Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Bruni                                                                                                                

De Caro Gerardo                                                                                            

Bovetti                                                                                                             

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.30

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.

BRUNI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, questo mio intervento sarà brevissimo e limitato a due sole osservazioni: una sulla pretesa omogeneità dell’attuale Gabinetto e l’altra sull’aspetto politico con il quale esso si presenta all’attenzione del Paese.

Questo Gabinetto, che venne qualificato di «colore» o di «centro destra» dovrebbe, fra l’altro, trovare la sua giustificazione, stando anche alle dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, come Gabinetto di «emergenza», capace, per la sua «omogeneità», di risolvere alcuni dei più urgenti problemi del Paese, lasciati insoluti dai precedenti Governi multicolori.

Per quanto mi riguarda, confesso di essermi sempre reso conto che il Governo non può essere, al pari dell’Assemblea, un organo di rappresentanza puro e semplice. Un Gabinetto dei Ministri non può essere un Parlamento in piccolo. L’opposizione deve controllare e criticare il Governo; ma, per far questo, mi pare ovvio che non debba insediarsi in seno al Governo stesso, senza, altrimenti, paralizzarne l’azione.

Infatti, nella misura che ciò avvenne nel tripartitismo, il tripartitismo non funzionò!

Il Gabinetto dei Ministri, sotto l’iniziativa ed il controllo delle Camere legislative, è un organo esecutivo e, per funzionare, deve evidentemente presentare una certa omogeneità. Ciò mi pare ovvio. Ma il quarto Gabinetto De Gasperi è veramente omogeneo e si presenta, almeno sotto questo aspetto, veramente più efficace dei precedenti, e tale da ispirarci una maggiore fiducia? È la prima domanda che mi faccio.

Evidentemente l’omogeneità, bisogna, innanzitutto, ricercarla nelle persone dei Ministri, nelle loro idee, nelle loro convinzioni, nel loro costume politico e nei reali propositi da cui sono animati al fine di realizzare il programma governativo. E non basta; per giudicare di questa omogeneità o meno, bisogna, nel nostro caso, guardare in particolare anche all’interno della Democrazia cristiana e all’esterno del Gabinetto, cioè, alle forze che lo sostengono, con i loro consensi ed i loro voti.

Quanto all’omogeneità della Democrazia cristiana nel suo interno, è noto come in seno a questo partito, come del resto avvenne un giorno in seno al Partito popolare italiano, cozzano due tendenze inconciliabili, si agitano due anime, il che ha sempre determinato una sua efficienza molto relativa, nel Paese e al Governo, nonostante la sua forza numerica.

La ricetta dell’interclassismo, che è la sua ricetta, escogitata per comporre il proprio dualismo, non sana il suo malessere: ne è semplicemente l’indice.

E così si spiega come non ci sia stata una chiara iniziativa democristiana nei precedenti Gabinetti, e, naturalmente, specie sul terreno economico, dove si sono prodotte tutte le precedenti crisi.

E questa mancanza di sufficiente omogeneità democristiana costituisce una delle lacune più gravi dello schieramento politico italiano, di cui risente tutto il Paese. Ciò dicendo, non è ch’io voglia addossare alla sola Democrazia cristiana la inefficienza ed il fallimento del tripartitismo.

Il fallimento del tripartitismo, fallimento del resto sempre relativo, non è soltanto il suo fallimento. Ma sia chiaro che resta anche il suo fallimento. Ma, a parte la problematica omogeneità dello stesso partito al Governo, a me pare che questa circostanza venga notevolmente aggravata dalla presenza, in seno al gabinetto, dei così detti indipendenti.

L’onorevole De Gasperi ha tenuto molto a sottolineare la dichiarazione che il suo quarto Gabinetto rappresenterà, né più né meno, che la continuazione di quella politica economica che fu programmata, per il suo terzo Gabinetto, dall’onorevole Morandi.

Non si tratterebbe, dunque, di mutare la vecchia linea della politica economica tripartitica, ma di camminare più speditamente sullo stesso binario, puntando sulla pretesa maggiore omogeneità del nuovo Ministero.

È inutile che io osservi che qui non voglio mettere in dubbio le buone intenzioni né dell’onorevole De Gasperi, né dell’onorevole Einaudi nell’accettare quelli che furono pomposamente chiamati «i 14 punti», ma che in realtà non sono che i 14 «appunti» del socialista onorevole Morandi. Non si tratta di questo. Si tratta della perplessità in cui mi lascia la realizzazione di questo programma, del resto vago e lacunoso in se stesso, e divenuto, comunque, assolutamente impari alle nuove circostanze, come mi pare abbia dimostrato a sufficienza l’onorevole Scoccimarro.

A questo si aggiunga che mi lascia non meno perplesso la circostanza che, se il quarto Gabinetto De Gasperi potrà essere varato, come ormai appare sicuro, ciò si dovrà al contributo delle destre che, se non sono tutte rappresentate al Governo, non vi sono, per questo, tutte meno presenti.

Concludendo questa mia prima osservazione sulle dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, dirò che, o la famosa omogeneità lascerà molto a desiderare o, se questa si realizzerà, non potrà non realizzarsi che sopra la piattaforma degli interessi delle classi abbienti. In quest’Aula abbiamo del resto già ascoltato come sia condizionata la fiducia delle destre, di cui la Democrazia cristiana ha bisogno assoluto.

E passo, rapidamente, alla seconda osservazione.

Questa, dell’omogeneità del nuovo Ministero, è stata la giustificazione più appariscente per il pubblico che non era soddisfatto (e come poteva esserlo?) del tripartito.

Ad ogni modo non ne costituisce affatto la giustificazione principale.

Il motivo principale, che, del resto, l’onorevole Presidente del Consiglio non ha potuto passare completamente sotto silenzio, nonostante la sua nota prudenza, ma che ha tuttavia lasciato, a mio parere, troppo prudentemente, nell’ombra, è ben altro. E non è di carattere tecnico; è di carattere squisitamente politico.

In effetti ha valore – come dire? – di semplice motto di spirito la dichiarazione dell’onorevole Presidente del Consiglio di non voler «entrare in polemica». Certamente la «polemica» non sta nelle «parole» dell’onorevole De Gasperi; la polemica, anzi la sfida, è nei «fatti». Ed i fatti hanno un’eloquenza assai maggiore di qualsiasi parola.

I fatti, che spiegano questa crisi e conferiscono ad essa un carattere squisitamente politico e polemico, risalgono, come è noto, al tentativo compiuto dall’onorevole De Gasperi appena ritornato dall’America.

L’operazione che l’onorevole Presidente allora ebbe in animo di portare a compimento, è stata compiuta ora con l’aiuto di alcune circostanze ch’io non starò qui ad enumerare. Tutti conoscono le dolorose condizioni del Paese. L’Italia ha conosciuto le rovine morali e materiali della guerra; ed è tuttora sottoposta alla tutela straniera.

L’Italia è ancora controllata in molti dei suoi movimenti.

Quanto all’attuale schieramento dei partiti, ricorderò soltanto la dolorosa scissione dei socialisti, che è venuta a complicare le cose, nonché la cattiva volontà e il diffuso spirito di fazione di cui abbiamo peccato un po’ tutti.

La mancanza di una forte corrente socialista, ricca di umanesimo cristiano, cosciente dei propri specifici destini, rivoluzionaria dello spirito e dei nostri costumi politici, personalista e comunitaria, ha reso possibile il consolidarsi di due blocchi estremi in Italia, irti di metafisici teoremi, e ha reso difficile la vita della nostra democrazia.

Tutti coloro che hanno lavorato, scientemente o inscientemente (e costoro non sono pochi, sui banchi di queste sinistre), al disgregamento del partito socialista e a fargli affievolire la coscienza della sua autonomia, hanno in questo quarto Gabinetto De Gasperi la propria meritata punizione.

Di questa tragica situazione ora è stata la Democrazia cristiana a girare le somme. Domani potranno essere altri.

Questa situazione ha certamente aiutato la quarta, deprecabile soluzione De Gasperi, senza peraltro renderla assolutamente necessaria, perché altra via era possibile perseguire, a mio parere, ed è ancora possibile percorrere.

Che questa crisi abbia poi coinciso proprio coi giorni in cui la missione Lombardo stava negoziando un prestito a Washington, ciò non parrebbe senza significato.

I prestiti americani sono condizionati, anche politicamente. Truman e Marshall ce lo hanno detto in tutti i toni, in questi ultimi tempi; essi sono disposti ad aiutare soltanto quelle nazioni che si accodano al blocco occidentale.

In altre parole l’Italia, con il quarto Gabinetto De Gasperi, sull’esempio della Francia di Ramadier e del Belgio di Spaak, manifestamente si inserisce nell’attuale congiuntura internazionale.

L’onorevole De Gasperi vuol rafforzare la posizione dell’Italia di fronte al mondo occidentale, da cui ci dovrebbero arrivare i necessari aiuti.

Pertanto non c’è dubbio che il quarto Ministero De Gasperi rappresenti una presa di posizione inequivocabile, a mio parere, sul piano della politica internazionale.

L’Italia s’appresta anch’essa a compiere l’esperienza che, mutatis mutandis, come ho detto, stanno facendo la Francia ed il Belgio.

L’onorevole Presidente del Consiglio punta decisamente sulla carta americana.

Dalle sue dichiarazioni risulta che noi abbiamo bisogno immediato di un prestito di almeno 200 milioni di dollari e che tale prestito sarà dato solo ad un Governo che riscuota la fiducia degli Stati Uniti d’America.

L’onorevole De Gasperi ci ha detto chiaramente come la vera causa di questa crisi sia una questione di fiducia all’interno e all’estero.

In ciò non gli si può dar torto.

Ma io non vedo come la questione della fiducia all’interno possa essere risolta col suo Governo di «colore» sostenuto dalle sole destre.

E sono dell’opinione che la questione della fiducia all’interno, qualora non fosse risolta, renderebbe impossibile la soluzione del problema della fiducia all’estero, anche di fronte agli Stati Uniti.

Noi dobbiamo desiderare la fiducia, se possibile, di tutte le Nazioni del mondo. È pertanto legittima la preoccupazione dell’onorevole De Gasperi di guadagnare anche la fiducia degli Stati Uniti d’America.

Nessun Governo italiano, veramente sollecito del bene del Paese, può non desiderare vivamente l’amicizia del grande popolo americano, al quale ci legano vincoli di sangue e l’amore alle libere istituzioni.

Se non che la quarta soluzione De Gasperi mette in grave pericolo la pace nel Paese, e praticamente non mi pare la più adatta ad ispirare fiducia alle altre Nazioni. Non esclusa l’America.

Direi che egli non abbia bene dosato i mezzi, al fine che vuole raggiungere.

Questo suo Governo si presenta in una posizione di aspra polemica contro il mondo del lavoro. Questa è la sua grande debolezza ed anche l’America lo sa, e non ne è soddisfatta, onorevole De Gasperi

E mi pare che ciò, non facilitando il compito dell’onorevole De Gasperi all’interno, gli renderà problematico quello all’estero.

Basterà una settimana di agitazioni, di quelle agitazioni che l’onorevole De Gasperi non potrà avere la forza di evitare, per cancellare i benefici di quel prestito che l’onorevole De Gasperi si attende, dato e non concesso, che questo prestito, in tali circostanze, sia concesso.

Non voglio fare un malaugurio all’onorevole De Gasperi, ma io mi preoccupo che queste agitazioni possano avvenire e me ne preoccupo per il popolo sofferente e per il pericolo in cui esse metterebbero le nostre libertà civili. Questo suo Governo, per le reazioni che potrebbe provocare, potrebbe divenire un Governo predittatoriale. Ciò mi permetto di ricordargli, perché egli tenga gli occhi bene aperti in tutti i settori della vita politica, ed egli stesso non sia mai indotto in tentazione.

Questa soluzione De Gasperi si presenta foriera di gravi perturbazioni sociali.

Escluse dal Governo le rappresentanze delle grandi masse lavoratrici, che sino ad ora, nonostante le loro sofferenze, hanno dato un esempio mirabile di disciplina civica, sarà difficile continuare ad esigere da esse gli stessi sacrifici. Il nuovo Governo, infatti, si presenta dinanzi a loro con due caratteristiche ben marcate: con una caratteristica di centro-destra in servizio delle forze conservatrici nazionali ed internazionali; e con una caratteristica monarchica o filomonarchica, o, come si sia, di tepido repubblicanesimo. La soluzione De Gasperi è sostenuta quasi completamente da forze che tentarono di affossare la Repubblica.

Queste sono due caratteristiche dell’attuale Governo (per non accennare ad altre) che lo rendono impopolare alle forze più vive della Nazione. Nel quarto Gabinetto De Gasperi è assente tutto il socialismo, e, con esso, sono assenti i rappresentanti fra i più accreditati delle classi lavoratrici. È composto di soli democristiani, non molto accreditati presso queste classi, e di «indipendenti», che sono invece «dipendentissimi» dai ceti agrari ed industriali. (Applausi).

Il liberale onorevole Einaudi è divenuto, a dire dell’onorevole De Gasperi, il gran maestro della politica economica del Gabinetto democristiano, ma non credo con molta soddisfazione dei lavoratori democristiani.

Né si tenti di riavvicinare troppo la soluzione francese e belga a questa soluzione De Gasperi. In Francia e nel Belgio il socialismo è alla direzione del Governo.

In questo momento l’unica soluzione, la più omogenea politicamente, e, nello stesso tempo), la più pacificatrice degli animi, era un Governo di larga concentrazione nazionale, che poteva andare, Democrazia cristiana compresa, dai repubblicani ai comunisti, con l’esclusione delle destre. In ogni caso, nella soluzione della crisi, dovevano essere tenute presenti, oltre che l’esigenza tecnica, anche le ripercussioni politiche che si sarebbero avute nel Paese, e l’una e le altre dovevano essere assieme saggiamente contemperate. È ciò che l’onorevole De Gasperi non mi pare abbia fatto. L’iniziativa democristiana appare così poco saggia, e così inaspettata, da far nascere il sospetto che essa appartenga ad un piano di grandiose proporzioni di cui essa sia una semplice pedina, più o meno cosciente. Siamo forse alla vigilia di grandiosi e forse dolorosi avvenimenti internazionali che sfuggono al controllo di questa Assemblea? Non lo so; soltanto temo che il gesto dell’onorevole De Gasperi, anche sul terreno internazionale, non risponda agli interessi del Paese.

La nostra politica estera deve tendere a non incoraggiare la politica dei blocchi e delle zone di influenza. Col quarto Ministero De Gasperi l’Italia prende invece manifestamente partito sul terreno internazionale. Anche l’Italia entra a condividere le responsabilità di un eventuale conflitto tra Occidente ed Oriente.

A questo punto vorrei fare una raccomandazione all’onorevole Ministro degli esteri. In questo momento è in discussione il piano Marshall di unificazione economica dell’Europa. Spero che la Russia possa trovare un punto d’intesa con l’America su questo terreno.

La raccomandazione che faccio all’onorevole Sforza è di seguire attentamente questo movimento di unificazione.

Se l’Europa resterà divisa come lo è attualmente, essa graviterà in parte verso l’America e in parte verso la Russia, e l’Europa continuerà a dividersi in due. Se invece riuscirà ad unificarsi prima sul piano economico, essa acquisterà la forza necessaria per impedire forse il cozzo fra le due grandi Nazioni.

L’onorevole Ministro degli esteri dovrebbe esaminare ed eventualmente appoggiare il piano Marshall, tenendo presente però questo obiettivo di pace e di civiltà. Che l’Italia non perda di vista la proposta Marshall, perché la sua salvezza e la sua ricostruzione sono nel quadro della salvezza e della ricostruzione europea!

All’esigenza espressa dall’onorevole De Gasperi, di formare un Governo che possa riscuotere la fiducia delle altre Nazioni, bisognava dare soddisfazione, come dicevo, con la formazione di un Gabinetto che avesse potuto riscuotere nel contempo la fiducia all’interno e non avesse aperto un periodo di agitazioni politiche e sociali.

Questo risultato lo poteva dare un Governo guidato da un uomo che, au dessus de la mêlée avesse potuto ricevere la collaborazione di tutti i gruppi dell’Assemblea. I colleghi democristiani, e l’onorevole De Gasperi in prima linea, hanno la coscienza di aver fatto tutto il possibile per appoggiare – per esempio – il tentativo dell’onorevole Nitti o dell’onorevole Orlando? Come si è passati dal Ministero a larga concentrazione, con l’onorevole Nitti con l’onorevole Orlando, al Ministero di colore? L’appoggio dato dalla Democrazia Cristiana al Ministero a larga concentrazione fu veramente sincero ed effettivo, o si volle piuttosto che la situazione scivolasse dove è scivolata?

Sarò ingenuo, ma tutto è permesso agli ingenui. Vorrei, in questo momento così difficile della nostra vita nazionale, rivolgere un’amichevole sollecitazione a tutti i partiti, e in primo luogo a quello democristiano, perché si possa ritornare rapidamente ad un Governo di più larga concentrazione, certamente più idoneo a ristabilire la fiducia e la pace tra gli italiani.

La politica che questo Ministero inaugura a chi giova? Giova forse al Paese? Giova forse alla causa dell’indipendenza nazionale? Giova forse alla causa del povero? Ne dubito fortemente! (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole De Caro Gerardo. Ne ha facoltà.

DE CARO GERARDO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, ciò che sto per dire ha un valore ed un significato personali, ma nel medesimo tempo porta il riflesso delle esperienze addensatesi nella coscienza del partito a cui appartengo, in questi ultimi mesi. Ciò che dirò sarà improntato ad uno spirito di obiettività, vale a dire ad uno sforzo di adattamento delle nostre vedute parziali al sistema dell’utilità comune e generale; alla obiettività della buona fede con cui ciascuno di noi ha il dovere di esprimersi.

Distinguerò, e mi soffermerò su tre punti; e precisamente un primo punto: cioè il problema attuale, la discussione attuale non ha un valore meramente tecnico; non si tratta di impastare il problema di una tecnica nuova dell’economia e della finanza, ma si tratta soprattutto della differenza di metodi politici.

Secondo punto: la nostra crisi di Governo va considerata in relazione ai problemi internazionali.

Ed il terzo punto, più ampio, a cui accennerò soltanto fuggevolmente, è la crisi guardata come l’espressione di un profondo dramma religioso che involge oggi l’umanità; che ha assunto, anche nel campo parlamentare, le forme più raffinate di lotta, nel bene come nel male, più adatte alla nostra sensibilità moderna ed in cui convergono tutti i motivi economici, sociali e politici del mondo contemporaneo.

Dunque, il nostro non è soltanto un problema di tecnica economica. Finché noi impostiamo questo problema sulle premesse di una soluzione tecnica nuova, dobbiamo necessariamente riportarci ad una esperienza retrospettiva politica; cioè, in altri termini, ci dobbiamo rifare, volenti o nolenti, alla storia interna della crisi del tripartito, senza cui non potremmo comprendere nemmeno la situazione attuale.

Tutti abbiamo avvertito, nell’esperienza tripartitica, un senso di malessere accanto alle grandi probabilità, alle grandi mete che avevamo poste davanti. Il tripartito somigliava un poco a quell’oca – di cui ci parla un grande umorista tedesco – che ha posto il suo piede dentro la pania e sta per poggiare l’altro piede a terra, quando si accorge che anche lì c’è un laccio.

In altri termini si è avuta la sensazione, abbiamo sentito in noi il drammatico riflesso della inibizione ad una opera di vera e propria e ben intesa collaborazione; si è avuta la sensazione insomma di una sterilità latente del tripartito che non rendeva immediatamente attuali né attuabili quei grandi ideali comuni, che pure costituivano il sogno e l’aspirazione di tutta Italia.

Ora, bisognava assolutamente uscire da questa esperienza, e bisognava uscirne attraverso una rivalutazione dei metodi. Indubbiamente questa rivalutazione di metodi hai preso l’aspetto di una messa a punto di problemi tecnici dell’economia. Anche questi problemi hanno la loro enorme importanza; ho detto che la vera difficoltà era soprattutto del metodo politico. Se noi guardiamo da un punto di vista più alto, l’accusa di contradizione mossa al nuovo Gabinetto De Gasperi, di seguire un metodo di destra con un programma di sinistra, quest’accusa di un ricollegamento al programma economico del precedente Governo con direttive mutate, non ha un vero e proprio fondamento.

Quando noi esaminiamo la storia dei grandi popoli nella fase culminante della loro felicità politica ed economica, notiamo sempre questo accordo inscindibile di una necessaria politica di destra – intesa nel senso di ordine all’interno di profonda coesione degli spiriti, di un’armonizzazione completa di forze nell’interesse della Nazione – accanto a una politica di riforme sociali ed economiche, graduali, che costituiscono l’esigenza e lo spirito dei tempi moderni. Qualunque popolo o storia di popolo noi osserviamo, nel periodo di slancio vitale, ritroviamo sempre questa caratteristica.

Quindi, voler considerare l’atteggiamento attuale, assunto da un Governo di omogeneità, come l’unione ibrida di una politica di destra con un programma di sinistra, è in realtà inesatto, in quanto corrisponde ad una esigenza profonda, che è propria dei momenti di ripresa e delle concrete realizzazioni economiche, sociali e politiche, e che attendiamo, col nostro voto di fiducia, da questo Governo. Quindi non c’è contradizione. Noi non dobbiamo guardare la destra e la sinistra nel senso topografico, né soffermarci alla sensazione plastica che si ha, guardando a destra ed a sinistra di questa Assemblea: dovremmo guardare con maggiore profondità, per vedere che cosa significhi e quale valore abbia una politica di destra, nel momento attuale, in Italia.

Quando si osserva un grande Stato come la Russia, si vede che qui la politica che si segue è politica di destra; e intendo dire una politica geniale, profonda, una politica eminentemente unitaria all’interno, salvo poi a discutere dei metodi, sui quali ci troviamo in profondo contrasto.

Io, che sono un ammiratore della civiltà e del popolo russo, quando mi soffermo ad esaminare la grandiosa visione politica che lo seduce, devo riconoscere di trovarmi di fronte al tipo classico della politica di destra nel suo sistema di unità governativa, che con le sue esigenze, con le sue deviazioni o con i suoi errori e soprattutto con la tendenza fondamentale alle riforme sociali, realizza un programma di sinistra.

Quindi noi non dobbiamo stabilire queste artificiose antitesi di una destra e di una sinistra che hanno valore di carattere meramente parlamentare, e, nel campo delle differenze ideologiche, di una preparazione strumentale alla lotta politica; ma dovremmo guardare dal punto di vista più alto e comprensivo, come una necessaria fusione degli elementi di forza interna, per creare lo slancio di progresso delle classi lavoratrici. Il punto di vista tecnico, indubbiamente, costituisce una base di stabilità nelle oscillazioni d’incompatibilità dei metodi politici, nelle provvisorie composizioni governative; ma è un elemento di obiettività scientifica, di fronte al quale tuttavia restiamo perplessi. Le relazioni tecniche non possono essere politicamente indifferenti, come vorrebbero presumere, e rivelano ben presto la divergenza fondamentale degli orientamenti politici che le ispirano. Queste relazioni di pura metodologia tecnica corrispondono ad un criterio di obiettività, che ha senza dubbio il suo fondamento scientifico, ma conservano una struttura propria e inconfondibile di vedute sociali e politiche, che alimentano i contrasti e gli inevitabili dissensi. Ma questa struttura tecnica, che è parziale e rappresenta soltanto un punto di vista, non può oggi sodisfare le esigenze di tutti.

Ecco perché noi, pur riconoscendo il valore delle composizioni tecniche governative, che costituiscono per ora un indirizzo necessario di salute pubblica, sentiamo di non poter racchiudere nella formula tecnica tutta l’enorme ricchezza e varietà della vita e delle esigenze attuali. Ed allora, come va inteso questo collegamento del programma economico del Governo precedente col nuovo Governo? È il tentativo di superamento di un compromesso, che ha facilitato il doppio gioco delle sinistre, di partecipazione al Governo, di opposizione al Governo; il doppio gioco del sì e del no, per servirmi di una espressione dell’onorevole Nenni.

È una voce che risuona imperiosa oggi nel popolo d’Italia, perché in questo momento di emergenza, dinanzi al pericolo di un’inflazione, si riuniscano, momentaneamente almeno, tutte le forze purché si salvi la Patria.

Da questa crisi interna del tripartito è derivata una particolare posizione dei cosiddetti «piccoli partiti». Noi ammiriamo la intelligenza così nobile, così fine e complessa dell’onorevole Nitti, che noi ascoltiamo di volta in volta ammirando ed imparando; però non condividiamo il parere da lui espresso nella sua ultima relazione, in cui egli è portato a svalutare l’efficienza dei piccoli partiti, che, invece, rappresentano, nella sensibilità politica del nostro paese, il termometro che ne misura l’orientamento complessivo e dà il senso delle sfumature, delle differenziazioni necessarie fra diverse aspirazioni nascenti da un medesimo schieramento politico, specie nel settore più cospicuo dell’Assemblea per nobiltà di cultura e di preparazione politica: nel centro sinistra.

Noi apprezziamo l’importanza del ruolo di questo settore.

La opportunità della sua collaborazione al Governo è oggi il problema più vivo, più sentito da tutti, e, risolto, darebbe davvero un orientamento progressivo a una politica di ordine.

Anche i piccoli partiti hanno il loro valore, la loro profonda esigenza. Aggiungo una osservazione: allorché noi guardiamo i grandi partiti, che cosa vi osserviamo? Che anche nei grandi partiti abbiamo delle divisioni, dei diversi orientamenti, tenuti insieme da un principio ideologico superiore, che li coordina e sintetizza; ma anche lì noi ritroviamo le solite distinzioni o disfunzioni: solchi che attraversano vaste contrade. Quindi, giudicare un partito «piccolo» soltanto perché si presenta numericamente in forze inferiori, mentre poi, nell’orientamento, può determinare o rovesciare posizioni faticosamente raggiunte, con la medesima intensità ideale dei grandi partiti, a me sembra una constatazione politicamente inaccettabile.

Ma in verità oggi la crisi è aggravata dalla posizione di splendido isolamento assunta dalla «piccola intesa», che sganciatasi dalla Democrazia cristiana, ha finito per rompere l’equilibrio che si profilava tra le necessità di un piano economico, già esposto dall’onorevole Tremelloni, a cui – si badi – non era stata opposta alcuna pregiudiziale da parte nostra, e le esigenze immediate di ordine del Paese. E non avremmo potuto trovare una via migliore, se non appunto in un contemperamento, in un adattamento reciproco delle nostre vedute.

I motivi confessionali sono stati del tutto estranei al gran rifiuto della «piccola intesa»?

Non so. Purtroppo la collaborazione è mancata, e noi ci siamo trovati di fronte alla necessità di una soluzione omogenea. La «piccola intesa», al dire dell’onorevole Nitti, è stata il «grande malinteso» della crisi.

E ora devo passare al secondo punto, cioè esaminare in che senso va inteso l’inquadramento di questa nostra crisi nel vasto, più ampio panorama dei problemi internazionali. Prima di tutto, però, devo fare una osservazione. Se ci guardiamo attorno, notiamo che fra di noi, in Italia, oggi c’è un grande malato, che sopporta su di sé, nelle sue piaghe, nelle sue sofferenze, nelle sue tristezze, tutte le lacerazioni e tutte le difficoltà della situazione odierna.

Questo grande malato, per cui vogliamo tutti lavorare e per la cui guarigione dobbiamo unire i nostri sforzi, è la borghesia. Noi abbiamo ormai un’idea generica di origine sociale-politico-letteraria, dispregiativa, che si esprime appunto con il termine «borghesia». Ma io non mi voglio soffermare su questo aspetto, che è ancora molto limitato e circoscritto; voglio fermarmi invece sulla constatazione di un’antitesi, che devo riscontrare proprio in quelle tendenze, in quelle ideologie e soprattutto in quegli uomini, i quali fanno professione anti-borghese. E precisamente noto questo fenomeno: il grande proletariato sta diventando borghese. (Rumori). Non vi sembri che io faccia una sciocca ingiuria o che stia dicendo eresie. Ve lo dimostro. Infatti, l’operaio non vuole far più l’operaio ma l’impiegato. Se guardiamo da un punto di vista realistico la vita, ci dobbiamo preoccupare di ciò. (Rumori a sinistra). Non è un rimprovero che sto facendo a voi. Noi dobbiamo curare, perché, queste differenziazioni, di carattere ancora esteriore, ci siano, perché se noi giungiamo ad una svalutazione dei mestieri, noi perdiamo quella che costituisce una delle grandi glorie della nostra civiltà, quella che è la nostra civiltà artigiana, rappresentata in certe epoche felici della nostra storia da autentici artisti. Quindi noi ci dobbiamo enormemente preoccupare perché l’operaio sia messo nelle migliori condizioni, ma perché, nel medesimo tempo non crei una defezione da quelle che sono le proprie attitudini e la tradizione delle attitudini: le attitudini si ereditano e si coltivano.

Io parlo da un punto di vista di mera constatazione, nel senso che addito un problema al nostro studio e soprattutto alla nostra volontà di trasformazione, cioè di elevamento delle classi.

Allorché quindi noi facciamo professione anti-borghese, dobbiamo preoccuparci di questo e soprattutto dobbiamo pensare, non soltanto a non deprezzare quelle che sono le attitudini della borghesia, ma, ciò che più interessa, a non disperdere nella borghesia le qualità inventive del proletario. Questo è un problema che io pongo davanti a voi, perché noi cerchiamo di risolverlo attraverso quelle che sono le nostre comuni idealità.

Mi domanderete quali siano le condizioni per giungere a questa meta, a questo compito; come dobbiamo raggiungere questo miglioramento del proletariato e se il programma, quale è stato presentito dal Governo, offra queste condizioni e dia queste garanzie.

Ora, nelle considerazioni finali fatte dall’onorevole Scoccimarro, egli osservava appunto che una vera, propria ripresa economia (dopo un certo numero di anni) noi l’avremmo avuta soltanto nella eventualità del tramonto definitivo dell’economia capitalistica, il che fa presupporre logicamente che, soltanto con una economia fondata sul lavoro e sulla distribuzione del capitale privato, noi potremmo riprenderci infine. E siamo d’accordo, in parte.

Ma, poiché le allusioni sono troppo palesi e troppo dirette, giacché noi abbiamo, nel mondo europeo, un grande Stato come la Russia che ha realizzato o tenta approssimativamente di realizzare questa civiltà proletaria, dovremmo vedere se abbiamo concordi testimonianze della felicità economica del popolo russo. Ebbene: è proprio questo, che noi non sappiamo e non conosciamo, in quanto non abbiamo la fortuna di possedere una letteratura introspettiva sulle attuali condizione della Russia. Però possiamo attingere ed attingiamo a fonti russe di indubbia imparzialità.

Ecco che trovo, per esempio, nella Sozialisticeskij Viéstnik del 13 marzo 1947, una rivista socialista edita a New York (e chiarisco che si tratta di scrittori e di testimonianze russe, e non delle solite fonti spurie), trovo a pagina 44 espressioni di questo genere: «Nelle regioni dove è il capitalismo, la vita è migliore e più soddisfacente che nei paesi sovietici». E ancora: «Se io dovessi scegliere – è Osokin che scrive – tra socialismo sovietico e capitalismo, sceglierei senza esitazione il capitalismo. Da questo fatto che il socialismo sovietico è cattivo non deriva certo che il capitalismo sia buono».

Anche noi riconosciamo evidentemente i difetti di una società capitalistica, ma non dobbiamo accettare il mito di una società anticapitalistica senza una conoscenza profonda delle reali condizioni dei grandi Stati dove si è tentato di realizzarla in forma sistematica.

Io sono un ammiratore della grande anima del popolo russo: al di là di questa ammirazione intellettuale, devo però riconoscere anche le gravi deficienze della Russia; e mi domando se la Russia ha la possibilità di esprimere attualmente tutte le sue angosce, così come noi le possiamo esprimere oggi.

In altri termini, questa mancanza di libertà, questo senso di afa e di soffocamento, attenua in gran parte e abbassa il livello morale che la Russia ha raggiunto oggi nel campo delle realizzazioni politiche, perché non ci porta verso una civiltà profondamente umana, ma distrugge il rispetto della libertà e della coscienza civile.

MINIO. Chiedetelo ai combattenti di Stalingrado!

DE CARO GERARDO. Questa è un’altra questione. Noi qui discutiamo delle esigenze spirituali di un popolo. Nessuno, come me, può giudicare più favorevolmente il popolo russo, verso cui sento vivo qui nel Parlamento italiano, il desiderio di formulare l’augurio del raggiungimento di una grande, più alta è più umana libertà.

Ma, io intravedo la più grande insidia alla libertà in tutto codesto ordinamento sociale ed economico. Ci troviamo oggi di fronte ad una esperienza che, ormai, ha raggiunto il suo apice.

La nostra crisi è indipendente, ma non indifferente al sottile e cauto giuoco di antitesi fra la Russia e l’America.

Anche su questo punto vorremmo portare il nostro contributo di pensiero. A parer nostro, veramente, soltanto nella Russia noi potremmo avere un centro ed un rinnovamento totale dell’Europa, una spinta agli Stati Uniti europei.

Però la grande difficoltà di questa realizzazione è in un solo motivo, cioè nella realizzazione di una economia sociale cristiana che oggi in Russia manca, come è stato onestamente riconosciuto da Kalinin, il quale è onesto al riguardo, e, dopo averci fatto un quadro completo delle idealità e ideologie russe nel momento attuale (alludo al suo ultimo libro del 1946 L’Educazione comunista), ammette che si sta facendo uno sforzo enorme di coartazione sulla coscienza religiosa del popolo russo.

Ebbene, da che cosa deriva questa deformazione della coscienza russa? Deriva dal fatto che oggi il popolo russo non conosce se stesso, come non si conosceva duecento anni fa. Per un momento, però, vi fu – nell’altro dopoguerra – la rivelazione improvvisa di una grande forza. Ma chi rivelò la Russia ai russi non furono certo gli uomini politici; furono i grandi artisti, che li precedettero, quei grandi scopritori dell’uomo, i più profondi forse, dopo i padri della Chiesa, i quali posero uno specchio, non solo di fronte alla Russia ma di fronte a tutta l’Europa; e l’Europa, con l’anima piena di tarli e di ragnateli della sua vecchia cultura, non poteva resistere al soffio di vita nuova dinanzi a cui tutto cadeva: tranne il gigantesco colonnato della Cristianità, alla cui ombra, nella luce crepuscolare della loro educazione o deviazione personale, delle loro tradizioni religiose, questi ultimi grandi artisti del Vangelo avevano sognato!

La borghesia, distruggendo se stessa, levava al potere la classe allora meno preparata, aprendo la via alla dittatura del proletariato e della morale atea. Con Lenin questa fase raggiunse il suo culmine; fu l’espressione di una cultura vasta ma sterile. Si compromise e rovinò un’opera che, svolta con la guida del Vangelo cristiano, avrebbe veramente soddisfatto l’attesa intorno a cui gravita tutta la civiltà del millennio, creando in Russia un secondo Rinascimento, infinitamente più alto di quello che 500 anni prima, sorto dall’Italia, aveva ringiovanito l’Europa: un Rinascimento di Stati Uniti europei, nei quali Occidente e Oriente avrebbero finalmente confuse le loro acque in una sorgente più ricca e profonda. Fu il più grande errore di questa seconda metà del millennio. (Interruzioni e commenti a sinistra). La Russia era stata sul punto di dire la grande parola di libertà, di redenzione dei popoli dalla servitù del passato.

Quella parola, balbettata per un istante, fu arrestata, soffocata dalle piccole oligarchie di una grande dittatura di terrore. (Interruzioni e commenti a sinistra).

Da questo punto di vista noi oggi guardiamo; e dovete riconoscere che la nostra visuale è molto più ampia di quanto potrebbe parere ad un primo sguardo. Noi non vediamo questa «antitesi» politica ed economica fra la Russia e l’America. Restando fermi al nostro punto di vista, cioè alle possibilità che avrebbe in sé la Russia di una trasformazione europea, salvo però l’adattamento ed il riconoscimento di una economia cristiano-sociale, si dovrebbe assistere al fenomeno spontaneo di un rinascimento dell’Europa, rinascimento ancora più vasto di quello che si operò dal quattordicesimo al sedicesimo secolo. Invece, questo orientamento non c’è e viene rinnegato a danno delle aspirazioni spirituali ed anche economiche e sociali dell’Europa; per conseguenza, si crea questa «antitesi artificiosa» di un’America contro la Russia.

Ora, si devono prendere delle posizioni rispondenti alle esigenze dei singoli popoli, nelle fasi momentanee delle relazioni politiche. Quindi, seppure vogliamo considerare la nostra crisi attuale al riflesso di questo grandioso contrasto mondiale, noi dobbiamo intenderla in questo senso, cioè non come una nostra predilezione di carattere capitalistico verso l’America, ma come un opportuno ripiegamento su noi stessi. Quando abbiamo assistito ed assistiamo alla delusione che una ideologia, come quella dominante il mondo russo, porta alla coscienza europea, alla umiliante coartazione di questa coscienza. (Interruzione dell’onorevole Maffi). veramente, da questo punto di vista, il problema tecnico si allarga in problema internazionale, e il problema di politica internazionale si amplia in un dramma profondamente religioso.

TONELLO. Lo risolveranno i vostri compagni di destra questo problema.

DE CARO GERARDO. Se io non dicessi ciò che sono per dirvi, avrei giudicato inutile parlarvi; e ciò che sono per dirvi è una cosa molto grave e profonda. Vi prego perciò di bandire, in questo momento, dai vostri spiriti, ogni senso di risentimento personale, di impazienza inevitabilmente faziosa che ci prende tutti.

Io parlo come uomo di fede, col rispetto di tutte le fedi; e parlo come un uomo che ha e porta in sé questo dramma elevante e lo vive nella propria vita. Ebbene, noi oggi parliamo un po’ tutti di Cristianesimo. Mi rivolgo non soltanto ai fratelli inquieti di una parte dell’Assemblea, ma anche ai miei amici di parte bianca: ché ci diciamo tutti cristiani. Mi rivolgo quindi a tutti noi e domando: comprendiamo noi oggi l’enorme valore di questa parola di fede, del Vangelo cristiano, nel mondo sociale contemporaneo? Siamo noi veramente all’altezza di realizzare, in funzione politica e sociale, le grandi mete additate dal Vangelo?

Potremmo esserlo, ove noi giungessimo all’accettazione totale e verace del Cristianesimo, senza aggettivi; invece noi parliamo in genere da posizioni teoriche, senza che ci sia da parte nostra una partecipazione concreta.

Ma è un fatto che oggi noi, amici, assistiamo ad un grande rivolgimento spirituale, che viene dall’Italia e che riempie un mondo: in verità, vi dico che vive, oggi, fra le altre, una creatura sublime di cui si irradia e si irradierà la nostra civiltà cristiana. (Commenti). Io vi dico che la luce del mondo è nascosta oggi nella cella di un antico convento del Gargano. Mi chiedete chi sia questa creatura?

Una voce a sinistra. Sarà il dottor Costa!

DE CARO GERARDO. Vi prego, o amici, bandite ogni leggerezza; elevatevi un momento alla consapevolezza e al rispetto pieno di umiltà, di tragica umiltà, con cui vi parlo. Ascoltatemi. Noi oggi abbiamo un modello che ci può ispirare e guidare. Non dico: convertitevi; dico: osservate. Mi domandate dunque chi è quest’uomo?

È una creatura umile e dolce, che porta nel suo corpo le stigmate di San Francesco, e ci insegna ad ascoltare, nell’intimità dello spirito, il linguaggio di Dio. È uno di cui io ho toccato con mano i tesori infiniti di scienza dell’anima, assistendo dentro di me a prodigi e rivelazioni della mia vita profonda.

TONELLO. Ma che cosa c’entra questo con la soluzione della crisi!

DE CARO GERARDO. Noi assistiamo, io vi ripeto, all’irradiazione di una grande parola di bontà e di verità che supera i dissensi e vince la discordia. Attingiamo a questa parola; attingiamo a questa Vita e sono sicuro che assisteremo a un grande rinnovamento cristiano della società attuale – sono i Santi che aprono le grandi ere! – noi assisteremo a questa rinascita del mondo cristiano; rinascita in cui gli stessi strumenti del lavoro umano saranno santificati, elevati sul Libro di Dio, dalla parola della divina Sapienza; e il sole della rinascita – ve lo ripeto, amici – sarà questo Sole che, dalle cime del Gargano, irradierà la prossima, la nuova aurora del mondo. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bovetti. Ne ha facoltà.

BOVETTI. Io ho rinunciato a parlare sulle comunicazioni del Governo in generale, ma ho presentato un ordine del giorno su di una questione riguardante l’imposta patrimoniale, che, se crede, potrei ora illustrare brevissimamente riservandomi di fare pervenire ai competenti Ministeri dettagliate e documentate memorie a sostegno del mio assunto.

PRESIDENTE. Va bene, dica pure, onorevole Bovetti.

BOVETTI. L’ordine del giorno, che telegraficamente mi permetto di sottoporre all’approvazione dell’Assemblea, è il seguente:

«L’Assemblea Costituente,

ritenuto che mentre l’articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, esenta dall’imposta patrimoniale le istituzioni di assistenza e beneficenza, l’articolo 68 dello stesso decreto non fa distinzione fra persone fisiche e giuridiche e viene a colpirle indistintamente;

ritenuto che, conseguentemente, tutte le opere di beneficenza vengono per l’anno 1947 ad essere gravate di un carico di imposte che, avendo riguardo alla rivalutazione patrimoniale stabilita dal decreto legislativo 18 ottobre 1946, viene ad essere di 50 volte il carico precedente;

ritenuto che tutte le opere pie, ospedaliere, di ricovero, di educazione e, comunque, di assistenza versano in situazione economica precaria determinata dalla diminuzione delle entrate e dai ben maggiori oneri che il costo della vita e l’accrescere degli assistiti comporta;

che in identica situazione si trovano gli enti locali:

invita il Governo

ad emendare l’articolo 68 del decreto legislativo 29 marzo 1947, stabilendo espressamente la esenzione delle istituzioni di beneficenza e di assistenza e degli enti locali dalla imposta proporzionale sul patrimonio come già lo sono per quella progressiva;

a riserbare ogni più provvida cura a favore di tali istituzioni che costituiscono una delle più nobili tradizioni del nostro Paese».

Esso riguarda un particolare dell’imposta patrimoniale, sul quale già un altro collega, l’onorevole Crispo, hai invocato l’intervento del Governo in sede di emendamento.

La questione che mi permetto di richiamare nel mio ordine del giorno è relativa alle Opere di assistenza, di educazione, di beneficenza, ecc.; in una parola, a tutte quelle molteplici attività che con pubblica o privata veste svolgono un’azione vasta e benefica, centrale o capillare nel nostro Paese.

Il progetto di legge sull’imposta patrimoniale, non allontanandosi dal concetto ispiratore della legge del 1921, in quella che è l’imposta straordinaria progressiva afferma una distinzione fra persone fisiche e persone giuridiche, richiamandosi nella relazione al Codice civile, che espressamente introduce una terza figura di persone giuridiche quali fondazioni, istituzioni, ecc.

Ora, come la legge che istituì la imposta patrimoniale straordinaria dopo la guerra 1915-18 prevedeva la esenzione per le provincie, comuni, società di mutuo soccorso; istituti di diritto e di fatto che, pur senza rientrare nel novero delle istituzioni pubbliche di beneficenza, attendono ad opere filantropiche di assistenza ed educazione degli indigenti, ecc., corpi scientifici, letterari e simili, l’attuale legge, per quanto ha tratto alla imposta progressiva, mantiene sostanzialmente l’esenzione stessa.

Né avrebbe potuto essere altrimenti, perché, anche prescindendo da pur rilevanti considerazioni morali, l’imposta istituita col decreto 29 marzo 1947 ha il carattere tipico del tributo personale, sia perché ad aliquota progressiva, sia perché esclusivamente applicata a carico delle persone fisiche, sia perché, infine, ammette la detrazione per i figli e per passività non afferenti i singoli cespiti tassati.

Tale concetto avrebbe, per vero, dovuto essere mantenuto nel capo XIII del secondo titolo della legge in discussione, ove si istituisce una imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio.

Invece l’articolo 68 di tale decreto assoggetta ad una imposta straordinaria proporzionale tutti i contribuenti tenuti per l’anno 1947 al pagamento della imposta ordinaria sul patrimonio.

Mancando quindi una espressa esenzione come quella stabilita per la imposta progressiva, ne consegue che quella proporzionale verrebbe, nella attuale dizione della legge, a colpire indiscriminatamente tutti quegli enti, associazioni, opere, che, con veste giuridica o meno, esplicano, attraverso difficoltà e sacrifici di ogni genere, così vasta ed intensa opera di assistenza e di benefica solidarietà.

Il che non solo costituisce una ingiustizia fiscale, ma sovratutto viene ad apportare un danno insanabile ad un complesso vastissimo di opere che, per le contingenze attuali da nessuno ignorate, si trovano in condizioni quanto mai assillanti e precarie.

Dalla statistica che, per non tediare l’Assemblea, ometto di leggere, ma che invio a parte al Governo, viene confermata appieno la non lieta realtà di questo mio assunto.

Difatti, signori, non v’è chi non sappia quali sono le situazioni gravissime degli enti di assistenza, ospedalieri, di educazione, delle infinite istituzioni benefiche di cui è ricca e fiera la nostra Italia. Ho sentito in questi giorni rievocare dai vari settori la situazione drammatica degli ospedali italiani, dei sanatori, le condizioni altrettanto penose di numerosissime altre piccole e grandi istituzioni di beneficenza, che si trovano a lottare ogni giorno con l’insufficienza dei mezzi, col numero accresciuto degli assistiti; che si trovano nella crudele alternativa di dover dismettere ammalati, tubercolotici, bimbi, vecchi, gente bisognosa di aiuto materiale e morale, di dover limitare la propria assistenza ospedaliera, di beneficenza, proprio in questi giorni in cui l’accrescersi delle sofferenze e dei sofferenti esige da tutti gli italiani un fronte unico di solidarietà.

Quindi io credo che invocare su questo punto l’intervento del Governo in sede di emendamento, l’invitarlo ad estendere l’esenzione dall’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio anche a tutte queste istituzioni, associazioni, enti di beneficenza, ecc. sia una esigenza di giustizia e di solidarietà, e risponda ad una necessità urgente e concreta che chiunque viva al centro o alla periferia del Paese avverte per evitare che queste istituzioni vadano fatalmente disperdendo o diminuendo un patrimonio materiale e morale che è uno dei vanti della nostra Italia.

Signori, nel mio ordine del giorno, oltre che richiedere un ritocco fiscale da parte del Governo, mi sono permesso – e telegraficamente lo ricorderò all’Assemblea – di invocare anche un altro intervento, ed è per quanto ha tratto all’assistenza in genere.

Io ho sentito ieri ricordare dall’onorevole Caso e da altri colleghi la situazione confusa dell’assistenza in Italia. Chiunque abbia pratico e quotidiano contatto con l’amministrazione pubblica, specie capillare, conosce la dispersione delle direttive e delle energie per quanto riguarda l’assistenza in Italia. Una pratica, avente per oggetto la stessa materia, deve peregrinare attraverso vari Ministeri, subisce ritardi ed intralci di ogni specie: dal che ne consegue una nuova confusione ed una altrettanto esasperante lentezza, che viene ad incrinare il non già solido ordinamento assistenziale italiano.

È ben lungi da me il pensiero di invocar quella che da altro collega venne definita come la «burocratizzazione della carità».

L’accentramento che il regime fascista cercò in questo campo di attuare, ebbe risultati nefasti.

La carità non soffre costrizioni o tentativi di burocratizzazione, non soffre tentativi di accentramento che possono, sì, darle carattere nazionale, nel senso geografico o decorativo del termine, ma che tolgono a queste energie il calore ed il colore di spontaneità e di libera determinazione che esse traggono dal fatto di essere la espressione, per quanto è possibile immediata, del cuore, della coscienza, delle passioni generose!

Ma ciò non significa che il Governo debba essere assente, non debba intervenire, dare impulsi od aiuti.

È stato da altri colleghi formulato l’augurio che (nonostante la invocata riduzione di Ministeri, Sottosegretariati, ecc.) tutta la materia assistenziale sia coordinata in un Ministero, in un organismo che dia la certezza della presenza vigile e non soffocante del Governo, che possa incrementare e sostenere tutte le opere a carattere assistenziale, che in Italia sono così numerose.

La proposta merita di essere esaminata e discussa: deve però, come già notai, essere evitato, in materia così delicata, un accentramento che potrebbe sopire o irretire le infinite energie che, con spirito italiano e cristiano, operano nei molteplici settori della beneficenza.

Parlo in momenti in cui l’attenzione della Assemblea è tesa verso brucianti problemi di politica.

Ed è per questo che ometto molteplici considerazioni che mi ero proposto di fare, in omaggio alla promessa di essere telegrafico, rimettendo il risultato di questi miei modesti studi a memoriali e proposte che invio ai Ministeri o che mi riservo di discutere in altre tornate.

Mi si permetta però il rilievo che «politica» non deve significare solo lotta di partiti per supremazie di parte o affermazione di ideologie: il nostro popolo, che tanto ha sofferto e soffre, attende dai suoi rappresentanti la dimostrazione concreta che essi sanno posporre gli interessi di parte a quei ben più degni interessi e problemi che sono diretti a lenire le sofferenze, le ansie, le angustie di settori vastissimi delle nostre popolazioni.

L’augurio quindi, che io traggo dal mio modesto ordine del giorno, non è soltanto quello di un ritocco fiscale, che io ritengo debba imporsi all’attenzione del Ministero delle finanze, all’attenzione del Governo, ma è un augurio più generale. Noi in Italia ci troviamo, nel confronto con altri paesi, in una situazione di penosa minorità, se si ha riguardo alla situazione economica, della moneta, ecc.; però abbiamo una ricchezza, una tradizione nobilissima, che ci pone al di sopra degli altri: vedete in Italia quanto sono numerose e provvide non solo le pubbliche, ma sovratutto le private istituzioni di beneficenza! Andate in tutti i paesi italiani e voi troverete dagli asili alle opere di beneficenza e alle congregazioni, alle scuole, agli ospedali, ai tubercolosari, ai ricoveri, un’espressione meravigliosa di quella carità che non è umiliazione – come l’onorevole Bianca Bianchi ha ricordato ieri – ma invece è un dovere, è una esaltazione per chi dà ed un senso di solidarietà umana e cristiana per chi riceve! L’Italia è tutta un fiorire di questa beneficenza e di questa carità, ma la situazione economica di questi giorni ci pone di fronte ad un dilemma terribile: che cioè questa espressione di solidarietà umana, che trova la sua base e le sue tradizioni in quei principî che il Cristianesimo addita ed esalta, abbia a restringere le sue attività, a limitare i suoi soccorsi per tanta gente che soffre ed attende.

Signori, oltre al ritocco fiscale, chiediamo al Governo che voglia intervenire con provvidenze ed aiuti immediati, consentendoci la fierezza di poter dire a noi e al mondo che, se altri primati anche non avessimo, un primato però conserviamo che nessun paese ci può contestare: quello della solidarietà viva, operante, cristiana, italiana. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare gli onorevoli De Martino, Gallo, Di Giovanni. Non essendo presenti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Il seguito della discussione è rinviato alle 16.

La seduta termina alle 11.45.