo come tale non potrà esistere o sarà, per lo meno, una fiducia molto ridotta. Questa è la cosa che più ci preoccupa. Questa è la conseguenza del germe di discordia che è stato gettato dall’onorevole De Gasperi con la presente crisi e con la precedente nella vita politica del nostro Paese. L’onorevole De Gasperi ha dei precedenti in proposito. (Interruzioni). Sì, ha dei precedenti. Io ricordo quando ella, a scopo di speculazione elettorale, impostò tutta una campagna di calunnie contro il nostro Partito per quanto riguardava la questione di Trieste, mentre la nostra posizione nella questione di Trieste poteva e doveva essere da lei sfruttata davanti al mondo intiero per dimostrare la compattezza e l’unità del popolo italiano.

Guai a quel dirigente politico il quale non comprende questa necessità di unità politica e morale, che è oggi condizione indispensabile per la ricostruzione dell’Italia, per la salvezza della nostra Patria.

Certo, oggi, nella nuova situazione creata da De Gasperi, nuovi compiti stanno davanti a noi e a tutti i partiti sinceramente democratici. Ma stia tranquillo, onorevole Corbino. Lei ha dimostrato la sua soddisfazione per il fatto che il nostro partito, messo fuori dal governo, non ha lanciato la parola d’ordine dell’insurrezione. La cosa mi meraviglia. Lei, onorevole Corbino, che ha collaborato al governo con noi e dice di essere uno studioso, avrebbe il dovere di conoscerci meglio. Il fatto che ella faccia una simile affermazione non depone a favore della sua intelligenza. (Interruzioni a destra e al centro).

CORBINO. L’ho voluta fare egualmente!

TOGLIATTI. La questione è un’altra, onorevole Corbino; la questione è che ella appartiene precisamente a quella parte del Paese la quale spera che i comunisti si gettino in una avventura e cerca di provocarla. Ella, quando è stata lanciata la sottoscrizione per il prestito nazionale, ha scritto un articolo in cui diceva che la prospettiva a breve scadenza era della guerra civile. Ella sapeva benissimo che questo non è vero.

CORBINO. Il prestito era un errore!

TOGLIATTI. Peggio! Vuol dire che ella ha fatto ricorso a una provocazione per sabotare una misura diretta alla ricostruzione del Paese. Ripeto, che vi è un mucchio di gente, che va dal capo della polizia all’ultimo gazzettiere giallo, specialisti nell’annunziare ogni giorno che il nostro partito prepara l’insurrezione, che i partigiani si adunano e sono saliti sulle montagne, e cose del genere, la cui azione provocatoria rivela la segreta speranza della parte più reazionaria della Nazione, di quella parte che è responsabile diretta della guerra e della catastrofe abbattutasi su di noi, e che oggi spera di poter riuscire ancora una volta a spezzare con la violenza quella unità della Nazione per cui abbiamo lottato, e lottiamo. (Interruzione del deputato Benedettini). Noi dobbiamo condurre, ripeto, una nuova grande battaglia, questa è la realtà. Abbiamo già condotta una battaglia per la salvezza del Paese al tempo dell’occupazione tedesca e del tradimento fascista, e l’abbiamo vinta! Le più grandi speranze si sono accese allora nell’animo del popolo per l’avvenire del Paese. Abbiamo vinto altre battaglie: quella del 2 giugno, a cui arrivammo grazie alla nostra pazienza e alla nostra tenacia, e vincemmo allora insieme con voi, amici della Democrazia cristiana.

Oggi un’altra grande battaglia deve essere combattuta e vinta per dare un nuovo impulso all’opera di ricostruzione democratica dell’Italia.

Qui non si tratta, amici repubblicani, di comunismo o di filocomunismo. Non è questo il problema: noi non siamo divisi da questioni di ideologia, né vogliamo esserlo. Per questo abbiamo votato l’articolo 7. Un altro problema è in giuoco: è in giuoco la sorte della democrazia e della Repubblica.

Democrazia e Repubblica vogliono dire per il popolo italiano, dopo il crollo del fascismo e dopo l’esperienza del fallimento delle vecchie classi dirigenti reazionarie, qualcosa di nuovo: vogliono dire rinnovamento profondo della nostra vita politica, economica, sociale. Questa opera di rinnovamento, che speravamo di poter compiere, pure attraverso la necessaria prudenza e moderazione, assieme con voi, amici della Democrazia cristiana, oggi viene spezzata.

Ebbene, dobbiamo vincere una grande battaglia per riprendere lo slancio e farlo riprendere a tutto il Paese. Noi non vogliamo nessuna egemonia, vogliamo collaborare con tutti i buoni democratici al rinnovamento democratico italiano! (Applausi a sinistra).

Combattiamo assieme, riportiamo assieme una nuova grande vittoria…

RUSSO PEREZ. Torniamo ai vecchi amori!

TOGLIATTI. …affinché questo episodio possa essere rapidamente cancellato. Consideriamolo come qualcosa che sarà chiuso tra una breve parentesi, cerchiamo di poterlo dimenticare al più presto e tutti assieme potremo riprendere la via della ricostruzione e del rinnovamento democratico della Patria! (Vivissimi, prolungati applausi all’estrema sinistra – Molte congratulazioni).

(La seduta, sospesa alle 19.15, è ripresa alle 19.40).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Gronchi. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Onorevoli colleghi, quasi all’inizio di questa seduta l’onorevole Patrissi bollava di infecondità e di inconcludenza questo largo dibattito parlamentare sulle dichiarazioni del Governo. Vorrei dirgli, a parte l’inesattezza del suo riferimento per il dibattito precedente al suo intervento, che il giudizio si è manifestato tanto più inesatto dopo il discorso dell’onorevole Togliatti, che è valso veramente a rivelare certe posizioni, che era utile che Assemblea e Governo conoscessero. Io ho una grande stima del talento politico dell’onorevole Togliatti, ma debbo dirgli, con amichevole franchezza, che da qualche tempo egli fa di tutto per diminuire questa mia valutazione (Commenti); egli, cioè, sembra perdere spesso quel perfetto controllo di se stesso, del proprio giudizio, dell’intuito dei vari elementi della situazione, che erano veramente caratteristici del suo intelletto e della sua azione. Egli ha fatto oggi, contrariamente alle sue abitudini, l’attacco più duro che sia stato portato al Governo in questo dibattito parlamentare. Non altrettanto duro era stato il discorso dell’onorevole Nenni, non quello dell’onorevole Lombardi, o del rappresentante dei repubblicani storici. L’onorevole Togliatti, non soltanto ha negato fiducia al Governo per la sostanza del suo programma, per la configurazione politica che rappresenta, ma ha anche addentrato il suo esame sugli aspetti della personalità politica del suo capo, onorevole De Gasperi, arrivando a trovare in lui caratteristiche negative che non avevamo sentito rilevare da nessuna parte di quest’Assemblea; fra l’altro, anche il suo scarso senso nazionale; il che mi ricorda che l’onorevole Togliatti è in una splendida e significativa compagnia, perché le accuse di scarso sentimento nazionale vanno dall’onorevole Mussolini all’onorevole Giannini nel Becco Giallo. (Approvazioni al centro).

È certo che la passione politica, che può essere naturale in un dibattito come questo, può giocare dei tiri anche al più controllato degli oratori ed è certo che, all’infuori di queste polemiche, noi ritroviamo quella serenità necessaria a porre in risalto di fronte al Paese la posizione degli uomini e dei partiti e a illuminare e rendere conclusivo questo dibattito.

C’è stata una voce che voglio rilevare, quella dell’onorevole Pacciardi, il quale ha dichiarato che sarebbe inesatto ed ingiusto che si facesse, nel commentare l’attuale situazione governativa e parlamentare, soltanto il processo alla Democrazia cristiana. Sarebbe quindi (egli non lo ha detto, ma è facile dedurlo come conseguenza) utile che ciascuno dei partiti e degli uomini facesse una specie di proprio esame di coscienza.

L’onorevole Nenni ha detto che la crisi attuale è incominciata sostanzialmente il 4 aprile 1947.

Io dico che la crisi è incominciata in epoca assai più remota: il 2 giugno 1946.

Una voce a sinistra. Siamo d’accordo.

GRONCHI. È incominciata cioè da quando, usciti dalla situazione provvisoria dei Governi esarchici, il responso elettorale ha stabilito un rapporto di forze nel Paese e nell’Assemblea, e stabilendo un rapporto di forze, ha anche spostato, direi, il centro della vita e dell’attività politica del nostro Paese. Io non nego la utilità, ai fini generali e collettivi degli interessi del nostro Paese, i vantaggi di una unità e della più larga solidarietà possibile. Dico però che, mentre prima del 2 giugno questa unità doveva essere ritenuta come elemento fondamentale della nostra vita politica – perché era quella che aveva caratterizzato tutto il movimento di tutti i partiti antifascisti, dai liberali ai comunisti – durante la lotta di liberazione e dopo il responso elettorale, un’altra esigenza si faceva luce, quella di rendere possibili delle compagini di Governo efficienti ed operanti; cioè la questione della omogeneità di cui si è tanto parlato, della capacità di un Governo di affrontare e risolvere i problemi prende il sopravvento sulla composizione più larga del Governo stesso.

Io, in seno al mio partito, ho manifestato il dissenso sul metodo di formule di Governo basate su formazioni politiche preconcette, sostenendo che oggi il solo modo razionale per costituire una compagine di Governo capace di operare è quello di fissare un programma minimo sul quale stabilire convergenze e discordanze, senza preoccuparci se questo comporti maggiori o minori dimensioni parlamentari alla base del Governo medesimo.

Il secondo Ministero De Gasperi, nato dopo il 2 giugno, fu un tentativo di creare e consolidare quella unità più ristretta, ma consacrata dal voto elettorale, rappresentata dalla preponderanza di quelli che si chiamano i tre più grandi partiti di massa.

E fu, forse, errore. Voi vedete che comincio a fare un esame di coscienza per conto del mio partito, del mio Gruppo e, forse, della mia stessa persona. E fu forse errore non aver dato la necessaria importanza alla formulazione precisa di Governo.

Pare una cosa paradossale, ma sulla questione dei programmi di Governo è estremamente difficile intendersi, o meglio, estremamente facile fraintendersi, perché la maggior parte delle volte ci è capitato di esaminare tutti i problemi che questo tormentoso e complesso periodo di ricostruzione pone dinanzi al Paese, e di pretendere di farli rientrare tutti in un programma di Governo, quasi che pensassimo di aver di fronte non mesi, ma anni di attività, quali sarebbero stati necessari perché questi complessi e ponderosi problemi, non dico potessero essere risolti, ma avviati sostanzialmente ad una soluzione.

Da ciò è nata la genericità del programma. Invece di curvarsi sulla realtà immediata e restringere l’osservazione a quei pochi problemi che la stessa ristrettezza e limitatezza del tempo imponeva di considerare e di risolvere, questa considerazione invalsa ha dato la struttura così generica dei programmi che quasi mai – è la constatazione che l’onorevole Togliatti ha fatto giustamente – su di essi vi sono stati dissensi; tanto che, formandosi il Ministero De Gasperi successivo, io fui tra quelli che consigliarono che il programma uscisse dal carattere di un formulario, per assumere la concretezza di veri e propri progetti di legge, debitamente articolati. Poiché non basta il dire che in un determinato problema si segue una determinata linea di indirizzo, ma occorre scendere al particolare dell’attuazione pratica, perché proprio in questo particolare si sono sempre verificate le estreme discordanze che hanno reso debole, non soltanto l’attività del Governo dell’esarchia, ma anche di quelli che furono i Governi triarchici, e con l’appendice delle altre forze che vi collaborarono.

Ma, secondo me, l’errore che è stato il germe del successivo sviluppo è un errore di impostazione politica e coloro i quali prendono la situazione attuale come una causa della discordia, capovolgono i fatti, perché la situazione attuale è il prodotto di una discordia che si era già determinata. (Applausi a destra e al centro).

Ora, l’impostazione politica errata era quella che io chiamavo «concezione cooperativa» del tripartito, cioè un Governo tripartitico in cui tutti avessero la stessa influenza e lo stesso posto.

Amici miei e colleghi, si governa difficilmente anche nel seno di organizzazioni che non hanno l’ampiezza e la vastità del Governo di uno Stato moderno, si governa difficilmente perfino fra uomini che condividono le stesse idee e lo stesso programma: immaginarci come deve essere difficile condividere il Governo ed operare fra uomini che hanno concezioni ideologiche opposte.

La concezione cooperativa del tripartito era elemento di debolezza, poiché bisognava concepire fin d’allora un partito al quale o il responso elettorale, o la situazione parlamentare attribuivano una maggiore responsabilità, per riconoscere in esso anche una preminenza di direzione, e non sentirsi diminuiti se, invece di una perfetta e meccanica uguaglianza, la collaborazione era fondata su una collaborazione al fine comune. Lo sforzo fu però di mantenere – e questo dimostra la nostra buona volontà – i primi Governi tripartitici proprio su questa posizione di eguaglianza. E vorrei dire che, se questo non fosse avvenuto, non si sarebbe lasciato comporre il Governo con l’astensione dei capi più responsabili del Partito comunista e del Partito socialista; perché l’astensione dalla partecipazione al Governo dell’onorevole Togliatti, fino da allora, dava la sensazione che il Partito comunista volesse impegnarsi fino ad un certo punto, per rimanere libero da quel punto fino a tutte le possibilità che si offrono ad un partito come il suo, che ha così larghe radici nel Paese.

Fu parlando in sede di dichiarazioni del Governo, nello scorso luglio, che io ebbi a dire che il programma era così largo e concreto che quasi nessuno poteva avere dei rilievi sostanziali da fare; ma il problema politico incominciava sulle possibilità di attuarlo, e queste erano condizionate soprattutto dallo spirito di collaborazione che i partiti partecipanti al Governo vi avrebbero portato. E con molta cortesia, e con molto tatto diplomatico, accennai che avevo qualche dubbio proprio da quei banchi cui appartiene l’onorevole Togliatti. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Infatti basta ripercorrere non dirò la storia, perché sarebbe troppo onore per un episodio come quello, ma di ripercorrere la cronaca, per ricordare certi episodi della conferenza di Parigi (Commenti a sinistra), certi atteggiamenti di Sottosegretari rispetto ai loro Ministri, certi viaggi che scoppiarono non come una bomba atomica, ma certo come una bomba pubblicitaria. Basta rifarsi a tutti questi episodi per trovare nell’opinione pubblica la radice di quello stato di disagio che è andato man mano approfondendosi, rendendosi più concreto e più largo e che ha operato, sì, o signori, anche nel seno del nostro partito, perché il nostro partito sarebbe un organismo morto e insensibile se non si ripercuotessero in esso, con la vivacità dei movimenti vitali, i riflessi delle grandi correnti, delle grandi intuizioni, direi, dell’opinione pubblica, se esso non fosse, in certo senso, determinato nei suoi atteggiamenti e nei suoi orientamenti anche da quello che il Paese pensa di taluni episodi, cui va orientando la sua attività. (Approvazioni al centro).

E l’amico Nenni mi perdonerà se io dico a lui, che pure è stato così garbato nel suo intervento di ieri sera, che non è stato certo uno degli ultimi artefici di questa opinione pubblica che si andava orientando. Si diceva già, infatti, del vento del Nord, del Governo di salute pubblica, di queste nubi minacciose che si annunciavano all’orizzonte e che presero poi corpo in certe affermazioni, come quella che le classi operaie o saranno al Governo, o saranno fuori della legge, o come quella abbastanza recente «dal Governo al potere», posta come linea di indirizzo della politica del suo partito.

NENNI. E in che cosa questo ha disturbato l’azione di Governo?

GRONCHI. Basta, infatti, riandare alla storia, se la storia è maestra, perché è raro che le vicende politiche e sociali di un Paese si presentino con gli stessi elementi e le stesse caratteristiche; è però vero che vi sono alcune analogie che non possono fare a meno di impressionarci. Anche prima del fascismo l’opinione pubblica fu spaventata da tutto un verbalismo rivoluzionario, a cui, disgraziatamente… (Interruzione dell’onorevole Nenni).

Una voce al centro. Lasci parlare.

GRONCHI. …dico «disgraziatamente» riferendomi a quello che venne dopo; a cui – dicevo – non corrispondeva nessuna capacità effettiva rivoluzionaria; e questo produsse una polarizzazione dell’opinione pubblica contro la quale fummo impotenti voi e noi; tanto è vero che ne nacque – perché gli inizi del fascismo da questo furono caratterizzati – un movimento spontaneo che si alimentò in una confusa aspirazione di libertà e di cui profittarono taluni ceti, soprattutto ceti agrari della Valle padana, per dare a questa aspirazione le armi effettive, senza metafora, di una rivolta che poi arrivò a dominare il nostro Paese. (Interruzione dell’onorevole Togliatti – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore!

GRONCHI. A queste polarizzazioni dell’opinione pubblica bisogna fare molta attenzione.

Una voce a sinistra. È un pericolo.

GRONCHI. È un pericolo, certamente; ed è per questo che l’addito, perché il fenomeno non è soltanto italiano. Ma non vedete, ad esempio, che non è casuale che l’ombra di De Gaulle sia dietro le spalle del Governo socialista di Ramadier? Che si senta in vari Paesi questa aspirazione incerta verso forme di autorità che diano una garanzia contro ogni sovvertimento e ogni violenza… (Commenti a sinistra – Applausi al centro).

Una voce a sinistra. Che ombra c’è dietro di voi? (Rumori al centro).

GRONCHI. …e che costituiscono il terreno più pericoloso per le democrazie ancora fragili e nell’atto di fare il proprio scheletro, la propria muscolatura, insomma, la propria forza vitale? (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore!

GRONCHI. Mi vuole permettere l’onorevole Di Vittorio di dare anche una occhiata fugace su quella che è stata l’azione della Confederazione generale del lavoro? Io sono uno di quelli – ed egli lo sa – che crede nell’unità sindacale, e vi crede al di là e al di sopra degli interessi di partito; poiché, secondo me, il fatto sindacale interessa non i partiti ma i lavoratori, soprattutto (Applausi al centro); e dal punto di vista dei lavoratori va considerato.

Ora, non è dubbio che agli interessi dei lavoratori corrisponde l’unità organizzativa, oltre che l’unità di azione; ed è per questo che io sono fra coloro che all’unità sindacale credono; e vi credono anche contro le attuali difficoltà, e anche le cocenti delusioni di taluni. Vi credono, perché hanno fede in se stessi. È vero, onorevole Togliatti, che oggi voi, soprattutto – i socialisti assai meno – rappresentate la grande maggioranza dei lavoratori; ma noi non daremo la battaglia per perduta, perché, se oggi siamo minoranza, noi vogliamo onestamente e democraticamente combattere per rafforzare le nostre posizioni. (Applausi al centro – Commenti a sinistra). E niente vieta di pensare che domani non possiamo occupare posizioni ben diverse!

Non togliete, con una superficialità che non vi fa onore, consistenza a questa mia osservazione, perché mi costringerete a richiamare la vostra attenzione sul fatto che le forze organizzate sono una minoranza rispetto alla massa dei lavoratori (Applausi al centro e a destra), minoranza che non è sempre costituita in forma di legittimità democratica (Applausi al centro). E perciò esiste anche fra le classi operaie quella larga zona neutra nella quale nessuno, neppure voi, sa se prevarremo in avvenire voi o noi.

GIANNINI. O noi! Fra i due litiganti il terzo gode! (Si ride).

GRONCHI. Gli è che i sindacati sono nel campo dell’organizzazione dei lavoratori quello che i partiti sono nel campo dell’organizzazione politica, cioè delle élites dirigenti, che rappresentano minoranze attive, le quali sono più adatte a spingere verso nuove conquiste queste masse inerti e più tarde a seguire.

Orbene, nella Confederazione questa abitudine a considerare tutti i problemi sotto un aspetto politico – che in fondo è caratteristica da attribuire a taluni atteggiamenti dell’onorevole Togliatti o dell’onorevole Nenni – si è rivelata spesso innegabilmente, con chiara evidenza, dalla politica per i salari al blocco indiscriminato dei licenziamenti.

E badate che potrei far mie le parole dell’onorevole Lombardi e dell’amico La Malfa. L’onorevole Lombardi vi ha diretto una volta una lettera che conteneva profonde verità e che ha dato all’analisi della politica confederale elementi di giudizio difficilmente confutabili sul terreno dei fatti.

La stessa vostra mancanza di interessamento nell’intervenire come parte attiva ed operante negli organismi dello Stato, cade sotto la mia diretta esperienza di Ministro dell’industria. Certi interventi saltuari, frazionati e quindi, nella stessa loro discontinuità, non costruttivi, nel Comitato dei prezzi, nel Comitato ministeriale per la ricostruzione, indicano la considerazione dei problemi sotto un aspetto politico.

E guardate: io vi faccio credito per quello che è stato l’immane lavoro di riorganizzazione dal nulla della vita sindacale; ma è una realtà di fatto che questo atteggiamento ha dato alla Confederazione del lavoro un aspetto di organismo che ha raccolto le voci, che confesso giustificate, provenienti dalla periferia circa le tristi congiunture della nostra economia e circa la situazione delle classi lavoratrici, ma che non ha potuto dare a voi il modo di sovrapporre a questo, che era un semplice manifestarsi di istinti e di interessi delle varie categorie, una visione organica nel momento che attraversavamo, adottando soluzioni altrettanto concrete.

E che ci fosse questo ragionare istintivo in termini politici di tutti i problemi economici potrebbe essere dimostrato dall’atteggiamento assunto durante la crisi del Ministero Parri, dove non ritengo che fosse in giuoco nessuna questione fondamentale per le classi lavoratrici, ma che pure agitò (certo, spontaneamente) molti centri operai più importanti dell’Italia settentrionale.

E vi meravigliate se tutta questa situazione è stata utilizzata dalle forze conservatrici? Ma, onorevoli colleghi, pensate voi forse che la libertà e la democrazia siano conquistate in Italia? Pensate che noi non abbiamo altro da fare che imbandierare le finestre per celebrare la conquistata Repubblica? O non sentiamo che c’è ancora molto cammino da fare per consolidare queste nostre istituzioni? (Applausi al centro e a destra – Interruzioni a sinistra).

E allora si impone in coloro che vogliono seriamente difendere la libertà e la democrazia quell’atteggiamento che vorrei, se non vi spaventa la parola, chiamare di equilibrio e che equivale soltanto ad un sano realismo. Vorrei, cioè, non offrire terreno a quelle tali polarizzazioni di opinione pubblica che sono polarizzazioni di interessi e che possono creare ostacoli gravissimi e pericolosi alla vita della nuova democrazia.

Non avete osservato come vi sia stata, da parte di molti ceti abbienti, una vera e propria rivolta contro lo Stato? Non avete sentito come al di là dei pretesti che offrivano in parte le agitazioni, in parte gli interventi slegati e incoerenti di uno Stato che andava ritrovando se stesso, queste forze miravano soprattutto a riaffermare il loro predominio di interessi particolari contro gli interessi collettivi? (Proteste a sinistra).

Io mi ricordo di aver cercato di predisporre per lo Stato certi strumenti di difesa, ma mi ricordo anche di essere stato violentemente aggredito dai colleghi liberali come Ministro niente meno che corporativo, e di essere stato lasciato, non dirò solo, ma in una certa olimpica indifferenza dagli altri colleghi di Governo, perché anche lì il politique d’abord giocava il tiro di far perdere di vista i problemi sostanziali e concreti della vita economica e sociale, cioè gli interessi più diretti delle classi lavoratrici, di fronte alle interminabili discussioni sulla politica interna e sulla politica internazionale.

TOGLIATTI. Noi votammo sempre le sue proposte.

GRONCHI, Non vorrei ricordare che certi provvedimenti rimasero, senza forte reazione da parte del Gabinetto, quarantacinque giorni nel cassetto.

SCOCCIMARRO. E chi presiedeva il Governo?

GRONCHI. Poco mancò che questo non creasse per me una specie di crisi personale.

Comunque, ho voluto richiamare questi dati di fatto per rafforzare la valutazione che ho accennato. E perciò si sbaglia se noi valutiamo la presente situazione come causa di una discordia o rottura di unità, mentre essa va considerata come conseguenza di una rottura sostanziale di unità che, malgrado l’unità formale, non esisteva da tempo (Applausi a destra – Vivi commenti a sinistra).

La situazione che si è creata è certamente fra le più difficili e le meno gradite a noi medesimi. Io non seguirò l’onorevole Togliatti in quella sua ingegnosa e sottile disquisizione sulla legittimità o meno dell’attuale Governo, data la particolare situazione. Mi sarebbe facile dirgli che noi procediamo un po’ su un terreno di empirismo costituzionale, perché stiamo creando una costituzionalità che non ha precedenti e che ha fatto sentire talmente le sue esigenze, che noi man mano siamo andati correggendo nella struttura. Appartiene a questo tentativo di correzione il compromesso fra il carattere puramente costituente dell’Assemblea e il carattere legislativo. Appartiene a questa categoria di espedienti la creazione di Commissioni legislative, le quali sono un vero e proprio strumento di controllo del Governo, per quanto esse, se si guarda alla forma e anche in parte allo spirito che informa la loro costituzione, non sono altro che organismi che decidono sull’importanza politica o tecnica di un provvedimento e se quindi debba o no essere inviato all’Assemblea. Ma in realtà, nell’esercitare questo compito voi, o colleghi che fate parte di queste Commissioni, avete sempre sentito come il vostro dovere di responsabilità andasse più oltre, cioè nell’esaminare il merito di questi provvedimenti, attuando con ciò opera non solo di collaborazione, ma anche di controllo al Governo, fino ad esprimere un vostro vero e proprio giudizio sul contenuto dei provvedimenti medesimi sotto forma di raccomandazione.

Desidero, invece, esaminare brevemente la situazione politica, e dico che essa non è gradita neppure a noi. Vi siamo arrivati come a una soluzione di necessità; ne sentiamo la complessità e difficoltà, ma vi diciamo con piena fierezza ed onestà che ce ne rendiamo garanti come di un Governo che rispetterà e difenderà la libertà e la democrazia. (Applausi al centro e a destra – Interruzioni a sinistra).

Se dovessi raccogliere un’affermazione fatta dall’onorevole Nenni – nobile nel suo intento di trasformare quello che può sembrare un diritto di partecipazione al Governo in dovere di partecipazione al Governo – direi che un’affermazione di questo genere non nega né questo diritto, né questo dovere, perché altrimenti dovremmo ammettere che la partecipazione al Governo debba sembrare o incostituzionale o antidemocratica: tutti caratteri della inamovibilità e immobilità. C’è stato un periodo, nei passati Governi, in cui il Partito socialista ha creduto di non partecipare e nessuno ha gridato che si faceva opera antidemocratica costituendo un Governo. Capisco l’obiezione, così facile e così fondata, che la situazione era ben diversa; ma, non ragionando per assurdo, dico che anche in quel caso vi sarebbe stata materia di avanzare questo dubbio. E non è a parlarsi di esclusione quando, come vi dico, si è arrivati a una soluzione di questo genere come a una conseguenza logica di successivi atteggiamenti. E se avessi dietro le mie spalle un partito, quale era uscito dalle elezioni del 2 giugno, in quei primi giorni di incertezza e di disorientamento che sono stati comuni a tutte le grandi forze politiche, potrei forse essere meno categorico; ma oggi posso dire, perché ne sono sicuro, che abbiamo dietro di noi un partito che ha una sua individualità così forte, che la garanzia, di cui vi ho parlato, non è una vana affermazione di parole, ma è una garanzia effettiva.

La Democrazia cristiana oggi sa quello che vuole. (Applausi al centro – Interruzioni e commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. È una confessione grave, però.

GRONCHI. E comunque vada, sa rimanere se stessa.

Una voce a sinistra. Come nel passato.

GRONCHI. E vi dico che va acquistando piena coscienza delle sue caratteristiche e delle sue funzioni, che sono state spesso adoperate contro di essa nella polemica politica come elemento di scarsa chiarezza: la sua posizione di centro, la sua ispirazione spirituale, il suo interclassismo.

La sua ispirazione spirituale. Ho sentito da molte parti, anche durante la discussione della Costituzione, sollevare ombre di confessionalità sulla nostra azione e sulla nostra struttura. (Commenti). È una grossolana confusione che si fa tra la nostra ispirazione ideologica e la nostra posizione rispetto alla Chiesa, alle sue funzioni ed alle sue gerarchie.

Vi ho fatto notare altra volta che non è fuor di luogo, né casuale che noi non abbiamo ripreso il nome, pure glorioso, di cui non abbiamo da piegare nessun lembo, di Partito popolare; abbiamo voluto chiamarci Democrazia cristiana (Interruzioni a sinistra); abbiamo voluto prendere il nome di Democrazia cristiana, perché esso ci richiama un periodo, durante il quale nel seno dei cattolici italiani si era andata formando la chiarificazione più sostanziale che fosse stata mai tentata, e che se dette luogo poi, resa incerta e saltuaria, attraverso le vicende del Patto Gentiloni, la Union Sacrée della guerra, al tentativo empirico e primordiale del partito popolare, è poi diventata una realtà durante la triste esperienza fascista che ci ha fatti maturi per dare a questo nome «Democrazia cristiana» tutto il suo pieno significato. (Interruzioni a sinistra).

Noi non vogliamo avere nessuna intonazione, nessuna ombra confessionale, perché non vogliamo rinunziare, fra l’altro, alla nostra capacità di diffusione e di conquista. A noi non occorre, come del resto non occorre a voi, che nella vostra politica di partito non chiedete neanche la fede marxista per l’iscrizione, ma chiedete soltanto l’adesione al vostro programma, e vi dissi nel luglio che, se questo fosse vero, non troverei nessuna difficoltà ad iscrivermi (Ilarità a sinistra). Noi non vogliamo porre ostacolo a questa nostra capacità di diffonderci soprattutto verso le classi medie e verso le élites intellettuali, le quali, se non sono captate e tenute da partiti di massa che le saldino coi ceti lavoratori, sono esposte alle più pericolose illusioni verso la destra; perché quei ceti politici, sensibili come sono a motivi ideologici di nazionalismo e di libertà o che so io, vanno troppo spesso ad essere preda, come furono preda nel periodo del fascismo, di ideologie che sono la negazione della libertà e della democrazia (Applausi al centro).

E il nostro stesso interclassismo vi dà una garanzia in questo senso: avete negato risolutamente di non riconoscere ogni funzione anche ai ceti del capitale, della tecnica, della piccola e media borghesia; avete cioè sentito come oggi un puro classismo, quale la vostra dottrina impone e comporta, sarebbe inattuale e darebbe luogo ad una azione ancora più inattuale. Orbene, il nostro interclassismo rappresenta quell’equilibrio fra i vari interessi che è democratico, perché è dominato da una volontà di indirizzare a un interesse comune tutti gli interessi di parte (Approvazioni) ed è dominato da quella sensibilità sociale, che ci fa rivolgere qualche parola piuttosto franca anche alla destra dei liberali e dell’Uomo qualunque. (Commenti a sinistra).

Noi non sentiamo il pericolo grave di certi contatti, che sono, del resto, diremo, transitori e contingenti (Interruzione dell’onorevole Giannini), come tutti i contatti politici; ma vogliamo ricordare all’onorevole Giannini, il quale ieri ha fatto un po’ lui una certa scena di gelosia che rimproverava l’altra volta a voi e a noi nelle nostre diatribe, vogliamo ricordare che non è in noi nessuna volontà né di ignorare l’importanza del suo movimento, né tanto meno di disprezzarlo. Ma la differenza sostanziale di atteggiamento e di indirizzo non va neanche in questa sede nascosta, tanto più quando c’è, o serpeggia, più o meno palesemente, il tentativo di farci apparire come un partito a rimorchio di una situazione oggi determinatasi.

TONELLO. Ve l’hanno detto.

GRONCHI. Noi riscontriamo nei liberali quella mancanza di sensibilità sociale nella considerazione dei fatti, per la quale ogni loro visione della società attuale è unilaterale, incerta ed inesatta. (Commenti a sinistra).

Se dovessimo, come essi sembrano dire, abbandonarci al libero giuoco delle forze economiche, come se esse anche in periodo di depressione tendessero ad equilibrarsi spontaneamente, abbandoneremmo la posizione per la quale la legge del profitto non è la sola a cui debba obbedire la vita economica di oggi, cioè la legge della impresa privata, per la quale il limite della sua espansione e l’optimum della sua dimensione sono costituiti da quello che si chiama il profitto massimale. Questa non è per noi una legge che abbia contenuto e valore sociale.

GIANNINI. Questo lei lo dice solo ai liberali, però. (Applausi a sinistra).

GRONCHI. Il profitto non può considerarsi, secondo noi, come la sola legge che muova la vita economica e quando l’onorevole Giannini ci parla del suo Stato amministrativo, dicendo che lo Stato non deve intervenire, perché non sa fare né il commerciante, né il mercante, né l’industriale, intendendo con ciò lasciare piena libertà all’iniziativa privata, cioè alle forze economiche singole, egli dice una verità ed un errore.

Errore, perché non si tratta di una discussione teorica sull’interventismo, ma di considerazione pratica e concreta dei problemi che ci vengono sottoposti dalla realtà; direi che è una questione di limiti, più che una questione di indirizzo. Ma non si può, col richiamare la inefficienza dell’azione dello Stato in questo campo, negare l’utilità sociale dell’intervento dello Stato medesimo. Non si può misconoscere che nella complessità della vita moderna lo Stato acquista poteri sempre più ampi, funzioni sempre più grandi, perché solo allo Stato è demandato utilmente il compito di difendere la collettività e quello che si chiama il bene comune dagli interessi particolari che si manifestano. Quando l’onorevole Giannini definisce con la sua pittoresca oratoria, il socialismo come l’esasperazione di una impossibilità di attuazione, perché voi – dice rivolto ai socialisti ed ai comunisti – non tenete conto che la natura umana è quella che è, devo rispondere che appunto perché la natura umana è quella che è, è necessario l’intervento dello Stato, tutelatore degli interessi comuni, per correggere gli eccessi degli interessi particolari (Applausi).

GIANNINI. Si viene a creare la borsa nera ed il contrabbando delle valute!

GRONCHI. E non è neppure vero che oggi non sia questione di programma, ma soltanto di vivere giorno per giorno, salvo a provvedere tempestivamente alle esigenze che purtroppo incalzano e si accavallano le une alle altre. Non si tratta soltanto di attrarre, di guidare l’intervento estero e particolarmente americano, il quale chiede di sapere come collocare i suoi denari, quale ne sarà l’utilizzazione e quale sarà quindi l’utilità che, agli effetti collettivi, ne possa derivare, ma anche di regolare e di avviare la nostra vita interna verso una sintesi fra l’autorità e la libertà nel campo politico, nel campo sociale e nel campo economico; sintesi che non è il compromesso, che non è la conciliazione dell’inconciliabile, ma l’esplicazione più concreta e più realistica della funzione dello Stato e, nella nostra ideologia, della funzione di un partito nella vita moderna, cioè non assenza dello Stato, non Stato agnostico, non Stato che lascia abbandonate a sé le forze economiche, ma Stato che sente la sua funzione sociale, piaccia o non piaccia all’indirizzo che seguono tutti i Paesi moderni, America compresa: voi ad ogni momento vedete che lo Stato interviene, oggi contro i trusts, domani contro i sindacati, dopodomani contro ogni forza che al ceto dirigente sembri attentare a quella che è l’utilità comune e l’interesse collettivo.

Per questa ragione occorre non andare soltanto giorno per giorno a risolvere i problemi, ma scegliere l’indirizzo e cercare di adeguarvi la vita politica del nostro Paese.

GIANNINI. È la terza via che abbiamo trovata noi, non lei. (Commenti).

GRONCHI. Vorrei dire che la terza via non è una sua invenzione, ma è un’invenzione del Röpke, che ha scritto su questo argomento interessantissimi libri e molti articoli.

Con questo intendo dire che la nostra presenza al Governo è una garanzia che la libertà e la democrazia sono difese. Non voglia dispiacere a qualcuno che nel Paese ci ascolti, ed è inutile che verso di noi si rivolga l’invocazione come all’ultima Thule della borghesia. Probabilmente l’ultima Thule della borghesia – e non ne vogliamo contestare la funzione – spetta all’«Uomo Qualunque», verso cui si rivolge, in questo momento, la polarizzazione di ogni malcontento e trepidazione, di ogni paura di tutti coloro che vedono nel loro vero volto il nostro movimento, sanno che noi siamo rivolti a progressi sociali e materiali, non solo di conquista politica, ma sostenuti da quelle conquiste economiche senza le quali le conquiste politiche non hanno alcun valore. (Applausi al centro).

Ma mi direte: poiché voi parlate di esclusione, non resta nessuna funzione ai Partiti socialista e comunista. Io credo che voi ne abbiate una importantissima, purché allarghiate lo sguardo da quella che è la situazione interna e vediate qual è la situazione internazionale che si è creata in Europa e nel mondo.

Onorevoli colleghi, noi possiamo deprecare che i principî della Carta Atlantica siano stati così rapidamente dimenticati. La realtà è quella che è. Noi siamo di fronte al cozzo di due colossali imperialismi – non faccio l’analisi se siano guidati da ragioni ideologiche o da interessi materiali – ma sono imperialismi che si accampano, oltre che nel resto del mondo, anche nel centro d’Europa. L’Italia è purtroppo una marca di frontiera: essa è sulla linea di displuvio, e noi vediamo come al sud di questa linea di displuvio talune potenze si aggrappano alle coste rocciose della Grecia per rimanervi come scolte di fronte ad infiltrazioni che esse temono. Questa situazione internazionale condiziona – si voglia o non si voglia – anche la nostra politica interna. Siamo fra coloro che pensano che l’indipendenza non possa essere non solo venduta, ma neppure menomata per nessun beneficio economico. Certo, è vostra funzione di aiutare l’irrobustirsi di questa democrazia nel nostro Paese, perché la migliore garanzia di indipendenza contro ogni mira egemonica sta proprio nell’irrobustirsi della democrazia. (Interruzioni a sinistra).

Dico aiutare, perché, come nel campo della vita sindacale e della vita politica interna noi siamo lieti che le forze dei lavoro, da qualunque indirizzo politico siano rappresentate, siano strette in una collaborazione verso il fine comune della elevazione delle classi lavoratrici, così, nel campo internazionale, non solo non vogliamo soggezioni né a oriente né ad occidente, ma riteniamo che il compito della democrazia moderna di tutti gli Stati europei sia quello di reinserire il popolo russo nel giuoco della vita politica europea, per farne un fattore di progresso, lasciandolo intatto e libero negli ordinamenti che voglia darsi. (Applausi).

Questo è il compito che noi ci attribuiamo. Ed è perciò – ora è la volta degli amici della sinistra, non dell’estrema sinistra – che non conviene, nell’interesse generale del Paese, che voi spingiate la Democrazia cristiana a destra. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Siete voi che la spingete.

GRONCHI. Per quale ragione voi ci avete definito, irrimediabilmente, posizione di centro, quando eravamo di intesa con voi e non dobbiamo rimanere nella stessa posizione ora che vi è un contatto con l’altra parte? (Commenti a sinistra). È politicamente interessante che noi conserviamo, come intendiamo fare, la nostra fisionomia. Ma se la sinistra assume atteggiamenti di distacco, è evidente che inevitabilmente la configurazione politica dell’Assemblea si divide in due parti distinte, ciò che non risponde, noi riteniamo, né alle nostre aspirazioni, né all’interesse del Paese. Questa è una esortazione a considerare l’utilità che questa divisione in due parti quasi uguali non si faccia, e che si dia il pieno significato al voto che ora stiamo per dare al Governo, e che si chiama, non a caso, voto di fiducia. Vuol dire, cioè, dare mandato ad una determinata formazione di mantenere un determinato atteggiamento e di applicare un determinato programma, cioè dare effettivamente fiducia a un insieme di uomini che formano un Governo. (Commenti a sinistra). Questo è l’avvertimento che mi permetto di dare ai colleghi della sinistra democratica, perché indubbiamente se una manchevolezza vi è, che impedisce di dare una base sicura alla nascente democrazia, è l’assenza alla nostra sinistra di forze le quali sentano come sul terreno della libertà e della democrazia possono fare un largo e lungo cammino con noi. (Interruzione dell’onorevole Lussu).

È, insomma, questa specie di vuoto che esiste, a cominciare da noi, fino ai socialisti nenniani, per intenderci, e ai comunisti.

Mancano nello schieramento politico italiano quelle forze di sinistra intermedie, che costituirebbero con noi il centro, il fulcro più efficiente. (Commenti a sinistra).

Vi sono estremi opposti, i quali hanno già fatto la loro prova, non soltanto nella vita politica italiana, ma anche nella vita degli altri Paesi, ed è utile che noi non ritentiamo l’esperimento, e noi non intendiamo ritentarlo.

Dicevo, e concludo, che persino dietro il Governo socialista di Ramadier – il quale dimostra un senso dello Stato così vivo e così operante da opporsi con coraggio e con equilibrio, ma con rigore, a tutte le forme di agitazione che possano minacciare la stabilità finanziaria ed economica della Francia – non è invisibile l’ombra di De Gaulle, il quale è il rappresentante, non solo, e forse non principalmente, della reazione; poiché il popolo francese non è nella sua enorme maggioranza nostalgico di nessuna reazione e di nessuna restaurazione; ma del malcontento, del senso di incertezza, della volontà di appoggiare su qualche cosa di stabile la vita del Paese, in momenti così tristi e così tremendi per l’interesse collettivo. Egli può essere lo strumento di reazione di cui è impossibile indicare oggi il cammino e che potrebbe rivolgersi proprio contro le classi popolari.

GIANNINI. L’Uomo qualunque francese!

GRONCHI. Orbene, come in Francia, finché esisterà un Movimento repubblicano popolare, che va consolidando la sua posizione e il suo indirizzo democratico, così in Italia, finché esisterà un movimento democratico cristiano, è inutile sventolare il fantasma della reazione perché la democrazia, la libertà e la Repubblica troveranno in esso la difesa ed il baluardo più valido ed effettivo. (Vivissimi applausi Moltissime congratulazioni).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vorrei ricordare all’Assemblea che ci siamo dati tutti insieme – nessuno escluso – un programma di lavori per questa seduta, e poiché abbiamo fatto una interruzione di 30 minuti un’ora fa, penso che non vi sia bisogno di un’altra interruzione, dato che c’è ancora un oratore iscritto, l’onorevole Corsi.

Restano, poi, ancora da svolgere due ordini del giorno e noi siamo sicuri che i presentatori sapranno attenersi al limite di tempo prestabilito, tenendo anche conto della lunghezza di questa seduta.

Successivamente, si pone il problema della risposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. D’accordo con lui, io penso che possiamo rinviare quest’ultima parte dei nostri lavori a domattina. Se non vi sono obiezioni, ritengo che tutti possiamo essere d’accordo che la seduta di domattina sia dedicata alla risposta del Presidente del Consiglio.

Seguiranno le dichiarazioni di voto, e vorrei dire subito che l’ampiezza del dibattito e la precisione degli atteggiamenti assunti probabilmente non renderanno necessarie molte e, soprattutto, lunghe dichiarazioni di voto.

Si passerà, poi, al voto, in maniera tale che, se incominceremo la seduta alle 9, potremo finire con la votazione verso le tredici, naturalmente rimettendoci alla discrezione di coloro che faranno le dichiarazioni di voto. In questo modo tutti noi potremo osservare i programmi predisposti per il pomeriggio ed anche per il giorno successivo. (Commenti).

Onorevoli colleghi, ho esposto questo programma dei lavori sulla base di un colloquio avuto coll’onorevole Presidente del Consiglio. Mi pareva che in generale, salvo a stabilire l’ora d’inizio della seduta di domani mattina, si avesse un’accettazione generica. Vi sono, però, alcuni colleghi i quali preferirebbero continuare stasera i nostri lavori. (Commenti).

Ora, poiché mi pare che ci sia un certo contrasto a questo proposito, risolviamolo immediatamente, ma risolviamolo anche in relazione al fatto che, sulla base del colloquio – che non era un impegno, poiché la decisione spetta all’Assemblea – che ho avuto coll’onorevole Presidente del Consiglio, a certi colleghi che sono venuti ad informarsi sull’andamento dei nostri lavori, per regolarsi su ciò che dovessero fare, è stato detto che non si votava stasera, e pertanto si sono allontanati. (Commenti).

Vi è però la reciproca, nel senso che alcuni colleghi, pensando che si votasse stasera, hanno preso impegni per domani mattina.

Questa è la situazione. Adesso decidiamo cosa dobbiamo fare.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io avevo espresso il desiderio di parlare domani, per rispondere più esaurientemente a tutti gli oratori. Per questo intendevo parlare dalle 10 in poi, in modo che vi fosse tutta la possibilità che l’Assemblea si radunasse di nuovo nella sua grande maggioranza.

Però, se vi sono eccezioni, sono disposto a parlare domattina alle 8.30, perché tengo conto degli impegni presi a partire dalle ore 13.

TIERI. Meglio stanotte.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io credo di venire incontro nella misura del possibile alla volontà dell’Assemblea. Però, se c’è un forte gruppo che desidera che io parli stanotte, mi sobbarcherò a parlare stanotte.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, io non vedo la ragione di chiudere questa discussione sulle dichiarazioni del Governo e di votare con tanta urgenza. Non vedo questa urgenza, tanto più che oggi ho avuto l’impressione che si sia tentato un colpo di mano. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, non faccia un discorso politico. Parli di questa questione.

GIANNINI. Le garantisco che non farò un discorso politico, ma tecnico (Si ride). Ho l’impressione, da quanto ho udito dal mio eminente collega Gronchi, che si sia pensata qualche cosa che possa turbare un orientamento già raggiunto. Mi sembra assurdo, in tali condizioni, preoccuparci della partenza dei treni che i nostri colleghi dovranno prendere e dei loro interessi nei rispettivi collegi. Mi sembra che sia perfettamente inutile preoccuparci della loro stanchezza.

Io propongo – allo scopo di rendere sempre più chiara e cristallina questa nostra funzione politica, nella quale davvero vado facendo delle stupefacenti scoperte di cristallinità – di continuare la discussione per altri due, tre, quattro giorni (Commenti). E che c’è di male? Abbiamo gli uscieri alle calcagna? Abbiamo qualche cambiale in protesto? O avete forse troppa fretta voi? (Accenna a sinistra).

Aspettiamo: vuol dire che si voterà mercoledì, giovedì, venerdì, Non fa niente, signor Presidente! L’Italia sta tanto bene senza Governo! Può aspettare altri due giorni!

Quindi propongo di sospendere perché sono le ore 21. Domani faremo la seduta alle 10, perché noi siamo uomini e non siamo muli. Ad un certo momento si toglierà la seduta antimeridiana e i colleghi partiranno. Lunedì ci rivedremo – in grazia di Dio – e andremo avanti, perché finché c’è tempo c’è speranza, e non c’è bisogno di cadere in nessuna trappoletta ed in nessun guet-à-pens, come direbbe il collega Nenni.

PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta dell’onorevole Giannini di rinviare la seduta a domattina per proseguire la discussione, e suppongo che l’onorevole Giannini non penserà di iscriversi ancora una volta a parlare.

GIANNINI. C’è un ordine del giorno mio e ne approfitterò.

PRESIDENTE. Ma lei ha già parlato.

GIANNINI. Vuol dire che parlerò in sede di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Questa proposta implica il rinvio della votazione alla prossima settimana. Vi è poi la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio di condurre a termine stasera la discussione, dando facoltà di parlare all’onorevole Corsi e agli altri oratori iscritti, e di rinviare la seduta a domattina alle otto e trenta. (Commenti).

Non mi pare che sia una cosa stranissima che una volta tanto nella storia del Parlamento si cominci la seduta alle otto e mezzo, con il sole alto, in piena estate.

C’è, infine, una proposta dell’onorevole Schiavetti di continuare i nostri lavori stasera sino a votazione avvenuta. (Commenti).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio.

(È approvata).

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, continuiamo la discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole Corsi. Ne ha facoltà.

CORSI. Onorevoli colleghi, sono rammaricato di dover prendere la parola, direi all’ultimo punto, quando l’Assemblea ha compiuto un’altra delle sue laboriose fatiche, e dopo che numerosi oratori hanno esaminato sotto ogni aspetto il problema grave che ora a noi si pone, cioè quello prevalente di natura politica, connesso ad elementi di natura finanziaria ed economica relativi alla vita del Paese.

Peraltro, debbo brevemente assolvere il compito che mi è stato affidato dal mio Gruppo, di precisare, in attesa d’una dichiarazione che sarà letta al momento del voto, le linee generali ed ispiritatrici della nostra condotta. Profitterò brevemente della vostra benevola attenzione, e rinuncerò a quella più vasta analisi che mi ero proposta per adempiere all’obbligo di chiarire tale nostra condotta politica in rapporto non a formali posizioni, ma all’obiettiva valutazione di elementi politici, finanziari ed economici. Se noi vogliamo dare un giudizio della situazione, nella quale si va laboriosamente formando la nuova democrazia italiana, possiamo e dobbiamo constatare come il tempo divori le situazioni che successivamente si creano e forse anche gli uomini, che di esse sono gli esponenti più significativi. L’esigenza fondamentale, sentita soprattutto dal Paese, è quella di un equilibrio che consenta alla nuova democrazia di affermarsi, di affondare le proprie radici nella vita nazionale, fra gli strati più profondi e anche fra quelli più alti, realizzando quell’opera di conciliazione che tutti i partiti, dai più estremi gruppi fino a quelli di destra, hanno auspicato come una necessità essenziale della nuova vita italiana. Ma spesso appare, destando in noi preoccupazioni profonde, la possibilità che all’equilibrio si sostituisca il conflitto, e questo cadrebbe sul corpo già tanto piagato della Nazione. Ora, come si inquadra la crisi ministeriale della quale noi ci occupiamo, in questa esigenza di equilibrio e in questa possibilità paurosa di conflitto? Se noi vogliamo aver riguardo ad una democrazia sostanziale, effettiva, che esprima le esigenze del nostro spirito e quelle degli interessi nazionali di ogni classe, noi dobbiamo dire che la democrazia sostanziale non ha trovato espressione in una crisi ministeriale extra parlamentare, sulle cui origini, sui cui moventi, sulle cui cause profonde, per altro, l’onorevole Presidente del Consiglio non ci ha dato, per quanto ispirato dalla più lodevole intenzione di non esasperare i contrasti, sufficienti chiarimenti. E se valutiamo, noi, di questo Gruppo, la esclusione dal nuovo Governo di quelle forze socialiste e comunque centriste, che mirano a realizzare in Italia, in questa situazione di auspicato equilibrio e di temuto conflitto, una posizione di mediazione o di conciliazione, se consideriamo la esclusione di queste forze per le condizioni ad esse fatte d’una pura partecipazione tecnica, quasi sequestro di alcuni uomini, valutati esclusivamente per le loro capacità intellettuali o per la loro esperienza, in una coalizione politica, noi abbiamo ulteriori ragioni di perplessità nel considerare la soluzione della crisi ministeriale.

Possiamo dire, senza ambagi, che essa non è sodisfacente, non risponde alle esigenze della vita nazionale in questo momento, sovrattutto perché nella nuova compagine ministeriale non sono rappresentate le forze politiche, dicevo centriste, interpreti della più consapevole volontà delle classi lavoratrici italiane, le quali, ugualmente lontane da ogni posizione estremista, si richiamano a quella tradizione, veramente italiana e socialista, la quale è affermazione di garantite libertà, nella pratica di un’alta tolleranza, e vogliono realizzare audaci riforme, obiettivamente compatibili colle condizioni odierne economiche, finanziarie, internazionali del nostro Paese.

Giudizio, quindi, di insodisfazione per le forme, i modi e le conclusioni della crisi ministeriale.

D’altra parte, colla stessa obiettività, noi dobbiamo dichiarare contradittorie le severe rampogne, autorevolmente espresse dall’onorevole Morandi, prima, dall’onorevole Nenni, poi, e da ultimo, questa sera, dall’onorevole Togliatti, circa la fine della coalizione tripartita.

Infatti, è già stato rilevato stamani dall’onorevole Lombardi – e su questo punto, come su altri, io mi limiterò ad accenni – che non si sta al Governo nelle condizioni da tali oratori lamentate. In sostanza essi hanno formulate delle vere e proprie accuse contro il Presidente del Consiglio; e l’onorevole Scoccimarro ha parlato addirittura di accertamento di responsabilità. Si è precisato che l’onorevole De Gasperi ha fatto «marcire» – questa è la parola, che io ripeto – la conclusione del prestito dei 100 milioni di dollari; inoltre, che il cambio della moneta non è stato operato per un larvato ostruzionismo, che avrebbe preso volta a volta aspetti o pretesti diversi, come quello della polizia insufficiente e impreparata, dell’amministrazione priva di mezzi tecnici necessari e via di seguito. Si è detto che la stessa organizzazione dell’I.R.I. e la sua destinazione a un compito specifico nell’attuale momento economico sono state paralizzate dalla volontà sagace ed insieme dilatoria del Presidente del Consiglio; e altro per altre questioni, per altri mancati provvedimenti. Anche per quanto concerne l’attribuzione del 50 per cento della valuta ai privati esportatori, abbiamo udito recriminazioni e condanne. Questi i motivi pei quali la tripartitica coalizione governativa non ha funzionato ed è stata ridotta alla paralisi.

Comunque sia delle accuse, la constatazione obiettiva c’è: il Governo tripartitico non ha sodisfatto le esigenze della grande maggioranza degli italiani, che attendeva la soluzione di problemi concreti, che attendeva la realizzazione di una parte, almeno, di quei quattro o tre programmi, che furono enunciati qui, relativi a tutti gli aspetti della vita nazionale, agricola, industriale, finanziaria, sociale. Il Governo tripartitico, per constatazione unanime e concorde, alla quale si sono aggiunti questa sera i ricordi e le notizie dell’onorevole Gronchi, era condannato per la sua stessa inefficienza.

Ebbene, la democrazia sostanziale, della quale parlavamo, esige, soprattutto, che una coalizione governativa, imperniata su di un programma liberamente accettato, ponga in esecuzione e realizzi questo programma, e innanzitutto, che essa sia fondata su di una effettiva e leale collaborazione; senza di che essa diventa corruttrice, crea il trasformismo e l’equivoco, la contradizione e la subdola condotta dei partecipanti alla coalizione. Ciò che è tanto più grave in quanto il Governo ha oggi, come è stato qui da più parti ripetuto e ricordato, i poteri di una Assemblea, ha i poteri legislativi, ed esso solo può e deve esercitarli nell’interesse del Paese; ciò che è tanto più grave se si considera la situazione, sotto ogni aspetto preoccupante, della nostra vita nazionale.

Della situazione, io non dirò, come col suo umorismo l’onorevole Nitti ha voluto dire, che i problemi non sono poi così grandi; e che si tratta, in fondo, del conto della serva, ma certo è che non si tratta di cose sublimi. Sono i problemi relativi al bilancio dello Stato, cioè all’adeguamento delle entrate, alla circolazione ed alla svalutazione della moneta; al rapporto tra importazioni ed esportazioni; alla politica degli investimenti. Tutti essi involgono il problema insieme pauroso e fondamentale della ricostruzione della vita nazionale, della efficienza della sua amministrazione e del suo Governo; ma specialmente esigono una politica di fatti e non già di parole; non di soli programmi, ma di azioni concrete; non soltanto di previsioni, ma di realizzazioni.

Ora, per la effettiva soluzione dei problemi anzidetti, che possono riassumersi in una breve formula «assetto di un bilancio e di una bilancia e saggezza negli impieghi dei nuovi risparmi attualmente disponibili», dobbiamo ricordare a noi stessi che poco è stato compiuto delle cose indispensabili, alle quali bisognava con la più grande energia che il Governo, capace di potere legislativo, si accingesse.

L’onorevole Scoccimarro ha dichiarato (l’ha detto più volte) che la situazione non è grave, non è eccessivamente preoccupante o, per lo meno, che non in tutti i tre anzidetti settori si verifica questa allarmante situazione. Ma contro l’ottimismo dell’ex Ministro delle finanze noi dobbiamo ricordare il giudizio dell’onorevole Morandi, il quale, nel suo importante discorso di Milano, ha affermato che il Paese si trova al limitare del baratro; dobbiamo ricordare le affermazioni dell’onorevole Campilli il quale ha parlato eufemisticamente di «nave sbattuta dalla tempesta». Infine l’onorevole Einaudi, che ha lanciato un «grido di allarme», avvertendo che ci troviamo ad un bivio, donde si può ugualmente procedere verso una vetta di salvazione o verso un abisso.

D’altra parte, dinanzi a queste valutazioni così gravi e direi concordi di uomini autorevoli di diversa fede politica e tutti di alta competenza finanziaria ed economica, abbiamo i dilemmi ferrei, posti dall’onorevole Campilli nelle Commissioni riunite, i quali distruggono e rendono inutile, direi deplorevole, ogni discussione a carattere scolastico e teorico sulla nostra situazione economica e finanziaria.

Perché l’onorevole Campilli, alle varie osservazioni dei nostri colleghi che, in quelle quattro o cinque sedute delle Commissioni riunite, hanno con scrupolosa coscienza esaminato tutti i problemi finanziari, economici tributari, riferentisi a ciascuna particolare situazione e a ciascuna particolare azienda dello Stato, ha posto questi dilemmi, e dobbiamo dargliene atto.

Impossibilità, per ciascun uomo, di qualunque partito, di qualunque ideologia politica o tendenza dottrinale, di evitare la scelta circa l’impiego della valuta disponibile: in beni di consumo, o in beni strumentali destinati a creare o ricostruire fonti di nuova ricchezza? Chi concede prestiti – disse l’onorevole Campilli – vuol sapere come intendiamo restituirli; non certo, naturalmente, consumandoli.

L’I.R.I. – Come alleggerire la posizione se occorre preoccuparci della sorte di trentaquattromiladuecento operai in eccedenza? Il problema è non solo finanziario ed economico, ma sociale.

Le industrie dovrebbero rifornirsi con capitali presi da fonti normali di risparmio, presso fonti ordinarie di credito, ma le esigenze eccezionali e le necessità di impedire una più paurosa e vasta disoccupazione hanno imposto allo Stato (spesso attraverso richieste delle stesse organizzazioni sindacali e dei partiti che sono a più diretto contatto con le classi lavoratrici), questi finanziamenti a favore delle industrie.

I residui. – Tutte le osservazioni sono legittime e possibili, ma era utile ed inevitabile la manovra fra quelli effettivi e quelli formali, quelli che occorre accertare e quelli che possono essere contestati.

E così del prezzo politico del grano, in rapporto al valore medio del dollaro; e così quello della burocrazia pletorica, mentre le esigenze dei reduci e la necessità di non accrescere la disoccupazione anche in questo settore limitano le possibilità degli uomini del Governo.

Infine la situazione creditizia e del risparmio. – Se lo Stato già assorbe il 62 per cento del risparmio per i bisogni della Tesoreria, e per gli impieghi privati resta appena il 38 per cento, come possono accrescersi questi assorbimenti senza pregiudicare la ripresa produttiva? In tal modo, lo Stato non potrà avere risorse attraverso le imposte e dovrà esso aiutare le iniziative dell’agricoltura, del commercio, dell’industria. Così, l’onorevole Campilli poneva un altro dilemma, quello della Azienda Ferroviaria, che ha un deficit di 22 miliardi.

Dinanzi a questa situazione, che cosa s’è fatto? Quale azione positiva ha realizzato il Governo tripartitico? In materia tributaria, dopo vari anni di azione parzialmente inefficiente, e che comunque non ha dato i risultati che si attendevano, il Governo ha dovuto ricorrere in gran fretta – dopo la esposizione finanziaria dell’onorevole Campilli, che è sembrata quasi una rivelazione – alla duplice imposta sul patrimonio, come un colpo di scure sull’economia nazionale e sull’apparato tributario nazionale. E voi, onorevoli colleghi, avete udito da più parti, e oltre ogni demagogia, la condanna di queste due imposte, le quali sono soprattutto due imposte sulla proprietà immobiliare.

Infatti, l’accertamento della ricchezza mobiliare risulta limitato e difficile, perché il cambio della moneta non si è fatto o non si poteva fare; perché la denuncia dei titoli sarà certamente omessa; perché le azioni, oltre la difficoltà di rincorrerle nei vari trapassi, sono per gran parte in possesso di quegli enti collettivi che non si sono voluti tassare. Le due imposte rappresentano un colpo di scure anche in riferimento alla nostra particolare condizione tra il nord e il sud, poiché gli enti collettivi che si esentano esistono prevalentemente nelle zone settentrionali del nostro Paese, e per tal modo queste regioni verranno a concorrere in misura non certo adeguata alla loro potenzialità economica alla ricostruzione nazionale. La ricchezza del Mezzogiorno è prevalentemente immobiliare e da ciò derivano, e sono state constatate, sperequazioni gravissime. Tra le altre, l’onorevole Einaudi molti anni fa rilevava come nell’incremento dell’imposta di successione venivano a trovarsi al primo posto le regioni più povere d’Italia e, fra esse, la Sardegna, mentre al tredicesimo posto era per questo titolo l’apporto di una delle regioni più ricche, la Liguria. Tale situazione, dunque, risulta ora aggravata.

Ma si abbatte, questa imposta patrimoniale, queste due imposte patrimoniali, sull’apparato tributario del nostro Paese, che doveva essere l’oggetto principale delle cure dei Governi passati, e auguriamoci che sarà l’oggetto principale delle cure dei Governi prossimi e futuri, o del Governo attuale, se durerà! Perché, onorevoli colleghi, voi sapete in quali condizioni di paralisi si trovano gli uffici tributari del nostro Paese, per insufficienza di personale. Essi sono organizzati in base a tabelle – mi pare – del 1940, che non furono mai attuate e, successivamente, sono stati ulteriormente depauperati dalla guerra e dalla disorganizzazione generale che ne è seguita.

Uffici senza personale, quindi nell’assoluta impossibilità di effettuare accertamenti; in locali inidonei; sprovvisti di mezzi; dove la lentezza burocratica fa sì che i cottimi di coloro che lavorano siano pagati con ritardo di semestri; dove le indennità ai membri delle commissioni arrivano con tale ritardo e con tale inadeguatezza, che le commissioni non possono funzionare; dove gli impiegati di così delicato ed importante servizio – che procura allo Stato miliardi – devono anticipare le spese per le più umili esigenze del funzionamento di questa importante amministrazione!

Dato tale stato di cose, quale era il compito principale, la funzione essenziale per far funzionare la macchina tributaria? Quella di fornire gli uomini a questi uffici. Noi ci troviamo in Italia in questa situazione: che alcuni Ministeri non esistono più, ma esiste tutta l’impalcatura burocratica; che si lamenta pletora di impiegati in tutti gli uffici, in tutti i Ministeri, ma che, d’altra parte, servizi di prevalente importanza non funzionano, non adempiono ai loro compiti specifici per mancanza di personale.

Questo avviene in tanti settori, da quello relativo alle pensioni, a quello relativo al Casellario giudiziario centrale, dove quasi duemila domande al giorno non possono essere evase per mancanza di personale; agli uffici giudiziari, per i quali voi del Governo avete discusso se dare ai magistrati qualche modesto aumento. Ma lo Stato avrebbe potuto recuperare adeguatamente questi oneri, semplicemente fornendo i funzionari alle amministrazioni giudiziarie, che non possono far esigere all’erario – come dovrebbero – somme enormi, cospicue, appunto per mancanza di personale.

Ciò è vero, dicevo, specialmente per quanto attiene agli uffici tributari e alla loro struttura: mancanza di personale, mancanza di mezzi materiali, indecorosità di locali e anche inadeguatezza dei mezzi di indagine. Infatti, non è consentito ai funzionari di recarsi sul luogo degli accertamenti e, in materia di trasferimento di aziende (siamo anche qui nel campo della ricchezza mobiliare), gli organi sono inidonei, impreparati, senza quella competenza tecnica che dovrebbe crearsi con appositi organi e con l’ausilio di esperti commercialisti.

Attraverso le imposte ordinarie, dunque, attraverso i nuovi accertamenti, poteva benissimo e tempestivamente farsi affluire nelle casse dello Stato un adeguato apporto tributario da parte dei cittadini, che forse mai come in questo momento sono disposti a pagare, perché hanno la possibilità di pagare.

Ma bisognava soprattutto, con questi accertamenti, ridurre l’enorme sproporzione fra imposte indirette e imposte dirette. Ieri l’onorevole Einaudi ci ha detto che il 70 per cento delle imposte che lo Stato incassa attualmente sono imposte indirette. Voi vedete l’ingiustizia profonda di tale situazione, particolarmente aggravata in questo momento, e quanto essa risulti iniqua, ora che il capitale realizza, oltre i normali e spesso legittimi utili, quelli particolari di congiuntura.

Proprio l’onorevole Einaudi, con la lealtà che lo distingue, con quel coraggio che lo ha reso benemerito nella vita nazionale per l’opposizione agli arrembaggi sul bilancio dello Stato, alle forme protezionistiche, alle forme tributarie ingiuste, lo stesso onorevole Einaudi, dicevo, nella sua magnifica relazione come Governatore della Banca d’Italia, ricorda e dichiara che in questo momento in Italia, come in tutte le economie che si impoveriscono, chi si avvantaggia di più e lucra di più sono le forze e gli elementi capitalistici.

In aggiunta a questa sperequazione fra imposte dirette e indirette, in aggiunta a questi lucri di congiuntura, che cosa dobbiamo dire, quando la continua generica ripetizione della necessità della riforma agraria appare come un’ironia, mentre, di fatto, soltanto il dominio esclusivo di determinati ceti della proprietà rurale si va ricostituendo in forme che erano state superate?

Ho detto superate, perché quei ceti erano assenti dalla vita agricola e avevano caricato di ipoteche le proprietà attraverso una vita estranea e lontana alla terra, attraverso una vita quasi antisociale, e, in tal modo appunto, avevano perduto quel dominio esclusivo su ricchezze spesso di origine feudale.

Oggi quel gravame ipotecario si va annullando e si va quindi ripristinando la prevalenza di classi assenteistiche, mentre noi nulla in concreto operiamo. A ciò si aggiunge la spogliazione dei risparmiatori, i quali spesso sono piccoli e medi ceti.

Così abbiamo un quadro ingiusto, comunque doloroso, di una situazione che pesa su classi consumatrici, che va a favore di classi o già ricche, o assenti dall’attività produttiva. Onorevoli colleghi, se il Governo tripartito avesse realizzato, come doveva, un minimo di concordia e di azione, qualche cosa poteva farsi, soprattutto per superare lo squilibrio economico del nostro Paese. I fattori di questo squilibrio sono ben noti: mancanza di materie prime, mancanza di valuta per acquistarle, deficienza e mancanza di carbone. Il periodo di euforia, quasi, di cui ha goduto l’attività industriale italiana, si opina dai competenti possa attenuarsi nel prossimo inverno per la deficienza di tali fattori e per la concorrenza di Paesi che prima non potevano operare contro di noi, ma che presto si troveranno in condizioni che consentono ad essi di effettuarla. In vista di ciò, l’attività nazionale doveva essere rivolta prevalentemente ad una grande politica rurale. Questa politica rurale avrebbe dovuto consentire, intanto, un maggiore apporto di prodotti alimentari sul mercato, per ridurre il costo della vita. Doveva offrire la possibilità al Governo di fronteggiare la disoccupazione con un impiego di mano d’opera largamente possibile in un settore che non richiede carbone, che non richiede cemento, che non richiede ferro. Doveva consentire, altresì, la creazione di quei presupposti della riforma agraria, che pure si deve fare gradualmente, razionalmente; farsi insomma, senza declamarla soltanto fra le mura delle vecchie basiliche o negli orti botanici.

Si poteva incominciare a fare qualche cosa soprattutto in quel patrimonio terriero che fa dello Stato uno dei maggiori latifondisti del nostro Paese. Basta ricordare che oltre 85 mila articoli di ruolo per un reddito imponibile di circa 108 milioni di lire-oro 1938, costituiscono il patrimonio terriero dello Stato, degli enti pubblici, delle opere pie; e una parte notevole di queste terre è incolta, è abbandonata, è deserta. Ora, in questo settore, che era essenzialmente produttivistico, che avrebbe fornito la possibilità di fronteggiare la disoccupazione, che ci avrebbe consentito – sono già quattro anni: dal luglio 1943 noi siamo arrivati quasi al luglio del 1947 – intanto, un immediato, maggiore apporto di prodotti alimentari sul mercato, in questo campo che cosa è stato fatto? Nulla.

A proposito del costo della vita, l’onorevole Cerreti, nella sua lunga polemica col Ministro dell’interno, ha ricordato gli enti annonari municipali e le difficoltà di funzionamento di questi enti. In verità, è assai strano, in un Paese nel quale tre o quattro banche dispongono di un terzo del risparmio nazionale, dei depositi nazionali – e sono banche di natura statale – è ben strano che in questo Paese gli enti comunali di approvvigionamento non possano trovare credito.

UBERTI. Ma glielo garantisce il comune. Lo possono trovare.

CORSI. I comuni non sono dei garanti molto desiderabili, i comuni hanno bisogno di essere garantiti essi stessi!

Ebbene, anche qui, le proposte che partirono durante i primi mesi di quest’anno per il Consiglio dei Ministri in materia di ristoranti popolari, in materia di enti di consumo ecc., stabilivano un diretto aiuto da parte dello Stato ad organismi i quali non sono di natura politica o filantropica, ma devono avere ed hanno un carattere esclusivamente economico e sono controllati dall’autorità tutoria, ma debbono esercitare un potere calmieristico effettivo. Non solo: ma la questione che fu qui proposta dall’onorevole Cerreti nella incresciosa disputa col Ministro dell’interno, la questione relativa al rifornimento dei generi della Sepral attraverso gli enti di consumo era stata proposta allorché si discusse della costituzione di questi enti.

Chi non ha approvato tali proposte? Chi ha modificato il progetto iniziale, il quale stabiliva, precisamente, che gli enti di approvvigionamento dovessero essere i distributori dei generi forniti dalla Sepral? Le norme a suo tempo formulate stabilivano come obbligo della Sepral e di altri enti provinciali e comunali quello di trasferire agli esercizi privati i vari prodotti, compresa la farina per la panificazione, attraverso gli enti di consumo.

Una voce. Chi si oppose?

CORSI. Io non ne facevo parte, ma erano presenti nel Consiglio dei Ministri tre Ministri comunisti e quattro, mi pare, Ministri socialisti.

Inoltre, proponemmo sanzioni molto drastiche, un regolamento molto rigoroso in un Paese dove purtroppo nessuna disciplina si riesce a realizzare.

Ritorno all’argomento essenziale. Per questo importante settore agricolo che avrebbe dovuto, anche secondo autorevoli economisti, costituire in questo periodo di emergenza il campo d’azione d’un Governo energico ed illuminato, che rinunciasse all’illusoria e canzonatoria pratica di stanziamenti che mai si realizzano, che cosa si è fatto?

Lo sviluppo dell’attività rurale costituisce un dovere nazionale non solo da parte dello Stato mediante bonifiche ed irrigazioni, ma anche da parte privata. Se la proprietà privata va rispettata, è anche evidente che esistono in Italia leggi che non si rispettano sulla bonifica integrale, attraverso le quali lo Stato avrebbe potuto e dovuto esigere dalle classi rurali possidenti il compimento dei loro doveri che, del resto, corrispondono anche agli interessi di tali categorie. A questo proposito, mi sovviene di domandare: quale sarà l’influenza dell’imposta patrimoniale, se voi toglierete alle classi rurali i fondi disponibili che dovevano esser rivolti a quest’opera di miglioramento, di bonifica agraria, anche con carattere coercitivo?

Avevo proposto una volta all’onorevole Segni, che è così solerte nella sua attività di Ministro dell’agricoltura, di stabilire un potere di ordinanza degli ispettori agrari compartimentali e provinciali, poiché non è giusto tollerare in un Paese che importava normalmente in soli prodotti alimentari il venti per cento di tutte le importazioni, che in questo Paese, in un momento come questo, in cui la fame batte a tante porte e la stessa salute della stirpe è seriamente compromessa, non è giusto tollerare una forma di indisciplina, direi quasi di anarchia, nel campo dell’attività produttiva, quando esistono le stesse leggi fasciste del 1933 per la bonifica integrale che impongono alla classe dei proprietari determinati lavori, che sono quelli economicamente e razionalmente più necessari e più benefici in questo momento.

Ho qui un piano di irrigazione favoritomi dall’onorevole Segni, piano dal quale risulta che quasi 500 mila ettari di terreno potrebbero essere irrigati con una spesa che è appena di 112 miliardi. D’altro canto, l’onorevole Lombardi, a proposito del premio della Repubblica che ha dato un pasto più o meno magro alle famiglie dei nostri lavoratori, diceva che questo premio importava una spesa di 30 miliardi. Non so se ciò sia esatto. Ma dico che avremmo giovato molto di più se avessimo impiegato il denaro non attraverso queste forme che dispensano elemosine a varie riprese, ma attraverso forme costruttive. E 112 miliardi per quel piano di irrigazione non sono molti, se si considera che dei 112 ve ne sono 42 a carico della proprietà privata.

Un congresso, che è stato tenuto a Roma, a proposito di questi problemi di irrigazione e di bonifica, preventivava un milione e centomila ettari da irrigare in un breve periodo di tempo, con una spesa non paurosa, ma con una utilità formidabile, perché potrebbe trecentuplicare la produzione e occupare oltre duecentosessanta milioni di giornate di lavoro.

Onorevoli colleghi, che cosa è stato avviato in questo settore oltre quella che è stata la personale iniziativa dell’onorevole Segni nel suo campo di Ministro dell’agricoltura? È stata organizzata questa vasta azione rurale intesa a risolvere molti problemi, quello alimentare, quello della disoccupazione, quello dei presupposti della riforma agraria in un paese che non ha soltanto oggi, incidentalmente, per la guerra, una disoccupazione agricola, ma dove plebi miserabili affliggono la vita nazionale oltre ogni congiuntura ed oltre ogni dolorosa conseguenza bellica? Si tratta, ripeto, di un problema di importanza primaria su cui va richiamata l’attenzione di ogni Governo.

Ma, onorevoli colleghi, altri grandi problemi fondamentali si ponevano al Governo tripartitico. Ieri l’onorevole Lombardi parlava dell’industria meccanica e l’onorevole Scoccimarro diceva alcuni giorni or sono che l’industria navale italiana, con appena 24 miliardi, avrebbe potuto avere assicurata la propria vita. Mi pare che alla base dell’attività meccanica nazionale, che occupava 600.000 operai e della stessa industria navale italiana, ci sia il problema siderurgico: questo annoso problema che tante polemiche e sopratutto tante deviazioni all’attività economica italiana è costato. Il problema della siderurgia, che ha pesato lungamente e ancora pesa sull’agricoltura e sull’industria italiana, in quale maniera è stato proposto e avviato a soluzione dopo quattro anni? Qualche cosa bisognava fare, decidere. Perché, se si ricostruiscono in Italia i 70 stabilimenti che producono tutti insieme 2 milioni e mezzo di tonnellate di acciaio, mentre all’estero spesso un solo stabilimento produce tanto, se si ripristina quella situazione siderurgica corrotta, viziata e ispirata a concetti nazionalistici e imperialistici, comunque antieconomici, sarà difficile domani rimediare a una situazione che si sarà ancora una volta stabilizzata, cristallizzando anche interessi rispettabili.

E nel campo elettrico, nel campo idroelettrico, onorevoli colleghi, dove si trova un altro dei pilastri della vita economica nazionale, come quello delle bonifiche, dell’irrigazione, in genere dell’agricoltura e quello della siderurgia? Non c’è bisogno di ricordare qui che proprio l’onorevole Nitti, nei primi anni del secolo, dichiarava essere questa un’attività prevalentemente pubblica, poiché ne dipendono tutte le altre; e non c’è bisogno di ricordare che, dopo tante dispute, la materia era stata regolata con una legge Villa – che non era un sovversivo – e dalla legge Bonomi del 1919 che, pur consentendo all’iniziativa privata un vasto campo di attività, affermarono il principio dell’interesse pubblico prevalente in questo settore. Ora le leggi fasciste, il testo unico del 1933 e un’altra legge del 1942, ci hanno fatto retrocedere di molti anni; e soprattutto ci hanno fatto retrocedere come generale regolamento di questa materia, perché tutta una legislazione concepita a tutela degli interessi pubblici è divenuta, come disse l’onorevole Gilardoni, protezione di un monopolio esclusivo. Qui siamo in uno di quei settori dei quali parlava l’onorevole Einaudi l’altro giorno, affermando la necessità dell’intervento pubblico là dove si tratti di attività che comunque abbiano un generale interesse per la collettività nazionale. Ora il progetto che è stato preparato dal C.I.R. si risolve in una pianificazione di concessioni, ed in questa materia non abbiamo veduto un provvedimento che garantisca e difenda gli interessi della collettività nazionale. Era uno dei pilastri. Bisognava agire e bisogna agire prima che sia troppo tardi, perché le risorse idroelettriche del Paese non sono infinite: per il 50 per cento sono già sfruttate o in via di sfruttamento.

Bisogna regolare l’utilizzazione delle acque. Né qui si vogliono distruggere l’iniziativa privata e le concessioni in corso, ma si vuole soltanto impedire che si crei un monopolio.

Ecco adunque, onorevoli colleghi, come appare ancora una volta la verità e la necessità dì quel piano del quale l’onorevole Tremelloni aveva parlato e che costituiva una delle condizioni ed una delle possibilità della nostra collaborazione al nuovo Governo. Il piano non costituisce una eresia, se uomini di scuole diverse lo hanno ritenuto indispensabile. Ricordo il professore Saraceno dell’Università del Sacro Cuore; lo stesso onorevole Giannini, allorché ieri diceva che occorrerebbe creare nel Mezzogiorno succursali di tante attività industriali nostre, e per dirimere certe condizioni di inferiorità, e per fronteggiare le situazioni del prossimo e del lontano avvenire politico ed economico; lo stesso onorevole Giannini, allorché formulava questa richiesta, indicava in sostanza, una formula di pianificazione. È evidente che non si può lasciare all’iniziativa privata disordinata questa distribuzione o ridistribuzione di attività in regioni che hanno una economia arretrata e primitiva.

Comunque, anche l’onorevole Einaudi riconosceva, sia pure sotto forma soltanto di previsione, la necessità di una pianificazione limitata ad alcuni settori e ad alcuni campi. Si tratta di una richiesta né assurda, né impossibile, non contrastante con gli interessi dell’attività nazionale, non paralizzatrice dell’azione di Governo.

Tutto ciò, onorevoli colleghi, non è stato fatto in nessun campo, e si poneva, dunque, come una esigenza, allorché un nuovo Governo doveva costituirsi, per avviare finalmente questa democrazia italiana alla realizzazione delle cose sostanziali, che sono reclamate dal Paese.

Allo stato delle cose, perciò e invece, noi ci troviamo soltanto dinanzi ad una esasperazione dei contrasti politici, data la formazione del nuovo Governo, data la mancata rappresentanza in esso di forze operaie, dato lo stato di irritazione che i partiti esclusi dal Governo soffrono e dichiarano.

Io ho ascoltato con stupore e con preoccupazione la affermazione dell’onorevole Togliatti rivolta all’onorevole De Gasperi circa un presunto atteggiamento antinazionale di quest’ultimo. È questa la parola che egli ha usato, respinta e controbattuta, d’altra parte, dall’onorevole Gronchi, nelle sue energiche risposte. Antinazionale! La parola che scavò in Italia il solco profondo, che fu alle origini della divisione fra italiani e italiani, allorché i fascisti dichiaravano antinazionali noi che in quest’aula votavamo contro il Governo, poiché esso disprezzava la volontà popolare ed offendeva il Parlamento. Così fu divisa la Nazione! Uomini di diversa fede, di fede professata con probità e inspirata alla difesa degli interessi nazionali, furono dichiarati nemici della Patria. Antinazionale! Ricordiamo e dichiariamo che sono atteggiamenti pericolosi da questa parte o da quella parte. A me pare, invece, che la strada sia un’altra, quella di una tolleranza veramente sentita, di una collaborazione veramente effettiva. Perciò io non sono insensibile, e credo nessuno in questa Aula, a ciò che diceva l’onorevole Giannini a proposito di fascismo e di antifascismo. Se vi sono tanti uomini, tanti giovani, i quali si sono compromessi perché presi da un miraggio illusorio, o perché coinvolti per la loro stessa posizione, o per la stessa loro giovine età in una situazione che è stata rovinosa per il Paese e per essi individualmente, occorre ridare a costoro diritto di cittadinanza, possibilità di vita nel consorzio nazionale. Così, più che accedere alle aberrazioni delle estreme posizioni, considerando antinazionale l’avversario politico, reciprocamente vediamo se è possibile riconciliare con la vita nazionale democratica e repubblicana anche le forze oneste che una tragedia ha allontanate, ha compromesse, ha posto fuori della vita civile, della vita politica del Paese.

Nello stesso tempo, una vasta azione organica nel campo sociale, nel campo tributario, economico, agricolo ed industriale.

La caratteristica dell’iniziativa privata sia quella tradizionale dell’economia liberale, con alla base il rischio, l’iniziativa e l’investimento di capitali proprî, non di quelli statali. L’azione dello Stato intervenga in quei settori fondamentali per la vita nazionale, ma intervenga di fatto, perché troppe sono state le affermazioni. Gli uomini di Governo, invece che correre da una piazza all’altra ad affermare questa esigenza, devono realizzarla; e, allorché la realizzazione trova ostacolo, debbono uscire dal Governo per fare opera di opposizione, di critica, di controllo. (Applausi a sinistra).

Ciò, purtroppo, non è avvenuto, onorevoli colleghi, con pericolo, che denunciavamo all’inizio, dell’auspicato equilibrio e possibilità grave di conflitto. Ma noi pensiamo che, oltre le forze che oggi contrastano e reciprocamente si accusano, un’altra forza può risolvere insieme il contrasto politico e il disagio economico, quella della vera democrazia italiana che preesisteva al fascismo e aveva abilitato le folle italiane, neglette allora, a essere veramente cittadine nella Patria comune; quell’azione socialista che tanto ha contribuito alla creazione dei valori non solo materiali, ma spirituali del nostro Paese; insomma l’autonoma e indipendente forza socialista che noi difendiamo e non è costituita soltanto da questi 50 uomini di un gruppo che si richiama al nome del partito dei lavoratori italiani, bensì ha aderenti in varie frazioni di questa Assemblea. La unità socialista darà allo Stato, noi lo auspichiamo e lo crediamo fermamente, delle mete che risolveranno gli opposti estremismi nella realizzazione degli interessi supremi della Nazione. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 8.30.

La seduta termina alle 22.20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 8.30:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.