ASSEMBLEA COSTITUENTE
CLXVIII.
SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
Riccio
Russo Perez
Presidente
Sull’elezione del Capo dello Stato:
Presidente
Sul disastro di Porto Santo Stefano:
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Presidente
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Codignola
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Lussu
Tosato
Selvaggi
Targetti
Lami Starnuti
Nobile
Fabbri
Persico
Bernini
Preti
Bozzi
Zotta
Mortati
Caroleo
Interrogazioni con richiesta d’urgenza:
Presidente
Pella, Ministro delle finanze
Sui lavori dell’Assemblea:
Lussu
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 17.
MAZZA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
Sul processo verbale.
RICCIO. Chiedo di parlare sul processo verbale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RICCIO. Ieri, durante la discussione sugli incidenti di Napoli del 22 giugno, volutamente rimasi fuori dell’Aula, perché mi ero imposto un silenzio che in nessun caso avrei voluto rompere. Senonché, la lettura del processo verbale mi ha indotto a dire una parola di precisazione, che vuole essere anche una parola di fede e di indignazione insieme.
E dovrò, prima di tutto, da questo banco, ringraziare l’onorevole Amendola, per la solidarietà mostratami subito per mezzo di una telefonata. E voglio assicurarlo che, nel momento in cui ricevevo la sua telefonata, non dubitai menomamente della sua lealtà, perché davanti agli occhi miei comparve la figura sanguinante di Giovanni Amendola, e non potevo pensare che il figlio di una eroica vittima della violenza non fosse sincero nel deplorare qualunque violenza, da qualunque parte venisse. Ma oggi posso avere un sospetto: c’è stata di mezzo una testimonianza, la testimonianza del professor Jannelli e, forse, questa testimonianza, oltre che la passione di partito, ha indotto l’onorevole Amendola ad una affermazione inesatta. La macchina c’era; nel cortile, anzi, ce n’erano due di macchine. Tutte e due erano ferme, perché in una macchina ero io con mia moglie e in un’altra i cinque bambini; e tutti dovevamo andare a Grumo Nevano per una cresima. Quelle macchine si potevano incontrare con il corteo soltanto se questo avesse avuto l’itinerario prestabilito di non sfilare soltanto per via Roma, ma, arrivato all’altezza di via Roma 148, di girare nel portone, traversare il cortile e salire le scale. Ed è per questo che le due macchine si incontrarono con parte del corteo nel cortile. Le macchine erano e rimasero ferme; io scesi dalla macchina soltanto quando la signora Notarianni gridò «Viva De Gasperi!». Quando scesi fui circondato e fui invitato a gridare: «Abbasso De Gasperi!».
Compii il mio dovere e gridai «Viva De Gasperi!».
Avvenne la colluttazione. La tabella del nostro partito fu portata via. Riuscimmo a fermare gli aggressori avanti le scale. Venne la pubblica sicurezza e l’incidente finì. Gli aggressori erano con fazzoletto rosso, avevano dei bracciali con la scritta «servizio d’ordine» e portavano nervi di bue. Ha sbagliato ieri l’onorevole Rodinò a parlare di squadre? Ha ragione l’onorevole Amendola, perché sul bracciale vi era scritto: «Servizio d’ordine» e non «Squadra d’ordine». Il servizio era, però, esplicato dalle squadre. E le squadre c’erano e ci sono, onde ha ragione Rodinò per la sostanza. Ma gli amici comunisti giuocano sempre… sulla forma.
Dunque, le macchine vi erano ed erano ferme; nessun tentativo di attraversare il corteo fu fatto. Oltre che le macchine, vi erano dei bambini; e neppure i bambini fermarono l’ira di quelli che ci colpivano.
Ecco la prima precisazione.
E voglio, per l’affetto che ho verso l’onorevole Amendola – col quale abbiamo molto lavorato insieme – voglio dirgli che è stato veramente incauto a citare Jannelli, perché il professor Jannelli è noto a Napoli non soltanto perché fu un fascista, parente di un Sottosegretario di Stato fascista, ma soprattutto perché ebbe un processo, un gravissimo processo a proposito del trapianto di un organo umano.
Ed è conosciuto soltanto per questo, non essendo ancora noto che egli non è solo il cittadino, proveniente dalla provincia di Salerno, ma forse anche il compagno.
Credo che per queste ragioni egli ha affermato cosa che non doveva affermare, perché non l’ha potuta vedere, salvo che con quella fantasia, alla quale si è richiamato l’onorevole Amendola.
E passo alla seconda precisazione.
L’onorevole Amendola, forse perché discepolo di Jannelli, a sua volta discepolo di Voronoff, in un momento di giovanile rinvigorimento dell’ingegno, ha scoperto una cosa che non aveva scoperto in tanti anni: cioè che io sono uno spirito fazioso.
Io voglio ricordare – e mi si perdoni – più cose. Nel gennaio 1944 abbiamo lungamente discusso per il patto di unità sindacale ed io ho trattato con comunisti e socialisti e il patto di Napoli nacque, con la mia collaborazione; non ero allora fazioso, dunque. Ho lavorato nei sindacati con socialisti e comunisti. L’anno scorso fui eletto all’unanimità, quindi anche coi voti dei comunisti e dei socialisti, segretario della Federazione della scuola; non ero, dunque fazioso. (Interruzioni a sinistra). Ho lavorato per i lavoratori ed abbiamo stipulato contratti collettivi di lavoro con i comunisti: è da ricordare, soprattutto, il contratto integrativo per i dipendenti delle aziende elettriche; non ero fazioso, neppure quando si verificarono, dopo il 2 giugno 1946, i fatti di via Medina; fu proprio l’onorevole Amendola ad invitare me e Rodinò a recarci sul posto, come osservatori obiettivi. Egli evidentemente non mi riteneva un fazioso.
Sono noto a Napoli – ha detto l’onorevole Amendola – per la mia faziosità; eppure, in quattro anni di vita attiva politica, non un attacco mai mi è venuto da parte dei comunisti e dei socialisti, né in privato, né sulla stampa, né in contradittorio.
Oggi le lesioni che ho riportato mi hanno reso anche fazioso! Volevano i comunisti forse che noi avessimo taciuto? O vuole l’onorevole Amendola che io smetta la mia democratica lotta politica?
Fazioso perché – ha detto l’onorevole Amendola – avrei dato nientemeno mano ad una campagna calunniosa contro il partito comunista per i bambini che andavano nella Emilia. Io non so che cosa significhi dar mano ad una campagna calunniosa. Io ho detto, e ripeto in quest’Aula – e finché vi sarà libertà di parola si ha il dovere di critica – che il modo migliore per assistere i bambini non è quello di strapparli alle loro madri portandoli lontani, ma di aiutarli sul posto. Questo sì ho detto e lo ripeto… (Rumori a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.
RICCIO. …perché penso che il diritto ed il sentimento di una mamma misera vadano rispettati e non infranti.
E poi vi sarebbe un’altra ragione, che cioè a Bosco Trecase avrei detto in un comizio che i comunisti avevano usato violenza.
È avvenuto soltanto questo. Una sera avevo tenuto un comizio a Bosco Trecase. Il Ministro Merlin che aveva parlato a Torre Annunziata, venne a prendermi con la macchina. Ed io, a comizio chiuso, andai via con lui. Avvenne allora che, più tardi, si presentarono dei comunisti per chiedere il contradittorio con me che non c’ero più e fu detto da loro che io ero fuggito. Fui informato dell’accaduto e mi premurai di tornare il sabato successivo, invitando i comunisti a ripresentarsi. Ma essi invece non vennero. Io non sono fazioso per questo! È evidente che la colpa non fu mia; al più dei compagni dell’onorevole Amendola, che volevano creare un equivoco in un paese e farmi passare per fuggitivo. Strano destino il mio; per Jannelli sarei stato così temerario da voler traversare il corteo comunista, per quelli di Bosco Trecase sarei fuggito. Ma mi conforto al pensiero che l’onorevole Amendola ha fatto e disfatto a suo modo, come meglio gli sembrava.
E se l’onorevole Amendola ha fatto queste affermazioni, posso concludere che di fazioso in me non vi è niente e che, se c’è faziosità, non è certamente da questa parte, non è certamente da questi banchi, non è certamente da parte mia.
Ma voglio terminare come ho incominciato; voglio cioè ringraziare ancora l’onorevole Amendola che mi ha costretto a parlare, perché soltanto così ho avuto l’occasione di compiere il gradito dovere di inviare da questi banchi un saluto agli altri quattro amici, di cui tre lavoratori del braccio ed uno del pensiero, che rimasero feriti con me.
Vada a loro il mio ed il vostro saluto.
Anche a nome loro, voglio dire in questa Aula che le nostre lesioni noi saremo lieti di dimenticarle, purché in Italia non siano ulteriormente offese la libertà e la democrazia. Se ogni faziosità sarà superata e ritorneranno la concordia e il rispetto reciproco, elementi fondamentali in una convivenza di uomini, noi benediremo, lieti, anche il piccolo sacrificio che siamo stati costretti a fare, come certamente Giovanni Amendola fu lieto di offrire la vita per la causa della libertà. (Applausi al centro e a destra).
RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare sul processo verbale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUSSO PEREZ. Ieri mi è stato impossibile svolgere la mia interrogazione per un intervento che io ritengo intempestivo da parte dell’onorevole Vicepresidente Targetti. Quando ho citato il precedente – uno dei tanti – dell’onorevole Scoccimarro, il quale, svolgendo una sua interrogazione in materia similare, parlò per quaranta minuti, io non ebbi l’intenzione di criticare l’operato del Presidente Terracini, che quel lungo discorso aveva autorizzato; ma volli invece indicarlo all’onorevole Targetti quale esempio intelligente e garbato da seguire, nel momento in cui ebbi la sensazione che il funzionante Presidente fosse per servirsi del Regolamento come di un bavaglio, anziché di una guida.
Mi ribellavo quindi a quello che era, secondo me, un intempestivo e poco opportuno intervento presidenziale, giacché avevo appena pronunciato poche parole, ricordando la gravità dei fatti accaduti a Palermo ed in altre città d’Italia, quando mi sentii richiamare al tema e alla brevità. Credo che nessuno qui riconosca al Vicepresidente Targetti tali doti speciali d’intelligenza divinatoria per cui, dalle poche parole dette e perfettamente aderenti al tema, egli fosse in grado di prevedere che più tardi ne sarei uscito.
Quanto alla mia dichiarazione che in pochi minuti non avrei potuto assolvere il mio compito, l’onorevole Targetti, invece di ricordarmi che egli non era il Presidente Terracini, ma era il Vicepresidente Targetti (cosa di cui ci eravamo di già accorti e di cui ci saremmo accorti anche con gli occhi chiusi), egli avrebbe potuto fare quel che voi sempre avete fatto. Avrebbe dovuto, cioè, ricordarsi che questo è un Parlamento e non un collegio e che, quindi, occorre interpretare il Regolamento con tatto, con garbo, con misura; avrebbe potuto farmi, se mai, una cortese raccomandazione, e aspettare poi che io avessi veramente violato il Regolamento per richiamarmi all’ordine; e ciò sarebbe stato anche più doveroso, date le tendenze opposte dei partiti cui apparteniamo.
Ecco perché ho protestato ieri e protesto oggi; non per me, ma per la dignità dell’Assemblea, che a tali metodi non era stata abituata da voi, onorevole Terracini, che pure non siete un tiepido custode del Regolamento.
PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, non per intervenire in una questione che l’onorevole Targetti ha certamente risolto nella pienezza dei poteri di cui disponeva e col suo buon senso e coll’equilibrio che tutti noi gli conosciamo, ma penso che forse, con l’avere rinunciato a parlare ieri, quanto meno per il breve tempo che il Regolamento le avrebbe concesso, con ciò stesso lei ha spuntato tutte le armi della critica e della protesta, che invece in questo momento lei vuole ancora impugnare. Parlando avrebbe potuto dimostrare all’onorevole Targetti che ella stava nella materia o per lo meno avrebbe esaurito il tema che tanto a cuore stava a lei e che l’onorevole Targetti non voleva già che non fosse sviluppato, ma soltanto voleva che fosse contenuto nei limiti del Regolamento che egli doveva far osservare.
Tanto ho voluto dire perché non potesse apparire che l’onorevole Targetti, esercitando anche a nome mio la funzione di Presidenza in questa Assemblea, possa avere veramente mancato a quello che è dovere del Presidente, cioè far osservare il Regolamento e poi, in via discrezionale, ammettere che qualche volta a questo Regolamento indulgentemente si possa mancare.
RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUSSO PEREZ. Mi permetto di farle osservare che io avevo parlato solo pochi secondi. Avevo appena fatto cenno ai gravissimi fatti accaduti in Sicilia, a Cremona ed a Venezia, quando è venuta l’interruzione del Presidente. Quindi io ero nel tema. Avevo parlato solo da trenta secondi e ritengo che l’onorevole Targetti avrebbe potuto e dovuto aspettare.
Mantengo, pertanto, la mia protesta.
PRESIDENTE. Se lei avesse parlato nei cinque minuti che nessuno le avrebbe contestato, ognuno si sarebbe accorto che lei era nell’ambito dei suoi diritti ed implicitamente l’onorevole Targetti avrebbe avuto la dimostrazione che il suo intervento non era andato al dì là della norma regolamentare.
Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.
(È approvato).
Sull’elezione del Capo dello Stato.
PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea il seguente telegramma inviato da Milano dagli onorevoli De Unterrichter, Jervolino Maria e Angelo Raffaele Jervolino:
«Ritornati Italia dal Congresso internazionale ferrovie, preghiamola annoverare anche nostro voto plebiscitaria rielezione Capo Stato».
Sul disastro di Porto Santo Stefano.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Onorevoli colleghi, ritengo doveroso dare all’Assemblea comunicazione ufficiale del luttuoso avvenimento di stamane a Porto Santo Stefano, di cui hanno dato notizia sommaria i giornali. Per lo sgombero di Pantelleria imposto dalle clausole del Trattato di pace, è in funzione fin dalla metà del 1946 una Commissione di esperti per decidere circa il ricupero dei materiali bellici. Tale Commissione aveva avuto disposizioni di ricuperare solo quel munizionamento che desse assoluta garanzia di conservazione e che risultasse veramente utile alle Forze armate.
La nave Panigaglia era partita da Pantelleria il mattino del 21 giugno ultimo scorso con un carico di 330 tonnellate di munizionamento dell’Esercito, destinato ai depositi munizioni di Pozzarello. Essa era giunta a Porto Santo Stefano alle ore 13 del 26, dopo aver toccato Trapani.
La prima notizia dell’incidente si è avuta alle ore 11,10 di stamane dal semaforo di Monte Argentario, che dava notizia di una forte esplosione verificatasi nella rada di Santa Liberata, dove era alla fonda il Panigaglia.
Detta rada, distante circa 4 chilometri da Porto Santo Stefano, era stata appositamente scelta per le operazioni di scarico per tutelare la sicurezza della popolazione di Porto Santo Stefano.
Successive notizie confermavano purtroppo che durante le operazioni di scarico, per cause non ancora precisate, si era manifestata una violenta esplosione, che provocava la perdita della nave e la morte di 55 membri dell’equipaggio, di 12 operai civili e del maresciallo della sezione staccata di artiglieria di Grosseto, adibiti allo scarico.
Il Panigaglia era una nave trasporto munizioni della Marina militare, varata nel 1923, di 643 tonnellate di dislocamento, con 3 ufficiali e 61 marinai. Il Panigaglia aveva completato recentemente i grandi lavori ed aveva in perfetto ordine tutte le attrezzature necessarie al trasporto di munizioni.
Si sono immediatamente recati sul posto, per dirigere le operazioni di assistenza, il comandante in capo del dipartimento militare marittimo di La Spezia, ammiraglio Vietina, ed il sottocapo di Stato Maggiore della Marina militare ammiraglio Pecori con due capitani di vascello dipendenti. Sono subito stati inviati da Livorno e da Roma mezzi di soccorso. In particolare da Roma sono partite complessivamente sedici autoambulanze con medici e alcuni camion con materiale sanitario delle tre Forze armate. Un aereo di soccorso si è recato sul posto da Vigna di Valle.
È stata disposta una inchiesta intesa ad accertare le cause determinanti del gravissimo incidente e le eventuali responsabilità.
Il prefetto di Grosseto è sul luogo per recare i primi soccorsi alle famiglie.
Un quarto d’ora fa ho ricevuto un telegramma, che lascia un raggio di speranza per qualcuno che in un primo tempo era considerato vittima.
Il telegramma dice: «Stamane ore 11 nave Panigaglia saltato in aria rada Santa Liberata per esplosione oltre tonnellate 300 munizioni. Inviati soccorsi terra et mare sotto direzione questo Circomare ricuperati fino at questo momento quattro cadaveri. Su spezzone estrema poppa affiorante in basso fondale avvertito presenzi personale vivo; corso operazione perforazione lamiera fiamma ossidrica per estrazione con probabilità successo. Mezzi idonei per assistenza sono sul posto; altri speciali mezzi di soccorso non ritengonsi necessari. Comunicasi nome personale salvo perché a terra per servizio: tenente vascello comandante Agostino Armato; sergente radiotelegrafista Tavazzano Bruno; sottocapo furiere Coletta Mario; marinaio Costantino Giovanni; infermiere Burro Aldo. Con Panigaglia saltato barcone società Montecatini addetto discarico; capo barca Loffredo Armando unico a bordo scomparso. Circomare Porto Santo Stefano 141001».
Onorevoli colleghi, comunicando all’Assemblea questa luttuosa notizia, mentre assicuro che il Governo farà tutto il possibile per soccorrere le famiglie e assodare le responsabilità, sono certo di interpretare il pensiero del Governo e il sentimento unanime dell’Assemblea, interprete a sua volta del Paese, inviando un pensiero commosso ai marinai, al personale dell’Esercito e agli operai vittime del loro dovere ed esprimendo le nostre sincere condoglianze alle famiglie, alla Marina, all’Esercito per tanta iattura.
PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l’Assemblea e il pubblico delle tribune). L’Assemblea esprime, attraverso la mia voce, il suo profondo cordoglio per l’immane disastro, che, gettando nel lutto tante famiglie italiane, ferisce profondamente anche il nostro cuore.
Vi sono, dunque, ancora dei morti sulla via dolorosa, che il nostro popolo deve percorrere per riuscire alla sua salvezza.
Esprimo l’auspicio, anche in nome vostro, onorevoli colleghi, che il loro martirio valga almeno a cementare sempre più saldamente le nostre forze, di noi che siamo vivi, per lavorare e per costruire. (Segni di generale assenso).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».
Ricordo che, approvato l’articolo 108, dobbiamo passare all’esame di alcuni articoli aggiuntivi.
Il primo è quello dell’onorevole Codignola:
Art. 108-bis.
«La Repubblica garantisce il pieno e libero sviluppo, nell’ambito della Costituzione, delle minoranze etniche e linguistiche esistenti sul territorio dello Stato.
«Gli enti autonomi regionali non possono, sotto nessuna forma, limitare o modificare i diritti fondamentali del cittadino sanciti dalla presente Costituzione, né emanare norme con essa in contrasto».
L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgerlo.
CODIGNOLA. Questo mio emendamento era collegato ad altri due emendamenti da me proposti agli articoli 108 e 123. Io avevo proposto che l’articolo 108, il quale prevedeva alcuni statuti speciali – precisamente per la Sicilia, la Sardegna, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta – fosse soppresso, e che fosse modificato l’articolo 123 nel senso che gli Statuti già emanati per la Sicilia, la Sardegna e la Valle d’Aosta dovessero essere coordinati con le disposizioni della presente Costituzione.
Ritenevo e ritengo tuttora che il sistema di adottare degli statuti speciali per alcune Regioni italiane sia un sistema sotto molti aspetti criticabile e discutibile.
Comunque, senza entrare nel merito della questione, ricordo che, allo stato attuale, tre soli statuti di carattere particolare erano già stati emessi: quelli per la Sicilia, per la Sardegna, per la Valle d’Aosta, mentre era in discussione lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.
Ora, ragioni del tutto particolari militavano per una conferma degli statuti speciali per la Sicilia e la Sardegna, pur entro certi limiti, e purché coordinati con le disposizioni generali della Costituzione.
Per quanto riguarda l’autonomia della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, le esigenze effettive potevano in realtà riassumersi nella necessità che, in sede costituzionale, venissero garantite certe minoranze etniche e linguistiche, esistenti ai confini dello Stato.
Non vi erano e non vi sono sufficienti giustificazioni per consentire speciali forme autonomistiche a codeste Regioni, quando si esca da quest’ambito limitato, cioè protezione delle minoranze etniche e linguistiche. Ciò è poi particolarmente vero per un’altra Regione, per il Friuli, in quanto, come forse non è noto alla maggioranza di voi, la grande maggioranza della popolazione interessata si è sempre espressa in modo esplicito, attraverso ordini del giorno dei maggiori enti ed associazioni della Regione, contro la concessione di una autonomia speciale. Ho davanti, fra gli altri, un ordine del giorno dell’Associazione combattenti e reduci, un ordine del giorno dello stesso Comitato per l’autonomia friulana, un terzo ordine del giorno dell’Amministrazione provinciale di Udine. Essi dicono tutti la stessa cosa: si respinge nettamente la possibilità che al Friuli si dia una autonomia speciale. E le ragioni sono evidenti.
A giudizio di questi nostri concittadini, la concessione di una autonomia speciale per il Friuli non soltanto non è affatto giustificata dalle condizioni di vita della Regione, ma potrebbe anzi creare artificiosamente una situazione internazionalmente pericolosa, potrebbe creare dei fermenti di irredentismo, che in quella zona tanto delicata dei nostri confini è opportuno evitare.
La medesima cosa si potrebbe ripetere per il Trentino-Alto Adige, dove l’unificazione di queste due Regioni sotto un’unica denominazione è, a mio giudizio, un errore che potrebbe avere conseguenze molto serie, poiché, come mi riservo poi di dimostrare in altra sede, il problema dell’Alto Adige è evidentemente legato a un problema di minoranza etnica ed a un problema di rapporti internazionali; ma il problema del Trentino è tutt’altra cosa. Il Trentino, è vero, ha un’antica aspirazione autonomistica, è cioè una di quelle Regioni italiane che sente più vivamente e tradizionalmente l’esigenza dell’autonomia, ma si tratta di un problema completamente diverso da quello dell’Alto Adige, su un piano prettamente distinto, tanto vero che molti cittadini trentini, e ricordo fra di essi anche il nome di un nostro collega recentemente scomparso, Battisti, si mostrarono sempre seriamente preoccupati che si potesse confondere il problema dell’autonomia col problema dell’Alto Adige, rinnegando, in certo senso, quella tradizione, d’italianità che ai trentini sta tanto a cuore; e che si portasse il problema sullo stesso piano dell’Alto Adige, dove la questione si presenta interamente diversa, dove dolorosamente esiste un problema di convivenza fra i molti cittadini italiani immigrati nell’Alto Adige in seguito agli accordi del 1938-39 e gli allogeni rimasti sul luogo.
Ora, in vista di tutto questo, io ritenevo che l’Assemblea avrebbe dovuto, nell’esaminare l’articolo 108, non prendere impegni nuovi a proposito di autonomie speciali. Esistevano già tre impegni molto gravosi: erano quelli della Sicilia, della Sardegna e della Valle d’Aosta. Questi tre Statuti in alcune parti erano incompatibili, indubbiamente incompatibili (è un regionalista che vi parla), con il principio di unità dello Stato: e ricordo che l’onorevole Einaudi indicò alcuni aspetti particolarmente caratteristici di questa incompatibilità. Bisognava quindi limitarsi per il momento a fare un rinvio a questi Statuti, discutendo poi codesti casi di incompatibilità in sede di coordinamento. Ma ci si sarebbe dovuti astenere rigorosamente dall’introdurre nuovi casi di autonomie speciali, aggiungendo all’errore del passato nuovi errori irreparabili, o almeno difficilmente riparabili, perché concernenti materia costituzionale.
Io quindi proponevo che lasciando immutata la situazione esistente, la Costituzione si limitasse ad una affermazione di garanzia delle minoranze etniche e linguistiche, minoranze quasi esclusivamente di confine, residenti cioè su territori mistilingue, sia italo-francesi, sia italo-slavi, sia italo-austriaci, ed in misura minore anche all’interno del Paese, come nel caso delle piccole comunità albanesi, greche e catalane esistenti nel Mezzogiorno d’Italia e in Sardegna.
Invece, con mia meraviglia, e devo dire con. risultati che io temo molto gravi, con risultati che sono stati già denunciati dall’onorevole Nitti, ed io mi associo a quanto egli ha detto, noi ci siamo visti piovere sul capo, da un momento all’altro una autonomia speciale per il Friuli. Come sapete, era ancora in discussione se il Friuli dovesse essere una Regione. Voi sapete che nello stesso Friuli vi sono alcune zone favorevoli all’autonomia friulana, ed altre contrarie. Comunque, era un problema vasto e complesso, che andava attentamente e seriamente studiato. Nessuno, poi, aveva posto un problema di autonomia speciale. Ripeto ancora una volta: le popolazioni interessate si erano manifestate contro questa eventualità, e a distanza di un solo giorno dalle nostre deliberazioni è già arrivato un telegramma di protesta del Comitato di liberazione nazionale di Gorizia, che dice testualmente: «Gorizia allarmata eleva alta protesta contro imposizione statuto regionale Friuli-Venezia Giulia contrastante aspirazioni et tradizioni nazionali popolazione esige riesame problema spirito democratico previa consultazione popolare et ampia pubblica non affrettata discussione».
FANTONI. Ma se abbiamo ormai approvato l’articolo 108, lo discutiamo adesso di nuovo?
PRESIDENTE. L’onorevole Codignola non ha ancora proposto di annullare ciò che abbiamo deciso. Se l’onorevole Codignola facesse una tale proposta, lo avrei richiamato all’argomento.
FANTONI. Ma perdiamo tempo inutilmente.
PRESIDENTE. Continui, onorevole Codignola.
CODIGNOLA. Quando c’è una esplicita protesta delle popolazioni interessate, credo che sia dovere della Costituente di prendere in considerazione questo problema.
Ho fatto queste premesse non già per rimettere questo problema in discussione. Io ho parlato per precisare le ragioni, direi, organiche, dell’emendamento 108-bis, coordinato con altri miei precedenti emendamenti.
Il medesimo emendamento contiene poi un capoverso che si preoccupa di limitare le possibili conseguenze dell’estensione delle autonomie e soprattutto delle autonomie speciali, con una esplicita dichiarazione di salvaguardia delle libertà del cittadino. Ora, nonostante che l’articolo 108 sia stato approvato come è stato approvato, io mi permetto insistere sull’articolo 108-bis, in vista di una situazione particolare che a molti è sfuggita in questa Assemblea, la situazione cioè dell’Alto Pinerolese, di quella zona comunemente denominata delle Valli Valdesi, ma che è in realtà assai più vasta delle Valli Valdesi. Questo problema è stato discusso in sede di lavori preparatori, e si riconobbe allora che fra le Regioni mistilingue vi erano, oltre la Valle d’Aosta, oltre il settore Trentino-Alto Adige, oltre il settore del confine Giulio, anche le Valli Valdesi. Indubbiamente la posizione di queste valli è sotto molti aspetti diversa da quella della Val d’Aosta, ma da parte degli abitanti di queste valli non si è mai chiesto uno statuto autonomistico di tipo speciale, si era chiesto soltanto, a suo tempo, il riconoscimento della condizione particolare di «zona mistilingue». Voi sapete che questo territorio, che comprende 17 Comuni e che è costituito dalle vallate della Luserna, del Pellice, della Germanasca e del Chisone, ha una tradizione storica e culturale sua propria. Codeste valli hanno delle esigenze particolari, sia per quanto riguarda la difesa linguistica, sia per quanto riguarda la stampa e la scuola. Esse hanno inoltre esigenze particolari, per quanto riguarda i rapporti di emigrazione con la Francia e particolarmente col vicino Delfinato, e problemi d’istituzione e d’incoraggiamento di enti locali, educativi e assistenziali. Si tratta di una serie di problemi che vanno seriamente presi in considerazione.
Indubbiamente, per le stesse ragioni per cui ho criticato poco fa le autonomie speciali concesse, per così dire, con una certa frettolosità ad alcune Regioni, io non posso ora chiedere coerentemente che si conceda una autonomia speciale anche alle Valli Valdesi, sebbene, dato che si è ormai seguita questa strada, che io ritengo dannosa e pericolosa per l’ordinamento dello Stato, si potrebbe richiedere il medesimo trattamento anche per queste Valli. Io penso tuttavia che queste difficoltà, di carattere per così dire procedurale, si possano superare votando ora questo articolo 108-bis, che mira a garantire le minoranze etniche e linguistiche. Questo articolo costituirebbe di fatti una garanzia di protezione per tutte queste popolazioni delle Valli Valdesi, e inoltre potrebbe costituire una garanzia anche per altre popolazioni, di minore importanza, disperse sul territorio dello Stato, ma che potrebbero reclamare domani delle garanzie soprattutto di carattere linguistico.
Vi ricordo che gli abitanti delle Valli Valdesi hanno fatto il loro dovere di cittadini italiani resistendo fino alla fine all’oppressione. Vi ricordo che ancora in periodo clandestino, il 19 dicembre 1943, ebbe luogo un incontro a Chivasso tra i rappresentanti delle popolazioni alpine, e precisamente tra i rappresentanti della Val d’Aosta e quelli delle Valli Valdesi. In tale incontro, queste popolazioni riconobbero insieme di avere le medesime esigenze di carattere autonomistico, ed insieme esse furono protagoniste, tra le prime, della resistenza.
Ora io so che, in seguito alla votazione sull’articolo 108, è sorto in queste popolazioni di confine un senso di viva delusione verso i lavori della nostra Assemblea, si è creato un forte disagio nel constatare che, mentre il problema delle Valli Valdesi, che da tempo era stato posto sotto i nostri occhi, non era stato preso in considerazione e si era invece esaminato un problema che non era stato posto neppure dalle popolazioni interessate. (Commenti al centro). Vi pregherei quindi di voler considerare seriamente questo problema. Le popolazioni di confine possiedono una sensibilità nazionale ed internazionale tutta particolare, e credo che noi dobbiamo dar atto a queste popolazioni, così profondamente italiane e così utili, come anello di congiunzione culturale, spirituale ed economica con la Svizzera e soprattutto con la Francia, del sentimento di fraternità che ci anima verso di loro, e dare ad esse una garanzia che è elemento fondamentale di ogni Costituzione moderna.
Insisto anche sul secondo comma dell’emendamento, in quanto penso che tutte le precauzioni – come dirò trattando di un altro emendamento – debbano essere prese, perché l’esperimento dell’autonomia regionale non si trasformi in pericolo. Chi è persuaso della opportunità di questa riforma è pieno anche di preoccupazioni per la possibilità che essa, nella sua attuazione, possa dar luogo a gravi inconvenienti. Per questa ragione ritengo opportuno formulare una dichiarazione che garantisca, nei rispetti dell’ordinamento regionale, il mantenimento delle libertà fondamentali garantite ai cittadini dalla Costituzione.
PRESIDENTE. L’onorevole Ruini, ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Codignola comprenderà perché io, a nome del Comitato, non posso rispondere a quanto egli ha detto relativamente all’emendamento dell’articolo 108; emendamento che si deve ritenere superato, essendo stato l’articolo 108 approvato in una determinata forma dall’Assemblea. Posso soltanto parlare del nuovo articolo 108-bis che l’onorevole Codignola ha proposto. Il Comitato ne apprezza lo spirito, ma non può accettarlo, ritenendo che il suo contenuto sia già affermato in altri punti della Costituzione. Nel primo comma dell’articolo proposto si garantisce lo sviluppo delle minoranze etniche e linguistiche. Ora, vi è già nell’articolo 2 delle dichiarazioni generali della Costituzione, il principio di eguaglianza di tutti i cittadini, indipendentemente dalla razza e dalla lingua. Altre garanzie in questo senso di una perfetta parità fra gli italiani vi sono in tutta la Costituzione. Una speciale disposizione per le minoranze etnico-linguistiche – né ben si comprende il concetto di minoranza – non sembra indispensabile, potendo rientrare nel concetto generale.
Nel secondo comma dell’articolo 108-bis dell’onorevole Codignola si afferma il principio che gli enti autonomi regionali non possono limitare o modificare i diritti fondamentali del cittadino sanciti dalla Costituzione. Ma neppure lo Stato può con legge sua modificare i principî che sono stabiliti nella Costituzione. Se noi andassimo ad affermare questo principio solo in un determinato caso, per l’azione e le leggi della Regione, verremmo a gettare nel turbamento e nell’incertezza la salda struttura del nostro edificio costituzionale. Esiste in esso una gerarchia di norme. Vi sono dei diritti perfino superiori alla Costituzione che non si possono violare. Vi sono poi principî e diritti sanciti nella Costituzione, che le leggi dello Stato non possono violare. Stiamo ora dando vita o norme alla Regione, aventi valore legislativo, che non possono violare i principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Il Comitato non può ammettere un articolo che sposti ed alteri questa gerarchia e crede che il contenuto e lo spirito della proposta Codignola sia pienamente garantito dal complesso della Costituzione.
L’onorevole Codignola ha accennato ad un motivo particolare, che noi avevamo già preso in considerazione: quello delle Valli Valdesi. Per queste Valli non c’è un problema di autonomia speciale come per altre zone alle quali si è data una struttura particolare con funzioni e poteri maggiori che in altre Regioni. Le Valli Valdesi non chieggono tale trattamento. Ciò che chieggono risulta da un memorandum e da altri elementi, trasmessi all’Assemblea da un gruppo di deputati, fra i quali c’è anche l’onorevole Codignola. Le Valli Valdesi aspirano ad avere soltanto una garanzia linguistica, nel senso di aver scuole speciali, il che si traduce in criterio comune per tutti i cittadini che parlano una lingua diversa dall’italiano.
Noi dubitiamo che ciò possa dar luogo ad una norma costituzionale. Alle esigenze indicate dall’onorevole Codignola si è in passato provveduto e si può provvedere più largamente con leggi ordinarie dello Stato. Si potrebbe, se si vuol accentuare questo punto, votare uno degli ordini del giorno, già fatti in altre occasioni, per affermare la necessità di emanare misure appropriate di trattamento ed insegnamento linguistico per le popolazioni che parlano altre lingue e che sono sparpagliate in tutto il territorio dello Stato. Una norma costituzionale propria non sembra necessaria; e ad ogni modo, dovrebbe essere formulata diversamente da quella formulata dall’onorevole Codignola.
Concludo: l’intento della proposta Codignola è perfettamente accolto e la sua disposizione è considerata già acquisita da altre norme dall’insieme della Costituzione. Per quanto riguarda il particolare problema, che non è di autonomia regionale, ma soltanto di scuole che possono essere senz’altro istituite, non occorre norma costituzionale, e si può, se del caso, votare un ordine del giorno.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Vorrei proporre il seguente emendamento all’articolo aggiuntivo dell’onorevole Codignola:
«Gli enti autonomi regionali non possono, sotto nessuna forma, limitare il pieno e libero sviluppo delle minoranze etniche e linguistiche esistenti nel territorio dello Stato».
Che cosa significa questa formula? Significa piena comprensione delle esigenze che hanno spinto il collega Codignola a presentare l’articolo aggiuntivo. Egli però ha generalizzato ed ha espresso un concetto che, se fosse accolto, sarebbe pleonastico, quando, nella prima parte, ha detto che: «La Repubblica garantisce il pieno sviluppo delle minoranze etniche e linguistiche», mentre il nostro concetto si richiama alla determinazione della Regione. Ed in questo senso l’emendamento ha un altro significato.
Noi comprendiamo le esigenze di quelle Regioni di confine alle quali il collega Codignola si è riferito; noi sentiamo perfettamente che entriamo in un problema estremamente delicato ed al quale dobbiamo essere particolarmente sensibili.
Dobbiamo far comprendere a quelle Regioni, che non hanno svolto nessuna attività particolare per ottenere statuti speciali, che il pensiero dell’Assemblea comprende perfettamente queste esigenze e cerca di risolverle. Mi pare che, a questo riguardo, il mio emendamento risolve tali esigenze.
Debbo inoltre aggiungere che, pur dissentendo dal modo formale con cui il collega Codignola ha espresso la sua sorpresa per quanto è stato fatto a proposito del Friuli con l’articolo 108, debbo dire che anch’io intendo manifestare la mia sorpresa.
Ne parlerò quando all’articolo 123 la questione potrà essere posta, e non voglio entrare in merito ora. Il mio concetto regionalistico, che si spinge dal punto di vista teorico ad una concezione federalistica dello Stato repubblicano, è ormai noto, e nessuno può mettere in dubbio questa fede che costantemente ha animato la mia azione politica.
Tuttavia mi sia consentito di affermare che un problema di questo genere non poteva essere risolto in sede di emendamento e con molta semplicità di discussione. Né la Sottocommissione per le autonomie ha toccato il problema, mentre dal punto di vista costituzionale avrebbe dovuto esaminarlo. Non lo ha affrontato, ed io ricordo ai colleghi della Commissione per la Costituzione che noi il problema, sotto questo aspetto, non l’abbiamo mai esaminato e non l’ha esaminato neppure la seconda Sottocommissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ci fu una proposta Fabbri.
LUSSU. Io non voglio entrare in merito, ma voglio dire che il problema doveva essere illustrato e discusso ampiamente. Ho studiato tutti i problemi del Friuli, ho seguito i lavori del Congresso veneto, anche nei dettagli; sono stato a Udine recentemente, ho parlato coi rappresentanti di tutti i partiti e non mi sono accorto che il problema fosse posto in questa forma.
E allora faccio appello perché i criteri fondamentali dell’organizzazione dello Stato siano discussi con serietà e con profondità; poiché questi problemi devono porre molto più in alto l’attività dell’Assemblea Costituente.
Credo che all’articolo 123 noi esamineremo questa questione: può darsi che l’Assemblea si esprima in senso sfavorevole. Io esprimo l’esigenza che questi problemi siano affrontati in una profonda discussione, prima di risolverli così affrettatamente.
PRESIDENTE. Onorevole Codignola, accetta la proposta dell’onorevole Lussu?
CODIGNOLA. Io preferirei mantenere il primo comma del mio emendamento, mentre potrei rinunciare al secondo, per le considerazioni, che mi paiono giuste, dell’onorevole Ruini.
PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mantiene il suo emendamento all’emendamento?
LUSSU. Non lo mantengo, ma voterò contro l’emendamento Codignola.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto che neppure lo Stato può offendere o minorare i diritti sanciti dalla Costituzione. Ripeto che si provvederà con leggi alle scuole speciali. Nel memorandum valdese è ricordata una legge del 1911, che aveva provveduto alle scuole per quelle valli; che cosa vieta di ripristinare e migliorare ciò che venne poi soppresso?
L’emendamento Lussu non avremmo potuto accettarlo per le ragioni che ha detto l’onorevole Codignola.
TOSATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOSATO. L’emendamento Codignola solleva e investe due distinti problemi: quello della tutela delle minoranze etniche e linguistiche, e quello della subordinazione delle leggi regionali alla Costituzione dello Stato. Per quanto riguarda il problema della subordinazione della legislazione regionale alla Costituzione, mi pare che l’emendamento sia stato ritirato dallo stesso onorevole Codignola: è un problema, effettivamente, già risolto nel testo del Progetto, perché l’articolo 118 stabilisce esattamente il principio che le leggi regionali devono essere subordinate alla Costituzione e, quindi, devono sempre rispettare i diritti tutelati dalla Costituzione.
Per quanto riguarda la prima parte dell’emendamento Codignola, quello relativo alla tutela delle minoranze, esso rivela una lacuna della prima parte della Costituzione, perché si tratta di un problema generale della tutela delle minoranze etniche e linguistiche, che noi non abbiamo considerato.
L’emendamento Lussu voleva limitare l’emendamento Codignola alla tutela delle minoranze etniche e linguistiche nell’ambito di determinate Regioni. Ma è evidente che non si tratta di un problema regionale, ma di un problema di ordine generale.
Dati pertanto questi rilievi, io ritengo che sarebbe forse più opportuno che l’onorevole Codignola presentasse questo suo emendamento in un momento successivo, giacché ora stiamo discutendo intorno alle autonomie regionali, tema che evidentemente costituisce un argomento del tutto diverso. Per queste ragioni noi non possiamo adesso discutere l’emendamento proposto.
PRESIDENTE. Onorevole Tosato, anch’io avverto quello che lei segnala, che cioè non è questa la sede. Tutti abbiamo, infatti, presente qual è lo schema successivo del Progetto costituzionale. Indipendentemente dalla sede in cui debba essere inserito questo articolo aggiuntivo, potremmo passare senz’altro alla votazione di esso, deferendo al Comitato di redazione il compito di stabilire a qual punto esso debba venire incluso, a meno che l’onorevole Codignola non accetti la proposta dell’onorevole Tosato di sospendere per intanto l’esame della questione, riservandoci di discuterne in un momento successivo.
CODIGNOLA. Io non vedo la ragione di sospenderlo; propendo invece perché si faccia come lei ha detto, lasciando in sospeso soltanto la questione del punto d’inserimento.
TOSATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOSATO. Insisterei nel pregare l’onorevole Codignola di rinviare ad un momento successivo questa discussione, perché, se noi entriamo direttamente nel merito della formulazione del suo emendamento, possiamo forse fare delle riserve. Per esempio, l’onorevole Codignola dice: «pieno sviluppo nell’ambito della Costituzione». Ma sviluppo di che cosa? Sono problemi molto delicati questi, che vanno definiti molto esattamente; e credo che nessuno nell’Assemblea abbia avuto agio di esaminare con la dovuta attenzione questo emendamento.
Trattandosi quindi di un problema tanto delicato, prego l’onorevole Codignola di voler accedere alla proposta di un rinvio.
PRESIDENTE. Onorevole Codignola, ella accede?
CODIGNOLA. Onorevole Presidente, se si tratta semplicemente di un rinvio determinato, di un giorno o due, per dar luogo all’Assemblea di esaminare meglio il mio emendamento, non ho nulla in contrario; ma se si tratta di un rinvio sine die, non posso accettare.
SELVAGGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SELVAGGI. A me pare vi sia un punto da chiarire, che cioè qui il problema non è soltanto interno, ma investe anche una questione di carattere internazionale, perché le minoranze linguistiche costituiscono nuclei di cittadini non italiani che risiedono nel nostro territorio. Interviene quindi, sotto questo riguardo, il Trattato di pace; è quindi proprio per impegni di natura internazionale che noi dovremo attuare delle provvidenze a beneficio di queste minoranze.
Non vedo, quindi, come ciò possa costituire materia costituzionale; a me pare che queste provvidenze siano di stretta competenza della legislazione ordinaria.
CODIGNOLA. Scusi, onorevole Selvaggi, ma la protezione delle minoranze linguistiche, secondo lei, in uno Stato moderno, deve essere soltanto attuata perché viene imposta da uno Stato estero? O non anche perché è essa un elemento fondamentale di ogni moderna Costituzione?
SELVAGGI. Sono necessarie appropriate leggi; è una questione di legislazione ordinaria.
MAZZONI. Ma per il Friuli, onorevole Codignola, lei non ammette queste esigenze.
PRESIDENTE. Ritengo che si possa accogliere la richiesta dell’onorevole Tosato, accettata dall’onorevole Codignola, di rinviare temporaneamente la decisione sull’articolo aggiuntivo in esame.
(Così rimane stabilito).
Gli onorevoli Targetti, Dugoni, Malagugini e Jacometti, hanno presentato il seguente articolo 108-bis:
«I Comuni sono autonomi nel proprio ambito».
Vorrei far presente all’onorevole Targetti che il nuovo testo presentato dal Comitato in base ai vari emendamenti proposti, tocca in modo particolare il Comune e stabilisce che i Comuni devono essere autonomi in questa forma.
Chiedo all’onorevole Targetti se non ritiene che l’articolo aggiuntivo sia esaminato nel momento in cui esamineremo il testo della Commissione. Il suo articolo apparirebbe allora un emendamento al testo proposto dalla Commissione.
TARGETTI. L’osservazione del signor Presidente è esattissima, ma noi avevamo mantenuto l’emendamento sotto forma di articolo aggiuntivo più che altro perché ci sembrava che fosse questo il punto più indicato per il collocamento di un articolo relativo al Comune, seguito poi da un articolo relativo alla Provincia. Ci sembrava logico che la Costituzione dopo, aver definito la Regione, dicesse subito che esistono i Comuni e le Provincie, prima di passare a dettare norme relative alla Regione.
Ma se questo deve avere come conseguenza di appesantire la trattazione dell’argomento, credo che i miei colleghi non possano non accedere all’invito del Presidente.
PRESIDENTE. Siccome l’articolo 107 nel testo approvato dice: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni», si spiega perché nel testo della Commissione sono esaminate successivamente le Regioni, le Provincie, i Comuni.
Ad ogni modo, dato che l’onorevole Targetti accede alla mia proposta, a suo tempo esamineremo l’articolo che riguarda i Comuni.
La stessa osservazione ritengo si debba fare a proposito dell’articolo aggiuntivo 108-ter, presentato dagli stessi onorevoli Targetti, Dugoni, Malagugini, Jacometti:
«Le Provincie sono Enti di decentramento amministrativo, dotate di autogoverno».
Siccome la Commissione dedica una parte di un suo articolo alle Provincie, sarà opportuno esaminare questo articolo aggiuntivo come emendamento alla proposta della Commissione.
(Così rimane stabilito).
Possiamo quindi passare senz’altro all’esame degli articoli 109, 110 e 111, i quali nel Progetto primitivo erano del seguente tenore:
Art. 109.
«La Regione ha potestà di emanare, per le seguenti materie, norme legislative che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento dello Stato, e rispettino gli obblighi internazionali e gli interessi della Nazione e delle altre Regioni:
ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;
modificazioni delle circoscrizioni comunali;
polizia locale e rurale;
fiere e mercati;
beneficenza pubblica;
scuola artigiana;
urbanistica;
strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;
porti lacuali;
pesca nelle acque interne di carattere regionale;
torbiere».
Art. 110.
«La Regione ha potestà di emanare, per le seguenti materie, norme legislative nei limiti del precedente articolo, e con l’osservanza dei principî e delle direttive che la Repubblica ritenga stabilire con legge allo scopo di una loro disciplina uniforme:
assistenza ospedaliera;
istruzione tecnico-professionale;
biblioteche di enti locali;
turismo e industria alberghiera;
agricoltura e foreste;
cave;
caccia;
acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni;
acque minerali e termali;
tramvie;
linee automobilistiche regionali».
Art. 111.
«La Regione ha potestà di emanare norme legislative di integrazione ed attuazione delle disposizioni di legge della Repubblica, per adattarle alle condizioni regionali, in materia di:
igiene e sanità pubblica;
istruzione elementare e media;
antichità e belle arti;
disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio;
industria e commercio;
miniere;
navigazione interna;
e in tutte le materie indicate da leggi speciali.
«Le leggi della Repubblica possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme regolamentari per la loro esecuzione».
Il Comitato di coordinamento, ha proposto il seguente nuovo testo:
Articoli 109, 110, 111.
«Riunire i tre articoli nel seguente:
«La Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica per le seguenti materie:
Ordinamento degli uffici, ed enti amministrativi della Regione.
Modificazione delle circoscrizioni comunali e provinciali.
Polizia locale urbana e rurale.
Fiere e mercati.
Beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera.
Istruzione artigiana e tecnico-professionale.
Musei e biblioteche di enti locali.
Urbanistica.
Turismo ed industria alberghiera.
Tranvie e linee automobilistiche regionali.
Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale.
Porti e navigazione lacuale.
Acque pubbliche ed energia elettrica in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni.
Acque minerali e termali.
Cave e torbiere.
Caccia.
Pesca nelle acque interne.
Agricoltura e foreste.
Altre materie indicate da leggi speciali.
«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo dar conto di questo nuovo testo del Comitato. Mantenendo la promessa fatta all’onorevole Carboni, è stato da sabato distribuito un foglietto che contiene il testo nuovo in un articolo che raggruppa insieme gli articoli 109, 110 e 111.
Lo sforzo del Comitato per raggiungere una formula sintetica e comune sembra coronato dal successo. Il testo che noi presentiamo esprime il pensiero della maggioranza del Comitato. Dico di più: nelle ultime ore della seduta di sabato si è ottenuto anche dai rappresentanti delle due tendenze sulle questioni dell’autonomia un assenso fondamentale sul testo proposto dal Comitato. Spero che si potrà ormai realizzare quella concordia dell’Assemblea che ho sempre invocato. Spero (ma non sono sicuro) che non capiti come altre volte quando, dopo che si era concordata una cosa in Comitato fra le tendenze ed i partiti, invece in Assemblea tutto è tornato in questione.
Darò brevemente ragione dell’articolo nuovo.
Come posizione di forma e di procedura – forse anticipo la risposta ad un’osservazione che potrebbe ripetere l’onorevole Persico, che l’ha fatta altra volta – si tratta di un emendamento che il Comitato propone al suo testo e come sempre avviene in tali casi, anche per l’accettazione di emendamenti proposti da altri, l’emendamento accettato sostituisce il testo del Comitato. Naturalmente sono padronissimi i deputati di riprendere il testo del Comitato o di discutere sull’emendamento presentato.
In questo articolo, che raccoglie in uno solo il contenuto dei tre articoli 109, 110 e 111, convergono due ordini di questioni. Il primo è costituito dalla potestà legislativa che spetta alle Regioni. Il secondo riguarda i rapporti reciproci di competenza e le funzioni amministrative della Regione e della Provincia.
La Provincia in sede di Commissione dei Settantacinque non aveva avuto quel funerale di terza classe, di cui parla l’onorevole Targetti. Era rimasta come ente di decentramento degli organi governativi, ed anche dell’attività regionale che, dice il progetto, doveva normalmente esercitarsi mediante uffici provinciali. Si aggiunga che nelle Provincie si istituivano Giunte a base elettiva, sia pure di secondo grado. La Provincia dunque non moriva, anche se non aveva il risalto che ha ora. Oramai la Provincia è stata, con votazione già avvenuta, messa fra gli enti in cui si riparte il territorio della Repubblica. Rimane dunque nella sua attuale fisionomia di ente autonomo, e sorge la questione dei rapporti fra Regione e Provincia.
Tali sono i due ordini di problemi da tener presente.
Farò rapidamente la storia dei tre articoli. Nel seno della Commissione dei Settantacinque si delinearono due tendenze. Tendenza prima che chiamerò quella che vinse; tendenza seconda, quella che rimase per pochi voti in minoranza.
La tendenza prima stabiliva tre diversi tipi di potestà legislativa spettanti alla Regione. Potestà legislativa esclusiva; potestà legislativa concorrente; potestà legislativa complementare di integrazione e di attuazione delle leggi dello Stato.
Ciascuno dei tipi ha un profilo che può essere discusso, e non è in ogni modo così rigido come appare dal nome. Il carattere della legislazione esclusiva sta in ciò che per certe materie è la Regione non lo Stato che detta norme aventi valore legislativo. Non è però una potestà illimitata. Il limite è doppio, in quanto non solo la potestà legislativa della Regione si esercita nelle sole materie indicate dalla Costituzione, ma in quanto è altresì limitata nel suo esercizio dalle norme della Costituzione, dai principî nell’ordinamento giuridico dello Stato, dal rispetto dei trattati internazionali, dagli interessi nazionali, dagli interessi delle altre Regioni. Non si può quindi, a rigore, parlare di esclusività vera e propria.
Vediamo il secondo tipo di legislazione, la concorrente. In ordinamenti costituzionali di altri paesi, per certe materie, legifera tanto lo Stato federale, quanto lo Stato singolo, o (se non è ordinamento federativo) lo Stato e la Regione, ma nel contrasto prevale la disposizione dello Stato. Nel nostro progetto, non era così, poiché la Regione poteva legiferare in determinate materie, ma lo Stato aveva il diritto, per rendere uniforme le legislazioni regionali, di stabilire principî generali ai quali le Regioni si dovevano uniformare. Non è dunque, neppur qui, rigorosamente esatta la designazione di legislazione concorrente che del resto lo schema di Costituzione non usava.
Quanto infine al tipo di legislazione integrativa e di attuazione, si trattava (e lo schema lo diceva) di adattare alle condizioni locali le leggi generali dello Stato. È qualche cosa che si chiama legislazione perché le norme han valore legislativo; ma ciò può avvenire anche nel campo del regolamento, o meglio, secondo il concetto tedesco, del Verordnung. Siamo per così dire al confine fra due forme, la legge ed il regolamento, che non si possono più separare con un taglio netto.
Questi i tre tipi di legislazione che erano stati forgiati e che prevalsero nel testo della Commissione. Contro questo si fece strada, ma fu vinta nella Commissione, la proposta della corrente meno autonomista la quale voleva stabilire che la Regione avesse soltanto facoltà legislativa di integrazione ed attuazione per adattare alle norme locali le norme generali direttive stabilite con la legge della Repubblica. Si accentuava l’«adattare», per far risaltare sempre più questa forma di relazione agli interessi locali. Era il tipo della legislazione integrativa e di applicazione che veniva generalizzato ed ammesso, esso solo, secondo questa corrente. Prevalse, come ho detto, la formula più vasta delle tre potestà legislative.
Ora, quale è il nuovo testo sopra il quale si delineerebbe un accordo? La corrente numero uno, vincitrice, rinuncia al tipo di legislazione esclusiva, concentra in una sola figura la legislazione concorrente e la legislazione integrativa. Da questo scaturisce il nuovo testo che voi avete sott’occhio. La corrente meno autonomista ha accettato: così mi hanno dichiarato autorevoli rappresentanti di questa tendenza. Vi è stato (mi auguro che non vi sia più) fra essi qualche dubbio. Vedete come sono scrupoloso: faccio proprio il notaio. Il dubbio era che con la formula che è stata proposta lo Stato sia costretto a imporre limiti a se stesso e che sull’esistenza di questi limiti possa essere chiamata a giudicare la Corte costituzionale. È stato risposto: «Ma i limiti, in fondo, si pongono alla Regione non allo Stato». Prescindendo da ciò, si è risposto che lo Stato deve bensì imporsi dei limiti, ma è lo Stato stesso che li determina. Se vi sarà una grande elasticità in tali disposizioni, sui limiti che le leggi pongono a se stesse, questa non è una cosa inopportuna perché si potrà gradualmente, sperimentalmente, vedere fino a che punto, in sostanza, potrà spingersi la potestà di legislazione della Regione. Ecco le considerazioni, per cui il nuovo testo potrebbe essere accolto da tutte le tendenze.
Vi è poi un’altra questione, e cioè l’elenco delle materie in cui la Regione ha la potestà legislativa nella forma unica e ridotta, contemplata nel nuovo testo. Decideremo, una ad una, le materie di tale elenco. Ma, sotto un certo riflesso, la questione si collega con quella dei rapporti fra la Regione e la Provincia. Infatti, nell’articolo seguente si dice che per le materie sulle quali è data potestà legislativa alla Regione, spettano alla Regione le corrispondenti funzioni amministrative. Ma allora che cosa avviene delle attuali funzioni amministrative della Provincia?
Si presentavano tre soluzioni. La prima poteva essere di distinguere nella stessa Costituzione date funzioni A. B. C. attribuite alla Regione, ed altre A. B. C. attribuite alla Provincia. Si sarebbero però incontrate grandi difficoltà non risolvibili praticamente in sede di redazione della Costituzione. Seconda via: lasciare alla Regione tutte le funzioni amministrative corrispondenti alle funzioni legislative ad essa attribuite, salvo che la Regione stessa credesse di deferirne alcune alla Provincia. Soluzione, questa, non accettabile, perché di fatto, con l’articolo della Costituzione, passano alla Regione tutte le funzioni che attualmente ha la Provincia; e la vita di questa verrebbe subordinata al beneplacito della Regione.
Terza soluzione: attribuire in via di massima alla Regione le funzioni correlative alla sua potestà legislativa, salvo poi lasciare a leggi dello Stato di stabilire che alcune di queste funzioni di esclusivo interesse locale, siano esercitate dalla Provincia o dal Comune, secondo un riordinamento da stabilire.
Aggiungo – ed a tale scopo vi è stato comunicato il testo di altri articoli – che, secondo una disposizione transitoria, alla Provincia debbono rimanere tutte le attribuzioni di cui essa è fornita, in attesa del riordinamento e della redistribuzione delle funzioni degli enti locali.
NITTI. Caos in aumento.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituitone. Non è caos, onorevole Nitti. Posto che la Regione deve sorgere – l’Assemblea ha deciso e non si può tornarvi su – bisogna organizzarla nel modo migliore – ella dirà nel meno peggiore – possibile. Bisogna coordinarla con le Provincie ed i Comuni.
Io mi sono sempre sforzato di adottare soluzioni e forme ispirate a criteri di gradualità e sperimentalità. Così, per le potestà legislative della Regione, cerchiamo di rimetterci ai principî stabiliti dallo Stato per date materie che lascino alla Regione una sfera libera, ma determinata, di legislazione secondaria, e tutto ciò richiederà una revisione ed un adattamento graduale della legislazione dello Stato, che non potrà improvvisarsi in un momento in modo che la nostra Costituzione preveda una revisione ed una redistribuzione delle vecchie funzioni della Provincia e del Comune, e insieme delle nuove funzioni della Regione, che richiederà anch’essa tempo, ma sarà utilissima. Merito di questo bistrattato testo costituzionale sarà che l’attuale ordinamento degli enti locali, difettoso anche per l’attribuzione delle materie, venga modificato e coordinato in modo sistematico e più rispondente alle esigenze reali.
Non sarà il caos, onorevole Nitti, ma un progresso al quale darà occasione l’istituto della Regione, che ormai, debbo pur ripeterlo, è nella Costituzione ed anche chi l’ha combattuto meglio farebbe a cercare di farne produrre ogni possibile vantaggio.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni a che il nuovo testo presentato dal Comitato sia assunto come base della discussione, gli emendamenti si presenteranno in relazione al nuovo testo.
(Così rimane stabilito).
Molti colleghi hanno già presentato emendamenti a questo testo, perché, come d’intesa, esso è stato pubblicato da alcuni giorni e ciascuno ha avuto il tempo di valutarlo e di proporre gli emendamenti opportuni.
Darò quindi la parola ai presentatori di emendamenti, in relazione al nuovo testo.
Gli onorevoli colleghi che hanno presentato emendamenti in relazione al vecchio testo e che intendono mantenerli adeguandoli al nuovo testo, lo dichiarino e sarà data loro la parola per svolgerti.
LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LAMI STARNUTI. Avevo presentato un emendamento al testo del progetto; lo considero come emendamento al nuovo testo.
PRESIDENTE. Il suo emendamento era stato elaborato in modo tale da riassumere gli articoli, che la Commissione ha riassunto nel suo nuovo testo.
NOBILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Avevo presentato emendamenti, agli articoli 109, 110 e 111; ma essi tenevano conto della nuova formulazione fatta dal Comitato.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Mi permetterei di osservare, se l’Assemblea fosse d’accordo, che sarebbe forse utile arrivare ad una conclusione precisa, concreta, in ordine al primo comma del nuovo testo in cui si parla in genere di questa potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive, dei principî generali, ecc. Se noi non sappiamo in modo esatto se si debba parlare o no di potere legislativo o di potere semplicemente normativo, se noi non sappiamo insomma quale sia l’ampiezza rispettiva dei poteri concorrenti dello Stato e della Regione, mi pare risulterà meno utile la discussione sugli eventuali mutamenti in ordine all’elenco delle singole materie. Bisognerebbe avere un concetto chiaro in ordine al contenuto del primo comma, cioè se approvarlo in questo testo o in un testo diverso. Tutto il resto, mi pare, viene dopo, perché è inutile discutere varianti circa l’elenco delle materie senza sapere quale sia la sorte definitiva del loro regolamento giuridico. E una opinione di cui ella, onorevole Presidente, può tener conto.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà:
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Riconosco che quello che ha detto l’onorevole Fabbri è esattissimo. L’elenco che è stato presentato è una specie di schema sopra il quale dovremo discutere ampiamente e sorgeranno molte questioni. L’articolo nuovo si divide in due parti. Come ho detto poco fa, ve ne è una che riguarda la potestà normativa e legislativa, un’altra che riguarda l’elenco. Secondo me, bisognerà prima decidere la prima parte e poi la seconda. In quanto agli emendamenti, comprendo che vi è un po’ di complicazione, perché avendo presentato il nuovo testo sono stati proposti emendamenti a questo, oltre quelli già presentati prima al testo anteriore. Non credo che vi sia difficoltà a discutere gli uni e gli altri. Come base vi è ormai il testo nuovo, perché è prassi, ripeto, che quando il Comitato accoglie un emendamento di altri e lo fa suo, questo diventa testo. Ciò vale, evidentemente, anche per gli emendamenti che il Comitato propone a se stesso. Niente vieta che gli onorevoli deputati svolgano e discutano anche gli emendamenti fatti prima, cercando di ridurli al testo nuovo.
PERSICO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERSICO. Avevo presentato un emendamento agli articoli 109 e 110 del vecchio testo. Ora, a me sembra che il primo comma di questo emendamento possa restare anche col nuovo testo, perché si congiunge appunto alle osservazioni fatte ora dall’onorevole Fabbri, cioè ai limiti della potestà legislativa della Regione. Poi verrà l’elencazione delle speciali materie alle quali dovrà essere applicata la legislazione regionale.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo conferma che potrà svolgere i suoi emendamenti tenendo conto del nuovo testo.
PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha prospettato l’opportunità di esaminare se debba la Regione avere una potestà normativa o complementare.
Io penso che la questione sia stata già ampiamente trattata in sede di discussione generale e pertanto ritengo che non sia opportuno rifare adesso una discussione specifica a questo scopo.
D’altra parte, al momento della votazione si vedrà praticamente quale carattere dovrà assumere il potere della Regione e quei colleghi che ritengono che la Regione debba avere potere normativo, voteranno in questo senso, salvo a distinguere quando si tratterà di elencare le materie.
Del resto i presentatori di emendamenti che si riferiscono alla potestà della Regione porranno essi stessi la questione sollevata dall’onorevole Fabbri.
BERNINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERNINI. Io avevo presentato i seguenti emendamenti al vecchio testo:
«All’articolo 109 sopprimere la voce: urbanistica»;
«All’articolo 110 sopprimere la voce: istruzione tecnico-professionale»;
«All’articolo 111, al primo comma, nell’elenco delle materie, sopprimere la voce: antichità e belle arti».
Dichiaro ora di mantenerli.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Preti e Binni hanno presentato il seguente emendamento:
Art. 109, 110, 111.
«Al primo comma, sostituire alle parole: potestà di emanare norme legislative, le parole: potestà normativa.
L’onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.
PRETI. L’onorevole Ruini ha testé dichiarato che in sede di Commissione si è fatto un grande sforzo per trovare un accordo circa il nuovo testo che ora viene presentato all’Assemblea. Io mi rendo conto del notevole sforzo fatto dai membri della Commissione; ma mi sembra che, per trovare l’accordo ad ogni costo, ci si sia fermati su una formula assolutamente non sostenibile. E mi spiace di dovere fare questa osservazione proprio a insigni cultori del diritto, quali l’onorevole Ruini, l’onorevole Perassi, l’onorevole Ambrosini. Direi addirittura che la formulazione adottata per il primo comma dell’articolo unificato 109, 110 e 111, si trova in nettissimo contrasto con le acquisizioni della più moderna dottrina giuridica.
Non intendo ripetere qui le considerazioni di carattere politico, già fatte in sede di discussione generale, né ritornare su ciò che la maggioranza ha ormai deciso; ma mi limiterò a osservazioni di carattere tecnico-giuridico all’attuale testo. Comincerò pertanto con l’osservare che non è sostenibile la dizione «La Regione ha potestà di emanare norme legislative». Noi dobbiamo più genericamente dire: La Regione ha potestà normativa. Con il che riconosciamo al nuovo ente la potestà di emanare sia leggi che regolamenti, con il vantaggio anche di non sollevare la questione se possano veramente meritare il nome di leggi le norme emanate da un ente regionale in un Paese a struttura non federale (e dico questo, perché l’Olanda, ad esempio, che mi sembra attui un decentramento del genere di quello che noi stiamo per adottare, non riconosce alle proprie provincie, corrispondenti alle nostre Regioni, la potestà di emanare leggi).
Mi sembra che ci siamo troppo intestarditi sulla parola «leggi», quasi che si abbia l’incubo di cadere nel regolamento! Ma anche i regolamenti, come è noto, sono in buona parte norme giuridiche, cioè disposizioni generali che creano diritti e doveri dei cittadini; onde appunto i tedeschi distinguono in dottrina le Rechtverordnungen, vale a dire i regolamenti che dal punto di vista dell’efficacia materiale, si pongono sul piano della legge, dalle Verwaltungverordnungen, che hanno carattere puramente amministrativo e che, in luogo di creare diritti e doveri dei cittadini, valgono più che altro come ordini di servizio per la burocrazia statale.
Orbene, mi sembra chiaro che in molte delle materie elencate negli articoli 109, 110 e 111 ora unificati (ammesso che il regolamento si distingua dalia legge in quanto stabilisce norme giuridiche più particolari in armonia con le disposizioni generali della legge stessa), la Regione non può emanare che regolamenti. Ripeto che basta prendere nota del testo dell’articolo, per convincersi che in più di una materia è assurdo pensare che la Regione possa emanare delle leggi.
UBERTI. Non direi assurdo! (Commenti a sinistra).
PRETI. Permetta, onorevole Uberti. Le specifico che siamo di fronte, per certe materie contemplate negli articoli 109, 110 e 111, a una potestà normativa molto limitata: in fondo non si tratta altro che di emanare norme di esecuzione delle leggi dello Stato. Ed allora in queste materie, dove quasi tutto è regolato dalla legislazione dello Stato, io non intendo come si possa parlare di potestà legislativa: si tratta semplicemente di potestà regolamentare.
Se pertanto si vuole ad ogni costo parlare, negli articoli 109, 110 e 111, di sola potestà legislativa, si fa una affermazione magniloquente a cui poi non corrisponderà la prassi (a meno che non ci si proponga un secondo fine, per il caso che gli ultraregionalisti conquistino la maggioranza nel Parlamento di domani). Infatti, secondo il testo del progetto, la Regione dovrebbe disciplinare per legge anche materie che hanno valore assai più particolare di quelle che lo Stato disciplina attraverso i regolamenti. La Regione ci regalerebbe una inflazione di norme legislative (Commenti al centro) ammannendoci soltanto leggi e sempre leggi. E dottrina e giurisprudenza non potrebbero naturalmente fare a meno di smentire la nostra Costituzione
Nella stessa Costituzione di Weimar, dove ci troviamo di fronte ai «Länder», che non sono semplici regioni, ma veri e propri stati, si parla anche di potere regolamentare. Nella nostra Costituzione invece si parla soltanto di potestà legislativa!
Si può anche dubitare – per quanto l’ipotesi sia meno probabile – che si tenda, attraverso questo articolo, a un altro scopo: nel senso cioè che i regionalisti siano, sì, d’accordo nel convenire che il più delle volte nelle materie previste dall’unico articolo del nuovo testo la Regione non emanerà leggi in senso materiale; ma, tenendo essi assai alla garanzia della legge formale, vogliano soprattutto che queste materie siano disciplinate sempre e soltanto dai cosiddetti Consigli regionali (che appunto rappresenterebbero il potere legislativo, in piccolo, della Regione) e mai attraverso quelle Deputazioni che verranno a corrispondere, in certo qual modo, al potere esecutivo.
Se questa dovesse essere l’intenzione dei regionalisti, mi sembra che si porrebbero fuori della realtà. Non si può infatti seriamente dubitare che molte volte le materie contemplate nel nuovo testo, saranno disciplinate direttamente dalla Deputazione, senza bisogno di delegazione legislativa. Onde non sarebbe serio voler precludere agli statuti regionali di domani la possibilità di determinare quando la potestà normativa, di cui all’articolo unificato del nuovo testo, possa essere esercitata direttamente dalla Deputazione.
Per concludere, dirò che io comprenderei che, mantenendosi la distinzione dei tre articoli, attribuenti tre diverse specie di potestà normativa alla Regione, così come aveva proposto l’onorevole Ambrosini, i regionalisti si battessero ora per conservare alla Regione la maestà del potere legislativo per le materie indicate nell’articolo 109. (Interruzione dell’onorevole Uberti). Ma, una volta che i tre articoli sono stati unificati, ed una volta che non si può seriamente sostenere che la materia dell’ex articolo 110, e tanto meno quella dell’ex articolo 111, possa essere disciplinata per legge, si dovrebbe logicamente accogliere la più generale dizione di «potestà normativa». Quando parliamo di potestà normativa, del resto, non disconosciamo la potestà della Regione di emanare leggi, dato che la potestà normativa comprende sia quella legislativa, sia quella regolamentare. Così potremmo, accontentare tutti, senza pregiudicare lo sviluppo della Regione e non faremmo – permettetemi che lo dica – uno sfregio al diritto costituzionale.
PRESIDENTE. L’onorevole. Bozzi ha presentato il seguente emendamento:
«Al primo comma sopprimere la parola: generali».
Ha facoltà di svolgerlo.
BOZZI. Onorevoli colleghi, con le precedenti votazioni noi abbiamo stabilito il principio che la Regione esiste. Si tratta ora di dare volto a questo nuovo ente; io credo che l’argomento che adesso è in discussione, quello cioè della potestà legislativa, potestà normativa, come preferirebbe dire l’onorevole Preti, è l’argomento centrale del tema della Regione. L’unità dello Stato si manifesta soprattutto attraverso l’unità dell’indirizzo politico e del sistema legislativo, che lo traduce in atto. Noi dobbiamo evitare di creare una pluralità di fonti di produzione giuridica, che possano essere in contrasto fra di loro e, quel che sarebbe più grave, in conflitto con la legge dello Stato, espressione della sovranità. Noi dobbiamo evitare ogni incertezza nell’ordinamento giuridico; le società vivono e prosperano quando sia chiara e giusta ha regolamentazione dei rapporti giuridici. Tutti concordemente vogliamo mantenere salda ed integra l’unità nazionale, secondo la solenne affermazione fatta nel primo comma dell’articolo 106, già votato.
Bisogna dare attuazione a questo comune intendimento.
Io debbo obiettivamente riconoscere che il testo proposto dal Comitato, e illustrato or ora dall’onorevole Ruini, rappresenta un notevole progresso rispetto alla formulazione precedente del progetto, che attribuiva alla Regione tre forme di potere legiferante (la così detta competenza esclusiva, la concorrente e la integrativa), forme non ben definite nei lineamenti caratteristici e differenziali, e talvolta anche tra loro contrastanti. Oggi noi abbiamo raggiunto questo risultato: che alla Regione è assegnata una sola fonte di produzione giuridica. Non vi nascondo, tuttavia, che ho non lievi perplessità in ordine alla interpretazione dell’articolo proposto. E siccome in esso ricorrono, come vedremo, termini di tecnica giuridica, io vorrei che, per un dovere di lealtà verso noi stessi e verso gli altri, noi addivenissimo ad una interpretazione comune, concorde, perché non si potesse ripetere quello che è già avvenuto altra volta. Ad esempio, nel corso dei lavori della seconda Sottocommissione – e l’illustre Presidente di questa Assemblea lo ricorda – in occasione dell’articolo 109, oggi abbandonato, che contemplava la competenza esclusiva della Regione, i commissari non furono mai chiaramente d’accordo se questa competenza fosse veramente esclusiva; tant’è che l’onorevole Ambrosini, relatore e padre di quell’articolo, escluse che si trattasse di competenza esclusiva e lo esclude anche in questo momento con chiari cenni.
Io vorrei che fossimo d’accordo sul valore, sul significato tecnico-giuridico, che fossimo d’accordo, in sostanza, sul significato delle parole. Temo cavalli di Troia attraverso i chiaroscuri delle formule giuridiche!
Non credo che si possa negare all’ente Regione una potestà normativa: altrimenti questo ente verrebbe privato di ogni sua autonomia e considerato al di sotto dei Comuni, delle Provincie e di ogni altro ente pubblico, che possono dettar norme giuridiche. Autonomia significa appunto potestà di darsi un proprio ordinamento giuridico, potestà di stabilire regole di condotta. La questione è piuttosto di misura: direi di quantità e di qualità. Tutto dipende dalla natura e dalla efficacia di questa potestà normativa.
Io vorrei dirvi, rapidissimamente, il modo con cui io interpreto il primo comma dell’articolo proposto; dell’elencazione sulle materie ci occuperemo più tardi.
Secondo il mio punto di vista, questo articolo concede alla Regione una potestà che non avrei difficoltà di chiamare anche legislativa: dirla legislativa o normativa non ha importanza, perché anche i regolamenti sono leggi in senso sostanziale e contribuiscono a costituire l’ordinamento giuridico. Bisogna vedere, come dicevo, la natura, il contenuto delle norme regionali; quindi la questione terminologica, sulla quale si è soffermato l’onorevole Preti, mi pare che non abbia decisivo rilievo. Dicevo, dunque, che questo primo comma concede alla Regione una potestà legislativa, o normativa, che è strettamente subordinata alle leggi dello Stato. Subordinata, innanzi tutto, nel senso che la Regione non può legiferare se non esista una legge dello Stato che abbia stabilito direttive o principî generali in quella data materia.
Il testo oggi proposto – come l’onorevole Ruini potrà far fede – diversifica dall’articolo 110 del progetto originario, nel quale si diceva (si era parlato di «legislazione concorrente») che la Regione poteva emanare norme legislative con l’osservanza dei principî e delle direttive che lo Stato ritenesse di stabilire. Quindi, per l’articolo 110, se, per ipotesi, lo Stato non emanava delle sue leggi direttive o generali, la Regione aveva egualmente potestà legislativa. In altri termini, per l’articolo 110, la Regione aveva potestà di creare un diritto obiettivo, anche nel caso – dirò così – di inergia legislativa dello Stato.
Mi pare che questa interpretazione non sia più ammissibile per l’articolo oggi proposto, nel quale si dice che la Regione può emanare norme legislative «nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica».
Credo, in conclusione, che si debba affermare questo principio: che se non esistono leggi della Repubblica, sempre per quelle determinate materie, alla Regione sia preclusa ogni potestà legislativa. Questa, secondo me, è una caratteristica essenziale, perché qualifica la potestà normativa della Regione come una potestà subordinata e condizionata alla esistenza di leggi della Repubblica.
Ma la potestà normativa della Regione non solo è condizionata all’esistenza delle leggi della Repubblica, ma è limitata, anche, per altro verso, nel suo contenuto. Essa, infatti, si deve svolgere nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti dalle leggi statali. Ecco allora che insorge in me, nella mia coscienza di modesto giurista, un dubbio; e mi appello ai giuristi di questa Assemblea perché lo chiariscano, giacché queste interpretazioni autentiche, sia pure contestuali, avranno valore anche per dirimere future incertezze e, quel che è più grave, futuri conflitti. Qual è il significato del termine norme direttive, quale il significato del termine principî generali? Sono i principî generali dell’ordinamento di cui parlano le preleggi? Io penso si debba senz’altro escluderlo.
Evidentemente – ed in ciò sono confortato anche dall’interpretazione letterale – sono i principî generali stabiliti per ciascuna delle materie, che seguono nel secondo comma, cioè i principî stabiliti nelle singole leggi che regolano quelle materie. Ma norme direttive e principî generali sono la stessa cosa o sono due concetti diversi?
Secondo la mia interpretazione – ed anche su ciò chiederei chiarimenti – sono, due categorie giuridiche diverse. Le norme direttive sono, sì, norme giuridiche, ma norme che non sono obbligatorie e vincolanti di per se stesse, non sono cioè norme di cui siano destinatari direttamente i cittadini, non sono regole di condotta erga omnes; ma sono invece mere norme di orientamento che si rivolgono al futuro legislatore, nella specie alla Regione, perché conformi la sua attività legislativa a quei precetti, a quelle direttive.
Una voce a sinistra. E chi le emana queste norme?
BOZZI. La Repubblica, lo dice l’articolo. Ora, vorrei, a questo punto, dichiarare che, secondo me – ed è questo un aspetto importante che probabilmente non farà piacere ai regionalisti ad oltranza – queste direttive potrebbero anche avere un carattere negativo, proibitivo, nel senso cioè che potrebbero dire: su queste date materie, la Regione non potrà emanare norme di sorta.
Fu questo punto accennato in sede di Sottocommissione e fu proprio un giurista di parte democristiana che diede e sostenne codesta interpretazione. Su ciò richiamo pertanto la vostra attenzione.
I principî così detti generali sono norme giuridiche nel senso più stretto, quindi obbligatorie immediatamente; ma leggi, tuttavia, le quali ammettono una possibilità di sviluppo legislativo; sono norme che, più o meno largamente, lasciano, dirò così, delle zone in bianco, dei margini in bianco che debbono essere integrati.
Ora, se veramente le norme direttive sono una categoria giuridica di contenuto diverso dai principî generali, è chiaro che lo Stato, per quelle materie, potrà emanare o norme direttive o principî generali.
Questo è molto importante; e rappresenta una maggiore tutela della sovranità e della potestà legislativa dello Stato. Lo Stato può emanare adunque – secondo una sua valutazione discrezionale di politica legislativa – delle semplici norme direttive, degli orientamenti ovvero leggi vere e proprie, lasciando margini più o meno vasti alla potestà di attuazione o di integrazione della Regione. La latitudine di queste zone in bianco è rimessa allo Stato. In altri termini, questo articolo compie una divisione del lavoro legislativo: per talune materie lo Stato, nella sua sovranità legislativa espressa dal Parlamento, emana leggi che sono o direttive o leggi di principio; la Regione emana norme di attuazione, di concretizzazione di quelle direttive, ovvero norme di svolgimento e di sviluppo di quei principî.
Qui insorge un altro dubbio: questa potestà normativa della Regione (per amore di tesi i regionalisti ad oltranza possono anche chiamarla esclusiva) è garantita dalla Costituzione? Senza dubbio, sì. Ma come si potrà far valere questa garanzia? Dinanzi a quale giudice? Dinanzi alla Corte costituzionale? (Vedo che l’onorevole Nitti fa cenni di dissenso per poca fiducia in quest’organo). Dinanzi al giudice ordinario?
Io veramente credo che questa possibilità di garanzia esista, ma penso che non potrà darla un organo giurisdizionale. Quale sarà il giudice di legittimità il quale potrà dire che lo Stato ha emanato leggi che non sono semplicemente direttive o che sono andate al di là dei principî generali? Una indagine di tal natura implica necessariamente una valutazione di merito, non è più indagine di legittimità; e tanto più è inammissibile in quanto è una valutazione di merito squisitamente politico.
E allora si dirà: non c’è garanzia? No, la garanzia esiste. Essa, più che dal testo della Costituzione, sarà data dalla coscienza regionale, se veramente si formerà; verrà dalla prova che le Regioni daranno, dal loro grado di utilità. Se la prova sarà favorevole, lo Stato stesso limiterà l’estensione del suo potere legislativo, affidando alla Regione un più ampio potere di intervento normativo. Deriverà questa garanzia dal Senato (se sarà mantenuto, come auspico), che sarà in gran parte costituito dei rappresentanti della Regione, e di questa, in sede politica, tutelerà gli interessi.
In sostanza, l’interpretazione che io do all’articolo proposto è questa: la Regione può dettar norme di diritto per certe materie, ma sempre che esistano per esse leggi dello Stato e nei limiti lasciati in bianco dallo Stato medesimo. Il sindacato sull’osservanza di questi limiti, da parte dello Stato, può essere esercitato dalla Regione in sede politica, soprattutto preventivamente a mezzo del Senato.
Io faccio invito formale all’onorevole relatore e al Comitato di redazione perché diano un’interpretazione autentica, contestuale, a questo testo. Io desidererei sapere se la mia interpretazione è esatta o no.
Inquadrato così l’articolo proposto, si spiega la ragione del mio emendamento. Io voglio togliere la parola «generali»; è già assai difficile definire cosa siano i principî; se dovremo definire anche cosa siano i principî generali, aumentiamo le difficoltà e creiamo incertezze e possibilità di confitti funesti. Non solo: ma diamo la sensazione di volere troppo restringere la potestà legislativa unitaria dello Stato che, secondo me, deve essere tenuta in primo piano.
Prima di finire, vorrei chiedere un chiarimento ancora: abbiamo qui sott’occhio un elenco di materie. Saranno mantenute, ridotte o ampliate; lo vedremo. Io faccio fin da adesso ampie riserve. Ma sono materie sulle quali esiste tutta una legislazione, che non è solo di principio, ma anche minuta. Io mi domando, e domando a voi: il giorno in cui entrerà in vigore la Costituzione che ne avverrà di questa legislazione? Varranno soltanto i principî generali, sicché la Regione avrà facoltà di legiferare nei limiti dell’attuazione e dell’integrazione, oppure questa legislazione continuerà ad aver vigore finché lo Stato non la abroghi? Io penso che dovrebbe esser fermo il principio che la Regione non possa mai abrogare la legge dello Stato.
Concludo questo mio intervento, che è stato di carattere un po’ ampio; è nell’interesse di tutti di non trincerarsi dietro formule di incerta interpretazione ed io penso che nessuno voglia inserire di straforo, le proprie particolari teorie. Se v’è un accordo sul testo, che sia chiaro e preciso! (Applausi).
PRESIDENTE. Onorevole Bozzi ella ha presentato anche un secondo emendamento, così concepito:
«Le leggi della Repubblica stabiliscono il termine entro il quale la Regione deve esercitare la potestà legislativa prevista dal primo comma».
Sarà bene che svolga anche questo emendamento.
BOZZI. Abbiamo visto che lo Stato ha una potestà legislativa che dovrebbe essere limitata alle norme direttive e ai principî generali. Si domanda: se la Regione non svolge quella sua potestà normativa, di sviluppo, di attuazione su quelle determinate materie, cioè se la Regione è inerte legislativamente, cosa si deve fare?
Col mio emendamento si stabilisce un termine entro il quale la Regione deve svolgere la sua funzione legislativa, col sottinteso che, ove non adempia tale funzione entro il termine stabilito, le norme ulteriori saranno poste in essere dallo Stato. (Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Zotta ha presentato il seguente emendamento:
«Al primo comma, dopo le parole: nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica, aggiungere l’inciso: e in armonia con gli interessi delle altre Regioni».
L’onorevole Zotta ha facoltà di svolgerlo.
ZOTTA. Onorevoli colleghi, ho presentato questo emendamento alla prima parte del testo della Commissione, dove si dice che la potestà legislativa deve essere esercitata «nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica». Aggiungerei un’altra condizione, che questa potestà legislativa sia esercitata anche «in armonia con gli interessi delle altre Regioni».
L’emendamento proposto dal Comitato di redazione, unificando gli articoli 109, 110 e 111 del Progetto che trattano di tutta la materia legislativa della Regione, ha, a mio avviso, un indiscutibile pregio, quello di aver semplificato nella forma e nella sostanza il tema della capacità normativa; tema il quale, in verità, appariva piuttosto tormentato nel Progetto, diffuso com’era in una triplice distinzione che era ardua a comprendersi, nella teoria prima che nella pratica. Ora, nel nuovo testo abbiamo un’unica categoria, un unico grado il quale si inserisce nell’ordinamento giuridico del paese ed occupa nel campo dell’attività legislativa l’ultimo posto. Partendo da quella che il Kelsen, chiama Grundnorm, a cui si richiamava testé anche il Presidente onorevole Ruini, quando diceva della esistenza di norme o di principî che sono al di sopra della norma costituzionale, noi dunque abbiamo questa tripartizione: oltre la norma fondamentale o Grundnorm, abbiamo la norma costituzionale o, – per essere più precisi, in questa tecnica formale – la legislazione costituzionale, e la legislazione nazionale. Il merito, dunque, del testo sta nell’avere stabilito una subordinazione chiara, precisa, in quanto la legge regionale è subordinata alla nazionale e questa alla legge costituzionale. In codesta subordinazione che si presenta in guisa di gerarchia sta appunto l’unità dell’ordinamento giuridico; sta, cioè, l’unità della Nazione, la quale proprio nell’unità dell’ordinamento giuridico trova la garanzia della sua saldezza.
Ora, se è vero che noi abbiamo rispettato – direi quasi solo teoricamente – l’unità dell’ordinamento giuridico, mi sembra che codesta unità non sia operante se non ci preoccupiamo dell’unità di interessi, dell’armonia cioè degli interessi del tutto e delle singole parti; armonia degli interessi della Nazione considerata nel suo insieme e armonia delle singole Regioni rispetto alla Nazione e nei rapporti fra loro. Non basta, in altri termini, assicurare la subordinazione della legge regionale alla legge nazionale, perché così facendo, noi garantiamo la conformità della disciplina giuridica degli interessi della Regione con quelli della Nazione, ma non ancora l’armonia degli interessi delle varie Regioni fra loro. Ecco perché a me sembra che, proprio mentre si delimita la capacità normativa della Regione, occorra stabilire con precisione che cotesto potere legislativo deve essere circoscritto nei limiti delle leggi nazionali e in armonia con gli interessi delle altre Regioni, appunto perché risalti chiara quella unità di indirizzo legislativo, e quella unità di interessi, senza la quale non vi può essere unità nazionale. Perché allora, sì, noi siamo tranquilli che la Regione agisce davvero come centro fecondo di vita, come elemento di attività, di energia, di iniziativa, di propulsione e anche di emulazione; e non come elemento di antagonismo, di concorrenza, di lotta, di scissione o di divisione.
Ed io penso che, essendosi presentati dei dubbi, essendosi manifestate delle preoccupazioni in quest’Aula testé da voce autorevolissima, con accento sinceramente, profondamente accorato, in quanto si teme che questo fenomeno regionalistico potesse avere delle ripercussioni dannose sulla compattezza nazionale, questo sia il punto, in cui si può con una affermazione costituzionale togliere credito ad ogni dubbio e dare la tranquillità e la serenità: quando, cioè, si afferma che, sì, questa vita della Regione, questa volontà di azione, in cui sostanzialmente poi è la legge, questa individualità, questa personalità, ha il suo raggio d’azione, ma non va al di là di ciò che la legge nazionale stabilisce, di ciò che esigono gli interessi unitari della Nazione.
Ed allora noi potremo, davvero, dire con tranquillità che la nostra aspirazione di regionalisti non è già quella di dividere, come ci si accusa, ma è quella di potenziare il Paese al massimo grado ed in ogni suo lembo, suscitando, appunto, nella penisola tanti focolai di vita, che ardano all’unisono col fuoco sacro dell’amor della Patria, una e indivisibile.
È questa, dunque, la ragione del mio emendamento, del quale chiedo l’approvazione. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:
«Fondere i capoversi secondo, terzo e quarto dell’articolo unificato risultante dagli articoli 109, 110 e 111 del Progetto, l’articolo 119 e l’articolo 124, nel seguente articolo, che dovrebbe precedere, nella collocazione finale, l’articolo 109:
«Lo Statuto di ogni Regione è stabilito, in armonia con la Costituzione e le norme legislative della Repubblica, mediante legge deliberata dal Consiglio regionale alla presenza della maggioranza dei consiglieri e con il voto favorevole dei due terzi dei presenti.
«Esso conterrà le norme per l’organizzazione interna della Regione, per la modificazione delle circoscrizioni provinciali e comunali, per l’ordinamento della polizia locale urbana e rurale, per l’esercizio dei diritti di iniziativa popolare e di referendum legislativo, per l’impiego del referendum su provvedimenti amministrativi, e per quanto altro occorra all’adempimento dei compiti affidati alla Regione».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Siccome l’emendamento proposto dall’onorevole Mortati si riferisce ad un articolo successivo, sarebbe opportuno, intanto, discutere gli emendamenti agli articoli 109, 110 e 111.
PRESIDENTE. Comunque, l’onorevole Mortati ha presentato anche i seguenti emendamenti:
«Nel nuovo testo degli articoli 109, 110 e 111, sopprimere al penultimo comma, le parole: altre materie indicate da leggi speciali».
«Sostituire l’ultimo comma col seguente: mandate alla Regione le emanazioni delle norme regolamentari».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Era stabilito, in massima, che si sarebbe trattata la prima parte coi relativi emendamenti. Siccome alla prima parte non si riferiscono gli emendamenti ora citati, penso che si potrebbero discutere in seguito.
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTATI. Ricordo che esiste un mio emendamento tendente a non fare prendere in considerazione la proposta del Comitato;
Non so se devo svolgere ora o in un secondo momento.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho visto questo emendamento.
PRESIDENTE. Onorevole Ruini, non conosce l’emendamento perché l’onorevole Mortati l’ha presentato con una certa riserva, che in questo momento sta sciogliendo.
L’onorevole Mortati può immediatamente svolgere la sua proposta. Vorrei fare presente all’onorevole Mortati che prima di dare la parola ai presentatori di emendamenti io ho posto la questione e poiché nessuno ha chiesto di parlare, ho ritenuto che fosse risolta. L’onorevole Mortati ha proposto ora di tornare al testo originario della Commissione. In tal modo egli riapre una questione che ritenevamo fosse superata quando ho posto in discussione il nuovo testo del Comitato di redazione.
Ad ogni modo, onorevole Mortati, ella ha facoltà di svolgere l’emendamento.
MORTATI. L’emendamento di cui parlo ha un valore condizionato. Noi (parlo al plurale perché parlo a nome anche dei colleghi del mio Gruppo) avevamo dato la nostra adesione al testo concordato di cui l’onorevole Ruini ha dato notizia, perché pensavamo che esso fosse accettato da tutti i Partiti e quindi costituisse una base per una rapida decisione.
Ma sembra che questo accordo non ci sia, in quanto sono state formulate da più parti delle riserve per quanto riguarda l’accettazione di alcuni punti del nuovo testo. In presenza di questa situazione, appare fondata la mia proposta di ritornare al testo originario approvato dalla Commissione dei Settantacinque.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non ho nessun elemento per dire che l’accettazione è mancata. Poco fa, in un rapido scambio di idee con l’onorevole Piccioni e l’onorevole Grieco, s’era ancora nell’idea dell’accordo sopra questa formula.
Poiché nelle discussioni, come si sa, possono sempre sorgere delle divergenze, io mi ero augurato che ciò non avvenisse; ma al momento, non ho elementi per ritenere che l’accordo sia mancato.
MORTATI. Comunque, una vera accettazione della proposta della Commissione non c’è stata.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione ha deliberato a maggioranza – e anche lei era presente – di proporre questo nuovo testo. Io ho sentito i rappresentanti dei Partiti che mi hanno dato il loro assenso, quindi ho ragione di ritenere che finora e, se non sorgono difficoltà, anche in seguito, questo assenso sarà mantenuto.
MORTATI. Allora è il caso di rinviare lo svolgimento dell’emendamento a quando il dissenso, al quale ho accennato, dovesse meglio concretarsi.
PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora all’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti così formulato:
«Sostituire gli articoli 109, 110, 111 e 112 con i seguenti:
Art. …
«Salvo il rispetto dell’ordinamento giuridico dello Stato, compete alla Regione potestà di integrazione e potestà normativa per l’attuazione delle leggi dello Stato secondo le speciali esigenze locali, nelle materie seguenti:
ordinamento degli uffici regionali;
modificazione delle circoscrizioni comunali;
stato giuridico ed economico degli impiegati e dei salariati della Regione;
strade, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici di carattere regionale;
agricoltura;
acque minerali e termali, miniere, cave e torbiere;
agricoltura e foreste;
industria e commercio;
tranvie e linee automobilistiche regionali;
navigazione interna;
caccia e pesca;
assistenza e beneficenza pubblica;
servizi a tutela del lavoro;
istruzione professionale e artigiana;
antichità e belle arti;
biblioteche, musei regionali, istituti di cultura e di educazione popolare;
concessioni amministrative e licenze di esercizio;
urbanistica e tutela del paesaggio;
turismo;
polizia locale;
ogni altra materia indicata dalla legge».
Art. …
«La Regione provvede all’amministrazione nelle materie di cui all’articolo precedente».
L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.
LAMI STARNUTI. Le nuove proposte fatte dal Comitato di coordinamento mi lasciano dubbioso quanto, e forse più, del testo primitivo del Progetto.
Per questo io mantengo l’emendamento con il quale proponevo che la potestà concessa alle Regioni si limitasse ad una potestà di integrazione e di attuazione delle leggi dello Stato secondo le esigenze e i bisogni locali.
Questo richiamo-limite alle esigenze e ai bisogni locali costituisce, nel mio intento, la giustificazione per cui al nuovo ente veniva concessa la potestà di emanare norme giuridiche. Il Comitato di coordinamento fra i tre tipi di legislazione preparati originariamente dalla seconda Sottocommissione della Costituzione, ha mantenuto quello che era contenuto nell’articolo 110. La nuova formula dell’onorevole Ruini non diversifica a mio giudizio – o almeno non diversifica di molto – dalla formula preparata dall’onorevole Ambrosini. Mi pare che la formula nuova conservi del vecchio testo tutti gli inconvenienti e sotto un certo aspetto ne aggiunga dei nuovi. Dicendo che la potestà legislativa delle Regioni deve essere adempiuta secondo le direttive ed i principî generali delle leggi della Repubblica, si crea la conseguenza che tutta la tecnica legislativa dello Stato deve mutare. D’ora in poi le leggi dovrebbero contenere soltanto direttive o principî generali. Il collega onorevole Bozzi, diceva testé, che le norme direttive sono norme date alle Regioni e che i principî generali sono norme giuridiche vere e proprie con larghi spazi in bianco, i quali dovrebbero essere riempiti da questa nuova legislazione a carattere regionale.
Che cosa conseguirebbe dall’approvazione del nuovo testo, così stando le cose? Che lo Stato dovrebbe rifare tutta la sua legislazione su tutte le materie indicate nell’articolo…
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’abbiamo detto nell’articolo 106 che lei ha votato.
LAMI STARNUTI. Ma l’articolo 106 non si spinge a tanto. La necessità di rifare tanta parte della nostra legislazione importerebbe non solo un grande lavoro, ma importerebbe la paralisi, per lo meno iniziale, della Regione. Sostituire alle leggi vigenti nuove leggi che si uniformino ai nuovi criteri stabiliti dal nuovo testo della Commissione, è una impresa che richiederà studi e fatiche di molti anni.
Poi sorge un altro dubbio: lo Stato, per le materie indicate, dovrebbe limitarsi a dettare soltanto le direttive ed i principî generali.
Chi stabilisce il limite dei principî generali? E se lo Stato supera questi limiti? L’onorevole Ruini ha detto testé che i limiti sono posti alla Regione…
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no.
LAMI STARNUTI. Mi era parso che nella sua relazione orale l’onorevole Ruini avesse dichiarato oggi che i limiti sono posti alla Regione e non allo Stato. Tanto meglio, se siamo d’accordo su questo punto. Ma se i limiti contenuti nel nuovo testo sono, come necessariamente deve essere, dei limiti posti alla attività legislativa dello Stato, il conflitto fra Regione e Stato, sorgerà tutte le volte che la Regione ritenga che lo Stato, nella sua legislazione, abbia oltrepassato quei limiti; non si sia limitato ad indicare le direttive; non si sia limitato ad indicare i principî generali, ma abbia invaso il campo legislativo assegnato dalla Costituzione alla Regione.
Possiamo fare un’altra ipotesi e sollevare un altro dubbio. Vi può essere una materia od un gruppo di materie per la quale o per il quale manchi la legislazione dello Stato.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non c’è, guardi l’elenco! Mi dica una delle materie per cui non c’è la legge!
LAMI STARNUTI. L’onorevole Ruini non può non tener presente che una legge riguardante una o tutte quelle materie indicate nel testo, riguardi poi una parte soltanto delle materie medesime. Sono materie così ampie, che difficilmente la legislazione italiana può comprendere tutte le ipotesi e le possibilità. Ed allora, quando per un determinato aspetto della materia mancassero le direttive o mancassero i principî generali dello Stato, che cosa farebbe la Regione? Dovrebbe rimanere inerte, come suggeriva il collega onorevole Bozzi, o avrebbe la potestà di fare essa norme legislative contenenti anche principî generali?
Credo che questi dubbi siano sufficienti a spiegare il mio voto contrario alla nuova formula, indicata dal Comitato di coordinamento ed a farmi mantenere l’emendamento che io avevo proposto al vecchio testo del progetto di Costituzione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione pei la Costituzione. Mi riservo di rispondere in seguito. Voglio ricordare soltanto all’onorevole Lami Starnuti una cosa. Leggo un testo: «La Regione ha facoltà di emanare norme legislative di integrazione ed attuazione delle disposizioni di legge della Repubblica, per adattarle con le norme generali e con le direttive stabilite con le leggi della Repubblica». Questa dizione fa sorgere, sebbene in forma ed in misura diversa, tutti i problemi che egli ha sollevato finora. Questa dizione era stata – a firma dell’onorevole Lami Starnuti – proposta in sede di Commissione e respinta per due voti. Anche in essa si parla di direttive e di norme generali. Per chi stabilisce le direttive ed i principî entro i quali un altro può dettar norme v’è un limite imposto a sé ed un limite imposto all’altro.
LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LAMI STARNUTI. All’osservazione dell’onorevole Ruini desidero rispondere che nella formula proposta da me e da altri colleghi alla Commissione plenaria si parlava non genericamente di potestà legislativa o normativa, ma di potestà di integrazione nei limiti delle esigenze locali. Queste specificazioni davano alla nostra formula una portata assai diversa di quella della formula proposta ora dall’onorevole Ruini.
PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha proposto il seguente emendamento:
«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:
«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato e rispettino gli obblighi internazionali, gli interessi della Nazione e delle altre Regioni, nonché i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato, in materia di:
1°) ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;
2°) modificazioni delle circoscrizioni comunali;
3°) polizia locale urbana e rurale;
4°) fiere e mercati;
5°) beneficenza pubblica;
6°) scuola artigiana e istruzione tecnico-professionale;
7°) urbanistica;
8°) strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;
9°) porti lacuali;
10°) caccia e pesca nelle acque interne di carattere regionale;
11°) cave, torbiere, acque minerali e termali;
12°) tranvie e linee automobilistiche regionali;
13°) acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida nell’interesse nazionale e su quello di altre Regioni».
Ha facoltà di svolgerlo.
PERSICO. Onorevoli colleghi! Non bisogna nasconderci che questo argomento è forse il più importante di quanti dobbiamo discutere riguardo alla Regione, perché, ammesso il principio dell’esistenza dell’ente Regione, si tratta di dare a questo ente i suoi contorni precisi. E poiché l’Assemblea Costituente ha approvato che debba restare anche l’ente Provincia, diventa di grande importanza fissare i limiti dell’attività regionale, perché, fissati questi limiti, sarà poi possibile stabilire in che modo possa sopravvivere, e fino a quando, la Provincia.
Ed allora, il progetto presentato dalla Commissione di coordinamento e che oggi ha illustrato il Presidente Ruini, rappresenta già un gran passo avanti, perché riunisce i tre articoli, 109, 110, 111 (che stridevano fra di loro, in quanto creavano tre forme di attività legislativa, una primaria, una secondaria, una regolamentare) in una sola norma che fissa alla Regione quali sono le norme giuridiche che potrà emanare attraverso i suoi statuti regionali, o le sue leggi regionali. Qui io devo dire che preferirei la dizione «statuti regionali» per distinguerli dalle leggi dello Stato: se poi si vuole adoperare la dizione «leggi», si faccia pure; la cosa non ha importanza. Comunque, la formula proposta oggi dalla Commissione di coordinamento, come ho già detto, rappresenta un passo avanti. Né io mi preoccupo della obiezione che faceva il collega Lami Starnuti di fissare soltanto norme regolamentari e di integrazione, perché, se diamo alla Regione soltanto questa potestà, evidentemente riduciamo la Regione a niente, perché norme regolamentari e integrative le fanno anche i Comuni, le fanno anche le Opere pie. Qualunque ente ha una facoltà regolamentare sua propria; quindi, sarebbe assurdo che la Regione non l’avesse. La Regione diventa il nuovo ente dello Stato democratico. Io la concepivo come ente unico fra il Comune e lo Stato; oggi, con molta fatica, riesco a concepire che rimanga ancora la Provincia. Ritengo che essa sarà un ponte di passaggio che dovrà vivere finché la Regione non avrà esteso e fissato le sue funzioni e finché non sia entrata nella coscienza giuridica nazionale, in modo che la Provincia possa cadere come una foglia morta.
Ed allora, bisogna essere molto precisi: potestà di emanare norme legislative, non norme integrative, né potestà semplicemente normativa come voleva l’onorevole Preti, ma potestà legislativa. Che questo sia ben chiaro. Chiamiamoli statuti, se vogliamo, ma statuti legislativi. Ed allora, quale è la preoccupazione che dobbiamo avere? È quella di fissare i limiti entro i quali si dovrà svolgere l’attività legislativa della Regione. Mi dice ora l’onorevole Nitti che tutto questo è un lavoro inutile. Può darsi che sia inutile; comunque facciamolo con tutta coscienza.
Ed allora credo – forse è una mia illusione, come tutti i padri si illudono che i loro figli siano belli – credo che il primo comma da me premesso alla elencazione delle materie, che avevo già presentato, prevedendo quello che poi ha fatto la Commissione di coordinamento, possa restare anche con la formula proposta dalla Commissione stessa.
Sarebbe una fissazione precisi dei binari entro i quali la legislazione regionale. potrà percorrere la sua via. In fondo, la mia proposta risponde ai dubbi che ha mossi l’onorevole Bozzi. Cioè, che cosa potrà fare la Regione? Che cosa dovrà fare la Regione?
Prima di tutto, si rassicuri l’onorevole Lami Starnuti, non si deve abolire tutta la legislazione esistente. Abbiamo dei punti fissi nella nostra legislazione statale, che non si possono più neanche mettere in discussione. Ad esempio, la legislazione sulle acque pubbliche rappresenta quanto di meglio si poteva fare e l’onorevole Ruini vi ha, a suo tempo, largamente collaborato insieme al Ministro onorevole Sacchi: è un punto veramente perfetto della nostra legislazione, che tutti gli altri Stati ammirano. Così la legge sulle opere pubbliche del 1865 è ancora una legge assai buona, che può rendere ottimi servigi.
Quindi, i binari sono quelli fissati dalle leggi dello Stato. Cosa fa la Regione? Sviluppa le leggi dello Stato in statuti o leggi regionali, secondo i bisogni e le condizioni ambientali.
Allora, io avrei precisato parecchi punti. Primo:
«La Regione ha potestà di emanare norme legislative che siano in armonia con la Costituzione». Questo per evitare i conflitti davanti alla Corte costituzionale o alle Sezioni unite della Cassazione, a norma della legge sui conflitti del 1877. Potrete osservare che è superfluo il dirlo, ma certo non nuoce.
Secondo, che «siano in armonia con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato», cioè con quelle preleggi di cui faceva cenno l’onorevole Bozzi; perché sarebbe strano che la Regione facesse leggi che uscissero dai confini e dai principî generali dell’ordinamento dello Stato.
Terzo, «rispettino gli obblighi internazionali»: questo per alcune Regioni, in materia di acque pubbliche, di navigazione, ecc.
Quarto, «rispettino gli interessi della Nazione e delle altre Regioni», sopra tutto per non creare conflitti tra Regione e Regione.
Il punto poi più importante sarebbe il quinto: «nonché rispettino i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato». Ecco il punto innovativo di questa mia introduzione negli articoli 109 e 110, di questa prima parte che, come diceva l’onorevole Fabbri, è la più importante, anzi la fondamentale.
Cioè, sarebbe assurdo che la Regione, attribuendosi potestà legislativa in una certa materia – per esempio per quello che riguarda trasporti di cose mediante veicoli o autoveicoli – si mettesse in dissenso con le norme generali che regolano la circolazione dei veicoli in tutto il territorio dello Stato. Quindi, i principî generali rimangono identici in tutto lo Stato; potrà la Regione dettare norme specifiche, purché queste non siano in contrasto coi principî generali che sulle stesse materie siano stati già fissati da leggi dello Stato, o con quei principî generali che derivano da una legge dello Stato che regola tutta la materia.
Ed allora mi sembra – non so se la Commissione potrà accettare la mia formula – che essa potrebbe essere utilmente sostituita a quella del nuovo articolo 109, 110, 111, in modo che, premessa questa base fondamentale, si possa poi scendere alla specificazione delle materie speciali di cui si debba occupare la legislazione regionale.
Ecco i motivi per cui credo che questo mio emendamento, limitato solo alla sua prima parte, possa essere votato dall’Assemblea Costituente.
PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha proposto il seguente emendamento:
Articoli 109 e 110.
«Sostituirli col seguente:
«La Regione avrà potestà di emanare norme legislative per le materie di interesse strettamente regionale che saranno stabilite da una legge. La legge stessa fisserà i limiti e le condizioni entro cui la suddetta facoltà legislativa potrà essere esercitata».
L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgere l’emendamento.
NOBILE. Non ho bisogno di parlare a lungo su questo argomento. Appartengo a quella schiera di persone, le quali sono convinte che l’ordinamento regionale sia un grave errore.
Ora, la mia preoccupazione è che questo errore non sia aggravato dalla precipitazione con la quale potremmo decidere su questo articolo unificato del Comitato, in cui c’è elencazione delle materie per le quali si riserva una facoltà legislativa alla Regione. Ho altre volte detto che la possibilità di concedere all’ente Regione la facoltà di legiferare su ciascuna di queste materie, è cosa che richiederebbe da parte nostra la più grande attenzione ed un esame approfondito della materia, soprattutto di carattere tecnico, esame che non abbiamo né il tempo né, tanto meno, la calma di poter fare.
Comprendo molto bene come vi siano materie per le quali si possa, senza eccessiva preoccupazione, lasciare alla Regione la facoltà di emanare norme, così come oggi se ne dà la facoltà ai Comuni e alle Provincie. Lo comprendo quando si tratti di dare, scendendo ora ad una specifica esemplificazione, la facoltà alla Regione di emanare norme a proposito della istituzione di enti amministrativi della Regione stessa, o a proposito della modificazione delle circoscrizioni comunali e provinciali o anche – sebbene con qualche riserva – quando si tratti di norme che riguardino la polizia urbana e rurale e, entro certi limiti, anche le fiere e i mercati, la beneficenza pubblica, l’assistenza ospedaliera: però, quando si elencano materie, come, per esempio, l’istruzione artigiana e tecnico-professionale, allora io incomincio ad avere dei dubbi circa l’opportunità di concedere o meno questa facoltà alla Regione. Una cosa cui non si riflette abbastanza è questa: che quando si dice nel testo del Comitato, che «la Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica», non v’è dubbio che con ciò implicitamente si viene a postulare che lo Stato non può far altro se non emanare delle leggi generali.
Ora, onorevoli colleghi, questa cosa è di una gravità particolare. Potrebbe, infatti, accadere che una Regione non facesse nulla, ad esempio, in materia di istruzione artigiana e di istruzione tecnica professionale, ritenendo erroneamente che non costituissero materie di proprio interesse.
La stessa cosa si potrebbe dire per il turismo: ma per il turismo c’è uno schema legislativo che crea un Commissariato, perché si riconosce al turismo un’importanza così preminente, che si sente il bisogno di creare appunto questo Commissariato. Ora, come potete voi mettere in accordo questo decreto legislativo che è in esame con il fatto che il turismo qui è riservato alla Regione?
La stessa cosa riguarda, ad esempio, le tranvie. Ora, mi meraviglio che il Presidente della Commissione, il quale pure ha tanta esperienza in proposito, possa ammettere, per esempio, che in questa materia ci possa essere una diversa legislazione per le 22 Regioni italiane: è una cosa semplicemente assurda.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma questa è questione di elenco; ne riparleremo.
NOBILE. Io non faccio che accennare per sommi capi alla difficoltà di fare oggi un’elencazione. Facendola oggi, si commettono errori gravi ed il constatare che, per esempio, la Commissione ha commesso errori di omissione, non basta per farci rimanere per lo meno perplessi?
Poi c’è la viabilità: ora, può esistere una viabilità di interesse comunale, senza dubbio; ma che esista una viabilità di interesse regionale io lo nego; perché – come ho detto altra volta – se da Napoli si può andare più rapidamente a Benevento e a Campobasso, la cosa non interessa solo la Regione campana, ma anche la Lombardia e il Piemonte.
Inoltre non si è riflettuto abbastanza a questo: che la Regione potrebbe anche non fare nulla e questa semplice omissione sarebbe un grave danno.
La stessa osservazione si può fare per la navigazione lacuale ed i porti.
Ritengo poi un assurdo elencare l’energia elettrica e le acque pubbliche e mi riferisco anche a quanto ha fatto rilevare l’onorevole Einaudi.
Anche le cave e torbiere sono di interesse regionale, ma se la Regione non fa nulla, non è questo un danno nazionale?
Tutto ciò dimostra che questa elencazione richiederebbe un esame approfondito, e non abbiamo tempo di farlo.
Ammettiamo pure che sia data facoltà legislativa alla Regione, ma rimandiamo al futuro Parlamento di decidere entro quali limiti e in che condizioni questa attività legislativa deve essere esercitata.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Malagugini, Vernocchi e Cacciatore, hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituire all’articolo proposto dal Comitato di coordinamento, in luogo degli articoli 109, 110, 111, il seguente:
«La Regione ha potestà di emanare norme legislative in armonia coi principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica su materie particolari indicate dalle leggi stesse».
L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere l’emendamento.
TARGETTI. Onorevoli colleghi, contrariamente all’apparenza, io non parlo come un isolato ma parlo a nome del mio Gruppo. Dico contrariamente all’apparenza, perché non mi vedete circondato da una folla di colleghi. (Si ride).
Ho presentato l’emendamento con altri colleghi a nome del Gruppo cui appartengo.
La differenza effettiva fra il nostro emendamento, fra la nostra proposta e la proposta del Comitato di coordinamento, in realtà è questa: noi intendiamo attribuire chiaramente ed esplicitamente all’ente Regione potestà legislativa. Abbiamo rinunciato anche a proporci la questione tanto cara a qualche collega della differenza fra facoltà normative e legislative. Attribuiamo senz’altro alla Regione facoltà legislative, in armonia coi principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica. E questo è lo stesso concetto limitativo che figura anche nella nuova proposta della Commissione. Anzi, vi è forse nella nostra formula una limitazione minore perché, mentre nella proposta del Comitato di coordinamento si dice: «Potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica», noi limitiamo il riferimento ai principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica.
La ragione dell’emendamento quale è? Che noi intendiamo limitare, o meglio stabilire, che la facoltà legislativa, attribuita alla Regione, sia determinata dalla legge. Invece d’una limitazione potrebbe trattarsi in definitiva di un’estensione. Infatti, nel nostro emendamento si dice: «Materie particolari indicate dalle leggi stesse». (Interruzioni).
Dicevo che questa non è una limitazione…
UBERTI. È una limitazione, è evidente. Basta leggere l’ultimo capoverso.
TARGETTI. Non mi lamento, onorevole Uberti, delle sue interruzioni. Siccome lei interrompe tutti, se non interrompesse anche me, potrebbe sembrare una mancanza di considerazione. (Si ride).
Dico che non è una limitazione. La proposta del Comitato di coordinamento stabilisce in modo specifico le materie nelle quali, questa potestà legislativa si può esercitare: ebbene, noi diciamo che la Regione potrà esplicare queste sue facoltà in tutte le materie indicate dalle leggi. Chi farà le leggi? Sarà l’Assemblea. Ora io non voglio uscire dall’argomento della discussione, ma se gli egregi colleghi della Democrazia cristiana sono convinti di aver assicurato maggiori fortune al loro Partito col loro nuovo orientamento, devono ritenere che quando l’Assemblea legislativa di domani si troverà ad indicare le materie sulle quali potrà esercitarsi la potestà legislativa della Regione, quei limiti potranno essere allargati come a loro sembrerà più opportuno di fissare, se, come noi certo non ci auguriamo, sarà accresciuta la loro influenza politica.
Se da parte degli autonomisti più decisi vi è stata la tendenza a dare al nostro emendamento un significato contrario a quello che realmente merita, ciò dipende, in parte, da un giudizio errato sull’atteggiamento del nostro Partito in materia di Regione. Dico del nostro Partito, senza dare eccessiva importanza a quelle divergenze che in seno al Partito stesso si possono come in tutti i partiti riscontrare. L’onorevole Tonello, per esempio, non è un innamorato della Regione. Ma questo non significa che l’atteggiamento del Partito nostro corrisponda alle sue opinioni. A questo proposito io ricordo all’Assemblea, ed anche ad alcuni colleghi del mio Gruppo, che il nostro Partito è stato sempre decisamente favorevole al più deciso decentramento. (Interruzioni). Vedo che mi si interrompe da più parti. Mi scuso, quindi, se non posso raccogliere e sentire tutte le interruzioni. (Si ride).
È noto a tutti che il nostro Partito, ha fatto sempre caposaldo della sua politica amministrativa il massimo decentramento amministrativo. Ma, come si può ottenere il massimo decentramento amministrativo, essendo contrari all’istituzione della Regione? L’istituzione della Regione è una delle conseguenze, ed al tempo stesso è una delle premesse, uno dei mezzi per raggiungere un più ampio ed effettivo decentramento. E quando io dico che questo è stato l’orientamento del mio Partito, non mi riferisco a tempi lontani, ma anche a tempi recentissimi. Prima delle elezioni politiche del 2 giugno vi fu la grande lotta amministrativa del marzo-aprile 1946. Ebbene, il programma amministrativo del nostro Partito aveva, se non come base fondamentale, certo come uno dei suoi postulati, l’istituzione dell’ente Regione. Non dirò che ciò faccia parte della storia, ma è un fatto incontestabile e di facile accertamento. Basta consultare la stampa del tempo. Né abbiamo alcuna ragione di cambiare, di correggere il nostro pensiero. Voi dovete tener presenti le dichiarazioni che a nome del nostro Gruppo furono fatte in una recente seduta nei riguardi dell’ordine del giorno Rubilli. Per quale ragione, se noi fossimo realmente contrari all’istituzione della Regione, avremmo esitato a votare a favore di quell’ordine del giorno che seppelliva la Regione? Parliamoci francamente: non si è tenuto presente nessun interesse, nessuna preoccupazione elettorale, nessuna di quelle considerazioni che esercitano talvolta anche influenza maggiore di quella che dovrebbero esercitare. Che cosa ci sarebbe stato di male per noi se avessimo dichiarato in quella sede il nostro favore per l’ordine del giorno Rubilli, assumendo un atteggiamento decisamente contrario all’istituzione della Regione? Piuttosto c’è da fare qualche osservazione sopra il nostro regionalismo. C’è da chiedersi se vi è una distinzione da fare fra il regionalismo nostro e quello di altre parti dell’Assemblea. Evidentemente, sì. Noi abbiamo la preoccupazione che un sentimento più che giustificato e naturale di avversione al centralismo, sentimento che si è ingigantito e persino giustamente invelenito, come conseguenza del regime fascista, possa portare a qualche eccesso dannoso agli interessi della nazione. Noi abbiamo poi – ed i colleghi, anche quelli che più dissentono dalle nostre opinioni, dal nostro orientamento politico, devono convenirne – delle ragioni specifiche per temere un eccessivo particolarismo che possa derivare da un eccessivo regionalismo. La nostra idealità politica, la nostra azione nel campo politico come in quello economico sono ispirate ad una concezione prettamente, tipicamente e sostanzialmente unitaria. Noi ci proponiamo di agire sul piano nazionale, statale.
È inutile far perdere tempo all’Assemblea ricordando cose che ciascuno dei suoi componenti può ricordare a chi parla, cioè che il nostro concetto dello Stato e della sua funzione, della sua ingerenza, della sua influenza sopra tutta la vita sociale ed economica della Nazione ci porta necessariamente a temere uno spezzettamento della vita amministrativa e politica della nazione, ci porta a preoccuparci del pericolo di un indebolimento di questo indirizzo unitario e quindi della compagine organica dello Stato. Cito le parole di chi fu una delle più grandi figure del nostro Partito, una delle più nobili figure del Parlamento italiano, non ancora abbastanza ricordata; cito le parole che nel 1916 Claudio Treves ebbe a dire a proposito del decentramento. Egli ebbe ad ammonire: «Tiriamo sodo sull’accentramento statale, ma badiamo che qualche colpo non vada a finire sull’organizzazione dello Stato».
È questo il pericolo di cui noi socialisti ci preoccupiamo. Non pretendiamo che la stessa preoccupazione abbia chi segue una ideologia diversa dalla nostra. Pretendiamo soltanto che, in conseguenza di questo nostro particolare modo di vedere, non si venga a mettere in dubbio la sincerità del nostro atteggiamento. Quando noi, dopo aver votato per la Regione, dopo aver consentito che le si attribuiscano poteri legislativi, vi proponiamo di domandare alla legge ordinaria l’indicazione delle materie nelle quali questo potere legislativo o normativo si può esplicare, noi facilitiamo la nascita e la vita della Regione. Nel partecipare ai lavori della Commissione dei Settantacinque – lo dico sinceramente – ho dovuto ammirare il tesoro di cognizioni scientifiche specialmente nel campo del diritto amministrativo e costituzionale che è stato portato in questa elaborazione da tanti nostri colleghi di vari settori dell’Assemblea. Riconosco ben volentieri di avere imparato molte cose, seguendo quei lavori. Però, quando si tratta di scendere nel campo della pratica e di stabilire quali particolari materie, meglio che altre, si adattino ad essere regolate dalla Regione, più che la scienza giuridica, può servire la pratica amministrativa; può servire di più l’esperienza di chi ha vissuto la vita dei Comuni, delle Provincie e dello Stato.
Determinata così, in base unicamente a teorie ed a principî giuridici e costituzionali, approfondita finché volete, la legislazione regionale può riuscire affrettata, può risultare, nella sua attuazione, in contrasto con esigenze pratiche, con quella che deve, che può essere l’attività della Regione.
Se voterete contro il nostro ordine del giorno, quando passeremo ad occuparci delle singole voci e delle singole materie nelle quali la potestà legislativa della Regione dovrebbe esplicarsi, vedrete da quante parti verranno avanzate osservazioni, forse non tutte di carattere giuridico o costituzionale, ma di portata pratica. Un voto di maggioranza deciderà oggi quello che praticamente si presenterà di non utile applicazione.
Concludendo, domando agli autonomisti più convinti: che pericolo ci sarebbe votando la nostra proposta, con la quale si riconosce alla Regione la potestà legislativa, lasciando alla futura Assemblea legislativa, ammaestrata anche dall’esperienza, di determinare le materie nelle quali questa facoltà debba esercitarsi? (Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo aveva presentato un emendamento all’articolo 109, in relazione al primo testo:
«Sostituirlo col seguente:
«La Regione ha potestà legislativa delegata per le seguenti materie, con l’osservanza dei principî e delle direttive, che la Repubblica ritenga stabilire con legge:
ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;
modificazioni delle circoscrizioni comunali;
polizia locale urbana e rurale;
beneficenza pubblica e assistenza ospedaliera;
istruzione tecnico-professionale e scuola artigiana;
biblioteche di enti locali;
fiere e mercati;
urbanistica;
strade, acquedotti o lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;
porti lacuali;
pesca nelle acque interne di carattere regionale;
cave e torbiere;
turismo e industria alberghiera;
caccia;
acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni;
acque minerali e termali;
tranvie;
linee automobilistiche regionali».
Ha facoltà di svolgerlo.
CAROLEO. I miei voti sono stati accolti nel nuovo testo proposto dalla Commissione, dovrei quindi rinunziare al mio emendamento ed aderire alla nuova formulazione della Commissione.
Le mie preoccupazioni non si riferivano alla qualità e quantità dei poteri da conferire alla Regione. Io sono stato un fervente autonomista e regionalista; ma mi sono sempre preoccupato dell’unità e dell’integrità dello Stato; e mi sono preoccupato principalmente della integrità di quel potere legislativo centrale, che deve essere per intero devoluto al Parlamento. Ora, attraverso il nuovo testo della Commissione si unificano le potestà e le materie e si stabilisce il principio, per me fondamentale, che il potere legislativo conferito alle Regioni è un potere subordinato. Ciò ha particolare importanza e si vedrà specialmente quando discuteremo sui sistemi di controllo da esercitarsi, sulla potestà legislativa regionale e quando stabiliremo a quali organi potrà spettare il diritto di elevare eventuali conflitti dinanzi alla Corte costituzionale o dinanzi all’altro organo che costituzionalmente avrà il compito di risolvere le varie divergenze a proposito di sconfinamento di poteri legislativi.
Ripeto che vedo detta mia preoccupazione superata dal nuovo testo della Commissione; quindi non ho ragione di insistere nei miei emendamenti e dichiaro, senz’altro, che intendo approvare, così come è, il testo concordato.
PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:
Sostituirlo col seguente:
«La Regione ha potestà di emanare norme giuridiche, nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione generale dello Stato, che ne assicuri unicità d’indirizzo, nelle seguenti materie:
ordinamento degli enti e degli uffici dipendenti, e stato giuridico ed economico del personale;
circoscrizioni comunali nell’ambito del territorio regionale;
agricoltura e foreste;
contratti agrari;
usi civici;
caccia e pesca;
miniere, cave, torbiere, saline, acque minerali e termali;
strade, porti, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici, a esclusivo carico della Regione e d’interesse regionale; e relative espropriazioni per pubblica utilità;
navigazione interna, lacuale e di cabotaggio;
urbanistica, e tutela del paesaggio;
turismo e industria alberghiera;
manifestazioni ricreative e sportive;
polizia locale, urbana e rurale;
assistenza e beneficenza pubblica;
istruzione professionale ed artigiana;
biblioteche e musei di enti locali;
istituti di credito e di risparmio regionali, purché esercitati nelle forme della cooperazione e del risparmio;
linee e mezzi di trasporto a carattere locale;
fiere e mercati;
edilizia;
licenze di esercizio;
ogni altra materia indicata dalla legge».
Ha facoltà di svolgerlo.
CODIGNOLA. Avrei rinunciato senz’altro a parlare, se il nuovo testo della Commissione avesse offerto una formulazione più chiara, più accettabile dei limiti di competenza regionale. Mi pare che le due correnti fondamentali rimaste ora in lizza indichino queste due soluzioni: o che la legislazione si limiti a funzioni d’integrazione e d’attuazione, vale a dire che la Regione si limiti ad adottare, nel campo di determinate materie, la legislazione dello Stato alle necessità locali; o che invece – ed è la proposta della Commissione – la Regione possa, sempre nell’ambito di quella materia, legiferare liberamente, entro le direttive o i principî generali stabiliti con leggi della Repubblica.
Ora mi pare che già altri abbiano avanzato delle obiezioni circa il significato, dal punto di vista giuridico dell’espressione «direttive o principî generali stabiliti per legge». O noi intendiamo con essa riferirci alla nozione di principî generali di diritto, che è nozione vastissima, la quale in sostanza escluderebbe la possibilità effettiva di una legislazione diretta dello Stato su queste materie, e questo mi pare non si possa accettare, perché non possiamo ammettere che esistano materie sulle quali lo Stato non abbia facoltà alcuna di legiferare; oppure vogliamo dire che lo Stato conserva sempre la facoltà di intervenire legislativamente, ma dove esso non interviene può, su queste materie, intervenire la Regione. In quest’ultimo caso, tanto varrebbe affermare che la Regione ha facoltà di emanare norme giuridiche nei limiti della legislazione dello Stato.
Mi pare, dunque, che stiamo cercando una formula complicata e difficile per spiegare un concetto che è semplice ed evidente. Se siamo d’accordo su questo principio, che non esiste nessuna materia su cui la Regione sia sola a legiferare, per la quale, cioè, abbia competenza esclusiva, allora la soluzione non può essere che questa: lo Stato può continuare a legiferare sulle materie dell’articolo 109, ma la Regione può e deve, su quelle medesime materie, legiferare largamente nei limiti in cui non legiferi lo Stato.
Poc’anzi è stato detto: su tutte queste materie esiste già una legislazione. Benissimo. E noi non possiamo volere che tutta la legislazione dello Stato già in vigore sia abbandonata. La legislazione dello Stato resta quella che è. Le norme che stiamo ora predisponendo varranno piuttosto per determinare i limiti entro i quali lo Stato dovrà legiferare per l’avvenire, senza per questo distruggere l’ordinamento giuridico esistente. Mi pare, dunque, che l’unica soluzione, direi elementare, semplice di questo problema, sia quella di riconoscere alle Regioni la facoltà di emanare norme giuridiche nell’ambito di determinate materie, fermo restando il principio che su quelle medesime materie lo Stato mantiene la sua potestà legislativa ordinaria. Manterrei, quindi, la proposta di emendamento da me fatta, che cioè «la Regione ha potestà di emanare norme giuridiche nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione dello Stato, che ne assicuri unicità di indirizzo, nelle seguenti materie».
PRESIDENTE. Abbiamo così esaurito l’esame di tutti gli emendamenti relativi alla natura della potestà normativa concessa alla Regione. Restano ancora da svolgere tutti quegli emendamenti che erano stati presentati agli articoli 109, 110 e 111 relativi all’elencazione delle materie; ma essi formeranno argomento di discussione successiva.
Il seguito della discussione è, pertanto, rinviato ad altra seduta.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:
«Al Ministro dell’interno: a) per conoscere quali sono le disposizioni di legge che consentirono di mettere a disposizione del Partito democratico cristiano le forze di polizia, per presidiare, nella giornata di domenica, 29 giugno, la Piazza San Marco di Venezia; b) sugli incidenti che si svolsero, sempre a Venezia, nella mattinata di domenica, 29 giugno.
«Pellegrini».
«Al Ministro dell’interno, per sapere se è a conoscenza della vile aggressione perpetrata domenica 29 giugno ai danni di 60 democristiani, comprese donne e bambini, mentre pacificamente attraversavano il paese di Marmore, o per conoscere, altresì, quali provvedimenti ha preso od intende prendere per l’incolumità dei cittadini fatti segno a violenze derivate da volontà preordinata ad impedire la libera manifestazione delle opinioni politiche.
«Coccia».
«All’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere i motivi per i quali i competenti uffici assegnano alla provincia di Napoli miscele di farine non idonee ad una razionale panificazione, ottenendo in conseguenza il risultato di lasciare oggi, 1° luglio, come riferiscono i giornali del mattino, la città di Napoli senza pane.
«Mazza».
«Al Ministro delle finanze, per conoscere se non creda di proporre che sia sollecitamente stabilita la facoltà dei comuni minerari di applicare una equa imposta sulla produzione mineraria che si estrae dal loro territorio; e ciò in considerazione dei gravi oneri che dallo svolgersi dell’attività industriale derivano a tali comuni, dell’esiguo apporto tributario dato alla vita locale dalla stessa industria e dei rilevanti utili che questa realizza.
«Corsi».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
PELLA, Ministro delle finanze. A quest’ultima interrogazione risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni. Delle altre darò comunicazione ai Ministri competenti perché facciano sapere quando intendono rispondere.
Sui lavori dell’Assemblea.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Mi permetto di suggerire che si faccia una discussione organica su di un solo problema: per esempio sulle autonomie, o sulle questioni finanziarie, o sull’imposta patrimoniale, e non si spezzi la discussione trattando la mattina un argomento ed il pomeriggio un altro.
Così tutti sappiamo, per esempio, che il giovedì, il venerdì ed il sabato si discute, poniamo il problema dell’imposta patrimoniale, oppure quello delle autonomie in modo che tutti possiamo, nella seduta della mattina ed in quella pomeridiana, dedicare il nostro tempo ed il nostro studio a questo problema unitariamente, senza spezzare il lavoro della mattina con un altro totalmente opposto che si svolge nel pomeriggio. Io credo che, seguendo questo mio suggerimento, si guadagnerebbe in economia ed in utilità per la discussione.
PRESIDENTE. Vorrei osservare che tradizionalmente, quando la normale Assemblea legislativa tiene due sedute, vi è un argomento nella seduta della mattina, ed un argomento diverso in quella del pomeriggio. Sappiamo anche che gli esperti dicono che ciò serve a tener fresca la mente. Se si tratta di stabilire qual è la materia alla quale sono destinate le due sedute della giornata – nei casi in cui teniamo due sedute nella stessa giornata – è facile mettersi d’accordo. Oggi, ad esempio, l’ordine del giorno recava nella seduta del mattino il progetto sulla imposta patrimoniale, ed in quella del pomeriggio il seguito della discussione sul progetto di Costituzione. È quindi agevole prepararsi per queste discussioni sapendo che – salvo diversa disposizione che vorrà stabilire l’Assemblea – la seduta del mattino è normalmente dedicata alla patrimoniale e quella del pomeriggio al progetto di Costituzione.
Secondo il mio avviso personale, è opportuno che in tutti quei giorni in cui terremo due sedute giornaliere, almeno una seduta sia dedicata al progetto di Costituzione, dato che questa è la nostra funzione principale. Propongo quindi di seguire, anche per i giorni futuri, lo stesso metodo.
Onorevole Lussu, se lei intende fare una proposta diversa saranno i colleghi a decidere. Diversamente resta inteso che domani vi saranno due sedute: alle 10 per continuare la discussione sull’imposta straordinaria sul patrimonio e alle 17 per l’elezione di un Vicepresidente, in sostituzione dell’onorevole Tupini, nominato Ministro, e per il seguito della discussione del progetto di Costituzione.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge.
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali relazioni esistano tra l’inchiesta condotta sulla amministrazione degli Ospedali riuniti di Perugia e la disastrosa alienazione di un vasto tenimento agricolo, di antichissima proprietà dell’Istituto, intorno alla quale pende una grave causa avanti al Consiglio di Stato.
«Vernocchi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti intende adottare per reintegrare nei diritti che ad essi competono in quanto militari i giovani delle classi 1924 e 1925 residenti nella provincia di Cuneo, i quali nell’agosto 1943 vennero chiamati con cartolina precetto del Distretto militare di Cuneo, arruolati nella IV Armata, assegnati alla costruzione di opere militari sulla costa francese alle dipendenze del Genio militare, fatti prigionieri dai tedeschi, e una volta tornati in Italia dopo la liberazione furono considerati internati civili in forza di un ingiusto provvedimento che, allo scopo di sanare l’iniqua irregolarità di quella precettazione avente un preciso carattere di obbligo militare, viene ora a defraudare, migliaia di giovani dei diritti loro spettanti per il servizio prestato e per la prigionia subita in quanto rivestivano, in fatto e in diritto, la incontestabile qualifica di militari.
«Giolitti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali siano i provvedimenti presi a favore della categoria dei pensionati statali, che, dopo aver servito lo Stato, languono ora nella miseria.
«In particolare l’interrogante chiede di conoscere se e quali provvedimenti sono stati adottati o sono in corso di attuazione relativamente:
1°) all’entità dello stipendio;
2°) all’indennità di contingenza;
3°) alla 13ᵃ mensilità;
4°) al premio della Repubblica;
5°) all’indennità carovita;
6°) al libretto ferroviario;
tenendo presente che il diverso trattamento fatto agli impiegati, operai, reduci e partigiani, pensionati militari e delle ferrovie, ecc., genera disagi ed agitazioni in tutti coloro che vedono calpestato e per essi dimenticato il tanto conclamato uguale trattamento sociale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mastrojanni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni della recente nomina di un Comitato di Ministri per l’esame delle opposizioni presentate ai sensi del decreto-legge presidenziale 25 giugno 1946 da funzionari civili e militari dal I al IV grado incluso, collocati a riposo nel gennaio 1945 d’autorità del Presidente del Consiglio dei Ministri in forza del decreto legislativo luogotenenziale 11 ottobre 1944, n. 257.
«Le opposizioni, di che trattasi, furono presentate da circa un anno, dai funzionari predetti, avverso il provvedimento che nei loro confronti fu deliberato prima delle sentenze delle competenti Commissioni di epurazione, con evidente sperequazione di trattamento in confronto a coloro che furono colpiti dalla legge Sforza e dalla legge Nenni.
«Poiché i vari Ministri, cui i ricorsi anzi cennati furono inoltrati, già da molto tempo li hanno trasmessi alla Presidenza del Consiglio, corredati dei loro pareri, dopo averli rigorosamente vagliati e fatti vagliare da apposite Commissioni, e poiché la Presidenza del Consiglio, a sua volta, tutte le opposizioni ha sottoposto all’esame di una Commissione nominata dal Presidente del Consiglio, e composta da un magistrato di Corte di appello, da un consigliere di Stato e dall’avvocato generale dello Stato, non si comprende la ragione della successiva recente nomina di un Comitato di Ministri per altro esame delle opposizioni stesse.
«La grave condizione di disagio morale e materiale, nella quale da tre anni versano ottimi funzionari civili e militari colpiti da una ingiusta disposizione, conseguente alla faziosa politica del Paese; il fatto che la più gran parte di essi è stata unanimemente prosciolta da ogni addebito in sede epurativa, e che per molti è stato anzi riconosciuto il merito partigiano, consentono all’interrogante di rilevare che la recente nomina del Comitato dei Ministri, per ulteriore esame dei giudizi già espressi dalle varie Commissioni, nominate dai singoli Ministri e dalla Presidenza del Consiglio, rappresenta un inutile quanto dannoso sistema defatigatorio, che esaspera la paziente attesa di tanti benemeriti funzionari già prosciolti dalla Commissione di epurazione da qualsiasi addebito.
«L’interrogante chiede di sapere se, in considerazione delle ragioni anzicennate e delle dichiarazioni fatte recentemente davanti all’Assemblea Costituente, nel senso che tutti i ricorsi di coloro che sono stati ingiustamente colpiti da provvedimenti epurativi saranno rapidamente esaminati e conclusi, l’onorevole Presidente del Consiglio non ritenga giusto deliberare senz’altro sulle opposizioni di cui è caso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mastrojanni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione delle attuali favorevoli condizioni, non ritiene opportuno provvedere sollecitamente alla nomina di unico commissario nazionale per regolare il consumo della energia elettrica in tutto il paese, in modo da evitare che nel prossimo inverno si ripetano le dolorose condizioni degli anni scorsi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Barbareschi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere a qual punto sono le trattative per l’aumento delle misere pensioni attualmente corrisposte ai pensionati dell’Istituto della previdenza sociale; e per chiedergli se, nell’attesa della riforma generale della previdenza, non ritiene opportuno provvedere intanto alla unificazione degli attuali contributi previdenziali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Barbareschi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non intenda stabilire che la concessione del sovraprezzo di lire 300 per ogni quintale di grano consegnato all’ammasso sia prorogata fino al 15 agosto come fu fatto lo scorso anno, specie avuto riguardo agli agricoltori delle zone collinose dell’Italia centrale e tenendo–conto che ragioni climatiche e topografiche e la stessa scarsezza di macchine trebbiatrici, unita alle peggiori condizioni di viabilità non permettono loro di mietere e di consegnare in tempo. Tale provvedimento eliminerebbe una grave ingiustizia a danno degli agricoltori meno fortunati e più disagiati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Zuccarini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno ed onesto sgravare dalle imposte erariali di reddito agrario i comuni di Leinì, Volpiano, Borgaro, Caselle, San Benigno, Brandizzo, Lombardore, Foglizzo, Settimo, Conengo, Vallo, Rodallo, Mazzè, comuni che nei primi di giugno ebbero i raccolti totalmente distrutti dalla grandine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Stella».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le cause che ritardano la ripresa e la condotta a termine dei lavori per la costruzione della strada di serie n. 161 (Valico Lagastrello-Aulla) da parecchi anni interrotti con inutile aggravio di danni e spese, tenendo conto:
- a) che un tale inspiegabile stato di inerzia, che i competenti uffici del Genio civile non solo non si adoperano sufficientemente ad eliminare, ma che con la loro indecisione minacciano di cristallizzare, ha provocato e continua a provocare nelle popolazioni interessate un vivo senso di disagio e malcontento che occorre superare, ridando ad esse, con un opportuno e decisivo intervento, fiducia nella capacità e volontà dello Stato a comprendere e a risolvere i problemi che le riguardano;
- b) che la costruzione della strada in oggetto riveste particolare interesse di utilità generale, essendo destinata a collegare tra di loro le provincie di Massa Carrara, La Spezia, Parma, Reggio Emilia e a valorizzare vaste zone montane capaci di considerevoli attività produttive, sia nel campo agricolo che industriale, che le mancanti comunicazioni stradali hanno, sino ad oggi, impedito di sorgere o di svilupparsi in modo adeguato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Guerrieri Filippo».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non ritenga opportuno prorogare l’efficacia della legge 8 aprile 1937, n. 631, almeno per quanto ha riguardo alle cooperative, almeno fino al 31 giugno 1948, in considerazione che col 30 giugno 1947 è scaduta l’efficacia delle sue disposizioni, nonché dei successivi decreti riguardanti la tassa proporzionale di registro in relazione ad anticipazioni o finanziamenti concessi ad aziende o enti dipendenti, derivanti da fornitura di qualsiasi genere e considerato anche che di detta legge traggono oggi vantaggio le nascenti cooperative edili ed affini nel procurare gli indispensabili finanziamenti senza oneri troppo gravosi e che la garanzia data alle banche colla cessione dei crediti è l’unica forma che consenta possibilità di finanziamento, e quindi possibilità di vita alle cooperative. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bianchi Costantino, Roselli».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.20.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10:
Seguito della discussione sul disegno di legge:
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
Alle ore 17:
- – Votazione per la nomina di un Vicepresidente.
- – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.