Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Romano                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Discussione):

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Tonello                                                                                                            

Canepa                                                                                                              

Macrelli                                                                                                          

Valiani                                                                                                             

Bertone                                                                                                            

Uberti                                                                                                               

La seduta comincia alle 10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

ROMANO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROMANO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, vorrei osservare che una notevole parte della stampa si è dichiarata poco sodisfatta di quanto l’Assemblea ha deliberato nella seduta di sabato scorso. Infatti, leggendo la relazione degli Undici si ha l’impressione di vedere il medico, il quale si avvicina all’ammalato, constata che gli organi sono sani, ma ritiene, in via di principio, di dettare dei farmaci per lui. Il farmaco che ha consigliato la Commissione degli Undici… (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Romano, mi pare che quello che lei sta dicendo non entri nel processo verbale. Lei intende fare un discorso politico.

ROMANO. Onorevole Presidente, mi ascolti prima! Io non intendo fare un discorso politico, ma un rilievo: sono stati approvati ordini del giorno con i quali si è girato intorno alla questione e non si è colpito nel segno; onde la ragione della non soddisfazione da parte di certa stampa, onde la necessità di mettere in evidenza… (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Questo non è possibile: non è compito dell’Assemblea. Noi non facciamo polemiche con la stampa. Chi vuol farne si serva di un giornale.

ROMANO. Questa non è una polemica con la stampa. Sono stati approvati tre ordini del giorno, ed io intendo soltanto dire che non si è colpito nel segno perché, all’atto della liberazione, vennero distribuiti dai C.L.N. tutte quelle presidenze, tutti quei Commissariati che costano milioni allo Stato. È giusto che, dopo la deliberazione degli Undici, tutti i deputati investiti di cariche le depongano per salvare l’onore dell’Assemblea, perché noi, per l’interesse di pochi, non vogliamo subire il disprezzo sull’Assemblea (Rumori a sinistra), e non si deve far tacere un deputato che vuol mettere a nudo le ragioni che hanno gettato nel discredito questa Assemblea.

Si è parlato del divieto di promozione degli impiegati. Qui si guarda il pelo e non si colpisce il trave.

Una voce al centro. È giusto!

ROMANO. Questo entra nel processo verbale. Bisogna mettere da parte tutti i commissariati e tutte le presidenze e bisogna ripetere quello che disse Vincenzo Cuoco in un salotto napoletano: «Il deputato che veramente merita la stima del popolo è quello che entra nel Parlamento povero e ne esce poverissimo». Ed oggi questo purtroppo non si verifica più. Solo questo volevo dire. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Arcangeli e Molè.

(Sono concessi).

Discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente la istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, desideravo far precedere la discussione da alcune brevi dichiarazioni, a nome del Governo, riservandomi di parlare più diffusamente a chiusura della discussione generale, che sta per aprirsi questa mattina.

Il decreto del 29 marzo 1947 rappresenta l’epilogo di più di due anni di studi che presso il Ministero delle finanze si sono susseguiti, durante le diverse gestioni del Ministero stesso. Il provvedimento è stato approvato dal Consiglio dei Ministri all’unanimità e, con la unanimità dei consensi del Governo di allora, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 marzo; con la sua pubblicazione e col decorso dei 15 giorni stabiliti, è diventato efficiente, salva la portata dell’articolo 77, relativa alla convalida da parte dell’Assemblea. Il nuovo Governo aveva non soltanto il diritto ma il dovere di curare l’esecuzione del decreto, salvo, naturalmente, gli emendamenti che possono essere deliberati dall’Assemblea; ne aveva il dovere, anche per non fare forse il gioco di non sopite correnti e di non sopite forze che avrebbero voluto, con argomentazioni di ordine giuridico, ritardare ancora l’applicazione di questo tributo straordinario. Il Governo, però, fin dai primi contatti avuti con la Commissione parlamentare di finanza per l’esame del disegno di legge sottoposto all’Assemblea, aveva dichiarato e dichiara ancora oggi che desidera tener conto di tutto il contributo di collaborazione che può essere dato affinché questo decreto sia il meno imperfetto possibile. Il Governo ha ringraziato la Commissione parlamentare di finanza per la collaborazione data. Il complesso degli emendamenti proposti dalla Commissione, in linea di massima, incontra il gradimento del Governo. Ed è per questo che io vorrei pregare l’onorevole Presidente di voler mettere in discussione, senz’altro, il testo di legge già emendato, secondo le proposte della Commissione di finanza. Penso che a questo modo molte discussioni potranno essere evitate e quindi potrà essere reso più sollecito il compito dell’Assemblea. Il Governo si riserva, naturalmente, di esprimere il proprio pensiero su qualche particolare emendamento. Il Governo desidera, in questo momento, rinnovare l’assicurazione che esso ha un solo desiderio: che su questo disegno di legge la discussione sia la più ampia possibile, sia la più proficua possibile. Il Governo terrà conto di tutte le modifiche che saranno deliberate dall’Assemblea. Non dico con questo che una cosa lapalissiana, perché è evidente che il Governo non può che accogliere quello che l’Assemblea avrà deliberato, ma desidero soprattutto riferirmi allo spirito che l’Assemblea rivelerà in sede di discussione. Ed è di questo spirito che il Governo desidera tener conto in sede di applicazione pratica del decreto. Si tratta del principale tributo della finanza straordinaria: di quel tributo che, come giustamente ha accennato nel suo intervento di pochi giorni fa il Presidente della Commissione parlamentare della finanza, deve raggiungere un triplice scopo: avere una funzione di ponte in sede strettamente fiscale, in questo periodo in cui la finanza straordinaria sta cercando il suo definitivo assestamento; essere strumento di giustizia sociale chiamando la classe più abbiente al compito della ricostruzione; e nello stesso tempo esercitare una funzione anti-inflazionistica.

Il Governo ringrazia la Commissione, ed in particolar modo il Relatore, per il contributo dato, e ringrazia fin da questo momento gli onorevoli colleghi per l’opera preziosa che vorranno dare al perfezionamento di questo disegno di legge. (Applausi al centro).

TONELLO. Chiedo di parlare sulle dichiarazioni del Governo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Se non ho mal capito, il Governo si propone di passare direttamente alla discussione dei singoli articoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze non ha detto questo, ma ha dichiarato di accettare, in sostanza, il testo proposto dalla Commissione.

CANEPA. Chiedo di parlare sulle dichiarazioni del Governo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEPA. Io non entro nel merito: soltanto mi faccio portavoce del desiderio di molti contribuenti di vedere prorogato il termine per la denuncia dal 13 al 31 del corrente mese.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Effettivamente il Ministero delle finanze ha riconosciuto di non avere il potere di iniziativa di prorogare questo termine in modo formale: sarebbe necessario un provvedimento legislativo, e d’altra parte non sarebbe stato molto corretto nei confronti dell’Assemblea di inserire un decreto legislativo a modifica del decreto 29 marzo, mentre questo si trova davanti all’Assemblea per la convalida.

Si è risolto il problema in sede amministrativa comunicando a tutti gli uffici delle imposte che, in attesa del termine che sarà definitivamente stabilito dall’Assemblea, vengano considerate tempestive le dichiarazioni che saranno presentate entro il 31 luglio. È una formula che non è inconsueta nell’attività finanziaria italiana. Io mi auguro che, prima del 31 luglio, l’Assemblea stabilisca il termine definitivo.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale. Il primo degli iscritti a parlare presente nell’Aula è l’onorevole Macrelli. Ha facoltà di parlare.

MACRELLI. Onorevoli colleghi, assistiamo anche questa mattina ad un fatto al quale ormai siamo abituati: alla ecatombe degli oratori iscritti a discutere su questo progetto importante, che viene finalmente al nostro esame ed alla nostra approvazione. Il fatto trova però una giustificazione ed ha anche un suo particolare significato. Voi ricorderete: eravamo alla vigilia delle ferie pasquali; ci fu allora una interrogazione presentata dall’onorevole Nitti. Egli chiedeva che il Governo facesse una esposizione generale sulla situazione dal punto di vista economico-finanziario: e Governo ed Assemblea furono unanimi nel decidere che, superate le vacanze pasquali, si procedesse subito alla discussione sulla politica generale del Governo in materia finanziaria ed anche sull’imposta straordinaria patrimoniale.

Vi furono allora molti iscritti a parlare, appunto perché pensavano che ad un certo momento la discussione avrebbe investito tutta l’opera, tutta l’attività del Governo.

Sopravvenne invece la crisi. Voi tutti conoscete gli avvenimenti di questi ultimi giorni e quindi la ragione per cui oggi gli iscritti sono diminuiti di numero. Ecco perché io sono diventato l’oratore destinato ad aprire per primo il fuoco di questa battaglia verbale.

C’è una ragione personale che mi indusse allora ad iscrivermi nella discussione generale, ragione personale che permane anche oggi. L’Assemblea probabilmente ricorda che io, in qualità di Ministro, ad un certo momento fui nominato Presidente del Comitato per la propaganda del Prestito per la ricostruzione.

Voi ricorderete naturalmente, onorevoli colleghi, il decreto del 26 ottobre 1946 del Capo dello Stato, concernente l’emissione di tale Prestito. L’articolo 2 di quel decreto parlava delle condizioni in favore di coloro che avrebbero sottoscritto al Prestito e al primo capoverso diceva: «Ai fini tutti di cui al primo comma del presente articolo, i titoli sono esenti da obbligo di denuncia». E non basta, perché c’era stato un impegno preciso, formale, da parte del Governo, assunto – vi dico anche la data – l’11 ottobre 1946 dal Consiglio dei Ministri.

Ognuno può far fede sull’autenticità, sulla verità di quanto dico: vedo sui banchi vicini l’onorevole Bertone che credo potrà confermare quanto io dichiaro in questo momento: un impegno preciso dunque che il cambio della moneta doveva essere abbinato all’imposta straordinaria; e tutto questo, badate, messo in relazione al Prestito che stava per lanciarsi.

Fu questo, anzi, uno dei tanti elementi, starei per dire il principale degli elementi su cui venne impostata la propaganda per il Prestito nel Paese.

In quell’occasione il Comitato nazionale di propaganda, che era presieduto da me, emise perfino una serie di pubblicazioni: fra l’altro, un libretto che fu distribuito a tutti i deputati dell’Assemblea. Era un libretto di istruzioni sul Prestito, era un’indicazione per la propaganda che si doveva fare nel Paese. C’erano cifre dolorose, gravi, che indicavano cioè quello che aveva fatto la guerra, quello che aveva distrutto questo turbine di ferro e di fuoco; erano segnate le rovine non soltanto morali, ma soprattutto materiali, in ogni campo dell’attività. Ma c’erano anche altre cifre più confortevoli, quelle che indicavano la ripresa, sia pur lenta, ma continua, del nostro Paese.

Ad un certo momento noi avevamo segnato sul libretto d’istruzioni queste parole che io richiamo alla vostra attenzione: «Va inoltre rammentato che nell’annunciare remissione del Prestito per la ricostruzione il Governo ha voluto assumere l’impegno solenne di effettuare, appena in grado, il cambio della moneta. Ha voluto cioè dichiarare, al fine che non sorgano più dubbi, che le speciali ampie agevolazioni fiscali consentite ai titoli del Prestito saranno riservate esclusivamente ai titoli stessi e che i biglietti di banca, come ogni altra forma di ricchezza, comprese le merci, che non sarà così semplice come si suppone sottrarre all’indagine del fisco, saranno colpiti dall’istituenda imposta patrimoniale. Non appena le condizioni tecniche lo consentiranno, i possessori di biglietti saranno perciò chiamati a denunciarli per il cambio con nuovi biglietti approntati. Il biglietto di banca perde, di conseguenza, la sua caratteristica di consentire l’occultamento delle proprie fortune al fisco e ai terzi, e questa caratteristica viene assunta esclusivamente dai titoli del Prestito della ricostruzione, con questa differenza: che mentre l’occultamento dei biglietti, quando era possibile, era eseguito nei confronti del fisco contro le disposizioni di legge e, quindi, manteneva sempre il detentore dei biglietti stessi esposto al pericolo di nuovi accertamenti e multe, la non denuncia dei titoli del Prestito è ammessa dalla legge stessa».

E il Paese, nonostante quello che si è detto in contrario, nonostante le critiche che si son volute fare a questo proposito, rispose; e rispose largamente, date le condizioni del momento, all’appello che veniva dal Governo.

Il Prestito ha dato 231 miliardi, dei quali 112 in contanti, 16 con buoni ordinari del tesoro, 79 con buoni poliennali, 24 con la conversione di debiti statali ratizzati per forniture militari.

Il risultato è stato quale ragionevolmente si poteva prevedere: ha dato circa il 12 per cento sul complesso dei depositi fiduciari di 650 miliardi, e della circolazione di 450.

È la media dei prestiti passati: il prestito Soleri lo superò alquanto, perché emesso in un momento di stasi dell’economia, quando i depositi privati erano fermi in banca e le banche li versavano alla Banca d’Italia, unica forma d’impiego utile in quel periodo.

Adesso l’economia privata è in ripresa e le banche tengono a disposizione di essa una quota assai maggiore dei depositi.

Il prestito Nitti del 1919 (sono dati che ho voluto assumere direttamente presso la Banca d’Italia) dette circa 7 miliardi in contanti – cifra cospicua – ma fu emesso a 87,50 e stette aperto sei mesi.

Il prestito attuale, invece, fu emesso al 3,50, fu aperto 44 giorni. A parte la sottoscrizione in contanti, la conversione di quasi 100 miliardi di buoni ordinari e poliennali al 5 per cento, mentre sgravò il bilancio di quasi due miliardi di interessi, lo liberò dal pericolo di rimborsi per cifre ingenti a brevissime scadenze, che probabilmente non si sarebbero potuti fare se, non con un aumento della circolazione.

La cassa della Tesoreria era all’estremo, quando fu emesso il Prestito. Il Ministro Bertone me ne può dare atto; egli trovò in cassa al 20 settembre 5 miliardi; dopo avere nei cinque mei di sua gestione pagato cifre fortissime di spese straordinarie, lasciò al successore circa 30 miliardi di cassa.

Rispondono a verità queste cifre, onorevole Bertone?

BERTONE. 32 miliardi.

MACRELLI. Durante il Prestito la sottoscrizione a buoni ordinari fu quasi nulla, il che prova che i risparmiatori preferirono il redimibile, accompagnato da vantaggi fiscali, ai buoni di più alto interesse. Non solo, ma poiché qualcuno ha voluto scrivere e proclamare che il Prestito ha favorito gli speculatori, i borsaneristi, ecco la smentita più chiara e patente. Ancora una volta io ho chiesto i dati alla Banca d’Italia. Me li ha forniti, gentilmente, di persona, l’onorevole Einaudi, prima di salire ai fastigi e ai fastidi (Ilarità) del potere.

Ecco i risultati provvisori, che non sono gli ultimi dati, perché si riferiscono a poco prima della crisi; sono i risultati provvisori della sottoscrizione in contanti al Prestito distinti per importo. I dati si riferiscono a 42 istituti consorziati su un totale di 60; per 109,4 miliardi di contante sottoscritto su un totale di 112 miliardi.

Vi prego di seguire, onorevoli colleghi, queste cifre che hanno un grande significato ed un valore profondamente morale.

Fino a 10.000 lire il numero di sottoscrittori è stato di 1 milione e 3600; ecco dunque i piccoli risparmiatori, e cioè operai, lavoratori, impiegati, modesti funzionari, quelli che sentono veramente la necessità dell’ora che volge, quelli che in ogni momento sono pronti anche e sacrificarsi materialmente quando è in giuoco l’avvenire della Patria. (Applausi).

Di fronte a questa cifra imponente per il suo valore e per il suo significato – la ripeto ancora una volta 1.003.600 – voi trovate: da lire 11.000 a 25.000, sottoscrittori 205.100; da lire 26.000 a 50.000, sottoscrittori 191.500; da lire 51.000 a 100.000, sottoscrittori 118.300; da lire 101.000 a 250.000, sottoscrittori 62.400; da lire 251.000 a 1.000.000, sottoscrittori 43.100; da lire 1.000.000 a 10.000.000, sottoscrittori 7400; oltre 10.000.000, sottoscrittori 413.

E allora che cosa vi dicono queste cifre, onorevoli colleghi? Che coloro che hanno contribuito, che coloro che hanno dato allo Stato in un momento di grave bisogno, in un momento di pericolo, come al solito, sono stati – ripeto – i piccoli risparmiatori. Con quale ricompensa? Abbiamo il coraggio di dire la verità: non abbiamo mantenuto fede all’impegno assunto. Non voglio indagare e discutere le ragioni ed i motivi che sono già stati esposti, ma che non mi hanno convinto e credo non abbiano convinto la maggioranza della nostra Assemblea. È vero che è venuto successivamente il decreto Campilli: lo abbiamo letto, lo abbiamo commentato per conto nostro. Non sappiamo però se abbia trovato ancora la sua applicazione; non sappiamo se dovrà venire davanti all’Assemblea Costituente e quale sorte avrà; anzi aspettiamo dal Governo una spiegazione in proposito. Comunque, consentitemi di dirlo, il fatto è grave: è grave per il passato, perché abbiamo mancato ad un impegno assunto; ed è grave per l’avvenire, perché io penso che ad un certo momento questo od altri Governi dovranno lanciare nuovi prestiti per sanare la situazione finanziaria; ed allora chi crederà più loro, se abbiamo già mancato una volta alla parola, se non abbiamo voluto mantenere gli impegni assunti formalmente davanti al Paese? Ecco perché io vorrei una parola rassicurante da parte del Governo anche a questo proposito, seppure l’argomento che io tratto ora non si attenga in pieno al progetto di legge che stiamo discutendo. Che cosa del resto dovrei dirvi di questo progetto, onorevoli colleghi? Io non sono un tecnico, non sono uno specialista in materia finanziaria. Ci sono i tecnici che parlano; ci sono gli uomini che si nascondono dietro le astrazioni scientifiche: noi ci inchiniamo. Però io ricordo quello che diceva un giorno Clemenceau a proposito della guerra: «La guerra è una cosa troppo seria per affidarla solo ai generali». Starei per dire la stessa cosa anche per quel che riguarda la politica finanziaria. Guardiamoci dal seguire troppo quelli che sono gli assiomi, gli aforismi, starei per dire i «diktat» della scienza. Certe volte la scienza è in contrasto con la realtà della vita pratica quotidiana, che ci afferra con tutte le sue esigenze e le sue necessità. E quando io sento dal banco del Governo e dai banchi dell’Assemblea ripetere questo concetto: «Una volta che stiamo discutendo la legge sull’imposta patrimoniale straordinaria non possiamo e non dobbiamo più parlare di cambio della moneta», io dico, cari signori, che questa mi sembra una eresia, se non scientifica, pratica.

Negli altri Paesi che sono stati colpiti dalla guerra come l’Italia, che hanno avuto vicissitudini dolorose e tristi come l’Italia, che pure si trovano in condizioni economiche, se non finanziarie, migliori dell’Italia, è stato possibile applicare il cambio della moneta senza l’abbinamento con l’imposta patrimoniale. Perché allora non si può adottare lo stesso provvedimento anche in Italia? E avrebbe un grande significato, il provvedimento, onorevoli colleghi! E così mi riallaccio un po’ finalmente, al progetto di legge attuale. Ci sono ragioni d’ordine materiale ossia finanziarie: lo Stato ha il diritto ed il dovere di incassare più che sia possibile. Sta bene! Il progetto di legge che viene presentato si potrebbe prestare a critiche, dal punto di vista tecnico e dal punto di vista politico. Io non le farò.

Io mi attengo alla relazione perspicua dell’amico onorevole La Malfa, il quale, al momento opportuno, spiegherà, dirà il significato di quella sua relazione, che, se non erro, è diventata una relazione di minoranza o quasi.

LA MALFA, Relatore. No, no.

MACRELLI. Io ho avuto questa impressione. Ad ogni modo, meglio così. Ma, ad un certo momento, c’è stato per aria qualche cosa che non abbiamo ben capito. Lo stesso Governo, per bocca del Ministro, onorevole Pella, oggi dice di accettare le proposte della Commissione di finanza e tesoro. Una volta che il Governo è così acquiescente, significa che l’imposta, così come è varata, dovrà essere da noi approvata; nessun dubbio in proposito.

Ricordate che, quando, alla vigilia di Pasqua, discutemmo di quello che avrebbe dovuto essere poi il dibattito ampio in seno all’Assemblea, dicemmo: discutiamo pure la politica del Governo in linea generale, ma non intendiamo fermare neanche di un attimo i provvedimenti straordinari e, fra tutti, questo decreto, perché lo Stato abbia i mezzi necessari per affrontare i gravi problemi che incombono.

Dunque, dicevo, approviamo. È necessaria questa legge. La modificherete; ma l’importante è che essa venga applicata. Lo Stato ha bisogno di denaro.

Tutti devono pagare. Ecco dove io fermo la mia e la vostra attenzione: tutti devono pagare. Ma con questo decreto non pagheranno tutti. Io non ho potuto fare dei calcoli; avrei voluto e dovuto; ma il mio turno è venuto improvvisamente: ero il ventiduesimo iscritto, sono diventato il primo. Ecco quello che succede di tanto in tanto; allora bisogna parlare impreparati o con appunti raccolti rapidamente. Avrei voluto approntare dati statistici a questo proposito.

Quanti sono quelli che pagheranno l’imposta straordinaria sul patrimonio? Ci sono delle esenzioni? Sono giuste queste esenzioni?

Se è vero che tutti devono contribuire, esenzioni se ne devono ammettere solo in casi veramente eccezionali; soltanto dal punto di vista morale possono esserci enti che, per necessità contingenti, per gli scopi che perseguono, possono anche essere esentati.

Ma la norma generale deve essere questa: tutti devono pagare. Quando dico «tutti», ritorno al mio pensiero di prima: e quelli che hanno accumulato il denaro e lo hanno nascosto? E quelli che hanno vissuto ai margini della vita e del Codice penale?

Una voce. Quelli non pagano.

MACRELLI. Perché non pagano? Questa è la domanda che si fanno tutti; e si ritorna così al mio pensiero, a quello che è stato l’assillo della mia attività, e come ministro e come deputato. Se è vero che devono pagare tutti, devono a maggior ragione pagare quelli che hanno accumulato la ricchezza speculando sul dolore e sui sacrifici degli altri. Questa è l’affermazione che deve fare oggi l’Assemblea Costituente, discutendo questo progetto di legge. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, io non ho da aggiungere altro. Voglio ricordare soltanto a voi ed a me stesso che proprio in questi ultimi giorni noi abbiamo approvato l’articolo 51-bis della Carta costituzionale, affermando un principio altamente morale: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva».

Ora, se è vero che nella Carta costituzionale, che deve essere la Magna Carta delle libertà italiane, unanimi abbiamo approvato questo principio, diamo la dimostrazione al Paese che la nostra Carta costituzionale non è una raccolta di affermazioni teoriche, di principî astratti. Bisogna applicarli i principî. Cominciamo da questo. È l’occasione che si presenta, onorevoli colleghi; diamo questa dimostrazione al Paese che attende con fiducia la nostra opera. Ma la fiducia per l’opera della Costituente sarà ancora maggiore quando noi avremo dato questa prova tangibile della nostra volontà.

Se è vero che il principio è stato consacrato, noi dobbiamo tradurlo nella realtà pratica ed allora avremo veramente bene meritato del Paese e della Repubblica. (Vivi applausi Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Valiani. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi, a chi gli parlava di questioni ideologiche rispetto alla scienza economica, Maffeo Pantaleoni soleva rispondere che di scienza economica non ve ne era che una sola, quella vera. Un giorno qualcuno gli chiese se intendesse estendere questo giudizio anche all’esistenza di una politica economica, se cioè di politiche economiche reali potessero esservene parecchie o una sola, ed egli rispose che se gli uomini fossero in genere ragionevoli (e fra gli uomini comprendeva i membri del Governo e del Parlamento) anche di politica economica in un determinato periodo storico, in una determinata realtà storica, ve ne sarebbe una sola.

Così non era, perché, evidentemente uomini, Governo, Parlamento, ragionevoli non erano.

Mi è venuto in mente questo aneddoto, perché col presupposto che gli uomini siano ragionevoli (uomini, Governo, Costituente) nessuno potrebbe dar torto all’onorevole Nitti quando dice che le imposte si pagano sul reddito e non sul patrimonio.

Questo è, direi, l’A, B, C, della vita economica, quando si tratta di uomini che agiscono secondo il calcolo economico normale.

Io rappresento un Gruppo che è di sinistra; tuttavia quando il Governo De Gasperi, formato dopo le elezioni, un anno fa, presentò il suo programma nel quale figurava l’imposta straordinaria sul patrimonio, io parlando qui, misi subito in rilievo che siccome le imposte si pagano sul reddito e non sul patrimonio, da questa imposta straordinaria sul patrimonio sarebbero venuti fuori soltanto complicazioni, mentre, invece, urgeva in quel momento rendere effettivo il pagamento dei tributi ordinari, sia elevando le aliquote, sia accertando effettivamente i nuovi redditi. Inoltre era urgente in quel momento, ed era ancora possibile, operare delle confische, perché se le imposte non si possono pagare sul patrimonio per ovvie ragioni economiche e pratiche che non starò a ripetere, perché tutti le conoscono (e ad ogni modo le ripeterà l’onorevole Nitti), confische patrimoniali sono invece necessarie quando si tratta di incrementi patrimoniali dovuti a fattori speculativi, monopolistici, congiunture politiche o di guerra, ecc.

Ora direi che c’era ancora, un anno fa, una cambiale d’onore della Repubblica, o se si vuole, delle forze politico-sociali che hanno portato alla vittoria della Repubblica in Italia. Questa cambiale d’onore era la confisca dei profitti di regime e di guerra.

Questa confisca, che poteva forse rendere superflua l’imposta straordinaria sul patrimonio, non è stata, però, operata, ed oggi effettivamente sarebbe quasi utopistico farsi ancora illusioni sulla confisca degli incrementi patrimoniali illeciti o comunque dovuti a situazioni politiche e belliche transitorie che hanno costituito posizioni di privilegio per certuni.

È evidente che, intanto, l’inflazione stessa – che non può essere misurata soltanto con l’aumento della circolazione monetaria (160 miliardi da un anno a questa parte) ma si misura con l’aumento dei prezzi delle merci, ecc. – rende molto meno consistente il valore effettivo che si potrebbe ancora riscuotere con le confische. Ma poi c’è anche una situazione politica combinata. Saremmo degli ingenui se credessimo che il Governo (che si è costituito con l’appoggio di forze politiche che hanno difeso coloro che hanno approfittato di quelle congiunture favorevoli) intende realmente procedere alle suddette confische. Quindi, mentre di fronte ad un Governo il quale avesse proceduto a quelle confische (e non vi ha proceduto neppure il Governo nel quale era rappresentata la sinistra dell’Assemblea, il Governo del 2 giugno) noi potevamo benissimo aderire alla tesi della scienza e, direi, di una politica economica logica, per cui bisogna pagare l’imposta sul reddito, e non sul patrimonio, rispetto a questo Governo di colore noi ci troviamo nella situazione di dover esigere che esso applichi il progetto in discussione, pur con tutti gli inconvenienti che esso presenta.

Noi voteremo in linea di principio per il rafforzamento di esso progetto perché la situazione delle finanze dello Stato è ormai pessima e perché non speriamo più nel risveglio del Governo, risveglio che ci si potrebbe attendere soltanto da un Governo che non poggi sulle classi che principalmente devono pagare e che poggi invece sulle masse lavoratrici realmente interessate alla stabilizzazione della moneta. Quindi, di fronte ad un Governo, qual è l’attuale, di fronte alla situazione pessima sotto ogni aspetto che è venuta a determinarsi, io non posso esigere altro se non che non si attenui molto e piuttosto si rafforzi il progetto. Si è fatto qualche cosa nel campo del pagamento delle imposte ordinarie sul reddito. L’onorevole Scoccimarro, l’onorevole Campilli e l’onorevole Pella si sono succeduti e qualche cosa hanno fatto, però siamo ancora molto lontani dalle necessità. Siamo molto indietro rispetto a tutti i Paesi europei, non uno escluso, ed allora, in questa situazione, con questa mancanza di volontà politica ferma di colpire le classi che hanno più approfittato delle congiunture belliche e fasciste, e di fronte alla situazione del bilancio dello Stato, non c’è che da correre ai ripari con le misure complicate che qui si presentano.

Io stesso cercherò, e altri lo faranno con maggior competenza dopo di me, di far vedere che molte di queste misure sono illogiche. Tuttavia potremo ammettere attenuazioni soltanto là dove si possa documentare che l’imposta, così come è concepita qui, non può essere effettivamente riscossa. Ci sono, a questo proposito, segnalazioni che vengono da parte di uffici tributari i quali ci dicono: badate, determinati lavori sono eccessivi per noi e si disorganizza tutto se dobbiamo fare determinati accertamenti che superano le nostre possibilità. Ma anche tali attenuazioni, a mio giudizio, possono essere concesse solo se, in compenso, ci sono degli inasprimenti.

Evidentemente le imposte si pagano sul reddito, ma la carenza di una politica economica dì risanamento ha fatto sì che oggi ci troviamo di fronte, nel Paese e nella vita economica, a due specie di redditi diversi l’uno dall’altro e di cui l’uno sfugge completamente al fisco. Sono redditi, questi ultimi, a cui accennava poco fa l’onorevole Macrelli. Però, francamente, non voglio pormi davanti a questi redditi solo in atteggiamento di protesta e di condanna morale. Bisogna anche darsi una spiegazione economica del perché gran parte del reddito che si produce in Italia è costituito oggi da redditi speculativi, oggi che non c’è più la congiuntura dell’autarchia, del fascismo e della guerra. La ragione è una sola: che si è fatta una politica di aumento dei costi di produzione, per cui oggi l’imprenditore piccolo e medio, industriale e commerciale e via dicendo, si trova di fronte a questa situazione che, se cerca di produrre redditi normali, non ci riesce e perde. Guadagna in denaro, è vero, ma non riesce a ricostituire le scorte e subisce una perdita.

E non si può pretendere che si produca a perdita, perché ciò vuol dire andare verso il fallimento. Invece, se puntano su redditi speculativi, gli imprenditori guadagnano e si arricchiscono. E voi non potete cambiare il cervello degli uomini e non potete pretendere che, quando si può guadagnare, si perda.

E se fate una politica economica per cui col lavoro normale si perde (anche se si guadagna in danaro si perde in sostanza), mentre col lavoro speculativo si guadagna, anche la gente animata dalle migliori intenzioni morali e da spirito patriottico, disposta di nuovo a difendere con le armi la patria, se ha una azienda esplica spesso oggi la sua attività in modo che parte del profittò sfugga al fisco, perché prodotto in violazione dei vincoli al commercio interno ed estero.

Prendete soltanto questo caso che è fondamentale: il corso della nostra moneta rispetto alle monete estere. Il cambio a 225 col dollaro fu uno degli errori fondamentali della nostra politica economica. Fissare a 225 il cambio col dollaro, in una situazione in cui il rapporto fra costi di produzione in America e in Italia determinava un cambio di 400 circa, fu un errore di cui – se non sono male informato – sono responsabili Corbino ed Einaudi. Possiamo prescindere dalle loro persone, perché si tratta pur sempre di illustri economisti e, se hanno commesso questi errori, era perché la situazione generale confondeva le idee e, nel complesso, il Governo mancava di chiaroveggenza. L’errore fu commesso e questo errore si aggravò, ed il divario tra la quotazione ufficiale del dollaro, anche corretta come accade oggi nella maggior parte dei casi, per via del 50 per cento agli esportatori, si accrebbe via via.

In questa situazione chiunque lavora con l’estero, o anche senza lavorare con l’estero si serve di materie prime che provengono dall’estero a cominciare dal carbone, si trova in una falsa posizione di partenza per cui, se vuole comprare materie prime conteggiate a 225, non vi riesce, a meno che non sia molto in alto nella lista delle assegnazioni governative. E questo non è il caso dei piccoli e dei medi industriali; i quali se vogliono vendere i loro prodotti conteggiando le materie prime e il carbone a 225 o anche a 400, finiscono col vendere sotto costo e perciò conteggiano il dollaro a 700 o 800 inducendo i grossi a fare altrettanto. Su questa situazione falsa, i grossi, e qualche volta non solo i grossi imprenditori ma quelli che hanno potuto avere assegnazioni a costo ufficiale, hanno fatto profitti enormi, perché, evidentemente, il prezzo delle merci è determinato dalla legge della domanda e dell’offerta e nessuno vende al di sotto di come il mercato è disposto a pagare; ma vende piuttosto come se il dollaro per le materie prime l’avesse pagato a 800. Da parte loro i piccoli e i medi si trovano in una situazione per cui debbono arrangiarsi, perché se non si arrangiassero – e arrangiarsi significa non camminare sul sentiero della legalità fiscale – si troverebbero in una situazione di inferiorità.

Prendete il cambio della moneta. Io non condivido lo scetticismo di Einaudi a questo proposito. Del resto il professor Bresciani Turroni, in un articolo sul Corriere della Sera di due giorni fa, ricorda il Belgio, dove il Governatore della Banca Nazionale ha resistito a tutti gli assalti, ed anche agli assalti di chi consiglia di non spendere 16 miliardi per un’operazione di dubbia riuscita. Conviene resistere a tutti i dubbi quando si tratta di operazioni essenziali per il risanamento della situazione finanziaria. Del resto le interrogazioni di ieri sera sulla moneta falsa o rubata in circolazione, o contrabbandata dall’estero, dimostrano che questo provvedimento era necessario anche dal punto di vista statistico. Naturalmente, quello che interessa è il punto di vista economico e quello tributario.

L’onorevole Einaudi dice – e su questo non ha torto – che il cambio della moneta colpirebbe i medi anziché i grossi. Tenete presente che se il cambio della moneta colpisce i piccoli, colpisce essenzialmente quei piccoli e quei medi imprenditori e contadini che hanno fatto profitti in questi ultimi anni. Invece la presente imposta patrimoniale colpirà solo i piccoli e i medi, specialmente proprietari di immobili, che profitti non ne hanno quasi fatto; colpirà specialmente il Sud e le Isole.

Si trattava col cambio di un provvedimento che poteva avere effetti risanatori antinflazionistici in quanto togliesse veramente della moneta circolante, e quindi agisse sui prezzi. Qui, invece, si tassano maggiormente dei piccoli e dei medi che non hanno fatto profitti di congiuntura, senza che ciò agisca in senso deflazionistico sui prezzi. Perché si dice che si venderanno dei fondi, delle case, dei terreni e che quindi i prezzi diminuiranno, ma per vendere bisogna trovare dei compratori e non si venderà tanto quanto, piuttosto, si contrarranno debiti. Per contrarre debiti, ci vorranno emissioni di crediti, operazioni di moneta bancaria, ecc. Perciò il provvedimento odierno non ha altre giustificazioni antinflazionistiche se non quella di alleviare la situazione del Tesoro. Dobbiamo dunque concludere che, siccome non si è fatta la politica che si doveva fare, ormai non resta che applicare questo provvedimento.

Ci sono poi le evasioni di capitali all’estero, di cui spesso si parla qui in Assemblea, e che noi abbiamo denunciato fino dal primo semestre del 1946. Oggi si confessano cifre cospicue, fino a sessanta milioni di dollari. Ora questo provvedimento, non colpisce i capitali che sono evasi, e non induce neppure coloro che hanno esportato dei capitali a reintrodurli e a reinvestirli. Non è un provvedimento che si possa considerare come di normalizzazione della vita economica. Si dice che i capitali sono fuggiti per ragioni politiche, e questo è solo parzialmente vero. Io non credo eccessivamente ai mezzi puramente politici di operare sulla economia, e non credo che basti avere la fiducia politica dei possidenti perché paghino le imposte.

Le evasioni di capitali sono dovute ad una falsa situazione economica. È stato più redditizio ad un certo momento lasciare dei capitali a New York, anziché farli restare qui. È vero, mancava una polizia degli scambi con l’estero e delle valute, però non è mai una polizia che tiene in mano una situazione economica. Sono le tendenze effettive di un mercato di capitali, di valute e di merci, che regolano la situazione economica. Se non vengono altri provvedimenti, quei capitali non rientreranno, o rientreranno solo quando la normalizzazione sarà prodotta dalle fasi ulteriori dell’inflazione; si sa che l’inflazione produce una determinata congiuntura che finisce con i fallimenti, ed i fallimenti finiscono per normalizzare. Perché la paralisi della vita economica – che non si vuole affrontare con il cambio della moneta, col controllo dei depositi bancari, ecc., con la tassazione degli enti collettivi – questa politica di normalizzazione che non si vuole affrontare con provvedimenti economici adeguati, porterà ad un fallimento, un giorno o l’altro. E a questi fatti dovete aggiungere la crisi economica degli Stati Uniti, che ha colpito per esempio tutta l’industria tessile, e che ha preoccupato e preoccupa, perché i giornali hanno colà la consegna – dite preghiera, perché non ci sono disposizioni sulla stampa – di non parlarne. Tale crisi, se non prendete provvedimenti per normalizzare la vita economica, la normalizzerà con i fallimenti. E disgraziatamente, in quel caso, ci saranno anche fallimenti per effetto di questa legge.

Per queste ragioni è urgente che questa legge sia varata subito, al più presto, e che le riscossioni avvengano subito; e credo che la Commissione di finanza abbia fatto bene a dare tutte le facilitazioni per il riscatto anticipato, e credo che bisognerebbe insistere ancora in questo senso.

Riconosco senz’altro giusta l’osservazione fatta sulla stampa, soprattutto da parte dei meridionali, che questa legge colpisce particolarmente la proprietà immobiliare, il cui peso specifico è superiore nel sud del nostro Paese. È verissimo; però non siamo più in grado di fare altro, perché i bisogni della Tesoreria sono quelli che sono, i bisogni dello Stato sono quelli che sono: si comprimeranno le spese, ma chissà quando. Per il momento, come membro della Commissione finanza e tesoro, vedo che anche dopo la creazione del Ministero del bilancio le spese aumentano: i provvedimenti, anche posteriori alla crisi di Governo, sono tutti provvedimenti che in una forma o nell’altra significano aumento di spese, spese militari ed altre. Le amministrazioni tutte vogliono spendere i soldi non potuti spendere nel periodo precedente o nel periodo di bilancio che viene a scadere adesso: quanto non hanno speso nel 1946-47 vogliono spendere nel 1947-48, e questo è un aumento di spesa per il nuovo bilancio. La compressione delle spese è un lodevole intento dell’onorevole Einaudi, e noi non dubitiamo che egli farà del suo meglio. Però, per il momento, non si verifica.

La situazione dello Stato è tale per cui i colleghi del Sud devono rassegnarsi; però credo che essi dovrebbero associarsi a noi per chiedere che, dal momento che si tassano severamente le proprietà immobiliari, che sono prevalenti nel Mezzogiorno rispetto all’insieme della vita economica, si tassino severamente anche le attività delle società industriali e commerciali di peso specifico maggiore nel Nord.

Vengo alla questione della tassazione degli enti collettivi. Quando essa fu portata davanti alla Commissione di finanza, vi fu una discussione tra due colleghi, credo gli onorevoli Scoca e Pesenti, per stabilire se, in linea teorica, gli enti collettivi costituiscano – ai fini fiscali – qualche cosa di diverso dalle singole persone che ne sono proprietarie. Evidentemente, dal punto di vista teorico, inclinerei piuttosto verso la tesi dell’onorevole Scoca, cioè non inclinerei verso la tesi che in Italia il professor Griziotti ha reso popolare, essere cioè il patrimonio degli enti collettivi diverso dal patrimonio degli azionisti. Però questa è una considerazione teorica, che vale, come tutte le leggi economiche, nella misura in cui gli uomini agiscono per calcolo economico normale, cioè non si costituiscono posizioni speciali di privilegio o di monopolio.

So bene che le attività economiche messesi sui binari del privilegio, del monopolio o della speculazione, vi si sono messe appunto per la mancanza di una sana politica economica e non per solo la cattiva volontà o per l’animo corrotto dei singoli. Ma di queste attività particolari che falsano la vita economica, hanno profittato maggiormente società industriali e commerciali, e specialmente le più grandi; e, avendone profittato in modo particolare, devono rassegnarsi a subire l’ingiustizia teorica di essere tassate, dopo che si sono già tassati i singoli azionisti. Del resto, la cosa è ovvia: prendete il corso delle azioni, che si riferisce in questa legge, ad un semestre e precisamente ad un semestre anteriore a molte rivalutazioni avvenute dopo e a molti aumenti nei corsi che si sono prodotti posteriormente. Questo è inevitabile che sia accaduto, perché è chiaro che bisogna pur prendere un semestre e fissare i corsi sulla base dei quali debbono esser poi condotti gli accertamenti.

Ma questo lo sapeva anche la borsa; e le rivalutazioni e gli aumenti dei titoli hanno avuto luogo in gran parte dopo. Adesso siamo di nuovo in un periodo di ribasso in borsa; ma c’è stato un periodo di grandi rialzi, c’è stato un periodo di grandi utili, in cui hanno avuto luogo poderosi consolidamenti col rialzo dei titoli delle società che hanno fatto guadagni reali nella loro attività degli ultimi mesi e anni.

L’onorevole De Gasperi ha mostrato di essere eccessivamente allarmato di ciò; è perfettamente normale ciò che è successo nei mesi di aprile e di maggio. Se si deve condannare qualche cosa, è la politica economica che rende necessari questi metodi per il consolidamento, da parte delle grandi società, dei guadagni fatti con la congiuntura industriale e commerciale.

Comunque, vi sono state grosse rivalutazioni che hanno avuto luogo posteriormente allo spirare del semestre preso come base nella odierna imposta.

Ebbene: come saranno colpite queste rivalutazioni? Quando si discusse di ciò in Commissione, l’onorevole Campilli, allora Ministro delle finanze e del tesoro, in presenza dell’onorevole Pella, disse: «Io mi impegno a presentare un progetto sulle rivalutazioni».

PELLA, Ministro delle finanze. Impegno che è stato mantenuto.

VALIANI. Però è stato rinviato per via della crisi che aveva anche essa interferenze con la vita economica, tanto vero che l’onorevole De Gasperi ne ha preso il pretesto dai fattorini, dalle dattilografe e dalle signore che giuocano in borsa. Ora, se la crisi di Governo si fosse prodotta per ragioni esclusivamente politiche, noi potremmo dire che si giustifica il rinvio del provvedimento, ma poiché le ragioni delle crisi sono anche, indiscutibilmente di natura economica, bisognerebbe che quel provvedimento che colpisce le rivalutazioni fosse già approvato dal Governo. Se fosse già approvato dal Governo, io non presenterei l’emendamento che invece presenterò. Ma quel provvedimento invece non c’è, o per lo meno può darsi che venga troppo tardi. Ecco perché io penso che sia necessario stabilire il principio della tassazione degli enti collettivi.

Per necessità di Stato noi ci siamo messi sulla via delle ingiustizie: facciamo almeno in modo che esse servano a qualche cosa e diano il massimo possibile allo Stato.

Ci sono poi gli enti ecclesiastici; se si tratta di enti che compiono esclusivamente un’opera di beneficenza, religiosa, di culto, evidentemente si tratta di attività non tassabili; se però vi sono invece degli enti religiosi i quali hanno svolto un’attività economica, allora questa deve essere tassata. E non importa l’indagare perché l’abbiano svolta: io posso anche ammettere che l’abbiano svolta per tutelare un patrimonio che giovi agli orfani, ai poveri, che, data l’inflazione e data la contingenza, ogni ente religioso si sia dovuto preoccupare di quello che stava accadendo, abbia dovuto tutelare patrimoni tramandati da secoli o da decenni.

Una volta che si entra nell’ordine di idee di tassare il patrimonio, gli istituti e gli enti religiosi devono anch’essi sottostarvi. Ci sono le necessità dello Stato!

Non si può procedere unilateralmente; ma ci sono enti ecclesiastici che hanno avuto e continuano ad avere funzioni di banchieri, che comprano e vendono divise estere. Non gliene faccio torto perché capisco che, come ogni singolo vuol difendere il patrimonio da tramandare ai suoi figli, anch’essi si preoccupano di tutelare il loro patrimonio.

Dove ci sono incrementi dovuti al fatto di saper amministrare accortamente il proprio patrimonio, questi incrementi devono essere tassati, anche se di enti religiosi.

Le modalità della tassazione degli enti ecclesiastici si negozieranno con gli interessati, si stabiliranno limitatamente a quegli enti che abbiano profittato della contingenza. Se ne può discutere con l’altra parte contraente del Concordato. Ripeto, se gli enti religiosi hanno svolto un’attività puramente religiosa, spirituale, di beneficenza, non si possono tassare. Però è inutile che ci bendiamo gli occhi sugli altri. Piuttosto negoziamo la cosa con la Santa Sede per ciò che riguarda il Concordato.

Altra questione: azioni non quotate in borsa. Anche qui l’onorevole Campilli aveva fatto delle promesse che – non per colpa sua – finora non si sono realizzate, per cui il testo che noi abbiamo accettato in Commissione, e che alla Commissione sembrava adeguato date quelle promesse, oggi non mi sembra più tale. Ci sono industrie, ad esempio di Prato e di Biella, che hanno fatto grandi profitti, ma le cui azioni non sono quotate in borsa.

PELLA, Ministro delle finanze. Il provvedimento è pronto, ma credo che interesserà poco Prato e poco Biella.

VALIANI. Va bene, non ritenevo che si dovesse fare un provvedimento solo per Prato e per Biella, che sono delle simpatiche città, ma per rutta l’Italia.

Ho richiamato Prato e Biella, perché tutti hanno nella mente ciò che voglio dire: società importanti, ma con azioni non quotate in borsa.

Ora, se il provvedimento c’è, vorrei che il provvedimento fosse comunicato all’Assemblea prima del voto. Se poi il provvedimento non fosse approvato e – per qualche nuova crisi di Governo – al posto del Ministro Pella venisse un altro, forse che noi non avremmo sempre una responsabilità davanti allo Stato? È vero che il concetto di Staro è decaduto, disgraziatamente, come se si potesse fare a meno del prestigio dello Stato; ma vi sono dei limiti che devono essere difesi da noi! Noi siamo qui per questo! Noi non siamo qui per difendere interessi particolari; ma siamo qui fondamentalmente per impedire che lo Stato si disgreghi e per ricostruirlo, altrimenti non ha senso tutto quello che abbiamo fatto, e tutte le giustificazioni che possiamo addurre come uomini politici cadono.

Dobbiamo quindi fare in modo che i provvedimenti che sono nell’interesse dello Stato vengano sottratti alle vicende delle crisi governative che sono il risultato di un rapporto di forze fra classi e partiti. Perciò io insisto che questo provvedimento, piccolo ma importante, riguardante le azioni non quotate in borsa, sia pubblicato prima del voto su questa legge.

Passiamo ora ad altro argomento: denaro, gioielli, depositi bancari. La Commissione ha portato alcuni cambiamenti rispetto al progetto governativo. Credo che questi cambiamenti siano in meglio, ma la situazione non è ancora sodisfacente, perché, senza il cambio della moneta, si conteggia per esempio, per un patrimonio fino a 50 milioni il 6 per cento in denaro e depositi; oltre 50 milioni il 10 per cento. Mi pare che questa sia una situazione di favore per i patrimoni dai 10 ai 50 milioni.

Bisogna d’altra parte considerare che oltre i 50 milioni difficilmente si ha molto denaro contante, ma si hanno degli assegni, dei depositi bancari. Oggi ci sono singoli assegni per miliardi: cosa che un tempo non si sarebbe creduto. Anche qui bisogna dire che la Banca d’Italia non ha fatto che pochissimo per intervenire, e noi non siamo ancora rassicurati: non abbiamo ancora visto che l’onorevole Einaudi abbia cambiato i suoi criteri. L’onorevole Einaudi ha scritto cose bellissime sulla condotta stoica della guerra, ma non ha seguito una condotta politica molto stoica come Governatore della Banca d’Italia. Egli dice che non bisogna turbare la vita economica. Ma non bisogna nemmeno rischiare il fallimento per non turbare la vita economica.

Dunque, tornando alla questione, noi possiamo anche lasciare il 10 per cento per i patrimoni oltre 50 milioni, ma occorre la possibilità di accertare i depositi bancari. È vero, c’è la questione del segreto bancario la cui violazione porterebbe certamente un turbamento.

Ma in questa legge si prescrive che i funzionari dell’amministrazione delle imposte devono fare accertamenti da per tutto e di qualsiasi genere, anche sui documenti ed atti di enti pubblici e di privati. Essi hanno il diritto di farsi rilasciare copie, di indagare nel modo più ampio. Immaginate che turbamento porta tutto questo. Tenete conto come i registri siano tenuti da parte di moltissime ditte piccole e medie e grandi, appunto perché la loro attività non è sempre perfettamente in linea con la legge. Ora se tutto questo noi facciamo con un criterio tanto severo, non si comprende poi perché ci si debba arrestare di fronte al segreto bancario: il turbamento economico non sarebbe molto maggiore. Non sarebbe dunque giusto, ed io dichiaro che voterò contro il mantenimento del segreto bancario. Forse portiamo un turbamento ulteriore, ma almeno otteniamo un gettito adeguato e controlliamo i depositi bancari e i conti correnti bancari. Troviamo il modo: è possibile farlo senza paralizzare eccessivamente la vita economica. È stato fatto in altre nazioni; non c’è ragione perché non si possa fare qui. Credo che nessuno di noi possa avere dei dubbi sul fatto che il regime che ci ha preceduto e che abbiamo combattuto con le armi, se si fosse trovato in questa situazione, avrebbe violato il segreto bancario. Non lasciamo che su di noi ci sia la taccia di essere stati meno energici, meno solleciti e inflessibili nella difesa degli interessi dello Stato.

Torno alla categoria dai 10 ai 50 milioni: 6 per cento. Sono considerati il denaro, i depositi, i titoli di credito al portatore. Questa categoria, in generale, ha parecchi meriti: sono i contadini che hanno risparmiato e tesaurizzato denaro. È una delle poche cose di cui si è giovata l’economia italiana: una delle poche cose salutari. Un giorno o l’altro questo denaro rientrerà però in circolazione e determinerà l’inflazione più completa, se non si provvede in tempo. Il conteggio del 6 per cento è insufficiente.

C’è naturalmente una categoria di proprietari di immobili per cui è eccessivo anche il 6 per cento; bisogna trovare il modo che ci sia la differenziazione a favore di questa categoria.

Società non anonime: certamente queste società hanno guadagnato anch’esse del denaro. Tuttavia non è molto logico che siano trattate tanto peggio delle società anonime. Queste società non anonime e non soggette all’imposta di negoziazione devono dichiarare il loro patrimonio con l’indicazione delle quote spettanti ai singoli soci fermo l’obbligo ai soci di comprendere le rispettive quote nella dichiarazione individuale del loro patrimonio. Le sanzioni più severe sono applicabili in confronto delle società anzidette.

Ora questi accertamenti sono al di sopra delle possibilità della nostra Amministrazione; e sono queste le cose che spaventano.

Gli uffici tributari già sanno come le cose potrebbero andare. Ognuno farà le dichiarazioni che vorrà fare. Se si vuole che queste società paghino, bisogna provare loro che pagano anche le altre.

Se le società anonime sono risparmiate, salvo per il corso medio delle azioni nel semestre preso come base, queste società non anonime cercheranno di resistere al fisco; e questo non sarà in grado di colpirle, perché sono troppe, e gli uffici tributari si troveranno in una situazione impossibile.

Perciò, se volete che tutte queste cose siano efficaci, dovete accettare la proposta, già fatta in seno alla Commissione, di colpire anche gli enti collettivi. Se no, tutte queste cose finiranno con lo spappolarsi; rimarrà allora colpita la pura e nuda proprietà immobiliare. Se non colpite gli enti collettivi, se non andate ad accertare i depositi bancari, finiranno con lo sfuggire anche gli enti non collettivi, anche le imprese personali industriali e commerciali; finiranno con lo sfuggire tutti, fuorché i proprietari di case e terreni.

O colpite dove c’è effettivamente un incremento patrimoniale, o non colpirete in nessun’altra parte, se non la proprietà immobiliare.

Si capisce che tutto questo urta contro i principî. L’onorevole Nitti ha dimostrato che tutto il provvedimento urta contro i principî; ma siccome ormai bisogna votare, voteremo in modo che il provvedimento serva allo Stato nella massima misura possibile.

Altre considerazioni.

Sono preoccupato dell’articolo 48, sia nella dizione originaria che in quella della Commissione, per il possibile rinvio del pagamento dell’imposta.

Temo che questo possa suscitare una zona di interessi, che finirà col desiderare l’inflazione.

Ammettendo il pagamento dilazionato, se l’inflazione ha il suo corso, i contribuenti finiranno col non pagare niente o pochissimo.

Io credo che la dilazione sia giusta per la categoria dei piccoli proprietari di immobili, che avrebbe diritto anche ad altre facilitazioni: per esempio ad un maggiore abbattimento alla base.

Si può elevare di qualcosa l’abbattimento alla base, ma non per arrivare ai 20 milioni, come diceva l’onorevole Corbino. Altre facilitazioni si possono dare. Questa della dilazione è però una facilitazione pericolosa, perché interessa all’inflazione proprio i contadini, proprietari di terre, cioè la gente che costituisce il nerbo della vita economica italiana, gente diversa dal fattorino e dalla dattilografa speculatrice, che invece non determina – credo l’onorevole De Gasperi lo sappia anche se finge di non saperlo – l’andamento delle cose; questa gente, invece, lo determina.

Se le categorie rurali finiscono con l’essere interessate all’inflazione, perché questa farà in modo che esse non debbano pagare il tributo, che si considera gravoso, esse agiranno in senso inflazionistico. Queste sono categorie che, a differenza del fattorino e della dattilografa, sono in grado di agire in senso inflazionistico, perché sono produttori di beni o di servizi; e perché possono ai loro prezzi, che preparano in base ai costi di produzione, aggiungere il peso dell’imposta.

Ricordate: quando si fa un preventivo anche il peso delle imposte rientra nel costo di produzione.

Perciò questo articolo 48 mi pare che vada riveduto.

E alcune considerazioni finali sugli articoli 56 e 75. L’articolo 56 prevede delle penalità. Queste penalità sono troppo lievi. Sono multe da lire 10 mila a lire 5 milioni, per chi occulta una parte del proprio patrimonio. Ma si possono guadagnare molto di più di 5 milioni, e siccome gli uomini non sono frati (cosa che una volta si è constatata rispetto agli operatori di borsa)…

PELLA, Ministro delle finanze. L’articolo 55 prevede le frodi vere e proprie.

VALI ANI. Soltanto, onorevole Pella, vi è modo di occultare una parte del patrimonio, senza che ciò poi appaia come frode. Questi sono accorgimenti elementari per ogni società commerciale ed industriale, forse più difficili per una azienda agricola, ma anche in questa si può occultare una parte del patrimonio in base a una determinata stima, che nessun avvocato potrà dimostrare che sia una vera e propria frode.

Credo che le penalità per qualsiasi dichiarazione che poi non corrisponda alla stima che ne darà il fisco debbano essere superiori alle previste. Tanto il giudizio lo daranno il fisco, la magistratura; non è che voi oggi condanniate nessuno, ma per lo meno stabilite dei termini di pena per cui domani il fisco e la magistratura abbiano un’arma in mano; così non ne hanno nessuna, perché i casi veramente fraudolenti sono quei casi che non si possono provare quasi mai.

E poi ancora l’articolo 75: «Il Ministro per le finanze e tesoro è autorizzato a presentare un provvedimento per la riorganizzazione dei ruoli del personale dell’Amministrazione provinciale delle imposte dirette in relazione alle esigenze di servizio conseguenti all’applicazione del presente decreto».

Evidentemente se non presenta presto questo provvedimento, tutta l’imposta è stata inutile e dannosa, perché si finisce soltanto con il complicare il lavoro già esistente.

Io penso che, per quanto questo provvedimento richieda meditazione e maturazione, esso debba venire davanti all’Assemblea, o meglio davanti alla Commissione finanze e tesoro, il più presto possibile. Bisognerebbe stabilire un limite di tempo, perché nell’Amministrazione di questo Stato è prevalsa l’abitudine di dire: sì, faremo questo, faremo quest’altro, e poi passa un anno, ne passano tre e non se ne fa niente.

Io credo che la ragione della crisi morale dello Stato che si ripercuote sui contribuenti vada ricercata essenzialmente in questa abitudine di decidere tante cose e poi non applicarle. Non è che gli italiani siano diventati più malvagi per effetto delle sofferenze e delle privazioni. In fondo il Paese è quello che è sempre stato, ma, quando si governa annunciando continuamente dei provvedimenti che non vengono mai applicati o vengono revocati, si finisce con il dare la sensazione del disordine morale e amministrativo. Io ho paura che questa imposta vada in applicazione disordinatamente.

Una voce dal centro. Ma chi l’ha fatta l’imposta?

VALIANI. L’hanno fatta Scoccimarro, Campilli, Pella, Scoca, tutti quelli che ci hanno lavorato…

SCOCA. Io non c’entro!

VALIANI. Scoca non c’entra, è giusto; c’entra la Commissione di cui io stesso faccio parte. La forza politica della Commissione non è sufficiente però a far prevalere questa imposta nella realtà. Ci vuole la maggioranza o, diciamo più esattamente, la Democrazia cristiana. Bisogna che la Democrazia cristiana sappia resistere agli assalti che le verranno da parte della destra economica, assalti che saranno tanto più pericolosi in quanto si basano su argomenti teoricamente logici. La cattiva politica economica finora fatta ha dato per risultato di dar armi ed argomenti in mano alla destra economica.

Riepilogo: rivalutazioni, imposta di negoziazione, riorganizzazione degli uffici tributari sono provvedimenti per cui bisogna fissare un limite di tempo che garantisca la loro sollecita approvazione. Bisogna decidere che li debba approvare ancora questa Assemblea Costituente dato che ormai, malauguratamente, essa ha prorogato i suoi poteri al 31 dicembre. Altrimenti questa imposta andrebbe in applicazione e gli uffici tributari non sarebbero in grado di farla rispettare. Questa non è un’esagerazione; disgraziatamente così è avvenuto per troppe cose, nel nostro Paese, da tre, quattro anni, e forse anche da dieci a questa parte! (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bertone. Ne ha facoltà.

BERTONE. Onorevoli colleghi, io manifesto sommessamente l’opinione che l’Assemblea farebbe buona cosa a rinunciare alla discussione generale ed a passare senz’altro alla discussione degli articoli del decreto. Una discussione generale si ravviserebbe Utile ed indispensabile forse su un punto solo, se si discutesse dell’opportunità di varare o di rimandare l’imposta patrimoniale; ma poiché mi pare che l’Assemblea sia concorde in tutti i settori che l’imposta patrimoniale va deliberata, le differenze possono venire nei dettagli, negli articoli, e su questi discuteremo uno per uno. Gli stessi discorsi che abbiamo sentito stamane, uno dell’onorevole Macrelli e l’altro dall’onorevole Valiani, mi danno la conferma della bontà di questa mia opinione, perché gli argomenti addotti dall’onorevole Macrelli per rimettere in discussione il non avvenuto cambio della moneta e le conseguenze che ne sono derivate daranno luogo ad ampia discussione quando esamineremo gli articoli 22, 25, 27 e 33 e anche l’articolo che riguarda le sanzioni; e gli argomenti addotti dall’onorevole Valiani sulla mancata ricerca dei depositi bancari e rivalorizzazione degli impianti industriali sono contemplati negli articoli che discuteremo più adeguatamente, quando gli stessi articoli verranno in discussione. Mi pare che qui ripetiamo l’errore fatto nella discussione generale sul progetto di Costituzione per cui abbiamo perso quaranta giorni a discutere in linea generale i principî che poi sono stati ridiscussi uno per uno da tutti gli oratori quando si è passati all’esame degli articoli.

Quello che è detto oggi in sede di discussione generale sarà ripetuto invariabilmente quando riesamineremo gli articoli, ed allora tanto vale non perdere tempo prezioso, perché non ne abbiamo troppo a nostra disposizione, e concretamente esaminare i problemi, uno per uno a mano a mano che si presentano con gli articoli. Faremo così opera utile, concreta e preziosa. A questo fine do io stesso il buon esempio, rinunciando a parlare nella discussione generale, mentre mi riservo di parlare sugli articoli del progetto quando verranno in esame. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone non fa comunque una proposta di chiusura. Rimandiamo il seguito della discussione ad altra seduta.

UBERTI. Ma sono appena le 12!

PRESIDENTE. Vi sono iscritti a parlare che non sono presenti, e forse alcuni vorranno prendere la parola, come, per esempio, l’onorevole Nitti, che in questo momento è tornato da una riunione della Commissione dei Trattati e che non credo sia in condizioni di poter parlare adesso, dopo aver discusso anche in quella Commissione. Se qualche collega vorrà proporre la chiusura, potrà farlo liberamente.

UBERTI. Come risulta dal resoconto sommario di ieri, l’onorevole Presidente che presiedeva la seduta aveva preso l’impegno che si sarebbe deciso ora se si debba discutere l’imposta patrimoniale anche nelle sedute pomeridiane.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, si tratta di essere ossequienti ad un metodo della nostra Assemblea. L’ordine del giorno si fissa nella seduta pomeridiana e quello che lei ha detto ora lo potrà dire nel pomeriggio, alla fine della seduta. In quella sede, l’ordine del giorno per i giorni successivi potrà essere concordato come ella desidera. In questo momento, non posso ascoltare la sua richiesta.

La seduta termina alle 12.