Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Targetti

Moro

Perassi

Gullo Fausto

Persico

Togliatti

Abozzi

Della Seta

Crispo

Bulloni

Grassi

Coccia

La Pira

Coppi

Leone Giovanni

Balduzzi

Di Fausto

Rescigno

Rubilli

Mastino Pietro

Fabbri

Badini Confalonieri

Laconi

Mazza

Costantini

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Mannironi

Romano

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che dobbiamo procedere alla votazione per appello nominale, richiesta nella seduta antimeridiana dagli onorevoli Perrone Capano, Leone Giovanni e altri, sull’emendamento Coppi, del seguente tenore:

«La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise».

TARGETTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, devo dichiarare a nome del mio Gruppo che noi voteremo contro l’emendamento dell’onorevole Coppi. Abbiamo modificato stamane il nostro emendamento sostituendo alla formula «il popolo partecipa» la formula «il popolo può partecipare». Abbiamo fatto questa modificazione, perché alla fine della seduta di sabato sera, alcuni egregi colleghi della Democrazia cristiana ci avevano fatto intendere (non voglio dire che ci avevano dichiarato perché non sarebbe esatto) che questa formula avrebbe raccolto anche i consensi di gran parte di loro.

Fedeli al principio che abbiamo più volte espresso – e crediamo che sia nell’interesse generale del Paese – di cercare, in tema di Costituzione, di dirimere tutte le ragioni di contrasto e di fare degli sforzi per trovare accordi, in modo che norme di notevole importanza non debbano essere approvate per una differenza di pochi voti, differenza che non aumenta certo il prestigio della norma che si approva, avevamo stamattina modificato il nostro emendamento in quel senso, senza, con questo, modificare il nostro modo di vedere, di pensare intorno all’argomento.

Noi siamo stati sempre e siamo ancora convinti che nella Costituzione dovrebbe essere inserita una norma che stabilisca senz’altro il diritto del popolo di intervenire direttamente nell’amministrazione della giustizia. Non voglio in nessun modo cogliere l’occasione per polemizzare con il nostro egregio collega, onorevole Ruini, al quale tutti, al di sopra di qualsiasi dissenso sull’apprezzamento di alcune sue idee – dissenso che è naturale che esista – dobbiamo riconoscere oltre la competenza il grande zelo, la grande diligenza, che ha impiegato ed il vero sacrificio (Applausi) che ha compiuto nell’accudire a questa lunga e grave fatica, che forse, chi non l’ha seguita attentamente, e tanto meno coloro che non hanno vissuto la vita della nostra Assemblea, non arrivano a comprendere. Mi limito ad osservare che l’affermazione che il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei limiti e modi stabiliti dalla legge, non era una superflua ripetizione del concetto che la giustizia si amministra in nome del popolo, ma serviva a coordinare con questo concetto, un concetto diverso quale era quello di una partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. Partecipazione diretta, questa volta.

In quanto all’emendamento Coppi, non possiamo approvarne né la forma né la sostanza, perché stabilisce la possibilità che la legislazione futura faccia partecipare il popolo direttamente all’amministrazione della giustizia, ma non lo prescrive. Infine per un’altra considerazione noi siamo recisamente contrari a questa formula: quando si dice «la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise», io non voglio dire che si adopra una formula che serva ad eludere tale partecipazione, proprio nei casi nei quali la vorremmo assicurata, ma è certo che il giorno in cui il legislatore non istituisse l’organo giudiziario che si chiama Corte di assise, ma una magistratura di nome diverso, allora questa facoltà sarebbe veramente elusa. Qui non si dice in senso generico che il popolo parteciperà direttamente all’amministrazione della giustizia; si fa una indicazione specifica, quella dei processi di Corte di assise. Ma a parte ciò, una volta che è mancato l’accordo sulla nostra formula, nonostante la modificazione che, per raggiungerlo, ci si era adattati ad accettare, non abbiamo più ragioni di fare concessioni e ritorniamo ad affermare, nella sua interezza, il nostro principio della obbligatorietà di una diretta partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia.

Per queste ragioni siamo decisamente contrari all’emendamento presentato dall’onorevoli Coppi.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Il nostro Gruppo voterà in favore dell’emendamento presentato dall’onorevole Coppi, e ciò ha deliberato per un complesso di considerazioni non soltanto teoriche e tecniche, ma di opportunità politica, pur essendo giunto a questa decisione da posizioni diverse da quelle rappresentate dai nostri colleghi. Voteremo a favore dell’emendamento Coppi, in quanto ci sembra che esso permetta di ovviare agli inconvenienti, che invece si riscontrano nelle altre formulazioni che sono state proposte.

Innanzi tutto, l’emendamento Coppi, affermando in linea di massima la possibilità della partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia, rinvia alla legge per una concreta determinazione del principio e perché sia stabilito, se e come esso debba ricevere applicazione. Così, a nostro avviso, si conferma l’eccezione contenuta in uno degli articoli precedentemente votati e nel quale si parla di sezioni specializzate con la partecipazione di cittadini idonei. Noi riteniamo che questa norma, la quale ha già il suffragio dell’Assemblea, offra piena possibilità per l’istituzione di magistrature con la diretta partecipazione del popolo. Comunque, poiché è stato posto in dubbio ciò che io ho affermato in questo momento, per mostrare la nostra perfetta buonafede nell’offrire alla legge la possibilità di istituire magistrature con partecipazione popolare, noi non abbiamo alcuna difficoltà a dichiarare esplicitamente questa possibilità, così come si fa nell’emendamento Coppi. D’altra parte, l’intervento della legge, il richiamo a limiti, a modalità, a forme, è cosa, a nostro parere, indispensabile, per sottrarre l’istituto della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia agli schemi tradizionali.

Vi sono, infatti, onorevoli colleghi, degli inconvenienti di carattere tecnico che hanno un riflesso politico ed umano molto vivo, e sono quegli inconvenienti i quali, io credo, hanno sollecitato tanta parte dei nostri colleghi nell’assumere, come hanno assunto, in sede di discussione generale, una posizione ostile nei confronti dei giudici popolari.

Io mi rifiuto di credere che vi sia stato alcuno fra i nostri colleghi, che, criticando la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, abbia inteso negare un diritto democratico, uno strumento democratico di giustizia. Sono stati appunto gli inconvenienti tecnici, tante volte giustamente lamentati, a determinare questo atteggiamento, che certamente è condiviso da una parte notevole dei nostri colleghi. Proprio per permettere alla legge, nell’atto che disciplina questo istituto, di sganciarsi dalla tradizione per garantire, mediante i giudici popolari, una giustizia completa e seria al nostro popolo, riteniamo opportuno un rinvio esplicito alla determinazione dei limiti, delle modalità e delle forme della partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia.

Perché mai, voi potete domandare, noi assumiamo questa formula, diciamo così, facoltativa, perché non affermiamo nettamente e definitivamente il principio in sede costituzionale e preferiamo rinviare alla legge perché essa deliberi su questo punto?

Ho sentito dire dall’onorevole Togliatti, il quale riprendeva una posizione sostenuta in seno alla Commissione dei Settantacinque, che si tratta in questo caso di un particolare diritto democratico, che deve essere esplicitamente sancito dalla Costituzione.

Ora, senza volere menomamente negare che la partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia sia una espressione democratica, una esperienza democratica, io credo che non tutti potremmo trovarci d’accordo nel ritenere che si tratti proprio di uno di quei fondamentali diritti, di quegli inalienabili e imprescrittibili diritti democratici che noi chiamiamo naturali, ed altri chiamano inviolabili.

Si tratta certamente di una esperienza, di una rilevante esperienza democratica, la quale riceve maggior prestigio dalla continuità della tradizione storica, dall’ampiezza delle applicazioni. Ma si tratta sempre, in sostanza, di uno strumento tecnico di carattere storico, di carattere relativo, che determinati ambienti democratici hanno creduto di stabilire, per servire meglio l’esigenza della giustizia.

Ora, ammesso questo carattere di relatività, io credo non vi sia alcuna diminuzione, se per la concreta attuazione del principio si fa rinvio alla legge, se cioè si permette al legislatore di valutare, secondo opportunità, la contingenza storica, la realtà di ambiente, le reazioni della coscienza sociale per forgiare lo strumento democratico più idoneo all’amministrazione della giustizia.

Ed io credo che una fiducia nella legge si debba avere. Noi, è vero, in altri casi abbiamo chiesto che la Costituzione consacrasse principî e li consacrasse in modo esplicito è definitivo; ma si trattava appunto di fondamentali principî, non di istrumenti tecnici, come è in questo caso, che meglio possono essere disciplinati dalla legge sulla base di questa affermazione generale, che viene fatta dalla Costituzione.

Una sola parola credo si debba aggiungere a proposito del richiamo ai reati politici proposto nell’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, contro il quale noi votiamo.

Anche e soprattutto per questo punto io ritengo che sia indispensabile un rinvio alla legge, perché essa possa vagliare le gravi ragioni di opportunità, che si dovranno prosspettare, prima che si prenda la decisione di rimettere a questa forma di amministrazione della giustizia la cognizione e la decisione dei reati di natura politica, i quali sono proprio quelli nei quali bisogna più frenare le impetuose intuizioni e le passioni del giudice popolare, per dar luogo ad una obiettiva e serena giustizia.

Per queste preoccupazioni, con questo preciso interesse di affermare genericamente il principio, lasciando alla legge un certo ambito discrezionale, noi voteremo contro l’emendamento proposto dall’onorevole Mastino Pietro ed in favore del testo proposto dall’onorevole Coppi. (Applausi al centro).

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi permetto di rivolgere un suggerimento agli onorevoli Mastino e Togliatti circa il secondo comma del testo da essi proposto, in cui si dice che «la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia è obbligatoria nei processi per reati politici». La formula inizialmente proposta dall’onorevole Togliatti diceva: «nei processi di natura politica». Dietro il suggerimento di qualche oratore, questa formula è stata poi cambiata in quella di: «reati politici».

La formula: «reati politici» mi sembra eccessivamente ed inutilmente larga. Se si dice «reati politici» si comprenderebbero non solo i delitti, ma anche le contravvenzioni. Il carattere politico di un reato – se prendiamo la definizione contenuta nell’articolo 8 del Codice penale – è dato dall’essere determinato da motivi politici. L’articolo 8, infatti, dice: «agli effetti della legge penale è delitto politico ogni delitto che offende l’interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato in tutto o in parte da motivi politici». Ora, se si estendesse la disposizione proposta a qualsiasi reato, e quindi, anche alle contravvenzioni, mi pare che si andrebbe incontro a conseguenze esorbitanti. (Commenti).

Moltissime contravvenzioni, si possono concepire come determinate da motivi politici. Ve ne leggo una: disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone. «Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazione acustica, ovvero suscitando, o non impedendo strepiti, disturbi il riposo delle persone, è punito, ecc.». È evidente che anche questa contravvenzione può essere determinata da motivi politici. (Commenti). Mi pare che non sia proprio il caso di stabilire che anche le contravvenzioni debbano essere deferite ad un organo giudiziario in cui vi sia una rappresentanza popolare, cioè, in concreto, alla Corte di assise. Perciò pregherei gli onorevoli Mastino e Togliatti, di voler sostituire nel loro emendamento, alla parola: «reati», la parola «delitti».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Onorevoli colleghi, noi voteremo contro l’emendamento dell’onorevole Coppi. Constatiamo anche noi che con esso si lascia impregiudicata la questione, in modo che il futuro legislatore possa senz’altro ammettere la giuria. Ciò nonostante noi votiamo contro, perché pensiamo che nessuna obiezione di natura tecnica può mettere in seconda linea il perspicuo aspetto politico del problema. Noi pensiamo che l’Assemblea Costituente – ossia la prima Assemblea popolare della nuova Italia sorta dalla tragedia che si è abbattuta sul nostro Paese – debba dire una parola chiara e manifesta sull’istituto della giuria, e poiché, per quante siano state le osservazioni e le obiezioni di ordine tecnico addotte contro questo istituto, nessuno ha potuto contestare questo fatto preciso, cioè che quando è morta la libertà è morta la giuria, quando la libertà è risorta è risorta la giuria, noi facciamo capo a questa prevalente esigenza democratica per sostenere che l’Assemblea Costituente debba oggi affermare il diritto del popolo a partecipare direttamente all’amministrazione della giustizia.

Forse di strano c’è in tutto ciò una cosa sola: che dobbiamo essere proprio noi di questa parte della Camera a rivendicare le conquiste della grande Rivoluzione francese. E non è il primo caso, ed il fatto che non sia il primo caso può spiegare forse, o può concorrere a spiegare forse, tanti avvenimenti di cui siamo stati vittime.

Noi riaffermiamo questa esigenza democratica. Ripeto, non ci sono obiezioni o eccezioni di indole tecnica che possano menomare il significato altamente democratico della questione. Ed io tralascio di considerare se effettivamente queste obiezioni o eccezioni di indole tecnica siano davvero fondate. Dico soltanto che oggi l’Assemblea Costituente non compirebbe il suo dovere se, attraverso una formula equivoca, tentasse, in ogni modo, di eludere il suo compito di procedere alle grandi affermazioni democratiche; e, fra le grandi affermazioni democratiche, vi è appunto questa: l’istituto della giuria nella nuova democrazia italiana deve essere restaurato.

Per queste ragioni noi votiamo contro l’emendamento Coppi e voteremo invece a favole dell’emendamento Mastino. È giusto che sia lasciato al nuovo legislatore il modo di correggere i difetti che nell’istituto possono esserci e che l’esperienza ha potuto dimostrare esistenti, ma ciò non toglie che oggi sia necessario fare questa affermazione chiara, netta, precisa: il popolo deve partecipare all’amministrazione della giustizia. Al nuovo legislatore fissare i casi e le modalità attraverso i quali questo diritto popolare debba essere esercitato. (Vivi applausi).

PERSICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, nel mio intervento dell’8 novembre ho parlato molto a lungo del problema della giuria ed ho sostenuto una mia idea, che certamente non è accettabile in questo momento, ma che però ha un valore tendenziale, l’idea cioè che tutti i processi penali, eccetto quelli devoluti alla competenza pretoria, dovessero venire giudicati dal giudice popolare, con due tipi di giuria, piccola, o grande, a seconda dell’importanza del reato. Questo sistema non penso sia attuabile oggi; però ritengo indispensabile che la Costituzione democratica della Repubblica abbia un articolo, nel quale sia affermato il diritto del popolo a giudicare sovranamente di alcuni delitti, soprattutto dei più gravi, soprattutto di quelli di stampa, soprattutto quelli di indole politica. Perciò, avevo visto con soddisfazione come l’articolo 96 del progetto presentato all’Assemblea dai Settantacinque avesse stabilito il principio che il popolo direttamente partecipa all’amministrazione della giustizia, mediante l’istituto della giuria. Ora, si è un po’ sconvolta la situazione, perché da tutte le parti si è sostenuto che è più opportuno che la Costituzione non abbia un’affermazione precisa, in quanto si preferisce demandare al nuovo legislatore la formulazione di un progetto tale che assecondi tutte le tendenze che si sono in questi giorni manifestate. Io penso, invece, alla creazione di una giuria totalmente diversa da quella della legge del 1874, cioè ad una giuria elettiva, e composta di elementi selezionati e capaci.

Ma non vorrei che da questa aspirazione ampia e logica si arrivasse ad un’affermazione così timida, come quella contenuta nell’emendamento dell’onorevole Coppi, cioè che «potrà» il nuovo legislatore esaminare la situazione futura sulla possibilità e sulla opportunità di un ordinamento della giuria. Ecco perché ho aderito all’emendamento dell’onorevole Mastino, il quale afferma che la legge da emanarsi «dovrà» introdurre il giudizio diretto del popolo per taluni reati, demandandone i limiti, le forme e la competenza al futuro legislatore. Ecco perché ripiego sull’emendamento dell’amico Mastino, accettandolo, e, naturalmente, voterò contro l’emendamento dell’onorevole Coppi.

Una sola parola su quanto ha detto testé l’onorevole Perassi: egli ha perfettamente ragione quando dice che il delitto politico è definito nel nostro Codice, cioè è il delitto di cui si dà la definizione nell’articolo 8 del Codice penale, e l’ultimo capoverso di tale articolo stabilisce anche che è altresì considerato delitto politico il delitto comune, determinato in tutto o in parte da moventi politici. I delitti politici sono quelli previsti nel libro II, titolo 1°, del Codice penale, cioè: delitti contro la personalità internazionale dello Stato; delitti contro la personalità interna dello Stato; delitti contro i diritti politici dei cittadini; delitti contro gli Stati esteri, i loro capi o i loro rappresentanti; ci possono essere poi altri delitti politici sanzionati con leggi speciali. L’altro giorno la Costituente ha approvato per l’appunto una legge, che riguarda la difesa della Repubblica e le norme ivi stabilite rientrano nella previsione dell’articolo 8 del Codice penale. Sono tutti delitti questi, non reati, perché con la parola reato si verrebbero a comprendere anche le contravvenzioni, come, per esempio, le contravvenzioni prevedute dalla legge elettorale, che pure hanno un carattere politico. Ora, sarebbe assurdo convocare una Corte d’assise per vedere, per esempio, se le liste elettorali sono state regolarmente formate. Quindi si dovrà dire «delitti politici» e non «reati», e credo che l’onorevole Togliatti non avrà difficoltà ad accettare tale sostituzione di parola. Concludendo, io dichiaro che voterò contro l’emendamento dell’onorevole Coppi ed a favore dell’emendamento dell’onorevole Pietro Mastino.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Non stupiscano i colleghi se ho chiesto di dichiarare il mio voto, anche dopo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Gullo a nome del Gruppo parlamentare comunista. Non desidero d’altra parte rompere quella che è non solo consuetudine parlamentare, ma anche legge del nostro Partito, e che consiste nell’osservare nei voti una disciplina collettiva.

Né ho chiesto la parola per sottolineare in modo particolare l’importanza di questo voto, che io considero del resto come uno dei voti politici di primo piano di questa Assemblea. Questa importanza è già stata a sufficienza sottolineata nel corso della discussione generale. Non voglio soffermarmi nemmeno sulle osservazioni fatte dagli onorevoli Perassi e Persico, e che riguardano formulazioni particolari. Accetto le correzioni da loro consigliate per quanto osservo che, una volta affermato il principio, allora si apre veramente il campo della tecnica, per cui, discutendosi una legge sulla giuria, spetterà all’Assemblea legislativa indicare in concreto quali saranno i reati o delitti politici da sottoporsi al giudizio del magistrato popolare.

Ho chiesto piuttosto la parola per indicare un motivo di carattere, direi quasi, personale, per cui sono interessato a dare in questo dibattito un voto determinato, e a chiedere un voto determinato a questa Assemblea.

Questo motivo, che ho già detto essere di ordine quasi personale, è legato a un fatto della mia vita politica di cui non posso cancellare il ricordo: il fatto di essere stato per un anno, indegnamente, Ministro guardasigilli, dal giugno 1945, subito dopo la liberazione, sino alla convocazione di questa Assemblea Costituente. Ricordandomi di questo fatto non potevo non ricordarmi in pari tempo di un episodio, che non potrà non interessare questa Assemblea, in questa sede, e che è legato all’applicazione delle leggi repressive dei reati fascisti.

Quando venni chiamato alla carica di Guardasigilli era stata approvata da un precedente Gabinetto, dal Gabinetto presieduto dall’onorevole Bonomi, e quindi era in vigore, la legge fondamentale per la repressione della criminalità fascista, che è quella con la quale ancora oggi vengono giudicati – oppure non vengono giudicati – i criminali fascisti. Già allora però era sorta una campagna contro questa legge, campagna mossa da parte liberale, da partiti che stavano al difuori del Comitato di liberazione e dalla destra democristiana. Si investiva quella legge accusandola di essere una legge di eccezione, non tollerabile e non ammissibile in un regime di democrazia. Si chiedeva che quella legge venisse abrogata per ritornare al diritto comune. Il Guardasigilli era un comunista. E allora – alcuni colleghi certamente se ne ricorderanno – nel corso della crisi per la quale si passò dal Governo Parri al primo Governo presieduto dall’onorevole De Gasperi, la cosa venne dibattuta come problema fondamentale dell’attività governativa successiva a quella crisi.

Da parte liberale precisamente – dirò poi da parte di chi – venne chiesto che si ponesse un temperamento, che quella legge fosse per lo meno nella sua applicazione resa meno eccezionale, di quanto non fosse nella sua formulazione, ritornandovi in questo modo alla pratica giudiziaria della vecchia e buona democrazia liberale. E fu proprio a questo scopo che l’allora Segretario del partito liberale, avvocato Cattani, avanzò due rivendicazioni. La prima fu che quella venisse rielaborata in un testo unico, al quale poi si rinunciò dallo stesso avvocato Cattani, e fu poco male. La seconda rivendicazione invece fu, ed è questo il punto che m’interessa ricordare, che si restaurasse al più presto l’istituto della giuria. Da parte liberale dunque, chiedendosi un ritorno alla normalità giurisdizionale, chiedendosi che si abbandonasse il terreno di eccezione per rientrare nella legalità democratica e liberale, si chiedeva che pur restando in vigore sanzioni sostanziali contro il fascismo, si ritornasse al tribunale composto dalla giuria, e che tutti i reati fascisti venissero deferiti ad una Corte di assise, composta secondo la nostra vecchia legge tradizionale, cioè sulla base di una giuria popolare.

Al Guardasigilli, che venne allora riconfermato nel proprio incarico, e che ero io, venne chiesto di assumere questo impegno.

Se sei un buon democratico – mi venne detto da parte liberale e da parte democristiana – tu devi rapidamente farci ritornare a quel grande istituto democratico e liberale che i fascisti hanno soppresso e che invece vogliamo vedere restaurato al più presto: la giuria. Ed è in obbedienza a quel mandato. – da me del resto accolto assai volentieri – che fu allora preparata una legge, la quale venne approvata ed è oggi legge della Repubblica, in base alla quale sono state ricostituite le liste dei giurati. Fatto questo, abbozzai io stesso il provvedimento sostanziale relativo alla competenza e procedura delle Corti di assise con giuria, e questa legge venne poi, credo, perfezionata, dal mio successore onorevole Gullo e portata davanti a questa Assemblea.

Ecco il fatto che volevo ricordare. Rimane stabilito che nel 1945, nel mese di novembre, da quella parte, cioè dalla parte che oggi è la più avversa alla giuria popolare, veniva richiesta come garanzia di libertà democratica, la restaurazione della giuria popolare e veniva chiesto al Guardasigilli – e il Guardasigilli volentieri accettava – l’impegno di questa restaurazione.

Quanto tempo sembra essere passato da allora! Di quante cose da allora ad oggi ci siamo dimenticati! Quando quella proposta venne fatta, non vi fu né un partito, né un uomo politico, né un giornale che protestassero, anzi, tutti levarono inni di plauso, confermando che bisognava restaurare la democrazia anche nell’amministrazione della giustizia.

Oggi, invece, si sollevano «obiezioni tecniche», ma in realtà è il principio che si vuole respingere. Si comincia sempre così, onorevole Moro! Lasciamo la tecnica ai legislatori, i quali troveranno il modo perché la giuria sia organizzata razionalmente. Ma ora si tratta qui di affermare il principio fondamentale, di restaurare una di quelle libertà democratiche che sempre vennero rivendicate, come testé ricordava l’onorevole Gullo, da tutte le rivoluzioni liberali. Ricordo quando leggevamo da ragazzi di quelle rivoluzioni e perfino nelle loro rappresentazioni più popolari, nel teatro, nei romanzi; si parlava del giudizio pronunziato dal giurato come di uno dei diritti fondamentali del cittadino moderno, il quale, di fronte alla vecchia autorità dello Stato assoluto, afferma la dignità della propria persona rivendicando il diritto, nel caso di delitti politici e di condanne a una lunga privazione della libertà personale, a essere giudicato dai propri concittadini. Questo principio fondamentale della concezione liberale borghese non può essere oggi rinnegato, e noi lo dobbiamo riaffermare nella nostra Costituzione. Faccia poi il legislatore tutto quello che è necessario fare per evitare i difetti e gli errori di una cattiva tecnica giudiziaria, ma noi affermiamo il principio che dobbiamo sentire come una necessità politica fondamentale.

Per questo, invito l’Assemblea a votare contro l’emendamento Coppi che nega questo principio, e a votare invece a favore dell’emendamento Mastino che, pur lasciando aperte tutte le possibilità d’una buona organizzazione dell’istituto della giuria, afferma il principio della restaurazione di quell’istituto democratico. (Vivi applausi a sinistra).

ABBOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Ho presentato un emendamento per la istituzione di una corte criminale composta di magistrati; esso implica il principio della giuria. Tuttavia, poiché l’ordine del giorno Coppi lascia impregiudicata la questione, in quanto è sempre possibile che la legge istituisca la giuria, io voterò in favore dell’ordine del giorno Coppi.

DELLA SETA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DELLA SETA. Per quanto, anche nel nostro Gruppo, sia possibile un qualche personale dissenziente giudizio, sta nel fatto che la scuola repubblicana, a cominciare da Giuseppe Mazzini, è stata fautrice, sempre, dell’istituto della giuria.

Noi, repubblicani storici – come Gruppo parlamentare e come partito – non possiamo non essere favorevoli ad un istituto nel quale si è concretizzata una delle storiche rivendicazioni della democrazia.

In verità, se esiste una logica giuridica, mal si riesce a comprendere con quale coerenza, dopo avere, così solennemente, consacrato nel testo della Costituzione che la funzione giurisdizionale viene esercitata in nome del popolo, come, dico, da taluni si possa avere tanta riluttanza ad ammettere che il popolo, in dati casi, debba partecipare direttamente all’amministrazione della giustizia.

Il problema della giuria non è un semplice problema di procedura penale. Valutato nel suo spirito, esso è un problema di principio, è un principio di diritto costituzionale, nel senso che, nel campo specifico dei delitti e delle pene – specie per quanto riguarda i delitti politici – esso viene a integrare, a rafforzare, a difendere quelle garanzie, quei principî di libertà, che, in altra parte della Costituzione, hanno già trovato esplicito riconoscimento.

Perciò, se solo io dovessi esprimere il mio personale giudizio, io voterei senz’altro, sic et simpliciter, l’articolo 96, così come è già stato formulato nel progetto di Costituzione, aderendo pienamente alle acute e giuste argomentazioni addotte dal collega onorevole Togliatti.

Ma non si può non aver presente che ogni istituto giuridico ha la sua evoluzione. Non si può rinunziare all’ammaestramento che viene dalla esperienza. Non si può disconoscere la esigenza che a far parte della giuria siano chiamati cittadini che, per una capacità maggiore e quindi con una maggiore consapevolezza e con un maggior senso di responsabilità, diano la garanzia di un più sereno e ponderato giudizio.

Noi chiediamo per questo che nel testo della Costituzione venga esplicitamente consacrato il principio della partecipazione diretta del popolo alla amministrazione della giustizia, lasciando alla legge, con norme altrettanto esplicite, di precisarne le modalità.

Noi del Gruppo repubblicano voteremo quindi contro l’ordine del giorno Coppi ed a favore dell’emendamento Mastino. (Vivi applausi a sinistra).

CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. L’onorevole Togliatti rimproverava ai liberali l’atteggiamento assunto oggi in rapporto all’istituto della giuria, in contrasto con quello che sarebbe – a suo dire – stato assunto ieri, precisamente, dall’amico Cattani.

Credo che si tratti di un equivoco, perché, se è vero che il nostro amico Cattani fu propugnatore dell’istituto della giuria e sostenne che si dovesse ripristinare l’istituto della giuria, assunse tale atteggiamento per esigenze meramente contingenti…

Una voce a sinistra. Per salvare i fascisti!

CRISPO. …per esigenze meramente contingenti, perché quel suo voto voleva essere né più e né meno che l’espressione di una energica reazione contro una giuria di parte, quale era la giuria che componeva le Corti di assise straordinarie, composte di elementi politici, prevalentemente comunisti. (Commenti a sinistra – Applausi al centro e a destra).

Fu questa l’esigenza liberale in nome della quale, in segno di protesta contro le giurie di parte, si chiese il ripristino della giuria popolare. (Interruzioni a sinistra).

Questa è la ragione.

Io ho già espresso nella discussione generale il pensiero del nostro Gruppo rilevando come a nostro avviso si faccia una enorme confusione fra principio democratico ed istituto della giuria perché le due cose sono assolutamente separate e distinte. Se è vero che il principio democratico, solennemente proclamato nella Costituzione, è che la sovranità risiede nel popolo, ciò non significa che il popolo sia organo di questa sovranità!

Vorrei poi domandare, senza risalire alle concezioni della Rivoluzione francese e soprattutto al concetto del Seyes, che cosa intende questa Assemblea per popolo. O che forse i magistrati togati, i giudici tecnici non fanno parte del popolo? O si deve intendere per popolo quella massa indifferenziata, che dovrebbe dare alle Corti d’assise soltanto il contributo della propria ignoranza, della propria incompetenza, della propria ottusità? (Applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Togliatti).

Noi abbiamo sostenuto che l’amministrazione della giustizia debba essere affidata a elementi esclusivamente tecnici e se votiamo contro il testo del progetto, l’emendamento Mastino e l’emendamento Targetti, possiamo votare a favore dell’emendamento Coppi, come quello che stabilisce una mera eventualità.

BULLONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BULLONI. Compreso del significato politico del voto che si sta per dare, dichiaro che voterò contro l’emendamento Coppi (Applausi a sinistra) e che voterò a favore dell’emendamento Mastino Pietro intendendo sia costituzionalmente affermato il principio della diretta partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia attraverso l’istituto della giuria nei limiti e nelle forme che il futuro legislatore vorrà adottare. (Applausi a sinistra).

GRASSI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Io fo una dichiarazione di voto personale, come membro della Costituente e dichiaro che voterò contro l’ordine del giorno Coppi. (Applausi a sinistra). Questa dichiarazione di carattere personale è legata ad una coerenza ed a un voto che diedi nella Commissione dei settantacinque a favore della giuria popolare. (Applausi a sinistra). Ritengo che non si possa in nessuna maniera rimandare alla futura legge, ossia al potere legislativo, un principio fondamentale che deve essere affermato o negato dalla Costituente. Si tratta, in poche parole, non di stabilire se il popolo partecipa all’amministrazione della giustizia perché il popolo vi partecipa sempre, ma se in determinate circostanze e per determinati delitti il popolo debba parteciparvi direttamente. Questa è la distinzione. Mentre nell’articolo 95 abbiamo detto che la funzione giurisdizionale è esercitata e amministrata dai magistrati ordinari, se non stabiliamo un altro principio fondamentale di coordinamento in questa materia, renderemo impossibile il funzionamento delle Corti di assise, che sono non un organo speciale dello Stato, ma un organo ordinario dell’amministrazione della giustizia per determinati delitti. Questo è il punto.

Come per le funzioni amministrative esiste la rappresentanza indiretta del popolo attraverso le Assemblee, e la rappresentanza diretta, attraverso il referendum, così il popolo nella funzione giurisdizionale esercita la funzione indiretta attraverso i magistrati, ma può esercitare la funzione diretta attraverso le assise. Questo è il principio fondamentale che è coevo non solo a tutte le democrazie venute fuori in quest’ultimo secolo, ma a tutta la storia umana, in quanto da che si è formato il primo nucleo sociale, i giudizi sui reati più gravi che interessano tutti sono stati dati dal popolo.

Per queste ragioni fondamentali, che sono legate alla costituzione fondamentale di un popolo, io credo che la nostra Assemblea, nel formare una legge costituzionale, non possa dimenticare che questo è un istituto fondamentale di ogni democrazia. (Applausi a sinistra).

COCCIA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COCCIA. Dichiaro che voterò contro l’emendamento Coppi intendendo che la Costituzione dica una parola precisa in materia di partecipazione del popolo alla giustizia.

Chiedo però che l’emendamento Mastino Pietro sia votato per divisione, in quanto non sono perfettamente d’accordo con quell’inciso in cui si dice che tutti i reati politici verranno giudicati dalla giuria: in quanto non si può indiscriminatamente ammettere che tutti i reati vengano giudicati dalla giuria, anche i reati più piccoli. Quindi questo va demandato alla legge che stabilirà che i reati politici verranno giudicati dalla giuria ma limitatamente alla loro importanza.

LA PIRA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA PIRA. Dichiaro che, in coerenza a quanto ho fatto in seno alla Commissione dei Settantacinque, sono favorevole a che il principio della giuria sia affermato nella Carta costituzionale.

Quindi, aderisco tanto a quanto ha detto l’amico onorevole Bulloni, quanto a quello che ha detto il Ministro Grassi. (Applausi a sinistra).

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Si è voluto dare all’ordine del giorno da me presentato un significato che non aveva affatto, in quanto esso intendeva conciliare, se fosse stato possibile, le diverse opinioni in questa Assemblea manifestate in ordine a questo grave problema.

Dato questo, dichiaro di ritirare l’ordine del giorno. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

Devo semplicemente ricordare, a chi ne ha voluto fare una questione politica, che oratori di tutte le parti dell’Assemblea (una esclusa, se non sbaglio) si sono pronunziati anche in senso contrario alla giuria. Domando fin da ora che la votazione sull’articolo 97 così come è proposto nell’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, sia fatta per divisione, disposto come sono a votare in favore del primo comma, e contro il secondo comma.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Nel generale sbandamento che, per motivi più demagogici che democratici, ha investito taluni settori della Camera (non esclusi taluni settori del mio gruppo), io resto fermo nell’opinione che questa Assemblea, non avendo potuto maturare sufficientemente e dettagliatamente ed in coordinamento a tutto il complesso problema penale quello particolare del ripristino della giuria, non debba fare altro che limitarsi ad aprire il varco a questa riforma, la quale chiede per la sua elaborazione maggiore consapevolezza e maggiore responsabilità.

GULLO FAUSTO. Ma se è un problema di cui si è sempre parlato!

LEONE GIOVANNI. Ne abbiamo discusso a lungo, ma sempre troppo poco; ed io non avrò il cattivo gusto, in sede di dichiarazione di voto, di riprendere argomenti che ho sottomesso alla Camera inutilmente; perché mi accorgo e prendo atto che alcuni degli argomenti da me indicati non hanno avuto risposta e restano a dimostrare come, tolto il velame demagogico al problema, tolta una falsa interpretazione storica del problema (perché la giuria volle essere una rivendicazione popolare di fronte alla giustizia come amministrazione di casta), non si possa allontanarsi dalla formulazione del progetto.

Noi avevamo ritenuto – e confermo questo mio pensiero in perfetta lealtà che la formula delle sezioni specializzate fosse più che sufficiente ad introdurre la giuria. Voi pensate diversamente. Io non ho il potere di fare entrare nelle vostre anime e nelle vostre intelligenze qualcosa di cui sono profondamente e lealmente convinto. Io ritengo che voi dovete limitarvi a rendere possibile l’introduzione della giuria. Votate pure quella formula. Ma io vi potrei dimostrare, dopo aver votato anche la più ampia formula Mastino, che con essa il legislatore potrà eludere il problema della giuria. Voi non avrete incarcerato il problema, quando non lo avete potuto risolvere dettagliatamente.

Faccio, pertanto, mio l’emendamento proposto dall’onorevole Coppi e, ricollegandomi alle dichiarazioni di voto fatte dall’onorevole Moro a nome del mio Gruppo (che si va sfaldando, il che è doloroso), dichiaro che voterò a favore dell’emendamento Coppi e contro l’emendamento Mastino.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori della richiesta di appello nominale se, udite le dichiarazioni di voto, vi insistano.

(È mantenuta).

L’onorevole Coppi ha dichiarato di abbandonare la formulazione da lui proposta; tale formulazione è stata fatta propria dall’onorevole Leone Giovanni.

Non so se gli altri firmatari dell’emendamento Coppi intendono ritirare anch’essi la loro firma.

BALDUZZI. Dichiaro di ritirarla.

DI FAUSTO. Dichiaro di mantenere la firma.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Vorrei chiedere se non le pare, onorevole Presidente, che si debba votare prima sugli emendamenti soppressivi.

PRESIDENTE. Se tutti i presentatori della proposta di soppressione di quest’articolo avessero conservato la loro proposta, dato il loro numero, che indicava un vasto consenso, facendo eccezione alla prassi seguita finora, avrei posto in votazione da prima la soppressione. Ma poiché si sono ridotti a due i proponenti della soppressione, è evidente che non v’è più ragione di andare contro la nostra pratica consuetudinaria. Non pongo perciò in votazione la soppressione, ma gli emendamenti proposti al testo ed accettati dalla Commissione.

Leggo il testo dell’emendamento Coppi, fatto proprio dall’onorevole Leone Giovanni, sul quale si vota:

«La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte d’assise».

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Bonomi Paolo.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Angelucci.

Badini Confalonieri – Bencivenga – Benvenuti – Bertola– Bonino – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bozzi – Bubbio.

Caccuri – Cannizzo – Carbonari – Carboni Enrico – Carratelli – Caso – Castelli Avolio – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Clerici – Codacci Pisanelli – Colitto – Colonna di Paliano– — Condorelli – Coppa Ezio – Corsanego – Cortese Guido – Crispo.

De Falco – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò.

Ferrarese – Ferrario Celestino – Firrao – Fresa – Froggio.

Gabrieli – Gatta – Germano – Geuna – Giannini – Giordani – Gotelli Angela – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Jervolino.

Lagravinese Pasquale – Leone Giovanni – Lizier.

Mannironi – Marconi – Marinaro – Marzarotto – Mastrojanni – Mazza – Miccolis – Micheli – Monterisi – Mortati – Mùrdaca.

Nicotra Maria – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Pignatari – Proia – Puoti.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Riveda – Rodi – – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano.

Salvatore – Sartor – Scalfaro – Scoca – Spataro – Sullo Fiorentino.

Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Venditti – Vicentini – Vigo – Villabruna.

Zerbi.

Rispondono no:

Aldisio – Arcaini – Avanzini – Azzi.

Baldassari – Balduzzi – Barbareschi – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini– Bazoli – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bernabei – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosi – Bucci – Bulloni Pietro.

Cairo – Calamandrei – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carboni Angelo – Caroleo – Carpano Maglioli – Cartia – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chiaramello – Chiostergi – Coccia – Conci Elisabetta – Corsi – Cortese Pasquale – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – Del Curto – Della Seta – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – D’Onofrio.

Fabbri – Fantoni – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Foa – Fornara – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giolitti – Giua – Grassi – Gronchi – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto.

Imperiale.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Marinelli – Martinelli – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merighi – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monticelli – Morini – Musolino.

Nasi – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.

Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Paratore – Pastore Raffaele – Pecorari – Pera – Persico – Petrilli – Piemonte – Pieri Gino – Preti – Priolo.

Rapelli – Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi.

Saggin – Salerno – Sapienza – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Silipo – Silone – Spallicci – Spano – Stampacchia – Stella.

Targetti – Taviani – Tega – Togliatti – Tonello – Tremelloni – Treves.

Veroni – Vigna – Villani – Volpe.

Zagari – Zanardi – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Andreotti.

Conti – Coppi Alessandro.

Moro.

Pat.

Sono in congedo:

Arata.

Bergamini.

Carmagnola – Cavallari.

Dugoni.

Jacini.

Lizzadri.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni – Tosi.

Vanoni – Viale – Vischioni.

Risultato della votazione nominale.

Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti                               297

Votanti                                292

Astenuti                               5

Maggioranza           147

Hanno risposto sì     112

Hanno risposto no    180

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione del testo proposto dall’onorevole Mastino Pietro del seguente tenore:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

«Questa partecipazione è obbligatoria nei processi per delitti politici».

Pongo in votazione il primo comma:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia».

RUBILLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Io ho votato «no» sul precedente ordine del giorno Coppi: però ho parlato contro il ripristino della giuria.

Ora voto «sì» per l’ordine del giorno Mastino.

Perché non abbia ciò l’apparenza di una contraddizione ho sentito il dovere di ricordare che io nel mio discorso sull’ordine del giorno dichiarai che ritengo utile, anzi dissi indispensabile, l’intervento dei giudici popolari nei dibattimenti di Corte d’assisa; però dichiarai altresì che sono contrario alla giuria e favorevole all’assessorato.

Siccome questo ordine del giorno riguarda soltanto l’intervento di giudici popolari, e rimane quindi impregiudicata la soluzione se debba essere questo intervento sotto forma di giuria o di assessorato, io lo trovo conforme alle idee esposte e perciò voto favorevolmente.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Vorrei chiedere al collega Mastino se è disposto ad emendare il suo testo aggiungendo alla fine le seguenti parole: «nei giudizi di Corte d’assise».

A tale condizione alcuni colleghi voterebbero a favore.

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di rispondere.

MASTINO PIETRO. Non accetto l’aggiunta proposta dall’onorevole Leone, in quanto limiterei quella libertà di movimento e quella libertà di decisione che intendo, invece, sia conferita al legislatore.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Dichiaro di votare contro e mi permetto di segnalare all’Assemblea che coloro che voteranno l’emendamento Mastino, voteranno una norma per la quale domani sarebbe possibile introdurre l’elemento popolare anche in Corte di cassazione. (Commenti a sinistra). Ciascuno interpreti la formula a suo modo; io, modestamente, attraverso una modesta vita di studioso, ho dimostrato di saper interpretare le norme di legge.

Ora io dico, riallacciandomi a questa modesta tradizione personale, che quando sarà votata questa norma – e lo segnalo soprattutto agli amici di altri settori –, si renderà possibile introdurre l’elemento popolare in tutte le magistrature, compreso quel giudizio di Corte di cassazione, che è squisitamente ed esclusivamente tecnico. (Commenti a sinistra).

È bene che ai colleghi, che si accingono a votare questa formula, sia chiara questa precisazione che lo stesso presentatore dell’emendamento ha dato adesso. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma testé letto.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo al secondo comma, del seguente tenore:

«Questa partecipazione è obbligatoria nei processi per delitti politici».

Su questo comma è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Crispo, Cifaldi, Villabruna, Condorelli, Perrone Capano, Tumminelli, Mastrojanni, Gullo Rocco, Rodinò Mario, Treves, Abozzi, Miccolis, Delli Castelli Filomena, Rognoni, Marinaro, Bencivenga, Romano, Colonna, De Martino, De Caro Raffaele.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Ho chiesto di parlare, perché vorrei pregare il proponente di questo emendamento aggiuntivo di considerare una particolare situazione.

Posso far presente ad un mio predecessore al Ministero di grazia e giustizia quale l’onorevole Togliatti, che vi è oggi una Commissione per la riforma del Codice di procedura penale. Da questa Commissione, presieduta da Sua Eccellenza Miraolo, che è uno dei più illustri magistrati che noi abbiamo, questo sistema della Corte di assise è stato considerato; soltanto viene spostato nel senso che, mentre per le vecchie disposizioni la competenza della Corte d’assise era fissata con criteri quantitativi ossia in relazione alla misura del reato, ora viene fissata con criteri qualitativi, e quindi sono stabiliti i delitti che vengono ad essere considerati per la loro gravità o per la loro natura di competenza della Corte d’assise.

Quindi, data questa situazione, per cui i principali delitti politici vengono ad essere compresi nella competenza delle Corti d’assise dal nuovo Codice di procedura penale, io penso che sia opportuno che la Costituente non determini una votazione su questo punto. Tanto più che l’articolo 8 del Codice penale stabilisce che sono delitti politici anche i delitti comuni commessi con finalità politica.

Si tratta di una materia nella quale oggi, con questa aggiunta, noi potremmo pregiudicare il criterio qualitativo, che invece la Commissione per il nuovo Codice di procedura penale intende presentare al Parlamento.

Con questa mia dichiarazione non so se l’onorevole Togliatti voglia insistere ancora, perché si proceda ad una votazione, che potrebbe pregiudicare un principio già affermato e che sarà considerato nella legislazione futura.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Ho ascoltato con interesse le dichiarazioni dell’onorevole Guardasigilli…

GRASSI. Ho parlato come deputato e non come Ministro.

TOGLIATTI. …dichiarazioni che corrispondono ad un lavoro al quale, del resto, ho dato inizio io stesso, quand’ero al Ministero della giustizia. La competenza della giuria può essere appunto determinata per qualità o per quantità. La determinazione puramente quantitativa non può essere accettata, in quanto esistono reati che pur essendo colpiti da pene molto severe, difficilmente possono essere affidati al giudizio della giuria popolare per il loro carattere tecnico. La determinazione qualitativa, però, che mi pare essere superiore ad ogni discussione, è quella che riguarda il reato politico e quello di stampa. Questo è il terreno caratteristico della giuria popolare. Se la giuria popolare ha avuto dei meriti, se è stata un organismo che ha affermato la propria necessità, è proprio in quanto, in determinati periodi e per i suoi giudizi di reati politici, ha fermato l’azione repressiva reazionaria del potere esecutivo. Questo è stato il grande merito storico della giuria popolare. Ora l’onorevole Guardasigilli mi dice che in questo senso sta lavorando la Commissione presieduta da Sua Eccellenza Miraolo per la redazione del nuovo Codice di procedura penale. Sta bene. Ma allora, perché farebbe ostacolo il fatto che nella Costituzione sanciamo un principio che questa Commissione stessa sta accettando nel suo lavoro?

Ci dia l’onorevole Guardasigilli una formula, che permetta di garantire il principio che vogliamo garantito. Noi siamo in un’Assemblea politica ed ogni nostro voto ha un valore politico. Se, essendo stata sollevata la questione, avremo un voto negativo, o anche se verrà ritirato l’emendamento, nessuno impedirà a un futuro legislatore di dire che l’Assemblea Costituente non ha voluto il giudizio della giuria popolare per i reati politici. E allora ci troveremmo in una situazione difficile.

Per questi motivi prego l’onorevole Grassi di darci una formula su cui si possa votare a grande maggioranza, anche senza scrutinio segreto, per soddisfare la legittima esigenza da noi presentata, e che è anche quella riconosciuta dalla Commissione presieduta da Sua Eccellenza Miraolo.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Non voglio insistere. La mia era una preghiera rivolta al proponente: non è una dichiarazione di voto.

Però io insisterei ancora presso l’onorevole Togliatti per fargli considerare che una votazione in senso negativo pregiudicherebbe la tesi che egli vuole sostenere. Quindi sarebbe meglio lasciarla impregiudicata e lasciare al legislatore di domani di considerarla; e non può non considerarla, dal momento che si indirizza la legge ad un criterio qualitativo.

D’altra parte una formula. generica – specialmente «delitti politici» – potrebbe essere eccessiva da un certo punto di vista, in quanto potrebbe comprenderne alcuni, che potrebbero essere tecnicamente e giustamente esclusi; d’altra parte, dando forma prevalente a questa categoria, verremmo a togliere forse valore a tutti gli altri delitti che verrebbero ad essere compresi qualitativamente nella competenza delle Corti di assise ordinarie.

Per queste considerazioni potrebbe essere trasformato in ordine del giorno l’emendamento dell’onorevole Togliatti. In tal senso avrà il suo peso e lo potremo votare in forma generica. Ma fare una votazione specifica potrebbe compromettere le stesse ragioni alle quali l’onorevole Togliatti affida il suo emendamento.

PRESIDENTE. Domando all’onorevole Togliatti se accede a questa proposta.

TOGLIATTI. Sì, l’onorevole Grassi avanza adesso una proposta che mi pare accettabile: fare cioè dell’emendamento un ordine del giorno sul quale esprimere un voto.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il testo proposto dall’onorevole Togliatti e dall’onorevole Grassi è il seguente:

«L’Assemblea Costituente afferma che i delitti politici debbano essere compresi nella competenza delle Corti di assise ordinarie e demanda al nuovo Codice di procedura penale la loro determinazione concreta».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Prima di conoscere questo ordine del giorno, volevo fare una osservazione di carattere generale, e cioè che avevo l’impressione che, dopo aver cominciato molto bene nella discussione, e cioè con la rivendicazione di quello che era stato il principio votato dalla Commissione dei Settantacinque e che portava all’affermazione della permanenza dei giurati nelle Corti d’assise, finivamo se non proprio male, certo meno bene, perché la Commissione dei Settantacinque molto opportunamente si era limitata ad affermare un principio che riterrei indispensabile fosse posto nella Costituzione, in quanto afferma una giurisdizione diretta, mentre la Carta costituzionale dice in forma generale che la Magistratura pronuncia in nome del popolo, il che significa una giurisdizione indiretta.

Ma se adesso abbandoniamo la statuizione di questo principio fondamentale, e lasciamo eventualmente la Costituzione del tutto lacunosa per sostituirvi un ordine del giorno, che mi pare discretamente affrettato nella sua compilazione, finiamo per lasciare nel vuoto quella che è invece, secondo me, la esigenza fondamentale di affermare la giurisdizione diretta quale era determinata dall’articolo, che avrebbe potuto essere coordinato con quei principio generale dell’articolo 94 in sede di redazione del testo definitivo. E questo era, secondo la mia modestissima opinione, il vero compito della Commissione dei Diciotto. Là dove è detto all’articolo 94: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo» poteva proseguirsi aggiungendo: «ed anche direttamente mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise». Avremmo così fatto un articolo solo, e avremmo riempito l’esigenza logica di stabilire il principio e la eccezione. E lasciando impregiudicata la questione della competenza quantitativa e della competenza qualitativa, avremmo fatto un’opera saggia, mentre invece attualmente noi ci incamminiamo in una deviazione molto inopportuna, perché qui dobbiamo stabilire degli articoli di Costituzione e non degli ordini del giorno, che sono direttive un po’ campate in aria, perché i delitti politici sono di una gamma così vasta, così diversa (possono anche eventualmente richiedere delle repressioni immediate meno adatte a dei delitti che presuppongono un’istruzione formale), che mi pare che la formulazione dei casi concreti di competenza qualitativa deve trovar posto nel Codice di procedura penale e non nella formulazione della Costituzione. E quindi io, facendo miei in sostanza, quali emendamenti, i testi del progetto della Commissione dei Settantacinque, propongo di tenerli invariati, salvo collocare praticamente l’articolo 96 come una aggiunta al primo comma, già votato, dell’articolo 94, il quale quindi suonerebbe così: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo il quale vi partecipa anche direttamente con l’istituto della giuria nei processi di Corte di assise».

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, se lei propone semplicemente che il Comitato dei Diciotto o la Commissione dei Settantacinque, nel coordinamento, possa fondere fra loro gli articoli 94 e 96, sarà fatto. Ma se lei adesso chiede che vi si aggiunga l’indicazione della giuria e delle Corti di assise, le ricordo che abbiamo già votato il testo proposto dell’onorevole Mastino Pietro e che pertanto non possiamo ritornare su una decisione già presa.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Ho chiesto di parlare non per una dichiarazione di voto, ma per una pregiudiziale che mi pare indiscutibile a termine del Regolamento. Noi abbiamo l’articolo 87 del Regolamento che dice: «Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni.

«Tali ordini del giorno sono votati prima che sia posto termine alla discussione generale». E a conferma di questo, ricordo l’inizio dell’articolo 88 che dice: «Chiusa la discussione generale ai Ministri è data facoltà di parlare per semplici dichiarazioni ecc.».

Ora, è chiaro che la presentazione dell’ordine del giorno, che in questo momento è stata fatta dall’onorevole Togliatti e dall’onorevole Grassi, a termine del Regolamento, è assolutamente fuori tempo e fuori luogo. Ora vorrei, per quella doverosa correttezza che dobbiamo avere nei nostri confronti, pregare il proponente dell’emendamento, prima di ritirare l’emendamento che ha proposto, di tenere conto di questa considerazione; perché, per questi motivi, se volesse ritirare l’emendamento e se si addivenisse alla votazione dell’ordine del giorno, noi saremmo costretti a chiedere l’applicazione di questo articolo 87, che ne impedisce la votazione.

PRESIDENTE. Di fronte all’eccezione da lui sollevata vorrei porre un quesito all’onorevole Badini Confalonieri. È evidente che il Regolamento si osserva, e deve essere osservato; ma il Regolamento non deve essere un feticcio. (Commenti). Io desidererei sapere, onorevole Badini, quale sia lo scopo della sua eccezione; perché, se con la sua eccezione volesse impedire una votazione di merito, allora io la comprenderei e direi: «lei fa bene a richiamarsi al Regolamento, perché il Regolamento si propone di tutelare e salvaguardare nelle questioni di merito – cioè sostanziali – gli atteggiamenti e le posizioni dei membri dell’Assemblea». Ma, poiché bisogna pur procedere alla votazione di un emendamento, e l’ordine del giorno non è che sostitutivo per le ragioni di opportunità fatte presenti dal Ministro di grazia e giustizia, io desidero appunto sapere se con la sua eccezione lei intende o pensa di evitare la votazione di merito, oppure vuole significare che ritiene che questa votazione sia più opportuna che avvenga sotto forma di emendamento alla Costituzione, anziché di un ordine del giorno che non verrà inserito nel testo Costituzionale.

BADINI CONFALONIERI. Sono perfettamente d’accordo con lei che il Regolamento non deve essere un feticcio: deve però essere una garanzia per tutti noi. In questo senso mi sono appellato al Regolamento; e la garanzia è proprio in questo caso una garanzia di chiarezza. Ho voluto fare questa eccezione e l’avrei fatta ancora prima di quando ha parlato l’onorevole Fabbri, se ella, onorevole Presidente, mi avesse visto, quando ho alzato la mano.

PRESIDENTE. L’ho vista, ma l’onorevole Fabbri aveva chiesto di parlare prima di lei.

BADINI CONFALONIERI. Ha voluto essere un atto di correttezza il mio, prima che l’onorevole Togliatti ritirasse l’emendamento, perché oggi possa non ritirarlo e l’emendamento possa essere posto in votazione; ci sia quindi una votazione che sia di chiarezza.

In questo senso mi sono appellato al Regolamento ed in questo senso insisto nella istanza.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Se rileggiamo il resoconto della discussione fatta in quest’Aula a proposito dell’emendamento Giolitti trasformato in ordine del giorno sul collegio uninominale, notiamo che allora furono fatte le stesse osservazioni oggi avanzate dall’onorevole Badini Confalonieri: Ci troviamo pertanto di fronte ad un precedente, risolto dall’Assemblea a favore della trasformazione dell’emendamento in ordine del giorno e della sua votazione.

Mi appello a questo precedente e chiedo al Presidente di porre in votazione l’ordine del giorno.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Io ricordo la particolare discussione sull’ordine del giorno Giolitti. Dico, però, una cosa, che per me è essenziale: il precedente citato dall’onorevole Laconi non sposta la situazione, perché il Regolamento c’è e non viene a mancare per un precedente contrario, e cioè per la mancanza di riferimento al Regolamento in cui siamo incorsi una volta. Sta di fatto che da oggi in poi, conoscendo il Regolamento, lo applicheremo. Si vede che quella volta neanche l’onorevole Laconi conosceva l’articolo 87, al quale non si credette di fare riferimento.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sta di fatto, e l’ho voluto confrontare, onorevole Laconi, che il precedente da lei invocato esiste, ma ha ragione l’onorevole Badini Confalonieri, nel senso che il precedente non può mutare una disposizione di Regolamento, sin quando l’Assemblea non faccia, di questo precedente, una disposizione sostitutiva di quella che già vigeva.

Desidero però far presente che, pur avendo adottato il Regolamento della Camera, in cui è contenuto l’articolo richiamato dall’onorevole Badini Confalonieri, questa Assemblea più volte ha sentito la necessità, direi, di completarlo, in funzione dei particolari compiti che essa ha; e, come qualche collega ricordava, l’Assemblea, non solo in occasione della votazione dell’ordine del giorno Giolitti, a cui si è proceduto dopo concluse tutte le votazioni sull’articolo 53, ma su proposta di colleghi di varia parte, di volta in volta, ha votato altre disposizioni, che si era ritenuto non dovessero far parte del testo costituzionale, ma su cui l’Assemblea dovesse dire la sua parola, che servisse come orientamento per il legislatore futuro. Così, per esempio, un articolo aggiuntivo a suo tempo presentato in relazione alle particolari provvidenze che la Repubblica deve disporre a favore dei mutilati e degli ex combattenti, fu trasformato in ordine del giorno, appunto perché si ritenne che non dovesse essere incluso nel testo costituzionale, pur riconoscendo di non poter tacere sull’argomento.

Questa è la posizione. L’onorevole Badini Confalonieri comunque, in questo momento, ha dalla sua la forza del Regolamento e se egli la invoca, evidentemente, il Regolamento deve essere applicato. Vuol dire che gli onorevoli Togliatti e Grassi vedranno se sia il caso di immediatamente ritrasformare in emendamento il loro ordine del giorno e rimettersi quindi nella posizione iniziale.

MAZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZA. Ad evitare discussioni inutili e poiché ritengo che su questo argomento l’Assemblea debba dire chiaramente la sua parola, faccio mio l’emendamento dell’onorevole Togliatti e dichiaro di votar contro di esso. (Commenti).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare, signor Presidente, che l’Assemblea stabilì un precedente, non come eccezione al Regolamento, bensì come applicazione corretta del Regolamento stesso. L’onorevole Badini non ha dalla sua parte la forza del Regolamento, ma del Regolamento mal letto. Il Regolamento dice esattamente: «Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni». Il Regolamento non dice affatto, in nessuna sua parte, che non possano essere presentali ordini del giorno di altro carattere e altro fine in altra sede.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Io ho fatto questa proposta all’onorevole Togliatti nel desiderio di far guadagnare tempo all’Assemblea, e non pensavo che questo avesse potuto portare una discussione sul Regolamento e sulla sua interpretazione. Ritiro perciò la proposta e dico di votare. Dal momento che si deve votare e dal momento che è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto sull’ordine del giorno, non vale la pena di occuparci ulteriormente della questione.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Non mi interessa la interpretazione del Regolamento; mi interessa il fondo della questione, e se avevo acceduto alla proposta di trasformare l’emendamento in ordine del giorno, era per contribuire ad accelerare i nostri lavori, e anche perché mi pareva che in un’Assemblea come questa non si poteva che accettare questo punto di vista. Ricordo che anche nel memoriale presentato dall’Associazione dei magistrati, che conteneva proposte sull’ordinamento della giustizia, che noi in parte abbiamo adottato e in parte no, veniva richiesto che tutti i processi per reati politici venissero deferiti alla Corte d’assise. Per questo ritenevo che la questione non potesse dare luogo, non dico a una votazione a scrutinio segreto, ma nemmeno a serio dibattito. Ma, poiché la votazione ci deve essere, ed essa sarà ad ogni modo a scrutinio segreto, mi pare che tanto vale che non ci si richiami al Regolamento, e che si voti per l’emendamento.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Costantini?

COSTANTINI. Sulla questione del Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, la questione è superata.

Poiché gli stessi proponenti della trasformazione in ordine del giorno dell’emendamento rinunciano alla loro proposta, non c’è che da passare alla votazione.

COSTANTINI. Chiedo di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi sembra che la questione di forma sollevata dall’onorevole Badini meriti la nostra attenzione, perché noi dobbiamo stabilire se si possono trasformare gli emendamenti in ordine del giorno, o viceversa, in determinate circostanze, per non trovarci poi in situazioni che possono anche paralizzare il lavoro dell’Assemblea. Mi pare che questa sia questione così importante da meritare subito una soluzione.

PRESIDENTE. Mi pare che la questione non debba essere risolta in questo momento. Ora procediamo alla votazione.

COSTANTINI. Io insisto su quanto ho detto: non essendovi una disposizione che stabilisca quando, in forma tassativa, debbano o non debbano essere presentati ordini del giorno soggetti a votazione, mi sembra che sia importante che l’Assemblea interpreti il Regolamento al fine dei lavori successivi ed alla stregua dell’articolo 92.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Visto che i proponenti hanno rinunciato all’ordine del giorno per ritornare all’emendamento, nessuna difficoltà a procedere in questo senso. Io vorrei pregare però l’Assemblea di lasciare impregiudicata la questione sollevata, che ha indubbiamente la sua importanza e può essere molto importante pei nostri lavori.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Poiché i proponenti dell’ordine del giorno hanno ripreso la forma dell’emendamento e rinunciato a quella dell’ordine del giorno e quindi la questione di merito regolamentare non è pregiudicata, passiamo alla votazione segreta del secondo comma dell’emendamento Mastino Pietro:

«Questa partecipazione è obbligatoria per i processi di delitti politici».

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     299

Maggioranza           150

Voti favorevoli        111

Voti contrari            188

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Andreotti – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Bartalini – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosi – Bozzi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Caccuri – Cairo – Calamandrei – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canapa – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli– Cerreti – Cevolotto – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corsanego – Corsi – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Amico – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio.

Ermini.

Fabbri – Facchinetti – Fantoni – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Leone Giovanni – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Piemonte – Pignatari – Ponti – Preti – Priolo – Puoti.

Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Saragat – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scoca – Scoccimarro – Silipo – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigo – Villabruna – Villani – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Bergamini.

Carmagnola – Cavallari.

Dugoni.

Jacini.

Lizzadri.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni – Tosi.

Vanoni – Viale – Vischioni.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per l’articolo 96 vi è ancora un emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Mannironi, Carboni Angelo, Mortati, Sansone, Clerici, e altri, del seguente tenore:

«Le sentenze della Corte di assise sono soggette ad appello nei modi stabiliti dalla legge».

Onorevole Mannironi, lei mantiene il suo emendamento?

MANNIRONI. Sì, lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora, vorrei pregarla di dare, quanto meno, a questo suo testo una formulazione che lo renda più consono al testo approvato dall’Assemblea, nel quale non si parla di Corti d’assise.

MANNIRONI. Io non tengo tanto alla forma; desidererei soltanto che l’Assemblea si pronunciasse sul principio, secondo il quale tutte le sentenze, di ogni autorità giudiziaria, possano essere soggette ad appello. Questo è il principio che a me preme sia affermato.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, noi dovremo ancora esaminare la seconda Sezione di questo Titolo: «Norme sulla giurisdizione», nella quale appunto sono articoli che trattano degli appelli, dei ricorsi. Potrebbe rimandare la votazione del suo emendamento in quella sede.

MANNIRONI. Mi duole di non poter aderire integralmente al suo invito, signor Presidente. Io potrei aderire alla proposta di inserire questo emendamento in un altro articolo della Costituzione; però insisterei perché oggi la votazione sia fatta sul principio.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la invito ad esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io vorrei far presente la difficoltà di poterci pronunciare subito. Tutte le sentenze sono appellabili: mi pare un principio che giuridicamente non possa essere ammesso. Vi sono sentenze che per l’importo delle controversie o per la materia cui si riferiscono non sembrano suscettibili d’appello. Siamo disposti a considerare la proposta dell’onorevole Mannironi, ma non possiamo decidere su due piedi.

D’altra parte, come aveva osservato il nostro Presidente, nella sezione seconda, all’articolo 102, è contemplato il ricorso poi cassazione.

In questa sede potremo cercare di esaminare anche il problema degli appelli ad organi di secondo grado.

L’onorevole Mannironi, che desidera che questa questione si inserisca nella Costituzione, potrebbe presentarla e discuterla all’articolo 102.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, acconsente?

MANNIRONI. Accetto la proposta dell’onorevole Ruini, a condizione che si resti d’intesa che il principio sarà messo in votazione in sede di discussione dell’articolo 102.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sarà discusso.

ROMANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha. facoltà.

ROMANO. Penso che l’emendamento presentato dall’onorevole Mannironi dovrebbe essere completato, in quanto, se egli volesse affermare il principio dell’appello avverso le sentenze di Corte di assise, bisognerebbe determinare l’organo. Se l’appello dovesse essere portato in Cassazione, si snaturerebbe l’istituto.

PRESIDENTE. Onorevole Romano, rimettendosi in sede di esame dell’articolo 102 la discussione di questa proposta, lei potrà fare le sue osservazioni.

Resta stabilito che la proposta dell’onorevole Mannironi sarà presa in esame in sede di discussione dell’articolo 102.

L’articolo 96 risulta così approvato nel suo complesso:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia».

Il seguito di questa discussione è rinviai» a domani alle 11.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali misure siano state adottate e si intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi avvenimenti di Puglia.

«Monterisi».

«Al Ministro dei trasporti, per sapere se l’Amministrazione che egli presiede si rende conto della inderogabile, assoluta necessità che, dovendosi in Pescara ricostruire e riparare gli edifici e gli impianti ferroviari – che vennero distrutti o danneggiati dalla guerra per effetto della importanza che essi avevano ai fini militari ed economici – si proceda all’arretramento di tali edifizi ed impianti – come dai vari progetti all’uopo presentati alla stessa Amministrazione – sì da consentire lo sviluppo edilizio, industriale e commerciale della città, che diversamente verrebbe per sempre impedito.

«Ad evitare tale gravissimo pericolo, riconosciuto di recente, sul posto, anche dal Sottosegretario ai trasporti e che ha messo in agitazione la cittadinanza, si provveda innanzi tutto a ordinare formalmente la sospensione dei già disposti lavori di ripristino degli attuali impianti e si accolga, finalmente, il voto unanime della stessa città e della intera regione – dal quale l’Amministrazione non può prescindere – dell’arretramento di tutta la zona ferroviaria per la cui realizzazione il maggior onere finanziario verrebbe compensato dalla vendita delle cospicue aree di risulta.

«Paolucci».

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti intenda adottare per rimuovere le cause che hanno determinato ancora una volta lo spargimento di sangue proletario nelle Puglie.

«Pastore Raffaele».

«Al Ministro degli affari esteri e al Presidente del Consiglio dei Ministri (assistenza ai reduci e ai partigiani), per sapere se e quali provvedimenti siano in corso per la ricerca dei dispersi nella campagna di Russia e se, di fronte alle ricorrenti notizie riportate dalla stampa circa l’esistenza di nuclei di dispersi ed alle frequenti segnalazioni di singoli nominativi, non si ritenga necessario disporre per un rilievo sistematico di tali segnalazioni e per il loro controllo, e soprattutto per ottenere che sia opportunamente sollecitata l’estensione di tali ricerche in loco; quali provvedimenti si impongono anche alla finalità di troncare lo stato di angosciosa attesa in cui versano le famiglie interessate.

«Bubbio».

«Ai Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere se non si ritenga urgente ed indilazionabile dare disposizioni per l’immediato pagamento ai comuni dei proventi della tassa sui cinematografi; e ciò in relazione alle esigenze in cui versano i comuni stessi dibattentisi in gravissime difficoltà di cassa, e tenuto conto del fatto essenziale che trattasi di somme liquide, già da tempo percepite dallo Stato, tramite la Società autori ed editori, e che senza complicazioni e ritardi ingiustificati dovrebbero almeno trimestralmente essere versate agli enti interessati.

«Bubbio».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Interesserò i Ministri interrogati affinché facciano sapere al più presto quando intendono rispondere.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritenga urgente adeguare le pensioni degli impiegati all’attuale costo della vita.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere lo stato attuale della vertenza sorta dalla richiesta del comune di Priverno della restituzione di territorio dal comune di Pontinia in provincia di Latina; e, inoltre, per sapere se, in considerazione della delicatezza della questione, la cui soluzione potrebbe risolversi in una eventuale ingiustizia o comunque apparire tale, il Ministro, in armonia col nuovo clima democratico e con la norma già consacrata nella Costituzione, non creda opportuno premettere ad ogni qualsiasi decisione la libera consultazione della popolazione residente nel territorio contestato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali ostacoli si frappongano alla esecuzione del progetto di arretramento degli impianti ferroviari di Pescara, in conformità dei voti espressi unanimemente da quella amministrazione comunale e che risponde ad una esigenza vitale dello sviluppo edilizio di quell’importante capoluogo di provincia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lopardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni per le quali non si è ancora provveduto alla nomina dei titolari delle numerose preture esistenti nella provincia di Campobasso, con grave danno dei privati e dell’amministrazione stessa della giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se ritenga o meno opportuno emanare un provvedimento legislativo «per l’assicurazione obbligatoria contro i danni prodotti dalla grandine nella coltivazione del tabacco per conto dello Stato».

«In proposito l’interrogante ebbe a presentare, «di sua iniziativa», una proposta di legge, che fu svolta e presa in considerazione nella seduta del 3 giugno 1922 (Atti parlamentari – Camera dei deputati – Legislatura XXVI – Sessione 1921-22 – Documento u. 1599) e che non poté aver seguito per i successivi eventi politici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se, essendo stata accordata sanatoria per i matrimoni contratti senza l’autorizzazione, secondo le leggi del tempo, durante il periodo di sbandamento dei carabinieri, non si ritenga conforme ad equità e giustizia, concedere ora l’autorizzazione a contrarre matrimonio senza vincolo di turni a quei carabinieri i quali, pur essendosi trovati nella possibilità di seguire l’esempio dei loro colleghi, preferirono astenersi da tale atto arbitrario, dando con ciò prova di disciplina. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montagnana Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della marina mercantile e del tesoro, per conoscere se intendano adottare le provvidenze necessarie alla ricostruzione del naviglio peschereccio, emanando particolari norme per il risarcimento dei danni di guerra e stabilendo contributi per agevolare le nuove costruzioni, specialmente a cura delle cooperative fra pescatori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corsi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intendano prendere per venire incontro al grave disagio in cui si è venuta a trovare la categoria degli ufficiali dell’Esercito collocati nella riserva tra il giugno 1940 e l’8 settembre 1943 perché colpiti dalle inique leggi fasciste del maggio 1940, che, sotto lo specioso pretesto del ringiovanimento dei quadri, hanno eliminato dal servizio attivo permanente un numero imponente di ufficiali di ogni grado, perfettamente a posto sia dal punto di vista professionale che da quello morale; benemerita categoria che non ha avuto mai interruzioni di servizio o di carriera, ha servito fedelmente e lealmente la Patria per quasi un quarantennio, ed oggi è costretta letteralmente alla fame, perché – allontanata, con provvedimento intempestivo e inumano, dal servizio, nel luglio 1944, all’atto della liberazione – pur non avendo aderito, collaborato, giurato con l’Esercito del Nord, e che liquida oggi, mensilmente, neppure quanto liquida un garzone di bottega.

«E per conoscere, altresì, se non ritengano di estendere, anche a questa categoria, provvidenze di carattere economico analoghe a quelle contenute nella legge n. 284 del maggio 1946, dalle quali gli ufficiali collocati nella riserva anteriormente all’8 settembre sono esclusi, pur avendo benemerenze militari, ossia gli stessi titoli, che hanno gli ufficiali collocati nella riserva dopo l’8 settembre e che di tali provvidenze possono godere; o, quanto meno, se non ritengano di emanare adeguati provvedimenti legislativi per aggiornare le leggi del 1940, nella sostanza delle quali è chiaramente e indiscutibilmente contenuto l’impegno, da parte dell’amministrazione militare, di concedere agli ufficiali trasferiti nella riserva i quattro quinti del trattamento globale concesso ai pari grado rimasti nel servizio effettivo permanente; tenendo presente, a questo riguardo, che, in base al contenuto di quelle leggi, un ufficiale superiore dell’Esercito, nella riserva, dovrebbe liquidare sulle 24-25 mila lire mensili (ossia i quattro quinti di quanto oggi liquida il pari grado del servizio permanente effettivo) contro le 8-10 mila lire mensili che, in effetti, liquida oggi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della difesa, perché consideri se non sia opportuno promuovere un provvedimento legislativo, in virtù del quale si faccia, agli ufficiali dell’Esercito non di carriera, ché sono stati posti in congedo, lo stesso trattamento di quiescenza spettante ai sottufficiali di carriera. Spesso trattasi di persone che hanno servito la Patria per diversi lustri, che hanno famiglia e trovansi in non floride condizioni economiche, per cui, messi d’improvviso sul lastrico, non sanno ora come fare per vivere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali efficienti e rapide norme legislative e amministrative intendano promuovere allo scopo di andare incontro alle gravi esigenze finanziarie delle imprese e cooperative di costruzione, le quali non riescono tempestivamente a riscuotere gli acconti, i saldi contrattuali e le revisioni dei prezzi, mentre si trovano esposte oggi ad eccessive pressioni bancarie dirette a conseguire il ricupero delle somme date in mutuo, pressioni che da un lato mettono in luce le conseguenze e i danni delle inadempienze dello Stato e dall’altro rischiano di compromettere la vasta ed urgente ricostruzione nazionale e di gettare sul lastrico, con la chiusura dei cantieri, diecine e diecine di migliaia di lavoratori impiegati nelle opere pubbliche.

«Per conoscere, in particolare, i motivi che hanno indotta fin qui l’Amministrazione dei lavori pubblici a non inserire nel testo del disegno di legge in corso riguardante la revisione dei prezzi una norma che contempli e consenta, sia pure con facoltà direzionale delle pubbliche stazioni appaltanti, la revisione dei prezzi in tutti i rapporti contrattuali intervenuti dopo il decreto legislativo luogotenenziale 5 maggio 1945, norma che si appalesa indispensabile, dato che l’emanazione del detto decreto indusse in errore gli uffici tecnici dell’Amministrazione, i quali ritennero che la revisione, svincolata ormai dal termine di durata dei lavori, dovesse spettare agli assuntori ope legis e pertanto non fosse necessaria l’inserzione di apposite clausole nei contratti, errore grave che determinò la convinzione delle ditte di costruzioni di aver titolo al rimborso degli aumenti di mercato e viziò, quindi, il consenso dato al momento delle pattuizioni. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Capua, Penna Ottavia, Abozzi, Venduti».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se, dopo la discussione della interrogazione circa l’intendimento del Governo di «mettere finalmente un termine alla vita dell’ARAR che occupa da anni impianti dell’industria privata, con pregiudizio dell’economia nazionale e con aggravamento del problema della disoccupazione» – nella quale discussione il Sottosegretario di Stato per il tesoro rese delle dichiarazioni che non hanno sodisfatto i sottoscritti – intenda o meno prendere dei provvedimenti perché la liquidazione dell’ARAR proceda almeno con ritmo più accelerato, lottizzando e cedendo al migliore offerente, con procedura sollecita, i materiali residuati; disponendo nel contempo una inchiesta che esamini e controlli la regolarità della gestione finora esercita, per cui nella pubblica opinione sono diffuse voci ed apprensioni per gravi irregolarità. E tutto ciò per evitare ulteriori deterioramenti; per liquidare oggi ciò che domani sarebbe liquidabile a prezzi inferiori; per evitare lo stabilizzarsi di una dannosa burocrazia; per restituire alla produzione gli stabilimenti ed i terreni ancora occupati; per togliere, almeno nel più breve tempo possibile, dinanzi agli occhi dei cittadini, un ricordo visivo di un periodo triste della storia nazionale.

«De Martino, Rodinò Mario, Rubilli, Geuna, Angelucci, Monterisi, Romano, Mastrojanni, Bellavista, Covelli, Condorelli, Notarianni, Cannizzo, Coppa, Mazza, Numeroso, Penna Ottavia, Martino Gaetano, Finocchiaro Aprile, Di Fausto, Martinelli, Riccio Stefano, Crispo, Cortese, Bergamini, Colitto, Selvaggi, Bencivenga, Benedettini, Bozzi, Puoti, Firrao, Badini Confalonieri, Codacci Pisanelli, Fresa, Nobile, De Mercurio, Marinaro, De Falco, Abozzi, Miccolis, Perugi, Venditti, Vallone, Corsini, Capua, Morelli Renato».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testò lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 19.35.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Conti

Geuna

Presidente

Condorelli

Tonello

Codacci Pisanelli

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione delia Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Grassi

Ghidini

Leone Giovanni

Togliatti

Laconi

Conti

Crispo

Targetti

Rubilli

Moro

Mazza

Monticelli

Ruggiero Carlo

Villabruna

Mastino Pietro

Gabrieli

Scalfaro

Castiglia

Perrone Capano

Nobili Tito Oro

Abozzi

Romano

Cairo

Persico

Coccia

Sapienza

Coppi

Gasparotto

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Sul processo verbale.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi! È stata opportunamente eliminata dagli atti una parola che io dissi scherzosamente all’onorevole Russo Perez.

È rimasta però nel verbale e negli atti una parola grave. Quando affermai che il ferimento di Aspromonte fu voluto da Vittorio Emanuele, con l’invio di 60 battaglioni comandati da Cialdini, l’onorevole Condorelli, non col tono scherzoso che io avevo usato nel rivolgere la mia parola all’onorevole Russo Perez, ma con tono – se me lo permette – imperioso e orgoglioso disse che quello che io dicevo non era vero: ciò che non è vero è falso.

Ora, io non posso, onorevoli colleghi, rimanere in silenzio sotto questo giudizio dell’onorevole Condorelli. Io feci alcune affermazioni sulla monarchia, sui rapporti della monarchia con la rivoluzione nazionale. Desidero precisare, anche per l’amico onorevole Condorelli, perché non resti fra noi un equivoco, che non voglio sussista in questo genere di discussione.

Dissi, prima di tutto, rivolgendomi all’onorevole Russo Perez, che bisogna ricordare i giudizi di Diego Tajani, che fu Procuratore generale alla Corte d’appello di Palermo e poi ripetutamente Ministro della giustizia e Vicepresidente della Camera.

Tajani in un discorso alla Camera nel 1875 si espresse in questi termini:

«Noi abbiamo colà (parlava della Sicilia) le leggi ordinarie derise, le istituzioni una ironia, la corruzione dappertutto, il favore la regola, la giustizia l’eccezione, il delitto intronizzato nel luogo della pubblica tutela, i rei fatti giudici, i giudici fatti rei ed una coorte di male interessati fatti arbitri della libertà, dell’onore, della vita dei cittadini. Dio immortale, cos’è mai questo se non il caos? Che cos’è mai questo caos se non il peggiore dei mali, l’anarchia di governo innanzi alla quale cento briganti di più e cento crimini di più sono un nulla che si scolorano?».

Cito soltanto questo brano di un grande discorso. Il resto può essere letto nei resoconti parlamentari.

Formulai un giudizio intorno a Cavour. Qui si fa del regionalismo storico! Ma non ha ragione d’essere; qui si deve ricordare e si deve rispettare la storia.

Mi duole che l’amico Bubbio, che ora non è presente, si senta di poter tanto profondamente adorare certi idoli; mi duole che il giovane amico onorevole Geuna si sia crucciato anche lui; ma purtroppo la storia è quella che è: l’unità d’Italia non è stata concepita da Cavour; egli operò per l’ingrandimento del dominio dei Savoia in Lombardia e nel Veneto.

Ma io debbo documentare; me lo permetta l’onorevole Presidente. Egli apprezzò questo genere di discussione, riconoscendone l’importanza per schiarire la coscienza pubblica. Leggo qualche periodo di uno scrittore monarchico, il Curatolo, che fu non solo uno scrittore monarchico, ma addirittura uno scrittore dinastico, direi quasi un cortigiano, uno dei tanti scrittori che hanno scritto per esaltare Casa Savoia.

Ebbene, leggo dall’opera sua dedicata a Vittorio Emanuele III. Il libro si intitola: «Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour nei fasti della Patria – Documenti inediti dedicati a Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, Sire, etc.».

Dice dunque il Curatolo a pagina 126: «Chi oserebbe disconoscere i grandi, gli immensi servigi resi dal Conte di Cavour alla grandezza d’Italia?». La domanda è un po’ retorica, ma lasciamo andare. «Ma la grandezza d’Italia fu, nella mente del Primo Ministro di Vittorio Emanuele II, nei primi anni in cui resse allora le fila del Governo, quella sognata da Giuseppe Mazzini nelle cospirazioni e nell’esilio, voluta da Garibaldi fin da quando, lasciate le terre d’America ancora echeggianti degli eroismi compiuti, veleggia con gli avanzi della sua legione verso la Patria?

«L’unità d’Italia sognata da principio dal Conte di Cavour non era l’Italia una. Essa era ancora il Regno di Eugenio Beauharnais: un’Italia ben diversa da quella, che con l’apostolato mazziniano fu creata dalla rivoluzione.

«L’unità d’Italia anelata dagli uomini del partito d’azione – a che il negarlo? – era ritenuta dal Ministro piemontese un sogno irrealizzabile, il prodotto di menti esaltate».

Questo aveva pensato del resto anche il grande storico Balbo quando aveva parlato di scolaruzzi di rettorica, di politici da dozzina.

«In verità, scrive ancora il Curatolo, fu soltanto verso la seconda metà del 1860, che l’unità d’Italia cominciò ad apparire nella mente di Cavour di esito probabile. In una nota lettera inviata il 3 agosto di quell’anno al Cabella, Cavour afferma che «se la grande impresa era reputata un’utopia due anni avanti, poteva ora ritenersi di esito probabile». In un’altra lettera – pur essa pubblicata e diretta a Rattazzi nel 1856, all’epoca del Congresso di Parigi, si dice: «Ho avuto una lunga conferenza con Manin; è sempre un utopista, non ha dimesso l’idea di una guerra schiettamente popolare, crede nell’efficacia della stampa, in tempi procellosi; vuole l’unità d’Italia ed altre corbellerie; ma, nulla meno, al caso pratico, se ne potrebbe tirar partito».

Questo fu il pensiero di Cavour, onorevoli colleghi.

Garibaldi ad Aspromonte. È tutta una pagina di vergogna per la monarchia. Garibaldi era odiato dai Savoia; Vittorio Emanuele cercava di accarezzarlo, di raggirarlo e di servirsene: e riuscì nel suo scopo.

PRESIDENTE. Onorevole Conti, la prego di concludere.

CONTI. Ho finito, signor Presidente. Io citai una frase attribuita a D’Azeglio. Prima di leggere quella nel documento, io desidero che si conosca quanto scrisse in un diario il Ministro degli esteri del tempo, Giacomo Durando. Il diario va dal 10 agosto 1862 in poi. Alla data 28 agosto egli scrisse:

«Consiglio dal re (cioè presso il re). Il re è di malumore; dice che Garibaldi ci darà molti fastidi; che due o tre volte Egli fu già da lui ingannato. (Avete udito, onorevoli colleghi! Garibaldi aveva ingannato Vittorio Emanuele: anche quando, due anni prima, gli donò un regno). Che quando Garibaldi si sente forte, gli scrive delle lettere insolenti; che senza prenderlo, non si finirà mai ogni cosa».

Precisò l’episodio Massimo d’Azeglio, il quale detestava Mazzini e Garibaldi.

Alberto Mario riferì ciò che narrò il D’Azeglio nella «Lega della democrazia», il giornale che dirigeva in Roma. Nel numero di martedì 30 agosto 1881, anno secondo, numero 242 (il volume è anche nella nostra Biblioteca) Alberto Mario, rievocando il delitto di Aspromonte scriveva tra l’altro: «Consiglio dei ministri: Rattazzi, Durando, Petitti, Conforti, Matteucci, Persano, Sella. Vittorio Emanuele aveva detto: ogni appello che non è il mio, è un appello alla ribellione, alla guerra civile. Massimo d’Azeglio narra che il re, alzatosi in piedi sul trono, stese la mano e comandò di percuotere».

Ecco qua, onorevoli colleghi; io mi riprometto di fare un estratto di questo breve mio dire e di offrirlo ai colleghi. Citerò altri documenti per chiarire nettamente la situazione storica, per chiarire questa tesi: l’Italia si è fatta per lotte della democrazia, del partito repubblicano: contro la monarchia. Quando l’Italia fu vicina a raggiungere l’unità la monarchia raccolse i risultati dell’azione dei repubblicani italiani, dei rivoluzionari d’Italia.

Non ho altro da dire. (Applausi).

GEUNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, non ritengo di dover abusare della pazienza dei colleghi continuando una discussione che si è impostata su aspetti storici appartenenti al passato. D’altronde non mi sono premurato di venir qui con la documentazione di testi voluminosi o impolverati per suffragare il mio dire.

Ho sentito ieri nel mio animo ripercuotersi dolorosamente le espressioni di un uomo, pure in perfetta buona fede. Quelle espressioni hanno fatto male al mio animo di onesto e leale avversario.

Però io voglio tornare sull’argomento col mio animo di piemontese, rivendicando che se c’è una regione in Italia – e chiedo ai colleghi di darmene atto – che non ha fatto pesare durante tutti i lavori della Costituente e anche in quest’ultimo periodo un suo concetto regionalistico che si sovrapponesse agli interessi della Patria, questa regione è proprio il Piemonte.

Ma appunto perché non abbiamo mai servito a nostri problemi contingenti in contrasto con quelli generali, in questo momento sentiamo a maggior ragione di dover difendere la nostra regione e il pensiero di questa gente piemontese, che ha posto le premesse perché l’Italia potesse trovare la sua unità. Si è voluto dire che noi abbiamo appreso nei testi di terza elementare la nostra storia patria. Io rispondo che noi l’abbiamo appresa sulle ginocchia dei nostri genitori e dei nostri nonni, che quella storia hanno vissuto e hanno fatto.

Io contesto che si possa rinnegare la figura di Cavour, anche senza dire con questo che vogliamo deificarla. Ed aggiungo che proprio noi piemontesi siamo lontani da questa mentalità: anche quando, sotto il passato regime, si deificava un uomo, tutti quelli che potevano essere gli errori e le colpe degli italiani sono stati condivisi in minima parte dalla mia regione, perché, se c’è stata una regione che si è duramente opposta a questa deificazione, è stata proprio la regione piemontese.

Una voce a sinistra. Ma che cosa c’entra questo? (Commenti).

PRESIDENTE. Facciano silenzio. È vero che l’Assemblea non è abituata alle sedute del lunedì mattina, ma non è questa una buona ragione per procedere oggi con tanto disordine. Onorevole Geuna, lei ha chiesto la parola sul processo verbale, non lo dimentichi.

GEUNA. Rimango al processo verbale. Io mi permetto di accennare all’onorevole Conti, che sa la mia lealtà e il mio rispettosissimo pensiero verso di lui, che proprio i suoi colleghi repubblicani piemontesi si riterrebbero offesi come me, se si cercasse di sminuire la figura di chi, in altro clima storico, non corrispondeva al suo pensiero attuale, ma lavorava per l’Italia.

PRESIDENTE. Onorevole Geuna ho sott’occhi il resoconto stenografico di ieri. Una volta sola, nel corso di tre ore, si è pronunciata la parola «piemontese». Una volta sola e dall’onorevole Condorelli, il quale, condividendo in questo problema l’opinione sua, non può certo averla adoperata in senso tale da rendere necessaria da parte sua una rettifica o una controdimostrazione. Ciò nonostante io le ho dato la parola. Ma proprio perché desidero che lei stia all’impegno assunto, di non entrare in un’esposizione di carattere storico, credo sia sufficiente quanto ella ha detto per esprimere la sua protesta.

GEUNA. Però osservo che l’onorevole Conti ha accennato con queste precise parole: «che solo nel 1861 Cavour aveva detto di poter intravedere l’unità d’Italia».

PRESIDENTE. Ma questo, scusi, non è un caso personale.

GEUNA. Comunque l’onorevole Conti si è sentito oggi di ampliare.

Io ritengo che gli accordi di Plombières siano almeno di tre anni anteriori alla data citata dall’onorevole Conti, e Plombières è stata la fase conclusiva, non l’inizio, di una politica per l’indipendenza e conseguente unificazione d’Italia!

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Conti aveva parlato nella seduta precedente e si è ritenuto chiamato in causa. Sul processo verbale si può parlare per proporre una rettifica, per chiarire o correggere il proprio pensiero, oppure per fatto personale.

GEUNA. Mi permetta, Presidente. Io ho premesso che, anche se sotto una modestissima veste, intendo rappresentare questa coscienza piemontese che non voleva essere né partigiana né regionalista. Ho creduto di precisare perché ieri sono insorto. Sono insorto (e credo di potermi perciò richiamare al processo verbale) ad un’altra espressione che si richiamava allo scrivere in francese di Vittorio Emanuele II, come prova documentata della non italianità di quel nostro re. Non era colpa né vostra né responsabilità nostra, se allora la nobiltà e la buona borghesia piemontese parlavano in francese per condizioni storiche, di cultura, di dominio francese da cui noi piemontesi ci siamo liberati, e se il francese era la lingua ufficiale delle Corti europee.

Federico II non conosceva quasi la lingua della sua terra, stante l’educazione ricevuta in Francia e non si può certo dire non abbia fatto il bene del suo Paese.

Napoleone I parlava malissimo il francese e nessuno oserebbe negargli la cittadinanza ad honorem, per la Francia.

Nella nostra Valle d’Aosta si parla francese e tutti gli atti notarili, civili, religiosi sono redatti anche in francese, e non si vorrà negare l’italianità dei valdostani.

Gli alto-atesini parlano tedesco e sono italiani.

I miei alpini della Valle Natisone – che mi scrivono in questi giorni lettere infiammate d’italianità – parlano sloveno e sono italiani.

Anche in Sardegna, in certi paesi si parla ancora spagnolo, ed è Italia.

Io riaffermo, quindi, fermamente il merito di Casa Savoia e del Conte Cavour per l’indipendenza e l’unità della nostra Patria. (Applausi a destra).

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che proposito, onorevole Condorelli?

CONDORELLI. Sul processo verbale, e credo che il proposito sia evidente a tutti.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. L’onorevole Conti – al quale rendo omaggio, e sono lieto di cogliere la presente occasione per rendere questo omaggio alla sua rettitudine – oggi è insorto contro quel mio «Non è vero!» triplicemente lanciatogli mentre egli accusava il re, che la storia d’Italia e tutto il popolo italiano ha sempre chiamato e chiama ancora il Padre della Patria, (Commenti a sinistra) di aver fatto fucilare Garibaldi ad Aspromonte!

Ma nulla l’onorevole Conti ha potuto oggi portare in questa Assemblea – sebbene abbia avuto due giorni per le ricerche – che possa confermare quelle che egli, nell’impeto dei suo entusiasmo repubblicano, ha affermato.

Che Vittorio Emanuele II, insieme con tutto il suo Governo, abbia sentito la necessità politica di fermare la marcia di Garibaldi ad Aspromonte, è cosa che non aveva bisogno di essere documentata, perché è risaputa, come è risaputo storicamente che la decisione corrispose alla necessità assoluta di impedire l’intervento francese in Italia. (Commenti a sinistra).

Ma che Vittorio Emanuele II abbia voluto che si facesse del male personalmente a Garibaldi è una maldicenza inventata allora dai repubblicani e che mi duole che dopo quasi novant’anni si ripeta in questa Assemblea. Lo stesso Garibaldi, che fu sempre affettuoso, non solo devoto, ma affettuoso amico di Vittorio Emanuele II, prima e poi, sarebbe stato pronto a smentirla, onorevole Conti! Non è con la maldicenza, onorevole Conti, che si fa la storia.

La storia ha ormai pronunciata la sua sentenza ed ha detto che c’è stata una dinastia eroica che ha scommesso i suoi destini, la sua esistenza, la propria vita, quella dei propri figli, per espellere l’Austria dall’Italia. (Rumori a sinistra). E l’insorgere del piccolo Piemonte contro l’Austria rimane sempre un fatto epico che va attribuito al coraggio, all’audacia, alla temerarietà del dinasta che nel 1848 regnava nel Piemonte.

CONTI Cominciò col Trattato di Moncalieri.

BUBBIO. È stato dopo.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, lei ieri ha detto una frase che vorrei ripetere qui, non solo per lei, mentre si sta discutendo questo argomento. Dice il processo verbale: onorevole Condorelli. «Non facciamo nei comizi della storia».

Onorevole Condorelli, onorevoli colleghi, non facciano la storia adesso, su queste rettifiche di processo verbale. Scrivano dei libri, facciano degli articoli, ma in questa sede, si ricordino che ci siamo per fare la Costituzione.

CONDORELLI. Onorevole Presidente, io mi permetto di rilevare che questa osservazione andava fatta all’onorevole Conti. (Interruzione dei deputati Conti e Covelli).

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, io ho cominciato a fare l’osservazione all’onorevole Conti e poi un po’ più sottolineata l’ho fatta all’onorevole Geuna, ma ora al terzo momento la devo fare in modo più rilevato, e se altri colleghi che hanno chiesto la parola anche sul processo verbale se scambiando un problema di rettifica con un problema di larga discussione, cadessero in errore, è evidente che non mi limiterò più a un richiamo, ma toglierò loro la parola. La prego, pertanto, di concludere. Non ci insegni proprio oggi quello che ha fatto il Piemonte nel 1848.

CONDORELLI. Ero sul punto di concludere ed a quest’ora avrei finito se non ci fosse stato il suo autorevole intervento.

Confermo non essere vero quello che in un istante d’impeto, causato dal suo temperamento entusiasta, si è lasciato sfuggire qui l’onorevole Conti.

CONTI. Non mi sono lasciato sfuggire niente.

CONDORELLI. La invito a provare quello che ella ha affermato: che Vittorio Emanuele II ha voluto che Garibaldi fosse fucilato ad Aspromonte. (Interruzioni del deputato Conti).

Fino a che non avrà fornito la prova precisa di quanto ha affermato ieri lei, contrariamente al suo carattere – riconosco, senza sua colpa, anzi senza coscienza – non avrà detto il vero.

CONTI. Ma io glielo ho data prima la prova. Non posso consentirle di parlare così.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. La prego di precisarmi il motivo per cui chiede di parlare.

TONELLO. Sopra il significato che si è voluto attribuire dall’onorevole Condorelli ad alcune mie frasi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

TONELLO. Io dissi che verso i fascisti bisognava usare la legge del taglione, mentre l’onorevole Condorelli mi interruppe vivacemente e la frase fu raccolta dalla malavita della stampa fascista e fa il giro d’Italia, sicché io appaio, presso chi non mi conosce, come un boia, capace di tagliare le mani e cavare gli occhi!

Con quella mia frase io volevo dire che bisognava essere feroci non contro gli esecutori di assassinî materiali, non contro gli esecutori di spedizioni punitive, ma contro quelli che nell’ombra li sovvenzionano, pagano i camions e pagano gli sgherri principali dell’esecuzione. E volevo dire che il miglior modo di colpire i malviventi è di colpirli nell’unica parte che hanno sensibile: il portafoglio. E, quindi, proponevo, come del resto fece quel terribile rivoluzionario e mio amico Zanardi, che si procedesse, quando uno fosse processato come compartecipe di una spedizione punitiva, alla espropriazione dei beni. E dissi allora che io l’ho avuta questa espropriazione… Per fortuna non avevo niente! (Ilarità).

MAZZA. Ma quanti della sinistra, allora, dovrebbero essere processati?!…

TONELLO. Ed allora si vedrebbe quanti compari della canaglia fascista si ridurrebbero in bolletta dura!… E quello che dissi ieri sono pronto a confermarlo ancora oggi.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Codacci Pisanelli?

CODACCI PISANELLI. Sulle due frasi che sono state pronunciate di «vostra Repubblica» e «vostro Cavour», una pronunciata dall’onorevole Covelli, e una dall’onorevole Conti.

PRESIDENTE. E a che titolo vuole intervenire?

CODACCI PISANELLI. Per portare in questa arroventata atmosfera una parola di serenità e di calma. Rettificare queste due frasi.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la rettifica si può portare ad una propria dichiarazione. Nessuno è autorizzato a rettificare dichiarazioni degli altri e si ha diritto di parlare solo quando si è stati chiamati in causa. Lei non è stato chiamato in causa e pertanto, mi perdoni, non ritengo che sia necessario darle la parola sul processo verbale.

Desidero far rilevare all’onorevole Conti e all’onorevole Condorelli che nel resoconto stenografico della seduta di sabato mattina non è contenuta la parola «falso»; ma è detto: «Non è vero! Non è vero! Non è vero!» e, pertanto, la forma adoperata dall’onorevole Condorelli era rispettosa e dignitosa.

L’affermazione che ciò che è stato detto da altri non risponde a verità, è cosa normale in ogni discussione artistica, filosofica, culturale, sportiva; e penso che coloro che non desiderano essere così contraddetti dal proprio avversario, non devono fare (me lo permetta, onorevole Conti) che una cosa sola: non partecipare a discussioni. Comunque, mi consentano di dichiarare chiusa la discussione sul processo verbale, che si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Arata, Lizzadri, Tosi.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Avverto che sono stati presentati due altri emendamenti all’articolo 96: uno è dell’onorevole Targetti che modifica il suo precedente, nel senso si sostituire le parole «può partecipare» all’altra «partecipa», onde il testo proposto risulta così formulato:

«Il popolo può partecipare direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

L’altro è degli onorevoli Coppi, Di Fausto, Scalfaro, Pat, Mannironi. Giordani, Murdaca, Balduzzi:

«La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Parlerò pochi minuti. Non in merito, ma soltanto per chiarificare le posizioni. Farò la storia dell’articolo. L’articolo, come è nel testo che è uscito dalla deliberazione dei 75, era stato proposto dal valoroso collega onorevole Targetti, che aveva anche qui vinto una sua battaglia; e prevedeva in modo esplicito l’istituzione della giuria, stabilendo che «il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituzione della giuria per i processi di Corte di assise».

Era una affermazione molto precisa per la conservazione della giuria. La discussione, in sede di Commissione dei 75, vi fu ma non molto ampia né molto forte, come in certi pezzi di musica: forte ma non troppo. Qui, invece, è stata ampissima e fortissima, ed ha messo in luce tutti i punti favorevoli e contrari a questo istituto. Io sono rimasto impressionato. Erano note le critiche rivolte a questo istituto; ma, espresse con tanta autorità e vivezza da principi del foro, hanno fatto impressione. Non le ripeterò. Ve ne è una fondamentale: l’incapacità e l’incompetenza del semplice cittadino ad esprimersi in giudizi così difficili. Ve ne sono altre che alcuni sostengono essere inerenti all’istituto stesso: la non motivazione e la non appellabilità. In verità ho riportato l’impressione che l’istituto così come è non può andare, ma si deve cercare di aggiustarlo e modificarlo. Come? Ecco il punto da decidere, ma non in questa sede. Sarà una nota retorica, una quarantottata, ma confesso che personalmente nutro simpatia per questa guardia nazionale della magistratura che è la giuria. Se si potesse conservarla, ne avrei molto piacere; ma è meglio non fare una affermazione che prescriva di conservare per sempre questo istituto, oppure una affermazione che l’abolisca nettamente.

Venuta la discussione in Assemblea, abbiamo assistito ad un fatto decisivo che supera la posizione del testo proposto dalla Commissione dei 75; ed il superamento viene dall’autorità dell’onorevole Targetti, autore di quel testo. Egli qui, in Assemblea, ha proposta un’altra formula che equivale in sostanza al rinvio alla legge della questione se la giuria debba essere conservata o no, modificata nell’uno o nell’altro senso. Non c’è differenza abissale fra questa proposta dell’onorevole Targetti e le altre, della soppressione. Se non avessero il dubbio che, non mettendo nulla, qualche altra disposizione della Costituzione precluderebbe l’adito alla istituzione della giuria, molti dei suoi fautori, lo hanno dichiarato, non avrebbero difficoltà alla soppressione.

Abbiamo sentito svolgere tre emendamenti in modo molto alto e degno: il primo, per un certo ordine logico, è quello dell’onorevole Ghidini: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise nei limiti e secondo le forme, che saranno stabiliti dalla legge». L’onorevole Ghidini, dunque, afferma l’esistenza della giuria nella Corte d’assise; quindi la sua proposta è più spinta, in certo senso, di quella dell’onorevole Targetti, che afferma bensì la partecipazione del popolo ai giudizi, ma nulla dice della giuria. Queste due formule nel resto coincidono. Dirò subito che la forma non mi gradisce molto; e domando scusa all’Assemblea se mi fermo sull’espressione formale della Costituzione, che pure ha certa importanza. L’onorevole Cairo ha già osservato che in un articolo precedente, già approvato, della Costituzione è scritto che tutta la giustizia è amministrata in nome del popolo. Ora verremmo ad aggiungere: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia». Capisco, v’è quel «direttamente». Ma mi pare che veniamo a fare due graduatorie, due dignità di amministrazione della giustizia, che, anche volendo arrivare allo stesso risultato, dovremmo formalmente evitare.

Ho sentito ventilare dall’onorevole Targetti l’idea di sostituire alla formula: «il popolo partecipa direttamente» l’altra: «il popolo può partecipare direttamente». Questa formula mi dispiace ancora di più. Cosa significa? Dare al popolo, che è sovrano, il permesso di partecipare? Anche la espressione formale ha la sua importanza.

Desidererei che se la maggioranza dell’Assemblea è pel rinvio alla legge si potesse raggiungere tale risultato in altra forma. Ciò si vorrebbe ottenere con l’emendamento presentato dagli onorevoli Cairo e Carboni: «Possono istituirsi per legge e per la cognizione e decisione di determinate materie sezioni specializzate degli organi giudiziari, civili e penali, con la partecipazione regolata dalle norme dell’ordinamento giudiziario di cittadini esperti e di giudici popolari». Anche qui la forma (perdonate s’io faccio il tecnico della struttura costituzionale) presenta qualche difetto. È detto «cittadini esperti e giudici popolari», come se i cittadini esperti che partecipano alla giurisdizione non fossero giudici anche essi. Questo si può rettificare. La sostanza è se la disposizione già approvata ed inserita nel testo dell’articolo 95 consente la istituzione di giurie presso le Corti di assise; il che noi non vogliamo negare, perché rinviando alla legge non precludiamo la possibilità di esistenza dell’istituto della giuria.

L’onorevole Ghidini ha fatto un esplicito quesito in questo senso. Il problema è stato svolto con competenza e chiarezza dall’onorevole Leone. Io ritengo che con la formula approvata si possa benissimo istituire la giuria. Infatti si dice: «Possono istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, con la partecipazione anche di elementi idonei, estranei alla magistratura». Comprendo un certo ritegno, ma osservo che anche adesso le Corti di assise sono costituite presso le Corti d’appello e sono in sostanza loro sezioni speciali. È detto «partecipare». L’onorevole Ghidini osserva che ciò potrà essere adattato allo scabinato, non alla giuria. Mi permetta di dire, l’amico Ghidini, che la sua apprensione non è giustificata. Cosa vuol dire «partecipare»? Implica in sostanza un concetto di collaborazione, ed in questo senso partecipano alle Corti d’assise tanto i giudici dell’ordine giudiziario, quanto gli elementi estranei, i giudici popolari. Riflettiamo a ciò che avveniva con la giuria classica, quella del 1874, che un progetto dell’onorevole Fausto Gullo, in sostanza, si propone di ristabilire. Il Presidente partecipava allo svolgimento del dibattito, lo presiedeva; risolveva tutte le questioni procedurali; poneva i quesiti; e dopo il verdetto applicava la pena, e pronunziava la sentenza. I giurati avevano il compito di dare il verdetto: si trattava in fondo di una distribuzione di compiti. Io credo che la disposizione già approvata possa perfettamente bastare. Si noti, infatti, che abbiamo tolto, con questo intento, l’espressione: «esperti» ed abbiamo usata l’altra espressione: «idonei», che avrà un certo valore. Richiedere, come ora si fa, per i giurati la licenza elementare mi sembra poco, ma anche richiedendo la sola licenza elementare si entra pur sempre nell’idea dell’idoneità. Io ho la perfetta convinzione che si possa conservare, con la forma da noi approvata nell’articolo 95, la giuria.

Se voi volete chiarire questo, non mi oppongo, e se volete precisare che con questa formula si possono istituire Corti di assise per giudizi penaci, faremo una norma, introdurremo un capoverso. Concludo brevemente, così come vi avevo detto all’inizio di questo mio intervento.

Vorrei che si evitasse una forma determinata, sia pure, da sentimenti nobilissimi, come quella proposta dall’onorevole Targetti, «il popolo partecipa direttamente», che è un poco di tipo – giuria, con tutta la riverenza che io porto all’acutezza dell’onorevole Targetti.

VERONI. È il concetto della Commissione!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Veroni di ascoltare se quanto io ho detto chiaramente, e che ora ripeto, è contradittorio. La Commissione dei 75 aveva accettata una proposta Targetti: ora l’onorevole Targetti ha proposto una nuova formula, che equivale in sostanza al rinvio.

TARGETTI. Ma la mia proposta non era di un rinvio!

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. La sua proposta, onorevole Targetti, equivaleva a rinvio. Basta rileggere la formula: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

TARGETTI. Quando lei dice: «partecipa» cosa significa?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Targetti, poiché la sua proposta nella Commissione dei Settantacinque parlava espressamente di giuria, e la sua nuova proposta non ne parla più, ciò non può equivalere che al rinvio. Con la sua nuova formula si può benissimo arrivare, se si vuole, alla magistratura elettiva in altre materie, ed abolire la giuria. Se, come mi sembra, l’Assemblea va verso il rinvio, ciò potrà ottenersi con una formula diversa da quella dell’onorevole Targetti.

Per tutte queste ragioni, io credo di interpretare il pensiero della maggioranza del Comitato accogliendo l’idea del rinvio alla legge e preferendo che ciò avvenga con un chiarimento della portata dell’articolo 95 già approvato.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Io non avevo presentato emendamenti al riguardo, se non quello, di rimandare eventualmente, alla legge la sistemazione definitiva di questo argomento così importante e così inteso da parte dell’Assemblea. Però, mi permetto, dopo le dichiarazioni fatte dal Presidente della Commissione, di esprimere il mio dissenso per quanto egli ha detto. Io non sono d’accordo con lui nel ritenere che le Corti di assise possano comunque entrare nella formula: «Possono soltanto istituirsi, presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie». Qui, per la Corte d’assise, non si tratta di competenza per materia, ma di competenza per limiti di pena. Vogliamo o non vogliamo ammettere le Corti d’assise è una cosa, ma non è possibile concepire che attraverso questa formulazione possa considerarsi la possibilità di istituire le Corti di assise con l’intervento degli elementi popolari. La Corte d’assise è un organo giudiziario che interviene, attraverso la forma della giustizia, per determinati reati che corrispondono a determinate pene.

Io aderirei all’ordine del giorno Targetti per aprire la via alla giuria e lasciare impregiudicata la questione delle Corti di assise.

L’Assemblea deciderà, ma io penso che noi non daremmo una indicazione precisa al legislatore di domani se su questo punto non dicessimo chiaramente che cosa vogliamo. Noi possiamo dirlo in una maniera o nell’altra, ma dobbiamo dirlo senza possibilità di equivoci, mentre usare la parola «possono» esclude che si possano stabilire le Corti d’assise, che sono ordinarie e non specializzate.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei osservare all’onorevole Grassi, una cosa semplicissima: la competenza delle Corti d’assise, secondo il Codice attuale, è proprio per materie, così dice espressamente il Codice, e non vuol dire che a determinare la materia sia l’altezza delle pene. Del resto l’onorevole Grassi ha manifestato un proposito al quale anche noi andiamo incontro: di chiarificare che si potranno mantenere le giurie, senza fare espressa prescrizione pel loro mantenimento. A tale scopo non riterrei adatta la formula Targetti. Sarebbe meglio l’altra, ora presentata, nella continua pioggia di emendamenti, dall’onorevole Coppi: «La legge, fissandone i limiti e le forme, può stabilire la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte d’assise».

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Che il popolo partecipi alla giustizia non c’è dubbio, perché tutte le sentenze sono fatte in nome del popolo. La questione è questa: se deve partecipare direttamente o attraverso la Magistratura. Se lei non rileva che cosa implichi la parola «direttamente» è inutile che scelga l’una o l’altra formula. È dunque questo termine «direttamente» che bisogna chiarire.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio osservare all’onorevole Grassi che io ho qui il Codice di procedura penale dove, appena dopo il Titolo del capo I, che è «della competenza per materie», si parla subito di competenza della giuria. Dunque, quando l’articolo 95 da noi approvato parla di competenza per materia, può benissimo riferirsi alla competenza della giuria.

GHIDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Desidero fare una osservazione in merito alle dichiarazioni fatte dagli onorevoli Grassi e Ruini: per quanto riguarda l’osservazione fatta dall’onorevole Grassi, l’appoggio, perché secondo l’attuale Codice, la competenza della Corte d’assise non è competenza per materia, cioè non è competenza qualitativa bensì quantitativa.

Col vecchio Codice era una competenza qualitativa, ma attualmente è quantitativa, e quindi non si può, secondo me, richiamare il capoverso, votato, dell’articolo 95 per dire che la giuria vi rientra.

L’emendamento dell’onorevole Coppi parrebbe uguale al mio. Senonché la partecipazione, secondo il mio emendamento, è obbligatoria, mentre secondo l’emendamento Coppi è semplicemente potestativa.

Debbo anche aggiungere che secondo il mio emendamento non è che venga rimessa alla legge, come sostiene l’onorevole Ruini, la partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia; ciò che viene, invece, rimesso alla legge è la determinazione dei limiti e delle forme. Ma, ripeto, la partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia, anziché rimessa alla legge, è decretata e consacrata nella stessa Costituzione.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Desidero confermare il concetto espresso dall’onorevole Ruini. Siccome è sorto proprio in sede di votazione questo scrupolo che la competenza della Corte d’assise non sia una forma di competenza per materia, vorrei affermare questo concetto, perché, indipendentemente dall’articolo 29 del Codice, il concetto di competenza per materia, in penale, è questo: la competenza, di regola, è distribuita in funzione della pena, perché la pena esprime di regola la gravità del reato. Noi vediamo che i tre tipi di competenza (pretore, tribunale, Corte d’assise) sono di regola delimitati in base alla pena.

Il concetto civilistico della competenza per valore non può funzionare in materia penale: la competenza per materia in penale si articola, di regola, in base alla sanzione che la legge stabilisce per i reati, in quanto la pena esprime la gravità del reato.

E allora, se la competenza della Corte d’assise è per materia, se la Corte d’assise è stata, non può non essere una sezione di giudice ordinario (sezione specializzata per il fatto della sua organizzazione diversa dal giudice ordinario – l’introduzione di elementi estranei in misura maggiore o minore è indifferente) non possiamo disconoscere, in realtà, che nella formula dell’articolo 95 si può introdurre la giuria, sia pure come totale introduzione dell’elemento popolare.

Desidero osservare che la preoccupazione dell’onorevole Ghidini non ha ragion d’essere perché, per la stessa tradizione storica della Corte d’assise, noi, avendo stabilito che non si possono istituire giudici speciali, è evidente che in avvenire, anche se sorgesse una giuria, questa si dovrebbe inquadrare senza eccezioni nella formula del divieto di giudici speciali in materia penale e pertanto dovrà organizzarsi come sezione specializzata del giudice ordinario.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Vorrei sollevare una questione di procedura.

Ho ascoltato con grande maraviglia l’onorevole Ruini, il quale ha detto che la Commissione dei Diciotto avrebbe deciso di accettare la soppressione di questo articolo.

Esiste un Comitato di redazione, il quale ha facoltà di risolvere determinate questioni relative alla formulazione dell’una o dell’altra proposizione. Ma qui si tratta di una questione di principio sulla quale abbiamo votato in sede di Commissione dei Settantacinque, in modo tale che il Comitato non ha il diritto di cambiare. In sede di Commissione dei Settantacinque abbiamo votato il principio della giuria popolare; come può dunque l’onorevole Ruini, con una riunione alla quale potranno essere intervenute quattro o cinque persone – ché nessuno, si sa, partecipa a questo suo Comitato – come può dunque l’onorevole Ruini procedere a un mutamento che annulla questo voto?

Se mai, se egli fosse veramente un buon presidente, avrebbe dovuto convocare nuovamente la Commissione dei Settantacinque e chiamare la Commissione stessa a pronunciarsi una seconda volta su una questione la quale riveste carattere di tanta importanza.

Ma, fare come egli ha fatto, non credo sia cosa accettabile. A me pare veramente che l’onorevole Ruini abbia in questo caso violato le norme elementari di funzionamento dei nostri organismi e pertanto non mi pare che la sua decisione possa servire ad orientare i nostri voti in Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio innanzitutto rammentare all’onorevole Togliatti e all’Assemblea che quando sorse la questione se, durante la discussione del progetto di Costituzione in Assemblea, si dovesse riunione la Commissione dei Settantacinque, tutti furono concordi nel ritenere che, siccome non era cosa facile poter procedere alla riunione di una Commismissione così numerosa, i suoi poteri dovessero intendersi deferiti al Comitato dei Diciotto.

Anzi i colleghi ricorderanno che, per scrupolo, fu riunita a questo riguardo la Commissione dei Settantacinque, la quale affermò che, di fronte a decisioni da prendersi così, ad oras, avrebbe dovuto decidere il Comitato dei Diciotto.

TOGLIATTI. Ma qui si tratta di una questione di principio.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non fu fatta nessuna riserva, se non la mia dichiarazione che per le questioni più gravi ed importanti, ove ciò fosse richiesto, si sarebbero potuti convocare i Settantacinque; ma nessuno ha ritenuto che la questione della giuria o meglio la questione se dovesse prescriversi nella Costituzione o lasciarsi libero il legislatore di mantenerla o no, fosse questione così importante da richiedere un appello ai Settantacinque. Nessuno ha fatto richiesta in tal senso. Né altre richieste vennero fatte, per temi più importanti, dai comunisti o da altri.

Il Comitato dei Diciotto viene sempre regolarmente convocato: se non pochi di coloro che ne fanno parte si astengono dal prendervi parte che cosa si può fare? Quando si parlò della giuria, vi era il numero legale, anche se non vi erano i comunisti, occupati nei lavori della loro direzione di partito; ma io tenni informato, come faccio sempre, l’onorevole Grieco e altri colleghi di quella parte.

Siamo quindi perfettamente in regola dal lato formale.

TARGETTI. Permette, onorevole Ruini: non ricordo in quali adunanze del Comitato di redazione si sia trattato specificatamente di questo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’era neppure lei, onorevole Targetti, perché vi era consiglio di presidenza dell’Assemblea, ma io la tenni perfettamente informato delle tendenze della maggioranza della Commissione.

Passiamo ora alla questione di sostanza. Quando è venuta la questione in Assemblea, l’onorevole Targetti stesso – non si può disconoscerlo – abbandonò in parte la sua posizione iniziale, perché non si parlò più di giuria, ma si parlò solo di partecipazione del popolo. Quindi la disposizione iniziale era superata.

Quando io ho parlato poco fa, ho detto con molta cautela che credevo di esprimere l’opinione della maggioranza dei Diciotto. Questo è verissimo; e il Comitato aveva perfettamente il diritto, anzi il dovere, di manifestare la sua opinione sugli emendamenti presentati. Se no, che cosa rappresenterebbe?

Ho aggiunto, ed anche questo interpretando il pensiero della maggioranza dei Diciotto, che non vi era nulla in contrario a chiarire bene che si poteva conservare la giuria. In sostanza dunque non si è andati contro la conservazione di tale istituto, siamo sicuri di non aver violato per nulla i limiti della nostra competenza e, per la sostanza, abbiamo cercato di andare incontro al punto di vista dell’Assemblea. Se del resto l’onorevole Togliatti crede, io posso anche proporre al nostro Presidente che si sospenda questa discussione e si riunisca ancora la Commissione dei Settantacinque: ma certo questo significherebbe rimandare la discussione degli emendamenti.

TOGLIATTI. Basta tener ferme le decisioni prese dai Settantacinque. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma allora, di fronte a trenta o quaranta emendamenti la Commissione deve ignorarli, e rifiutarsi ad ogni discussione, e respingere la facoltà sovrana di emendamento e di approvazione che ha l’Assemblea…

GULLO FAUSTO. La questione ha troppa importanza; è una questione di principio.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo di aver agito legalmente e formalmente, dicendo che di fronte a queste discussioni avvenute in Assemblea, è prevalsa l’idea di rinviare alla legge. Formula Targetti o formula Coppi? Io, ed i colleghi che hanno lavorato, che vengono sempre al Comitato, preferiamo la formula Coppi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. L’onorevole Ruini ha esattamente rilevato poco fa che i membri del Comitato dei Diciotto di questa parte, da qualche tempo in qua frequentano meno assiduamente le riunioni del Comitato. Ed io ho chiesto la parola proprio per precisare che il rilievo fatto dall’onorevole Ruini è esatto, ma ha una sua motivazione. Ed io penso che molto tempestivamente l’onorevole Togliatti abbia oggi sollevato la questione del Comitato dei Diciotto, perché la ragione per la quale i rappresentanti della nostra parte non frequentano più le riunioni di questo Comitato è proprio questa: che il Comitato dei Diciotto è uscito dai suoi limiti normali.

Non è più un Comitato quale noi intendevamo che dovesse essere all’atto in cui lo abbiamo costituito, e cioè un Comitato che rappresenta la Commissione dei Settantacinque e che difende quindi il progetto elaborato dalla Commissione in un anno di lavoro. Il Comitato è diventato una sorta di Commissione a sé, che rivede le diverse questioni, che ritratta gli argomenti in piccole, ristrette riunioni, scarsamente frequentate, anche dai colleghi di altri settori dell’Assemblea, e che presenta le sue proposte senza tener conto delle decisioni fondamentali della Commissione dei Settantacinque.

Ora, questo funzionamento del Comitato dei Diciotto non è né corrispondente alle norme generali per quanto riguarda la Commissione, né corrispondente alla volontà che mosse l’Assemblea quando decise la costituzione della Commissione dei Settantacinque.

Noi chiediamo che il Comitato dei Diciotto si contenga entro i suoi confini, e cioè si limiti a rappresentare la Commissione dei Settantacinque dinanzi all’Assemblea e a difendere nelle sue linee generali il progetto. Naturalmente, esaminando i singoli emendamenti, potrà apportare qualche modifica, ma non si può rimettere in discussione tutta la Costituzione. (Commenti al centro).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Desidererei precisare il mio pensiero nei confronti di ciò che ha detto l’onorevole Ruini.

Purtroppo, onorevole Presidente, sarò costretto a deviare un po’ dal problema di pura procedura, per dire alcune cose nel merito.

Osservo che vi è una parte di questa Assemblea – e in questa parte si trova il nostro Gruppo e mi trovo io in particolare – la quale ritiene che in tutti i casi in cui si tratta di processo politico oppure di processo il quale comporti una condanna alla riduzione della libertà personale per un lungo periodo di tempo, il cittadino ha diritto a essere giudicato da una giuria popolare. È questo uno di quei diritti democratici fondamentali che sono stati rivendicati e realizzati dalle rivoluzioni democratiche, e a cui non si può rinunciare, senza rinunciare al patrimonio lasciatoci da queste rivoluzioni.

Noi poniamo questo diritto sullo stesso piano su cui si pone il diritto di libertà di parola, di libertà di organizzazione, di libertà di stampa.

Posta la questione in questo modo, onorevole Ruini, ella comprenderà molto facilmente che noi non ammettiamo che un Comitato riveda una decisione presa dalla Commissione dei Settantacinque, appunto perché si tratta di un problema di così grande portata.

Non si può, a proposito di una questione di tanto rilievo, fare un rinvio facoltativo alla legge, così come non si sarebbe potuto rinviare alla facoltà del legislatore la decisione se avremo o non avremo libertà di stampa.

Una voce al centro. Deve decidere l’Assemblea.

TOGLIATTI. Quella che io faccio è quindi una questione di fondo. Sostengo che, data la natura stessa del problema, il Comitato dei Diciotto non aveva il diritto di interferire, modificando una decisione già presa dalla Commissione dei Settantacinque nel senso di annullarla.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Ho chiesto di parlare per una osservazione direi di buon senso. Io non capisco la portata dell’eccezione e delle osservazioni dell’onorevole Togliatti. Non la capisco per questo, perché mi domando se non siamo stati sempre d’accordo sul valore, sulla portata delle deliberazioni delle Commissioni che si sono succedute per la presentazione del testo costituzionale.

Fin dal primo momento, e proprio con l’onorevole Togliatti mi pare, ci siamo trovati d’accordo su questo punto, che si sono considerate le Commissioni e i Comitati costituiti in seno alla Commissione dei Settantacinque, come organi adatti, bene assortiti, se si vuole, per la elaborazione di un testo che poi l’Assemblea avrebbe dovuto esaminare e discutere da fondo.

Abbiamo fatto così per tutti gli istituti, dal principio alla fine. Qualunque siano state le decisioni dei Settantacinque e dei vari Comitati, l’Assemblea, che è sovrana, ha fatto poi tutto quello che ha voluto.

Ora, io non arrivo a capire perché in questo momento – e siamo quasi in articulo mortis – siamo quasi scandalizzati perché è venuta fuori una formula diversa da quella deliberata dalla Commissione dei Settantacinque. (Commenti).

Io dico che l’Assemblea siede per risolvere i problemi e per deliberare di fronte ai testi e alle formule che vengono preparati per il suo lavoro.

Non so se l’onorevole Togliatti ha voluto lanciare una freccia all’onorevole Ruini, ma il principio non ha ragion d’essere, se ammettiamo l’altro principio che la Commissione dei Settantacinque è stata una Commissione di studio, e su questo punto mi pare di essermi trovato d’accordo perfettamente con l’onorevole Togliatti. E allora io credo che l’onorevole Togliatti, l’onorevole Laconi e tutti quelli che hanno fatto osservazioni sul misfatto dell’onorevole Ruini, debbano riconoscere che non c’è ragione di continuare una discussione accademica su questo punto. C’è invece motivo perché dati tre, quattro, cinque o sei emendamenti, finalmente si deliberi su di uno, senza commettere l’errore di riferirsi al pronunciato di una commissione qualsiasi, ma rimettendosi alla piena sovranità dell’Assemblea che è qui per deliberare.

Prego dunque l’onorevole Presidente di voler riassumere, come egli sa fare, le mie osservazioni in modo da portare l’Assemblea al punto di concludere e non di discutere in eterno su questa tesi.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Io ritengo che l’ultima osservazione dell’onorevole Togliatti abbia tutta la sua importanza, perché – se ho compreso bene il suo pensiero – esso si potrebbe riassumere così: vi sono dei principî fondamentali che formano un po’ come lo spirito della Costituzione. Vale a dire, dei principî di ordine generale che sono come un patrimonio acquisito di idee e di principî.

Io ritengo invece che la risposta su questo punto, la cui esattezza in linea di massima non si può contestare, sia che non si può confondere il diritto di libertà di stampa, il diritto di parola, il diritto di organizzazione, col diritto del cittadino ad avere un giudice determinato. In altri termini, la Costituzione non contempla come un diritto naturale il diritto di avere un giudice determinato.

TOGLIATTI. E perché no?

CRISPO. La Costituzione ha già contemplato il principio fondamentale a cui accenna l’onorevole Togliatti, perché la Costituzione ha detto – per esempio – all’articolo 19 che: «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». E soggiunge all’articolo 20:…

TOGLIATTI. Cosa c’entra la difesa col giudice?

CRISPO. Ci vengo subito. E soggiunge all’articolo 20: «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale che gli è precostituito per legge».

Ecco il principio fondamentale.

Il principio del quale adesso ci occupiamo si riferisce invece all’ordinamento giudiziario, cioè al modo come deve essere ordinato l’organo deputato all’amministrazione della giustizia; tanto è vero che la norma della quale ci occupiamo è precisamente collocata sotto il titolo della Magistratura, col sottotitolo «Ordinamento giudiziario».

Quindi questo principio del modo, o meglio, la norma relativa al modo con cui deve essere organizzata l’amministrazione della giustizia, a mio avviso non si può confondere col diritto del cittadino ad avere il proprio giudice naturale, salvo l’organizzazione ed il funzionamento dell’organo della giustizia.

E allora, seconda osservazione, l’osservazione a cui si riferiva l’onorevole Ruini: se cioè la Commissione o il Comitato di redazione abbia la potestà di modificare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Di esprimere il suo avviso.

CRISPO. Io penso anche: di modificare. Se mi permette, vado oltre: o di modificare la norma o una delle norme contenute nel progetto. Se si dovesse seguire l’opinione negativa dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Laconi, si dovrebbe pensare a norme cristallizzate, immobili, senza che comunque potessero patire alcuna modificazione. E mi permetto di osservare che il progetto appartiene bensì alla Commissione dei 75, ma verrà successivamente elaborato in seguito alla discussione in questa Assemblea. L’Assemblea non per nulla esamina, discute, valuta, vaglia il progetto e propone degli emendamenti; emendamenti che, a norma dell’articolo 94 del nostro Regolamento, possono non solo estendere o restringere la portata delle norme, ma possono anche modificarla sostanzialmente, perché l’articolo 94 del Regolamento fa divieto solo di presentare emendamenti che siano estranei all’oggetto della discussione.

Ora è evidente che il Comitato, il quale si riunisce dopo la discussione generale della legge e dopo gli emendamenti presentati e anche successivamente alla discussione degli emendamenti, debba tener conto di questi emendamenti; altrimenti questa discussione sarebbe del tutto inutile, del tutto estranea, sarebbe un diversivo e perdita di tempo, e non si comprenderebbe quale potrebbe essere la posizione di questo Comitato, che dovrebbe rimanere inerte di fronte al progetto, immutabile come un tabù.

Sono queste le considerazioni per le quali mi pare che il Comitato in questo momento abbia ragione.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per precisare un punto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, ma le ricordo che è la terza volta che lei interviene in questa discussione.

TOGLIATTI. Desidero prima di tutto rilevare all’onorevole Crispo che mi rincresce che tutte le volte ch’egli parla non riesce mai a convincermi.

CRISPO. Non ho questa pretesa.

TOGLIATTI. Non è esatto quanto dice l’onorevole Crispo che tutto ciò che si riferisce ai diritti fondamentali del cittadino sia contenuto nei primi, diciamo, 51 articoli della nostra Costituzione.

Ivi sono formulati alcuni dei diritti fondamentali dei cittadini, ma altri diritti fondamentali sono formulati nei successivi capitoli e articoli. Per quanto riguarda la giurisdizione, negli articoli che l’onorevole Crispo ha citato, non ci si riferisce altro che al diritto alla difesa e al diritto al giudice naturale. Ma nella parte che riguarda la Magistratura noi già abbiamo sancito altri diritti fondamentali del cittadino, i quali fanno parte di quel patrimonio generale dei diritti democratici che non possono essere violati.

Si tenga presente per esempio, l’articolo che sancisce la inamovibilità del giudice. Questa inamovibilità non viene sancita, come da qualcuno è stato affermato in questa Assemblea, come una garanzia del giudice, ma a garanzia del cittadino, allo scopo di assicurargli la sicurezza e la imparzialità del giudizio. Allo stesso modo che l’inamovibilità del giudice fa parte di quell’ordinamento giudiziario, in cui si definiscono concretamente le sue condizioni di realizzazione, allo stesso modo, dopo di aver detto che ciascuno di noi ha diritto al giudice naturale precostituito, noi abbiamo facoltà di stabilire qui che in determinati casi abbiamo diritto al giudizio per giuria, sancendo in questo modo uno dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino.

CRISPO. La inamovibilità non è un diritto, è una garanzia.

LACONI. La giuria è un’altra garanzia.

TOGLIATTI. Per questo ritengo che, trattandosi di sancire uno dei principî fondamentali di una Costituzione democratica, non abbia diritto il Comitato dei Diciotto di rivedere una decisione precedentemente presa dalla Commissione dei Settantacinque.

PRESIDENTE. Cominciamo a chiarire di che cosa stiamo parlando e poi, se mai, darò la parola, a chi la chiedesse.

Si desidera sapere se in questo momento riprendiamo la questione, già dibattuta ma che può sempre ancora dibattersi, di quali siano i diritti fondamentali del cittadino. Ma mi pare che questo non sia il tema del titolo IV della seconda parte del progetto di Costituzione. L’onorevole Togliatti ha posto inizialmente ed in via principale la questione dei poteri del Comitato di redazione.

L’onorevole Togliatti ha poi introdotto l’altra questione, che ho ora richiamato, solo per sostanziare la tesi relativa.

Pregherei i colleghi che intendono parlare di non riprendere dunque la questione generale di principio: di quali siano i diritti fondamentali del cittadino.

Circa i poteri del Comitato di redazione, io rammento, e d’altra parte vi sono i verbali che lo attestano, che la Commissione dei Settantacinque gli aveva delegato i propri poteri nello svolgimento dei lavori in seno all’Assemblea, salvo il dovere di convocare la Commissione dei Settantacinque, quando fosse stato necessario per l’importanza delle questioni da esaminare o per altri motivi. Non c’è dubbio che il Comitato di redazione aveva ricevuto una delega in questo senso. Colgo l’occasione per rammaricare che anche nel Comitato di redazione – come purtroppo in tutte le Commissioni – la frequenza dei membri sia stata sempre scarsa, sin dall’inizio, e sia venuta successivamente diminuendo per ragioni perfettamente plausibili, è vero; ma io penso che nessuna ragione può giustificare il fatto di mandare deserte le riunioni delle Commissioni che l’Assemblea Costituente nomina. Nel caso concreto, l’onorevole Ruini ha sostenuto uno degli emendamenti presentati. Ma in generale è sempre avvenuto che il Relatore, o un membro del Comitato, abbia proceduto in questo senso, ed è spesso avvenuto che altri membri dello stesso Comitato di redazione abbiano sostenuto altri emendamenti. È evidente che quando parla il Presidente della Commissione e del Comitato la sua parola ha maggiore importanza, ma il quesito è questo: quale efficacia ha il giudizio terminale del rappresentante del Comitato di redazione per determinare la votazione dell’Assemblea?

Senza dubbio ha una efficacia di carattere morale, ma nulla più di questo. L’Assemblea, udito il Comitato di redazione, ha già parecchie volte votato contro le proposte del rappresentante del Comitato stesso. Io desidererei sapere se l’incidente che è stato sollevato significa invitare il Comitato di redazione a sostenere in sede di Assemblea le conclusioni a cui è giunto dopo l’esame comune degli emendamenti presentati, oppure se si vuole che da oggi innanzi il Comitato di redazione sia impegnato a non pronunciare giudizi sugli emendamenti e a sostenere soltanto la conclusione a cui è giunta la Commissione dei Settantacinque. Occorre scegliere fra una di queste due soluzioni. Non ne vedo una terza.

Comunque, se questa discussione deve continuare, pregherei coloro che l’hanno impostata di dirci quale è la proposta concreta che fanno in relazione al problema che stiamo esaminando.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. A me sembra che non vi possa essere materia di discussione per determinare i poteri del Comitato di redazione. Fu un’intesa generale che si ricorresse al Comitato di redazione per sostituire la Commissione dei Settantacinque durante la discussione del progetto. Come per qualsiasi disegno di legge vi è una Commissione parlamentare che ha un relatore, che ha un presidente, così è avvenuto per il testo di Costituzione, e come nei riguardi di qualsiasi disegno di legge la Commissione ha il compito di esprimere il proprio parere sugli emendamenti, evidentemente lo stesso potere, lo stesso compito, ha il Comitato di redazione nei riguardi degli emendamenti relativi ai vari articoli del testo di Costituzione. Il Comitato di redazione, composto di diciotto membri, sostituisce i Settantacinque. Se i Settantacinque fossero stati molto meno, i Diciotto non sarebbero nati. Avremmo avuto al banco delle consuete Commissioni una Commissione più numerosa per rispondere delle varie proposte di emendamenti.

Non mi sembra, quindi, che vi possa essere materia di discussione su il compito ed i poteri dei Diciotto.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Ho domandato la parola non per moltiplicare la discussione, ma anzi col proposito solamente di abbreviarla, perché vedo che si è insinuata una questione nuova ed estranea all’argomento di cui ora ci occupiamo, nel momento in cui stavamo per decidere. È una questione che non è affatto essenziale per la materia che stiamo trattando ed al punto a cui è giunta la discussione. Ci stiamo dibattendo da un’ora per stabilire in quali limiti debbano essere ristretti i poteri della intera Commissione o del piccolo Comitato. Dopo un lunghissimo dibattito sulla materia in esame, si sono presentati degli emendamenti, stiamo votando; conviene perdere tempo a stabilire se la Commissione abbia o no il diritto o il dovere di esprimere una sua opinione? Ma in fondo, noi siamo arrivati al punto in cui l’Assemblea, che è sovrana, può decidere anche senza il parere della Commissione, e qualunque sia questo parere. Onorevole Togliatti, si tratta di questioni e di diritti di carattere fondamentale oppure di guarentigie secondarie? Non importa. Abbiamo discusso tanto, che ci sentiamo – senza orgoglio e senza superbia – bene in grado di decidere con o senza la guida della Commissione.

Allora, se è così, non perdiamo ancora tempo; prego perciò l’Assemblea perché la sua decisione non sia ritardata. Ognuno si è formata la sua opinione: esprimiamola con un voto che solennemente stabilirà la norma che vogliamo trasformare in legge, senza deviare ancora. Prolungare la discussione sui poteri dei Settantacinque o dei Diciotto, non ci interessa affatto. Decidiamo e votiamo, perché, ripeto, siamo bene in grado di farlo. (Approvazioni).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Desidero semplicemente chiedere al Presidente della Commissione dei Settantacinque ed al Presidente dell’Assemblea che la discussione e la votazione avvenga sul testo originario della Commissione.

PRESIDENTE. Ciò significa che lei assume come emendamento il testo originario della Commissione.

LACONI. Io chiedo che il testo della Commissione sia sostenuto dal Comitato di redazione e sia a base della nostra discussione.

Vorrei far notare particolarmente a lei, signor Presidente, che la questione del testo della votazione non è una questione puramente morale, come ella ha voluto dire, ma una questione di sostanza. Il testo sul quale l’Assemblea delibera ha una sua coerenza; costituisce la trama di tutti i discorsi, degli interventi, degli emendamenti che vengono svolti in questa Assemblea; costituisce il nesso che conduce l’Assemblea attraverso il dibattito.

Non possiamo ammettere che questo testo in un determinato momento, per opera di prestigio, scompaia. (Commenti).

PICCIONI. È avvenuto sempre.

LACONI. Ma, cari amici della Democrazia cristiana, se siete voi i primi a lamentarvi del Comitato di redazione in privato! Come potete ora fare i difensori di questo Comitato, che ha in voi i più accaniti e solerti oppositori? (Interruzione del deputato Fuschini).

GRONCHI. Non difendiamo nessuno.

LACONI. Non dirò in Aula quello che sento nei corridoi.

Dicevo che il testo originario presentato dalla Commissione costituisce il nesso fondamentale della nostra discussione; e non possiamo consentire che in determinati punti della discussione, ad un certo momento, questo testo scompaia o venga modificato e rinnovato secondo i pareri di tre o quattro persone e secondo un indirizzo costante, che tiene conto unicamente degli emendamenti presentati, e non di quella parte dell’Assemblea che non presenta emendamenti, in quanto desidera sostenere il testo.

Gli emendamenti presentati, nel loro numero non indicano affatto il parere dell’Assemblea. Ci possono essere 50 emendamenti in senso contrario al progetto, ma non significa affatto che questi 50 emendamenti rappresentino il pensiero dell’Assemblea, perché ci possono essere altrettanti o più colleghi che vedono espresso il loro pensiero nel testo della Commissione. Ora, è esatto quello che mi si dice, che l’Assemblea è sempre sovrana e che può sempre decidere; ma il fatto è che qui siamo non in un problema di sostanza, di merito, ma su una questione di procedura; e la procedura deve rispondere a determinate norme logiche. Norma logica è che il testo, che ha una sua continuità e che rappresenta la guida costante dell’Assemblea, sia sempre quello, e che sopra a questo testo l’Assemblea sia invitata a deliberare. Questo noi chiediamo. Trattandosi di un punto fondamentale della Costituzione, noi chiediamo che la votazione avvenga sulla base del testo della Commissione dei Settantacinque. La motivazione formale della nostra proposta, se l’onorevole Presidente dell’Assemblea la desidera, è appunto questa: che, trattandosi di un punto fondamentale della Costituzione, in questo particolare caso, non in altri, il Comitato di redazione non poteva deliberare da sé; esso era impegnato a convocare la Commissione dei Settantacinque. Non essendo questo avvenuto, il testo della Commissione dei Settantacinque deve rimanere come testo base.

PRESIDENTE. Io non so se l’onorevole Laconi, facendo la sua richiesta, si renda conto che, in realtà, egli va contro il proprio desiderio. Perché, quando egli richiede che, come formulazione base, si tenga quella della Commissione, egli deve rendersi conto che è da prevedersi che al voto di essa non giungeremo; perché, prima della formulazione base, bisogna votare tutti gli emendamenti presentati – otto sino a questo momento. È vero questi emendamenti potrebbero cadere tutti fasciando la via aperta al voto del testo base. Ma, siccome dalle parole dell’onorevole Laconi ho avuto l’impressione che egli pensi che invece l’Assemblea debba essere chiamata a votare, cioè a pronunziarsi proprio su quel testo, se accettassimo la sua richiesta, la sua attesa non sarà soddisfatta. Mentre invece se egli accetta – come ho detto all’inizio – di ripresentare quel testo come emendamento, è ben possibile che l’Assemblea sarà chiamata a pronunziarsi anche su quella formulazione.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io non entrerò nel merito della questione sostanziale, che ha indotto l’onorevole Togliatti a sollevare la mozione di ordine, sulla quale dirò a suo tempo il nostro punto di vista. Ritengo sia anche opportuno lasciare fuori discussione il modo di funzionamento del Comitato dei Diciotto, che ha avuto alti e bassi, determinati in gran parte dalle assenze cui faceva cenno l’onorevole Presidente dell’Assemblea.

Noi non attribuiamo eccessiva importanza alla questione sollevata dalla mozione d’ordine dell’onorevole Togliatti; ma ci pare sia un dovere di lealtà e di coerenza, ricordare come si è comportata l’Assemblea di fronte alle deliberazioni prese dal Comitato dei Diciotto. Siamo quasi al termine dei nostri lavori e non è la prima volta questa che il Comitato dei Diciotto, abbandonando il testo primitivo del progetto di Costituzione, tenendo conto degli emendamenti presentati, ha, a sua volta, presentato un nuovo testo all’Assemblea.

Io capisco che vi possa essere qualche dubbio intorno alla competenza dei Diciotto a prospettare tesi nuove all’Assemblea, in quanto mi pare che questo punto non sia stato nettamente precisato, quando fu fatta la delega della Commissione dei Settantacinque al Comitato. Questo certo ha tutti i poteri, in ragione della delega, della Commissione dei Settantacinque, che esso può convocare a sua discrezione, quando lo ritenga opportuno. Ma la Commissione dei Settantacinque può modificare, accettando emendamenti, il progetto primitivo? Quando fu fatta la delega al Comitato dei Diciotto infatti, non si è chiaramente enunciato quali erano i poteri della stessa Commissione che venivano trasferiti al Comitato. Di contro a queste incertezze vi è una prassi, seguita per oltre un anno, nei lavori dell’Assemblea: vi sono stati punti fondamentali del progetto di Costituzione, per i quali si è mutato l’indirizzo del progetto e il Comitato dei Diciotto ha presentato un testo nuovo alla Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ha accettato un testo presentato da altri, ma non lo ha mai presentato essa stessa.

RUBILLI. Il Presidente della Commissione ha soltanto dato il parere sugli emendamenti, non ha presentato un nuovo testo. Dov’è infatti questo nuovo testo sul quale dovremmo discutere? Non c’è alcun testo nuovo, vi sono degli emendamenti col relativo parere a norma del Regolamento.

MORO. Sul tema delle Regioni sono state presentate nuove formulazioni, si può dire, per ogni articolo del progetto, e lo stesso è avvenuto per la discussione degli articoli concernenti il Senato.

La prassi del nostro lavoro costituzionale dunque e la logica, anche in mancanza di una espressa disposizione, ci dicono che non vi è nulla di strano nella mutata formulazione in materia di partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia.

Qual è la ragione di questo atteggiamento del Comitato dei Diciotto? Evidentemente è di facilitare e rendere più ordinati e solleciti i lavori dell’Assemblea. Se è vero che ha un valore puramente morale questo intervento del Comitato dei Diciotto, come ha osservato il Presidente, tuttavia questo valore morale non può essere trascurato, perché attraverso l’espressione di questo autorevole parere si cerca di raggiungere l’unanimità o, per lo meno, una larga maggioranza per la decisione che l’Assemblea deve prendere. Quale sarebbe logicamente la funzione di un Comitato che dovesse semplicemente difendere la primitiva formulazione della Commissione dei Settantacinque? In quel caso basterebbe che a quel tavolo sedesse il solo Presidente, il quale ostinatamente richiamasse il testo primitivo del progetto. Mi pare che il Comitato dei Diciotto, servendosi della delega datagli dalla Commissione dei Settantacinque, esplichi una funzione di mediazione fra le primitive opinioni prevalse in seno ai Settantacinque e le voci nuove che giungono dall’Assemblea, attraverso le proposte di emendamento. Il Comitato dei Diciotto cerca, se possibile, di raccordare questa volontà, che presuntivamente esprimeva la volontà dell’Assemblea attraverso la Commissione dei Settantacinque, alle nuove manifestazioni di volontà assembleare che si esprimono con gli emendamenti. In questo caso poi mi pare che non si tratti di un testo nuovo, ma dell’accettazione di emendamenti da parte del Comitato dei Diciotto. Per quella breve esperienza parlamentare che ho, credo che le Commissioni accettino o respingano sempre degli emendamenti. Comunque, per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Laconi, mi sembra di dover sottolineare quanto già è stato osservato dal Presidente, cioè che richiedere che il testo base sia quello primitivo del progetto, significa porlo come ultimo nell’ordine delle votazioni, eludendo così l’esigenza di carattere politico, che mi pare abbia sollecitato le proposte dell’onorevole Laconi e dell’onorevole Togliatti.

MAZZA. Onorevole Presidente, chiedo la chiusura della discussione su questo argomento.

PRESIDENTE. Domando se la richiesta di chiusura è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che il Comitato non ha fatto mai nessuna usurpazione di poteri. Ha cercato di fare tutto quello che era possibile per giungere ad una conclusione. Ha fatto sforzi pazienti e faticosi per mettere d’accordo non solo i membri del Comitato stesso, ma anche gli emendatori, e chiamando qualche volta in sedute improvvisate, durante le stesse sedute dell’Assemblea, i rappresentanti dei Gruppi. Io sono perfettamente sicuro che, se siamo arrivati al punto attuale di lavoro nella nostra Assemblea, si deve a questo sforzo del Comitato. Se non si faceva così, la Costituzione non avrebbe fatto un passo in avanti.

Voglio fare soltanto due osservazioni. La prima è che se il Comitato si dovesse limitare a sostenere il testo originario, non dovrebbe parlare mai, perché evidentemente, di fronte a tutte le osservazioni che vengono da tutte le parti dell’Assemblea, non potrebbe altro che dire: il testo è tabù. Non è discutibile, non è modificabile. Tutt’al più una difesa d’ufficio; ma come fare, quando la discussione ha convinto dell’opportunità della modifica, e ciò è avvenuto in alcuni casi da parte di tutti i componenti del Comitato? Il Comitato doveva essere passivo, doveva incrociare le braccia? L’aveste detto qualche mese fa, che riposo sarebbe stato per noi!

All’onorevole Moro io faccio osservare che il Comitato non ha mai proposto testi nuovi. Ad esempio, per la riduzione delle Regioni a quelle storiche, c’erano emendamenti in questo senso. Il Comitato se ne occupò ed all’unanimità decise di dare il suo parere favorevole a quell’emendamento.

Il Comitato non ha mai proposto testi nuovi.

In una discussione come questa, in cui c’è anche l’aspetto tecnico, era necessario dare una traccia all’Assemblea. Non volete che si faccia più così? D’ora in avanti, se volete, per quei pochi articoli che ci restano, noi esprimeremo il nostro avviso come individui ed il Comitato non funzionerà più (Commenti).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Volevo dichiarare soltanto che la questione che l’onorevole Togliatti prima e quindi io intendevamo sollevare, era una questione di principio. Tuttavia, cedendo all’esigenza di carattere politico, a cui ci ha richiamato e l’onorevole Presidente e l’onorevole Moro, noi accettiamo che a questa particolare discussione sia posta come base per la votazione la nuova proposta della Commissione. E presentiamo il testo originario della Commissione come emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io devo ancora chiarire all’onorevole Laconi che non c’è nessun testo nuovo del Comitato; esso ha ritenuto che di fronte agli emendamenti ed alla discussione, la sua proposta originaria è superata. Questa è la frase esatta che ho detto. Vi sono varie formule in discussione: quella Targetti, quella Ghidini, quella Cairo e poi la formula Coppi. Noi abbiamo semplicemente espresso il nostro parere. In quanto all’ordine della votazione, non dipende da noi; è stata la Presidenza dell’Assemblea a stabilire che, quando la Commissione esprime parere favorevole ad un emendamento, questo debba essere votato per ultimo, prendendo il posto del testo originario. Se si fosse stabilito che si votasse prima di tutto tale testo non vi sarebbe stato nulla di male.

PRESIDENTE. Passeremo ora alla votazione. Sono stati presentati altri emendamenti che non saranno svolti. Quello dell’onorevole Coppi è già noto. Gli onorevoli Mastino Pietro, Zanardi, Lussu ed altri hanno proposto il seguente emendamento:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo alla amministrazione della giustizia».

L’emendamento dell’onorevole Targetti è già noto. Vi è la proposta dell’onorevole Togliatti ed altri di aggiungere all’articolo 96 nel testo del progetto le parole: «ed in ogni caso in tutti i processi di natura politica» così che il testo risulterebbe il seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise ed in ogni caso in tutti i processi di natura politica».

Chiedo ora ai presentatori di emendamenti se li conservano.

Non essendo presente l’onorevole Rescigno il suo emendamento s’intende decaduto.

L’onorevole Monticelli mantiene il suo emendamento?

MONTICELLI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Rossi Paolo, il suo emendamento s’intende decaduto.

Non essendo presente l’onorevole Colitto, il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Ruggiero, mantiene il suo emendamento?

RUGGIERO CARLO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Villabruna, mantiene il suo emendamento?

VILLABRUNA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Lo sostituisco con l’emendamento che ho presentato oggi.

PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli, mantiene il suo emendamento?

GABRIELI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Merlin Umberto, il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Scalfaro, mantiene il suo emendamento?

SCALFARO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Castiglia, mantiene il suo emendamento?

CASTIGLIA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Perrone Capano, mantiene il suo emendamento?

PERRONE CAPANO. Lo mantengo.

RESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Mi associo all’emendamento dell’onorevole Targetti.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Murgia e Colitto, i loro emendamenti s’intendono decaduti.

Onorevole Abozzi, mantiene il suo emendamento?

ABOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Sardiello, s’intende decaduto il suo emendamento.

Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Aderisco all’emendamento Coppi.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento nella nuova formulazione?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Cairo, mantiene il suo emendamento?

CAIRO. Ritiro il mio emendamento e mi associo a quello dell’onorevole Mastino Pietro.

PRESIDENTE. Onorevole Ghidini, mantiene il suo emendamento?

GHIDINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Mi associo a quello dell’onorevole Mastino Pietro.

PRESIDENTE. Onorevole Coccia, mantiene il suo emendamento?

COCCIA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Sapienza, mantiene il suo emendamento?

SAPIENZA. Ritiro il mio emendamento e mi associo a quello dell’onorevole Mastino Pietro.

PRESIDENTE. Onorevole Coppi, mantiene il suo emendamento?

COPPI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, le chiedo se la Commissione aderisce al criterio della soppressione dell’articolo oppure se accetta la formulazione dell’onorevole Coppi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Data la posizione che ha assunto il Comitato dichiaro che non vedo difficoltà a che sia adottata la formulazione Coppi o la formulazione Mastino, testé presentata, che soltanto ora ho conosciuta.

PRESIDENTE. Lei si rimette all’Assemblea per la decisione, è naturale ed è obbligatorio; ma desidero sapere da che punto dobbiamo partire.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se lei mi autorizza a parlare personalmente, anche senza avere interpellato i Diciotto o i Settantacinque, dichiaro di aderire alla proposta Mastino Pietro.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il testo base è dunque il seguente:

«La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia».

Ora, da tutta la discussione si rileva che il punto centrale delle varie formulazioni è se la legge dovrà regolare i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, o se si debba affermare il principio della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia.

Ora mi pare che l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro si presti ad un equivoco che lo pregherei di chiarire.

MASTINO PIETRO. Con la formulazione da me proposta, affermo anzitutto, in modo positivo, che il popolo deve partecipare all’amministrazione della giustizia, diversamente da quanto è detto nell’ordine del giorno dell’onorevole Targetti, in cui ciò è affermato solo come possibilità. Dico poi che tale partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia deve avvenire in forma diretta.

Perché non parlo di giuria? Non perché voglia rinunziare ad alcuna delle conquiste e ad alcuno dei vantaggi ai quali ha accennato l’onorevole Togliatti e che la decisione del popolo, attraverso la giuria, può aver rappresentato, ma in quanto voglio evitare tutti i possibili inconvenienti che si sono manifestati fin’ora. Io penso cioè che, in sede di legislazione penale e di procedura, possa trovarsi una soluzione diversa dalla tradizionale, che ci consenta di eliminare quegli inconvenienti che la giuria, così come essa era intesa e praticata, rappresentava.

Si è, ad esempio, detto, dall’onorevole Rescigno, che ove si insista sul concetto del mantenimento della giuria, si precluderà necessariamente il diritto all’appello nei giudizi più gravi. Io contesto questa affermazione, perché concepisco un intervento diretto del popolo sotto forma tale che consenta la possibilità dell’appello. Tutto questo potrà essere convenientemente esaminato solo in sede tecnica, perché solo allora il problema potrà essere esaminato sia con maggiore e più profonda valutazione, sia non solo in sé, avulso da tutti gli altri, ma inserito nella valutazione giuridica generale.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Desidererei domandare all’onorevole Mastino se egli sia disposto ad accettare che al suo emendamento siano aggiunte le seguenti parole: «Questa partecipazione è obbligatoria nei processi di natura politica».

MASTINO PIETRO. Non ho nulla in contrario, in quanto io sostenni già questa tesi in sede di discussione generale.

TOGLIATTI. In questo caso allora io credo che il nostro Gruppo potrebbe associarsi al suo emendamento.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Noi ritiriamo l’emendamento presentato questa mattina, salvo a vedere se non sia poi il caso di ritirare anche gli altri. Noi avevamo infatti aggiunto la parola «può» con la speranza delusa – son molte le speranze che poi vengono deluse di poter conciliare così diversi pareri. Ma, poiché questa conciliazione non è venuta, non abbiamo alcuna ragione di insistere.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Targetti, ma debbo rivolgerle una preghiera. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Mastino, mi pare – se non ho mal compreso – che il testo dell’onorevole Mastino riassuma, in fondo, tutti i momenti del testo da lei presentato, non solo quello cui poc’anzi ella ha fatto cenno. Io la prego quindi di esaminare l’opportunità di ritirare tutto il suo ordine del giorno.

TARGETTI. Dichiaro allora di far forza al mio affetto paterno e di rinunciare al mio testo per aderire a quello dell’onorevole Mastino, nonostante anche la preferenza letteraria che mantengo per il mio testo.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Targetti.

Abbiamo allora due proposte: quella dell’onorevole Mastino Pietro con l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti e quella dell’onorevole Coppi.

È chiara adesso la distinzione fra questi due testi. Uno di essi afferma senz’altro, costituzionalmente, la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, salvo a rimettere alla legge il regolamento dei casi e dei modi; l’altro, invece, rimette alla legge la facoltà di stabilire se debba sussistere la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

Pertanto si dovrà votare dapprima il testo dell’onorevole Coppi, il quale è diverso da quello accettato anche dalla Commissione, cioè da quello dell’onorevole Mastino Pietro.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Chiediamo la votazione per appello nominale sul testo proposto dall’onorevole Coppi. (Commenti a sinistra).

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Vorrei pregare l’onorevole Togliatti di dirmi se accetta un emendamento al suo emendamento, nel senso che laddove è detto «è obbligatoria nei processi di natura politica», si dica: «nei processi per delitti politici».

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Togliatti se accetta.

TOGLIATTI. Accetto, purché al posto di «delitti» si dica «reati».

PRESIDENTE. Sta bene. Comunico che sul testo Coppi è stata chiesta la votazione nominale dagli onorevoli Perrone Capano, Leone Giovanni, Castiglia, Scalfaro, Crispo, Titomanlio Vittoria, Mazza, Abozzi, Benvenuti, Arcaini, Zerbi, Federici Maria, De Unterrichter Maria, Cifaldi e Dominedò.

Ritengo che data l’ora tarda potremmo rinviare questa votazione nominale.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Faccio la proposta formale per il rinvio della discussione alla seduta pomeridiana o addirittura a domani.

PRESIDENTE. Ritengo che la votazione nominale si debba fare nella seduta pomeridiana e, se non sorgono obiezioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.20.

POMERIDIANA DI SABATO 22 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCI.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 22 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Presentazione di una relazione:

Martino Gaetano

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Presidente

Togliatti

Crispo

Leone Giovanni

Fabbri

Bettiol, Relatore

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Gullo Fausto

Condorelli

Schiavetti

Uberti

Moro

Targetti

Calosso

Benedettini

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Dominedò

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Gabrieli

Rescigno

Perrone Capano

Nobili Tito Oro

Targetti

Cairo

Ghidini

Coccia

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Presentazione di una relazione.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Mi onoro di presentare la relazione al disegno di legge:

«Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamenti agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamenti agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. Secondo la decisione presa dall’Assemblea alla fine della seduta antimeridiana, proseguiamo l’esame del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico.

Dobbiamo procedere alla votazione dell’articolo 6, nel testo fatto proprio dalla Commissione colla inclusione dell’aggiunta proposta dall’onorevole Mastino Pietro:

«Chiunque, con i mezzi indicati nel precedente articolo, fa propaganda per la restaurazione violenta della dinastia sabauda è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

L’articolo 7 del testo presentato dal Governo è stato soppresso dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 8. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per i delitti preveduti negli articoli precedenti si procede con istruzione sommaria e, quando è possibile, con giudizio direttissimo».

PRESIDENTE. L’onorevole Scalfaro ha proposto di sopprimerlo. Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunciato a svolgere l’emendamento.

Pongo in votazione l’articolo 8.

(È approvato).

Vi è una proposta di articolo 8-bis, a firma degli onorevoli Schiavetti, Fiorentino, Faralli, Pistoia, Giua, Farini, Carpano Maglioli, Pieri, Fedeli Aldo, Nenni, Priolo e Togliatti, del seguente tenore:

«Nei casi previsti dall’articolo 1 il Ministro dell’interno, mentre dispone la denuncia dei responsabili alla autorità giudiziaria, ordina lo scioglimento dell’organizzazione».

L’onorevole Togliatti ha facoltà di svolgere l’emendamento.

TOGLIATTI. Mi pare che questa proposta di articolo aggiuntivo sia evidente nel suo contenuto e si giustifichi da sé. La legge prevede determinate sanzioni che debbono essere inflitte dall’autorità giudiziaria, ma al di fuori di queste sanzioni, vi sono atti dell’autorità amministrativa, di polizia, di ordine pubblico, che devono essere paralleli agli atti dell’autorità giudiziaria e anche precederli. Quindi è bene che la legge faccia un obbligo a quel funzionario dello Stato – nella specie, il Ministro degli interni – che ha il compito di dirigere questi organi di tutela dell’ordine pubblico, di applicare la legge, nel senso di sciogliere quelle organizzazioni che rientrano nei casi preveduti dalla legge. Ritengo che non occorrano altre parole per dimostrare che questo articolo aggiuntivo è perfettamente coerente con tutti i precedenti articoli della legge ed esige unicamente la necessaria azione parallela degli organi dell’autorità giudiziaria e degli organi del potere esecutivo.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Avevo chiesto la parola unicamente perché volevo pregare l’onorevole Togliatti di considerare se non sia più opportuno stabilire una norma con cui si dica che il magistrato, con la sanzione di condanna ordina lo scioglimento dell’organizzazione. Naturalmente nel nostro codice di procedura vi sono le norme che prevedono gli organi incaricati dell’esecuzione delle sentenze dei magistrati. Piuttosto che fare un provvedimento con cui si demanda esclusivamente all’organo di polizia l’esecuzione o l’applicazione delle conseguenze della sentenza, mi parrebbe molto più logico e più giuridico che si stabilisse che il magistrato, con la sentenza che afferma l’esistenza del reato, ordini lo scioglimento dell’organizzazione. Di conseguenza, prego l’onorevole Togliatti di voler entrare in questo ordine di idee.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. A nome del mio Gruppo dichiaro che, in primo luogo, voteremo contro questa proposta, per ragioni di delimitazione della sfera di competenza di questa legge, che ci pare sia sorta e debba rimanere in tale ambito, diretta soltanto a reprimere penalmente certe manifestazioni. Non ci dobbiamo, invece, occupare della disciplina amministrativa delle organizzazioni incriminate con la legge in corso di votazione, che sarà invece affidata alla legge di pubblica sicurezza in corso di elaborazione, e che dovrà uniformarsi al sistema costituzionale che andiamo elaborando.

Tale legge detterà anche le norme che disciplinano lo scioglimento di queste particolari organizzazioni che sono contrarie allo Stato democratico. Noi correremmo il rischio, inserendo in questa legge una norma del genere, di portare una frattura al complesso sistema legislativo che la legge di pubblica sicurezza (o altra più ampia legge) darà a tutta questa materia delle organizzazioni contrarie allo Stato democratico e repubblicano.

In linea subordinata, riteniamo che sia da accettarsi la proposta Crispo, che cioè sia più conveniente affidare al magistrato in sede di pronuncia della sentenza, e non all’organo del potere esecutivo, un provvedimento che disciolga tali organizzazioni.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. A titolo personale, perché non ho la possibilità di consultare la maggioranza della Commissione che non è presente, mi permetto di fare un’osservazione, e cioè che il testo formulato dall’onorevole Schiavetti mi pare faccia una strana confusione fra i poteri di polizia e quelli dell’autorità giudiziaria, anche nel senso che questa desiderata conseguenza dello scioglimento di un partito ecc., non riconnette ad una constatazione di reato fatta dall’autorità giudiziaria, ma la riconnette all’ipotesi di una denuncia, di guisa che il Ministro dell’interno, quando volesse prendere un provvedimento arbitrario di polizia sulla pretesa base di questa legge, non avrebbe che da arricchirlo con una denuncia, che potrebbe essere tutto ciò che si può immaginare di più arbitrario e di più contrario ad ogni concetto di carattere obiettivo e veramente correlativo a norme di una legge penale.

Quindi, se fosse una sanzione inerente ad una pronuncia penale ritenuta definitiva, la potrei capire, ma questo effetto conseguente ad una denuncia fatta da un quidam de populo mi pare che sia proprio una stortura dal punto di vista della distinzione fra i poteri dell’autorità giudiziaria, che sono una cosa, e quelli dell’autorità amministrativa e del potere esecutivo, che ne sono un’altra.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. All’argomentazione dell’onorevole Fabbri mi pare si risponda richiamandosi a quello che è stato detto fin dall’inizio dal collega Relatore della Commissione, onorevole Bettiol. Questa legge prevede un reato di pericolo, non di danno. Trattandosi di reato di pericolo, è giusto, è legittimo si dia agli organi del potere esecutivo, e all’autorità che dipende dal Ministro dell’interno, organo supremo del potere esecutivo, il potere di intervenire preventivamente. Se domani l’autorità giudiziaria emanerà un giudizio in contrasto con la decisione presa dal Ministro dell’interno, è evidente che il provvedimento del Ministro dell’interno dovrà essere revocato; ma poiché ci troviamo di fronte ad un reato che si tratta di prevenire, di fronte ad una minaccia, che bisogna divergere dall’organismo democratico, cioè di fronte ad un reato di pericolo, come ha ripetuto parecchie volte l’onorevole Bettiol, è giusto dare questa facoltà al potere esecutivo.

Per quanto si riferisce all’obiezione fatta dall’onorevole Leone, il quale sottolinea che questa è una legge di natura speciale, mi pare evidente che, appunto per ciò, questa legge deve prevedere anche quelle applicazioni che normalmente possono essere deferite al regolamento di pubblica sicurezza. Data la gravità del reato, dato il carattere del reato stesso e la gravità quindi del pericolo che si tratta di allontanare, è giusto che le misure che devono essere prese dal potere esecutivo vengano previste nella legge stessa, la quale dà l’indicazione al potere giudiziario per la sua attività.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Io sono costretto a ribadire il nostro punto di vista di dissenso dall’approvazione di questo nuovo articolo aggiuntivo. Per quanto attiene alla obiezione pregiudiziale, io ho già sottoposto all’Assemblea Costituente che, trattandosi di repressione penale di determinate attività, a me pare che il carattere di legge speciale, sottolineato dall’onorevole Targetti, ci costringa a mantenerci in quei limiti che il Governo ha voluto predeterminare per questa legge speciale (repressione penale di determinate manifestazioni della vita politica) e quindi a non estendere la sua disciplina alla regolamentazione del potere del Governo per quanto concerne la vita di questi partiti, al di fuori del campo penale.

Per quanto concerne poi la obiezione di sostanza che è stata formulata dall’onorevole Fabbri, io non posso che aderire a questa formulazione: reato di pericolo, sì, onorevole Togliatti, ma pericolo che sia giudizialmente accertato, che costituisca oggetto di un accertamento da parte dell’autorità giudiziaria. Il reato di pericolo si distingue dal reato di danno, infatti, per quanto attiene ai motivi che legittimano una legge ed alla sua formulazione. Mentre, infatti, la legge di regola richiede, per la incriminazione delle azioni umane, che si verifichi la lesione di un bene o di interesse giuridico, per alcune speciali attività, per non attendere la lesione di un bene o di interesse giuridico che sarebbe preminentemente pregiudizievole per la vita sociale, si ferma a punire quello che di regola costituirebbe soltanto il tentativo di reato: siamo alla presenza del così detto reato di attentato.

Ma, nell’una e nell’altra ipotesi (danno, lesione, pericolo, messa in pericolo), occorre sempre un accertamento dell’autorità giudiziaria, che dica alla società se il danno ed il pericolo si è realizzato. Nel primo caso si è realizzata la lesione di un bene giuridico, nell’altro la messa in pericolo di un bene giuridico.

Io contesto al Ministro dell’interno di poter preventivamente dare questo accertamento, sciogliendo una organizzazione, prima che il magistrato abbia detto in quale posizione questa organizzazione si trovi rispetto alla norma penale; con gravissimo danno per l’organizzazione, ove il magistrato ritenga non sussistere le condizioni della legge penale.

Pensiamo, inoltre, che la denuncia può anche non partire dal Ministro dell’interno; anzi, di regola, non parte dal Ministro dell’interno. Il funzionamento della giustizia è tale che la denunzia, di regola, parte dal cittadino o da un organo statale, organo statale che può essere anche collegato al Ministero dell’interno, ma è un organo che può avere la sua autonomia, come la polizia giudiziaria, ad esempio. Di regola questa denuncia è trasmessa direttamente all’autorità giudiziaria, senza neppure il tramite del Ministero dell’interno.

Ora, io faccio questa domanda: voi consentireste al Ministro di sciogliere queste organizzazioni prima che il magistrato abbia accertato la sussistenza delle condizioni rispondenti al fatto specifico? Se così fosse, noi vedremmo una discrepanza inammissibile e ingiustificata; perché, ove la denuncia non promanasse dal Ministro dell’interno, ove la denuncia non passasse tramite il Ministro dell’interno, questo non potrebbe sciogliere le dette organizzazioni. Se d’altra parte voi, per risolvere questa discrepanza, voleste dare la possibilità al Ministro dell’interno di sciogliere queste organizzazioni, anche quando la denuncia parte da un privato, voi mettereste in condizioni il Ministro dell’interno di poter sciogliere preventivamente una organizzazione anche quando una denuncia sia manifestamente infondata. Quindi, soprattutto per quei limiti che la legge speciale assegna in questo campo, io insisto nell’affermare che il nostro Gruppo voterà contro questo articolo, demandando ad altre norme di legge ed in sede più opportuna la formulazione delle norme e disposizioni che concernono la possibilità di scioglimento di quelle organizzazioni che si mettono contro la vita, la libertà e lo sviluppo dello Stato repubblicano.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Io volevo dire quello che è stato in gran parte detto dall’onorevole Leone. Mi permetterei aggiungere due sole osservazioni.

Se l’onorevole Togliatti si preoccupa di un intervento sollecito, ricordo che opportunamente è stata contemplata nelle norme di questa legge la particolare procedura del giudizio direttissimo, in modo che tra la denunzia e il giudizio interceda un intervallo brevissimo, perché si possa avere l’intervento immediato del giudice.

Rilevo poi, a ribadire gli argomenti evidentissimi esposti dall’onorevole Leone, che si potrebbe stabilire una contradizione evidente tra un provvedimento di polizia, che preventivamente sciogliesse l’organizzazione ed una sentenza che, per caso, riconoscesse l’insussistenza degli estremi costitutivi dei delitti contemplati nella legge speciale.

D’altra parte, l’indole, o, per essere più precisi, il carattere del delitto di mero pericolo non giustifica l’intervento dell’autorità di polizia; si conferirebbe in tal modo all’autorità di polizia un potere sconfinato in questa materia. Non giustifica questo intervento, per una ragione molto semplice. Come è stato già perspicuamente osservato, la distinzione, la demarcazione tra delitto di mero pericolo e delitto di danno è unicamente in rapporto all’evento, perché nel secondo caso si verifica l’evento e nel primo caso no. Ciò non significa, tuttavia, che gli estremi del delitto di pericolo non debbano essere accertati con una sentenza, con una pronunzia del magistrato, nella quale la parte incriminata abbia il diritto di svolgere tutti i mezzi di difesa.

Per queste ragioni mi permetto di insistere sull’emendamento all’emendamento, nel caso che l’Assemblea approvi, comunque, il principio invocato dall’onorevole Togliatti, e cioè che deve essere la sentenza della Magistratura ad ordinare lo scioglimento dell’organizzazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione – credo nella sua maggioranza, perché c’è qualche voce discorde – ritiene che questo articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Schiavetti non possa essere accettato. Non tanto per ragioni riguardanti il merito, quanto per ragioni inerenti alla natura di questa legge, che ha carattere spiccatamente penale.

Uno dei cardini di una concezione democratica del diritto penale è quello di evitare ogni e qualsiasi contatto col ramo del diritto di polizia, il quale risponde a finalità totalmente diverse dalle finalità proprie della norma penale e si dirige, sempre, nei confronti di singoli individui che disobbediscono ad un precetto penale, munito di sanzione.

Voglio ricordare che già, in sostanza, questa legge viene condizionata a quelle giuste necessità di difesa del nostro ordine democratico e repubblicano.

Quanto alla possibilità concreta che l’autorità di polizia possa sciogliere l’associazione prima della sentenza del magistrato, non posso non sottolineare tutti i pericoli che ne potrebbero derivare; del resto credo che già l’attuale legge di polizia consenta in questi casi un intervento dell’autorità amministrativa per sciogliere tali organizzazioni delittuose.

Per questi motivi, la maggioranza della Commissione non ritiene di poter accedere all’emendamento presentato dall’onorevole Schiavetti.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, non c’è dubbio che l’articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Schiavetti non entra in quella che è l’economia dell’attuale disegno di legge, il quale stabilisce delle misure punitive per coloro che promuovono la ricostituzione del partito fascista, oppure, sotto qualsiasi forma di un movimento che ripeta le finalità del partito fascista.

Il partito fascista è sciolto e l’articolo 270 del Codice penale aggiunge un inasprimento di pena per le associazioni di cui sia stato ordinato lo scioglimento. Ora, con questa disposizione, noi vogliamo in sostanza precisare meglio quello che, in fondo, il Codice penale già prevedeva e vogliamo stabilire che, quando un movimento cerca di riprodurre il disciolto partito fascista, incorre in queste penalità.

Che cosa significa ciò? Significa che il partito fascista non esiste e non può esistere. Non si può quindi giuridicamente ordinare lo scioglimento di un partito che non esiste. E, per questa forma di associazioni che non possono esistere e che quindi sono contrarie all’ordine pubblico, mi pare sufficientemente soccorra l’articolo 210 della legge di pubblica sicurezza, il quale dice: «Salvo quanto disposto con l’articolo precedente – ossia per le associazioni non costituite, ma che potrebbero costituirsi – il prefetto può disporre lo scioglimento di enti od associazioni che svolgano un’attività contraria al bene dello Stato. Nei confronti di detti enti od associazioni si può ordinare la confisca».

Io penso quindi soprattutto che non sia il caso di inserire in una legge penale una disposizione di pubblica sicurezza, perché creeremmo una confusione in termini. Io ritengo insomma che sarebbe troppo voler congegnare l’articolo in questa maniera, ossia nel senso che il Ministro dell’interno – il quale poi non sarebbe l’organo, caso mai, competente, ché dovrebbe trattarsi del Governo o del prefetto – potesse avere la potestà della iniziativa di questo scioglimento.

Io penso infatti che in un ordinamento democratico, in un ordinamento di diritto, in un ordinamento giuridico, sia necessario dare le garanzie a tutti. E noi che, come costituenti, stiamo gettando le basi di quelle che sono le norme fondamentali così dei singoli, come dei gruppi e dei partiti, non possiamo lasciare un simile arbitrio all’autorità di pubblica sicurezza.

Il voler dare all’esecutivo dei poteri superiori a quelli che non gli spettano, significherebbe formare un governo di polizia, il che non è certo consono allo spirito democratico al quale ci onoriamo tutti di assoggettarci.

Per queste ragioni, dunque, ritengo che sia inutile inserire questo articolo nella legge attualmente in discussione.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Vorrei proporre un emendamento a questo articolo aggiuntivo, e cioè:

«Nei casi previsti dall’articolo 1, il Ministro dell’interno, ove sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria, può adottare i provvedimenti necessari per la sospensione in via provvisoria dell’attività dell’organizzazione denunziata, salvo a procedere allo scioglimento definitivo di essa in dipendenza dell’affermazione di responsabilità da parte del giudice penale».

Ho sentito le osservazioni tanto dell’onorevole Leone che dell’onorevole Fabbri e dell’onorevole Bettiol; ma c’è questo: non bisogna dimenticare il carattere particolare di questa legge. Ora, se effettivamente è accertato o, comunque, si ha il fondato sospetto che un’organizzazione possa riuscire pericolosa all’ordine pubblico e alla pace sociale e interviene una denuncia per questo, può accadere che l’organizzazione continui ad esplicare la sua attività fino a che sopravvenga la sentenza definitiva di affermazione di responsabilità. A me pare che andremmo incontro a qualche cosa di paradossale. Infatti, o l’organizzazione è pericolosa, e come tale deve sospendere l’attività, e allora mi pare strano che si possa ammettere, anche in ipotesi, un Ministro dell’interno che se ne stia inoperoso di fronte a tale pericolo.

A me pare sia rispondente alla logica anche giuridica questo attribuire al Ministro dell’interno la facoltà di sospendere in via provvisoria, ove sia intervenuta denuncia al giudice penale, l’attività dell’organizzazione denunciata, salvo – si capisce – a procedere allo scioglimento definitivo dell’organizzazione stessa, quando intervenga sentenza definitiva di condanna da parte del magistrato.

PRESIDENTE. Do lettura del testo proposto dall’onorevole Gullo:

«Nei casi previsti dall’articolo 1, il Ministro dell’interno, ove sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria, può adottare i provvedimenti necessari per la sospensione in via provvisoria dell’attività dell’organizzazione denunziata, salvo a procedere allo scioglimento definitivo di essa in dipendenza dell’affermazione di responsabilità da parte del giudice penale».

Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Rilevo che questo emendamento è più preciso dell’altro presentato dall’onorevole Schiavetti; ma tuttavia anche questo emendamento segue quella linea – diciamo così – poliziesca, in senso lato, cui accennava prima il Ministro di grazia e giustizia.

Considerato poi – come è stato detto dal Ministro – che la legge di pubblica sicurezza consente all’autorità amministrativa di intervenire per bloccare le attività pericolose per l’ordine democratico, la Commissione non accetta questo emendamento.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro di grazia e giustizia ad esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Riconosco anch’io che l’emendamento proposto dall’onorevole Gullo precisa che lo scioglimento non sarebbe un arbitrio del Ministro, ma dovrebbe avvenire in seguito a denuncia all’autorità giudiziaria, e in forma definitiva, solo dopo la denuncia all’autorità giudiziaria.

Pregherei, peraltro, l’onorevole Gullo di non insistere oltre, perché, se effettivamente la legge, anche senza attendere la denuncia all’autorità giudiziaria, autorizza ad agire, se la pericolosità si presenta, io penso che la legge e le disposizioni di pubblica sicurezza diano sufficiente garanzia, nel caso di pericolosità.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Crispo, Villabruna e Morelli Renato hanno proposto la seguente dizione:

«Nei casi previsti dall’articolo 1, con la sentenza di condanna si ordina lo scioglimento dell’organizzazione».

Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Mi pare che anche questo emendamento sia inutile, perché automaticamente l’autorità di pubblica sicurezza, in base a sentenza del magistrato, deve procedere allo scioglimento dell’organizzazione che è delittuosa per natura sua.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro di grazia e giustizia ad esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Penso che quando è intervenuta la sentenza dell’autorità giudiziaria siamo già nella fase di esecuzione; ma un provvedimento di Governo essa non può prenderlo, se no si confonderebbero tutti i poteri. L’autorità giudiziaria applica le leggi nel caso concreto, non può sciogliere un partito. Non possiamo dare all’autorità giudiziaria l’ordine di sciogliere un partito. Essa può applicare le pene per il singolo individuo, ma non per l’ente, per l’associazione, per il partito. È il Governo che, in seguito a queste risultanze – o anche senza attendere queste risultanze, se il caso venga comprovato – può ordinare lo scioglimento dell’associazione in quanto la ritenga pericolosa in base all’articolo 110, e può il prefetto disporre lo scioglimento.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha la facoltà.

GULLO FAUSTO. L’onorevole Ministro intende ricorrere alla legge più poliziesca, cioè alla legge fascista.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. È la legge in vigore.

GULLO FAUSTO. Ora, noi domandiamo che questa attività del Ministro dell’interno entri nell’ambito d’una vera legalità. Perché mi pare strano che, di fronte a questo emendamento si dica che c’è una legge fascista, che dà facoltà al Ministro dell’interno di fare quello che vuole, quando poi si respinge l’emendamento appunto per questo suo preteso contenuto poliziesco! È una contradizione strana!

Con questa norma si vuole appunto fare rientrare l’attività del Ministero dell’interno in una legalità che non sia quella fascista.

PRESIDENTE. Riassumendo, vi sono tre proposte: quella dell’onorevole Schiavetti, quella dell’onorevole Gullo e quella dell’onorevole Crispo.

Procederemo alla votazione della proposta Schiavetti, in quanto è la più radicale.

Su di essa è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Uberti ed altri.

CONDORELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Voterò contro tutte e tre le proposte perché, data la grande importanza che nella vita costituzionale moderna hanno assunto i partiti, lo scioglimento od anche la semplice sospensione dell’attività politica di un partito può avere il significato di un colpo di Stato. Noi siamo alla vigilia di istituire la Corte costituzionale. Mi sembra che il giudice naturale della legittimità, della legalità, dell’ammissibilità di un partito sia appunto la Corte costituzionale, la quale, avendo per competenza proprio la materia costituzionale, e il giudice veramente indicato a questa funzione, ed ha anche la possibilità, guardando dall’alto, di giudicare l’attività del partito di cui si discute, non nell’apparenza o nell’atteggiamento che esso per avventura può avere assunto in una determinata situazione locale o temporale, ma nel complesso dell’attività politica svolta nel quadro della Nazione. Io ho perciò proposto di riesaminare il problema quando, fra qualche giorno, voteremo sulla Corte costituzionale.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Ritiro il mio emendamento e aderisco a quello dell’onorevole Gullo.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Trasferiamo la richiesta di votazione per appello nominale sull’articolo proposto dall’onorevole Gullo.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione, per appello nominale, dell’articolo proposto dall’onorevole Gullo Fausto, al quale ha dato la sua adesione l’onorevole Schiavetti:

«Nei casi previsti dall’articolo 1, il Ministro dell’interno, ove sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria, può adottare i provvedimenti necessari per la sospensione in via provvisoria dell’attività dell’organizzazione denunziata, salvo a procedere allo scioglimento definitivo di essa in dipendenza dell’affermazione di responsabilità da parte del giudice penale».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Saragat.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Baldassari – Barbareschi – Barontini Anelito – Bartalini – Bei Adele – Bianchi Bruno – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonfantini – Bordon – Bosi – Bucci – Buffoni Francesco.

Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Canepa – Caporali – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallotti – Cevolotto – Chiarini – Chiostergi – Corbi – Corsi – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – Della Seta– De Michelis Paolo – De Vita – D’Onofrio.

Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Filippini – Fiore – Fiorentino.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giolitti – Gorreri – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Marinelli – Massini – Massola – Mastino Pietro – Merighi – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Moranino – Morini – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nobili Tito Oro – Novella.

Pacciardi – Paolucci – Pellegrini – Pera – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Preti – Priolo.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Maria Maddalena – Ruggieri Luigi.

Saccenti – Salerno – Saragat – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Secchia – Sicignano – Silipo – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello – Treves.

Veroni – Vigna.

Zanardi.

Rispondono no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Andreotti – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Balduzzi – Baracco – Bellato – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio.

Caccuri – Camposarcuno – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carboni Enrico – Caristia – Caronia – Carratelli – Cavalli – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Covelli – Crispo.

Damiani – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giordani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

Leone Giovanni – Lizier.

Malvestiti – Mannironi – Marazza – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Morelli Renato – Moro – Mortati – Mùrdaca.

Nicotra Maria – Nitti – Notarianni – Numeroso.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Piccioni – Proia.

Quarello – Quintieri Quinto.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Rubilli.

Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Scoca – Segni – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Venditti – Vicentini – Vigo – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi.

Si sono astenuti:

Costa – Costantini.

Sono in congedo:

Bergamini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Viale – Vischioni.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti                               307

Votanti                                305

Astenuti                               2

Maggioranza           153

Voti favorevoli        134

Voti contrari                        171

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. Passiamo all’emendamento dell’onorevole Crispo.

Onorevole Crispo, lo mantiene?

CRISPO. Lo mantengo.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il mio Gruppo voterà a favore dell’emendamento dell’onorevole Crispo.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Crispo è del seguente tenore: «Nei casi previsti dall’articolo 1, con la sentenza di condanna si ordina lo scioglimento dell’organizzazione».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

L’onorevole Lucifero ha proposto un articolo aggiuntivo del seguente tenore:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale, ed in ogni caso entro il 31 dicembre 1948».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

CONDORELLI. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. Sostanzialmente è stato già svolto e mi sembra che raccolga il consenso di diverse parti della Camera, corrispondendo in sostanza alla natura eccezionale di questa legge, che è ormai trapelata da tutta la discussione. Bisogna pertanto stabilire queste eccezionalità anche nel tempo, cioè dichiarare che si tratta di una legge limitata nel tempo entro il quale sarà possibile rielaborare armonicamente tutta quanta la materia.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione in proposito è divisa. La maggioranza accede all’idea che questa legge debba essere limitata nel tempo e sarebbe disposta ad accettare una limitazione di cinque anni, con una formulazione in questi termini: «La presente legge entra in vigore nel giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e sino al 31 dicembre 1952».

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi! La proposta accettata dalla maggioranza della Commissione non mi trova consenziente e credo che forse non troverà consenziente neppure i colleghi del mio Gruppo. Il proposito, o per meglio dire la speranza a cui si ispira questa disposizione è una speranza che dev’essere nell’animo di tutti noi, cioè che in breve volger di tempo vengano a mancare le ragioni che hanno determinata l’Assemblea Costituente ad approvare questa legge, cioè vengano a cessare quelle manifestazioni criminose, che la legge approvata intende reprimere. Questa speranza, questo augurio, deve essere da tutti noi condiviso, nel supremo interesse del Paese. Ma vi è una conseguenza pratica ed immediata di questa disposizione aggiuntiva, su cui mi permetto richiamare l’attenzione dell’Assemblea, una conseguenza che è anche in contradizione, a parer mio, con le penalità stabilite dalla legge a cui si riferisce. Quando si è ritenuto che alcune di queste manifestazioni fossero da considerarsi così gravi da meritare una repressione di venti, di trenta anni di reclusione, e persino dell’ergastolo, stabilire la durata della legge stessa significa ridurre quasi a niente quella efficacia intimidatrice che noi alla legge attribuiamo. Perché è un vecchio principio, che è stato sempre sostenuto, condiviso da tutti i giuristi, e che corrisponde alla coscienza pubblica, quello che al cessare della incriminazione di un determinato fatto debbano necessariamente cessare anche le conseguenze, tutte le conseguenze, delle condanne pronunciate per il fatto stesso.

lo credo che non importi essere avvocati, che sia indifferente la professione che si esercita, e la preparazione culturale, per essere persuasi di questo. Se un tizio è stato condannato a venti anni per un fatto che la legge dichiari non più reato, non è possibile che la esecuzione di quella pena continui (Interruzione del deputato Fabbri).

Onorevole Fabbri, immagino quello che vuol dire; lo conosco anch’io quell’articolo del Codice penale che fa eccezione a questo sacrosanto principio – è un principio sacrosanto, onorevoli colleghi – che nessuno possa essere punito e neppure possa essere conclamato a continuare l’espiazione di una pena per uni fatto che se era reato quando lo commise, reato non è più. È cosa che ripugna, prima che alla coscienza giuridica, alla ragione, al sentimento.

Lo so; c’è un articolo del Codice fascista che fa eccezione a questo principio per le leggi temporanee ed eccezionali. Noi dobbiamo augurarci che ben presto in molte parti il Codice fascista sia modificato. Ebbene, una delle prime aberrazioni che dovranno essere cancellate è proprio questa. Ritornando al principio della non ultra-attività della legge penale, le disposizioni che abbiamo votate resterebbero senza effetto allo scadere del termine. Bisognerebbe fare un’eccezione. Ricordo che nella legge del novembre 1926 per la difesa dello Stato, nella quale si dové stabilire una scadenza in relazione al cessare delle condizioni che l’avevano determinata, si stabilì: «salvo le esecuzioni delle condanne già pronunciate». Se si volesse insistere nella approvazione dell’articolo aggiuntivo, io ritengo che sarebbe necessario aggiungere, per eccezione alla regola, una simile disposizione. Ma si tratta di eccezioni ad un principio che si dovrebbe sempre poter rispettare. Meglio dunque rinunziare all’apposizione di un termine e piuttosto operare in tutti i campi per far sì che cessino al più presto queste manifestazioni delittuose.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Desidero, a titolo personale – e soltanto per sottoporre un rilievo di carattere tecnico che valga a tranquillizzare l’onesta coscienza dell’onorevole Targetti – il quale si è preoccupato che predisponendo un termine di cessazione del vigore della legge si possa ritenere che l’esecuzione della condanna inflitta durante il vigore della legge medesima possano cessare, dichiarare che a questo riguardo interviene la norma comune del Codice, e precisamente l’articolo 2, che stabilisce che la irretroattività della legge più favorevole o abrogativa non vale quando si tratta di leggi penali temporanee o eccezionali. Questa legge è temporanea ed eccezionale e quindi cadono le preoccupazioni dell’onorevole Targetti.

D’altra parte, se la ricordata norma del Codice penale cadesse in avvenire, resterebbe travolta anche l’eventuale eccezione che preventivamente avessimo già previsto.

TARGETTI. Questo io l’ho già detto.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Targetti, ha proposto un emendamento?

TARGETTI. Io ho fatto una proposta di soppressione di qualsiasi formulazione aggiuntiva ed, in via subordinata, ho proposto che si specifichi: «salvo l’esecuzione delle sentenze di condanna definitiva già pronunciate».

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo ha presentato una nuova formulazione, così concepita:

«La presente legge cesserà di avere effetto dopo sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgere la sua proposta.

CRISPO. Vorrei anzitutto rilevare, per acquietare le preoccupazioni dell’onorevole Targetti, che il caso dell’articolo 2 del Codice penale che contempla la successione di leggi e specialmente il caso di una legge abrogativa di una legge precedente, non è un caso che possa invocarsi a proposito dell’emendamento da me proposto; perché, per verificarsi le conseguenze che egli dice, occorrerebbe che una nuova legge successiva a questa cancellasse i reati contemplati dagli articoli 1, 2 e 3 della legge in vigore. Il caso nostro è diverso: qui si contempla semplicemente un termine entro il quale la legge è scaduta, ma non si contempla l’eventualità di una nuova legge successiva a questa, che regoli diversamente questa materia. Noi deliberiamo una legge eccezionale, la quale, in tanto ha ragione di essere, in quanto obbedisce ad eccezionali esigenze. Cessate le condizioni per le quali la legge eccezionale è stata emanata, la legge cessa di aver vigore.

Questo è stato scritto in tutte le leggi repressive dell’attività fascista, anche nella istituzione dei tribunali straordinari e delle Corti di assise straordinarie, non potendosi configurare una legge eccezionale che non sia limitata entro un determinato periodo di tempo.

È evidente che, quando avrete votato il mio emendamento, se – per caso – allo scadere del termine da me prestabilito, che potrebbe anche essere un termine diverso, crederete che permangano le preoccupazioni per le quali oggi l’Assemblea vota questa legge eccezionale, nulla vieterà di prorogarla.

Ecco perché, onorevole Targetti, le sentenze che, per caso, fossero emesse durante il periodo in cui la legge ha vigore, passate che fossero in giudicato, non potrebbero caducarsi, non potrebbe cessare l’effetto di queste sentenze, perché avrà cessato di avere effetto la legge, ma non sarà subentrata una legge la quale dica che quella attività non è più reato.

È così evidente il mio pensiero, che non ritengo sia il caso di illustrarlo più a lungo.

Quindi, insisto sul mio emendamento, al quale si potrebbe eventualmente aggiungere, «salvo eventuale proroga».

PRESIDENTE. Abbiamo, dunque, tre testi. Il primo è quello dell’onorevole Lucifero, fatto proprio dall’onorevole Condorelli, del seguente tenore:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale, ed in ogni caso entro il 31 dicembre 1948».

Il secondo è quello dell’onorevole Crispo:

«La presente legge cesserà di avere effetto dopo sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione, salvo eventuale proroga».

E vi è, una proposta aggiuntiva dell’onorevole Targetti, nel caso che dovesse essere approvata una di queste due formulazioni:

«Salvo l’esecuzione delle sentenze di condanna definitiva, già pronunciate».

Infine la Commissione propone di non formulare un articolo aggiuntivo, ma di modificare l’articolo 9 del progetto in questo senso:

«La presente legge entra in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e sino al 31 dicembre 1952».

Occorre mettere in votazione per primo l’emendamento dell’onorevole Crispo, che pone il termine più vicino poiché la Costituzione entrerà in vigore prossimamente.

Nella proposta dell’onorevole Lucifero si indica come terminale il momento nel quale saranno state rivedute le disposizioni del Codice penale, e noi possiamo prevedere che ciò avverrà ad una scadenza più lontana di quella in cui entrerà in vigore la Costituzione.

Infine, vi è la proposta della Commissione.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevole Presidente, aderisco all’emendamento dell’onorevole Crispo, rinunciando al mio che ripresenterei però, come subordinato, nel caso che non venisse approvato quello dell’onorevole Crispo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla possibilità di rinviare la questione al momento in cui verrà in discussione quella disposizione finale della Costituzione che dice: «È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

Mi pare che sia quella la sede più opportuna per porre in discussione e risolvere questa questione, lasciando ora le cose come stanno. Comunque, fra le diverse formulazioni, io preferisco quella della Commissione e ad essa aderisco. È del resto da osservarsi che di questa materia il Codice penale dovrà certamente occuparsi; la presente legge cesserà così di aver vigore non appena saranno state rivedute le relative disposizioni del Codice penale, e si rientrerà nell’ordine normale.

È questa, intendiamoci, una disposizione per cui c’è un impegno internazionale derivante dal Trattato di pace, dalla quale disposizione ne consegue un’altra particolare nella nostra Costituzione. Io proporrei quindi la formulazione seguente:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale ed in ogni caso non oltre il 31 di dicembre 1952».

BETTIOL, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL, Relatore. La maggioranza della Commissione accetta questa formula.

CALOSSO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. La formulazione della Commissione, poiché si vuol stabilire un termine, mi pare la più logica, perché si tratta di cinque anni e noi siamo un po’ tutti, nella discussione di questa legge, sotto l’impressione di un ritorno delle circostanze dell’altro dopoguerra dal 1918 al 1923. Mi pare quindi che il periodo di cinque anni si giustifichi.

Mentre pertanto le altre cifre che rappresentano un termine più stretto mi sembrano del tutto arbitrarie, questa di cinque anni mi pare la più conseguente.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che noi voteremo in favore del testo accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula dell’onorevole Crispo:

«La presente legge cesserà di avere effetto dopo sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione, salvo eventuale proroga».

(Non è approvata).

Pongo adesso in votazione la formulazione Lucifero fatta propria dall’onorevole Condorelli:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale, ed in ogni caso entro il 31 dicembre 1948».

(Non è approvata).

Pongo ora in votazione il testo proposto dall’onorevole Grassi ed accettato dalla Commissione:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale ed in ogni caso non oltre il 31 dicembre 1952».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Targetti: «salvo l’esecuzione delle sentenze di condanna definitiva già pronunciate».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorremmo chiarire che la Commissione non è d’accordo specialmente per la completa superfluità di questa disposizione.

In sostanza il concetto che ha esposto l’onorevole Targetti mi pare trovi il contrasto di due obiezioni fondamentali. La prima è il carattere eccezionale della legge, per il quale concetto, se – per esempio – in un’annata di raccolto scarso di un qualunque prodotto che serve per l’alimentazione, il legislatore dispone una pena che sia di cinque, sei, dieci anni per l’incetta e l’occultamento di quel prodotto, nessuno sosterrà mai, in linea di logica ed anche di buon senso, che, per il fatto che nell’annata successiva il raccolto sarà abbondante, quel tale precedente delitto di occultamento avrà perduto i requisiti dell’incriminazione e che cessi, per senso comune o per diritto, la esecuzione della pena che è siate precedentemente irrogata. Non c’è dubbio che la pena che è stata irrogata per un delitto grave nel momento in cm è stato compiuto in dipendenza di una contingenza particolare continui ad essere operante.

E poi c’è la seconda ragione: qui si tratta di una legge eccezionale nel senso che configura come reati, puniti con una esasperazione di pena, dei fatti i quali nella loro generalità, sono già reati previsti dal codice penale ordinario e che lo saranno anche dal codice penale futuro, perché nessun codice penale permetterà la minaccia, la violenza, l’intimidazione, la banda armata, la lotta civile, ecc.

Quindi l’ipotesi che fa l’onorevole Targetti è completamente al di fuori della realtà politica; per queste due ragioni e non quindi per questioni di merito, ma proprio per tecnicismo inerente alla logica della legge, nella quale abbiamo messo disposizioni abbastanza originali, per lo meno, come quella della confisca dei beni, penso che non sia il caso di aggravare alcuni aspetti alquanto patologici di questa legge.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Dichiaro di votare contro, perché la formula, oltre che superflua perché rientra nell’articolo 2 del Codice penale, è imprecisa, in quanto parlare di sentenza irrevocabile pronunciata prima della cessazione del vigore della legge significa quasi rendere possibile, nel caso di una sentenza che sia stata emanata prima della cessazione del vigore della legge speciale e che passi in giudicato successivamente alla cessazione del vigore, che tale sentenza non possa avere esecuzione. Per tali categorie di sentenze, secondo l’emendamento proposto dall’onorevole Targetti, non funzionerebbe perciò la norma che egli propone. Il che significa che queste sentenze non entrerebbero in esecuzione.

Credo che questa non sia nemmeno l’intenzione dell’onorevole proponente. Perciò propongo la soppressione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare per dichiarare che ritiro il mio emendamento. Mi rincresce di non dare all’onorevole Leone la soddisfazione di mantenere la sua promessa di votare contro. Lo ritiro perché dalle dichiarazioni dell’onorevole Fabbri devo dedurre che, in sostanza, siamo d’accordo, e non c’è ragione che una votazione dia la sensazione di un disaccordo inesistente. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 9. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Quando il futuro storico si accingerà a fare la storia dei nostri lavori, vorrà certamente trovare il filo conduttore delle nostre decisioni, vedere quali sono stati i criteri che hanno prevalso nella nostra Assemblea. All’inizio della discussione della nostra Costituzione troverà affermato, dalla parte opposta a quella da cui io parlo, un principio che è la rievocazione di una norma giuridica protostorica: In hostes perpetuo auctoritas.

La interpretazione era errata storicamente perché il legislatore antico non aveva affatto intenzione di affermare il principio che… si voleva confermare. L’intenzione ed il significato della rievocazione erano però troppo evidenti. Oggi, a distanza di sei mesi, noi abbiamo sentito l’eco di quella affermazione.

PRESIDENTE. Lei sa quale è il contenuto dell’articolo 9?

CONDORELLI. Sì, ma devo spiegare le ragioni della chiesta soppressione dell’articolo che si traduce nell’invito ai miei colleghi a votare contro l’intera legge.

PRESIDENTE. Va bene, lei può sostenere questa tesi; ma la prego di tener presente quale è la dizione dell’articolo.

CONDORELLI. Io non starò a tediare l’Assemblea più dei dieci minuti consentiti.

Si è sostenuto dalle oneste labbra del collega Tonello, proprio dallo stesso settore, dallo stesso banco, in coincidenza non casuale, sostenendo un’altra disposizione di legge, il principio della responsabilità collettiva di una famiglia, non soltanto dei discendenti e dei collaterali contemporanei, ma anche dei discendenti futuri.

Si ritorna al più oscuro medioevo, all’istituto della detestatio memoriae. Però questa è detestatio descendentiae.

E la conclusione di questi alti principî del nuovo diritto penale progressivo, ci è apparsa evidente allorché, attraverso un voto avvenuto quando la Costituente era rappresentata soltanto da 40-50 deputati, è stato reintrodotto nel diritto italiano l’istituto medievale della confisca. (Rumori a sinistra).

COSTANTINI. C’era anche col fascismo e lei non parlava. Stavate tutti zitti!

CONDORELLI. È più penoso che ci siano stati in questa Assemblea dei giuristi per i quali ho sommo rispetto, che di fronte all’istantaneità della sbalorditiva decisione pensarono che, avendo trovato affermato col primo voto questo istituto, fosse esigenza di coerenza tornarlo ad affermare in rapporto ad una norma che colpisce un crimine maggiore. Si è venuta ad affermare la necessità della coerenza nell’errore, dimenticando, specialmente i colleghi di parte democristiana, che se errare humanum est, perseverare est diabolicum! (Rumori a sinistra). Ora io penso che questi colleghi che dichiaratamente così votarono e per questo così votarono, abbiano in quel momento dimenticato che loro potevano negare l’approvazione di questa legge la quale, se non fosse ripugnante alla nostra coscienza non di giuristi, ma di uomini del secolo XX per mille altre ragioni, lo sarebbe per questa ragione sola, perché ha reintrodotto l’istituto della confisca.

Io credo che chiunque abbia rispetto reale e non formale per questa Costituente, sentirà l’imperativo di bocciare questa legge perché sia cancellato l’errore. (Rumori a sinistra).

Vi avverto, colleghi, che niente di disastroso avverrebbe se voi nello scrutinio segreto finale respingeste questa legge, perché l’indomani il Governo potrebbe riproporre una legge che colpisca queste forme di delinquenza in via generale, come vogliono i canoni ormai conquistati definitivamente del diritto penale, il quale ripugna, in nome della libertà e della giustizia, dalle leggi eccezionali. (Rumori a sinistra).

Ed io vi dico che, votando come io vi chiedo, voi farete onore a voi stessi, anche se avete votato quell’enormità che poc’anzi deploravo, perché quell’irato voto, che voi ora ripudiereste, è contrario ai principî della giustizia, ai principî della civiltà, della carità cristiana (Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Bubbio) perché la confisca, colleghi di parte democristiana, è una pena non contro l’autore del reato, ma contro la sua famiglia, i suoi figli, i suoi discendenti. Voi che avete votato questa mattina contro la singola norma istitutiva della confisca, avete il preciso dovere di votare stasera contro l’intera legge nella votazione a scrutinio segreto. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, lei non ha detto una parola sul suo emendamento.

CONDORELLI. lo propongo la soppressione dell’intera legge: dunque, anche di questo articolo.

PRESIDENTE. Lei avrebbe dovuto dire queste cose in sede di discussione generale; mentre in questo momento lei si era impegnato a proporre la soppressione dell’articolo 9, che non ha invece neppure citato.

L’onorevole Condorelli voleva sostenere, con il suo intervento, un emendamento soppressivo dell’articolo 9; e lo dico io, poiché egli se ne è dimenticato.

Pongo in votazione l’articolo 9, del seguente tenore:

«La presente legge entra in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

(È approvato).

Passiamo al titolo della legge:

«Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico».

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha presentato un emendamento del seguente tenore:

«Aggiungere dopo le parole: repressione dell’attività, le altre: di tipo, e, dopo le parole: dell’attività diretta alla restaurazione, l’altra: violenta.

L’onorevole Covelli ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo la parola: restaurazione, aggiungere le parole: con mezzi violenti».

Onorevole Benedettini, ella ha firmato anche l’emendamento Covelli. Quale dei due mantiene?

BENEDETTINI. Mantengo il mio emendamento; subordinatamente, per il caso che non fosse approvato, ho firmato l’emendamento Covelli.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Per quanto riguarda l’emendamento Benedettini, la Commissione non accetta la prima parte, quella relativa alla repressione dell’attività di tipo fascista. Per quanto riguarda la seconda parte, accetta l’emendamento stesso, perché rientra nello spirito informatore della legge: colpire la violenta estrinsecazione dell’attività monarchica.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Aderisco al parere della Commissione.

PRESIDENTE. Dei due emendamenti che sono stati proposti la Commissione ed il Ministro dichiarano di accettare parzialmente quello dell’onorevole Benedettini che comprende in parte quello dell’onorevole Covelli.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Benedettini:

«Repressione dell’attività di tipo fascista».

(Non è approvata).

Pongo in votazione la seconda parte accettata dalla Commissione e dal Governo:

«Restaurazione violenta dell’istituto monarchico».

(È approvata).

Resta inteso che l’Assemblea autorizza il coordinamento formale degli articoli del disegno di legge.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sul disegno di legge:

«Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico».

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico:

Presenti                               285

Votanti                                284

Astenuti                   1

Maggioranza           143

Voti favorevoli        188

Voti contrari                        96

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Baldassari – Balduzzi – Barontini Anelito – Bartalini – Basile – Bei Adele – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bocconi – Bonfantini – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Caccuri – Cairo – Calosso – Camposarcuno – Candela – Canepa – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carboni Enrico – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsi – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Covelli – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Franceschini – Fresa – Froggio.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giolitti – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena – Lozza – Luisetti.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Moranino – Morelli Renato – Merini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paratore – Pat – Patricolo – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Priolo.

Raimondi – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruini.

Saccenti – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Scalfaro – Scarpa – Scoca – Scoccimarro – Secchia – Sicignano – Siles – Silipo – Spano – Spataro – Stampacchia – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tosato – Tosi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Bergamini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Viale – Vischioni.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, torniamo ora alla discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana. Dovremmo esaminare i vari emendamenti che sono stati presentati sotto l’indicazione di articolo 95-bis.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. A me sembra che la norma contemplata nell’emendamento che forma l’articolo 95-bis comporti una insuperabile connessione, vorrei anzi dire, una unicità di tema con la norma dell’articolo 102, relativo alla definizione della struttura della Corte Suprema di Cassazione, della sua funzione e della sua competenza. Sicché mi pare che non si possa affrontare questo tema se non in unione all’esame dell’articolo 102. Ed infatti noi vediamo emendamenti all’articolo 95-bis che si ripetono in sede di emendamenti all’articolo 102, con questi intersecandosi.

Perciò, sottopongo al Presidente la proposta di trattare questo tema unitamente alla materia della Cassazione, in sede di discussione dell’articolo 102 del progetto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di volere esprimere l’avviso della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho nulla in contrario a questa proposta.

PRESIDENTE. Se non si sollevano obiezioni, possiamo allora senz’altro accettare la proposta dell’onorevole Dominedò, di discutere ciò che si riferisce agli emendamenti all’articolo 95-bis, che sono stati proposti e che toccano tutti il problema della Cassazione, quando saremo giunti all’articolo 102, che pone appunto, nel progetto della Commissione, la questione della Corte di Cassazione.

(Così rimane stabilito).

Passiamo ora all’articolo 96, nel testo iniziale della Commissione.

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentali numerosissimi emendamenti, in modo particolare soppressivi. Sono stati svolti gli emendamenti soppressivi degli onorevoli Monticelli, Rossi Paolo, Colitto, Ruggiero Carlo, Villabruna, Badini Confalonieri, Mastino Pietro, Merlin Umberto, Scalfaro e Castiglia. Vorrei che gli onorevoli Gabrieli, Rescigno, Perrone Capano e Nobili Tito Oro, presentatori anch’essi di emendamenti soppressivi, dichiarassero se si rimettono allo svolgimento già fatto dai suddetti numerosi colleghi di questa stessa proposta, oppure intendano aggiungere qualche cosa.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Gabrieli.

GABRIELI. Mi rimetto alle dichiarazioni già fatte in sede di discussione generale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Rescigno.

RESCIGNO. Anche io mi rimetto alle argomentazioni che sono state svolte dagli altri colleghi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Perrone Capano.

PERRONE CAPANO. Desidero aggiungere soltanto che sono stato portato a proporre il mio emendamento soppressivo particolarmente per la mia esperienza di avvocato penale. In virtù di questa esperienza, contratta nei molti anni durante i quali ho praticato la Corte d’assise coi giurati, mi sono convinto della necessità imprescindibile di unificare la giurisdizione penale. Desidero rilevare inoltre che il mantenimento della giuria determinerebbe alcune contraddizioni nel testo del progetto di Costituzione. Il progetto, infatti, afferma innanzitutto il principio che i magistrati non debbono appartenere a partiti politici, e poi affida l’esame e la decisione dei giudizi penali di maggiore entità a cittadini i quali potrebbero essere iscritti a partiti politici.

Il progetto di Costituzione afferma il principio che ogni sentenza debba essere motivata, e poi con l’articolo 96 viola questo concetto, perché pone il presupposto per cui, per i giudizi relativi ai delitti di alta criminalità, il pronunciato del giudice non sarà motivato.

Infine, sancisce il principio che ogni sentenza deve essere soggetta a impugnazione e per i giudizi di Corte di assise compromette tale possibilità, mentre, a mio avviso, sarebbe più che mai necessario un giudizio di appello nei riguardi dei processi relativi ai delitti di alta criminalità.

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati svolti anche i seguenti altri emendamenti:

«Sopprimerlo.

«Subordinatamente, sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa unitamente ai magistrati all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte d’assise, secondo le norme di legge.

«Murgia».

«Sopprimerlo.

«Subordinatamente, sopprimere le parole: mediante l’istituto della giuria.

«Colitto».

«Sostituirlo col seguente:

«Nei processi di Corte di assise la giustizia è amministrata da una Corte criminale composta di magistrati designati dal primo presidente della Corte di cassazione, sentito il parere del Consiglio superiore della Magistratura.

«Abozzi».

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia mediante l’istituto della giuria nei processi per reati politici.

«Sardiello».

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nelle Corti di assise, alle quali è attribuita la cognizione dei delitti contro la personalità dello Stato.

«Romano».

«Sostituire le parole: nei processi di Corte d’assise, con le seguenti: nei processi penali.

«Persico».

«Aggiungere in fine:

«Le sentenze delle Corti di assise sono soggette ad appello nei modi stabiliti dalla legge.

«Mannironi».

Segue l’emendamento dell’onorevole Nobili Tito Oro così formulato:

«Sopprimerlo, in relazione agli emendamenti presentati al secondo e all’ultimo comma dell’articolo 94».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Il mio emendamento in realtà non è un emendamento soppressivo. È un emendamento modificativo; ma io non ho nessuna difficoltà di consentire alla soppressione dell’emendamento stesso con i criteri che sono stati stabiliti.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Targetti, Costa, Carpano Maglioli, così formulato:

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Nel presentare quest’emendamento io ho cominciato coll’emendare me stesso, perché la storia dell’articolo a cui si riferisce è questa. Innanzi alla Sottocommissione, che era incaricata di occuparsi del Titolo relativo al potere giudiziario, stavano due proposte: una del collega onorevole Leone ed una del collega onorevole Calamandrei. Mentre il progetto conclusivo della relazione dell’onorevole Calamandrei prevedeva una generica partecipazione di giudici popolari nei giudizi di competenza della Corte di Assise senza specificarne le modalità, che rimetteva alla legge, l’onorevole Leone, coerentemente al suo temperamento battagliero, non si era accontentato di fare un accenno indiretto alla questione della giuria, ma si era proposto di risolvere definitivamente il problema proponendo, senz’altro, di ricondurre la competenza dell’Assise, come egli si espresse, nell’ambito della competenza del Tribunale. Fu in contrapposizione di questa sua proposta che perpetuava il bando della giuria dalla nostra legislazione, che io formulai e sostenni l’articolo che poi la Commissione dei settantacinque approvò e che figura nel testo sottoposto all’esame dell’Assemblea Costituente.

Si comprende facilmente come possa nascere la domanda perché io abbia, poi, preso l’iniziativa di emendare questa proposta che era partita da me. Per questa considerazione: mentre la formula suggerita da me in sede di Commissione, e che ebbe la fortuna e l’onore di essere approvata dalla Commissione dei settantacinque, diceva: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia attraverso l’istituto della giuria», io ho ritenuto opportuno modificare questa formula, mantenendone però intatta la prima parte, cioè quella nella quale si afferma che il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia. A questo proposito si potrà domandare perché questo avverbio «direttamente». A me è sembrato, e così ai colleghi della Commissione dei settantacinque, opportuno e non superfluo, perché se in un certo senso si può dire che il popolo partecipa indirettamente all’amministrazione della giustizia, partecipando alla costituzione del Parlamento il quale, a sua volta, elegge il Consiglio Superiore della Magistratura, che nomina i magistrati, qui occorreva specificare che si trattava di un’altra specie di partecipazione, di una partecipazione diretta.

L’espressione «direttamente», è stata usata non per fare un’affermazione demagogica, che i colleghi sanno non sarebbe stata di mio gusto, ma per la necessità di esprimere un concetto che non si prestava ad essere denunziato diversamente. Mentre, dunque, manteniamo la formula: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia» invece di dire «attraverso l’istituto della giuria» preponiamo di dire «nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

Ciò perché, onorevoli colleghi, io credo che in questa sede non sia dare prova di eccessiva condiscendenza, ma di una necessaria saggezza, se ciascuno di noi, se ciascuno dei Gruppi in cui si divide questa Assemblea, fa tutto il possibile per dividersi il meno possibile nelle decisioni che si devono prendere in tema di Costituzione, cercando di rinunziare a tutto ciò che possa creare delle diversità, delle differenze, dei disaccordi evitabili senza fare nessuna concessione di sostanza, nessuna rinunzia di idee fondamentali.

Quindi, con la dizione «nei casi e nei modi stabiliti dalla legge» intendiamo lasciar aperto il campo a qualsiasi forma di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. Detto questo, però, dobbiamo dichiarare, non solo per onestà e per franchezza, ma anche perché la nostra disposizione non possa prestarsi ad interpretazioni equivoche, che per noi socialisti, per gli appartenenti al mio Gruppo, la giuria è la forma, nella quale meglio si manifesta una diretta partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia.

L’Assemblea non si spaventi se ho ricordato la giuria, non tema cioè che io voglia tornare su quest’argomento che è stato, in un senso e nell’altro, così largamente ed egregiamente trattato in questa discussione.

Noi siamo favorevoli alla giuria per tutte quelle ragioni che sono state esposte da colleghi valorosissimi; fra gli altri dall’onorevole Macrelli, dall’onorevole Veroni e dal nostro carissimo compagno onorevole Mancini, che ha pronunziato in questa occasione uno di quei discorsi che fanno onore non soltanto a chi li pronunzia, ma anche all’Assemblea a cui l’oratore appartiene.

Io mi limito a fare un solo rilievo.

Dagli avversari della giura è stata citata l’alta autorità di Enrico Ferri. Alta nel campo della criminologia. Altri campi, in questo momento, non ci interessano. In realtà, sì, il Ferri era contrario alla giuria, ma era però ugualmente contrario anche ai giudici togati, così come sono reclutati. Egli aveva, infatti, una concezione ben precisa di quella che avrebbe dovuto essere la funzione punitiva, che invece che ad uomini esperti nel diritto, egli avrebbe voluto in gran parte affidare a psicologi, a psichiatri, a medici, a biologi. Insomma, ad uomini di scienza piuttosto che a giuristi.

Io ricordo tuttavia la conclusione cui egli pervenne nell’ultima intervista che ebbe occasione di concedere su questo argomento nel 1922. Fra gli altri difetti Enrico Ferri, aveva quello di ripetersi. Gli accadde così, anche in quella circostanza, di servirsi contro i giurati di un argomento che gli era in questo tema consueto. Se io ho un orologio guasto – disse – non andrò certamente per farlo riparare da un calzolaio. Così anche le cause penali dovrebbero essere portate dinanzi a dei competenti a giudicare. Ma, alla domanda specifica se egli intendesse proporre alla Commissione per la riforma del Codice penale, di cui era Presidente, la soppressione della giuria, Enrico Ferri si strinse nelle spalle eppoi finì col dire che i giudici popolari avrebbero continuato a far giustizia finché non si fosse avuta una magistratura tecnica, realmente capace di giudicare anche i reati più gravi.

Onorevoli colleghi! Noi potremmo additarvi anche altri inconvenienti, anche altri difetti oltre tutti quelli che i nostri contradittori hanno messo eloquentemente in luce per combattere la giuria, ma, arrivati ad un certo punto, spunterebbe forse l’alba e l’alba ci sorprenderebbe ancora a discutere, ci sorprenderebbe ancora nel momento critico della discussione, quando noi torneremmo a chiedervi che cosa voi vorreste sostituire a questo istituto della giuria e nessuno di voi sarebbe in grado di rispondere.

Nessun giurista, nessun legislatore ha potuto mai suggerire né trovare una forma di giudizio che potesse degnamente sostituire questo istituto. Si è discorso di tante cose, si è parlato dello scabinato, si è parlato della gran corte criminale. Ma, onorevoli colleghi, anche la gran corte criminale napoletana non emanava forse delle sentenze che erano inappellabili proprio come quelle che emana la giuria popolare? Ed allora perché scandalizzarsi dell’inappellabilità dei verdetti popolari? Ma i giurati, si dice, hanno commesso molti errori. Sì, onorevoli colleghi, ne hanno commessi molti e molti ne commetteranno, come ne hanno commessi, ne commettono e ne commetteranno i giudici togati; come è destinato a commetterne chiunque si trovi a dover giudicare un suo fratello, ad assolverlo o condannarlo. Siano pure destinati, i giurati, a commetterne ancora e molti, ma sempre dalla loro giustizia emanerà qualche sprazzo di luce, qualche raggio di bontà che andranno ad illuminare quello che spesso è il grigiore della legge amministrata da giudici togati, che la vita ha reso scettici e stanchi.

Se, onorevoli colleghi, anche il legislatore più saggio, non è riuscito, nella freddezza del suo studio a fissare, a prevedere e ben regolare, a seconda del movente, della personalità, dell’animo di chi è trasceso a violare la legge penale, tutti i casi da giudicare, lasciamo che ci siano i giurati. Ben vengano allora i giurati che, nella loro sia pure impetuosa e tumultuosa passionalità, possono rompere tutte queste impalcature, che il legislatore aveva creduto di erigere incrollabili, possono rompere questi compartimenti stagni in cui il legislatore aveva creduto di poter incasellare tutti i moti dell’animo, e in casi nei quali e la legge e la giurisprudenza e il magistrato dicevano: «condanna», possono dire «assoluzione». Non domandate ragioni, giudizi motivati di questi che possono essere errori giuridici, ma che spesso sono grandi riconoscimenti di esigenze della legge umana.

E non vi dico altro, onorevoli colleghi, e mi scuso anche di avervi parlato di quello di cui mi ero proposto di non parlare: cioè dei difetti e dei pregi della giuria, per venire a questa conclusione: noi proponiamo una formula, nella quale – ripetiamo – è compresa, è contemplata, in primo luogo, per il nostro convincimento, la giuria. Però è una formula che permetterà alle Assemblee legislative di domani di far partecipare il popolo, in modi anche diversi, all’amministrazione della giustizia.

Quando noi diciamo «nei limiti», indichiamo che sarà la legge a determinare la competenza: problema arduo, anche questo, della competenza che deve essere attribuita ai giurati. Da più parti si dice: soltanto reati gravissimi, e si può aver ragione; da un’altra si dice: soltanto i reati politici, e si può aver ragione; ma si può in questo anche aver torto, almeno in certi momenti che abbiano determinati caratteri politici. Io ricordo nei tristi inizi del tristissimo periodo fascista di aver trovato una maggiore possibilità di giustizia presso i giudici togati che presso certe giurie, che erano influenzate politicamente, o erano costrette a dire una parola diversa anche da quella che pensavano, per quella intimidazione che si esercitava più facilmente dal fascismo sopra i giurati che non sui magistrati togati. E a proposito dei magistrati – dei quali tanto si dice male e spesso con ragione – lasciatemi anche ricordare che vi sono stati, nel tristissimo periodo fascista, dei magistrati che hanno avuto il coraggio, in mezzo a difficoltà che non si possono apprezzare senza averle conosciute, e sfidando dei pericoli che non si possono giudicare se non si sono sfidati, di mantenere fede, nonostante tutto e tutti, al loro dovere: quello di amministrare giustizia senza guardare in faccia a nulla e a nessuno. Sacrifici talvolta eroici e mai riconosciuti né apprezzati nella misura giusta.

E se, onorevoli colleghi, si dice nel nostro emendamento «nei limiti determinati dalla legge», non pregiudichiamo neppure la questione della competenza; se noi diciamo «nei modi stabiliti dalla legge», non pregiudichiamo nessuna forma di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

È per questo che facciamo le insistenze più vive presso tutti i nostri colleghi di voler aderire a questa nostra proposta. Non aderirvi vorrebbe dire chiudere la via oggi come domani, fino al giorno in cui non si arrivasse ad una revisione della Costituzione, all’istituzione di questa forma di Magistratura – ed è l’ultima osservazione che mi permetto di fare – che è adottata da tutte le Nazioni. Non si può dire: c’è l’obbligo di fare in un determinato modo perché tutti fanno così; quest’obbligo non c’è; ma sarà sempre lecito dire che prima di fare in un modo diverso da quello di tutti i popoli che sono anche organizzati, ordinati come noi, democraticamente, bisogna un po’, onorevoli colleghi, esitare; perché altrimenti una mancanza di esitazione non vorrebbe dire un’esuberanza di coraggio, ma una vera audacia; una determinazione non ragionata. Rifiutarsi ad ammettere l’istituzione della giuria anche per un domani più o meno vicino, persino per un domani un po’ lontano, non ostante che la Francia, che l’Inghilterra, che la Polonia, che l’Ungheria, che l’Austria, che tutte le Costituzioni del dopoguerra stabiliscano in modo tassativo, non quella che per noi si limiterebbe ad essere una possibilità di istituzione, ma la vera e propria istituzione, per decisione inderogabile, costituzionale, della giuria popolare, vorrebbe dire chiudere gli occhi dinanzi a fatti, ad esperienze che istruiscono ed ammoniscono.

Confidiamo per questa realtà – e non per la modestia della nostra argomentazione – che questa nostra proposta venga accolta! (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Cairo e l’onorevole Carboni Angelo hanno presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Possono istituirsi per legge e per la cognizione e la decisione di determinate materie, sezioni specializzate degli organi giudiziari civili e penali con la partecipazione, regolata dalle norme dell’ordinamento giudiziario, di cittadini esperti e di giudici popolari».

L’onorevole Cairo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CAIRO. Onorevoli colleghi, l’emendamento da me proposto mi sembra in parte sostanzialmente superato dal criterio che è stato introdotto ieri nell’articolo che è stato per ultimo approvato. Infatti il nostro emendamento tendeva ad affermare il principio che nelle giurisdizioni criminali fossero chiamati a partecipare cittadini esperti o giudici popolari.

Ieri si è approvata la partecipazione generica di cittadini idonei. Quindi si è, in certo senso, anticipato il principio della partecipazione di giudici popolari o giudici non togati all’amministrazione della giustizia.

Comunque io farò qualche rilievo anche di carattere formale.

Mi consentano gli estensori della formula consacrata nel progetto, ed anche in qualche emendamento, di dire che l’esordio della formula stessa degli emendamenti – «il popolo partecipa direttamente» – mi sembra, mi si consenta, un po’ enfatica.

Comunque, che il popolo partecipi alla giustizia, sia pure per il tramite degli organi giudiziari, è certo. La formula che mi permetto di contestare sembra quasi contradire al principio che la stessa Magistratura, l’ordinamento giudiziario, la Magistratura ordinaria sia emanazione – indiretta, ma emanazione – del popolo.

Quindi riterrei più opportuno fermarsi su una dizione così come è stata formulata da me: «Possono istituirsi per legge e per la decisione di determinate materie, giudici popolari e cittadini esperti».

Si è molto discusso ed argomentato sulla giuria. Io, a questo proposito, ho una profonda incertezza, che ha il proprio riflesso nel mio emendamento, il quale potrebbe anche essere tacciato di compromesso o di transazione. Comunque, all’animo democratico di tutti noi ripugna – come diceva benissimo poc’anzi l’onorevole Targetti – di respingere senz’altro l’intervento del giudice popolare e della sua umanità, della sua integrale umanità nei giudizi penali.

La confessione di molti illustri ed egregi colleghi, che hanno esercitato per tanti anni la professione dinanzi alle Corti d’assise, ci dice che le Corti d’assise non corrispondono più oggi alle necessità di tecnica e di competenza che esige la vita umana, ogni manifestazione della vita umana, e specialmente questa della giustizia, che delle manifestazioni della vita umana è forse la più difficile e la più alta.

Quindi il mio emendamento non fa che protrarre questa decisione – che, come dico, è ardua – sulla esistenza della giuria, rimandandola ad un esame che verrà fatto da un’assemblea, la quale avrà a propria disposizione degli elementi tecnici (e questo non si ritenga offensivo per l’Assemblea) più completi per potere giudicare se la giuria dovrà rimanere così com’è o se dovrà subire quelle trasformazioni, che del resto tutti gli istituti giuridici subiscono col tempo.

Io non aggiungo altro.

Ho introdotto anche: «organi giudiziari civili» oltre che penali, appunto per affermare questo criterio basilare del mio emendamento, cioè introduzione e la partecipazione dell’elemento umano, dell’elemento che direi civico, estraneo alla tecnica della Magistratura non solamente per il giudizio penale, ma anche per i giudizi civili, cioè l’esigenza che vicino al giudice tecnico e togato ci sia anche il giudice popolare o il rappresentante della cittadinanza che non veste la toga.

Per quanto riguarda l’esistenza della giuria così come è, io ho già richiamato la confessione fatta dai maggiori assistiti che sono intervenuti in questa discussione. Oserei dire che nella formazione della giuria c’è qualche cosa di romantico, qualche cosa di melodrammatico, qualche cosa di superato. Noi tutti, che esercitiamo da molto tempo la carriera forense, sentiamo che effettivamente nella giuria manca qualche cosa, sentiamo che la giuria ha rappresentato un’affermazione notevole dei principî di libertà nel secolo scorso, ma che oggi non rappresenta più quella esigenza tecnica che io ritengo sovrana in tutte le materie.

Quindi il mio emendamento potrà essere accolto sia da coloro che caldeggiano il ritorno della giuria, sia da coloro che sentono che la giuria non risponde più alle esigenze attuali.

C’è un ostacolo ad aderire ancora alla sopravvivenza della giuria; un ostacolo grave di carattere umano: è la mancanza della sentenza e, quindi, della doppia giurisdizione; è una esigenza sentita da tutti, perché, onorevoli colleghi, o ammettiamo che il giudice popolare sia infallibile e rappresenti qualche cosa di insuperabile nella sua sentenza e nei suoi verdetti, ed allora possiamo venir meno alla esigenza fondamentale di una revisione di secondo grado, o noi non ammettiamo a priori questa infallibilità al verdetto dei giudici popolari, ed allora dobbiamo escogitare una nuova formula la quale sancisca anche la possibilità di un appello contro la sentenza, contro il giudicato popolare. Problema difficile che io non pretendo di risolvere. Per questo ritengo che oggi sia opportuno e saggio rimettere all’Assemblea legislativa la risoluzione tecnica di questo problema. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia, nei processi di Corte di assise, nei limiti e secondo le forme che saranno stabiliti dalla legge».

L’onorevole Ghidini ha facoltà di svolgerlo.

GHIDINI. Onorevoli colleghi, veramente io sono rimasto incerto fino a questo momento se dovessi mantenere o ritirare questo mio emendamento, perché ho il dubbio che la questione sia pregiudicata dalla votazione che si è fatta ieri sull’articolo 95. Alludo precisamente al capoverso primo dell’articolo 95 e al commento fattone dal Relatore.

Il secondo comma dell’articolo 95 è in questi termini: «Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi, presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla Magistratura».

Mi sono chiesto se in queste sezioni specializzate che si istituiscono presso gli organi giudiziari ordinari siano comprensibili anche le giurie.

L’onorevole Leone Giovanni ha detto sì ed allora sarebbe inutile che io insistessi sull’articolo 96.

Ma per la verità, io non sono della stessa opinione o, per lo meno, non ho affatto la certezza che si possa dire che l’istituto della giuria sia compreso in questo secondo comma dell’articolo 95, cioè che si possa considerare la giuria come una sezione specializzata istituita presso un organo giudiziario ordinario. Sono perfettamente d’accordo nel ritenere che di fronte alla legislazione attuale non è un giudice speciale, perché la Corte di assise non è che una sezione della Corte di appello; e poi c’è una ragione anche più sostanziale, ed è questa, che se si trattasse di un giudice speciale, le sue sentenze dovrebbero essere impugnate dinanzi alla Cassazione a sezioni unite, mentre invece si sa che le sentenze della Corte di assise sono impugnate dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione. Quindi, indiscutibilmente, secondo la legge attuale, non ci troviamo di fronte ad un giudice speciale. Però, nella realtà delle cose, si può per lo meno dubitare, ed io ne dubito profondamente, per queste ragioni: prima di tutto perché è indubitato che la giuria è un giudice il quale si occupa soltanto di determinate categorie di reati.

In secondo luogo, i giurati non possono essere considerati come giudici ordinari, secondo l’articolo 95 votato ieri, dove si dice testualmente: «la funzione giurisdizionale è esercitata dai magistrati ordinari istituiti secondo le norme sull’ordinamento giudiziario». Fra questi non si possono comprendere i cittadini giurati.

Per queste ragioni io penso che realmente si tratti di un giudice speciale. Altrimenti si potrebbe pensare dello scabinato, nel quale il giudice popolare giudica unitamente al magistrato ordinario e le sentenze vengono fatte insieme, e la motivazione appartiene ad entrambi. Invece, nel caso della giuria, intesa secondo la tradizione legislativa italiana e la comune accezione, il giurato giudica da solo e in modo elusivo del fatto e della responsabilità. Per questo motivo ritengo che l’emendamento possa essere mantenuto.

Il mio emendamento somiglia a quello dell’onorevole Targetti, ma vi è una differenza fra il mio ed il suo, che è sostanziale. L’onorevole Targetti dice: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge». Dunque, secondo l’onorevole Targetti la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia si dovrebbe effettuare in qualsiasi giudizio, non soltanto in quelli di Corte di assise.

Se questo non è stato il pensiero dell’onorevole Targetti, ne prendo atto; e se anche egli ritiene che è soltanto alla Corte di assise che il popolo deve partecipare, allora siamo d’accordo in tutto ed il mio emendamento è identico al suo, salvo la diversa espressione verbale.

Nel mio emendamento è detto: «Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise».

Io elimino dal testo la frase: «mediante l’istituzione della giuria», perché, secondo il mio modo di vedere, l’istituto della giuria ha una sua significazione, che è quella consacrata da una lunga tradizione legislativa.

Nella giuria, com’è oggi intesa, esistono dei difetti che furono rilevati da molti colleghi e sono: la mancanza di motivazione ed il verdetto monosillabico. Il verdetto monosillabico contrasta anche con una disposizione della nostra Carta costituzionale, articolo 101, dove si dice che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Il sì ed il no non rappresentano una motivazione.

Si tratta di un giudice il cui verdetto, mancando di motivazione, non consente il doppio grado di giurisdizione, cioè il controllo di merito. Ecco perché io penso che si debba trovare una forma di giudizio la quale consenta da un lato la motivazione e dall’altro il ricorso di merito. Sarà difficile trovare questa forma, ma non dispero.

A proposito della giuria v’è ancora un inconveniente sul quale hanno insistito i colleghi, ed è «l’incompetenza del cittadino giurato». È una verità parziale, come tutte le verità. Ma è certo che in talune materie, come sarebbe ad esempio nei delitti di falso documentale, di bancarotta, ecc., difficilmente potrebbe decidere un profano del diritto. Non ammetto la competenza del giurato neppure in materia di reati politici e contro la personalità esterna ed interna dello Stato.

La struttura dei reati contro la personalità dello Stato è squisitamente tecnica e sarebbe quindi pericoloso affidarne il giudizio ai giurati. E penso altrettanto pei reati politici, nei quali si disfrena più violenta la passione popolare; quella passione che indiscutibilmente è l’antitesi della giustizia che è soprattutto misura e serenità. È vero, come diceva l’altro giorno l’onorevole Avanzini, che vi sono state delle cause in cui nel giudicare i reati politici i giurati hanno emerso sentenze altamente serene, ma disgraziatamente furono un’eccezione.

D’altro canto vi sono reati che è bene siano demandati al giudice popolare: parlo dei reati gravi di sangue, dell’omicidio e dell’infanticidio. Non è che io diffidi del magistrato ordinario, per il quale anzi professo altissima stima e in virtù della mia esperienza posso ben dire che le critiche che gli sono state rivolte sono eccessive ed ingiuste. È però certo che il giudice ordinario ha minore aderenza alla realtà della vita e meno avverte l’umanità di certe cause, che devono essere risolte non soltanto in linea di puro diritto, ma col criterio della più alta equità.

Bisogna che la sentenza del giudice non sia soltanto corrispondente alla legge, ma anche alla coscienza giuridica e morale del popolo per essere efficace. La sentenza non è soltanto accertamento del fatto e degli elementi giuridici che ne fanno un reato, ma deve essere anche una norma di condotta per il cittadino.

Per questa ragione ritengo che in certi casi debba essere mantenuta la giuria, però nelle forme e nei modi dei quali parlava l’onorevole Targetti. Ecco il mio emendamento:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia nei giudizi di Corte di assise, nei limiti e secondo le norme che saranno stabiliti dalla legge».

Le norme riguarderanno la struttura dell’istituto e le condizioni di nomina dei giurati, affinché siano in grado di fare una motivazione ragionata e seria. Del resto il caso si è già verificato.

Ricordo una causa discussa a una Corte di assise dell’Emilia, nella quale vi fu un contrasto irreducibile fra i magistrati, presidente e relatore, e gli assessori: questi volevano e vollero assolvere, mentre i magistrati volevano condannare. Quei magistrati onestamente non fecero una sentenza suicida, fenomeno questo deplorevole e eccezionale, tanto che non può certamente essere motivo per ammettere una riforma dell’organo in un senso o nell’altro. La fecero invece i giurati e fu tale da riscuotere unanime plauso per la logicità e la serietà della sua motivazione.

Per queste ragioni credo che limiti precisi di competenza dovranno essere segnati dalla legislazione ordinaria ad un nuovo e diverso istituto della giuria, tale che risponda a quelle necessità di giustizia e a quelle esigenze di umanità e di equità, che sono vive e perenni nella coscienza dei popoli civili. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Coccia ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Il verdetto viene emanato dai giurati ed è inappellabile».

Ha facoltà di svolgerlo.

COCCIA. Eravamo d’accordo che questo emendamento aggiuntivo sarebbe stato discusso dopo decisa la soppressione o meno.

PRESIDENTE. Sta bene. La stessa cosa si può dire dell’emendamento presentato dall’onorevole Sapienza, che è del seguente tenore:

«Aggiungere il seguente comma:

«I giurati sono eletti, per il tempo e con le modalità stabilite nell’ordinamento giudiziario, dai Consigli comunali dei Comuni compresi nella circoscrizione giudiziaria».

L’onorevole Mannironi ha già svolto il seguente emendamento:

«Le sentenze delle Corti d’assise sono soggette ad appello, nei modi stabiliti dalla legge».

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Vorrei, con riferimento all’emendamento dell’onorevole Mannironi ed anche a quello dell’onorevole Coccia, ed anche alle proposte qua e là avanzate da altri colleghi su questa eventuale appellabilità delle sentenze pronunciate dalla giuria popolare, dare un chiarimento.

Noi dobbiamo, poiché questa Costituzione dovrà essere letta, speriamo, anche dai posteri, non offendere certi principî fondamentali filosofici. I verdetti della giuria popolare non possono essere appellabili e non v’è bisogno di scriverlo qui, che essi sono inappellabili, perché il concetto su cui si fonda il verdetto della giuria è che esso rappresenta l’espressione della coscienza popolare. Ora, la coscienza popolare non si può esprimere sullo stesso fatto che una sola volta, per non correre il rischio di contraddire se stessa. Perciò il pronunziato, nella Corte di assise, della giuria popolare è inappellabile. Quindi non vi può essere speranza di appellabilità ed è questo l’argomento per cui sono contro la giuria, perché non mi posso persuadere come sia data la revisione per una condanna a lire 2001 di pena pecuniaria e non possa essere data revisione per la condanna all’ergastolo.

RUBILLI. La Corte di assise è una sezione della Corte di appello.

RESCIGNO. E che vuol dire? Finché v’è la giuria, non può la sua sentenza, per ragioni di indole logica, essere impugnata nel merito. (Commenti).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento degli emendamenti.

Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 11 di lunedì prossimo, avvertendo che darò la parola al Presidente della Commissione, onorevole Ruini, perché esprima il parere sugli emendamenti.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quali ragioni, pur avendo l’onorevole Ministro assicurato personalmente l’interrogante di avere disposto la riapertura della sezione distaccata in Meta di Sorrento del liceo-ginnasio di Castellammare di Stabia, il Provveditorato agli studi di Napoli non solo non ha eseguito la disposizione, ma dichiara di ignorarla.

«Crispo».

«Al Governo, per conoscere con urgenza se intenda emettere provvedimento legislativo, che integrando il decreto legislativo del 26 aprile 1946, n. 274, contenente provvidenze per Torre Annunziata a causa del sinistro del 21 gennaio 1946, disponga la cumulabilità dell’indennità di città sinistrata e di quella di caro-vita, in estensione del decreto legislativo 26 ottobre 1947.

«Il provvedimento risponderebbe a ragioni profonde di giustizia e tenderebbe ad eliminare la particolarissima situazione di disagio in cui si sono trovati e si trovano tuttora i lavoratori a seguito delle distruzioni derivate dal sinistro stesso.

«Riccio Stefano».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se intenda provvedere al più presto al finanziamento dei lavori di completamento dell’acquedotto Alto Calore, che, iniziato e portato a buon punto in periodo fascista, attende, per essere terminato, lo stanziamento di circa 900 milioni di lire secondo i calcoli dell’ufficio competente.

«È necessario provvedere subito per tre ordini di ragioni:

1°) perché col passar del tempo le opere, incomplete, subiscono deterioramenti e danneggiamenti;

2°) perché, per quanto si siano spese grosse cifre in moneta non svalutata, alcune decine di comuni sono praticamente ancora senz’acqua o con insufficiente dotazione;

3°) perché occorre che la provincia di Avellino, nella quale pure la disoccupazione è notevole, venga tenuta presente dal Ministro dei lavori pubblici in misura superiore alle altre, in quanto che essa è rimasta del tutto esclusa dall’assegnazione di fondi per la disoccupazione in agricoltura, pur comprendendo vari comprensori di bonifica.

«Sullo, Scoca».

Ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere:

1°) per quali ragioni il Governo ha revocato o sospeso la concessione di terreno, in territorio di Mussomeli (ex feudo Polizzello), fatta regolarmente dalla Commissione per la assegnazione delle terre incolte o mal coltivate della provincia di Caltanissetta;

2°) quali provvedimenti il Governo intenda adottare per sanare la situazione creatasi col misconoscimento dei diritti dei contadini, per sottrarre la provincia di Caltanissetta al dominio della mafia, cause prime dei recenti incidenti, e per richiamare le autorità locali ad una giusta comprensione delle richieste e delle agitazioni dei contadini.

«Fiore, Montalbano, D’Amico».

«Al Ministro della difesa, per conoscere a che punto si trovino le pratiche di liquidazione dei danni causati a cittadini italiani dalle forze alleate in investimenti stradali.

«Morini».

«Ai Ministri del commercio con l’estero, delle finanze, dell’industria e commercio, dell’agricoltura e foreste, e agli Alti Commissari per l’alimentazione e per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere se non si ritiene urgente e indispensabile provvedere alla riorganizzazione ed alla trasformazione del sistema di rilascio delle licenze di importazione e di esportazione, sistema che attualmente attraversa interminabili trafile burocratiche.

«Morini».

Interesserò ì Ministri interrogati affinché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, nella costituzione dell’organico relativo alle insegnanti di scuole materne, non creda opportuno di estendere il beneficio del passaggio alle scuole elementari per le maestre di asilo, vincitrici di concorsi precedenti per titoli ed esami alle scuole elementari, come già si praticò col regio decreto-legge 17 febbraio 1927, n. 11 (articolo 6), abrogato successivamente senza plausibili motivi.

«Crispo, Bozzi, Martino Gaetano, Villabruna».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga equo adottare delle disposizioni per regolamentare la revisione dei prezzi per i contratti di appalto di opere pubbliche stipulati posteriormente all’entrata in vigore del decreto-legge del 5 aprile 1945, n. 192, contratti nei quali non fu inserita la clausola della rivedibilità, erroneamente ritenuta non necessaria.

«Silipo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno provvedere sollecitamente, in relazione anche all’inoltrarsi della stagione invernale, disporre a che i carri bestiame attualmente adibiti al trasporto dei passeggeri nelle linee ferroviarie della Sicilia, sia nelle normali, sia nelle secondarie, siano sostituiti con vetture regolari e che le vetture particolarmente nella linea secondaria Castelvetrano-Porto Empedocle, siano munite di tutti gli accessori necessari atti a garantire la salute dei viaggiatori, e altresì disporre che siano assicurate le più elementari condizioni igieniche; e quali i motivi che fino ad oggi non hanno permesso di introdurre nelle dette linee secondarie l’esercizio delle automotrici previste da tempo.

«D’Amico, Li Causi, Montalbano, Fiore, Nasi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione delle particolari condizioni in cui si è venuta a trovare la città di Messina in seguito al terremoto del 1908 – e per la ricostruzione della quale furono votate una serie di leggi speciali – e dei successivi eventi che ritardarono, ostacolarono od addirittura impedirono la rinascita della città, non credano opportuno emanare delle norme che richiamino in vigore la legge 27 settembre 1923, n. 2309, abrogando le successive aggiunte e modifiche e specialmente il decreto 26 gennaio 1933, che ridusse i contributi dello Stato, almeno nei confronti di coloro che avevano adempiuto alla suddetta legge del 27 settembre 1923, n. 2309, entro i prescritti termini del 31 marzo 1927.

«Per sapere, inoltre, se, in caso negativo, non credano di dover sciogliere con apposito decreto-legge i contratti di condominio che furono stipulati dai privati in base alle suddette leggi ed impossibilitati in seguito a costruire. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se intenda, conformemente alle aspirazioni delle popolazioni interessate, proporre d’urgenza la statizzazione della ferrovia Siracusa-Ragusa-Vizzini, avendo l’I.R.I. rifiutato il necessario finanziamento e non esistendo più una vera e propria società che provveda adeguatamente all’esercizio della linea. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Finocchiaro Aprile».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Miniati. del commercio con l’estero, dell’industria e commercio, dei trasporti e del tesoro, per conoscere:

1°) quale azione abbiano svolta, stiano svolgendo od intendano svolgere, in conseguenza dell’attuale crisi, per attivare il mercato agrumario di esportazione, nei confronti dei mercati di assorbimento e consumo, con speciale riguardo a quelli dell’Europa centrale;

2°) il motivo per cui non sia stato concesso agli esportatori di agrumi e loro derivati la libera disponibilità del 75 per cento di valuta, come già fatto per alcune categorie di esportatori settentrionali;

3°) come intendano agire perché siano immediatamente ripristinate le concessioni di credito bancario in favore dell’esportazione agrumaria ed in rapporto alle sue odierne improrogabili necessità, le quali investono gli interessi del lavoro e della economia dell’intera Sicilia;

4°) se intendano provvedere all’effettivo adeguamento dell’assegnazione dei carri ferroviari chiusi, necessari all’esportazione degli agrumi durante l’attuale campagna agrumaria; e come intendano tempestivamente risolvere il problema del relativo traghettamento e dell’applicazione di una tariffa preferenziale per tutti ì trasporti agrumari, tenendo conto dell’attuale grave situazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Finocchiaro Aprile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali fondi voglia destinare alla Basilicata, in relazione ai gravi bisogni di questa vasta regione:

  1. a) molti lavori iniziati e rimasti incompleti per mancanza di fondi, che minacciano di andare in rovina con grave danno dell’Erario e dei Comuni interessati, che attendono queste opere dall’unità della Patria; che sono state pur promesse con legge che non è stata mai applicata;
  2. b) il dovere di dotare molti Comuni del cimitero, la necessità di costruzione di edifici scolastici, urbani e rurali, di costruire strade indispensabili alla bonifica di quelle terre, dare esecuzione organica e completa al piano dei lavori di sistemazione montana predisposti dal Genio civile e dal Provveditorato alle opere pubbliche per la Basilicata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Reale Vito».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda dare disposizioni, affinché venga riconosciuto il diritto di riscatto dell’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio a quelle ditte, che non hanno potuto chiedere il riscatto stesso entro il termine stabilito dalla legge 1° settembre 1947, n. 828, perché l’accertamento iniziale o la revisione dell’accertamento provvisorio vennero notificati posteriormente al predetto termine da parte degli uffici distrettuali.

«La limitazione del diritto di riscatto danneggia molti contribuenti, che non furono inscritti nel ruolo principale 1947 per ragioni non dipendenti dalla loro volontà, e torna forse a svantaggio dello Stato che non potrà anticipare l’incasso di somme notevoli.

«Si osserva al riguardo che il testo definitivo della legge modifica sostanzialmente la lettera e lo spirito del quarto comma dell’articolo 72 del primo decreto istitutivo approvato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, supplemento al n. 73 del 29 marzo 1947, secondo il quale il riscatto era possibile per qualunque iscrizione a ruolo, purché chiesto entro il decimo giorno del mese successivo a quello di scadenza della prima rata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Garlato».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se intendano liberare le provincia liguri dall’obbligo dell’ammasso dell’olio, come è richiesto dal solidale interesse dei produttori e dei consumatori, in base alla reale situazione olearia.

«Infatti nelle provincie dell’Italia meridionale, dove la produzione è abbondantissima, gli olivicoltori insistono per consegnare all’ammasso non solo il contingente fissato ma tutta la produzione, al prezzo fissato, sicché lo Stato ha a sua disposizione quant’olio vuole da distribuire ai consumatori di tutta la Nazione.

«Al contrario, nella Liguria, la produzione è scarsa e il conferimento all’ammasso riesce di grave peso ai produttori, e l’olio non potrà essere distribuito per tessera senza essere gravato delle enormi spese che comporta questa bardatura ormai anacronistica.

«L’interesse dei consumatori, la convenienza di rispondere al desiderio dei produttori per non disaffezionarli sempre più dal lavoro agricolo, la serietà stessa della Amministrazione statale esigono la pronta attuazione dell’invocato provvedimento. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Canepa, Pera».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per sapere se non ritengano equo emendare la legge pei senza tetto per stabilire una più adeguata misura del contributo dello Stato per la ricostruzione edilizia nei paesi danneggiati dalla guerra e già danneggiati dal terremoto, dove è obbligatoria l’osservanza delle norme antisismiche, e deve perciò tenersi conto del relativo aumento di spese che, se non fosse sostenuto dallo Stato, renderebbe impossibile la ricostruzione delle case nelle sventurate zone sismiche, cui indubbiamente non può mancare la solidarietà della Nazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non creda urgente di assicurare la disponibilità di streptomicina necessaria all’ufficio provinciale di sanità di Messina, che non è in grado di fare nessuna assegnazione per assoluta mancanza del farmaco. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non creda opportuno disporre le riparazioni occorrenti alla stazione ferroviaria di Santa Teresa di Riva (Messina), popoloso centro commerciale, la quale è in stato di abbandono, fino al punto che non ripara la pioggia, oltre a mancare completamente di gabinetti e di sale di attesa di prima, seconda e terza classe e di altri servizi necessari per un minimo di comodità per i viaggiatori, pur essendo una delle stazioni più importanti della linea Messina-Catania e più redditizie per l’Amministrazione ferroviaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per le sedute di lunedì 24 novembre 1947:

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI SABATO 22 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccc.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 22 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Presidente

Lussu

Caldera

Perlingieri

Bettiol, Relatore

Bozzi

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Coccia

Rescigno

Perassi

Laconi

Perrone Capano

Russo Perez

Uberti

Tonello

Condorelli

Cianca

Crispo

Cevolotto

Fedeli Aldo

Schiavetti

Mastino Pietro

Covelli

Conti

Leone Giovanni

Togliatti

Targetti

Sull’ordine del giorno della seduta pomeridiana:

Presidente

Leone Giovanni

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista c dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Avendo ieri proceduto alla votazione a scrutinio segreto dell’emendamento sostitutivo dell’articolo 1 proposto dall’onorevole Russo Perez, emendamento che non è stato approvato, dobbiamo ora passare all’emendamento presentato dagli onorevoli Crispo, Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti, Costantini, sostitutivo degli articoli 1 e 1-bis.

Pongo in votazione il primo comma:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, ovvero associazioni o partiti col fine di mutare la Costituzione della Repubblica o la forma del Governo costituzionale parlamentare, o di sopprimere o menomare le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, con mezzi violenti o comunque non consentiti dall’ordinamento costituzionale, è punito con la reclusione da due a venti anni».

(Non è approvato).

Passiamo al primo comma dell’articolo 1 nel testo della Commissione.

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta persegua finalità o metodi propri del dissolto partito fascista, rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da due a venti anni».

PRESIDENTE. Sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Alle parole: sotto qualunque forma di partito o di movimento, sostituire le altre: oppure la formazione di un partito o di un movimento, e sopprimere le parole: rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

«Subordinatamente, alla parola: rappresentando, sostituire: ove rappresentino».

Pongo in votazione la prima frase del testo della Commissione:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista».

(È approvata).

Pongo ora in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Colitto:

«Alle parole: sotto qualunque forma di partito o di movimento, sostituire le altre: oppure la formazione di un partito o di un movimento».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione la formula della Commissione:

«Sotto qualunque forma di partito o di movimento».

(È approvata).

Passiamo alle parole:

«che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta».

Gli onorevoli Carpano Maglioli, Fogagnolo, Caldera, Vigna, Fedeli Aldo, Tomba hanno presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: paramilitare e per l’esaltazione, sostituire le parole: paramilitare o per l’esaltazione».

Pongo in votazione il testo della Commissione con l’emendamento proposto dall’onorevole Carpano Maglioli.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Passiamo alla frase seguente:

«persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista».

La Commissiono ha accolto la proposta dagli onorevoli Carpano Maglioli e altri di sopprimere le parole «o metodi»; rimane pertanto la frase così emendata:

«persegua finalità proprie del disciolto partito fascista».

La pongo in votazione.

(È approvata).

Ricordo che a questo punto vi è un emendamento soppressivo degli onorevoli Colitto e Carpano Maglioli e altri, i quali propongono di sopprimere le parole: «rappresentando un attentato alle libertà democratiche, garantite dalla Costituzione».

La Commissione è contraria alla soppressione di questo inciso.

Il Ministro della giustizia ha proposto di sostituire la parola «rappresentando» con le altre: «tali da costituire».

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto, su questo ultimo inciso.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io devo votare contro la dizione «rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione» perché a mio parere, se noi lasciamo nel testo questa espressione, creiamo la possibilità che nel caso che vi siano partiti o movimenti che incorrono in questa attività colpita dalla legge, essi si sottraggono alla pena, non solo per il giudizio del magistrato – che può essere assai vario e certe volte discutibile – ma per la stessa prova soggettiva che gli imputati possono dare.

Noi, con questo inciso, creiamo la possibilità che mai possano essere condannati gli autori di questi delitti.

A me pare che la soppressione intenderebbe affermare la sicurezza che, comunque avvenga la ricostituzione di questi partiti o movimenti, per questo solo fatto esiste la pericolosità.

Il Relatore ieri parlava appunto di questo pericolo; e questo è in qualsiasi organizzazione, senza essere obbligati ad esaminare in concreto se l’attività rappresenti un pericolo. Un pericolo sempre rappresenta il solo fatto che questi partiti o movimenti esistano.

D’altronde – e concludo – il fatto che c’è una larga distanza tra la pena minima e la pena massima da due a venti anni, ci dà la sicurezza che non si commetterà mai nessun arbitrio. C’è un largo criterio, di cui il giudice può valersi per valutare il fatto.

Pregherei, quindi, il Relatore onorevole Bettiol di aderire a questa proposta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«tali da costituire un attentato alla libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

(Dopo prova e controprova, non sono approvate).

Pongo in votazione le ultime parole del primo comma:

«è punito con la reclusione da due a venti anni».

(Sono approvate).

Pongo in votazione ora l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Zanardi:

«e alla confisca dei beni».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo al secondo comma:

«Chiunque vi aderisce è punito con la reclusione sino a tre anni».

Ricordo che il Relatore ha accettato la proposta dell’onorevole Crispo di sostituire la parola: «aderisce» con l’altra: «partecipa».

A questo comma vi è una proposta soppressiva dell’onorevole Coppa.

Rammento che l’onorevole Caldera ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere le parole: in qualsiasi modo o forma».

Pongo in votazione le parole:

«Chiunque vi partecipa».

(Sono approvate).

Passiamo ora all’emendamento dell’onorevole Caldera.

CALDERA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo, pertanto, in votazione la seconda parte del testo della Commissione:

«è punito con la reclusione sino a tre anni».

(È approvata).

L’articolo 1 risulta nel suo complesso così approvato:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare o per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta persegua finalità proprie del disciolto partito fascista, è punito con la reclusione da due a venti anni e alla confisca dei beni.

«Chiunque vi partecipa è punito con la reclusione sino a tre anni».

Passiamo all’articolo 1-bis del testo della Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione, con mezzi violenti, dell’istituto monarchico ovvero ne agevola la costituzione, è punito con la reclusione da uno a quindici anni.

«Chiunque vi aderisce è punito con la reclusione sino a due anni».

PRESIDENTE. L’onorevole Coppa ha proposto di sopprimerlo.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. Vorrei far notare che la dizione di questo articolo mi sembra alquanto imprecisa o per lo meno capace di suscitare un equivoco, perché l’articolo dice: «Chiunque promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione, con mezzi violenti, dell’istituto monarchico», e fin qui sta bene. Poi aggiunge: «ovvero ne agevola la costituzione».

Questa frase si potrebbe riferire esclusivamente e puramente all’istituto monarchico in sé e per sé. Ora, faccio rilevare che agevola la ricostituzione dell’istituto monarchico – a parte i mezzi violenti – anche il partito monarchico, contro il quale non è possibile stabilire delle comminatorie.

Dunque io proporrei di dire invece: «Chiunque promuove un movimento, costituisce o agevola la costituzione di un partito diretto alla restaurazione con mezzi violenti dell’istituto monarchico, è punito con la reclusione».

A me sembra più chiaro, perché altrimenti ci troveremmo nelle condizioni di dover dichiarare illegale l’esistenza anche di un partito democratico, quale può essere quello monarchico.

Insomma, la sanzione è diretta contro la violenza e non contro il metodo democratico.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Mi pare che sia sottinteso che questa «agevolazione» deve fare riferimento anche ai mezzi violenti. In sostanza alla Commissione pare che sia implicito che questa «agevolazione della costituzione» di un partito debba fare riferimento ai mezzi violenti.

Quindi, la Commissione non accetta l’emendamento proposto.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io pregherei che nel secondo comma per euritmia con l’articolo precedente dove dice: «vi aderisce» bisogna dire: «vi partecipa».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il suo parere.

BETTIOL, Relatore. Accetto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di grazia e giustizia di esprimere il suo parere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Non ritengo fondato il rilievo dell’onorevole Perlingieri. Accetto la proposta dell’onorevole Bozzi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 1-bis:

«Chiunque promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione, con mezzi violenti, dell’istituto monarchico, ovvero ne agevola la costituzione, è punito con la reclusione da 1 a 15 anni».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Chiunque vi partecipa è punito con la reclusione sino a due anni».

(È approvato).

L’articolo è così approvato nel testo della Commissione, salvo la sostituzione della parola «partecipa» alla parola «aderisce».

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione sino a dieci anni».

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati già svolti i seguenti emendamenti:

«Sopprimerlo».

«Scalfaro».

«Sostituirlo col seguente:

«Chiunque, svolgendo attività fascista o attività determinata dal fine di restaurare l’istituto monarchico, commette, con violenza o minaccia, un fatto diretto ad impedire od ostacolare l’esercizio dei diritti politici o civili dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione sino a 10 anni.

«La stessa pena si applica a chiunque, con violenza o minaccia, istiga taluno ad esercitare i diritti suddetti in senso difforme dalla sua volontà.

«La pena è aumentata se si verifica l’evento.

«La pena è, inoltre, aumentata se concorrono le circostanze aggravanti, prevedute nell’articolo 339 del Codice penale».

«Crispo, Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti. Costantini».

«Alle parole: Chiunque svolge attività fascista, sostituire le parole: Chiunque svolge attività nel senso indicato dall’articolo 1».

«Russo Perez».

L’onorevole Coccia ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo o ostacolando, sostituire le seguenti: Chiunque, svolgendo attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedisce od ostacola».

Ha facoltà di svolgerlo.

COCCIA. Onorevoli colleghi, il mio emendamento tende a chiarire la prima parte dell’articolo 2, là dove si dice: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo o ostacolando, ecc.». A me pare che questo «svolge attività fascista» seguita poi da «attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico» possa creare un equivoco, in quanto gli atti di violenza, non si capisce bene se siano rivolti anche a chi svolge attività fascista o anche a chi svolge soltanto attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. Mi pare dunque che sarebbe più chiaro dire: «Chiunque svolgendo attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, ecc.». Così è più chiaro e non c’è difficoltà di interpretazione che l’impedimento e l’ostacolo si rivolge tanto all’«attività fascista» quanto all’«attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico». Sembrandomi più chiara questa dizione, insisto sul mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 2 col seguente:

«Chiunque, svolgendo attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedisce od ostacola con violenza, minaccia o inganno l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione fino a dieci anni».

L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Onorevoli colleghi, due modifiche propone il mio emendamento. L’una è analoga a quella dell’onorevole Coccia; l’altra è di natura sostanziale. L’azione criminosa che l’articolo 2 vuole punire è indubbiamente l’attentato all’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, che si commetta nello svolgimento dell’attività fascista o monarchica. In altri termini, si tratta della stessa azione criminosa la quale è prevista ed è punita dall’articolo 294 del Codice penale, solamente che qui si intende estendere la sanzione anche all’attentato ai diritti civili, perché l’articolo 294 contempla solamente l’attentato all’esercizio dei diritti politici, e si vuole punirlo giustamente in una maniera più severa quando venga esplicato da fascisti o da monarchici. Ora, con la dizione proposta dalla Commissione (cioè: «chiunque svolge, ecc., impedendo o ostacolando») sembra si voglia dire che l’attentato all’esercizio dei diritti civili o politici sia un aspetto particolare dell’attività fascista o monarchica, mentre si può a questo esercizio attentare da chiunque. Quindi, formalmente, mi sembra meglio dire: «chiunque svolgendo attività fascista, ecc., impedisce o ostacola, ecc.».

Io aderisco perfettamente a questo emendamento che è anche dell’onorevole Coccia.

L’altra mia proposta è di natura sostanziale, perché si attenta all’esercizio libero dei diritti civili e politici, non solamente usando la forza, ma anche con la frode. Ed il fascismo fu maestro non solamente di violenza, ma anche di frode. I famosi plebisciti, che poi si scolpivano e si eternavano sui muri cittadini, erano il frutto, non solamente della paura che si incuteva all’elettore, ma anche dei brogli elettorali e delle insidie che si tendevano agli ignoranti ed agl’ingenui. Quindi, io propongo che ai due mezzi delittuosi indicati qui nell’articolo 2 – specialmente perché oggi ci troviamo di fronte a complesse disposizioni della legge elettorale, e ci troviamo anche di fronte al fatto delle donne che vanno alle urne e degli analfabeti ancora numerosi – ai due mezzi della violenza e della minaccia, si aggiunga anche il terzo mezzo dell’inganno. Questo non solamente per le ragioni che ho prospettate, non solamente perché in genere si può delinquere con la forza o con la frode, e lo disse anche il Divino Poeta:

D’ogni malizia ch’odio in Cielo acquista

Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale

o con forza o con frode altrui contrista.

ma anche per euritmia con l’articolo 294 del Codice penale.

Così ci saremo protetti contro la rinascita di questo fascismo, non solamente sotto il punto di vista dell’esaltazione che esso faceva della violenza, ma anche e soprattutto dalle sue frodi e dalle sue astuzie. (Approvazioni).

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Aderisco alle osservazioni fatte dall’onorevole Rescigno che ha svolto l’emendamento all’articolo 2.

L’onorevole Rescigno ha allargato un po’ la definizione del reato in esso previsto, richiamandosi all’articolo 294 del Codice penale, che prevede l’attentato ai diritti politici.

Mi limito a fare una piccola integrazione di queste osservazioni. Per quanto riguarda la pena, osservo che nel testo primitivo del Governo la pena per questo reato era indicata da tre ai dodici anni di reclusione. Nel testo della Commissione questa pena è stata modificata, dicendosi che il fatto è punito con la reclusione fino a 10 anni: il che significa che non soltanto si è abbassato il limite massimo della pena, ma si è tolto il minimo.

Ora, l’articolo 294, di cui questo reato non è se non una particolare configurazione, contiene l’indicazione del minimo di un anno. Mi pare, per ragioni di coerenza, che anche l’articolo 2, nel quale si eleva il massimo, della pena debba indicare un minimo; e mi sembra che questo minimo non possa essere inferiore a quello dell’articolo 294. Perciò propongo che nell’ultima frase dell’articolo si dica: «con la reclusione da uno a dieci anni».

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il suo parere.

BETTIOL, Relatore. In sostanza, gli emendamenti presentati dagli onorevoli Crispo, Rescigno e Coccia sono tutti orientati verso una modificazione di carattere formale della dizione dell’articolo 2 di questo disegno di legge. E invero, se noi consideriamo questa fattispecie delittuosa, vediamo come essa si presenta, rispetto all’articolo 294 del Codice penale, in cui il fatto consiste nell’impedire e ostacolare con atti di violenza l’esercizio dei diritti. Di caratteristico questa fattispecie ha che questo impedimento, questo ostacolo deve avvenire nell’esercizio dell’attività fascista o monarchica.

Quindi, credo sia meglio accettare la dizione proposta dai colleghi, «svolgendo attività fascista o monarchica». Perciò prenderei come base di discussione il primo comma dell’emendamento sostitutivo dell’onorevole Crispo, che abbraccia in sé tanto quello dell’onorevole Rescigno quanto quello dell’onorevole Coccia.

Per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Rescigno, noi saremmo disposti ad includere anche «inganno» oltre «violenza e minaccia» per le ragioni così chiaramente esposte dall’onorevole Rescigno.

Circa l’aumento del minimo di pena proposta dall’onorevole Perassi, vorrei ricordare come nella Sottocommissione ci siamo trovati d’accordo nell’abbassare le pene previste dal progetto ministeriale. In materia, ricordo un intervento dell’onorevole Togliatti il quale disse che se noi prevediamo pene troppo elevate, in pratica può capitare che il giudice non le applichi mai. Quindi la Commissione sarebbe contraria a toccare le pene previste dal progetto della Commissione nell’articolo 2.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il suo parere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Trovo, in conformità alle proposte fatte dagli onorevoli Coccia e Rescigno, che è meglio precisare «chiunque, svolgendo attività fascista diretta impedisce ed ostacola», in quanto noi incidiamo il reato dicendo: «impedisce e ostacola». Quindi accetto in questo senso l’emendamento, già accolto dalla Commissione.

La Commissione ha dichiarato di accogliere anche l’aggiunta dell’«inganno», che costituisce altra forma tipica dell’articolo 294 del Codice penale. Bisogna considerare che la violenza e la minaccia impediscono ed ostacolano l’esercizio, ma l’inganno non fa questo, bensì, come previsto dall’articolo 294, determina taluno ad esercitare in senso difforme la sua volontà. Sicché, se vogliamo fare entrare anche l’inganno, dobbiamo completare l’articolo in conformità all’articolo 294 del Codice penale.

Sono d’accordo, a differenza della Commissione, con l’onorevole Perassi, il quale propone di stabilire il minimo della pena. Se l’articolo 294 del Codice penale stabilisce il minimo della pena per questo reato, non capisco perché la Commissione debba abbandonarlo. La pena della reclusione va da quindici giorni a 24 anni; evidentemente quindici giorni sarebbero troppo poco. Quindi bisogna stabilire il minimo, cioè un anno.

BETTIOL, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL, Relatore. Per quanto riguarda l’«inganno», la Commissione è d’accordo di limitarsi al Codice penale, senza complicare la formulazione di questo articolo; cioè non accetta l’emendamento Rescigno.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. L’onorevole Russo Perez è assente e si intende abbia rinunziato al suo emendamento.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Faccio mio il testo originario della Commissione.

PRESIDENTE. Allora voteremo per primo il testo originario della Commissione, ripreso e fatto proprio dall’onorevole Laconi, che naturalmente ha la precedenza sul testo emendato fatto proprio dalla Commissione.

Pongo in votazione le parole dell’articolo 2:

«Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico…»

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«impedendo o ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave».

(Sono approvate).

Pongo ora in votazione l’emendamento dell’onorevole Perassi:

«con la reclusione da uno a dieci anni».

(È approvato).

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Io credo che si debba votare anche, del mio emendamento, la parola «inganno» da includere dopo la parola «minaccia».

Mi permetto di dissentire dal Ministro sul concetto che l’inganno si possa riferire semplicemente all’esercizio del diritto politico in senso difforme dalla propria volontà. Si può anche, con l’inganno, impedire tale esercizio. Per esempio, si può impedire l’esercizio, stando all’attuale legge elettorale, in questo modo: una donnetta la quale sia inferma e non può recarsi personalmente alle urne, rilascia una delega ad uno qualsiasi, il quale non va a votare. In questo caso, si è impedito alla donna di esercitare il suo diritto politico, e vi è l’inganno.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Rescigno:

«Dopo le parole: ostacolando con atti di violenza o di minaccia» aggiungere: o con inganno».

(È approvato).

Il testo dell’articolo 2 risulta nel suo complesso così approvato:

«Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza, di minaccia o con inganno l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione da uno a dieci anni».

Passiamo all’articolo 3, se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque, al fine di svolgere alcuna delle attività prevedute negli articoli precedenti, promuove, dirige o sovvenziona una banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da dieci a trenta anni.

«Chiunque partecipa alla banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da tre a quindici anni».

PRESIDENTE. A questo articolo, gli onorevoli Crispo, Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti e Costantini hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Chiunque, per uno dei fini indicati negli articoli precedenti, promuove, forma, dirige o sovvenziona una banda armata di tre o più persone è punito, per ciò solo, con la reclusione da 10 a 20 anni».

L’onorevole Crispo ha già svolto questo emendamento.

Gli onorevoli Mazza, Colitto, Covelli, Corsini, Benedettini, Giacchero, Morelli Renato, Scoca, Bubbio, Proia e Perrone Capano hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Chiunque, per fini politici, promuove, dirige o sovvenziona una banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da dieci a trenta anni».

Poiché l’onorevole Mazza non è presente, invito qualcuno dei firmatari a svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Mantengo l’emendamento e rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.

BETTIOL, Relatore. L’emendamento dell’onorevole Mazza non viene accettato dalla Commissione per i motivi di carattere generale già specificati ieri.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Crispo, la Commissione accetta l’aggiunta della parola «forma» dopo la parola «promuove». Per quanto riguarda le bande armate, la Commissione accetta di specificare «di tre o più persone».

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro di grazia e giustizia ad esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Aderisco a quanto ha detto il Relatore.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei fare una domanda alla Commissione. Io personalmente non ho creduto di votare la proposta con la quale all’articolo 1 si è stabilito che il delitto ivi preveduto, sia punito, oltre che con la reclusione da due a vent’anni, con la confisca dei beni.

Però, allo stato delle cose, siccome l’Assemblea ha votato quell’aggiunta, io vorrei domandare alla Commissione se non ritenga opportuno di fare qualche proposta nei riguardi dell’articolo 3, in cui si prevede un delitto, per il quale è comminata una pena detentiva superiore a quella stabilita nell’articolo primo. A me pare che converrebbe evitare che nella legge vi sia un’evidente incongruenza. Se la Commissione volesse proporre all’Assemblea di riesaminare la questione anche nei riguardi dell’articolo 1, nel senso che tanto nel primo articolo quanto nell’articolo 3 sia stabilita, oltre la reclusione, una forte multa, io sarei pronto ad appoggiare tale proposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Bettiol ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Per quanto riguarda la proposta di aggiungere la pena della confisca dei beni, la Commissione ritiene che sia questa un rimasuglio di pene primitive, arcaiche e barbare che non collimano con quelle del nostro diritto positivo.

Se si vuole aggiungere una pena pecuniaria, la Commissione non ha niente in contrario, ma non accetta l’aggiunta della confisca dei beni.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. È un problema di coerenza, che si pone anzitutto alla Commissione, la quale ha una certa responsabilità nel salvaguardare la linea logica delle leggi che si fanno. Comunque, ripeto, il problema potrebbe essere riesaminato.

PRESIDENTE. Lei stesso può formulare una proposta scritta da presentare alla Presidenza.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Faccio mia la proposta; propongo cioè che, anche per i reati previsti dall’articolo 3 sia applicata la pena della confisca dei beni e quindi, si aggiungano le parole «e la confisca dei beni».

PRESIDENTE. La Commissione ha già espresso il suo avviso attraverso le parole dette poco fa dal Relatore. Ha facoltà ora di parlare l’onorevole Ministro di grazia e giustizia per esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io ho detto prima che aderivo alle proposte fatte dalla Commissione per quelle modifiche ed aggiunte le quali non siano tali da cambiare il testo. Certo che ora questa aggiunta che si propone esce un po’ fuori dalla linea generale. Io non nascondo che le osservazioni dell’onorevole Perassi mi sembrano giuste; ma non è possibile che per una aggravante applichiamo una di queste pene non considerate dal Codice, che non esistono come pena, e che peraltro, ormai la Camera avrebbe approvato. Il Governo si rimette, a questo riguardo, a ciò che l’Assemblea deciderà.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Dichiaro che voterò contro la proposta dell’onorevole Laconi, intesa ad aggiungere la confisca dei beni alle sanzioni comminate da questo articolo, poiché sono contrario a simili forme odiose di persecuzione, per le quali si può ben dire essere storicamente provato che esse vengono attuate sempre da legislatori di carattere tipicamente «fascista». (Interruzioni – Rumori a sinistra).

Questo è fascismo in atto! Questa è apologia del fascismo! (Commenti – Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, lei non era presente nell’Aula all’inizio della seduta, altrimenti saprebbe che l’Assemblea ha già approvato a proposito dell’articolo 1 una disposizione per la confisca dei beni. Forse, se l’avesse saputo, avrebbe espresso il suo pensiero in altra forma.

RUSSO PEREZ. Avrei espresso, allora, il mio rammarico e la mia protesta!

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Il nostro Gruppo voterà contro la proposta Laconi, ricordando quello che in Commissione disse l’onorevole Togliatti che, cioè, se si fanno leggi eccessivamente severe queste poi, non saranno applicate. E se facciamo una norma che non potrà essere applicata faremo un’opera non producente, ai fini della legge stessa.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Io ebbi l’onore, onorevoli colleghi, di vedere confiscati dai ladroni fascisti i beni che non avevo (Ilarità) e riconobbi, allora, che il fascismo era logico nel suo atteggiamento.

Siamo logici anche noi, se ad un certo momento rendiamo dente per dente. (Proteste al centro e a destra).

Io penso, onorevoli colleghi, che l’unica parte sensibile dei finanziatori del fascismo sia il portafoglio. Bisogna colpirli nel portafoglio; bisogna che sappiano cosa vuol dire andare per il mondo in miseria e lavorare per poter vivere.

Così bisogna fare: bisogna che l’Italia nuova abbia questo coraggio: condannarli tutti alla bolletta dura, questi assassini! (Commenti a destra).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il Presidente ha fatto giustamente notare all’onorevole Russo Perez che la mia proposta poggiava sopra un precedente, cioè sul fatto che l’Assemblea aveva già votato la confisca dei beni.

Vorrei far notare all’onorevole Uberti che l’Assemblea ha votato questa confisca per un reato, diciamo così, minore; qui si tratta di promuovere, dirigere o sovvenzionare una banda armata, il che è qualche cosa di più della costituzione di un partito.

Quindi, mi pare evidente che a maggiore ragione dobbiamo votare in favore della pena della confisca in questa sede.

UBERTI. Se si è fatto un errore prima, persistere nell’errore sarebbe ancora peggio. Noi votando contro in questa sede, al provvedimento della confisca siamo coerenti non avendolo votato in occasione dell’articolo 1.

CONDORELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Le parole esplose testé dalla bocca dell’onorevole Tonello sintetizzano, in una formula storica, il livello della dottrina penalista, il senso di giustizia che nutriamo nell’anno di grazia 1947. (Rumori a sinistra). Si invoca in piena Costituente italiana l’applicazione della legge del taglione. (Rumori a sinistra).

È questa la libertà, è questa la giustizia sociale con cui si è concluso il nostro travaglio rivoluzionario. (Applausi a destra – Rumori a sinistra).

CIANCA. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Noi abbiamo concepito questa legge non come legge di vendetta, perché ciò imprimerebbe alla legge il segno della sterilità, ma come una legge volta a difendere le istituzioni repubblicane e democratiche contro il pericolo della resurrezione, sotto qualsiasi forma, di un regime che è costato all’Italia quello che è costato.

Per quanto riguarda il problema che è in discussione, io debbo francamente dire al collega onorevole Uberti che mi stupisco del semplicismo della formula che egli ha adottato per giustificare il fatto che nei confronti di un reato più grave si escluda una sanzione che è stata comminata per un reato meno grave. Io sono perfettamente d’accordo su ciò con l’onorevole Perassi: c’è anche un problema di coerenza.

RUSSO PEREZ. C’è un problema di coerenza anche nell’errore?

CIANCA. Noi abbiamo votato nell’articolo primo una pena anche finanziaria, la quale ha un valore morale e politico che certamente non sfugge a nessuno dei colleghi presenti in quest’Aula. Perché dunque dovremmo escludere la stessa sanzione per un reato più grave? Pensate che si tratta di bande armate e di chi le finanzia. Come è possibile che l’Assemblea si rifiuti di comminare questa sanzione nei confronti di coloro che si servono del loro danaro per gettare nello stato democratico e repubblicano il seme della discordia, della guerra civile?

Io voterò pertanto nel senso che, anche nei riguardi di coloro i quali costituiscano e finanzino bande armate, sia comminata la confisca dei beni.

CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro, anche a nome dei colleghi di questa parte, che noi abbiamo votato contro la misura di sicurezza economica a proposito dell’articolo 1; ora, essendo stata approvata detta misura per un reato meno grave, si deve per coerenza approvarla anche per il reato più grave di cui all’articolo 3 (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo ora, in votazione la prima parte dell’articolo 3.

«Chiunque, al fine di svolgere una delle attività prevedute negli articoli precedenti, promuove».

(È approvata).

Secondo l’emendamento dell’onorevole Crispo, accettato dalla Commissione pongo in votazione la parola:

«forma».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole:

«dirige o sovvenziona».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«una banda armata».

(Sono approvate).

Secondo l’emendamento dall’onorevole Crispo, accettato dalla Commissione e dal Ministro, pongo in votazione le parole:

«di tre o più persone».

(Sono approvate).

Pongo ora, in votazione le parole:

«è punito, per ciò solo, con la reclusione da dieci a trenta anni».

(Sono approvate).

Pongo ora, in votazione, l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Laconi:

«e con la confisca dei beni».

(È approvato).

Passiamo ora al secondo comma.

Onorevole Crispo, nel suo emendamento c’è la proposta di sostituire alla pena dai tre ai quindici anni, quella da dieci a venti; la mantiene?

CRISPO. La ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo allora in votazione il secondo comma nel testo proposto dalla Commissione:

«Chiunque partecipa alla banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da tre a quindici anni».

(Sono approvate).

L’articolo 3, risulta, nel suo complesso così approvato:

«Chiunque, al fine di svolgere alcuna delle attività prevedute negli articoli precedenti, promuove, forma, dirige o sovvenziona una banda armata di tre o più persone, è punito, per ciò solo, con la reclusione da dieci a trenta anni e con la confisca dei beni.

«Chiunque partecipa alla banda armata è punito, per ciò solo, con la reclusione da tre a quindici anni».

Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Nella ipotesi di concorso nel delitto preveduto nell’articolo 3 con alcuno dei delitti preveduti negli articoli 1 e 2, quando si tratta di fatti che per la loro gravità sono tali da potere provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con la reclusione non inferiore ad anni ventuno, e, nei casi più gravi, con la pena dell’ergastolo».

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato un emendamento dagli onorevoli Crispo, Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti e Costantini tendente a sopprimerlo. Questo emendamento è stato già svolto.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei chiedere un chiarimento alla Commissione.

Se ho ben compreso, questo articolo configura una ipotesi di concorso di reati, derogando sotto qualche riguardo a quelle che sono le norme generali del Codice penale in materia di concorso di reati.

Ora, per quanto concerne la formulazione, io mi domando se non è incorso un errore di stampa quando, nella prima linea dell’articolo 4 si dice: «Nella ipotesi di concorso nel delitto»; mi sembra che si dovrebbe dire: «concorso del delitto con alcuno dei delitti, ecc.»: si dovrebbe, cioè, dire «del», e non «nel».

Una seconda domanda. Nell’articolo 4 si dice: «concorso con alcuno dei delitti preveduti negli articoli 1 e 2». E a questo riguardo il testo della Commissione riprende letteralmente il testo iniziale del progetto del Governo. Siccome allo stato delle cose l’articolo 1 è stato diviso in due, mi pare che nell’articolo 4, oltre che il concorso coi delitti preveduti al 1° e al 2° articolo, occorra comprendere anche il concorso con il delitto preveduto dall’articolo 1-bis. Suppongo che su questo punto la Commissione non potrà non essere d’accordo.

PRESIDENTE. Sta bene. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione non accetta naturalmente l’emendamento soppressivo, perché i fatti sono tali da essere veramente gravi; quindi, non ci sono ragioni politiche o logiche di eliminare questo articolo.

Per quanto riguarda le osservazioni dell’onorevole Perassi, la Commissione le accetta, perché esse riguardano questioni dr forma che perfezionano la formulazione dell’articolo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di grazia e giustizia di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Anch’io sono per il mantenimento dell’articolo perché le osservazioni dell’onorevole Crispo erano fondate su argomenti tecnici o cioè sul fatto che le norme relative al concorso di reati e al cumulo delle pene già esistono nel Codice penale. Per ragioni tecniche il primo testo del Governo portava l’applicazione della legge del 1944. La Commissione ha comminata la pena dell’ergastolo, che è la pena massima da dare secondo il nostro Codice.

Quindi credo che sia da confermare quello che la Commissione ha fatto.,

Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Perassi, mi pare giusto che debba farsi richiamo anche all’articolo 1-bis.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. È solo per rispondere all’osservazione dell’onorevole Ministro. Io non avevo detto soltanto quello che l’onorevole Ministro ha ricordato. Avevo detto anche che la qualità di capo o promotore, ai fini della pena, è contemplata nell’articolo 1 come nell’articolo 3. Sicché questa qualità di capo o promotore era stata tenuta presente per stabilire una pena più grave.

Ora, con l’articolo 4, questa qualità è considerata anche in funzione di un’aggravante speciale. Il che nel nostro Codice non è consentito.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io ho votato contro la confisca dei beni perché è una modificazione del sistema delle pene del nostro Codice penale.

Però, se questa pena è stata inclusa nell’articolo 1 e nell’articolo 3, è necessario aggiungerla anche in questo articolo che rappresenta il massimo di gravità dei reati che qui sono contemplati.

PRESIDENTE. Il testo dell’articolo, con le rettifiche suggerite dall’onorevole Perassi ed accettate dalla Commissione e dal Ministro di grazia e giustizia, suona così:

«Nella ipotesi di concorso del delitto preveduto nell’articolo 3 con alcuno dei delitti preveduti negli articoli 1, 1-bis e 2, quando si tratta di fatti che per la loro gravità sono tali da potere provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con la reclusione non inferiore ad anni ventuno e, nei casi più gravi, con la pena dell’ergastolo».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Cevolotto: «e con la confisca dei beni».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 5. Se ne dia lettura:

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque pubblicamente istiga a commettere alcuno dei delitti preveduti negli articoli precedenti, è punito con la reclusione da uno a otto anni».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Fedeli Aldo, Vigna, Malagugini, Tomba, Costa e Caldera hanno proposto il seguente emendamento:

«Alla parola: pubblicamente, sostituire le seguenti: per mezzo della stampa o in altro modo pubblicamente».

L’onorevole Fedeli Aldo ha facoltà di svolgerlo.

FEDELI ALDO. Onorevoli colleghi, si tratta di un semplice emendamento di forma, che non attiene alla sostanza dell’articolo.

La Commissione, nel modificare il testo ministeriale, ha osservato quanto segue: «Chiunque pubblicamente istiga» è equivalente e comprensivo di «ogni e qualsiasi mezzo con cui l’istigazione possa pubblicamente e quindi anche con il mezzo della stampa, essere compiuta».

Nulla da eccepire per quanto riguarda la logica e il significato lessicale. Ma non è privo di significato che il testo ministeriale abbia voluto indicare e specificare in modo autonomo il mezzo della stampa, evidentemente riscontrandolo come il più temibile e pericoloso per la capacità pronta ed ampia di diffusione e per il potere suggestivo. Ed allora siccome siamo di fronte ad una legge speciale, che ha bisogno di particolare chiarezza, noi crediamo che sia consigliabile ritornare al testo ministeriale come quello che sottolinea ed accentua il mezzo della stampa fendendo chiara ed inequivocabile la dizione dell’articolo.

Siamo in un momento di carenza di legge sulla stampa e quindi questa esigenza di chiarezza è tanto più sentita. Saranno evitati così equivoci di interpretazione e perplessità di giudici di cui abbiamo avuto sconfortanti e – lasciatemi dire – scandalosi esempi nell’applicazione delle leggi epurative.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo parere.

BETTIOL, Relatore. La Commissione per quanto riguarda la questione della stampa aveva creduto di eliminare l’inciso «a mezzo della stampa» dato che è in corso di elaborazione una legge sulla stampa la quale riguarda la repressione dei reati ad essa collegati. Quindi la Commissione si attiene al testo presentato.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo potrebbe anche mantenere le parole «a mezzo della stampa» ma si è convinto che la formulazione della Commissione è identica, perché nell’articolo 266 del Codice penale è detto testualmente: «…agli effetti penali il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è compiuto: 1°) col mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda».

Quindi siccome c’è un articolo testuale nel Codice, il Governo ritiene si debba accogliere la formulazione della Commissione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione delle seguenti parole dell’articolo nel testo governativo, che l’onorevole Fedeli Aldo ha ripreso come emendamento al testo della Commissione:

«Chiunque, a mezzo della stampa o in altro modo».

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Voterò a favore dell’emendamento Fedeli Aldo non solo perché, naturalmente, è più opportuno rendere esplicito quello che altrimenti sarebbe implicito, ma perché esiste il ragionevole dubbio che il Governo nel presentare alcune disposizioni di carattere urgente sulla legge sulla stampa non abbia il modo e il tempo di inserire una disposizione che renda chiaro questo punto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole: «Chiunque a mezzo della stampa, o in altro modo».

(Dopo prova e controprova sono approvate).

Pongo in votazione le restanti parole dell’articolo: «pubblicamente istiga a commettere alcuni dei delitti preveduti negli articoli precedenti, è punito con la reclusione da uno a otto anni».

(Sono approvate).

Passiamo all’articolo 5-bis. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque esalta pubblicamente i capi e le ideologie proprie del fascismo o compie pubblicamente manifestazioni di carattere fascista, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

PRESIDENTE. Ricordo che è stato già svolto dall’onorevole Russo Perez il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 5-bis col seguente:

«Chiunque pubblicamente compie manifestazioni sediziose è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni».

L’onorevole Fedeli Aldo ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: esalta pubblicamente, aggiungere: con i mezzi anzidetti».

L’onorevole Fedeli ha facoltà di svolgerlo.

FEDELI ALDO. Lo mantengo rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. L’emendamento dell’onorevole Russo Perez non viene accettato dalla Commissione per quelle ragioni di carattere generale già conosciute. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Fedeli, dato che l’Assemblea ha approvato poco fa il riferimento alla stampa, la Commissione lo accetta.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Mi pare che l’emendamento dell’onorevole Fedeli limiti l’applicazione dell’articolo 5-bis, in quanto con l’aggiunta «con i mezzi anzidetti» l’applicazione dell’articolo è limitata ai casi in cui concorra l’estremo dell’uso di quei determinati mezzi e si dà proprio modo alla Magistratura di non applicare questa disposizione, di fronte a troppi casi.

FEDELI ALDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FEDELI ALDO. Quando si dice «a mezzo della stampa o con altri mezzi» c’è un «o» disgiuntivo che fa sì che non siano richiesti vari mezzi contemporanei, ma che ciascuno per conto proprio sia idoneo.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Vorrei chiedere alla Commissione, se lo crede opportuno, di sostituire, così come era nel disegno di legge del Governo, alle parole «i capi», le parole «le persone»; perché a me pare che l’espressione «i capi» possa indurre un certo dubbio se si tratti dei capi defunti o dei capi che non ci auguriamo più.

PRESIDENTE. Lei proporrebbe: «Chi esalta pubblicamente le persone»? L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione ritiene di attenersi al testo elaborato, cioè di parlare di «capi», perché «persone» è termine troppo generico. Ci potrebbe essere un individuo qualsiasi del passato regime che ha fatto un acquedotto, e allora una forma di elogio potrebbe essere considerata come esaltazione della persona stessa.

È meglio parlare di «capi», come di coloro che furono i responsabili della politica che ha determinato la catastrofe del Paese.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi sembra che abbia ragione la Commissione, che ha modificato cercando di riferirsi ai capi del fascismo. Effettivamente la parola «persone» potrebbe far nascere un equivoco, tanto che la Magistratura potrebbe non sapere quando debba applicare la pena.

PRESIDENTE. Onorevole Rescigno, lei mantiene il suo emendamento?

RESCIGNO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Russo Perez:

«Chiunque pubblicamente compie manifestazioni sediziose è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni».

Rilevo che questo emendamento non ha attinenza col testo in discussione.

RUSSO PEREZ. Io sono di parere contrario. Evidentemente, il canto «Giovinezza» potrebbe considerarsi una manifestazione sediziosa; ma anche altre forme potrebbero essere considerate sediziose.

PRESIDENTE. Mi pare che questa norma starebbe bene in un testo penale generale, e non in una legge specifica come questa. Comunque, pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Russo Perez.

(Non è approvato).

Pongo in votazione le prime parole dell’articolo 5-bis con l’emendamento dell’onorevole Rescigno: «chiunque esalta pubblicamente le persone».

(Sono approvate).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Fedeli Aldo:

«con i mezzi anzidetti».

(È approvato).

Pongo in votazione la rimanente parte dell’articolo:

«e le ideologie proprie del fascismo o compie pubblicamente manifestazioni di carattere fascista è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

(È approvata).

Il testo definitivo dell’articolo risulta così formulato:

«Chiunque esalta pubblicamente con i mezzi anzidetti le persone e le ideologie proprie del fascismo o compie pubblicamente manifestazioni di carattere fascista è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

La Commissione ha proposto la soppressione dell’articolo 6 del testo governativo, così formulato:

«Chiunque con i mezzi indicati nel precedente articolo fa propaganda per la restaurazione della dinastia sabauda è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni».

Gli onorevoli Fedeli Aldo, Vigna, Malagugini, Tomba, Costa, Caldera hanno proposto di ripristinare il testo ministeriale.

L’onorevole Fedeli Aldo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

FEDELI ALDO. In qualche settore di questa Assemblea si è definita liberticida questa richiesta di far rivivere l’articolo 6 del testo ministeriale. Penso che non si tratti di disposizione liberticida, ma semplicemente di una disposizione, che difende e protegge le nuove istituzioni datesi dal popolo italiano.

Nella perspicua relazione dell’onorevole Bettiol, la soppressione dell’articolo 6 è giustificata con le seguenti parole: «Viva è stata in seno alla Commissione la discussione sull’articolo 6. Per alcuni la disposizione deve ritenersi giustificata, perché viene incriminata la propaganda a favore della restaurazione della dinastia sabauda, che è stata complice del fascismo, mentre non viene punita la propaganda dell’idea monarchica come tale. Da altri si osserva che una propaganda monarchica astratta non esiste o è in Italia inconcepibile, per cui, se è legale dal punto di vista costituzionale un partito monarchico, negare a questo partito la possibilità di propagandare con mezzi democratici l’idea della restaurazione sabauda significherebbe negare una delle fondamentali libertà politiche».

Cosa vuol dire questo? Siccome in Italia c’è una esigenza democratica, la quale deve ammettere l’esistenza del partito monarchico, e siccome in Italia monarchia vuol dire Savoia, bisognerebbe esaltare i Savoia per potere difendere la democrazia e la libertà.

Evidentemente, è una giustificazione che contiene in sé contradizioni e sofismi; tanto più che, in altra parte della relazione, la Commissione accetta il principio che storicamente in Italia, durante il ventennio, monarchia e fascismo sono stati un idem et unum. Ed allora esaltare la monarchia dei Savoia, vuol dire esaltare il fascismo. E poiché abbiamo fatto queste leggi per sopprimere l’attività fascista, non dobbiamo adottare una disposizione, la quale impedisca, attraverso l’esaltazione dei Savoia, l’esaltazione del fascismo e della dittatura?

Non voglio fare un discorso per ricordare davanti all’Assemblea le responsabilità dei Savoia. Spero che l’Assemblea sia ancora abbastanza antifascista per comprendere questo argomento e che non vi sia bisogno di un discorso con parole grosse. Ed allora si dirà: la Repubblica italiana è più severa e feroce, nella repressione dell’istituto monarchico, della stessa Repubblica francese. In Francia, a Parigi, si videro manifestazioni di bonapartisti e di orleanisti i quali portavano per le strade i simboli della monarchia, senza che questo costituisse reato. Ma, onorevoli colleghi, credo che la monarchia dei Savoia, identificandosi con il fascismo, si sia coperta di colpe ben più gravi di quelle di cui non si coprirono le monarchie bonapartiste ed orleaniste. E poi ogni contingenza ha bisogno di leggi aderenti alla sua realtà. E la realtà storica dell’Italia è questa: che i Savoia si sono identificati con la dittatura e col fascismo. (Approvazioni a sinistra). Quindi io penso che questa attività di propaganda e di esaltazione dei Savoia vada totalmente impedita, per difendere i beni supremi: la libertà e la democrazia.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Noi dichiariamo che, per mantenere alla legge quello stesso carattere di coerenza, per il quale abbiamo votato la misura economica, voteremo contro l’articolo 6, ossia siamo favorevoli alla soppressione dell’articolo 6. La ragione ci sembra evidente: negli articoli 1 ed 1-bis si è voluta reprimere l’attività fascista e l’attività intesa alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico, laddove nell’articolo 5 si prevede l’ipotesi di chi istighi, a mezzo della stampa od in altro modo, pubblicamente, ma evidentemente con modi diversi dai mezzi violenti, a commettere i delitti contemplati nell’articolo 1, 1-bis e 3. Pertanto, quando nell’articolo 6 si contempla l’ipotesi della propaganda e si dice: «con i mezzi indicati nel precedente articolo», si vuol reprimere una propaganda che vien fatta, o dovrebbe esser fatta con mezzi che non sono violenti, il che è in contrasto con tutto lo spirito delle disposizioni precedenti ed è in contrasto anche col fatto che a norma dell’articolo 1-bis non è vietata la propaganda per la restaurazione dell’istituto monarchico, che non fosse fatta con mezzi violenti. Quindi, non si comprende il contrasto che verrebbe a stabilirsi fra la norma dell’articolo 6, per cui anche la propaganda con mezzi leciti sarebbe repressa, e tutto lo spirito della legge il quale tende soltanto a reprimere l’attività che si svolge con mezzi violenti.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Ritengo sia stato notato dall’onorevole Fedeli che non abbiamo preso parte attiva alla discussione di questa legge, che per noi costituisce comunque un assassinio della libertà. (Proteste ed interruzioni a sinistra). Non l’abbiamo presa questa parte, proprio perché non si ripetesse l’equivoco, che ha ripetuto l’onorevole Fedeli, cioè della identità fra monarchici e fascisti. (Rumori a sinistra).

TONELLO. Altro che!

DE MICHELIS. Ricordatevi del 3 gennaio!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

COVELLI. Insorgiamo solo ora nell’attribuire alla coscienza dell’onorevole Fedeli e dei suoi accoliti (Rumori a sinistra – Interruzioni) il disegno di reprimere non soltanto l’attività diretta alla restaurazione monarchica con mezzi violenti, ma addirittura il pensiero di questa restaurazione…

Una voce a sinistra. Sabauda!

ROVELLI. Sabauda, e ce ne onoriamo altamente per l’Italia e per la storia d’Italia. (Rumori a sinistra).

E qui le parole potrebbero andare oltre il pensiero e non credo che proprio ai comunisti questo convenga; quanto meno esaltiamo un prodotto tipicamente e tradizionalmente italiano, che non ci può essere contestato proprio dai comunisti. (Rumori all’estrema sinistra).

Volevo solo far notare in questa nostra presa di posizione che l’onorevole Fedeli dimentica che il 2 giugno almeno 11 milioni di elettori votarono e per l’istituto monarchico e per la dinastia sabauda (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Ma non per i Savoia!

COVELLI. E sarebbe un affronto a quella parte pur cospicua di italiani che votarono in linea logica nell’interesse dell’Italia, ma votarono anche in virtù di un sentimento che non si disgiungeva dalla devozione per la dinastia sabauda, cui si rifà l’unità e l’indipendenza d’Italia. (Interruzioni a sinistra).

Ed è in questo momento che richiamo gli onorevoli colleghi alla loro coscienza. È inutile farsi illusioni sull’efficacia dell’articolo in questione. O la legge consentirà quello che è, un atto di pensiero, riportarsi cioè nella propaganda alla dinastia sabauda, o, purtroppo, malgrado la legge, almeno quegli 11 milioni di italiani, a cominciare da me, continueranno a ricordare sempre la dinastia sabauda, cui li lega una tradizione, cui, soprattutto, li lega un senso profondo di gratitudine per quello che in ogni epoca questa dinastia ha fatto nell’interesse dell’Italia. (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Ma, la dinastia non è l’istituto monarchico.

COVELLI. Non dovreste essere voi a chiedere la formulazione e l’applicazione di legge speciali e, quindi, l’inasprimento del Codice penale, dal momento che proprio voi state dimostrando in questi giorni che la legge ha un valore relativo. (Interruzioni a sinistra). Se l’autorità dello Stato dovesse essere quella che noi auspichiamo, quante volte in questi giorni il Codice penale avrebbe dovuto agire nei vostri confronti (Rumori a sinistra) esattamente nell’interesse della democrazia e della libertà, in nome delle quali voi chiedete le leggi speciali, per le quali noi e voi abbiamo combattuto.

Una voce a sinistra. Ma non i Savoia!

COVELLI. Anche e soprattutto i Savoia!

Una voce a sinistra. I Savoia hanno tradito la libertà.

COVELLI. Si vuole ignorare, e non certo in buona fede, che le leggi qualche volta non le fanno il Ministro di grazia e giustizia o le Commissioni legislative, signori comunisti. Le fanno quelli, e i fatti di questi giorni lo dimostrano, che si presumono i più forti.

Se, continuando in questo andazzo, sia per quello che fate nel Paese, sia per quello che vorreste fare in quest’Aula, approvando questa legge, doveste dimostrare agli italiani che veramente questa è la massima più vera – che cioè la legge la fa il più forte – io vi direi: inserite pure l’articolo 6 e approvatelo, tanto, propaganda per la dinastia sabauda, quando occorrerà, la faremo egualmente (Interruzioni – Commenti a sinistra) convinti come siamo che la monarchia dei Savoia – e non credo che sia questa la sede più opportuna per dimostrarlo – è stata il presidio più certo della libertà e della democrazia. (Commenti – Interruzioni a sinistra).

DE MICHELIS. Non ci crede nemmeno lei! Si scalda a freddo.

COVELLI. Io mi rivolgo in particolar modo a coloro i quali, proprio dei vostri settori, per una attività di pensiero, e soltanto per questo, hanno dovuto scontare le ire degli avversari. È nell’interesse comune di non spingere i monarchici, con le vostre pressioni legali, oltre che con le abituali violenze, a dover assumere un atteggiamento che voi condannate in altri, che noi, insieme a voi, condanniamo in altri. Ci siamo sforzati, e credo che in massima parte ci siamo riusciti, di darvi ampie dimostrazioni che veramente i monarchici agiscono nel più assoluto spirito democratico, nel rispetto più assoluto della libertà altrui.

Volendo oggi confondere i monarchici con altri, o quanto meno costringere i monarchici ad essere spiati e perseguitati soltanto perché devoti alla dinastia sabauda, io credo che significhi fare del tutto per indicare ai monarchici la opinione che non è assolutamente sufficiente mantenersi sul piano democratico per poter esprimere il proprio pensiero. Io rivolgo questa preghiera prima di tutto a voi. (Interruzione del deputato Tonello). È alla responsabilità dell’Assemblea, alla responsabilità di quelli a noi avversi sul motivo istituzionale, che io rivolgo questo appello inteso a non considerare i monarchici come della gente che possa pensare a bacchetta o che possa comunque esprimere il proprio pensiero articolato o modellato dai limiti voluti da questa legge. Non hanno subito fino ad oggi nessun sopruso e, non suoni minaccia la mia, ma soltanto cosciente espressione di quello che sono i monarchici e di quello che vogliono i monarchici, non lo subiranno neppure domani, con o senza l’ausilio di una legge come questa, anti-democratica e liberticida. Quando lasciaste ai monarchici la possibilità di esprimere il loro pensiero senza limiti, voi, credo, avreste meglio servito la vostra Repubblica: solamente nelle azioni buone della vostra Repubblica voi potrete meglio avversare e l’ideologia e il sentimento monarchico.

Nessuno, credo, avrà mai vietato ai repubblicani o ad altri di fare la loro propaganda. (Proteste a sinistra).

Una voce a sinistra. Nella galera!

COVELLI. Ci consentirete di non essere d’accordo…

MOLINELLI. Qui si parla di monarchia sabauda e più volte qui dentro sono state fatte ingiustizie in nome di sua maestà Vittorio Emanuele III!

COVELLI. Io voglio ammettere che, nella quasi totalità, la pressione che si svolge onde mantenere l’articolo 6 sia in buona fede; cioè si vuole distinguere la libertà di propaganda per l’istituto monarchico e la libertà di propaganda per la dinastia sabauda.

Una voce a sinistra. Che ha tradito sempre!

COVELLI. Vi consiglio ad essere calmi e più circospetti, perché se dovessimo parlare di tradimento di ieri, di oggi, di sempre se ne salverebbero pochi… (Proteste a sinistra).

Orbene, è a questa buona fede che mi rivolgo; non è possibile in Italia, almeno da parte di quelli che, come me, conservano ancora intatta questa idea monarchica, non è possibile distinguere l’una propaganda dall’altra. E, non essendo possibile, non per questo si deve seguire la malafede di qualcuno, il quale sa benissimo che, approvando questo articolo, crea certamente una delle più rigide e più pericolose rembate alla nostra propaganda e alla nostra organizzazione, ma anche alla vera espressione di democrazia.

Ho pregato di tener presente che in Italia il motivo monarchico è soprattutto un sentimento, ed è a questo sentimento che non dovete recare violenza alcuna, perché veramente dei monarchici fareste degli antidemocratici.

I monarchici vi seguiranno in tutte quelle leggi che siano garanzia di libertà; ma non solo non diventeranno mai complici della vostra azione liberticida ed antidemocratica, ma anche vi combatteranno sempre fino alle estreme conseguenze su questo piano. (Applausi a destra – Commenti – Rumori a sinistra).

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, io non volevo intervenire in questa discussione dopo aver dichiarato che voterò contro la legge.

Continuo a dichiarare che voterò contro questa legge. (Applausi a destra).

Una voce a destra. Perché lei è un galantuomo.

CONTI. Ma non possiamo ammettere che si svolga un dialogo tra quella parte e questa: ci siamo anche noi. E il dialogo, onorevole Covelli, voi lo dovete svolgere con noi. Noi vi diciamo questo come repubblicani storici. Noi siamo, in Italia, i rappresentanti del partito che fu l’antagonista della monarchia, del partito che fu combattuto dalla monarchia quando Mazzini e i suoi seguaci lottavano per l’unità d’Italia. Soltanto nel 1860 il vostro Cavour si convinse e dichiarò, dopo la battaglia del Volturno, di credere finalmente possibile l’unità d’Italia.

Non ci aveva creduto prima; Cavour aveva mirato all’ingrandimento del dominio dei Savoia con la Lombardia e il Veneto. Questo era il programma dei Sabaudi: il partito repubblicano lottava invece per l’unità d’Italia.

Voce al centro. Anche Cavour!

CONTI. No! È doloroso – lo so – per coloro che hanno appreso la storia d’Italia sui testi di terza elementare, ma la verità storica non è in essi, e si impone anche ai nostri avversari monarchici, dei quali io proclamo la buona fede: essi sono vittime delle imbottiture…

COVELLI. Dei testi scolastici?

CONTI. …delle imbottiture di crani che tutti gli italiani hanno subito da quando i Savoia tutto trasfigurarono, travisarono, falsificarono, per tradire e fermare la rivoluzione del Risorgimento. (Applausi a sinistra – Rumori, commenti a destra).

Orbene, onorevoli colleghi! Come poche settimane or sono insorsi in quest’Aula perché mi sembrò di avere intravisto – non so se mi ingannai, e gli amici di questa parte (Accenna alla sinistra) non se ne offendano – una piccola manovra che mirava ad una finalità politica, così, con la stessa sincerità, sento di dover insorgere contro la manovra di oggi dell’onorevole Covelli, che tende a stabilire in Italia un contrasto fra i monarchici e i comunisti. Sarebbe una facile battaglia la sua! (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Non tanto!

CONTI. Sarebbe una facile battaglia la sua.

COVELLI. Vinta da noi, naturalmente. (Rumori all’estrema sinistra).

CONTI. Si vorrebbe identificare lo sforzo che si deve compiere per la difesa di tutte le libertà con il programma dei monarchici. Si vorrebbe far credere in Italia che la bandiera che segna la resistenza contro i cosiddetti barbari, sia la bandiera monarchica. Teniamo a stabilire questa linea di condotta: noi non siamo comunisti, perché non sentiamo nello stesso modo il problema sociale, i problemi economici, i problemi politici; ma non possiamo ammettere che i monarchici levino la bandiera della libertà del nostro Paese. Onorevole Covelli: io avevo promesso all’amico Condorelli quel tale ammasso di documentazione con il quale lo avrei soffocato. Ora, io non dirò all’Assemblea che in questo momento io mi metterò a soffocare l’amico Covelli; reputo però che alcuni accenni non saranno inutili.

Bisogna finirla con questo equivoco: con l’equivoco secondo il quale la monarchia non avrebbe niente a che vedere con il fascismo, secondo cui prima del fascismo avremmo avuto una monarchia deliziosa, una monarchia invidiabile.

COVELLI. È stata esaltata dal Carducci quella monarchia.

CONTI. La monarchia prima del fascismo fu una gioia per gli italiani?

Bene, onorevole Covelli, in quattro parole ci possiamo sbrigare di questa tesi.

Monarchia e fascismo si identificano, non c’è discussione. Negate che il vostro re abbia portato i suoi fiori al «covo»; negate che sia andato a portare i suoi fiori sulla tomba della madre di Mussolini; che abbia visitato la casa natale di colui che «le indovinava tutte», come si esprimeva Vittorio Emanuele; negate che tutti i principi di casa Savoia, dal primo all’ultimo, abbiano fatto omaggio al fascismo; negate che il principe Umberto abbia fatto omaggio all’imperialismo fascista fin dal primo momento; negate che la moglie di lui è stata una fervente fascista e amica di quell’Hitler, col quale si è fatta quella guerra che ha portato l’Italia al disastro? Negate questa storia recente che abbiamo vissuto!

COVELLI. Assolutamente! Completamente! E ci fa meraviglia che lo dica lei!

CONTI. Onorevole Covelli, mi duole tanto doverle dire che lei nega la verità conosciuta.

Onorevoli colleghi, quanto ho detto è per la fase fascista della monarchia. Andiamo indietro, nel periodo aureo della monarchia: è tutta una serie di ribalderie.

Noi ci troviamo subito di fronte al tradimento di Carlo Alberto nel 1848 a Milano; noi ci troviamo di fronte, in fatto di tradimenti, al tradimento di Vittorio Emanuele, nel 1866. Ci troviamo di fronte a continue mancanze di fede a quello Statuto, che l’altro giorno ho perfino inteso celebrare all’estrema sinistra dall’amico Musolino, il quale diceva: «Non avete difeso lo Statuto»; di quella specie di truffa che fu al popolo italiano, di quella «Charta», nella quale erano scritte tutte le cose che si vogliono, meno i diritti del popolo, meno la dichiarazione della sovranità popolare e garanzie vere della libertà.

E le violenze della monarchia non le ricordate? Noi siamo il Paese degli stati d’assedio, signori! Siamo il Paese nel quale gli stati d’assedio si sono susseguiti… (Interruzione del deputato Russo Perez).

Onorevole Russo Perez, che cosa fece la monarchia in Sicilia dal 1860 in poi?

RUSSO PEREZ. Io non c’ero; non ero nato!

CONTI. Non ricordate i delitti della monarchia in Italia e in Sicilia?

Ricordate i fatti di Palermo nel 1866? Gli assassinî, le fucilazioni in massa. Ricordate quello che è stato detto alla Camera italiana, dal procuratore generale della Corte d’appello di Palermo, onorevole Tajani, che fu deputato e Ministro di grazia e giustizia? Rileggete le sue requisitorie contro il regime instaurato in Sicilia dal 1860 in poi; rileggete negli atti parlamentari quelle pagine. E a proposito dei siciliani ne voglio dire un’altra, che spetta a Camillo Benso di Cavour. Cavour perseguitò in Piemonte gli emigrati, fra i quali erano i fratelli Amari. Di Amerigo Amari esiste una protesta contro la persecuzione degli emigrati, che Cavour voleva espellere dal Piemonte come gente che infastidiva, come gente indesiderabile. Queste sono le glorie di casa Savoia!

Ma andiamo avanti, parliamo della libertà durante la dominazione savoiarda. Gli ingenui del socialismo italiano che per tanti anni – me lo confessava l’amico Priolo venendomi a suggerire qualche spunto per questo mio intervento – (Ilarità – Commenti) gli ingenui del socialismo italiano – dicevo – per alcuni anni credettero alla possibilità di una monarchia democratica e beffeggiavano noi repubblicani (Commenti a sinistra). Ebbene, onorevoli colleghi, ricordate gli stati di assedio in Italia, gli stati di assedio del 1866 a Palermo, quelli del 1894 in Sicilia, in Lunigiana, nelle Puglie; ricordate il 1898, ricordate questi avvenimenti.

Ricordate – e ne abbiamo parlato in questi giorni – le persecuzioni del libero pensiero politico in Italia: sempre.

Ricordate le persecuzioni di Andrea Costa! E dico questo nome per indicare uno dei tanti che furono perseguitati dalla monarchia, condannati per la loro fede socialista! Ricordate i repubblicani perseguitati: Mazzini tre volte condannato a morte, Mazzini, prigioniero nel 1871 nel carcere di Gaeta, Aurelio Saffi arrestato a Villa Ruffi!

Una voce a sinistra. Garibaldi.

CONTI. Sì, Garibaldi. Garibaldi fu accolto a fucilate ad Aspromonte dopo che il Consiglio dei Ministri aveva deliberato di farla finita, perché Vittorio Emanuele, alzandosi – egli che aveva presieduto il Consiglio dei Ministri– – disse: è ora di farla finita!

CONDORELLI. Non è vero! Non è vero! Non è vero!

Una voce a sinistra. È storia!

CONDORELLI. Facciamo nei comizi la storia! (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio!

CONTI. Onorevole Condorelli, volevo intrattenere l’Assemblea su questi argomenti, anche perché sono sicuro di queste risultanze! Qui, all’infuori di voi – quattro noci davvero in un sacco! – siamo tutti repubblicani! (Applausi a sinistra).

CAPUA. Dieci milioni di monarchici! Ricordate che il 46 per cento dei deputati in quest’Aula sono qui con voti monarchici. (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio! Onorevoli colleghi, non allontaniamoci troppo dalla materia che stiamo discutendo.

CONTI. Ho finito, onorevole Presidente. Mi dispiace che l’onorevole Capua sia delle quattro noci quella meno resistente.

CAPUA. Duecentoventi deputati hanno avuto mandato di monarchici e non hanno oggi il coraggio di dirlo.

CONTI. Non voglio continuare. Voi comprendete che se si volesse, si potrebbe rimanere per tutto il pomeriggio a ricordare le glorie della Casa; si potrebbe anche dimostrare che non fu una dinastia italiana.

Onorevole Covelli, proprio non aspettavo il suo dissenso. Ripeto che nelle vene dei Savoia non scorre che un millesimo di sangue italiano. Vittorio Emanuele scriveva in francese.

CONDORELLI. Come tutti i piemontesi.

CONTI. La dinastia sabauda è tutta un miscuglio di sangue straniero; non c’è nulla di italiano. (Protesta del deputato Capua).

Ho finito, onorevole Presidente. (Applausi a sinistra – Rumori a destra).

PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare sette oratori. Desidero fare presente che stiamo discutendo uno specifico e preciso disegno di legge, e per quanto io pensi che le discussioni di carattere generale sui problemi istituzionali siano ancora sempre utili in Italia, preavviso gli oratori che non permetterò che questa discussione si trasformi in una contesa di due ideologie. Noi stiamo discutendo dell’articolo 6 di questo disegno di legge, e coloro che hanno chiesto la parola dovranno parlare su questo articolo.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Vorrei proporre la chiusura di questa discussione. In questa mia proposta, che credo sia appoggiata da larga parte dell’Assemblea, è espressa anche una preoccupazione, perché qui, nel dilungarci in discussioni non concernenti strettamente la materia, come lei utilmente osservava, nel dilungarci in dette discussioni fino al punto da far loro assumere talvolta carattere di comizio, noi dimentichiamo la nostra funzione precipua di costituenti. Io mi accorgo che abbiamo ridotto a poche ore al giorno la nostra funzione originaria e precipua, cioè quella di provvedere alla Costituzione.

Volevo quindi fare appello a tutti i colleghi perché non si riduca ulteriormente il nostro lavoro costituzionale per dar luogo ad altro lavoro che non è certo in primo piano fra i nostri compiti.

PRESIDENTE. È stata chiesta la chiusura della discussione di questo articolo. Domando se è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

L’onorevole Mastino ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, dopo la parola: restaurazione, l’altra: violenta».

L’onorevole Mastino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MASTINO PIETRO. lo sono contrario alla soppressione dell’articolo 6, in quanto la soppressione porterebbe ad una situazione di assoluto contrasto con le statuizioni già assunte dall’Assemblea; non sarebbe ad esempio punibile la propaganda diretta alla restaurazione violenta della monarchia; ma non trovo giusto venga impedita e punita la propaganda monarchica che rimanga nel campo puramente astratto. È perciò mi pare da accogliere l’emendamento che io propongo e che il Presidente ha letto poco anzi.

Con ciò l’articolo 6 sarebbe in pieno accordo con i concetti affermati negli articoli precedenti della Costituzione. Aggiungo che lo stesso Codice penale, là dove parla di propaganda punibile, non manca di richiedere sempre l’estremo della violenza; parla ad esempio di instaurazione violenta e di sovvertimento dell’ordinamento dello Stato. Così l’articolo 272 del Codice penale.

PRESIDENTE. Onorevole Fedeli Aldo, concorda con l’emendamento dell’onorevole Mastino?

FEDELI ALDO. Non concordo.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

BETTIOL, Relatore. La Commissione, a proposito dell’articolo 6, era divisa. Io parlo come esponente della corrente di maggioranza. La Commissione nella sua maggioranza ha ritenuto di dover invitare l’Assemblea a non votare l’articolo 6, perché con questo si veniva a colpire penalmente una pura e semplice manifestazione di un pensiero politico, che, in un regime democratico e repubblicano, non può considerarsi vietata.

Per queste ragioni la Commissione insiste nella sua maggioranza a che l’articolo 6 venga soppresso. Però, la Commissione, nei confronti dell’emendamento presentato da ultimo dall’onorevole Mastino, siccome in esso si accentua l’elemento della violenza che caratterizza tutta questa legge particolare – per cui non si colpisce attraverso questa legge la pura e semplice manifestazione di un pensiero ma una attività concreta – e siccome attraverso questo inciso della «violenza» noi verremmo ad individuare qualche cosa di concreto, di particolare e di violento, che trascende la pura e semplice sfera del pensiero o di una astrazione puramente platonica, non sarebbe contraria ad accettare l’emendamento stesso.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo aveva già dichiarato di aderire alle proposte fatte dalla Commissione; quindi ha accettato che la discussione venisse fatta sulla base del testo proposto dalla Commissione. Io penso che, uscendo dall’atmosfera arroventata che un simile tema può generare, certamente ognuno di noi pensa che la propaganda, come espressione di un pensiero, non possa costituire reato.

L’articolo 272 del Codice penale, ora ricordato dall’onorevole Mastino, quando ipotizza il reato di propaganda e di apologia sovversiva ed antinazionale, dice così:

«Chiunque, nel territorio dello Stato, fa propaganda per la instaurazione violenta».

Segue poi il concetto che la propaganda si proponga la instaurazione della dittatura di classe. Tutto questo articolo è ispirato contro la dittatura di classe.

Noi domandiamo di trasportare questo concetto della propaganda in favore di un istituto il quale oggi non è più istituto, in quanto che noi abbiamo accettato, dopo il 2 giugno (questo vorrei dirlo anche ai monarchici) i risultati del referendum. Di fronte a questi risultati, penso che tutti gli italiani che hanno dato una prova storica…

COVELLI. Questo non c’entra.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Se lei permette, onorevole Covelli, vorrei dire questo: se questa legge fosse esagerata, potrebbe portare ad una situazione politica forse più favorevole a voi, contro cui la legge è ispirata.

Io penso che noi dobbiamo essere nel limite giusto. Noi abbiamo accettato il giuoco politico: riconoscere, cioè, il risultato di un referendum nazionale.

Questa è stata una prova di grande civiltà del popolo italiano, che è bene non compromettere. Ora, la semplice propaganda, così come è ipotizzata nell’articolo originario, effettivamente poteva prestarsi a delle situazioni, dal punto di vista ideologico e pratico, contrarie allo scopo dell’attuale disegno di legge. Per questo il Governo aveva accettato il testo della Commissione. A questa proposta, in cui la propaganda monarchica, così com’è qualificata, può diventare reato, credo di potere accedere, con l’aggiunta della parola «violenta» dopo la parola «restaurazione».

Sull’ordine del giorno della seduta pomeridiana.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Relatore propone che il seguito di questa discussione sia posto all’ordine del giorno della seduta pomeridiana. (Commenti).

Faccio presente che nel pomeriggio vi sarà comunque seduta, e che pertanto non si tratta che di modificare l’ordine del giorno. Vi è una ragione di opportunità e di necessità generale ed anche una esigenza particolare di alcuni dei membri della Commissione che consigliano di accettare la proposta.

Poiché per modificare l’ordine del giorno occorre una decisione dell’Assemblea, sottoporrò ora all’Assemblea la proposta di rinvio al pomeriggio del seguito della discussione di questo disegno di legge.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Propongo che la seduta pomeridiana sia destinata, non solo al seguito della discussione del disegno di legge in esame, ma anche all’esame del disegno di legge contenente disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex-regnanti di casa Savoia, di modo che tutta la seduta pomeridiana di oggi sia dedicata all’esame di questa materia.

PRESIDENTE. Credo che lei, onorevole Leone, proponendo di togliere dall’ordine del giorno della seduta pomeridiana il seguito della discussione sul progetto di Costituzione, intende aprire il varco ai membri dell’Assemblea affinché possano assentarsi prima della fine della seduta stessa. Ma io non mi capacito che coloro che saranno presenti al principio della seduta pomeridiana non debbano sentirsi ad essere obbligati a restarvi fino alla fine.

Ma penso che non sia opportuno aprire una discussione su tale argomento, e che si debba invece passare alla votazione della proposta dell’onorevole Relatore.

L’onorevole Relatore propone che il seguito della discussione relativa a questo disegno di legge sia rinviato all’inizio della seduta pomeridiana di oggi, modificando l’ordine del giorno votato ieri sera.

Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

LEONE GIOVANNI. E la mia proposta?

PRESIDENTE. È evidente che, essendo stata approvata l’altra proposta, la sua cade. (Interruzione del deputato Leone Giovanni).

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione dell’articolo 6 del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e della attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico.

La Commissione aveva proposto di sopprimere questo articolo. L’onorevole Fedeli Aldo ha proposto di ripristinare il testo ministeriale. L’onorevole Mastino Pietro ha proposto un emendamento a tenore del quale la formulazione dovrebbe così mutarsi:

«Chiunque, con i mezzi indicati nel precedente articolo, fa propaganda per la restaurazione violenta della dinastia sabauda è punito con la reclusione da sei mesi a due anni».

Comunico che l’onorevole Uberti ed altri hanno chiesto la votazione per appello nominale, mentre l’onorevole Covelli ed altri hanno domandato la votazione a scrutinio segreto.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Mi pare che vi sia un equivoco nel modo con cui viene impostata la votazione; perché l’emendamento Mastino, presentato all’ultimo momento, cambia completamente il carattere della proposta fatta dall’onorevole Fedeli. Coloro i quali desiderano che l’articolo 6 sia mantenuto nella forma presentata dal Governo, come voteranno? Se essi votano contro, votano per la soppressione dell’articolo. Noi dobbiamo per lo meno votare per divisione, arrivando fino alle parole «con mezzi violenti», e quindi separatamente votare questo emendamento dell’onorevole Mastino.

PRESIDENTE. È evidente che questa votazione può dare luogo a posizioni contradittorie e l’onorevole Togliatti ne ha segnalata una. Se votiamo prima il testo Fedeli, i colleghi che sono favorevoli al testo Mastino, per il timore che questo poi non passi, possono essere portati a votare contro tutto il resto.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. La proposta dell’onorevole Mastino Pietro, accettata dalla Commissione, cessa di essere un emendamento e diventa testo nuovo della Commissione. Quindi, si pone in votazione per ultima. La proposta Fedeli diventa emendamento al testo della Commissione e quindi va posta in votazione per prima.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ritengo che bisognerebbe votare prima la proposta dell’onorevole Mastino; se poi questa proposta non viene approvata, mettere in votazione la proposta del progetto primitivo del Governo, del quale la proposta Mastino è un emendamento. Per me la incertezza nasce per il sistema di votazione. Dovendosi procedere a votazione per scrutinio segreto ci si preoccupa di dovere eventualmente ripetere una votazione. Questa preoccupazione e quindi l’incertezza sull’ordine della votazione non nascerebbero se si trattasse di votazione per alzata e seduta.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Noi siamo disposti ad accettare l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro sempre che vi sia l’accordo di votare tutto il testo.

PRESIDENTE. Sono state presentate due richieste: una di votazione a scrutinio segreto ed un’altra per appello nominale. Pregherei i presentatori di queste domande di volersi esprimere al riguardo.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. La votazione per appello nominale riguarda l’emendamento dell’onorevole Fedeli Aldo. Se l’onorevole Fedeli mantiene il suo emendamento, il nostro Gruppo mantiene la proposta di appello nominale.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, riassumendo, ci troviamo di fronte al testo che include l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, accettato dalla Commissione; e che pertanto costituisce il testo base. La formula primitiva del Governo, fatta propria dall’onorevole Fedeli Aldo, rappresenta l’emendamento.

V’è la proposta di votare per divisione il testo fondamentale, includendo al posto debito l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro.

Io ritengo che si debba invece porre prima in votazione il testo dell’onorevole Fedeli Aldo nel suo complesso.

Ove questo fosse respinto, si voterebbe il testo con l’emendamento Mastino, accettato dalla Commissione.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. In questo caso, manteniamo la richiesta di votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Sta. bene. Allora, procediamo alla votazione del primitivo testo ministeriale che, fatto proprio dall’onorevole Fedeli, appare come emendamento al testo che la Commissione ha ripreso, includendovi la proposta dell’onorevole Mastino:

«Chiunque con i mezzi indicati nel precedente articolo fa propaganda per la restaurazione della dinastia sabauda è punito con la reclusione da sei mesi a due anni».

Ove questo testo non fosse accolto, voteremo sul testo che comprende la proposta dell’onorevole Mastino Pietro.

Se fosse respinto anche questo testo, è evidente che l’articolo resta soppresso.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’articolo 6 nel primitivo testo ministeriale, testé letto.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti                               323

Votanti                                322

Astenuti                               1

Maggioranza           162

Voti favorevoli        154

Voti contrari                        168

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Amendola – Angelini –– Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Bartalini – Basile – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonfantini – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Calamandrei – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Foa – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Mannelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini– Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Meda Luigi – Merighi – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Monticelli – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pallastrelli – Paolucci – Pastore Giulio – Pat – Patricolo – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Romano – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tosato – Tosi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Vallone – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Bergamini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Viale – Vischioni.

Data l’ora tarda, rinvio il seguito di questa discussione alla seduta pomeridiana, all’inizio della quale si procederà alla votazione del testo dell’articolo 6, ripreso dalla Commissione con l’inclusione dell’emendamento Mastino Pietro.

La seduta termina allo 13.25.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 21 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 21 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Interrogazioni urgenti (Svolgimento):

Presidente

Cingolani, Ministro della difesa

Meda

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Sampietro

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mortati

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Patricolo

Nobili Tito Oro

Costa

Grassi

Sapienza

Targetti

Perrone Capano

Ghidini

Rescigno

Gabrieli

Leone Giovanni

Persico

Carboni Angelo

Romano

Cairo

Colitto

Abozzi

Caccuri

Adonnino

Scalfaro

Varvaro

Castiglia

Mastino Gesumino

Codacci Pisanelli

Gasparotto

Calamandrei

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Viale.

(È concesso).

Svolgimento di interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro della difesa ha dichiarato che è pronto a rispondere alla seguente interrogazione con carattere d’urgenza presentata l’altra sera dall’onorevole Meda:

«Al Ministro della difesa, sull’esito delle indagini in ordine alle cause che possono avere determinato lo scoppio della polveriera di Vigevano».

L’onorevole Ministro della difesa ha facoltà di rispondere anche alla interrogazione presentata il giorno 14 novembre dagli onorevoli Meda, Roselli e Benvenuti:

«Al Ministro della difesa, perché, in relazione allo scoppio della polveriera verificatosi il giorno 13 novembre nei pressi di Cassano d’Adda (provincia di Milano) ed in conseguenza del quale hanno perso la vita quattro operai, assicuri della adozione di provvedimenti che impediscano il ripetersi tanto frequente di simili gravi accidenti».

CINGOLANI, Ministro della difesa. Il giorno 13 novembre si sono verificate delle esplosioni al deposito munizioni di Cassano d’Adda e il 16 novembre al deposito munizioni di Vigevano. Entrambi i depositi sono andati completamente distrutti, fatta solo eccezione, per il deposito di Vigevano, di due riservette. Il deposito di Cassano d’Adda era costituito da due capannoni in muratura aventi ognuno la lunghezza di 36 metri, dieci di larghezza e cinque di altezza. Le pareti perimetrali del locale erano dello spessore di 40 centimetri, in mattoni, e il tetto con lastre in eternit. La pavimentazione era in cemento. Tutto il deposito era circondato da un muro alto cinque metri. Ai quattro lati, in alto, si trovavano le garitte in cemento per le sentinelle: due di giorno e tre di notte. Erano regolamentari le misure di sicurezza. Il parafulmine efficiente. Luce all’esterno. Servizio idrico, lampade elettriche, campanelli di allarme. Distanza dal capannone al corpo di guardia venticinque metri, dalla strada nazionale di Milano 200 metri, dal primo cascinale metri 250.

A Vigevano il deposito era costituito da un enorme capannone nel quale erano conservati esplosivi di lancio, scoppio, munizionamento, ecc. La costruzione era in muratura. Vi erano pure altri locali quali il corpo di guardia, lo spogliatoio, l’ufficio del consegnatario, il magazzino attrezzi di lavoro. Il deposito era tutto attorno cinto da un muro, sopra il quale vi era una rete metallica, e dal lato del fiume Ticino da reticolati alti tre metri. Regolamentari le misure di sicurezza. Parafulmine efficiente. Servizio idrico, lampade elettriche disseminate lungo il perimetro del deposito con proiezione luce verso l’esterno. Campanello di allarme. Tre sentinelle con garitte di legno ed una quarta il cui compito era di spostarsi continuamente lungo un tratto di sentiero di cento metri di lunghezza circa. Inoltre, erano destinati a guardia quattro cani lupo legati da catena scorrevole lungo vari tratti. Distanza del deposito da alcune casette, costruite in periodo repubblichino in zona militare, circa cento metri; dalla strada provinciale Vigevano-Milano seicento metri; da Vigevano tre chilometri.

Una voce a sinistra. Molto meno, onorevole Ministro: neanche due chilometri dal centro di Vigevano.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Queste sono le misurazioni che mi sono state date. Ad ogni modo, la ringrazio della precisazione. È comune convinzione, e della popolazione di Vigevano in specie, che le distruzioni avvenute siano dovute ad atti di terrorismo; ed è questa la stagione che per temperatura, è la meno propizia ad autocombustione della polveriera per eccessivo calore, oppure alla formazione di cristalli nelle balistiti: cristallizzazione che avviene a bassa temperatura. Inoltre, lo stato chimico delle polveri di lancio, nelle recenti visite effettuate, era risultato sodisfacente; né si può attribuire, per il deposito di Cassano d’Adda, lo scoppio a manipolazioni di bombe a mano, come è stato riferito in un primo momento, poiché trattasi di bombe a mano che avevano subìto diversi trasporti e trasferimenti senza dar luogo ad inconvenienti, bombe che risultavano, secondo l’esame fatto dal maresciallo consegnatario, tutte in posizione di sicurezza. I depositi di Cassano e Vigevano sono sempre stati presidiati da guardie militari. Non è facile, non essendovi più elementi probatori, per effetto delle distruzioni avvenute, poter indagare e determinare le probabili cause dello scoppio, cioè se sia dovuto ad esplosivi precedentemente posti nell’interno dei depositi, oppure introdotti nella stessa notte approfittando della nebbia. Le autorità ed i carabinieri sono stati investiti del caso per ulteriori indagini. Sono stati subito inviati sul posto un dottore in chimica e successivamente il dottor Fezzi ed il tenente colonnello Terlizzi, particolarmente competente in materia di munizioni, per l’accertamento ciascuno nel ramo di propria competenza. Circa il munizionamento andato distrutto, si afferma che non incide sull’efficienza dei reparti, poiché i depositi in oggetto non contenevano munizioni di prima e seconda linea dei reparti.

Per quanto riguarda il danneggiamento, risponderà il mio collega dei lavori pubblici. Riguardo alle vittime dell’esplosione esse sono: per Vigevano, un soldato di sentinella, ustionato, una donna settantenne deceduta tra le macerie e un ferito ad una gamba, che ha dovuto poi subire l’amputazione dell’arto. Poi la moglie del guardiano ferita ad una mano; ed altri 11 feriti leggeri, non ricoverati all’ospedale. La popolazione di Vigevano si è mantenuta tranquilla. Per quanto riguarda Cassano d’Adda vi sono stati quattro operai morti, dei quali sono stati ritrovati fino ad ora una salma e pochi resti. Il maresciallo consegnatario del deposito ferito gravemente. All’esterno della polveriera un contadino ottantenne, che custodiva il pascolo a circa 200 metri, morto per aneurisma. Pochi feriti leggeri, nessun ricoverato all’ospedale.

La popolazione, benché impressionata, si è mantenuta tranquilla.

Il Ministero provvederà con larghezza per gli aiuti alle famiglie dei morti e dei feriti, a prescindere da quanto dovuto per gli operai dall’istituto assicurazioni, come pure per coloro che sono stati danneggiati dalle esplosioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Meda ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MEDA. Ringrazio l’onorevole Ministro delle notizie dateci intorno allo scoppio delle polveriere di Cassano e di Vigevano. Lo ringrazio in modo particolare, perché ci ha comunicato ufficialmente che si tratta di atti terroristici.

Sapevamo già, per vero, che questi due scoppi non erano avvenuti per cause di carattere tecnico. Sapevamo che in realtà si erano verificati degli attentati. Dopo lo scoppio della polveriera di Cassano, si affacciavano dubbi in proposito; in relazione a quanto era stato comunicato in via ufficiale dalle autorità, si era infatti pensato che l’accidente fosse stato determinato da imperizia o da negligenza degli operai, che stavano maneggiando una cassa di bombe a mano. Quando, però, dopo tre giorni si è verificato lo scoppio della polveriera di Vigevano, allora non abbiamo più avuto alcun dubbio che ci si trovava davanti ad un piano preordinato per distruggere i due depositi di munizioni.

Devo far notare all’onorevole Ministro – egli non ci ha dato chiarimenti al riguardo – che a noi consta che a Cassano si trovavano le munizioni di prima dotazione per le truppe della zona di Milano. In realtà, all’indomani dello scoppio di Cassano le truppe della guarnigione di Milano si trovavano in condizioni di non disporre del munizionamento necessario per far fronte a qualsiasi impiego, al quale avessero potuto essere chiamate.

Io sono sodisfatto, in ogni modo, delle dichiarazioni dell’onorevole Ministro. Soltanto mi permetto di chiedere che venga svolta una più intensa vigilanza, che si facciano indagini, per ricercare i colpevoli di questi atti criminosi.

Se la polveriera di Vigevano fosse scoppiata, non alle ore 6 di domenica mattina, ma in ora più avanzata della mattina o nel pomeriggio di un giorno lavorativo, noi avremmo dovuto registrare, e saremmo qui a commemorare, un numero ingente di vittime. Quindi, ripeto, massima energia e massimo rigore.

È assodato che nel nostro Paese vi sono terroristi, i quali cercano di sabotare in ogni modo l’efficienza delle nostre truppe, distruggendo tra l’altro le polveriere.

Si agisca con energia contro costoro.

Questa raccomandazione, la faccio non tanto al Ministro della difesa, quanto al Ministro dell’interno. In certe regioni, specie in Lombardia, vi sono molti individui, di nazionalità incerta ed oscura, che non sappiamo per quali scopi siano venuti in Italia. Non certamente per ragioni di lavoro.

PAJETTA GIAN CARLO. Si tratta di sedicenti profughi.

MEDA. Certamente non sono venuti per favorire l’opera di ricostruzione del nostro Paese, ma per seminare terrore e lutti.

PRESIDENTE. Il Ministro dei lavori pubblici risponderà ora alla seguente interrogazione con risposta d’urgenza, firmata dagli onorevoli Sampietro, Castelli Edgardo, Balduzzi, Ferreri, Meda, Morini:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga opportuno e doveroso che a favore dei sinistrati per lo scoppio della polveriera di Vigevano, in attesa che si provveda come di legge, sia ordinata la immediata riedificazione delle case operaie gravemente lesionate, prelevando i fondi necessari sulle somme stanziate per alleviare la disoccupazione invernale».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di parlare.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Sono completamente d’accordo con gli onorevoli interroganti circa l’opportunità della loro richiesta. Non appena si è verificato lo scoppio di Vigevano, furono date istruzioni al Genio civile, perché approntasse i soccorsi necessari. A questo invito il Genio civile ha ottemperato. I danni riportati dal complesso degli edifici, tra pubblici e privati, ammontano ad una somma che si aggira – secondo gli accertamenti ordinati telegraficamente e pervenuti questa mattina – intorno a circa 50 milioni. Le famiglie rimaste provvisoriamente senza tetto sono 120, di cui 100 hanno trovato ricovero presso parenti ed amici; 20 sono state ricoverate a spese dell’E.C.A. presso la scuola «Vittorio Veneto». Le prime riparazioni sono già in corso. Il complesso della spesa sarà sostenuto dallo Stato, gravando in parte sia sui fondi normali del bilancio, sia su quelli in corso di stanziamento per la disoccupazione. Sono lieto di poter dare alle famiglie dei colpiti queste assicurazioni del Governo e ringrazio gli interroganti che me ne hanno offerto l’occasione.

PRESIDENTE. L’onorevole Sampietro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SAMPIETRO. Gli interroganti si dichiarano sodisfatti, ma c’è un’osservazione da fare alle dichiarazioni del Ministro, cioè che parte della somma sarà prelevata dai fondi già stanziati per la disoccupazione. Gli interroganti chiedevano che il Ministro desse ordine che questi fondi – in attesa di un regolare prelevamento – fossero presi fra quelli destinati per la disoccupazione, in quanto erano già stati stanziati, ma intendevano però che non fossero distratti da quelli stanziati, affinché il fondo di disoccupazione per provvedere ai lavori deliberati per alleviare la disoccupazione nella provincia di Pavia non fosse diminuito di alcun milione, per quanto fossero indispensabili dei fondi per i lavori resisi necessari a causa dello scoppio della polveriera. Gli interroganti si raccomandano ancora e ringraziano il Ministro della premura che ha avuto nel dare subito ordine per l’esecuzione di questi lavori ed insistono perché tutto sia, in via straordinaria, a carico dello Stato e solo provvisoriamente parte della somma sia prelevata dai fondi per la disoccupazione.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ieri sera abbiamo votato l’articolo 94. Dobbiamo ora esaminare una serie di proposte di articoli indicati come articoli 94-bis.

Gli onorevoli Mortati e Leone Giovanni, hanno proposto il seguente articolo 94-bis.

«I magistrati, anche all’infuori dei casi per i quali la legge disponga una incompatibilità, non possono accettare dal Governo funzioni retribuite, a meno non le esercitino gratuitamente.

«Lo Stato assicura, con legge speciale, l’indipendenza economica dei magistrati».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento è nato dalla insoddisfazione per alcuni altri emendamenti analoghi che sono stati presentati dagli onorevoli Sardiello, Rossi Paolo, Varvaro e Damiani, e che si riconnettono alla esigenza di evitare che i magistrati siano distratti dal loro ufficio. A me pare che formulati in questi termini, così come hanno fatto gli onorevoli colleghi di cui ho fatto menzione, gli emendamenti non possano essere accettati, perché sottraggono i magistrati da una serie di attività che bene potrebbero giovarsi della loro competenza.

Il vero problema che sorge in ordine a questo punto è quello di sottrarre i magistrati all’influenza del Governo e quindi di completare quelle garanzie di indipendenza che si sono poste con le altre disposizioni dirette ad assicurare tale indipendenza nei riguardi del reclutamento, della carriera, ecc. Quindi l’esigenza da salvaguardare per questo punto, è di evitare che il Governo, attraverso attribuzione di incarichi retribuiti, possa compromettere indirettamente l’indipendenza della Magistratura.

Il mio emendamento, che poi in sostanza è una parafrasi di una analoga disposizione che si legge nella Costituzione belga, tende ad evitare semplicemente quegli incarichi retribuiti i quali siano conferiti dal Governo; senza impedire al magistrato la possibilità di poter ottenere altri incarichi o altre funzioni che non lo pongono in una situazione di soggezione verso il Governo. Nello stesso tempo, ove si sancisca questa diminuzione della capacità dei magistrati di assumere incarichi retribuiti, appare opportuno di abbinare questa disposizione con l’altra che garantisce la loro indipendenza economica. Proposte di questo genere sono state anche fatte dall’onorevole Murgia e da altri colleghi. A me pare che sia opportuno mettere insieme queste due serie di norme, cioè da una parte garantire l’indipendenza del magistrato di fronte alle possibili pressioni che potrebbero venire dal Governo attraverso il conferimento di incarichi retribuiti, e nello stesso tempo assicurare, con legge speciale, l’indipendenza economica, che viene a costituire una specie di compenso alla diminuzione di proventi, che potrebbe derivare dall’esclusione da incarichi retribuiti.

Insisto pertanto sull’opportunità di mettere insieme la due disposizioni che, in un certo modo, si integrano e che servono ad offrire pienezza di indipendenza alla Magistratura.

PRESIDENTE. Credo che potremmo, per intanto, deliberare su questi due emendamenti aggiuntivi, poiché quello dell’onorevole Patricolo tocca materia del tutto diversa. Ricordo che l’onorevole Murgia ha già svolto il seguente articolo 94-bis:

«Norme speciali regoleranno il trattamento economico dei magistrati».

Prego l’onorevole Ruini di esprimere l’avviso della Commissione su questi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Queste proposte riguardano due materie. La prima è che norme speciali regolino il trattamento economico dei magistrati. Nessuno più dei membri del Comitato sente la necessità di questa elevazione del trattamento economico dei magistrati. Credo che in questo senso l’Assemblea potrebbe esprimere, con un ordine del giorno, la sua volontà che si provveda; ma mettere nella Costituzione, e per una sola categoria, per quanto degnissima, questa disposizione, mi sembra che non sia una cosa tecnicamente costituzionale. Quindi, pregherei, proprio per ragioni tecniche, di trasformare questi emendamenti in un ordine del giorno, ed in un voto esplicito al Governo, perché presenti proposte adeguate.

La seconda parte riguarda il divieto di accettare dal Governo incarichi retribuiti, a meno che i magistrati non esercitino questi incarichi gratuitamente. Anche questo è un principio molto apprezzabile, ma (permettetemi di difendere un certo carattere di costituzionalità della Costituzione), è argomento che potrà essere messo nell’ordinamento giudiziario. Pregherei l’onorevole Mortati di voler trasformare anche questo emendamento in una raccomandazione od in un ordine del giorno.

PRESIDENTE. Dovrei ora porre in votazione l’articolo aggiuntivo già svolto dall’onorevole Murgia:

«Norme speciali regoleranno il trattamento economico dei magistrati».

Non essendo presente l’onorevole Murgia, s’intende decaduto.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Osservo che non è perfettamente esatto quanto ha affermato l’onorevole Ruini circa l’inidoneità della norma proposta ad assumere carattere costituzionale. Ho già osservato che una disposizione analoga si legge in una delle più antiche e notevoli Costituzioni europee, quella belga. Comunque io, per motivi di opportunità, aderisco volentieri all’invito del Presidente della Commissione per la Costituzione di trasformare in ordine del giorno il mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue la proposta di articolo aggiuntivo dell’onorevole Patricolo, presentato insieme con gli onorevoli Colitto, Castiglia, Penna Ottavia, Miccolis, Marina, Abozzi, Coppa, Rodi e Mazza, così formulato:

«Sono organi del potere giudiziario:

  1. a) la Magistratura sia requirente che giudicante;
  2. b) la polizia giudiziaria;
  3. c) l’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena».

L’onorevole Patricolo ha facoltà di svolgerlo.

PATRICOLO. Devo fare una premessa all’emendamento da me presentato, ricordando di avere fatto parte della Commissione dei Settantacinque e di avere presentato un progetto articolato riguardante il potere giudiziario, in cui si considerava il potere giudiziario come potere autonomo, non soltanto come Magistratura, ma insieme ai due altri aspetti sotto cui si attua la giustizia, insieme cioè a dire alla fase esecutiva ed alla fase preventiva dell’atto di giustizia che compie il magistrato; come potere giudiziario consideravo, insieme, la Magistratura, la polizia giudiziaria e gli istituti di prevenzione e di pena, perché ritenevo che, dovendo stendere un articolato di Costituzione sulla Magistratura e quindi sul potere giudiziario, si dovesse procedere ad una riorganizzazione veramente democratica dell’amministrazione della giustizia e non ad una elencazione di norme, che oggi hanno preso la semplice espressione di norme di una legge sull’ordinamento giudiziario.

Ho assistito alle discussioni fatte sull’autonomia del potere giudiziario e sulla indipendenza della Magistratura ed ho visto che sono state ridotte queste questioni alla più semplice espressione.

Si è parlato della necessità che il magistrato abbia degli emolumenti maggiori, che appartenga ad un partito politico o meno, ecc., ma non si è affrontato il problema essenziale della autonomia della Magistratura, autonomia che, per essere completa, non può ottenersi se non distaccandola dal potere esecutivo e da quelle influenze di carattere politico che vengono dal fatto che esiste un Ministro della giustizia. E qui devo rilevare che, quando l’Uomo Qualunque, un anno e più addietro, iniziò la sua campagna politica in Italia facendo presente la necessità dell’autonomia della Magistratura e la necessità che si desse al popolo italiano ogni garanzia contro il potere esecutivo che attraverso la Magistratura poteva influire nell’attuazione della giustizia, io ho veduto in tutte le città d’Italia, deputati di tutti i partiti dire: ma questo Uomo Qualunque che cosa viene a raccontare di nuovo? Tutti siamo per l’indipendenza e l’autonomia della Magistratura e tutti siamo per dare queste garanzie al popolo italiano.

Io oggi non appartengo più al partito dell’Uomo Qualunque; comunque rivendico questo punto programmatico, non come punto programmatico esclusivo dell’Uomo Qualunque, ma di tutti quei partiti che si sono dichiarati democratici e soprattutto di tutti quei deputati che, nella loro campagna elettorale, hanno sbandierato questa grande riforma della democrazia, che si sarebbe ottenuta in Italia dando l’autonomia al potere giudiziario e dando questa garanzia al popolo italiano, contro l’invadenza del potere esecutivo.

Da questa premessa della vera autonomia ed indipendenza del potere giudiziario deriva l’emendamento da me presentato, perché il potere giudiziario va inteso non soltanto come Magistratura, ma anche come polizia giudiziaria e amministrazione delle case di prevenzione e di pena.

Se vogliamo fare un articolato di Costituzione che effettivamente dia quelle garanzie che noi invochiamo per il popolo, occorre che il potere politico non intralci l’opera della giustizia, né nella fase della preparazione di quello che viene chiamato giudizio, né nella fase posteriore dell’esecuzione della pena. Dobbiamo garantire che non vengano a perpetuarsi quei sistemi, spesso inumani, usati dalla polizia politica verso determinate categorie di cittadini. Noi vogliamo evitare che nel trattamento del delinquente punito nelle case di pena vengano usati sistemi che non sono consoni alla pena avuta e che non devono andare al di là della pena stabilita dal giudice. Queste garanzie possiamo dare al cittadino soltanto se riuniamo le tre funzioni della giustizia in un unico potere, dando piena autonomia a questo potere e piena indipendenza dal potere politico, dal potere esecutivo.

Io non credo che debba ancora soffermarmi su questo, perché tutti gli onorevoli colleghi conoscono abbastanza bene il significato, la sostanza dell’argomento che trattiamo e le conseguenze che possono nascere dall’abbandono di questa unità e di questa autonomia del potere giudiziario. Io li prego di riflettere; dopo di che, se questo mio emendamento dovesse essere accettato, si intende che verrebbero altri emendamenti ad integrare la materia.

Io, tuttavia, non penso che l’emendamento sia accettato. Comunque, per chiudere, onorevole Presidente, intendevo ed intendo denunziare ancora una volta all’opinione pubblica italiana questo inganno che i partiti politici e gli uomini politici fanno nel promettere prima e nel non mantenere poi.

PRESIDENTE. Onorevole Patricolo, non è la sede questa per apprezzamenti di tal genere.

PATRICOLO. Ho finito, signor Presidente.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Patricolo ha spiegato le ragioni che hanno dettato questo suo emendamento: egli vuole riunire insieme alla funzione giudicante la fase preventiva e la fase esecutiva delle pene.

Faccio osservare all’onorevole Patricolo che in questo suo panorama di tutti gli organi della Magistratura, mancherebbe ancora qualche cosa, e cioè, per esempio, i cancellieri. Il quadro non è completo; il suo sforzo di tutto comprendere non è riuscito; sfugge sempre qualche cosa.

Ma il quadro non va, sovratutto perché mette insieme come organi del potere giudiziario, quasi di pari grado, elementi diversi tra loro, e che non sono tutti degli organi giudiziari. D’accordo per la Magistratura che è per definizione l’organo del potere giudiziario; e non c’è bisogno di dirlo; anzi, mettendo la Magistratura, che è essa stessa il potere giudiziario, con altri elementi, si rimpicciolisce la figura e la funzione della Magistratura, che l’onorevole Patricolo intende rafforzare.

Non è però esatto dire che la polizia giudiziaria è un organo giudiziario, come la Magistratura. Sarà tutt’al più un organo ausiliario; ma è cosa molto differente, e non bisogna fletterla sullo stesso piano della Magistratura. È bensì giusto che la funzione preventiva, come dice l’onorevole Patricolo, sia esercitata da una speciale polizia, la giudiziaria, e che questa sia a disposizione della Magistratura. Abbiamo messo appunto nel progetto di Costituzione che la Magistratura può disporre direttamente dell’opera della polizia giudiziaria; siamo pronti ad andare più in là ed a chiarire che la polizia giudiziaria è un corpo speciale, che dipende direttamente dall’autorità giudiziaria.

Il terzo organo, nel quadro dell’onorevole Patricolo, è l’amministrazione carceraria. Qui non possiamo seguirlo. L’esecuzione delle condanne può e deve essere vigilata da giudici; che però adempiono tale compito non in veste vera e propria di giudici, giacché il loro vero compito è la giurisdizione. Il dissenso tra noi e l’onorevole Patricolo è nel concetto di «amministrazione», e va al di là del settore delle carceri.

L’onorevole Patricolo ha torto quando dice che la Costituente vuol eludere le aspettative della Magistratura. Qual è lo scopo che si propone l’Assemblea? È opportuno dirlo dinanzi al Paese tutto, è lo scopo di assicurare alla Magistratura la sua indipendenza come personale, come corpo, come ordine, e in questo possiamo spingerci molto innanzi: ma che l’amministrazione di tutti i servizi della giustizia debba passare alla Magistratura, con la conseguente soppressione del Ministero della giustizia e con l’inevitabile corollario che la Magistratura diventi essa stessa una specie di Ministero, questo no.

Che la Magistratura debba avere funzioni autonome ed indipendenti di autoregolazione per le assunzioni, per i trasferimenti, per le promozioni, per le misure disciplinari (sono questi i quattro punti essenziali) la Commissione o l’Assemblea sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Patricolo; ma ferme rimanendo le attribuzioni autonome della Magistratura sul suo personale, l’amministrazione dei servizi della giustizia spetta ad un dicastero e ad un Ministro che ne risponde davanti al Parlamento. C’è un equivoco, onorevole Patricolo; quando non soltanto la Commissione o l’Assemblea, ma tutti, quando il Paese ha dichiarato che i magistrati debbono costituire un ordine indipendente ed autonomo, non si è inteso di affidare ad essi tutto il funzionamento dell’amministrazione e dei servizi del Ministero della giustizia, questo è un indirizzo che non si può seguire.

È per il concetto di organizzazione dello Stato, e di tutto l’insieme di quella che è la struttura dello Stato moderno, che io ritengo non si possa giungere all’estremo cui l’onorevole Patricolo ha accennato. (Approvazioni).

PATRICOLO. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRICOLO. Io mi sarei aspettato da chiunque una risposta come quella che mi ha dato l’onorevole Ruini, ma non da lui che conosce il mio progetto che, come prima ho avuto occasione di dire, presentai in sede di Commissione. Egli sa che io concepivo un ordinamento della Magistratura in cui il potere giudiziario fosse considerato come un potere a sé, che avesse un suo capo il quale rispondesse al Parlamento degli atti del potere giudiziario.

Io non venivo quindi a sottrarre al Parlamento e al suo sindacato tutta l’amministrazione del potere giudiziario: io intendevo soltanto di svincolare dalle sorti del potere politico il capo del potere giudiziario, non ritenendo che la Magistratura e il potere giudiziario, con il loro capo, potessero correre l’alea delle vicende politiche del Ministero.

Questo e non altro è lo spirito della mia proposta, onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Sta bene. Lei conserva, onorevole Patricolo, la sua proposta?

PATRICOLO. La mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione.

Pongo in votazione il testo proposto dall’onorevole Patricolo e da altri colleghi, che dovrebbe essere inserito come articolo 94-bis:

«Sono organi del potere giudiziario:

  1. a) la Magistratura sia inquirente che giudicante;
  2. b) la polizia giudiziaria;
  3. c) l’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena».

(Non è approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 95. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La funzione giurisdizionale in materia civile e penale è attribuita ai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti spetta la giurisdizione nelle materie e nei limiti stabiliti dalla legge.

«Presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi per determinate materie sezioni specializzate con la partecipazione anche di cittadini esperti, secondo le norme sull’ordinamento giudiziario.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e quelle sulle magistrature del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sono stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.

«Non possono essere istituiti giudici speciali se non per legge approvata nel modo sopra indicato. In nessun caso possono istituirsi giudici speciali in materia penale.

«I tribunali militari possono essere istituiti solo in tempo di guerra».

PRESIDENTE. Gli emendamenti proposti a questo articolo sono numerosissimi; alcuni sono già stati svolti.

L’onorevole Carboni Angelo ha svolto la seguente proposta di emendamento sostitutivo degli articoli 95 e 96, firmata anche dagli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Fietta.

«Sostituirli col seguente:

«La funzione giurisdizionale, salvo che per le materie attribuite dalla legge al Consiglio di Stato, ai tribunali amministrativi regionali, di cui all’articolo 122, ed alla Corte dei conti, è esercitata esclusivamente dagli organi della magistratura ordinaria, istituiti e regolati secondo le norme dell’ordinamento giudiziario.

«Presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi, per determinate materie, sezioni specializzate anche con la partecipazione, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, di cittadini esperti e di giudici popolari.

«In tempo di guerra possono istituirsi tribunali militari.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e quelle sulle magistrature del Consiglio di Stato, dei tribunali amministrativi regionali e della Corte dei conti sono stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.

L’onorevole Monticelli ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La funzione giurisdizionale è esercitata esclusivamente dai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Al Consiglio di Stato ed ai Tribunali amministrativi, di cui all’articolo 122, terzo comma, spetta la giurisdizione amministrativa in materia di interessi legittimi.

«Alla Corte dei conti spetta la giurisdizione in materia di contabilità e pensioni nei casi e modi dalla legge previsti.

«I tribunali militari non possono essere istituiti che in tempo di guerra.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e quelle sulle Magistrature del Consiglio di Stato, dei tribunali amministrativi, della Corte dei conti e dei tribunali militari di guerra, sono stabilite con legge votata a maggioranza assoluta dai membri delle due Camere.

Anche l’onorevole Romano ha svolto il suo emendamento così formulato:

«Sostituirlo col seguente:

«Il potere giudiziario tutela i diritti e gli interessi legittimi di tutte le persone, sindaca la legittimità delle norme giuridiche e degli atti di ogni pubblico ente, punisce ogni violazione dell’ordine giuridico penalmente sanzionata.

«Le norme sull’Ordinamento giudiziario sono stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.

«In nessun caso possono essere istituiti giudici speciali.

«I tribunali militari possono essere istituiti solo in tempo di guerra».

L’onorevole Mortati ha presentato il suo emendamento, che nell’ultima formulazione è così redatto:

«Sostituirlo col seguente;

«La funzione giurisdizionale nella materia penale ed in quella civile, per le controversie tra privati, è attribuita ai magistrati ordinari, istituiti e regolati secondo le norme sull’ordinamento giudiziario.

«Presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi, per determinate materie, sezioni specializzate, con la partecipazione anche di cittadini, a norma delle leggi sull’ordinamento giudiziario.

«Nelle controversie in cui l’amministrazione intervenga come parte, per la tutela di un pubblico interesse, la legge potrà attribuire la funzione giurisdizionale ad organi giudiziari speciali.

«Nella materia penale possono istituirsi con legge giudici speciali solo per le infrazioni commesse da militari e nel caso di guerra dichiarata.

«La legge, che stabilisce giurisdizioni speciali, determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici che le compongono».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento tende a modificare il testo del progetto in modo che a me sembra più razionale, così da evitare equivoci e da togliere delle limitazioni alle specialità delle giurisdizioni, poste dalla Commissione, e che sono, a mio avviso, eccessive.

In sostanza, secondo il testo proposto per l’articolo 95 del progetto, il problema della ripartizione della competenza fra giudice ordinario e speciale è risolto dall’inciso inserito nel primo comma: «per la materia civile e penale la competenza è attribuita ai magistrati ordinari».

Ora, questa formulazione mi sembra troppo generica e troppo vaga, e tale da rendere possibili gravi inconvenienti pratici, perché per materia civile si deve intendere letteralmente tutto quanto tocca i diritti dei cittadini, e quindi anche le controversie, nelle quali possa essere interessata una pubblica amministrazione. Quindi, a tenore di questa disposizione, si dovrebbe ritenere che sia esclusa la giurisdizione da parte del Consiglio di Stato, tutte le volte che si controverta su diritti, e che, analogamente, in tali casi sia esclusa la competenza della Corte dei conti; e noi sappiamo che la maggior parte della competenza della Corte dei conti si esercita proprio per il giudizio sui diritti dei cittadini.

Ora ad evitare le difficoltà interpretative (che si sono verificate, per esempio, in Belgio, in relazione alla norma costituzionale la quale contiene un analogo riferimento alla materia civile, come competenza esclusiva della Magistratura ordinaria, e dove ci si è trovati imbarazzati quando si sono volute instituire giurisdizioni speciali, in materia di diritti fatti valere nei riguardi di pubbliche amministrazioni) il mio emendamento propone di precisare che la «materia civile» attribuita alla competenza esclusiva dei giudici ordinari sia solo quella relativa a «controversie tra privati». In questo modo si eliminano gli equivoci a cui ho accennato.

Il secondo scopo del mio emendamento è quello di evitare la casistica fatta nel secondo comma, secondo cui la competenza giurisdizionale è mantenuta solamente a favore del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, nei limiti che saranno fissati dalla legge.

A me pare che questa concessione, fatta ai sostenitori del principio della unicità della giurisdizione, sia eccessiva, e cioè che sia poco opportuno escludere in questa sede la possibilità per le leggi avvenire di mantenere o di creare altre giurisdizioni speciali nelle materie in cui sia interessata la pubblica amministrazione. A me pare che la discussione che noi abbiamo fatto a preparazione di questo articolo non abbia raggiunto un grado di maturità e di approfondimento sufficiente a farci prendere posizione con informata coscienza, in ordine ad un problema così straordinariamente importante, com’è quello delle giurisdizioni speciali nelle materie in cui sia interessata la pubblica amministrazione.

È già eccessivo, a mio avviso, escludere in sede costituzionale la possibilità del mantenimento di giudici speciali nelle materie di diritto privato, essendovene alcune che si sono dimostrate assai utili, come, per esempio, il Commissariato per gli usi civici, e forse coloro che affermano la unicità della giurisdizione non hanno pienamente valutato tutta la gravità delle conseguenze che potrebbero nascere dalla loro soppressione. Forse per alcune delle giurisdizioni speciali cui accenno, e in ispecie per quella ricordata degli usi civici, sarebbe opportuna una disposizione transitoria che le mantenga fino all’esaurimento delle controversie loro affidate.

Ma dico che, se è una grande concessione eliminare ogni giudice speciale nei rapporti fra privati, mi pare sia ancora più grave escludere giurisdizioni speciali nella materia in cui sia interessata la pubblica amministrazione, all’infuori del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Né si dica che gli inconvenienti di questa limitazione alla possibilità di creare giudici speciali siano eliminabili in virtù della norma del terzo comma dell’articolo, che prevede la possibilità di creare sezioni specializzate con la partecipazione di cittadini esperti. Questi organi di giurisdizione ordinaria specializzata potranno esplicare una funzione utile nei casi in cui il giudice ordinario debba essere illuminato su circostanze di fatto. Allora può essere proficuo che il giudice completi la sua informazione tecnica mediante consiglieri esperti. Ma vi sono casi in cui non si chiede tanto un contributo di informazione sui fatti, ma una speciale forma mentis, una speciale preparazione per la interpretazione di certe disposizioni di legge, per cui il giudice ordinario non appare sufficientemente preparato. Quindi, allo stato in cui è la maturazione del problema, non è possibile decidere nel senso proposto, esaurendo tutti gli organi di giurisdizione speciale nel Consiglio di Stato e nella Corte dei conti.

La mia proposta tende appunto a lasciare la possibilità alla legge ordinaria di prendere posizione in ordine a questi importanti problemi, senza i vincoli che il progetto vorrebbe porre.

E a questo proposito ho emendato la mia primitiva formulazione del terzo comma, con una nuova dizione che mi sembra meno insoddisfacente. In questa materia è difficile raggiungere la perfezione. Si tratta di trovare una formula che appaia la meno imperfetta. E allora, propongo di dire: «Nelle controversie in cui l’amministrazione intervenga come parte per la tutela di un pubblico interesse, la legge potrà attribuire la funzione giurisdizionale ad organi giudiziari speciali».

In questo modo mi pare si abbia una raffigurazione piuttosto precisa delle possibilità lasciate al legislatore avvenire, per quanto riguarda la materia della giurisdizione amministrativa, senza cristallizzarla nella formula del progetto.

Ho sott’occhio una proposta a firma degli onorevoli Conti, Bettiol ed altri, che nella sostanza riproduce la proposta da me formulata. Ad essa io potrei anche aderire, se ciò può giovare ad affrettare l’approvazione dell’articolo. Faccio osservare però che ci sono dei gravi difetti di formulazione in questa formula Conti, perché in essa si fa particolare menzione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e quindi si uniforma allo schema logico del progetto primitivo, che precisa e limita a questi due soli organi la competenza del giudizio speciale; ma viceversa poi lo amplia in quanto prevede altri organi, diversi dal Consiglio di Stato, di giustizia amministrativa; così, per la Corte dei conti, attribuisce ad essa in modo esplicito la materia contabile, ma poi prevede un ampliamento della sua competenza a tutti i casi che la legge ordinaria potrà prevedere.

Così vi sarebbe una indicazione nominativa dei due organi, con un valore però sostanzialmente esemplificativo.

Ora, non mi pare che un testo costituzionale sia il campo più propizio per procedere a delle esemplificazioni.

Proporrei quindi, proprio per una considerazione di tecnica costituzionale, di modificare la formula Conti, che, se non mi sbaglio, mi sembra meno sodisfacente di quella da me proposta, pur concordando nel risultato di consentire al legislatore di domani la possibilità di creare giurisdizioni speciali anche all’infuori delle due classiche che si son volute conservare nel progetto. Si potrebbe obiettare che la menzione espressa dal Consiglio di Stato e della Corte dei conti non è puramente esemplificativa, avendo significato di conferire valore costituzionale a questi organi. Ma questa costituzionalizzazione mi sembra inopportuna, anche perché si dovrebbe ricorrere alla legge costituzionale per modificare la situazione attuale e così, per esempio, fondere i due organi in un tribunale amministrativo unico.

Per quanto riguarda il Tribunale militare dichiaro di aderire alla formula dell’onorevole Conti riconoscendo opportuno limitare ulteriormente la competenza di detto organo nel tempo di pace non solo ai reati commessi dai militari, ma anche ai reati obiettivamente militari.

Per quanto riguarda l’ultimo punto dell’emendamento dell’onorevole Conti, mi pare del tutto superfluo, poiché già nei commi precedenti si parla di legge come regolatrice di questa materia. Invece mi sembra necessario stabilire che anche ai giudici speciali sono estese le garanzie poste per quelli ordinari. Il progetto afferma tale principio nell’articolo 97, ma mi pare opportuno che, istituendosi giudici speciali, siano estese le garanzie di indipendenza anche a questa categoria di giudici.

Per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti c’è già un articolo in cui si dice che la legge disciplinerà le forme e le condizioni che garantiscano a queste magistrature la indipendenza del governo. Mi pare che la formula si dovrebbe trasportare in questa sede ed estenderla a tutti gli altri organi speciali, quindi non solo al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti, ma anche ai Tribunali militari ed agli altri attuali o eventuali giudici speciali.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La giurisdizione è esercitata, in materia civile e penale, dalla magistratura ordinaria; la giurisdizione in materia di atti amministrativi, quella in materia di contabilità e di pensione e quella in materia di reati militari sono esercitate dalle Magistrature speciali del Consiglio di Stato, dei tribunali amministrativi regionali, e – rispettivamente – della Corte dei conti e dei tribunali militari.

«Non potranno essere istituite altre Magistrature speciali e quelle esistenti dovranno essere soppresse entro due anni dall’entrata in vigore della Costituzione.

«L’assunzione e la carriera dei magistrati ordinari e speciali sono regolate dalla legge organica sull’ordinamento giudiziario e – rispettivamente – da leggi speciali, votate – l’una e le altre – a maggioranza assoluta.

«Presso le sezioni specializzate, civili e penali, delle Magistrature di merito potranno essere assunti cittadini esperti secondo le norme dell’ordinamento giudiziario e processuale».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Sviluppando ieri, onorevoli colleghi, l’emendamento da me proposto all’articolo 94, ho voluto porre in rilievo il sistema della prima Sezione di questo Titolo, che ha negli articoli 94, 95 e 97 i proprî capisaldi e negli articoli 96 e 98, 99 e 100 contiene norme complementari. Esposi le ragioni per le quali deve ritenersi che coll’articolo 94 siasi voluta indicare nel popolo la fonte originaria della giurisdizione, in quanto questa è esercitata in suo nome, e osservai che in conseguenza sarebbe stato opportuno trasferire in quella sede la disposizione dell’articolo 96, comunque emendata, in quanto riguardante il caso in cui il popolo partecipa direttamente all’esercizio della giurisdizione. Fu concordato di esaminare tale proposta all’esito della discussione sull’articolo 96; e fu cosa opportuna, perché oggi sarà quasi certamente votata, io spero, in aggiunta al testo del progetto, una norma per la quale cittadini esperti potranno partecipare all’esercizio della giurisdizione presso le sezioni specializzate delle magistrature di merito; per modo che all’articolo 94 si renda opportuno e sufficiente aggiungere, invece che la norma speciale contenuta nell’articolo 96, una norma generica che raccomando fin d’ora all’esame della Commissione, e per la quale subito dopo il primo comma sia detto: «il popolo può partecipare anche direttamente all’esercizio della giurisdizione nei modi stabiliti dalla legge». Di ciò riparlerò fra poco.

Come l’articolo 94 si occupa della fonte della giurisdizione, l’articolo 95 ne determina gli organi e ne stabilisce l’unità, facendo finalmente ragione alle insistenti invocazioni della dottrina, della giurisprudenza e dei ceti forensi, che da anni reclamano a gran voce il ristabilimento di questo principio; così l’articolo 97 determinerà le garanzie d’indipendenza della Magistratura, quanto dire della tutela della giurisdizione. Come si vede pertanto, ed è per questo che ho voluto qui prospettare il sistema del progetto, anche in questa sezione del quarto titolo, che prende il nome dalla Magistratura, i temi delle norme che si vengono dettando sono quelli sulla giurisdizione, sulla Magistratura, sull’Ordinamento giudiziario, temi inscindibili, come inscindibile è la relativa materia, come inscindibile è la funzione che crea l’organo dall’organo stesso.

Rilevo ciò perché mi parve saggio consiglio quello espresso ieri dall’onorevole Ruini di riservare a dopo la votazione dell’articolo 100 la decisione sulla opportunità tecnica di distinguere il Titolo IV sulla Magistratura in due Sezioni. Pei motivi che ho prospettati, ritengo di dovere esprimere fin da questo momento il voto che il Titolo IV non sia suddiviso e prenda il nome soltanto dalla Magistratura. Premesso questo voto, che tende ad armonizzare il lavoro fin qui compiuto in questa parte con quello che resta da compiere, e ad avviare fin d’ora verso la razionale soluzione le questioni rimaste sospese, passo a un rapido esame dell’articolo 95 del progetto e a quello dei singoli commi come da me emendati.

L’articolo 95 come da me emendato, tende a realizzare il principio della unità della giurisdizione, in modo più deciso che non abbia fatto il testo del progetto; il quale, malgrado le trecento giurisdizioni speciali tutt’ora esistenti, afferma la possibilità che se ne istituiscano delle altre sebbene con legge votata a maggioranza assoluta (comma 5); e lascia che possano passare ancora 5 anni prima di procedere alla revisione di quelle giurisdizioni speciali delle quali più insistentemente si reclama la soppressione (Disposizioni transitorie VII). E pertanto il testo da me proposto riafferma col primo comma il principio che: «la giurisdizione è esercitata, in materia civile e penale, dalla Magistratura ordinaria»; e aggiunge che: «la giurisdizione in materia di atti amministrativi, quella in materia di conti e di pensioni e quella in materia di reati militari sono esercitate dalle Magistrature speciali del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi locali, nonché – rispettivamente – della Corte dei conti e dei Tribunali militari. Ho spiegato ieri le ragioni per le quali alla locuzione «funzione giurisdizionale», usata nel testo della Commissione, io sostituisca quella tecnica «la giurisdizione». Non occorre dire come col definire «ordinaria» la Magistratura che esercita la giurisdizione in materia civile e penale, si è voluto affermare il principio che è proprio attorno ad essa che si vuole formare la «unità della giurisdizione»; onde si considerano speciali anche le tre richiamate Magistrature destinate a sopravvivere, in quanto, a mio giudizio, insopprimibili per la funzione essenziale che hanno nel nostro ordinamento amministrativo. Come l’Assemblea sa, i pareri sono, in questa parte, discordi, sembrando a taluno che anche verso i campi degli atti amministrativi, dei conti e delle pensioni e dei reati militari, debba più o meno dilatarsi l’unità della giurisdizione. Qualche emendamento avanzava addirittura proposte specifiche. Ma è troppo evidente che esse non possono essere tolte in esame in questa sede. Io ho preferito limitarmi ad affermare la necessità di conservare queste giurisdizioni, rimandando il rispettivo disciplina-mento alle leggi regolatrici dei singoli istituti. In ordine ai tribunali militari confesso la mia perplessità sulla possibilità di sopprimerne il funzionamento in tempo di pace; ma sono d’accordo che la relativa giurisdizione debba limitarsi ai soli reati militari propriamente detti e, relativamente ai soggetti, ai soli militari.

Il secondo comma è così formulato: «Non potranno essere istituite altre Magistrature speciali e quelle esistenti dovranno essere soppresse entro due anni dall’entrata in vigore della Costituzione».

Questa parte del mio emendamento investe in pieno l’oscitanza del progetto e impone che il principio della unità della giurisdizione non sia affermato per lustra: giurisdizioni speciali non potranno più essere istituite né con decreti-legge né con leggi, si vogliano queste approvate a maggioranza semplice, o si vogliano approvate a maggioranza assoluta; e quelle presentemente esistenti dovranno essere al più presto soppresse, secondo l’emendamento, non oltre i due anni dalla entrata in vigore della Costituzione.

Qui il principio non è proclamato in astratto, ma diventa norma cogente! E io confido che l’Assemblea non esiterà, per la serietà dei propri propositi, ad approvare questa soluzione, evidentemente non contradetta dal quarto comma dell’emendamento così formulato: «Presso le sezioni specializzate, civili e penali, delle Magistrature di merito potranno essere assunti cittadini esperti secondo le norme dell’ordinamento giudiziario e processuale».

Altro è la giurisdizione speciale, altro è la sezione specializzata istituita nell’ambito di una giurisdizione ordinaria. Quanto poi al potere di assumere, nei modi di legge, in seno a queste sezioni specializzate cittadini esperti, esso deriva dal fatto che nel popolo è la fonte originaria della giurisdizione e dal diritto al popolo è riservato di partecipare direttamente al suo esercizio nei casi e nei modi dalla legge stabiliti, come io ho proposto di dichiarare all’articolo 94, sciogliendo la riserva fatta dal Presidente della Commissione, e come sarà ad ogni modo stabilito in altra parte del Titolo.

Con altro comma è fissata la norma che: «L’assunzione e la carriera dei magistrati ordinari e speciali sono regolate dalla legge organica sull’ordinamento giudiziario e – rispettivamente – da leggi speciali, votate, l’una e le altre, a maggioranza assoluta». Si vedrà poi all’articolo 97, come, a garanzia della autonomia e della indipendenza della Magistratura, l’applicazione della legge a tale riguardo sia devoluta al Consiglio Superiore della Magistratura.

Pare a me che le modifiche introdotte soddisfino appieno le esigenze dei principio che qui si è voluto riaffermare ed attuare, in coincidenza con quelle di una giustizia controllata dal popolo, non soltanto attraverso la pubblicità delle udienze (garanzia che in verità è di scarsissimo rilievo nei giudizi civili), ma anche colla partecipazione ai processi del popolo medesimo, in determinati casi e in determinati modi dalla legge stabiliti. Ed è certo, comunque che esse rispondono ai voti, formulati dalla associazione nazionale dei magistrati più che ad essi non corrispondesse il testo del progetto.

Ma gli emendamenti a questo articolo proposti sono tanti e io penso che, a rendere possibile l’allargamento dei consensi, sia indispensabile che il Comitato dei Diciotto promuova la riunione di tutti i presentatori al fine di tentarne l’accordo sopra un unico testo. Allo sforzo dei magistrati italiani, più della giustizia che di se stessi pensosi, per realizzare, in questa sede, i più indeclinabili postulati di un saggiò ordinamento giudiziario, aggiungiamo gli sforzi nostri e avremo la grande gioia di aver finalmente cominciato a sodisfare, verso una categoria di così benemeriti cittadini, e così desiderosi di sempre migliorarsi ed elevarsi, un debito tanto gravoso, tanto vecchio e tanto dilazionato. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Cairo ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:

«La funzione giurisdizionale è interamente attribuita agli organi della Magistratura ordinaria istituiti e regolati dalla legge sull’ordinamento giudiziario.

«Al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti spetta la giurisdizione delle sole materie e nei limiti stabiliti dalla legge».

Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Ricordo che sono già stati svolti i seguenti altri emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La giustizia è amministrata da magistrati secondo norme stabilite dalla legge.

«Colitto».

«Sostituire il primo comma con i seguenti:

«La funzione giurisdizionale in materia civile e penale è attribuita ai magistrati ordinari.

«La Corte di cassazione è eletta dai magistrati. I magistrati sono nominati dalla Corte di cassazione.

«La legge determina le modalità della elezione e delle nomine.

«Abozzi».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La funzione giurisdizionale per la tutela dei diritti dei cittadini è esercitata esclusivamente dai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Caccuri».

L’onorevole Costa ha proposto i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: funzione giurisdizionale, sostituire l’altra: giurisdizione».

«Sopprimere il quarto comma».

Ha facoltà di svolgerli.

COSTA. Il mio primo emendamento non è che la ripetizione di quello accennato ieri sera e siccome non ha trovato fortuna, lo ritiro.

Ho presentato però un secondo emendamento relativo alla soppressione del quarto comma dell’articolo 95. Mi pare che non sia necessario dire nella Carta costituzionale che ci sarà una legge speciale la quale provvederà all’ordinamento giudiziario. In particolare, poi, non mi rendo conto del motivo per il quale si prescrive una maggioranza qualificata. Mi spiego la maggioranza qualificata richiesta al capoverso successivo per istituire nuove giurisdizioni speciali, data la particolare delicatezza dell’argomento, ma per una legge sull’ordinamento giudiziario e sulle giurisdizioni speciali già esistenti mi sembra che la richiesta della maggioranza qualificata non abbia una seria ragion d’essere.

Per questi motivi ho proposto la soppressione di tutto il quarto comma dell’articolo 95.

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: in materia civile e penale, sostituire le seguenti: in materia penale e per la tutela dei diritti civili e politici».

«Rinviare il secondo comma ad un articolo successivo (articolo 95-bis)».

«Sostituire il terzo comma con il seguente: «Non possono essere istituiti giudici speciali. È tuttavia consentito d’istituire presso gli organi giudiziari ordinari, per determinate materie, con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna delle due Camere, sezioni specializzate con la partecipazione anche di cittadini esperti».

«Al quarto comma, sopprimere le parole: e quelle sulle magistrature del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e sostituire alle parole: a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere, le seguenti: nel modo indicato nel precedente comma».

«Sopprimere il quinto comma».

Ha facoltà di svolgerli.

GRASSI. Onorevoli colleghi. Io ho seguito il testo della Commissione cercando di apportare alcuni emendamenti senza creare un mio testo in sostituzione.

Il primo emendamento che io ho presentato sostituisce alle parole «in materia civile e penale» le altre «in materia penale e per la tutela di diritti civili e politici». Siamo tutti d’accordo che la materia penale è tutta comprensiva nella funzione giurisdizionale penale. Ma quando si parla di materia civile non siamo perfettamente d’accordo, perché per materia civile – a prescindere se si debba o no comprendere. anche quella che riguarda i rapporti con le pubbliche amministrazioni a cui accennava poco fa l’onorevole Mortati, ma di cui si può fare distinzione – si intendono anche le questioni relative a tutti i diritti politici del cittadino, i quali vengono ad essere esclusi se non diciamo, con una forma più corretta che risponde alla legge del 1865, «per la tutela dei diritti civili e politici». Ora, mentre la materia penale è assorbente nella funzione giurisdizionale penale, la materia civile non sarebbe assorbente se non dicessimo «per la tutela dei diritti». Allora anche l’osservazione fatta dall’onorevole Mortati cadrebbe, perché evidentemente, di fronte alla giurisdizione del Consiglio di Stato, la materia prevalente, tranne quella eccezionale, non è che la tutela di interessi. Quindi noi dovremmo dire: «in materia penale e per la tutela dei diritti civili e politici». Questa è una forma che spero la Commissione vorrà accettare. Per quanto concerne il secondo comma, che riguarda appunto il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, io preferirei che fosse stralciato dall’articolo 95 che riguarda soltanto la giurisdizione ordinaria, e di esso fosse fatto un articolo a parte riguardante appunto il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Ma io non mi limito soltanto a questa osservazione, ma siccome la formula adottata dalla Commissione lascia alla legge successiva di stabilire la materia ed i limiti della competenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, io giudico preferibile che questa materia venga determinata tenendo presente lo sviluppo che la giustizia ha preso nel campo dell’amministrazione. Io parlo dal concetto, che è del resto quello della Commissione, dell’unità della giurisdizione.

Non possiamo, di fronte all’unità della legislazione, che avere una unità giurisdizionale. Possiamo avere creata una giurisdizione speciale, ma bisogna che la si contenga in quei limiti nei quali si è mantenuta fino ad oggi.

Ecco perché presentavo un articolo 95-bis, nel quale stabilivo nettamente queste considerazioni, ossia che oltre al Consiglio di Stato ci sono altri organi della giustizia amministrativa, come le Giunte provinciali e i Consigli di prefettura che, specialmente attraverso il sistema regionale istaurato oggi in Italia, prenderanno un loro sviluppo, come accade per la Regione siciliana.

Stabiliamo quale è il compito di questa giurisdizione amministrativa e anche le materie specialmente determinate dalla legge per la tutela dei diritti contro gli atti della pubblica amministrazione. Alla Corte dei conti è attribuita la funzione giurisdizionale di quelle materie che le competono. Perciò ho creduto sia più prudente che nella legge fondamentale dello Stato, dal momento che di questi argomenti se ne è voluto parlare, per lo meno venissero precisati e non lasciati alla legge futura. Per quanto si riferisce al terzo comma ed al penultimo, avevo presentato un emendamento, che in parte è riassunto in quello dell’onorevole Conti, in cui si stabilisce il principio che non possono essere istituiti giudici speciali.

Questo bisogna stabilirlo come principio fondamentale, e soltanto in via di eccezione «è tuttavia consentito d’istituire presso gli organi giudiziari ordinari, per determinate materie, con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna delle due Camere, sezioni specializzate con la partecipazione anche di cittadini esperti».

È il concetto della Commissione. La preoccupazione dell’onorevole Merlin circa la presenza in Italia di 300 giurisdizioni speciali è esagerata. C’è un libro del Cadendo, ottimo magistrato, che attesta che dopo la guerra si largheggiò moltissimo per le giurisdizioni speciali. Oggi c’è un lavoro più recente da cui risulta che le legislazioni speciali sono una cinquantina. Effettivamente sono anche importanti. Ma non è detto che attraverso il grande tronco dell’ordinamento ordinario non si possano creare sezioni speciali.

Questi sono i concetti fondamentali in cui si ispira questo emendamento, che può seguire quello che la Commissione ha fatto, cercando di portare un perfezionamento e di evitare l’equivoco.

Non parlo dell’ultimo comma: ho domandato la soppressione, nel senso non che la giustizia militare debba essere soppressa in tempo di pace. Sono d’accordo con l’onorevole Gasparotto sulla necessità che rimanga. Bisognerebbe disciplinarla. Non so se sia il caso di parlarne in questa sede nella Costituzione o rimandare la questione alla legge che ordinerà la Magistratura, nel campo della giustizia penale.

Voglio far presente che sopprimere addirittura la giurisdizione militare è forse un errore, nel senso che si graverebbe la Magistratura ordinaria di un compito enorme, quale quello di tutti i reati militari, che possono avvenire durante il periodo di pace; d’altra parte, se limitiamo la giurisdizione penale militare soltanto al reato militare vero e proprio, senza estenderla, per connessione, a tutti i civili che possono venire coinvolti nel giudizio presso il tribunale militare, compiamo opera utile, senza aggravare il compito, già abbastanza grave e penoso, della Magistratura ordinaria.

Affido all’Assemblea queste osservazioni suggeritemi dalla pratica e dall’esperienza acquisita nei contatti con la Magistratura, e spero che ne terrà conto.

PRESIDENTE. L’onorevole Sapienza ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, dopo la parola: attribuita, aggiungere: esclusivamente».

«Al terzo comma, sopprimere le parole: con la partecipazione anche di cittadini esperti, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

«Al quinto comma, dopo le parole: legge approvata nel modo sopra indicato, aggiungere: sempre sotto la presidenza e con la maggioranza di membri appartenenti alla Magistratura ordinaria».

«All’ultimo comma, aggiungere: e con giurisdizione limitata alle Forze armate, escluse sempre, e anche nel caso di concorso nei reati, le persone estranee alle Forze armate».

Ha facoltà di svolgerli.

SAPIENZA. Ho presentato a questo articolo quattro emendamenti, partendo dal principio che i magistrati dovrebbero essere i soli ad amministrare la giustizia in Italia; i tribunali speciali, le commissioni, gli arbitrati, dovrebbero esistere solo in linea eccezionale.

Quindi io, dove al primo comma è detto: «La funzione giurisdizionale in materia civile e penale è attribuita…» aggiungerei «esclusivamente».

Al terzo comma, io propongo di sopprimere, per le ragioni sopra dette, le parole «con la partecipazione anche di cittadini esperti, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

E quando si parla della istituzione del giudice speciale, io propongo di aggiungere «sempre sotto la presidenza e con la maggioranza di membri appartenenti alla Magistratura ordinaria».

Riguardo ai tribunali militari, io escluderei tutti i civili, anche quando essi concorrano in reati con militari.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire alle parole: magistrati ordinari, le parole: magistrature ordinarie».

Ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, l’articolo in esame stabilisce che la funzione giurisdizionale è attribuita in materia civile e penale ai magistrati ordinari. Io propongo di sostituirvi le parole: «alle magistrature ordinarie». Questa mia proposta non corrisponde ad un desiderio di modificazione letteraria, ma ad un concetto che credo debba trovare consenso nei colleghi. Se si mantenesse la dizione del progetto, cioè «magistrati ordinari», si manterrebbe una disposizione in contrasto con quella dell’articolo successivo, il quale prevede la istituzione della giuria. Evidentemente, se si mantenesse la dizione del progetto, i giudici contemplati dall’articolo successivo non rientrerebbero in questa questione.

Si dirà da parte di qualcuno che quest’articolo è destinato ad avere vita breve ed ingloriosa. Mi auguro di no. Ma anche se l’Assemblea Costituente non lo approvasse, la modificazione da me proposta non porterebbe a nessuna conseguenza illogica. Infatti, nel caso che l’Assemblea Costituente non affermi fino da oggi, ma non escluda – e credo che a questo l’Assemblea non arriverà – per l’avvenire la possibilità dell’istituzione della giuria, o se rimanesse fissa la dizione che «la funzione giurisdizionale è attribuita ai magistrati ordinari», vi sarebbe una contraddizione. Nell’opposta ipotesi, che cioè l’Assemblea Costituente voglia proprio precludere la via all’istituzione, anche non immediata, della giuria, non per questo la dizione: «magistrature ordinarie» creerà nessuna situazione contradittoria, perché nelle magistrature ordinarie resteranno certamente compresi tutti i giudici ordinari. Per concludere, lasciando la dizione attuale si va incontro a contraddizione fra quella norma e la norma successiva; modificandola, non si va incontro in nessun caso a nessuna contraddizione.

PRESIDENTE. Ricordo che sono già stati svolti i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il secondo comma».

«Colitto».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Sono giurisdizioni speciali:

  1. a) il Consiglio di Stato e le giurisdizioni amministrative regionali in materia di interessi legittimi;
  2. b) la Corte dei conti e – nei limiti fissati dalla legge – le giurisdizioni contabili locali, in materia di giudizi sui conti, di danni prodotti da pubblici funzionari, di pensioni e di quote inesigibili d’imposta;
  3. c) le giurisdizioni fiscali, per la materia tributaria, in tre soli gradi, nelle forme che saranno stabilite dalla legge;
  4. d) i tribunali militari per i reati di carattere esclusivamente militare, nelle forme stabilite dalla legge.

«Adonnino».

L’onorevole Perrone Capano ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Al Consiglio di Stato e ai tribunali amministrativi regionali spetta la giurisdizione per la tutela degli interessi legittimi nei confronti della pubblica Amministrazione.

«Alla Corte dei conti spetta la giurisdizione in materia di pensioni e di contabilità dello Stato nei limiti stabiliti dalla legge».

«Aggiungere, dopo il secondo comma, il seguente:

«I tribunali militari giudicano esclusivamente i reali commessi da militari nell’esercizio delle loro funzioni».

«Aggiungere dopo il terzo comma il seguente:

«Può essere istituita una Magistratura onoraria per le preture e per gli uffici di conciliazione secondo le norme dell’ordinamento giudiziario».

«Sopprimere l’ultimo comma».

L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerli.

PERRONE CAPANO. Io ho presentato quattro emendamenti all’articolo 95. Di questi quattro rinuncio al primo perché accetto quello dell’onorevole Adonnino, che mi sembra più ampio e che precisa gli stessi concetti compresi nel mio primo emendamento. Rinuncio a svolgere il secondo, che mantengo, perché riguardo ad esso, che ha per oggetto il mantenimento dei tribunali militari in tempo di pace, mi rimetto a quello che hanno detto gli altri oratori i quali hanno sostenuto lo stesso principio. Insisto nel terzo emendamento: «Può essere istituita una Magistratura onoraria per le preture e per gli uffici di conciliazione secondo le norme dell’ordinamento giudiziario»…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo c’è già in un altro articolo del progetto.

PERRONE CAPANO. Non mi pare. Comunque non credo necessario illustrarlo. Per quanto riguarda l’ultimo, rilevo che è un corollario del secondo perché, istituendosi i tribunali militari, anche in tempo di pace, deve essere logicamente soppresso l’ultimo comma dell’articolo 95.

PRESIDENTE. L’onorevole Scalfaro ha già svolto il seguente emendamento:

«Sopprimere il terzo comma».

L’onorevole Varvaro ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il terzo comma».

Non essendo presente si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Ricordo che sono stati svolti i seguenti altri emendamenti:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«La legge determina anche i casi in cui la funzione giudiziaria è esercitata con la partecipazione dei cittadini esperti.

«Colitto».

«Al terzo comma, inserire dopo le parole: per determinate materie, le seguenti: che presentano particolari caratteri tecnici.

«Cortese Guido».

«Al terzo comma, sopprimere le parole: con la partecipazione anche di cittadini esperti.

«Castiglia».

L’onorevole Ghidini, insieme con l’onorevole Filippini, ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, sopprimere le parole: con la partecipazione anche di cittadini esperti».

Ha anche presentato, insieme con l’onorevole Carboni Angelo, il seguente emendamento:

«All’ultimo comma, aggiungere le parole: al seguito di unità mobilitate».

L’onorevole Ghidini ha facoltà di svolgerli.

GHIDINI. Per quanto riguarda il primo emendamento, consistente nella proposta di soppressione delle parole: «con la partecipazione anche di cittadini esperti», osservo che la parola: «esperti» ha un significato consentito unanimemente. L’accezione comune della parola: «esperti» è questa: l’esperto è persona che ha sperimentato, che cioè può trarre da una conoscenza di carattere generale un giudizio che riguarda il caso particolare. Quando si parla di esperti, si parla di pratici, di periti, in sostanza. Questi cittadini, che verrebbero a far parte di un collegio giudicante, non sono esperti del diritto, sarebbero invece esperti in altre discipline complementari le quali servono indubbiamente alla risoluzione del caso che è proposto all’autorità giudiziaria, in virtù però di particolari nozioni scientifiche ed artistiche che posseggono.

Praticamente, se noi introduciamo questi esperti in un collegio di magistrati capiterà, ad esempio, che quando vi è una causa civile di danni per un crollo sarà chiamato un costruttore per esprimere il suo parere; quando saremo di fronte ad un investimento automobilistico chiameremo un ingegnere meccanico; quando ci troveremo di fronte ad un omicidio chiameremo un medico legale per sapere se la ferita abbia determinato la morte o se la morte sia avvenuta per altre cause; in materia di servitù chiameremo un geometra, e così via.

Ora, tutto questo, che significa l’introduzione del perito nel collegio giudicante, porta con sé due conseguenze, entrambe indiscutibilmente dannose. La prima è che si viene in tal modo a snaturare completamente quella che è la funzione del giudice. Il giudice si giova indubbiamente del perito, ma non è obbligato ad accettarne le conclusioni, perché il giudice deve giudicare anche la perizia. Se invece noi introduciamo il perito come giudice, è certo che questo perito giudice non potrebbe che approvare le sue conclusioni.

Il guaio peggiore poi è questo: se noi introduciamo gli esperti nel collegio giudicatile veniamo a sottrarre la perizia dal contradittorio che è il fondamento di qualsiasi procedimento, sia civile che penale. Oggi, di fronte ad una perizia, noi possiamo contrapporre, tanto in sede civile che in sede penale, un perito o un consulente tecnico: ma se invece mettiamo nel collegio giudicante questo perito. noi non gli possiamo più contrapporre utilmente nessuno. La sua voce sarà ascoltata dai giudici e noi non potremo né come imputati, né come parte civile, contrapporre persone che essendo versate nelle medesime discipline siano in grado di controllarlo.

È per questi motivi che la frase «cittadini esperti» deve essere assolutamente eliminata.

Questa osservazione ebbi a farla anche in sede di Comitato dei diciotto e per verità venne raccolta ed anche accolta nel senso che alla frase del testo si sostituisse l’altra «cittadini idonei». L’onorevole Mortati poco fa sosteneva che devono essere dei «cittadini» da includersi come elementi estranei nel collegio dei magistrati. Per mio conto trovo pericolosissime l’ina e l’altra modificazione; le trovo pericolose perché mi pare che in tal modo si faccia entrare dalla finestra ciò che si voleva escludere dalla porta, perché questi cittadini, se devono essere idonei, finiranno per essere dei periti.

Del resto noi che abbiamo esperienza di giudizi sappiamo che questi cittadini introdotti nei collegi giudicanti hanno sempre fatto cattiva prova. Così nei Tribunali pei minorenni, dove i pater familias, i pedagoghi ecc. hanno portato un contributo minimo; e nelle cause annonarie dove furono introdotti per un decreto Mussolini del 1944, ancora peggio.

È un giudice speciale di più che introduciamo, ma è un giudice il quale non ci dà certamente nessuna delle garanzie di indipendenza del giudice ordinario.

Eliminiamo quindi gli elementi estranei, e quante volte occorreranno cognizioni speciali si ricorra all’istituto della perizia che ci dà veramente una piena e completa garanzia di giustizia.

Per quanto riguarda l’altro emendamento debbo dire (perché non si pensi che io vesta le penne del pavone) che mi viene suggerito da un testo proposto dalla Commissione di alti magistrati che fu nominata dal Ministro Guardasigilli.

Siccome non fa parte diretta del mio emendamento, non parlerò della opportunità, della quale io sono sincerissimamente e profondamente convinto, di lasciare al giudice militare la competenza unicamente per i reati militari in tempo di guerra. Per quanto riguarda il tempo di pace, sono assolutamente convinto che sia il magistrato ordinario che se ne deve occupare.

Non voglio risollevare le questioni che vennero esaminate dall’onorevole Gasparotto e da altri, ma per mio conto trovo che, stringendo stringendo, è più che altro una accusa di incapacità che viene fatta al magistrato ordinario per questa materia. Si fa inoltre una questione di sensibilità, ecc. considerando la legge penale militare un complemento del Regolamento di disciplina.

In proposito osservo che i reati, tipicamente militari, sono la cosa più semplice del mondo, che la loro nozione non richiede una competenza specifica. Infatti siamo sempre noi avvocati borghesi a trattare queste cause. Quindi io dico: tribunale militare di guerra, e aggiungo: al seguito di unità mobilitate. Anzitutto noi vogliamo limitare, per ragioni di ordine generale, il numero di giudici speciali; in secondo luogo penso che quando si tratti di reati commessi da militari (sia pure in tempo di guerra dichiarata) ma commessi da militari che non appartengono alle truppe, mobilitate, le quali sono ancora nel Paese pacifiche e tranquille, non v’è nessuna ragione per cui non se ne debbono occupare i tribunali ordinari. Infine faccio un rilievo sul quale richiamo l’attenzione dei colleghi. C’è un punto in questa materia, che probabilmente susciterà gravi dubbi nell’animo degli onorevoli colleghi. È la disposizione della quale ci occuperemo più innanzi ma che giova richiamare in questo momento: la disposizione dell’articolo 102, dove si dice che tutte le decisioni degli organi giurisdizionali, tanto ordinari quanto speciali, sono soggette al ricorso per Cassazione.

Sarà possibile, quando si tratta di giudizi che si fanno al fronte, nell’attualità o quasi del combattimento, quando, come si afferma, l’immediatezza della esecuzione è un elemento indispensabile della esemplarità della pena, consentire che vi sia un ricorso in Cassazione? L’articolo 102, badate, non lascia adito a nessuna eccezione. Vedrete dopo voi se è possibile includere questa eccezione. Ma, nel dubbio che la disposizione possa restare com’è attualmente, sarà bene almeno limitare la possibilità che vi siano dei giudizi per i quali non sia possibile il ricorso ad un giudice superiore di controllo.

Quindi, limitando la competenza del magistrato militare al caso delle truppe mobilitate, in tempo di guerra, noi avremo indubbiamente ristretto la portata e l’ampiezza dell’inconveniente che ho segnalato. Per queste ragioni credo che l’emendamento possa essere tranquillamente accolto dall’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha già svolto il seguente emendamento:

«Sopprimere il quarto comma».

L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo il terzo comma, aggiungere il seguente:

«Sezioni anche speciali, denominate Tribunali e Corti di assise, giudicheranno, rispettivamente in 1° e in 2° grado, di gravi o particolari reati indicati dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Aderisco alla nuova redazione dell’articolo 95 a firma dell’onorevole Conti ed altri e rinunzio al mio emendamento. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«La funzione giurisdizionale in materia penale militare è attribuita ai magistrati militari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario militare».

L’onorevole Gabrieli ha facoltà di svolgerlo.

GABRIELI. Veramente, avrei rinunziato a svolgere il mio emendamento, perché le ragioni che devo esporre sono già state brillantemente esposte dall’onorevole Gasparotto.

Ma l’intervento dell’onorevole Ghidini mi impone di riassumere brevemente le ragioni che devono consigliare il mantenimento dei tribunali militari.

La necessità di mantenere i tribunali militari è stata segnalata da vari oratori, da grandi avvocati e giuristi che siedono in questa Assemblea; è stata anche avvertita dai compilatori del progetto di Costituzione, anche se limitatamente al solo tempo della guerra. È facile osservare dunque, che i tribunali militari sono necessari sia secondo i compilatori del progetto, sia secondo gli oratori che sono intervenuti in questo dibattito. Secondo questi ultimi, devono essere mantenuti sia in tempo di guerra che in tempo di pace, secondo i compilatori del progetto, la loro esistenza deve essere limitata al tempo di guerra.

Io faccio osservare che i tribunali militari non possono essere improvvisati in tempo di guerra. Essi comportano un vasto concorso di funzioni tecniche e l’apprezzamento di molteplici uffici sussidiari, che devono necessariamente essere predisposti in tempo di pace. Come l’esercito e tutte le altre forze militari, sia di mare sia aeronautiche, nella loro struttura embrionale sono preparate in tempo di pace avendo per obiettivo remoto le esigenze della guerra, così i tribunali militari che sono un elemento indispensabile di ogni organizzazione militare, devono necessariamente costituirsi in tempo di pace, per potere in maniera efficace accompagnare le forze operanti in tutte le fasi del loro sviluppo. D’altra parte, l’istituzione dei tribunali militari risponde ad insopprimibili esigenze di carattere etico e di carattere tecnico. È innegabile la grande efficacia che esercita sulla coesione della compagine militare e sulla saldezza dei principî di gerarchia e di disciplina il conferimento della funzione giudiziaria penale alle stesse persone che vivono nell’ambiente militare. Ciò rende più efficace la tutela e del servizio e della disciplina.

Sotto questi riflessi etici e sotto questi riflessi tecnici, si deve riconoscere che la valutazione del fatto e della personalità del colpevole trova nel giudice militare una particolare competenza ed una sensibilità più pronta di quella dei giudici togati, non del tutto edotti dei sistemi e dei modi di vita delle Forze armate.

L’immediatezza della repressione trova, poi, piena attuazione presso i tribunali militari; ma ciò di cui i compilatori non hanno tenuto alcun conto nel sopprimere tribunali militari in tempo di pace è la considerazione degli inconvenienti che potrebbero derivare nell’ambito delle forze navali. Secondo il sistema legislativo vigente, la nave militare è come un lembo della patria lontana, della patria che la nave porta con sé, per così dire, allontanandosi dal territorio nazionale. Essa, quindi, porta anche con sé le leggi dello Stato ed una organizzazione giudiziaria ed è costituita dal tribunale di bordo.

Ciò risponde, infatti, ad uno stato di necessità, quando la nave è lontana dal territorio nazionale. È evidente, quindi, che, in tale circostanza, stante anche il carattere di urgenza, non è possibile intervenire con i tribunali ordinari.

Infine, vi recherò una considerazione di ordine storico: in tutti i Paesi, presso tutti gli Stati, dai grandi ai piccoli, vi sono e vi sono sempre stati i tribunali militari. Tutti gli Stati inoltre li hanno conservati dopo la prima grande guerra: la sola Germania, a dir vero, nel marasma che succedette per quel Paese alla prima guerra mondiale, li aveva soppressi, ma uno dei primi atti della ricostruzione fu anche per loro la ricostituzione dei tribunali militari.

Un’eccezione all’unicità della giurisdizione si trova nel mantenimento delle giurisdizioni speciali amministrative, le quali rispondono in un certo senso, ad esigenze analoghe a quelle che si presentano a proposito dei tribunali militari. È evidente, quindi, che l’unicità della legislazione non è possibile pensare si possa realizzare perfettamente: qualche deroga è inevitabile.

Del resto, quand’anche tutto ciò non bastasse, si pensi che in tutti i momenti della storia, anche nei più gravi, i tribunali militari hanno dato prova di attaccamento agli interessi del Paese con piena soddisfazione del popolo e della classe forense.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Conti, Reale Vito, Bettiol, Perassi e Fabbri hanno proposto il seguente nuovo testo:

«La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.

«Il Consiglio di Stato e gli organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi, ed anche per la tutela di diritti soggettivi nelle particolari materie determinate dalla legge.

«La Corte dei conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica ed in altre materie specialmente indicate dalla legge.

«I Tribunali militari sono istituiti in tempo di guerra. Possono istituirsi in tempo di pace per reati militari commessi da appartenenti alle forze armate.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. L’onorevole Conti mi ha affidato l’incarico di illustrare il suo emendamento sostitutivo al quale in parte aderisco. Chiedo, quindi, di poterlo svolgere.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Dedicherò un minuto a ciascuno dei commi che sono stati prospettati all’articolo 95 come emendamento sostitutivo di tutto l’articolo, a firma degli onorevoli Conti, ecc.

Ho l’impressione e la speranza che questo emendamento sostitutivo sarà accolto dalla Commissione; quindi, su questo si potrebbe concentrare da parte dell’Assemblea la discussione e la votazione.

Il primo e il secondo comma esprimono questo orientamento dell’Assemblea, che si è avuto sia in sede di Commissione, ma soprattutto in sede di discussione pubblica: cioè affermare il principio dell’unità della giurisdizione sia in materia civile che penale; e, quindi, il divieto di istituzione di giudici straordinari e speciali, fatta eccezione per i due tronchi di cui parlerò a proposito del terzo e quarto comma, richiamando nel grande tronco della giustizia ordinaria (unità di giurisdizione) tutte quelle giurisdizioni speciali attualmente esistenti, che saranno configurate come sezioni specializzate, le quali, mediante la partecipazione di elementi estranei alla Magistratura – salvo a vedere l’idoneità in che cosa consiste –, possano rendere più sensibile la funzione della giustizia a particolari esigenze, senza rompere quell’unità della giurisdizione che si ricostituisce al vertice supremo nella Corte di cassazione.

A questo proposito volevo dire soltanto che nella nostra formulazione (sezioni specializzate con la partecipazione di elementi estranei) può entrare la possibilità, che veniva segnalata dall’onorevole Targetti, della ricostituzione della giuria. Poiché è ovvio, pacifico, indiscutibile che la Corte di assise non è un giudice speciale, ma, è, è stata, e sarà sempre una sezione del giudice ordinario, una Sezione della Corte di appello; è evidente che quando noi abbiamo votato una formula che dice che le sezioni specializzate potranno essere composte, in tutto o in parte, da elementi estranei alla Magistratura, abbiamo messo la base perché, in sede più opportuna, con maggiore meditazione o responsabilità, possa l’Assemblea legislativa discutere, votare e decidere su questo delicato e pauroso problema della giuria.

Abbiamo fatto eccezione, come dicevo – e passo così al terzo e quarto comma – per quanto concerne i due grossi tronchi della giurisdizione amministrativa. Non starò qui a ripetere quella diffusa discussione che si è svolta a questo proposito nella Sottocommissione; né starò a ricordare i voti di larghissima parte della dottrina e anche dei pratici, degli avvocati, circa l’opportunità, la necessità di mantenere questi due grossi tronchi, che, peraltro, secondo autorevoli giuristi, non costituirebbero una giurisdizione speciale, ma una giurisdizione ordinaria, sia pure amministrativa.

Ora, questi due tronchi devono restare, non solo per il prestigio, la capacità e l’indipendenza di cui hanno dato prova in tutti i tempi, ma devono restare anche perché sono sorti sotto un profilo che ritengo opportuno segnalare all’Assemblea: sono sorti, cioè, non come usurpazione al giudice ordinario di particolari attribuzioni, ma come conquista di una tutela giurisdizionale da parte del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Quindi, non si tratta di ristabilire la tutela giudiziaria ordinaria del cittadino che sia stata usurpata da questa giurisdizione amministrativa; ma di riconsacrare la perfetta tradizione di una conquista particolare di tutela da parte del cittadino.

La formula del penultimo comma, che riguarda i tribunali militari, non è da me personalmente condivisa; tuttavia è condivisa da larga parte della Commissione. Se tali tribunali dovessero restare, vada ad essi il mio saluto ed il mio augurio di una proficua attività.

Io ho presentato un emendamento subordinato, il quale richiede che, ove i tribunali militari dovessero essere conservati in tempo di pace, dovrebbero essere organizzati in modo da assicurare ai giudici, che sono alle dipendenze assolute del Ministro della difesa, quella indipendenza che costituisce la caratteristica, la garanzia principale di qualsiasi giudice. Non dimentichiamo che, seppure in un altro Titolo della Costituzione, abbiamo scritto che la Corte dei conti e il Consiglio di Stato si organizzano con garanzie di indipendenza nei confronti del potere esecutivo; è, quindi, opportuno, se i tribunali militari dovessero, contrariamente alla mia modesta, personale opinione, restare, che noi stabiliamo in questa sede la garanzia di indipendenza dei tribunali militari (pubblico ministero e giudici), nei confronti del potere esecutivo.

GHIDINI. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Ho il dubbio che ci possa essere eventualmente una lacuna. Ma siccome il mio è semplicemente un dubbio, non ho creduto di fare un emendamento.

Io noto nell’emendamento, del quale ha dato lettura testé l’onorevole Leone, che i giudici sono: magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario; poi ci sono: sezioni specializzate presso organi giudiziari ordinari; ed infine il Consiglio di Stato, la Corte dei conti, i Tribunali militari.

Io domando se si può dubitare che sia mantenuta la giurisdizione arbitrale o se invece si debba ritenere esclusa. Il mio dubbio nasce da questo: è una magistratura o non è una magistratura? Si potrebbe negare che sia una magistratura, per una ragione: perché questa magistratura è eletta dalla volontà delle parti, è un intervento della volontà delle parti. Però in tutti i Codici, nel Codice civile precedente ed in quello attuale, c’è un regolamento dell’attività degli arbitri. Se non ricordo male, vi sono circa 30 articoli del Codice di procedura civile, che disciplinano l’attività di questi arbitri speciali. L’intervento del magistrato è normalmente solo in questo senso: che il Pretore emette un decreto col quale dichiara esecutivo il lodo, dichiarando che è stato depositato tempestivamente nella cancelleria della Pretura. E basta.

Quindi questo lodo assume i caratteri intrinseci ed estrinseci della sentenza. E non solo: il Codice parla proprio di sentenza arbitrale. È una sentenza che è anche più vincolante, nella sua portata, di quella che è la sentenza normale del giudice, perché – dice la legge – le sentenze arbitrali sono impugnabili dinanzi al magistrato unicamente per nullità e per di violazione di legge. Non per altro.

Ora, per questa ragione, mi pare che assuma carattere di vera giurisdizione ordinaria.

Anche in penale, c’è il giurì d’onore; ma ci sono differenze notevoli, la regolamentazione è diversa nei rapporti che necessariamente intercorrono fra il giurì e la Magistratura, che è giudice investito della causa attraverso la querela.

Per queste ragioni credo che meriti di essere considerato questo mio dubbio e che necessiti una spiegazione: per lo meno, se non si fa un’aggiunta, una dichiarazione allo scopo di chiarire il dubbio che ho fatto presente.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per quale ragione, onorevole Targetti?

TARGETTI. Lo scopo della mia richiesta sarebbe di chiedere un chiarimento all’onorevole Leone su quello che ha detto ad illustrazione del nuovo testo proposto e accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

TARGETTI. Se ho compreso bene, l’onorevole Leone ritiene che in questa nuova dizione del comma secondo siano inclusi anche i giudici giurati.

Io ho tanto rispetto per la competenza giuridica dell’onorevole Leone, che è giustamente considerato oggi come uno dei più valorosi docenti del diritto penale in Italia, da ritenere di aver compreso male, perché ritengo insostenibile che la previsione di un giudizio di giurati possa rientrare nella dizione di questo comma.

Dicendo «sezioni specializzate per determinate materie», non mi sembra che ci si possa riferire anche ad organi giudiziari istituiti per le cause di competenza delle Corti d’assise. Vari sono i criteri con i quali questa competenza può essere determinata. La natura del diritto leso, l’entità della pena. Comunque, l’espressione «determinate materie» non credo possa indicare quelli che saranno i delitti di competenza dei giurati.

Ma anche a parte questo, quando si parla di una sezione di Tribunale o di Corte d’appello alla quale possono partecipare anche elementi estranei alla Magistratura, si viene ad indicare un organo giudiziario nel quale la funzione prevalente è sempre esercitata dal giudice ordinario. È il magistrato, che, aiutato da alcuni elementi laici, giudica, decide con la loro partecipazione. Si potrà entro questa dizione comprendere il cosiddetto scabinato, l’assessorato, ma che possa esservi compreso anche l’istituto della giuria, per il quale unici giudici del fatto sono i giurati, non credo che possa riuscire a dimostrarlo neppure l’ingegno acutissimo dell’onorevole Leone, neppure la grande abilità dell’onorevole Ruini, il quale vedo che chiede di parlare.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Leone di esprimere il parere della Commissione.

LEONE GIOVANNI. Rispondo subito, perché le due obiezioni dell’onorevole Targetti sono queste, se ho ben compreso il suo acuto e chiaro intervento: che non si possono inserire qui le giurie, perché si parla di «determinate materie» e di «partecipazione di cittadini».

Risponderò brevemente a queste due obiezioni. «Per determinate materie» significa non solo un determinato complesso di affari in materia di giurisdizione, ma significa anche un complesso di determinati reati. Ricorderò che nel Codice di procedura penale si parla di competenza per materia, e la competenza delle Corti d’assise non è che uno dei casi di distribuzione di competenza per materia.

Quindi siamo precisamente nella materia della terminologia tecnica, essendo la competenza per materia riferita alla distribuzione dei reati al Pretore, al Tribunale o alla Corte di assise: queste sono tre distinzioni di competenza di materia previste dal Codice di procedura penale.

Seconda obiezione. Si dice: con l’espressione: «partecipazione» volete introdurre soltanto una parte, piccola o grande, di cittadini. Noi vorremmo la giuria totalmente composta di elementi popolari. Io invito i colleghi a contribuire alla formulazione, se credono, più chiara della norma; ma credo che non possa sorgere equivoco, perché anche con la legge Gullo – ed è qui presente l’autorevole Guardasigilli che formulò questa legge – il Presidente non è estromesso; il magistrato è Presidente della Corte d’assise ed è un momento che insieme ai giurati forma il complesso organo della Corte d’assise.

Quando si dice: «partecipazione», non si pone un limite; partecipazione minima o massima, in misura maggiore o in misura minore. Si stabilisce soltanto la possibilità che la legge chiami a far parte di un organo giudiziario elementi estranei.

In quale misura? Non lo diciamo e non lo possiamo dire, proprio perché noi vogliamo lasciare aperto il varco, la possibilità di ingresso alla giuria, ma non risolvere ex professo il delicato problema.

Ove però riterreste che questa formula possa essere equivoca, invito l’onorevole Targetti o gli altri colleghi a precisarla.

PRESIDENTE. Ricordo che i seguenti altri emendamenti sono stati già svolti:

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«Le norme sull’ordinamento giudiziario, in cui saranno comprese quelle sulle giurisdizioni speciali, sono stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.

«Adonnino».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituiti giudici né speciali, né straordinari per nessuna materia.

«Merlin Umberto».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituiti giudici speciali se non per legge approvata nel modo sopra indicato. In nessun caso possono istituirsi giudici straordinari in materia penale.

«Bellavista».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituiti, in nessun caso, giudici speciali.

«Cairo».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«In nessun caso possono istituirsi giudici speciali.

«Castiglia».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituiti giudici speciali.

«Caccuri».

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Non possono essere istituite altre giurisdizioni speciali se non per legge approvata da ciascuna delle due Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri, e sentito il parere del Consiglio superiore della Magistratura.

«Adonnino».

«Limitare il quinto comma alla proposizione seguente:

«Non possono essere istituiti giudici speciali.

«Mastino Gesumino».

«Al quinto comma, sostituire alle parole: In nessun caso, la parola:. Non.

«Coletto».

«Al quinto comma, alle parole: giudici speciali in materia penale, sostituire le altre: giudici straordinari in materia penale.

«Bettiol, La Pira».

«Sopprimere l’ultimo comma.

«Subordinatamente, sostituirlo col seguente:

«La funzione giurisdizionale in materia penale militare è regolata dalla legge.

«Gasparotto, Chatrian, Moranino, Stampacchia, Brusasca».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: «I tribunali militari, in tempo di pace, avranno giurisdizione soltanto nelle materie e nei limiti stabiliti dalla legge.

«Persico».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Ai tribunali militari spetta la giurisdizione sui reati militari tanto in tempo di guerra che in quello di pace.

«Bettiol».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: «Ai tribunali militari spetta la giurisdizione per i reati militari nei casi e nei modi stabiliti dalla legge.

«Caccuri».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: «Ai tribunali militari spetta la giurisdizione sui reati militari, nei casi e nei modi stabiliti dalla legge.

«Castiglia».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato si è trovato di fronte a più di 40 emendamenti e ha cercato di tener conto di tutti. In sostanza però, nella nuova formula che ha adottato, e che è quella proposta dall’onorevole Conti e da altri colleghi, mantiene la sostanza della sua proposta originaria, in alcuni punti la attenua, in altre la completa, nel suo complesso la perfeziona, senza spezzarne, anzi rinforzando la linea fondamentale. Che cosa diceva l’articolo in origine, quale era stato proposto dalla Commissione dei Settantacinque? Cominciava con l’affermare che la funzione giurisdizionale in materia civile e penale è esercitata dalla Magistratura secondo le norme sull’ordinamento giudiziario. Lo stesso concetto viene espresso nel testo che ora adottiamo. Con esso veniamo incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Grassi, perché mettendo «funzione giurisdizionale», in generale cade la preoccupazione che non siano considerati i delitti politici.

Vi è la proposta Targetti che invece di «magistrato» si metta «Magistratura». Osservo che magistrato o giudice non vuol dire che debba essere uno solo. Può essere anche un collegio, un complesso. Ciò che importa è accentrare la figura del magistrato a cui, in un modo o nell’altro, spetta la funzione giurisdizionale.

Un’altra proposta è di mettere «giurisdizione» invece di «funzione giurisdizionale». Non è forse inutile parlar di «funzione»; ma insomma per tali questioni di nomenclatura – magistrato o Magistratura, giurisdizione o funzione giurisdizionale – non faremo battaglia. Ciò che importa è la sostanza; per il rimanente il Comitato, dopo aver detto che preferisce il suo testo, si rimette all’Assemblea.

Per quanto riguarda poi il secondo comma, vorrei richiamare l’attenzione sulla sforzo che si è fatto, tenendo conto degli emendamenti. Nella proposta originaria si ammetteva l’istituzione, sia pure con legge qualificata di giudici speciali tranne in materia penale. Abbiamo riconosciuto che è inopportuno e pericoloso, ed abbiamo acceduto ad un’idea venuta fuori da più parti di questa Assemblea, che giudici speciali non devono esservi mai. Né giudici speciali, né giudici straordinari; due concetti che non coincidono, perché vi possono essere giudici speciali ordinari. Escludiamo gli uni e gli altri.

Bisogna reagire alla tendenza ed alla tentazione di creare sempre nuovi giudici e giurisdizioni speciali. Questo è il chiaro intento mio e del Comitato. Noi vogliamo andare – non in modo astratto, ma nel modo più concreto possibile – verso l’unicità di giurisdizione. La linea è questa: che l’affermazione dell’unicità di giurisdizione riuscirebbe vana; e la soppressione di tutte le giurisdizioni speciali sarebbe vana e pericolosa, se nel tempo stesso non si prevedesse e non si procedesse alla loro trasformazione, nei casi ove è necessario, in sezioni specializzate, inserite negli organi normali della Magistratura. Ecco la via concreta che noi indichiamo, e che la Costituzione deve prescrivere. Naturalmente nelle Disposizioni transitorie stabiliremo un periodo adeguato di tempo, non troppo breve né troppo lungo, perché si addivenga alle necessarie trasformazioni. È il modo più concreto di avvicinarsi alla meta; e spero di dare così, il maggior contributo possibile in senso previsto, all’unicità di giurisdizione. Bisogna arginare il pericolo che si creino, di nuovo e di continuo, altri giudici e giurisdizioni speciali. Se ve ne sarà bisogno, e dovrà essere vero bisogno, si istituiranno sezioni specializzate di Magistratura. Quanto ai giudici ed alle giurisdizioni speciali esistenti (siano esse più centinaia come fu constatato dopo l’altra guerra, o siano già ridotte a meno di cento, che è sempre un numero troppo grosso) si sopprimeranno quelle che non han ragione di essere, e si trasformeranno le altre in sezioni specializzate; con che non si intaccherà, ma si rafforzerà sostanzialmente l’unicità di giurisdizione.

Naturalmente le sezioni specializzate implicano che potranno essere chiamati a parteciparvi anche elementi estranei alla Magistratura, ossia all’ordine giudiziario in senso stretto. L’amico Ghidini, che ha un po’ di fobia per la parola «esperti», ha espresso con la consueta acutezza il timore che, chiamando i periti a far parte del collegio giudicante, si snaturi la loro funzione. Vi possono essere inconvenienti – e non vi sono in qualsiasi soluzione? – ma vi sono anche vantaggi; particolarmente quando si tratta, come, ad esempio, nei tribunali delle acque, di funzionari tecnici dello Stato, che son per così dire dei magistrati tecnici; e non è da escludere che giovi avere nel collegio giudicante anche tecnici estranei dell’Amministrazione. La espressione da noi usata è larga ed elastica; «elementi idonei»; va, quindi, anche al di là di un tecnicismo specifico; ed abbraccia casi di idoneità più generica, che possono riscontrarsi e richiedersi, ad esempio, per giudici popolari in materia penale. Tutto ciò premesso, onorevole Ghidini, veniamo al nodo della questione. Se vogliamo reagire al sistema delle giurisdizioni speciali, dobbiamo adottare quello delle sezioni specializzate; e se si vogliono fare delle sezioni specializzate, bisogna ammettere che vi possano partecipare anche elementi idonei estranei alla Magistratura. È la nostra espressione, e non saprei trovarne migliore.

Vogliamo dunque andare verso la unicità di giurisdizione. Ma lo spirito di concretezza che ci deve animare, per far sì che la nostra riforma sia attuabile e non susciti turbamenti ed inconvenienti, deve tener conto di una effettiva realtà: che esistono due organi che hanno funzioni giurisdizionali, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, e non potrebbero sopprimersi tali loro funzioni, senza perturbare e creare difficoltà al funzionamento della giustizia, nell’interesse dei cittadini. Non vi farò rilievi teorici; io che appartengo ancora per alcuni giorni, prima del limite di età, al Consiglio di Stato, ho sentito con compiacimento ed orgoglio che tutte le voci, nessuna eccettuata, che si sono alzate nell’Assemblea, hanno riconosciuto e lodata l’opera che esso svolge anche nel campo giurisdizionale; opera che si è potuto mettere in essere, appunto perché vi è stato questo organo speciale. Vi possono essere teoricamente due posizioni limite. Quella di sopprimere anche la giurisdizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti tesi svolta nella Commissione dei Settantacinque da Calamandrei; ma sarebbe, a mio avviso, rendere non buon servizio alla causa dell’unicità della giurisdizione, perché si sconvolgerebbero e disordinerebbero ad un tratto rami particolari di giurisdizione; ed il metodo stesso delle possibili unificazioni verrebbe messo in dubbio. Vi è poi un’opposta tendenza, di cui mi pare di scorgere traccia nel pensiero di Mortati, che, affermato l’unicità in materia penale e nelle controversie civili fra privati, lascia mano libera per creare nuove giurisdizioni speciali nelle controversie fra amministrazione pubblica e privati. Badate bene, onorevoli colleghi, io posso ammettere che il clima del periodo dopo l’unificazione nazionale, nella battaglia contro il contenzioso amministrativo, non è più lo stesso; e che negli altri paesi si è andati e si va verso organismi e tribunali amministrativi, al di fuori dell’unità giurisdizionale. Ma credo che non si debba decampare dalla linea generale dell’unicità, con due limiti: la sostituzione di sezioni specializzate, e la conservazione di organi speciali di giurisdizione amministrativa, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti – che hanno una funzione storica ed una funzione propria che fu conquistata, si noti, non sottraendo la propria competenza alla Magistratura ordinaria, ma conquistando nuovi campi di diritto e di libertà ai cittadini.

La stessa Magistratura ordinaria – con la Commissione presieduta dal primo Presidente della Corte di cassazione e con la associazione dei magistrati presieduta dal professore Battaglia – ha riconosciuto che si debbano lasciare determinate competenze giurisdizionali al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti. Il progetto dei Settantacinque usava una espressione generica: nei casi e modi stabiliti dalla legge. Vari emendamenti, e sovrattutto uno dell’onorevole Grassi, chieggono di meglio delineare tali competenze. Il Comitato non si rifiuta. Sarebbe stato suo desiderio – ed anche mio personalmente – potersi limitare alla tutela degli interessi legittimi verso la pubblica amministrazione. Qui è stata la vera conquista, che soltanto un organo come il Consiglio di Stato poteva conseguire. Né si dimenticherà che la facoltà di annullare provvedimenti amministrativi non può essere data ad un qualunque organo di Magistratura ordinaria; potrà esercitare tale delicatissima funzione soltanto un organo di struttura e di competenza amministrativa come il Consiglio di Stato. Ma limitarsi ai soli interessi legittimi non è possibile; vi sono materie di competenza esclusiva, residuate da vecchie leggi, come in tema di debito pubblico, che debbono a mio avviso, sottrarsi al Consiglio di Stato; ma v’è un gruppo di controversie, quelle di pubblico impiego, che per la inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la prevalenza delle prime, debbono restare al Consiglio di Stato; ed allora bisogna, come fa l’onorevole Grassi e come propone il nuovo testo del Comitato, aggiungere la competenza del Consiglio di Stato per i diritti soggettivi, nelle materie particolari specificamente indicate dalla legge. Quanto alla Corte dei conti, il nucleo e la fonte delle sue funzioni giurisdizionali sono le questioni attinenti alla contabilità pubblica; cui si ha da aggiungere, e così fa l’articolo, le materie che la legge stabilisce per la connessione alla competenza speciale della Corte dei conti.

Credo che su quanto sopra si raggiunga il consenso di tutta l’Assemblea. Divergenze vi potranno essere per i tribunali militari. La Commissione dei Settantacinque li aveva, a maggioranza, ammessi soltanto in tempo di guerra, si sono qui sollevate molte voci per ammetterli anche in tempo di pace. Il Comitato di redazione non è concorde; prevale però la tendenza nel nuovo senso. Si è ad ogni modo ritenuta la necessità di ammettere tribunali in tempo di pace, con la indicazione di due limitazioni; una obiettiva, che si tratta di reati propriamente militari, ed una soggettiva, che siano commessi da appartenenti alle Forze armate. È la formula, che, nelle mie consultazioni, ha avuto l’assenso dei penalisti competenti di questa Assemblea; spetterà ai Codici ed alle leggi di attuarlo in modo concreto.

Ho finito: resta l’ultimo comma dell’articolo, nel quale il testo dei Settantacinque chiedeva che per le norme sull’ordinamento giudiziario e nelle altre magistrature fosse necessaria una legge con un quorum speciale di approvazione. Più di una voce ha chiesto, nel dibattito, che si tolga questa condizione; ed il Comitato aderisce. Ciò anche in relazione ad un orientamento generale in tema di leggi costituzionali. Nella gerarchia delle norme, cui ho più volte accennato, vengono in prima linea la Costituzione e le leggi costituzionali, che richiederanno, per essere rivedute, lo stesso procedimento che richiede la Costituzione. Non sembra necessario creare una categoria di leggi intermedie che, per l’approvazione e la revisione, richiedano un altro metodo e un quorum speciale; tanto più che di fatto quelle leggi si sarebbero ridotte al caso qui considerato. Si è modificato l’ultimo comma nel senso che, se per l’ordinamento giudiziario e le norme sulle altre magistrature basterà una legge ordinaria, la disposizione potrebbe sembrare inutile; ma si vuole chiarir bene che non basteranno decreti di organizzazione.

Debbo ancora una risposta all’onorevole Ghidini per la questione degli arbitrati. Vi sono commissioni e collegi arbitrali, che costituiscono vere e proprie giurisdizioni speciali; ne seguiranno le sorti, nel nuovo orientamento, che non esclude la partecipazione, anche paritetica, di rappresentanti delle parti nelle sezioni specializzate. Vi sono poi tutti gli arbitrati in materia civile, che si formano per volontà delle parti, e si basano su loro facoltà e sul loro diritto, che non può essere disconosciuto; né ciò vien meno, in quanto le decisioni sono rese esecutive dal Pretore, e possono poi entrare nella via dei ricorsi giudiziari. Posso assicurare l’onorevole Ghidini che nel formulare il suo nuovo testo il Comitato intende che l’istituto degli arbitrati sia perfettamente rispettato.

Ritornando a quanto dicevo prima, credo che la soluzione da noi proposta, raccogliendo la confluenza dei vari emendamenti presentati, risponda veramente alle esigenze della giustizia nell’interesse dei cittadini. Fra i due estremi, di una indulgenza alla creazione di giurisdizioni speciali e di una assoluta ed immediata unificazione, che sarebbe riuscita astratta e perturbatrice, la Costituente sceglie la via giusta, la via della concretezza, e si orienta, nel modo più efficace che è possibile, con una riforma che non ha riscontri in altri paesi, verso la razionale unità della giurisdizione. (Approvazioni).

PERSICO. Chiedo di parlare sull’articolo 95 proposto dalla Commissione in quanto desidero presentare un emendamento.

PRESIDENTE. Lei sa, onorevole Persico, che doveva presentarlo prima che parlasse il Relatore.

PERSICO. Ma la Commissione ha proposto un nuovo testo.

PRESIDENTE. Il testo proposto dalla Commissione è stato illustrato dall’onorevole Leone Giovanni e dopo mezz’ora ha parlato anche l’onorevole Ghidini. Quindi lei, onorevole Persico, ha avuto tutto il tempo per presentare nuove proposte di emendamento. Con questo non intendo togliere la possibilità di un nuovo contributo alla discussione; ma vorrei che gli onorevoli colleghi si abituassero ad attenersi al Regolamento.

PERSICO. Desidero dare soltanto lettura dell’emendamento che propongo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Lascio intatto tutto il sistema qual è proposto dalla Commissione, che trovo perfettamente redatto, talché risponde alla volontà della maggioranza dell’Assemblea; solo al penultimo comma farei una piccola modifica: «I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalle leggi. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate». È lo stesso testo della Commissione, ma, secondo me, più preciso.

PRESIDENTE. In sede di coordinamento si potrà tener conto di tutte queste modifiche.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Prego i presentatori degli emendamenti svolti, dopo udite le dichiarazioni del Presidente della Commissione, di dichiarare se li mantengono.

Onorevole Carboni Angelo, mantiene il suo emendamento?

CARBONI ANGELO. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini non ho più bisogno di conservare il mio emendamento, almeno per quello che riguarda la unicità della giurisdizione, la soppressione delle giurisdizioni speciali e la facoltà della partecipazione di elementi popolari negli organi giudiziari ordinari. Rinuncerei completamente al mio emendamento, se non fossi in dissenso con la Commissione relativamente ai tribunali militari. Nel mio emendamento, aderendo alla proposta fatta dalla Commissione nel testo primitivo, in cui si prevedeva la possibilità dell’istituzione dei tribunali militari solo in tempo di guerra, io avevo enunciato…

PRESIDENTE. Mi perdoni! Mi dica soltanto quale parte del suo emendamento intende conservare.

CARBONI ANGELO. Mantengo del mio emendamento soltanto il terzo comma. Per il resto aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Monticelli non è presente, il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Aderisco alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Debbo esprimere la mia perplessità. Avevo detto, nel mio precedente intervento, che avrei consentito, per giungere ad una maggiore semplificazione di lavoro, di aderire al testo proposto dall’onorevole Conti, accettato dalla Commissione. Senonché, pur notando le gravi incongruenze ed inesattezze tecniche contenute nel testo medesimo, debbo dichiarare che il recente intervento dell’onorevole Ruini mi fa cambiare opinione.

PRESIDENTE. Se lei conserva il suo emendamento non ha più diritto di parlare.

MORTATI. Vorrei pregare l’onorevole Ruini di chiarire il suo pensiero, perché ho inteso – e spero di aver inteso male – che egli interpreta il terzo ed il quarto comma dell’emendamento dell’onorevole Conti nel senso che con esso si siano voluti limitare al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti gli organi di giurisdizione amministrativa, mentre io interpreto il testo diversamente, nel senso cioè che con la dizione di «organi di giustizia amministrativa», sia possibile mantenere tutte le giurisdizioni speciali esistenti, perché questa è l’interpretazione che si dà comunemente alla frase; così si verrebbe – come io credo opportuno – ad affidare al futuro legislatore di precisare gli organi da conservare e quelli da sopprimere. Se questa è l’interpretazione da dare a questa dizione, io l’accetto e ritiro il mio emendamento. Se si dovesse invece adottare la tesi dell’onorevole Ruini, per cui questa dizione implica conservazione del solo Consiglio di Stato, insisterei nel mio emendamento. Ritengo che in una materia così delicata, quale quella riguardante la tutela degli interessi dei cittadini di fronte all’amministrazione, non si possa votare senza una chiarificazione del significato da attribuire alla norma proposta.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dicendo: «organi di giustizia amministrativa», abbiamo inteso dire organi locali: istituiremo, ad esempio, dei Consigli regionali di giustizia amministrativa. Questo è il nostro intendimento. Di queste giurisdizioni speciali ce ne sono moltissime di indole civile e non amministrativa. L’intento della Commissione è questo: non dobbiamo cambiar nulla, non si devono moltiplicare le giurisdizioni speciali amministrative o crearne delle nuove, e che si cerchi per quanto è possibile di ridurle a sezioni specializzate della Magistratura ordinaria. Il senso mio è chiaro. Se ella vuol conservare il suo emendamento, pregherò l’Assemblea di votare contro.

MORTATI. Conservo il mio emendamento sostitutivo dei commi terzo e quarto dell’emendamento Conti.

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Gli emendamenti da me proposti sono stati tutti trasferiti o concettualmente o letteralmente addirittura, nel nuovo testo della Commissione; quindi, non occorrerà sottoporli a votazione. Insisto per altro perché, invece della locuzione «funzione giurisdizionale», sia usata quella di «giurisdizione». Vorrei poi permettermi un’osservazione relativa alla assunzione di cittadini esperti nelle sezioni specializzate presso i Tribunali e le Corti di merito. Il collega Ghidini ha osservato che meglio sarebbe potersi servire ancora dell’istituto della perizia giudiziale, invece che introdurre l’esperto in seno a queste sezioni specializzate. A me pare che nessuno abbia detto che l’uso della perizia giudiziale debba essere avanti a queste sezioni soppresso. E penso che la guida dell’esperto possa riuscire sempre utile al Collegio nella valutazione delle perizie, siano giudiziali, siano di parte; e che proprio essa possa rendere operante il principio che il giudice è il perito dei periti…

GHIDINI. Non ho detto questo.

NOBILI TITO ORO. Ho già risposto e confermo l’adesione al nuovo testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Cairo, mantiene il suo emendamento?

CAIRO. Lo ritiro dopo l’esposizione dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Aderisco alla formulazione dell’articolo adottato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Abozzi, mantiene il suo emendamento?

ABOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Caccuri, mantiene i suoi emendamenti?

CACCURI. Aderisco pienamente alla formulazione della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Costa, mantiene i suoi emendamenti?

COSTA. La Commissione li ha accettati. Quindi, li ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Grassi, mantiene i suoi emendamenti?

GRASSI. Dopo la dichiarazione dell’onorevole Ruini di accettare, in gran parte, i miei emendamenti, accetto la formulazione della Commissione. Soltanto vorrei che l’onorevole Ruini accettasse di togliere da questo articolo la parte che si riferisce alla Corte dei conti e al Consiglio di Stato, facendo un articolo a sé e precisando le linee fondamentali delle materie spettanti a queste due giurisdizioni speciali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accolgo la proposta dell’onorevole Grassi. Evidentemente, nell’ordinamento finale, sarà specificato.

PRESIDENTE. Onorevole Sapienza, mantiene i suoi emendamenti?

SAPIENZA. Li ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, mantiene i suoi emendamenti?

ADONNINO. Insisto solo sulla ledera c) del mio emendamento al secondo comma, che riguarda le giurisdizioni fiscali.

PRESIDENTE. Bisognerebbe però che lei ci indicasse in qual modo inserire questo piccolo brano avulso dal suo emendamento nel testo della Commissione.

Non essendo presente l’onorevole Perrone Capano, si intende che i suoi emendamenti siano decaduti. Onorevole Scalfaro, mantiene il suo emendamento?

SCALFARO. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Varvaro, mantiene il suo emendamento?

VARVARO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Cortese il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Castiglia, mantiene i suoi emendamenti?

CASTIGLIA. Aderisco al testo della Commissione e quindi li ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Ghidini, mantiene il suo emendamento?

GHIDINI. Rinuncio al secondo emendamento per quanto si riferisce alle unità mobilitate, e conservo il primo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Rescigno, mantiene il suo emendamento?

RESCIGNO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Merlin Umberto, il suo emendamento s’intende decaduto.

Non essendo presente l’onorevole Bellavista il suo emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Mastino Gesumino, mantiene il suo emendamento?

MASTINO GESUMINO. Lo ritiro e aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Bettiol è assorbito dal nuovo testo.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che faccio mio l’emendamento dell’onorevole Bettiol che si riferisce ai tribunali militari.

PRESIDENTE. Onorevole Gasparotto, mantiene il suo emendamento?

GASPAROTTO. Lo ritiro e aderisco al testo della Commissione secondo la formulazione dell’onorevole Conti e mi associo alla modificazione proposta dall’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli, mantiene il suo emendamento?

GABRIELI. L’onorevole Ruini ha riconosciuto che i tribunali del tempo di guerra presuppongono i tribunali del tempo di pace, e mi sembra, quindi, che non si può usare la dizione «possono»; aderisco, quindi, all’emendamento dell’onorevole Persico, ritirando il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE, Passiamo ora all’emendamento presentato dagli onorevoli Conti, Reale Vito, Bettiol, Perassi, Fabbri, che la Commissione ha fatto proprio.

Procediamo alla votazione del primo comma:

«La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario».

A questo comma è stato presentato un emendamento sostitutivo dall’onorevole Abozzi, del seguente tenore:

«La funzione giurisdizionale in materia civile e penale è attribuita ai magistrati ordinari.

«La Corte di cassazione è eletta dai magistrati. I magistrati sono nominati dalla Corte di cassazione.

«La legge determina le modalità della elezione e delle nomine».

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma del testo Conti:

«La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma:

«Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla Magistratura».

A questo proposito vi è l’emendamento dell’onorevole Ghidini:

«Sopprimere le parole: con la partecipazione anche di cittadini idonei estranei alla Magistratura».

GHIDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Vorrei che questo comma fosse votato per divisione.

PRESIDENTE. Accolgo la richiesta: porremo, quindi, in votazione prima la parte accettata anche dell’onorevole Ghidini e poi l’inciso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare osservare che, se si toglie la possibilità di questi elementi estranei, cosa sarebbero le sezioni specializzate? Votata la prima parte si deve approvare per forza anche la seconda.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del secondo comma:

«Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinato materie».

(È approvato).

Pongo ora in votazione la seconda parte, della quale l’onorevole Ghidini propone la soppressione:

«anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla Magistratura».

(È approvata).

Passiamo al terzo e quarto comma.

«Il Consiglio di Stato e gli organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi, ed anche per la tutela di diritti soggettivi nelle particolari materie determinate dalla legge.

La Corte dei conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica ed in altre materie specialmente indicate dalla legge».

Questi due commi, verranno, nella suddivisione della materia dell’intera Costituzione, a costituire un altro articolo. L’onorevole Mortati ha mantenuto un suo emendamento sostitutivo di questi due commi: «Nelle controversie in cui l’Amministrazione intervenga come parte, per la tutela del pubblico interesse, la legge potrà attribuire la funzione giurisdizionale ad organi giudiziari speciali».

Pongo in votazione questo emendamento.

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione del terzo e quarto comma nel testo Conti accettato dalla Commissione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che voterò a favore, ma con l’intesa che l’espressione «interessi legittimi» non escluda anche quelli legittimamente protetti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione i due commi testé letti.

(Sono approvati).

Dobbiamo ora porre in votazione la lettera c) dell’emendamento dell’onorevole Adonnino:

«c) le giurisdizioni fiscali, per la materia tributaria, in tre soli gradi, nelle forme che saranno stabilite dalla legge».

ADONNINO. La ritiro.

PRESIDENTE. E allora passiamo al comma successivo:

«I tribunali militari sono istituiti in tempo di guerra. Possono istituirsi in tempo di pace per reati militari commessi da appartenenti alle forze armate».

A questo comma sono stati presentati degli emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Carboni Angelo, il quale propone la seguente formula sostitutiva:

«In tempo di guerra possono istituirsi tribunali militari».

Poiché è questa la formula che più si distacca dal testo della Commissione, dovremo votarla per prima.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Desidererei, onorevole Presidente, che lei chiarisse la portata di questa votazione giacché, se non erro, l’emendamento dell’onorevole Carboni, se fosse accolto, comporterebbe l’impossibilità di istituire tribunali militari in tempo di pace. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desideravo dire che noi non abbiamo difficoltà ad accogliere la proposta dell’onorevole Persico. Dove mi pare, invece, che si tratti di un terreno sul quale non possiamo camminare è nella proposta dell’onorevole Bettiol fatta propria dall’onorevole Codacci Pisanelli, che sarebbe, a parer mio, controproducente, perché in tempo di guerra i tribunali militari dovrebbero giudicare i reati strettamente militari.

PRESIDENTE. Pongo, pertanto, in votazione l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Carboni Angelo:

«In tempo di guerra possono istituirsi tribunali militari».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Bettiol, fatto proprio dall’onorevole Codacci Pisanelli di cui do ancora lettura:

«Ai tribunali militari spetta la giurisdizione sui reati militari tanto in tempo di guerra che in quello di pace».

(Non è approvato).

Passiamo ora alla formulazione dell’onorevole Persico, accettata dalla Commissione.

«I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate».

VARVARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VARVARO. Chiedo che questa formulazione sia votata per divisione, cioè sia posto innanzitutto in votazione il primo periodo e poi il secondo.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo, pertanto, in votazione il primo periodo della formulazione dell’onorevole Persico:

«I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo periodo:

«In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Vi sono adesso due emendamenti aggiuntivi proposti l’uno dall’onorevole Mortati, l’altro dall’onorevole Leone Giovanni. L’onorevole Leone Giovanni propone:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici del pubblico ministero militari di fronte al Governo».

L’onorevole Mortati propone:

«La legge che stabilisce giurisdizioni speciali determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici che le compongono».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Ritiro il mio emendamento, aderendo a quello dell’onorevole Mortati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La formula dell’onorevole Mortati meriterebbe esame; e cioè che la legge che stabilisce giurisdizioni speciali determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici che le compongono.

Ma intendiamoci: noi abbiamo ammesso che giurisdizioni speciali non ve ne saranno più. Lo ripeto ancora una volta, e perché non sorga equivoco, dichiaro che nel testo ora approvato, quando si parla, dopo «il Consiglio di Stato» di «altri organi di giustizia amministrativa», il Comitato intende riferirsi agli organi periferici, correlativi al Consiglio di Stato, e che potranno foggiarsi in modo diverso per le Regioni. Si potrà chiarire meglio ciò in sede di revisione e di coordinamento, nel testo definitivo, perché risulti più evidente ciò che l’Assemblea vuole: che tranne siffatti organi non ne potranno sorgere altri, completamente nuovi, ma si dovrà, se occorre, seguire la via delle sezioni specializzate presso gli organi giudiziari.

Ciò premesso, e tornando all’emendamento aggiuntivo Mortati, trovo giustissimo che la legge assicuri l’indipendenza anche dei membri delle sezioni specializzate, dei tribunali militari, e così via; ma non credo opportuna la dizione proposta, che accentua l’espressione e la figura delle giurisdizioni speciali. Il Comitato troverà una formula più adatta e più rispondente al nostro pensiero.

PRESIDENTE. Onorevole Leone, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, quale decisione adotta?

LEONE GIOVANNI. Aspetto la risposta dell’onorevole Mortati. Se l’onorevole Mortati ritirasse il suo emendamento insisterei nel mio, salvo poi a coordinarlo con altre eventuali norme analoghe.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Si perpetua l’equivoco denunciato poco fa.

L’onorevole Ruini dice che non vi devono essere più giurisdizioni speciali. Io trovo che quando si fa riferimento ad organi di giustizia amministrativa diversi dal Consiglio di Stato, e fra questi sono da considerare per lo meno la Giunta, provinciale amministrativa e suppongo anche il Consiglio di prefettura, quando si è di fronte ad una disposizione così chiara sorge il problema del modo di garantire per questi giudici speciali l’imparziale esercizio delle loro funzioni. Quindi, non mi pare che le obiezioni dell’onorevole Ruini siano esatte. Occorre una disposizione che garantisca a questi giudici, che sono mantenuti e non soppressi, garanzie analoghe a quelle stabilite per i giudici ordinari.

CALAMANDREI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALAMANDREI. Vorrei chiedere un chiarimento sulla formula in relazione a quanto ha detto il collega Mortati. Vi sono delle giurisdizioni speciali che rimangono, cioè il Consiglio di Stato e la Corte dei conti.

PRESIDENTE. A questo è stato già provveduto.

CALAMANDREI. Vorrei sapere come è stato provveduto a garantire che si introducano regole di indipendenza simili a quelle che si assicurano alla Magistratura ordinaria.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per il Consiglio di Stato e la Corte di conti abbiamo in un altro articolo stabilito che la legge garantisce l’indipendenza degl’istituti e dei loro componenti di fronte al potere esecutivo. Si potrà, nella revisione, trasferire la disposizione, invece, in questo articolo.

Ripeto poi all’onorevole Mortati che accettiamo il suo concetto, e ci riserviamo di darvi espressione, come non è possibile fare qui subito, su due piedi.

NOBILI TITO ORO. Si voti il concetto.

PRESIDENTE. Non si possono votare dei concetti.

All’onorevole Calamandrei faccio presente che se leggo l’articolo 93, già votato dall’Assemblea, troverà sodisfatte le sue esigenze. L’ultimo comma infatti dice:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza, degli istituti suddetti e dei loro componenti di fronte al Governo».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. In relazione a quanto suggeriva l’onorevole Ruini io penso che si possa rinviare l’esame della norma proposta fino a quando il Comitato di redazione non l’abbia esaminata. Si potrebbe, pertanto, rinviarne la discussione all’articolo 97, che riguarda appunto le garanzie e l’indipendenza della Magistratura.

PRESIDENTE. Sta bene. Pertanto la proposta dell’onorevole Mortati è rimessa al Comitato per una rielaborazione che sarà riportata al momento opportuno all’Assemblea.

Si deve, pertanto, votare la proposta dell’onorevole Leone Giovanni, il quale ha dichiarato di mantenerla, nel caso che l’onorevole Mortati non insistesse nella sua proposta, alla quale aveva aderito in linea principale.

Pongo in votazione la formulazione proposta dall’onorevole Leone Giovanni, testé letta.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo in votazione l’ultimo comma del testo proposto dagli onorevoli Conti e altri:

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni Magistratura sono stabilite con legge».

(È approvato).

L’articolo 95, pertanto, salvo coordinamento, risulta così approvato nel suo complesso:

«La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla Magistratura.

«Il Consiglio di Stato e gli organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi, ed anche per la tutela di diritti soggettivi nelle particolari materie determinate dalla legge.

«La Corte dei conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica ed in altre materie specialmente indicate dalla legge.

«I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate.

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei giudici e del pubblico ministero militari di fronte al governo.

«Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge».

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle ore 16.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, sui fatti di violenza comunista di Caltanissetta e sulle misure adottate per prevenire la minaccia di «più gravi pericoli» che incomberebbero sulla Sicilia, formulata dall’esponente comunista signor Gino Cortese, consigliere regionale dell’Assemblea siciliana.

«Castiglia».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se il Governo non creda giunto il momento per adottare in Puglia misure eccezionali in difesa dell’ordine costituito e dell’incolumità personale dei cittadini, in considerazione che:

la situazione dell’ordine pubblico in Puglia sta diventando gravissima;

il numero dei morti e dei feriti cresce giornalmente per l’indeciso atteggiamento delle forze di polizia, le quali, intervenendo sempre con ritardo, non riescono a rappresentare più l’autorità dello Stato e a farla rispettare preventivamente;

gruppi sovversivi tengono ferma ogni attività produttiva, con incalcolabile danno all’economia del Paese e contro la volontà di lavoro delle popolazioni pugliesi;

il perdurare di un atteggiamento di protesta puramente platonico da parte del Governo costringerà i privati a provvedere alla difesa individuale, al di fuori degli ordinamenti costituiti.

«Cicerone».

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili della spedizione compiuta il 19 novembre a Cola di Vetto (Reggio Emilia) da elementi che, eccitati da un discorso del segretario dell’A.N.P.I., hanno perquisito case e persone, percosso a sangue due esponenti della Democrazia cristiana ed altri giovani, minacciando altri più gravi interventi e spargendo il terrore in quel pacifico paese.

«Marconi, Dossetti».

«Al Ministro dell’interno, sui dolorosi avvenimenti accaduti in Campi Salentina (Lecce) e sui provvedimenti che intende prendere per richiamare le autorità locali ad una più umana comprensione del contenuto delle agitazioni delle classi lavoratrici e per stroncare l’atteggiamento provocatorio delle classi padronali nel resistere alle richieste dei lavoratori.

«Stampacchia, Cacciatore».

«Ai Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per conoscere se, in vista del costante rifiuto degli istituti bancari e finanziari di concedere mutui per gli Istituti case popolari ed enti assimilati, nella misura pari alla concessione da parte del Ministero dei lavori pubblici, non ritengano opportuno, ad evitare l’arresto di ogni attività di ricostruzione edilizia popolare, di ripristinare le norme di cui al decreto legislativo 22 settembre 1945, n. 637, il quale prevede l’anticipo da parte dello Stato delle intere somme occorrenti, salvo il ricupero della metà nel giro di anni trenta senza interessi.

«In ogni caso, se non ritengano disporre perché la Cassa depositi e prestiti, nella sua specifica competenza, con provvedimenti di facile e sollecita attuazione, diventi l’ente mutuante.

«Cifaldi».

«Al Ministro dei trasporti, per conoscere a che punto si trovino le pratiche di riassunzione dei ferrovieri licenziati per ragioni politiche.

«Morini».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non si ritiene urgente:

  1. a) riformare tutte le norme in materia di risarcimento danni ai nostri connazionali d’Africa, eliminando il formalismo burocratico, introducendo criteri deduttivi e per quando l’importo delle liquidazioni al valore attuale della moneta;
  2. b) riorganizzare uffici e sistemi di lavoro, in modo da affiancare all’unica divisione che, guidata da un capo valoroso e preparato, attualmente funziona a costo di gravi sacrifici del personale e dei dirigenti, anche le altre tre divisioni oggi praticamente inattive.

«Morini»

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quale fondamento abbia e quali eventuali misure abbia provocato da parte del Governo la notizia, pubblicata dalla stampa e confermata da persone del luogo, circa la presenza e la diretta partecipazione di stranieri al comando delle squadre d’azione protagoniste delle attuali violazioni delle più fondamentali libertà in Puglia e nel Salento.

«Codacci Pisanelli, Regga».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i particolari dell’uccisione del sacerdote D. Leo di Bitonto ed i provvedimenti che il Governo intende adottare per fronteggiare la grave situazione di disordine verificatasi in Puglia e che si va estendendo anche alla Basilicata ed alla Calabria.

«De Maria».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della difesa, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per la sollecita liquidazione dei danni arrecati a cittadini italiani dalle forze alleate.

«Macrelli, Paolucci, Magrassi, Bernabei».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati contro i responsabili dei luttuosi incidenti di Corato, Gravina e Bitonto e quali misure intende adottare per fronteggiare l’imperversare delle violenze in terra di Bari.

«Caccuri».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i particolari sui fatti di sangue di Campi Salentina e di Trepuzzi (Lecce).

«Gabrieli».

Il Ministro dell’interno ha fatto sapere che risponderà lunedì, in fine seduta, alle interrogazioni relative ai fatti avvenuti in Puglia.

Le altre interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, perché facciano sapere quando intendono rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle finanze, per conoscere i motivi i quali hanno determinato la concessione di facilitazioni sui diritti erariali sugli spettacoli alla Associazione cattolica lavoratori (ACLI), mentre analogo trattamento finora non è stato accordato, benché insistentemente richiesto, all’Ente nazionale assistenza lavoratori (ex dopolavoro), organismo apolitico ed anticonfessionale, il quale pure godeva di varie facilitazioni in passato.

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni per le quali ha concesso una riduzione del 50 per cento sul prezzo del biglietto ferroviario agli iscritti all’Azione cattolica, i quali viaggiano in comitiva, mentre un trattamento, quanto meno analogo, benché insistentemente richiesto, non è stato finora accordato agli inscritti all’Ente nazionale assistenza lavoratori (ENAL), organizzazione apolitica che, a prescindere dalla fede religiosa, racchiude un ingente numero di lavoratori, tenuto anche presente che l’ENAL è l’unico Ente nazionale di diritto pubblico.

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se e quali provvedimenti si siano presi per provvedere al pagamento dei danni di guerra per quanto riguarda in ispecie la perdita di effetti mobili, in quanto i danneggiati, dopo un primo acconto, da anni attendono di essere saldati sia pure in misura ora irrisoria, per il diminuito valore di acquisto della lira, tra la data della denunzia del danno ed il giorno d’oggi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tozzi Condivi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per i ferrovieri che hanno raggiunto il limite di età, in considerazione del fatto che le altre Amministrazioni statali hanno elevato il limite di età, mentre le ferrovie dello Stato non solo mantengono lo stesso limite ma sembra vogliano ridurlo, e come il Ministro intenda provvedere per il trattamento economico che verrà loro assegnato dopo aver raggiunto il limite di età. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zagari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici, delle finanze e della pubblica istruzione, per conoscere i motivi per i quali ancora non è stato provveduto in merito alla richiesta fatta a suo tempo, nei termini regolari, dal comune di Mantova, al fine di ottenere, ai sensi dell’articolo 14 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità, una proroga di anni cinque al termine assegnato dall’articolo 3 della legge 22 maggio 1939, n. 846, per l’esecuzione del piano di risanamento edilizio della città di Mantova. La cosa riveste carattere di particolare gravità per il comune di Mantova. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bianchi Bruno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non intenda promuovere un provvedimento legislativo per la convalida dei risultati degli esami di abilitazione all’insegnamento medio, svoltisi sotto l’impero della sedicente repubblica sociale italiana e attualmente considerati nulli, mentre hanno carattere di accertamenti esclusivamente tecnici, il cui valore è indipendente dal momento politico in cui siano stati compiuti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Geuna».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri del tesoro e della difesa, per sapere se non intendano riparare una grave ingiustizia esercitata fino ad oggi verso le famiglie di reduci deceduti per infermità contratta in prigionia. Esistono numerosi casi di militari morti di tubercolosi prima che il loro caso fosse vagliato dalla Commissione medica pelle pensioni di guerra, oppure prima che il Ministero del tesoro abbia liquidata la pensione diretta; in entrambi i casi il periodo di malattia, doloroso e costoso, non ha visto la corresponsione della dovuta pensione.

«Le cause dell’ingiustizia denunziata vanno ricercate nella lungaggine burocratica e nell’eccessivo lavoro al quale le Commissioni mediche sono sottoposte, ma le conseguenze non possono e non debbono ricadere sui famigliari dei reduci deceduti.

«Pertanto gli interroganti ritengono che anche per quei casi non vagliati dalla Commissione medica prima del decesso, debbasi stabilire la dipendenza della malattia e della invalidità da causa di servizio secondo il giudizio dei medici curanti.

«In numerosi casi, di cui gli interroganti hanno vagliato i decorsi clinici, non si può, per l’anzianità delle lesioni tubercolari, non ammettere l’insorgenza durante, o subito dopo, la prigionia.

«Va da sé che trattandosi di infermità mortali la categoria di pensione debba essere la prima.

«Gli interroganti chiedono che alla pensione indiretta si uniscano i ratei della pensione diretta, fino al giorno della morte dei reduci, a favore dei famigliari così duramente colpiti dalla guerra. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Cavallotti, Lozza».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e previdenza sociale e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere se non intendano provvedere immediatamente a promulgare il nuovo regolamento per salariati e stipendiati dei sanatori dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, regolamento elaborato da oltre un anno dall’apposita Commissione di studio, accettato dalla Direzione generale dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, ma non ancora in attuazione.

«È necessario, inoltre, provvedere all’imminente costituzione del Consiglio di amministrazione dell’Ente casa di cura di Vialba (Milano).

«Tali provvedimenti, insieme alla soluzione dell’ormai annoso problema dell’inquadramento dei medici, porranno fine alle agitazioni iniziate dai dipendenti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale su scala nazionale, agitazioni che, se pur ridotte ad una parziale astensione dal lavoro e coll’approvazione dei degenti, provocano ugualmente un ben comprensibile stato di disagio fra i ricoverati. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Cavallotti, Scotti Francesco, Lozza».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.5.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

  1. Discussione del disegno di legge:

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (11).

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 21 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 21 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegni di legge (Votazione segreta):

Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947.

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947.

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Presidente

Castiglia

Russo Perez

Colitto

Carpano Maglioli

Zanardi

Coppa

Laconi

Crispo

Dominedò

Benedettini

Bettiol, Relatore

Caldera

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Cianca

Cevolotto

Votazioni segrete:

Presidente

Risultato delle votazioni segrete:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Tambroni.

(È concesso).

Votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge: Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947.

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947.

Indico la votazione segreta, avvertendo che le urne rimarranno aperte.

(Segue la votazione).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10)

La seduta di ieri mattina fu interrotta perché, dalla votazione per appello nominale sull’ordine del giorno presentato dall’onorevole Benedettini, risultò la mancanza del numero legale. Si tratta quindi di riprendere i nostri lavori al punto in cui sono rimasti interrotti, e cioè occorre ripetere la votazione sull’ordine del giorno Benedettini. Desidererei interpellare i firmatari della richiesta di appello nominale perché dicano se essi la mantengono .

L’onorevole Benedettini, che era primo firmatario, non è presente. Anche l’onorevole Puoti non è presente.

L’onorevole Castiglia mantiene la richiesta?

CASTIGLIA. Non insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora pongo in votazione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Benedettini:

«L’Assemblea Costituente,

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo 1947 e la relazione della Sottocommissione,

considerato che tale disegno di legge non risponde né alle necessità dei tempi, né al mutato clima morale e politico del Paese,

affermato che, per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del Trattato di pace, basta il Codice penale ordinario e non occorrono leggi eccezionali,

respinge il disegnò di legge e passa all’ordine del giorno».

(Non è approvato).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

«Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947»;

«Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947».

Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione sul disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora procedere alla votazione a scrutinio segreto dell’ordine del giorno degli onorevoli Condorelli, Corbino, Perrone Capano, Lucifero di cui do lettura:

«L’Assemblea Costituente,

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo 1947 e la relazione della Sottocommissione,

affermato che, per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del «Trattato di pace» ed efficace tutela all’ordine pubblico interno, basta inserire le opportune modifiche, aggiunte od inasprimenti di sanzioni nel Codice penale ordinario, e non occorrono leggi eccezionali,

rimanda il disegno di legge alla Sottocommissione, dandole mandato di rielaborarlo secondo le direttive su indicate».

Su questo ordine del giorno era stata chiesta ieri la votazione per appello nominale dagli onorevoli Perrone Capano, Colitto, Patrissi, De Falco, Castiglia, Russo Perez, Penna Ottavia, Patricolo, Mazza, Marina, Perugi, Benedettini, Condorelli, Puoti, Bonino. Ora gli onorevoli Condorelli, Martino, Perrone Capano, Colitto, Rodi, De Falco, Tumminelli, Russo Perez, Benedettini, Abozzi, Quintieri Quinto, Mazza, Castiglia, Rodinò Mario, Penna Ottavia, Puoti, Bencivenga, Patricolo, Belotti e Bonino, hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo pertanto alla votazione segreta sull’ordine del giorno Condorelli.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato delle votazioni segrete.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta sull’ordine del giorno Condorelli:

Presenti                               365

Votanti                                364

Astenuti                               1

Maggioranza           183

Voti favorevoli        73

Voti contrari            291

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Aldisio – Amadei – Arata – Arcangeli – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bolognesi – Bonfantini – Bonino – Bonomelli – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corbi – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa:– Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Merlin Umberto – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Paratore – Pat – Patrissi – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Quinto.

Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rivera – Romano – Romita – Rossi Giuseppe – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Targetti – Tega – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Volpe.

Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Arcaini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Vischioni.

Comunico il risultato delle votazioni a scrutinio segreto sui due disegni di legge:

«Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947»:

Presenti                               314

Votanti                                312

Astenuti                               2

Maggioranza           157

Voti favorevoli        305

Voti contrari            7

(L’Assemblea approva).

«Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947»:

Presenti                               314

Votanti                                312

Astenuti                              2

Maggioranza           157

Voti favorevoli        303

Voti contrari            9

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alle votazioni:

Abozzi – Alberganti – Alberti – Aldisio – Amadei – Arata – Arcangeli – Azzi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Bartalini – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bettiol – Bianchi Bianca – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonfantini – Bonino – Bonomelli – Borsellini – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Candela –.Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caristia – Caroleo – Carpano Maglioli – Cartia – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Aragona. – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Facchinetti – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Foresi – Fornara –Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrini – Mancini – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Marina Mario – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Merighi – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Pat – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rodi – Romano – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stella – Sullo Fiorentino.

Targetti – Tega – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tosi – Tozzi Condivi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Volpe.

Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Barontini Ilio.

Maltagliati.

Sono in congedo:

Arcaini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Vischioni.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. Passiamo all’esame degli articoli, che avverrà sul testo della Commissione.

Si dia lettura dell’articolo 1.

DE VITA, Segretario, legge:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista, rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da due a venti anni.

«Chiunque vi aderisce è punito con la reclusione sino a tre anni».

PRESIDENTE. È stato presentato dall’onorevole Crispo, che lo ha già svolto, il seguente emendamento, che reca anche le firme degli onorevoli Perrone Capano, Villabruna, Bozzi, Rubilli, Ciampitti e Costantini:

Articoli 1 e 1-bis.

Sostituirli col seguente:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, ovvero associazioni o partiti col fine di mutare la Costituzione della Repubblica o la forma del Governo costituzionale parlamentare, o di sopprimere o menomare le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, con mezzi violenti o comunque non consentiti dall’ordinamento costituzionale, è punito con la reclusione da due a venti anni.

«Chiunque vi partecipa è punito con la reclusione fino a tre anni».

L’onorevole Russo Perez ha presentato

il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Chiunque promuova la costituzione di partiti, associazioni o movimenti che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’uso della violenza fisica o morale, rappresentino un pericolo per le libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da due a venti anni».

Ha facoltà di svolgerlo.

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi, avete ascoltato dal collega Segretario qual è la formulazione dell’articolo 1 del disegno di legge presentato dalla Commissione.

Il mio emendamento lascia quasi intatta la seconda parte del primo comma, ma sopprime quelle parole in cui si fa cenno del disciolto partito fascista. Io vorrei che si dicesse: «Chiunque promuove la costituzione di partiti, associazioni o movimenti che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’uso dalla violenza fisica o morale, rappresentino un pericolo per le libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da 2 a 20 anni». Desidero che si sopprima la prima parte, in cui si parla di fascismo, perché noi sappiamo che nelle leggi occorre introdurre dei termini i quali abbiano un chiaro e preciso significato, mentre la parola fascista non ha tale preciso significato. (Rumori a sinistra). Non ha un preciso significato. Infatti al Congresso della gioventù universitaria svoltosi a Praga, i congressisti di nove Nazioni discussero per quattro giorni e non seppero mettersi d’accordo sulla definizione del concetto di fascismo. Dirò ancora di più. Il dubbio sulla interpretazione di questa parola è reso più acuto dalla circostanza che, mentre essa ha un preciso significato storico, intendendosi per fascisti coloro i quali militarono nel partito fascista, il senso traslato è molto dubbio e quindi non si sa se la parola usata dal testo formulato dalla Commissione vada intesa nel senso storico od in quello traslato.

In fondo, voi volete alludere alle prepotenze del regime fascista e dei fascisti. Ora, le prepotenze non le inventarono i fascisti, ma sono proprie di altri partiti e di altra gente che non siede in questo settore dell’Assemblea. Sono proprie, per esempio, del regime franchista – e su questo spero siate tutti di accordo – del regime bolscevico, del regime nazista, dei giacobini: insomma è una parola equivoca. Tanto è vero che il bisogno di una precisazione è stato sentito anche dal legislatore. Due anni fa si parlava genericamente di «movimenti di tipo fascista». Ma le leggi posteriori hanno cercato di dare un preciso significato alla frase. Di queste leggi ve ne sono tre: quella del 26 aprile 1945, il Trattato di pace e, infine, la Costituzione da noi stessi approvata.

Nella legge del 26 aprile 1945, si dice: «Chiunque, sotto qualsiasi forma o denominazione, svolga attività fascista (e la legge chiarisce il concetto), impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti politici, ecc.».

Dunque, se siamo usciti dal vago e dal generico per andare nel preciso e nel determinato ed abbiamo in questa stessa disposizione di legge, che è stata progettata dalla Commissione, la definizione degli atti che costituiscono il reato che si vuole incriminare, perché dobbiamo tornare ancora alla frase generica, che ci porterebbe di nuovo in alto mare? Allora sarebbe evidente che c’è un secondo fine, cioè che ci si prefigge di colpire quella forma di attività criminosa, che mira a contrastare il libero esercizio dei diritti politici, soltanto se i criminali appartengano a un determinato partito, escludendo dalla sanzione altri, che commettessero uguali e più gravi delitti, ma appartenessero ad altri aggruppamenti politici.

L’inconveniente sarebbe gravissimo, e voi vorrete evitarlo approvando il mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Alle parole: sotto qualunque forma di partito o movimento, sostituire le altre: oppure la formazione di un partito o di un movimento; e sopprimere le parole: rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

«Subordinatamente, alla parola: rappresentando, sostituire: ove rappresentino».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Onorevoli colleghi, pochi rilievi bastano, a mio avviso, per dare ragione degli emendamenti da me proposti all’articolo 1° del disegno di legge in esame.

Non mi sembra dubbio che con la norma su cui dovete dare il vostro illuminato giudizio, si sia voluto prevedere e punire l’attività di chiunque si proponga la formazione, sotto qualsiasi nome, di un partito o di un movimento di carattere politico, militare o paramilitare, che miri alla soppressione o alla compressione dei diritti democratici. Il proposito dell’Assemblea è indubbiamente anche nel cuore di chiunque sia desideroso che la nuova Repubblica non sia comunque incrinata da mene antidemocratiche. L’Italia ha, d’altra parte, assunto di fronte agli Stati alleati, con l’articolo 17 del Trattato di pace, ricordato nella perspicua relazione al disegno di legge, il preciso impegno – dice l’articolo 17 – di non tollerare la ricostituzione nel suo territorio di organizzazioni aventi appunto un carattere militare o paramilitare ed il cui scopo sia quello di privare il popolo dei suoi diritti democratici.

L’articolo in esame, invece, secondo il mio modesto parere, non realizza in pieno, né quel proposito né siffatti obblighi. Non li realizza, perché prevede soltanto il fatto di chi promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ove, quindi, non si provi che fra il disciolto partito fascista e quello di cui si promuova la costituzione esista una continuità da un punto di vista vuoi obiettivo, vuoi subiettivo, la costituzione del partito o del movimento, anche se al massimo totalitario e antidemocratico, non darebbe vita ad un reato e, quindi, non sarebbe punibile.

L’articolo 1 del disegno di legge è redatto così: «Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità e metodi propri del disciolto partito fascista, è punito con la reclusione da due a venti anni». È necessario, dunque, che ci si trovi, perché del delitto in esame si possa parlare, di fronte a persona che promuova la costituzione di un partito o di un movimento che:

  1. a) abbia un’organizzazione interna militare o paramilitare;
  2. b) esalti o usi i mezzi (la minaccia o la violenza) che, come giustamente afferma il Relatore, il metodo democratico scarta;
  3. c) tenda alla negazione delle libertà democratiche.

Ma questo non basta. Io sottoscrivo pienamente quello che disse ieri, a proposito dei detti tre punti, l’amico onorevole Crispo. Ma, a parte ciò, poiché l’articolo incomincia con le parole «Chiunque promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista», è necessario altresì che la persona, della quale si tratta, si proponga la ricostituzione di quel particolare partito politico, avente una sua propria individualità, che fu il partito fascista.

Non si parla nell’articolo in esame di «costituzione», ma di «ricostituzione» di un partito o di un movimento, e non si parla di ricostituzione di un partito o di un movimento, che si possa qualificare fascista, ma di ricostituzione del disciolto partito fascista. Qui si tratta, ha detto ieri l’onorevole Marchesi, del partito fascista, che ha caratteri precisi ed inconfondibili con quelli di altri partiti.

Ed allora vi potrà essere chi promuova la costituzione di un partito e di un movimento che, per la sua organizzazione militare o paramilitare, per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista. Ma ciò non basterà, perché si possa dire il delitto integrato in tutti i suoi estremi. Lo sarà soltanto se si provi che egli si proponga la ricostituzione del disciolto partito fascista.

È una delicata, sottile indagine che all’uopo occorrerebbe compiere, se la norma fosse approvata così com’è redatta, perché bisognerebbe penetrare in fondo all’anima del soggetto attivo del reato per accertare se ebbe egli la intenzione di promuovere proprio la ricostituzione del disciolto partito fascista.

E così, ove vi fosse chi si proponesse di costituire un movimento od un partito, che sostenesse, per esempio, la tesi che il Governo legittimo può essere combattuto sul terreno parlamentare… fino ad un certo punto, od un partito, che, non avendo potuto ottenere il potere con mezzi legali, pensasse di passare all’impiego di mezzi violenti, non potrebbe, chi tale proponimento avesse, essere punito, a meno che non si provasse che chi promosse la formazione del partito o movimento aveva altresì l’intenzione di promuovere la ricostituzione del disciolto partito fascista, in modo da potersi, in definitiva, dire che fra il nuovo partito e il vecchio esista un vincolo subiettivo o obiettivo di continuità storica.

È perciò che io ho proposto che l’articolo sia diversamente redatto. Ove si accolga il mio emendamento, l’articolo suona così:

«Chiunque promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista oppure la formazione di un partito o di un movimento, che, per l’organizzazione militare o paramilitare, per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità proprie del disciolto partito fascista, è punito, ecc.».

Così si prevede da un lato la ricostituzione del disciolto partito fascista e dall’altro la costituzione di un partito o di un movimento, che a quello fascista si possa eguagliare per l’organizzazione interna, per i metodi di lotta e per le finalità da raggiungere. E così ogni dubbio viene ad essere eliminato.

La difesa dello Stato (ha detto opportunamente ieri l’onorevole Nitti) deve essere fatta non solamente in una direzione, ma in tutte le direzioni. L’articolo presenta anche un’altra anomalia, che, a mio avviso, deve essere eliminata. Vi è, ad un certo punto di esso, un gerundio, che non si comprende se sia l’inizio di un commento o piuttosto l’inizio di una proposizione condizionale. La norma, infatti, dopo aver proclamato che è punito in un certo modo chiunque promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista, agendo in un certo modo, contiene questa proposizione: «rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

«Rappresentando»: ecco il gerundio. Quale significato dobbiamo ora noi dire che abbia questo gerundio? Si vuole affermare con esso che l’organizzazione militare o paramilitare di un partito o di un movimento ed insieme l’esaltazione o l’uso dei mezzi violenti di lotta rappresentano «sempre» un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione? Se così è, quel «rappresentando» è evidentemente un commento al contenuto della proposizione precedente.

Si vuole, invece, affermare che l’organizzazione militare o para militare di un partito o di un movimento ed insieme l’esaltazione o l’uso dei mezzi violenti di lotta possono a volte sì ed a volte no rappresentare un attentato alle libertà democratiche? È evidente che, se così fosse, il delitto esisterebbe solo nel primo caso e non nel secondo. Ma allora bisognerebbe al gerundio sostituire le parole «ove rappresentino», mentre nel primo caso l’intera proposizione dovrebbe essere soppressa, ché la norma deve essere chiara e lapidaria e le glosse – e quella proposizione rappresenterebbe appunto una glossa – non costituiscono mai parte integrante delle leggi. Io so di parlare a delicati e sottili giuristi: ciò dà a me la certezza che la norma, non chiaramente redatta, sarà emendata così da presentare quel carattere di assoluta chiarezza e precisione, che postula sempre qualsiasi norma giuridica e soprattutto una norma di carattere penale. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Carpano Maglioli, Fogagnolo, Caldera, Vigna, Fedeli Aldo e Tomba, hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: paramilitare e per l’esaltazione, sostituire le parole: paramilitare o per l’esaltazione».

«Allo stesso comma sopprimere le parole: o metodi, e le parole: rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerli.

CARPANO MAGLIOLI. Onorevoli colleghi, gli emendamenti da me proposti a nome dei compagni del Gruppo parlamentare socialista non debbono significare e non significano altro se non un tentativo di chiarimento della nobile fatica per la formazione dell’articolo 1, sostenuta dalla Commissione alla quale siamo grati.

La Commissione ha effettivamente dimostrato – e lo chiarisce molto nobilmente la relazione dell’onorevole Bettiol – viva sensibilità non solo politica, ma anche giuridica, preoccupandosi di fissare con esattezza e precisione gli estremi di fatto necessari per incriminare l’attività fascista. E, per vero, questa incriminazione di attività fascista si presenta con carattere di urgenza e questo intervento legislativo è reclamato dall’opinione pubblica concorde.

L’opinione pubblica sente il pericolo che risorga il fascismo, nefasta dottrina politica durata nella sua pratica devastatrice un lungo ventennio – periodo di umiliazione e di mortificazione – che ci ha portato fino all’onta della sconfitta.

Questa legge che noi stiamo approvando non è se non la esatta attuazione del principio di cui all’articolo 13 della nostra Costituzione, e non tocca minimamente il concetto della libertà di associazione politica. Dice molto chiaramente l’articolo 13 della nostra Costituzione: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale».

Questa, intorno alla quale noi discutiamo, è la legge penale che vieterà risorga un’organizzazione contraria all’ordinamento repubblicano e democratico.

È tenendo presente questa nostra breve premessa, e allo scopo di chiarire ancora meglio il pensiero espresso nell’articolo 1 che noi proponiamo i nostri tre emendamenti.

Il primo emendamento riflette la sostituzione della parola «e» con la parola «o». Dice l’articolo 1:

«Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista…».

La congiunzione «e» pare che richieda, perché vi sia l’estremo di fatto per la punibilità della ricostituzione del disciolto partito fascista, ecc., il concorso anche dell’esaltazione del movimento fascista, degli usi di mezzi violenti ecc.

Ora, siccome si tratta, se non vado errato, di un delitto di mero pericolo, di un delitto formale, di norma diretta a prevenire il male, si vuole con questa disposizione evitare il pericolo del risorgere del fascismo, si vuole evitare che l’Italia sia di nuovo ricacciata nel gelo della dittatura e della violenza; è evidente – se questo è il pensiero – che non è possibile che non si rappresenti come forma vera e propria di reato turbativo dell’ordine pubblico, l’esaltazione dei metodi fascisti, della pratica fascista, della violenza fascista.

Quindi, per questa considerazione noi proponiamo, ripeto, sempre solo nel tentativo di chiarire il disposto di legge, il nostro emendamento (lontana da noi ogni intenzione o pensiero di critica alla vostra nobilissima fatica, della quale – ripeto – vi siamo sinceramente e profondamente grati). Ieri abbiamo ammirato, onorevole Bettiol, la vostra lucida risposta alle osservazioni fatte dagli avversari di questa legge, della quale si voleva impedire l’approvazione col pretesto che non era necessaria, perché alle esigenze di cui alla legge stessa, provvede il Codice penale. Certo si dimentica – e forse non a caso – che nel Codice penale vi è l’articolo 270, il quale non è certo rivolto contro i fascisti, ma concepito e scritto dai fascisti contro noi, contro la nostra parte; e di questo articolo 270 nessuno, nemmeno quelli che oggi si presentano e si camuffano quali vigili tutori delle libertà democratiche, rispettosi della legge, hanno pensato di proporne la cancellazione e l’abrogazione.

La disposizione di legge, della quale si discute, coll’articolo 1 vuole colpire una forma di reato, ripeto, di puro pericolo; ed anche per questa ragione pare a noi che il nostro emendamento, di sostituire cioè la particella disgiuntiva alla congiuntiva, sia veramente utile. Infatti a noi pare che l’esaltazione sia già una forma di reato, un tentativo di ricostituzione del movimento fascista. La disposizione contro questo pericolo per l’ordine pubblico, per l’ordinamento repubblicano, è reclamata dalla pubblica opinione espressa in questi giorni anche dalla Confederazione generale del lavoro, e sempre da tutti coloro i quali ricordano il tormento fascista e non vogliono ricadere in un regime così nefasto. Quindi noi confidiamo che questo emendamento possa avere la fortuna di essere accolto dalla stessa Commissione, così come non dubitano che possa essere accolto anche il secondo emendamento. Con questo noi proponiamo che sia soppressa più avanti – ove si legge: «l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista» – proponiamo, dicevo, che sia soppressa l’espressione «o metodi», per impedire pericoli di interpretazioni estensive, per impedire il pericolo di interpretazioni analogiche, per contenere gli estremi del reato nel campo della pura obiettività e non scendere nel campo delle forme opinabili e tali da dare luogo ad interpretazioni errate e discordanti, lontane dalla retta interpretazione della legge.

Riteniamo perciò, che sia sufficiente a rappresentare la figura di questo reato (che per me è gravissimo) la dizione «l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta persegua finalità proprie del disciolto partito fascista».

L’espressione «o metodi» – ripeto – è espressione lata, che consente interpretazioni estensive, contrarie al concetto della obiettività della norma penale, che, voi mi insegnate, non consente e non deve consentire interpretazioni estensive.

Infine, il terzo emendamento ripete quello già trattato dall’onorevole Colitto; ma, per me, trova fondamento in un altro motivo. Il gerundio: «rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione» rappresenta l’obietto della tutela penale. E la preoccupazione della Commissione, la quale ha voluto fissare in questa disposizione di legge quello che è l’obiettivo della tutela penale, cioè l’articolo 1, fondamento della legge repressiva dell’attività fascista, tende a tutelare le libertà democratiche, che trovano il loro fondamento legislativo nella Costituzione.

Ora, consentire che rimanga – nella formulazione di un articolo di legge che prevede ed esprime fatti come elementi di reato – anche l’indicazione dell’obietto della tutela penale, parmi che rappresenti pericolo di interpretazioni late. Quante tesi difensive si potranno costruire su questa dizione! Quanti tentativi di evasione al rigore della giustizia penale si possono cercare in questo inciso che mi pare perfettamente inutile (lo dico con profondo rispetto per i membri della Commissione), tanto da apparire una vera superfetazione! L’obietto della tutela penale non è necessario sia indicato nella disposizione penale. Voi insegnate a me, per esempio, che nei delitti contro la persona, l’obietto delle disposizioni penali è la tutela della persona, dell’integrità fisica della persona, e l’articolo 575 del Codice penale che punisce l’omicidio come reato dice: «chiunque cagiona la morte»; non dice: «determinando la soppressione dell’uomo, violazione dell’integrità della persona».

Per queste considerazioni noi confidiamo che anche questo terzo emendamento possa avere fortuna presso la Commissione e presso l’Assemblea, perché, come gli altri due – sento il dovere di ripetere – tende unicamente a chiarire la disposizione di legge penale e a formulare una disposizione chiara che non consenta dubbi interpretativi. Voi sapete come la legge sia fissa, come la legge sia sempre uguale a sé stessa, e sapete invece come non vi sia mai un fatto uguale all’altro e come quindi l’adattamento dei fatti alla legge sia non sempre agevole, ma è compito complesso e tale da offrire molte difficoltà.

Evidentemente se noi descriviamo nel disposto gli estremi costitutivi del reato con assoluta obiettività, tale da non consentire dubbiezze ed incertezze di interpretazione, noi certamente renderemo un servigio allo Stato offrendo una legge che sia, come vuole essere precipuamente questa, presidio della libertà, repressione del delitto, di difesa della nostra Costituzione, preoccupati di non vedere intaccato questo nostro nuovo ordinamento democratico repubblicano da coloro che già tanto male hanno fatto all’Italia, da coloro che hanno tratto questo nostro povero paese giù giù, in fondo all’abisso, sino alla vergogna della sconfitta. (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Zanardi, Momigliano, Costantini, Fornara, Giua, Canevari, Piemonte, Merighi, Tega e Bianchi Bianca hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere in fine, al primo comma: e alla confisca dei beni».

L’onorevole Zanardi ha facoltà di svolgerlo.

ZANARDI. Onorevoli colleghi, sono stato mosso a presentare questo emendamento da una esperienza personale che ho compiuto durante il periodo della liberazione e come socialista di antica scuola, della scuola di Turati e di Prampolini, stanco di avere vissuto metà della mia lunga esistenza fra odî, rancori e morti.

Durante i giorni della liberazione, nell’ormai dimenticato aprile 1945, io, che allora abitavo in un paese della Valle Padana, ho parlato al popolo dicendo che non si doveva più continuare a uccidere, ma che si dovevano espropriare coloro che si erano valsi del fascismo per arricchire e del mercato nero per portare ancora maggiori danni alle classi povere.

Il mio consiglio allora ottenne molti consensi. Ecco, dunque, la ragione della mia proposta di oggi, cioè io propongo che oltre le pene previste si stabilisca anche quella della confisca dei beni. Io ho aggiunto queste parole che sono semplici, ma che hanno tanta influenza sull’animo degli italiani, perché io so, dietro gli insegnamenti di Mazzini, che gli italiani sono disposti a fare sacrifici, ma non vogliono mai sborsare nessun quattrino. Ed allora, quando voi aggiungete all’articolo 1 quella semplice formula che io ho proposto, molti ci penseranno prima di aderire ai movimenti fascisti. Io non dico che tutti i fascisti sono delinquenti, ma sono sicuro che tutti i delinquenti sono fascisti. Ora, noi vogliamo impedire che si possano pagare questi delinquenti. Nelle scorse sedute si è prospettato, con accenti fieri e contrastanti, la risurrezione del fascismo attraverso il Movimento sociale italiano. Ora, per organizzare un partito e soprattutto per stampare giornali occorrono molti quattrini; di modo che quando vi è qualche condanna, gli stracci vanno all’aria e i delinquenti trionfano e sono assolti da quella Magistratura chiamata indipendente.

Io insisto quindi sopra questa proposta, e sono sicuro che allorquando la Camera vorrà approvare queste poche parole sole, molti si rifiuteranno di aiutare i movimenti clandestini, di dare quattrini ai giornali. Tante volte diciamo delle parolacce contro il Movimento italiano sociale, mentre invece con la legge e con l’intervento dello Stato possiamo impedire e impediremo indubbiamente che questi delinquenti siano pagati.

La mia proposta di aggiungere le parole «la confisca dei beni» all’articolo primo della legge oggi in discussione, risponde dunque ad un imperativo della mia coscienza e ad un dovere verso gli elettori; ricorderò che tutti i partiti rappresentanti di grandi masse popolari hanno promesso di colpire i fascisti ed i borsaneristi e dovrebbero con voto concorde accettare quanto ho proposto; una adesione alle ragioni morali e materiali da me modestamente esposte sarebbe accolta con entusiasmo da tutti gli uomini del lavoro; questi sanno che la vita è dura e difficile, che al periodo euforico delle vacche grasse sta succedendo un periodo di sacrifici.

Onorevoli colleghi, il proletariato italiano, potrà sopportare tutte le difficoltà che si prospettano con animo consapevole e sereno, purché giustizia sia fatta verso coloro, che hanno in passato o tentano di tradire per l’avvenire il Paese, che tutti diciamo di amare. (Applausi).

PRESIDENTE. È stato presentato il seguente emendamento all’articolo 1 dagli onorevoli Puoti, Coppa, Castiglia:

«Sopprimere il capoverso».

L’onorevole Coppa ha facoltà di svolgerlo.

COPPA. Sarebbe inutile svolgere questo emendamento dopo le dichiarazioni fatte in sede di dichiarazioni di voto, perché la soppressione è chiesta esclusivamente per l’indeterminatezza dell’espressione: «Chiunque vi aderisce». Questa indeterminatezza era messa in rapporto a quanto è espresso nella relazione dell’onorevole Bettiol, cioè la distinzione fatta dal relatore fra iscritto e aderente. Ora, se a questa frase si sostituisce una frase più precisa, come è fatto, per esempio, nell’emendamento presentato dall’onorevole Crispo, dove si dice: «Chiunque vi partecipa», che significa qualche cosa di più concreto e preciso, io non esiterei a ritirare la proposta di soppressione, sia per quel che riguarda il capoverso dell’articolo 1 che quello dell’articolo 1-bis.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dicevo poco fa che desidererei sottoporre alla Presidenza un dubbio circa la possibilità o meno di mettere in votazione gli emendamenti presentati dagli onorevoli Crispo, Russo Perez e Colitto. Il carattere distintivo di questi tre emendamenti nei confronti del testo della Commissione mi pare che consista nel fatto che in questi tre emendamenti viene tolto ogni riferimento al fascismo come fenomeno storicamente determinato e individuato. Anzi, esattamente, l’onorevole Colitto ritorna alla formula originaria proposta dalla Commissione; e gli onorevoli Russo Perez e Crispo introducono una formulazione nuova che ottiene lo stesso risultato di allargare in sostanza la portata della legge, estendendola non soltanto a quei movimenti che abbiano un riferimento storico preciso col partito fascista, bensì a qualsiasi altro movimento il quale adotti determinati metodi, abbia determinati caratteri e persegua determinati fini. Io vorrei far notare che su questa materia la Camera ha già discusso e adottato deliberazioni.

Esattamente, nella seduta del 22 maggio l’Assemblea Costituente, formulando l’articolo 47 del progetto di Costituzione, faceva una lunga discussione che concerneva il controllo sul carattere di democraticità interna, sui metodi e le finalità dei diversi partiti. In questa sede vennero presentati alcuni emendamenti.

Venne presentato inizialmente un emendamento da parte degli onorevoli Mortati e Ruggero così formulato: «Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si formino e concorrano, attraverso il metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale».

Un altro emendamento veniva presentato dall’onorevole Sullo: «Hanno diritto a riconoscimento giuridico tutti i partiti, democraticamente costituiti, mediante i quali i cittadini intendano, con il metodo della libertà, concorrere a determinare la politica del Paese». E finalmente un emendamento, che non a caso porta le firme degli onorevoli Colitto e Bellavista:

«Le leggi della Repubblica vietano la costituzione di partiti che abbiano come mira la instaurazione della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo sociale, o che organizzino formazioni militari o paramilitari».

A nome della Commissione si pronunziava su questi emendamenti il Relatore onorevole Merlin, il quale affermava di doverli respingere con questa motivazione: perché, come negli individui il delitto è punito quando si estrinsechi in atti concreti all’esterno e non si vanno a ricercare le intenzioni o a fare dei processi all’interno della mente di ogni individuo, così non è lecito dubitate, sospettare della vita dei partiti all’interno. Saranno colpiti e puniti se essi all’esterno compiranno degli atti contro le nostre istituzioni. Quindi non c’è bisogno di fissare questo principio. Se un partito si organizzerà militarmente, come prevede uno degli emendamenti, se un partito farà quello che prevede l’onorevole Bellavista o altro partito farà quello che ha preveduto l’onorevole Mastino, potrà cadere sotto le disposizioni del Codice penale ed essere sciolto di autorità dal Governo.

In seguito l’onorevole Mortati ritirava il suo emendamento e così pure l’onorevole Bellavista, il quale però faceva proprio l’emendamento Mortati. Venuti alla votazione, l’Assemblea respingeva gli emendamenti. Il che significava che in sostanza l’Assemblea escludeva per i partiti in genere un controllo da parte del Governo o da parte della Magistratura sui metodi di organizzazione interna e sulle finalità perseguite.

Ho motivo di ritenere che questa deliberazione da parte dell’Assemblea avesse una profonda ragione di essere, ragione che in sostanza veniva esposta nei diversi interventi fatti in quella occasione. L’Assemblea si preoccupava che una determinata maggioranza governativa potesse esercitare un controllo sopra i partiti di minoranza, controllo che venisse a ridurre quella libertà di organizzazione dei partiti sancita nell’articolo 13 della Costituzione.

Ciò significa che l’Assemblea ammette che i diversi partiti possano organizzarsi militarmente o perseguire metodi non democratici o possano violare le libertà sancite dalla Costituzione? Evidentemente no. L’onorevole Merlin come relatore parlava nel modo più chiaro. Diceva che l’Assemblea intende reprimere tutto questo, ma ai sensi dei Codici vigenti.

L’Assemblea faceva una sola eccezione per il caso previsto dalle norme transitorie, le quali stabiliscono un controllo su un solo tipo di partito, su quei partiti che costituiscono una riorganizzazione del partito fascista, cioè che abbiano legame storico col partito fascista. Mi pare che la ragione sia evidente: il fascismo, come fenomeno storicamente determinato ed individuato, ha dimostrato di uscire dai limiti e dalle regole della democrazia; è fenomeno verificatosi in Italia, che costituisce tuttora un pericolo.

Riassumendo, quindi, mi pare che l’atteggiamento dell’Assemblea tenda a stabilire che nessuna norma speciale può essere diretta contro i partiti in generale, nel loro complesso; ma che essi, come qualsiasi altra organizzazione, ricadono sotto la legislazione normale.

Epperò un indirizzo speciale dovrebbe essere adottato nei confronti del partito fascista, in quanto fenomeno storicamente determinato in Italia, del quale si sa quello che è e quello che vuole e di cui, per esperienza recente, intendiamo impedire qualunque forma di riorganizzazione.

Entro questo spirito è stata formulatala legge in esame, la quale ha infatti per oggetto il fascismo e si presenta come legge speciale diretta a reprimere le manifestazioni o le rinnovate manifestazioni di quel fenomeno storico ed individuato che noi chiamiamo fascismo. L’elemento che costituisce il carattere distintivo degli emendamenti presentati dagli onorevoli Crispo, Russo Perez e Colitto, devia completamente il significato e lo spirito generale della legge, la quale cesserebbe – qualora questi emendamenti venissero approvati – di essere una legge speciale, diretta contro il fascismo, fenomeno individuato storicamente, e diventerebbe una norma generale contrastante con la votazione dell’Assemblea a proposito dell’articolo 47 della Costituzione. Sottopongo tutte queste ragioni alla Presidenza, che penso possa essa stessa giudicare della correttezza delle mie osservazioni, perché consideri la possibilità di non mettere in votazione gli emendamenti presentati dai colleghi Crispo, Russo Perez e Colitto, in quanto è intervenuta la votazione preclusiva dell’Assemblea, in una precedente seduta sul tema della nuova Costituzione.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi! Evidentemente, dal punto di vista giuridico, la proposta del collega Laconi non si regge, perché non c’è identità di materia tra la deliberazione già avvenuta e quella che noi oggi chiediamo all’Assemblea.

Per quanto riguarda la sostanza, io desidero fare questa domanda all’onorevole Laconi: se delle persone, che siano storicamente legate al movimento fascista, facessero quegli atti raffigurati in questa legge, crede lei che noi non potremmo egualmente perseguirle, ove fosse approvato il mio emendamento? Questa è la domanda che io gli rivolgo.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, la pregiudiziale presentata dall’onorevole Laconi è evidentemente inammissibile giusta l’articolo 92 del Regolamento, il quale stabilisce: «A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l’ordine del giorno puro e semplice, né alcun altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall’articolo 89».

È evidente, per altro, che, se non possono presentarsi emendamenti estranei all’oggetto della discussione, qualunque emendamento che ad esso si riferisca, può essere inteso a restringere o allargare la portata della legge, o anche a modificarla sostanzialmente.

Nel merito, non posso, per verità, tacere la mia profonda sorpresa per la richiesta fatta dall’esponente di un partito che rivendica a sé il ruolo particolare di tutore delle libertà democratiche. Qual è lo spirito di questa legge? Innegabilmente, se essa è intesa alla difesa del regime repubblicano ed alla difesa delle libertà democratiche, consacrate nella Costituzione repubblicana, non si riesce a comprendere come e perché le norme di questa legge debbano essere circoscritte alla repressione di una forma storica di dispotismo, perché il fascismo non esaurisce il dispotismo e la dittatura. Il fascismo è un fenomeno particolare, è un aspetto storico del dispotismo. Potrei ricordare, a questo proposito, il cosiddetto «bonapartismo», ossia la instaurazione della tirannide per mezzo del plebiscito.

Se vogliamo, adunque, veramente difendere la Repubblica, la legge non può e non deve limitarsi alla repressione di un movimento ormai superato, che si ripresenta come un fantasma del passato, e che non può turbare la compagine democratica della nuova Italia. (Commenti a sinistra).

L’emendamento da me proposto è inteso, dunque, a reprimere non solo la ricostituzione del partito fascista, quale esso storicamente fu, e quale si sviluppò, ma anche qualunque altra forma di organizzazione, qualunque altra forma di associazione, atta a menomare o a sopprimere le libertà democratiche, perché qualunque partito sarebbe fuori della legge, se si proponesse di sopprimere o di menomare le libertà democratiche. (Applausi a destra). Non si potrebbero tollerare formazioni, le quali sotto altro nome o in qualunque forma, si proponessero le stesse finalità del partito fascista. (Applausi a destra – Interruzioni a sinistra).

Avete paura? (Accenna alla sinistra); siete preoccupati? (Rumori a sinistra).

Quando, dunque, nel mio emendamento si contempla non soltanto l’ipotesi della ricostituzione del disciolto partito fascista, come una forma storica di dispotismo, ma qualunque altra associazione o qualunque altra organizzazione intesa a mutare la Costituzione della Repubblica, io non riesco a intendere quale preoccupazione possa avere l’onorevole Laconi, e per lui il partito comunista, (Commenti a destra), di fronte ad una norma che vuole tutelare le libertà democratiche. (Applausi a destra – Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Lombardi Carlo e del deputato Benedettini).

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, io sono veramente lieto dall’intervento dell’onorevole Laconi, perché esso è servito a chiarire in modo indubbio l’importanza degli emendamenti da noi proposti. Egli ha dovuto finire col riconoscere che ben mi apponevo io, quando, dianzi, affermavo che in tanto la norma in esame può trovare applicazione, in quanto il nuovo partito o il nuovo movimento possa ricongiungersi al disciolto partito fascista con un vincolo di continuità storica.

Ove fra il vecchio ed il nuovo siffatto vincolo non esista e non si possa provare che esista, il delitto, che si vuole punire e gravemente punire, non si commetterebbe. Occorre, pertanto, chiarire e precisare. Si chiarirà e si preciserà adottandosi il mio emendamento. L’onorevole Laconi ha dichiarato che esiste una votazione precedente, la quale sarebbe preclusiva. Non mi sembra che questo possa veramente affermarsi, perché egli stesso ha già ricordato con chiarezza che in altra seduta l’Assemblea Costituente non ha voluto dettare una disciplina per l’interno dei partiti, ma ha detto a chiare note che, ove tali partiti si proponessero di svolgere all’esterno una determinata attività – dalla legge penale prevista e punita – quei partiti sarebbero rimasti soggetti alle disposizioni dettate in materia dal Codice penale. Ecco perché noi ritenevamo ieri che questa legge non occorre, perché c’è il Codice penale che ben prevede e ben provvede in materia; ma, poiché voi della sinistra siete stati di contrario avviso, ed avete sostenuto che una legge speciale occorre, è necessario ora che la scriviamo. E scriviamola in guisa che veramente la libertà e le istituzioni democratiche siano salve nei confronti di tutti. (Applausi a destra).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io vorrei soltanto chiarire il mio pensiero, perché mi sembra che si siano creati degli equivoci: anzitutto io non ho presentato formalmente una proposta preclusiva; ho soltanto sottoposto un dubbio alla Presidenza. Quindi gli entusiasmi dell’onorevole Crispo mi pare che siano assolutamente gratuiti.

Per quanto riguarda la sostanza della questione, io tendevo a mettere in rilievo una norma che mi pare sia stata approvata implicitamente attraverso la precedente votazione da tutta l’Assemblea. Si disse che i partiti sono sempre e soltanto soggetti ad una legge penale in genere. Una legge eccezionale noi l’abbiano contemplata unicamente par il fascismo, cioè di una eccezionalità, abbiamo parlato soltanto nei confronti del fascismo, e cioè per un pericolo in atto, appunto perché una legge speciale si fa sempre per venire incontro ad una situazione determinata nel Paese.

Quindi di una legge speciale può parlarsi soltanto nei riguardi di quel fenomeno che in Italia si chiama fascismo, e perciò in questa legge deve essere mantenuto quell’indirizzo e quella caratteristica a cui si è ispirata la Commissione, allorché ha elaborato il provvedimento, e cioè il carattere di una legge diretta contro il fascismo. Questo è il punto.

BENEDETTINI. I metodi del fascismo sono stati adottati però anche da altri partiti! (Commenti – Interruzioni).

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Io avevo chiesto la parola per oppormi alla domanda dell’onorevole Laconi, che pretenderebbe sbarrare la via al tentativo di introdurre anche un solo criterio di carattere normale nell’ambito di una legge eccezionale, avverso la quale già mi espressi alla Commissione dei Settantacinque e intendo qui ripetere la mia condanna pregiudiziale.

È da osservarsi infatti che, a rigore, la votazione dello scorso maggio sul controllo democratico dei partiti politici avrebbe, se mai, servito ad introdurre una norma costituzionale, e cioè un vincolo di ordine costituzionale in una data direzione, laddove il risultato della votazione forse stato positivo. Viceversa, non essendo allora stata approvata la norma proposta in sede costituzionale, evidentemente il problema è rimasto scoperto in sede legislativa, pur nello spirito di una Costituzione democratica, la quale esige che la libertà sia garantita con norme non eccezionali, bensì rivolte alla generalità dei cittadini.

Ma non credo di dover indugiare su ciò, ove l’onorevole Laconi, come sembra, acceda al criterio di trasformare la sua domanda pregiudiziale in un semplice quesito al Presidente, quesito che evidentemente non può ricevere se non risposta negativa.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il quesito è stato posto e occorre rispondervi. Mi pare che il richiamo fatto dall’onorevole Laconi ad una votazione precedente dell’Assemblea, non costituisca, in questo momento, un ostacolo o un ritardo a proseguire. L’Assemblea infatti, aveva votato in sede costituzionale e la Costituzione è, sì, un vincolo che chiamerei morale e politico per le Assemblee legislative e per questa Assemblea stessa quando delibera in sede legislativa; ma di per sé non rappresenta un meccanismo talmente perfetto di sicurezza, da garantire che nessuna legge abbia mai in sé qualche elemento di incostituzionalità.

La stessa discussione che è stata fatta nei giorni scorsi sulla necessità di una Corte costituzionale o comunque di un meccanismo per il controllo della costituzionalità delle leggi, mi pare stia ad indicare che le Assemblee legislative possono anche eventualmente votare leggi che abbiano in sé degli elementi incostituzionali. Ed è per questo che, se la Costituzione avrà quel carattere rigido cui da vari settori si è accennato, essa stessa deciderà la creazione di un meccanismo, il quale valga a reprimere le tendenze non costituzionali che si siano tradotte in qualche norma legislativa.

È evidente che i deputati della Costituente non possono, in sede legislativa, dimenticare quello che hanno già votato in sede costituzionale: ma è questo un dovere soggettivo, che non può precludere all’Assemblea, ove nella sua maggioranza lo ritenga, di prendere sotto forma di legge decisioni contrarie, che saranno poi, se mai, dichiarate anticostituzionali dagli organi a ciò designati.

Questa mi pare sia la risposta al richiamo dell’onorevole Laconi, che, ripeto, è un appello alla coerenza interiore di ciascuno di noi ma che non autorizza me e non autorizza l’Assemblea a non procedere oltre. Vi sono d’altronde nel Regolamento alcune norme, già richiamate, che ne contestano la validità.

Vi è la norma sulla pregiudiziale: l’onorevole Crispo l’ha richiamata. Non è ammessa sugli emendamenti la pregiudiziale, salvo che gli emendamenti non ripropongano questioni che l’Assemblea ha già respinto in sede di ordine del giorno.

È vero che vi è un altro articolo – il 94 – il quale dà facoltà alla Presidenza di non accettare quegli emendamenti i quali appaiano del tutto estranei all’oggetto in discussione; ma io non credo che gli emendamenti presentati dagli onorevoli Russo Perez, Colitto e Crispo, siano del tutto estranei alla materia in discussione.

Se ho ben seguito la discussione generale, si è nel suo corso molto parlato di questo punto, se il fascismo debba essere definito nei suoi elementi costitutivi ideologici e di azione pratica, o se si possa considerare invece il fascismo già definito col semplice impiego delle parole «partito fascista». E questa questione si è posta anche in seno alla Commissione.

La Commissione ha, infatti, modificato il testo del Governo, proprio perché ha ritenuto che occorresse indicare con elementi particolari o caratteristici il fascismo ed i movimenti fascisti. Da questo punto di vista, gli emendamenti che sono stati presentati possono essere interpretati, nel senso che i loro presentatori facciano parte di quella corrente che ritiene si debba indicare il fascismo, non col semplice termine fascismo, ma con l’indicazione di quegli elementi politici, ideologici e di azione, dai quali il fascismo è caratterizzato.

Poiché è necessario e consigliabile che la norma dell’articolo 94 sia applicata con molta cautela, mi pare che ciò esiga che questi emendamenti restino di fronte all’Assemblea, la quale, votandoli, darà insieme e un giudizio di merito e un giudizio di carattere formale; perché è chiaro che se l’Assemblea intende, nella sua maggioranza, approvare una legge la quale argini il pericolo e la minaccia del fascismo, non potrà accettare emendamenti i quali lascino indefinita l’identificazione dell’oggetto contro il quale la legge stessa è diretta.

Vorrei, poi, far presente un’ultima considerazione, e cioè che parte integrante della legge è il titolo. In generale ho l’impressione che i colleghi se ne dimentichino e che pensino che ad una legge si possa porre qualunque titolo. No: il titolo fa parte integrante della legge, e quando si provvede alla votazione a scrutinio segreto, si vota sul testo della legge e sul titolo della legge. E pertanto gli emendamenti, che se accettati obbligherebbero a mutare il titolo della legge, evidentemente devono essere considerati contrari alle finalità che i redattori del progetto si proponevano, come fuori dal quadro del progetto.

Il disegno di legge ha questo titolo: «Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione delll’istituto monarchico»; ma per questo primo articolo è evidente che il titolo che vale è: «Norme per la repressione dell’attività fascista».

Fatte queste considerazioni, credo di poter concludere sul quesito posto dall’onorevole Laconi, che senza dubbio fra gli emendamenti proposti da alcuni colleghi e il testo della legge vi è un contrasto notevole; ma nulla vieta che si presentino emendamenti, i quali mutino in aspetti molto importanti i disegni di legge presentati. Altrimenti gli emendamenti dovrebbero ridursi soltanto alla forma.

Nel corso della discussione sulla Costituzione abbiamo molte volte avuto dinanzi a noi emendamenti che, accettati, hanno addirittura capovolto il contenuto del progetto.

Per queste ragioni credo di dover lasciare all’Assemblea di decidere, in sede di votazione degli emendamenti specifici, se questi di cui parliamo siano consentanei, o non con lo scopo preciso che questo disegno di legge si è proposto.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Propongo che il titolo del disegno di legge: «Norme per la repressione dell’attività fascista» sia sostituito con il seguente: «Norme per la repressione di attività a tipo fascista». (Commenti).

Questa dizione è proprio quella che risponde in pieno allo scopo della legge. Per la seconda parte propongo la seguente formula: «e dell’attività diretta alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico».

BETTIOL, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL, Relatore. Onorevoli colleghi, nel giudicare gli emendamenti presentati da vari colleghi, io mi devo richiamare anzitutto a quello che è stato lo spirito informatore che ha determinato la presentazione del disegno di legge da parte del Governo, e a quello che è stato lo spirito informatore, chiaramente delineatosi dopo lunghe sedute in seno alla Commissione, in base al quale è stato elaborato il testo sul quale oggi noi discutiamo. Con questa legge si vuole colpire specificatamente quella forma politica totalitaria che ha avuto una chiara determinazione ed una chiara precisazione di significato nel corso di venti anni in Italia, e la costituzione di movimenti che si ispirino a quella ideologia e che ricopiano i momenti caratteristici dell’agire sul piano politico che quella ideologia presentava. Si tratta quindi di una legge che intende colpire la ricostituzione del partito fascista, quale esso storicamente si è determinato, e la costituzione di movimenti di carattere nettamente neofascista.

Perciò la Commissione non può accettare gli emendamenti i quali cercano di fare in modo che la legge come tale possa estendersi fino a colpire ogni e qualsiasi forma di attività politica che possa essere pericolosa per l’ordine politico, civile e democratico. Si intende – ripeto – colpire esclusivamente il fascismo e il neofascismo. E pertanto la Commissione non può accettare (pur apprezzandone quello che può essere lo spirito informatore, a titolo personale) l’emendamento dell’onorevole Crispo. Non lo può accettare, perché anzitutto con l’emendamento dell’onorevole Crispo si viene ad amalgamare quella che è l’attività fascista e quella che è l’attività monarchica. La Commissione è arrivata a sdoppiare la dizione dell’articolo primo del progetto governativo, tenendo presente che, dal punto di vista dei beni giuridici che questi reati vengono a colpire, bisogna giuridicamente tener distinte le due ipotesi delittuose. In secondo luogo, con l’emendamento dell’onorevole Crispo, noi potremmo scivolare facilmente in campo di partiti che non sono fascisti.

Poi viene a mancare (malgrado che l’onorevole Crispo abbia detto il contrario) una precisazione delle caratteristiche concrete dell’attività fascista, cioè il carattere militare o paramilitare dell’organizzazione, che non va intesa a tipo caserma perché nessun partito si organizza a tipo caserma, ma va intesa in senso lato, come attività di squadre, di gruppi, di individui organizzati fra loro e che cerchino violentemente di sovvertire l’ordine democratico e l’ordine costituzionale.

Quindi il primo comma dell’emendamento presentato dall’onorevole Crispo, come anche l’emendamento presentato dall’onorevole Russo Perez, e l’emendamento presentato dall’onorevole Colitto, non vengono accettati dalla Commissione.

Però nell’emendamento dell’onorevole Crispo c’è un capoverso – il secondo comma – che dice: «Chiunque vi partecipa è punito con la reclusione fino a tre anni». Nel testo della Commissione è detto: «chiunque vi aderisce». Noi saremmo disposti ad accettare questo cambio di parola, sostituendo «vi partecipa» alla dizione «vi aderisce».

E così aderisco a quanto ha detto in sostanza l’onorevole Coppa, perché il termine «aderisce» è un termine troppo lato e spesso pericoloso. Io mi richiamo a tutte le discussioni sorte nel campo della legge sull’epurazione a proposito dell’adesione dell’epurando al partito fascista o fascista repubblichino. Che cosa significa aderire? Si può intendere in un senso lato, per cui può rientrare nell’adesione ad ogni manifestazione, anche puramente verbale, o si può intendere in senso ristretto.

Quindi, credo sia meglio specificare che si tratta di partecipazione, nel senso che si tratta di partecipazione attiva, quindi anche di iscrizione al partito, e non solo di partecipazione platonica. Adesione, dunque, concreta all’organizzazione fascista o neo-fascista.

Quindi accettiamo queste parole: «vi partecipa» proposte dall’onorevole Crispo.

Per quanto riguarda la soppressione dell’inciso: «rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione», emendamento presentato tanto dall’onorevole Colitto quanto dagli onorevoli Carpano ed altri, mi dichiaro, a nome della Commissione, contrario alla eliminazione di questo inciso per questo particolare motivo: io ho ascoltato con molto interesse il discorso dell’onorevole Carpano, ma l’onorevole Carpano mi deve consentire che io dissenta da lui, perché siamo di fronte a un reato di pericolo e non di fronte ad un reato di danno, ed appunto quando ci troviamo di fronte a un reato di pericolo tecnicamente è necessario specificare il bene giuridico verso il quale si polarizza l’attività del delinquente.

Non è dall’affermazione dell’imputato che il giudice giudica; è il giudice che giudica se esiste o no questo pericolo dopo di aver accertati gli elementi costitutivi del reato. Quindi la Commissione non ritiene di dovere eliminare l’ultimo inciso. Invece, aderisco a quanto propone l’onorevole Carpano per quanto riguarda la eliminazione della parola «metodi», perché la parola «metodi» è un doppione della parola «mezzi» già specificata prima e viene a suonare male, e a costituire un pleonasmo giuridico che può dar luogo a qualche difficoltà di carattere interpretativo.

Quanto a quella «o» o a quella «e» la Commissione qui è divisa. Alcuni ritengono, credo la maggioranza (tre contro due), che si debba parlare di «o», altri, nei quali sono compreso io, ritengono che si debba parlare di «e», cioè che questi momenti debbono essere tutti presenti, perché in concreto possa sussistere questo reato e possa trovare applicazione la sanzione penale.

Se dovessimo accettare la paroletta «o» verremmo in sostanza a determinare un concorso di norme per lo stesso fatto, perché per l’esaltazione, per l’uso della forza, c’è già l’articolo 5-bis, dove è detto che è punita l’esaltazione pubblica delle ideologie proprie del fascismo e l’uso della forza, l’uso della violenza come tale è ideologia fascista. Quindi io personalmente, pur avvertendo che alcuni membri della Commissione sono contrarî, ritengo di insistere sulla paroletta «e» e di escludere l’emendamento che tende a sostituire la paroletta «o».

A proposito dell’emendamento Zanardi, io posso anche condividere quello che è il principio informatore, però avverto che la confisca dei beni non è tecnicamente una pena; era una pena in tempi molto remoti, in tempi medioevali, in epoca arcaica; può essere un provvedimento di polizia fiscale da includersi in altre leggi particolari, non già in una legge penale, sia pure speciale come questa. Quanto alla proposta soppressiva dell’onorevole Coppa, sono contrario. Sono venuto incontro, in parte, a quanto l’onorevole Coppa ha detto, nel senso che aderisco all’emendamento dell’onorevole Crispo di sostituire alla parola «aderisce» la parola «partecipa».

CALDERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDERA. Io non vorrei che la dizione: «vi partecipa» avesse esclusivamente il significato di una attività personale, mentre sarebbe più comprensiva l’altra: «vi aderisce». Comunque non è del tutto idonea la parola «aderisce» e sono d’accordo sulla parola «partecipa», purché si aggiunga: «in qualsiasi modo e con qualsiasi forma», giacché la partecipazione potrebbe essere intesa come apporto personale, e potrebbe eventualmente essere escluso il finanziatore di questa partecipazione. Questo è il mio pensiero.

PRESIDENTE. Onorevole Caldera, lei sta proponendo un nuovo emendamento.

CALDERA. Lo propongo in seguito alla accettazione del Relatore del termine «partecipa».

Aderisco al testo del Governo e, in subordine, a quello dell’onorevole Crispo, purché si aggiunga «in qualsiasi modo».

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

BETTIOL, Relatore. Per quanto riguarda l’emendamento presentato dall’onorevole Caldera, devo dire che, quando noi parliamo di partecipazione, non intendiamo la partecipazione delittuosa, che troverà applicazione nelle norme del Codice penale, ma una forma di partecipazione, di adesione concreta al partito fascista o neofascista, che si deve estrinsecare concretamente con una determinata attività. Non una pura e semplice adesione ideologica, simbolica. Quello che conta è l’adesione, l’avere sottoscritto il modulo, l’avere partecipato a qualche riunione, l’avere preso la parola, l’avere finanziato, l’avere concretamente esplicato una attività. Quindi io sono contrario a specificare questo, perché potrebbe dar luogo a pericoli.

PRESIDENTE. Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il pensiero del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Per non ripetere quanto si è detto durante la discussione generale, io sarò brevissimo. Io aderisco a quanto ha già detto con egregia parola e con senso giuridico squisito l’onorevole Bettiol. Penso che non possano essere accettati gli emendamenti proposti dai nostri colleghi, appunto perché noi ci proponiamo con questo disegno di legge di agire contro una determinata attività, così come nel titolo del nostro testo è detto, e come è stato confermato dalla Commissione. Gli emendamenti tendono ad estendere questa possibilità di azione verso altri movimenti e verso altri partiti. Ora io non ho bisogno di ricordare all’Assemblea che ci sono già gli articoli del Codice penale, che reprimono altri movimenti. Ossia, l’articolo 270: contro le associazioni sovversive; articolo 271: contro associazioni antinazionali. Quindi non vi dovreste preoccupare eccessivamente di altri movimenti. È contro il movimento fascista, che certamente non poteva essere consideralo in questo Codice penale, che si forma una lacuna. (Interruzione a destra).

Se voi domandaste l’applicazione del Codice penale, avreste i mezzi in atto per reprimere qualunque movimento che volesse sostituirsi all’ordinamento attuale dello Stato.

Quello di cui bisogna preoccuparsi in questo momento e di cui si preoccupa l’attuale disegno di legge, è quella determinata attività che non si ritrova nel Codice repressa e che storicamente ha portato danni luttuosi al nostro Paese. In questi termini è l’attuale disegno di legge. Quindi, quegli emendamenti non si possono accettare.

Per quel che riguarda l’emendamento dell’onorevole Carpano, effettivamente mi pare che saremmo quasi d’accordo con la Commissione. Non sono d’accordo di modificare la congiuntiva «e» nella disgiuntiva «o», perché verremmo a travisare tutti gli elementi costitutivi di questo reato nel modo come la Commissione ha cercato di precisarli. Perché nella formula presentata originariamente dal Governo, «del disciolto partito fascista», si presentava quella incertezza che dovrebbe dare forma di certezza al giudice perché possa applicare la legge. Ora, lo sforzo della Commissione è stato quello di precisare i caratteri fondamentali di questo reato. Mi pare che li abbia precisati in maniera egregia, perché ha detto che elementi costitutivi, sono: la forma organizzativa, che non è come tutti gli altri partiti, ma si inquadra in altre forme che possono sembrare militari o para-militari.

L’altro elemento è la violenza o l’esaltazione della violenza. Questi elementi non si possono confondere mettendo «o» al posto di «e»: basta uno degli elementi per costituire reato.

Poi vi è quello della finalità. La finalità, come ha detto l’onorevole Bettiol, è necessaria in questo tipo di reato perché non è un reato di danno come l’omicidio. Dobbiamo guardare alla finalità, per stabilire il dolo che è fondamento dell’incriminazione del reato stesso. Bisogna guardare lo scopo diretto all’attentato delle libertà democratiche, come è precisato nell’articolo 270, quando si vuol restaurare una dittatura di classe.

Bisogna dire lo scopo, perché se manca, manca la finalità diretta in cui il reato va a determinarsi. Però, sono d’accordo con l’onorevole Carpano, che è opportuno togliere la parola «metodi», perché il metodo è già precisato nell’elemento costitutivo del reato. È la «finalità» che bisogna mantenere. Siccome come gerundio non corrisponde bene, io propongo alla Commissione di togliere le parole «o metodi propri del disciolto partito fascista», e dire: «che persegua finalità tali da costituire un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione». Con queste parole aggiunte dopo «finalità» potremo aggiungere gli elementi costitutivi sopprimendo «metodi propri del disciolto partito fascista».

È inutile ripetere, infatti, perché si avrebbe una superfetazione.

Sono d’accordo con il Relatore per sostituire la parola «aderisce» con «partecipa», e quindi non accetto gli emendamenti proposti a quest’ultimo comma, che bisogna mantenere, perché rappresenta una forma tipica di reato diversa di quella del «promuovere»; «partecipare» è forma più completa e precisa, con la quale il giudice troverà facilmente i limiti di applicazione della legge. Preoccupiamoci di questo: le formule incerte possono lasciare perplesso il giudice, in modo che l’applicazione della legge non potrebbe esser fatta.

Con questi emendamenti spero che l’Assemblea possa arrivare a superare le difficoltà ed andare avanti nell’approvazione degli articoli.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Vorrei fosse risolto un quesito, suggeritomi dall’ultima fase della discussione, circa la sostituzione della formula «partecipa» alla formula «aderisce».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha detto che bisognerebbe partecipare in modo più concreto. Io confesso che qui le idee mi si confondono.

Cosa vuol dire «partecipa»? Io interpreto, ed in questo senso accetto la formula proposta dall’onorevole Crispo, che «partecipare» significhi entrare a far parte. Non riuscirei a concepire che il semplice fatto di entrare a far parte di una organizzazione, che è messa fuori legge, non costituisca reato. Cosa vuol dire «partecipare in modo più concreto»? No: chiunque entri a far parte di questo partito fascista è punito in base alla pena stabilita.

Vorrei che questo punto fosse chiarito e precisato, affinché non sorgano equivoci pericolosi e da respingere.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io dovrei dire due parole circa la disgiuntiva «o» e la congiuntiva «e» per quella parte della Commissione che preferisce la disgiuntiva. Dichiaro che voterò l’emendamento Carpano Maglioli, in quanto sostituisce l’«o» all’«e» nel primo comma dell’articolo 1, per queste ragioni. Si tratta, in sostanza, di vedere se i due elementi costitutivi del reato debbono cumularsi o debbono essere considerati disgiuntamente. Mi pare evidente che debbono essere considerati disgiuntamente. Infatti l’articolo dice: «Chiunque promuove la ricostituzione del partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare, ecc.». A questo punto, se da parte di alcuno si ricostituisce il partito fascista con organizzazione militare o paramilitare, il reato è già perfetto. Se proseguendo nel testo dell’articolo mettiamo la congiuntiva «e» invece della disgiuntiva «o», rendiamo necessario per la commissione del reato perfetto che un secondo elemento si cumuli col primo, e cioè «l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta», per cui se alcuno ricostituisce il partito fascista con organizzazioni militari o paramilitari, ma non mette in opera altresì l’esaltazione della violenza o non usa mezzi violenti di lotta, compie un’fatto che non sarebbe punibile. Questa è la questione, molto semplice in verità: e perciò noi insistiamo perché si adotti l’emendamento «o», altrimenti un fatto, che per noi rappresenta tipicamente un reato perfetto, sfuggirebbe alla sanzione punitiva. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’emendamento proposto dall’onorevole Russo Perez, che è il più lontano di tutti dal testo della Commissione, dovrà essere posto in votazione per primo. Lo rileggo:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Chiunque promuova la costituzione di partiti, associazioni o movimenti che, per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’uso della violenza fisica o morale, rappresentino un pericolo per le libertà democratiche garantite dalla Costituzione, è punito con la reclusione da due a venti anni».

È stata richiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Castiglia, Perrone Capano, Russo Perez, Condorelli, Miccolis, Lucifero, Benedettini, La Gravinese Pasquale, Perugi, Abozzi, Quintieri Quinto, Puoti, De Falco, Colitto, Penna, Ottavia, Caroleo, Massa, Martino Gaetano, Marinaro, Venditti, Colonna.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento dell’onorevole Russo Perez.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti                               366

Votanti                                365

Astenuto                             1

Maggioranza           183

Voti favorevoli        88

Voti contrari                        277

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberganti – Aldisio – Amadei – Amendola – Arata – Arcangeli – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basso – Bazzoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernardi – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foa – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Pat – Patricolo – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggieri Luigi – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spano – Spataro Stampacchia – Stella.

Targetti – Taviani – Tega – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Varvaro – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Volpe.

Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Arcaini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Tambroni.

Vanoni – Vischioni.

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle ore 10.

La seduta termina alle 13.40.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Merlin Umberto

Mannironi

Crispo

Grassi

Adonnino

Bertini

Mastino Gesumino

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Romano

Colitto

Mastino Pietro

Persico

Ghidini

Laconi

Costa

Nobili Tito Oro

De Palma

Perrone Capano

Caroleo

Conti

Targetti

Abozzi

Caccuri

Damiani

Rossi Paolo

Lussu

Moro

Interrogazione urgente (Svolgimento):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Sansone

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Sono stati presentati altri ordini del giorno, che debbono ancora essere svolti, Tuttavia, non so se sia opportuno di procedere subito allo svolgimento di tutti, in quanto alcuni di essi pongono questioni che si ritrovano in articoli, nel cui merito dobbiamo ancora entrare.

Ritengo che sia opportuno limitarsi ora agli ordini del giorno che hanno carattere generale; quelli nei quali vengono trattate questioni specifiche credo sia bene riservarli (sia per quanto riguarda il loro svolgimento, come per la votazione) al momento in cui affronteremo gli articoli nei quali dette questioni vengono esaminate.

Debbo osservare inoltre che molti di questi ordini del giorno non mi sembrano pertinenti a problemi costituzionali e precisamente alla determinazione costituzionale della struttura e del funzionamento della Magistratura.

Se per connessione si intende il fatto che in questi ordini del giorno si pongono questioni che toccano il problema del funzionamento e della struttura di determinati organi giurisdizionali, la connessione c’è, ma essa deve essere valutata in relazione al quesito se si tratti o no di questioni costituzionali. Io penso che molti e forse tutti i colleghi dell’Assemblea sono giunti di già a questa convinzione: che una parte di questi ordini del giorno troverà ottimamente sede allorché la futura Camera legislativa discuterà dell’ordinamento e della struttura giudiziaria, ma che in questo momento essi non dicono nulla che interessi l’Assemblea. Ve ne è poi qualcuno di questi ordini del giorno che si riferisce addirittura ad aspetti così particolari del funzionamento della Magistratura che forse non potrebbero essere esaminati neanche quando si discutesse all’Assemblea legislativa del riordinamento generale della Magistratura ma soltanto allorché vi fossero poste questioni del tutto particolari.

Io voglio comunque decidere fin da questo momento se sia opportuno porre in discussione tutti questi ordi.ni del giorno e quindi dare la parola ai presentatori: è una questione che verrà risolta nel momento in cui di questi ordini del giorno daremo lettura. Ma io vorrei che i colleghi che li hanno presentati accedessero alle proposte che farò o alle decisioni che mi riservo di prendere in proposito, mosso unicamente dalla preoccupazione non di evitare che si dica ciò che si deve dire, ma che si dicano cose che in questo momento non hanno ragione di essere dette e che potrebbero essere più utilmente dette in altra sede. Dopo queste considerazioni, l’onorevole Merlin Umberto ha facoltà di svolgere il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente riafferma:

che base e fondamento di un regime democratico deve essere la autonomia e la indipendenza assoluta della Magistratura, la quale non deve dipendere da alcun altro potere dello Stato;

che, per assicurare tale indipendenza, bisogna vietare la istituzione di giudici sia speciali, sia straordinari, che il più spesso nascondono organi che il potere esecutivo si crea per giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti di prepotenza, violatori delle libertà fondamentali del cittadino;

che la eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sarebbe cosa vana senza la unicità della giurisdizione civile, penale ed amministrativa e che, in particolare, va mantenuta la Cassazione unica, come supremo giudice di diritto, e va evitato qualsiasi trasferimento delle sue funzioni ad altro organo con conseguente menomazione dei diritti dei cittadini;

che, per assicurare la indipendenza dei magistrati, occorre dare adesso la libertà dal bisogno;

che il reclutamento dei magistrati deve essere fatto solo per concorso o per titoli, con divieto ai magistrati di appartenere a partiti politici o ad associazioni segrete;

che la giuria popolare va abolita avendo fatto pessima prova in tutte le materie che vennero sottoposte al suo giudizio;

che, infine, ad accentuare il carattere giurisdizionale della Corte costituzionale, a coordinare l’attività delle due Supreme Corti e ad evitare la possibilità di conflitti, è giusto che la Corte costituzionale sia presieduta dal Primo Presidente della Cassazione.

«Accettando i principî affermati in queste premesse,

delibera

1°) che nella nuova Costituzione sia garantita alla Magistratura piena autonomia e perfetta indipendenza;

2°) che siano aboliti i giudici speciali o straordinari e sia affermato il principio della unità della giurisdizione civile, penale, amministrativa;

3°) che conseguentemente sia mantenuta la Cassazione Unica per tutte le materie civili e penali;

4°) che sia rimessa all’ordinamento giudiziario la questione della giuria popolare;

5°) che sia data ai magistrati una posizione economica adeguata alle loro funzioni, alla loro dignità ed al necessario prestigio».

MERLIN UMBERTO. Io accolgo subito il desiderio espresso dal nostro illustre Presidente, e mi limiterò a svolgere i punti più importanti del mio ordine del giorno. Dico anzi che un mio intervento, dopo tanti discorsi di autorevoli colleghi, potrebbe anche essere o sembrare superfluo. Ho un’unica scusa, per la quale mi permetto di rivolgermi ai colleghi in questo momento e alla chiusura della discussione generale. La scusa è questa: che, per quanto per pochi mesi, ho vissuto al Ministero di giustizia; ho lavorato in quel dicastero, ho studiato il grave problema della Magistratura, ho conosciuto da vicino anche i desideri dei magistrati. E quindi mi sembra quasi di rendere un doveroso omaggio a questi benemeriti servitori dello Stato, esprimendo il mio parere su questo delicato ed importante argomento.

Il mio ordine del giorno è abbastanza complesso, e riguarda soprattutto quella che è la funzione della Magistratura, quelli che sono i doveri e i diritti di quello che venne definito il terzo potere dello Stato.

Nella Carta statutaria noi dovevamo occuparci di questo problema, non solo perché se ne occupano tutte le carte statutarie, ma perché è chiaro che se noi della Costituzione vogliamo creare i muri maestri e il tetto, dobbiamo anche ben fissarne le fondamenta; e dobbiamo necessariamente regolare e disciplinare gli organi che saranno incaricati domani di applicare e difendere, se occorra, contro tutto e contro tutti, quei diritti che la nuova Carta statutaria assicura a tutti i cittadini.

Io non do una grande importanza alla distinzione del nome «ordine» o «potere»; a me basta che rimanga ferma la libertà e la indipendenza della «funzione». Ora è quasi superfluo ch’io ricordi ai colleghi che noi abbiamo votato già tutti gli articoli, che assicurano le libertà fondamentali dei cittadini: la libertà personale, la libertà di stampa, la libertà di organizzazione, la libertà di professare la propria fede religiosa e di diffonderla, la libertà di organizzarsi nei partiti che ciascuno creda di scegliere, concorrendo con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Questo complesso di diritti forma la «democrazia costituzionale». Avremmo perduto perfettamente del tempo, e avremmo scritto degli articoli che rimarrebbero lettera morta, se noi non assicurassimo anche la libertà e l’indipendenza all’organo che sarà chiamato a difendere questi diritti contro tutti. Sempre, nella storia di ogni popolo, in qualunque momento, la democrazia ha potuto resistere, vivere e prosperare, se ha saputo contare su una Magistratura libera e indipendente; e la democrazia, invece, è crollata come un ramo secco, dove la Magistratura è stata soltanto serva del potere esecutivo.

La Magistratura è la garanzia effettiva della libertà e dei diritti dei cittadini.

Come noi dobbiamo assicurare questa indipendenza alla Magistratura e in che modo? Ci si è domandato: contro chi? Forse contro lo Stato? No, mai contro lo Stato, ma contro uno dei poteri dello Stato, contro quello che più spesso è tratto, per mala volontà di uomini o per lo strapotere di un partito, ad uscire dai limiti della sua sfera d’azione. Troppo spesso è accaduto nei secoli che «vicino a un principe che viola la legge è rarissimo che non vi sia un giurista, il quale assicuri di non esservi nulla di più legittimo, dimostrando sapientemente che la violenza è giusta», perché non si senta irrefrenabile l’aspirazione di formare dei magistrati superiori per moralità, cultura e perfetta indipendenza di giudizio. Onde, se vogliamo assicurare la libertà ai cittadini, bisogna che la Magistratura sia assolutamente libera e indipendente; e l’articolo 97 pare che non contraddica a questo principio quando dice che «la Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente».

Qualche riserva è stata fatta da qualche banco, ma io credo e spero (lo ha detto qui con parola più autorevole della mia un uomo da tutti noi stimato per la sua indipendenza, per il suo carattere, per la sua fede: l’onorevole Conti, che l’Assemblea possa votare all’unanimità questo articolo che è uno dei capisaldi del nuovo Statuto.

Non c’è bisogno che io vada divagando nel vasto campo delle discipline politiche per riaffermare cose che costituiscono patrimonio e conoscenza comune.

Tutti sanno che la tripartizione dei poteri dello Stato non è una creazione artificiosa né dei cultori di diritto pubblico, né della filosofia o delle scienze politiche.

Essa è una realtà, risponde alla diversità delle funzioni, che possono anche confondersi nella stessa persona, ma che esistono.

Già in Aristotele si parla di potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e Montesquieu ha ricalcato le vie di Marsilio da Padova e di Machiavelli.

Ora, fin dalle più antiche costituzioni – io alludo per esempio a quella degli Stati Uniti d’America, che ha preceduto anche la rivoluzione francese – si scriveva che «la separazione dei poteri è la prima condizione di un governo libero».

Alcuni dicono: «Ma volete mettere un potere contro l’altro? Volete offendere la sovranità dello Stato che deve essere unica?».

Rispondo: il principio della separazione dei poteri non rinnega l’altro della sovranità una ed indivisibile, ma postula invece una sana ed utile collaborazione. Ciascun potere nei suoi limiti e nei suoi confini. Questo è lo Stato democratico ed è il contrapposto dello Stato totalitario. Come lo Stato democratico autolimita i suoi poteri nei riguardi della famiglia e dell’individuo, così esso fissa i limiti dell’esecutivo, del legislativo e del giudiziario. E ciascuno di questi tre poteri, osservando le sfere della sua competenza, è di necessità portato alla sana collaborazione, con che viene rafforzata e non indebolita la unità della sovranità dello Stato.

Io per primo riconosco ed ammetto che la teoria fondamentale del Montesquieu abbia nel corso del tempo subito anche delle trasformazioni e delle modificazioni e che, pur avendo avuto sempre (come insegna il nostro illustre collega Orlando) una notevole influenza nel campo di queste discipline, tuttavia abbia anche subito delle attenuazioni. Ma è certo, onorevoli colleghi, che se noi non diciamo francamente di essere tutti d’accordo su questo punto, noi creiamo dei dubbi, delle incertezze e delle confusioni a tutto danno della «democrazia» che vogliamo invece rafforzare e difendere.

Credetelo, io rispetto l’opinione contraria, rispetto anche i dubbi che possono essere stati sollevati; ma in questo campo non si può volere e disvolere. Non si può, per esempio, volere una indipendenza a metà ed ammettere, viceversa, un controllo per l’altra metà.

O la si vuole piena ed intera questa indipendenza, e la si riconosce come un dovere e un interesse dello Stato, o se no, un po’ alla volta, si riduce la libertà dei magistrati e si cade nell’arbitrio.

Parliamoci chiaro: che cosa si domanda ai magistrati? Si domanda forse ai magistrati di essere dei giudici «futuristi», dei giudici i quali applichino leggi che non sono state ancora approvate? Voi capite benissimo che questo sarebbe un pericolo gravissimo perché si sovvertirebbe tutto l’ordine giuridico dello Stato e si creerebbe l’abuso dove, viceversa, noi vogliamo la sicurezza del diritto di ciascuno.

Voi, quando dubitate dei magistrati, forse non li conoscete a sufficienza. Essi non sono né conservatori né retrivi. Sono, sì, conservatori in quanto, per forza di cose, applicando la legge che esiste, vogliono rispettare l’ordine giuridico costituito, ma non sono dei conservatori se voi e il Parlamento farete delle leggi progressiste, la riforma agraria, la riforma industriale; se faremo soprattutto delle leggi chiare, delle leggi ben fatte, delle leggi meditate e non improvvisate, delle leggi con linguaggio giuridico esatto e con terminologia precisa, i giudici osserveranno la legge e l’applicheranno in tutta la sua estensione! (Approvazioni).

Del resto, che paura avete della Magistratura? Badate che nel corso dei secoli mai si sono avuti colpi di Stato da parte dei magistrati! I colpi di Stato son venuti da ben altro potere e precisamente dal potere esecutivo. La Magistratura qualche volta ha piegato anche la schiena, ma io vorrei dire a questo proposito, ripetendo quello che ha detto l’onorevole Conti in quest’Aula, che, se noi proprio con animo sereno vogliamo giudicare quella che è stata la Magistratura anche durante il regime fascista, non potremmo dire onestamente che essa sia stata semplicemente composta di uomini schiavi. Se noi antifascisti trovavamo conforto nella nostra pena, se noi avevamo qualche funzionario dello Stato al quale confidare le nostre tribolazioni e dal quale avere qualche aiuto, se soprattutto nel nostro esercizio professionale noi andiamo ricordando quello che hanno fatto i magistrati, noi dobbiamo riconoscere che c’era sì da parte del gerarca avvocato l’illecita intromissione, con la quale egli spesso pretendeva delle sentenze ingiuste, ma, fatta qualche rara eccezione, i magistrati non ne hanno scritto delle sentenze ingiuste! E il cittadino, anche in quel periodo di tempo, ha potuto affidare ai magistrati il suo patrimonio ed il suo onore senza avere il pericolo che gli si negasse giustizia! E gli avvocati anche antifascisti hanno potuto liberamente parlare nelle aule dei tribunali.

Ora pare – ripeto – che la Costituzione a questi principî si ispiri; ma una subordinazione almeno parziale della Magistratura al potere esecutivo e legislativo io la trovo in questi quattro punti: istituisce giudici speciali in ogni materia, meno che in quella penale; stabilisce che metà dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, e fra questi anche un Vicepresidente, che sposta la maggioranza a danno dei magistrati, siano eletti dalle Assemblee legislative; dispone in linea generale e limita a proprio beneplacito la tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi verso gli atti della pubblica amministrazione; sospende l’esecuzione d’una Sentenza irrevocabile.

Ora, o colleghi, per non cadere in questi inconvenienti, bisogna correggere qualche articolo. La Costituzione, com’è proposta, merita ad esempio correzione all’articolo 97 che riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura. Questo Consiglio è presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto da due Vicepresidenti: uno è il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il secondo è nominato dall’Assemblea Nazionale; poi vengono i membri eletti per metà dai magistrati e per metà ancora dall’Assemblea Nazionale.

Ora basta tirare le somme per vedere che in questa maniera noi approveremmo non il Consiglio della Magistratura, ma un altro Consiglio, perché in quel Consiglio i magistrati sarebbero in minoranza. L’Assemblea Nazionale, che è un’Assemblea politica, verrebbe a disporre del Consiglio Superiore della Magistratura. E qui io voglio ricordare una cosa: siccome tutto migliora, noi dobbiamo, prima di accingerci a modificare quello che è lo stato di fatto e di diritto attuale, tenere conto delle conquiste che la classe dei magistrati ha ottenuto; noi non possiamo dimenticare che oggi è in vigore una legge, quella del 31 maggio 1946, n. 511, che porta la firma di De Gasperi, porta la firma di Corbino, ma porta anche la firma del Guardasigilli Togliatti.

Ora, se vi è stata una legge democratica, una legge la quale sia venuta incontro alle aspirazioni dei magistrati nel modo migliore, è questa e io ne faccio lode precisamente a colui col cui nome questa legge si appella, all’onorevole Togliatti perché, evidentemente, come Guardasigilli fu lui che l’ha preparata, l’ha fatta approvare e l’ha fatta diventare legge dello Stato. Con questa legge sono istituiti i Consigli giudiziari in ogni Corte d’appello, è istituito il Consiglio Superiore della Magistratura, tutti eletti dai magistrati. In ogni Corte d’appello si riuniscono i magistrati per la nomina del Consiglio distrettuale e per il Consiglio Superiore votano tutti i magistrati d’Italia.

Ora, è vero che voi mi potete rispondere che questo Consiglio Superiore della Magistratura in atto non ha tutti i poteri che noi, con l’articolo 97, gli daremmo. Ma intanto, o signori, c’è questo: tutti i giudizi disciplinari contro i magistrati sono decisi da tribunali composti di magistrati: l’ammonimento, la censura, la perdita di anzianità, la rimozione e destituzione sono decisi da tribunali composti esclusivamente di magistrati. Sono provvedimenti delicatissimi che non vengono affidati ad estranei, ma a magistrati. Ma anche sulle promozioni, le assegnazioni e i trasferimenti è il Consiglio Superiore che dà il suo parere e voi ne comprendete tutta la importanza.

Voi capite benissimo che non c’è Ministro e non c’è stato Ministro dal momento della nostra liberazione ad oggi che non abbia tenuto in massimo conto questo parere. Nessuno ha promosso un magistrato trascurando il parere del Consiglio Superiore. Ed allora, volete oggi dare meno di quanto i magistrati abbiano già ottenuto?

Allora ecco la proposta che io faccio: io tengo fermo che questo Consiglio Superiore della Magistratura sia presieduto dal Presidente della Repubblica. È una innovazione identica a quella della Costituzione francese, articolo 83.

Io spero e confido che i magistrati accetteranno questo loro capo, sentiranno anzi l’onore, l’orgoglio che il loro massimo Consiglio sia presieduto proprio dal Capo dello Stato.

Io domando semplicemente che sia tolto il secondo Vicepresidente che non ha ragione di essere; sia lasciato un solo Vicepresidente e cioè il Primo Presidente della Corte Suprema e sia data la maggioranza, leggera, se volete, ma maggioranza, ai magistrati e che gli altri membri siano eletti dall’Assemblea Nazionale sia pure, ma siano eletti in certe categorie, ex magistrati, avvocati, non che abbiano sospeso la professione, ma che la abbiano abbandonata del tutto e che si siano fatti cancellare dall’albo degli avvocati, perché solo così questi uomini potranno compiere con piena indipendenza il loro dovere, ed infine professori di università. Ecco la collaborazione in atto. Tra questi uomini eccelsi per studio, per ingegno, per capacità, sorgerà piena e facile la più cordiale fusione di intenti e di opere.

È una proposta semplicissima, ma è una proposta che viene incontro ai desideri dei magistrati.

Io non so anche qui, perché noi, che cerchiamo nelle nostre leggi di accontentare, se è possibile, tutti i legittimi interessi della classe cui il provvedimento si riferisce, non dovremmo tener conto dei desideri dei magistrati e venire incontro in questa maniera ai voti che essi hanno espressi anche in Assemblee recenti, tenute qui a Roma. Diamo dunque soddisfazione a queste domande che, a parer mio, sono legittime.

Oltre a questo, quattro punti io intendo toccare. Io domando: 1°) che non possano essere istituiti giudici speciali o straordinari per nessuna materia; 2°) che la Corte di Cassazione sia unica nello Stato ed abbia sede in Roma e che essa abbia il compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge da parte degli organi giurisdizionali; 3°) che le questioni della giuria popolare siano rimesse alla legge sull’ordinamento giudiziario; 4°) che la Corte Costituzionale sia presieduta dal Primo Presidente della Corte di Cassazione.

Brevissimamente su ciascun punto.

Sapete voi quanti sono in Italia i giudici speciali? Se voi andate in biblioteca e consultate il Caliendo, che oggi se non erro è Primo Presidente della Corte di Appello di Roma, voi trovate che i giudici speciali in Italia sono 300. Voi credete forse che io scherzi? Ebbene, vi prego di leggere quel volume e di consultarlo, e voi vedrete che non c’è stata mai una legge in Italia con cui si sia riformato questo o quello istituto, la quale legge o per ragioni tecniche, o per necessità, o per alleviare i magistrati dalle loro fatiche o per inserire esperti nel Collegio giudicante (ciò che ammetto anche io, ma che può essere fatto anche accettando il mio principiò) non abbia creato un giudice speciale. In questa maniera, evidentemente, si viene ad offendere l’indipendenza della Magistratura, perché è chiaro che non si rispetta un organo se gradualmente gli si sottraggono le sue naturali funzioni.

Posso ammettere la necessità di rispettare il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, ma nessun altro giudice speciale o straordinario deve ammettersi.

Io vi ricordo semplicemente questo: nel corso della storia di ogni popolo, la creazione del giudice speciale è stata sempre un atto di prepotenza del potere esecutivo, con cui questo potere ha cercato di giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti contro la libertà, ed è per questo che io prego la Camera di voler accogliere l’emendamento che io propongo e che serve a garantire ancor più le libertà fondamentali del cittadino.

Ho creduto opportuno di insistere sulla Corte di Cassazione unica. Su questo argomento ho letto un ordine del giorno firmato da autorevolissimi colleghi, i quali vogliono ristabilire le Corti di Cassazione territoriali. Mi inchino a quello che è stato il contributo giuridico degli illustri magistrati di Torino, di Firenze, di Napoli, di Palermo, soprattutto di Napoli, la cui Cassazione ha una tradizione giuridica eccelsa. Mi inchino, ma non si dica: noi siamo contro la Cassazione unica perché questa è stata creata dal regime fascista. Storicamente è vero, ma basta conoscere per esempio il pensiero di Ludovico Mortara, che ha preceduto il fascismo e che non è stato certo fascista, e di tutti i giuristi, che sono una vera coorte, che hanno insistito sulla necessità della Cassazione unica, per non dover tener conto di quella osservazione. In Italia esisteva la Cassazione penale unica fin dal 1889; non c’era ragione perché non vi fosse anche la Cassazione unica civile.

Anche se cronologicamente la Cassazione unica civile è stata istituita dal fascismo nel 1923, il fascismo ha raccolto quello che già era stato elaborato dai giuristi in epoca anteriore. Ma io vi porto la mia modesta esperienza, che è quella di un avvocato senza pretese, che ha cominciato la professione giovanissimo e l’ha incominciata con le cinque Cassazioni territoriali.

Ebbene, non c’era causa in cui io citassi la cassazione di Firenze, nella quale l’avversario non mi controbattesse citandomi la cassazione di Napoli o di Firenze o di Palermo. Voi mi direte che ciò si verifica anche con la Cassazione unica a Roma attraverso le varie sezioni. Ma io vi rispondo che ciò si verifica per lo meno in misura assai inferiore. Anzi si può dire che durante tutto il periodo in cui è durata la presidenza di D’Amelio, la Cassazione unica ha mantenuto una lodevole uniformità di pareri e di decisioni.

Questa uniformità è una utilità evidente, perché chi conosce le sottigliezze del diritto e chi soprattutto sa il pochissimo tempo che hanno i giudici, specialmente quelli di grado inferiore, per rendere le loro sentenze, capisce quanto valga per loro una direttiva costante della Corte regolatrice. La dottrina sia libera e si evolva in piena libertà, ma la Corte regolatrice sia quanto più è possibile costante per dare una guida sicura ai giudici inferiori.

Vi dirò ora molto brevemente della giuria. Anche qui, io reco la mia esperienza. Io sono contro la giuria popolare. Anche se io rispetto il parere di coloro i quali hanno manifestato un’opinione diversa, non posso non affermare che in Italia oggi non c’è più un giurista che sostenga la giuria popolare: sono tutti contrari ed anche coloro che sono favorevoli riconoscono tutte le manchevolezze dei giudici popolari. Difettano i requisiti dei giudici, le modalità di esercizio delle loro funzioni, la natura delle decisioni che ne promanano e soprattutto manca la saldezza della pietra angolare su cui dovrebbe poggiare il giudizio: e cioè una precisa e netta separazione del fatto dal diritto.

Non esiste questa distinzione tra fatto e diritto: è una finzione perfetta. Manca nei giurati la competenza, il senso critico, la freddezza d’animo. È viva in loro la passionalità, l’emotività, tanto che è facile persino che essi piangano; e quando il giurato piange è finita: l’imputato è assolto. (Ilarità a sinistra).

MAFFI. Che peccato!

MERLIN UMBERTO. È davvero un peccato, perché non si rende giustizia. E poi c’è la faccenda della scheda: la scheda del giurato che non ha capito niente, la scheda del giurato che non ha nemmeno saputo vergare un sì o un no, la scheda bianca, le scheda mal scritta o sgorbiata.

MANCINI. Ma, da che mondo è mondo, il dubbio è per il reo.

MERLIN UMBERTO. Per i reati che hanno un’importanza lievissima, ci può essere un primo giudizio, un secondo giudizio, la Cassazione: ma, per le Assise dove si decide della vita di un cittadino, non vi è alcuna possibilità di rimedio.

Ma poi senta, collega Mancini: io rispetto la sua opinione, ma sa lei il fascismo a chi ha principalmente dovuto il suo rafforzamento, per lo meno iniziale? Proprio alle Corti d’assise ed ai giudici popolari che hanno assolto tutti gli assassini fascisti ed hanno in questa maniera glorificato proprio coloro che hanno ucciso i suoi compagni di fede, ed anche i miei. (Commenti).

C’è qui infatti il collega Costa che può darmene fede. Nel mio Polesine 13 assassini fascisti a danno dei socialisti (Interruzioni) ed un altro assassinio a danno di un popolare. Ebbene, tutti gli imputati assolti dal giudici popolari.

MANCINI. Basile è stato assolto adesso.

MERLIN UMBERTO. Ed è stato assolto proprio da giudici popolari. Ed anche quando voi farete anche un reclutamento, il più severo possibile, arriverete allo stesso risultato, perché il giurato, comunque reclutato, non può essere un buon giudice.

Vi dico un ultimo argomento. Io sono favorevole evidentemente all’articolo che dice che i magistrati non possono partecipare a partiti politici o ad associazioni segrete. È inutile che ne dica le ragioni. Non capirei neanche che, soprattutto nei piccoli centri, un magistrato potesse, il giorno prima di un’udienza, battagliare alla sezione del partito cui appartiene, partecipare magari ad un comizio, discutere con quel calore che è tutto proprio degli italiani (pare che i nostri dissensi politici debbano manifestarsi sempre rumorosamente e che la politica sia palestra di odîi feroci). Ebbene, come si concepirebbe che quell’uomo stesso andasse il giorno dopo a sedere come giudice e giudicare un democristiano o socialista o liberale, cioè proprio color che aveva il giorno prima definito suoi acerrimi nemici? (Commenti). Non parliamo poi delle associazioni segrete. Io non credo e non voglio credere che in Italia siano risorte. Non ce ne sarebbe ragione, perché un regime libero non dà neanche il pretesto perché i cittadini debbano riunirsi in conventicole segrete; ma peggio che mai poi un magistrato potrebbe appartenere ad esse. Ed allora noi cadremmo in questa bella situazione: ai magistrati, divieto di appartenere a partiti e ad associazioni segrete, ma ai giurati del popolo, che sono quelli che decidono dei più gravi delitti, questo sarebbe consentito.

Un ultimo punto, e la mia esposizione è finita. Io domando nel mio ordine del giorno che sia assicurata ai magistrati una posizione economica adeguata al loro grado ed alla elevatezza delle loro funzioni. Non sono avvezzo alle adulazioni, ma sento il dovere di dire che i magistrati si sono conquistata in Italia tale una chiara fama di onestà e di correttezza, che riconoscerlo è un dovere. Si può dire che la vita dei magistrati si svolge in un quadro così modesto, con mezzi economici così palesemente limitati, che ogni malevolenza ed ogni alito di sospetto ne restano disarmati. Ma tutto ha un limite, e la condizione in cui vivono i magistrati è talmente inferiore alla dignità del loro ufficio ed al prestigio che devono godere, che esprimere alla Costituente un voto per ovviare a ciò, è un dovere. Nel mio breve passaggio nel Ministero di via Arenula ho studiato il progetto della istituzione di una Cassa nazionale dei magistrati, che del resto non era mio, ma era stato già preparato dal Ministro Togliatti e fatto proprio dal Ministro Gullo. Io qui non voglio tediare la Camera nel dire le ragioni per cui questo progetto non ha potuto essere attuato, ma dico che in quanto la nostra Carta costituzionale afferma o affermerà che i magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di grado, sganciata la Magistratura dal rimanente personale dello Stato, spero, confido, che sia possibile dare ad essi, con questo congegno o con un altro analogo, quella sistemazione economica che permetta di dire che noi abbiamo dato loro la massima delle libertà: la libertà dal bisogno.

Queste sono, onorevoli colleghi, le ragioni semplici, con le quali io ho svolto il mio ordine del giorno. La mia parola ha voluto essere più che tutto un atto di omaggio alla Magistratura italiana degna delle sue tradizioni. I magistrati, io ne sono sicuro, con la loro fermezza e con la loro indipendenza, daranno il più valido contributo allo sviluppo ed al rafforzamento della nostra democrazia. Ed io preferisco magistrati liberi che qualche volta dichiarino incostituzionale un decreto del potere esecutivo, a magistrati servi, i quali con la loro viltà sarebbero indegni di servire il nuovo Stato che stiamo faticosamente creando. (Applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi ha presentato il seguente ordine del giorno, che reca anche le firme degli onorevoli Guerrieri Filippo, Ciampitti, Tozzi Condivi, Scalfaro e Cappi:

«L’Assemblea Costituente ritiene che nella prossima riforma della legislazione penale sia istituito il giudizio di appello anche per i reati di competenza di Corte di assise, secondo le modalità da stabilirsi con la legge».

Ho l’impressione che sia uno di quegli ordini del giorno, i quali, perché non possono comunque tramutarsi in nessuna disposizione specifica da inserire nel testo costituzionale, non avrebbero ragione di essere presentati e svolti.

Ad ogni modo, se l’onorevole Mannironi si impegna a svolgerlo in maniera rapidissima, gli do facoltà di parlare.

MANNIRONI. Io sono abitualmente breve; però desidero far rilevare che l’argomento contenuto nel mio ordine del giorno fa parte anche di alcuni emendamenti ed è stato già illustrato, mi pare, dall’onorevole Rubilli.

L’argomento, peraltro, del quale mi devo occupare è, a parer mio, di natura squisitamente costituzionale. Si è detto qui e fuori di qui da taluno, che in questa parte del progetto costituzionale si siano voluti inserire molti principî, che non sarebbero strettamente costituzionali. Penso che, in ogni caso, l’abbondare in questa parte del progetto nel definire determinati principî ed affermazioni non sia inutile, perché in sostanza noi ci stiamo preoccupando di creare la struttura del potere giudiziario e di garantire, per altre vie, le libertà del cittadino. Ad evitare che domani facili maggioranze parlamentari possano modificare certi principî, che riteniamo di carattere fondamentale, mi pare che l’unico rimedio debba proprio consistere nell’agganciare questi principî alla Costituzione. Ora io intendo brevemente illustrare le richieste contenute nell’ordine del giorno, che tendono a fare affermare il principio, secondo il quale, nella legislazione italiana, debba esistere sempre il secondo grado di giurisdizione e debba esistere anche nei giudizi di Corte di assise, nei quali oggi il giudizio di appello non è ammesso.

Gli onorevoli colleghi che si sono occupati di studi di diritto sanno che da lungo tempo si è discusso nella dottrina se dovesse essere ammesso o no l’appello.

Dai sostenitori dell’abolizione dell’appello si è detto che, se l’appello è ammesso per reati minori, lo si dovrebbe a maggior ragione ammettere anche per i reati più gravi, quali quelli di competenza della Corte di assise; e si è aggiunto che, per evitare che i giudizi più gravi si dilunghino in inutili fasi dilatorie, meglio sarebbe abolire l’appello.

Onorevoli colleghi, voi capite quanto un ragionamento di questo genere possa essere pericoloso. Il diritto di appello è qualcosa, che è connaturata all’uomo e rientra nelle sue esigenze naturali e legittime. Il magistrato che interpreta la legge e l’applica al caso specifico, si preoccupa sempre di una cosa fondamentale: di accertare l’effettiva responsabilità dell’imputato. Ora questo giudizio di accertamento della responsabilità è proprio quello che costituisce la sostanza della giustizia e l’opera della Magistratura. Qualunque sforzo e qualunque tentativo possa essere fatto in questo senso, allo scopo di garantire e meglio assicurare la libertà del cittadino e allo scopo di scoprire la verità giudiziale e di impedire, in sostanza, che un’ingiustizia sia fatta, mi pare sia proficuo, utile e necessario. In tutti i tempi e presso tutti i popoli è esistito un giudizio di appello. Mi pare di aver letto che Platone si considerava sodisfatto di una sentenza e di un giudizio solo quando era passato attraverso tre vagli.

Senza dilungarmi troppo e senza sfoggio di inutile erudizione, voglio tralasciare di richiamare i precedenti del diritto romano e medievale. Comunque è certo questo: che il diritto di appello, fin dalle epoche più remote, è stato, direi, reclamato dalla coscienza di tutti i popoli, che di una cosa sola sempre si sono preoccupati; di garantire in tutte le maniere la libertà del cittadino, per evitare che questa libertà potesse essere violata e in qualche modo, compromessa, o coartata da giudizi erronei o da giudizi affrettati e irreparabili. Il giudizio di appello, onorevoli colleghi, è fondato su un concetto popolare, che è pieno di buon senso e di logica: quando si dice che quattro occhi vedono meglio di due, si afferma una verità sacrosanta. Ora il giudizio di appello porta proprio a questo; a far in modo che uno stesso fatto od una serie di fatti, che hanno costituito oggetto di esame e di giudizio da parte di un giudice, possano in un secondo tempo essere riesaminati da altro giudice diverso, lontano dal fatto, dal tempo e dal luogo del delitto, in modo che possa avere quella maggiore serenità di giudizio, che è la garanzia più sicura per la bontà e la correttezza del giudizio stesso.

Per combattere questa tesi del giudizio di appello anche per i reati di competenza delle Corti di assise, si adducono generalmente due motivi. Uno è di carattere formale. Si dice che non è consentito il giudizio di appello per i reati di competenza delle Corti di assise, in quanto tale giudizio è pronunciato da un giudice che è già di appello. Mi pare che questa sia una obiezione di natura formale, facilmente superabile. Non è necessario che il giudizio di primo grado per i reati gravi sia affidato ad un giudice di appello; può benissimo essere affidato ad altro giudice. E, d’altra parte, seppure fosse vero che il primo grado è affidato ad un giudice di appello, nulla esclude che una seconda fase di giurisdizione sia affidata ad altri giudici di appello, che sono sì di pari grado, ma di diversa giurisdizione. Si potrebbe, in sostanza, adottare il criterio già seguito quando la Cassazione cassa una sentenza e rinvia il giudizio per il riesame ad un altro giudice di appello, la cui sentenza resta definitiva.

L’altro argomento di merito e più grave, che si adduce contro l’opportunità del giudizio di appello per i reati gravi, lo si fa consistere nel fatto che i reati di Corte di assise sono di competenza della giuria popolare. E poiché la giuria è sovrana in tale suo giudizio, non si può consentire che un altro giudice superiore sia in diritto di giudicarne l’operato.

Qui si potrebbe riaprire nuovamente e a lungo la discussione sulla questione della giuria. Per quello che mi riguarda personalmente vi dirò che sono anch’io contrario alla giuria popolare, così come lo sono molti avvocati che hanno fatto l’esperienza del giudice popolare. In quest’Aula abbiamo potuto ascoltare il parere di autorevolissimi colleghi, che sono lustro del Foro e sono considerati meritatamente dei maestri. Io vorrei però dimostrarvi che l’ammettere oggi il principio dell’appello anche per i reati di Corte di assise, non porta come conseguenza all’abolizione della giuria. Vi sono dei colleghi che hanno proposto un emendamento tendente a far sopprimere il giudice popolare; vi sono altri colleghi che hanno chiesto che questo argomento sia rimandato al legislatore ordinario. Ora, se voi vi orientaste in questo senso e decideste di demandare al legislatore di domani la decisione sulla giuria popolare o se voleste anche fin d’ora conservarla, pare a me che oggi possiate, senza contraddirvi, affermare il principio della necessità del secondo grado di giurisdizione anche per i reati di Corte d’assise.

Quando voi parlate di giudice popolare, credo che non dobbiate cristallizzarvi a quell’ordinamento di giurati che vigeva nella legislazione passata; credo che anche quelli che sono sostenitori tenaci della giuria popolare, debbano ammettere che la giuria è suscettibile di modificazioni e di perfezionamenti e che, per esempio, la giuria popolare non escluda la necessità della sentenza motivata.

In sostanza, con questo si tornerebbe al parere ed all’opinione espressi da un autorevolissimo politico e studioso di diritto, quale era Giuseppe Pisanelli. Egli era uno dei più tenaci difensori della giuria popolare, come ebbe a manifestarsi nelle discussioni avvenute alla Camera nel 1874; ma fu anche autore di un libro nel quale sosteneva che tutte le sentenze dovessero essere motivate, comprese quelle dei giurati. Egli disse tra l’altro che «nessuno può dubitare che l’obbligo imposto al giudice di rendere ragione della sua sentenza è una delle maggiori garanzie della innocenza in quanto la motivazione era, ad un tempo, sussidio e freno per i magistrati, ecc.».

E si potrebbero richiamare qui anche altri principî fondamentali, enunciati dal Pisanelli in quel suo pregevole libro.

Ora, onorevoli colleghi, se anche voi siete dei tenaci assertori della giuria, potete e dovrete ammettere che questa giuria non debba essere considerata come un oracolo. Nessuno può essere ritenuto infallibile: neppure i giurati popolari. Anche a loro perciò bisogna imporre l’obbligo della motivazione del giudizio, perché soltanto in tal modo avremo dato la possibilità di esercitare un utile controllo anche su di loro e sui loro giudizi. Così soltanto si potrà inspirare, nelle cause più gravi, la necessaria fiducia nel popolo, che guarda all’operato della giustizia e della Magistratura, e vuole essere però in grado di controllarlo.

Badate, il pubblico, il popolo non si preoccupa tanto di sapere che giustizia è fatta o che è fatta rapidamente; si preoccupa, anzitutto, di sapere che la giustizia è stata fatta bene e di essere messo nella condizione di accertare veramente se bene è stata fatta.

Ora, questo accertamento soltanto per una via si può esercitare ed è attraverso l’esame della motivazione che il giudice pone a base del proprio giudicato. Ora, ripeto, se anche voi vi preoccupate della esistenza dell’istituto della giuria nella legislazione di domani, credo che vorrete essere concordi in questo, nel riconoscere la necessità della motivazione in ogni sentenza. Non sarà inutile ricordare che già un po’ in questo senso vi siete pronunciati, onorevoli colleghi, quando avete approvato l’articolo 8 della Costituzione.

In tale articolo è detto che «non è ammessa forma alcuna di detenzione né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria». Ora, la giuria può rientrare, deve rientrare in questa dizione generica di «autorità giudiziaria» e quindi mi pare che il concetto generale dell’obbligo della motivazione in tutte le sentenze, comprese quindi quelle di assise, debba ritenersi sancito fin da quando si è approvato l’articolo 8. Ad ogni modo, il ripeterlo o il precisarlo con apposito emendamento, sarà sempre utile e opportuno.

La motivazione delle sentenze, onorevoli colleghi, è d’altra parte la base di ogni giudizio di appello ed è la base anche dei giudizi di Cassazione. Perché, se la Cassazione fosse soltanto chiamata a giudicare sull’applicazione retta della legge, indipendentemente dall’esame di ogni giudizio sul fatto, o dal criterio che il giudice ha seguito anche nell’accertamento del fatto, credo che sarebbe messa, direi, in una condizione di inferiorità. Sarebbe messa nella condizione di emanare giudizi assolutamente parziali, che non potrebbero investire l’intero giudizio, e quindi non potrebbero offrire quelle sicure garanzie di cui il popolo ha bisogno per tranquillarsi dell’esito delle sentenze, specie di condanna nei reati gravi.

La Costituente francese, in una agitata seduta del maggio 1790, si era proposto questo quesito: devono esistere oppur no due gradi di giurisdizione? E la maggioranza aveva votato e risposto affermativamente a questo quesito.

Credo, onorevoli colleghi, che questa stessa preoccupazione vorrete avere voi. Credo che faremo opera utile e saggia se fra i principî fondamentali della nostra Costituzione fisseremo anche noi questo principio del doppio grado di giurisdizione per tutti i giudizi: principio che non mira a priori ad abolire la giuria popolare, ma mira soprattutto a garantire la libertà dei cittadini e ad una migliore amministrazione della giustizia.

Questa libertà del cittadino, come sapete, può essere insidiata non soltanto da atti illegali e illegittimi dei privati, ma può essere menomata, trasformata, ridotta anche da atti del potere legislativo, del potere esecutivo, e, purtroppo, anche da atti del potere giudiziario.

Ora, per evitare che errori commessi siano irreparabili, per evitare che ingiustizie anche per un solo nostro simile siano commesse irrimediabilmente, mi pare che la garanzia del giudizio di appello sia la conquista migliore o una delle conquiste principali che realizzeremo, in concomitanza con tutti gli altri principî affermati nella prima parte della Costituzione e tendenti tutti a salvare la libertà dell’uomo e del cittadino. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo ha presentato il seguente ordine del giorno, che reca le firme anche degli onorevoli Rodinò Mario, Rubilli, Bonomi Ivanoe, Cortese Guido, Gabrieli, Bellavista, Caccuri, Moro, Jervolino, Sullo, Candela, Murgia, Martino Gaetano, Turco, Carboni Enrico, Franceschini, Sansone, Mazza, De Unterrichter Jervolino Maria, Badini Confalonieri, Bastianetto, De Caro Raffaele, Ciampitti, Micheli, Siles, Lucifero, De Martino, Condorelli, Rognoni, Fabbri, Lizier, Morelli Renato, Corbino, Corsini, Gui, Bettiol, Zotta, Abozzi, Cappi, Gasparotto, Villabruna, De Mercurio, Basile:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che il problema del collocamento a riposo dei magistrati non ha avuto finora una uniforme soluzione: si passò, difatti, dal regime che ignorava i limiti di età alla legge 14 luglio 1907, n. 511, che determinava il limite di età ad anni 75 per i consiglieri di cassazione e i magistrati di grado superiore; successivamente alla legge 19 dicembre 1912, n. 1311, che riduceva a settanta anni il limite di età per i consiglieri di cassazione, mantenendolo a 75 anni per magistrati di grado superiore; infine alla norma vigente che determina i limiti di età al 70° anno per tutti i magistrati;

considerato che il problema del limite di età dovrà formare oggetto di esame nella elaborazione della legge di ordinamento giudiziario, alla quale, in esecuzione della Costituzione, dovrà attendere il nuovo Parlamento;

ritenuta l’opportunità in tale sede di adeguare la condizione dei magistrati a quella dei professori universitari (per i quali una legge in corso di pubblicazione determina il limite di età al 75° anno);

considerato che, intanto, è opportuno e necessario sospendere il collocamento a riposo dei magistrati al 70° anno di età;

invita il Governo a prorogare la legge attualmente in vigore, per la quale il Ministro di grazia e giustizia è autorizzato a trattenere in servizio i magistrati che abbiano raggiunto il 70° anno di età fino alla nuova legge sull’ordinamento giudiziario, collocandoli fuori ruolo».

Onorevole Crispo, questo suo ordine del giorno è uno di quelli che rientrano nella categoria dei non pertinenti né direttamente né indirettamente alla materia in esame.

CRISPO. Onorevole Presidente, il mio ordine del giorno ha effettivamente un rapporto semplicemente occasionale con l’ordinamento giudiziario. Lo scopo mio e degli altri colleghi firmatari è infatti soltanto quello di fare una segnalazione all’Assemblea; segnalare, cioè, che vi è una legge con la quale si prorogava fino al 31 dicembre ’47 la legge del 28 gennaio ’43 sulla sospensione del collocamento a riposo del personale giudiziario, di cui appunto è cenno nel mio ordine del giorno.

Noi chiediamo che questa legge, la quale dovrebbe, come ho detto, cessare di aver vigore con il 31 del prossimo dicembre, sia invece prorogata. Le ragioni della nostra richiesta sono due. La prima è che innanzitutto, quando la legge dovrà occuparsi del nuovo ordinamento giudiziario, dovrà anche disciplinare questa materia dei limiti di età in rapporto al collocamento a riposo dei magistrati, il che non è stato per ora mai fatto. Ma vi è anche un’altra ragione ed è che è in corso una legge relativa al collocamento a riposo dei professori d’università, nella quale sembra che verrà fissato il limite di 75 anni. Sotto questo aspetto quindi, il limite di settanta anni potrebbe costituire una sperequazione. Noi chiediamo pertanto una proroga di un anno, fino a quando cioè non sarà entrato in vigore il nuovo ordinamento giudiziario.

È questa la raccomandazione che noi facciamo al Ministro della giustizia.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, in veste di Guardasigilli.

GRASSI. Debbo anch’io osservare che, come ha avvertito l’onorevole Presidente, l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Crispo e dagli altri colleghi non è pertinente alla Costituzione. Non sarebbe dunque questa la sede, ma, trovandomi qui ed essendo chiamato in causa, non posso esimermi dall’assicurare l’onorevole Crispo e gli altri membri dell’Assemblea che, pur non pensandosi a prorogare la legge, non essendo questa una cosa possibile, il Governo si preoccupa della situazione in cui vengono a trovarsi i magistrati settantenni, non solo per le loro condizioni economiche ma anche perché il Ministero della giustizia non ha potuto procedere, durante gli anni della guerra a tutte le necessarie promozioni. Sono per conseguenza in corso adesso dei provvedimenti al riguardo, i quali spero potranno sodisfare le esigenze manifestate dall’onorevole Crispo e dagli altri firmatari dell’ordine del giorno.

Assicuro l’onorevole Crispo che il Governo provvederà a favore dei magistrati che dovrebbero essere collocati in riposo entro il 1948 e lo prego pertanto di ritirare l’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, ritira il suo ordine del giorno?

CRISPO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Ci sarebbe ora un ordine del giorno dell’onorevole Adonnino relativo alla Corte costituzionale, che penso sarebbe più opportuno venisse svolto quando saremo in sede di discussione del titolo relativo.

ADONNINO. Onorevole Presidente, a me sembra che il mio ordine del giorno sia pertinente nella discussione attuale. A mio parere, l’argomento della Corte costituzionale è infatti strettamente connesso con quello della Magistratura, con quello di tutto l’ordinamento giudiziario.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, a me pare che basta la lettura del suo ordine del giorno per convincersi che quello che ho detto non è errato:

«L’Assemblea Costituente, considerato che la Corte Costituzionale ha il carattere di suprema moderatrice dei poteri dello Stato, delibera che alla sua composizione debbano concorrere tutti e tre i poteri in cui si esplica la sovranità dello stato».

Non comprendo perché lei debba preferire di svolgerlo adesso anziché al momento in cui affronteremo l’esame della Corte costituzionale.

ADONNINO. Secondo me, onorevole Presidente, l’argomento della Corte costituzionale è assolutamente e inscindibilmente connesso anche con l’argomento della Magistratura e di tutto l’ordine giudiziario. Ed in questo senso io intenderei, nei limiti concessimi, trattarlo: è un punto sintetico e conclusivo di vari punti che desidererei svolgere.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, nei limiti concessi dal Regolamento.

ADONNINO. Onorevoli colleghi, dato il punto al quale la discussione è giunta, non è consentito che esprimere idee determinate su punti specifici; tutti gli argomenti generali e fondamentali ormai sono stati ampiamente trattati, e perciò non vi è che da richiamarsi semplicemente ad essi.

Però a me pare che un punto importante e fondamentale in tutta questa discussione non è stato completamente trattato e lumeggiato, cioè quello della futura Corte costituzionale. Infatti, chi di noi finora ha parlato ampiamente e compiutamente della Corte costituzionale? Appunto perciò credo che se ne debba dire qualche cosa.

Fino a ieri, penultimo giorno della discussione, l’onorevole Zotta ha toccato un punto basilare relativo ad essa, e precisamente questo: qual è il carattere di questa Corte costituzionale? Che cosa si deve deferire ad essa e quali sono i rapporti tra la Corte costituzionale e la Corte di cassazione? Dunque vedete, onorevoli colleghi, che si tratta di un punto molto importante, in cui poi si accentra gran parte della Costituzione; proprio questo istituto nuovo costituisce una delle principali caratteristiche di tutta la Carta costituzionale.

Dicevo poco fa, accennandone brevemente, che questo è un punto strettamente connesso anche con l’indipendenza della Magistratura, perché, dato che io concepisco la Corte costituzionale come un derivato di tutti e tre i poteri della sovranità: potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario, è evidente che essa suppone in maniera assoluta l’indipendenza della Magistratura. Noi abbiamo parlato degli altri due poteri, ma dell’indipendenza della Magistratura si deve fare un punto fondamentale, e assolutamente rispettato perché se no cadrebbe il concetto stesso che io mi faccio, e che vi sottopongo, della Corte costituzionale.

Dunque, come è organizzata genericamente l’indipendenza della Magistratura nel nostro progetto di Costituzione? Qualche osservazione schematica e brevissima. In primo luogo, nell’articolo 94 si parla di una funzione giudiziaria. Ora io dico: perché si deve parlare della funzione prima di determinare l’organo? Si dovrebbe parlare, come è già stato proposto, di potere giudiziario. Ma io osservo che nell’articolo 94 si dice subito che la funzione giurisdizionale è «espressione della sovranità». Ora, onorevoli colleghi, che cosa significa «espressione della sovranità»? Qualunque atto dello Stato in sostanza è espressione della sovranità; anche quando il più umile dei carabinieri arresta un delinquente, egli adopera un potere che è espressione della sovranità. Perciò mi pare che non si debba solo dire «espressione della sovranità», ma si debba dire «espressione immediata e diretta della sovranità».

Se si fissasse l’organo e si caratterizzasse come «organo sovrano» si potrebbe obiettarmi: la sovranità è indelegabile e perciò, quando si dice che un organo è sovrano, non c’è bisogno di dire «direttamente e immediatamente».. Siccome però qui non si parla di un organo, ma si parla di una funzione, e si dice che essa è «espressione della sovranità» mi pare che sia assolutamente necessario dire che ne è manifestazione «diretta ed immediata». Solo così noi poniamo il potere giudiziario sullo stesso piano degli altri due poteri, il legislativo e l’esecutivo.

E allora noi veniamo a proporci il problema: la Corte costituzionale (e mi ricollego subito alla Corte costituzionale, come vedete) che cosa è? Se abbiamo questi tre poteri sullo stesso piano, piano elevato, al disopra del quale nulla vi è, la Corte costituzionale che cosa rappresenta? Rappresenta qualcosa di più elevato ancora? Non è possibile, perché qualcosa di più elevato degli organi sovrani non c’è.

E allora come si può concepire? La concepirei (e mi riferisco al mio ordine del giorno) come organo di collegamento di tutti e tre i poteri sovrani, come organo che è l’emanazione e la sintesi di essi e che tutti e tre li armonizza.

Dunque non è un quarto potere, non è un qualche cosa di superiore ad essi, ma è una sintesi armonizzatrice di tutti e tre.

Questo concetto fondamentale mi pare che ci debba essere guida nel definire i poteri della Corte costituzionale.

Ma prima, ritorniamo brevemente al concetto della giustizia quale noi la vogliamo per tutto il popolo, e che deve essere giustizia vera: è stato già detto che questa giustizia si fonda sui due concetti fondamentali: unicità della giurisdizione e indipendenza assoluta della Magistratura. Anche la materia dell’unicità della giurisdizione ha stretta attinenza con la Corte costituzionale: vedremo infatti più innanzi che l’Alta Corte costituzionale, pure essendo emanazione dei tre poteri dello Stato ed organo centrale che tutti tre li armonizza, costituisce sempre una giurisdizione, e le sue funzioni sono di carattere prettamente giurisdizionale; è un’eccezione dunque al principio dell’unicità della giurisdizione, e, da un punto di vista teorico, dovrebbe essere l’unica eccezione. Vedremo in seguito come si giustifica teoricamente la sua esistenza nella nostra Costituzione. Qui basti aver rilevato il suo carattere giurisdizionale; e basti rilevare che la sua esistenza non infirma per nulla la necessità assoluta dell’unicità della giurisdizione ai fini della vera giustizia.

Ed è in relazione a ciò che occorre esaminare, sia pure fugacemente, se tale unicità sia raggiunta ed attuata nel progetto che ci sta dinanzi. Non mi pare che lo sia. È vero che è ammesso il ricorso per cassazione contro tutte le decisioni di giurisdizioni speciali. Ma ciò non significa unicità di giurisdizione; significa invece soltanto unicità d’interpretazione della legge da parte di tutte le giurisdizioni, anche molteplici e varie. La verità è che la giurisdizione non è unica, come teoricamente dovrebbe essere, ma varie importanti giurisdizioni speciali sono conservate.

Si dice che ci sono delle ragioni per la conservazione o per la creazione di certe giurisdizioni speciali. In fatto di giurisdizioni speciali, in sostanza, credo che – indipendentemente dai molti argomenti portati pro e contro – due sono gli argomenti fondamentali su cui esse si basano. Un argomento ingiusto, da respingere, e un argomento veramente serio e giusto, da accogliere. L’argomento da respingere è che in sostanza il mantenimento o la creazione delle giurisdizioni speciali è voluto principalmente dai partiti e dall’interesse degli uomini politici. Parlo dell’influenza che sulla giustizia, principalmente attraverso speciali giurisdizioni appositamente create, cercano di esercitare i partiti politici e gli uomini politici per loro particolari interessi, e non dell’influenza delle grandi correnti di idee politiche e sociali che guidano la vita del Paese. Queste esercitano le loro influenze psicologiche, e specialmente culturali, su tutti gli uomini, specialmente di pensiero e di studio, che vivono nel Paese, e non se ne possono astrarre o isolare; e perciò, anche su tutti i magistrati ordinari nei limiti – s’intende – dell’ossequio alle leggi; onde non hanno bisogno di ricorrere alla creazione artificiosa di giurisdizioni speciali per influire sulla giustizia. Come grandi correnti di idee e di cultura, del resto, non potrebbero nemmeno creare giurisdizioni speciali. Le giurisdizioni speciali le creano i partiti e gli uomini di parte che positivamente agiscono ed operano nella sfera politica. E costituiscono così il più grave pericolo per la giustizia, come, del resto, costituiscono il più grave pericolo per l’amministrazione della cosa pubblica. Quando Silvio Spaventa nel 1880 pronunciò, dinanzi all’Associazione costituzionale di Bergamo, quel celebre discorso che viene ancora ricordato come fondamento della nostra giustizia amministrativa, cominciò il suo dire ricordando una precedente riunione tenutasi pochi mesi prima a Napoli, nella quale erano intervenuti i più autorevoli uomini politici italiani, i quali tutti avevano concordemente rilevato e proclamato, il più grave pericolo per le istituzioni del nascente Stato italiano essere costituito dall’illegittima ingerenza dei deputati nell’amministrazione.

La stessa cosa si può dire ora della possibile influenza di deputati e di partiti sull’amministrazione della giustizia, influenza che può principalmente esercitarsi mediante la creazione di giurisdizioni speciali.

Ricordo l’episodio del discorso di Silvio Spaventa, onorevoli colleghi, perché in esso si trattava dei deputati… del 1880! Comunque il principio, la vera spinta, la vera molla delle giurisdizioni speciali è questa.

Ma c’è un’altra ragione, che è una ragione giusta e logica e perfettamente accoglibile, dell’esistenza delle giurisdizioni speciali, cioè che in tante materie speciali – e nei tempi moderni tutte le materie si vanno sprofondando sempre più nella specializzazione – il giudice ordinario non è adatto, perché il giudice ordinario ha un sistema rigido, dagli spigoli netti, dal sillogismo rigoroso quale s’addice al vigile senso del diritto, e non può essere pronto a quegli apprezzamenti duttili, elastici che sono richiesti da tanti ambienti e da tante materie speciali. Prendiamo, ad esempio, la materia amministrativa, in cui prevale l’interesse pubblico, pur commisto con l’interesse individuale. In essa più che il criterio rigido del giudice ordinario, occorre la duttilità dell’amministratore, del giudice proveniente dall’amministrazione il quale ha viva la sensibilità di tanti interessi contrastanti, e dell’interesse collettivo in ispecie.

Ecco la ragione fondamentale per cui le giurisdizioni speciali sono necessarie. È una ragione profondamente diversa, da quella che giustifica l’esistenza della Corte costituzionale, giurisdizione speciale anch’essa, come vedemmo, richiesta però al fine dell’equilibrio e dell’armonia fra i tre fondamentali poteri della sovranità. Ora, per un compiuto parallelo tra queste varie speciali giurisdizioni, e per l’esame del grado di indipendenza che a ciascuna di esse devesi assicurare, è mestieri indagare come il progetto le configuri e le congegni.

A quali criteri, a quali principî il progetto si informa? Vediamo brevemente qui la struttura e l’indipendenza che dà alle giurisdizioni speciali; vedremo dopo, a confronto, quelle della Corte costituzionale. Il progetto, in primo luogo, riconosce la giurisdizione ordinaria. In questa giurisdizione ordinaria si propone poi di creare delle sezioni speciali con l’intervento di tecnici per le materie speciali, che dovrebbero avere speciali giurisdizioni. Passi pure, ma io devo dire che non è una cosa che mi sodisfi completamente. Ho parlato con illustri magistrati che moltissime volte nella loro carriera si sono trovati in questi collegi composti da giudici e da laici, e mi hanno detto che le due parti non si fondono, non avviene una composizione intima fra l’una e l’altra, in modo da dar vita a un organismo nuovo, differente dai due organismi originari. I giudici restano giudici, i laici restano laici. Le questioni giuridiche sono decise soltanto dai giudici come se i laici non ci fossero; le questioni tecniche, vengono decise dai laici come se i giudici non ci fossero.

Non è dunque, una soluzione che possa lasciare completamente tranquilli.

Tanto vero che lo stesso progetto conserva certe giurisdizioni speciali. Conserva in primo luogo il Consiglio di Stato. Va bene. Ma gli organi della giustizia regionale, della giustizia amministrativa locale, perché non li conserva? E non solo: conserva il Consiglio di Stato, ma lo conserva come adesso è, cioè niente affatto indi- pendente dal potere esecutivo. Ricordiamo: il Consiglio di Stato pur avendo funzionato in maniera ottima – e qui ha ricevuto l’autorevolissima lode di tutti coloro che ne hanno parlato, lode alla quale io intendo tato corde associarmi – è formato in una maniera che non dà assoluta tranquillità. Il reclutamento è fatto – per una parte almeno – su nomina del Consiglio dei Ministri e non su concorso regolare; i Presidenti di sezione sono nominati dal Consiglio dei Ministri. Molti incarichi distribuisce ed assegna il Governo. Adunque, ci sono tali e tante interferenze da parte del potere esecutivo nel Consiglio di Stato, che tranquillità completa non credo possa esservi.

La Corte dei conti è pure conservata. Ma il progetto non parla degli organi di giurisdizione contabile locale che si dovrebbero pure richiamare.

E per la Corte dei conti è da fare la stessa osservazione che si è fatta per il Consiglio di Stato. Ed anzitutto, anche per essa e per il suo ottimo funzionamento, è da ripetere la lode più ampia. Ma, anche per essa, la lode massima non toglie che, a cagione della sua odierna struttura, che non si dice, nel progetto, di voler modificare, le più gravi perplessità debbano manifestarsi. Il personale della Corte è reclutato per concorso, indetto, oltre che fra avvocati e procuratori, fra elementi provenienti dalla pubblica amministrazione. Ed i vincitori, appena entrati in carriera, non sono giudici, ma semplici funzionari, i quali, ciò nonostante, collaborano con i collegi giudicanti in operazioni preparatorie e pur senza intervenire nelle decisioni. In seguito acquistano la qualità di magistrati. Ma, anche qui, come nel Consiglio di Stato, i consiglieri possono essere nominati, per metà, senza concorso tra elementi estranei, per deliberazione del Consiglio dei Ministri; e dal Consiglio dei Ministri stesso sono designati i Presidenti di sezione e il Primo Presidente. Continue ingerenze ha poi il Governo nell’amministrazione dell’istituto, e nel conferimento di molteplici incarichi retribuiti.

Ora questo tipo di struttura, per cui questi organi importantissimi sono permanentemente soggetti alle influenze del potere esecutivo, e perciò delle fluttuanti maggioranze parlamentari e dei partiti e degli uomini politici, non può non essere profondamente modificato.

Vi è poi ancora un terzo campo di cui non ho sentito proprio parlare nessuno. In queste materie tanto difficili, anche se si discutesse per anni, ci sarebbe sempre qualche punto dimenticato e qualcuno che potrebbe sempre sollevare questioni nuove. Dico, della giustizia fiscale. A me pare un ramo così importante che lo ritengo più importante della stessa giurisdizione ordinaria. Tutti quanti sappiamo che la giustizia ordinaria può coinvolgere questo o quel cittadino, e vi possono essere cittadini che mai hanno avuto a che fare con essa. Ma la giustizia fiscale è un’ombra che segue chiunque e con la quale chiunque ha da fare e alla quale nessuno si sottrae. In questo momento, specialmente, in cui così gravi tributi gravano, e debbono gravare, sulle nostre misere spalle. Orbene, in che stato è questa giustizia tributaria? Voi mi insegnate che c’è un caos completo. Vi sono certi rami in cui vi è un solo grado di giurisdizione; vi sono certi rami in cui ve ne sono sei: tre speciali e tre ordinari; non solo, ma quello che è assolutamente inesistente è l’indipendenza: la maggior parte dei giudici fiscali sono nominati dalle stesse amministrazioni, e così sono giudici e parti.

Ora, è possibile che nella Costituzione a tutto questo non si accenni nemmeno? La Commissione nominata dal Ministero della Costituente si propose questo problema. Naturalmente non è possibile scendere nei minimi particolari, ma qualche norma direttiva fondamentale bisogna darla, ed io credo che sarebbe opportuno dire che è conservata la giurisdizione speciale e che ha le necessarie garanzie di indipendenza.

Quarto settore di giurisdizione speciale: la giustizia militare. Vi sono certi reati che sono tipicamente e specificamente militari. Un furto, che sia commesso da un soldato o che sia commesso da un borghese, è sempre furto, ma quando parliamo dell’insubordinazione, quando parliamo della diserzione, dell’abbandono di posto, abbiamo reati tipicamente militari. Ed allora, anche in tempo di pace, perché sottrarli a quelli che possono meglio indagare l’anima del militare che li ha commessi, e che meglio sono in grado di capire le necessità dell’organismo che da essi è leso? Per quale ragione ci devono essere i tribunali militari per il tempo di guerra e non anche per il tempo di pace?

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, con ogni sforzo, non riesco a vedere in qual modo il problema dei tribunali militari entri nel tema in esame. L’avverto di ciò perché lei ha a disposizione ancora solo quattro minuti.

ADONNINO. Onorevole Presidente, io comprendo le sue preoccupazioni per lo svolgimento dei lavori, ma tali preoccupazioni Ella per gli altri oratori non le ha avute. Ella vede bene del resto che io vado svolgendo un confronto fra la Corte Costituzionale – che è la materia del mio ordine del giorno – e le altre giurisdizioni speciali, dunque sto perfettamente al tema. Finalmente: vogliamo fare un patto? Io ho nove emendamenti, e se Ella non mi permette di svolgerli ora, avrò diritto ad un quarto d’ora per ciascuno per svolgerli dopo. Cioè avrò due o tre ore di tempo. Rinuncio ad esse, se posso brevemente svolgerli ora. Vede quale generosa rinuncia?

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino la prego di attenersi alla materia del suo ordine del giorno e di concludere.

ADONNINO. Resto nel mio tema. Trattandosi di elementi interdipendenti, debbo considerarli tutti, se no, non posso compiutamente esporre come concepisco la Corte costituzionale.

Abbiamo così accennato ai quattro settori principali di giurisdizioni speciali, in contrapposto alla speciale giurisdizione costituita dalla Corte costituzionale. Possiamo cominciare a delineare le fondamentali differenze che caratterizzano le une e l’altra. Le une agiscono ciascuna dentro un determinato settore; l’altra non ha un settore proprio (tranne per i giudizi sulle accuse alle alte cariche dello Stato, attività accessoria e secondaria) ma garantisce l’osservanza dei limiti posti ai poteri della sovranità, sta, cioè, in un piano superiore a quello delle altre giurisdizioni speciali che restano entro l’ambito del potere giurisdizionale. Altre giurisdizioni speciali vi sono, e l’onorevole Merlin vi ha detto che sono numerosissime; vi sono molteplici collegi arbitrali, vi sono i Consigli di Prefettura, i Consigli di leva, le attribuzioni giurisdizionali dei Ministri. Il progetto dice che di esse si dovrà fare una revisione entro cinque anni; e che per crearne di nuove occorrerà la maggioranza assoluta dei membri delle due Camere. Norme, queste, insufficienti di certo. A me pare che un progetto organico e completo possa essere questo: alla base, la giurisdizione ordinaria, sia pure con delle sezioni specializzate per speciali materie; poi i quattro settori già esaminati di giurisdizioni speciali: amministrativa, contabile, fiscale, militare; e, all’infuori di esse, stabilire una netta direttiva tendente al divieto di creare nuove giurisdizioni speciali. E siccome a rendere veramente efficace tale direttiva è insufficiente la remora proposta nel progetto, cioè la maggioranza assoluta dei membri delle Camere, io propongo che si renda più grave tale remora richiedendo la maggioranza dei due terzi dei membri delle Camere e il parere del Consiglio Superiore della Magistratura ed altresì della Corte costituzionale. A di sopra di tutte, e a garanzia dei limiti posti all’attività dei vari poteri dello Stato, la giurisdizione della Corte costituzionale. Entro tre anni, revisione delle giurisdizioni speciali ora esistenti, permettendone la conservazione solo se approvata da una maggioranza di due terzi dei membri delle Camere, e su parere del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte costituzionale. Questo mi parrebbe un complesso architettonico, del quale i piloni fondamentali sarebbero i tre poteri dello Stato, in cui le varie giurisdizioni ordinarie e speciali, comprese nell’ambito del potere giudiziario, sarebbero regolate dalla Cassazione e i tre poteri sarebbero regolati dalla Corte costituzionale.

Vengo agli ultimi due punti dell’ampia materia della Magistratura, che si ricollegano direttamente al mio tema della Corte costituzionale, come elementi essenziali di un’organica concezione di essa. Cioè: l’indipendenza assoluta delle giurisdizioni tutte ordinarie e speciali; e la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Se il potere legislativo e l’esecutivo potessero influire sulle varie giurisdizioni componenti l’ordine giudiziario, vano sarebbe affidare alla Corte costituzionale il compito di garantire i limiti dell’azione dei tre cennati poteri. Dunque necessità d’indipendenza assoluta di tutto il potere giudiziario; l’indipendenza e l’autogoverno delle giurisdizioni speciali debbono essere identiche a quelle della giurisdizione ordinaria. Altrimenti cade il disegno architettonico sopra delineato, e in cui è caratterizzata la figura della Corte costituzionale. Per necessaria conseguenza le norme regolatrici delle giurisdizioni speciali debbono essere incluse nella legge sull’ordinamento giudiziario che regola la giurisdizione ordinaria; l’ammissione a tutte le giurisdizioni deve avvenire mediante concorso, pure ammettendo ai concorsi per le giurisdizioni speciali solo le categorie adatte psicologicamente per provenienza, per abito mentale, per preparazione culturale; l’autogoverno di tutta la Magistratura deve essere completo, considerando la Magistratura formata sia dalla giurisdizione ordinaria, sia dalle speciali; i magistrati debbono definitivamente lasciare la amministrazione di provenienza; quelle giurisdizioni che formano ora parte integrante di un più vasto organismo amministrativo debbono da esso distaccarsi, anche come sede. Questo è il sistema fondamentale, per il quale potremo dire di attuare veramente l’indipendenza della magistratura.

Se aggiungiamo che il Consiglio Superiore della Magistratura deve essere composto, secondo la mia proposta, per un terzo di magistrati scelti fra le alte cariche, per un terzo di magistrati eletti fra tutti i magistrati di Italia nelle diverse categorie e per l’altro terzo fra insegnanti universitari ordinari di diritto, possiamo concludere che la Magistratura sarà veramente indipendente e completamente avulsa dagli altri organi dello Stato, nella sua organizzazione, nel suo capo, nella sua direzione.

Né è da temere di creare una «casta chiusa». Sarebbe chiusa alle deleterie influenze delle maggioranze e dei partiti; ma bene aperta alla benefica influenza delle grandi correnti di pensiero e di sentimento politico e sociale, che ogni giudice assorbirebbe nella vita sua quotidiana e nei suoi studi, e che lo avvierebbero alle più moderne concezioni, pur dentro i limiti del rigoroso ossequio alle leggi.

Tutto ciò posto, che cosa è la Corte costituzionale? È l’espressione dei tre organi dello Stato: il giurisdizionale, l’esecutivo e l’amministrativo; veglia sulla costituzionalità delle leggi; risolve i conflitti d’attribuzione fra i poteri dello Stato; giudica sulle accuse alle alte cariche dello Stato.

Qualcuno ha proposto che la materia, che devesi devolvere alla Corte costituzionale, sia devoluta invece alla Corte di cassazione. No; secondo il mio concetto, che cioè, sono tutti tre gli organi del potere e della sovranità dello Stato quelli da cui promana la Corte costituzionale, non si può ad essa sostituire la Cassazione, perché questa sarebbe rappresentante di uno solo dei poteri, mentre nella Corte costituzionale abbiamo i rappresentanti di tutti e tre i poteri.

E qui sorge il problema grave posto dall’onorevole Zotta. Senza dubbio l’attività della Suprema Corte costituzionale è attività giurisdizionale. Si tratta di applicare una legge, la legge costituzionale, all’attività degli organi dello Stato. Dunque – e del resto l’ho già dimostrato in tutto il mio dire – la Corte è una giurisdizione speciale.

Ma se noi in altro articolo diciamo che contro tutte le decisioni delle giurisdizioni speciali si può ricorrere in Cassazione, allora anche le decisioni della Corte costituzionale sarebbero denunciabili in Cassazione.

L’onorevole Zotta proponeva di attribuire la risoluzione di tutti i conflitti di giurisdizione alla Corte costituzionale.

I conflitti di giurisdizione sono giurisdizione interna, nell’interno della Magistratura, almeno come io l’ho delineata, cioè composta di un tutto unico, in cui entrano la Magistratura ordinaria e la Magistratura speciale. Allora è mestieri che i conflitti tra giurisdizioni, tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale, li affidiamo alla Corte di cassazione.

Unica norma, invece, che si può porre, è questa: che le sentenze dell’Alta Corte costituzionale non debbano essere denunciabili alla Corte di cassazione. Noi sganciamo così la Corte costituzionale e le sue decisioni dalla sottomissione al potere giudiziario. Ma. intanto, ho detto che la Corte Suprema costituzionale è emanazione dei tre poteri dello Stato: il legislativo, l’esecutivo ed giudiziario.

Come allora essa deve essere composta? Essa è certo una giurisdizione speciale.

Però richiamo quanto dianzi ho detto, comparando la Corte costituzionale a tutte le altre speciali giurisdizioni; nelle sue decisioni ha la caratteristica di essere l’organo equilibratore e armonizzatore dei tre supremi poteri della sovranità dello Stato, organo reso necessario dal carattere rigido della nostra Costituzione. Questa che è la sua giustificazione teorica, costituisce, insieme, la sua caratteristica.

È cioè un organo di giurisdizione speciale, separato da tutte le altre forme di giurisdizione e di esse più alto. È sullo stesso piano dei tre poteri dello Stato, e allora, considerando le sue relazioni con essi, considerando il suo precipuo carattere giurisdizionale, deve apparire nella sua composizione una preponderanza del potere giudiziario e una partecipazione degli altri due poteri: cioè deve essere composta, come io propongo che si componga, per metà di magistrati nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura, cioè da tutti i magistrati; per un quarto di magistrati nominati dal potere esecutivo, cioè dal capo del potere esecutivo su designazione del Consiglio Superiore della Magistratura e per l’ultimo quarto da membri nominati dall’Assemblea. Dunque noi avremmo, nella Corte costituzionale, la rappresentanza diretta di tutti i poteri dello Stato di cui la Corte è emanazione ed a cui essa deve servire di garanzia. Ma c’è una parte preponderante alle altre, la parte che riguarda il potere giurisdizionale. L’indipendenza della Magistratura, così come noi l’abbiamo garantita, e come, secondo me, si deve riconoscere anche alle Magistrature speciali, è così garantita anche all’Alta Corte costituzionale, di fronte al potere politico.

Questa è, onorevoli colleghi, la concezione generale che io ho di questa materia e che sottopongo al vostro esame. Io non parlo per le persone che siamo e per l’ora che volge, ma mi preoccupo, come ognuno di noi si deve preoccupare, del nostro buon nome e della nostra responsabilità di fronte all’avvenire. Noi ci troviamo nel punto conclusivo e fondamentale di tutta la Costituzione. Se questo punto si risolve bene, tutta la Costituzione riuscirà: se questo punto si risolve male tutta la Costituzione fallirà. Ognuno di noi dovrebbe sentire impellente ed imperativa una voce che lo induca a dire apertamente il suo pensiero o attraverso una votazione nominale o con dichiarazioni di voto, tenendo ben presente quello che sarà il giudizio che il futuro darà su ciascuno. Ed allora veramente potremo spogliarci delle scorie dei nostri interessi di individui o di membri di un partito, potremo dimenticare le nostre ideologie e pensare che l’ideologia fondamentale più alta e più vera è proprio in questo campo, in cui maggiormente l’uomo si eleva, tanto da avvicinarsi a Dio, e che questo è il campo in cui si attua la vera democrazia, con la giustizia per il popolo tutto, per le minoranze, per i miseri, per i deboli. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Bertini ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente afferma la necessità:

1°) che il potere giudiziario sia posto in grado di tutelare prontamente ed efficacemente la libertà e i diritti dei cittadini e che l’esercizio della funzione giurisdizionale sia regolato secondo le supreme esigenze della giustizia in uno stato di diritto, mediante magistrati che godano della più netta e congrua indipendenza ed autonomia di funzioni, nonché di un trattamento decoroso e pienamente adeguato alla delicatezza e difficoltà dei compiti di loro spettanza;

2°) che non si abbia più oltre a ritardare la riforma dei Codici in modo organico e conforme allo spirito ed alle garanzie del nuovo reggimento politico e sociale dello Stato;

3°) che sia portato un riparo alle ormai inveterate e deplorate insufficienze della giustizia penale, provvedendola di tutti i mezzi strutturali, processuali ed economici, a cominciare dall’istituzione di un corpo speciale di polizia alla diretta dipendenza dell’autorità giudiziaria;

4°) che si ribadisca il principio dell’assoluta incompatibilità dei magistrati con l’appartenenza a qualsiasi partito od organizzazione politica o segreta, in vista sia del compito di inderogabile imparzialità inerente alla delicatezza delle loro mansioni, sia del conforme affidamento che il pubblico deve riportare in ogni circostanza per la condotta del magistrato in tutti i suoi atti;

5°) che il Governo, in coerenza ai principî ora indicati, non abbia a rallentare o a lesinare più oltre quelle misure di riparazione atte a ristabilire la Magistratura nella piena sicurezza della sua posizione, della sua efficienza e del suo avvenire».

Ha facoltà di svolgerlo.

BERTINI. Onorevoli colleghi, non simpatizzo per i duplicati, e questa è garanzia che non tratterò, per quanto mi sarà possibile, nessuno dei temi su cui ormai, non in un punto solo ma sotto vari aspetti, si è esercitata la competenza dei miei colleghi.

Rilevo – mi piace dirlo qui nella discussione sulla Magistratura – che a Bologna per discutere di questo tema, si sono tenute assemblee del ceto forense e di tutti i magistrati e gli articoli della Carta costituzionale, che sono oggi in discussione, hanno formato oggetto di imparziali ed anche vivaci, ma sempre rette, osservazioni. Tralascio quindi, di ripetere il pensiero dei convenuti alle adunanze di Bologna, i quali ebbero la deferenza di affidare a me l’incarico, che li presiedetti, di recare l’eco delle loro discussioni e dei loro voti in quest’Assemblea.

Rilevo, ad onor del vero, e per brevità, che i voti svolti o caldeggiati in queste importanti riunioni, hanno trovato, nel testo della Carta costituzionale, pieno accoglimento, il che, in massima, lascia vedere non dico l’entità, ma la similarità di vedute non solo fra l’ordine giudiziario e l’ordine forense, di cui io qui potrei dirmi il portavoce, ma in molti casi la unità di pensiero fra i membri della Commissione che preparò la Carta costituzionale.

È vero che sono stati presentati notevoli emendamenti sovra i quali la discussione specifica potrà essere opportunamente portata.

Intanto, io rilevo che l’indipendenza della Magistratura non può confondersi con la creazione di una casta chiusa, ma deve essere intesa come una salutare tendenza a mantenere nell’unità dello Stato il funzionamento libero e conveniente di tutti gli ordini, che, come il potere giudiziario, sono investiti di una loro speciale autonomia. Questa autonomia di funzione, di carriera, di disciplina deve essere sempre mantenuta rigorosamente. E se potremo raggiungere meglio questo fine attraverso gli emendamenti che sono stati presentati e che saranno poi illustrati, io credo che la Carta costituzionale, per questa parte, potrà ottenere il consenso e l’approvazione della Magistratura.

Peraltro, io pongo a me stesso un problema. Voglio essere pratico come lo fu il relatore onorevole Conti nella seduta di sabato scorso. Signori, voi me lo insegnate, questa è una carta morta che vuole però dare vita ad organismi i quali traggano dallo scritto l’interiore vitalità, senza della quale non potrebbero svolgersi gli intendimenti ed i propositi dei proponenti della Carta su cui ci soffermiamo. Ora qui si tratta di adattare al nuovo ordinamento stabilito in questo documento quella che deve essere la realtà viva, il funzionamento, la condizione della Magistratura.

E se io vi dovessi dire una parola sullo stato d’animo della Magistratura in questo momento, almeno di quella che io ho occasione più facilmente di avvicinare, non potrei nascondervi che la Magistratura oggi vive in uno stato di abbattimento, di incertezza. Molte cause contribuiscono a ciò. Accenno alle maggiori, che credo non siano sfuggite all’opera di chi presiede alla giustizia; non gli deve essere così sfuggito questo stato d’incertezza in cui vive la Magistratura, perché da ciò derivano inconvenienti nell’amministrazione della giustizia, dei quali, giorno per giorno, si accusano i magistrati, e non si accusa invece il difettoso funzionamento degli organi giudiziari; tutto si fa risalire oggi alla Magistratura, ed è pubblicamente qui da riprovare quanto spesso avviene nel Paese allorché alla Magistratura si fanno attacchi ingiusti. Su di essa si manifestano dubbi, le si addossano responsabilità e si crede di poter giocare con la Magistratura come con qualsiasi corpo politico adattabile, cioè se ne accetta l’opera e la si giudica favorevolmente solo quando dà ragione o arriva ad assoluzioni facili compiute in uno stato d’animo che non è né di libertà né di dignità. (Applausi al centro).

Signori, io vi parlo con molta franchezza e con quella imparzialità che mi deriva dall’osservare i fatti con uno stato d’animo il più indipendente, il più autonomo. Credo di rilevare queste condizioni particolari della Magistratura, aggiungendo che il Governo di oggi, il Governo di domani, lo Stato italiano per dire tutto in una parola, ha l’obbligo di preparare fin da ora tutti gli elementi i quali servano a far entrare la Magistratura nel contatto vivo di quegli elementi che rappresentano la sostanza scritta del documento che noi ora discutiamo. Perché da oggi al giorno in cui la Carta costituzionale sarà emanata, il tempo è breve, e come faremo, perciò, se fin da oggi non si compie questo compito di fattiva e sapiente preparazione?

Bisogna anzitutto pensare al trattamento economico dei magistrati, bisogna subito provvedere perché non si può dire sempre a questa gente: «aspettate». Intanto l’inverno viene e i magistrati non hanno di che riscaldarsi nelle aule e nei luoghi dei loro raduni. I magistrati vivono in una posizione di disagio anche per mancanza di personale efficiente. Si è creato da parte dei Governi precedenti un sovraccarico di funzioni, anche speciali, a carico della Magistratura, e non si è pensato che questo sovraccarico gravava su un personale che era già sproporzionato al vero lavoro in cui la Magistratura era già precedentemente impegnata. Quando io sento a proposito del progetto sulla stampa, che si è voluto stabilire il procedimento per direttissima, io mi metto a sorridere, perché si vede che nell’amministrazione della giustizia e specialmente in Italia si creano situazioni teoriche e non si pensa mai alla realtà che può soltanto essere assicurata con i mezzi esistenti. Ora c’è, è vero, il procedimento per direttissima, e stamane sentivo parlare di direttissima anche per le repressioni dell’attività fascista, ecc. Si farebbe molto meglio a rimettersi all’apprezzamento delle varie Procure per usare il procedimento più adatto e spedito, secondo le possibilità del lavoro giudiziario, anziché continuare a far leggi, come quella annonaria, in cui si è fatto un carico enorme di disposizioni transitorie, nuove, che regolano decreti precedenti; tanto che oggi in materia annonaria non sappiamo più da che parte volgerci, per cui sarebbe ora che il Governo pensasse a fare un testo unico che, coordinando le varie disposizioni, evitasse le anormalità che si verificano nella applicazione della legge, attraverso o ad agevoli e troppo facili soluzioni, o attraverso ad un rigorismo accompagnato da mandati di cattura qualche volta ferocissimi, dei quali si potrebbe fare a meno quando la norma legale non ne imponesse obbligatoriamente l’emissione. Se con tutto ciò si voglia far gravare sulla Magistratura un peso enorme di responsabilità, malgrado la incapacità delle sue forze nell’adempimento di tutto questo lavorò cui è costretta a sobbarcarsi, io non so; ma voi sapete che il decreto 10 agosto 1944 venne a stabilire mitigazioni in ordine al mandato di cattura, sia obbligatorio che facoltativo, e stabilì, nel caso di mandato di cattura facoltativo, un termine di 6-8 mesi, dopo i quali la detenzione dell’imputato sarebbe divenuta automatica nella sua terminazione.

Ebbene, quel decreto, la cui validità aveva limite circa tre mesi or sono, non è stato prorogato, e siamo, così, tornati a quelle gravissime disposizioni sul mandato di cattura che si erano volute evitare proprio col decreto 10 agosto 1944. Al Congresso di Firenze il Ministro informò che il provvedimento di proroga era in preparazione nel senso, però, di limitarla al fatto della terminazione automatica della custodia preventiva. In tale occasione io dovetti osservare al Ministro – e l’ho osservato anche informandolo privatamente – che la custodia preventiva sta in funzione del mandato di cattura facoltativo, perché soltanto in questo caso è applicabile.

Quindi, o voi ritornate alla integrità del decreto 10 agosto 1944 e farete opera giusta – vi dirò ora per quale ragione – o altrimenti voi, se togliete questa proroga, verrete a dare piena efficienza al codice fascista, con tutti i suoi inusitati rigori. Scegliete e provvedete, questo è il dilemma per chi regge oggi la giustizia.

Inoltre ho citato un inconveniente e vi dico subito in che consiste. Esso mi veniva segnalato la settimana scorsa da un dirigente di un importante ufficio di istruzione, il quale segnalava oltre l’inconveniente dell’enorme massa di processi che si arrestano per mancanza di personale e di altri mezzi necessari per provvedere alle istruttorie, altri inconvenienti gravissimi:

1°) che non si hanno a portata di mano gli imputati detenuti, che vengono frequentemente, anche per necessità, spostati da un carcere ad un altro, sicché quando il giudice istruttore li vuole interrogare, deve cercarli da tutte le parti e in tal modo l’istruttoria procede molto lentamente;

2°) non si vuol dare la libertà provvisoria, quando invece il decreto 10 agosto 1944 l’ammetteva. Ma le carceri sono piene zeppe e ne abbiamo avuto una eco anche ieri nella risposta del Ministro alle interrogazioni di alcuni colleghi, tra cui Pertini; e c’è di peggio: tutti trovano espedienti per ottenere una mitigazione e si dànno malati per andare in case di cura, oppure trovano un mezzo qualsiasi per eludere il rigore in cui li taglierebbe dal mondo una situazione che è delle più incresciose.

Detto ciò, signori, non insisto: ho detto di voler essere breve e passo oltre. Mi limiterò a dire una parola che è strettamente aderente al tema di cui ci occupiamo; accennerò all’ordinamento giudiziario penale. Non parlo dell’ordinamento giudiziario civile, perché in questi giorni una Commissione nominata dal Congresso di Firenze sarà a Roma e mi auguro che su quel punto potremo avviarci su una buona strada e diminuire il collasso del lavoro incompiuto, che ormai affligge tutti i tribunali per le cause civili.

Parliamo dell’ordinamento penale; e mi riferisco alla nostra proposta per dare la possibilità al giudice istruttore o al magistrato di merito di servirsi della polizia giudiziaria addetta alle Questure.

Questo è un argomento che va affrontato apertamente e senza peli sulla lingua. Signori, molte delle istruttorie penali vanno male, perché sono un monopolio della polizia, perché la polizia si diletta, per una sua abitudine o tendenza, a queste istruttorie. Si capisce anche la tendenza che c’è in ogni organo di allargare e di trattenere gelosamente quanto più è possibile la sua competenza su una determinata serie di attività.

Ma oggi c’è un latente conflitto, se non continuo, intermittente, fra le questure, la polizia giudiziaria, e le procure della Repubblica. Bisognerebbe invece qui mutare sistema. Il centro motore della polizia giudiziaria debbono essere le procure della Repubblica; non dovrebbe essere ammesso che le questure, come avviene quasi, direi, settimanalmente, se non giornalmente, trattengano per settimane, settimane e settimane i procedimenti, dopo l’arresto degli imputati, mentre la procura non ne sa nulla.

Accade, infatti, continuamente che noi ci si rivolga alla procura e la procura ci risponda che nulla risulta dalla sua rubrica, come è avvenuto in un processo per il quale da un mese e mezzo si fa la spola da una città all’altra e ancora si discute della competenza.

Ora, è ammissibile tutto ciò? Il principio, se veramente si vuole il senso della libertà applicato all’amministrazione della giustizia, nei rapporti di chiunque sia inquisito, deve essere questo: nei casi urgenti, si comprende che la polizia giudiziaria debba agire senza limitazione; ma in ogni modo essa deve informare subito la procura della Repubblica, con suo rapporto, del procedimento che si sta iniziando, perché è soltanto la procura della Repubblica che deve dirigere l’istruttoria o per lo meno iniziarla.

Sarebbe in tal modo evitato, seguendo cioè queste giustissime e ormai reclamate innovazioni, quello che succede oggi: che cioè i procedimenti pervengano alle procure già istruiti, dando, fra l’altro, luogo a tutta quella serie di questioni che nascono, che cioè gli interrogatori siano stati fatti sotto lusinghe o sotto minacce e con atti, con perizie che senza alcun dubbio esulano dalla competenza della questura. Avviene così che i fascicoli relativi ai processi si accumulino sui tavoli della questura; avviene così che si venga a ribaltare la causa o ad affrettarla oltre misura; avviene così che si commettano ingiustizie nel senso che si viene a condannare un imputato che meriterebbe di esser considerato innocente o che si consideri innocente un imputato che meriterebbe di esser considerato colpevole.

Il principio dunque che noi vorremmo vedere affermato nella Carta costituzionale e che io contemplo con uno specifico comma nel mio ordine del giorno è appunto costituito dalla proposta che la polizia giudiziaria passi direttamente alla direzione e alla competenza – salve le dovute norme di coordinamento – per tutto ciò che riflette al suo andamento e alla personificazione dell’organo che deve avere la responsabilità dell’istruttoria, all’autorità giudiziaria.

E non aggiungo altro, o signori, ché dire altre cose significherebbe aggiungere cognizioni a chi ne ha già troppe. Non dico rispondendo, ma accennando a quello che, con molta franchezza, ebbe l’opportunità di dire l’onorevole Conti, io rilevo che la Magistratura in Italia è in realtà fondamentalmente onesta. È molto più onesta di quel che non pensi il Paese. Ma sapete chi è molte volte che circuisce la Magistratura e attenta alla sua integrità? I faccendieri; i faccendieri che si annidano nelle Questure e si annidano nel foro esterno del tribunale. Io ho dovuto lottare e lotto contro questi faccendieri, i quali, non so perché, riescono sempre a prevalere contro la condotta degli avvocati onesti.

Poi, io vorrei che si richiamassero – e questo potrebbe farlo il Ministro; e farà cosa ottima – i Consigli forensi ad essere più avveduti, più severi, più accurati nella ricerca di queste inframmettenze che un po’ dappertutto, ma specialmente nei grossi centri, formano uno scandalo continuo. (Approvazioni). Si sente parlare di migliaia e migliaia di lire, vantandosi questi faccendieri di poter ottenere tutto per il loro tramite e, si sottintende, si ottiene dalla Magistratura, che si dà quindi come complice. Questo è un grossolano ma persistente millantato credito; verso la Magistratura, evidentemente, viene a crearsi nel Paese, per coloro che non ne conoscono la compagine e la condotta, un senso di sospetto, che è veramente doloroso, e di cui i magistrati, come si sono lagnati con me, hanno diritto di lagnarsi un po’ dappertutto. Perciò io ravviso qui la necessità di raccomandare alla solerzia del Ministro della giustizia di voler richiamare le procure della Repubblica ed i Consigli forensi ad intervenire con tutta l’energia possibile, volgendo le loro ricerche su queste vere piaghe, sia pure esteriori alla giustizia, ma che però influiscono sull’opinione che fuori si ha di poter ottenere tutto attraverso la corruzione dei giudici. Facendo questo si potrà collaborare a risanare l’ambiente, come ce n’è tanto bisogno.

Un’ultima osservazione. Vorrei dire una parola sola sulla questione della appartenenza dei magistrati ai partiti politici. E dico subito che sono contrario all’appartenenza dei magistrati ai partiti politici per una ragione superiore, nella quale io voglio che si mantenga e sia riconosciuta la posizione del magistrato.

E a proposito vi dirò che per primi i magistrati desiderano di non avere questa facoltà di iscriversi ai partiti politici. Vi riferirò un episodio, col quale termino. In quelle assemblee che ho detto essere state tenute a Bologna sotto la mia presidenza, ad un certo momento, avvocati molto colti ebbero a sostenere l’adesione libera ai partiti da parte dei magistrati. Si discusse del «sì» e del «no», specialmente nel ceto forense; ma ad un certo momento si alzò un insigne magistrato, universalmente stimato a Bologna, ove ha svolto un compito di grande integrità e di grande equilibrio; ed egli – vecchio, ma ancora fresco di forze ed esempio di grande onestà; una onestà che egli fino alla povertà oggi mantiene ed ha mantenuto in tutta la vita – si alzò e con parola calma disse: «Signori, alle vostre domande io oppongo una questione: sareste voi sicuri che di tutte le sentenze che noi alla Sezione istruttoria abbiamo dovuto emanare – sentenze più o meno controverse, più o meno temute, più o meno gravi – si sarebbe fatta accettazione da parte del pubblico, se noi fossimo stati esponenti di un partito politico? Evidentemente tutti avrebbero creduto, in un caso o nell’altro, che il partito A o il partito B o il partito C, secondo la natura dei giudici che hanno contribuito a formare quei giudicati, abbia influito a determinare o l’assoluzione o la condanna».

Signori, ho finito. La giustizia deve essere come la moglie di Cesare: deve essere esente da ogni richiamo e da ogni ombra; e ciò perché c’è tendenza nel Paese a dire che il magistrato si compra perché la giustizia se la fanno i più ricchi e per i poveri la giustizia non c’è.

Lasciamo andare l’eccesso di questa frase. Noi, in Assemblea Costituente, discutendo su questo argomento, dobbiamo sforzarci di dare all’ordinamento della giustizia e ai magistrati, sacerdoti della giustizia, un trattamento, un ordinamento tale da poter dire che si è fatto quanto era possibile a che la giustizia sia la vera condizione della libertà e della imparzialità del giudice! (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Gesumino ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente:

afferma che l’indipendenza dei magistrati, considerata non come privilegio loro concesso, ma come garanzia essenziale per i cittadini, impone sia costituzionalmente fissato l’assoluto divieto di essere iscritti ad un partito politico e di partecipare comunque a pubbliche manifestazioni politiche per tutti coloro che fanno parte dell’Ordine giudiziario, delibera che:

1°) istituita la giuria popolare, sia demandata alla legislazione del futuro Parlamento la fissazione delle norme che ne disciplinino il funzionamento, ne organizzino la formazione e ne disciplinino la competenza, tenuto conto dei dati dell’esperienza e delle necessità che i giudici popolari abbiano i requisiti necessari, intellettuali e morali per l’esercizio della loro grave funzione;

2°) siano conservati i tribunali militari, il cui funzionamento e la cui competenza saranno regolati da leggi del futuro Parlamento;

3°) con la creazione del Consiglio superiore della Magistratura, sia attribuita al Governo la facoltà ispettiva nel funzionamento dell’amministrazione della giustizia, al fine di rendere possibile l’iniziativa dell’azione disciplinare da parte del Ministro responsabile, ed il controllo parlamentare».

Ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO GESUMINO. Onorevoli colleghi, le molto concise osservazioni che io farò, dirette ad illustrare il contenuto del mio ordine del giorno, sono essenzialmente dirette alla precisazione di determinati concetti; perché, lungo questa appassionata discussione – certe volte di altissimo tono – che noi abbiamo fatta, io ho creduto, con sommessa modestia, di dovere rilevare che alcune volte, volendo seguire in tutti i possibili sviluppi i concetti espressi, si è dimenticato di partire dall’esatta posizione dei problemi.

Così, ad esempio, per quanto riguarda l’appartenenza o meno dei magistrati ai partiti politici. Sono perfettamente d’accordo col collega Bertini che il magistrato non debba appartenere a nessun partito politico. E non solo non dovrebbe appartenere a partiti politici, ma non dovrebbe partecipare pubblicamente a manifestazioni di carattere politico.

Ma questa mia affermazione è la diretta conclusione d’un principio che io credo debba essere univocamente posto.

Questa nostra faticosa impostazione del nuovo ordinamento giudiziario, che deve essere la base e, insieme, il coronamento della costruzione delle garanzie delle libertà dei cittadini, è diretta non a creare nell’ultima fase (autonomia della Magistratura, elevazione sociale e morale dei magistrati) un privilegio per la classe dei magistrati, ma è diretta soprattutto a creare la suprema garanzia per i diritti dei cittadini.

Badate, non si tratta d’una posizione puramente dialettica e formale. È posizione – secondo me – essenziale, perché noi in tanto dobbiamo creare questa suprema costruzione che dia ai magistrati l’autonomia e quasi l’autogoverno, in quanto questa autonomia e questo autogoverno rappresentino una garanzia ulteriore per i singoli cittadini.

Ogni autonomia ed ogni autogoverno devono cessare di funzionare quando da essi possa essere diminuito od in qualche modo offuscato il completo esplicarsi di tale garanzia.

Ora, se partiamo da questo principio, noi dobbiamo necessariamente dedurre (a prescindere da qualsiasi considerazione di ordine politico che io credo debba essere estranea alla «discussione attuale di ordine esclusivamente tecnico-giuridico) che la partecipazione del Magistrato a un partito politico sminuisce la garanzia dell’assoluta indipendenza del giudice.

Questa garanzia infatti non deve essere solo costituita nell’ordine logico giuridico, ma dev’essere subiettivamente appresa da ogni cittadino. Ogni cittadino deve avere, evidentemente, chiaramente, limpidamente la sensazione che il magistrato nel giudicare è estraneo a quella che può essere la passione di parte, o fazione di parte, o idealità politica, o lotta politica. Ora, come può questa garanzia che, come vi dicevo, deve essere apparente, deve essere certa, deve essere sicura, esistere quando il cittadino abbia visto partecipare a dimostrazioni politiche, magari contrarie alle sue idealità, il magistrato che poi deve giudicare della sua libertà e dei suoi interessi? Credo che evidente sia la risposta: il magistrato deve essere posto in una situazione tale da essere considerato non, come con frase abusata si dice, non sospettabile, come la moglie di Cesare, ma neanche adombrabile dal dubbio sulla sua purezza, nell’attimo supremo in cui esprime il suo giudizio. Identicamente – e in una sfera maggiore, anzi in una sfera più alta e comprensiva di tutte le nostre discussioni – io ritengo che l’autonomia dei magistrati, che si attui attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura, debba essere limitata dalle necessità di garanzia verso i cittadini.

Ma, onorevoli colleghi, se noi concepiamo l’autonomia e l’autogoverno della Magistratura quasi con un debito dovuto alla Magistratura a prescindere da ogni altra considerazione, considerandola nell’ordine puramente logico ed astratto, come necessità deduttiva del principio che la Magistratura non deve, nell’esercizio della sua suprema missione, essere in qualsiasi modo influenzata dagli altri poteri; se questa concezione noi dovessimo condurre alle estreme conseguenze, considerandola a sé, io credo che una tale autonomia, così intesa nelle sue più late accezioni, non potrebbe essere accettata. Se noi invece partiamo dal principio, che, come detto, deve essere considerato come essenziale presupposto di tutto il problema, noi vedremo che non è possibile porre la Magistratura al di fuori, quasi al di sopra, della compagine dello Stato. Noi dobbiamo questa autonomia della Magistratura considerarla incuneata, compresa, articolata nell’insieme dell’organizzazione dello Stato.

Ora, siccome non è possibile che noi neghiamo la necessità del controllo del Parlamento sul governo della Magistratura, mi pare eccessiva la frase contenuta nell’articolo del progetto in cui è detto che il Consiglio Superiore della Magistratura ha autonomamente, con esclusione di qualsiasi ingerenza, il governo della Magistratura. Perché allora io vorrei chiedere: come si potrà esercitare il controllo parlamentare sull’opera della Magistratura, che pure è essenziale in ogni Stato ordinato e libero? L’onorevole Conti, nel suo così vasto, così completo, così appassionato discorso ha elencato, tra i poteri che attualmente spettano al Ministro per la giustizia, il potere ispettivo; ma il potere ispettivo, contenuto nelle leggi attuali, dovrebbe essere inquadrato nelle norme costituzionali che noi dobbiamo statuire. Ora, se le norme costituzionali stabilissero la facoltà esclusiva del supremo organo della Magistratura di autogovernarsi, evidentemente la facoltà ispettiva del Ministro della giustizia si dovrebbe esplicare sulle attività marginali dell’amministrazione giudiziaria o sull’attività dei cancellieri, e non mai sul governo della Magistratura. Ma questo è inammissibile in un retto Governo e in uno Stato democratico.

Quindi io propongo, nel mio ordine del giorno, che «con la creazione del Consiglio Superiore della Magistratura, sia attribuita al Governo la facoltà ispettiva nel funzionamento dell’amministrazione della giustizia, al fine di rendere possibile l’iniziativa dell’azione disciplinare da parte del Ministro responsabile ed il controllo parlamentare».

Non credo che questo possa, in alcun modo, nuocere alla creazione di quella nuova Magistratura autogovernantesi ed organicamente costituita come potere autonomo nella sfera delle sue competenze, che noi vogliamo istituire. Noi dobbiamo questa nuova Magistratura crearla in modo da non estraniarla dall’ambito dello Stato; perché, se è vero che la divisione dei poteri è uno dei principî che hanno regolato la creazione dello Stato moderno, è anche vero che non si può ritenere la divisione dei poteri essere un qualche cosa di meccanico, che funzioni automaticamente, al di fuori della realtà sociale, giuridica e politica.

Anche la Magistratura, concepita come organo sovrano dello Stato e, se si vuole, come potere dello Stato, deve essere inquadrata, essere amalgamata, essere inserita nella Costituzione in modo da potere essere compresa in tutto quell’insieme di controlli, che forma la garanzia suprema della libertà di tutti i cittadini.

Ed io, che vi ho promesso di essere rapidissimo, passo senz’altro alla discussione dell’argomento intorno al quale tanta vasta eloquenza è corsa in quest’Aula: l’argomento della istituzione delle giurie popolari.

Permettetemi che vi dica che anche su questo punto è bene che si precisino più esattamente i concetti. La maggior parte degli oratori, che hanno negato l’opportunità dell’istituzione della giuria popolare, l’hanno negata affacciando le grandissime deficienze che la giuria popolare ha manifestato finora; hanno cioè negato, discusso, dichiarato inammissibile non l’istituto, ma la giuria popolare così come ha finora funzionato.

Ma noi non possiamo partire dal presupposto che la giuria popolare debba necessariamente funzionare nel futuro come sempre ha funzionato nel passato; e che non sia possibile costituirla diversamente e creare della giuria popolare un organismo giuridico tale che funzioni senza i difetti che giustamente sono stati affacciati, in modo da potere inserire nell’amministrazione della giustizia un istituto circondato dal prestigio e dalla forza derivantigli dalle sue fonti naturali, popolari, dirette. Si sono prodotti, a sostegno delle diverse tesi, molti esempi. Permettetemi che vi dica che anche io potrei fornirvi esempi numerosi e citarvi casi diversi, avendo indossato la toga del procuratore generale nelle Corti d’assise, e successivamente, per molti anni oramai, indossato la toga del difensore; sicché ho potuto valutare, partendo dalle diverse concezioni, da un campo e dall’altro, e i difetti e i pregi dell’istituto. Io ho iniziato la mia missione di avvocato, difendendo la parte civile in un processo in cui erano imputati varî fascisti che avevano selvaggiamente assassinato nel piccolo paese di Portoscuso, due poveri pescatori. Si era all’inizio del movimento fascista, e tutte le bande armate, assoldate dal potere, che ancora non si era fortemente costituito, ma che cercava in tutti i modi di fortemente costituirsi, premevano alle porte dell’aula dove si svolgeva il processo, affinché gli imputati fossero assolti. Ogni mezzo terroristico fu usato; ma i giurati non piegarono, e condannarono.

Successivamente io difesi in Corte di assise, per tre mesi, alcuni imputati di aver ucciso il segretario politico di un piccolo comune. Le forze del fascismo erano allora in piena esplosione di violenza; ed anche allora tutti i mezzi furono usati perché gli imputati venissero condannati. Quattro testimoni di difesa furono arrestati. Il processo durò tre mesi. Il collegio di difesa dovette in gran parte abbandonare l’aula ed affidare la difesa ad uno solo degli avvocati. I giurati – coti fermissimo animo – assolsero gli imputati ad unanimità di voti.

Per darvi un esempio dell’altro campo, vi dico che ancora echeggia nel mio cuore il pianto di una povera donna ottantenne che ho difeso davanti al tribunale. Era imputata di aver dato un litro di olio per un poco di grano. Io la difesi d’ufficio, disperatamente. Chiesi al tribunale che concedesse almeno, se non voleva accedere alla tesi dell’infermità mentale o della semi infermità mentale, la sospensione condizionale della pena.

Il tribunale non applicò la legge; ma applicò una circolare ministeriale che vietava la concessione della sospensione condizionale della pena, anche nei casi in cui la legge tale diritto attribuiva all’imputato condannato. Questo vi dico, perché è mia profonda convinzione che gli errori della Magistratura togata siano pari, nella linea morale e di fatto, agli errori che ha commesso l’antica giuria popolare. Dalla mia esperienza ho tratta la profonda convinzione che la giuria popolare ha in grado eminente quella dote essenziale che dovrebbero avere tutti coloro cui spetta il tremendo dovere di giudicare i propri simili: la particolare sensibilità derivante dall’essere il giudice prodotto dell’ambiente in cui il delitto nacque. Se un insegnamento profondo io ho tratto dalla mia vita e dalla mia passione di avvocato, l’insegnamento è questo: che allorquando si tratta dei più gravi delitti, soprattutto di quelli di sangue, non ci troviamo mai di fronte ad un fatto normale. Non è esatto che giudicare un ladro sia lo stesso che giudicare un assassino. Esiste tra i due giudizî una differenza essenziale. Nelle profondità stesse di ogni essere umano c’è un profondo ribrezzo per il sangue. Per superare questo ribrezzo, ed uccidere; per commettere questo atto che è tremendo per tutti, devono concorrere, insieme col crollo psicologico di tutte le barriere opposte dalla coscienza e dall’istinto, speciali situazioni di fatto, speciali condizioni ambientali, specialissime posizioni subiettive. Tutto deve essere valutato con sincerità e, direi, con naturalità, senza contorsioni dialettiche molte volte abili, troppe volte aberranti. La Magistratura ordinaria, attraverso la professione del giudicare, qualche volta perde la prontezza della facoltà di reagire con sensibilità umana al fatto umano.

Ed allora, per quali ragioni noi dobbiamo privare il cittadino di questo mezzo di giudizio, unicamente partendo dai difetti di funzionamento finora rilevati?

L’essenziale è che noi studiamo i mezzi per migliorarlo.

Affermiamo ora nella Costituzione il principio istitutivo della giuria popolare. Rimandiamo al futuro legislatore le norme, con cui questa funzione sarà disciplinata. Questa è la conclusione cui giungo nel mio ordine del giorno: della giuria popolare dovrà essere organizzata la formazione e disciplinata la competenza, tenuto conto dei dati dell’esperienza e della necessità che i giudici popolari abbiamo i requisiti intellettuali e morali richiesti per l’esercizio di questa grave funzione.

Penso che una giuria diversamente organizzata, diversamente scelta, diversamente composta, possa contemperare i pregi della Magistratura togata coi grandissimi pregi della Magistratura popolare.

Una delle ragioni, per cui penso che la giuria popolare è da conservare, è anche la seguente: il modo egregio con cui funzionano i tribunali militari. Non credo che questo debba parer strano a chi ha pratica dei tribunali militari. È mia profonda convinzione, formatasi attraverso l’esperienza personale, che, sia in pace come in guerra, i tribunali militari funzionino con tanto profondo senso di giustizia proprio perché si attua in essi quella formazione speciale della selezionata ed idonea giuria popolare, che io invoco.

L’istituto della giuria popolare rappresenta pertanto una necessità di giustizia, non formale ma sostanziale, anche se rapportato al tribunale militare, che ha sempre dimostrato prontezza di reazione psicologica e profondo senso di umanità.

L’obiezione fondamentale mossa contro l’istituzione della giuria, cioè la inappellabilità delle sue sentenze, deriva anch’essa dal presupposto che la giuria debba rimanere tale quale è stata organata finora. Non è obiezione insuperabile, perché non è impensabile una sentenza della giuria popolare riesaminata da una sezione della Corte di cassazione, anche nel merito, e rimandata ad altra Corte di assise per il riesame.

Non si dica, come con superficialità si è detto, che ciò snaturerebbe la Corte di cassazione; perché non è esatto che la Corte di cassazione non giudichi mai sul merito, che la sua funzione si esaurisce sempre in una pura indagine di diritto. In tutte le materie che attengono ai conflitti di giurisdizione e di competenza, la Cassazione giudica necessariamente anche pel merito. Perciò l’obiezione giuridica non regge, essendo sempre possibile che la Cassazione riesamini, anche nel merito, i giudizi delle Corti di assise, li annulli, e rimandi al giudizio di altra Corse di assise.

In quanto al sì ed al no, in cui si concentra tutto il giudizio dei giurati e che tanti clamori di disapprovazione ha suscitato in vari oratori, mi si consenta di dire che tutti i giudizi umani si concretano e si concludono in un sì od in un no. È la motivazione del sì e del no, quella che a noi sta a cuore. Anche qui si commette l’errore di dare come immutabile il funzionamento attuale della giuria, il quale non è altro che una trasformazione malfatta dell’antico funzionamento. Infatti anticamente i giurati si radunavano per il verdetto e discutevano in camera di consiglio per ore ed ore, in modo che il sì od il no era il frutto di una lunga meditazione e di una approfondita discussione.

In quanto alla motivazione, è possibile che voi, esperti giuristi, che qui siete convenuti da ogni parte d’Italia, vi fermiate di fronte ad un obiezione la quale può essere in molti modi, giuridicamente, superata? Come il magistrato togato può associarsi tecnici estranei alle sue file in certi giudizi, così non è impensabile che alla Magistratura popolare si aggreghi un giudice togato il quale partecipi al processo ed, in camera di consiglio, alle decisioni. Io non intendo presentare una conclusione, ma voglio prospettare una proposta unicamente per rilevare che le impossibilità affacciate da alcuni colleghi sono soltanto apparenti e non insuperabili, in quanto vengono dedotte da un dato di fatto inesatto ed aberrante. Si afferma la inaccettabilità della giuria popolare perché ha funzionato male; invece di studiare i mezzi e le forme perché funzioni bene. Vorrei aggiungere, e questo più che una affermazione, è un sentimento trepido, velato di angoscia, che tutta questa faticosa costruzione giuridica, tutta questa nostra Costituzione alla quale abbiamo collaborato con tanto appassionato amore, potrebbe risultare opera vana, costruita sulla sabbia, La garanzia suprema di tutti i diritti e di tutte le libertà, non consiste infatti nella formulazione sapiente di determinate norme, o nella creazione di determinati organi di tutela. Le une e gli altri, di solito, funzionano in periodo di pace, e non funzionano allorché la Nazione è squassata dalle tempeste interne ed esterne, susseguentisi nella storia. Ora, vorrei dire ai magistrati che, al disopra e al di fuori delle garanzie organiche loro concesse, i cittadini avranno la garanzia suprema nella loro coscienza, nella loro rettitudine, nella loro fermezza. E vorrei dire a tutti gli italiani che non ci sarà ordinata amministrazione della giustizia, finché non risorga in tutti gli spiriti il senso del rispetto del diritto e l’ossequio alla legge, garanzia suprema di tutte le libertà, finché dal profondo di tutti i cuori non rinasca il santo orrore del sangue e finché non ci sentiamo nuovamente fratelli nell’amore a questa nostra Patria e nel comune dolore per le sue immense sventure. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Dichiaro chiuso lo svolgimento degli ordini del giorno. Gli altri che mi sono stati consegnati nel corso di questa seduta, a tenore del Regolamento, non dànno diritto ai loro presentatori di svolgerli.

Un primo ordine del giorno è stato presentato dagli onorevoli Crispo, Quintieri Quinto, Rubilli, Candela, Villabruna, Rescigno, Martino Gaetano, Gabrieli, Bellavista, Cortese Guido, Sansone:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che la funzione del Pubblico Ministero nel procedimento penale è intesa a realizzare la pretesa punitiva dello Stato;

considerato che tale funzione ha un suo proprio carattere, e che l’esercizio di essa costituisce il Pubblico Ministero nella posizione di parte, nel contrasto tra le esigenze della tutela sociale e quelle della difesa dell’imputato, mentre, in tale contrasto, l’opera del giudice è in funzione di sintesi;

ritenuto, infine, che il ripetuto esercizio di detta funzione conferisce un abito mentale che mal si adatta all’opera giurisdizionale

afferma

la necessità che la carriera del Pubblico Ministero sia tenuta distinta da quella della Magistratura giudicante».

È stato poi presentato dagli onorevoli Rossi Maria Maddalena, Noce Teresa, Bei Adele, Merlin Lina, Mattei Teresa, Gallico Spano Nadia, Basso Lelio, Mancini, Cevolotto, Martino Gaetano, Abozzi, Costa, Veroni, Rubilli, Bonomi Ivanoe, Sansone, Bellusci, Gasparotto, Lussu, Porzio, Facchinetti, Paolucci, Mazzoni il seguente altro ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che con l’articolo 48 è stato solennemente affermato nella nuova Costituzione italiana il diritto della donna ad accedere alle cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza rispetto all’uomo,

afferma che nessuna limitazione dovrà essere posta dalla legge all’accesso della donna alla Magistratura».

Darò ora lettura di altri due ordini del giorno presentatli nel corso di questa seduta. Uno è firmato dall’onorevole Patricolo, del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente

afferma

che l’autonomia e l’indipendenza dei poteri dello Stato deve essere considerata come esigenza fondamentale di ogni regime democratico

delibera che il potere giudiziario venga riconosciuto dalla nuova Carta costituzionale dello Stato come potere autonomo e indipendente, senza pregiudizio della facoltà di sindacato e di controllo spettante al Parlamento.

L’altro ordine del giorno è firmato dall’onorevole Mortati ed è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, considerato:

che qualsiasi tipo di decentramento, il quale non voglia conformarsi allo schema federalistico, esclude ogni estensione di esso alla funzione giurisdizionale;

che, in ogni caso, contradittorio sarebbe invocare il principio del decentramento dell’istituto della cassazione e limitarne poi l’applicazione al solo ripristino delle quattro Corti soppresse nel 1923, mentre esso imporrebbe, per ovvie esigenze di logica e di equità, l’assegnazione ad ogni regione di una propria cassazione;

che questa necessaria conseguenza del decentramento accrescerebbe fino all’assurdo i noti inconvenienti della pluralità delle cassazioni, pluralità sconosciuta alle legislazioni di tutti i paesi del mondo;

che l’ordinamento regionale, anziché giustificare tale pluralità, esige l’attuazione di una maggiore unitarietà dell’interpretazione della legge, onde evitare che le divergenze interpretative ostacolino il sorgere dei rapporti fra cittadini appartenenti alle diverse regioni;

che la constatazione delle difficoltà manifestatesi in pratica al conseguimento dell’unità della giurisprudenza pur dopo l’accentramento della cassazione possono consigliare l’adozione di mezzi tecnici onde evitare in avvenire le difficoltà stesse, non mai giustificare il ritorno ad un sistema, verso cui erano in passato rivolte le critiche generali, e che riuscirebbe utile solo ad alcuni appartenenti alla classe forense, non certo agli interessi della Nazione;

delibera:

che la Corte di cassazione debba essere unica per tutto il territorio della Repubblica».

Faccio subito rilevare che non si tratta di ordini del giorno simili a quelli che l’Assemblea ha preso in considerazione in sedute precedenti e sui quali è giunta ad una votazione. Relativamente a quest’ultimo Titolo della Costituzione, gli ordini del giorno si sono moltiplicati con due caratteristiche. La prima è che ognuno di questi ordini del giorno si propone di dare risoluzione a tutta una serie di questioni. Essi non sono ordini del giorno che enunciano un problema e ne propongono la soluzione, ma ciascuno di essi prende in esame diversi punti del problema generale offrendone la soluzione. La seconda caratteristica è che, dato che questi punti essenziali non sono innumerevoli, questi ordini del giorno toccano tutti gli stessi punti e propongono soluzioni analoghe o quasi.

Ciò crea una grave difficoltà per l’ordine delle votazioni. Se poi aggiungo che ciascuno di questi ordini del giorno propone all’Assemblea di pronunciarsi su ciò che è materia dei singoli articoli, precludendo così la presa in esame degli emendamenti, che sono numerosissimi, mi pare che si debba concludere che in realtà su questi ordini del giorno, quanto meno in questo momento, non si possa o non si debba votare. Altrimenti sorgerebbe in primo luogo la questione a quale ordine del giorno dare la precedenza nella votazione? In secondo luogo, se noi votassimo, a fine discussione generale e prima di esaminare gli articoli, tutti questi ordini del giorno, praticamente pregiudicheremmo tutta una serie di votazioni che comunque bisognerà fare successivamente. Queste votazioni iniziali degli ordini del giorno assumerebbero infatti un carattere preclusivo, e l’Assemblea avrebbe il diritto, quanto meno in quella parte che rimanesse in minoranza, di protestare contro questa formazione troppo sollecita e prematura di decisioni.

Sono del parere che noi possiamo votare questi ordini del giorno, se mai, mano a mano che incontreremo gli argomenti specifici che essi trattano.

Occorrerebbe che in precedenza, però, i presentatori dei vari ordini del giorno, che toccano problemi comuni, con soluzioni eguali, si mettessero d’accordo, per presentare un testo solo, in maniera da togliere all’Assemblea la preoccupazione della scelta dell’ordine del giorno da porre in votazione.

Non vorrei che, accingendoci poi a votare quegli ordini del giorno che presentano una analogia e che sono confondibili tra di loro, sorgesse la questione della precedenza.

In genere gli ordini del giorno trattano questi problemi:

1°) La giuria. A questo tema è dedicato un articolo sul quale è stata presentata tutta una serie di emendamenti. Io credo che il modo migliore di pronunciarci sull’argomento è di votare sugli emendamenti e poi sull’articolo.

2°) L’indipendenza della Magistratura. Tutti coloro che hanno parlato, vi si sono a lungo soffermati.

Si ritiene necessario votare un ordine del giorno a questo proposito, o non è ben più consigliabile dare agli articoli della Costituzione per questo Titolo un tale contenuto, che assicuri di per sé questa indipendenza senza affermarla con una votazione che non porterebbe a nessun risultato concreto?

3°) La Corte costituzionale. Ho già fatto presente all’onorevole Adonnino che questo problema potrebbe essere esaminato quando passeremo al sesto Titolo di questa parte del progetto di Costituzione;

4°) Cassazione unica oppure Cassazioni regionali.

Nel testo del progetto non c’è nessun articolo che si riferisca al problema della Cassazione, ma vari emendamenti lo trattano e propongono. Io credo che sia opportuno rinviarne, al momento nel quale li esamineremo, la soluzione, e pertanto di decidere allora sugli ordini del giorno che propongono la Cassazione unica o le Cassazioni regionali.

5°) Ed infine abbiamo la questione del divieto della iscrizione a partiti politici da parte dei magistrati. Data la definita concretezza della questione, mi pare che sia assai meglio votare sull’articolo, anziché su un ordine del giorno, che dovrebbe poi essere a sua volta trasfuso in un articolo per acquistare valore costituzionale.

Per tutte queste considerazioni io sono del parere che (essendo stato utile ed interessante ascoltare in soprannumero, oltre agli oratori iscritti nella discussione generale, anche i presentatori degli ordini del giorno), giunti a questo punto, possiamo passare all’esame degli emendamenti.

Se non vi sono obiezioni, o se qualche presentatore di ordine del giorno non rivendica il diritto di porlo in votazione, propongo dunque all’Assemblea di passare all’esame degli emendamenti relativi all’intitolazione di questo titolo.

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione a questo riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Aderisco pienamente alla proposta del Presidente.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Vi è una prima serie di emendamenti, già svolti, in ordine alla intitolazione del Titolo IV:

«Sostituire il titolo: La Magistratura, con l’altro: Potere giudiziario, oppure, subordinatamente: Ordine giudiziario.

«Romano».

«Sostituire il titolo: La Magistratura, col seguente: Amministrazione della giustizia.

«Colitto».

«Sostituire il titolo: La Magistratura, col seguente: Il potere giudiziario.

«Mastino Pietro».

«Sostituire il titolo: La Magistratura, col seguente: Il potere giudiziario.

«Persico».

Prego l’onorevole Ruini di voler esprimere l’avviso della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il termine proposto nel testo, e cioè «Magistratura», corrisponde, con euritmia e con concretezza, agli altri che designano i vari Titoli: Parlamento, Governo, ecc.; e mi sembra dia risalto e debba soddisfare i magistrati. Ad ogni modo, non è questione sostanziale; e di fronte a tutte le nuove intitolazioni proposte, il Comitato di redazione non si oppone a che sia adottata un’altra espressione, che possa ottenere più larghi consensi.

Dichiaro subito, relativamente alla proposta «Il potere giudiziario», che il Comitato sente profondamente ciò che significa la distinzione dei poteri come spirito di tutta la Costituzione. Ma un incasellamento preciso di norme in tal senso non è possibile; avremmo dovuto dire anche: «Il potere legislativo» e «Il potere esecutivo». Non è, per questa ragione, possibile accettare la proposta dizione.

Per quanto riguarda «Ordine giudiziario» – o giurisdizionale, come è proposto dall’onorevole Grassi – ci sembra che questa espressione, che potrebbe valere al più per una sezione, non corrisponda a tutto il contenuto del titolo e non abbia lo stile delle altre formule: Parlamento, Governo, ecc.

Se si vuol mutare «Magistratura» preferiamo si adotti un altro termine «La giustizia», che è largo e solenne, e che è usato in altre Costituzioni, come la weimariana. È un po’ astratto, ma dà il senso alto della funzione, di cui si tratta nel titolo.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Non penso che sia una grossa questione questa dell’intitolazione del Titolo IV. Però, siccome questa intitolazione entra nella seconda parte della Costituzione, intitolata «Ordinamento della Repubblica», e siccome ogni Titolo specifica gli organi e l’organizzazione che corrispondono ai vari poteri dell’ordinamento generale della Repubblica, penso che l’intitolazione «La Magistratura» sia quella da preferire; nel senso che, per mantenere l’euritmia di tutte le intestazioni fatte, dobbiamo dire anziché «La giustizia» (che rappresenterebbe non più un organo, ma la funzione dell’organo stesso), «La Magistratura».

Preferirei questa dizione.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la proposta che lei ha fatto è della Commissione, ovvero lei ha parlato a titolo meramente personale?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È la proposta del Comitato, piuttosto che la mia personale. Io vi ho acconsentito, ripeto, perché non è questione sostanziale, e di fronte alle difficoltà sollevate con la pioggia, che comincia qui, degli emendamenti, cerco di concludere e di evitare lunghi dibattiti.

Il Comitato propone «Giustizia»; ma se l’espressione non è accolta dall’Assemblea, io insisto per la intitolazione anteriore di «Magistratura».

PRESIDENTE. Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, lei mantiene il suo?

COLITTO. Io non insisto nel mio emendamento, anche perché la formulazione da me proposta «L’amministrazione della giustizia» si avvicina alla formulazione proposta dalla Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Grassi, lei allora fa propria l’intitolazione: «La Magistratura»?

GRASSI. Sì, onorevole Presidente. Noi abbiamo infatti la prima intitolazione, che è «Il Parlamento», quella del secondo titolo, che è «Il Capo dello Stato», quella del terzo, che è «Il Governo»: noi abbiamo quindi intestato tutti i titoli agli organi e non alle funzioni. È evidente quindi che anche in questo caso dobbiamo dire «La Magistratura»; avremmo dovuto dire infatti altrimenti: anziché «Il Governo» «L’esecutivo» e così via.

PRESIDENTE. Passiamo allora alle votazioni. Restano dunque le seguenti proposte: quella base della Commissione, che è attualmente la seguente: «La Giustizia»; vi sono poi altre tre proposte. Gli onorevoli Romano, Mastino Pietro e Persico propongono «Potere giudiziario»; l’onorevole Romano propone ancora, in subordine, «Ordine giudiziario». L’onorevole Grassi poi, riprendendo il primitivo testo della Commissione, propone «La Magistratura».

GHIDINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Io voto per l’intitolazione «La Giustizia». La ragione è che, con l’intitolazione «La Magistratura», come anche con l’intitolazione «Il Potere giudiziario» o «L’Amministrazione della giustizia», siamo perfettamente intonati soltanto con il sottotitolo della sezione prima, che riguarda appunto l’ordinamento giudiziario; ma non siamo invece intonati con il sottotitolo della sezione seconda, relativo alle norme sulla giurisdizione.

Per questo motivo quindi io voterò a favore dell’intitolazione «La Giustizia».

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il nostro Gruppo voterà per la formulazione originaria della Commissione, e cioè per «La Magistratura», per una ragione di armonia generale fra i Titoli delle diverse parti, che non può essere modificata per le considerazioni fatte testé dall’onorevole Ghidini: non si può concepire l’armonia di un Titolo preso a sé e in riferimento al suo contenuto. I Titoli si collegano di capitolo in capitolo e devono avere una loro continuità. Tutti i Titoli contengono un richiamo concreto a determinati organi; questo sarebbe l’unico Titolo che introdurrebbe una formulazione astratta. Non comprendiamo il senso di questa modificazione e voteremo perciò il Titolo originario.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io rivolgo una preghiera all’Assemblea, e cioè di voler tenere presente il chiaro indirizzo del Comitato: noi non possiamo accogliere le designazioni di «Potere giudiziario» o di «Ordine giudiziario», perché queste, sì, altererebbero tutta la simmetria della Costituzione e creerebbero posizioni ed impostazioni non chiare. Il Comitato non può accettare tali dizioni.

La sua vecchia dizione rispondeva ai criteri di concretezza che sono stati qui accennati; il Comitato l’ha modificata ed io non mi sono opposto, perché ritenevo che, così mutando, si avrebbe più facile consenso. Se non è così, torniamo pure alla dizione di «Magistratura».

Ciò su cui insisto è che non si adotti né «potere» né «ordine giudiziario».

CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Noi del Gruppo liberale voteremo contro la sostituzione della parola «Giustizia» a quella di «Magistratura», perché per noi «Giustizia» indica un concetto astratto e non la funzione né l’organo della funzione.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora passiamo alla votazione.

Pongo ai voti per prima la formulazione fatta propria dall’onorevole Grassi, perché mi pare, per le ragioni stesse con le quali si è sostenuta la formula contraria, la più lontana dalla proposta della Commissione.

Pongo quindi ai voti la vecchia formulazione: «La Magistratura».

(È approvata).

Vi sono ora delle proposte di emendamento al sottotitolo della Sezione I di questo Titolo IV.

Vi sono due emendamenti relativi alla intitolazione della Sezione I, che nel progetto è: «Ordinamento giudiziario». Il primo è dell’onorevole Romano, il quale lo ha già svolto:

«Sostituire la denominazione della Sezione I: Ordinamento giudiziario, con l’altra: Funzione giurisdizionale».

Il secondo è dell’onorevole Grassi:

«Sostituire la denominazione della Sezione I: Ordinamento giudiziario, con la seguente: Ordinamento giurisdizionale».

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerlo.

GRASSI. Si tratta di una semplice osservazione. Se noi parlassimo soltanto della Magistratura ordinaria, andrebbe benissimo «ordinamento giudiziario»; ma siccome comprendiamo anche il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, ritengo che tecnicamente sia meglio dire «ordinamento giurisdizionale».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per verità, nel desiderio che ho di ottenere un consenso e di non ritardare, potrei accedere alla proposta dell’onorevole Grassi. Però faccio una riserva. Io desidero che, quando noi avremo approvate tutte le disposizioni sulla Magistratura fino all’ultima, si veda se è il caso di conservare due sezioni o no, perché è possibile, riducendo al minimo le «norme sulla giurisdizione» e rimandandone una parte all’ordinamento giudiziario o ai Codici e alle leggi di procedura, che non si senta più la necessità di una apposita sezione. Quando si può semplificare, io sono contentissimo.

PRESIDENTE. Lei fa una proposta formale di sospensiva?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se occorre, sì; propongo la sospensiva sulla intitolazione delle sezioni, che scompariranno se sfronderemo, e quindi sopprimeremo, la seconda sezione. Non avrei difficoltà a votare l’intitolazione dell’onorevole Grassi, con l’intesa di tornarvi su se non faremo più le due sezioni; ma per chiarezza ed ordine dei lavori è meglio votar la sospensiva.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini propone di sospendere la decisione a questo proposito. Pongo ai voti la sua proposta.

(È approvata).

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 94. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo.

«I magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano ed applicano secondo coscienza.

«I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».

PRESIDENTE. A questo articolo 94 sono stati presentati numerosissimi emendamenti, molti dei quali sono stati già svolti. Così, l’onorevole Mastino Pietro ha svolto il suo emendamento che era il seguente:

«Sostituirlo col seguente:

«La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero, che dipendono soltanto dalla legge».

L’onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Sono stati svolti anche i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:

La funzione giurisdizionale, espressione diretta della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo italiano.

«I magistrati non hanno vincoli di subordinazione gerarchica e sono tenuti soltanto alla osservanza della legge che interpretano ed applicano secondo coscienza.

«Caccuri».

«Sostituire il primo ed il secondo comma con i seguenti:

«Il potere giudiziario emana direttamente dalla sovranità dello Stato.

«Questo lo esercita a mezzo di magistrati indipendenti.

«Le sentenze sono rese in nome del popolo.

«Castiglia».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo italiano.

«Romano».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo.

«Colitto».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La funzione giurisdizionale, espressione della volontà popolare, è esercitata in nome della Repubblica.

«Bellavista».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il potere giudiziario, emanazione diretta ed immediata della sovranità dello Stato, esercita la funzione giurisdizionale in nome del popolo».

«Adonnino».

«Al primo comma, dopo le parole: in nome del popolo, aggiungere l’altra: italiano.

«Persico».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I magistrati sono indipendenti e sono soggetti soltanto alla legge.

«Ruggiero Carlo».

«Sopprimere l’ultimo comma.

«Subordinatamente, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete.

«Ruggiero Carlo».

«All’ultimo comma, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete.

«Persico».

«All’ultimo comma, dopo la parola: segrete, aggiungere: né far parte di qualsiasi organo estraneo alla Magistratura.

«Damiani».

«All’ultimo comma, aggiungere le parole: né essere chiamati a far parte di Commissioni od organi di carattere politico.

«Rossi Paolo».

L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, sostituire: La funzione giudiziale».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. È una questione tecnica. Mi sembra che la funzione sia giudiziale e che si debba dire appunto giudiziale e non funzione giurisdizionale. È una tautologia, una ripetizione. Quindi mi pare che l’argomento che adduco sia sufficiente per giustificare questa proposta di sostituire alla formula. «funzione giurisdizionale» quella di «funzione giudiziale».

Credo poi che sia inutile aggiungere «espressione della sovranità della Repubblica» e possa solo bastare dire «la giurisdizione».

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato i seguenti altri emendamenti:

«Sopprimere il secondo comma.

«Subordinatamente, alle parole: dipendono, sostituire le altre: sono vincolati, e sopprimere le parole: che interpretano ed applicano secondo coscienza».

Ha facoltà di svolgerli.

COSTA. Ritengo che il secondo comma sia superfluo. E ad ogni modo, non si dica che i magistrati «dipendono» soltanto dalla legge, ma che i magistrati «sono vincolati» soltanto dalla legge.

È un’espressione tecnica, che mi sembra assai più appropriata di quella della dipendenza, la quale fa pensare a un rapporto gerarchico, mentre il concetto è che i magistrati non hanno altro vincolo, altra soggezione che quella della legge. Mi sembra, poi, superfluo dire che questa legge i magistrati «interpretano ed applicano secondo coscienza».

È inutile che ciò dica la Costituzione. Trattasi di un principio di ordine morale e giuridico il quale è nella coscienza comune. Quindi considero una superfluità che se ne occupi la Costituzione.

Poi, quanto all’ultimo comma, quello riguardante i partiti politici, propongo che sia soppresso per le ragioni che da vari oratori sono state svolte nella discussione generale.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: La funzione giurisdizionale, sostituire: La giurisdizione;

sopprimere l’inciso: espressione della sovranità della Repubblica;

alle parole: è esercitata in nome del popolo, sostituire: è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all’esercizio della giurisdizione nei processi di Corte d’assise nei modi stabiliti dalla legge».

«Sopprimere l’ultimo comma».

L’onorevole Nobili Tito Oro ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, la lunga, nutrita e profonda discussione seguita su questo Titolo ha dimostrato insieme il culto che l’Assemblea, scrupolosa interprete del sentimento della Nazione, ha per la giustizia, bene a ragione definita fundamentum rei publicae, e la necessità che essa avverte di dare alla Magistratura, che ne costituisce il sacerdozio, quelle garanzie di difesa morale e di indipendenza economica e politica che, da tanto tempo reclamate e promesse, non tollerano più dilazioni. D’altra parte esse implicano, per il nuovo ordinamento che l’indipendenza politica della Magistratura esige, la necessità che vi sia provveduto in sede di Costituzione. Il consenso di tutti i Gruppi in questo generale riconoscimento, renderà più agevole l’esame degli articoli e più facile l’accordo sulla loro definitiva formulazione; perché attorno al problema della giustizia la cura di ciascuno di noi si è trasformata in una spasmodica emulazione per la ricerca del meglio; così da richiamarci alla mente la rievocazione fatta dall’onorevole Ruini, nella sua relazione al progetto, di quel simpatico amico dell’Italia che fu Henry Beyle, alias monsieur de Stendhal, spirito lucido, come egli lo definisce e – aggiungerei io illuminato, il quale – è l’onorevole Ruini che ce lo ricorda – ha scritto che, avvicinandosi a una Costituzione, egli si sentiva sempre preso da un vero senso religioso. Bisogna avere la lealtà di riconoscere che tale è il sentimento che domina noi tutti nell’affrontare questo Titolo, che contempla il segreto della pace dei singoli e della fratellanza fra i cittadini.

Bisogna riconoscere che il testo del progetto risponde sufficientemente non soltanto ai desideri dell’Assemblea, ma anche alle richieste dell’Associazione nazionale dei magistrati: le manchevolezze che essi rilevano potranno essere facilmente eliminate, mentre le pretese lacune non si addimostrano effettivamente tali riguardando materia di legge ordinaria. Il Titolo, così come proposto dalla Commissione, si preoccupa di fermare due principî fondamentali, quello della unità della giurisdizione, che non tollera abuso e prolungamento di giurisdizioni speciali, e quello della autonomia e dell’indipendenza della Magistratura. I due principî sono sanciti, rispettivamente, sotto l’articolo 95 e sotto l’articolo 97; mentre l’articolo 94 riguarda le fonti della giurisdizione e gli articoli dal 98 al 100 contengono norme completive.

Avete udito, onorevoli colleghi, quale sia il testo dell’articolo 94 come da me emendato; esso comprende anche gli emendamenti che ha svolti testé il collega Costa. Mi permetterò di aggiungere qualche breve considerazione in ordine a questi e ai rimanenti emendamenti miei.

Al primo comma del progetto: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo» io propongo di sostituire: «La giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».

Le ragioni di queste modifiche sono evidenti. La giurisdizione è termine tecnico e chiaro, e nel suo significato proprio vuol dire appunto: «La funzione giurisdizionale».

«La giurisdizione» significa «dichiarazione del diritto», «applicazione della legge», e quindi «funzione e potestà di giudicare». Pertanto è pleonasmo tautologico dire «funzione giurisdizionale» anziché puramente e semplicemente «giurisdizione».

A questa locuzione segue, nel testo del progetto, l’inciso: «espressione della sovranità della Repubblica». Mi si permetta di confessare che lo trovo non necessario, pretenzioso, non producente; esso non può rappresentare la definizione della giurisdizione, in quanto non ne determina il contenuto; non ne segnala né una caratteristica essenziale, né una caratteristica differenziale; perché espressioni della sovranità della Repubblica sono del pari l’esercito, che si substanzia nel diritto di difesa armata dello Stato e del suo territorio, la diplomazia che realizza il diritto di ambasceria, il Parlamento che esercita il potere legislativo, il Governo e l’amministrazione che il potere esecutivo esprimono nel diritto di batter moneta e di imporre tributi, ecc. L’attribuzione di una caratteristica che non è speciale ed essenziale della giurisdizione, che abusa di un nome che deve esser sacro e che per questo non va sciupato con l’abuso, ad evitare atteggiamenti demagogici e vacuità stilistiche, costituiscono già giustificazione sufficiente alla proposta soppressione dell’inciso.

D’altra parte, dire che la giurisdizione è «espressione della sovranità della Repubblica» è un pleonasmo concettuale rispetto all’affermazione successiva che essa «è esercitata in nome del popolo»: anche la sovranità, dalla quale la giurisdizione deriva procede dal popolo, al pari della sovranità della Repubblica. E precisare che la giurisdizione è esercitata in nome del popolo non è soltanto riallacciarsi alla formula d’investitura della potestà giusdicente, che nel nostro ordinamento repubblicano abbiamo sostituita alla quasi secolare, aulica e non veritiera formula d’investitura cesarea, come requisito formale delle sentenze che sono il prodotto della giurisdizione, ma è precisare la fonte prima dalla quale la giurisdizione deriva: giacché dai primordi della umana società, dal periodo matriarcale e patriarcale alle prime civiltà, fu sempre nel popolo, e non soltanto simbolicamente, il potere di rendere giustizia. Per questo dicevo che il primo articolo del Titolo quarto riguarda la fonte della giurisdizione; per questo ho proposto che anche la norma dell’articolo 96, che al popolo riserva la diretta partecipazione all’esercizio della giurisdizione nei processi di Corte di assise, sia qui trasferita.

Ma l’emendamento da me proposto al primo comma va ancora oltre: poiché questa parte della Costituzione s’intitola alla Magistratura, e questo titolo è stato già approvato: poiché questo primo articolo riguarda la fonte della giurisdizione e il suo esercizio, io non vedo la ragione per cui non si dovrebbe dire subito, in questa stessa sede, che la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura, agganciando immediatamente alla trattazione l’organo della giurisdizione che ne forma l’oggetto.

E ho proposto altresì di non limitarci a dire, coll’abusato linguaggio dei sacri principî, che la giurisdizione è esercitata in nome del popolo, ma di precisare concretamente, che essa è esercitata «in nome del popolo italiano». So che mi si obietterà che l’aggettivazione è superflua: purtroppo, onorevoli colleghi, a parte che un’aggettivazione si fatta non potrebbe mai, almeno sentimentalmente, considerarsi sciupata, versiamo in una situazione che non la rende affatto superflua: il vecchio Piemonte, ha reclamato, per voce dell’onorevole Villabruna, la reintegrazione nel godimento della Cassazione sabauda e contro l’unità della nostra legislazione si è decisamente manifestata la tendenza regionalista. Onde non è affatto superfluo porre il punto fermo, così che non si abbia domani, in sede legislativa, ad avanzare la pretesa che siano pronunciate sentenze in nome del popolo della Valle, di quello siciliano, di quello sardo, di quello veneto, ecc.

Ecco dunque perché, soppresso l’inciso, ho proposto di sostituire al primo comma «la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».

E vengo al secondo comma, che nel testo del progetto dice «i Magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano ed applicano secondo coscienza». È affermazione questa che prelude alla concreta dichiarazione di indipendenza che faremo fra poco risolutamente all’articolo 97. Mi pare che sia perfettamente inutile questa prolusione astratta, superflua, vaga e di stile che vorrei superato. Che cosa significa: i magistrati «dipendono soltanto dalla legge»? È poi elementare, che il magistrato ha per compito specifico di interpretare e di applicare la legge e di farlo secondo la propria coscienza. Questa è una cognizione così estesa, di così generale dominio, che appare assolutamente pretenzioso sentire il bisogno di enunciarla in una Costituzione.

Per queste ovvie considerazioni, e per evitare il più possibile il superato stile illuminista ad alleggerimento del testo, io ho proposta la soppressione del comma. E la raccomando all’Assemblea. E soggiungo che, se qualche cosa si sentisse il bisogno di proclamare qui in riferimento al tema annunciato, sarebbe preferibile la concreta affermazione che il magistrato requirente, il pubblico ministero, non rappresenta, come fìnora si è tenuto ad affermare, il potere esecutivo, ma soltanto la legge della quale è depositario, custode e vindice. (Approvazioni). Questo potrebbe utilmente inserirsi ove non piacesse meglio inserirlo altrove.

Il terzo comma, onorevoli colleghi, è stato largamente svolto, e io confido che tutta l’Assemblea si trovi d’accordo nel volerlo soppresso.

Confido che tutta l’Assemblea sarà concorde nel respingere il pensiero che ai magistrati possa vietarsi l’appartenenza a partiti politici, che possa imporsi loro questa inaudita diminutio capitis, che sopprimerebbe completamente la loro eguaglianza a tutti gli altri cittadini nel godimento delle libertà essenziali, da quella di pensiero a quella di associazione; che toglierebbe loro, in una parola, quei diritti politici che sono la caratteristica non soltanto del vir probus, ma di ogni cittadino. Il magistrato deve conservare intatti e intangibili questi diritti e deve solo corrispondere, nel loro esercizio, a quei doveri di compostezza e di austerità, che formano le caratteristiche indefettibili del suo ministero, che è sacerdozio. Si può partecipare alla vita politica senza darsi all’attivismo demagogico ed esasperato, che potrebbe sminuire la fiducia dei litiganti per la manifestazione di dissenso politico o per quella di consenso coll’uno o coll’altro di essi. Il magistrato deve sapersi imporre il riserbo, deve saper porre il sentimento della giustizia al di sopra di ogni divergenza politica; e quando, così comportandosi, egli saprà tenere lontano il sospetto di partigianeria faziosa, acquistandosi la fiducia delle parti quale che ne sia il pensiero politico, egli avrà assolto ogni dovere, verso la legge e verso il proprio ufficio; e null’altro si potrà esigere da lui. Il divieto di questo terzo comma, a parte anche l’impossibilità di un serio controllo della relativa osservanza, ricorda concezioni di tempi passati, che non torneranno mai più.

Detto questo, non ho bisogno di occuparmi – e credo che l’astensione conferisca senso di responsabilità alla discussione – di quegli emendamenti che hanno voluto fare una distinzione fra l’iscrizione ai partiti politici e l’iscrizione alle associazioni segrete. Riassumendo. Vanno soppressi, secondo la mia proposta, i commi due e tre. Ma, poiché, come ho spiegato, nell’articolo 94 io vedo l’indicazione delle fonti della giurisdizione, in quanto vi si afferma che la Magistratura esercita la giurisdizione in nome del popolo, io vorrei qui completare lo sviluppo di questo concetto, col trasferirvi la disposizione che è contenuta all’articolo 96, per quanto riguarda la possibilità della partecipazione diretta del popolo all’esercizio della giurisdizione nei processi di Corte di assise. In altri termini, poiché nel primo comma è affermato che la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo, il che implica il riconoscimento che il potere di giustizia risiede originariamente nel popolo, io chiedo che al popolo sia riservato di partecipare direttamente ai processi di Corte d’assise nei modi stabiliti dalla legge. Non faccio richiamo specifico alla giuria, ma chiedo sia affermata la possibilità che coll’ordinamento giudiziario o coll’ordinamento processuale si riconosca al popolo questo diritto nelle forme che saranno stabilite; mi pare che questa formula possa soddisfacentemente risolvere i contrasti che si sono rivelati: dacché rimane impregiudicata la forma della reclamata partecipazione del popolo a questi giudizi, che riguardano anche i più gravi processi politici; come rimane impregiudicata la reclamata necessità d’imporre anche per essi la motivazione delle decisioni e di riconoscere contro queste il diritto di appello.

Affido per tanto fiducioso all’Assemblea il testo di questo articolo, quale risulta dagli emendamenti da me proposti. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Grassi, al secondo comma, così formulato:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, che applicano secondo coscienza».

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerlo.

GRASSI. Ho presentato un emendamento per il secondo comma, perché per il primo comma io non avrei nessuna difficoltà ad accettare il testo della Commissione. Però ritengo utile il secondo comma, per quanto l’onorevole Oro Nobili abbia detto che si tratta di affermazione generica, ed effettivamente questa affermazione generica potrebbe essere superflua, dato che nell’articolo successivo si parla di indipendenza della Magistratura. Tuttavia io penso sia necessario che rimanga, perché mentre lì parliamo di Magistratura in genere, che è indipendente ed autonoma, qui invece parliamo dei singoli, facenti parte dell’organo generale. Dire la frase «dipendono dalla legge» mi sembra più corretto, in quanto non è un senso di dipendenza dalla legge, ma un senso di soggezione di tutti i cittadini alla legge. L’importante è dire, con questa affermazione, sia pure di carattere teorico e generale, che non solo la Magistratura, ma il singolo magistrato è libero e indipendente e non è soggetto che soltanto alla legge.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Palma così formulato:

«All’ultimo comma, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete».

Ha facoltà di svolgerlo.

DE PALMA. L’emendamento da me presentato non credo che abbia bisogno di essere illustrato. È già stato illustrato da altri, quindi io lo mantengo riportandomi a quanto altri colleghi hanno precedentemente detto.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Grassi, ha fatto la stessa proposta.

GRASSI. Sì, siamo tutti d’accordo. L’articolo 13 della Costituzione proibisce le associazioni segrete, quindi sarebbe inutile ed anzi pericoloso dirlo in queste occasioni.

PRESIDENTE. Poiché vi sono numerosi emendamenti del tutto simili, vorrei pregare i presentatori di volersi mettere d’accordo fra loro perché uno solo li svolga.

Segue l’emendamento dell’onorevole Perrone Capano:

«Al terzo comma, sopprimere le parole: o ad associazioni segrete».

L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole De Palma.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Sardiello.

«All’ultimo comma, aggiungere le parole seguenti: né accettare cariche ed uffici pubblici elettivi».

Non essendo presente l’onorevole Sardiello, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Varvaro:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«I magistrati non possono essere destinati ad uffici estranei all’ordine giudiziario».

Non essendo presente l’onorevole Varvaro, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Caroleo:

«Al secondo comma, dopo le parole: secondo coscienza, sostituire le altre: secondo la volontà, che vi è espressa».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Il mio emendamento è questo: alle parole «secondo coscienza» sostituire le altre: «secondo la volontà, che vi è espressa».

È ben detto che i magistrati devono dipendere esclusivamente dalla legge, ma bisogna intendersi bene a proposito di questa dipendenza, che verrebbe in certo qual modo superata dall’aggiunta delle parole «secondo coscienza».

Io penso che quando ci si riferisce ai magistrati italiani sia inutile fare un appello alla coscienza, mentre è necessario, se non si vuol cadere in una specie di contraddizione, fare un espresso richiamo alla volontà della legge, altrimenti sarebbe quasi inutile affermare che i magistrati dipendono dalla legge.

In ogni paese democratico, più che di separazione, deve parlarsi di delimitazione di poteri, e la legge segna il limite della sovranità devoluta ai magistrati, come la legge segna il limite per tutti gli altri poteri dello Stato. Ho sentito da taluno affermare che l’indagine del giudice intorno al pensiero del legislatore sia quasi un conformismo, uno zelo inammissibile per il magistrato. Ma questo mi pare che non sia rispondente al principio della indipendenza della Magistratura, che trova il limite nella legge, e soltanto nella legge. Perché, se questo è, bisogna non soltanto ammettere, ma addirittura fare obbligo al magistrato di ricercare, ogni qual volta applichi o interpreti la norma, il vero pensiero del legislatore. Taluno confonde spesso la pessima legge con il presupposto conformismo del magistrato; ma occorre tener presente che, anche quando si ha riguardo al periodo fascista e si fa rimprovero ai magistrati di essersi conformati alla legge, quel rimprovero e quel processo andrebbero più rettamente fatti alla pessima legge che si poté emanare durante il fascismo e non al cosiddetto conformismo del magistrato.

Su questo punto, onorevoli colleghi, credo ci si debba fermare e ci si debba chiaramente intendere, se non si vuole assistere a quello spettacolo poco edificante a cui noi abbiamo assistito a proposito di certe sentenze che hanno trattato dell’applicazione dei decreti Gullo prima, e Segni poi.

Se si vuol fare questo riferimento alla coscienza del magistrato, lo si mantenga; ma prima che alla coscienza, si faccia obbligo al magistrato di obbedire al pensiero ed alla volontà del legislatore.

PRESIDENTE. Sullo stesso articolo 94 è stato presentato dagli onorevoli Conti, Perassi, Bettiol, Leone Giovanni, Reale Vito un emendamento del seguente tenore:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo.

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

Si intende così assorbito l’emendamento dell’onorevole Bettiol del seguente tenore:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: che interpretano ed applicano secondo coscienza».

L’onorevole Conti ha facoltà di svolgerlo.

CONTI. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato di redazione ha tenuto conto, uno per uno, dei numerosi emendamenti presentati; ma mi consentirete che, per impostare la questione, io parli dal testo proposto dalla Commissione dei 75, il quale dice: «La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo».

Il Comitato ritiene che si possa sopprimere l’inciso «espressione della sovranità della Repubblica», perché questa formula non è espressa né a proposito del Parlamento, né a proposito del potere esecutivo, cioè degli altri poteri a cui è parallelo il potere giudiziario; il metterla qui non avrebbe significato e valore specifico.

Il Comitato mira ad ottenere la maggiore semplificazione possibile. Questo articolo 94 è come un’epigrafe, come una parola iniziale di tutto il Titolo; quanto è più breve e lapidario, tanto è certamente migliore.

Nel primo comma abbiamo accolto gli emendamenti presentati dagli onorevoli Targetti, Colitto e Conti. Così questo primo comma si ridurrebbe all’espressione: «La giustizia è amministrata in nome del popolo».

MAFFI. Italiano.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nessun dubbio che le sentenze continueranno, come già si fa, ad essere emanate in nome del popolo italiano. Ma non è il caso di specificare qui; poiché abbiamo parlato di popolo tante altre volte, in questo testo costituzionale, e non abbiamo mai messo l’aggettivo «italiano»; e del resto di quale altro popolo si potrebbe trattare nelle nostre sentenze?

Secondo comma: «I magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano e applicano secondo coscienza».

È stato proposto di sostituire alla parola «dipendono» le parole «sono vincolati» oppure «obbediscono» oppure «sono soggetti». Il Comitato accetta quest’ultima espressione, che pare migliore, o almeno ha minori inconvenienti, e comunque rientra piuttosto nella revisione stilistica.

Riguardo alla seconda parte del secondo comma, «che interpretano ed applicano secondo coscienza» si presenta un dilemma: o questa è una dichiarazione generica di ovvio significato, ed allora possiamo anche abbandonarla, senza molto rincrescimento, o apre la via, e di ciò si espresse il timore, ad una interpretazione che sarebbe pericolosa, ed allora vi è una ragione di più per abbandonarla. Io non credo che, parlando di coscienza del giudice, si possa intendere la tendenza e l’ammissione del cosiddetto «diritto libero», costruzione teorica per me inammissibile; ma non discara, fra gli altri, all’hitlerismo. Ad ogni modo, poiché è stato manifestato un dubbio; ed il togliere l’inciso non nuoce – anzi, Dio sia lodato, abbrevia il testo – il Comitato acconsente alla soppressione.

Resta l’ultimo comma, sul divieto di iscrizione a partiti politici o ad associazioni segrete. D’accordo per la soppressione del cenno alle associazioni segrete. Avevo già sostenuto da tempo che è un duplicato ed una ripetizione inutile, posto che in un altro articolo v’è già il divieto di tali associazioni. Quanto all’iscrizione nei partiti politici, non sembra il caso di risolvere la questione qui, soltanto per i magistrati. Potrebbero esservi per loro maggiori ragioni; ma insomma vi sono altre categorie di funzionari, pei quali si può esaminare l’opportunità dello stesso divieto ed è opportuno decidere con una visione d’insieme. Vi è un emendamento che comprende appunto nel divieto altre categorie, e l’Assemblea ne ha rimandato l’esame complessivo. Ce ne occuperemo fra non molto e decideremo allora anche pei magistrati. Sopprimiamo intanto l’ultimo comma dell’articolo 94.

La formulazione dell’articolo si riduce così a due brevi commi. Nel primo si tien conto dell’emendamento degli onorevoli Conti, Perassi e Bettiol e degli altri emendamenti degli onorevoli Colitto e Targetti. Nel secondo comma si tien conto dell’emendamento Grassi. In complesso il testo che noi proponiamo è molto breve (Dio sia lodato) ed è questo: «La giustizia è amministrata in nome del popolo. I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

GHIDINI. È una sospensiva?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Ghidini, noi chiediamo la soppressione del terzo comma, salvo considerare poi la questione sotto un altro aspetto, non pei soli magistrati. Non è, dunque, una sospensiva formale, anche se può averne la portata sostanziale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei fare una proposta sull’emendamento presentato dall’onorevole Caroleo. Domando se egli sarebbe disposto a combinare il suo emendamento con quello accettato dalla Commissione, e che in questa forma il nostro Gruppo sarebbe disposto a votare: «I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, che interpretano ed applicano secondo la volontà che vi è espressa». (Commenti).

PRESIDENTE. Quale è il suo parere, onorevole Ruini?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Laconi di non insistere su questa proposta, perché l’affermare che la legge va interpretata secondo la volontà che vi è espressa è così elementare e tautologico, che non è davvero il caso di inserirlo in una Costituzione. Ripeto: avrebbe avuto un significato mettere: «che interpretano ed applicano secondo coscienza»; ma poiché è sorto un dubbio e non è necessario inserire una tale disposizione, la Commissione ritiene opportuno limitare il secondo comma alla sola frase: «i magistrati sono soggetti soltanto alla legge». (Approvazioni).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi! A nome anche di alcuni colleghi, come l’onorevole De Michelis, l’onorevole Costa ed altri, propongo la soppressione di questo secondo comma presentato dalla Commissione per queste considerazioni. Che cosa si intende di significare con la frase: «i magistrati sono soggetti soltanto alla legge»?

Evidentemente, si vuole affermare l’indipendenza del magistrato; ma vi sarà modo di affermarla in un altro articolo, e, me lo permetta l’onorevole Ruini e gli altri sostenitori di questa formula, ci sarà anche modo di esprimerla un po’ meno male, un po’ meglio, non so come dire. Certamente questa espressione, per la quale il magistrato si dice soggetto alla legge, non è la più felice per riconoscere ed affermare la superiorità del magistrato, la sua indipendenza. Tanto peggio poi quando si aggiunge «che interpreta secondo coscienza». Non già perché io mi preoccupi dell’aggiunta, mentre non approverei in nessun modo la frase «secondo la volontà che vi è espressa», perché non vi sarà nessun magistrato che interpreterà una disposizione di legge secondo una volontà che non vi è espressa o che è espressa in un’altra disposizione di legge, ma è che mi sembra che vi sia un contrasto fra questi due concetti. Da una parte si dice che il magistrato sta sotto la legge, che vi è soggetto, e dall’altra si dice che la interpreta. Cioè interpreta ciò a cui è soggetto. È un insieme di espressioni che non mi sembrano le più felici.

Per queste considerazioni, proponiamo la soppressione di questo comma.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

ABOZZI. L’onorevole Mastino Pietro non è presente. Faccio mio il suo emendamento e lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Caccuri, mantiene il suo emendamento?

CACCURI. Lo ritiro. Aderisco in pieno alla nuova formulazione Conti, Bettiol e altri.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Castiglia, l’emendamento si intende decaduto.

Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Mi associo alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Non ho nulla da dire, avendo la Commissione accolto il mio emendamento.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Bellavista, Adonnino, Costa e Ruggiero, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Non ho nessuna difficoltà ad accettare, per il primo comma, il nuovo testo della Commissione, che ha accolto alcuni degli emendamenti da me proposti e, fra questi, la soppressione dell’inciso; accetto che sia sostituita la locuzione «la giustizia è amministrata» a quella del progetto. Insisto perché sia inserita l’indicazione della Magistratura come organo dell’amministrazione della giustizia, e ciò in via di transazione perché ritengo più precisa la formula complessiva da me proposta. Confermo le ragioni svolte a sostegno dell’aggettivazione del popolo, ma non insisto nell’emendamento.

Relativamente al secondo comma, prendo atto dell’accettazione della soppressione della seconda proposizione; insisterei per altro nella soppressione totale, trattandosi di concetto che sarà poi introdotto coll’articolo 97. Prendo atto in fine della accolta proposta di soppressione dell’ultimo comma.

Per quanto poi si riferisce al trasferimento dell’articolo 96, come da me emendato, all’articolo 94, l’onorevole Presidente della Commissione non ha esposto il suo pensiero. Io tuttavia vi insisto: perché trasferendo l’articolo 96 all’articolo 94, noi completeremmo la disposizione relativa alle fonti della giurisdizione…

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, la prego, poiché lei mantiene il suo emendamento, non è più necessario che lo motivi ulteriormente, avendolo già fatto in precedenza.

NOBILI TITO ORO. Volevo dire solo che in proposito non ho avuto modo di conoscere il pensiero della Commissione: comunque, non insisterò in questa sede nel proposto trasferimento dell’articolo 96, ma tornerò ad insistervi quando di questo si discuterà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io prego l’onorevole Nobili Tito Oro di considerare che il mettere qui questa disposizione significherebbe risolvere incidentalmente una questione sulla quale ci potremo pronunciare per mezzo di altri emendamenti più chiari. Vi sono altre formule proposte in questo senso. Ve n’è una dell’onorevole Targetti che dice che il popolo partecipa alla giustizia direttamente, nei casi stabiliti dalla legge; vi sono altre formulazioni che ammettono che si possano stabilire presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate con la partecipazione di elementi estranei alla Magistratura; il che potrebbe dare la possibilità di qualcosa d’analogo alla giuria. Vedremo allora; non è il caso qui di una risoluzione incidentale e dubbia. E poi non comprendo perché si dovrebbe, con l’accenno desiderato dall’onorevole Oro Nobili, spezzare la linea semplice e solenne di un’affermazione che apre l’intero Titolo.

Giacché ho la parola, prego l’Assemblea di conservare il secondo comma, con l’espressione «i magistrati sono soggetti alla legge». Altrimenti rimarrebbe un solo comma, con una espressione meno completa e più vaga. Noi dobbiamo dirlo, che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge; parleremo in seguito dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario. Qui dobbiamo parlare della legge.

Quando entriamo nelle aule di un tribunale, vediamo scritto: «La legge è uguale per tutti». Quasi proporrei di mettere nella Costituzione questa vecchia frase, che ha una bellezza che viene dalla tradizione. In sostanza, credo che, mettendo subito il concetto della legge, affermiamo ed eleviamo il carattere della funzione del magistrato.

Per queste considerazioni insisto perché resti l’espressione: «I magistrati sono soggetti soltanto alla legge». (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo emendamento.

PERSICO. Accetterei l’emendamento Conti-Perassi; però proporrei di aggiungere: «in nome del popolo italiano». (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha facoltà di dichiarare se mantiene i suoi emendamenti,

GRASSI. Io accetto l’ultimo comma così come è stato presentato dalla Commissione; però penso che sia opportuno aggiungere, come propone il collega Nobili Tito Oro: «La giustizia è amministrata dalla Magistratura, in nome del popolo italiano». Perché altrimenti, dicendo solamente «in nome del popolo», rimarrebbe l’interrogativo: da chi?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è il titolo stesso che lo dice.

GRASSI. Il concetto generale di Magistratura abbraccia tutti, non parliamo di giudici togati o non togati. Io, per mio conto, accetterei la proposta dell’onorevole Oro Nobili.

Per quello che riguarda il secondo comma, ringrazio la Commissione di aver accettato la formula da me proposta e ritengo, contrariamente a quello che ha detto l’onorevole Targetti, che sia utile che sia mantenuto, non solo per le considerazioni espresse dal Presidente della Commissione, ma anche per quello che ho accennato prima. Non basta dire che la Magistratura è autonoma e indipendente; bisogna dire anche che il magistrato è indipendente, e la forma migliore di indipendenza è di riconoscere che egli è soggetto solo alla legge.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l’onorevole Persico di non insistere sulla proposta di aggiungere la parola «italiano». Si capisce che è il popolo italiano, e non è il popolo turco!

NOBILI TITO ORO. Si stanno creando le Cassazioni regionali!

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, mantiene il suo emendamento?

CAROLEO. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole De Palma ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo emendamento.

DE PALMA. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Persico, Perrone Capano e Grassi hanno visto accettata la proposta di sopprimere al terzo comma: «o ad associazioni segrete».

Onorevole Damiani, mantiene il suo?

DAMIANI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Rossi Paolo, mantiene il suo emendamento?

ROSSI PAOLO. Sarei disposto a ritirare il mio emendamento, purché fosse mantenuto quello dell’onorevole Sardiello del seguente tenore: «All’ultimo comma, aggiungere le parole: chiamati a far parte di commissioni od organi di carattere politico».

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Sardiello è assente, e perciò il suo emendamento decade.

LUSSU. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo allora ai voti. Abbiamo innanzitutto un emendamento sostitutivo integrale di tutto l’articolo, che era stato proposto dall’onorevole Mastino Pietro e che era stato successivamente fatto proprio dall’onorevole Abozzi. Onorevole Abozzi, lo mantiene?

ABOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alla votazione di questo emendamento sostitutivo dell’intero articolo 94:

«La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero, che dipendono soltanto dalla legge».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione non accoglie questo emendamento.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo per il testo della Commissione e quindi contro tutti gli altri emendamenti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo testé letto.

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione del primo comma della nuova dizione proposta dalla Commissione:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo».

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevole Presidente, anche il mio emendamento è sostitutivo dell’intero articolo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, noi, ponendo in votazione la dizione «La giustizia è amministrata in nome del popolo», veniamo implicitamente a porre in votazione la sua proposta di sopprimere il secondo comma. Infatti coloro che accettano la sua proposta voteranno contro il comma mirando a farlo cadere.

Mi pare che a questo primo comma non siano stati presentati emendamenti sostitutivi né aggiuntivi, perché tutti i colleghi hanno accettato la formula della Commissione. Resterebbe la proposta dell’onorevole Persico di aggiungere la parola «italiano».

PERSICO. La ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha proposto la seguente formula:

«La giustizia è amministrata dalla Magistratura in nome del popolo».

GRASSI. La ritiro.

PRESIDENTE. Resta allora la sola formula della Commissione: «La giustizia è amministrata in nome del popolo».

La pongo in votazione.

(È approvata).

Passiamo allora al secondo comma:

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

A questo comma l’onorevole Laconi ha presentato il seguente emendamento:

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, che interpretano ed applicano secondo la volontà che vi è espressa».

Lo mantiene, onorevole Laconi?

LACONI. Ho chiesto all’onorevole Caroleo se era disposto ad accordare il suo emendamento aggiuntivo alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo aveva presentato il suo emendamento come aggiuntivo alla proposta della Commissione. Quindi dipende dall’onorevole Caroleo il mantenerlo o meno. Egli vi ha rinunciato. Lei lo fa suo?

LACONI. No, vi rinuncio.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, pongo in votazione la formula proposta dalla Commissione, facendo presente che secondo la proposta dell’onorevole Targetti l’articolo 94 dovrebbe essere limitato al primo comma, già votato. Coloro che Recedono alla proposta Targetti, pertanto, voteranno contro questo secondo comma, che pongo ora in votazione:

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

(È approvato).

Vi sono ora due formulazioni aggiuntive, quella dell’onorevole Sardiello, fatta propria dall’onorevole Lussu, del seguente tenore:

«All’ultimo comma aggiungere le parole: né accettare cariche ed uffici pubblici elettivi».

e quella dell’onorevole Damiani:

«All’ultimo comma, dopo la parola: segrete, aggiungere: né far parte di qualsiasi organo estraneo alla Magistratura».

Faccio, però, presente che queste proposte dovrebbero essere coordinate con l’ultimo comma del primitivo testo della Commissione, che è quello che si riferisce al divieto di iscrizione dei magistrati a partiti politici e ad associazioni segrete.

Poiché la Commissione rinunzia a questo comma, chiedo all’onorevole Damiani e all’onorevole Lussu se intendono di proporre le formulazioni come a sé stanti, autorizzandomi in questo caso a darvi l’opportuna forma letteraria.

Onorevole Lussu?

LUSSU. Mi rimetto..

PRESIDENTE. Onorevole Damiani?

DAMIANI. Propongo che sia mantenuta come comma a sé stante.

PRESIDENTE. Allora in questa formulazione:

«I magistrati non possono far parte di nessun organo estraneo alla Magistratura».

DAMIANI. Sì.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei far osservare agli onorevoli colleghi che hanno proposto questo emendamento aggiuntivo che non v’è nessuna ragione di metterlo in questo articolo, che apre tutta la materia della giustizia della Magistratura. Dopo che abbiamo affermato i principî generali: la giustizia amministrata nel nome del popolo, la soggezione dei magistrati alla sola legge, dovremmo proprio mettere la questione degli incarichi dei magistrati? Sarebbe una stonatura; e si rimpiccolirebbe l’intero articolo.

La questione sarà riesaminata a suo luogo., Dichiaro comunque, fin d’ora, che non si dovrebbe inserire nel testo costituzionale la norma proposta, ma farla, caso mai, oggetto di un ordine del giorno perché se ne tenga conto nella legge per l’ordinamento giudiziario. Prego intanto l’Assemblea di non accettare questo emendamento. (Approvazioni).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo contro questa proposta di aggiunta dell’onorevole Damiani, attenendoci noi al testo della Commissione. Infatti, se è una giusta esigenza che il magistrato sia distolto il meno possibile dalle sue funzioni, non si può non considerare il pericolo insito in una espressione così larga, la quale può essere tratta a significare cose che vanno, magari, al di là delle intenzioni dei proponenti.

Se si vuole, si presenti un ordine del giorno che manifesti un voto dell’Assemblea ed in termini più precisi e concreti.

Debbo poi confermare che la soppressione dell’ultima parte dell’articolo è da noi intesa come un rinvio della trattazione della questione in altra sede. Mi pare che vi sia un emendamento apposito che si estende anche ad altre categorie. In quella sede preciseremo il nostro atteggiamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Damiani, se accetta la proposta dell’onorevole Moro.

DAMIANI. Io avevo proposto questo emendamento aggiuntivo per il fatto che nella formulazione originaria dell’articolo era detto che i magistrati non potevano essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete.

Ora, questa parte è stata esclusa dal nuovo testo elaborato dalla Commissione; quindi riconosco che il mio emendamento aggiuntivo, rimanendo isolato, verrebbe a costituire un comma non bene armonizzato con il resto dell’articolo, perciò rinuncio a mantenerlo in questa sede e mi riservo di ripresentarlo in sede più appropriata.

PRESIDENTE. E l’onorevole Lussu?

LUSSU. Rinunzio alla mia proposta.

PRESIDENTE. Sta bene. Pertanto l’articolo 94 risulta approvato nella seguente formulazione:

«La giustizia è amministrata in nome del popolo.

«I magistrati sono soggetti soltanto alla legge».

Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana di domani.

Svolgimento di una interrogazione urgente.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro dell’interno ha dichiarato di essere pronto a rispondere alla seguente interrogazione presentata nella seduta di ieri dall’onorevole Sansone:

«Per conoscere – come è diritto dell’Assemblea e del Paese – le ragioni ed i fatti che lo hanno indotto a fare le gravi dichiarazioni al San Carlo di Napoli, e dalle quali appare che egli ed il Governo non sono in grado di mantenere l’ordine pubblico e di tranquillizzare la pubblica opinione gravemente scossa dalle dichiarazioni stesse».

Il Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Immagino che l’onorevole Sansone abbia presentato la sua interrogazione in base a resoconti sommari del mio discorso. Poiché il testo stenografico e il testo integrale del discorso è stato pubblicato dalla stampa e il mio pensiero appare chiaro e completo dal discorso, io non ho nulla da aggiungere in materia.

D’altro canto, gli argomenti che hanno formato oggetto del discorso stesso sono stati già oggetto di ripetute dichiarazioni da parte mia, in questa Assemblea, e da parte del Sottosegretario di Stato ancora ieri.

Ritengo pertanto di non avere altro da aggiungere.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SANSONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non credo che il Ministro dell’interno abbia detto a Napoli le stesse cose che ha detto in questa Assemblea, né quanto ha riportato la stampa ha falsato il suo pensiero.

Ieri sera, in Roma, era venduta, e andava a ruba, l’ultima edizione del Momento Sera, nella cui testata, a grandi caratteri, si leggevano queste parole: «Non nutro nessuna fiducia sulla situazione dell’ordine pubblico».

Si determinò in Piazza Colonna e in molti ambienti di Roma un senso di panico – che potetti rilevare personalmente nella gran massa di italiani che affollavano le edicole – il che mi spinse a presentare la interrogazione di cui testé è stata data lettura.

Ho pensato, mi sono illuso, ho vivamente sperato che fosse una esagerazione giornalistica. Ma quando questa mattina ho letto Il Popolo, giornale ufficiale del partito al Governo, ed ho rilevato le istesse parole, sono costretto a far constatare al Ministro Scelba che egli non ha espresso un pensiero come quello che ebbe ad esprimere in questa Assemblea, ma ha espresso il pensiero di chi veramente determina un panico nel Paese e perciò deve – ora – rassicurare l’Assemblea. Ella, onorevole Scelba, non può eludere dal rispondere, perché io le leggo le parole che riporta in corsivo il Popolo: «Quale oggi è la situazione dell’ordine pubblico? Io, amici, dichiaro che non nutro affatto fiducia sulla situazione dell’ordine pubblico. Io non nutro fiducia che il tentativo di ricorrere alla violenza possa essere del tutto abbandonato». (Proteste al centro). Che significa questo? (Interruzioni al centro e a destra – Si ride).

Signor Presidente, questo riso avrebbe determinato in me sorpresa se non assistessi da tempo in questa Assemblea ad una inversione effettiva dei valori, delle parole e delle cose; ma quando il Ministro dell’interno, che afferma di parlare non come aderente ad un partito, ma che tiene a dichiarare di parlare come Ministro dell’interno – è questa la dichiarazione pregiudiziale che ebbe a fare l’onorevole Scelba al San Carlo di Napoli – dice: «Io non nutro fiducia sull’ordine pubblico», vuol dire che egli riconosce che noi siamo veramente in una situazione gravissima, che può addirittura sfociare in vasti movimenti popolari o che egli è incapace di reggere l’ordine pubblico. Di qui non si esce. (Rumori al centro e a destra).

È quindi una dichiarazione gravissima che egli ha fatto al San Carlo di Napoli, ed io torno a chiedere a lui che deve tranquillizzare il Paese. Ma io domando specificatamente all’onorevole Scelba: quindi non nutre fiducia sull’ordine pubblico! Cioè teme… (Rumori al centro e a destra – Interruzioni).

Lasciatemi dire! (Ilarità al centro).

Dunque, anche a volere essere benevolo con l’onorevole Scelba, egli ha detto o ha ritenuto di dire (voglio fare un’interpretazione ottimistica, estensiva delle sue parole): io temo che l’ordine pubblico non potrà essere più mantenuto. (Proteste al centro).

Neanche questo dunque ha voluto dire, ed allora se non siamo d’accordo nemmeno sulla interpretazione da dare alle parole del Ministro dell’interno, io prego l’onorevole Scelba affinché ci dica – per lo meno – da quali fatti, da quali elementi egli ricava che l’ordine pubblico non potrà essere più mantenuto, o che l’ordine pubblico sarà sconvolto; ma ha il dovere di dire all’Assemblea, al Paese, dopo che in un pubblico teatro si è lanciata una frase così grave, ha il dovere di dire da quali – ripeto – precisi elementi egli trae questo convincimento e principalmente quali provvedimenti intende adottare.

Io ritengo che l’onorevole Scelba ha detto una qualche cosa che rispondeva a un suo pensiero intimo. Evidentemente l’onorevole Scelba, nel momento che parlava, aveva il convincimento che la politica svolta da lui e dal Governo condurrà a gravi agitazioni… (Rumori al centro e a destra – Applausi a sinistra). Questo è il punto cruciale, questo è il punto effettivo. Insomma, noi domandiamo al Ministro, dove si vuole arrivare in Italia. (Rumori al centro). Voi del Governo avete rotto la collaborazione con le masse popolari (Rumori al centro e a destra) ed in conseguenza di questa azione del Governo esse sono inquiete… (Rumori). Voi, talvolta, vi fate uno schema delle masse popolari fuori della realtà. (Rumori al centro e a destra). Le masse popolari hanno una sensibilità politica superiore a quello che credete voi! (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra). Di qui la loro inquietudine, la quale determina questo stato di cose che è giunto ad eccessi – che noi riproviamo – perché noi desideriamo per le classi popolari un avvenire sereno (Rumori al centro e a destra) e non lo spargimento di sangue.

Ora, che cosa ha fatto il Governo per sbloccare questa situazione, questo stato d’animo, e questa inquietudine? Invece di sbloccarla l’ha aggravata, l’ha esasperata. Le minacce che sono state fatte dal banco del Governo e dal teatro S. Carlo, di ricorrere alla maniera forte, sono una forma di esasperazione atta a determinare l’accentuarsi della maggiore compressione che si vuole fare di ogni movimento ascensionale del popolo italiano! (Rumori al centro e a destra).

Le parole dell’onorevole Scelba mi sono sembrate in un certo momento – egli me lo permetterà – le parole di un Ministro di polizia austro-ungarico del tempo del nostro primo risorgimento. (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra), perché egli ha parlato e parla di democrazia, di difesa delle libertà politiche, ma praticamente quando, con la sua autorità di Ministro, dice in un pubblico congresso e in un pubblico teatro che egli teme che possa determinarsi, da parte di gruppi di italiani, una forma di violenza, egli ha autorizzato, implicitamente, un’altra parte di italiani a ricorrere alla violenza per rispondere a quella violenza. (Interruzioni al centro e a destra).

Mi hanno sorpreso veramente le parole dell’onorevole Scelba, perché egli, praticamente, con la sua autorità e nelle sue funzioni di Ministro, anziché tentare di trovare un afflato, una forma di unione di tutte le forze, ha messo praticamente gli italiani gli uni contro gli altri, creando ed approvando lo stato attuale. (Interruzioni al centro e a destra).

Ripeto, la situazione è tale che occorrerebbe lo sforzo di tutti noi per risolverla prima che possa diventare veramente angosciosa ed irreparabile.

Lei, onorevole Scelba, non ha mostrato di essere capace di fare tanto. Creda pure che sono dolente di doverglielo dire. (Commenti al centro.) Mi creda, ella non è in questi giorni il Ministro dell’interno d’Italia, ma è un democristiano che sta lì per gli interessi politici del suo partito e non per l’interesse di tutto il Paese. (Applausi a sinistra).

A nome del mio Gruppo, a nome dei lavoratori italiani, io protesto contro il suo operato (Interruzioni al centro e a destra), e lo addito al giudizio del Paese. Ricordi però, onorevole Scelba, che se da oggi nelle piazze d’Italia vi saranno scontri più forti e lutti maggiori (Interruzioni al centro e a destra), lei ne è responsabile! (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. (Vivissimi applausi al centro – Rumori a sinistra). Io non posso naturalmente rispondere delle pubblicazioni e delle interpretazioni della stampa. Desidero soltanto replicare all’onorevole Sansone, il quale speravo avesse letto per intero il mio discorso e si fosse sforzato di comprendere le mie parole, così come la maggior parte della stampa italiana ha cercato di comprenderlo. Cioè: quando io ho detto «non nutro fiducia nell’avvenire dell’ordine pubblico» non ho inteso dire che il Governo si dichiarava incapace di garantire l’ordine pubblico; è una illazione completamente sbagliata e falsa, che mai sarebbe stata fatta da qualsiasi Ministro dell’interno; avrei dovuto essere troppo ingenuo per arrivare a questa dichiarazione, che poteva essere segno di impotenza dell’autorità dello Stato, ma ho inteso dire che non sono convinto che la tranquillità del nostro Paese sarà assicurata nel prossimo avvenire. Gli avvenimenti di ieri e di oggi e le dichiarazioni autorevoli fatte da ogni parte convalidano questa mia convinzione.

Vorrei, onorevole Sansone, che lei con la sua autorità potesse fugare questa nostra preoccupazione. (Interruzioni a sinistra).

Purtroppo, questa assicurazione non ci potrà venire da lei…

Una voce a sinistra. Sono i vostri alleati del Movimento sociale italiano. (Interruzioni – Commenti al centro).

SCELBA, Ministro dell’interno. …perché non imputo in modo particolare a lei né a nessuno, in modo specifico, la responsabilità dei fatti.

Ma, ripeto, nello stesso momento in cui io parlavo e prima ancora che si conoscessero le mie dichiarazioni, altri incidenti, altre violenze ed altri attentati alle libertà dei cittadini si verificavano in alcune città d’Italia. Questi fatti, ripeto, che non erano minimamente in relazione con le mie dichiarazioni al San Carlo, dimostravano che, se domani altri incidenti si verificheranno in Italia, non saranno conseguenza delle dichiarazioni fatte dal Ministro dell’interno al San Carlo.

In quanto ai propositi del Governo di garantire le libertà, se queste venissero minacciate, in quanto ai mezzi di cui dispone lo Stato per garantire queste libertà, penso sia controproducente dichiarare continuamente che lo Stato ed il Governo tuteleranno le libertà dei cittadini ad ogni costo e con tutti i mezzi.

Preferisco lavorare ed operare in questo senso; e credo che operando nel senso di garantire le libertà sia operare nel senso…

AMENDOLA. …di dare la libertà ai fascisti! (Commenti al centro).

GIACCHERO. Trovate qualche cosa di nuovo!

SCELBA, Ministro dell’interno. …sia operare, ripeto, nell’interesse generale di ogni partito, perché le libertà politiche rappresentano la condizione necessaria per lo sviluppo di una sana democrazia.

Assicurare le libertà politiche è dovere di ogni Governo, che si chiami democratico e che voglia veramente esserlo.

MOSCATELLI. E che assassina le libertà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Del resto, onorevole Sansone, mi pare che nel mio discorso ho cercato di comprendere il sentimento e le preoccupazioni che venivano da altre parti dell’Assemblea e da altre correnti del Paese. Ed in materia mi pare di avere fatto delle dichiarazioni, che purtroppo non vengono sottolineate, perché non conviene che siano sottolineate…

PAJETTA GIULIANO. E quelle contro i segretari delle camere del lavoro?

SCELBA, Ministro dell’interno. …ma che io considero come parti integranti del mio discorso. Io dichiaravo nettamente che proposito del Governo è di impedire…

AMENDOLA. Sciogliete il Movimento sociale italiano. (Rumori al centro).

SCELBA, Ministro dell’interno. …è di impedire ogni ritorno del fascismo ed ogni restaurazione di questo movimento, di voler garantire la Repubblica che consideriamo non come semplice espressione formale e giuridica, ma come sostanza, vale a dire come l’espressione di un nuovo regime che vuol essere essenzialmente vita libera e vita democratica del popolo italiano. Mi pare che, intese in questo senso e completate così le mie dichiarazioni anche per questo verso, esse diano un apporto a quell’auspicata concordia e pacificazione che tutti desideriamo. (Vivissimi applausi al centro – Rumori a sinistra).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga opportuno e doveroso che a favore dei sinistrati per lo scoppio della polveriera di Vigevano, in attesa che si provveda come di legge, sia ordinata la immediata riedificazione delle case operaie gravemente lesionate, prelevando i fondi necessari sulle somme stanziate per alleviare la disoccupazione invernale.

«Sampietro, Castelli Edgardo, Balduzzi, Ferreri, Meda, Morini».

Avverto che a questa interrogazione risponderà all’inizio della seduta pomeridiana di domani il Ministro della difesa.

Do anche lettura delle seguenti altre interrogazioni urgenti:

«Al Ministro dei trasporti, per sapere se siano a sua conoscenza le disagiate condizioni in cui si svolge il servizio per i viaggiatori di terza classe e segnatamente dei treni operai lungo la linea Bra-Carmagnola-Torino, il quale servizio è esplicato da oltre 5 anni quasi esclusivamente mediante carri merci, privi di chiusure, di sedili, di illuminazione, di pedane per l’accesso; e se, per l’imminente lungo e duro inverno, non si ritenga indeclinabile necessità destinare d’urgenza a tale servizio delle carrozze viaggiatori, onde attenuare le asprezze del viaggio a coloro che per ragioni di lavoro sono costretti a trasferirsi quotidianamente a Torino.

«Bubbio».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per stroncare nella provincia di Como il sorgere di raggruppamenti politici, che sono la causa determinante di azioni violente contro i movimenti democratici e antifascisti.

I fatti si riassumono in questa triste e dolorosa rassegna:

1°) cippo di Barilani – Ponte del Passo – dedicato ai caduti della liberazione, frantumato;

2°) bruciata una corona d’alloro alla lapide dei partigiani di Moltrasio;

3°) strappati i nastri tricolori, con dedica dei partigiani, dalla corona deposta al monumento dei caduti di Carate Urio;

4°) spaccata la lapide dedicata al partigiano Carlo Brenna in una via cittadina di Como;

5°) frantumate le lapidi dei partigiani e della lega insurrezionale a Como;

6°) posa di una bomba alla Casa del Popolo di San Rocco;

7°) Renzo Pigni, membro dell’esecutivo della Camera del lavoro di Como e vicesegretario della Federazione socialista di Como, appostato da sconosciuti mentre si recava ad un comizio e fatto segno ad alcuni colpi di arma da fuoco, fortunatamente andati a vuoto.

«I fatti di cui sopra, avvenuti saltuariamente da sei mesi ad oggi, denunciano un sistema di lotta politica e sociale contrario ai principî della democrazia e basato sulla violenza e hanno sollevato un grave fermento nella popolazione, scaturito in uno sciopero generale di 24 ore, che non è degenerato per la profonda maturità democratica dei lavoratori comaschi e per il senso di responsabilità dei movimenti antifascisti e della locale Camera del lavoro, mentre le autorità provinciali non hanno fatto, né fanno, nulla di concreto per dimostrare la loro effettiva volontà di difendere le libertà democratiche dei cittadini di Como.

«Bernardi, Pressinotti».

«Al Ministro dell’interno, sullo sciopero generale in Puglia e sui provvedimenti che si intendono adottare per restituire la pace a quella laboriosa regione, ove la quasi totalità della popolazione reclama la tranquillità del lavoro ed ove l’attività facinorosa degli agitatori professionali minaccia il completamento delle semine e il maggior raccolto dell’anno.

«Perrone Capano, Cortese, Badini Confalonieri».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in favore degli agricoltori della provincia di Cagliari, ai quali è stato ingiunto di pagare, entro il 1947:

  1. a) i contributi agricoli unificati per l’anno 1945-46;
  2. b) il premio della Repubblica;
  3. c) i contributi agricoli unificati per l’anno 1946-47; in modo che gli agricoltori stessi sarebbero costretti – nel periodo delicatissimo, in cui devono sostenere le spese fortissime per la preparazione colturale dei terreni e per le semine, ed occupare il maggior numero possibile di lavoratori – a versare somme ingenti, che essi non si trovano in grado di pagare.

«Quali conseguenze deleterie a danno della produzione, della alimentazione e dell’occupazione della mano d’opera, possano derivare da una simile situazione deve essere presente al Governo, che potrebbe risolvere la questione nel modo seguente: applicazione di una aliquota regionale per la Sardegna, anziché quella nazionale.

«In linea contingente: sospendere immediatamente la riscossione dei contributi agricoli, fino almeno al nuovo raccolto.

«Mastino Gesumino».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi riservo di rispondere non appena mi saranno pervenute le informazioni necessarie.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prima di dar lettura dell’ordine del giorno per le sedute di domani, desidero sottolineare il fatto che stamattina non si è potuto raggiungere il numero legale per una votazione. Questo fatto è notevolmente spiacevole, ed è reso ancora più spiacevole ed ancor meno simpatico dalla considerazione che le firme sui registri di presenza superavano di molto il numero legale. (Commenti).

La votazione è avvenuta fra le 13 e le 14, e non era quindi questione di treni che si dovessero prendere o dovessero arrivare. Mi si permetta di dire, deplorandolo, che vi sono molti colleghi i quali ritengono di aver fatto il loro dovere non appena hanno apposto la loro firma sui registri, e non comprendono che il loro dovere è di esser presenti ai lavori dell’Assemblea. Vi prego di apprezzare la serietà delle cose che sto dicendo: l’impressione spiacevole che siffatti episodi possono produrre non deve essere trascurata o sminuita.

Domani, dunque, alle ore 10, seduta per le votazioni a scrutinio segreto dei disegni di legge discussi oggi. I colleghi sappiano che per le votazioni a scrutinio segreto è indispensabile il numero legale, e che non è possibile tenere le urne aperte all’infinito. Vorrei pertanto sperare che domani mattina alle 10 sia presente un numero sufficiente di deputati perché le votazioni si possano concludere.

Le votazioni, riguardano, l’approvazione del trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine e l’approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, I colleghi questa mattina hanno compreso che il Ministro degli esteri annette una grande importanza alla rapidità con cui questi due disegni di legge saranno approvati, in relazione alle esigenze dei nostri rapporti internazionali.

Sempre nella seduta antimeridiana di domani si discuteranno i seguenti disegni di legge:

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico;

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di Casa Savoia.

Nel pomeriggio, alle ore 16, si avrà il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se i provvedimenti di prossima promulgazione a favore dello sviluppo industriale nell’Italia meridionale saranno applicati, come di ragione, a quella zona del circondario di Gaeta ed a tutto il circondario di Sora che, per contingenze puramente amministrative, sono stati distaccati dalla provincia di Caserta (Campania), ma che, senza alcun dubbio, fanno parte del Mezzogiorno d’Italia.

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti abbia preso nei riguardi dei responsabili del saccheggio della sezione provinciale dell’Unione monarchica italiana di Varese, i quali il 13 novembre, approfittando della temporanea assenza delle forze di polizia, distrussero la sede suddetta con i ben noti sistemi facinorosi e poscia passarono alla distruzione del settimanale indipendente l’Ammonitore.

«Benedettini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere: 1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni;

2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso;

3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica.

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare al fine di migliorare l’attuale disagiatissima situazione degli amanuensi degli uffici giudiziari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Russo Perez».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e dei trasporti, per conoscere se non ritengano opportuno, di comune intesa, di promuovere al più presto un accordo con la Francia per il ripristino della linea internazionale Torino-Cuneo-Nizza, linea che venne nella massima parte distrutta dalle operazioni belliche.

«Consta all’interrogante che per la parte italiana i lavori sono ormai ultimati sino al confine, mentre è pure in via di completamento il viadotto sul fiume Stura a Cuneo.

«L’importanza di questa linea che, proseguendo da Torino, si riallaccia a quella internazionale del Sempione verso la Svizzera, non ha bisogno di ulteriori illustrazioni; essa servirebbe, inoltre, a collegare, come per il passato, il Piemonte con la Costa Azzurra e col sud-est francese, ove innumerevoli sono gli interessi degli italiani emigrati in Francia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Chiaramello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga, con alto senso di giustizia, in questo momento, nel quale l’Esercito nazionale viene ricostituito, ridare a Torino che li creò e li ebbe ospiti nel momento del loro massimo splendore, gli istituti superiori militari, quali la Scuola di guerra e la Scuola di applicazione di artiglieria e genio.

«Torino durante il fascismo è già stata sacrificata coll’allontanamento a favore di altre città di innumerevoli Enti, Fondazioni, ecc., nati e creati dai Piemontesi e purtroppo pare che anche nel clima repubblicano la spogliazione continui con un metodo sistematico.

«Anche ultimamente, con la creazione di una nuova Accademia militare, Torino si è vista sottratta l’Accademia di artiglieria e genio e sarebbe quindi opera di giustizia se almeno fra le sue mura rimanessero la Scuola d’applicazione d’artiglieria e l’Istituto superiore di guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Chiaramello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se creda opportuno ridurre per gli agenti di custodia da anni 30 a 28 l’età minima pel matrimonio, allo scopo di consentire che i giovani utilizzino gli anni migliori e più adatti per costituire una famiglia, evitando in pari tempo pericoli di danni alla salute, tanto più che ora per la qualità di reduci sono anche gli ammogliati ammessi in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rubilli».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica Italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).

  1. Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

  1. Discussione del disegno di legge:

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (11).

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Disegni di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

Presidente

Perassi

Sforza, Ministro degli affari esteri

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1917. (43).

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Bonomi, Presidente della Commissione per i trattati internazionali

Treves, Relatore

Corbino

Disegni di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Disegno di legge (Discussione):

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Presidente

Benedettini

Russo Perez

Condorelli

Scalfaro

Crispo

Marchesi

Conti

Nitti

Bettiol, Relatore

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Moro

Lucifero

Colitto

Castiglia

Coppa

Maffioli

Chiostergi

Geuna

Votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Arcaini, Vanoni e Bergamini.

(Sono concessi).

Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

Dichiaro aperta la discussione generale. È iscritto a parlare l’onorevole Perassi. Ne ha facoltà.

PERASSI. La relazione del Ministro degli esteri, precedente il disegno di legge, e quella dell’onorevole Treves, a nome della Commissione dei Trattati, hanno messo in evidenza il significato e l’interesse di questo Trattato fra la Repubblica Italiana e il nuovo Stato indipendente, la Repubblica delle Filippine. Credo che l’Assemblea Costituente sarà unanime nel salutare con simpatia questo primo atto con il quale le due Repubbliche entrano in rapporti di amicizia e di collaborazione.

Per quanto concerne il contenuto del Trattato, nelle Relazioni è posta in evidenza la portata dei singoli articoli. Il Trattato si può definire un primo atto di avviamento delle relazioni fra i due Paesi, e presenta notevole interesse. Anzitutto, per quanto concerne le relazioni diplomatiche e consolari, vi si afferma il principio del «trattamento della nazione più favorita», e lo si afferma in maniera assoluta, il che significa che, per quanto concerne le funzioni, i diritti ed i privilegi consolari nella Repubblica delle Filippine, l’Italia godrà del trattamento che è riservato alla Nazione più favorita, quale che questa sia. Un altro articolo, mentre prevede la negoziazione di un trattato di amicizia e di commercio, stabilisce fin da ora alcuni principî fondamentali, soprattutto per quanto riguarda il diritto di acquistare, possedere e disporre di qualunque genere di beni e di esercitare il commercio e l’industria.

Vorrei, per integrare la sobria e precisa relazione della Commissione parlamentare, sottolineare l’importanza dell’articolo 5 del Trattato. In esso si stabilisce che per qualunque controversia che potesse sorgere fra i due Stati, e che non sia risolta secondo le normali vie diplomatiche, le Alte Parti contraenti convengono di riconoscere come obbligatoria, ipso facto e senza una speciale convenzione, la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, in conformità dell’articolo 36, paragrafo 2, dello Statuto della Corte. Si noti l’espressione: «qualunque controversia». Ciò significa che l’impegno reciproco stabilito da questa disposizione riguarda qualunque contestazione che possa sorgere fra i due Stati in rapporto al diritto internazionale, sia convenzionale, sia generale. Non si tratta quindi della solita clausola compromissoria che contempla soltanto le controversie relative al trattato in cui è inserita. È invece una clausola che, nei rapporti fra i due Stati, stabilisce obbligatoriamente la competenza generale della Corte di giustizia internazionale.

Sotto questo riguardo l’articolo 5 merita di essere rilevato, perché fa sì che i diritti internazionali di ciascuno dei due Paesi verso l’altro sono assistiti dalla garanzia giurisdizionale del giudizio avanti alla Corte, che può essere promosso su istanza unilaterale di una delle parti.

Ho detto che notevole è questo articolo perché esso viene a stabilire, fra l’Italia e le Filippine, un regime di garanzia giurisdizionale che va anche al di là, sotto certi aspetti, di quello che fra i membri delle Nazioni Unite deriva dalla Carta di San Francisco.

Anche per questa considerazione, noi salutiamo con compiacimento questo atto internazionale, che l’Assemblea Costituente certamente vorrà approvare.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Nel chiedere all’Assemblea l’approvazione del Trattato fra noi e le Filippine, io intendevo sottolineare, in aggiunta all’ottima relazione del collega Treves, alcuni punti che fanno di questo Trattato un elemento di valore, anche come precedente da usarsi. Ma l’onorevole Perassi ha detto ciò che io intendevo dire, e con molto maggiore autorità scientifica che io non possieda. Mi riferisco quindi al suo breve discorso, al quale mi associo completamente. Aggiungerò solo, a prova del desiderio di cementare antiche amicizie che si verifica ora verso la Repubblica italiana da ogni parte del mondo, che questo Trattato si è concluso l’estate scorsa a Roma essendo lo stesso Vicepresidente della Repubblica delle Filippine venuto a Roma a questo scopo, e proprio per dare prova del desiderio profondo della Repubblica delle Filippine di stringere intimi legami economici e culturali con l’Italia. Confido quindi che il voto dell’Assemblea sarà unanime.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data al Trattato di amicizia e relazioni generali concluso a Roma il 9 luglio 1947 tra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione. (È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore conformemente all’articolo 6 del Trattato suddetto».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Il disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta pomeridiana.

Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi iscritti e nessuno chiedendo di parlare, la dichiaro chiusa.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Circa il Trattato da noi concluso con la Repubblica di Cuba, credo che sia dovere mio di sottoporre all’Assemblea alcune considerazioni, che fanno comprendere il suo alto valore politico. Il coraggio, la dignità ed il senso di profonda democrazia di un popolo non si misurano dalla estensione del territorio, ed io credo che noi italiani dobbiamo esprimere la più profonda riconoscenza alla Repubblica di Cuba, per questo Trattato, per le ragioni che sto per esporvi, come ha detto giustamente nella sua relazione l’onorevole Treves, la Repubblica di Cuba avrebbe potuto valersi dell’articolo 88 del Trattato di Pace e aderire al Trattato di Pace nelle forme che ad essa convenivano: invece la Repubblica di Cuba rifiutò di fare la pace sulla base del Trattato di Parigi, adducendo che non voleva aggiungere il suo nome ad un Trattato macchiato di tanti errori e lacune e volle quindi avere un Trattato speciale creato fra noi ed essa. Ma vi è di più: la Repubblica di Cuba dichiarò che con la firma del Trattato essa rinunciava completamente e senza nessuna eccezione a chiedere mai alcuna indennità per danni di guerra all’Italia. Più ancora: la Repubblica di Cuba (questo non è nel Trattato, ma indica la nobiltà dell’atteggiamento di quel popolo), appena cessarono le ostilità, fu il primo Paese del mondo a sbloccare completamente tutti gli importanti beni italiani dell’isola ed a lasciarli in mano dei loro legittimi proprietari, nostri compatrioti.

Queste sono cose che noi non dobbiamo dimenticare, appunto perché vengono da un piccolo Paese. Se noi esprimessimo la nostra riconoscenza soltanto ai grandi faremmo una opera di utilitarismo che sarebbe indegna di noi, ed è per questo che mentre vi ho parlato finora come rappresentante del Governo vorrei, se mi è lecito, aggiungere una parola come deputato: io ritengo, dati i sentimenti di profonda simpatia e solidarietà che esistono da parte della Repubblica di Cuba verso l’Italia e dato che vi è in Cuba una maturità democratica molto grande, ritengo, dico, che la Repubblica di Cuba sarebbe infinitamente più sensibile, piuttosto che ad un messaggio da parte del Governo, di avere un messaggio da parte dell’Assemblea costituente, più diretta espressione del popolo italiano. E, se l’Assemblea costituente si associa a questa mia richiesta, potremmo pregare il nostro Presidente di farsi interprete all’Avana dei sentimenti di profonda simpatia e di alto apprezzamento con cui abbiamo oggi votato questa legge. (Vivi applausi).

BONOMI, Presidente della Commissione per i trattati internazionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI, Presidente della Commissione per i trattati internazionali. La Commissione si associa alle parole dell’onorevole Ministro degli esteri; fa rilevare l’importanza di questo atto, e si associa nel chiedere che il Presidente dell’Assemblea costituente mandi la espressione dei suoi sentimenti alla Repubblica di Cuba.

TREVES, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREVES. Relatore. Concordo perfettamente con quello che è stato detto e rilevo, ad onore della Repubblica di Cuba, l’articolo 4 della stipulazione, che modifica, a nostro vantaggio, il disposto del Trattato di Parigi, per cui la Repubblica di Cuba rinuncia a dar valere la disposizione, a suo favore, di denunciare, unilateralmente, il trattato bilaterale tra noi e la Repubblica medesima; ragione di più questa perché io mi associ alle parole dell’onorevole Ministro degli esteri.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero far mia la proposta del Ministro degli esteri, affinché parta dai banchi dell’Assemblea la preghiera al Presidente di rendersi interprete dei nostri sentimenti verso la Repubblica di Cuba.

PRESIDENTE. Sta bene. Chiedo all’Assemblea se è concorde con la proposta del Ministro degli esteri, fatta propria dall’onorevole Corbino, di manifestare alla Repubblica di Cuba il nostro riconoscimento e l’amicizia che l’Italia nutre verso un piccolo popolo che ha dato la dimostrazione di come debbano essere organizzati i rapporti fra popoli desiderosi di pace.

(È approvata).

Passiamo all’approvazione dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data al Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba firmato all’Avana il 30 giugno 1947.

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore conformemente all’articolo 5 del suddetto Trattato».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta pomeridiana.

Presentazione di disegni di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare i seguenti disegni di legge:

«Approvazione dell’Accordo concluso nel Palazzo apostolico vaticano fra la Santa Sede e l’Italia il 31 marzo 1947 per una delimitazione di alcune zone extra territoriali nelle adiacenze della Città del Vaticano»;

«Approvazione dell’Accordo concluso a Roma, fra l’Italia e la Francia, il 21 marzo 1947, in materia di emigrazione»;

«Approvazione degli Accordi di carattere economico stipulati in Roma, fra l’Italia e la Norvegia, il 20 luglio 1946»;

«Approvazione degli Atti internazionali conclusi a Neuchâtel l’8 febbraio 1947, per la conservazione e la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale».

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro degli affari esteri della presentazione di questi disegni di legge, che saranno inviati alla Commissione competente.

Discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare l’onorevole Benedettini. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Onorevoli colleghi! Dichiaro subito che voterò contro questo disegno di legge, che fissa le norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico.

Voterò contro perché ogni regime che, per difendersi e consolidarsi, sente il bisogno di ricorrere a leggi eccezionali, mostra, per queste stesse leggi, di non essere un regime democratico.

La mia prima opposizione, perciò, è anzitutto una opposizione di principio. A che cosa mirano le leggi eccezionali per la difesa ed il consolidamento della Repubblica? A punire certi reati già contemplati nei codici di ogni nazione civile, quali i complotti contro lo Stato, la costituzione di bande armate, la violenza contro cittadini per impedir loro il libero esercizio dei diritti civili e politici.

Ora, io chiedo al Presidente del Consiglio dei Ministri che, di concerto con tutti i Ministri in carica al 17 marzo 1947, presentò questo disegno di legge, chiedo ai membri della Commissione, che vi hanno apportato gli emendamenti, e chiedo agli onorevoli colleghi di questa Assemblea, se esistano in questa Repubblica un Codice civile e un Codice penale e se vi siano contemplati i reati che le leggi eccezionali per la difesa ed il consolidamento della Repubblica intendono colpire. E allora, se vi sono già contemplati, quale bisogno c’è di emanare leggi eccezionali? Non è forse in grado questa Repubblica di far applicare i nostri Codici?

A questi interrogativi, non io soltanto come membro della Costituente e come monarchico, ma tutto il popolo italiano – quello che votò per la Repubblica e quello che votò per la monarchia – attende una risposta chiara, precisa, di facile ed universale comprensione. Ma io sono certo che tale risposta non potrà venire, né da coloro che questo disegno di legge proposero, né da altri. Non potrà venire, perché il disegno in questione contrasta con i principî di uno Stato democratico.

Come monarchico, se io volessi seguire una politica machiavellistica, potrei e dovrei consolarmi delle leggi eccezionali della Repubblica. Dovrei consolarmene, perché la storia universale e l’esperienza quotidiana insegnano che tutti i regimi, i quali per reggersi, per consolidarsi, per difendersi, hanno bisogno di leggi e di tribunali speciali, tutti quei regimi barcollano e non durano. Quando un regime ha bisogno per sostenersi di leggi eccezionali, vuol dire che non ha il favore popolare, vuol dire che non si basa sulla volontà, sul consenso del popolo.

Questo insegna la storia antica e moderna e questo apprendiamo dalla nostra esperienza contemporanea. Ebbene, se la Repubblica uscita dal dubbio referendum del 2 giugno sente la necessità di queste leggi, le emani pure, le proclami e le sanzioni: noi abbiamo espresso il nostro punto di vista, ma, con noi, la maggioranza degli italiani, degli stranieri e dei reggitori di altri Stati trarranno la conseguenza che questa Repubblica non è né democratica né liberale.

E veniamo a considerare il modo con cui il disegno di legge è congegnato. Quando si parla, nell’articolo 1, di finalità e metodi propri del disciolto partito fascista, non si fa se non creare confusione. Poiché infatti il disegno di legge non definisce le finalità del disciolto partito fascista, ne consegue che l’applicazione di questo articolo diventa arbitraria.

Nella sua relazione, la Commissione afferma che è cosa assai difficile circoscrivere o definire l’attività fascista o neofascista, come in genere è difficile in campo giuridico pervenire ad una definizione. In una legge, però, non si tratta di fare opera scientifica, ma di arrivare ad una esigenza pratica. E poiché – prosegue la relazione – abbiamo già l’articolo 17 del Trattato di pace, per il quale le organizzazioni fasciste o di tale natura sarebbero – notate bene – quelle aventi carattere politico-militare o paramilitare, il cui fine è quello di privare il popolo dei suoi diritti democratici, e poiché l’esperienza fascista in Italia ha reso possibile individuare le note fondamentali del totalitarismo, si possono considerare come tipici di un movimento, di un partito fascista o neofascista precisa – la relazione dell’onorevole Bettiol – i seguenti punti:

  1. a) i caratteri militari o paramilitari dell’organizzazione interna;
  2. b) i mezzi, che debbono essere quelli che il metodo democratico scarta: vale a dire la minaccia e la violenza. Notate bene: la minaccia e la violenza;

c)i possibili risultati, vale a dire la negazione delle libertà democratiche e nazionali.

Veniamo allora all’essenziale e parliamo chiaramente: quello che noi democratici vogliamo impedire è la costituzione di partiti e movimenti che mirino a sopprimere le libertà democratiche, che mirino ad instaurare un regime totalitario e dittatoriale basato sul partito unico, come furono il fascismo e il nazismo e come è il bolscevismo. E allora, per coerenza, per logica, per proprietà e per dimostrare che non si ha paura né delle parole né degli atti, o si dice esplicitamente, nell’articolo 1, che si è contrari al sorgere di partiti e di movimenti che abbiano finalità dittatoriali e totalitarie, o, se si cita il fascismo, si citi accanto ad esso, per chiarezza, anche il nazismo e il bolscevismo.

Così, nell’articolo 2 si prescrive la pena per chi promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione monarchica con mezzi violenti.

Ebbene, a parte il fatto che nessuno mai sarà così ingenuo da mettere nelle finalità di un partito il ricorso ai mezzi violenti, che sono proprio quelli che noi monarchici deprechiamo in tutti i modi e combattiamo contro chicchessia, è chiaro, data la precisazione di questo articolo, che solo nel caso in cui si voglia restaurare con la violenza l’istituto monarchico sono previste pene, ma pene non vi sarebbero se si volesse instaurare con mezzi violenti – per esempio – una Repubblica di tipo sovietico.

È dunque chiaro, come ho già detto, che l’aver voluto formulare questo disegno di legge, avendo nella mente l’idea ossessionante della monarchia e della sua restaurazione con mezzi violenti, ha avuto il solo effetto di mettere fuori legge la restaurazione violenta dell’istituto monarchico e non l’instaurazione violenta d’una Repubblica totalitaria e dittatoriale. Il che mostra come la soppressione di questo articolo sia necessaria o per lo meno ne sia necessario il completamento con la estensione del provvedimento agli altri casi di cui ho fatto cenno. Tanto più che la realtà di questi ultimi anni ci dice che il pericolo di bande armate, di sommosse contro lo Stato, non viene già dai monarchici, ma – e dovete darmene atto – da altri partiti estremisti di ben differente ideologia.

Some monarchici, poi, e come democratici, questo articolo doppiamente ci offende, e offende con noi la realtà e il buon senso, giacché è incomprensibile nei tempi attuali restaurare con la violenza l’istituto monarchico. Le monarchie moderne, le monarchie costituzionali, non possono reggersi che nella volontà del popolo.

La monarchia che noi sogniamo non può tornare che per volontà del popolo, con un nuovo referendum, e la legge che mira a colpire coloro che vorrebbero restaurare con la violenza l’istituto monarchico è non solo anacronistica, ma confonde il Re costituzionale con il Presidente dittatoriale.

Onorevoli colleghi, il mondo sta dinanzi a voi per dimostrarvi che oggi non esistono monarchie assolute, ma esistono molte repubbliche dittatoriali, totalitarie, tiranniche. Ecco perché l’articolo 2 di questo disegno di legge è fuori della realtà politica contemporanea! Perciò io dico che queste leggi eccezionali sono pericolose e dannose, oltre che antidemocratiche.

Perciò io ritengo necessario bocciarle.

Ma se la maggioranza della Costituente, per iattura del nostro Paese, dovesse tener molto a varare queste leggi, e allora si impone che non si parli di fascismo o di monarchia, ma, come si è detto, di regimi dittatoriali, di Stati totalitari, di partiti unici, di bande armate, di ricorso alla violenza.

Onorevoli colleghi di destra, di centro e di centro-sinistra, onorevoli colleghi democristiani, a voi particolarmente io mi rivolgo, e vi invito a ricordare che questo disegno di legge fu presentato, sì, dal Presidente del Consiglio nella seduta del 17 marzo 1947, ma fu presentato da quel Governo che passerà alla storia parlamentare italiana come Governo del Tripartito. Nessuno di voi può dimenticare che lo stesso onorevole De Gasperi dichiarò che per la Democrazia cristiana il Tripartito era una coabitazione forzata; e proprio per gli impegni, gli accordi, i compromessi nascenti da quella coabitazione, la Democrazia cristiana dové sottostare a richieste che rivelavano non certamente uno spirito libero, democratico, nutrito di comprensione e di pacificazione.

Nessuno può dimenticare che noi monarchici, e con noi i liberali e i qualunquisti, demmo l’appoggio al nuovo Governo De Gasperi, senza nulla chiedere, senza barattare quello appoggio, animati solo da un desiderio: far sì che il Governo democristiano fosse rappresentato dalla vera maggioranza dell’Assemblea, da quella stragrande maggioranza che per fede tradizionale e convincimento è antibolscevica e anti-comunista. Voi tutti ricordate che io personalmente, e con me colleghi di altri partiti, ponemmo come condizione di questo appoggio l’abolizione delle leggi eccezionali, una politica di pacificazione, provvedimenti economici e sociali per andare incontro alle disagiate e difficili e tristi condizioni dei lavoratori.

Questo non può essere dimenticato dai colleghi democristiani, i quali devono con me convenire che nell’attuale momento questo disegno di legge è sfasato, anacronistico, perché non risponde né alle necessità dei tempi, né al mutato clima morale e politico del Paese. Né i colleghi democristiani possono dimenticare ciò che l’onorevole De Gasperi ha detto appena ieri l’altro, nel suo discorso a Napoli, sulla condanna della violenza da qualunque parte essa venga, e sulla necessità di impedire questa violenza, alla quale troppo spesso si ricorre, da parte di ben precisati partiti estremisti, per imporre o tentare di imporre, a mezzo dell’azione diretta, affermazioni antidemocratiche.

E per tale difesa delle libertà democratiche contro la violenza, di qualunque colore essa sia, basta l’applicazione degli articoli del Codice penale, se necessario, convenientemente adeguati; non occorrono leggi eccezionali. Nell’attuale momento la responsabilità di queste leggi eccezionali cadrebbe, non su quel Tripartito che le propose nel marzo 1947, ma tutta, sola e interamente sulla Democrazia cristiana.

Vuole la Democrazia cristiana assumersi totalmente questa responsabilità di fronte al Paese? Ecco l’altra domanda che io pongo a voi, onorevoli colleghi democristiani. A tale domanda dovete rispondere con la vostra coscienza, con la libera discussione, col vostro voto sul disegno di legge in esame: e m’auguro che la vostra coscienza vi suggerisca di respingere tale disegno, che, a parte l’anacronismo della sua compilazione, costituisce una violazione e un avvilimento di quella sacrosanta concezione del diritto, che è stata, e speriamo sarà ancora, una delle nostre glorie maggiori.

E pertanto prego l’onorevole Presidente di porre ai voti dell’Assemblea Costituente il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo e la relazione della Sottocommissione;

considerato che tale disegno di legge non risponde né alla necessità dei tempi né al mutato clima morale e politico del Paese;

affermato che per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del «Trattato di pace» basta il Codice penale ordinario e non occorrono leggi eccezionali;

respinge il disegno di legge e passa all’ordine del giorno». (Approvazioni a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi associo alle parole dell’onorevole Benedettini e chiedo che l’Assemblea respinga questo disegno di legge. Farò un breve discorso per richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi, e, soprattutto, di quelli appartenenti alla Democrazia cristiana, su certi atteggiamenti del Governo che, secondo me, sono in stridente contrasto con i presupposti di fatto, con i presupposti politici da cui è nato questo Governo, questa formazione governativa; sono in aperto contrasto con quella finalità per cui tutti diciamo di lavorare e che tutti affermiamo di voler raggiungere la pacificazione, cioè, del popolo italiano; e sono anche in netto contrasto, come ricordava l’amico Benedettini, con recentissime manifestazioni verbali del Presidente del Consiglio.

Onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, noi non potremmo seguirvi per codesta strada.

Guardate: ci sono state parecchie leggi recenti, approvate dal Consiglio dei Ministri con la procedura del decreto legislativo o fatte approvare dall’Assemblea Costituente, il cui spirito non possiamo condividere. Per esempio, la proroga della legge sul confino di polizia, quella legge per cui il giudice giusto può colpire anche l’amico che pecca, ma il giudice ingiusto può colpire il nemico che gli dia ombra; le leggi sull’epurazione, alla quale sembrava si volesse dar fine, mentre sembra che, in uno o in altro modo, l’epurazione continuerà. Abbiamo appreso, difatti, che, secondo il provvedimento recentemente proposto dal Ministro Grassi, di quelle migliaia di ricorsi che pendono dinanzi al Consiglio di Stato la più gran parte non sarà più discussa, cioè i ricorsi che riguardano i funzionari dei gradi inferiori al 6°. Ma, in coda alla stessa legge, in cauda venenum, vi è una disposizione per cui le Amministrazioni possono gettare nuovamente sul lastrico gli impiegati. Debbo ricordare ancora la legge sul Senato, recentissima, che è una legge cattiva. È cattiva non nel senso giuridico; una legge può essere cattiva in senso giuridico quando è male congegnata, quando non è chiara, quando non può raggiungere le finalità che si propone. Questa legge sull’abolizione del Senato è cattiva nel senso morale, nel senso sentimentale, perché manca di carità cristiana verso quei cittadini che per la maggior parte hanno passato l’intera vita degnamente a servizio dello Stato, che vivevano per andare a palazzo Madama ogni giorno, frequentandolo come casa propria, e che adesso vengono allontanati da quel luogo a loro tanto caro.

Voi sapete che il Senato del Regno (adesso ci sarà il Senato della Repubblica) non ha mai duramente pesato sulla politica italiana. Non si ricorda un Governo che sia stato rovesciato da un voto del Senato. Ebbene, pensare che quella gente abbia proprio contribuito con atti rilevanti a mantenere in vita il regime più di tanta altra gente che onoratamente siede in questa Assemblea, è ingiusto ed è assurdo. Non dico ciò per affermare che sono spregevoli questi cittadini cui alludo, che siedono in questa Assemblea; voglio dire che sono stimabili anche quelli che sedevano in quell’altra Assemblea. Ed è necessario, proprio nel momento in cui accade quel che accade oggi in Italia (parlerò sempre con un vigile senso di misura, perché è la materia stessa che l’impone), presentare questa legge, che sarebbe stata forse a proposito al tempo del tripartito, ma che non lo è più ora?

Noi dovremo avere su questo punto delle spiegazioni. È stato il Presidente del Consiglio a volere che questa legge fosse portata alla discussione dell’Assemblea o è stato il Presidente dell’Assemblea Costituente che ha creduto opportuno di metterla all’ordine del giorno? Se fosse stato il Presidente del Consiglio, noi ci dorremmo di ciò. E non capisco che cosa può aver agito in voi: forse il subcosciente, che vi ha ravvivato il ricordo del tripartito, oppure la volontà di offrire qualche cosa agli amici di quella sponda? Ma ricordatevi che quel vantaggio che avete ripreso nel Paese (e il segno fu dato dalle elezioni amministrative di Roma) è stato appunto la conseguenza di atteggiamenti in contrasto nettissimo col principio animatore di questa legge. Io desidero ricordare che l’onorevole Conti, una diecina di giorni or sono, disse che voleva «affogare» (usò proprio questo termine) l’amico Condorelli con argomenti a favore della Repubblica, quella Repubblica, che bisogna difendere sempre e a qualunque costo, come spiritosamente dice «Candido». Io dico che egli potrà soffocare l’onorevole Condorelli, potrà soffocare me, può soffocare tutti noi, ma non potrà mai dimostrare che un regime che si difende con leggi eccezionali sia un regime che sappia di appoggiarsi alla volontà popolare.

Ma, intendiamoci, noi non ci opponiamo all’approvazione di questa legge perché nell’animo nostro, anche inconfessato, possa esserci il desiderio che si debbano perdonare eventuali crimini passati o si debba indulgere ai crimini che possano essere ancora commessi. La ragione per cui noi ci opponiamo è perché vogliamo che la Repubblica e la Democrazia si difendano applicando le leggi normali, ad opera di magistrati ordinari, sempre ed in ogni occasione, e perché, come ha accennato l’amico Benedettini, e come meglio specificherò io, tutte le forme di reato che in questa materia possono essere configurate, anche le più rare ad accadere, sono tutte represse da nostro Codice penale. Io ricordo che alcune settimane fa, l’onorevole Togliatti diceva che occorre reprimere le devastazioni, gli incendi, gli attentati alle persone fisiche; e fece un certo elenco. Ebbene, quell’elenco è incompleto; non solo tutti i fatti criminosi a cui egli si riferiva sono configurati nel nostro Codice penale, ma molti altri che egli non ricordò. Datemene atto, onorevoli colleghi dell’Assemblea. Attentato alla Costituzione dello Stato (articolo 283 del Codice penale): quando un gruppo di cittadini, che possono essere costituiti in partiti, in associazione, commettano un attentato alla sicurezza dello Stato, ognuno di essi può essere punito con l’ergastolo, senza ricorrere alle leggi speciali. Articolo 284, insurrezione armata: se poi codesti elementi, che possono essere quelli a cui voi vi riferite con questa legge e possono essere altri, pensano di insorgere con le armi alla mano, sapete qual è la pena che si può applicare a costoro? È la pena di morte. Credo che più in là non si possa andare.

Articolo 285: devastazioni, staccheggi, stragi. Anche questi reati sono puniti con la pena di morte.

Poi vi è finalmente la grande famiglia di reati che più interessa noi, la democrazia, la Repubblica, cioè i delitti contro i diritti politici dei cittadini. È proprio il nostro tema. Dice l’articolo 294 che chiunque, con violenze o minaccia, o anche con inganno, impedisce l’esercizio di un diritto politico è punito con la reclusione fino a 5 anni. Inasprite questa sanzione, se a voi piace. A noi farebbe certamente molto piacere, perché sappiamo che non si applicherà mai a noi. Colleghi dell’altra sponda, se un giorno la legge comune esistente dovesse essere applicata imparzialmente ma severamente, nessuno potrebbe risparmiare a molti di coloro che adesso premono per l’approvazione della legge speciale, quel carcere, nel quale essi vorrebbero rinchiudere pretesi neo-fascisti e monarchici legittimisti. E certamente ci andrebbero i colpevoli e gli ispiratori delle odierne devastazioni, delle aggressioni, dei linciaggi, della distruzione delle tipografie di Taranto e della tipografia in cui si stampava, a Milano, il Mattino d’Italia.

Dall’articolo 303 del Codice penale è perfino repressa una forma di attività criminosa, che forse qualcuno di voi credeva che fosse sfuggita al legislatore ordinario: l’apologia di reato.

Articolo 304: cospirazione politica. Per la cospirazione politica mediante accordo vi è la reclusione da uno a sei anni. Ma se poi i colpevoli si sono uniti in una vera e propria associazione (e voi sapete bene che i partiti politici non sono che associazioni), la pena è più severa e va da cinque a dodici anni; e se pensano di costituirsi in bande armate, l’articolo 306 stabilisce una pena che va fino ai 15 anni.

Vi sono poi i reati contro l’incolumità pubblica. L’articolo 423 prevede il reato d’incendio, che viene punito con la reclusione da due a sette anni.

Poi vi è la grande famiglia dei delitti contro le persone: la lesione, la lesione aggravata, l’omicidio, l’omicidio premeditato.

Dunque, amici, io devo pensare che a coloro che hanno presentato questo disegno di legge, a coloro cui sarebbe cara l’approvazione di questo disegno di legge, non giova che sia repressa ogni forma di attività politica criminosa, ma che sia incriminata codesta attività soltanto se i rei appartengano a partiti avversi al loro. E noi non possiamo condividere tale stranissima opinione, tale assurdo principio. Onorevoli colleghi, non ci sarebbe bisogno di leggi repressive, né ordinarie né eccezionali, se tutti si affidassero per la diffusione delle loro idee alla onesta propaganda, come noi abbiamo sempre fatto, noi che siamo considerati uomini di destra, reazionari, nonostante che non si sia avverato un solo caso di distruzioni di sedi di partiti avversi commesse da iscritti al nostro partito o al partito monarchico…

BUBBIO. …e della Democrazia cristiana.

RUSSO PEREZ. Adesso sì: anche qualche vostra sede è stata distrutta. Adesso anche+ voi siete chiamati fascisti. Noi abbiamo avute devastate tante sedi, ma non c’è nessuno dell’altra sponda che possa affermare che da parte nostra ci sia stato un solo tentativo di distruzione!

Una voce all’estrema sinistra. E le bombe che sono state messe a Perugia?

RUSSO PEREZ. Le bombe; torniamo a quel tema, sul quale l’onorevole Scelba fece delle dichiarazioni che non vi piacquero.

Come spiegate voi che le bombe esplodano sempre al secondo piano e sempre in un momento in cui non c’è nessuno? Sono veramente bombe addomesticate. E se c’è gente tanto ardita, tanto coraggiosa, tanto fanatica che pensa di venire a mettere le bombe nelle sedi del Partito comunista, come mai questa gente non ha il coraggio di scendere in piazza ad affrontarvi avviso aperto e ad attaccarvi anche nelle vostre sedi?

MINIO. Lo fareste più in là, se lasciassimo correre. Quando assassinate i nostri colleghi sindacali uno ad uno, forse non scendete in piazza? Noi aspetteremmo con le armi imbracciate.

RUSSO PEREZ. Voi mi aspettate in quella posizione; ma in quella posizione io mi metto soltanto quando vado al tiro al piccione; e adesso mi fanno pena anche i piccioni.

MINIO. I dirigenti sindacali chi li ammazza?

RUSSO PEREZ. Io ho finito; mi riservo di parlare sugli emendamenti che ho proposti, nel caso che il disegno di legge venga approvato.

Per concludere, voglio dire, che voi combattete contro quello che io una volta chiamai il fantoccio di Pierino, contro il fantasma del neo-fascismo. Ma, in confronto al fantasma del neo-fascismo, vi è una realtà fascista, quella che insanguina oggi le piazze d’Italia e che turba ed impedisce la ricostruzione dell’Italia. L’Italia attualmente è come quel tale ammalato cui il medico prescrive ghiaccio ed immobilità. Voi date a quell’ammalato scossoni continui e se il medico e l’infermiere intervengono a protestare, voi dite che essi sono fascisti. Questa è la verità.

Quindi, legge repressiva dell’attività totalitaria per tutti o per nessuno.

Voi parlate sempre di reazione; la reazione implica un’azione. Vi dissi una volta: siate più cauti nella vostra azione, attenetevi della legge, fate la vostra propaganda dei limiti della legge; e naturalmente non sorgerà la reazione. (Interruzioni all’estrema sinistra).

I fascisti più numerosi sapete chi sono? Quelli che non lo furono mai e lo sono diventati oggi per reazione a questa forma pericolosa di fascismo, che è il vostro antifascismo professionale. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Condorelli. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, l’articolo 17 del documento firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 fa obbligo all’Italia di impedire la ricostituzione del partito fascista e di movimenti simili, che definisce nei tratti fondamentali.

Noi abbiamo l’obbligo internazionale, quale che sia stata la nostra posizione di fronte al cosiddetto Trattato di pace, di dare esecuzione a questo articolo 17. Ed all’obbligo internazionale si aggiunge l’obbligo, che abbiamo verso noi stessi, di difendere contro questi movimenti, attuali o possibili, la democrazia, che noi fermamente vogliamo.

Il Governo ha presentato un progetto con il quale si punisce la ricostituzione del partito fascista. La Commissione, secondo me molto più opportunamente, visto che nessun partito commetterà l’errore, pur essendo fascista, di chiamarsi tale, si è accinta ad un’opera attenta e lodevole, per definire che cosa sia il fascismo, e servendosi sostanzialmente dello stesso articolo 17 del Trattato di Pace, ha segnato così i caratteri fondamentali del fascismo: carattere militare o paramilitare dell’organizzazione; mezzi: la esaltazione o l’uso della violenza, fisica o morale, cioè o della violenza coercitiva o delle minacce; infine le finalità: soppressione od attentato alle libertà democratiche. Così facendo il nostro legislatore delinea un’entità delittuosa, che non è tale per arbitrio del legislatore, ma che è tale per esigenza logica di concetto in ogni regime democratico, che deve bandire necessariamente la violenza antilegalitaria, la violenza diretta ad invalidare la volontà popolare consacrata nelle leggi.

Ma, direi di più, è un’esigenza di ogni ordinamento giuridico che non può non condannare la violenza, perché essa è proprio l’opposto del diritto. Ogni ordinamento giuridico, sia esso fascista o antifascista, democratico od assolutista, non può non reprimere la violenza contro le leggi. Infatti, come vi ha dimostrato testé l’onorevole Russo Perez, nel Codice penale fascista, trovate tutte le norme necessarie per reprimere, anche ad abundantiam, anche esagerando, tutti gli attacchi contro l’ordine costituito. Dunque non è una forma di reato nuovo, ma è qualche cosa che esiste già in tutti i codici e scaturisce dall’esigenza, non solo di una costituzione democratica, ma di un qualsiasi ordinamento giuridico.

Su un altro punto voglio richiamare la vostra attenzione, onorevoli colleghi, cioè che, posta la legge in esame, i medesimi fatti, le medesime estrinsecazioni di attività criminosa sono punite in modo diverso a seconda dell’ideologia che li muove, in modo che, se un atto è compiuto da chi è fascista, è punito in un modo; se lo stesso atto è compiuto da chi è monarchico od ha finalità monarchiche, è punito meno gravemente; infine se quell’atto stesso fosse compiuto da chi si prefigga altre finalità politiche è punito ancor più lievemente. Dunque è l’ideologia determinante che si colpisce, non l’atto per sé stesso. Ora, tutto ciò è contrario ad ogni principio del diritto penale, ad ogni principio di giustizia, anzi, vi dico: è contrario ad una norma costituzionale che abbiamo testé creato, l’articolo 3 della nostra Costituzione, nel quale è detto che la legge è uguale per tutti, quali che siano le idee politiche che si professano. Si parla del sesso, della razza, della lingua, delle opinioni religiose ed anche delle opinioni politiche: nessuna differenza, in ordine all’osservanza delle leggi, può derivare da opinioni politiche. Qui noi abbiamo, a distanza di quattro mesi dall’approvazione di questa legge fondamentale che abbiamo promesso debba regolare la nostra vita nazionale, una flagrante rivolta contro quello che noi stessi abbiamo fatto. Il che, veramente, mi fa poco sperare per il permanere della libertà in Italia, se noi stessi, che abbiamo votato quell’articolo fondamentale della nostra vita costituzionale, immediatamente insorgiamo contro di esso nel modo più flagrante. Ora io credo che non vi possa essere persona sensata che possa resistere di fronte all’evidenza di questo argomento.

Ma, andiamo più a fondo nelle cose. Quale potrebbe essere la ragione di un diverso trattamento degli stessi fatti tendenti alle stesse finalità? La finalità, badate, è segnata nell’articolo di legge ed è quella di sottrarre al popolo le sue libertà democratiche. Sono perciò atti identici, tendenti ad un determinato scopo: soppressione delle libertà democratiche. Questi atti identici tendenti alle stesse finalità sono puniti in modo diverso, a seconda dell’opinione politica di chi li compie. Ma, quale potrebbe essere, io chiedo, la ragione di questa differenza? La supposizione che un attentato di questo genere alle libertà democratiche possa venire soltanto da alcune parti mentre dalle altre non è possibile che venga? Ora, non c’è nessuno che possa sostenere ciò, perché tutti quanti sappiamo che l’assolutismo, che è il contrario della democrazia, può essere di qualsiasi parte, può essere di un monarchico quanto di un repubblicano, perché come vi sono monarchie assolute, non mancano repubbliche assolute, dato che il concetto dell’assolutismo è uno solo: riunire nelle stesse mani di un individuo singolo o di un corpo, che può essere anche tutto quanto il popolo, insieme la potestà legislativa e la potestà esecutiva, di modo che chi deve applicare la legge è quello stesso che se la fa. Allora, quando avviene questo cumulo nelle stesse mani, nello stesso titolare, sia individuo sia corpo sociale, noi abbiamo l’assolutismo. Di tal che l’assolutismo può essere nelle monarchie come nelle repubbliche. E, difatti, noi assistiamo in questo secolo, come testé diceva il collega Benedettini, al fiorire di repubbliche assolutiste. Non vi sono oggi, per quanto io sappia, delle monarchie assolute; ci sono state in altri secoli, ma ciò conferma ciò che io vi dicevo e cioè che l’assolutismo, opposto della democrazia e della libertà, non è proprio dei monarchici o dei fascisti, ma può essere anche dei repubblicani. La dottrina della violenza fu teorizzata proprio da quella parte (indica la sinistra), da Sorel, ed il fascismo la prese in prestito. Ma come il fascismo, sono i legittimi discendenti spirituali di colui che la proclamò, che largamente la attuano dovunque o tentano dovunque di attuarla.

Dunque, non vi è nessuna ragione per fare un trattamento diverso agli autori di quegli atti, a seconda delle opinioni politiche che professano. Noi dobbiamo guardare nella entità sua l’attentato contro le libertà democratiche e punirlo egualmente da chiunque esso si compia. Ciò che ho dimostrato in rapporto all’articolo 1 della legge proposta, si manifesta ancora più chiaro in rapporto ad altre ipotesi delittuose previste nel disegno di legge. Si puniscono gli atti diretti od ostacolare od impedire l’esercizio dei diritti civili e politici ed in modo particolare se questi atti sono commessi da fascisti o da monarchici. Perché? Quale è la ragione? La ragione non è che una sola: l’idea politica che determina questi atti.

Financo per la costituzione di bande armate si prevede una diversa pena, solo in quanto le bande armate siano costituite a finalità fasciste o monarchiche, come se l’attentato alla libertà non ci fosse egualmente se le bande armate fossero costituite da comunisti o da repubblicani. Non si regge in nessun modo questa legge. Una sola esigenza la Costituente può e deve prendere in esame: – cioè l’opportunità di inasprire le pene contro queste forme delittuose, che potrebbero sorgere dalla situazione in cui viviamo o forse da quello che non infondatamente si dice essere un vizio atavico di alcune regioni di Italia: la rissosità e la faziosità.

Il pullulare di queste forme delittuose, che certamente non è oggi addebitabile agli orientamenti considerati dal disegno di legge, va naturalmente combattuto. Si possono anche creare, se occorre, delle nuove ipotesi delittuose. Ma le leggi devono essere uguali per tutti. Debbono essere leggi che rispecchino questo principio fondamentale di ogni diritto e del nostro diritto costituzionale in ispecie, perché tutti i cittadini, qualunque sia la loro opinione politica, sono eguali dinanzi alla legge e, prima fra tutte, innanzi alla legge penale.

Per questo io ho presentato un ordine del giorno con il quale chiedo che il progetto sia restituito alla Sottocommissione, perché lo rielabori, alla stregua di queste direttive: di prevedere, se occorre, degli inasprimenti di pena contro le forme violente di faziosità, ma degli inasprimenti che debbano valere contro tutti egualmente e che debbano colpire la delinquenza politica da qualunque lato essa provenga, qualunque sia la ideologia che la determina e che mai può giustificarla. Queste sono le richieste che io faccio alla Costituente e che per l’onore d’Italia mi attendo che la Costituente accetti. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Scalfaro. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, parlo a titolo personale dopo avere cercato di leggere molto attentamente il progetto così come è presentato dal Governo e così come è elaborato, attraverso uno sforzo degno di molta considerazione e di molte lodi, dalla Commissione e dopo avere soprattutto letto la relazione dell’onorevole Bettiol, che rappresenta un maggiore sforzo per tener ferma una situazione di equilibrio, che mi pare assolutamente indispensabile.

Onorevoli colleghi, è vero che l’animo del più umile dei giuristi, o meglio degli uomini che comunque hanno avuto a che fare con le leggi e con i Codici, può sentirsi ribellare, quando si ritrovi nelle mani una legge speciale; ma è altrettanto vero che è facile cadere nell’una o nell’altra delle esagerazioni: è facile, da una parte, chiedere una repressione attraverso una legge che varca quelli che sono i limiti della libertà, ed è altrettanto facile rendersi paladini di una libertà che talvolta, forse, varca i confini del giusto. È facile prendere questa legge in mano e dire che si è violata la libertà di una schiera di cittadini in questa Patria.

Signori, mi si consenta una dichiarazione personale, ma che credo possa essere accettata da altri colleghi; se, di fronte alle violenze che in questo momento si vanno manifestando, l’animo del cittadino si ribella, quando questi tentativi sorgono da uomini che li hanno già una volta realizzati, il nostro animo ha diritto di ribellarsi due volte.

Ed io credo che, di fronte a questa situazione, si possa dire che lo sforzo della Commissione sia stato particolarmente saggio, quando all’articolo uno ha sostituito al testo proposto dal Governo una dizione con la quale si è cercato di dire quali devono essere, quali possono essere gli elementi che fanno dichiarare fascista, nella sostanza, un partito, prima che nella forma. Perché è certo ed evidente che non è facile, dopo la situazione politica che il popolo italiano ha vissuto, non è facile veder risorgere un partito che si presenti con lo stesso cartellino, con lo stesso biglietto da visita; ma è facile si presentino dei movimenti, che ne hanno la sostanza. E quindi dicendosi: «Chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista sotto qualunque forma» si entra già nella sostanza. Non importa quale sia la denominazione, la forma di questo partito; occorre che esso si distingua «per l’organizzazione militare o paramilitare e per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta e persegua finalità o metodi propri del disciolto partito fascista, rappresentando un attentato alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».

Ché, se ad un certo momento questo articolo, nominando il disciolto partito fascista, può dar l’impressione che, partendo da una definizione iniziale, ritorni ancora alle origini, con una evidente petizione di principî senza sostanza, dirò che questo partito fascista è chiaramente identificato in quella finalità, in quel tendere, in quell’attentare alle libertà democratiche garantite dalla Costituzione.

D’altra parte, mentre il Governo per quanto attiene alla pena aveva presentato l’articolo 1 nella forma: «è punito con la reclusione da dieci a venti anni», la Commissione ha fatto molto bene a sostituire le seguenti parole: «Chiunque vi aderisce è punito con la reclusione sino a tre anni».

Perché, a me, personalmente, non fanno mai paura le pene che arrivano, nel massimo, anche a forme molto rigide; ma fanno molta paura quelle che fissano in modo drastico i minimi. Abbiamo avuto una legge sul collaborazionismo, la quale sarà stata bene o male applicata (non è questa la sede per discuterne), ma comunque presentava il gravissimo difetto di essere basata sull’implicito presupposto che fosse possibile, che fosse esatto inquadrare tutte le forme verificatesi di collaborazionismo nei due aspetti del collaborazionismo militare e del collaborazionismo politico.

Ma soprattutto, quello che era più grave, quello che ha assunto un aspetto veramente tragico e illogico insieme, era il minimo di reclusione fissato in anni dieci ai sensi dell’articolo 58 del Codice penale militare di guerra. Onorevoli colleghi, io mi baso sulla mia modesta esperienza personale; mi baso, in modo particolare, su quello che ho visto più volte accadere presso le Corti di assise speciali. Sovente si scendeva molto al di sotto di questo minimo, ma non sempre ciò accadeva perché vi fossero gli estremi per l’applicazione di tutte le previste attenuanti; molte volte anzi esse non si potevano, almeno in parte, ravvisare o per ragioni giuridiche erano inapplicabili; ma c’erano gli stessi giudici popolari i quali si trovavano a dover dirimere un grave conflitto di coscienza, in quanto sentivano l’esigenza di infliggere una pena che fosse consona alla infrazione dei diritti, a quello che concretamente aveva potuto essere l’attentato, la violazione delle altrui libertà.

Onorevoli colleghi! Ciò è veramente grave, molto grave. (Approvazioni). Noi non dobbiamo creare delle vittime; noi non dobbiamo soprattutto creare dei movimenti, i quali appoggino le vittime, che le vittime rendano eroi. Signori! Le vittime sono persone che recano il loro fardello di sofferenza e di dolore, sempre che gli intenti che le hanno condotte alla lotta siano stati puri. L’eroe è colui il quale ha saputo innalzare le proprie virtù ad un grado eccelso: ma non è lecito creare vittime con una legge ingiusta o per la falsa applicazione di legge.

Non si deve già attendere di ravvisare le forme gravissime degli attentati ad una libertà o ai principî democratici per applicare queste pene di 20 e di 30 anni. Se si vogliono veramente difendere gli istituti democratici, a noi corre l’obbligo di reagire immediatamente anche alle piccole forme di violazione di questi istituti. È pertanto sotto questo riguardo che io vi invito a considerare la gravità che assume questo problema della determinazione dei minimi di pena.

Passiamo all’articolo 2. Esso reca: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione da tre a dieci anni».

Onorevoli colleghi, io non sono favorevole a questo articolo.

Vi invito a considerare che l’articolo 254 del Codice penale ci ripete quella medesima ipotesi. Non ne vedo la ragione quindi, dato che, come a me pare, i presentatori di questo disegno – Governo e Commissione – si sono solo proposti di risolvere un quesito: quello inerente alla pena, prevedendo, per questa ipotesi, la reclusione fino a dieci anni; e proprio per questo che io non vedo la necessità di distinguere, rimanendo questa un’ipotesi, un concretarsi dell’ipotesi prevista dall’articolo 294; e mi permetterò di chiederne quindi la soppressione.

Né, d’altra parte, mi pare si sia posta comunque, una limitazione a quelle che sono le libertà di propaganda, libertà di costituirsi in partito di coloro che hanno un pensiero monarchico. La limitazione si è posta quando si è visto, quando si può intravvedere che questo pensiero cerchi una strada di violenza per il ritorno della monarchia.

Quindi ciò che preoccupa il legislatore è la violenza, il mezzo di violenza. E non è possibile di fronte a questo che io non cerchi – può darsi che ne lo interpreti male – di mettermi nello stato d’animo di coloro che credono di essere calpestati nei loro diritti… perché effettivamente si deve essere contro ogni forma di violenza. Questa è una delle forme di violenza che però, non si può negare, desta una particolare preoccupazione nel legislatore di oggi, per una situazione storica e politica in cui questo popolo è vissuto, situazione della quale si preoccupa che possa determinarsi un ritorno che avrebbe carattere di recidività. E il Codice, sempre, di fronte ai recidivi ha una punizione maggiore; e i principî del diritto ci hanno sempre insegnato che, quando una prima reazione ad una situazione giuridica illecita non ha sortito l’effetto desiderato, è necessario che su una perfetta linea di assoluta legalità, si trovi un sistema per impedire comunque, che dopo dei primi passi nel campo dell’illiceità, se ne possano compiere altri peggiori. E allora è giusto, saggio, indispensabile che il legislatore se ne preoccupi.

Inoltre, nell’articolo 4 si diceva: «nella ipotesi di concorso nel delitto preveduto nell’articolo 3 con alcuno dei delitti preveduti negli articoli 1 e 2, quando si tratta di fatti che per la loro gravità sono tali da potere provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con le pene comminate dall’articolo 2 del decreto legislativo 27 luglio 1944, n. 159». Se non erro, si parla della pena capitale. Pena capitale, contro la quale ogni settore di questa Assemblea, in nome di un principio di civiltà e di umanità che ci accomuna, si è ribellato in sede di Costituzione. Pena, quindi, che non può tornare, come è evidente non potrà tornare, se l’Assemblea vorrà accettare l’emendamento a modifica portato dalla Commissione, dove si parla della pena dell’ergastolo.

È inutile aggiungere altro a queste frasi, perché io penso che quella decisione, che fu proprio presa in sede di Costituzione, non possa essere comunque, anche negli animi che per aver sofferto nel passato sentono una particolare reazione di fronte ai movimenti chiamati neo-fascisti, revocata: cioè che si giunga nuovamente ad approvare, a sanzionare la pena di morte in una legge che esce dal supremo consesso legislativo del popolo italiano. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, ognuno di loro ha delle esperienze più o meno tragiche in materia, per aver visto o aver sentito raccontare. I magistrati si sono trovati di fronte a queste situazioni per loro dovere e hanno visto gli uomini cadere sotto la fucileria a seguito di una tremenda sentenza; forse uomini che hanno meritato anche di peggio (se fosse possibile così esprimersi); ma quando si vedono uomini che cadono per una condanna a morte, immediatamente si sente l’eco della sofferenza dei figli, di coloro che gli sono d’attorno, che hanno «diritto» – si comprenda questa espressione – di protestare sempre, quando qualche persona cara viene strappata loro in questo modo; e ne hanno diritto in nome di una reazione familiare, spontanea, istintiva, contro la quale non si può certo reagire, che pone le prime basi di quella situazione di eroismo e di vittime, della quale ho parlato in precedenza.

Noi, già in questa situazione storica, portiamo il peso di qualche situazione di questo genere, in una località od in un’altra; sentiamo quanto abbia pesato di più una condanna a morte, una esecuzione, più di quanto non avrebbero pesato uno, dieci, venti anni di carcere.

D’altra parte, per coloro che hanno tragica esperienza del carcere, per averlo sofferto, e per coloro che ogni giorno di accostano a queste sofferenze, si sa quale peso grave, quale tragedia sia la vita del carcere, specie quando si pensi che questo carcere si chiama ergastolo.

Se io – che pur nella mia vita di magistrato sono stato accusato di avere la manica più larga della mia toga, e non me ne pento – se io, dicevo, dovessi esprimere il mio pensiero, direi che il popolo italiano, trascinato da questa sua prevalenza di passionalità e di sentimenti, è portato oggi a uccidere e domani a glorificare; bisogna portarlo sulla strada dell’equilibrio che sola si identifica con quella della giustizia.

E d’altra parte, se un altro torto abbiamo (e non mi riferisco né all’ultima né ad altre amnistie) si è che il popolo italiano nutre d’un tratto un desiderio di perdono, portato a volte nel subcosciente; ad un certo punto, un legislatore o un Governo o un capo di Stato, che al provvedimento dànno vita in nome di quel desiderio, con un perdono universale sistemano una infinità di situazioni che non sono giuridicamente sistemabili, e poi… se ne pentono. Siamo più equilibrati, siamo più giusti nel segnare le vie della giustizia, e non camminiamo buttandoci da un lato all’altro della strada, cercando a volte una giustizia che sa di rappresaglia, a volte un perdono indiscriminato! Perdono indiscriminato che, se può sempre essere grande quando viene dall’individuo che solo è stato offeso, non può esserlo se viene da un gruppo di individui che vogliono perdonare in nome dell’offeso o della società che l’offesa ha dovuto sopportare. Più equilibrio nel fare le leggi… e meno amnistie!

E allora, prima di concludere, un’ultima proposta.

Articolo 8: «Per i delitti preveduti negli articoli precedenti si procede con l’istruzione sommaria e, quando è possibile, con giudizio direttissimo».

Onorevoli colleghi, risparmiate ancora una volta l’ingiustizia dell’obbligatorietà di istruzioni sommarie e di giudizi per direttissima!

È vero, c’è un desiderio, c’è un anelito che è l’anelito della parte sana del popolo italiano e che è anelito di legalità, di reazione alla violenza e che si sente per esempio in queste giornate, quando, nelle interrogazioni che si rivolgono al Governo e che riguardano violenze di sinistra, o tentativi di neofascismo, si conclude sempre con questa domanda: se sono stati arrestati, se sono stati puniti i responsabili.

È vero quindi che vi è un desiderio legittimo che la giustizia si attui nel tempo più rapido possibile. È dunque doveroso che questo desiderio trovi attuazione, attraverso la strada giusta che conduce alla giustizia; ma è altrettanto vero che si può essere sodisfatti quando il colpevole venga arrestato e che non si può pretendere che, perché vi sia subito una condanna che sodisfi l’opinione pubblica (che può essere più o meno giusta o errata), vi sia subito un giudizio. Ed è altrettanto vero (e gli onorevoli colleghi che sono avvocati lo sanno) che non c’è nulla di meglio di una istruttoria sommaria e di un giudizio direttissimo per legittimare sempre i rinvii e per ottenere che il magistrato non vi si possa opporre; per cui questa istruttoria sommaria e questo giudizio direttissimo si riducono esclusivamente ad una affermazione scritta, ma raramente attuata.

E perciò, diciamo di non aver fretta. Diciamo piuttosto, che si potrà cercare, attraverso tutti i mezzi di cui questa Assemblea potrà servirsi in regime democratico, di sollecitare, di spingere, di muovere perché una istruttoria abbia il tempo, tutto il tempo. Facciamo sì che il magistrato abbia tutto il tempo che gli può servire perché tutti gli atti si compiano, perché si veda fino in fondo quale è la verità delle cose, poiché io penso che questa legge, come qualsiasi altra, si deve porre un problema che è un problema di ricerca di verità e quindi un problema di giustizia, la quale giustizia non può mai conquistarsi attraverso una coartazione, attraverso una fretta non motivata, attraverso una istruttoria che risalga sempre necessariamente al dibattimento. E loro sanno che cosa siano le istruttorie dibattimentali; sanno che cosa significhi una documentazione di attività partigiana presentata in udienza o che cosa vogliano dire tanti interrogativi che si pongono all’ultimo momento i quali sono, quanto meno, atti a legittimare un rinvio che non sarebbe mai onestamente giustificato. Ed allora, in nome della sincerità e della onestà, diciamo che si useranno per queste ipotesi di reato quelle forme di procedura che esistono per tutti gli altri reati di cui al Codice penale.

Non ho altro da aggiungere. Vorrei però sottolineare un riflesso politico della questione in esame: vorrei richiamare l’attenzione (anche se non ho l’autorità e non posso averla) degli onorevoli colleghi di una parte e dell’altra: di chi protesta dicendo che questa legge è troppo tenue e farebbe fra l’altro un giuoco impolitico sopravvalutando quelli che possono essere i movimenti neofascisti e facendo di tutto perché vengano potenziati dall’esterno, aiutandoli, in ogni modo, perché si rinforzino e, dall’eccessivo attacco, prendano maggior forza, maggior importanza.

Vorrei dire a quei colleghi della destra – che pure dotati di grande saggezza, hanno elevato eccessiva protesta – vorrei dire che sé in apparenza, nella forma, la loro protesta può parere legittimata, è giusto e saggio che noi ci fermiamo alla sostanza.

Si può dire: ma potrebbe bastare il Codice penale. Si può e si deve rispondere ancora una volta che vi è una situazione storico-politica alla quale non ci si può sottrarre e che deve essere tenuta presente.

Se c’è una materia che non può non conoscere la situazione storica in cui si vive, questa materia è quella del Codice penale, che è la materia più carica delle sofferenze della umanità, che sintetizza tutte le passioni, tutte le tribolazioni dell’uomo e degli uomini. È giusto quindi a un certo momento che noi teniamo anche chiaramente dinanzi questa situazione storico-politica; ché se si dovesse pensare a una difesa ad oltranza di certi principî e si credesse, stracciando questa legge, che questi principî siano salvi, si potrebbe allora – è questo non ha niente a che fare col diritto, ma ha a che fare con la politica – trovarci di fronte ad altra più grave reazione, cioè il voler difendere ciò che non è difendibile, potrebbe determinare la soppressione di quei valori che non sono mai sopprimibili.

Io ancora credo – e non penso che il mio credo si poggi su una falsa argomentazione, su un falso ragionamento – io credo, profondamente credo, ancora che questa legge, così come è stata presentata dalla saggezza della Commissione – mi si lasci dire – dalla saggezza dell’onorevole Bettiol, risponda insieme a questo anelito di giustizia e di libertà.

Io spero allora che ciascuno di noi voglia fermarsi ad una valutazione il più possibile serena ed il più possibile oggettiva, non ponendosi a difendere la libertà quando in sostanza non sia più libertà, non ponendosi a schiacciare nell’individuo che ieri ha sbagliato la libertà del cittadino di oggi. Vorrei cioè che il voto favorevole alla legge così come è stata presentata dalla Commissione ed eventualmente anche più saggiamente migliorata, concilii insieme questi due aneliti e sia una nuova affermazione che questa Assemblea ha degli uomini che comunque «osano» ancora oggi, anche di fronte a una vita quotidiana di turbamenti, di pericoli, di attacchi, porre un’altra pietra perché si continui a credere nella libertà e nella giustizia. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, non deve recare sorpresa che si proponga alla nostra approvazione una legge straordinaria per la difesa della Repubblica. Ogni rivoluzione, sia pure avvenuta legalmente, diviene conservatrice delle posizioni raggiunte. Nella frattura fra un mondo che cade ed un mondo che sorge, questo ritiene necessario ed urgente consolidarsi sulle rovine dell’altro. Alfonso Karr ha scritto che i rossi sono i bianchi in cammino, ed i bianchi sono i rossi arrivati. Nessuna meraviglia, adunque, che il regime repubblicano cerchi, a modo suo, di difendere la Repubblica. Pertanto, io intendo soltanto esaminare le disposizioni della legge, in rapporto agli emendamenti da me presentati, sembrandomi che esse, sia nel progetto ministeriale, sia nel progetto della Commissione, non rispondano alla finalità che la legge vorrebbe raggiungere, e, soprattutto, alle esigenze della repressione.

Rilevo, innanzitutto, che l’articolo 1, contemplando l’ipotesi della ricostituzione del disciolto partito fascista, esige due estremi i quali, a mio avviso, potranno difficilmente realizzarsi, per modo che la norma, così com’è, nel testo del progetto ministeriale e nel testo della Commissione, nella maggior parte dei casi, non potrà essere applicata.

L’articolo 1 esige, difatti, il concorso di una organizzazione militare o paramilitare del partito e la esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta per raggiungere finalità o metodi, propri del disciolto partito fascista.

Organizzazione militare o paramilitare. Quale significato ha questa espressione? E come si potrà, nell’organizzazione di un partito, identificare un’associazione, militarmente disciplinata, che obbedisca alle esigenze di una compagine simile ad una caserma, ed attinga le norme della propria condotta in quelle proprie della condotta del soldato?

Seconda osservazione: questa organizzazione militare o paramilitare deve concorrere o con l’esaltazione della violenza, come mezzo di lotta, o con l’uso della violenza stessa, per raggiungere le finalità proprie del partito fascista.

Non vi pare che siamo nel vago, nell’indeterminato, sicché la norma lascia evidentemente un largo margine di arbitrio all’interpretazione del giudice? E, d’altra parte, come si può affermare che tutte le finalità del partito fascista siano attentati alle libertà democratiche, e come sarà possibile identificare queste finalità proprie del regime fascista, nel caso di associazioni o partiti che cercheranno evidentemente di dissimulare le proprie tendenze e il proprio programma?

Io penso, adunque, che la norma penale debba configurare una fattispecie concreta, sui cui estremi oggettivi non possano sorgere contestazioni, in modo che il giudice non sia arbitro della propria interpretazione. Egli deve essere, invece, vincolato alla disposizione della legge ed allo spirito di essa.

Ritengo, inoltre, che la norma non debba essere circoscritta al partito fascista, nella sua particolare espressione storica di una dittatura, ma a qualunque forma di dispotismo o di dittatura, che sia finalità di associazioni o di partiti.

Ritengo, pertanto, che l’emendamento da noi presentato risponda a tale esigenza, tenendo anche conto, in rapporto alla ipotesi delittuosa configurata, degli articoli 47 e 50 del progetto di Costituzione. L’emendamento che riassume e contiene anche l’articolo 1-bis; che contempla, cioè, l’attività fascista e la attività intesa, con mezzi violenti, alla restaurazione dell’istituto monarchico suona così: «Chiunque promuova la ricostituzione del disciolto partito fascista ovvero associazioni o partiti col fine di mutare la Costituzione della Repubblica o la forma del Governo costituzionale parlamentare o di sopprimere o menomare le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, con mezzi violenti o, comunque, non consentiti dall’ordinamento costituzionale, è punito, ecc.». «Chiunque vi partecipa è punito, ecc.».

Prima di occuparmi della prima parte dell’emendamento, richiamo la vostra attenzione sul capoverso. Sia nel progetto ministeriale, sia in quello della Commissione si contempla il caso di chi «aderisce» alle associazioni o partiti di cui alla prima parte dell’articolo 1.

Io ritengo impropria la espressione: «vi aderisce». L’adesione può essere soltanto adesione di pensiero, adesione ideale, o espressione d’un apprezzamento o d’un giudizio. Evidentemente, lo spirito della norma è ben altro. La norma è intesa a reprimere la partecipazione, epperò occorre configurare come ipotesi punibile il fatto di chi partecipa.

A mio avviso, l’emendamento ha gli estremi inconfondibili di una fattispecie concreta, che non si presterebbe ad alcuna interpretazione arbitraria.

Osservo, intanto, al collega Russo Perez che, se è vero che questa legge eccezionale, in buona sostanza, riproduce alcune disposizioni del Codice penale vigente, è vero, per altro, che l’articolo 283 di esso contempla l’attentato alla costituzione dello Stato fascista e alla forma del Governo fascista, ad istituti ed organi, cioè, che costituiscono la più evidente violazione delle libertà democratiche e che tale violazione s’intende ora reprimere.

Come ho rilevato, il mio emendamento vuole anche ricondursi agli articoli 47 e 50 del progetto di Costituzione.

L’articolo 47 stabilisce:

«Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Ora la norma penale vuole precisamente reprimere quelle organizzazioni che, in contrasto con l’articolo 47, sono intese a violare le libertà democratiche. È questa la prima parte dell’emendamento.

L’articolo 50 dice: «Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi». Di qui, la norma con cui si tende a reprimere quelle organizzazioni le quali si propongano di mutare la costituzione dello Stato o la forma di Governo costituzionale parlamentare.

Passando all’articolo 2, esso stabilisce: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando con atti di violenza o di minaccia l’esercizio dei diritti civili o politici dei cittadini, è punito, qualora, ecc.». È stato osservato da alcuni che questo articolo 2 non è che la riproduzione dell’articolo 294 del nostro Codice penale vigente. Osservo, innanzi tutto, che il rilievo non è esatto, perché l’articolo 294 contempla solo il fatto di chi «impedisce od ostacola l’esercizio di un diritto politico», non anche «l’esercizio dei diritti civili», come specificamente è detto nell’articolo 2.

Vi è poi un’altra osservazione da ricordare, quella contenuta nella relazione dell’onorevole Bettiol, che, cioè, il fatto preveduto nell’articolo 2 non è soltanto quello di chi impedisce l’esercizio dei diritti politici e civili, ma di chi lo impedisce in relazione con l’esercizio di attività fascista, o di attività diretta alla restaurazione violenta dell’istituto monarchico. Pertanto nella norma non si configura l’ostacolo o l’impedimento all’esercizio di diritti civili o politici in se stesso considerato, ma l’ostacolo o l’impedimento che si verificano come esplicazione di attività fascista o di attività violenta, diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. Anche qui, con l’emendamento da me presentato, io mi sono proposto di rendere più precisa la norma. Difatti nell’articolo 2 si dice: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo od ostacolando, ecc.». Alla stregua di tale disposizione, l’attività fascista e l’attività violenta, intesa alla restaurazione della monarchia si identificano col mezzo, vale a dire consistono soltanto nell’impedire ed ostacolare.

Non è possibile altra interpretazione. Epperò, io propongo di modificare la norma nel modo seguente: «Chiunque, svolgendo attività fascista o attività determinata dal fine di restaurare l’istituto monarchico, ecc.». Quindi, là dove si dice: «Chiunque svolge attività fascista o attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico, impedendo o ostacolando, ecc.», io proporrei di dire: «Chiunque svolgendo attività fascista, ecc. impedisce od ostacola, ecc.».

Seconda osservazione. Qui a mio avviso, occorre configurare il tentativo come reato per sé stante, allo stesso modo in cui si configura l’attentato contro la Costituzione dello Stato o contro la forma di Governo. Vero è che, in queste ultime ipotesi, non si può tener conto dell’evento, essendo evidente che, ove l’evento si verificasse, nessuna repressione sarebbe possibile per il prevalere delle correnti che concorsero a mutare la Costituzione o la forma di Governo.

Dunque tipica figura di attentato, reato cioè di mero pericolo.

Ma anche per il reato preveduto nell’articolo 2, che non ha il carattere suddetto, perché si tratta di ostacolo o di impedimento all’esercizio dei diritti civili e politici, io penso che la norma debba essere sdoppiata in due ipotesi: la prima che prevede il tentativo, configurandolo come reato autonomo; la seconda che, prevedendo l’evento, commina un aumento di pena, giusta l’emendamento da me presentato.

Per altro, l’articolo 2 non prevede la ipotesi di chi, non impedendo od ostacolando, istiga, però, con violenza o con minaccia, taluno ad esercitare i propri diritti in senso difforme dalla sua volontà.

Mi sembrerebbe, adunque, opportuno contemplare questa ipotesi, giusta l’emendamento da me presentato.

Finalmente, configurandosi nell’emendamento il reato come attentato, configurandosi cioè il tentativo come reato autonomo, si stabilisce nell’emendamento stesso che «la pena è aumentata se si verifica l’evento, ecc.»; e che «la pena è aumentata se concorrono le circostanze aggravanti prevedute dall’articolo 339 del Codice penale».

Quanto all’articolo 4, io ne propongo la soppressione.

L’articolo 4 prevede l’ipotesi del concorso dei reati preveduti negli articoli 1 e 1-bis con quello preveduto nell’articolo 3, della formazione, cioè, di bande armate, organizzate per i fini indicati negli articoli 1 e 1-bis.

Nel caso di tale concorso, quando si tratta di fatti che, per la loro gravità, sono tali da poter provocare o alimentare la guerra civile, i promotori o i capi possono essere puniti con la reclusione non inferiore ad anni ventuno, e, nei casi più gravi, con la pena dell’ergastolo. Ora, la figura del promotore o del capo è già contemplata, tanto negli articoli 1 e 1-bis, quanto nell’articolo 3 in rapporto alla pena, epperò non può essere in funzione di aumento di pena nel caso di concorso dei reati suddetti. Vero è che si considera l’ipotesi di «fatti che, per la loro gravità, possono provocare la guerra civile»; ma, per verità, non si riesce a comprendere a quali fatti intende riferirsi la norma, se la formazione di bande armate in rapporto all’attività di cui agli articoli 1 e 1-bis ha insito in sé sempre il pericolo della guerra civile.

È da osservare, inoltre, che, dato il cumulo aritmetico delle pene, nel caso di concorso di reati, e, tenuto conto del massimo di pena, stabilito per i reati di cui all’articolo 3 e per quelli di cui agli articoli 1 e 1-bis, non v’è alcun bisogno di esasperare una sanzione che innegabilmente risponde alle esigenze di una rigorosa repressione. Potrebbe, anzi, aversi, dato il testo delle disposizioni sopra ricordate, l’applicazione d’una pena minore nel caso contemplato dall’articolo 4 in rapporto a quella che potrebbe applicarsi a norma degli articoli 1, 1-bis e 3 della legge.

Per tali ragioni propongo la soppressione dell’articolo 4.

Un’ultima osservazione devo fare sull’articolo 3. Qui si prevede il caso di chi promuove, dirige e sovvenziona una banda armata.

Il primo quesito, che può presentarsi al giudice, è questo: che cosa è una banda armata, o, per essere più precisi, quando si può dire costituita una banda armata in rapporto al numero delle persone che la compongono ?

Ora, non si può lasciare all’arbitrio dell’interprete la determinazione del numero necessario o sufficiente per costituire una banda armata.

Inoltre, quando ci si riferisce ad una banda armata, noi ricorriamo immediatamente al concetto di una organizzazione, perché, per esempio, una folla in tumulto, o un raggruppamento di persone armate, non potrebbero essere considerati, anche nello scoppio di passioni di parte, come una banda armata.

La banda suppone adunque un’organizzazione ed una disciplina, ond’è che occorrerebbe, a mio avviso, precisare questo concetto, e stabilire il numero delle persone occorrente a costituire la banda armata.

Così, per esempio, quando si configura l’associazione a delinquere, non si dice «associazione a delinquere», ma si precisano gli estremi per i quali si ha il delitto di associazione a delinquere: uno di tali estremi è precisamente costituito dal numero delle persone organizzate e vincolate insieme da un comune programma delittuoso.

Nel mio emendamento, pertanto, io propongo di stabilire che la banda armata, per considerarsi tale, deve essere composta di tre o più persone.

Debbo fare un’ultima osservazione. Qui si considerano le ipotesi del promuovere, del dirigere e del sovvenzionare: non si prevede il caso di chi costituisce la banda armata, ipotesi evidentemente diversa, perché chi costituisce la banda può essere persona diversa da quella del capo, o da colui che promuove o sovvenziona.

Occorrerebbe quindi, a mio avviso, dire: “chiunque promuove, forma, dirige o sovvenziona, ecc.».

Finalmente, con il mio emendamento, faccio un’altra proposta, quella di sostituire alle parole «al fine di svolgere alcuna delle attività prevedute negli articoli precedenti» le parole «per uno dei fini indicati negli articoli precedenti», perché i fini qualificano le attività, e ne individuano la direzione.

Io propongo, pertanto, che si dica: «chiunque, per i fini preveduti negli articoli precedenti, ecc.».

Manca, infine, una norma, la quale determini nel tempo la durata della legge, e questa norma mi sembra indispensabile in una legge eccezionale, che vuole rispondere ad esigenze eccezionali.

Sono queste le modeste osservazioni, delle quali confido che l’Assemblea vorrà tener conto. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Marchesi. Ne ha facoltà.

MARCHESI. Mi limiterò a brevissime considerazioni, onorevoli colleghi. Io ho potuto questa mattina ammirare la sensibilità politica che si è manifestata su quei banchi di destra, dove una volta sedevano così accesi fautori delle leggi eccezionali: segno dell’evoluzione dei tempi. Ed io non posso se non augurarmi che questo spirito così propizio alle pubbliche libertà continui ad alitare su quei banchi, anche se, un giorno o l’altro, venga in mente a qualcuno di invocare procedimenti eccezionali contro partiti che fascisti non siano. Siamo d’accordo: una legislazione ordinaria dovrebbe essere sufficiente ad un Governo democraticamente costituito, per difendere se stesso e per provvedere alla tutela dei diritti dei cittadini; ma qui si tratta di un partito fascista, del partito fascista, di quel partito che ha operato la vergogna e la rovina d’Italia dal 1919 al 1943; di un partito ben determinato, ben distinto, coi suoi programmi, con i suoi metodi, con le sue autorità, con le sue gerarchie, coi suoi misfatti continuati; di un partito, che, come amava dire il suo capo, con una parola cara a lui, ma che non dovrebbe essere cara a noi, di un partito, che è veramente inconfondibile, perché non si può confondere con nessun altro dei partiti consentiti dalla convivenza civile degli uomini.

Non ho altro da dire; soltanto vorrei assicurarvi, se la nostra parola può meritare credito presso di voi, che, se si trattasse di una legge limitatrice delle libertà di tutti i cittadini noi saremmo d’accordo con voi nel chiederne il rigetto. Ma con questo disegno di legge presentato dal Governo non si mantiene soltanto fede a quegli impegni internazionali che ho sentito rievocare oggi da uno dei colleghi di destra; non si offende nessun diritto dei cittadini; soltanto si difende la libertà di tutti contro la vergogna fascista. (Applausi a sinistra).

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, io avevo promesso all’onorevole Condorelli, parlando su un argomento analogo a quello sul quale si sta discutendo, che avrei fatta larga documentazione di tutte le leggi eccezionali della monarchia, di tutti i fattacci che possiamo rimproverare al cessato regime monarchico; dissi anche una frase che fece impressione all’amico Condorelli: che lo avrei affogato.

Ho preso la parola per dichiarare, che l’affogamento lo potrò fare in un’altra sede (Ilarità), perché non voglio affannare l’Assemblea.

Credo di dover aggiungere che l’onorevole Condorelli non deve ritenere che io non abbia il materiale per la mia offensiva, e che la mia sia una specie di ritirata. In altra occasione potrò eseguire il poetico disegno di vedere il nostro collega sotto una mole tremenda di documentazioni delle ribalderie della cessata monarchia.

Colgo poi l’occasione per dichiarare ancora una volta che non voterò a favore di questa legge. (Approvazioni a destra).

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ho chiesto di parlare per dichiarare a nome mio e dei miei amici, che non voterò per questo disegno di legge; prima di tutto perché è inutile, e poi perché trovo strano che, come giustificazione per la sua approvazione, si ricordi una specie di impegno che noi avremmo assunto verso i vincitori nel Trattato di pace. Questa ragione non esiste, perché, evidentemente, quando è stata, fatta questa disposizione, i vincitori credevano che in Italia vi fosse un fascismo sopravvivente alla sua caduta e che i fedeli della monarchia fossero pronti a sacrificarsi per essa. È accaduto invece il contrario. Come in tante cadute dei regimi assoluti, non vi furono che un piccolo e insignificante numero di persone che lottarono per il fascismo e per la sua salvazione. Al contrario in grandissimo numero i fascisti e anche i profittatori del fascismo passarono dall’altra parte. Non pochi si trasformarono in pericolosi antifascisti. Spettacolo non certo ammirevole.

Che il fascismo rinasca è inverosimile: ciò che è verosimile è che le condizioni difficili della vita, creando molti scontenti, creino malcontenti anche nell’ordine politico, che noi pretendiamo siano fascisti.

Il fascismo fu un uomo che agì in circostanze speciali e che non si possono ripetere; quell’uomo ebbe per sé aiuti e simpatie dei grandi paesi stranieri, perché sembrava rappresentare una nuova e utile forma di reazione. L’uomo non torna e le circostanze non si ripetono. Perché occuparci di cose inverosimili?

Vi può essere in Italia, come in ogni paese di Europa, qualche movimento di resistenza contro i socialisti e i comunisti; ma non ha nulla che fare con il fascismo.

In quanto al pericolo di un movimento di reazione monarchica, non bisogna confondere i sogni con la realtà.

Dopo le grandi guerre moderne, dove le monarchie sono cadute non sono risorte, e ciò soprattutto nel 1918, anche e soprattutto in paesi a dittatura.

Un movimento di restaurazione monarchica non esiste in Italia. Ma naturalmente i nostri errori fanno pensare a molti che gli errori della monarchia non erano esclusivi di un regime.

La monarchia è caduta. È inutile che i suoi sostenitori abbiano ancora illusione: io credo anzi che nel momento attuale non ne abbiano.

Ma si esagera a torto parlando, come nella relazione, di «caduta dell’istituto monarchico». Che cosa significa? Che non devono esserci più monarchie?

Dire che la monarchia è caduta, non è dire che non vi debbano essere che repubbliche in Europa. Questa è per lo meno presunzione dei nuovi repubblicani. Vi sono in Europa solidissime e rispettabili monarchie, che hanno resistito anche assai meglio delle repubbliche alle guerra, e non hanno avuto reazione.

Limitiamoci dunque a parlare dell’Italia.

E non creiamo l’assurdo che sarebbe non nel fatto, ma nell’idea monarchica.

Quando ho udito da destra espressioni che ci dovrebbero far credere a un movimento monarchico, io ne ho sorriso. «Il movimento monarchico è potente – si è detto – nell’Italia meridionale». Ma ci credete voi veramente?

BENEDETTINI. Si!

NITTI. Io non vedo. Vi siano pure i fedeli di una idea morta: essi sono rispettabili, senza che per questo l’idea sia vera.

Dunque non vedo la necessità di fare leggi di repressione e di eccezione contro un pericolo che non mi pare esista. Come nel Codice Zanardelli, noi possiamo punire tutti quei fatti che costituiscono vero pericolo così per gli uni, come per gli altri: gli estremisti di ogni parte possono costituire pericoli, e tutti possono essere puniti.

Dunque, non mi adatterò all’idea che noi dobbiamo vedere il pericolo da una sola parte, e non già da ogni parte dove sia realmente. Quindi la difesa dello Stato deve essere fatta nell’interesse dello Stato e non nell’interesse o a vantaggio di tendenze e partiti.

Non voterò quindi queste disposizioni, perché non solo le credo inopportune, ma le credo dannose.

Tutti gli oratori che hanno parlato hanno riconosciuto la gravità delle pene contro questi pericoli immaginari. È stato osservato che i magistrati non potranno applicarle e non le applicheranno. Più le pene sono gravi, più, se sono ingiuste, non si applicano; più vogliono riuscire a terrorizzare, meno terrorizzano.

Quando ho sentito dire qui dentro di un grande movimento monarchico, che richiede particolari misure di ordine e di vigilanza, ne ho riso.

Che cosa significa fare un processo storico alle monarchie perfino nei secoli passati?

Ciò che chiamate l’istituto monarchico sarà rispettato, se risponde alle tradizioni e alla volontà dei popoli. Altra cattiva idea è stata parlare di un istituto che ha assolto il suo compito con la sua fine. Questa è mancanza di rispetto a monarchie degnissime, e anche all’attuale principessa ereditaria dell’Inghilterra, che può diventare in seguito regina.

Perché parlare di istituto monarchico? Noi non dobbiamo entrare in queste cose. Un progetto di legge non è un opuscolo di propaganda.

CONTI. Noi c’entriamo!

NITTI. È molto interessante che l’onorevole Conti dica che la Repubblica debba essere la forma politica generale e una organizzazione puramente repubblicana debba esistere in tutto il mondo.

CONTI. In genere, e in specie in Italia.

NITTI. In Italia va accettato quello che è ora lo stato di fatto. Ecco perché non volevo che si parlasse di istituto monarchico in genere. Lei vuole andare più in là. Nella nostra Assemblea ci diamo il lusso di dichiarare che non vi saranno più nel mondo monarchie.

Siamo in materia non contenziosa.

CONTI. Questa è opinione personale.

NITTI. Si tratta di visione generale. Quindi, accettando che in Italia non vi sia la monarchia, non posso accettare l’idea che non vi siano altrove anche grandi monarchi, perché, per esempio, ho visto funzionare magnificamente le grandi monarchie del Nord, anche in periodi in cui in Italia infieriva la reazione fascista.

Quindi, astenendomi da qualunque altra considerazione, mi limito a ripetere che non credo opportuno questo disegno di legge, e quindi non lo voterò. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Prima di dare la parola al Relatore e al Ministro, do lettura di un articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Lucifero, del seguente tenore:

«La presente legge cesserà di aver vigore non appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale, ed in ogni caso entro il 31 dicembre 1948».

Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Sottocommissione.

BETTIOL, Relatore. Onorevoli colleghi, ho ascoltato, come Relatore, con grande interesse e con particolare attenzione gli interventi dei colleghi: quello dell’onorevole Benedettini, quello dell’onorevole Russo Perez, quello dell’onorevole Condorelli, quello dell’onorevole Scalfaro, quello dell’onorevole Crispo e da ultimo, quelli brevi, ma sempre pieni di responsabilità, dell’onorevole Marchesi, dell’onorevole Conti e dell’onorevole Nitti.

Io dichiaro subito che risponderò in sede di emendamenti alle obiezioni dell’onorevole Crispo. Mi limiterò a rispondere alle obiezioni di carattere generale, parlando come membro della Sottocommissione, che ha esaminato il disegno di legge presentato dal Ministro e che ha poi elaborato una serie di emendamenti al testo primitivo presentato dal Governo.

Essere o non essere: questo era il dubbio amletico. Di fronte a questa legge noi possiamo chiederci: legge di Caino o legge di Abele? legge, cioè, che è tale da rappresentare una violenza impetuosa e disorganizzata per colpire senza discernimento i pericoli per l’ordine democratico e per l’ordine repubblicano, oppure una legge di acquiescenza, una legge remissiva, una legge che non vuole individuare i pericoli che esistono nella realtà delle cose?

A questo dilemma si può rispondere che questo progetto di legge, particolarmente dopo l’esame della Sottocommissione e le proposte della stessa, non è né una legge di Caino né una legge di Abele, vale a dire non è una legge a carattere e spirito totalitario, come erano le vecchie leggi fasciste, e particolarmente quelle naziste; d’altro canto non è nemmeno una legge, la quale rifugga dall’individuare i pericoli e si astenga dal prendere in considerazione la possibilità di energici interventi da parte dello Stato per tutelare l’ordine democratico e repubblicano. Si può dire che questa legge, così come oggi viene presentata, dopo l’esame della Sottocommissione, è una legge di uomini responsabili, è una legge di uomini forti, i quali fanno del criterio della giustizia retributiva il cardine della loro concezione penale e della loro politica criminale.

Si è sentito parlare di legge vendicativa, si è sentito dire che questa legge è una legge eccezionale, si è sentito dire che questa legge contrasta con quelli che sono i cardini fondamentali della giustizia democratica.

Ora, è chiaro, onorevoli colleghi, che in un regime democratico e repubblicano, già ormai consolidatosi attraverso lunghe vicissitudini di anni e eventi, una legge penale non soltanto eccezionale, ma anche puramente speciale, può rappresentare una stonatura nel sistema delle leggi penali. Ma quando un regime democratico e repubblicano, come il nostro, è uscito da poco dalla tragica esperienza totalitaria e fascista, è chiaro che la politica e il senso storico possono postulare un vigile intervento statale per individuare pericoli che possono sussistere o che possono risorgere a danno dell’ordine democratico e repubblicano…

BENGIVENGA. La storia dimostra che ciò è falso.

BETTIOL, Relatore. La storia, da che mondo è mondo, ha dimostrato che le nuove organizzazioni politiche e sociali nei primi anni della loro esistenza prendono sempre dei provvedimenti di carattere difensivo. Non è soltanto questa, onorevoli colleghi, un’affermazione a sfondo storico, ma anche un’affermazione che, diciamo così, è convalidata da quella che può essere una esperienza puramente naturalistica, nella quale noi vediamo come ogni nuovo organismo, ai primordi della sua vita, prenda in considerazione la necessità di una sua difesa.

BENCIVENGA. Così ragionò il fascismo…

BETTIOL, Relatore. Così ragiona colui che tiene gli occhi fissi alla storia, e che ha senso di responsabilità politica.

Comunque, il problema, onorevoli colleghi, non è di carattere formale, ma di carattere sostanziale. In questo senso: che quando si vuol dire che questa legge è una legge di carattere eccezionale, la quale viene a porre delle divisioni fra gli italiani considerandoli gli uni come italiani eletti e gli altri come italiani reprobi, non si è aderenti a quella che è la realtà morale e normativa della legge stessa. Perché, da un punto di vista sostanziale, questa legge, elaborata dalla Sottocommissione, ha cercato di evitare di seguire ogni e qualsiasi criterio di politica criminale, che fosse in contrasto con quelle che sono le leggi fondamentali d’una concezione democratica dello Stato e del diritto penale. Io prego i colleghi di meditare su questo punto e di non fermarsi a quella che può essere una considerazione puramente logica e formalistica dei rapporti estrinseci fra questa legge ed il Codice penale. È ben vero che il Codice penale rappresenta la legge fondamentale in materia penale per tutti i cittadini indistintamente; ma è altrettanto vero che una legge è speciale nel senso vero e proprio della parola, soltanto quando questa legge penale speciale è tale da rappresentare una deviazione da quelli che sono i principî cardine cui si ispira la legislazione penale. Facciamo un esempio: le legislazioni penali tipiche del fascismo, e particolarmente del nazismo, negli ultimi venti anni sono state leggi speciali, non soltanto da un punto di vista puramente formale, ma soprattutto da un punto di vista sostanziale, perché hanno rappresentato una deviazione essenziale da quei principî penalistici che ormai una lunga vicissitudine aveva consolidato nella coscienza morale e giuridica europea.

RUSSO PEREZ. Anche queste sono leggi fasciste.

BETTIOL, Relatore. Questa legge che veniamo ad esaminare, e che il Governo presenta all’Assemblea ai fini della sua approvazione, è una legge la quale non deflette o non deroga ai principî fondamentali sui quali è assiso il diritto penale comune. È, sì, una legge di difesa (e in questo senso comprendo benissimo come può essere considerata da parte di molti con occhio meno benigno), è, sì, una legge con la quale l’ordine democratico e repubblicano cerca d’individuare un pericolo che proviene da una determinata parte; ma non possiamo dimenticare come questo pericolo, che proviene da una determinata parte, è stato per lunghissimi anni un vero e proprio danno ed il tormento della nostra coscienza morale e della nostra realtà politica.

Onorevoli colleghi, io penso che se noi tutti odiamo profondamente il totalitarismo, da qualsiasi parte esso provenga, non ci deve essere comunque in fondo al nostro animo ed in fondo al nostro cuore, non dico una simpatia, ma un qualche cosa che possa farci guardare con occhio benevolo quello che fu il fascismo, che ha rappresentato veramente una vergogna per il nostro Paese.

BENCIVENGA. Ma se tanti, che stanno qui dentro, erano iscritti! Non esageriamo, per carità!

BETTIOL, Relatore. Questa legge rappresenta un’eccezione puramente formale, non un’eccezione di carattere sostanziale. In primo luogo, questa legge, così come è stata formulata dalla Sottocommissione, non intende colpire il pensiero politico come tale, in nessun modo ed in nessuna circostanza. Questa legge colpisce – e rispondo al carissimo amico Condorelli – un pensiero politico, quando questo pensiero politico si traduce concretamente in una determinata attività, che in concreto sia pericolosa e dannosa per l’ordine democratico e repubblicano che si è costituito.

Se questo viene a creare la disuguaglianza tra gli italiani, come dice l’onorevole collega, questo è inevitabile; perché questa legge intende essere legge speciale, in quanto colpisce l’attività dei fascisti o di coloro che violentemente tendono a restaurare la dinastia sabauda.

Ora è chiaro che questa particolare ideologia dà un particolare colore ad una determinata attività, ma non è affatto l’ideologia come tale, che comunque possa venire colpita, ma l’attività, in quanto pericolosa e dannosa per l’ordine democratico.

Gli onorevoli colleghi della destra tengano presente che la Sottocommissione ha approvato, sia pure a maggioranza, la soppressione dell’articolo 6 (Interruzione del deputato Bencivenga), perché con questa soppressione noi veniamo realmente a ristabilire l’equilibrio giuridico e politico in seno a questa legge. Attraverso all’articolo 6 noi verremmo a colpire la pura e semplice manifestazione, non pericolosa o dannosa in quanto tale; verremmo a colpire la cogitatio sul piano politico; ciò che sarebbe veramente pericoloso e rappresenterebbe una deviazione dai principî fondamentali del diritto penale.

In secondo luogo, questa legge non intende colpire una qualsiasi persona, in quanto tale. Cioè, questa legge non può essere concepita come legge vendicativa. Su questo punto vorrei che fossero chiare le nostre idee. Non è legge di Caino, la quale vuole colpire il fascista o l’ex fascista, in quanto tale. Ma, come è stato detto dall’onorevole Scalfaro, questa legge tende a colpire il fascista recidivo, quel fascista, il quale, nonostante la mutatio dei tempi, non intende adeguarsi alla nuova realtà politica o non intende non impedire l’azione, che possa essere pericolosa per questa nuova realtà politica.

Una voce a destra. Bisogna vedere chi applicherà questa legge.

BETTIOL, Relatore. Quindi, viene colpito il fascista recidivo, che si manifesta, che si deve manifestare in concreto con attività e comportamento che rispecchiano una tipicizzazione astratta dell’attività stessa. (Interruzione del deputato Russo Perez).

BENCIVENGA. Verrà un’altra Carboneria. Lei è giovane; certe cose non le può sapere.

BETTIOL, Relatore. Sono giovane di anni; ma una certa esperienza giuridica e penalistica posso anche averla.

BENCIVENGA. Erano più liberali sotto il fascismo.

BETTIOL, Relatore. Sto dimostrando che questa legge non è antiliberale, ma profondamente democratica. (Interruzioni a destra).

Voglio sottolineare il fatto che questa legge poteva considerarsi liberticida, qualora la Commissione non avesse proposto un emendamento sostanziale in relazione all’articolo 1.

L’articolo 1, come presentato dal Ministro, suona in termini così generici e lati, per cui possono essere colpiti tutti o nessuno, a seconda che prevalga uno o l’altro indirizzo ermeneutico a sfondo politico. L’articolo 1 della legge, come presentato dal Governo, riecheggia la concezione antidemocratica del diritto penale, in quanto rifugge dalla determinazione concreta dei momenti, che deve rivestire l’attività fascista, per essere incriminata in quanto tale. Ripeto, questa legge non colpisce il fascista come tale, in base a quello che fu l’adagio manzoniano «dalli all’untore», ma il fascista solo in quanto realizza in concreto una determinata attività delittuosa…

BENEDETTINI. …che può essere compiuta anche da altri, non fascisti.

BETTIOL, Relatore. …e che la nostra coscienza giuridica non può in nessun caso sopportare.

BENEDETTINI. È per questo che si identifica anche con gli altri partiti. La libertà deve esservi per tutti.

BETTIOL, Relatore. La libertà di coloro i quali si attengono al metodo democratico non viene comunque colpita o menomata da questa legge sottoposta alla nostra approvazione, perché, ripeto, questa legge è tale da rispettare i diritti fondamentali di libertà dei cittadini ed è tale da rispettare i criteri fondamentali di un diritto penale democratico. Detto questo, riaffermato quindi che questa determinata legge non è tale, a mio avviso, da violare una concezione democratica del diritto penale, ma è una legge di difesa, che in questo momento è ritenuta necessaria, considerata quella che è la realtà dei fatti, è chiaro che non posso accettare quegli ordini del giorno, che sono tali da determinare uno spostamento di questa particolare legge su di un piano che non è quello indicato e voluto dal Governo, che ci ha presentato la legge stessa. Non è quindi possibile accettare ordini del giorno, quando con questi si voglia far rientrare nella legge ogni e qualsiasi movimento, ogni e qualsiasi concezione politica, ogni e qualsiasi orientamento, che non siano tali da rispecchiare quelle che erano le note fondamentali e costanti del fascismo, che ha determinato – ripeto – la situazione di catastrofe per il nostro Paese, o non è questo movimento tale da rispecchiare una concezione monarchica la quale voglia, con la violenza, riportare l’Italia sotto un regime monarchico, anche se inteso in senso costituzionale. (Interruzioni a destra).

Una cosa ancora vorrei dire: che la Commissione non è contraria a considerare questa legge come una legge limitata nel tempo, nel senso che non è contraria ed accettare un emendamento che possa determinare un limite di tempo, possibilmente tra cinque anni. (Interruzione del deputato Mazza).

TARGETTI. Finché dura la malattia, occorre che duri la cura; che cesserà soltanto quando l’ammalato riacquisterà la salute.

BETTIOL, Relatore. Con ciò credo di aver risposto brevemente e sinteticamente a quelle che sono le obiezioni di carattere generale, relative al carattere eccezionale e speciale di questa legge, ed al preteso carattere liberticida di essa. Per quanto riguarda le osservazioni di carattere specifico sui singoli articoli, mi riprometto di prendere la parola quando saranno presentati in concreto i relativi emendamenti. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro Guardasigilli ha facoltà di parlare.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi! È utile che io ricordi all’Assemblea che l’attuale disegno di legge, presentato sin dal 17 marzo 1947, è, da allora, a disposizione dell’Assemblea. Ricordo anche che, come è detto nella relazione a questo disegno di legge, venne preparato dal Governo e presentato all’Assemblea, in quanto il precedente decreto legislativo luogotenenziale 26 aprile 1945, vale a dire quello che stabiliva le punizioni dell’attività fascista nell’Italia liberata, veniva a scadere col 15 ottobre 1947. È necessario che l’Assemblea tenga presente questa situazione e si renda conto delle necessità della discussione presente, la quale non è occasionata da nessuna delle situazioni particolari a cui qualche collega ha accennato, ed è determinata né dal Governo né dalla Presidenza, ma da un dovere che l’Assemblea aveva verso se stessa, in quanto aveva in una sua Sottocommissione un disegno di legge, che era stato per troppo tempo prorogato e che viene ora in esame, quasi in una delle ultime sedute dell’Assemblea Costituente. Questo per togliere ogni ombra, rispetto ad eventuali coincidenze occasionali, in quanto l’Assemblea, nella sua sovranità, dovrà prendere una decisione su questo disegno di legge.

Io ho seguito i lavori della Commissione, i quali hanno portato ad una relazione veramente egregia, ed io non posso che lodarmene con l’onorevole Bettiol, il quale, da tecnico della sua capacità, ha cercato di precisare e di inquadrare bene istituti e reati, di modo che noi possiamo rendere grazie del servizio che egli ha reso all’Assemblea.

Non c’è dubbio che si tratti di una legge di eccezione o di una legge speciale. Non è nel mio temperamento di liberale pensare che leggi di eccezione o speciali siano da augurarsi nella vita del Paese, ma, come già qualche oratore ha rilevato, è venuta fuori questa emergenza che bisogna affrontare. È la verità. La storia ha le sue esigenze. Un Codice penale fondamentale sarebbe l’ideale per la vita e per l’ordinamento di un popolo; ma vi sono delle situazioni di eccezione, delle situazioni storiche che devono essere superate con leggi eccezionali, le quali devono avere peraltro una durata ben limitata. In questo senso, se la Commissione accetta, io non ho nessuna difficoltà a consentire anche a limitazioni nel tempo.

D’altra parte, da un punto di vista strettamente politico, lasciando il lato tecnico, che esamineremo articolo per articolo, che cosa si propone questo disegno di legge? Di sostituire disposizioni di una legge precedente e di cercare di inquadrare e di prevenire delle figure di reato, che veramente sono già contemplate nel Codice penale e per le quali potevano essere sufficienti, secondo alcuni, le disposizioni già esistenti nel Codice penale per difendere la personalità dello Stato repubblicano, e per difendere l’esercizio dei diritti politici e civili del cittadino rispetto ad atti di violenza da parte di partiti o di fazioni. Oggi, con questa legge, si vuole fare qualche cosa di più della semplice punizione; si cerca di prevenire. Mentre il Codice penale rende possibile la punizione di reati già esistenti o di tentativi dei reati stessi, con questa disposizione si fa un passo in avanti e si cerca di prevenire.

Questo è il lato politico della situazione e questo è il lato tecnico del disegno di legge.

Il Codice penale non basterebbe più, perché il Codice penale ci porterebbe a reati o a tentativi, mentre questo disegno di legge ci porta alla prevenzione. La prevenzione non è l’ideale nella forma penale, siamo d’accordo, ma è la repressione del fatto che deve essere punita. Però, nei momenti di eccezione, quando una Repubblica esce da una situazione ancora storicamente non consolidata, sente il bisogno, questo regime, di stabilire delle prevenzioni, le quali possano garantire ancora che questi reati non saranno commessi.

Questa è la portata del disegno di legge. Ora, su questi punti, malgrado l’autorità di eminenti parlamentari come l’onorevole Nitti, io penso che questo disegno di legge non solo sia da difendere, ma da attuare, in quanto con questo provvedimento non si vengono a scuotere quelli che sono i fondamenti dei nostri principî liberali, perché, non verso i fascisti di ieri noi ci muoviamo, ma ci preveniamo perché non risorga la possibilità di movimenti politici e di situazioni che nessuno può dire che siano stati benefici per il popolo italiano. Con queste previsioni, e lasciando alla tecnica successiva di perfezionare il provvedimento, io credo che in piena coscienza e con la piena sicurezza della nostra responsabilità, possiamo approvare questo disegno di legge così come è stato presentato dalla Commissione.

Ad ogni modo, se gli emendamenti tecnicamente proposti non saranno tali da incidere su quello che è il fondamento della legge, potranno essere dall’Assemblea, come pure dal Governo, accolti, perché tutti ci proponiamo di creare uno strumento che sia opportuno per superare le difficoltà del momento. Se ci potranno essere possibilità di altri miglioramenti da proporre in sede di perfezionamento, il Governo è sempre consenziente, quando si tratta di fare una legge giusta e migliore anche nella sua applicazione (Applausi).

PRESIDENTE. Penso ora che sia opportuno procedere alla votazione dei due ordini del giorno presentati dall’onorevole Benedettini e dall’onorevole Condorelli ed altri.

L’onorevole Benedettini propone senz’altro di respingere il disegno di legge; l’onorevole Condorelli propone di rinviarlo alla Sottocommissione, affinché essa lo rielabori in base alle direttive che l’onorevole Condorelli stesso ha svolto nel suo intervento e che, ove l’Assemblea le accettasse, diverrebbero direttive dell’Assemblea stessa.

Passiamo pertanto alla votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Benedettini:

«L’Assemblea Costituente;

presi in esame il disegno di legge presentato dal Governo nella seduta del 17 marzo 1947 e la relazione della Sottocommissione;

considerato che tale disegno di legge non risponde né alle necessità dei tempi, né al mutato clima morale e politico del Paese;

affermato che per dare integrale e piena esecuzione all’articolo 17 del Trattato di pace, basti il Codice penale vigente e non occorrano leggi eccezionali;

respinge il disegno di legge e passa all’ordine del giorno».

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Il nostro Gruppo voterà contro i due ordini del giorno che sono stati presentati. Dopo quanto è stato dichiarato sia dall’onorevole Bettiol, Relatore della Sottocommissione, sia dal Ministro Guardasigilli per il Governo, io non credo di dover spiegare lungamente le ragioni per le quali noi siamo contrari ai rinvii proposti dai nostri colleghi con questi due ordini del giorno e favorevoli, invece, nelle grandi linee, a questa legge, salvo gli emendamenti di carattere tecnico che possono essere proposti in questa sede.

Intorno a questa legge si è un po’ ironizzato, accennando alle difficoltà del momento ed alla insufficienza delle ipotizzazioni criminose in esame e delle finalità della legge, di fronte alla turbata vita civile del nostro Paese. Ma noi pensiamo che a questa legge non si possa chiedere più di quanto essa può dare.

Essa ha una finalità limitata, in quanto tende ad attuare, da un lato un impegno internazionale assunto dal nostro Paese, realizzando la repressione dell’attività di carattere fascista, e dall’altro a difendere il regime repubblicano, di fronte alle offese che possano essere ad esso arrecate. Chiedere alla legge che risolva altri problemi, certamente molto gravi, che si presentano in questo momento nel nostro Paese, significa chiedere ad essa ciò che non può dare.

Peraltro, così come essa è, con il suo obiettivo limitato, questa legge corrisponde ad esigenze di tutela della libertà di tutti e di stabilità istituzionale, verso le quali si dimostra giustamente sensibile, nella sua maggioranza, l’Assemblea, così come si è dimostrato e si dimostra sensibile il Governo.

Si è detto che si tratta di una legge eccezionale; si è detto che essa costituisce un attacco alla libertà. Dopo quanto è stato osservato dall’onorevole Bettiol, credo che si possa essere tranquilli su questo punto. Avendo presente, per esempio, l’avvenuta soppressione dell’articolo 6 della legge che incrimina la semplice manifestazione di una opinione politica nei confronti dell’istituzione monarchica, apportati alla configurazione delle ipotesi criminose quei miglioramenti tecnici e sostanziali, ai quali ha accennato l’amico Bettiol, ci troviamo semplicemente di fronte ad una legge, la quale reprime le manifestazioni del fascismo che voglia ritornare ad esplicare la sua attività delittuosa d’oppressione e colpisce le violenze dirette alla restaurazione dell’istituto monarchico.

Senza sopravvalutare, come forse si fa con scarsa obbiettività di giudizio, da parte di nostri colleghi, i pericoli che corre la struttura democratica dell’Italia, non si può negare che pericoli di questo genere sussistano e che, ad ovviarli, debba provvedere la nostra attività legislativa.

Per queste ragioni credo che, opportunamente la legge sia stata presentata e che essa possa essere tranquillamente votata, salvo gli emendamenti di carattere tecnico.

Ne deriverà per il nostro popolo un senso maggiore di sicurezza nei riguardi della stabilità, sia dell’ordinamento democratico, sia del regime repubblicano.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, io sono firmatario di uno dei due ordini del giorno, di quello che è stato illustrato dall’onorevole Condorelli. Voglio dire perché voterò a favore dell’uno e dell’altro ordine del giorno; ma vorrei anche fare alcune osservazioni che mi sembra abbiano un loro significato.

Io sono un uomo pigro, terribilmente pigro, ed ho ammirato e compatito gli sforzi giganteschi che hanno fatto tanto l’onorevole Relatore, quanto il Ministro di grazia e giustizia, per cercare di conciliare la loro coscienza – il Ministro ha detto addirittura di liberale, nel suo caso – con una legge che tutti gli aggettivi può avere meno quello di liberale.

Le leggi eccezionali non sono altro che una strada per la quale ci si incammina verso l’arbitrio, uscendo da quella che è la normalità comune per tutti.

Quindi qualunque legge speciale, comunque essa sia concepita, non ha posto in uno Stato democratico. Se uno Stato democratico, nella sua ordinaria legislazione, non trova infatti la sua difesa, vi introduca la sua difesa, ma sia legge ordinaria e non sia legge straordinaria.

E quando l’onorevole Relatore si è, nel suo sforzo, lasciato sfuggire un lapsus notevole – perché ha parlato di politica criminale e la frase si poteva intendere in due sensi (Commenti). – egli ci ha parlato di odio al totalitarismo. Ma io mi permetto di fargli notare che questa non è una legge contro il totalitarismo; se fosse infatti una legge contro il totalitarismo, essa non punirebbe soltanto i fascisti in quanto tali, ma punirebbe il fascismo in quanto fascismo, cioè in quanto sistema e metodo, in quanto aspirazione totalitaria; punirebbe quel totalitarismo, che l’onorevole Relatore ha affermato di odiare e che non è monopolio soltanto dei fascisti.

Potrebbe anzi qualcuno pensare che questa legge, fatta contro le larve di un fascismo che non è ricorrente, contro un fascismo che non v’è e che non vuol risorgere…

PRIOLO. Magari fossero soltanto larve!

LUCIFERO. …potrebbe essere indirizzata contro altri fascismi e, nel caso particolare, nell’attuale situazione, cioè, che caratterizza la vita politica italiana, contro un particolare partito fascista! E per quanto io non sia certo tenero nei confronti di quel partito, sarei però contrarissimo ad una legge che fosse fatta per colpire quel determinato partito.

Queste leggi eccezionali possono d’altra parte avere due sole funzioni: o sono, come fu per l’epurazione, leggi di salvataggio e di vendetta insieme, oppure sono leggi che si fanno per metterle nel cassetto e tirarle fuori quando servono contro qualcuno. Le leggi eccezionali non sono mai fatte, o signori, per difendere lo Stato e la collettività: le leggi eccezionali sono sempre concepite contro qualcuno; esse non sono un atto di amore, come dovrebbero essere le leggi democratiche in uno Stato civile, ma sono un atto di odio, che prepara l’odio, che prelude all’odio.

Basterebbero d’altra parte le leggi ordinarie, quando si volessero veramente applicare. Mi si consenta anzi di concludere con una nota che può essere anche allegra, perché v’è una gaiezza anche nel Codice penale. (Commenti). Quando noi parliamo di difesa dello Stato e di tutte quelle altre cose con le quali abbiamo drammatizzato questa discussione, noi troppo spesso ci dimentichiamo di quante leggi abbiamo che nessuno applica e di cui nessuno si occupa.

Onorevole Guardasigilli, ha lei presente l’articolo 273 del Codice penale? Mi permette che glielo legga? «Chiunque, senza autorizzazione del Governo, promuove, costituisce, organizza o dirige nel territorio dello Stato associazioni, enti o istituti di carattere internazionale o sezioni di esse, è punito, ecc.».

Come dunque le mettiamo certe cose in campo politico, onorevoli colleghi? (Commenti a sinistra).

Limitiamoci quindi alla legge ordinaria che già sarebbe molto difficile applicare, e non facciamo leggi speciali che potrebbero farci cadere o nella criminalità penale – non nel senso pensato dall’onorevole Bettiol – o nel ridicolo; il che sarebbe ancor peggio, perché sarebbe criminalità nazionale contro lo Stato che noi stiamo costruendo. (Applausi a destra – Commenti).

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io mi associo, onorevoli colleghi, a quanto hanno detto l’onorevole. Benedettini, l’onorevole Condorelli, l’onorevole Russo Perez, l’onorevole Lucifero e l’onorevole Nitti, che io ho ascoltato, come sempre, con la maggiore attenzione e con profondo interesse.

Il disegno di legge in esame può anche essere – come ha detto dianzi l’onorevole relatore Bettiol – «né di Caino né di Abele»; ma ciò è in contrasto, in evidente contrasto, con la finalità, che noi tutti ci proponiamo, o diciamo di proporci: il raggiungimento della pacificazione del popolo italiano. Il popolo italiano non sente più gli odî e le divisioni, il popolo italiano depreca gli uni e gli altri, perché li considera deleteri per la propria vita e per il proprio progresso.

Non sembra neanche a me, d’altra parte, che questo disegno di legge sia espressione di un clima veramente democratico, che pure tutti dicono di auspicare. Ci troviamo di fronte all’emanazione di una legge speciale, straordinaria, eccezionale, di una legge che eufemisticamente il Relatore ha chiamato «di difesa». Ora, le leggi eccezionali, le leggi straordinarie, le leggi di difesa rappresentano sempre una stonatura – sempre, dico, non in alcuni casi soltanto – nel sistema della repressione penale. E ciò senza sottolineare, come da altri è stato sottolineato, che nel Codice nostro abbiamo tutta una serie di chiare, precise disposizioni, frutto di una lunga elaborazione scientifica e giurisprudenziale, le quali prevedono – prevedono con esattezza – tutti i fatti delittuosi, che sono indicati nel disegno di legge, di cui ci stiamo occupando.

Io voterò, quindi, a favore degli ordini del giorno che sono stati presentati, diretti a respingere il disegno di legge. (Commenti a sinistra – Applausi a destra).

CASTIGLIA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTIGLIA. A nome del Gruppo parlamentare dell’Unione nazionale, dichiaro che noi voteremo a favore dell’ordine del giorno Benedettini… (Interruzioni – Commenti all’estrema sinistra) per delle ragioni che sono intuitive. (Commenti).

Prima di tutto noi siamo assolutamente contrari a qualsiasi legge eccezionale… (Interruzioni a sinistra).

MUSOLINO. Nel 1926 non ha parlato!

Una voce a destra. Non c’eravamo noi.

CASTIGLIA. Non mi interessa, perché non facevo della politica nel 1926. La vostra insinuazione non mi riguarda.

Noi siamo contrari alle leggi eccezionali, specialmente quando queste leggi eccezionali sono congegnate così come è congegnata questa. Questa legge, attraverso l’equivocità della formulazione, attraverso la imperfezione delle definizioni sia per quanto riguarda l’attività fascista in senso così lato, sia per quanto riguarda l’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico – perché, si badi bene, non si parla della dinastia sabauda, ma dell’istituto monarchico – si presta a tutte le interpretazioni malevoli (Commenti a sinistra). Conseguentemente, può trasformarsi in uno strumento di oppressione politica (Commenti a sinistra) alla quale noi ci opponiamo con tutte le nostre forze.

Questa legge, in un momento nel quale si parla di pacificazione degli animi, è niente altro che l’antidoto contro questo tentativo di pacificazione; e siccome noi siamo convinti che è necessario pacificare realmente gli animi, voteremo perché la legge non sia presa in considerazione e non sia votata. Così facendo noi riteniamo di servire veramente gli interessi del Paese, perché, se v’è qualche cosa che possa turbare l’ordine, la tranquillità, l’ordinamento giuridico dell’Italia, bastano le norme punitive ordinarie, bastano le norme del Codice penale – come da altri è stato detto – senza ricorrere a quelle leggi eccezionali le quali, checché ne pensi il Ministro liberale della giustizia, sono sempre antiliberali.

Né importa quella definizione fatta, sia dal Ministro della giustizia, sia dal Relatore, sulla differenza che correrebbe fra le norme ordinarie del Codice penale e la legge eccezionale. Mi dice il Ministro Guardasigilli che la differenza consisterebbe nel fatto, che le norme che oggi si vorrebbero votare avrebbero uno scopo di difesa preventiva. Francamente non so come si possa attribuire a questa legge eccezionale questa particolare funzione preventiva che è anche di tutte le leggi penali. Né il fatto che si limiterebbe la durata della legge nel tempo inficia questi concetti che vi ho brevemente esposti. Né vale quello che ha detto l’onorevole Relatore Bettiol…

PRESIDENTE. Onorevole Castiglia, nelle dichiarazioni di voto non v’è bisogno di rispondere ai Relatori!

CASTIGLIA. Cosa intende dire il Relatore dichiarando che con questa legge si vogliono punire i fascisti recidivi? Ancora una volta denunciamo al Paese che la legge, così come è congegnata, con questa inesattezza di linguaggio tecnico e giuridico, si presta a divenire strumento di oppressione, contro il quale noi ci ribelliamo! (Applausi a destra – Commenti all’estrema sinistra).

COPPA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Vorrei dire una banalità e cioè che in sede di dichiarazioni di voto si debbono fare solo dichiarazioni di voto. È giusto che ogni singolo membro dell’Assemblea abbia il diritto – e spesse volte il dovere – di dichiarare personalmente il proprio voto; bisognerebbe però evitare che deputati, che appartengano ad una stessa corrente politica, ripetano la dichiarazione, e tutti con gli stessi motivi.

Fatta questa osservazione, do facoltà di parlare all’onorevole Coppa.

COPPA. Dopo l’intervento del collega Castiglia, sarebbe inutile – come ha detto il Presidente – prendere la parola. Senonché, fra tanti colleghi avvocati, i quali sarebbero i responsabili delle leggi che approviamo, lasciate che parli anche chi la legge apprende per la prima volta avendo fra le mani queste carte.

PRESIDENTE. Ma, onorevole Coppa, è dal 17 marzo che sono stampate queste disposizioni!

COPPA. Pochi mesi non bastano a cambiare la forma mentis di tutta una vita, naturalmente. Ora, io rilevo – ed è per questo che voterò a favore dei due ordini del giorno – che v’è una contradizione fra le dichiarazioni del Relatore e quello che è scritto nella relazione. Precisamente il Relatore ha detto: «qui non si farà il processo alle intenzioni». Invece è precisamente il processo alle intenzioni che questa legge darà la possibilità di fare. Basta leggere quello che ha scritto l’onorevole Bettiol: «Per quanto riguarda il secondo comma dell’articolo 1, pare alla Sottocommissione che la pena prevista per la semplice adesione sia troppo elevata, per cui propone che chiunque vi aderisce sia punito con la reclusione sino a 3 anni. Si deve trattare di adesione, non di iscrizione, perché chi si iscrive ad un partito, concorre alla costituzione del partito stesso».

Scusatemi, come farete a dimostrare l’adesione di un individuo? Basterà una frase pronunziata in pubblico o in privato e riportata e denunciata per mettere sotto processo un individuo? Questa è la legge che voi state preparando.

Soltanto questo volevo mettere in evidenza perché tutto il resto è stato rilevato. (Approvazioni a destra).

MAFFIOLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFIOLI. A titolo esclusivamente personale, dichiaro che voterò a favore della legge, e quindi contro gli ordini del giorno.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. A nome del Gruppo repubblicano, dichiaro che mi associo alle conclusioni del Relatore e che voteremo contro i due ordini del giorno presentati che intendono rinviare la discussione sui singoli articoli.

GEUNA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Faccio una dichiarazione di voto a titolo esclusivamente personale, in quanto in questa votazione dissento dal mio Gruppo, e dichiaro che non voterò a favore di questa legge, ma voterò a favore dell’ordine del giorno Benedettini. Io non posso concepire e non posso ammettere l’unione che si è fatta fra l’attività fascista, che deve essere repressa, e per la quale io sono pronto per il primo a dare il mio voto, con quella che è l’attività intesa alla restaurazione dell’istituto monarchico per cui non entro in merito. Io non posso col mio voto, che vuole approvare le norme per la repressione dell’attività fascista, unire in un giudizio uguale una legge per la repressione della medesima e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (Commenti a sinistra – Applausi a destra).

PRESIDENTE. Avverto che sull’ordine del giorno Benedettini è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Benedettini, Puoti, Patrissi, De Falco, Bonino, Condorelli, Castiglia, Russo Perez, Miccolis, Coppa, Rodi, Colitto, Perrone Capano, Bencivenga, Marinaro, Abozzi, Penna Ottavia, Patricolo e Covelli.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sull’ordine del giorno dell’onorevole Benedettini, di cui ho dato testé lettura.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Camposarcuno. Si faccia la chiama.

COVELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi.

Bencivenga – Benedettini – Bonino.

Castiglia – Colitto – Condorelli – Coppa Ezio – Covelli.

De Falco.

Fresa.

Geuna – Giacchero.

Lucifero.

Marina Mario – Marinaro – Mazza – Miccolis.

Patricolo – Patrissi – Penna Ottavia – Perrone Capano – Perugi – Puoti.

Quiptieri Quinto.

Rodi – Rodinò Mario – Russo Perez.

Siles.

Tumminelli.

Rispondono no:

Amadei – Arata.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Ilio – Bartalini – Bazoli – Bei Adele – Belotti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Braschi – Bubbio – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Carboni Angelo – Carignani – Carpano Maglioli – Carrafelli – Cassiani – Castelli Avolio – Cevolotto – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Colonnetti – Conci Elisabetta – Corbi – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – D’Aragona – Del Curto – Della Seta – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – D’Onofrio – Dossetti.

Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Filippini – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fuschini.

Gariato – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giolitti – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Lozza – Luisetti.

Maffi – Maffioli – Malagugini – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Marinelli – Martinelli – Mastino Gesumino – Mattarella – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina –Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagana Mario – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto.

Paolucci – Parri – Pat – Pecorari – Pellegrini – Pera – Perassi – Pertini Sandro – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Priolo.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo.

Salvatore – Sampietro – Sansone – Sapienza – Saragat – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Sicignano – Silipo – Spallicci – Stampacchia.

Tambroni Armaroli – Targetti – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Veroni – Vicentini – Vigna – Villani.

Zanardi.

Si sono astenuti:

Conti.

Sono in congedo:

Arcaini.

Bergamini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dugoni.

Jacini.

Pellizzari – Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Vischioni.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Comunico che l’Assemblea non è in numero legale, e pertanto la seduta è sciolta e l’Assemblea è riconvocata domani mattina, alle 10 per riprendere la discussione su questo disegno di legge.

I nomi degli assenti senza regolare congedo saranno pubblicati sulla Gazzetta. Ufficiale.

Avverto che nel pomeriggio la seduta si terrà alle 17 per il seguito della discussione del progetto di Costituzione.

La seduta termina alle 14.10.

MERCOLEDÌ 19 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccxcv.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 19 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Mancini

Lucifero

Pertini

Calosso

Salerno

Persico

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Faralli

Cartia

Cevolotto

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Silipo

Lami Starnuti

Pressinotti

Pella, Ministro delle finanze

Morini

Villabruna

Crispo

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Svolgimento):

Presidente

Mastino Edoardo Angelo, Sottosegretario di Stato per l’assistenza ai reduci e ai partigiani

Paolucci

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Rodi

Miccolis

Recca

Pastore Raffaele

Fabbri

Tumminelli

Castiglia

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Sansone

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Vischioni.

(È concesso).

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso le seguenti domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

contro il deputato Covelli, per il reato di cui all’articolo 290 del Codice penale;

contro il deputato Ayroldi Carissimo per il reato di cui all’articolo 594 del Codice penale. Saranno inviate alla Commissione competente.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che si è costituito il Gruppo parlamentare dell’Unione nazionale composto dagli onorevoli Cannizzo, Cartiglia, Cicerone, Coppa, Corsini, De Falco, Fresa, Marina, Patricolo, Patrissi, Penna Ottavia, Puoti, Russo Perez e Selvaggi.

Il gruppo ha eletto Presidente l’onorevole Patrissi, Vicepresidente l’onorevole Cannizzo e Segretario l’onorevole Coppa.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

Poiché le due seguenti interrogazioni trattano materia analoga, saranno svolte congiuntamente:

Mancini, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere se, come e quando intende risolvere la dolorosa situazione della Corte di appello delle Calabrie, nella quale mancano tre presidenti di sezione, tredici consiglieri; per cui il primo presidente è costretto a presiedere le udienze penali; le udienze civili sono rinviate sine die; e ben 150 processi penali giacciono nella cancelleria della sezione istruttoria in attesa di essere definiti»;

Lucifero, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere per quali ragioni, malgrado le ripetute segnalazioni e sollecitazioni, non si è provveduto a fornire la Corte di appello ed il Tribunale di Catanzaro dei magistrati indispensabili al loro funzionamento». Ha facoltà di rispondere l’onorevole Ministro di grazia e giustizia.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. L’onorevole Mancini, con cortesia di cui devo rendergli grazie, si sarebbe accontentato di una risposta scritta; ma, dal momento che l’onorevole Lucifero ha presentato una interrogazione che tratta la stessa materia, io prego l’onorevole Mancini di prendere atto della risposta che datò tanto all’una che all’altra interrogazione.

Non c’è dubbio che deficienze di magistrati, specialmente per quanto riguarda la Corte d’appello di Catanzaro, si sono verificate in questi ultimi tempi.

Debbo dire all’Assemblea che, né per colpa mia né per colpa dei miei predecessori, ma per una situazione determinatasi in seguito alla guerra, si è verificata una deficienza in questo campo, cosicché nei cinquemila magistrati che compongono la pianta organica della Magistratura italiana si è avuta una vacanza di 800 posti, che sono stati in parte colmati con 350 uditori giudiziari nominati in seguito all’ultimo concorso. È stato bandito anche un concorso successivo, in maniera che si ha la certezza che nel 1948 la pianta organica della Magistratura sarà rimessa nel suo normale equilibrio.

Questo è un periodo difficile, non solamente per la copertura delle preture, che rappresentano la Magistratura popolare più larga e più pratica, ma anche per i tribunali e per le Corti di appello. C’è qualche situazione particolare, come quella di Catanzaro, però, che più salta agli occhi. Debbo dire che le difficoltà molte volte dipendono anche dalla disagiata residenza, per cui è difficile poter trovare magistrati che intendano accettare talune residenze, per la difficoltà soprattutto che deriva dagli alloggi. A queste difficoltà dovremo appunto cercare di ovviare con quelle provvidenze che sono allo studio e che saranno attuate.

La situazione di Catanzaro è una tra le più gravi, così come gli onorevoli Mancini e Lucifero hanno prospettato.

In seguito alle lagnanze ed alle richieste della Procura generale al Ministero, oltre alle provvidenze di ordine generale che cerchiamo di attuare per rendere possibile la promozione dei magistrati e in modo da avere la possibilità del passaggio dei giudici a consiglieri – provvidenze che, d’accordo col Tesoro, speriamo di attuare – posso assicurare la Camera e gli onorevoli interroganti che nel frattempo si è cercato di fare il possibile per raggiungere e completare la pianta organica di Catanzaro.

Difatti, alla Corte d’appello, su cinque presidenti di Sezione, adesso nell’organizzazione possiamo dire di averne messi quattro, quindi mancherebbe soltanto uno.

Circa i consiglieri, che effettivamente erano soltanto undici quando gli interroganti hanno presentato le loro richieste, ne sono stati aggiunti altri sette, in modo che oggi la deficienza sarebbe soltanto di due.

Se considerate che in tutte le Corti d’appello esistono queste deficienze, potrete rilevare come alla Corte di appello di Catanzaro tale deficienza sarebbe soltanto di due magistrati. Quindi mi pare che abbiamo quasi raggiunto l’organizzazione necessaria.

Per quanto si riferisce alla Procura generale, c’era un solo sostituto. Adesso un sostituto è stato applicato con provvedimento in corso e il Procuratore generale ha provveduto applicando tre pretori, in modo che l’organizzazione è stata messa a posto.

Circa il lavoro della Sezione istruttoria, è da osservare che esso non può non risentire della lamentata deficienza di personale. Ma è anche da ricordare che, con provvedimento in data 5 ottobre 1945, si è aumentato il lavoro della Sezione, chiamata ad occuparsi dell’esame di tutti i provvedimenti di competenza della Corte di assise. In quella occasione non si curò di provvedere per un aumento del personale, sicché nelle sedi nelle quali esiste un notevole numero di cause di competenza di Assise, il lavoro si svolge con molta fatica e molta difficoltà. Questa è una questione che riguarda tutte le Corti d’appello, per cui, anche da questo punto di vista, ci stiamo sforzando di trovare il modo per completare gli organici attraverso un aumento dei posti di ruolo.

Circa il Tribunale, la pianta organica porta undici giudici e questa è al completo. Mancava il Primo Presidente; ma è stato provveduto con decreto in corso, destinandovi un Consigliere della Corte di appello di Venezia.

Inutile che dica che, data la situazione della Magistratura, che tutti vogliamo indipendente, non è possibile muovere un magistrato da una sede ad un’altra. Queste richieste dobbiamo farle attraverso telegramma, per vedere se ci sono dei magistrati che desiderano essere trasferiti in una determinata sede; ma le difficoltà sono enormi, dato il desiderio dei magistrati di non muoversi, perché il trasferimento rappresenta un aggravio finanziario considerevole.

In ogni modo, abbiamo ottenuto, in questo momento, anche il trasferimento del Primo Presidente, dimodoché credo di aver fatto tutto il possibile per superare queste difficoltà contingenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Mancini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MANCINI. Io sono personalmente grato al Ministro di grazia e giustizia per quello che ha detto nella risposta alla mia interrogazione. Gli sono grato per le buone intenzioni che ha dimostrato di avere per l’avvenire e gli sono grato ancora per i provvedimenti che ha già attuato.

Devo però, mio malgrado, rettificare qualche cifra.

La Corte di Appello di Catanzaro, come ha detto lo stesso Ministro, si trova in una situazione particolare, cioè in una situazione diversa dalle altre Corti di Appello: tale da non poter funzionare.

Per la pianta stabile vi dovrebbero essere ventuno consiglieri, non diciotto. Or fa un mese ve n’erano soltanto 8; mancavano inoltre due Presidenti di Sezione, dei cinque in organico.

Quei consiglieri di cui parla l’onorevole Guardasigilli, non sono consiglieri effettivi, sono aggiunti giudiziari, cui è stata affidata la funzione di consiglieri.

Ora, ho detto al Ministro anche a voce, che non è possibile cominciare la carriera dall’alto e far diventare consiglieri quelli che raggiungeranno, forse che sì, forse che no, tale posto all’apice della carriera.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevole Mancini, questa era una situazione provvisoria, alla quale si è già provveduto.

MANCINI. Il Primo Presidente della Corte di Appello di Catanzaro è costretto a presiedere le udienze penali perché, se egli non le presiedesse, le udienze penali non si potrebbero tenere. Centinaia di processi di Corte d’assise si trovano in sezione istruttoria in attesa di definizione e nelle Corti d’assise si mandano come Presidenti semplici consiglieri, mentre, come consiglieri relatori, come suol dirsi, si mandano aggiunti giudiziari.

Ora, a me pare che, se un avvocato avesse vaghezza di eccepire l’incostituzionalità del collegio, ne avrebbe tutto il diritto. Io noto pertanto, onorevole Ministro, che, se la Calabria è purtroppo per tante e tante ben note trascuranze in condizioni di sfavore, non Il dovrebbe essere almeno per quanto concerne l’amministrazione della giustizia. E colgo l’occasione per far notare all’onorevole Guardasigilli che l’amministrazione della giustizia ha in Calabria gloriosissime tradizioni. Abbiamo avuto colà ed abbiamo magistrati i quali hanno vissuto in Calabria, nei tribunali della Calabria hanno svolto la loro carriera e sono giunti ai più alti gradi. Ora ad una situazione così grave si potrebbe rimediare, offrendo ai giudici del luogo la sede di Catanzaro. Ma che dirvi se l’onorevole Ministro ha detto: è una situazione particolare, è una situazione grave. Ora si provveda dunque, onorevole Ministro. (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LUCIFERO. Signor Presidente, se le interrogazioni avessero soltanto il fine di permettere di ascoltare quelle che sono le intenzioni di un Ministro, o di far sapere ai propri elettori che ci si è occupati di un determinato problema, io potrei dichiararmi sodisfatto, specialmente per la prima parte, perché so quanto sia grande la buona volontà che l’onorevole Ministro Grassi pone nell’espletamento del suo non facile compito.

Ma la questione è che, quando io sento ripetere certe frasi, non posso non preoccuparmi enormemente. Ha detto, infatti, l’onorevole Ministro: siamo in un periodo di transizione, la situazione è provvisoria. Orbene, è questo proprio che mi preoccupa: non c’è nulla in Italia che sia così duraturo come le situazioni provvisorie; ed io temo che anche questa situazione sia una di quelle situazioni provvisorie che sono, di fatto, definitivamente provvisorie.

Il Ministro ha detto che ha provveduto ad inviare degli altri applicati alla Corte d’appello di Catanzaro e a mandarvi anche dei presidenti di sezione. Ora, è appunto questo che mi lascia perplesso, perché io non vorrei che con questo egli avesse consolidato una situazione, giacché è evidente che uno degli inconvenienti di non funzionalità della Corte si verifica proprio e soltanto là dove la Corte funziona.

Qui si arriva all’assurdo che degli aggiunti di tribunale debbano, in sede di appello, rivedere le sentenze che sono state estese dal loro presidente. I tribunali sono senza presidente. Il tribunale di Crotone, ad esempio, è presieduto dal pretore, il quale naturalmente lo presiede con la tecnica e con la mentalità del pretore, che è ben diversa da quella del magistrato collegiale.

Io richiamo, quindi, l’attenzione dell’onorevole Ministro su questa situazione, che riveste indiscutibilmente un carattere di particolare gravità. Io spero ad ogni modo che tutto quanto egli ha detto di fare sulla carta debba un bel giorno avvenire nella realtà.

Io avverto però l’onorevole Ministro che un bel giorno si sentirà dire che, data quella situazione particolare – come lui l’ha chiamata – della Corte d’appello di Catanzaro, sarebbe opportuno staccare dalla competenza della Corte di appello di Catanzaro alcuni tribunali, per aggregarli ad una Sezione staccata della Corte di appello di Catanzaro, che si trova a Reggio Calabria. Si ricordi l’onorevole Ministro Guardasigilli che la situazione dell’organizzazione della giustizia in Calabria è quanto di più inorganico possa esistere, e che questa permanenza dell’inorganicità provvisoria potrebbe servire domani di pretesto per cercare di scompaginare completamente l’organizzazione dell’amministrazione.

Quindi, vi è un doppio problema, sul quale io richiamo l’attenzione del Guardasigilli: quello di rimettere in ordine il funzionamento della giustizia in Calabria, e quello di badare che questo difetto di funzionamento, che perdura da tanto tempo, non possa domani servire per perfezionare la disorganizzazione della giustizia nella circoscrizione calabrese.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Forse la mia risposta non è stata sufficientemente chiara su questo punto, ma io volevo assicurare i due onorevoli interroganti che ho fatto di tutto per mettere le cose a posto, nei limiti del possibile.

LUCIFERO. Siamo d’accordo; ma abbiamo paura proprio di questi limiti.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Non si tratta di una situazione provvisoria. Dicevo che, nell’attuale situazione, data la deficienza generale dell’organico, si è fatto tutto il possibile per mettere a posto la Corte d’appello e il tribunale di Catanzaro. Quelli che abbiamo applicato adesso, per raggiungere il massimo della pianta organica, sono magistrati che hanno una specie di retribuzione giornaliera per la disagiata residenza e le difficoltà in cui si trovano: credo che abbiano mille lire al giorno. Noi l’abbiamo fatto appositamente per rendere possibile a questi magistrati di raggiungere la sede di Catanzaro e di espletare le loro funzioni.

E dico all’onorevole Mancini che è inutile che io ricordi a lui che sono un meridionale e che desidero, quindi, che questa Corte di appello funzioni bene; ma io penso che lo avesse desiderato anche il mio predecessore, che è proprio della Provincia, della circoscrizione della Corte di appello di Catanzaro. E se a lui non è riuscito possibile, mi pare che ciò non possa essere attribuito a cattiva volontà da parte del Ministro. Io ho creduto di superare anche gli sforzi che il mio predecessore ha fatto, e spero con questo ultimo provvedimento di poter mettere la Corte di appello e il tribunale di Catanzaro in grado di poter funzionare degnamente, come tutte le Corti di appello e i tribunali d’Italia.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pertini, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere: 1°) se corrisponde alla verità la notizia data da un quotidiano di Roma e secondo la quale agenti di custodia delle carceri di Poggioreale (Napoli) avrebbero brutalmente seviziato e percosso detenuti, causando la morte di uno di essi; 2°) nel caso che detta notizia sia vera, quali provvedimenti intenda prendere, perché finalmente venga posto termine a questi atti disumani, veri reati, che se, come è ovvio, potevano impunemente essere consumati sotto il fascismo, sarebbe inconcepibile si continuasse a tollerarli anche nel nuovo regime democratico, il quale deve sentire, fra l’altro, l’altissimo compito di far rispettare la persona umana».

Sullo stesso argomento sono state presentate le seguenti interrogazioni:

Calosso, al Ministro di grazia e giustizia «per sapere se risponde a verità la notizia data dal giornale l’Umanità sui fatti delle carceri di Poggioreale; e quali provvedimenti di ordine generale intenda prendere per difendere il cittadino dagli arbitrii della polizia»;

Salerno, Leone Giovanni, Riccio Stefano, al Ministro di grazia e giustizia, «perché dia chiari riferimenti su quanto la stampa vien pubblicando circa sevizie e maltrattamenti che sarebbero stati inflitti a detenuti nel carcere di Poggioreale di Napoli, e per sapere se, in vista di siffatti avvenimenti, non creda di impartire istruzioni intese a rafforzare il potere di controllo sulle carceri da parte dell’autorità giudiziaria e di organi ausiliari e di ripristinare il diritto di accesso dei membri del Parlamento negli Istituti di pena»;

Persico, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere: a) quali risultati positivi abbia dato l’inchiesta su quanto è accaduto nel carcere giudiziario di Poggioreale di Napoli e quali provvedimenti siano stati presi al riguardo. Ciò anche in relazione alle pubblicazioni fatte sul giornale L’Umanità e sul n. 32 del 10 agosto della rivista L’Europeo; b) se si sia indagato sulla sussistenza dei gravi fatti denunciati dal giornale Avanti! del 7 agosto, come avvenuti nel carcere giudiziario di «Regina Coeli» di Roma».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io intendo rispondere a tutti gli onorevoli interroganti sulla questione che si imposta su un unico fatto, ma che può essere anche questione di ordine generale.

Prima che nella seconda quindicina del luglio scorso alcuni giornali di Napoli e della capitale – come L’Umanità – si occupassero dei fatti di Poggioreale (Napoli), erano pervenute al nostro Ministero voci e scritti anonimi che denunciavano irregolarità in quelle carceri giudiziarie, circa maltrattamenti che sarebbero stati inferti a detenuti.

In base a tali notizie, il Ministero, oltre alle normali visite che sono stabilite dal regio decreto 18 giugno 1931 (ossia una ispezione del giudice di sorveglianza ogni due mesi e del Procuratore della Repubblica ogni mese), dispose visite d’ispezione da parte dei nostri ispettori della Direzione generale degli istituti penitenziari.

In seguito a queste ispezioni venne ritenuto opportuno procedere ad una severa inchiesta, che venne affidata al Procuratore della Repubblica di Napoli.

Ai fatti che vennero appurati dall’inchiesta, venne data larga pubblicità dai giornali, che se ne impossessarono e che diedero le notizie a voi tutti note.

Infatti, dall’inchiesta – svoltasi col massimo rigore – è risultato che manchevolezze c’erano e gravi. Esse non rivestivano quel carattere di generalità che la stampa attribuiva loro, perché la maggior parte del personale adempie ai suoi compiti, a Napoli come altrove, con correttezza, senso di umanità e spirito di sacrificio. Ma bisogna anche tener presente che è difficile evitare inconvenienti nel funzionamento degli istituti di pena, quando in un carcere come quello di Poggioreale, della capienza di 1.500 detenuti, si trovavano allora e si trovano tuttora quasi 4000 persone.

Questa difficoltà di governo e di funzionamento di istituti, che sono rigurgitanti di detenuti rispetto alla capienza dell’edificio, può dar luogo, ed anche giustificare fino a un certo punto, alcune posizioni e alcune situazioni di inconvenienza che si sono verificate.

Però non è mai ammissibile che a detenuti vengano inferte percosse e si usino maltrattamenti; tanto peggio, poi, se da questi possono derivare direttamente od indirettamente conseguenze letali.

Dall’inchiesta risultò che un detenuto sarebbe deceduto a seguito di maltrattamenti subiti. Su questo punto gravissimo non mi pare che io in questo momento debba dare notizie più dettagliate, perché mi si impone ancora il riserbo, dato che non è chiusa l’istruttoria penale presso l’autorità giudiziaria di Napoli.

È rimasto però accertato che, a prescindere dal fatto più grave, anche a parecchi detenuti, che erano stati costretti nelle celle di punizione, ed ivi inviati per motivi irrilevanti, erano state inflitte bastonature e percosse ad opera degli agenti di custodia addetti a dette celle, i quali si facevano coadiuvare nell’azione da un detenuto molto nerboruto. Secondo gli accertamenti che furono poi compiuti, trattasi, è vero, di episodi isolati rispetto alla massa dei 4000 detenuti che si trovano a Poggioreale, ma ad ogni modo non si possono che deplorare vivamente da parte del Governo e da parte dell’Assemblea. Perciò, appena io ebbi conoscenza dei risultati dell’inchiesta e prima ancora della segnalazione della stampa, provvidi ad inviare sul posto il Direttore generale per gli istituti di prevenzione e pena, per adottare i provvedimenti necessari, lasciando all’autorità giudiziaria il procedimento penale e, quindi, quello disciplinare, connesso col primo, contro i cinque agenti di custodia addetti alle celle di punizioni, autori delle violenze e contro il detenuto che vi concorse. Disposi l’immediato trasferimento di detti agenti ad altri istituti carcerari con la cessazione della loro funzione.

Sia per tali fatti, sia per altre deficienze, emerse dall’inchiesta, rispetto a quello che è il governo generale dei detenuti e vigilanza dei servizi, provvidi ad allontanare dallo stabilimento il maresciallo comandante degli agenti e a trasferire il Direttore Bonomi ad altro istituto. L’inchiesta affidata all’autorità giudiziaria non è ancora chiusa. Con la nuova Direzione e con le disposizioni adottate posso assicurare gli interroganti e l’Assemblea che le condizioni dei detenuti a Poggioreale sono divenute normali, malgrado il continuo affollamento di quell’istituto.

Intanto, mi preme assicurare che episodi come quelli verificatisi a Poggioreale sono del tutto eccezionali e che il corpo degli agenti attende con senso di disciplina e comprensione, al pari dei funzionari amministrativi, dei medici e dei cappellani che hanno il governo dell’istituto carcerario, al delicato compito sociale ed umano che è ad essi affidato.

Ho già detto come si svolge il controllo delle carceri.

Il Ministero oltre i provvedimenti già esistenti nell’ordinamento carcerario ha allo studio proposte per intensificare il servizio di sorveglianza, aumentando il numero degli ispettori, che sono oggi pochissimi rispetto al numero di circa 290 istituti penitenziari che oggi abbiamo, e per rendere più frequenti le visite dei giudici sorveglianti.

Aggiungo all’onorevole Calosso, che lo domandava, che per l’articolo 56 del Regolamento penitenziario, i membri del Parlamento hanno diritto di visitare gli stabilimenti carcerari senza bisogno di alcun permesso di un magistrato o del Ministero.

Queste sono le condizioni dei fatti e dei provvedimenti presi in seguito agli incidenti che nel luglio scorso si verificarono nelle carceri di Poggioreale di Napoli.

Colgo l’occasione, malgrado si tratti di una semplice interrogazione, per dire all’Assemblea che mi preoccupo e il mio Ministero si preoccupa di rendere più umano il trattamento per i detenuti, sia dal punto di vista alimentare (ho disposto un miglioramento delle tabelle alimentari e attendo dal Tesoro la cifra necessaria per poterlo mettere in attuazione) sia dal punto di vista igienico.

Si cerca, nelle trasformazioni carcerarie, di adottare tutte le provvidenze atte a rendere più igienica la vita dei detenuti.

Dove facciamo nuove istallazioni cerchiamo di mettere bagni e acqua corrente, in modo da rendere più umana la vita di quei disgraziati che vi sono ricoverati.

Inoltre si cerca anche di far qualcosa dal punto di vista spirituale e per l’elevazione dei detenuti, con conferenze e con l’ausilio, ove possibile, della radio.

Ma soprattutto nel lavoro, io credo che dobbiamo trovare la spinta per la loro rieducazione.

Torno da un Congresso tenutosi a San Remo sulla difesa sociale, in cui sono intervenuti rappresentanti delle diverse Nazioni e a cui hanno partecipato molti studiosi di criminologia. Vengo da questo ambiente e porto con me, profondamente, il senso di umanità col quale dobbiamo cercare di rendere quanto meno penosa possibile l’esistenza dei detenuti durante il periodo di segregazione, cercando con il lavoro di educare questa gente e di redimerla per la vita sociale.

PRESIDENTE. L’onorevole Pertini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PERTINI. Io non posso dichiararmi sodisfatto della risposta datami dal Ministro Guardasigilli. Il Ministro Guardasigilli ha detto che i giornali che hanno riportato le notizie degli avvenimenti di Poggioreale hanno esagerato. Non mi pare che abbiano esagerato. Anzi, signor Ministro, vorrei dire che lei ha aggiunto qualche cosa di più grave che invece non è stato riferito dai giornali il 22 luglio. Ho qui il Momento Sera che parla di un morto fra i detenuti di Poggioreale per le percosse delle guardie carcerarie. Parla di un altro detenuto che è stato trovato fra due materassi in istato quasi di soffocamento, e parla di altri detenuti percossi. È quello che lei ha detto qui, rispondendo alla nostra interrogazione. Questo vuol dire che i giornali, riportando le notizie degli avvenimenti, non hanno esagerato.

Il Procuratore della Repubblica, subito dopo il fatto avvenuto a Poggioreale, ha tenuto una conferenza stampa. Con una certa leggerezza, oserei dire, il magistrato ha detto che gli episodi avvenuti sono sporadici e non rivestono alcun carattere di gravità. Ma c’era un morto! Ma cosa voleva, che si ammazzassero tutti i detenuti di Poggioreale perché i fatti rivestissero una certa gravità? Lei stesso ha detto: dato il numero di detenuti, il fatto non riveste una certa gravità. Per me è già grave che ci sia stato un morto e che la morte sia stata causata da percosse inferte dalle guardie carcerarie! Per me basta questo. Ma, comunque, onorevole Ministro, non è vero che gli episodi di Poggioreale siano sporadici, perché chissà che cosa succede tra le mura delle carceri d’Italia. Noi non lo sappiamo. Noi sappiamo qualche cosa quando, per qualche caso eccezionale, la notizia vien fuori, e vien fuori attraverso quei disgraziati che riescono a far pervenire quelle lettere che lei ha ricevuto. Ma dall’ergastolo di Santo Stefano, dall’ergastolo di Porto Longone lei non sente nessuna notizia, perché laggiù la sorveglianza è tale che chi tenta far pervenire notizie fuori, vien tolto di mezzo. E parlo per esperienza personale. Sarebbe bene che il posto di Ministro della giustizia fosse occupato da uomini politici che, fra le altre esperienze, avessero anche una esperienza di carattere carcerario. Sarebbe bene che fosse gente che avesse fatto qualche anno in carcere e che avesse questa esperienza. In carcere, onorevole Ministro, si fa questo: si percuote un detenuto; sotto le percosse il detenuto muore, ed allora tutti si preoccupano e si preoccupano non soltanto gli agenti di custodia che hanno percosso il detenuto, ma anche il direttore, il medico, il cappellano e tutti coloro che fanno parte del personale di custodia. Ed allora fanno questo: denudano il detenuto, lo legano all’inferriata e lo fanno trovare così appeso. Viene il medico e fa il referto di morte per suicidio. Questa fu la fine di Bresci. Bresci è stato percosso a morte, poi hanno appeso il cadavere all’inferriata della sua cella di Santo Stefano, dove io sono stato un anno e mezzo. Comunque, dopo questi episodi di Poggioreale non è vero che non si siano verificati altri episodi, onorevole Ministro. Si sono verificati episodi simili nel carcere di Procida. Due detenuti hanno tentato di evadere e nel tentativo di evasione vennero ripresi. Un detenuto si è ferito gravemente ed è lasciato morire. Non deve stupire questo, perché appena le guardie carcerarie riescono a mettere le mani addosso ai detenuti che hanno tentato di fuggire, questi difficilmente si salvano dalla loro ira.

Vi è stata una protesta di tutti i detenuti di Procida, che hanno fatto l’ammutinamento, rifiutando il cibo. Quando nelle carceri si fanno questi ammutinamenti, vuol dire che qualche cosa di serio è avvenuto.

Vi sono stati poi gli episodi denunciati dalla Voce Repubblicana, avvenuti a «Regina Coeli». Risulta che sono stati ricoverati nell’infermeria dei tubercolosi, e non sono stati curati. Parecchi di questi tubercolosi sono morti perché presi dall’emottisi. Chi è stato nel Sanatorio di Pianosa sa che cosa significa questo. Se uno non viene portato immediatamente al pronto soccorso, l’emottisi continua e si ha la morte. Hanno ritardato a portare i detenuti al pronto soccorso, hanno ritardato a chiamare il medico; e due o tre detenuti sono morti. Potrei citare altri episodi: la catena sarebbe molto lunga. Certo è che gli episodi di Poggioreale non sono i soli. Che cosa ha detto lei, onorevole Ministro? Mi pare che abbia detto che sono stati presi provvedimenti e i responsabili sono stati messi sotto processo; anche Vincenzo Abate, cioè il detenuto che percuoteva, col consenso delle guardie carcerarie. Comunque, voglio aggiungere questo e sono sicuro di non sbagliarmi: probabilmente le guardie carcerarie saranno assolte in istruttoria. Questo è sempre accaduto. Poiché noi abbiamo fatto la dolorosa esperienza del carcere, valiamoci di questa esperienza.

Al carcere di Pianosa un giorno sono intervenuto a favore di un detenuto comune, percosso da dodici guardie carcerarie, detenuto che sanguinante era ormai caduto a terra svenuto. Dietro il mio intervento, finalmente le guardie carcerarie smisero di percuotere il detenuto. Io protestai, e il direttore voleva mettere le cose a tacere, data la connivenza che c’è fra il direttore e le guardie carcerarie.

Dopo aver insistito, venne il giudice di sorveglianza, il quale cercò anch’egli di mettere le cose a tacere. Tra le altre cose, perché io desistessi dalla mia tenacia di voler denunciare la guardia, mi disse: «Caro Pertini, il detenuto che è stato percosso è un delinquente!». Non m’interessa! Anche se io sapessi che questo uomo domani, incontrandomi, volesse usare la sua violenza contro di me, sento il dovere di difenderlo. È un «figlio di mamma» anche lui, come si dice nell’Italia meridionale; e deve essere rispettato. (Applausi). Sentito questo, il giudice di sorveglianza ha detto: «Vedremo». È venuto allora il Procuratore del Re di Livorno, il quale, dopo avermi ascoltato, decise di denunciare le guardie. Le guardie sono state denunciate; poi, in istruttoria, sono state tutte assolte. Sono stati invece denunciati il detenuto ed il sottoscritto. Io mi sono preso, oltre la condanna del tribunale speciale, alri 9 mesi per avere difeso questo detenuto percosso da dodici guardie carcerarie. Tutto questo è una farsa, una burletta; e sappiamo che si verifica in tutte le carceri d’Italia.

Il Ministro ha detto di aver adottato il provvedimento di trasferimento di quelle guardie carcerarie. Ritiene il Ministro di avere risolto il problema col trasferimento. Quelle guardie andranno a fare in altre carceri quello che hanno fatto nelle carceri di Poggioreale.

Una voce. Sospesi dal servizio.

PERTINI. Sospesi dal servizio, perché sono sotto giudizio. C’è un abuso di ufficio. Bisogna che questa gente sappia che, quando c’è abuso di ufficio, non si salvano con l’omertà o la connivenza; bisogna colpirli dal lato economico ed allontanarli dall’ufficio.

Il caso di Vincenzo Abate non è isolato.

Coloro che cercano di suscitare tali atti di violenza in questi detenuti, che dovrebbero essere rieducati, sono veramente dei miserabili.

Questi disgraziati nel gergo carcerario vengono chiamati «mozzi». Ce ne sono nelle carceri di Santo Stefano ed in quelle di Portolongone. Costoro ricevono dalle guardie, in compenso della loro violenza, qualche pagnotta o qualche sigaretta. Soltanto per questo quei detenuti, abbrutiti dall’ambiente, fisicamente e moralmente, finiscono per scendere così in basso, da servirsi della loro forza fisica, che mettono a disposizione delle guardie percuotendo i loro compagni di carcere. Questo avviene in tutte le carceri. Per lo meno in quelle nelle quali io sono stato condotto, ho sempre sentito queste lagnanze da parte dei compagni di pena. Il Ministro ha detto di avere ordinato delle ispezioni.

Ora, ci sono ispezioni ordinarie, quelle del giudice di sorveglianza, ed ispezioni straordinarie, fatte per ordine del Ministro dagli ispettori generali.

Sapete come avvengono queste ispezioni? Il Ministro mi ha detto, dopo la mia protesta fatta altra volta, di essersi recato subito a Regina Coeli. Prendo atto di questo. Ma il Ministro chi ha interrogato? Egli ha interrogato il direttore, il capo guardia, forse anche il cappellano. Naturalmente costoro avranno detto che tutto andava bene. Non è costoro che bisogna interrogare; bisogna interrogare i detenuti, non in presenza del capo guardia o del direttore; perché, se il detenuto ha qualcosa da dire, in presenza di quella gente non la dice. Le ispezioni vanno fatte in altro modo. Il Ministro dovrebbe farle fare da persone, come noi, che sanno dove andare e cosa devono chiedere: cioè andare alle celle di punizione, per vedere come ci si sta e per quali ragioni ci si trova dentro. Si senta pure, per un atto di cortesia o per riguardo, il direttore delle carceri o il comandante delle guardie ed il cappellano; ma bisogna sentire sovrattutto i detenuti e non mettere a verbale altro che quanto è stato detto dai detenuti. Se le ispezioni fossero eseguite in questo modo, si verrebbero a scoprire fatti simili a quelli accaduti a Poggioreale. Lei ha parlato di quella che sarebbe una riforma di carattere carcerario. Il fascismo fece qualcosa del genere.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PERTINI. Io ho letto qualcosa sulla riforma carceraria fatta sotto il Ministro Rocco, quando Direttore generale delle carceri era Novelli. Ebbene c’è la relazione di Novelli che va letta con grande attenzione. Leggendola si resta stupiti: le guardie carcerarie dovrebbero essere chiamate non più guardie carcerarie, ma precettori ed istitutori, in quanto le carceri vanno considerate come posti di rieducazione fisica e morale. È la teoria, di cui forse ci parlerà l’amico Persico, della scuola positivista. La relazione di Novelli diceva che la galera non era un posto di pena e che la pena non andava considerata come fine a se stessa, ma le carceri erano dei posti di rieducazione. Sotto il fascismo abbiamo avuto l’episodio famoso di Perugia, in cui Gastone Sozzi è stato ucciso così, con i clisteri di tintura di iodio e Rocco Pugliese venne soppresso all’ergastolo di Santo Stefano, quando io ero lì, al letto di forza. Vi sono tanti altri di questi episodi, i quali dimostrano che questa riforma non è stata applicata. Ma io non mi stupisco che una tale riforma il fascismo non abbia realizzata; mi meraviglierei, se mai, del contrario. Il fascismo era un movimento di violenza e non poteva logicamente evitare che si compissero atti di violenza, soprattutto quando questi erano consumati in danno di detenuti politici. C’era un’omertà, la quale arrivava fino alle ultime guardie carcerarie. Ma io mi stupisco che questo avvenga nella nostra Repubblica, in pieno regime democratico.

Noi questo non dobbiamo permettere nel modo più assoluto e dobbiamo far sì che la riforma si compia soprattutto in questo senso e che non resti lettera morta sulla carta. Bisogna che lei, onorevole Ministro, e tutto il Governo, cerchi di trasfondere in chi è preposto alla sorveglianza delle carceri il rispetto della persona umana, di qualsiasi detenuto. Su questo voglio insistere: alle guardie carcerarie non deve interessare il reato di cui il detenuto si è reso colpevole; questo reato ha interessato il giudice. Il detenuto, dal momento che gli è stata inflitta una condanna e che si trova in carcere, non deve rispondere che alla propria coscienza e a Dio, se vi crede, non alle guardie carcerarie. Esse devono vederlo semplicemente come un uomo e come tale va rispettato. Questo vale non soltanto per quanto avviene nella carceri, ma per tutto quanto accade nella vita civile del popolo italiano. Oggi la persona umana non è rispettata. Questo lo si deve al fascismo, che ha fatto della violenza una norma di vita del popolo italiano; lo si deve anche alla guerra che, come tutte le guerre – e noi lo sappiamo e per questo le combattiamo con tanta tenacia – ridesta gli istinti primordiali e la bestia trionfa sull’uomo. Appunto per questo, se noi vogliamo veramente rinnovare il costume morale e politico del popolo italiano, dobbiamo far di tutto perché la persona umana debba essere rispettata. Questo concetto deve stare alla base della Repubblica e della democrazia e questo concetto deve esser tutelato dalla legge. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Osservo che questi argomenti di grandissima importanza meritano una discussione a fondo. Ripeto quanto ebbi occasione di dire in un’altra seduta: si facciano interpellanze e si svolgano ampiamente questi temi.

PERTINI. Noi non abbiamo fatto che modeste richieste.

PRESIDENTE. Credo che molti abbiano l’impressione che noi ci occupiamo così, en passant, di cose tanto importanti.

L’onorevole Calosso ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CALOSSO. Mi manterrò nei limiti dell’interrogazione e dirò poche parole.

Per quanto concerne la prima parte della mia interrogazione l’onorevole Guardasigilli ha risposto perfettamente; ma non alla seconda, che era in fondo quella che mi interessava di più.

Non era tanto Poggioreale; io domandavo quali provvedimenti di ordine generale intendesse prendere. Ora, come ha suggerito anche l’onorevole Pertini, dato che abbiamo una tradizione secolare di polizia ed anche possiamo dire, attraverso il fascismo, di viltà nelle nostre ossa, questo è un problema importante.

Da quando sono tornato in Italia, una sola volta, per caso, sono stato in polizia, e mentre ero lì, alla porta, quelli che interrogavano, stavano bastonando due persone. Si tratta, a mio avviso, non tanto di interessarsi di Poggioreale – che è importante egualmente – ma di stabilire che cosa si vuol fare. Ora, dato che colui che è punito deve essere redento (questo è il concetto a cui ubbidiamo), si dovrebbe dare allo stesso carcerato una rappresentanza democratica (Interruzioni a destra), poiché bisogna concepire il carcerato non come un individuò totalmente fuori del mondo, ma come una persona che ha i suoi diritti, meno quelli che il giudice gli ha tolto.

Quindi, penso che dei Consigli di gestione consultivi o qualcosa di simile potrebbero essere applicati ai carcerati. (Commenti). E questi Consigli di gestione consultivi dovrebbero essere ancorati non certo al potere esecutivo, ma alla Camera per esempio, che ha tanti uomini, come l’onorevole Pertini, che conoscono in pratica che cosa è il carcere. Oppure, si potrebbero ancorare alla Confederazione del lavoro, poiché sono i lavoratori in genere che danno alle carceri il maggior numero dei loro clienti; si potrebbero ancorare all’Azione cattolica, la quale, innegabilmente, ha una missione. (Commenti). In questo modo si avrebbe una vera e propria garanzia.

Questo servirebbe poi alla polizia, perché la polizia deve potere agire con forza ed energia, in ogni caso in cui è necessario. Non dobbiamo esautorare la polizia, perché questo sarebbe il metodo peggiore.

Credo che la democrazia repubblicana potrebbe risolvere questo problema.

PRESIDENTE. L’onorevole Salerno ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SALERNO. Non metto in dubbio che l’onorevole Guardasigilli abbia fatto tutto quanto era possibile per venire a capo delle responsabilità riguardanti i fatti, innegabilmente gravi, verificatisi nel carcere di Poggioreale. E non metto in dubbio che abbia, con opportunità, disposto l’invio di un inquirente, che l’inchiesta sia stata condotta con zelo, e che siano stati sottoposti a procedimento penale gli autori di questi fatti, ma la mia interrogazione, per la verità, vorrebbe contenersi entro confini pratici, ed infatti essa tende a sapere se non sia il caso di apprestare le provvidenze necessarie per rendere meno frequenti fatti così gravi come quelli lamentati. Il Ministro di grazia e giustizia ha lasciato comprendere che si tratta di fatti sporadici e isolati. A me pare che siano sporadici e isolati, soltanto perché sporadicamente giungono a nostra conoscenza; ma ce ne sono molti che sfuggono probabilmente alla notorietà e si verificano tuttavia, onde bisogna riconoscere che non sono né rari né infrequenti, tanto più che io collego a fatti come questi – consistenti in sevizie e maltrattamenti – quelli riguardanti il disservizio delle carceri, come si è verificato per il carcere di Sant’Efremo a Napoli, dal quale recentemente nove pericolosissimi delinquenti sono evasi, dopo essersi colluttati con alcuni agenti carcerari. E ricordo che poco tempo fa anche l’onorevole Pertini lamentava in quest’Aula altri fatti della stessa gravità degli attuali, avvenuti nel carcere di Regina Coeli. Bisogna, pertanto, concludere che fatti gravi del genere si verificano con una certa frequenza.

Per quanto riguarda le provvidenze da adottare, è innegabile che il problema, per essere ampiamente trattato ci farebbe straripare, sicché andremmo certamente molto lontano ed entreremmo in argomenti vasti come oceani; però io credo che per il momento si possa pur dire qualche cosa di concreto.

Io sono certamente dell’opinione dell’onorevole Pertini, che cioè sarebbe molto bello trasfondere in ogni agente di custodia il sentimento del massimo rispetto della personabilità del detenuto. Questa è una espressione magnifica e sarebbe bellissimo che gli agenti di custodia fossero addirittura dei filantropi, fossero degli educatori. Ma se questa nobilissima aspirazione non può essere sempre realizzata, c’è però qualche organo che può e deve controllare il personale di custodia e vigilare sull’esecuzione delle condanne. Se non è sempre possibile suscitare nell’agente di custodia, con tutta la sua buona volontà, una coscienza filantropica ed educatrice, credo però che si debba potenziare la legge in virtù della quale l’autorità giudiziaria ha una funzione di controllo sul funzionamento delle carceri. È bene che questo controllo sia rafforzato da disposizioni interne e non si riduca a delle visite formali, pari a certe visite di filantropismo che talune dame fanno per le corsie degli ospedali, lasciandosi dietro la scia del loro profumo ed un sorriso fugace. È opportuno che siano visite aventi un carattere concreto, tali da mettere in evidenza la volontà di esercitare un controllo reale ed efficace.

È doveroso che, accanto alle inferriate delle prigioni, siano anche disposti dei cristalli trasparenti, in modo che si veda e si sappia come viene esercitata questa triste funzione demandata allo Stato, la funzione di punire e di emendare punendo. Si sappia però come essa viene compiuta, appunto per le gravi responsabilità e gli eventuali abusi che questa funzione può comportare.

Non intendo segnalare una deficienza della Magistratura, intendiamoci bene: e men che mai di quella napoletana. Intendo rilevare la necessità di rafforzare il potere di controllo con disposizioni magari interne, e ciò in omaggio alla Magistratura e non certo a detrazione di essa.

Sono poi contento, e ne ringrazio il Ministro, di aver sentito riconfermare dalla sua autorità una cosa che anch’io sapevo da tempo, ma che è stato bene ripetere in quest’Aula: che cioè il potere legislativo, e precisamente i suoi rappresentanti, hanno libertà di accesso nelle carceri e facoltà di controllo in questa triste funzione demandata allo Stato, la funzione di punire e di far soffrire.

Noi abbiamo detto a proposito della Costituzione, ed io ho sostenuto, che il potere legislativo e il potere giudiziario devono agire in utile contiguità. Credo che le disposizioni da me invocate non saranno inutili, né sarà inutile che i rappresentanti del popolo concorrano in quest’opera di vigilanza e di alta moralità. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PERSICO. Io ringrazio l’onorevole Guardasigilli di aver confermato con la sua precisa e severa risposta quello che i colleghi Pertini, Calosso, Salerno ed io avevamo affermato, in base a quanto risultava dalle inchieste molto esatte e molto accurate dei giornali l’Umanità, l’Europeo, l’Avanti ed altri, che hanno preso a cuore questa dolorosa questione.

Mi auguro che l’inchiesta compiuta darà i suoi risultati pratici, e spero che non avvenga quanto diceva poco fa, con esperta previggenza, l’amico Pertini, cioè che il processo contro i responsabili vada a finire in una bolla di sapone, come troppo spesso sono finiti simili processi.

Io ricordo un celebre processo della mia prima professione, quello dei così detti complici di Accinito, che finì con l’assoluzione di tutti gli imputati, fra i quali era il Direttore generale delle carceri.

Ma poiché il Ministro Guardasigilli ha voluto elevare il tono della sua risposta, mi si consenta molto brevemente e rapidamente di fare qualche accenno al regime carcerario italiano e alla auspicata riforma penitenziaria.

Il Guardasigilli, il 20 settembre di questo anno, rispondendo ad una mia interrogazione sul famoso caso del cosiddetto «pazzo in licenza», disse che già il suo predecessore aveva nominato una Commissione di studio per la riforma carceraria.

Non si tratta di formare un nuovo codice, si tratta di umanizzare il regime carcerario, di correggere quel Regolamento del 18 giugno 1931, che non è un capolavoro. È vero che il Guardasigilli Rocco, firmando la relazione estesa dal Direttore generale Novelli – che era un magistrato di grande valore – disse che quel regolamento sarebbe servito di modello a tutte le Nazioni civili, perché rappresentava veramente una delle più alte realizzazioni del regime. Tutto quello che faceva il regime, del resto, era eccezionale. Veramente il regolamento sarebbe stato abbastanza buono, ma bisogna vedere come in pratica si è applicato. In sostanza, è rimasto sulla carta. Nelle celle esiste un estratto del regolamento, che sta appeso ad un chiodo e si può leggere anche per passare il tempo, come ho fatto io, imparandolo quasi a memoria; ma ora occorre che la Commissione nominata risolva la questione rapidamente.

Ha detto il Guardasigilli che egli è stato al recente Congresso internazionale per lo studio della difesa sociale, tenuto a S. Remo; purtroppo a quel convegno non ho potuto partecipare, ma condivido le idee che vi sono state affermate. Oggi non si può più parlare di pena-castigo, di pena-espiazione della colpa o del male: questo concetto è superato. Oggi l’origine della delinquenza si deve ricercare in altre cause, nelle tare ereditarie, nelle insorgenze morbose, nelle condizioni ambientali e di famiglia, ecc.: non è più il delitto in sé che deve essere studiato, ma deve essere presa in considerazione la personalità del delinquente per adattarvi le sanzioni. È quindi tutto un nuovo criterio, al quale dobbiamo informare la nostra opera; è tutta una nuova organizzazione che si deve attuare, quella della difesa sociale. Il concetto della pena, del dolore, del castigo, che i penalisti classici ancora vorrebbero sostenere, per noi positivisti è invece completamente superato.

Ben diceva il professor Saporito, direttore del manicomio giudiziario di Aversa, in una lettera scrittami in questi giorni, che non vi dovranno essere più «penitenziari», ma «ospedali di criminalità». Bisognerà naturalmente incominciare con il rieducare gli stessi agenti di custodia. Non basta, infatti, che costoro siano efficienti, robusti, che abbiano la necessaria prestanza fisica, il necessario vigore: essi dovranno possedere al massimo le doti spirituali e morali, indispensabili per esercitare efficacemente il loro ufficio delicatissimo.

Anche dal punto di vista igienico, i luoghi di segregazione dovranno essere ben diversi da quelli attuali: non più quell’immondo «bugliolo» con le sue mefitiche esalazioni, non più quegli indecorosi giacigli popolati di insetti. Bisogna che la vita carceraria sia in primo luogo normale, quand’anche la si volesse ancora considerare sotto l’aspetto del castigo, secondo le vedute della scuola retribuzionistica.

Perché poi il carcerato deve diventare un numero, perché egli deve perdere il proprio nome? E perché poi deve vestire quella strana divisa a scacchi, o a righe? Saranno piccolezze, ma hanno pure il loro valore e il loro significato, soprattutto ove si pensi che noi dobbiamo tendere essenzialmente a ricuperare e a restituire redenti al consorzio sociale questi sventurati.

L’onorevole Guardasigilli ha detto poco anzi una cosa giustissima: vi è una medicina, quella del lavoro. Orbene, io ho ricevuto proprio oggi un giornale di Venezia che reca una corrispondenza da Padova, nella quale si narra come in quel reclusorio si faccia il pane, si costruiscano biciclette, si fabbrichino mobili e si esercitino molti utili mestieri. Onorevole Ministro, questa è la strada buona! Lei che ha tanto cuore, tanta bontà d’animo, esamini personalmente il problema, assista da vicino i lavori della Commissione che il suo predecessore ha costituito e che lei ha tanto opportunamente mantenuto, ne affretti la conclusione, ed il nuovo regolamento carcerario costituirà un titolo d’onore per la Repubblica e per la democrazia. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Faralli, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intende adottare contro coloro che, abusando delle proprie funzioni, si sono resi responsabili dell’arresto di un valoroso comandante partigiano capitano della polizia ausiliaria di Genova. Poiché il fatto ha generato un grave malessere d’ordine morale e civico, l’interrogante invoca una rigorosa inchiesta per chiarire le penombre che gli organi del Governo proiettano da qualche tempo sul movimento partigiano e sulle persone dei suoi eroici esponenti».

L’onorevole. Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’arresto di un capitano in attività di servizio della polizia ausiliaria, quale è quello dell’ex comandante partigiano Michele Campanella, cui si riferisce l’interrogazione, è davvero gravissimo. Dall’inchiesta, che al riguardo è stata subito iniziata, è risultato però che il giudice istruttore del tribunale di Alessandria, indagando in ordine a gravi rapine compiute nel 1946 in quella provincia, ebbe a ricercare, quale uno dei responsabili, certo Gino, che si diceva parimenti comandante partigiano.

Ora, il Campanella, quando appunto combatteva coi partigiani, aveva assunto il medesimo pseudonimo del ricercato; e di qui il mandato di cattura; in seguito al quale lo stesso Campanella fu accompagnato ad Alessandria da un ufficiale superiore del suo Corpo e subì trentadue confronti. Venne meno in tal modo, data la non identificazione col ricercato, ogni sospetto su di lui, così che egli riprese immediatamente servizio.

Da parte sua l’amministrazione provvedeva a tutelarne come meglio poteva il prestigio e a tutelare insieme il prestigio del Corpo. Intanto veniva iniziata l’inchiesta cui ho accennato e che ha dato le riferite risultanze; malgrado le quali, seri provvedimenti disciplinari sono stati subito presi, ad affermare una volta ancora la necessità per gli organi di polizia di osservare in ogni occasione le norme della più rigorosa cautela.

Ciò detto, mi consenta, però, l’onorevole interrogante, di protestare per l’ingiurioso sospetto che egli sembra voler gettare sul comportamento del Governo verso il movimento partigiano, ed i suoi esponenti, contraddetto dai fatti e più dalla risaputa coscienza che il Governo ha di tutti i valori morali, primo fra questi l’amore per il proprio Paese.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FARALLI. Mi consenta l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno di non essere completamente sodisfatto della risposta che egli ha dato a proposito dell’arresto del partigiano Gino; non perché io contesti al compagno di cospirazione, onorevole Marezza, la buona fede in quello che egli ha detto; sta di fatto, però, che di «Gini» nel movimento partigiano – e qui siamo molti partigiani in questo settore della Camera – ve ne erano a centinaia nelle nostre formazioni. Sta di fatto pure che il prefetto di Genova, che il questore di Genova si erano opposti all’arresto o al fermo del comandante Campanella; si erano opposti, adducendo fra l’altro che il Campanella, in due anni da che era comandante di una compagnia di polizia ausiliaria, non si era mai allontanato da Genova. Prescindendo, quindi, anche dalle capacità morali, dalla probità, dall’onestà del Campanella, vi erano dei dati inequivocabili su cui non poteva esservi dubbio.

Gli è, onorevole Sottosegretario per l’interno, che nel desiderio di colpire Gino non si pensava di arrestare il supposto capo di una banda di ladri, ma si voleva umiliare il partigiano, perché Gino aveva comandato la brigata «Severino», una delle più gloriose brigate garibaldine che avevano concorso alla liberazione di Genova. Ed è bene – giacché siamo in argomento – che ce lo ricordiamo noi partigiani e che lo ricordiamo un po’ anche ai signori colleghi della Camera, e qualche volta ai signori del Governo, come Genova sia stata una delle grandi città italiane che si è liberata da sola, senza gli inglesi e senza gli americani; s’è liberata da tedeschi e fascisti soltanto con le sue forze partigiane e con la forza indomita del suo popolo. (Applausi a sinistra).

Gino era un po’ il vessillifero dei partigiani genovesi; Gino aveva organizzato la polizia ausiliaria in perfetta disciplina; a Gino rispondevano tutti i militi della sua compagnia; Gino aveva portato un afflato di fraternità partigiana anche nelle compagnie di polizia. Gino, insomma, era il partigiano che aveva saputo dimostrare che, come in montagna si faceva la guerra per liberare la patria dai tedeschi e dai fascisti, così, nell’interno della vita civile, della vita pacifica del Paese, si poteva assolvere con perfetta consapevolezza il proprio dovere di soldati e di funzionari nel nome e per l’avvenire della nuova Italia.

Ebbene, quando il prefetto ed il questore fecero sapere al Procuratore della Repubblica di Alessandria che quel Gino che egli aveva richiesto non poteva essere il Gino che egli ricercava, il Procuratore della Repubblica, forse forte di un rapporto dell’Arma dei carabinieri, volle egualmente tradurre ad Alessandria il comandante Campanella. E non solo lo fece tradurre, ma, malgrado le testimonianze del prefetto e del questore, lo fece sottoporre ad un confronto con trentadue delinquenti arrestati che si trovavano nelle carceri di Alessandria. Lo ha detto lei, onorevole Sottosegretario!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non delinquenti, ma arrestati.

FARALLI. Comunque, trentadue individui arrestati perché supposti facenti parte di una banda di grassatori. Evidentemente, onorevole Sottosegretario, l’intenzione era quella di offuscare il movimento partigiano, di proiettare su di esso un’ombra con l’arresto di uno dei suoi elementi migliori quale facente parte di una associazione a delinquere. Era questa l’intenzione, se non palese nascosta tanto che tutto il popolo genovese si dichiarò pronto a battersi se da parte dell’Autorità giudiziaria non fosse stato rimesso in libertà il comandante Gino e non gli fosse stato restituito, assieme alla libertà, il riconoscimento di quella indiscutibile probità nota a tutti, autorità e popolo, a Genova e ad Alessandria!

Il Sottosegretario si rammarica che io abbia nella mia interrogazione, appalesato il dubbio sulla intenzione delle autorità governative di volere scalfire il movimento partigiano. Mi consenta l’onorevole Marazza, che è stato anche lui partigiano, mi consenta l’onorevole Marazza che conosce tutti i sacrifici che hanno fatto i partigiani: quando avvengono episodi di questo genere, evidentemente da qualche parte ci deve essere le volontà di adombrare la probità, l’onestà, la forza morale e civile del movimento partigiano!

Io avrei desiderato che il Governo avesse preso qualche provvedimento contro i responsabili di un sopruso di questa natura e non si fosse limitato a dire che è stata fatta una inchiesta e che il comandante Gino è stato rilasciato. Io avrei desiderato e con me lo avrebbero desiderato tutti i partigiani d’Italia, che il Governo avesse precisato che, quando si commettono errori come questo, non si è più degni di essere procuratori della Repubblica né comandanti di carabinieri, se comandante è quello che ha fatto il rapporto contro il capitano Campanella. E ricordi l’Assemblea, ricordi il Governo che il Gino che si ricercava è stato arrestato alcuni giorni fa assieme ai componenti della banda di grassatori. La questura di Genova ha dovuto emanare un comunicato, pubblicato dalla stampa, nel quale è detto che l’arrestato è un delinquente comune e non è partigiano!

Intanto, signori, contro i partigiani si era tentato di gettare un’ombra di discredito che avvelenava l’ambiente di tutti i volontari della libertà e anche un po’ il popolo italiano! Non sono perciò, sodisfatto, onorevole Marazza, della risposta che ella mi ha dato, perché avrei voluto che si fossero presi provvedimenti contro i responsabili di questi errori, perché sono errori che si ripetono troppo sovente, perché contro il movimento partigiano si è troppo infierito disconoscendo i suoi meriti e i suoi eroismi. Il movimento partigiano – si voglia o non si voglia – è una forza morale ed una forza civica: il movimento partigiano è oggi una forza che nessuno può contestare, perché deriva dal sacrificio, perché è quella forza che ha liberato l’Italia dal fascismo e dai tedeschi e che ha ridato un nuovo volto al nostro Paese e l’onore alla nostra bandiera.

PRESIDENTE. Onorevole Faralli, la prego, venga alla conclusione.

FARALLI. Ho finito onorevole Presidente. Del movimento partigiano se ne parla poco, si parla poco – troppo poco – di questo movimento a cui tutti dovremmo inchinarci perché è il movimento che ha ridonato all’Italia il suo onore, alla nostra bandiera il significato di fraterna solidarietà tra gli italiani. (Applausi a sinistra).

Onorevole Marazza, vecchio compagno di cospirazione, lo sa, è bene che lo sappiano tutti i signori del Governo, è bene che lo sappiano tutti gli onorevoli colleghi: il movimento partigiano non si scalfisce licenziando, come si sta facendo continuamente, i partigiani dalla polizia, non si scalfisce licenziando i partigiani dai posti cui erano stati chiamati dai comitati di liberazione; il movimento partigiano non si diminuisce se si allontana qualche esponente dai posti di responsabilità; il movimento partigiano, dicevo, è una forza viva di civismo e di lavoro.

Il movimento partigiano egregi amici è una fiamma che non si spegne. Il movimento partigiano caro Presidente è una fiamma alla quale tutte le notti migliaia e migliaia di morti e di eroi porta il tributo del proprio amore. Caro Marazza, onorevoli signori del Governo, il movimento partigiano è la fiamma che guida e guiderà il popolo italiano verso le sue lotte, verso le sue vittorie, per l’avvenire del nostro Paese. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Cartia, ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, «per conoscere quali provvedimenti intendano adottare rispettivamente nei confronti degli organi di polizia di Vittoria e del pretore di Vittoria, in relazione al loro passivo od ostruzionistico comportamento di fronte alla esplicita ed insistente richiesta dei dirigenti la Sezione del Partito socialista lavoratori italiani di Vittoria, diretta a conseguire la immediata reintegra nel possesso del locale della Sezione, dal quale sono stati spogliati con violenza e nottetempo dal barone Antonio Paternò di Vittoria, che ciò facendo ha commesso reato. Sta di fatto che il barone Paternò, locante del vano adibito a sede della Sezione del P.S.L.I, in Vittoria, pretendeva il rilascio del locale entro fine luglio e, anziché rivolgersi all’autorità giudiziaria, con la tradizionale mentalità baronale siciliana, provvide con suoi uomini (i non tramontati armigeri feudali) all’occupazione violenta dei locali. I dirigenti della Sezione del P.S.L.I., rispettosi della legalità democratica, desistendo dal primo impulso di farsi ragione direttamente, si sono rivolti alle autorità provinciali e locali, sollecitando l’immediato intervento della pubblica sicurezza per la reintegrazione del possesso delittuosamente violato, salvi in seguito gli apprezzamenti giudiziari di merito, e la pubblica sicurezza si è limitata a svolgere una inutile pratica burocratica, senza intervenire nei confronti del barone violatore della legge. Il pretore dal suo canto, investito del caso con regolare ricorso, mentre in un primo tempo, di fronte alla clamorosa notorietà del fatto delittuoso, disponeva la reintegrazione infra le ventiquattro ore nel possesso, successivamente e senza disporre nemmeno notifica, accettando un motivo di peregrina formalità inerente al contratto di locazione, e se mai discutibile in sede di merito, disponeva la sospensiva del precedente giusto ed opportuno provvedimento, in base al quale intanto, essendo trascorso invano il termine in esso fissato, gli iscritti alla Sezione procedevano alla diretta immissione in possesso. I fatti vanno apprezzati politicamente in relazione all’ambiente, perché la conclusione sostanziale che se ne trae è che in Sicilia ai baroni riesce sempre possibile usare prepotenze e violenze senza che contro di esse vi siano tempestivi ed opportuni interventi delle autorità, per quelle rapide riparazioni di giustizia, che sono essenziali alla fiducia nella democrazia».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Rispondo all’interrogazione dell’onorevole Cartia il quale ha consumato una intera pagina per farci sapere un fatto che è un piccolo episodio della vita locale.

Dalle informazioni e dal rapporto ricevuto si tratta di questo: che un tal barone Paternò di Vittoria dette in locazione per tre mesi un vano terraneo di un fabbricato della città di Vittoria all’avvocato Foti a titolo personale, ma con la destinazione a sede del Partito socialista dei lavoratori italiani, sezione locale, con l’impegno che alla scadenza avrebbe restituito questo locale che serviva al Paternò per deposito di derrate agricole.

Alla scadenza dei tre mesi il Paternò richiese il locale; non avendolo il Foti rilasciato, il Paternò, arbitrariamente, senza ricorrere all’autorità giudiziaria, con quella forma che l’onorevole interrogante dice di audacia baronale siciliana, prese il possesso, introducendo le carrubbe dei suoi fondi. Ne è seguito un procedimento civile ed un procedimento penale. Non è esatto che nessuno si sia occupato del Paternò, perché gli furono imposte le dimissioni dalla carica di conciliatore che aveva nel comune di Vittoria, e queste dimissioni furono richieste dall’autorità giudiziaria e furono accettate con decreto 20 settembre dal Primo Presidente della Corte di appello di Catania appunto per questo fatto arbitrario, perché non si doveva fare uso di violenza nell’esercizio delle proprie funzioni. Si è poi svolto nei suoi confronti anche un procedimento penale e dai telegrammi che ho ricevuto risulta che il giudizio sarà celebrato il 5 dicembre. Quindi non è esatto che alla violenza di questo signore siano state sorde le autorità locali, le quali, invece, hanno preso provvedimenti adeguati al suo atto di sopruso.

Per quanto riguarda la causa civile, noi ci rimettiamo all’autorità giudiziaria. C’è una causa civile di merito, una causa possessoria; il Pretore immise già in possesso la sezione del Partito socialisti dei lavoratori italiani e per quanto riguarda e l’azione possessoria e l’azione di merito, l’autorità giudiziaria deciderà, e su questo punto credo che l’interrogante potrà attendere con fiducia l’azione della giustizia, la quale nel Mezzogiorno, in Sicilia come in ogni parte d’Italia, cerca di adempiere pienamente il proprio dovere nei confronti di tutti i cittadini senza farsi influenzare né da caste né da autorità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Nulla ho da aggiungere a quanto è stato dichiarato dall’onorevole Ministro della giustizia.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CARTIA. Mi dichiaro parzialmente sodisfatto. Nei confronti del Ministro dell’interno la mia interrogazione cade, e devo dare atto anche che il Prefetto, sollecitato da me, intervenne prontamente e premurosamente. Ma qui c’è qualche cosa di più. Non è un problema di merito nell’amministrazione della giustizia: è un problema politico, e non è un piccolo episodio. In Sicilia ancora la nostra vita è fatta di piccoli episodi simili. Tutto quello che dice il Ministro va bene, ma i provvedimenti sono stati presi successivamente alla mia interrogazione. Io pregherei il Ministro di controllare le date. Si sono mosse le autorità, ma dopo l’interrogazione, ed in Sicilia non c’è un deputato per ogni paese che faccia una interrogazione per ogni episodio del genere per far funzionare le autorità. È una vecchia mentalità degli organi del Governo, sia pure per tradizione storica, di usar riguardi ai baroni. Questo barone di cui si discute non si rivolse all’autorità giudiziaria, ma pensò di farsi ragione da sé con uomini suoi e ricorrendo alla forza privata. È questo che non vuole entrare in testa a questi signori, che cioè l’autorità giudiziaria è fatta appunto per evitare l’esercizio della forza privata. Questo barone invadendo il locale, e facendosi giustizia da sé provoca una sezione di lavoratori socialisti senza tener conto di eventuali reazioni. Noi potevamo legittimamente rioccuparlo, quel locale, ma io ho detto: diamo noi una lezione democratica: rivolgiamoci all’autorità giudiziaria. La prefettura con piena comprensione ha agito dietro mio intervento. L’autorità giudiziaria agì in un primo tempo e ripiegò subito dopo revocando il provvedimento che l’opportunità e la legge imponevano. D’altra parte, il pretore, sul quale il Ministro non mi ha detto nulla, è imparentato con famiglie che non sono certo simpatizzanti verso quelli che hanno idee semplicemente evoluzionistiche ed è intimo del giudice conciliatore, che è quello stesso signore che ha commesso reato ricorrendo alla violenza.

Questo domando al Ministro che è anche un giurista: vero è che i locali della sezione sono stati locati ad personam all’avvocato Foti, ma per destinarli a sezione del Partito socialista lavoratori italiani. Il possesso è quindi, del rappresentante la sezione. Il pretore revocò il provvedimento di reimmissione in possesso del Segretario del Partito socialista lavoratori italiani per ragioni cavillose apprezzabili in sede di merito e lasciò nel possesso abusivo l’arbitrario occupante potendo determinare disordine pubblico, perché i lavoratori della sezione volevano rioccuparla con azione diretta.

Il pretore si mostra sensibile alle pressioni del colpevole, che, come ho detto, è anche il conciliatore. Ora domando: perché aspettare che ci sia un deputato che faccia una interrogazione e cerchi di muovere il Governo per riparare quello che può essere un piccolo episodio ma che, riportato alla mentalità siciliana, rivela un sistema? Ecco perché domandavo quali provvedimenti si intendono prendere. Il conciliatore è stato invitato a dimettersi, mentre invece doveva essere destituito. Per il pretore non è stato preso nessun provvedimento; ed io segnalo al Ministro di grazia e giustizia l’opportunità che quanto meno detto magistrato, imparentato a Vittoria e che ha mostrato incertezze di condotta apprezzabili come una sua debolezza ad influenze ambientali, sia destinato altrove.

Ripeto: sono parzialmente sodisfatto, ma attendo un provvedimento che restituisca ai cittadini di Vittoria la convinzione che quando i magistrati mostrano in una sede delle debolezze, possono anche cambiare aria. Sarebbe un provvedimento a difesa e tutela della democrazia, di cui in Sicilia c’è particolare bisogno. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Ministro dei trasporti, non potendo essere presente, ha pregato di rinviare le seguenti interrogazioni:

Sansone e Caso, al Ministro dei trasporti, «per conoscere per quali valide ragioni non debba effettuarsi la domenica il servizio dell’autolinea Napoli-Piedimonte d’Alife; il che costringe la popolazione di quella zona a servirsi di autolinee private che effettuano il servizio in concorrenza con la linea sovvenzionata»;

Cevolotto, Cianca, Lussu, al Ministro dei trasporti, «per conoscere in base a quali ragioni è stata concessa la carta gratuita di libera circolazione di prima classe sulla intera rete ferroviaria dello Stato al signor Giovanni Host Venturi, ex Ministro del regime fascista»;

Morini e Sampietro, al Ministro dei trasporti, «per sapere se si ha l’esatta sensazione della gravissima situazione cui si è ridotta la classe dei ferrovieri, trattenendo, sul mensile di ottobre, tutte le anticipazioni fatte nei mesi precedenti; e per chiedere che venga immediatamente corrisposta una nuova anticipazione – proporzionalmente minore al complesso di quelle rimborsate – da restituire ratealmente in quattro-cinque mesi».

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Sono molto sorpreso. Il signor Ministro tecnico dei trasporti crede di potere all’ultimo momento avvertire che non sarà presente, e di poter rinviare l’interrogazione. Il signor Ministro dei trasporti dovrebbe essere a disposizione dell’Assemblea. Agendo così, egli manca di riguardo non a me – il che non avrebbe nessuna importanza, né mi degnerei di rilevarlo – ma manca di riguardo all’Assemblea. Per questo, io protesto.

PRESIDENTE. La sua protesta sarà comunicata al Ministro dei trasporti.

A richiesta degli interroganti, sono rinviate le seguenti interrogazioni:

Varvaro, ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, «per sapere: 1°) se è a loro conoscenza che da quattro anni la popolazione di Montelepre è posta in blocco fuori legge dalle autorità di polizia preposte alla lotta contro il banditismo, le quali si comportano – e talvolta lo dichiarano senza infingimenti – come se tutti i seimila abitanti di quella cittadina fossero dei banditi o dei loro complici; senza tener conto del fatto che la stragrande maggioranza è costituita da galantuomini e onesti agricoltori e che di essa fanno parte uomini che onorano i pubblici impieghi, la Magistratura e la scienza. Che nel corso delle indagini e dei rastrellamenti indiscriminati vengono commessi soprusi di ogni genere, senza alcun rispetto per la libertà, per il domicilio, per la proprietà e per la vita stessa dei cittadini; 2°) se questo avviene per ordini del Ministero dell’interno e in quale misura è voluto, permesso o tollerato dalla Magistratura; 3°) se e quali provvedimenti intendano adottare perché a Montelepre si ripristino la legalità e il rispetto della legge; 4°) se non intendano provvedere all’accertamento imparziale e severo dello stato di cose denunziato, dandone mandato a funzionari non suscettibili di influenze di ufficio, solleciti soltanto della ricerca della verità e ispirati dal sentimento del dovere».

Lopardi, ai Ministri dell’interno, delle finanze e dell’agricoltura e foreste, «per conoscere se siano a cognizione delle furiose grandinate e conseguenti piene che hanno devastato nel mese di settembre ed in alcuni territori ripetutamente in giorni diversi le già fiorenti campagne di Lanciano (frazione Sant’Onofrio), Atessa, Casalbordino, Vasto, Ortona a Mare, Villalfonsina, Fossacesia, Rocca San Giovanni, il dorsale collinoso di Chieti, San Giovanni Teatino, Torrevecchia Teatina, Pizzoferrato, Pennapiedimonte, Tollo, Canosa Sannita, Poggiofiorito, Orecchio e di numerose altre località della provincia di Teramo, distruggendo il raccolto totalmente per migliaia di ettari ed arrecando danni per centinaia e centinaia di milioni, con la conseguente miseria di quelle laboriose popolazioni; e quali provvedimenti intendano adottare per almeno attenuare la loro iattura, avvalendosi dei decreti-legge 28 settembre 1930 e 30 marzo 1933, o adottando – di urgenza, come è suggerito dalla gravità eccezionale del caso – speciali ed adeguati provvedimenti».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Silipo al Ministro del tesoro, «per sapere se non ritenga opportuno recedere dalla decisione di non accogliere la legittima richiesta dei segretari degli istituti medi, i quali da tempo hanno chiesto il passaggio dal gruppo C, in cui ingiustamente si trovano, al gruppo B, e ciò per porre fine ad una condizione di inferiorità ingiustificabile. L’interrogante fa notare che il Ministro della pubblica istruzione, interrogato, ha riconosciuto giusta l’aspirazione della categoria ed ha dichiarato che aveva predisposto uno schema di provvedimento inteso a migliorarne la carriera, nel quale era incluso l’inquadramento del personale, di cui si parla, nel gruppo B, ma che il Ministro del tesoro non aveva dato il proprio assenso».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. In effetti il Ministero della pubblica istruzione ha a suo tempo inoltrato al Ministero del tesoro uno schema di provvedimento inteso, fra l’altro, a sostituire le attuali tabelle di classificazione che, per il personale delle scuole medie classiche, prevedono uno sviluppo di carriera dal grado 12° al grado 11° del gruppo C, con nuove tabelle intese a consentire al personale medesimo la carriera dal grado 11° al grado 8° del gruppo B; e cioè l’elevazione di gruppo e di tre gradi dell’ordinamento gerarchico. Il Ministero del tesoro non ha potuto assecondare l’iniziativa per le seguenti ragioni: l’inquadramento del personale statale in un determinato gruppo è in relazione al titolo di studio, titolo che è stabilito in rapporto alle mansioni attribuite ai vari gruppi, e la proposta elevazione di gruppo e di gradi non risulta giustificata, in relazione ai compiti affidati ai segretari degli istituti di istruzione media classica, che consigliarono a suo tempo di inquadrare il personale, di cui trattasi, nel gruppo C.

Infatti, per i segretari degli istituti di istruzione media classica l’allegato 1 del decreto legislativo 11 novembre 1923, n. 2395, prescrive il diploma di scuola media inferiore, mentre per i segretari degli istituti di istruzione media tecnica l’articolo 6 del decreto 16 ottobre 1934, n. 1840, prescrive il diploma di scuola media superiore.

Inoltre, è da rilevarsi che, in corrispondenza della diversità dei titoli richiesti per le due distinte categorie di segretari, diverse sono pure le funzioni attribuite a ciascuna di esse. Ai segretari degli istituti di istruzione media classica sono attribuiti compiti e responsabilità di minore impegno rispetto a quelli dei segretari degli istituti di istruzione media tecnica, i quali istituti, come è noto, ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 giugno 1931, n. 889, sul riordinamento dell’istruzione media tecnica, godono di autonomia amministrativa.

Sta di fatto che i segretari degli istituti di istruzione media classica svolgono, sotto la vigilanza del preside, un’attività meramente esecutiva; ad esempio scritturazione delle pagelle, dei registri scolastici, ecc.; mentre i segretari degli istituti di istruzione media tecnica, oltre ad assolvere i compiti comuni a tutti i segretari, curano la gestione di tutti i beni finanziari e patrimoniali, che costituiscono le dotazioni degli istituti, le quali, specialmente per gli istituti agrari e per quelli industriali, che risultano dotati di azienda e di officina, raggiungono diversi milioni. La accennata diversità dei compiti attribuiti ai segretari dei due tipi di istituti è confermata dalle norme che regolano l’assegnazione dei segretari. Invero, per l’articolo 11 della legge 1° luglio 1940, n. 899, perché ad una scuola media classica possa essere assegnato un segretario di ruolo è richiesta la presenza di una popolazione scolastica non inferiore ai 150 alunni, mentre, per l’articolo 42 della citata legge n. 889 del 1931, gli istituti e le scuole di istruzione media tecnica, dotati di azienda e di officina, devono avere sempre un segretario di ruolo, qualunque sia l’entità della popolazione scolastica.

La iniziativa del Ministero della pubblica istruzione è apparsa inoltre in contrasto con le direttive, di cui alle circolari della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 16 maggio 1945 e 6 agosto 1946, che fanno divieto alle amministrazioni di proporre modifiche agli ordinamenti del dipendente personale, per non pregiudicare, mediante parziali modifiche, l’attuazione della riforma dell’amministrazione statale, né può considerarsi in armonia con l’avviso espresso il 17 settembre 1947 dalla prima Commissione permanente dell’Assemblea Costituente per l’esame dei disegni di legge, la quale, in sostanza, ha affermato che la legislazione concernente la pubblica istruzione è una materia complessa, che è inopportuno venga modificata senza una approfondita discussione parlamentare.

L’iniziativa non si limita, fra l’altro, a migliorare la carriera ed il trattamento economico dei segretari, perché è diretta anche ad istituire il ruolo degli applicati di segreteria ed a ridurre il numero degli alunni necessari per l’assunzione di un secondo impiegato di segreteria. La proposta quindi, ove accolta, importerebbe circa lire cento milioni annui di maggiore spesa, il che risulta in contrasto con i voti formulati dalle Commissioni permanenti dell’Assemblea Costituente per l’esame dei disegni di legge, affinché le spese dello Stato siano contenute il più possibile ed il Governo traduca in termini concreti, senza deroghe di sorta, la politica di risanamento finanziario.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SILIPO. Non sono affatto sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario al tesoro.

Anzitutto debbo dichiarare che la valutazione della funzione dei segretari, fatta dall’onorevole Sottosegretario, è in contrasto con quello che ha dichiarato pubblicamente il Ministro della pubblica istruzione, il quale, rispondendo ad una mia interrogazione in proposito, ha detto testualmente queste parole: «in considerazione delle condizioni dei segretari di scuola media, che sono ben note a questo Ministero, il quale, per rispondere alle giuste aspirazioni della categoria (sono dunque riconosciute giuste queste aspirazioni, onorevole Sottosegretario), ma più ancora in considerazione dell’importanza e della delicatezza delle funzioni affidate ai segretari…». Mi sembra che il Ministro della pubblica istruzione, il quale ha così valutato l’opera dei segretari delle scuole medie, sia più competente del Ministero del tesoro a dare un giudizio in merito. Perciò io non posso accettare, anzi rigetto in maniera categorica, le osservazioni fatte dall’onorevole Sottosegretario. D’altra parte, se il Ministero della pubblica istruzione riconosce legittime le richieste e se ritiene che la funzione dei segretari abbia carattere di estrema delicatezza, perché dobbiamo attendere la riforma di tutto l’apparato burocratico dello Stato per venire incontro ai legittimi desiderata della categoria? Onorevole Sottosegretario, non ritengo affatto opportuno che si debba perder tempo e si debba rinviare sine die un problema che può essere risolto, ed anche relativamente presto. Non riesco a capire. I casi sono due: o si ritiene che i segretari delle scuole medie chiedono una cosa giusta, e, se chiedono una cosa giusta, è chiaro che debbono essere accontentati senza attendere il poi, o che la loro richiesta non sia giusta, ed allora non va accolta. Ma, ripeto, in questo caso è bene che il Ministro del tesoro si metta d’accordo col collega della pubblica istruzione nella valutazione delle funzioni dei segretari degli istituti medi. C’è poi la solita ristrettezza di bilancio; mi perdoni, onorevole Sottosegretario, ma si tratta di così poco, perché sono così pochi i segretari, i quali dovrebbero essere sistemati nella categoria a cui hanno diritto di appartenere, che non è certo la somma occorrente per questa sistemazione che possa creare perturbamenti d’importanza nel bilancio dello Stato italiano.

Perciò insisto di nuovo nel chiedere di voler riesaminare, con l’oculatezza e l’obiettività necessarie, il caso. Non si dimentichi che c’è un grande malumore: se io mi rendo interprete dei sentimenti dei segretari delle scuole medie, è perché essi si sono rivolti a me, da tutte le parti d’Italia. Tengo ad aggiungere anzi che in un loro recente congresso ebbero le assicurazioni sulla revisione della loro condizione. Ed allora perché non si deve dar prova di spirito di comprensione e dimostrare che lo Stato italiano rende giustizia a chi la chiede? Perché non far cessare uno stato di. cose che discredita tutti?

Il Ministro della pubblica istruzione riconosce giuste le aspirazioni dei segretari delle scuole medie a tipo classico. Che si vuole di più per effettuare il passaggio di gruppo? E non si tratta soltanto di passaggio di gruppo, ma anche di elevazione di grado. Nella categoria di gruppo C, in cui si trovano oggi, essi non raggiungono che il grado XI, mentre altri della stessa categoria e con gli stessi titoli arrivano anche al grado VIII!

Sembra giusto ed umano tutto ciò? Io la prego, onorevole Sottosegretario, di rendersi interprete del mio pensiero presso l’onorevole Ministro del tesoro e riprendere in considerazione l’opportunità di sostituire le attuali tabelle di classificazione delle scuole medie con tabelle più eque e cioè: passaggio dal gruppo C al gruppo B ed elevazione di tre gradi nell’ordinamento gerarchico. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Silipo, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere se non ritenga opportuno estendere ai contadini dell’Italia meridionale l’amnistia già concessa a quelli del Centro-Nord per i fatti avvenuti in occasione dell’occupazione e della concessione delle terre incolte o insufficientemente coltivate».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Confesso di non aver compreso con chiarezza a quale genere di amnistia si riferisca l’onorevole interrogante, perché egli domanda di estendere alle provincie meridionali l’amnistia già concessa a quelle del Centro-Nord per i fatti avvenuti in occasione dell’occupazione e della concessione delle terre incolte o insufficientemente coltivate.

Che io sappia, noi abbiamo avuto un decreto presidenziale 25 giugno 1947, n. 513 (che fu emesso dall’attuale Gabinetto, ma che era già stato deliberato dal Gabinetto precedente, di cui faceva parte, mi pare, l’onorevole Silipo come Sottosegretario) in cui venne concessa l’amnistia per i reati commessi in relazione alle vertenze agrarie ed in applicazione di quelle vertenze che furono regolate col cosiddetto lodo De Gasperi. Un primo progetto fu fatto con la estensione anche per i reati che si fossero verificati per l’occupazione delle terre non coltivate o insufficientemente coltivate, ma questa parte non fu compresa nel decreto e quindi il decreto stesso di amnistia si limitò soltanto ai fatti delittuosi commessi in occasione delle vertenze mezzadrili, che furono poi esaurite col lodo De Gasperi.

Quindi, se fosse così, non sarebbe questione di estendere una amnistia che non c’è. In altri termini, il decreto presidenziale del 25 giugno 1947, per deliberazione espressa da quel Consiglio dei Ministri, escluse la estensione di questo tipo di reato in relazione a queste determinate circostanze. Ed allora, non si tratta di estendere una cosa che non esiste.

Credo che l’interrogante sia caduto in un equivoco. Siccome non esiste l’amnistia, non c’è possibilità di estenderla. D’altra parte, se l’amnistia esistesse, non ci sarebbe bisogno di interrogare il Ministro della giustizia per farla estendere, ma l’autorità giudiziaria avrebbe il compito di applicarla.

PRESIDENTE. L’onorevole Silipo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SILIPO. Chiedo scusa all’onorevole Ministro di grazia e giustizia, se non sono stato chiaro nell’espressione, io non sono un avvocato. Ma vorrei sapere per quale motivo, mentre per i mezzadri dell’Italia settentrionale si sentì il bisogno di concedere l’amnistia, per i contadini di Calabria questo bisogno non è stato sentito. Onorevole Ministro, da noi le cose vanno molto male. Capisco molto bene che da noi non c’è quella preparazione politica che c’è nel Nord; comprendo molto bene che potrebbe essere questo un argomento di speculazione per intimidire le nostre masse contadine che, in preda alla superstizione e all’analfabetismo, potrebbero restare depresse ancora una volta. Non voglio fare apprezzamenti, che mi spingerebbero alla seguente conclusione: non si è estesa l’amnistia ai braccianti agricoli dell’Italia meridionale per esercitare un’azione intimidatrice su di una massa che preme e chiede che le sia riconosciuto il diritto al lavoro, che siano applicate in pieno – e secondo lo spirito informatore – i decreti sulla concessione delle terre incolte o insufficientemente coltivate. Non si è estesa l’amnistia per compiacere gli agrari affamatori e sabotatori della ripresa dell’economia nazionale, costringendo gente, che ha fame di terra, ad andare da un paese ad un altro per le pratiche di processi mastodontici, destinati a cadere per l’inconsistenza del presunto reato.

Così non sarà, perché non ci sarà azione tanto intimidatrice da potere, ancora una volta, far curvare la schiena ad un popolo che s’è svegliato, che ha acquistato piena coscienza dei suoi doveri e dei suoi diritti.

Non voglio – ripeto – fare apprezzamenti. Io, soltanto, ai suoi dubbi, onorevole Ministro, pongo questa domanda: perché, mentre per i mezzadri dell’Italia settentrionale e centrale si sentì il bisogno di concedere un’amnistia, per i contadini dell’Italia meridionale questo bisogno non è stato sentito? Che cosa c’è di diverso tra gli uni e gli altri? Vuole dare una risposta, onorevole Ministro, a questa mia domanda?

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io ringrazio l’onorevole interrogante di avere preso atto che la interrogazione si riferisce ad una eventuale nuova amnistia da concedersi, dato che l’attuale amnistia non comprende affatto la possibilità di estensione per i reati compiuti in occasione di occupazione arbitraria di terre incolte, perché il problema dell’amnistia fu limitato esclusivamente a quei reati che si riferiscono alle vertenze mezzadrili. Ora il fatto che non esiste questa amnistia non è una colpa che si può addossare a me o all’attuale Gabinetto perché questa amnistia fu deliberata dal Gabinetto precedente. Io non ho fatto che attuare le pubblicazioni della legge in quanto essa era già passata alla Corte dei conti.

SILIPO. C’era un decreto Gullo per l’amnistia, che è stato presentato al Consiglio dei Ministri e che poi fu soggetto a modifiche.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. È proprio questo.

SILIPO. E queste modifiche furono fatte dal Gabinetto del quale lei fa parte, onorevole Ministro.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Può darsi che il Ministro proponente avesse esteso l’amnistia per altri reati, ma è anche vero che al Consiglio dei Ministri, di cui faceva parte anche il Ministro Gullo, fu deciso in quella maniera.

Questo risulta dagli atti, è cioè che questa proposta iniziale fu modificata dal Consiglio dei Ministri, ma con l’intervento del Ministro proponente, cosicché in questi limiti fu firmato il provvedimento e fu da me soltanto successivamente registrato.

Ormai la questione è chiusa: il provvedimento di amnistia è quello che è. Se lei domandasse a me di fare altri provvedimenti di amnistia, io le risponderò che questi provvedimenti non dipendono soltanto da un Ministro ma dall’intero Governo e dal Capo dello Stato. Inoltre penso che il Governo non possa estendere il provvedimento, specialmente ora che l’Assemblea Costituente ha disposto speciali norme per quanto riguarda l’indulto e l’amnistia.

SILIPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SILIPO. Mi attendevo questo fin de non recevoir, ma volevo ancora nutrire la illusione che il «no» non sarebbe stato così categorico. Forse sono stato troppo ingenuo ad attendermi dall’attuale Governo un provvedimento simile, perché la verità è questa: lei, il Governo attuale e, per quanto riguarda l’applicazione di una legge e di una amnistia, la magistratura italiana, oggi, sono troppo occupati nel proteggere, nel difendere, nell’assolvere la delinquenza fascista e neofascista per rendere giustizia ai lavoratori. (Rumori al centro e a destra). Sì, soltanto questo voglio dire io: si è troppo occupati a proteggere, a difendere ed assolvere i suddetti messeri, per trovare il tempo di rendere giustizia, quella «vera», a chi la chiede. Per conto mio, non chiedevo l’amnistia come atto di clemenza – gli autentici lavoratori non ne hanno bisogno – ma come atto di giustizia, ed è quello che è stato loro negato, qui, oggi (Approvazioni a sinistra – Commenti al centro e a destra).

PRESIDENTE. Seguono due interrogazioni dell’onorevole Lami Starnuti:

ai Ministri di grazia e giustizia e dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intendano prendere per impedire che si continui, senza alcun ritegno, a mezzo di agenzie e di giornali, una illecita attività diretta a violare il decreto legislativo luogotenenziale 12 ottobre 1945, n. 669, il quale vorrebbe impedire che nelle sublocazioni di immobili e nelle cessioni di affitto si compiano le peggiori speculazioni ai danni di chi cerca una casa»;

al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere gli intendimenti del Governo circa il blocco degli affitti».

Segue una interrogazione dell’onorevole Pressinotti al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per sapere se rispondano a verità le notizie apparse sulla stampa circa un imminente sblocco degli affitti; e se, nella eventualità che sia in preparazione un provvedimento del genere, non ritenga opportuno presenti le condizioni in cui verrebbero a trovarsi tante categorie di cittadini e in particolare quelli a reddito fisso (statali, pensionali, ecc.) e i lavoratori in genere».

Queste interrogazioni, trattando lo stesso argomento, possono essere svolte congiuntamente. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Effettivamente, si tratta di interrogazioni connesse, per quanto distinte.

Per quanto riguarda la prima interrogazione dell’onorevole Lami Starnuti, non c’è’ dubbio che le attività delle agenzie e dei giornali miranti a facilitare la ricerca di alloggi, in se stessa, è un’attività utile, specialmente nelle grandi città.

Se però nell’esplicazione di tale attività si viola la norma dell’ultimo comma dell’articolo 19 del decreto legislativo 12 ottobre 1945, riguardante il divieto di indennità di buona uscita, del rilievo di mobili, ecc., le agenzie e i dirigenti dei giornali commettono un concorso nel delitto punito e previsto dalla legge.

Tuttavia, la pubblicazione in se stessa, se può costituire un concorso nell’evento, occorre sempre che l’evento avvenga. D’altra parte, è difficile precisare, dal punto di vista giuridico, l’esattezza di questo concorso e se realmente si verifichi con la semplice pubblicazione.

Comunque, la questione dovrebbe essere esaminata dall’autorità giudiziaria competente.

Quello che è certo è che le autorità giudiziarie competenti, per quanto mi consta, non sono state mai investite di questo problema, ed è difficile che ne siano investite, dal momento che si tratta di un rapporto quasi occulto fra persone conniventi nell’atto, le quali hanno tutte le ragioni di non far sapere ciò che è accaduto.

Ad ogni modo, non si può che richiamare l’attenzione dell’autorità giudiziaria, perché, trattandosi di reato perseguibile di ufficio, si intensifichino le investigazioni; d’altra parte, richiamerò anche l’attenzione del Ministero dell’interno affinché cerchi di denunziare all’autorità giudiziaria agenzie e giornali che cerchino di collaborare in questa forma di reato che, specie in questo momento, rende assai più grave ed insolubile il problema di trovare una casa.

Per quanto riflette il richiamo dell’onorevole Lami Starnuti al problema degli affitti, siccome questo riguarda l’interrogazione dell’onorevole Lami Starnuti e di altri colleghi, io non posso, almeno per il momento, che dire questo: siccome, con il 31 dicembre prossimo, vengono a scadere i provvedimenti già predisposti dai precedenti Gabinetti, occorrerà nuovamente provvedere al riguardo. La maniera però con cui sarà provveduto è tuttora allo studio ed io non posso quindi darvene oggi alcun preannuncio, in primo luogo perché ancora, come ho detto, non v’è nulla di preparato; in secondo luogo, perché, quando anche vi fosse già un provvedimento predisposto, non potrei parimenti farvene cenno, giacché ogni decisione può essere soltanto presa dal Consiglio dei Ministri che è l’organo deliberante.

Posso comunque assicurare, che cercheremo di conciliare nel migliore modo possibile le esigenze della vita di coloro che si trovano nelle case e le esigenze della proprietà edilizia, soprattutto anzi dello sviluppo edilizio, dal punto di vista di un sempre maggior incremento di costruzioni ed anche per risvegliare un settore che è certamente il più importante e il più efficace per dar lavoro ai disoccupati.

PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LAMI STARNUTI. Ringrazio l’onorevole Guardasigilli della sua risposta alle mie interrogazioni. Riconosco esatto quanto egli ha detto rispetto alla prima di esse. È certo che l’attività da me denunziata e che l’onorevole Guardasigilli ha riconosciuto sussistere, non è ancora reato: tanto vero che io l’ho qualificata soltanto illecita e non delittuosa; ma poiché trattasi di un’attività di preparazione ad un reato, penso che l’autorità di pubblica sicurezza avrebbe il dovere di intervenire.

Per questa ragione io avevo diretto la interrogazione, oltre che all’onorevole Ministro Guardasigilli, anche all’onorevole Ministro dell’interno: volevo appunto richiamare l’attenzione di questo su tale attività da parte di privati, di agenzie e di giornali, intesa ad eludere e a violare il decreto legislativo del 1946.

È certo che quasi sempre, questi delitti, che si consumano con l’imporre l’onere del rilievo dei mobili o il pagamento di grosse buonuscite, rimangono occulti e non vengono a conoscenza né dell’autorità giudiziaria né dell’autorità di pubblica sicurezza.

Ma, dal momento che la preparazione a questi delitti avviene pubblicamente, l’autorità di conseguenza ha il diritto e il dovere di intervenire prima che il delitto sia perfezionato e consumato. Le agenzie che si occupano di affari rappresentano certo di regola un’attività utile è non si può vietarle; ma dipendendo esse dalla discrezionalità della pubblica sicurezza, questa ha modo, volendo, di intervenire per imporre loro la rinunzia a quegli affari che non sono leciti, che sono anzi preparazione a un reato.

Penso del pari che l’autorità di pubblica sicurezza potrebbe intervenire anche presso le amministrazioni dei giornali per richiamarle alla moralità ed all’onestà dei loro avvisi pubblici. Quando io leggo, in giornali rispettabilissimi di Milano e di Roma, che un determinato inquilino è disposto a cedere il suo appartamento dietro rilievo del mobilio a prezzi ingentissimi, mi vien fatto di domandare: ma l’autorità politica, non legge, come leggiamo noi, gli avvisi economici dei giornali? E se li legge, perché non interviene a fare opera doverosa di prevenzione?

L’onorevole Guardasigilli ha dato assicurazioni che questa speciale attività illecita da me denunciata sarà d’ora in poi seguita…

PERSICO. E perseguita!

LAMI STARNUTI. Seguita per perseguirla! Ed io mi affido alla sua promessa.

La mia seconda interrogazione riguarda un argomento molto più ampio e molto più vasto. Io mi proponevo, presentando l’interrogazione, non soltanto di richiamare l’attenzione del Ministro e del Governo su questo ponderoso argomento, ma di ricevere qualche notizia circa gli intendimenti del Governo per la risoluzione del problema. L’onorevole Guardasigilli mi dice che gli studi non sono ancora compiuti, che il Consiglio dei Ministri non si è ancora occupato dell’argomento; e a me non resta che prendere atto delle sue dichiarazioni.

Ma io avevo letto nella stampa la sostanza di un provvedimento legislativo che pareva quasi pronto; e allora io ho presentato la mia interrogazione. Mi pareva altresì rispondente a un’alta esigenza politica che l’Assemblea Costituente conoscesse in tempo utile il programma del Governo in materia.

Io non desidero, e credo che con me non lo desiderino gli altri colleghi dell’Assemblea, che un provvedimento circa gli affitti sia maturato esclusivamente nell’ambito del Governo, e che l’Assemblea Costituente si trovi il 31 dicembre prossimo davanti ad un provvedimento legislativo preso dal Governo, con i poteri di urgenza, senza nemmeno sentire la Commissione legislativa della nostra Assemblea. È una materia quella degli affitti che interessa così profondamente e così largamente la popolazione italiana, che non può essere sottratta per intiero alla legittima rappresentanza della Nazione. Non soltanto il Governo deve contribuire alla risoluzione del problema, ma vi deve contribuire anche l’Assemblea attraverso i suoi organi, con i suoi propositi e con le sue idee. In verità, noi non potremmo essere favorevoli ad un immediato sblocco degli affitti, definitivo e totale.

L’onorevole Guardasigilli, amabilmente capovolgendo l’interrogazione, ha detto che ascolterà volentieri i consigli, le proposte, i propositi nostri; di modo che diventiamo un po’ noi gli interrogati. Se l’onorevole Presidente consente, e io non abuserò della sua condiscendenza, dirò pochissime cose, e brevissimamente, sulla materia.

L’onorevole Guardasigilli non ha bisogno che io richiami i precedenti legislativi: me li può insegnare e li trova certamente nel suo ufficio legislativo.

La crisi degli alloggi, il problema degli affitti, il problema del blocco e dello sblocco non è la prima volta che si presenta al Paese. Anche nell’altra guerra si presentò in maniera più o meno cruda, ma con esigenze quasi uguali alle attuali. L’altra volta impiegammo 10 anni a ritornare alla libertà degli affitti. Soltanto nel 1928, con decreto del 3 giugno, si dettarono le ultime disposizioni restrittive e si stabilì che la libertà nella negoziazione delle case avesse luogo dopo il 30 giugno del 1930. Dal 1919 al 1930 noi avemmo uno sblocco graduato, lento, durante il quale si tenne conto delle esigenze molteplici di tutta la nostra popolazione.

Perfino il governo fascista non ebbe il coraggio – assunto il potere – di dichiarare subito la completa libertà degli affitti. Il fascismo era stato sussidiato anche dai proprietari delle case e nel suo fardello portava anche la promessa della libera contrattazione; pure, appena legiferò in materia, e lo fece immediatamente con decreto 7 gennaio 1923, circondò la dichiarata libertà degli affitti di tante cautele, che in fatto la libertà non vi fu. Il decreto del 7 gennaio 1923 creò commissioni arbitrali, per risolvere le controversie fra inquilini e proprietari di case e per determinare l’equa pigione.

Ciò nonostante, quella limitata libertà diede luogo a gravi abusi, per cui locali di abitazioni rimanevano vuoti in seguito alle pretese esorbitanti di affitto richieste dai proprietari mentre molti rimanevano senza casa e senza tetto. E gli abusi e le pretese furono così gravi che il governo fascista si trovò costretto nel febbraio 1924 a restringere ancora la libertà delle contrattazioni, e a dare ai prefetti la facoltà di requisire quei locali che restavano vuoti per le esorbitanti pretese dei padroni di case.

Veda l’onorevole Guardasigilli e veda il Governo come una affrettata liberazione delle proprietà immobiliari da ogni vincolo potrebbe essere fonte di danni e di inconvenienti per tutti i cittadini.

Io comprendo la situazione delle proprietà edilizie. Certamente, i proprietari di case si trovano in una condizione disgraziata vedendo andar perduti tutti, o quasi, i loro redditi; ma penso che, a differenza di altri investimenti di ricchezza, la casa ha potuto conservare per intiero il suo valore capitale che nel volgere di brevi anni, man mano che questa bardatura necessaria verrà alleggerita e soppressa, darà di nuovo il suo reddito naturale. Riconosco che questa prospettiva non basta ad allietare chi ha bisogno oggi, e non domani, del suo reddito; ma nelle condizioni politiche ed economiche in cui si trova il Paese lo sblocco degli affitti sarebbe pericoloso e pernicioso. Noi dobbiamo tenere presenti le condizioni in cui si trovano migliaia di famiglie con reddito modesto, pensionati, impiegati, operai, piccoli professionisti, insegnanti. A tutta questa gente, i cui redditi non sono sufficienti per le esigenze più elementari della vita il Governo ha il dovere di conservare almeno la tranquilla sicurezza di una abitazione e di un tetto.

PRESIDENTE. L’onorevole Pressinotti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PRESSINOTTI. Io non mi posso dichiarare né sodisfatto, né insoddisfatto in quanto ho presentato una interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e feci la richiesta di una risposta urgente.

Me la si promise nella giornata di lunedì di questa settimana, poi si rimandò a quest’oggi pomeriggio, e vedo che l’interrogato non è presente.

PRESIDENTE. Ma è presente il Ministro di giustizia.

Veda, onorevole Pressinotti, perché sappia come vanno le cose: risponde il Governo per bocca dell’organo competente, anche se il deputato fa una interrogazione ad un Ministro di sua scelta.

PRESSINOTTI. Vorrei far presente che è un argomento di troppa importanza; è un argomento di carattere economico-sociale; è un argomento che deve essere dibattuto in quest’Assemblea; è un argomento che deve essere dibattuto e dall’Assemblea e dalle Commissioni specifiche; è un argomento che interessa milioni e milioni di italiani; è un problema sul quale noi dobbiamo discutere e sul quale il Governo deve dire la sua opinione; non acuire le apprensioni di tanti cittadini italiani che vedono approssimarsi la scadenza del blocco sugli affitti con terrore. Perciò mi permetta, signor Presidente, di mantenere la mia interrogazione e di attendere la risposta dal Presidente del Consiglio o almeno da parte dell’onorevole Sottosegretario di Stato Andreotti.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io ho fatto brevissime dichiarazioni a nome anche del Presidente del Consiglio esponendo alla Camera la situazione reale dei fatti. Il Governo ancora non ha predisposto un testo da presentare all’Assemblea, ma certamente, prima di varare qualunque provvedimento definitivo, (poiché è un provvedimento che dovrebbe entrare in vigore prima del 31 dicembre e, quindi, dovrebbe essere pubblicato molto tempo prima) non mancherà di presentarlo alle Commissioni dell’Assemblea Costituente in tempo perché venga esaminato. Questo è l’impegno che il Governo prende. Quindi niente di improvvisato, niente che possa precipitare una situazione che tutti quanti riconoscono e che il Governo non può non riconoscere, di una tale ampiezza quale l’onorevole Lami Starnuti l’ha indicata. Con questi chiarimenti possiamo essere tutti sodisfatti nel senso che le mie dichiarazioni non potevano essere precise nel contenuto, perché io stesso non so quando il Governo predisporrà il provvedimento. Comunque esso verrà preparato in tempo perché le Commissioni possano esprimere il loro parere.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione delle onorevoli Merlin Angelina, Rossi Maria Maddalena, Noce Teresa, Bei Adele, Montagnana Rita, al Ministro dell’interno, «per avere spiegazioni sull’incidente avvenuto in occasione delle recenti dimostrazioni popolari, a Lecce, durante le quali gli agenti di polizia percossero una donna al punto da cagionarle il parto prematuro».

Non essendo presente nessuna delle interroganti si intende che vi abbiano rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Morini, al Ministro delle finanze, «per conoscere se non si ritiene urgente ed indispensabile – in rapporto e riferimento al decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 177 – emanare disposizioni le quali: a) permettano anche ai comuni interessati il controllo sui cinematografi, contemplato nell’articolo 62 del testo unico 30 dicembre 1933, n. 3276; b) modifichino radicalmente l’attuale procedura di versamento dei contributi ai comuni; procedura che attualmente rende utilizzabili i proventi spettacoli solo a distanza di anni».

L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda la richiesta dell’onorevole interrogante che il controllo sulla riscossione dei diritti erariali sia affidato ai comuni, occorre tener presente che i diritti erariali sugli spettacoli cinematografici benché devoluti ai comuni dal decreto-legislativo 29 marzo 1947, n. 177, conservano sempre la natura di tributo erariale e come tali devono restare assoggettati ai normali organi di controllo dello Stato. Occorre aggiungere che nell’opera di vigilanza gli agenti della Società italiana autori ed editori, a cui è affidato l’accertamento e la riscossione dei diritti erariali, sono affiancati dai funzionari dell’amministrazione finanziaria, dal personale ispettivo per la polizia tributaria investigativa, dagli ufficiali, sottufficiali e militari di truppa del corpo della guardia di finanza, dall’arma dei carabinieri, dai funzionari e agenti di pubblica sicurezza, per cui l’onorevole interrogante vorrà riconoscere che si sia giustamente perplessi in ordine alla proposta di aggiungere altri organi preposti a questo controllo.

Per quanto riflette la procedura di pagamento del tributo, il ritardo giustamente lamentato, finora verificatosi nella liquidazione delle quote di compartecipazione spettanti per gli anni 1944-45 e 1946, è dipeso dalle contingenze di guerra che non hanno permesso alla Società italiana autori ed editori di poter completare e trasmettere in tempo debito al Ministero delle finanze i relativi rendiconti. Detta società ha assicurato, a seguito delle sollecitazioni fatte in queste ultime settimane, che il riparto delle percentuali spettanti nel periodo 1944-46 e primo trimestre 1947 è stato ultimato, cosicché, siccome sono stati già ottenuti i fondi dal Ministero del tesoro, sarà subito provveduto all’emissione dell’ordine di accreditamento a favore delle Intendenze le quali provvederanno al pagamento. Per quanto riflette il periodo successivo a quello sopra indicato, la Società degli autori sta predisponendo la liquidazione dei diritti spettanti ai singoli comuni; e appena la Direzione generale delle tasse sarà in possesso dei prospetti di riparto e dei relativi conti, provvederà alla erogazione delle somme. L’inevitabile ritardo dovuto alle accennate difficoltà di raccogliere gli elementi relativi alla riscossione del periodo bellico e alla complessità delle liquidazioni da ripartire tra circa 7000 comuni, ha indotto l’amministrazione ad esaminare la possibilità di affidare per l’avvenire, per maggior speditezza, anche il servizio di pagamento alla stessa Società degli autori con disposizione che sarà introdotta nelle modifiche da apportare alla legislazione sulla finanza locale. Assicuro l’onorevole interrogante che proprio in questi giorni si sta studiando il provvedimento legislativo che dovrebbe dar corpo a questa proposta di modifica.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. La risposta del Ministro delle finanze non è completamente sodisfacente per me e nemmeno, certamente, per i comuni che sono i maggiori interessati nella questione da me sollevata. La legge del marzo 1947 ha il lodevole intento di fornire ai comuni – soprattutto ai comuni deficitari – i mezzi per far fronte ai loro bisogni. Lodevole intenzione, a cui mi pare non risponda il modo di attuazione.

I due punti a cui io accennavo nella mia interrogazione e a cui ha risposto l’onorevole Pella sono: controllo degli incassi dei cinematografi, e modo di versamento delle percentuali spettanti ai comuni sugli incassi dei cinematografi stessi.

Sulla prima parte, la risposta del Ministro è stata completamente negativa. Non è la parte più importante; ma all’osservazione del Ministro, tendente a dimostrare che vi è già un tale cerchio di controlli per cui non è più necessario il controllo dei comuni, mi permetto di osservare semplicemente questa circostanza: questi controlli sono stati costituiti quando nelle riscossioni e nella divisione delle percentuali i comuni non avevano nessun interesse; e appunto in rapporto a queste ripartizioni di percentuali di incasso è stato costituito il sistema di controlli ancora vigente. Oggi i comuni sono i maggiori interessati nella ripartizione, perché la percentuale a favore dei comuni è altissima. Non c’è nessuna ragione perché i comuni non abbiano il diritto di vedere cosa succede, se si dà questo diritto alla Società degli autori che ha una percentuale molto minore. Ad ogni modo, la questione sostanziale non è tanto quella dei controlli quanto quella del tempo entro il quale queste percentuali devono arrivare. E su questo punto la risposta del Ministro è in parte sodisfacente. Ma noi attendiamo sempre i fatti; perché, purtroppo, parecchie volte abbiamo avuto promesse, ma successivamente non sono venute le disposizioni. È pacifico che i comuni – lo ha riconosciuto il Ministro Pella – non ricevono queste somme, di modo che l’inconveniente gravissimo in cui incespica la finanza comunale è questo, che si mette in bilancio un determinato incasso, e non si sa poi se si potrà usarlo, perché queste somme arrivano in ritardo. Infatti, abbiamo avuto conferma dalle dichiarazioni del Ministro che ai comuni italiani non sono arrivati gli incassi del 1944-45; e non sono ancora arrivati gli incassi del 1° trimestre del 1947, quelli cioè stabiliti dalla legge del 1947 stessa. Ora, tutto questo costituisce un sistema attraverso cui il bilancio comunale si trova sempre in una situazione fluida di incertezza, perché non sa di quali introiti si potrà disporre.

Il Ministro Pella ha detto che è allo studio un sistema più snello. Mi permetto di raccomandare che – se non sarà possibile arrivare ai versamenti diretti degli introiti – si cerchi, per evitare l’enorme perdita di tempo attraverso i vari passaggi, altro sistema, in virtù del quale, in attesa del calcolo preciso delle somme spettanti ai comuni, si versino acconti, per esempio i nove decimi dell’ammontare definitivo, salvo conguaglio; in modo da dare ai comuni una sicurezza di bilancio, di cui essi oggi non possono godere.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Villabruna, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere se, di fronte alla palese e riconosciuta imperfezione delle disposizioni di legge vigenti in tema di procedimenti a carico di ex fascisti imputati di collaborazionismo, alla quale imperfezione è dovuto il costante susseguirsi di decisioni giudiziarie disformi e contradittorie, le quali commuovono sfavorevolmente l’opinione pubblica e pregiudicano il prestigio della giustizia, non ravvisi la necessità urgente di un provvedimento legislativo, che, eliminando e correggendo le deviazioni e le anomalie delle vigenti norme di legge, limiti l’intervento della giustizia punitiva ai soli casi di delinquenza comune occasionati da motivi politici».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia c giustizia. L’onorevole interrogante si riferisce a decisioni difformi e contradittorie, che si sarebbero prese nell’applicazione della legge a carico di ex fascisti, imputati di collaborazionismo, e ritiene che tali incertezze siano conseguenza della imperfezione della legge vigente.

Mi permetto osservare all’onorevole interrogante, che è esimio penalista del foro torinese, che le incertezze si sono avute non tanto nell’applicazione della legge del 27 luglio 1944, n. 159, contenente sanzioni contro il fascismo, ma soprattutto nell’applicazione del decreto presidenziale 22 giugno 1946, col quale venne concessa amnistia per molte figure di reati, comprese in quella legge.

Ora, è difficile stabilire quanta parte di tali incertezze sia dovuta alla formulazione non estremamente precisa – dobbiamo riconoscerlo tutti – del decreto di amnistia e quanta alle uniformi e costanti vedute del giudice, chiamato ad applicare la legge.

Certo, una costanza ed uniformità nelle decisioni giudiziarie, tanto nel campo civile come in quello penale, si raggiunge dopo un certo periodo, in cui gli stessi fatti vengono al giudizio di giudici e si incanalano secondo le decisioni dell’organo supremo dell’autorità giudiziaria.

Per questi reati, i quali non erano tipici del nostro Codice, ma di eccezione, non era facile trovare un’applicazione sempre costante ed uniforme; tanto più che poi, come l’onorevole interrogante deve ben comprendere, si adattano a situazioni di tempo e di ambiente, che modificano sostanzialmente anche la portata di questi reati di collaborazione ad un determinato regime, di una determinata situazione politica ormai superata e che non trovano più corrispondenza nei tempi successivi. Tutte queste incertezze, secondo me, derivano da questi fatti. Anzitutto dal fatto di una legge emanata unicamente nel 1944, in un determinato clima ed in vista di una determinata situazione, per certi reati che non sono più continuati, ma finiti nel tempo, e che trova, in tempo successivo, degli ambienti e delle situazioni completamente diversi. Ma soprattutto penso che è derivata dall’applicazione della legge e del decreto presidenziale sull’amnistia, il quale, avendo già estinti i reati, salvo gli elementi ostativi, ha determinato su questa situazione degli elementi ostativi, la discrepanza della giurisprudenza, e non soltanto di quella periferica, cioè delle Corti di assise, ma anche degli organi centrali. Cosa si può fare per rimediare a questa situazione? Ritiene ella possibile intervenire e modificare i provvedimenti dell’amnistia? Non credo che nessuno di noi lo possa pensare, in quanto la legge è ormai superata nel tempo ed i reati da essa contemplati sono tutti elencati e, del resto, restano ormai poche persone da giudicare in base a quella legge.

Io penso che ci si trova dinanzi ad una situazione di eccezione, che noi possiamo benissimo superare, in quanto si tratta dell’eredità di una guerra e di un regime ormai superato. Noi dobbiamo cercare di rinnovare la società italiana, ma bisogna provvedervi con altri sistemi e ritornare alla normale giurisdizione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VILLABRUNA. Riconosco che le spiegazioni dell’onorevole Guardasigilli sono abili ed accomodanti. Però avrei preferito una risposta più esplicita e più rassicurante.

Qui non c’è di mezzo una questione politica, siamo perfettamente d’accordo; c’è però di mezzo una questione grave e preoccupante, che riguarda né più né meno che la serietà e la dignità della giustizia. Nessuno di noi può fingere d’ignorare quanto sta accadendo in sede giudiziaria, per quanto riguarda la repressione dei delitti cosiddetti fascisti. V’è una serie sistematica di fatti, che mi permetto di definire per lo meno sconcertanti,

V’è prima di tutto il fenomeno che riguarda la posizione degli alti gerarchi. Chi non conosce come realmente stiano le cose, può supporre che per gli alti gerarchi vi sia un Dio ignoto che li protegga. La realtà non è questa, onorevole Guardasigilli: è la legge stessa che offre agli alti gerarchi la tavola della salvezza, mentre riserva la tempesta delle condanne alle figure minori.

V’è poi lo sconcio – mi si consenta di definirlo così –, dei seviziatori. Siamo perfettamente d’accordo: il decreto di amnistia è quello che è e non possiamo modificarlo; ma è certo che noi oggi ci troviamo di fronte a certe interpretazioni di quel decreto che, mi si consenta di dirlo, costituiscono un’offesa alla nostra sensibilità ed al nostro senso di umanità.

Basterà che io ricordi l’ultima decisione della Suprema Corte: è una cosa, onorevoli colleghi, che mette addosso addirittura i brividi. È detto in questa sentenza che «secondo l’espressione letterale e lo spirito informativo dell’articolo 3 del decreto 22 giugno 1946, n. 4, a costituire le sevizie particolarmente efferate non è sufficiente un atto di crudeltà, insita nel semplice concetto di sevizia, né basta che la crudeltà sia soltanto inumana o quasi propria delle fiere, cioè efferata, ma occorre che raggiunga e sorpassi ogni limite di sopportabilità e sia considerata un episodio di vera barbarie. Nel caso che oltre schiaffi, pugni e nerbate, negli atti si parli – (chiedo venia, ma spero che non ci siano delle onorevoli colleghe presenti) – di compressione dei testicoli e di applicazione alla testa del paziente di un cerchio gradualmente restringibile, senza escludere che simili atti possano costituire sevizie particolarmente efferate quando per la loro durata e intensità abbiano superato ogni limite di sopportabilità, ciò non può affermarsi quando le stesse parti offese non abbiano precisato per quanto tempo siano state prolungate (Commenti) le compressioni dei testicoli e le applicazioni del cerchio alla testa». (Commenti).

Una voce a sinistra. Così facevano i fascisti alla Casa dello studente.

VILLABRUNA. Altro fenomeno sconcertante, onorevole Guardasigilli, è l’indecoroso andirivieni dei processi da una sede all’altra, dovuto ad un perenne dissidio fra le Corti d’assise locali, che quasi invariabilmente condannano, e la Corte di Cassazione, che quasi invariabilmente assolve. Tutto questo avviene con grave scapito della giustizia e, mi si consenta anche di aggiungere, con ingente sacrificio per l’Erario.

Ora, l’opinione pubblica ha il senso direi quasi istintivo della giustizia, e di fronte a queste deformazioni della giustizia ha ragione di domandarsi: perché tutto questo avviene? Ed allora, l’opinione pubblica, la quale non conosce la vera fonte di questi squilibri, è istintivamente indotta a ritenere che questo avvenga o per inettitudine dei giudici o, peggio, per spirito settario dei giudici.

È una leggenda; ma è una leggenda la quale sminuisce, scredita il prestigio della funzione giudiziaria. E fatto ancor più doloroso è che giornali e uomini politici troppo spesso raccolgono e ribadiscono questa censura che, torno ai ripetere, getta un’ombra di discredito sull’opera dei magistrati, siano essi magistrati togati o magistrati popolari.

Ora, onorevole Ministro di grazia e giustizia, io mi permetto di affermare che questi squilibri, che queste deformazioni della giustizia non derivano tanto dalla colpa degli uomini quanto dal difetto organico delle leggi. Non discuto il decreto di amnistia. Purtroppo esso esiste e non lo possiamo cancellare. Ma io parlo della legge base, della legge originaria, sulla quale richiamo tutta l’attenzione dell’onorevole Guardasigilli. È una legge semplicemente inconcepibile, perché non soltanto ha violato il principio fondamentale della irretroattività della legge penale, ma è partita da un presupposto, che mi permetto di definire per lo meno azzardato. È partita dal presupposto che soltanto il Governo che si trovava al di là della linea gotica potesse impartire degli ordini legittimi.

Ora, sapete, onorevole Guardasigilli, qual è la conseguenza di questo presupposto? Quando si tratta di giudicare alti gerarchi, che hanno promulgato bandi scellerati, essi hanno buon giuoco per dimostrare che tali bandi, anche se illegittimi, in definitiva non rappresentavano altro che la estrinsecazione del potere di cui erano investiti in relazione alla carica che occupavano. Ed allora chi è che rimane nella pania? Quei disgraziati modesti funzionari che, per ragione del loro ufficio, hanno dovuto dare esecuzione a questi bandi. Per costoro non v’è possibilità di salvezza, perché non possono invocare a loro difesa il principio fondamentale consacrato dal nostro Codice penale, all’articolo 51; e cioè il fatto che come pubblici ufficiali essi erano tenuti ad osservare l’ordine impartito, anche se l’ordine era illegittimo, dato che non esisteva una legge che consentisse ad essi di sindacare la illegittimità dell’ordine stesso.

Ora tutto questo non può continuare. Senonché, quando lo squilibrio deriva da un difetto organico della legge, se non si sopprime la legge, non si sopprimono gli inconvenienti che ne derivano.

Io concludo allora col dire: sopprimiamo una simile legge, facciamo rientrare la funzione punitiva nell’alveo del Codice penale ordinario. Io penso che sarebbe un atto di coscienza e di maturità politica quello di riconoscere che se quella legge era comprensibile in un primo momento, ora, di fronte ai risultati che si sono ottenuti e che non sono stati quelli a cui aspiravamo, quella legge non deve sopravvivere, ma merita di essere cancellata.

Se non volete arrivare fino a questo punto, se il passo vi sembra troppo azzardato, onorevole Ministro, non credete voi di proporre per lo meno una modifica, una correzione del decreto di amnistia, così da cancellare per lo meno le assurdità maggiori, le discrepanze più appariscenti? Io non voglio darvi dei suggerimenti; tutt’al più potrei invitarvi a leggere il mirabile studio del professore Santoro, pubblicato in uno degli ultimi fascicoli della rivista Massimario penale; troverete in quello studio proposte concrete di modifica del decreto di amnistia, tali da cancellare quelle discrepanze che maggiormente offendono non soltanto il senso giuridico, ma il senso di giustizia e di umanità.

Io mi sono permesso di porre la questione, e non dubito che voi la approfondirete. Sono lieto di aver proposto il quesito, perché (non l’ho fatto certamente per tenerezze filo-fasciste) v’è un’ansia in fondo al mio cuore, ed è un’ansia che si è fatta ancora più acuta in questi giorni, durante i quali noi ci affatichiamo per dare un nuovo volto e una nuova anima all’amministrazione della giustizia.

Ora, una giustizia, veramente degna di noi, non può essere che una giustizia che sia giusta ed eguale per tutti. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Barbareschi, Faralli e Pertini al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere quali provvedimenti intenda prendere nei confronti del procuratore generale della Repubblica di Napoli, il quale, durante la discussione del processo Basile, conclusosi in modo tanto offensivo per la giustizia, ha dichiarato che le leggi eccezionali per le sanzioni contro i fascisti sono una mostruosità ed ha insinuato che la Magistratura del Nord nel giudicare i fascisti ha subito interferenze estranee ed ha perciò compiuto non opera di giustizia, bensì di vendetta; affermazioni queste che non sono assolutamente compatibili con la qualità di magistrato e che suonano aperta sconfessione delle leggi dello Stato da parte di chi dovrebbe sentire solo il dovere di applicarle».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Rispondo agli onorevoli interroganti, i quali vorrebbero sapere quali provvedimenti abbia preso il Ministro di grazia e giustizia nei confronti del procuratore generale della Repubblica di Napoli, a proposito di alcune dichiarazioni che egli avrebbe fatto in occasione della discussione del processo Basile.

Occorre che sia molto limitato nella risposta, per il mio dovere di Ministro di grazia e giustizia nei confronti di un magistrato. Devo dire che ho letto per conto mio la requisitoria pronunziata dal sostituto procuratore generale, dottor Siravo, che mi si dice – e risulta dai fascicoli presso la nostra Direzione generale del personale – è uno dei buoni, degli ottimi magistrati della Curia napoletana.

Una voce a sinistra. È un fascista!

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ripeto, ho voluto leggere questa requisitoria, che mi è stata mandata, per vedere i punti che potevano essere eventualmente richiamati da parte dell’Amministrazione della giustizia.

Ora, devo assicurare gli onorevoli interroganti che, per quanto riguarda questa prima parte – ossia la dichiarazione che le leggi eccezionali siano mostruose – devo escluderla completamente, perché nessuna parola che possa interpretarsi come definizione di tal genere delle leggi eccezionali è stata pronunciata da questo magistrato.

Da questo punto di vista, la discussione che ha fatto l’onorevole Villabruna ha dimostrato che effettivamente queste leggi, quanto meno, presentano delle difficoltà di interpretazione, essendo leggi imperfette ed improvvisate in un particolare momento di esigenze politiche, e non leggi che vengono da una tradizione.

Come prima ho resistito alle richieste dell’onorevole Villabruna, così devo dire qui, che effettivamente queste leggi hanno presentato e presentano delle difficoltà, come ha riconosciuto lo stesso onorevole Villabruna, e i colleghi non hanno contestato questa asserzione. Quindi, se il giudice avesse detto questo, in fondo non avrebbe detto una cosa contraria ad una obiettiva situazione di fatto.

Una voce a sinistra. Lo ha detto! (Commenti).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Tuttavia, escludo in modo assoluto che una espressione di questo genere sia venuta da parte del Siravo, che rappresentava la pubblica accusa nel processo Basile: nessun apprezzamento di questo genere è stato espresso nei confronti delle leggi contro il fascismo.

Invece, c’è la seconda parte dell’interrogazione, nella quale si asserisce che il predetto magistrato avrebbe insinuato che la Magistratura del Nord, nel giudicare i fascisti, ha subito interferenze estranee ed ha perciò compiuto non opera di giustizia, ma di vendetta. Effettivamente su questo punto ci sono state delle espressioni, che credo siano state rilevate da parte della stampa; ma bisogna leggerla integralmente questa arringa, questa difesa fatta dal procuratore generale. Egli ha stabilito dei criteri di introduzione della causa, in cui ha stabilito delle posizioni di clima, di ambiente, e, in tale situazione, ha dichiarato quanto né più né meno emergeva dai verbali dei precedenti processi.

C’era stata già infatti una prima sentenza della Corte speciale di Milano del 1945, un secondo giudizio a Pavia, poi un altro ancora a Roma; la causa fu poi nuovamente rinviata a Venezia, poi per suspicione a Napoli. Ora, in questi diversi processi – o, per meglio dire, nei verbali relativi a tutti questi diversi processi – si accenna a violenze che sarebbero state commesse da parte del pubblico. Né ciò deve troppo meravigliarci, se teniamo presente l’eccezionale atmosfera arroventata del momento.

Questo dunque si è limitato a dichiarare il procuratore generale della Repubblica di Napoli: fece bene o fece male? Questo io non posso dirlo; io mi colloco al di sopra della questione. Desidero però farvi presente che, a prescindere dai magistrati togati e che facevano parte di quella giuria, vi erano cinque eletti della giuria popolare, i quali erano stati eletti dal Comitato di liberazione, con i sistemi che tali Comitati adottavano, e pertanto di essa facevano parte cittadini scelti fra tutti i partiti: v’era infatti un liberale, un socialista e un democristiano.

Il giudice Siravo, dunque, concluse la sua arringa con le seguenti parole: «Signori della Corte! Io non so come saranno accolte queste mie richieste: sappiate comunque che esse sono il frutto della mia coscienza».

FARALLI. Di fascista! È un fascista! (Commenti – Proteste al centro).

LEONE GIOVANNI. È il più indipendente magistrato di Napoli: lei non lo conosce.

FARALLI. È un volgarissimo fascista: ha chiesto l’assoluzione di Basile!

LEONE GIOVANNI. Siravo è un indipendente. Lei non lo conosce.

FARALLI. Lo conosciamo per quello che ha fatto! Lo conosciamo per l’assoluzione di Basile! Io mi offendo come genovese! Basile è un assassino!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ha la parola l’onorevole Ministro di grazia e giustizia: lo lascino proseguire.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho voluto esporre obiettivamente all’Assemblea quanto mi risulta dagli atti. Dagli atti risultano queste affermazioni; non v’è dunque alcun apprezzamento da parte del giudice Siravo intorno alle leggi contro il fascismo, ma soltanto un apprezzamento di quello che poté essere stato l’ambiente delle altre città, dove si svolsero gli altri processi.

Ha fatto bene? Ha fatto male? Io adesso mi pongo al di fuori della situazione.

Certo è che egli concluse la sua arringa dicendo: «Questo è frutto di meditata coscienza, del quale assumo piena responsabilità».

Aggiungo che, come Ministro, io mi sono preoccupato di quello che fu il movimento della pubblica opinione rispetto ad un fatto di una certa gravità – ed io non posso non confessarlo, perché di fronte ad una Corte di assise che condanna a morte e una che assolve, sono rimasto anch’io perplesso e preoccupato. Telegrafai al procuratore generale per sentire se non fosse il caso di far ricorso in Cassazione. Mi fu risposto da parte di tutta la Magistratura napoletana che il Siravo era un uomo che aveva esposto la situazione secondo la sua coscienza, secondo il suo dovere di magistrato, e che la Corte di assise speciale di Napoli, composta in quella maniera che ho detto, aveva ritenuto suo dovere di assolvere il Basile.

FARALLI. Tre contro due!

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. La Corte non aveva altro da fare. Voi sapete i provvedimenti che il Governo prese in quella situazione; voi sapete anche che Genova e la procura generale di Genova hanno ripreso e riaperto il processo contro il Basile, per fatti non tenuti presenti nelle sentenze precedenti, e che daranno luogo ad un processo che verrà celebrato: e vedremo a quali risultati porterà.

Quindi, in questo momento la Magistratura, sia pure attraverso quelle che possono essere le sue deficienze e le sue esagerazioni, procede avanti. Teniamo fede ancora alla giustizia italiana: è il solo criterio sul quale noi ci possiamo fondare, perché qualunque altro criterio, qualunque altro intervento, o di Governo o di Assemblee o di piazza, in quella che è l’amministrazione della giustizia, costituirebbe la forma più deleteria per un regime democratico quale è quello che noi vogliamo instaurare in Italia. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Pertini, firmatario dell’interrogazione, ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PERTINI. Cercherò di essere breve.

L’esasperazione manifestata dall’amico Faralli non può essere compresa da voi, perché non avete vissuta la tragedia della Liguria, onorevole Crispo e signori del Governo. Il caso Basile non poteva non avere ripercussioni anche in questa Assemblea; esso ha turbato, infatti, l’opinione pubblica un po’ in tutta l’Italia, ma specialmente in tutta la Liguria, perché il caso Basile è un caso che tutti ricordiamo e che ci ferisce nella nostra carne. Io non posso non ricordare in questo momento che un mio fratello, onorevole Ministro, è andato a morire in un campo di concentramento della Germania per opera del Basile. Il Basile è stato un collaborazionista, che ha fatto fare dei rastrellamenti; era uno strumento cosciente nelle mani dei nazisti, che allora dominavano in Liguria.

Tutto questo noi non lo possiamo dimenticare; ed ecco quindi l’esasperazione dell’amico Faralli. E noi certo siamo ancora turbati e preoccupati delle decisioni prese dalla Magistratura. Abbiamo avuto questa sensazione (e non soltanto noi; vi ha accennato, non per il caso Basile, ma per altri casi, il collega Villabruna – e se c’è un uomo che nel suo passato ha sempre dimostrato di rispettare la funzione della Magistratura, è precisamente il Villabruna nella sua professione di avvocato – eppure anche lui ha detto questo: che quando si tratta di pezzi grossi dell’ex regime fascista, si cerca di sottrarli a quella che dovrebbe essere la loro giusta condanna).

Per il Basile, che cosa si è fatto? Debbo ricordare, e ne assumo piena responsabilità – credo che ogni uomo debba avere sempre il coraggio delle sue parole e delle sue azioni – che se si fosse eseguito l’ordine che noi demmo allora – e l’amico Marazza forse non l’ha dimenticato – quando facevamo parte del Comitato di liberazione Alta Italia, questo caso Basile non esisterebbe, non se ne parlerebbe più. L’ordine non è stato eseguito, e la colpa è stata dei nostri, che non l’hanno voluto eseguire tempestivamente e hanno lasciato che il Basile cadesse nelle mani degli alleati, i quali, naturalmente, l’hanno sottratto alla giusta condanna. Comunque sia, questa è la sensazione dolorosa che noi abbiamo avuto: il Basile viene condannato a Pavia, poi lo si manda alla Corte di assise di Venezia, e quindi, per interventi di non sappiamo quale parte, ma che è facile supporre, viene tolto dalla Corte di assise di Venezia, e viene mandato in quel di Napoli.

Qui allora abbiamo avuto l’esatta sensazione che in tutti i modi si volesse sottrarre questo criminale di guerra alla giusta condanna, al plotone di esecuzione, perché quello meritava il Basile!

E veniamo al caso specifico di cui fa oggetto la mia interrogazione.

Si dice: il Siravo è un funzionario che merita tutta la nostra stima.

La vostra stima! Bene, onorevoli colleghi: io fui avvicinato dall’amico Crispo. Ci divide la fede politica, ma ci unisce una amicizia sincera. E Crispo mi ha detto: badi, a me risulta che Siravo non avrebbe detto quello che lei ha denunciato.

E allora, Onorevole Crispo, deve prendere atto che sono rimasto un po’ preoccupato. Se il Siravo non l’avesse detto, non lo avrei denunciato. E allora, onorevole Crispo, sono andato alla sua bella Napoli, che anch’io amo molto e di cui sono anche deputato. Lì ho assunto informazioni proprio da coloro che avevano assistito al processo. Anch’io, amico Crispo, sono stato avvocato venti anni fa, prima di andare in galera! E lo sappiamo benissimo come talvolta vengono fatti i verbali di udienza, non è vero, amico Villabruna? Sono verbali, dove come in tutti i verbali, si modifica qualche frase.

Certo è questo: che il Siravo, a detta di tutti coloro che hanno assistito al processo, disse quelle parole.

E non si dimentichi: non dobbiamo calunniare la stampa dicendo che fa insinuazioni a cuor leggero! Tutta la stampa che riprodusse il processo Basile, e quindi non solo la requisitoria del procuratore generale Siravo (io mi trovavo a Genova, perché sono direttore del giornale Il Lavoro), tutta la stampa – dicevo – riprodusse le parole da me denunciate nella interrogazione che oggi si discute. E l’Ansa diede proprio quella versione, amico Crispo! È uno strano caso: mi dica come si può spiegare, onorevole Crispo, che tutte le persone che hanno assistito al processo mi hanno riferito questo: disse che la giustizia in Alta Italia, e anche nel caso Basile, aveva ceduto a pressioni esterne; stroncò le precedenti sentenze dicendo che il Basile «non era collaborazionista e, se lo fosse stato, forse avrebbe avuto ragione, se si pensi come i liberatori sono stati ingrati verso il popolo italiano». Queste sono le sue parole, messe proprio fra virgolette. In ultimo osservò la non giuridicità e l’inopportunità delle leggi sui delitti fascisti e concluse dicendo, che il Basile, oggi imputato, poteva essere domani portato sugli scudi!

Ora, questa non è espressione del pensiero di un magistrato! Questa è l’espressione della coscienza dell’uomo politico, che ha il sopravvento!

Ora, io non nego che il giudice possa anche interessarsi di politica, ma deve interessarsene quando non esercita il magistero della giustizia. Quando esercita la sua funzione di giudice, egli deve dimenticare di essere un uomo politico!

E vi è di più. Dobbiamo chiederci: è veramente il Siravo la persona che ci ha descritto l’onorevole Ministro? E, con alcune interruzioni, di questa persona ci hanno parlato anche alcuni colleghi di quella parte (Indica il centro), dicendo che è un uomo corretto. Ebbene, io mi auguro che non ce ne siano altri di questi magistrati!

E subito voglio fare una parentesi, per chiuderla immediatamente, onorevole Crispo. Io non metto tutti in un fascio i magistrati d’Italia. Anche nella sua Napoli, vi sono stati magistrati che sotto il fascismo non si sono lasciati influenzare dal regime. E specialmente ricordo la 15a sezione, presieduta da quel galantuomo che è Ricciulli. Anch’io l’ho esperimentato.

Sa che io ho avuto una quantità di processi. Sono andato sotto processo come confinato, e venni assolto dal Ricciulli, che, nonostante le pressioni che erano state fatte dal Capo del Governo di allora, giudicò secondo la sua coscienza di giudice, secondo la sua coscienza di galantuomo, e mi mandò assolto.

Questo per dire che io non intendo mettere tutti i magistrati d’Italia nello stesso fascio e dire che è tutta gente che si fa influenzare dalla politica. Me ne guardo bene, ma certamente, se si esaminano i precedenti del Siravo, dobbiamo pensare che giusta è la nostra interpretazione, nel senso che il Siravo ha una coscienza politica, cioè si lascia influenzare dal suo sentimento politico e ha una mentalità che è una mentalità fascista. Tanto è vero che mentre egli non trova nessuna difficoltà a proporre l’applicazione di quella sciagurata amnistia di cui tu hai parlato, Villabruna, nei confronti del Basile, quando si tratta di coloro che hanno beneficiato per i fatti di Caulonia, il Siravo, senza altro, afferma che questa amnistia applicata nei confronti dei partigiani di Caulonia è stata veramente una cosa ignominiosa. Perché per Basile, che è un criminale di guerra dice: è giusto applicare l’amnistia; per i partigiani di Caulonia dice: applicarla in questo caso è un atto di ingiustizia, di ignominia?

Ma v’è di più; vi è stato un processo fatto nei confronti di alcuni nostri avversari.

Ebbene, nel marzo 1946, egli che cosa ha detto? Ha fatto di queste affermazioni: se l’è presa col Governo da cui dipendeva, dicendo che esso si basava sulla finzione di una esarchia.

È una opinione di carattere politico che l’uomo esprimeva; ma è un’opinione che mette in luce il suo vero animo, che è un animo che combatteva l’esarchia, il Governo, che come funzionario aveva il sacrosanto dovere di rispettare, anche se nell’intimo poteva non approvare.

Ma v’è di più: non mancavano in quel processo accenni ai partiti, che, a suo dire, non esitavano, pur avendo responsabilità di Governo, ad accostamenti che sembrano in contrasto col sentimento nazionale.

Questo l’ha detto nella sua requisitoria del marzo 1946, onorevole Crispo.

E concludo: che in realtà in quest’uomo l’animo politico ha il sopravvento su quella che è la coscienza del giudice.

È qui tutta la ragione della nostra interrogazione.

Voi, onorevole Ministro, dite: «come possiamo noi intervenire»? Ah, no! Voi non potete intervenire nelle sentenze che vengono emanate dai giudici; voi non potete intervenire nei deliberati di un dato tribunale, ma sul contegno di un procuratore generale voi avete non solo la possibilità, ma il dovere di intervenire, perché egli è sempre un funzionario, che deve attenersi alla legge, osservare la legge che è stata emanata dal potere legislativo.

Ecco la ragione di questa nostra interrogazione, perché, se per caso noi lasciassimo, come sotto il fascismo, che la Magistratura venga inquinata dalla passione politica, essa non farebbe più opera di giustizia, ma farebbe opera di vendetta, compirebbe atti di favoritismo ed allora mancherebbe una delle garanzie più sicure, perché veramente le libertà democratiche possano consolidarsi in Italia. (Applausi a sinistra).

CRISPO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, purché si tratti veramente di fatto personale.

CRISPO. Io ringrazio innanzitutto l’onorevole Pertini, per essersi più volte rivolto a me.

È vero che io, dopo avere avuto notizia dell’interrogazione dell’onorevole Pertini, lo avvicinai, e gli dissi che mi risultava che le parole attribuite al procuratore generale Siravo non erano state pronunciate, e ciò mi risultava, soprattutto, dal testo stenografico della requisitoria che io avrei posto a disposizione dell’onorevole Pertini. Pertini mi disse: io sarò lieto di avere questo documento, perché se quello che mi dice risponde a verità, io mi affretterò a ritirare l’interrogazione. Io ebbi, difatti, questo testo stenografico. L’onorevole Pertini, invece di richiedermelo, ha creduto di assumere notizie per proprio conto, ed oggi riferisce quello che ha raccolto a Napoli. Ma fra le affermazioni del testo stenografico e quello che può essere stato il commento della stampa, non sempre indipendente, o di voci più o meno interessate, io non saprei preferire questa ultima fonte. Ancora oggi dico a Pertini che il testo stenografico è a sua disposizione.

PERTINI. Ho quello che hanno detto gli avvocati che sono stati all’udienza…

CRISPO. Avvocati di tutte le parti?

PERTINI. Di tutte le parti.. il Roma e il Risorgimento hanno dato il resoconto della requisitoria del Siravo come l’abbiamo appreso dall’Ansa. È l’Ansa che ha dato questo resoconto. Lo chieda ai giornalisti della tribuna stampa.

CRISPO. Ho voluto spiegare le ragioni del mio amichevole intervento, credendo così di compiere il mio dovere.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Villabruna al Ministro delle finanze, «per sapere se, tenuto conto: a) che gravi errori ed ingiustificate sperequazioni si lamentano in ordine agli accertamenti compiuti dai funzionari dell’Amministrazione finanziaria ai fini dell’applicazione dell’imposta generale sull’entrata a carico dei negozi di vendita al dettaglio, dei pubblici esercizi, degli artigiani, dei professionisti ed agenti di cambio, degli spedizionieri ed agenti di viaggio, degli esercenti trasporti di persone con mezzi di trasporti da piazza e da noleggio; errori e sperequazioni dovuti ai criteri di verifica e di accertamento sbrigativi e puramente congetturali che sono adottati nei confronti di alcuni singoli contribuenti, e i cui risultati vengono arbitrariamente estesi agli appartenenti alla medesima categoria, senza la necessaria identificazione della effettiva importanza di ogni singola attività; b) che la Commissione provinciale istituita col decreto legislativo 27 dicembre 1946, n. 469, non offre, per la sua composizione, seria garanzia di un esatto ed imparziale giudizio: circostanza tanto più deprecabile ove si tenga conto del carattere definitivo attribuito alle decisioni di detta Commissione, ed alla comminatoria di sanzioni pecuniarie irrevocabili a carico dei contribuenti, anche quando l’applicazione di tali sanzioni in concreto sia del tutto ingiustificabile; c) che il sovra lamentato metodo di accertamento e di tassazione non soltanto determina un grave stato di disagio e di malcontento nei riguardi delle categorie colpite, ma è destinato a risolversi in un ulteriore aumento dei prezzi a danno dei consumatori, non ravvisi la necessità urgente di apportare alle vigenti disposizioni opportuni ritocchi e modifiche, diretti ad assicurare un più razionale ed equo sistema di accertamento, che si ritiene di poter proporre come segue: 1°) comunicazione obbligatoria al contribuente del referto della polizia tributaria, o di altro organo inquirente, in modo di consentire al contribuente stesso un effettivo e tempestivo esercizio del suo diritto di difesa; 2°) formulazione degli accertamenti da effettuarsi in collaborazione tra gli Uffici delle imposte dirette e gli Uffici del registro, con il concorso di Commissioni qualificate appartenenti alle singole categorie interessate; 3°) istituzione di un nuovo organo giurisdizionale di primo grado, rappresentato da una Commissione presieduta da un magistrato in servizio od a riposo, e composta di membri designati dalle varie categorie: attribuendo alla Commissione provinciale funzioni giurisdizionali di secondo grado; 4°) esenzione da qualunque sopratassa e pena pecuniaria nei casi di concordato concluso avanti la Commissione di primo grado.

L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Sono grato all’onorevole interrogante per l’occasione che offre all’amministrazione finanziaria di precisare – o meglio ancora – di aggiornare il proprio punto di vista in ordine all’argomento, che forma oggetto dell’interrogazione. L’applicazione del decreto legislativo 27 dicembre 1946, rispetto alle categorie interessate, ha fatto sorgere una larvata accusa d’un aggravio fiscale, che ex novo si sarebbe riversato sopra queste categorie di negozianti, di venditori al dettaglio, di pubblici esercizi, artigiani, professionisti e via dicendo. Occorre ricordare che la legge istitutiva dell’imposta generale sull’entrata assoggetta al tributo tutti i corrispettivi di atti economici derivanti da vendite al minuto, da prestazioni di servizi di qualsiasi genere, oltre che, naturalmente, i corrispettivi di tutte le vendite all’ingrosso e delle vendite da parte delle imprese industriali. Nei confronti di queste categorie subito si sentì l’opportunità di aderire al desiderio espresso che l’imposta non venisse riscossa al momento d’ogni singolo atto economico, ma venisse riscossa con una formula di abbonamento. E per un certo periodo di tempo, fino a tutto il 1946, effettivamente si adottò una formula di abbonamento, in cui la determinazione degli incassi complessivi ebbe luogo in funzione dell’imponibile di ricchezza mobile di categoria B. Senonché, l’esperienza ha dimostrato come e quanto questo criterio fosse a danno dell’amministrazione finanziaria, e, quindi, della giustizia fiscale: in quanto l’imponibile di categoria B, è la derivazione a sua volta di un ipotetico giro di affari non sempre determinabile con esattezza e, in ogni caso, di parecchio arretrato rispetto all’atto a cui l’imposta sull’entrata si deve attribuire. Pertanto si è sentita la necessità, con il decreto 27 dicembre 1946: 1°) di mantenere ferma la formula di abbonamento, che rappresenta una concessione fatta dall’amministrazione finanziaria a queste categorie interessate; 2°) di determinare, con criterio originario e non derivato, la cifra di incasso dei singoli contribuenti.

Quindi, siamo sempre nel campo delle facilitazioni concesse al mondo dei contribuenti; ed il decreto 27 dicembre 1946 non costituisce affatto un maggiore aggravio rispetto alla legge organica dell’imposta. Che fosse necessario questo cambiamento di procedura, lo dimostrano alcuni esempi molto eloquenti, onorevole interrogante. Nel distretto di Milano, ad esempio, vi sono stati concordati effettuati sulla base di dieci volte le cifre dichiarate; e le cifre dichiarate erano all’incirca quelle che nel passato derivavano dalla capitalizzazione degli imponibili di ricchezza mobile. Quindi, se spontaneamente il mondo dei contribuenti, con l’applicazione del nuovo decreto, ritiene di concordare cifre dieci volte quelle che derivavano dall’applicazione del vecchio procedimento, evidentemente vi era una larghissima porta di evasione fiscale che l’amministrazione finanziaria aveva il dovere di chiudere. Ritengo modestamente che le lamentele derivanti dalle categorie interessate, per una consueta forma di deviazione psicologica, anziché essere inerenti alla struttura del nuovo procedimento, siano il riflesso del giusto maggiore aggravio, che deriva dall’applicazione del nuovo procedimento.

Ora, l’amministrazione finanziaria non ha nessuna intenzione di usare particolare rigore nell’accertamento di questi giri di affari; vorrei dire che le istruzioni date sono proprio nel senso di una notevole benevolenza.

La procedura di accertamento, però, si esaurisce nell’orbita dell’attività degli uffici locali e degli ispettorati compartimentali.

Il Ministero non ha potestà di intervento in materia di valutazione. Esso ha comunicato il suo desiderio di un criterio di moderazione, che confermo ancora oggi.

L’onorevole interrogante suggerisce alcune modifiche al decreto 27 dicembre 1946. Non ho difficoltà ad aderire sostanzialmente a tutte e quattro i suggerimenti.

Per quanto riguarda la comunicazione obbligatoria al contribuente del referto della polizia tributaria, vorrei osservare all’onorevole interrogante che già, per la legge del 1936, che regola il funzionamento delle commissioni tributarie, e certamente applicabile nel caso specifico, il contribuente ha diritto di avere conoscenza di tutti gli elementi e documenti che costituiscono il fascicolo su cui la Commissione dovrà giudicare; e per esperienza personale posso confermare che nella prassi è da considerare come elemento da comunicare al contribuente il referto della polizia tributaria.

Per quanto riguarda la proposta collaborazione fra uffici delle imposte dirette ed uffici del Registro, non ho che da esprimere il desiderio che questi scambi di informazioni siano sempre più intensificati e che i due uffici non si ignorino. Mi perdoni l’onorevole interrogante se formulo questo augurio soprattutto nell’interesse dell’amministrazione finanziaria.

Per quanto riguarda l’istituzione di un nuovo organo giurisdizionale, ho avuto occasione di assicurare l’onorevole interrogante, in via breve, che è allo studio un provvedimento il quale stabilisce un doppio ordine di giurisdizione, in sede di contenzioso: anziché una sola Commissione di primo grado, vi sarà anche una Commissione di appello, di secondo grado, per le questioni di estimazione, ferma restando la possibilità di ricorso per i motivi di legittimità, che sono a disposizione dei contribuenti per la generalità dei tributi erariali.

In ordine al quarto suggerimento, esenzione da qualunque sopratassa e pena pecuniaria nei casi di concordati conclusi davanti alle commissioni di primo grado, posso assicurare che il provvedimento accennato consentirà – risolvendo così un dubbio di interpretazione in ordine al decreto 27 dicembre 1946 – a che i concordati siano fatti sino a quando la Commissione di primo grado non avrà giudicato il ricorso. Ritengo di essere venuto incontro ai desideri dell’onorevole interrogante.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VILLABRUNA. Debbo dichiararmi sodisfatto delle comunicazioni dell’onorevole Ministro.

In sostanza, la maggior parte delle richieste delle classi interessate è stata accolta, e di ciò ringrazio l’onorevole Ministro.

Ora rivolgo soltanto due sommesse preghiere. Prima di tutto desidero essere assicurato che nelle Commissioni giudicatrici sarà data equa rappresentanza alle categorie interessate.

La seconda preghiera, e questa forse può rappresentare un eccesso di prudenza, è che l’onorevole Ministro vigili, affinché i funzionari incaricati degli accertamenti rispettino davvero il criterio di moderazione suggerito dall’onorevole Ministro, in modo da poter contemperare gli interessi dell’Erario con i legittimi diritti ed interessi dei contribuenti.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazione all’ordine del giorno.

Svolgimento di interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE; Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quando sarà portata all’esame del Consiglio dei Ministri l’annosa pratica del riconoscimento del «Gruppo patrioti della Maiella», già sollecitato dall’interrogante con altra interrogazione e che non può essere ulteriormente procrastinato, anche per evitare che il vivo fermento che regna tra i superstiti di quella eroica formazione per tale inspiegabile ritardo si tramuti in gravi e pericolose agitazioni.

«Paolucci».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, sui motivi per cui non è stato ancora provveduto al riconoscimento della Brigata Patrioti della Maiella, che ha scritto, con grave sacrificio di sangue, una magnifica pagina di eroismo durante la guerra di liberazione.

«Spataro».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’assistenza ai reduci ai partigiani intende rispondere subito. Ne ha facoltà.

MARTINO EDOARDO ANGELO, Sottosegretario di Stato per l’assistenza ai reduci e ai partigiani. Rispondo all’interrogante, dicendo che le sue preoccupazioni furono e sono quelle del Governo, e che il ritardo che egli denuncia non è poi eccessivamente inspiegabile, in quanto il provvedimento riguarda non solo la «Maiella», ma altre formazioni similari, come: «Patrioti apuani» «Tigre», la «Formazione Pippo» ed altre; non avendo il legislatore mai provveduto a disciplinare questa materia, occorreva un provvedimento unico che la disciplinasse, il che ha comportato da parte dei Ministri competenti una lunga serie di rilevanze. L’onorevole interrogante sa, per avermene parlato, al Viminale e nel «corridoio dei passi perduti», che il Governo si era premurato di risolvere il problema, e di risolverlo nel modo più sollecito, tanto che furono tenute al Viminale riunioni, che si sono protratte anche nel corso della notte. Il provvedimento che forma oggetto dell’interrogazione sarà comunque presentato presto al Consiglio dei Ministri. Non ho avuto modo di constatare, essendo rientrato stamattina, se sia stato iscritto all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri di domani, ma è presumibile lo sia stato, se le mie informazioni sono esatte. Non ho altro da aggiungere. Il provvedimento verrà portato a conoscenza dell’interrogante appena il Consiglio dei Ministri lo avrà discusso ed approvato.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PAOLUCCI. Non posso che ritenermi sodisfatto, anche perché l’assicurazione concreta, data testé dall’onorevole Sottosegretario, sono certo che non subirà la sorte di analoghe promesse di altri, organi.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti altre interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se il Governo sia informato di quanto avrebbe dichiarato alla Commissione senatoriale per gli affari esteri americana il deputato John Davis Lodge, a proposito della situazione politica italiana.

«Più precisamente l’interrogante chiede di conoscere se risulti al Governo che i comunisti tenterebbero un colpo di Stato in Italia e se siano state prese le opportune misure preventive atte ad assicurare al Paese quella tranquillità così frequentemente turbata in questi giorni e a troncare tentativi diretti ad imporre con la violenza alla maggioranza ideologie professate da una minoranza, o ad asservire a potenze straniere la Patria italiana.

«Castiglia».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se è informato delle devastazioni avvenute in provincia di Foggia alle sedi del Partito dell’Uomo qualunque in San Severo, Manfredonia, Ascoli Satriano, Candela, San Paolo Civitate, e quali provvedimenti ha inteso di attuare per colpire i colpevoli ed evitare che simili vandalici ed incivili atti abbiano a ripetersi, e prima che giustificate reazioni diano luogo a più incresciosi incidenti.

«Miccolis, Rodi».

«Al Ministro dell’interno, sui recenti fatti delittuosi di San Severo, Manfredonia, Ascoli Satriano, Candela e specialmente di Cerignola, in provincia di Foggia e di Corato, in provincia di Bari; e per sapere se i colpevoli siano stati individuati ed assicurati alla giustizia e quali misure preventive s’intendano adottare onde evitare che detti fatti incresciosi ed allarmanti si ripetano in avvenire.

«Recca».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere contro i devastatori delle sedi qualunquista di Corato (Bari), nonché quali misure intenda prendere per prevenire gli atti di violenza estremista che vengono perpetrati anche nella pacifica, laboriosa e democratica terra di Puglie.

«Rodi, La Gravinese Nicola, Miccolis».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, sui motivi della condotta del Governo e sugli intendimenti per quanto concerne l’ordine pubblico, con particolare riferimento alla provincia di Milano, dove, i recenti gravi fatti di sangue, le azioni punitive dello squadrismo rosso e la violenza di masse aizzate dalla stampa di estrema sinistra, legittimano il sospetto di una vasta organizzazione terroristica per scatenare la guerra civile.

«Tumminelli».

«Al Ministro dell’interno, per sapere le cause che hanno determinato la grave situazione esistente attualmente in Puglia.

«Pastore Raffaele».

«Al Ministro dell’interno, sull’entità e sulle caratteristiche dei vari episodi di intimidazione, danneggiamento, saccheggio, avvenuti il 14 novembre corrente a Bologna, il successivo giorno 15 a Perugia, il giorno 16 a Venezia, in pregiudizio della consistenza delle sedi locali dell’Unione monarchica italiana e della libertà di riunione dei consociati di questo sodalizio.

«L’interrogante chiede altresì di conoscere quale attività di repressione di questi delitti e di denunzia dei responsabili all’autorità giudiziaria sia stata svolta dai servizi di pubblica sicurezza a Bologna, Perugia e Venezia.

«Fabbri».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno intende rispondere subito a queste interrogazioni. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. I fatti ai quali si riferiscono nel loro complesso le molte interrogazioni che sono state testé lette, purtroppo possono sintetizzarsi in quattro morti. I due morti di Cerignola e i due morti di Corato, oltre ai molti, moltissimi feriti di questi due centri e degli altri centri, che in questi giorni hanno fatto parlare le cronache per incidenti analoghi. Io credo che non sia inutile questo richiamo all’inizio di questa discussione, perché io mi auguro che dal pensiero che noi rivolgiamo pietosamente a queste vittime, possa derivare alla discussione che noi stiamo per iniziare, quel senso di consapevolezza e di responsabilità che è sempre doveroso, ma che è doveroso soprattutto quando si parla di vite umane.

È stato fatto qui un lungo elenco di incidenti, simili nelle cause e negli effetti. Credo di dover iniziare questa mia risposta, accennando ai due più gravi di essi, che ho già nominati: quelli di Cerignola e quelli di Corato: Cerignola il giorno 15, Corato ieri.

A Cerignola la sera del 14 vi erano state delle riunioni di carattere politico sindacale, tenute alla Camera dei lavoro; vi erano stati dei discorsi vivaci, diremo così, colà pronunciati; vi era insomma della eccitazione. Le ragioni erano molte, l’occasione era soprattutto la protesta per gli avvenimenti di Milano e di Marsala. Fatto sta che la sera stessa del giorno 14 si era avuto il tentativo di invasione della sede della Democrazia cristiana, tentativo che è stato sventato. Il mattino successivo, invece, si sono, da parte di una numerosa folla di dimostranti, eretti dei posti di blocco, intesi – come al solito – ad impedire l’affluenza e l’uscita dei cittadini dalla città. A Cerignola si era anche impedita la partenza dei treni.

Il vicequestore Brienza – che doveva poco dopo riportare gravi ferite in uno scontro con la folla – preoccupato del carattere minaccioso che questa dimostrazione andava assumendo (bisogna pensare che i dimostranti erano alcune migliaia e che essi non nascondevano i propri propositi, in quanto erano in gran parte muniti di bastoni, di picconi e di altre armi del genere, ed ostentavano anche dei bidoni di benzina, coi quali, in effetti, vennero poi praticati parecchi incendi), il vicequestore Brienza, dicevo, raccolse i pochi uomini a sua disposizione per sorvegliare la situazione. Senonché, la folla, improvvisamente, come per un piano prestabilito, si divise in parecchi gruppi ed ognuno di questi gruppi si diresse verso la sede di uno dei partiti avversari, dandovi senz’altro l’assalto.

Furono così assalite e devastate le sedi della Democrazia cristiana, del Partito della democrazia del lavoro, della Federazione universitaria cattolici italiani, dell’Associazione universitaria, della cooperativa «Don Minzoni», l’Ufficio del lavoro e la sede dell’U.P.S.E.A.

Inutili furono i tentativi della forza pubblica per impedire queste devastazioni, le quali furono complete, in quanto i dimostranti trasportarono sulla piazza tutto quanto trovarono in questi ambienti e vi appiccarono il fuoco.

Dopo questo primo episodio, la massa eccitata si è diretta verso l’Associazione agraria e verso il palazzo Cirillo; Cirillo è un agricoltore del luogo.

Il vicequestore Brienza segui la folla; ma non poté impedire che anche l’Associazione agraria venisse devastata e che l’arredamento della stessa venisse bruciato, come già era stato fatto per le sedi degli altri enti. Si preoccupava, però, della possibile devastazione del palazzo Cirillo, al pianterreno dei quale aveva sede la filiale locale del Banco di Roma.

Concentrate le proprie forze in quella direzione, il Brienza in un primo tempo riuscì ad evitarne la devastazione; senonché la presenza di queste poche forze di polizia eccitò in modo gravissimo la massa dei dimostranti, la quale si lanciò – è la parola – contro di esse per reclamarne il ritiro.

Naturalmente, non la intese in questo modo il vicequestore Brienza, che continuò nell’opera di protezione. Ma ad un certo punto la violenza della folla fu tale che questi pochi elementi dalla polizia vennero sopraffatti, vennero divisi e alcuni di essi si trovarono a dover lottare da soli contro la massa inferocita. Naturalmente da parte della polizia si stimò di doversi difendere, si posero in atto tutte le difese. Ma purtroppo, dato il modo con cui l’attacco era avvenuto, quelli che avrebbero dovuto essere i mezzi incruenti di questa difesa, e precisamente le bombe di gas lacrimogeno di cui erano muniti, non poterono essere impiegate.

Furono sparati molti colpi cui non venne in un primo tempo risposto. Ma, proprio nel momento in cui più grave era il pericolo che questi agenti della pubblica sicurezza stavano correndo, proprio in quel momento, dalle finestre site al piano terreno del palazzo occupato dalla sezione comunista e prospicienti la piazza Matteotti, che era la piazza nella quale avveniva il conflitto, partirono molti colpi di arma da fuoco contro alcuni agenti, e parecchi di costoro caddero feriti.

È spiegabile allora, a questo punto, come da parte degli altri agenti sorgesse incontenibile una reazione e come tale reazione dovesse manifestarsi con gli stessi mezzi con cui si era manifestato l’attacco. Anche alcuni di questi agenti di polizia, quelli che nelle azioni precedenti non erano stati disarmati dalla folla – perché alcuni di essi erano stati disarmati – per disimpegnarsi e riparare nella caserma dei carabinieri verso la quale erano diretti, dovettero far fuoco.

Questo ripiegamento è stato quanto mai tragico, perché la massa dei dimostranti lo segui, perché continuavano ad essere sparati dei colpi di arma da fuoco in direzione di questi agenti, di modo che costoro non poterono ritenersi salvi se non nel momento in cui poterono entrare nella caserma dei carabinieri. Nel frattempo, così liberati da questo modesto presidio della pubblica sicurezza, la folla, tra la quale, ripeto, molti erano armati anche di armi da fuoco, si diresse verso le locali carceri, vi diede l’assalto e riuscì a liberare 32 detenuti.

Rimasta poi libera di saccheggiare il palazzo Cirillo, sito, se non isbaglio, sulla piazza Matteotti, lo investì da tutti i lati e in tutti i modi, lo invase, buttò dalle finestre tutti i mobili sulla piazza, si impadronì di tutti i quadri, delle argenterie, delle stoviglie, insomma, in una parola, senza farne l’inventario, si impadronì di tutto quanto trovò, non esclusi i generi alimentari, come grano ed olio, e non esclusi nemmeno un’automobile ed una bicicletta.

Diede quindi fuoco a questo palazzo di cui aveva sventrato una parte, nell’ipotesi forse che questa celasse un nascondiglio di valori, e di tutto impadronitasi, diede fuoco al palazzo, che minacciò di essere completamente distrutto.

Intanto però arrivavano delle forze più numerose di polizia, e il saccheggio dello stabile, che pure era durato alcune ore, ebbe fine. Poté anche essere spento l’incendio e salvato così il palazzo dalla completa distruzione. Dico completa, ma forse la parola non è esatta, in quanto oltre ad essere stato devastato nel modo che ho detto, nel palazzo furono distrutti e incendiati anche tutti gli infissi, furono spezzate le condutture; insomma, nulla fu trascurato di una opera vandalica che, a mio ricordo, non ha precedenti.

Purtroppo, nel conflitto al quale ho accennato, oltre al vicequestore Brienza che, come ho detto, fu tanto gravemente ferito da far temere in un primo tempo della sua vita, vi furono sei tra guardie e carabinieri più o meno gravemente feriti da armi da fuoco. Tra i dimostranti risultarono uccisi, pure per ferite da armi da fuoco, due, e altri cinque risultarono feriti, da armi da fuoco e per contusioni varie. Sono in corso, naturalmente, le indagini per l’identificazione dei numerosissimi partecipanti ai conflitti; molti di costoro sono già stati identificati e ricercati, ma nessuno di essi ha ancora potuto essere arrestato, in quanto resisi latitanti.

L’altro degli episodi che in questi giorni hanno veramente turbato il nostro Paese, è quello di Corato.

A Corato, ieri mattina, alcuni agenti di pubblica sicurezza in perlustrazione, avendo scoperto degli individui che avevano costituito dei posti di blocco e li stavano presidiando, riuscivano ad arrestarne tre. Immediatamente intorno a loro si formava una folla numerosissima, che reclamava violentemente il rilascio degli arrestati. Gli agenti riuscirono a riparare, con gli arrestati, nella vicina caserma dei carabinieri. Quivi, però, non tardarono ad essere assediati, e mentre si svolgevano dei colloqui con alcune delle autorità locali, nella fiducia di poter calmare la folla, contro la caserma, venivano lanciate parecchie bombe a mano, alcune delle quali esplodevano nel cortile, e, soprattutto, venivano sparati innumerevoli colpi di arma da fuoco.

Ad un certo momento, la sparatoria parve tanto pericolosa e parve tanto prossimo il successo degli aggressori – anche perché questi, con della benzina che avevano portato con sé, stavano dando fuoco alla porta della caserma – che, naturalmente, gli agenti ed i carabinieri dovettero pensare a difendersi, e, rispondendo ai colpi che erano loro diretti, spararono a loro volta. Purtroppo anche qui vi furono due vittime e alcuni feriti.

Questi, ho detto, gli episodi più gravi.

Ma, attorno a questi episodi, altri ne sono avvenuti nella provincia di Foggia. A Lucera, dimostrazioni conclusesi con la distruzione delle sedi del Partito dell’Uomo qualunque e del Partito monarchico, sempre secondo il solito sistema della devastazione e dell’incendio. A Lucera, però, potevano già essere arrestate come responsabili 20 persone, le quali naturalmente vennero già tutte denunciate all’autorità giudiziaria.

A Sansevero, devastazioni avvennero il giorno 14. Un migliaio di dimostranti devastò la sede della Democrazia cristiana.

Ad Ascoli Satriano furono devastate le sedi del Partito liberale, della Democrazia cristiana e dell’Associazione degli agricoltori.

A Manfredonia furono devastate le sedi del Partito dell’Uomo Qualunque, del Partito liberale e della Democrazia cristiana.

A Candela vennero devastate le sedi dell’uomo qualunque e della Democrazia cristiana.

A Torre Maggiore, le sedi dell’Uomo qualunque e della Democrazia cristiana.

A San Paolo Civitate, elementi che si erano raccolti in quel paese «autocarrati», provenendo da un paese vicino, devastavano la sede dell’Uomo qualunque, ne incendiavano i mobili, come sempre, nonché tentavano la devastazione della sede della Democrazia cristiana.

A Monte Sant’Angelo, il mattino del 17 altri dimostranti – diciamo così – dopo aver costretto i proprietari del luogo a sospendere il raccolto delle ulive ed a chiudere i frantoi, costituivano posti di blocco ed ivi si ponevano di guardia. Devo aggiungere che l’intervento della polizia, appena questo poté aver luogo, consentì di rimuovere tutti questi posti di blocco e di ristabilire l’ordine. Dico questa parola, in quanto le ultime comunicazioni informano, fortunatamente, che in tutti questi centri è ritornata la calma.

Nella provincia di Bari, abbiamo avuto ad Andria episodi altrettanto gravi di violenze. Li abbiamo avuti nella stessa Bari, dove però potevano essere contenuti e limitati alla distruzione di alcuni giornali ed a tentativi di invasione di sedi di partiti, che tuttavia non ebbero luogo.

A Barletta gli avvenimenti furono indubbiamente più gravi. Colà venne imposta la chiusura dei negozi, colà vennero devastate anche alcune abitazioni private, colà venne anche operalo qualche sequestro di persone, peraltro subito rilasciate.

A Bitonto, episodi del genere. Ivi venne impedita la partenza dei treni (ferrotramvie) delle linee Bari-Barletta e Bitonto-Bari, nonché gli autoservizi del posto.

Io non so se in queste elencazioni che ho fatto sono comprese tutte le località che sono state indicate nelle molte interrogazioni.

Posso però dire che, se alcune di queste località sono state da me dimenticate, in realtà i fatti che sono avvenuti si assomigliano moltissimo e possono in un certo senso dirsi uguali.

A Lecce era in atto uno sciopero di lavoratori agricoli e di tabacchini. Anche qui e nella Provincia di Lecce, come Poggiardo ed altri centri, sono state compiute delle violenze; vennero invase delle sedi dei soliti partiti; vennero bloccate le strade. Anche qui però le forze della polizia, appena poterono intervenire con i loro mezzi necessari e sufficienti, riuscirono a ristabilire l’ordine e anche qui, secondo le notizie ultime ricevute, la calma pare ritornata, anche per i fatti di Bologna e di Perugia.

Se non erro è stata presentata, dall’onorevole Fabbri una interrogazione.

A Bologna e a Perugia le cose si sono svolte diversamente. Veramente anche a Bologna venne tentata la devastazione di sedi di alcuni partiti; anche a Bologna venne fatta esplodere una bomba. Le conseguenze però, almeno per quello che risulta a noi, sono di importanza relativamente limitata. Più significativo invece è l’episodio di Perugia, dove in seguito all’esplosione di una bomba nella prossimità del Partito comunista, venne immediatamente ordinato un concentramento di forze, che si dice essersi realizzato con una rapidità ed un ordine veramente ammirevoli, che permisero che i disordini fossero praticamente impediti nella quasi totalità, per quello, almeno, che risulta a noi e sempre dando a questa mia espressione un valore relativo, data la gravità dei fatti che si sono in questi giorni verificati in tutta Italia.

Domandano gli interroganti quali sono le misure che il Governo ha preso e quali intende prendere per impedire, per prevenire fatti del genere, per colpire e punire gli autori dei fatti avvenuti.

SCALFARO. E i mandanti.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. È ormai diventata purtroppo per me un ritornello questa risposta; ma, purtroppo, non si può pensare che queste mie risposte, che si succedono da qualche tempo, da un giorno all’altro, per quelle che sono le possibilità del Governo in questa materia, da un giorno all’altro non possono ovviamente molto cambiare.

Però io, a questo proposito, devo ancora rinnovare la formale assicurazione che non un uomo, a disposizione del Governo per la tutela dell’ordine, viene risparmiato. Tutti vengono impiegati, e si ha ragione di credere che vengono impiegati nel modo più utile ed efficace. Purtroppo non è stato possibile, in tutti gli avvenimenti che abbiamo descritto, prevenire, impedire e reprimere tutti questi atti di violenza, soprattutto nei centri minori. Io devo però dichiarare che, se questo deve considerarsi una lezione, la lezione ha indubbiamente servito. Io voglio credere che fatti del genere non abbiano a ripetersi, ma voglio anche assicurarvi che, se fatti del genere dovessero ripetersi, indubbiamente non si ripeteranno con eguale facilità. Avevo detto l’altro giorno che non credo che indiscriminatamente le forze dell’ordine debbano far uso delle armi. Ho detto l’altro giorno che l’uso delle armi, che può portare a conseguenze di tanta gravità, deve essere riservato a fatti proporzionati. Devo però anche aggiungere oggi che per fatto proporzionato io non intendo, e non può essere da nessuno inteso, un episodio a sé stante. Quando molti episodi, come quelli che noi abbiamo questa sera descritto, si ripetono in tante località con metodi che tradiscono un unico divisamento, un unico piano, un unico concetto, allora gli episodi singoli non devono essere più singolarmente valutati, allora è una difesa contro il metodo che deve essere posta in atto. Io credo di potervi assicurare che le autorità che hanno la responsabilità dell’ordine pubblico in Italia, in questo grave momento, sapranno cavarne dall’esperienza le dovute deduzioni. Naturalmente è nei voti del Governo, ed è soprattutto nella sua convinzione, che il senso di responsabilità di coloro che dirigono le folle abbia il sopravvento, ed il Governo si augura che soprattutto per merito loro, episodi del genere non abbiano a ripetersi e lutti di tanta gravità non abbiano ad essere ulteriormente pianti.

Vi è un’ultima interrogazione, quella dell’onorevole Castiglia. L’onorevole Castiglia sembra ricavare dal complesso di violenze che ho descritto l’impressione che noi si sia alla vigilia di avvenimenti più gravi e, riferendosi ad alcune dichiarazioni che sarebbero state fatte alla Commissione senatoriale per gli affari esteri americana da un deputato, Sir John Lodge, a proposito della situazione politica italiana, chiede anzitutto al Governo se esso ne sia informato, e se non gli risulti che i comunisti italiani stiano per tentare un colpo di Stato in Italia; e vuole essere assicurato circa le misure preventive che sono state prese.

Devo dire subito che il Governo, a proposito di queste dichiarazioni, nulla sa di più di quanto non sia stato pubblicato dai giornali. Nessuna comunicazione ufficiale, quindi nessuna possibilità di commenti.

Quanto poi alla domanda se risulti al Governo che i comunisti tenterebbero un colpo di Stato in Italia, io devo francamente dire con non gli risulta. (Si ride). Se gli risultasse, evidentemente si comporterebbe con minore tranquillità e minore pacatezza: prenderebbe delle misure. In genere, sono cose di cui non si dà il preavviso; però, a furia di sentirle dire da una parte e dall’altra…

MINIO. …c’è pericolo che diventino vere.

CASTIGLIA. Ne prendiamo atto.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo tiene conto che in tutti i paesi d’Italia si trovano armi, più o meno in notevole quantità, nascoste evidentemente per conservarle per un determinato impiego in un determinato momento; non credo por conservarle in un museo, come mi viene suggerito. Tiene anche conto delle dichiarazioni, indubbiamente molto autorevoli, che vengono fatte più col tono di una squilla di battaglia che non con quello di un canto di pace. Non che il Governo pensi ad un colpo di Stato o che pensi che un colpo di Stato possa venire da una parte piuttosto che dall’altra, ma il Governo ha naturalmente la responsabilità dell’ordine pubblico. L’ordine pubblico sarebbe particolarmente minacciato da episodi del genere. Posso assicurare l’onorevole interrogante, e chi ha ascoltato lo svolgimento dell’interrogazione che il Governo, per parte sua, tiene gli occhi aperti e le orecchie tese a tutto ciò che può turbare l’ordine pubblico. Si augura che niente avvenga, crede che niente avverrà; perché crede fermamente che, al di sopra di ogni ideologia, in tutti gli italiani prevalga lo spirito di Patria, l’amore del proprio Paese.

Ma un’ultima volta io devo aggiungere, ed aggiungo, che se così non fosse, che se questa fiducia dovesse apparire tradita, nessuno dubiti: che il Governo ha tanto in mano da poter fronteggiare qualsiasi situazione. Sappiano tutti quanti che il Governo non ha paura: non v’è guerra di nervi che possa in nessun modo influire su quella che è la sua determinatezza. Il Governo è composto di uomini che hanno dedicato, dedicano ed intendono dedicare con anima libera e pura tutti se stessi alla salvezza del Paese. Credo che nessuno possa accusarlo di un interesse meno che generale. (Interruzioni a sinistra).

Il Governo può sbagliare. Nessuno presume l’infallibilità. Sbaglierà, ma comunque i suoi propositi sono questi; ed ai suoi propositi, posso assicurarvi, il Governo patriotticamente non mancherà. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Rodi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RODI. Prendo atto delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Marazza. Per quanto riguarda la mia Regione, la Puglia, devo dire che quella popolazione è pacifica e laboriosa ed è profondamente seccata dalle continue sobillazioni. Io ho parlato con operai e contadini, i quali hanno soltanto un desiderio, quello di vivere in pace e di lavorare.

Una voce a sinistra. Non hanno lavoro.

MICCOLIS. Siete voi che non date modo di lavorare!

RODI. È necessario che nelle nostre fabbriche e nelle nostre campagne non girino più gli agitatori, perché essi, volendo fare scioperare operai e contadini, tradiscono la volontà di quegli stessi operai e contadini, che di scioperi e disordini non vogliono saperne.

Desidero raccomandare al Governo di fermare la sua attenzione non tanto sulle folle quanto sui mandanti, che sono facilmente identificabili, anche perché da alcuni giornali le violenze della folla vengono esaltate e chiamate giuste indignazioni popolari e vengono riferite con intenti apologetici. Io credo che sia facile identificare il mandante, perché nessuna violenza può essere oggetto di apologia. Quando oggi si parla di indignazione popolare, si tratta di una falsificazione degli agitatori. Questa falsificazione il Governo la vede, la sente, la osserva. Credo che suo compito principale, sia quello di identificare ufficialmente questi mandanti…

PASTORE RAFFAELE. Mandati dal Governo.

RODI. …e punire l’apologia della violenza, che si fa tutti i giorni. Le vostre diatribe, colleghi della sinistra, sono diventate ridicole. Voi parlate e scrivete di indignazione popolare contro il fascismo, mentre il fascismo lo state facendo voi. (Interruzioni a sinistra). Con chi ve la prendete? Se il fascismo è violenza, voi siete fascisti.

Una voce a destra. Hanno superato il fascismo.

RODI. Quando un agente di pubblica sicurezza o un carabiniere ha compiuto il proprio dovere arrestando qualcuno che abbia violato la legge, è assurdo che una folla istigata debba assalire le questure o le caserme dei carabinieri per impedire che la giustizia abbia il suo corso, per far rilasciare chi ha commesso un reato.

PASTORE RAFFAELE. Come Basile e De Vecchi!

RODI. Se il detenuto è stato ingiustamente arrestato, la giustizia avrà egualmente il suo corso. Ma se voi aggredite le caserme e le questure, solo per questo vi mettete dalla parte del torto; perché non è lecito che le forze di un partito agiscano nei confronti degli organi di Stato con tale violenza e con tale fascismo. (Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Minio).

Già l’onorevole Sottosegretario ha fatto cenno ad un piano preordinato e che il piano vi sia è evidente, perché specialmente in alcuni centri delle Puglie, che sono assolutamente pacifici, si sono fatti degli scioperi e sono avvenuti disordini ad opera di pochissimi elementi. La popolazione, la vera popolazione ha preferito rinchiudersi in casa per non partecipare ai disordini e per tutelare la propria persona. Quindi, evidentemente, questo piano si sviluppa in contrasto con la volontà delle popolazioni, che sono pacifiche; e prego il Governo di voler volgere il suo sguardo specialmente al Mezzogiorno, che oggi sta dando prova di maggior saldezza e serenità. Se noi oggi potessimo essere liberati di quei pochi e violenti agitatori, il Mezzogiorno continuerebbe a dar prova di questa saldezza di questa serenità…

MINIO. Vorreste di nuovo Mussolini!

RODI. Qui Mussolini non c’entra! Il Mezzogiorno è laborioso ed onesto e voi non avete nessun diritto di turbarlo. (Interruzioni all’estrema sinistra). Noi vi faremo vedere cosa vuol dire il rispetto allo Stato ed alle tradizioni. Non dovete venire a contaminare le nostre case, perché le nostre tradizioni sono salde ed oneste! (Rumori all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Minio).

Colgo l’occasione per deplorare le devastazioni alle sedi dell’Uomo Qualunque, che fin dalla nascita ha dimostrato di saper vivere democraticamente. Queste devastazioni e questi assalti sono ingiustificati e sono soltanto il frutto di una bestiale violenza. Perciò l’Uomo Qualunque fa appello a tutte le forze sane e corrette del Paese per formare un fronte unico contro queste violenze, che minacciano l’indipendenza e la libertà della Patria. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Miccolis ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MICCOLIS. Io devo rilevare che l’onorevole Sottosegretario ha detto: «un lungo elenco di incidenti simili nelle cause e negli effetti». Mi pare dunque che vi sia un piano preordinato. Dinanzi a questo piano preordinato credo che i rimedi adottati siano insufficienti, e mi rimetto a quello che ha detto l’onorevole Rodi sul fatto che effettivamente noi nel Mezzogiorno abbiamo degli attivisti e della gente la quale dà fastidio ai lavoratori, attivisti che si possono contare sulla punta delle dita. Ogni volta che accade qualcosa, si conosce il responsabile, e non si va mai ad arrestarlo. Non occorre che si arrivi all’uso delle armi, onorevole Sottosegretario. (Interruzioni all’estrema sinistra). Fin dal luglio del passato anno fu distrutta la nostra sede di San Severo. Io da quei banchi ho avuto assicurazione che sarebbero stati puniti i responsabili e che sarebbe stata riaperta la sede. La sede non si è potuta riaprire ed i responsabili non furono puniti: il processo è ancora fra la polvere degli scaffali e degli archivi della Procura della Repubblica.

Manfredonia: questa è la seconda volta, nel giro di quindici giorni, che la sede di Manfredonia è assalita, occupata e distrutta. A Cerignola v’è un’oasi rossa: noi non abbiamo il permesso forse neppure di transitare, perché quella è la roccaforte ed il feudo dell’onorevole Di Vittorio.

Ad Ascoli Satriano è la seconda volta che è stata distrutta la sede e a Candela hanno asportato finanche i pavimenti. A San Paolo Civitade, onorevole Sottosegretario, venti persone, individuabilissime, sono partite per andare a distruggere la sede di quella località. Lucera è la seconda volta che è assalita. Da Torremaggiore sono partiti quelli che sono andati a distruggere la sede di San Paolo Civitade.

Ora, così stando le cose, io devo confessare che gli uomini qualunque delle Puglie domandano se nella carenza dell’autorità dello Stato non debbano provvedere loro a difendere i loro beni, ed io domando se, nella carenza dell’autorità dello Stato, i danni non debbano essere a carico dello Stato, perché è naturale che quando lo Stato non è in condizione di difendere i singoli cittadini o regolarmente costituiti in partiti, lo Stato sia responsabile anche dei danni. E questo l’ho detto già un’altra volta.

Ora, noi osserviamo che a Cerignola v’è anche un processo per omicidi e violenze; ma questo processo non ha avuto mai fine. Mi pare che vi sono anche dei mandati di cattura, che non sono stati eseguiti. Lo stesso a San Severo. Onorevole Sottosegretario, come si fa a dare assicurazioni formali che sarà restituito l’ordine e la disciplina? Sono tutte promesse. Io ho dimostrato che queste promesse ormai hanno fallito già parecchie volte.

PRESIDENTE. L’onorevole Recca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RECCA. Onorevoli colleghi, io voglio soltanto rilevare che ciò che ha detto il collega Miccolis è vero, ma è pur vero che (aver compagni a duol, scema la pena) non sono state soltanto le sedi dell’Uomo Qualunque ad essere devastate, ma anche quelle della Democrazia cristiana, ed in maggior numero; giacché in certi centri del foggiano vi sono solo nostre sedi e non quelle dell’Uomo Qualunque. Ma, certi gravi particolari sono sfuggiti all’onorevole Sottosegretario, certi particolari di rilievo che indubbiamente sono a conoscenza della questura: infatti si sappia, onorevoli colleghi, che a Cerignola, dopo la devastazione delle nostre sedi e di altre sedi di partito, dopo la devastazione della casa Cirillo, i vani resi, così barbaramente, liberi, sono stati occupati da alcune famiglie di dimostranti che vi hanno installato i loro letti. Ecco quindi che si voleva mettere in pratica il famoso detto: «Scendi tu, perché voglio salire io». Ma i nuovi possessori sono stati poi cacciati dalle sedi in parola per opera della forza pubblica.

Noi sappiamo, onorevole Marazza, così come dice l’onorevole Rodi, che i movimenti del nostro meridione si devono a pochi e soliti responsabili facilmente individuabili, ma io aggiungo che conosciamo anche i centri in cui i movimenti con facilità sono soliti avvenire. Ed è per questo che si è ottenuto, circa cinque o sei mesi fa, un provvedimento per cui si stabiliva che, sia a Cerignola che a S. Severo, stabilmente vi dovevano essere cinquanta agenti di polizia. Ma, né a S. Severo né a Cerignola, i cinquanta agenti si sono visti, onorevole Marazza. Si provveda affinché il provvedimento in parola abbia subito la sua esecuzione.

Si provveda, non solo in questi centri, ma anche in quelli in cui detti incresciosi movimenti di folla sogliono avvenire, a questi mezzi preventivi, perché, per il mantenimento dell’ordine pubblico, io ho più fiducia in questi mezzi, che in quelli repressivi. Quando si sarà provveduto a questi mezzi preventivi, quelle popolazioni potranno dedicarsi al lavoro quotidiano in un’atmosfera di tranquillità, di serenità e di pace.

PRESIDENTE. L’onorevole Pastore Raffaele ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PASTORE RAFFAELE. L’onorevole Sottosegretario di Stato all’interno, come fece dopo i fatti di Gravina, così ha fatto questa volta: ha fatto la cronistoria dei fatti, ma non ha detto le cause che li hanno determinati.

Per quanto riguarda i lavoratori delle Puglie, sì, è vero, essi vogliono lavorare, ma vogliono essere anche pagati, ciò che non intendono fare i signori agrari di quella provincia. (Commenti – Interruzione del deputato Miccolis). Nel campo nazionale è stato firmato un contratto di lavoro per le tabacchine, ma i signori concessionari della provincia di Lecce non vogliono rispettarlo, e da qui lo sciopero dei contadini della provincia.

Inoltre le autorità favoriscono gli agrari. L’esperimento della ripresa del fascismo viene fatto in Puglia e l’onorevole Sottosegretario me ne deve dare atto. Il giorno 12 ottobre che cosa ha fatto la questura di Bari quando ha assistito impassibile al comizio di Ambrosini, che è stato mandato al confino, non su denuncia della questura di Bari, ma su denuncia della questura di Roma? Le parole di Ambrosini hanno eccitato ih popolo pugliese. E la questura sapete che cosa ha fatto? Ha caricato la folla che protestava contro quanto ha detto Ambrosini. Questo ha fatto la pubblica sicurezza italiana per ordine del Governo! Costui ha chiamato Mussolini «il padre della Patria», mentre da parte dei fascisti che assistevano al comizio si è gridato: «duce, viva Benito Mussolini». Ambrosini ha continuato: «le ceneri saranno portate in Campidoglio». «Ho il diritto di esaltare il pensiero di chi per venti anni ha governato l’Italia». «Mi dispiace di non essere stato collaboratore del fascismo». «Dobbiamo riconoscere di avere sbagliato. La dittatura non è stata quella che doveva essere. Se ci capiteranno sotto la proveranno la vera dittatura». «Con quel trattato di pace la storia ci ha detto che quelli del nord che chiamavamo repubblichini erano i veri partigiani che salvarono l’onore dell’Italia».

Queste sono le frasi pronunciate, presente la pubblica sicurezza di Bari, senza che questa abbia pronunciato motto. Quando i cittadini baresi poi hanno protestato, la pubblica sicurezza ha caricato la folla per difendere i fascisti. Ma non basta questo. Mentre il comitato di difesa della Repubblica aveva chiesto al Ministero dell’interno di proibire il comizio a Bari, altro comizio fu permesso a Gioia del Colle, nel corso del quale sono state dette delle parole ancora più gravi.

«Ma basta con questi quattro che ci stanno distruggendo. Faremo una nuova marcia su Roma!». Signori, che cosa avrebbe dovuto fare la pubblica sicurezza? Ma già, la pubblica sicurezza si accanisce contro i contadini che pretendono il rispetto dei patti di lavoro: ed essa agisce sempre su ordini del Ministero.

E ancora: «Faremo piazza pulita. Non bisogna dimenticare il ventennio del fascismo». «Vogliamo un altro referendum nazionale». «Vi porto una lieta novella (questo è per l’onorevole Mazzoni il quale diceva che quella sera la pubblica sicurezza aveva fatto il suo dovere): a Piazza Montecitorio a Roma si tornano a cantare gli inni dell’Italia che fu. Montecitorio va ripulita. Non si può distruggere quello che è un passato glorioso, tanto è vero che quelle ideologie ritornano a trionfare in Italia non solo, ma in quelle stesse nazioni che fino a ieri le combatterono». (Rumori a destra – Commenti).

Ora, Signori, quando da parte del Governo si resta impassibili a questa propaganda, noi abbiamo diritto di domandare… (Interruzioni).

MICCOLIS. Ma se è stato mandato al confino!

Una voce all’estrema sinistra. Bisogna metterlo al muro, altro che confino! (Commenti).

PASTORE RAFFAELE. Mi si dice: «Che colpa ha il partito dell’Uomo Qualunque?». Un momento, facciamo una cernita e vediamo dove si sono rifugiati tutti. gli ex-fascisti agrari. Non sono forse nell’Uomo Qualunque?

RODI. Onorevole Pastore, noi ci conosciamo! I fascisti sono nel partito comunista!

PRESIDENTE. Onorevole Rodi, non interrompa.

PASTORE RAFFAELE. Questa propaganda, consentita ed incoraggiata dal Governo, ha fatto rialzare la testa agli agrari, i quali credono di poter ritornare al periodo del ventennio fascista.

Nonostante che da tanti mesi sono sul tappeto i patti salariali, la mezzadria impropria e il collocamento della mano d’opera, i signori agrari menano il can per l’aia, per cui una buona volta il popolo si stanca e scatta.

Non si faccia meraviglia il Sottosegretario se a Cerignola è stato assalito il palazzo Cirillo. Sapete perché? Tutti i proprietari della zona hanno stipulato il patto di mezzadria con l’organizzazione operaia, meno Cirillo, il quale si è avvalso della sua potenza e ha detto: non tratto con l’organizzazione.

Naturalmente, lo stato d’animo dei lavoratori, per il contegno provocatorio dei signori agrari, che credono di poter tornare al passato, non è tale da sottostare ad altri soprusi.

Io mi ero proposto di non parlare oggi, perché domani parto per la Puglia allo scopo di assodare i fatti. Il Sottosegretario, che ci ha fatto la cronistoria degli avvenimenti, non ci ha detto tutto: non ha parlato di un telegramma che il sindaco democristiano di Trani ha inviato al Governo per protestare contro i mezzi usati dalla «celere» a Trani! (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FABBRI. Io non posso, francamente, dichiararmi sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario, risposta che ritengo troppo ottimista, sia nella sua diagnosi, sia nella sua prognosi. Secondo la mia modesta e personale impressione, la situazione dell’Italia in questo momento è tutt’altro che lieta, è tutt’altro che rassicurante.

E basterebbe forse inquadrare questa situazione attuale dell’Italia in quella della maggior parte dei paesi d’Europa per vedere quello che è già accaduto là dove il senso vigile della pubblica libertà da parte del governo non ha potuto fronteggiare la marea comunista e questa è prevalsa, e vedere quello che sta succedendo dove questo dramma di contrasto è in atto, come nella Cecoslovacchia e, in parte, in Francia.

La situazione in Italia, quale si sta svolgendo, non può essere nel suo adeguato esame valutativo ricondotta agli episodi singoli sui quali si intrattengono i vari oratori e su cui ha indugiato la cronistoria dell’onorevole Sottosegretario. Quando un partito come quello monarchico, che in fatto di ordine pubblico non ha recato disturbi a nessun partito, che non ha fatto alcuna manifestazione ostile alle istituzioni vigenti, che si è soltanto dedicato ad un’opera di raccoglimento, di studio, di attesa, di fede nell’avvenire, ha improvvisamente dovuto vedere travolte le sue sedi, distrutte con incendi, con bombe, e con violenze e ferimenti contro le persone, come sta avvenendo a Palermo, a Napoli, a Perugia, a Varese, a Bologna – e questo è accaduto durante il corso di un’intera settimana, poiché questi fatti si sono ripetuti e si ripetono da vari giorni periodicamente – è evidente che noi ci troviamo di fronte ad ina situazione la quale, per la molteplicità dei focolari, dimostra un chiaro piano di organizzazione che viene da un centro politico fondamentale facilmente identificabile.

D’altra parte, la ripetizione degli atti che dobbiamo constatare, e di cui abbiamo avuto ininterrotto esempio per la durata di ben dieci giorni, dà la certezza che quelle tali autorità che dovrebbero fronteggiare i reati e che quei tali mezzi di prevenzione e repressione cui alludeva l’onorevole Sottosegretario si trovano in uno stato di impotenza tale, da potersi sostanzialmente parlare di iniziale crisi di regime.

Non voglio andare oltre nelle mie dichiarazioni di completa insoddisfazione di questa attuale formula di governo che è precisamente tutto il rovescio di quello che dovrebbero essere, secondo me, uno Stato e un Governo nazionali, che si preoccupassero dell’incivilimento progressivo del Paese.

È per questi motivi e per queste ragioni che ho detto di non potermi dichiarare sodisfatto. Mi auguro tuttavia, con molto spirito di patriottismo, che quell’ottimismo di cui ha dato prova l’onorevole Sottosegretario per quello che si riferisce alla diagnosi possa risultare giustificato e possa darmi un’utile smentita per quel che si riferisce alla prognosi.

PRESIDENTE. L’onorevole Tumminelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TUMMINELLI. Nel volgere di pochi giorni, mi tocca di prendere per la seconda volta la parola sul medesimo argomento.

Le ragioni che ha voluto addurre l’onorevole Pastore per giustificare tanta violenza sono poco serie. Noi ci troviamo di fronte, onorevole Marazza, di fronte ad una costellazione di avvenimenti, luttuosi taluni e di violenza tal altri, che trovano la centrale nelle direttive dei partiti estremisti, non più taciute, ma espresse nei discorsi nell’interno dei partiti stessi e comunicate dalla pubblica stampa. Così che io concordo col mio collega Rodi, che effettivamente v’è un piano preordinato di istigazione al crimine, di eccitazione della folla, la quale, quando si muove, si sa da dove parte, ma non si sa dove arriva.

V’è l’apologia del crimine. Noi qui, in questa stessa Aula, non molto tempo fa, ascoltammo esaltare giornate di delitti politici i quali, comunque veduti, sono sempre delitti deprecandi.

Ora, io domando all’onorevole Sottosegretario per l’interno una cosa: l’altra volta io ho detto: bisogna disarmare; e l’onorevole Sottosegretario ha risposto: non si può, perché soltanto i galantuomini danno le armi. (Cosi, press’a poco, in via confidenziale). Onorevole Sottosegretario, io le dirò questo: che noi sappiamo dove sono le armi. Tutte le fabbriche sono piene di armi. Io posso dirle che i morti di Mediglia potevano essere evitati solo che si fosse impedito ai settanta operai, che sono usciti dalla quinta sezione della fabbrica Breda, di recarsi a Mediglia, autocarrati, solo che il sindaco di Mediglia – che, ci viene assicurato dalle autorità di Milano, non poté essere arrestato per divieto del Governo – avesse impedito prima la violenza che veniva fatta contro quel Magenes e poi che il Magenes potesse uccidere e che egli stesso potesse essere linciato.

Noi ci troviamo, onorevole Sottosegretario, in questa dura situazione che le stesse forze di pubblica sicurezza, che sono i custodi dell’autorità dello Stato e dell’incolumità dei cittadini, sono in costante pericolo. E non hanno ordini per poter reagire. Io comprendo perfettamente, e mi rendo conto dell’esigenza del Governo di questo metodo della pazienza; ma vi sono dei limiti, onorevoli signori del Governo.

Nei giorni scorsi, in uno di questi tumulti, ho chiesto ad una donna del popolo che cosa succedesse. Quella popolana mi rispose: «È stato colpito da un maresciallo uno dei dimostranti; e ora l’ammazzano». Il fatto non era vero: non v’era alcuno che fosse stato colpito dalla forza pubblica né un maresciallo che dovesse essere ammazzato; ma l’episodio sta a dimostrare che ormai è invalsa nella coscienza comune del nostro Paese, del nostro popolo, l’abitudine di considerare che l’autorità di pubblica sicurezza non possa più compiere nessuna azione che non sia quella di spingere dolcemente con le mani la folla che vuole compiere atti di violenza, senza che essa stessa corra il pericolo di essere minacciata e linciata come il giovane Magenes.

Ci troviamo di fronte a questo stato di cose: che noi dell’Uomo Qualunque, noi qualunquisti, che non siamo né reazionari né neo-fascisti, ma solo perché abbiamo un programma sociale che è un’idea (Commenti a sinistra) – e le idee, o amici, o colleghi dell’estrema sinistra, non si uccidono con la distruzione di sedi, e tanto meno si stroncano con l’uccisione di qualcuno di noi: le idee hanno le gambe e camminano da sole – sol perché abbiamo un’idea nuova che cammina sul fronte della storia e che trionferà domani nel mondo intero (Rumori all’estrema sinistra), solo per questo noi siamo divenuti le cavie, per le esercitazioni dello squadrismo rosso.

Il paese si trova di fronte ad uno squadrismo rosso che si esercita nell’impunità in attesa di sviluppi futuri.

Noi siamo stati le cavie, perché se toccano voi della Democrazia cristiana potrà essere piombo. Per noi la cosa è diversa: v’è l’impunità!

PRESIDENTE. L’onorevole Castiglia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CASTIGLIA. Dalla discussione delle varie interrogazioni di oggi si rileva come quello che io chiedevo al Governo fosse – per usare il linguaggio dell’onorevole Fabbri – una diagnosi piuttosto esatta.

In sostanza, noi abbiamo avuto dei singoli episodi di violenza ed il Governo ha, dato delle assicurazioni per quella che possiamo chiamare la cura sintomatica delle varie manifestazioni criminose. Però il Governo non ha cercato di individuare quel filo conduttore che indiscutibilmente lega tutti questi episodi delittuosi non soltanto per quanto si riferisce alla distruzione di sedi di partiti, non soltanto per quanto si riferisce ai tumulti ed ai moti delle varie città, da Cerignola a Corato, a Ferrara, a Napoli, a Palermo (che è una delle città, dal punto di vista politico, senza dubbio fra le più tranquille e quiete), ma per quanto riguarda la loro portata molto più vasta.

Io vi prego, onorevole Sottosegretario, di ricordare due episodi che veramente devono impressionare e devono gettare – come hanno gettato di fatto il Paese – nello stato del più vivo allarme. Intendo parlare delle due polveriere di Cassano d’Adda e di Vigevano che nello spazio di pochi giorni, per atto di sabotaggio, sono state fatte saltare in aria. Indiscutibilmente tutti questi delitti hanno un intimo legame; e questo filo conduttore potrebbe essere quello denunciato dal deputato Lodge alla Commissione senatoriale americana per gli affari esteri, allorché dichiarava che il comunismo preparerebbe un colpo di Stato il quale usufruirebbe di queste forme di attività: primo, uso dei mezzi costituzionali, se possibile; e si è visto che l’uso dei mezzi costituzionali fino a questo momento non è servito molto allo scopo.

Secondo grado (che è quello che in atto si sta sperimentando e che potrebbe trovare domani una attuazione molto più violenta e pericolosa e, quindi, molto più capace di destare questo stato di allarme): impiego delle forze sovversive interne, come attualmente avviene a Napoli e a Marsiglia.

Dunque, quanto ha dichiarato l’onorevole deputato Lodge in America mi pare sia da prendere in seria considerazione, perché noi abbiamo questi sintomi premonitori.

Diceva l’onorevole Sottosegretario: nessuno, nessuna organizzazione può dare il preavviso per un eventuale colpo di Stato.

Perfettamente logico, e sarei oltremodo ingenuo se pensassi una cosa del genere! Ma bisogna tener presenti questi sintomi che denotano questo filo conduttore, che denotano questa organizzazione criminosa che va tempestivamente stroncata!

Del resto, quello che ha dichiarato il deputato Lodge, signori, non è la prima dichiarazione del genere. Vi prego di ricordare quello che da fonte non italiana, ma straniera, è stato detto in proposito; e mi riferisco a quanto è stato pubblicato, or è qualche mese, sul giornale svizzero «Die That» da un critico militare americano che prevedeva quelle cose che poi Lodge ha dichiarato alla Commissione senatoriale americana.

E vi prego anche di tener presente l’articolo apparso sulla rivista americana Time di settembre, che conteneva su per giù le stesse cose. Siamo dunque di fronte ad una serie di rivelazioni che segnalano sintomi che vanno tempestivamente stroncati.

Io capisco benissimo quella che è la posizione dialettica da parte degli avversari, ai quali non posso negare una grande abilità che è quella di ritorcere gli avvenimenti a loro vantaggio e cercare di gettare sull’avversario quelle responsabilità che spettano unicamente ed esclusivamente a loro. Questo fa parte della loro tattica, ma un Paese non può cadere nel tranello di questa tattica. Bisogna non soltanto curare i sintomi, ma prevenire; non cura, dunque, sintomatica, ma profilattica; prevenire con tutti i mezzi che sono a disposizione del Governo e non v’è bisogno che siano mezzi violenti, bastano quelli strettamente legali; e bisogna innanzi tutto identificare i mandanti.

Nel nostro Codice penale abbiamo un articolo 303 e un articolo 414 che riguardano, il primo la apologia del reato, il secondo la istigazione a delinquere.

Tutte le volte che per mezzo della stampa o con altri mezzi o con tutti i discorsi che si tengono o con le conferenze o nei comizi si commette un’istigazione a delinquere, si fa l’apologia del reato, si istiga all’odio di classe, bisogna che si intervenga con i mezzi che la legge mette a disposizione del Governo, perché non è lecito gettare il Paese nel caos, nel disordine, nella guerra civile, caos, disordine e guerra civile che evidentemente preludono a qualche cosa di molto più grave che è quello che diceva il deputato Lodge, asservire cioè il Paese a una nazione straniera. Perché questo è il vero disegno. (Interruzione del deputato Minio).

L’onorevole Pastore poc’anzi giustificava le violenze della Puglia col discorso di un mese fa di Vittorio Ambrosini. La cosa a me non riguarda né poco né punto, ma dal punto di vista della logica vi devo dire che è semplicemente assurdo che voi vogliate giustificare questi atti di terrorismo e di violenza, che sono scoppiati in tutto il Paese, per un discorso di quell’Ambrosini che, peraltro, è stato mandato al confino, come era stato mandato al confino da Mussolini; il quale discorso sarebbe avvenuto nientemeno che il 12 ottobre. Sarebbe stato un discorso a scoppio ritardato!

Ma, ad ogni modo, se anche voi volete attribuire al discorso di Ambrosini quello che è avvenuto in Puglia, io vi prego dirmi come potete attribuire allo stesso discorso di Ambrosini tutto quello che avviene in Italia dove il discorso Ambrosini non è arrivato neanche per sentito dire.

Io dunque non posso dichiararmi sodisfatto di quello che il Sottosegretario di Stato ha dichiarato.

Prendo atto della buona volontà del Governo, ma invito il Governo stesso ad una maggiore energia, ad un maggior senso di responsabilità; invito il Governo soprattutto, più che a individuare gli autori dei singoli episodi, ad individuare i mandanti, così come è stato fatto in Francia, dove sono stati denunciati ben due deputati. Perché? Per avere istigato all’odio di classe e per avere organizzato e ispirato i delitti che hanno turbato la serenità e la pace di quel Paese. (Applausi a destra).

Annunzio di interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere – come è diritto dell’Assemblea e del Paese – le ragioni ed i fatti che lo hanno indotto a fare le gravi dichiarazioni al San Carlo di Napoli, e dalle quali appare che egli ed il Governo non sono in grado di mantenere l’ordine pubblico e di tranquillizzare la pubblica opinione gravemente scossa dalle dichiarazioni stesse.

«Sansone».

«Al Ministro della difesa, per sapere le ragioni per le quali il comando generale dell’Arma dei carabinieri (ufficio personale sottufficiali e truppa) disponeva, con provvedimento in data 29 settembre 1947, il collocamento in congedo per il 31 dicembre 1947 dei sottufficiali richiamati e trattenuti delle classi dal 1892 a quella del 1895 inclusa.

«Tale provvedimento colpisce circa ottocento marescialli e crea una inesplicabile diversità di trattamento tra la condizione degli stessi e quella dei sottufficiali dell’esercito, della pubblica sicurezza e della guardia di finanza.

«Crispo».

«Al Ministro della difesa, sull’esito delle indagini in ordine alle cause che possono avere determinato lo scoppio della polveriera di Vigevano.

«Meda».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

MARAZZA. Sottosegretario di Stato per l’interno. Riferirò ai Ministri competenti perché comunichino quando ritengono di poter rispondere.

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. Chiedo al Sottosegretario se può dare una sollecita risposta alla mia interrogazione, data la gravità dei fatti denunziati. (Commenti al centro e a destra).

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di parlare.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. È evidente che non posso io dare una risposta immediata, anche perché l’interrogazione dell’onorevole Sansone riguarda la persona stessa del Ministro dell’interno.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza..

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare onde impedire che la mancata tempestività delle revisioni dei prezzi per i contratti di opere pubbliche costringa le ditte appaltatrici a sospendere i lavori in Calabria, con grave pregiudizio loro, della mano d’opera impiegata e delle opere stesse.

«Lucifero».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali disposizioni intende adottare per regolamentare la revisione dei prezzi per i contratti di appalto di opere pubbliche, stipulati dopo l’entrata in vigore del decreto-legge 5 aprile 1945, n. 192, contratti nei quali taluni uffici del Genio civile non inserirono la clausola della rivedibilità, ritenendola, con errata interpretazione, non necessaria.

«La mancata adozione di opportune disposizioni in merito danneggerebbe, particolarmente in Calabria, moltissime aziende costruttrici, le quali sottoscrissero il contratto ed eseguirono i lavori, ritenendosi garantite da eventuali variazioni in aumento. Avrebbe anche, purtroppo, dolorose ripercussioni per gli operai edili, su molti dei quali incomberebbe il pericolo di non avere corrisposte talune retribuzioni, dichiarando gli imprenditori di non avere la possibilità di farlo, essendo a loro volta, da tempo, creditori dello Stato e per somme rilevanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Priolo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se e come intenda provvedere allo sgravio dei tributi per i territori di Pachino e di Noto, gravemente colpiti da una violenta grandinata, di proporzioni mai viste, che ha danneggiato case e piantagioni e ha distrutto la produzione agricola di circa 3000 ettari. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Finocchiaro Aprile, Gallo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga urgente disporre che la erogazione ai Comuni della quota, loro devoluta con l’articolo 27 del decreto 29 marzo 1947, n. 177, del tributo riscosso sugli spettacoli cinematografici sia effettuata dalla Intendenza di finanza mediante versamenti al più bimestrali, come esige la necessità di rimuovere, a sollievo delle pressanti esigenze dei bilanci comunali, il deplorevole ritardo anche di anni, con cui fino ad ora furono corrisposte le aliquote spettanti per le disposizioni precedenti e come consiglierebbe la elementare cura di un sano decentramento amministrativo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cosattini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Minestro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga necessario ed urgente intervenire, previ gli eventuali accertamenti del caso, tramite il competente ufficio del Genio civile, in favore dell’abitato di Porto Santo Stefano in provincia di Grosseto.

«Distrutto per il novantadue e sessanta per cento dalle operazioni belliche, è stato duramente provato, negli anni successivi, da nubifragi e da un’epidemia di tifo (per tacere dei danni arrecati dall’esplosione del trasporto militare Panigaglia).

«Paese composto di marinai e di piccoli proprietari non ha avuto, a differenza di molti altri, emigrazione, dato il particolare nobilissimo attaccamento delle popolazioni ai loro focolari.

«Già in occasione di un grave nubifragio si ebbe il personale intervento dell’allora Ministro dei lavori pubblici onorevole Romita e furono disposte costruzioni che ancora non sono utilizzate, mentre potrebbero e dovrebbero esserlo.

«Si reclama il sollecito versamento dei contributi a favore dei privati che ricostruiscono e che più anche farebbero se non trovassero inciampo negli inesplicabili ritardi e nelle inconcepibili lentezze frapposte al versamento loro dovuto dei contributi di Stato.

«In più parti dell’abitato e nei suoi immediati dintorni movimenti di asserita natura lavinica mettono in serio e grave pericolo le macerie e i relitti nei quali – perduto ogni senso di umano decoro – vive in miserrime condizioni, esposta all’ingiuria degli elementi, la popolazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Magrassi».

 

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se e quali provvedimenti intenda adottare urgentemente per alleviare le disagiatissime condizioni economiche dei pensionati della previdenza sociale, i quali, licenziati per limiti di età dopo tutta una vita di lavoro, percepiscono assegni veramente irrisori; e più particolarmente per sapere:

  1. a) per quale motivo gli uffici postali trattengono sull’assegno di contingenza concesso col decreto 29 luglio 1947, n. 689, la somma di lire 300 per ogni pensionato;
  2. b) se non sia giusto elevare tale assegno di contingenza per i pensionati di età minore ai 65 anni alla misura stabilita per quelli di età superiore;
  3. c) se non sia doveroso estendere ai pensionati della previdenza sociale i beneficî del premio della Repubblica e dell’assistenza sanitaria da parte della Cassa nazionale mutua malattie, alla quale essi ebbero a versare i propri contributi concorrendo alla formazione del patrimonio dell’ente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carboni Angelo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se, in considerazione del grave danno che deriverebbe, per effetto delle eccezionali condizioni economiche attuali, ai sottufficiali, trattenuti e richiamati, dell’Arma dei carabinieri delle classi 1892 a 1895 inclusa dall’attuazione dell’ordine di collocamento in congedo, pel 31 dicembre 1947, emanato dal comando generale, non ritenga opportuno estendere ad essi, a somiglianza di quanto già fu fatto per quelli della guardia di finanza, la disposizione per la quale i sottufficiali delle altre Armi possono essere trattenuti in servizio fino al compimento del 55° anno di età. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carboni Angelo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del lavoro e previdenza sociale, per sapere quali urgenti provvedimenti intendano adottare per avviare a definitiva soluzione la vertenza in corso fra il personale dipendente dai sanatori dell’I.N.P.S., vertenza tuttora aperta a causa della mancata presentazione, da parte dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica, del più volte promesso progetto di decreto sui concorsi del personale sanitario ospedaliero e universitario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Simonini».

 

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se non credano giusto ed opportuno dare immediate disposizioni per ridurre a misura più rispondente alla situazione reale i contingenti fissati per le provincie liguri, quale versamento agli oleari del popolo e nello stesso tempo per conoscere i motivi del ritardo nella emanazione di disposizioni precise per il funzionamento dei frantoi, attualmente ancora inoperosi per la imposta chiusura da parte della Upsea. Il ritardo di cui sopra compromette gravemente i risultati del raccolto delle olive che stanno deperendo presso i produttori, provocando le giustificate proteste di questi ultimi.

«Per sapere, infine, se risponda al vero che starebbero per emanarsi delle disposizioni per la requisizione di alcuni frantoi, dandone la gestione ai Consorzi agrari provinciali con la collaborazione della Upsea e della Sepral, riconoscendo ai Consorzi la esclusività della molitura e un esorbitante diritto di lire 75 per ogni quarta molita per spese di sorveglianza, contabilità e assistenza, con divieto inoltre di contrattazione e vendita delle olive. Queste disposizioni, se attuate, porterebbero il più grave turbamento tra i piccoli produttori di olive e una ingiusta discriminazione fra i frantoiani, alcuni dei quali si vedrebbero privati del loro lavoro, e infine un certo aumento del prezzo dell’olio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pera, Canepa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, in base all’informazione pubblicata nel Notiziario del Ministero della pubblica istruzione dell’8 novembre 1947, circa l’imminente inquadramento nei nuovi gradi superiori dei direttori didattici e degli ispettori scolastici, devono ritenersi compresi gli insegnanti specializzati per sordomuti e i direttori degli istituti per sordomuti che, per ragione di giustizia e come fu già fatto col vecchio inquadramento (regio decreto 11 novembre 1923, n. 2395), vanno equiparati i primi con i direttori didattici ed i secondi con i primi ispettori scolastici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fresa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, sulle cause delle frequenti esplosioni di depositi di munizioni; sulle misure che intende adottare, per evitare il ripetersi delle medesime, e se non ritenga urgente trasferire tali depositi in zone adatte e lontane dall’abitato civile.

«In riferimento all’esplosione di quello di Vigevano, l’interrogante chiede se non sia edotto:

  1. a) che sulle condizioni di sicurezza del deposito stesso aveva espresso dei dubbi l’ex comandante del presidio cittadino;
  2. b) che il sistema difensivo, consistente in un semplice reticolato, non poteva impedire l’accesso di chi volesse portare a compimento atti criminosi;
  3. c) che il servizio di guardia, composto da poche sentinelle a cento metri di distanza l’una dall’altra, era insufficiente in una zona in vicinanza del Ticino, ove il rumore della corrente delle acque impedisce di potere percepire i rumori prodotti dal passo di uomini, e le frequenti e fitte nebbie tolgono la visibilità a pochi metri;
  4. d) che in circa due anni l’autorità superiore competente ha compiuto in tutto una o due ispezioni, mentre avrebbe avuto il dovere di tenersi aggiornata sulle condizioni di sicurezza o meno, per i provvedimenti del caso.

«L’interrogante chiede, infine, se il Ministro non sia d’avviso di provvedere al sollecito accertamento dei danni subiti dalla popolazione civile e alla loro liquidazione per mezzo di uffici periferici della zona militare dalla quale dipende la località sinistrata, danni derivanti dalla morte e dalla mutilazione di persone, dalla distruzione di case, di mobili, ecc., in modo da non rendere maggiormente dolorose le conseguenze del lamentato sinistro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pistoia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere:

1°) i motivi della esplosione della polveriera di Vigevano (Pavia), notoriamente poco presidiata;

2°) i provvedimenti che intende prendere per impedire ulteriori esplosioni «per simpatia»;

3°) i provvedimenti necessari ed urgenti a favore dei congiunti delle vittime e dei sinistrati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mezzadra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quali ragioni abbiano sinora impedito il funzionamento dell’Ente per l’irrigazione delle Puglie e Basilicata: perché non si sia provveduto alla nomina del presidente, che è stata riservata al Ministro; se e quando si prevede la formazione del Consiglio di amministrazione ed il funzionamento dell’Ente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Reale Vito».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere per quali ragioni il Ministero dell’agricoltura non ha ancora, in analogia con quanto fatto dal Ministero dei lavori pubblici e da quello delle comunicazioni, applicato la maggiorazione ai contratti e appalti per lavori vari di bonifiche, in correlazione con le maggiorazioni sui prezzi e sui salari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno revocare il provvedimento di soppressione della scuola di avviamento al lavoro di Nocera Terinese (Catanzaro), provvedimento dal Ministero preso in base ad una insipiente relazione del sindaco del comune di Nocera, il quale non è in grado di comprendere il valore e l’importanza dell’istruzione professionale; tanto più che l’annunciata soppressione della scuola ha provocato una decisa ed unanime protesta popolare ed una formale deliberazione per il ripristino dell’Istituto da parte dei Partiti democratico cristiano, repubblicano, socialista, comunista e della Camera del lavoro, nonché un ordine del giorno nel medesimo senso del Partito qualunquista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mazzei».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere la vera portata della circolare n. 8904 del 1° luglio 1946, relativa a limitazione imposta ai Comitati comunali per le riparazioni dei danni bellici. Detta circolare, e quelle successive sullo stesso argomento, sembrano in netto contrasto con tutte le disposizioni di legge emanate per agevolare e promuovere le riparazioni e le ricostruzioni edilizie di case disastrate da eventi bellici e, comunque, non rispondono né a criteri di economia, né a criteri di giustizia.

«Infatti, non è giusto negare ai cittadini, che in un primo tempo hanno eseguite le sole riparazioni indispensabili, ed ammesse dalle istruzioni ministeriali allora vigenti, il diritto di potere eseguire ora le altre riparazioni, che pur sono ammesse dalle disposizioni in vigore e per le quali anzi è stato notevolmente aumentato il contributo dello Stato. Non si comprende perché alla esecuzione di tali opere ammesse debba far ostacolo la precedente liquidazione di alcune opere diverse da quelle per cui ora si chiede la esecuzione.

«Così facendo, vengono adottati criteri diversi con danno di quelli che furono più solleciti ed ossequienti alle leggi e non si favoriscono le ricostruzioni edilizie che costituiscono, oltre che un debito di onore per il Governo, il presupposto di quella sistemazione o normalizzazione che è nei voti di tutti.

«Non può farsi appello a ragioni di economia e di ristrettezze di mezzi, perché il Governo spontaneamente ha creduto, non solo di estendere il contributo ad opere, che in un primo tempo non erano ammesse, ma ha anche elevato la misura del contributo dal 50 al 75 per cento. Sarebbe stato più logico, per fini economici, mantenere i limiti segnati in un primo tempo, anziché allargare questi limiti a solo beneficio dei ritardatari e con danno dei più solleciti.

L’articolo 1 della legge 9 giugno 1945, n. 565, dava appunto disposizioni per i lavori indispensabili, per dare ricovero ai senza tetto, mentre per gli altri lavori, non aventi tale carattere, statuiva che «sarebbero stati regolati dalle disposizioni generali da emanarsi, per danni di guerra e per le ricostruzioni edilizie». Da ciò si desume che allora si potevano fare le sole opere indispensabili, mentre le altre dovevano farsi successivamente, cioè ora, che sono ammesse anche le ricostruzioni e sono consentite tutte le opere ad eccezione di quelle di lusso, abbellimenti e trasformazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castiglia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere:

1°) se non ritenga urgente dare disposizioni ai dipendenti uffici perché essi provvedano alla immediata corresponsione della indennità sia di carica (decreto legislativo 8 febbraio 1946, n. 63) che di toga (decreto legislativo 19 maggio 1947, n. 400) a tutti coloro che comunque hanno avuto ed hanno funzioni di magistrato presso i Tribunali militari, considerando che le suddette indennità sono state concesse per la carica ricoperta e nell’interesse superiore della giustizia attraverso una elevazione anche materiale delle condizioni dei magistrati italiani, non essendo peraltro morale che si perpetui una disparità di trattamento che si perpetua da oltre un anno, malgrado i ricorsi già proposti dagli stessi interessati;

2°) se non ritenga necessario disporsi che, come già in altre Amministrazioni dello Stato e come già specificamente avvenuto dopo la guerra 1915-18, si provveda, attraverso un concorso per titoli, con opportuna elevazione dei limiti di età per esservi ammessi, alla nomina a magistrato militare dei professionisti contemplati all’articolo 11 del decreto legislativo 21 marzo 1946, n. 144, avvalendosi dei posti rimasti vacanti dal concorso per uditore giudiziario militare, di cui al bando di concorso del 1° marzo 1947 (in Gazzetta Ufficiale n. 121), in considerazione che è necessario sistemare dei reduci trattenuti alle armi con leggi eccezionali, malgrado la cessazione dello stato di guerra, e che appare giusto riparare così al gravissimo danno arrecato ai suddetti professionisti col trattenerli per lungo tempo lontani dall’esercizio professionale, senza per altro doversi dimenticare che l’assunzione di tale personale elimina il periodo di tirocinio previsto per gli uditori, data la piena capacità ed idoneità dimostrata dai suddetti professionisti, specie nel periodo di intenso lavoro del 1944, 1945 e 1946;

3°) se è intendimento del Governo di istituire in Sicilia, unitamente alla sezione della Cassazione, una sezione del Tribunale supremo militare, dato che quest’ultimo organo giudiziario rientra tra gli organi giurisdizionali centrali, previsti dallo Statuto di cui al decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castiglia».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Discussione dei seguenti disegni ili legge:

Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica Italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).

Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (II).

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 15 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXCIV.

SEDUTA DI SABATO 15 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Conti

Rubilli

Porzio

Bosco Lucarelli

Zotta

Interrogazione urgente (Svolgimento):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Lucifero

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Tonello

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 9.30.

ZOTTA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ha facoltà di parlare per la Commissione l’onorevole Conti.

CONTI. Mi limiterò ad una breve discussione, per dar modo ai colleghi, assenti ma presenti, di partire alle 11 per Napoli e di continuare, naturalmente, il viaggio per altri lidi… non già verso questa mèta.

Essendo l’Assemblea in queste condizioni è più facile raccogliersi. Non c’è lo stimolo della folla e non si è portati a dare scandalo. Con l’annunzio di un po’ di scandalo, saremmo probabilmente riusciti a condurre qua dentro diversi deputati. Io mi astengo dallo scandalo per progetto, per sistema, per costume e quindi mi adatto a qualsiasi numero di ascoltatori.

Dirò subito, a proposito della discussione che si è fatta qua dentro – discussione ampia, elevata, dirò subito che non posso ritenere che essa debba essere troppo tra le nuvole; una discussione di idee astratte in sede politica non mi piace. Noi siamo qui per fare una legge, per dare un’organizzazione all’amministrazione della giustizia. Se questo è l’intento, evidentemente noi dobbiamo occuparci di problemi pratici. Non dico che non siano problemi pratici quelli che sono stati trattati qui dentro; ma insomma, lo sviluppo delle trattazioni è stato alquanto dottrinario, teorico, astratto in certi momenti. Abbiamo udito bellissime lezioni di diritto e di procedura penale, che saranno probabilmente ripetute quando i Codici verranno in discussione avanti alla Camera e al Senato della Repubblica.

Non è dunque con un discorso astratto che vi intratterrò.

Io desidero richiamare la vostra attenzione sul modo di organizzare l’amministrazione della giustizia, sulla struttura costituzionale dell’ordinamento della giustizia in Italia. Non mi sottrarrò a dire la mia opinione, quasi come dichiarazione di voto, intorno a problemi che sono stati esaminati.

Si è parlato della giuria. Sono favorevole? Sono contrario? Io riassumo il mio modo di vedere intorno all’istituto della giuria nei termini seguenti: io sono contrario alla giuria. Le discussioni che si sono fatte intorno all’origine della giuria sono pregevolissime. È vero; la giuria è sempre sorta in tempo di libertà; ma, tra i tempi in cui la giuria sorse e i tempi nostri, sono passati molti anni e la democrazia vaga, nebulosa, la democrazia di ispirazione giacobina dell’89 e degli anni seguenti, non è più. Ben altra è oggi la situazione storica, politica, sociale. L’ultimo secolo ha segnato un grande sviluppo della società; conseguentemente si presentano in modo diverso molti problemi e anche quelli giuridici. È quindi evidente la necessità di organizzare la giustizia in modo utile e razionale. Non voglio intendere, così dicendo, che la giuria debba essere scartata, debba essere relegata fra le istituzioni del tutto superate.

Nel 1925, quando stavamo per cadere nell’abisso nel quale andammo a precipitare, si fece, da II Mondo, un referendum intorno appunto all’istituto della giuria. Io risposi, ma la mia risposta non fu pubblicata, perché il giornale fu soppresso. Noi eravamo allora sotto la dominazione della monarchia e in una fase dell’istituzione che io consideravo funesta per il Paese, anche indipendentemente dal fascismo. Dissi: Sì, bisogna conservare la giuria, migliorandola: e facevo alcune proposte concrete intorno al modo di assunzione del giudice popolare.

Allora io ero dunque favorevole alla giuria; oggi non lo sono più. Ho detto però che non dobbiamo relegarla fra le cose morte, perché potrebbe essere anche possibile che la giuria dovesse essere in certi determinati momenti restaurata. Non pregiudichiamo dunque, con un articolo nella Costituzione, la soluzione di questo problema. Io credo che si debba rimettere alla legge ordinaria il compito di dirimere i contrastanti pareri.

C’è un altro problema che ha appassionato: abbiamo anche udito le grida delle nostre colleghe. La donna nella Magistratura. La vogliamo o non la vogliamo? Anche nell’esame di questo problema mi pare si debba essere sereni e tranquilli. Queste povere donne non dànno alcun fastidio in nessuna parte. Si disputa perché c’è un pregiudizio misogino da una parte e c’è un’esaltazione femminista dall’altra. Io mi porrò nel mezzo. No, nella Magistratura? Sì, nella Magistratura?

Io dirò ni. Che cosa voglio intendere di dire col mio ni? Voglio intendere che le donne potranno anche aspirare alla carriera giudiziaria; sta a vedere se riusciranno, sta a vedere se, entrando nella Magistratura, potranno veramente rendere un servigio utile. Non mi pare che si possa preventivamente dire di no.

Io credo che avverrà quel che è avvenuto per tutte le altre affermazioni di diritto della donna. Quarant’anni or sono si voleva la donna avvocata! E avevamo intorno Teresina Labriola: era la sola pretendente, allora.

Dopo il caso di Teresina Labriola, quante sono le donne avvocate? Pochissime: sì e no una in ogni grande sede giudiziaria.

BERTINI. E poco accreditate!

NOBILI TITO ORO. Ma se l’onorevole Conti le ha avute anche nello studio suo!

CONTI. Io no!

NOBILI TITO ORO. Sì, la figlia del collega Del Bello. E la riuscita è stata buona.

CONTI. Ma è stata una frequenza del mio studio addirittura fugace… due settimane. Non ho potuto insegnare niente; ho imparato molte cose: per esempio, che, se hanno attitudini, le donne possono far bene e gareggiare con gli uomini.

Ad ogni modo, io vedo il problema in questi termini: non si devono chiudere le porte. Le donne entreranno in Magistratura; vedranno che essere in Magistratura significa avere molte preoccupazioni e che esercitarne le funzioni non è per esse agevole, e per gli altri tranquillante, in certi periodi della loro vita. È proprio questo l’argomento che in dottrina si oppone all’ammissione delle donne in Magistratura. Si dice che sia imprudenza, per la loro subordinazione fisiologica, che si assumano le donne in Magistratura. In verità, e mi sia consentito il dirlo, anche molti uomini hanno ricorrenze: ci sono moltissimi i quali in certi periodi sono assolutamente intrattabili. Le donne potranno entrare in Magistratura, ma non ci entreranno: questa è la mia convinzione. Comunque, non si deve in una Costituzione moderna chiudere le porte all’ingresso delle donne. D’altra parte, è stato detto che se potranno entrare ed entreranno, bene saranno applicate alla Magistratura dei minorenni. Credo che questa sarebbe un’applicazione utilissima. Si può pensare ad un’altra applicazione utile: ai servizi di cancelleria.

BERTINI. Ci sono già, fuori ruolo.

CONTI. Tanto meglio! È stato dibattuto un altro argomento: quello dell’unicità della giurisdizione. Unicità della giurisdizione. Vorreste forse rinunciare a questo grande principio?

Ma anche per questo principio potranno esserci attenuazioni, piccole deviazioni, le quali non guasteranno il disegno. Certo, è, che bisogna sanare assolutamente la piaga cancerosa delle magistrature speciali.

Uno studio, di uno dei nostri più alti magistrati, denunzia, se non ha sbagliato chi mi ha riferito tale dato, l’esistenza in Italia di trecento magistrature speciali. Evidentemente siamo di fronte ad uno sproposito colossale; bisogna rettificare questa situazione. L’unicità della giurisdizione si impone.

Questione della Cassazione: Cassazione unica. Qui la mia dichiarazione deve essere netta e molto chiara. Io sono un regionalista convinto e ardente; sono, anzi, federalista convintissimo, ma io dico che la Cassazione unica è una necessità assoluta. Proprio in un ordinamento a base regionale, la Cassazione unica si impone: l’unità del diritto deve essere affermata da una voce sola.

Su un punto sono d’accordo perfettamente con uno degli oratori che hanno parlato su questo argomento. Egli ha detto giustamente: ma perché la Cassazione unica deve essere a Roma? Io ho risposto: sono favorevolissimo a portar via da Roma non soltanto la Cassazione, ma anche questa benedetta Capitale! portiamola a Frascati, in Toscana, dove volete.

Questo polmone respira così male, e fa respirare così male gli Italiani! Quanto alla Cassazione, risieda pure a Napoli, a Firenze, dovunque, purché essa pronunzi una parola unica per orientamento giuridico e per il progresso scientifico.

Altra questione, quella dell’iscrizione dei magistrati ai partiti politici. Nessuna limitazione alla libertà, nessuna limitazione di diritti io potrò mai approvare. Non approvo il divieto del progetto. La coscienza dei magistrati deve risolvere il problema. E mi pare, sulle questioni proposte, di aver detto abbastanza.

Adesso vado alla questione essenziale, alla questione grossa: e non la guardiamo con prevenzioni di nessun genere: la questione dell’indipendenza della Magistratura, dell’autonomia della Magistratura.

Dirò che sono subito d’accordissimo con chi ha detto che bisogna cambiare l’intestazione del Titolo: che bisognerebbe dire: potere giudiziario.

L’armonia del testo costituzionale non ha permesso l’accoglimento di questa intitolazione: «potere giudiziario». Non si è detto potere legislativo, non si è detto potere esecutivo; si è ritenuto che non dovesse dirsi potere giudiziario. Non è sembrata neppure appropriata l’intitolazione «ordine giudiziario».

Si è trovato il titolo – a mio modo di vedere – giusto. La Commissione è stata concorde nell’adottare le due parole: «La giustizia». È un titolo solenne che può sodisfare.

Parliamo dell’indipendenza della Magistratura.

Io faccio questa affermazione: l’indipendenza della Magistratura non si vuole da molti, perché si vuole il magistrato assoggettabile al potere esecutivo! (Approvazioni dei deputati Merlin Umberto e Bertini). Tutti i democratici che per anni e anni sono passati qui dentro – ministri e deputati – hanno parlato di Magistratura libera, indipendente, autonoma, ma ne hanno parlato ipocritamente. Nessuno ha voluto la Magistratura davvero indipendente, neppure e, direi, specialmente, ministri arcidemocratici e radicali.

Indipendenza della Magistratura. Si scherzò! Le sentenze si comandavano anche allora, al tempo dei «sinistri», peggio di prima, peggio del tempo dei «destri». Abbiamo avuto Sottosegretari di Stato che hanno appestato l’amministrazione della giustizia con la loro influenza. In tempo fascista incontrai un giorno al Tribunale di Roma un ex Sottosegretario di Stato, già di etichetta democratica, tutto sdegnato perché doveva davanti alla prima sezione civile del Tribunale discutere una causa avendo avversario Arturo Rocco, il fratello del ministro. «Guarda un po’, io devo adesso discutere col fratello del ministro!» esclamò, vedendomi.

Egli credeva che io mi sdegnassi con lui. Lo calmai rispondendo: Non ricordi le porcherie che tu hai fatto qua dentro e altrove quando eri al Governo?

Egli era stato un corruttore, tra i più attivi, della Magistratura!

Indipendenza della Magistratura: la vogliamo! Io sono un difensore tra i più accaniti dell’indipendenza interna ed esterna dei magistrati. Appena ci fu possibilità di dire una parola su questo problema la dissi. Dopo il 25 luglio, essendo stata agitata da un giornale (non ricordo se dal Giornale d’Italia o dal Messaggero) la questione della Magistratura, un mio amico (più personale che politico), l’onorevole Mazzolani, scrisse una lettera per dire che la Magistratura durante il fascismo ne aveva fatte di tutti i colori. Io intervenni con una lettera dicendo: L’indipendenza della Magistratura è sacrosanta e si deve fin d’ora affermare che, nella ricostruzione dello Stato italiano si deve finalmente creare il potere giudiziario, non riconosciuto e non contemplato dallo Statuto albertino: che si deve creare una Magistratura autonoma e indipendente, liberata dal dominio, sempre invece imposto, del potere esecutivo.

Potere giudiziario, indipendenza della Magistratura! Collochiamo il magistrato sul terreno della responsabilità personale! Vogliamo il magistrato libero e responsabile! (Approvazioni dei deputati Merlin Umberto e Bertini).

Non si può non andare a questa soluzione se vogliamo veramente provvedere agli interessi del Paese!

Vogliamo finalmente costituire in Italia l’organizzazione della Magistratura, l’amministrazione della giustizia. Questo il Paese vuole fortissimamente. Credetemi (ma a chi lo dico? Ai competenti?): oggi se vi è una istituzione non stimata nel nostro Paese, essa è la Magistratura. Ad essa non si crede.

BUBBIO. Non è vero.

CONTI. È verissimo.

BUBBIO. Non bisogna esagerare.

BERTINI. Ci sono troppi faccendieri.

BUBBIO. Per noi è santa.

CONTI. Purtroppo è santa a parole: ma oggi non è così. Se non diciamo parole franche non guariremo mai i nostri mali; se non parleremo con parole franche non ripareremo mai i nostri guai. La Magistratura non è stimata e non è stimata – non mi fate ripetere – perché episodi di tutti i giorni dànno anche oggi motivi a non avere fiducia. Nove decimi dei magistrati sono onestissimi; v’è un decimo che diffama tutti.

Un pretore che riceve un sacchetto di farina o un dono qualsiasi è un ribaldo; quel pretore diffama tutta la Magistratura italiana. Un giudice il quale si corrompe, macchia la purezza di tutta la Magistratura italiana. Potrei citare dolorosi episodi. Non facciamo, dunque, storie, onorevole Bubbio. Siamo sinceri e per il nostro amore riscattiamo e onoriamo con l’opera la Magistratura.

Ho sentito tante parole di esaltazione. Sì, signori. Io ho conosciuto magistrati di fronte ai quali mi inginocchierei; grandi magistrati. Io sono ancora in corrispondenza con un uomo, che è al suo novantaduesimo anno di età, che voglio ricordare qui essendo stato ricordato il suo compagno di martirio. Il collega Mancini ha ricordato il sostituto procuratore generale Tancredi, un uomo di alta statura morale. Io voglio ricordare il suo compagno, il magistrato Mauro Del Giudice, presidente della sezione d’accusa di Roma e istruttore del processo Matteotti. Un santo. Fu promosso procuratore generale a Catania per il suo allontanamento dall’ufficio che teneva col polso suo di galantuomo, di austero inflessibile magistrato. Conosco altri magistrati, i quali hanno tenuto la toga durante il fascismo con grande fierezza; magistrati che si sono dichiarati repubblicani fin dai primi momenti del fascismo; magistrati che durante il fascismo sono stati perseguitati, che sono stati esclusi dalle promozioni, che sono stati umiliati. Sì, signori, ma ci sono gli immeritevoli della stima degli onesti.

Ne ho conosciuti, durante l’esercizio della professione, alcuni ai quali ho tolto il saluto con grande mio dolore, perché avevo avuto per molto tempo l’illusione che essi fossero dei galantuomini: dovetti riconoscere che erano dei ribaldi. Mi sono trovato dinanzi ad un alto magistrato di Cassazione il quale, dopo tre sentenze di merito che avevano escluso l’ammissibilità della prova testimoniale in materia di responsabilità civile, regolata dall’articolo 1153, ebbe il coraggio di sostenere davanti alla Suprema Corte l’ammissibilità della prova testimoniale, e un altro alto magistrato ebbe il coraggio di scrivere la sentenza, raccogliendo il fascicolo della causa che il relatore integerrimo, con la solidarietà di tutti i colleghi, aveva rifiutato.

Tanta abiezione per favorire l’amante di quel Teruzzi che fu uno dei peggiori elementi del fascismo. Quei magistrati non esitarono a lacerare le più belle pagine della giurisprudenza italiana. Ma lasciamo questo esame doloroso. La verità è che la Magistratura in Italia bisogna risanarla.

Ma io devo dire una parola di difesa altrettanto ferma e piena di convinzione.

La Magistratura non è colpevole per degenerazione organica. Essa è stata indotta al male. Durante la dominazione della monarchia, il potere esecutivo ha dominato la Magistratura in modo indegno, sempre. E mi rincresce di dispiacere all’amico onorevole Bergamini, agli amici i quali hanno ancora nel cuore un certo affetto – non so se oggi si tratta più di affetto – un certo legame con la monarchia e con la Casa Savoia. Devo dare un dispiacere a questi amici che stimo tanto. È stato proprio il regime sabaudo quello che si è distinto nella corruzione della Magistratura, nella sopraffazione della Magistratura. Bisogna non richiamarsi soltanto ai discorsi di Giuseppe Zanardelli. Ho sentito rievocare quei discorsi sull’avvocatura da tutti gli oratori. Nessuno ha tenuto presente che Zanardelli fu uomo di grandissima eloquenza. Dio ne scampi e liberi dall’eloquenza che è quasi sempre accompagnata dalla retorica. Io sono un nemico degli oratori, specialmente degli oratori politici…

UBERTI. Ma è un oratore anche lei!

CONTI. Zanardelli era un grande oratore ed è riuscito a far divenire quasi popolari i suoi discorsi. Ma ora basta con la retorica e con le storie addomesticate. Cerchiamo la rude cronaca. La storia ad usum delphini bisogna gettarla via.

Io sto facendo uno sforzo nel parlare così. Per il mio sentimento dovrei dire presso a poco quello che è stato detto coi richiami ai discorsi di Zanardelli: per servire la verità, non debbo incitare i sentimentali.

La Magistratura, o signori, in Italia è stata assoggettata sempre al potere esecutivo. E non soltanto dopo l’unità. Si è cominciato in Piemonte, prima del 1859. E volete un’eresia? Questa scuoterà le fibre di molti devoti a una grande figura che io ammiro per tanti altri aspetti. Ammiro l’economista, l’agricoltore, l’uomo dalle idee chiarissime su tanti problemi, su tante questioni: Camillo Cavour. Ma quanta falsità, nelle presentazioni storiche di quest’uomo, posto vicino a Mazzini, a Garibaldi, con un pastrocchio scolastico che bisogna finalmente spastrocchiare, permettetemi il vocabolo!

Cavour è stato uno dei corruttori della Magistratura italiana. Ha imposto procedimenti vessatori della stampa e sentenze di condanna. Egli agì sulla Magistratura nel processo per l’insurrezione genovese del 1857, preparata per assecondare il tentativo di Pisacane nel regno di Napoli. Allora Cavour volle il sequestro quasi quotidiano del giornale L’Italia del Popolo perché quel giornale doveva essere soppresso, doveva morire a tutti i costi. Volle la condanna di Bartolomeo Savi, che era il direttore di quel giornale, volle la condanna a morte di Mazzini.

Vi sono qui onorevoli colleghi di destra, i quali rimproverano poca fierezza dell’Italia d’oggi nella politica internazionale. Oggi questi colleghi fanno dell’irredentismo: tutti i giorni parlano di Trieste. Dimenticano che gli uomini della loro parte furono i più severi repressori dell’irredentismo italiano, quando l’irredentismo in Italia era propugnato dal Partito repubblicano e Trieste e Trento erano nel cuore d’ogni repubblicano.

Il servilismo nella politica internazionale è cosa monarchica. (Interruzione del deputalo Perrone Capano). Dovete imparare molte cose; soprattutto dovete imparare a fare ossequio alla verità! (Interruzione del deputato Perrone Capano).

Tutto quello che si è scritto e detto per esaltare la monarchia è falsità. (Applausi a sinistra). Io ho qui uno studio della Jessy Withe, moglie di Alberto Mario, una delle vittime del processo del 1857. Fu in prigione con Alberto Mario, del quale era allora fidanzata. In questo studio si riportano documenti interessantissimi. Si dimostra l’odio di Cavour per Mazzini. Qui c’è una lettera del 3 luglio 1856 della marchesa Pallavicini a suo marito nella quale la marchesa dice, addolorata, che «Cavour detesta Mazzini». La marchesa comunicava al marito che il Cavour voleva la fucilazione «senza pietà» di Giuseppe Mazzini.

Credo che quella della marchesa Pallavicini sia una testimonianza autorevole. «Non potendo per il momento eseguire questo pietoso disegno né contentare l’imperatore che pretendeva l’immediata soppressione dell’Italia del Popolo, non lasciava passare settimana senza che l’intendente di Genova ricevesse da lui incitamenti ad agire contro il coraggioso giornale. E ciò prima che l’attentato di Orsini desse colore all’accusa che gli Italiani miravano ad estinguere la vita dell’imperatore». «Il Governo francese – diceva Cavour – si lagna sulla tolleranza che si accorda ai mazziniani ed alla loro stampa».

BUBBIO. Ma non dimentichiamo che era in corso la preparazione del Risorgimento.

CONTI. Ma il Risorgimento non si preparava sopprimendo chi voleva l’unità che, nel 1857, Cavour non aveva neppur concepito. Ma proseguiamo: «Onde non perdere la sua amicizia (quella di Napoleone III), la sola sulla quale possiamo fare assegno nelle attuali condizioni dell’Europa, è necessario fare qualche cosa a questo riguardo. Quello che più gioverebbe sarebbe ridurre al silenzio il monitore di Mazzini l’Italia del Popolo. Per raggiungere questo scopo non esiterei a impiegare tutti i mezzi in mio potere. La prego di occuparsene senza indugio, concertandosi con l’avvocato Genne onde vedere se questo alto funzionario credesse potere colpire quel giornale con frequenti e quasi quotidiani sequestri. Se fra gli scrittori del giornale vi sono emigrati, bisogna dar loro immediatamente lo sfratto, qualunque sia la natura degli articoli dovuti alla loro penna. Anche l’appendicista teatrale deve essere cacciato. Il solo fatto di scrivere in quello scellerato giornale, deve rendere l’emigrato indegno della nostra ospitalità. Esso è un’onta ed un pericolo per la società; il distruggerlo è eminentemente patriottico. Se la Signoria Vostra può compierlo, acquisterà titolo grande alla mia particolare riconoscenza».

Ho letto parte di una lettera di Cavour.

«E il degno fisco, – dice la Mario – fece quanto stette in lui per secondare le calde istanze dell’intendente. Sequestrò quasi quotidianamente il giornale; mise in prigione un gerente dopo l’altro». Il giornale morì.

Ho voluto mettere questo punto fermo; e mi dispiace di dispiacere a qualcuno, specialmente all’amico onorevole Bubbio.

BUBBIO. Io difendo il Piemonte.

CONTI. Vedete dove si va a finire con la retorica! Che c’entra il Piemonte? Per non essere da meno io difendo del Piemonte Angelo Brofferio. Finì male anche lui, perché, quando Vittorio Emanuele II, con le sue arti, riuscì a rovinarlo dandogli l’incarico di scrivere la Storia del Parlamento subalpino, cedette.

La corruzione della Magistratura, il dominio per il quale la Magistratura è stata costretta a vivere la sua vita dolorosa e mortificata, sono continuati durante tutto il regno sabaudo nel nostro Paese.

Ricordate i processi scandalosi, organizzati o manovrati dai Governi. Sono tanti. Non voglio di certo fare qui una storia dettagliata di tali processi. Basta ricordarne uno che è espressione di tutta una fase della vita italiana: il processo Lobbia. Contro quel denunziatore delle azioni delittuose di loschi uomini politici nella regìa dei tabacchi fu organizzato l’assassinio. Per salvare i consorti sostenitori del Governo si arrivò ad indurre la Magistratura ad elevare imputazione di simulazione di reato contro il Lobbia, e si impose ai magistrati l’istruzione del processo. Ma in quel momento si ebbero due grandi esempi di indipendenza e di fierezza di magistrati. Nelli e Borgnini, sdegnosi di servire i governanti, gettarono alle ortiche la toga, dichiarando al Ministro di non voler essere strumento della perfidia governativa. Pur troppo quei due integerrimi magistrati furono sostituiti da colleghi i quali ebbero, in premio della loro abiezione, rapida carriera.

Leggiamo pure, onorevoli colleghi, i discorsi di Zanardelli; ma ricordiamo anche questi e tanti altri episodi.

Ma intorno al trattamento della Magistratura si deve riferire il giudizio di uomini di indiscussa probità.

Ecco il giudizio del senatore Adeodato Bonasi.

Egli della sorte disgraziata della Magistratura scriveva, nel 1884, queste lapidarie parole che suffragano le prime parole che ho rivolto all’Assemblea: «Affinché la Magistratura possa compiere l’altissimo ufficio, due condizioni sono indispensabili, e cioè che il mandato affidatole corrisponda alla razionale ampiezza della sua funzione: che la sua indipendenza sia così intera ed assoluta, da sottrarla ad ogni timore e ad ogni lusinga del potere. In Italia le parti politiche che si sono finora conteso il campo hanno entrambe contribuito a sodisfare alla prima condizione, ma purtroppo danno gareggiato altresì nel disconoscere la seconda. Quanto alla seconda condizione «destra» e «sinistra», o non hanno avuto conoscenza dei mezzi indispensabili per costringere e mantenere la Magistratura all’altezza del suo ministerio, o, avendoli, hanno postergato le esigenze della giustizia agli interessi di parte. La «sinistra», finché era minoranza, declamava contro il servaggio della Magistratura ed accusava il Governo di abusarne a scopo partigiano; la «destra», divenuta a sua volta minoranza, ha rimandato l’accusa ai propri avversari rincarandola».

Questa è la verità, questa la sorte della Magistratura.

Vi ho parlato del Cavour e delle sue inframmettenze nell’amministrazione della giustizia. Volete conoscere inframmettenze di Ministri di tempo meno remoto? Vedo dinanzi a me uomini a me carissimi. Ho innanzi agli occhi l’amico Porzio, che è un conoscitore delle cose che dico. Egli per i suoi sentimenti non direbbe forse le cose amare che dico io, ma egli sa e mi è testimonio.

Udite che cosa disse in un discorso Napoleone Colajanni, nella tornata del 6 maggio 1904, occupandosi alla Camera dell’amministrazione della giustizia in Italia. Colajanni si occupava specialmente del problema dell’amministrazione della giustizia in Sicilia. Non vi riferisco quello che poté dire di questo problema nella disgraziata Isola, difesa tanto strenuamente, quanto inutilmente da Diego Tajani che, nei suoi discorsi parlamentari, denunziò più volte con sdegno l’azione dei Savoia, peggiore di quella dei Borboni. Occupandosi dell’amministrazione della giustizia Colajanni disse queste parole che leggo sul resoconto stenografico: «All’onorevole Giolitti devo ricordare un altro episodio che dimostra cosa sia talvolta la Magistratura italiana. Un giorno si venne a domandare l’autorizzazione a procedere in giudizio contro l’attuale Presidente del Consiglio. Uno scandalo! Una indegnità, ed io non attesi che l’onorevole Giolitti tornasse al potere per levarmi da questi banchi, anche a costo di provocare l’indignazione del collega Morandi. Ebbene, allora ci fu un Ministro Guardasigilli tanto ingenuo da dire: ma datemi il tempo di formare l’ambiente nel tribunale per farlo condannare.

«Voci (le solite voci che vociferavano anche allora): Costa! (si alludeva al Ministro Costa).

«Mazza. (Era un deputato di allora): Che Costa! Fu Calenda dei Tavani.

«Colajanni. Fu Calenda, che diamine! (Commenti)».

Questa è stata, onorevoli colleghi, la vita della Magistratura, la misera vita della Magistratura. Ho detto prima: vita imposta dai Savoia. Ho avuto occasione altra volta di difendere i Borboni in confronto dei Savoia: è tutto dire! Ebbene, debbo dire che i Borboni hanno avuto della Magistratura un altissimo concetto e l’hanno sempre rispettata. Per i reati politici, tribunali speciali: ma la Magistratura civile e quella criminale nel Regno di Napoli, o signori, è stata la più alta Magistratura che l’Italia abbia potuto ammirare. Ricordate i grandissimi magistrati del tempo borbonico: i Mirabello… gli Arabia.

PORZIO. …e i Niccolini! E i Poerio!

CONTI. …i Niccolini e i Poerio! tanti altri ancora. Ricordatevi soprattutto del carattere autoritario del Re di Napoli. Ebbene, egli fu rispettoso della Magistratura. Io ricordo che nel 1925, innanzi al Senato, il senatore Cannavina, di grande probità e di alto ingegno, in un discorso molto eloquente, ricordò un significativo episodio. Leggo il resoconto stenografico della seduta 14 maggio 1925, del Senato: «Onorevole Ministro, io ho poco altro da dire. Tanti anni fa (io non ero ancora nato, e molto meno l’onorevole Ministro, essendo giovane e certo molto meno innanzi di me negli anni), un principe potentissimo, forse anche per relazioni di parentela presso una delle tante corti che allora infestavano e tiranneggiavano l’Italia divisa, ricevendo la notizia, di ritorno dalla consueta passeggiata a cavallo, della pronunzia di una sentenza che non era quella che egli avrebbe desiderata, si presentò, calzato cogli stessi stivali lordi di polvere e col frustino in mano, nella casa del presidente del Collegio che aveva pronunziato la sentenza, e con fare burbanzoso, gli domandò come mai si fosse pronunciata una sentenza a lui contraria. Quel grande magistrato, perché grande dimostrò di essere anche dopo, con molta dignità rispose alla domanda villana, aver egli emesso la sentenza che rispondeva ai dettami della propria coscienza; quindi, essendo in casa propria, additò, con pari dignità e con altrettanto decoro ed austerità, la via dell’uscita. L’indomani, quel magistrato presentò al re le sue dimissioni motivate. Il principe non ebbe a soffrire, per usare la frase adoperata da chi narra il fatto, neppure un dolore di testa per l’atto villano; i tempi non lo consentivano; ma di quel valoroso e integro magistrato non furono accettate le dimissioni, che anzi, invitato a riprendere servizio, fu promosso da presidente di camera, come allora si chiamavano i presidenti di sezione, a presidente del collegio. Quel principe era il principe d’Ischitella; quel magistrato chiuse la carriera venerato da tutti quale presidente di camera di una delle Corti di cassazione del Regno: era il Niutta. Quel Governo era il Governo dei Borboni, il quale perseguitava, per ragioni politiche, costituendo tribunali speciali, ma rispettava la integrità della Magistratura nella sua altissima funzione».

Io ricordo un altro episodio. Fu condannato a morie, dal tribunale speciale di Sicilia, Francesco Bentivegna. Il povero Bentivegna aveva prodotto ricorso alla Corte Suprema. All’udienza, chiamato il ricorso di Bentivegna, il procuratore generale dice: «L’esame di questo ricorso è inutile: la sentenza è stata eseguita. Bentivegna è morto». Ed il Presidente di rimando: «Per noi Bentivegna è vivo». E la sentenza fu annullata.

Signori, è doloroso, ma di fronte a queste manifestazioni di veramente grandi figure della Magistratura nostra, di fronte a questi esempi di fierezza e di austerità, di altezza morale, noi abbiamo purtroppo visto imposizioni e casi di debolezza e di servilismo. Preferisco di non parlare lungamente di queste cose. Del periodo prefascista qualche cosa ho detto: mi sono limitato ad accenni.

Può interessarci ancora il periodo fascista. Di quel periodo possiamo ricordare atteggiamenti dolorosi della Magistratura. Ricordo una polemica per un giudizio di Guglielmo Ferrero che, parlando della Magistratura, – eravamo nel 1923-24 – disse così: «Qualche volta la Magistratura è estrosa, isterica, indulgente e feroce, o indulgente, a capriccio, ché sotto il mantello nasconde falsi pesi e qualche volta sa barattare i buoni coi cattivi, senza che il pubblico, che guarda e non vede, se ne accorga; ogni tanto cede agli intrighi di loggia, di sacrestia o di alcova; è schiava della carta su cui scrive e del privilegio accordato a lei che il suo inchiostro dica su quella carta la verità e non vuole mai, per puntiglio, per odio o per amore, rivedere quello che ha scritto, anche se l’ha scritto in fretta».

Questo era il giudizio molto severo di Guglielmo Ferrero.

BERTINI. Eccessivo.

CONTI. Eccessivo il giudizio, onorevole Bertini, ma suggerito dalla asprezza dei tempi nei quali fu scritto, e quando v’erano magistrati che avevano il coraggio di pubblicare opuscoli come questo che vi mostro, dovuto al Presidente di sezione della Corte di cassazione Antonio Marongiu.

BERTINI. Ricordo che pronunciò sentenze gravissime a carico di persecutori di antifascisti.

CONTI. Questo magistrato volle dimostrare che la Magistratura si era «resa conto» del tempo, come aveva voluto il Ministro Rocco.

Egli esibiva, oltre al resto, questa massima della Corte di Cassazione, come una perla: «Non è vietato al cittadino di interessarsi delle cose concernenti la vita pubblica della Nazione…».

BERTINI. Aspettava di essere nominato senatore, ma poi non lo fu.

CONTI. «…È vietato soltanto – diceva – (quanta finezza) d’intralciare l’opera sapiente del Governo fascista». (Commenti).

Leggo un’altra massima: «La più grande e geniale concezione che nel reggimento degli Stati registri la storia moderna è l’ordinamento corporativo, nella creazione del quale ha culminato la rivoluzione fascista». Onorevoli colleghi, di fronte a questi documenti non possiamo essere ipocriti sino al punto di dire tutte le cose che sono state dette qui dentro. Basta con le ipocrisie, andiamo avanti con animo forte, compiamo questa fatica che deve essere benefica per il nostro Paese. Noi dobbiamo creare un’organizzazione salda e sicura della giustizia. Essa sarà amministrata dagli uomini, si capisce, ma noi dobbiamo contribuire tutti a dare in questa Costituzione un ordinamento che assicuri l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario, l’indipendenza dei magistrati che sapranno esserne degni nello Stato repubblicano.

Lo so, onorevoli colleghi, scettici e dubbiosi. Quando avremo la Magistratura autonoma e indipendente, si creeranno filoni, si useranno piccole reti, si apriranno viottoli e stradette per giungere nei luoghi più sacri. Lo so: non sono giunto ai miei 65 anni, per essere tanto ingenuo…

La Repubblica (ho avuto occasione di dirlo altre volte) non può sorgere in un attimo. La sua azione moralizzatrice, educatrice, non può svolgersi che lentamente. Ma non mancherà: e con l’educazione degli uomini, con la trasformazione degli spiriti nella libertà si avranno tanti frutti fecondi. L’ordinamento giudiziario dobbiamo crearlo ex novo: risentirà subito effetti restauratori non essendo più sopraffatto dal potere esecutivo.

Una voce a destra. Bisogna pagarli i magistrati!

CONTI. Pagarli: brutta parola, ma parlerò anche di questo. Ora dico che la base di tutto è l’indipendenza, è l’autonomia. Il testo della Costituzione progettato dalla Commissione è un testo che si avvicina all’ideale. Con l’ordinamento proposto si può fare molto. Lasciamo i magistrati tranquilli, non diamo loro il pretesto di essere cattivi amministratori di giustizia; rendiamoli liberi con la loro responsabilità. Dobbiamo metterci in condizione (questa è forse una lacuna del progetto e bisognerà provvedervi), mettiamoci in condizione di poter discutere dal di fuori la Magistratura.

Non è vero che il Parlamento debba essere inerte in suo confronto; non è vero che autonomia ed indipendenza significhino l’impossibilità di elevare anche accuse contro la Magistratura.

A questo proposito bisogna chiarire che la funzione, l’organizzazione, l’ufficio, del Ministro della giustizia non saranno ridotte: il Ministero dovrà sempre avere la possibilità di far valere i diritti dell’opinione pubblica, e la forza dello Stato deve intervenire contro l’eventuale tentativo di una deviazione della Magistratura dalle vie giuste. Questo deve essere il nostro proposito. Non mi intrattengo nell’esaminare la portata del progetto a questo riguardo. Sono pratico: al progetto ci avvicineremo man mano che si discuteranno gli emendamenti e tutte le norme che sono proposte dovranno essere discusse opportunamente.

Il progetto dev’essere migliorato anche in questa parte; si ricordi sempre che la Magistratura ha diritto alla sua indipendenza ed alla sua autonomia.

Dio mio, ci sono colleghi, molti colleghi i quali dicono, dicevano, dissero – anche nelle sedute della sezione della Sottocommissione che doveva preparare il progetto – dicevano e dicono: ma Pilotti!? Non ce n’è uno solo di Pilotti, purtroppo!

Sissignori, Pilotti ed altri sono ostili alle istituzioni repubblicane: ma tanti altri magistrati sono repubblicani convinti, tanti altri comprendono che la Repubblica è affermazione del diritto, che la legge davvero è uguale per tutti.

Chi sa quando tutti i magistrati comprenderanno? Ma dobbiamo, possiamo tradire i principî perché la Cassazione vuole essere ostile, perché alcuni magistrati vogliono essere ostili! Dobbiamo forse allarmarci di ciò? Dio mio! noi li bocceremo in diritto costituzionale (Ilarità); diremo che sono dei grandi giuristi; ma che sono asini nel considerare le cose politiche.

Dovremmo dire la stessa cosa anche nei confronti di italiani i quali non comprendono ancora il valore della grande conquista che l’Italia ha fatto con la Repubblica, i quali non hanno capito che questa è possibilità di sviluppo della nostra vita sociale e politica, di progresso di tutte le istituzioni. La Repubblica vuol dire che sono abbattuti gli ostacoli al progresso morale e politico degli italiani. V’è chi parla senza riflessione di guerra civile; è facile rispondere che, proprio se non fossimo ora in regime repubblicano, avremmo oggi le squadre armate che partirebbero dal Quirinale per opporre resistenza al progresso del Paese.

Non si parli di guerra civile, perché non sono possibili le cospirazioni della casa reale con gli altri fautori della politica forte, della politica armata contro i lavoratori. Non sarà possibile più il fascismo in Italia. Non sarà più possibile perché non ci saranno più le forze dello Stato ad organizzarlo, perché il fascismo fu organizzato dallo Stato monarchico, fu organizzato da casa Savoia, dai principi di casa Savoia. (Visi applausi).

Armiamoci invece della nostra più grande serenità e procediamo verso la costituzione di una grande, indipendente, autonoma Magistratura.

Ma – me lo permettano i colleghi – dalle nuvole dove molti hanno vagato, scendiamo al pratico e vediamo come potrà funzionare questa grande istituzione. Ho sentito domandare da alcuni: Ma non esisterà, dunque, più il Ministro della giustizia? Ma che modo è questo di veder le cose!

Se potessi fare quel che penso, io vorrei che domani non ci fossero più Ministeri e specialmente così pletorici e così sovraccarichi di faccende come ci sono ora. Ma, che cosa sarà questo Ministero della giustizia? Niente, si dice. Il povero ministro dovrà andare al palazzo di Via Arenula per guardare le mura e tornare a casa tutto sconsolato perché non sarà più il Ministro arbitro della giustizia. Niente affatto, signori. Con l’organizzazione della Magistratura che è in progetto, il Ministro avrà sempre molte cose da fare: ed egli sarà l’altissimo, vigilante preside all’amministrazione della Giustizia.

Al Ministero resteranno assegnate le importanti funzioni che oggi esercita, meno una. Avrà innanzitutto il compito dell’interpretazione legislativa, darà pareri sull’interpretazione delle leggi; farà funzionare le commissioni di studi legislativi, continuerà la collaborazione alla preparazione di provvedimenti legislativi e di regolamenti; avrà sempre rapporti con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e coi vari Ministeri, col Senato e con la Camera, ecc.

Al Ministero funzionerà sempre l’ufficio per la pubblicazione delle leggi e dei decreti, della Gazzetta Ufficiale; per l’esame degli atti da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale; per la raccolta delle leggi; per le registrazioni alla Corte dei conti; e funzioneranno la direzione e redazione della Gazzetta Ufficiale.

Al Ministero funzionerà sempre l’ufficio di disciplina delle professioni. Dovrà istituirsi un nuovo ufficio per i rapporti con la Magistratura. Ecco una disposizione che sarà forse necessaria nel nostro progetto.

Dovrà sempre funzionare l’Ispettorato generale per l’ispezione degli uffici giudiziari, degli archivi notarili e, in genere, degli uffici dipendenti e vigilati dal Ministero.

Un ufficio dovrà cessare al Ministero della giustizia: l’Ufficio superiore del personale che dovrà essere affidato alla stessa Magistratura.

Dovrà essere conservata la direzione generale degli affari civili e del notariato; degli archivi notarili; delle spese di giustizia; dei servizi degli ufficiali giudiziari e degli uscieri di conciliazione; dei locali e archivi giudiziari.

Non vi posso trattenere su questo punto; ma non vogliamo pensare anche a questa grande necessità e al dovere di dare all’amministrazione della giustizia in ogni luogo sedi degne? In Italia si amministra la giustizia in sedi indegne. È proprio dalle piccole cose, onorevoli colleghi, che si deve cominciare a restaurare il prestigio della giustizia.

Ma a proposito di prestigio voglio subito fare una recisa affermazione: voglio dire che bisogna provvedere al trattamento economico dei magistrati in modo serissimo. Se non si penserà a risolvere questo problema, sarà vana ogni riforma. Il magistrato deve avere assegni (mi rifiuto di usare il vocabolo stipendio) superiori di gran lunga a quelli percepiti dai più alti funzionari dello Stato. E guai se non sarà così. Il magistrato deve essere tranquillo: deve vivere in condizioni di agiatezza. E non deve essere considerato un impiegato, un funzionario, un dipendente dello Stato: deve riconoscersi nel magistrato un mandatario della giustizia, fuori di tutti i quadri. L’orribile condizione dei magistrati deve finire. E basta con le promesse. È tempo questo di attuazioni serie, di riforme profonde.

Insisto su questo tema, onorevoli colleghi, dicendo che questo problema deve essere risolto in modo integrale. Qui a Roma, signori, dove è la Suprema Corte di cassazione, anche io ritengo che il primo presidente debba aver dimora in uno dei più bei palazzi di Roma. Quando il Presidente della Repubblica si trasferirà al Quirinale, il palazzo Giustiniani dovrebbe essere destinato al Primo presidente della Corte di cassazione, al Procuratore generale della Repubblica. I magistrati tutti devono avere abitazioni decorose.

Voi m’intendete. Così parlando io penso a una vera elevazione della condizione anche economica dei magistrati. Essi debbono potersi vestire, come il Machiavelli, degli abiti migliori quando si apprestano nei loro studi a stilare le loro sentenze! Oggi non possono scegliere abiti.

Ma io debbo ritornane a parlare, per concludere, del Ministero della giustizia. Oltre le direzioni e gli uffici che ho enumerato, ricordo la direzione degli affari penali e del casellario; ricordo, in modo speciale, la direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena (eccoti sodisfatto, amico Merlin!); per i fabbricati e locali carcerari; per le manutenzioni e contratti; per i detenuti e i condannati; per misure di sicurezza detentive e preventive; per le carceri mandamentali.

Come vedete, o signori, il Ministero della giustizia non finirà! La funzione del Ministro sarà di grande importanza. E lo sarà soprattutto dal punto di vista politico. Questo è un punto sul quale desidero dire una parola chiarissima.

Sì, autonomia, indipendenza della Magistratura. Sì, Consiglio Superiore della Magistratura: sì, e composto anche in maggioranza di magistrati: io vorrei che esso fosse composto in maggioranza di magistrati. Tutta la libertà, tutta l’indipendenza! Ma non pensano neanche essi, i magistrati, che si possa costituire una casta chiusa e impenetrabile! La Magistratura non deve essere una casta chiusa, non può essere una casta chiusa! Bisognerà provvedere con una parola della Costituzione, con leggi opportune, al momento della organizzazione – per via di legge – dell’ordinamento giudiziario, bisognerà provvedere in modo che tra l’organizzazione autonoma della Magistratura, tra il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministro sia stabilito formalmente un rapporto costante, attuata una relazione costante. Bisogna stabilire l’obbligo di rapporti periodici, bisogna stabilire che vi sia la comunicazione di tutti gli atti e provvedimenti del Consiglio Superiore della Magistratura, anche di quelli non necessariamente dovuti; che da parte del Consiglio della Magistratura si senta la sovranità dello Stato, si comprenda, si senta, si voglia che il Ministro di grazia o giustizia deve avere l’alta vigilanza su tutto l’ordinamento giuridico, e diritto di tenere gli occhi sulla Magistratura, che potrà in ogni momento essere esposta al giudizio del Paese.

L’indipendenza e l’autonomia deve consistere nel taglio netto di quel cordone ombelicale per il quale il Magistrato era soggetto all’autorità e al prepotere del Governo. Questa deve essere l’indipendenza; ma, per il resto, deve sempre esservi una grande relazione fra Magistratura e Stato, una grande relazione cordiale, che mi auguro sempre più cordiale, ogni giorno di più cordiale, man mano che la Magistratura capirà che è la Magistratura della Repubblica italiana, non è più un organo esecutivo e subordinato, ma è una voce che dice la parola della giustizia al popolo italiano; man mano che capirà che si tratta di ridare al popolo italiano questo conforto dopo tante ingiustizie: il conforto che la giustizia in Italia è finalmente una cosa seria!

Onorevoli colleghi, spero di non avervi trattenuto troppo, ma queste sono le idee che ho voluto chiaramente esprimervi. Siamo tranquilli! Quando voteremo gli emendamenti, non lasciamoci trasportare da faziosità, da preconcetti, da risentimenti, da rancori. Non restauriamo il Paese facendo una gran volta senza i sostegni necessari per la sua solidità. Noi dobbiamo costruire una volta capace di sostenere lutti i pesi e di resistere ad ogni evento. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare allo svolgimento degli ordini del giorno, che sono abbastanza numerosi.

Rammento ai presentatori degli ordini del giorno che il Regolamento stabilisce un limite di tempo per lo svolgimento di essi.

L’onorevole Rubilli ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente:

1°) afferma – nell’esame della legge per la Costituzione dello Stato, la quale mira principalmente a stabilire i diritti e le guarentigie fondamentali – che l’Amministrazione della giustizia penale deve ritenersi preminente sopra ogni altra mansione o espressione giudiziaria, poiché la libertà dei cittadini vale assai più di qualsiasi contesa di carattere economico o patrimoniale, e perciò ad essa debbono essere preposti i migliori magistrati, non esclusi i capi dei collegi giudiziari, almeno per i dibattiti di maggiore entità, salvo a modificare opportunamente i criteri sinora seguiti per la carriera e le promozioni, i quali danno eccessiva importanza alle sentenze civili;

2°) considera altresì che l’istituzione dei giurati rappresenta un grave problema, che non va risolto con criteri politici di male intesa democrazia, ma esclusivamente con criteri tecnici e giuridici; quindi ne ordina lo stralcio dalla legge costituzionale con la soppressione dell’articolo 96 e col rinvio alla legge che regolerà il funzionamento delle Corti d’assise».

Ha facoltà di svolgerlo.

RUBILLI. Onorevoli colleghi, se non mi è riuscito di prendere la parola nella discussione generale, che si è chiusa ieri, prima che si arrivasse al mio turno, non mi dispiace affatto, perché la discussione è stata tanto elevata e tanto ampia che non vi era affatto bisogno della mia parola; meglio da parte mia apprendere ed ammirare, anziché parlare. Mi dispiace per una sola cosa, perché avrei desiderato richiamare tutta l’attenzione dell’Assemblea sulle condizioni veramente miserevoli dell’amministrazione della giustizia dal punto di vista finanziario: magistrati mal pagati, locali per lo più angusti e indecenti, mobili sudici, personale di cancelleria insufficiente per numero; talora poi si arriva al punto che manca persino la carta. I processi sono scritti sulle carte annonarie fuori uso, e qualche volta ci è dato di assistere allo spettacolo di un magistrato che esce dalla camera di Consiglio e gira per vari uffici nella ricerca affannosa di mezzo foglio di carta per scrivere il dispositivo della sentenza. Il Ministro del tesoro non si spaventa neppure se si deve provvedere a 22 o 23 Parlamenti regionali, ma quando ha la richiesta anche di mille lire per l’amministrazione giudiziaria ci pensa 8 giorni e molto frequentemente le nega. Tutte le economie sono fatte sul bilancio della giustizia. Ad onta di ciò l’amministrazione giudiziaria in Italia funziona e funziona bene, per i sacrifici, l’abnegazione, le virtù e i meriti degli uomini che vi sono preposti, non esclusi gli avvocati. Questo avrei desiderato semplicemente dire e dimostrare meglio, se io avessi potuto prendere la parola nella discussione generale. Ed avrei aggiunto che l’indipendenza dei magistrati non si discute neanche, è assiomatica, intimamente connessa alla Giustizia, ma deve essere indipendenza dall’alto e dal basso, dai poteri costituiti e dalla folla, che deve rispettare lo sentenze dei giudici. Ad ogni modo, per ora io debbo all’ordine del giorno, e l’ordine del giorno che ho presentato consta di due parti. Per la prima parte io non chiedo all’Assemblea che un’affermazione chiara, precisa la quale risponda non solo alla mia coscienza, ma, come credo, anche alla coscienza pubblica. Io chiedo che si dichiari in sede di legge costituzionale, ora che si stabiliscono specialmente i diritti e le guarantigie fondamentali di ogni cittadino, cioè nella sede più appropriata e più opportuna, che la giustizia penale è ritenuta preminente di fronte a qualsiasi altra mansione o espressione giudiziaria.

Altro è trattare di questioni patrimoniali, di una somma maggiore o minore da attribuire ad un cittadino, per esempio, altro è parlare di una servitù o di un possesso più o meno minuscolo, o insomma di un qualsiasi interesse privato, altro è un grande interesse pubblico come è quello rappresentato dall’amministrazione della giustizia penale.

Ora quello che avviene è completamente diverso da ciò che io sostengo, perché si verifica indiscutibilmente il contrario. Ogni preminenza è data all’amministrazione della giustizia civile per le grandi ed anche per le piccole cause.

Entrate dove si raccoglie una prova civile e voi troverete una bella stanza prima d’ogni altro, e vedrete un giudice serio, solenne, impettito, il quale ascolta con encomiabile calma, come si conviene del resto, le dichiarazioni dei testimoni, non più di sette o otto in una giornata, e forse anche meno. I verbali sono completamente in regola, tutte le domande sono accolte con una pazienza straordinaria, con una forma che veramente appaga l’animo e la coscienza. Andate invece a vedere che cosa avviene presso gli uffici del giudice istruttore in materia penale. Dinnanzi alla sua porta voi trovate sempre venti o trenta testimoni ed il giudice passa da un processo all’altro, da una materia all’altra. Non legge mai ai testimoni i verbali che ha raccolti, scrive lui in fretta, e per lo più non si fa assistere neppure da un cancelliere; molte volte è tale il lavoro da espletare che affida proprio al cancelliere il compito d’istruire almeno in parte un procedimento penale. E poi si arriva in tribunale o in Corte d’assise e si vede il testimone alle prese col Presidente nelle inevitabili contestazioni, perché non si sa se egli veramente abbia detto quello che sta scritto o quello che riferisce in udienza. Il Magistrato non ha colpa, perché avrebbe bisogno d’un collega con cui dividere il lavoro. Siete entrati mai in una prima sezione civile delle Corti di appello? Sembra di entrare in un’aula di accademia con un consesso di dotti. Il Presidente con grande solennità siede sulla sua poltrona ed è circondato da dieci-dodici consiglieri. E l’opinione pubblica dice che sono i migliori magistrati della Corte di appello. Andate in sezione penale: il numero appena ristretto e sufficiente per decidere le cause, e se per caso si ammala o è in ritardo uno dei consiglieri, l’udienza si apre due ore dopo e si va cercando affannosamente qualcuno che sostituisca il consigliere assente. Lo stesso avviene, fatte le debite proporzioni, nei tribunali. I capi di un Collegio giudiziario disdegnano assolutamente la materia penale. Non appare mai in udienza il Presidente del tribunale, non appare mai il Procuratore della Repubblica. Il Procuratore della Repubblica manda i suoi giovani dipendenti. Che cosa è adunque l’udienza penale? Credono di abbassare la dignità se vi partecipano e menomare il loro prestigio. Eppure la presenza, sia pure saltuaria, dei Capi del Collegio nei dibattimenti di prima istanza sarebbe utilissima, perché eleverebbe il tono, il prestigio, la dignità dell’udienza, ed affermerebbe meglio la solennità della giustizia, di fronte al pubblico che numeroso frequenta le aule nei dibattimenti penali; in pari tempo sarebbe anche di guida sapiente ai magistrati più giovani. Io oserei dire che anche il Primo Presidente della Corte di cassazione potrebbe talora degnarsi, senza vergognarsene, di dare uno sguardo sapiente ed autorevole ad una sentenza che ha condannato un imputato all’ergastolo, o comunque a pena grave. Non vi sarebbe niente di male, ed egli dedicherebbe assai bene un po’ del suo tempo ad una delle più elevate mansioni giudiziarie.

Invece, la giustizia penale è considerata come una bassa materia, mentre dovrebbe maggiormente appassionare, richiamando la più diligente attenzione. Vi esorto colleghi a pronunziarvi solennemente in questo senso. (Applausi).

Bisogna pur comprendere, e dovrebbero comprenderlo i magistrati, che la più alta funzione si verifica in loro appunto quando amministrano la giustizia penale. Che importa discutere e scervellarsi per vedere se una finestra deve stare un palmo più avanti o più indietro? Che cosa importa perdere talora qualche settimana per vedere se un albero appartenga al padrone di un fondo oppure all’altro proprietario in confine? Bisogna stare invece attenti, usare tutte le forze della coscienza e dell’intelligenza, quando si tratta di discutere della libertà e talvolta anche della vita d’un cittadino, perché la privazione della libertà non si sa mai quali conseguenze possa avere per l’imputato e la sua famiglia. Allora soltanto è grande la missione del giudice. Allora egli si eleva al disopra dell’umanità; assurge ad un livello più alto e diverso dagli altri uomini, e si arroga quasi un’aureola divina, perché egli solo si assume il diritto di giudicare il proprio simile e punirlo. (Approvazioni).

Io ho la massima riverenza per la cultura classica, per la dottrina, per ogni fonte del sapere, ma non credo che il mondo debba rimanere sempre legato alle antiche irremovibili tradizioni. Il mondo – lo sappiano pure i magistrati – è sempre in movimento; e la faticata interpretazione di una frase di Ulpiano o di una parola di Papiniano sulla quale si studia, si riflette e s’indaga forse per parecchi giorni è cosa cui rimane insensibile il popolo; mentre il popolo si commuove, se dubita che a torto si sia condannato un innocente o prosciolto un colpevole, ed anche se si sia dato qualche anno di più o qualche anno di meno di reclusione.

Bisogna dunque dirlo una buona volta: la giustizia penale deve essere preminente, ad essa devono essere dedicati e preposti i migliori magistrati. Non intendo fare distinzione fra migliori e peggiori. Io sono abituato a non dir male di nessuno e a dire bene di tutti quanti. Per me i magistrati hanno lo stesso valore. Ma vi è differenza fra i più anziani, i più esperti, quelli che hanno acquistato maggiore pratica nell’amministrazione della giustizia, ed i giovani, i novellini, quelli di prima nomina, i quali quasi sempre o per lo meno con maggiore frequenza sono mandati alle udienze penali.

Credo di avere espresso con chiarezza e con precisione il mio concetto.

S’intende però che i magistrati hanno anche il diritto di pensare alla carriera ed alle promozioni; all’uopo occorrerà seguire criteri diversi da quelli sinora in uso. Le sentenze civili, con ampio e spesso facile sfoggio di dottrina e di giurisprudenza, tratto in gran parte dalle studiate ed elaborate difese dei patroni delle parti, non hanno un valore decisivo, mentre difficile è la direzione d’un grave dibattimento penale e pesante il lavoro del giudice istruttore che fa sentenze semplici, quasi scheletriche, ma talora non dorme la notte per meditare sulle indagini raccolte e decidere se un imputato sia colpevole o innocente.

Passo ora alla seconda parte dell’ordine del giorno: il giudizio della Corte di assise. Se n’è parlato molto, è vero; ma, onorevoli colleghi, non ci stanchiamo di parlarne ancora. Perché, specialmente per quanto riflette la Corte di assise, la giustizia penale è davvero una cosa tremenda; bisogna dedicarvi ogni attenzione, ogni energia, affinché essa risponda sicuramente alle esigenze della nostra coscienza e della coscienza del popolo che in regime democratico ha al riguardo i suoi innegabili diritti.

Vi dico immediatamente che per la Corte di assise io vedo, sì, il problema di giurati, che è grave, importante ed anche nella divergenza delle opinioni manifestate dà luogo sempre ad una grande perplessità; ma vi è ancora un altro problema, se non più grave, egualmente grave, il problema dei Presidenti, il problema dei rappresentanti il pubblico ministero. Perché per la Corte di assise occorrono attitudini non comuni, occorrono magistrati che siano educati e specializzati allo scopo di potere attendere ad una mansione irta delle più grandi difficoltà, che sappiano nei più complessi dibattiti fronteggiare anche i più grandi avvocati, i quali non sono pochi in Italia; e quindi, in confronto a loro, che sappiano resistere efficacemente, quando bisogna resistere, e cedere solamente quando la legge lo consenta o lo imponga.

Ora, non so se possono valere le impressioni che noi abbiamo, amico Giovanni Porzio, non so se possano soccorrerci le esperienze che ci vengono date dal lungo esercizio professionale e ritenere che la nostra non sia una illusione.

PORZIO. Credo di sì.

RUBILLI. Ebbene, se ricordiamo i primi anni di professione e li paragoniamo coi tempi d’oggi, ci pare che man mano la pianta del Presidente di Corte di assise si vada diradando ed anche quella dei Procuratori generali, non per colpa di alcuno o per deficienza di persone, ma perché si tratta di un lavoro che richiede doti le quali non sempre si trovano anche in uomini di cultura elevata.

L’accertamento sicuro della verità è in gran parte legato alla guida accorta e serena di un Presidente.

Avviene lo stesso anche nella professione forense. Vi sono tanti avvocati penali intelligenti e valorosi i quali pur non si azzardano a cimentarsi nelle Corti di assise. Trattasi di un ambiente diverso da tutti gli altri ambienti giudiziari, ed è perciò che dovrebbe esservi presso ogni Corte di appello un nucleo di magistrati che si vada addestrando unicamente per i servizi di Corte d’assise. Grave errore mandare alle Assise un sostituto procuratore generale per una sessione e poi adibirlo in altri incarichi, e farvelo ritornare solo a lunghi intervalli; tutta l’accusa, specialmente se non vi è costituzione di parte civile, è affidata al procuratore generale di fronte agli sforzi di energiche difese di grandi difensori. Ho visto in Corte di assise magistrati dapprima incerti, poi dopo qualche anno di costante, non saltuario lavoro, apparire ben diversi, ed assai bene allenati anche in contrasto con avvocati della più alta fama. Occorre che essi acquistino l’abito professionale per le Corti d’assise.

Per quanto riguarda i giudici popolari io credo non ci dobbiamo arrestare soltanto a vedere se convenga o meno ripristinare la giuria. Il quesito, secondo me, è un altro, o meglio va posto in un altro modo. Vogliamo o pur no l’intervento di giudici popolari per i giudizi della Corte di assise? Quando avremo dato una risposta affermativa a tale quesito, esamineremo sotto quale forma ed in qual modo, e con quali garanzie i giudici popolari debbano intervenire.

Ora, o signori, non è esatta la frase che lanciava, o meglio ripeteva, giorni fa l’onorevole Gullo nel suo ampio, complesso, magnifico ed elevato discorso; per lo meno e per quanto ora riguarda il nostro esame non è completamente esatta. Egli diceva: non libertà e non giuria: non giuria e non libertà.

No! È esatta solo la prima affermazione: non libertà e non giuria. Infatti non potete avere in tempi di tirannia, il giudice popolare. Ma non è esatta la seconda frase: non giuria, non libertà, perché la libertà non è affatto incompatibile con l’assenza del giudice popolare. Vi può essere sempre un regime libero e democratico, vi siano o non vi siano i giudici popolari. (Approvazioni al centro). Bisogna non farsi trascinare da queste deviazioni. Se tutti siamo compenetrati della gravità del problema e tendiamo le nostre forze a risolverlo come meglio conviene, nell’interesse del popolo e della giustizia, noi dobbiamo completamente evitare l’inutile, pericoloso pregiudizio che l’abolizione della giuria possa metterci in contrasto con la democrazia. Non ha proprio che vedere un concetto politico con l’esistenza o meno della giuria. L’equivoco sorge soltanto in Italia, e sorge in questo momento, perché una sola cosa è vera: il fascismo abolì la giuria per ragioni politiche. Nessun dubbio su ciò, e tu amico Mancini, l’hai ampiamente spiegato ieri. Questo è esatto. Ma non dobbiamo farci dominare da una impressione di ripugnanza al passato regime e concludere che se per ragioni politiche la giuria venne abolita, noi oggi anche per ragioni politiche, o meglio per un semplice sbandieramento d’un concetto politico vogliamo ripristinarla; seguireste gli stessi erronei criteri di prima, correndo il rischio che la giustizia sia sopraffatta dalla politica. (Rumori a sinistra). Cercate di non ingannarvi. Ve lo ripeto, è verissimo: non libertà, non giuria, ma non è vero: non giuria non libertà.

GAVINA. E la fonte dove la prende?

RUBILLI. Fonte di che? Fonte di soluzione del problema? La prendo dalle esigenze giudiziarie, dall’esperienza del passato, da quello che la nostra mente sa trovare di meglio per il più regolare e più saggio funzionamento delle Corti di assise.

Ma voglio farvi a questo punto un’altra osservazione. È vero, o è una semplice mistificazione, che noi ci proponiamo soltanto di risolvere il problema in esame nell’interesse della giustizia? Ebbene allora facciamo in modo che ciascuno possa esprimere liberamente le proprie opinioni ed esporre il frutto della propria, lunga esperienza professionale. Che significano queste agitazioni e queste eccitazioni, se qui non vi è un dibattito di partito e non si agita neppure una passione politica? Discutiamo con la maggiore serenità possibile, e perché il nostro voto sia consapevole e ponderato, cerchiamo di giungervi con quella calma che è indispensabile.

PORZIO. Abbiamo detto che si rinvia.

RUBILLI. Questo è il mio ordine del giorno; è questo che dico io, e voglio sperare che la mia proposta sia accolta anche dalla Commissione, con rinvio alla Camera legislativa.

PORZIO. Insomma, voi volete una giuria e volete impedire che vi sia un appello. Voi siete dei metodi, né più né meno. (Interruzione del deputato Mancini).

RUBILLI. Proprio mentre sto dicendo che ci dobbiamo mantenere calmi e sereni, si agitano maggiormente gli animi! (Interruzione del deputato Porzio). E con uno scambio di vivaci interruzioni reciproche, senza nulla concludere, perché l’uno non riuscirà mai a persuadere l’altro, vi distraete dall’essenza della questione.

Credo indispensabile – questa è la mia opinione – l’intervento del giudice popolare nei dibattimenti di Corte d’assise; indispensabile dice troppo, ma certo assai utile. Il Codice, di qualunque legislatore, non può completamente catalogare la grandissima immensa varietà dei fatti delittuosi, che hanno sempre un profilo assolutamente diverso, per cui ogni fatto si distingue dall’altro. Ora, è opportuno che nei grandi dibattiti da cui possono derivare pene gravissime, siano talora contemperati i criteri di una rigorosa giustizia con criteri di equità specialmente in circostanze eccezionali che nella legge scritta non trovano esatto riscontro, ma trovano esatto, imponente riscontro nella pubblica coscienza.

So di essere con ciò anche in contrasto con l’amico Porzio che, non so perché, vorrebbe affidato il giudizio di Corte d’assise soltanto a cinque magistrati anziani, ma resto fermo nella mia opinione, e ritengo che sia un bene l’intervento, nei dibattiti penali più importanti, del giudice popolare. Si tratterà di vedere sotto quale forma, se giuria o assessorato, ma, secondo me, il problema va delineato proprio in questo senso: utilità dell’intervento del giudice popolare, discussione se tale intervento debba attuarsi in forma di giuria o in forma di assessorato. E dico francamente che a quest’ufficio di giudice popolare, secondo me, debbono essere completamente escluse le donne, non per la vecchia favola – per carità – della inferiorità della donna. Questa è una favola che ha fatto ormai il suo tempo e non sono mai riuscito a sapere, in quale secolo e dove sia nata quella testa amena a cui venne in mente di distinguere fra sesso debole e sesso forte, quando poi ho notato nell’umanità che non vi è stata nessuna forza maschile che abbia saputo resistere al fascino di una donna, (Si ride) e quando ho visto altresì che non vi è alcuno che non sia disposto a piegare i ginocchi ai piedi suoi! (Si ride). Quindi, non è per la vecchia favola, ormai tramontata, e da secoli, dell’inferiorità della donna, che io vorrei escluderla dall’ufficio di giudice popolare; non se ne allarmino perciò le colleghe presenti nell’Aula.

Io vengo a questa conclusione per due motivi. Primo, perché, sebbene la donna tenda a mascolinizzarsi, anche negli atteggiamenti e negli abiti, e cerchi persino di rinunziare per quanto può alla sua attraente femminilità, qualche cosa rimane che insanabilmente ed organicamente la distingue e la distinguerà sempre dall’uomo, e che si riflette sulla sua sensibilità, tanto che si è detto ovunque che tutto è possibile, tranne che una donna diventi uomo, e viceversa.

Ora cadono troppo di frequente le lacrime sulle gote delle donne, e non so se esse sappiano e possano resistere, e non farsi travolgere dal sentimento in Corte di assise dove si svolgono i più terribili drammi dell’umanità, dove palpitano i più grandi dolori e le più grandi sventure della vita. Come giudice popolare, quindi, io non chiamerei mai la donna. Secondo: sono contrario ad ammetterla anche per una difficoltà pratica: credete voi che sia proprio facile di avere in Assise una povera madre di famiglia, traendola per un mese o un mese e mezzo dalle sue occupazioni domestiche, quando non tutte le signore possono avere una cameriera fidata o una governante a cui assegnare la propria casa e la cura dei propri figliuoli? Credo che se di diverso avviso dovreste ridurvi ad ammettere solo le donne nubili.

Ma poi arriverebbero le donne in Assise senza preparazione, senza attitudini, senza capacità ad orientarsi, né potrebbero facilmente formarsi; perché chiamate senza dubbio a lunghi intervalli. Di fronte al debito che specialmente se tra i più gravi, distrugge due famiglie, ed apporta rovina per la vittima e per il colpevole, la donna potrebbe involontariamente cedere alla sua troppa squisita sensibilità.

FEDERICI MARIA. Ma per esercitare la giustizia ci vuole proprio la sensibilità!

RUBILLI. Tutt’altro, è proprio il sentimento che d’ordinario bisogna mettere da parte. Lasciamo stare, quindi, le donne nella pubblica amministrazione ed anche in questa Assemblea Nazionale, dove con simpatia e deferenza, come meritano, sono state da ogni parte accolte, ma escludiamole eventualmente dalla giuria o dall’assessorato. (Interruzione del deputato Bertini).

No, Bertini, io sarei disposto a credere la donna più eccessivamente severa, che eccessivamente indulgente, ma temo che indulgenza o severità possa essere determinata più dal cuore che dal cervello. È un timore e non dico che sia proprio così! (Interruzione della deputata Federici Maria) Se non è vero tanto di guadagnato!

Ma se abbiamo accolto le donne come colleghe in questa Assemblea ed anche cordialmente, potremo accoglierle con gli stessi sentimenti di cavalleria anche in tribunale o in Corte d’assise, qui però sempre come giudici togati dopo provata carriera, mai come giurati assessori.

Io ho firmato un ordine del giorno ben volentieri in questi sensi per mio convincimento ed anche per cortesia verso una egregia collega.

Anzi a me sembra in verità che al riguardo il problema sia di già risolto e non abbia bisogno di ulteriore esame, occorrendo al riguardo un’affermazione soltanto dal punto di vista formale. Abbiamo ammesso la donna come avvocato nelle aule giudiziarie; le abbiamo dato ormai la toga che per esse rappresenta un diritto acquisito.

Una voce. Ma quante ce ne sono?

RUBILLI. Quelle che sono, sono: poche come avvocati, saranno poche come giudici. Non so proprio per quale ragione ne vogliate molte. Ma bisogna tener presente che, a differenza di quanto potrebbe avvenire per i giudici popolari, al suo ufficio arriverebbe ben preparata, quando attraverso un regolare concorso, come gli altri concorrenti, essa abbia dimostrato di avere l’attitudine e la cultura necessarie per poter fare il magistrato.

Quindi, il problema per questa parte mi pare completamente eliminato; ma per quello che riguarda il giudice popolare non solo non è risolto, ma non si può risolvere favorevolmente.

Ora, le difficoltà che si presentano per ammettere il giudice popolare sotto forma di giuria non sono poche e derivano dalla lunga esperienza del passato. Badate che non vi parlo di maggiore o minore capacità a valutare ed a decidere: io voglio persino e credo di non concedere poco, partire dal presupposto che siano ugualmente capaci di giudicare i giurati e i magistrati togati, voglio mettere da parte gli elastici e divergenti criteri personali per la maggiore efficacia delle mie obiezioni.

E così, per essere maggiormente obiettivo, mi occupo solo del funzionamento, del modo come può essere organizzato un giurì e spiegare la sua attività, perché anche solo da questo punto di vista che del resto è il più importante, si vedono meglio le enormi difficoltà che si presentano, e ci impongono di riflettere ancora prima di concludere; ed il mio ordine del giorno è in questo senso.

Solo si potrebbe stabilire sin da ora che rimane respinta la soluzione di affidarsi esclusivamente ai magistrati togati, i quali troppo si irrigidirebbero nelle strette pastoie della legge scritta, come di già ho rilevato. Il giurì d’altronde, urta in una difficoltà assolutamente, ripeto: «assolutamente» insormontabile, che basterebbe da sola, ed anche a prescindere da ogni altra considerazione, ad ostacolarlo e farne respingere il ripristino; accenno alla mancanza di motivazione nelle sentenze, che sinora non è stata ben valutata in tutta la sua entità e in un tutte le conseguenze che può produrre.

Sì, è stato detto, è vero, che non si può negare all’imputato il diritto di sapere per quali ragioni è stato condannato, che non si vuole togliere neppure il diritto alla società di controllare perché mai un imputato è stato prosciolto da un gravissimo addebito; va bene. Ma non avete notato due cose, almeno non le ho sentite, non avete notato prima di ogni altro, che la giuria è in aperta violazione della nostra legge costituzionale. Forse ciò non si è visto, perché non siamo arrivati ancora all’articolo 101, ma ci arriveremo fra poco, appena si passerà alla discussione degli articoli. Nella legge costituzionale, adunque, non c’è soltanto l’articolo 96, di cui ci siamo occupati e ci stiamo occupando, ma vi è pure l’articolo 101, che non potrà non essere approvato, perché contiene un concetto di indiscutibile necessità giuridica.

Ora nell’articolo 101 è stabilito ed è detto tassativamente che tutte le sentenze, tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

PERSICO. Si può dire: visto il verdetto della giuria.

RUBILLI. Ma non mi fate delle osservazioni che farebbero ridere. Visto il verdetto della giuria, si condanna oppure si assolve. E che significa, e qual valore ha ciò? Me la chiamate motivazione questa. Per motivazione, è elementare, s’intende dar conto del perché si condanna o si assolve.

Mi meraviglio di te, amico Persico; tu sei un vecchio e valoroso avvocato di Cassazione…

PERSICO. Abbiamo annullalo a centinaia e a centinaia i verdetti contradittori.

RUBILLI. Ma, amico Persico, fammi il piacere: sta a sentire, e poi rispondi anche tu. Alla contraddittorietà del verdetto si ricorreva talora e molto di rado, anche per un ripiego, quando appariva troppo evidente la possibilità di un errore giudiziario.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, prosegua, la prego.

RUBILLI. Ma è un’intolleranza che io non comprendo, da parte di chi vorrebbe per forza imporre la sua opinione preconcetta in una questione tanto delicata.

PRESIDENTE. Sono quaranta minuti che parla, onorevole Rubilli: non raccolga le interruzioni; non ci vuole poi un grande sforzo.

RUBILLI. Quaranta minuti che parlo, è vero, ma parecchi minuti se ne sono andati per le interruzioni.

E allora che cosa diremo? Che l’articolo 101 c’è per le piccole cause, per le piccole sentenze, mentre non c’è e non va in alcun modo rispettato per le grandi cause, per le grandi sentenze. Ma noi dobbiamo fare una legge costituzionale seria, che non sia contradittoria nelle varie disposizioni.

In secondo luogo c’è di più ancora, perché, con la mancanza di motivazione, voi togliete al condannato il diritto di ogni gravame. Non c’è più gravame, è certo; non c’è l’appello: ed in sostanza non v’è nemmeno un ricorso, poiché il ricorso in tanto può avere una qualche efficacia, in quanto vi è una sentenza motivata. E che ci sta a fare allora la Cassazione? Per le violazioni di legge? Ma le questioni di diritto non si trattano in Assise.

Il problema fondamentale, quello che davvero preoccupa, è uno solo: è colpevole o è innocente l’imputato? Le questioni ai giurati sono semplici, stereotipate formule che sempre identiche si ripetono.

Anche i beneficî e le attenuanti si riducono a questioni di fatto, per giunta incontrollabili se manca la motivazione. E allora? Le violazioni procedurali? Impossibili, perché, se anche il Presidente non ha dormito la notte e il cancelliere neppure ha dormito per essere andato a ballare, nessuno di loro può sbagliarsi: tutte le formalità procedurali sono scritte a stampa: si tratterebbe per questa parte, in Cassazione, di dare qualche fugace sguardo ad un formulario stampato.

Se dunque volete mantenere la giuria, è evidente che dovete prima modificare l’istituto della Cassazione, ed io pel momento almeno non vedo ancora come potrebbe essere opportunamente modificato. Credete forse che sia democratico dire ad un condannato all’ergastolo o a trent’anni: tieniti la tua pena, senza appello, senza ricorso, senza controllo, perché così vuole la democrazia, così impone la libertà? (Vive approvazioni).

MERLIN UMBERTO: Bravo Rubilli!

RUBILLI. Si lancia l’ipotesi di Cassazioni regionali, ma si tratterebbe sempre di giudici del diritto; e poi le aspetterete un pezzo; il Ministro del tesoro vi dirà che le Regioni, sì, e le Cassazioni, no.

Vedete, adunque, che l’inopportuno intervento della politica è soltanto una deviazione. Ma poi, giacché si parla in nome della democrazia e in nome della libertà, permettetemi che si insinui nell’animo mio anche il sospetto che si faccia con la giuria un poco la giustizia per i ricchi e non per i poveri: e questo neppure sarebbe un concetto democratico.

PERSICO. Questo lo dissi anch’io ieri.

RUBILLI. E lo ripeto ora io, amico mio: non so che cosa tu abbia detto, ma se è cosa giusta, meglio dirla ancora.

Non si può mai intendere dunque qual è il valore, la forza, l’efficacia, che ha il grande avvocato dinanzi ai giurati. E, naturalmente, i grandi avvocati se li possono procurare soltanto i ricchi. Ma, signori miei, se in una causa indiziaria un imputato avesse fatto appello, per esempio, ad Enrico De Nicola, quando egli esercitava la professione anche dinanzi alle Corti d’assise, o in una causa passionale invitasse te, caro Porzio, i giurati sarebbero così storditi da formidabili, travolgenti arringhe che finirebbero per lo meno col votare scheda bianca. (Interruzioni).

Io non voglio fermarmi ad inutili astrazioni, ma considerare soltanto quello che veramente è, quello che dalla pratica e dall’esperienza è dato raccogliere.

PORZIO. Già, perché non si accenna a vie sotterranee? Il guaio è che non diciamo la verità.

RUBILLI. Basta quello che ho detto; non occorre andar oltre, fermiamoci qui e non c’ingolfiamo nei sotterranei per lanciare sospetti, che meglio possono essere sostituiti da una critica obiettiva.

PORZIO. Non è che il magistrato sia infallibile, per carità!

Io chiederò di parlare per fatto personale.

RUBILLI. Nientemeno, provoco persino dei fatti personali in tema di giuria; il fatto personale non vi è, ma potrai egualmente, credo, replicare, se ti pare proprio utile.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, non divaghi, la prego.

RUBILLI. So le pastoie regolamentari dei venti minuti per gli ordini del giorno, ma è un argomento di una certa gravità, questo di cui ci occupiamo.

PRESIDENTE. È da dieci giorni che lo si tratta.

RUBILLI. Cinque o dieci minuti di più o di meno, se permette, poi non guastano.

PRESIDENTE. No, si tratta ormai di un’ora.

RUBILLI. Allora, continuo per la sua bontà.

PRESIDENTE. Credo di darne la dimostrazione già da parecchio.

RUBILLI. Affermo delle verità, e non posso neppure ampiamente dimostrarle come vorrei, perché il Regolamento non lo permette. Ve le potrò spiegare meglio in privato, nelle nostre amichevoli, fraterne, conversazioni di corridoio.

Alla forza dei grandi avvocati va aggiunta, è connessa la mozione degli affetti, ed il giurato vota immediatamente, rapidamente dopo che il difensore, il quale ha in ultimo la parola con un privilegio incommensurabile di fronte ai giurati, ha sconvolto la folla, ha provocato talora anche l’applauso. La scheda è pronta e riempita, ma nello stato d’animo in cui il giudice popolare ha votato, che valore ha quel sì o no? È sul funzionamento, adunque, che richiamo la vostra attenzione. Questa è la situazione vera, palpitante. In un paese come l’Italia la grande eloquenza non è mai mancata e non mancherà mai col suo fascino travolgente. E se ne avvantaggeranno gl’imputati assai più delle parti lese, per lo più abbattute dal delitto nell’anima e nel patrimonio.

PERSICO. Si reagisce.

RUBILLI. La reazione però non è facile. E poi c’è, lo comprenderete, anche la difficoltà enorme per la ricusa, che rende sin dal principio poco agevole il funzionamento della giuria. Non potete non ammetterla: vi può essere un nemico dell’imputato o della parte civile, oppure qualcuno che risulti di cattiva condotta morale per informazioni date dalle autorità competenti; ma se non si può evitare in alcun modo la ricusa, quando l’avete ammessa, state certi che i migliori se ne scappano ed i peggiori rimangono.

Poi non sarà neppure facile averli, i giurati; spesso ce ne vuole di fastidio e di pazienza del Presidente, per avere cinque giudici popolari come assessori. Che avverrà nelle attuali difficoltà della vita, quando bisogna raccogliere una trentina di persone, tra professionisti, commercianti, industriali, ecc., e distoglierli dai loro affari per un periodo tutt’altro che breve?

PERSICO. Questo è malcostume!

RUBILLI. Allora, cambiate l’Italia. Io parlo di questo momento, nelle condizioni in cui ora ci troviamo.

PERSICO. Lo faremo passare.

RUBILLI. Fatelo passare… per ora è così; e quando sarà passato ritorneremo sull’argomento.

PERSICO. Metteremo la licenza liceale.

RUBILLI. Ma quello che più impressiona e preoccupa è il giudizio dalle cause indiziarie, tanto frequenti in Corte d’assise. Consentitemi, onorevoli colleghi, un solo esempio, che per sé stesso sarà sufficiente a chiarire il mio pensiero. Nel dicembre scorso mi sono occupato di una gravissima causa in Corte d’assise: delitto orrendo, assassinio di un vecchio, in una sola famiglia, in una casa di campagna, di due bambini di sesso diverso, di due giovani donne, la padrona e domestica, tra Calitri e Monteverde, in un bosco solitario e deserto.

Che ne sapete voi di questi paesi, dove il delitto si sprofonda in un imperscrutabile mistero? Voi conoscete Roma, conoscete le grandi e belle città. Nessuno ascolta, nessuno vede, è febbraio, la neve alta copre le case, rende impervie le strade, impossibili le comunicazioni.

Dopo due o tre giorni soltanto il fatto si scopre, arrivano in ritardo i carabinieri ed arriva il giudice dopo 8 giorni. Delitto raccapricciante, processo indubbiamente indiziario. Dopo un lungo dibattito di molti e molti giorni, di indagini delicate e scrupolose i giudici entrarono in camera di consiglio. Ne uscirono con un pronunziato preso ad unanimità, ma dopo parecchie ore di calma e serena valutazione, che poté tranquillizzare completamente la loro coscienza; e ciò ad onta dell’ora tarda, perché erano le undici di sera, quando apparvero nell’aula, consapevoli della loro responsabilità; dinanzi ad un pubblico enorme, ansioso e commosso, che si assiepava persino nei locali adiacenti alla Corte di assise, il Presidente pronunziò una sentenza di condanna all’ergastolo. La forma che si era seguita per giungere alla meditata decisione, rasserena l’animo ed appaga la giustizia, con innegabili garanzie. Che si può mai pretendere dai signori giurati cui offrite una scheda senza dar tempo alla benché minima riflessione, chiedendo un voto pronto ed immediato? Ripristinate per loro la camera di consiglio, che pur si dovette abolire per gl’inconvenienti cui dava luogo, e sarà peggio ancora; che ne può uscire da una tumultuosa discussione di una diecina di persone, senza un capo autorevole che la guidi ed in cui vi sarà qualcuno che in buona o mala fede cercherà d’imporre la propria opinione? Quanti giurati ho visti che poi si son pentiti di un voto dato in fretta e con scarsa ponderazione.

Ecco per quale ragione io propendo a ritenere utile – concludendo – che rimanga l’attuale sistema, il quale dà l’intervento del giudice popolare in grande maggioranza (sono cinque giudici popolari su due magistrati), ma con tutte le garanzie indispensabili per una retta, seria decisione.

È vero quello che disse ieri l’onorevole Mancini, che al principio con questo sistema si è verificato qualche inconveniente. Non sono stati molto frequenti i casi, ma pure qualche inconveniente ebbe a rilevarsi. Badate, però, che eravamo in tempo di tirannia, e la tirannia assume qualche volta forme epidemiche e contagiose. Vi sono i tiranni e i tirannelli, i gerarchi ed i gerarchetti, ed il Presidente della Corte di assise, di rado però, ripeto, si riteneva quasi rivestito di insindacabile autorità, tanto più che, come avviene sempre, distrutta la libertà, era quasi annientato, per lo meno assai diminuito, il diritto ed il prestigio della difesa.

Ma poi si è giunti ad un confortante assetto e gli inconvenienti originarii possono ritenersi quasi completamente eliminati. Si procede con notevole regolarità, e con pieno affiatamento tra giudici popolari e magistrati.

La materia certo non è semplice, e bisogna contentarsi del meno peggio. Del resto, se tenete presente l’ordine del giorno che ho ora svolto, vedete che io non sono poi, né voglio essere, un peccatore impenitente, io ho sempre delle facoltà mentali e morali che mi permettono la conversione. Quindi, se voi modificate l’istituto della Cassazione in guisa che io trovi una nuova garanzia sostituita a quella che togliete, abolendo la motivazione della sentenza, se riuscirete a scrivere delle norme che eliminino gli inconvenienti che si possono verificare, io accetterò volentieri una diversa opinione. Anche coi vecchi codici ho fatto tante cause, che non ho davvero nessuna questione personale contro la giuria. Pure preferendo, ed anche senza eccessivo entusiasmo, i sistemi attuali in Corte di assise, io potrò rassegnarmi ed anche con piacere a nuovi metodi, se migliorano e non peggiorano, se non si limitano a togliere, ma danno anche quello che occorre per garantire i diritti dei cittadini e della società. Però non è argomento questo che possa esaurirsi in sede di legge costituzionale; senza assumere pericolosi impegni, limitiamoci a concetti generali per il funzionamento della giustizia e riserbiamo alle leggi sulla Corte di assise la decisione sugli organi più adatti e più opportuni per il maggiore o minore intervento del popolo, sebbene siano popolo e vengano dal popolo anche i magistrati.

Onorevoli colleghi, è mio convincimento che non può mai sorgere, non è assolutamente possibile che sorga, un conflitto fra la democrazia e la giustizia. Ma se per caso stranissimo e per quanto inconcepibile, il conflitto sorgesse, pur essendo istintivamente democratico, perché i sentimenti democratici non li ho acquistati e li ho sentiti innati in me, connaturati nella mia coscienza, derivanti dal mio intimo, dal mio carattere, dalla mia indole, se, dicevo, questo conflitto dovesse sorgere, io sarei per la giustizia, perché è appunto la giustizia, la quale per sé stessa rappresenta il più saldo, il più sicuro fondamento, non solo della umana società, ma anche di ogni regime democratico. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prima di dare la parola a un altro presentatore di ordine del giorno, vorrei pregare i colleghi di cercare con qualche sforzo di attenersi alle norme che regolano la nostra discussione. Noi abbiamo udito tutti con diletto l’onorevole Rubilli ed anche con interesse, ma l’onorevole Rubilli ha parlato di molte cose che non avevano nulla a che fare col suo ordine del giorno. Anzi, se l’ordine del giorno Rubilli aveva un significato, era proprio questo: non parliamo di queste cose; ne parleremo in sede legislativa. In realtà l’onorevole Rubilli ci ha anticipato il discorso che avremmo udito con grande interesse, quando egli sarà nuovamente eletto deputato della,nuova Camera.

Io vorrei che i colleghi stessero veramente all’impegno che assumono, quando scelgono un modo di intervento, e non cerchino di trovare, invece, con esso dei mezzi per eludere le disposizioni del Regolamento. Ed a questo proposito vorrei leggere, me lo consentano a titolo di informazione e un po’, direi, di nota piacevole, un vecchio resoconto della Camera che ho sott’occhio per indicare come si conducevano i nostri predecessori secondo le tradizioni del nostro Parlamento. Risaliamo dunque alla seduta del 6 maggio 1904.

Certo, non vi assisteva alcuno dei qui presenti, nemmeno dei più anziani, suppongo.

L’onorevole Donadio, un’ottima persona, sul processo verbale chiese dunque quel giorno la parola. E leggo ciò che disse. «Ieri, mentre parlavo, a causa dell’interruzione del collega Nofri, non udii il Presidente, quando mi fece presente che erano passati i cinque minuti prescritti dal Regolamento e continuai a parlare. Siccome non vorrei che questo atto potesse nemmeno lontanamente suonare come meno che rispettoso verso la Camera, ho chiesto la parola sul processo verbale per scusarmi e pregare che del fatto non sia preso nota dal resoconto».

Santa ingenuità! Onorevoli colleghi, di fronte a tanta ingenuità, non cerchiamo di essere troppo furbi noi! Fra la norma del Regolamento e l’arbitrio c’è evidentemente una via di mezzo, e noi l’accettiamo sempre; ma evidentemente non è una via di mezzo, posti i venti minuti concessi dal Regolamento, parlare, come ottimamente ha parlato l’onorevole Rubilli, un’ora intera! Ricordiamocelo, altrimenti non riusciremo a concludere i nostri lavori.

PORZIO. Chiedo la parola per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORZIO. Il mio fatto personale è semplice. Forse io mi trovo un po’ nelle condizioni dell’onorevole Donadio o in una condizione opposta, e cioè avrei dovuto domandare la parola per fatto personale ieri, dopo il discorso così eloquente del mio amico, onorevole Mancini.

Intendiamoci bene. Sostengo una sola cosa, quella di avere una giustizia possibilmente giusta, che non crei delle vittime, perché qui ci stiamo preoccupando molto dell’accusato, del condannato, a cui vorremmo spalancare le porte del carcere, e bisogna invece pur considerare le vittime, le quali molte volte sono deluse nelle loro legittime aspirazioni di giustizia e di equità. Ma tutta questa questione, diceva poco fa molto bene il nostro illustre Presidente, è da discutersi in sede legislativa, perché affermare in questo momentola giuria si può, ma anche volendola affermare, la questione risorgerà nuovamente quando si dovranno discutere le competenze, le possibilità di essa ed il suo armonizzarsi, come io ieri ebbi l’onore di accennare rapidamente e come oggi ha ripetuto l’onorevole Rubilli, con tutti quanti gli organi giudiziari cioè, la Sezione istruttoria e la Corte di cassazione.

Quello che mi è dispiaciuto, è stata una interruzione dell’onorevole Persico, il quale diceva: noi abbiamo avuto mille altre volte annullamenti in Corte di cassazione di verdetti dei giurati.

E faceva cenno a me, ricordando forse qualche causa nella quale anche io ho potuto ottenere l’annullamento, per contraddizione del verdetto.

Signori, ho ricordato il caso di Giuseppe Ceneri, uno dei più grandi giuristi ed una delle più grandi anime italiane, il quale era disperato, perché non riusciva a trovare un motivo per potere chiedere l’annullamento di un verdetto iniquo, che era stato emesso alla Corte d’assise di Bologna.

Allora, siamo tutti quanti d’accordo nel sostenere la necessità di un giurì con appello, un giurì con ricorso; ed allora è tutta questione di legislazione, che deve essere trasformata; e noi non possiamo in questo momento trasformarla, perché la dovremo discutere. La dovranno discutere coloro che verranno in seguito in questa Aula, speriamo meno sorda di quanto sia attualmente e meno bisognosa, onorevoli colleghi, di questi strumenti di tortura che io ho in questo momento dinanzi a me. Questo bisognerebbe fare, senza discutere tante cose le quali riguardano il merito. Quello che bisognerebbe fare è questo: inserire nell’articolo che il giudizio può eventualmente essere anche celebrato con i giurati.

Ieri, l’onorevole Mancini mi ha accusato di non essere un democratico.

MANCINI. Non ho detto questo: ho detto che la sua democrazia non è la nostra. Lei definiva una democrazia che non è la mia.

PORZIO. L’amico Mancini, al quale voglio bene e al quale sono legato da sentimenti di affetto, deve pensare che, quando si dice che il giurì deve essere composto di persone che hanno le qualità attualmente richieste, il principio antico della democrazia svanisce; e torneremmo a quel tale «demos», del quale abbiamo parlato ieri. Quindi ne parleremo a suo tempo, ne parlerete a suo tempo.

Occorre garantire l’interesse superiore della giustizia, consentendo che la sentenza sia motivata. Perché quando sento dall’onorevole Persico che è sentenza semplicemente l’applicazione della pena fatta dal magistrato, allora io dico: questa è la giustizia dell’avvenire, e questo è un diritto che io non conosco e non ho mai conosciuto. Chiamate sentenza il «visto il verdetto dei giurati, la Corte condanna a dieci anni di reclusione»? Questa è sentenza? E la motivazione dov’è? Ora, quando nel fanatismo si arriva a questo sproposito, resto a bocca aperta. Lei, signor Presidente, vorrebbe dire: «a bocca chiusa». Mi permetta una sola cosa: quello a cui sono perfettamente contrario è il sistema attuale. Me ne duole per l’amico onorevole Rubilli. Che cosa è questo giudizio ibrido? E che cosa sono quegli assessori? Io ricordai poco tempo fa, nel Congresso, una grande opera di Pirandello: «Sei personaggi in cerca d’autore». Invece il sistema attuale è questo: un autore in cerca di sei personaggi, per tanta commedia: e cioè la giustizia di uno solo. Ecco perché sono contrario a questa istituzione. Ringrazio il Presidente della bontà, ma credo di essermi sbrigato nei cinque minuti regolamentari.

PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha presentalo il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente afferma che la Carta costituzionale debba limitarsi a stabilire l’indipendenza del potere giudiziario come garanzia dei diritti dei cittadini, rinviando alle leggi sull’ordinamento giudiziario o sui Codici di procedura ogni altra disposizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Ero e sono convinto che la Carta costituzionale dovrebbe affermare semplicemente l’indipendenza del potere giudiziario come garanzia dei diritti dei cittadini, rinviando alle leggi sull’ordinamento giudiziario e ai Codici di procedura ogni altra disposizione. Ma questo mio concetto, in fondo, è stato condiviso, in tema di esame di singole disposizioni durante la discussione generale, da autorevoli colleghi di tutte le parti dell’Assemblea. Però, pare che l’Assemblea non è orientata verso una pregiudiziale, la quale tolga senz’altro dalla discussione queste singole disposizioni. Quindi noi avremo di fatto che alle singole disposizioni vi saranno da questa o da quella parte, da questo o da quel gruppo delle proposte di sospensiva. E allora io, per non far perdere tempo all’Assemblea per una pregiudiziale, che non troverebbe consensi, ritiro il mio ordine del giorno.

PRESIDENTE. L’onorevole Zotta ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, considerato che la Corte costituzionale è un organo giurisdizionale, poiché esplica ed esaurisce la sua attività nella funzione di giudice; che per tale natura rientra nella sfera del potere giurisdizionale, il quale perciò viene ad essere costituito dalla giurisdizione ordinaria, dalla giurisdizione amministrativa e dalla giurisdizione costituzionale; delibera che i conflitti di giurisdizione siano risoluti, alla pari dei conflitti di attribuzione, dalla Corte costituzionale, la quale è l’organo supremo di giustizia, destinato perciò ad assumere il ruolo di suprema Corte regolatrice».

Ha facoltà di svolgerlo.

ZOTTA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, devo trattare una questione di natura delicatamente costituzionale, che non è stata neanche sfiorata in questa dura discussione: parlo dei conflitti di giurisdizione.

L’istituzione della Corte Costituzionale con i poteri che il progetto le ha attribuito, pone in una nuova luce la questione dei poteri dello Stato, e suggerisce aspetti giuridici che qualche volta nel progetto non sono trattati con quella armonia, con quella conseguenzialità di effetti, che le premesse stesse esigono.

La funzione di giudicare fino ad oggi ha assunto due aspetti fondamentali: giustizia amministrativa e giustizia ordinaria. Il progetto ne aggiunge una terza: giustizia costituzionale.

Noi oggi, dunque, abbiamo tre ordini giurisdizionali: la giurisdizione ordinaria, la giurisdizione amministrativa, la giurisdizione costituzionale.

La prima fa capo alla Cassazione, la seconda al Consiglio di Stato, la terza alla Corte Costituzionale.

Ora, la Corte Costituzionale, che noi andiamo a istituire, fa parte del potere giurisdizionale o giudiziario, come fino ad oggi si è detto, oppure è qualcosa che resta al di fuori, costituisce un super-potere?

Io pongo la questione non per una dissertazione teorica, ma per trarne conseguenze immediate e pratiche.

E bisogna, anzitutto, stabilire cosa si intende per potere giudiziario.

Perché, se noi stiamo alla nozione, che prima si aveva della divisione dei poteri, allora la funzione del giudice si riduce a dirimere liti fra i cittadini ed a erogare pene contro i delinquenti. Ma, se noi superiamo questa visione e consideriamo che l’evoluzione degli istituti giuridici e democratici ha portato alla istituzione del giudice amministrativo, per la tutela del cittadino contro gli abusi dello Stato amministratore, e poi, oggi, alla istituzione del giudice costituzionale, per la tutela dei cittadini contro lo Stato legislatore, allora noi dobbiamo concludere che il potere giudiziario o giurisdizionale non comprende soltanto la funzione del giudice ordinario, ma anche quella del giudice amministrativo e del giudice costituzionale.

Sicché, si pone questa questione: quali rapporti intercorrono fra i vari ordini giurisdizionali? E, nel caso in cui avvengano dei conflitti fra di essi, chi ne è il giudice?

Ecco la questione, sulla quale io intendo richiamare l’attenzione.

Essa è stata risolta finora dalla nostra legislazione, deferendo il controllo e la risoluzione dei conflitti alla Corte di cassazione. Ma oggi, che sorge una Corte costituzionale definita come organo supremo di giustizia, dobbiamo ancora insistere nel ritenere la Corte di cassazione la suprema Corte regolatrice?

Dobbiamo ancora oggi ritenere che una delle parti in causa debba assumere il ruolo, nella decisione del conflitto che sorge tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo? Ecco il punto sul quale mi pare che il progetto non si sia neppure fermato, perché il progetto ha attribuito i conflitti di attribuzione alla Corte costituzionale, ma dei conflitti di giurisdizione non ha neppure parlato. Questo è l’aspetto più delicato del principio della divisione dei poteri. Il progetto ha solo fissato un articolo, l’articolo 102, il quale stabilisce la possibilità del ricorso contro tutte le decisioni degli organi giurisdizionali generali e speciali alla Corte di cassazione nelle forme volute dalla legge; ha voluto con ciò che siano devoluti alla Corte di cassazione anche i conflitti di giurisdizione? Se ha voluto intender questo, con esso, secondo me, ha commesso un errore, perché non vi è coerenza logica tra la disposizione che attribuisce i conflitti di attribuzione alla Corte costituzionale e questa che attribuisce i conflitti di giurisdizione alla Corte di cassazione. Non vi è coerenza logica e nemmeno ragione sostanziale, che possa giustificare questo provvedimento. Anzitutto non è conforme ai principi di giustizia che in una lite una delle parti assuma il ruolo di giudice. Se vi è un conflitto tra il giudice ordinario ed il giudice amministrativo, il giudice deve essere al disopra delle parti in contesa, non deve essere assolutamente una delle parti, tanto è vero che finora è stato vivissimo il disagio della dottrina e della prassi per la mancanza di un giudice che fosse al di fuori ed al disopra del conflitto, di quel giudice che invece in Francia, con criterio scientifico e con una sensibilità giuridica che direi, su questo punto, più raffinata, è stato riscontrato nel Tribunale dei Diritti. Ma, oltre a questa, vi è un’altra ragione: la soluzione adottata contrasta con le esigenze che il principio di gerarchia impone.

Il concetto di gerarchia è un’esigenza del nostro spirito, prima che una necessità di sistematica e di ordine e di armonia. Ora esiste una gerarchia delle giurisdizioni, come esiste una gerarchia delle norme giuridiche. Ebbene, in questa necessità di struttura gerarchica la Corte costituzionale, fra i tre ordini giurisdizionali esistenti, costituisce indubbiamente l’apice ed il vertice, perché è il supremo organo di giustizia. Quindi dobbiamo configurare oggi questa Corte costituzionale come la suprema corte regolatrice, perché, se finora si giustificava il fatto che la Corte di cassazione potesse essere considerata la suprema corte regolatrice, in quanto mancava un terzo giudice neutro, oggi, che noi istituiamo la Corte costituzionale, dobbiamo ravvisare in questa il giudice che sia al di fuori e al disopra delle parti in contesa. E tanto è questo ragionamento, che se voi esaminate attentamente le conseguenze che derivano dalla posizione presa nel progetto, vi trovate subito dinanzi ad un assurdo, in quanto nel progetto è stabilito all’articolo 102, che vi è la possibilità di ricorrere contro le decisioni di tutti gli organi giurisdizionali. Ora, applicando questa disposizione, noi ci troveremo di fronte a questa conseguenza strana, aberrante. La Corte costituzionale è indubbiamente un organo giurisdizionale, perché esaurisce la sua attività nella funzione di giudicare, ed allora in base all’articolo 102 sarebbe ammesso il ricorso in Cassazione contro le decisioni della Corte costituzionale!

DOMINEDÒ. Questo è eccessivo!

ZOTTA. Non è eccessivo, perché se voi date la vera fisionomia a quest’organismo che istituite, voi non potete prescindere dal denominarlo organo giurisdizionale, e poiché all’articolo 102 avete detto che le decisioni degli organi giurisdizionali sono suscettibili di ricorso alla Corte di cassazione, contro le decisioni della Corte costituzionale, stando a questo progetto, voi potete ricorrere alla Cassazione. Il che significa dire che la Cassazione ha la possibilità di riesaminare, di rivedere i pronunciati della Corte costituzionale in materia di costituzionalità delle leggi, sulla soluzione di conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e fra le varie Regioni, finanche sulle decisioni di responsabilità nei confronti del Presidente della Repubblica e dei Ministri che sono accusati, come dice il progetto, a norma della Costituzione. Se voi volete sfuggire a questa conseguenza, dovete approvare un articolo in cui si stabilisca precisamente una eccezione al principio, e si dica che le decisioni di questo organo giurisdizionale, che è la Corte costituzionale, non sono passibili di ricorso per Cassazione.

Ora, si potrebbe dire che solo in questo modo si sfuggirebbe a questa argomentazione, e cioè dicendo che la Corte costituzionale non è un organo giurisdizionale. Ed allora, che cosa è? È un potere che è al di fuori della triplice categoria della divisione dei poteri? Che cosa è questa Corte costituzionale? Questo bisogna precisare, perché noi abbiamo un pilastro fondamentale, che è la divisione dei poteri, ed è un errore volerne uscire, perché esso costituisce una base dello Stato di diritto e di ogni reggimento democratico, perché non si può pensare che in un organismo sociale, giuridicamente costituito, l’attività umana si possa spiegare diversamente da quella che è la sua triplice caratteristica manifestazione: o ordinare, o eseguire, o giudicare. In ogni organismo sociale o politico, il grado di libertà o di democrazia, è dato precisamente dalla misura in cui questi concetti sono tenuti divisi, oppure si sovrappongono, oppure s’oppongono. Ora, in un regime democratico, quale è il nostro, l’ordinare spetta alla legge attraverso il potere legislativo, l’eseguire spetta all’amministrazione attraverso il potere esecutivo, il giudicare spetta alla decisione attraverso il potere giurisdizionale. E questo si manifesta oggi in una triplice Magistratura: Magistratura ordinaria, Magistratura amministrativa, Magistratura costituzionale. Ecco come l’elemento costituzionale-giurisdizionale non sfugge da quella necessità di inserimento in uno dei tre poteri, e precisamente nel potere giudiziario, che ora, con maggiore proprietà, potremmo chiamare potere giurisdizionale, essendo nell’uso la parola «giudici» designata per indicare precisamente la funzione del giudice ordinario.

È inutile parlare poi di una tesi assurda, che sia un superpotere, perché il superpotere non esiste se non nella volontà popolare, che è la fonte di ogni potere, e solo nei rispetti di questa è possibile parlare di un superpotere come di una forza irresistibile, che supera ogni potere costituito.

Una voce a sinistra. La pratica porterà poi al superpotere.

ZOTTA. Sarà questione anche di disciplina dell’organismo. Ora parliamo di questo organismo nella sua fisionomia: è un organismo che giudica, e questo è essenziale ai fini della dimostrazione che io propongo. Mi si potrebbe dire semmai questo: ma voi ammettete l’esistenza di tre ordini giurisdizionali, in questa maniera: voi vedete la necessità della difficoltà della unicità di giurisdizione. Su questo punto di vista sono stati accennati degli orientamenti in questa Assemblea. Vi sono preoccupazioni che questo principio della unità venga ad essere leso. Io su questo dirò qualche cosa che può sembrare anche strana: la unità di giurisdizione, onorevoli colleghi, non è una garanzia, oggi, allo stato attuale del nostro diritto pubblico; non è una garanzia di libertà e di democrazia, perché la esistenza di un giudice amministrativo e l’esistenza di un giudice costituzionale accanto al giudice ordinario rappresenta sicura guarentigia della difesa dei diritti e degli interessi del cittadino di fronte allo Stato amministratore e di fronte allo Stato legislatore. Sopprimerli o assorbirli: sono queste le tesi varie che sono state prospettate in questa Assemblea. Sopprimerli o assorbirli? Significa però togliere queste garanzie al cittadino.

Ed intanto bisogna considerare questo: che lo Stato deve sottomettersi al diritto. Lo Stato è un uomo onesto, si diceva in Francia. Sottomissione, quindi, al diritto ed alla legge, e questa si può avere soltanto quando vi sia uno strumento idoneo, e questo strumento è dato appunto dal giudice amministrativo e dal giudice costituzionale.

Noi parliamo di questa questione proprio ora che istituiamo una Costituzione, che ha un carattere rigido: la necessità della istituzione della Corte costituzionale si impone, perché noi abbiamo delle norme che sono emanate da una volontà superiore, norme che fissano principî essenziali per la vita sociale, che delimitano i poteri dello Stato, norme che di per sé stesse non possono essere modificate, se non da un procedimento straordinario di legislazione. Ora, chi veglierà sulla osservanza di queste norme? Chi sarà il giudice in caso di disapplicazione?

Si immagini, per esempio, che le Camere domani approvino una legge costituzionale, senza seguire la prescritta procedura della doppia lettura, del numero legale ecc.; che lo Stato emetta leggi su materia riservata alla capacità normativa delle Regioni, o, viceversa, che le Regioni emettano leggi, norme, che non siano in armonia con gli interessi della Nazione o delle altre Regioni. Si possono configurare tutti i vizi dell’atto legislativo, sotto la specie dell’incompetenza, dell’eccesso di potere, della violazione di legge, e in riferimento all’organo che l’ha emanato e in riferimento alla volontà, alla manifestazione di volontà, al contenuto. Chi sarà il giudice in questi casi?

Quando si consideri che alla Costituzione albertina sono state apportate con leggi ordinarie, come sappiamo, molte e gravi modifiche, non si può non porre l’interrogativo.

Ora, il rispetto riverenziale e tradizionale per la forma dello Statuto ha fatto sì che queste innovazioni abbiano assunto un carattere indiretto, perché formalmente si è lasciata immutata la norma statutaria, ma s’è tradito troppo spesso il contenuto. Ora, un giudice amministrativo adusato a questa specie di vizi nella formazione della volontà, non avrebbe consentito questa specie di eccesso di potere; e noi lo vediamo l’eccesso di potere legislativo in tal caso, quell’eccesso di potere che può essere elaborato soltanto da una giurisprudenza idonea e congrua, quell’eccesso di potere che può essere elaborato soltanto da una giurisprudenza, la quale è formata da magistrati tecnici e da magistrati che abbiano una penetrazione profonda nella vita sociale e politica del Paese. Quell’eccesso di potere, che ha avuto la sua elaborazione nel campo amministrativo, avrebbe la sua elaborazione nel campo legislativo e, se quel giudice costituzionale vi fosse stato per il passato, indubbiamente noi non avremmo avuto quella alterazione completa delle norme statutarie, che garantivano la saldezza delle istituzioni democratiche.

Ora, si dice: attribuiamo tutta la materia al giudice ordinario. Ma attribuire tutta la materia amministrativa e costituzionale al giudice ordinario significa andare incontro a gravi obiezioni.

Noi ci siamo preoccupati in quest’Aula della formazione di una casta chiusa; noi abbiamo, anzi, creduto di ravvisare una valvola di sicurezza con l’inserimento di elementi laici nel Consiglio Superiore della Magistratura.

Ora, a parte ogni giudizio sull’idoneità e sull’efficacia di questa misura, vi è, di fatto, questo: che attribuire al giudice ordinario – che ha competenza piena – la conoscenza, il sindacato della discrezionalità amministrativa, e quindi la possibilità di annullare l’atto impugnato, attribuire al giudice ordinario la conoscenza e quindi il sindacato dell’attività legislativa, dell’attività costituzionale, significa consentire al giudice ordinario di invadere la sfera del potere esecutivo e del potere legislativo, significa davvero allora costituire una casta chiusa, uno Stato nello Stato.

Ma c’è un altro argomento, un argomento che chiamerei di competenza. Il magistrato ordinario ha delle qualità di primissimo ordine nel campo intellettuale e culturale, ma qui il suo compito non è quello di interpretare e di applicare la legge; egli, nel campo amministrativo, deve procedere a valutazioni molto delicate dell’interesse pubblico, che richiedono una vasta, una profonda conoscenza della vita amministrativa; nel campo legislativo, deve avere altrettanta penetrazione della vita sociale e politica del Paese, qualità che mancano al magistrato ordinario.

E vi è un raffronto da fare, a questo riguardo. Onorevole Presidente, io ho finito: io sono preoccupato del richiamo che lei ha fatto all’inizio del mio discorso e vado quindi molto rapidamente verso la conclusione.

C’è dunque, dicevo, un raffronto, a questo riguardo, che io devo fare tra il giudice amministrativo e il giudice costituzionale. Il giudice costituzionale trova la sua piattaforma nell’esperienza che il giudice amministrativo ha costituito. Noi possiamo aver delineato la giurisprudenza costituzionale di domani, guardando alla giurisprudenza amministrativa di ieri.

Ora, in ordine all’idoneità del giudice a decidere in materia costituzionale, molto giova guardare a quello che è stato fatto nel campo amministrativo, dove appunto fu trovata una felice soluzione del problema, in quanto si è formato un collegio che è costituito da esperti amministratori, i quali provengono dai diversi rami dell’amministrazione e da giuristi specializzati. E bisogna dire che è stata possibile soltanto ad un siffatto collegio la formazione, l’elaborazione dell’eccesso di potere, il quale, in un cinquantennio di vita feconda, ha potuto divenire uno strumento delicato e potente nelle mani del giudice, uno strumento capace di penetrare, di mettere a nudo l’essenza intima della manifestazione di volontà dell’amministrazione, per iscoprirne le nascoste insidie.

Strumento che non potrebbe affidarsi ad altro magistrato, il quale non riassumesse, appunto, in sé la duplice qualità di giudice e di amministratore. Ora, è il medesimo procedimento che deve suggerire al costituente moderno il criterio di formazione della Corte costituzionale, che deve essere formata – come molto opportunamente il progetto sancisce – da magistrati che applicheranno la legge con il rigoroso criterio dell’accertamento e da uomini che porteranno il soffio sociale e politico del Paese, con l’interpretazione di quello che è appunto il momento giuridico e politico che è nell’atmosfera.

Ed ho finito. Ora, abolire od ostacolare la formazione di un giudice costituzionale significa impedire, porre ostacoli a che in Italia, nel campo legislativo, si formi, parallelamente a quello che è accaduto nel campo amministrativo, quella elaborazione che ha dato dei frutti così preziosi per la tutela degli interessi e dei diritti del cittadino contro i soprusi dello Stato, sia nel campo amministrativo che nel campo costituzionale.

Io ho presentato perciò un ordine del giorno, il quale riassume la questione in questi termini: la Corte costituzionale è un organismo giurisdizionale, perché esplica ed esaurisce la sua attività in una funzione di giudicare.

Essendo organismo giurisdizionale, rientra nel potere giurisdizionale, e come tale, allora, deve essere considerato l’organo supremo di giustizia, e quindi, oggi che la Corte di cassazione ha cessato di assumere questo aspetto, per il subentrare di questo organo che sta al di sopra, deve assumere il ruolo di suprema Corte regolatrice, cui vadano devoluti anche i conflitti di giurisdizione oltre quelli di attribuzione. (Applausi).

PRESIDENTE. Rinvio ad altra seduta il seguito dello svolgimento di ordini del giorno relativi al IV e VI Titolo del progetto di Costituzione.

Svolgimento di una interrogazione urgente.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Lucifero, Villabruna, Badini Confalonieri, Candela, Bonino, Crispo, Rubilli, Condorelli, Colitto e Perrone Capano hanno presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente, alla quale l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno risponderà subito:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare il Governo per garantire la libertà di stampa, di fronte alla decisione dei tipografi di stabilire loro l’autorizzazione ad uscire dei giornali e alle altre violazioni continue e sistematiche di questo che è il primo diritto civile di un Paese libero».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ieri sera, poco prima delle dieci, è pervenuta al Ministero dell’interno una comunicazione del questore di Roma, secondo la quale il direttore della Società anonima «La Tribuna» aveva informato che alcuni membri della commissione interna di quel giornale si erano presentati alla direzione e avevano avvertito che, qualora i giornali La Voce Repubblicana e Italia nuova, stampati in quella tipografia, non avessero consentito di pubblicare nella loro edizione di questa mattina un determinato ordine del giorno votato dal Congresso nazionale della federazione italiana dei lavoratori poligrafici e cartai, tenuto in Genova dal 26 al 31 ottobre ultimo scorso, le maestranze si sarebbero rifiutate di stampare il giornale.

Altre notizie in proposito non erano arrivate all’autorità di pubblica sicurezza, o, per meglio dire, l’autorità di pubblica sicurezza non aveva ricevuto da alcuna altra amministrazione di giornali una denuncia che analoghe interdizioni fossero state fatte. Con tutto col Ministero dell’interno, immaginando che ciò fosse effettivamente avvenuto e che si intendesse da parte delle maestranze di imporre con atti di violenza questa loro richiesta, immediatamente dispose perché servizi di polizia fossero attuati nei pressi delle direzioni, delle redazioni e delle tipografie dei giornali, in modo da garantire per quanto dipendeva dalla pubblica sicurezza la libertà di stampa. Incidenti non ne sono avvenuti.

Come il Ministero dell’interno aveva supposto, l’intimazione era stata rivolta alla direzione di tutti i giornali di Roma, ed è per questo che il giornale Risorgimento Liberale di stamattina non ha creduto di far uscire le proprie edizioni. Di fronte all’intimazione che le era stata fatta, la direzione ha preferito non fare uscire il giornale piuttosto che subirla.

Questi sono i fatti.

Dai fatti emerge che non si tratta di un problema di polizia, ma di un problema assai più vasto. Si tratta anche qui di un problema di libertà, della libertà di stampa.

Non occorre fare della retorica, ed io non la farò: sarei comunque il meno indicato per farla. Sono però fra i più accesi difensori di questa libertà, e sono lieto di portare qui l’eco della stessa passione da parte del Governo.

Di conseguenza, all’onorevole interrogante non posso che rispondere che, sdegnato, come è naturale, contro questo nuovo attentato alla libertà di stampa; riconosciuta l’inaccettabilità di sistemi di questa fatta; riconosciuto anzi che si tratta di uno dei più gravi attentati che, se dovesse diffondersi e dovesse trovare la possibilità di attuazione, annullerebbe in gran parte e forse totalmente quello che è uno dei diritti sacrosanti e tanto faticosamente conquistati; il Governo intende tutelare questa libertà con ogni mezzo, all’uopo ricorrendo anche a disposizioni di carattere penale, che si riserverebbe in quel caso di presentare come di dovere.

Ad ogni modo il Governo dà ora all’Assemblea e all’onorevole interrogante l’assicurazione che su questo punto vitale non intende cedere, meno che su ogni altro.

Tanto più è doloroso questo episodio in quanto nello stesso ordine del giorno, il cui contenuto non viene discusso in questa sede (il contenuto è quello che è, può suscitare dissensi od approvazioni) si dice che i poligrafici italiani non vogliono intervenire direttamente in materia così delicata come la libertà di stampa.

Ognuno vede come questo gesto, compiuto da elementi probabilmente irresponsabili, contrasti in modo gravissimo con questa premessa, e tradisca quindi la stessa volontà dei lavoratori nel cui nome questo sopruso è stato compiuto. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LUCIFERO. Signor Presidente, io sono indubbiamente sodisfatto della giusta e legittima manifestazione di sdegno dell’onorevole Marazza, che io conosco e so essere un uomo di libertà e che ama la libertà.

Sono un po’ meno sodisfatto delle dichiarazioni che fa il Governo, perché il Sottosegretario non mi ha detto esattamente quali provvedimenti voglia prendere il Governo per impedire che si trovi modo – pretestando di essere ai margini del Codice penale, mentre si è profondamente nel contenuto del Codice penale, del Codice civile e del Codice democratico (e se ho detto civile, l’ho detto nel senso di civiltà) – di conculcare ogni diritto ed ogni libertà; quali provvedimenti voglia prendere per impedire che questo sistema dilaghi.

Nel momento che scendevo dall’avere presentato al banco della Presidenza questa mia interrogazione, parlava l’onorevole Conti. L’onorevole Conti ha detto che oggi ormai non avremmo più avuto fascismo. L’onorevole Conti (mi dispiace che non sia presente) mi perdonerà se io gli dirò che per la prima volta, da tanto tempo che gli voglio bene e che lo stimo, ho sentito profondamente che i capelli bianchi li avevo io e che i capelli neri li aveva lui: perché questo è il fascismo! Questo è il fascismo che torna, nei suoi metodi e nel suo contenuto, nella sua essenza e nelle sue più profonde ispirazioni. Questa è la prova che, se per tre anni si sono perseguitati i fascisti, mai nulla si è fatto contro il fascismo; e libero è il fascismo di tornare in Italia, come stavolta. Posso dire all’onorevole Sottosegretario di Stato che noi vedremo immediatamente quali sono le intenzioni e con quanta serietà il Governo affronta questo problema, perché posso comunicare all’onorevole Sottosegretario di Stato che questa mattina alle 10 gli operai tipografi della tipografia del Giornale d’Italia, che fra gli altri giornali stampa anche il Risorgimento Liberale, hanno fatto sapere che, ove il Risorgimento Liberale stasera non pubblicasse il loro scritto ricattatorio, essi non stamperanno nemmeno questa sera il giornale. Ed io avverto il Governo che il Risorgimento Liberale, essendo liberale, non subisce ricatti e non pubblicherà quello che i ricattatori chiedono che sia pubblicato. Questo per la dignità politica di un partito politico che quel giornale rappresenta; questo per la dignità professionale dei giornalisti i quali sono degli uomini che hanno diritto di stampare quello che pensano e quello che credono e non devono essere posti sotto sindacato di qualunque operaio che abbia – quando l’ha – la licenza elementare.

GAVINA. L’operaio può non lavorare.

LUCIFERO. L’operaio è liberissimo di non lavorare ed allora non deve protestare se sarà licenziato in tronco. Però, quando l’operaio in una stessa tipografia stampa tutti i giornali meno uno, allora non è questione di libertà di lavoro, allora è questione politica, e questa è questione politica.

Ha parlato il Sottosegretario di elementi irresponsabili. No, onorevole Sottosegretario.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ritengo irresponsabili.

LUCIFERO. Responsabili e individuabili.

Quando io da questo stesso banco (ora è poco tempo) segnalai al Governo quale sarebbe stata la campagna e il metodo che si sarebbe usato contro la stampa, a proposito della distruzione della tipografia del Corriere del Giorno, già dissi: «È inutile che mi venite a raccontare che avete arrestato otto disgraziati; colpite i mandanti, i responsabili indiretti».

Il sistema continua. Si dimostrò contro il Movimento sociale italiano e si distrusse il liberale Corriere del Giorno. Poi si è distrutta la tipografia del Mattino d’Italia, a Milano, e oggi il Mattino d’Italia trova difficoltà a riuscire a Milano, sapete perché? Perché attraverso questo sistema, così abilmente organizzato ed istaurato, il tipografo, l’editore che stampava il giornale, chiede che gli si depositi la cifra corrispondente all’intero valore dei suoi impianti, perché visto che dai signori del Governo non si sente tutelato non vuole andare incontro ad altre perdite; e con ciò gli avversari di quel pensiero politico che il Mattino d’Italia degnamente rappresenta, giornale cui sono grato per l’ospitalità che mi diede in altri tempi, hanno trovato modo di liberarsi di avversari che davano fastidio, perché non tutte le aziende giornalistiche ricevono sovvenzioni da fonti confessabili od inconfessabili tali da poter versare cento e più milioni ad una tipografia per fare uscire il loro giornale. Quindi la cosa è molto bene organizzata, anche se nel caso dei miei amici del Mattino d’Italia, che io conosco bene perché ho combattuto con loro nel periodo della resistenza, essi hanno trovato il modo di uscire lo stesso. Lo faranno uscire lo stesso come l’hanno fatto uscire oggi stesso a Roma, malgrado il primo capoverso del comunicato… pardon, del decreto legislativo dei tipografi italiani.

E io dico: che sia una cosa organizzata è dimostrato da un fatto molto semplice: sullo stesso giornale, sul quale, sotto ricatto, io leggo pubblicato (è il Tempo di questa mattina) con una nota in corsivo il decreto legislativo sull’autorizzazione alla stampa, emanato dall’organizzazione dei tipografi a Genova, trovo una nota da Roma la quale narra di una riunione avvenuta ieri alle 17 e 30 all’Istituto Galileo, nell’aula magna, dove un autorevole personaggio la cui ispirazione politica è nota e perfettamente conosciuta, l’onorevole Di Vittorio, ha chiesto le stesse cose ed alla fine è stato deliberato che, ove il Governo non intendesse prendere quelle misure indispensabili che loro ritengono necessarie a normalizzare la situazione, i lavoratori si vedrebbero costretti ad applicare tutti i metodi a loro disposizione. (Interruzioni – Commenti).

Del resto, tutto questo, egregio Sottosegretario, entra in un quadro generale; lei sa meglio di me che, mentre sto parlando, i tram di Roma rientrano al deposito perché a qualcuno non faceva comodo che le famiglie dei dispersi e caduti in Russia si riunissero a Roma per esaminare i loro problemi.

GALLICO SPANO NADIA. Questo lo dice lei.

LUCIFERO. Tutto questo fa parte di un unico programma e lo stesso fatto che lei sola protesta, onorevole Spano, dimostra (cosa che già sappiamo) da dove questo programma e questa azione partono. (Benissimo!).

Io non esco dall’interrogazione. Dico soltanto al Governo: badate, il problema è politico e generale. Noi non vogliamo che nessuno possa ostacolare l’esprimersi di libere opinioni. E faccio notare che i due giornali, che per dignità loro e della stampa italiana non sono usciti questa mattina a Roma, sono La Voce Repubblicana e il Risorgimento Liberale, due giornali che furono clandestini, che hanno combattuto la battaglia della resistenza e sul cui conto non v’è nulla da dire, sotto nessun punto di vista, ma che entrambi, dai due lati opposti dello schieramento politico italiano, hanno sentito che dovevano tutelare insieme la dignità e la libertà politica loro e quella dei giornalisti.

Ed io devo dire a nome dei colleghi giornalisti (perché io non dimentico la mia origine) al Governo che lo ringraziamo molto quando ci manda i suoi agenti a tutelare la nostra pelle; ma noi non vogliamo tutelare soltanto la nostra pelle. Onorevole Marazza, lei non conosce forse come io conosco quello che è il lavoro dei giornalisti. Noi vogliamo che sia tutelata la nostra passione e la nostra dignità, perché nella tutela della nostra passione e nella tutela della dignità nostra di giornalisti, cioè di interpreti di tutte le opinioni e, quindi, dell’opinione di tutti, lei tutela ed il Governo tutelerà la libertà in Italia, la libertà del pensiero e della parola. Perché è inutile che qui dentro, in un cerchio chiuso, si sia liberi di parlare (e non so fino a quando) e basta oltrepassare quella porta perché la libertà uno se la debba veramente conquistare con i propri pugni, fino a quando basteranno i pugni.

Non ho altro da dire! (Applausi al centro e a destra).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per chiedere quali provvedimenti intenda immediatamente adottare per i gravi incidenti verificatisi a Palermo il 14 corrente; trattasi evidentemente di incidenti artatamente inquadrati da agitatori, tendenti a turbare l’ordine pubblico e ad attentare a quelle che sono le fondamentali libertà civiche.

«Russo Perez, Cannizzo, Castiglia».

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti siano stati presi e quali misure adottate per reprimere e prevenire gli episodi di violenza del 14 novembre scorso contro le sedi del Partito nazionale monarchico a Palermo, durante i quali è stato ferito altresì un segretario di una delle sezioni.

«Fabbri, Covelli».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i particolari dei numerosi episodi di violenza verificatisi in provincia di Lecce, per effetto dello sciopero proclamato in quella provincia, e le misure prese dalle autorità.

«Gabrieli, De Maria».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se considera inopportuna e perseguibile la presenza di giuliani con le loro bandiere alle cerimonie commemorative della guerra che portò alla redenzione.

«Pecorari».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Mi riservo di far conoscere quando potrà essere data risposta a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Avverto che è stata anche presentata la seguente altra interrogazione urgente:

«Al Ministro degli affari esteri, per chiedere se non ritenga opportuno, analogamente al passo jugoslavo, che protestava all’ONU per un semplice allontanamento, diplomaticamente corretto, d’un suo rappresentante da Trieste, protestare per gli innumerevoli soprusi d’ogni genere commessi dagli jugoslavi contro le persone ed i beni di cittadini italiani nel tratto di territorio libero di Trieste tuttora sottoposto all’Amministrazione militare fiduciaria jugoslava.

«Pecorari».

Interesserò il Ministro degli esteri affinché faccia sapere quando intende rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Comunico che, in ossequio ad una tradizione di riguardo verso i partiti organizzati democraticamente in Italia, i lavori della nostra Assemblea saranno sospesi per i giorni di lunedì e martedì allo scopo di consentire ai colleghi democristiani di partecipare al Congresso nazionale del loro partito a Napoli.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Riconosco che naturalmente i colleghi, che hanno il loro Congresso da fare, debbano farlo. Ma non sarebbe possibile, invece di interrompere il ritmo di vita dell’Assemblea, che tenessimo delle sedute, non per trattare argomenti nei quali la presenza dei nostri colleghi è necessaria, ma argomenti arretrati che possono essere smaltiti? Abbiamo dei termini fissati, e il lavoro – seguitando così – resta incagliato. Ora, siccome molti colleghi non hanno la fortuna di andare al Congresso democristiano e restano qui…

FRANCESCHINI. La invito, onorevole Tonello.

TONELLO. Non è mica uno scandalo. Da noi siete venuti. Domanderei che si potesse tenere seduta lo stesso, perché non tutti i colleghi sono democristiani.

PRESIDENTE. Questo problema, onorevole Tonello, se l’è posto anche la Presidenza, poiché nessuno più di essa avverte la necessità di non sprecare il tempo. Le sarei grato però se sapesse indicarmi quali materie potremmo mettere all’ordine del giorno delle prossime sedute, che non comportino la necessità della presenza di tutti i deputati. Spero che lei non voglia proporci quattro o cinque sedute di interrogazioni.

Prima di tutto perché non avremmo sufficienti interrogazioni, per quanto queste siano numerose, e poi perché questo non ci permetterebbe di dire che l’Assemblea procede nei suoi lavori, dei quali le interrogazioni costituiscono una parte, ma non rappresentano la sostanza principale.

Ho voluto dire questo, perché non rimanga l’impressione che le preoccupazioni dell’onorevole Tonello non siano, non dico della Presidenza, ma dell’Assemblea tutta e quindi anche dei colleghi della Democrazia cristiana.

Naturalmente dovremo cercare di recuperare il tempo, che non potrà essere utilmente impiegato in questi due giorni per il nostro specifico mandato; e, quindi, riprendendo le nostre sedute, non soltanto dovremo prolungarne qualcuna per un numero di ore maggiore del solito, ma dovremo prepararci a tenere due sedute il sabato e due il lunedì prossimo e forse anche qualche seduta notturna.

Su una cosa penso che siamo tutti d’accordo: che entro questo mese dovremo completare le votazioni sul quarto e sul sesto Titolo del progetto di Costituzione.

Data questa meta, tutto sarà subordinato a che essa sia raggiunta.

Pertanto la prossima seduta si terrà mercoledì, alle ore 16, per lo svolgimento di interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenuta alla Presidenza.

COVELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non ritenga opportuno, per evidenti ragioni di equità e di giustizia distributiva, estendere ai centri non capoluoghi di provincia, e che pure raggruppano vari ed importanti uffici statali, con numerosi dipendenti, e che hanno subito, tra l’altro, danni per effetti bellici al patrimonio edile, la facoltà di beneficiare delle costruzioni dell’I.N.C.I.S.; e se, a tal fine, non sia da modificare sostanzialmente il contenuto dell’articolo 345 del testo unico 28 aprile 1938, n. 1165, tuttora in vigore.

«De Martino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga urgente di estendere ai pensionati degli Enti locali non territoriali le disposizioni dei decreti 25 ottobre 1946, n. 263 e 13 agosto 1947, n. 833, relativi agli aumenti degli assegni di pensione allo scopo di togliere alla più straziante indigenza molte povere famiglie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga giusto dare disposizioni perché l’articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 177, che modifica l’articolo 30 del testo unico 14 settembre 1931, n. 1175, imponendo l’imposta di consumo sul vino dei proprietari non coltivatori diretti, venga interpretato in modo da non gravare, oltre che coll’imposta di consumo anche con quella sull’entrata, sul vino che il proprietario consuma per le necessità familiari.

«All’interrogante sembra giusto eliminare in questo caso l’imposta sull’entrata, perché non si tratta di passaggio di ricchezza ma di consumo di prodotto da parte del legittimo proprietario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 13.

Ordine del giorno per la seduta di mercoledì 19 novembre 1947.

Alle ore 16:

Interrogazioni.